“COSIDDETTA” RIVOLUZIONE COPERNICANA. COSIDDETTA... · tolemaica del moto della Luna fosse...

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1 “COSIDDETTA” RIVOLUZIONE COPERNICANA. 1 Nicola Copernico. Sulla sponda settentrionale del fiume Vistola, i Cavalieri dell’ordine Teutonico eressero nel 1231 una fortezza: con la successiva colonizzazione da parte di militari e contadini tedeschi, sorse una città, Thorn; là, due secoli dopo sarebbe nato Niklas Koppernigk, più noto col nome latinizzato Nicolas Copernicus; la sua famiglia era originaria di un piccolo villaggio della Slesia superiore; il nome deriva o dal polacco Koper, che indica la pianta di aneto, e dal suffisso nik (abbondante) o dal tedesco Kupfer, che traduce la parola rame. A prendere dimora a Thorn era stato Nicola Copernico senior, padre del grande astronomo, importante uomo d’affari, che si trasferì da Cracovia inviato da Casimiro IV re di Polonia, come mediatore fra le città e la nobiltà rurale di Prussia da un lato e l’oppressivo governo dell’ordine Teutonico dall’altro; nonostante gli sforzi il 4 febbraio 1454 scoppiò la cosiddetta guerra dei tredici anni che si tra l’unione prussiana con l’alleato re di Polonia e l’ordine Teutonico che si concluse con la sconfitta di quest’ultimo; mentre la guerra imperversava, Nicola senior aveva sposato Barbara Watzenrode figlia di un borghese del luogo, da cui ebbe quattro figli, il più giovane dei quali fu proprio Nicola, nato il 19 febbraio 1453. Barbara rimase vedova quando Nicola aveva solo dieci anni, sicché fu lo zio materno Lucas, a sostenere la famiglia. Lucas Watzenrode aveva preso gli ordini sacri ed era stato assegnato al seguito del Principe di Polonia (il vescovo di Cracovia); successivamente divenne vescovo della Warmja. Nicola poté così iscriversi all’Università di Cracovia, dai cui registri risulta che pagò l’intera quota mentre [suo fratello] Andreas soltanto quattro groschen [centesimi]. Pur non avendo testimonianza diretta dei corsi seguiti, è verosimile che Nicola lasciò Cracovia a 22 anni con buone competenze in matematica, astronomia ed astrologia; infatti egli conservò per tutta la vita due volumi che, a giudicare dallo stile della rilegatura, deve aver acquistato a Cracovia: uno contiene la Tavole Alfonsine e le tavole Directionum, i due testi che all’epoca formavano la più aggiornata e quasi completa collezione di dati per il calcolo astronomico (le prime per la teoria planetaria e le eclissi e le seconde per l’astronomia sferica); il secondo volume proveniente da Cracovia contiene la versione più diffusa degli elementi di Euclide ed uno dei più completi trattati astrologici arabi tradotto in latino. Nell’agosto del ’95, a seguito della morte di un canonico, il Capitolo di Warmja elesse al posto vacante, grazie all’influenza dello zio Vescovo, Nicola Copernico; Copernico rifiutò risolutamente di diventare sacerdote, anche quando, in seguito, il vescovo minacciò di privarlo delle prebende. Poiché la conferma definitiva al suo diritto sul canonicato ritardava, Nicola s’immatricolò presso l’Università di Bologna in diritto canonico; egli però soggiornava nella casa dell’astronomo Domenico Maria Novara, che, come facevano molti docenti, incluso più tardi il Galilei, prendeva in casa ospiti paganti. 2 Problemi irrisolti del modello Tolemaico. Il prof. Novara incoraggiò Copernico a studiare i cieli e lo aiutò a comprendere come in astronomia ci fosse spazio per ricerca originale, e come fosse possibile scoprire nuovi fenomeni. Ne era prova la sua scoperta del fatto che le latitudini di numerose città mediterranee erano cresciute di 1°10’ rispetto alla posizione indicata nell’Almagesto di Tolomeo; Novara ne aveva dedotto che il polo Nord si era spostato e che l’asse terrestre subiva una lenta rivoluzione in 395.000 anni: l’ipotesi ebbe vasta risonanza per diversi decenni e, sebbene abbandonata, sollevò l’idea di un eventuale movimento della terra. La prima osservazione registrata da Copernico ebbe luogo a Bologna il 9 marzo del ’97 quando egli vide la luna avvicinarsi alla stella Aldebaran e passarle davanti alle ore 23.00 (occultazione). Nell’antichità Tolomeo aveva incluso una approfondita trattazione sulla Luna nella sua Grande sintassi matematica, opera conosciuta in seguito come Almagesto dal titolo della traduzione medievale araba. Questo complesso trattato fu parafrasato in latino dall’astronomo J. Müller detto il Regiomontano in quanto originario di Köenigsberg (“Montagna del Re”) e pubblicato a Venezia nel 1497 con il titolo Epìtome (riassunto) dell’Almagesto. L’Epìtome gettò lo scompiglio tra gli astronomi in quanto evidenziava alcuni limiti del lavoro di Tolomeo; in particolare se la spiegazione

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“COSIDDETTA” RIVOLUZIONE COPERNICANA.

1 Nicola Copernico.... Sulla sponda settentrionale del fiume Vistola, i Cavalieri dell’ordine Teutonico eressero nel 1231

una fortezza: con la successiva colonizzazione da parte di militari e contadini tedeschi, sorse una città, Thorn; là, due secoli dopo sarebbe nato Niklas Koppernigk, più noto col nome latinizzato Nicolas Copernicus; la sua famiglia era originaria di un piccolo villaggio della Slesia superiore; il nome deriva o dal polacco Koper, che indica la pianta di aneto, e dal suffisso nik (abbondante) o dal tedesco Kupfer, che traduce la parola rame. A prendere dimora a Thorn era stato Nicola Copernico senior, padre del grande astronomo, importante uomo d’affari, che si trasferì da Cracovia inviato da Casimiro IV re di Polonia, come mediatore fra le città e la nobiltà rurale di Prussia da un lato e l’oppressivo governo dell’ordine Teutonico dall’altro; nonostante gli sforzi il 4 febbraio 1454 scoppiò la cosiddetta guerra dei tredici anni che si tra l’unione prussiana con l’alleato re di Polonia e l’ordine Teutonico che si concluse con la sconfitta di quest’ultimo; mentre la guerra imperversava, Nicola senior aveva sposato Barbara Watzenrode figlia di un borghese del luogo, da cui ebbe quattro figli, il più giovane dei quali fu proprio Nicola, nato il 19 febbraio 1453. Barbara rimase vedova quando Nicola aveva solo dieci anni, sicché fu lo zio materno Lucas, a sostenere la famiglia. Lucas Watzenrode aveva preso gli ordini sacri ed era stato assegnato al seguito del Principe di Polonia (il vescovo di Cracovia); successivamente divenne vescovo della Warmja. Nicola poté così iscriversi all’Università di Cracovia, dai cui registri risulta che pagò l’intera quota mentre [suo fratello] Andreas soltanto quattro groschen [centesimi]. Pur non avendo testimonianza diretta dei corsi seguiti, è verosimile che Nicola lasciò Cracovia a 22 anni con buone competenze in matematica, astronomia ed astrologia; infatti egli conservò per tutta la vita due volumi che, a giudicare dallo stile della rilegatura, deve aver acquistato a Cracovia: uno contiene la Tavole Alfonsine e le tavole Directionum, i due testi che all’epoca formavano la più aggiornata e quasi completa collezione di dati per il calcolo astronomico (le prime per la teoria planetaria e le eclissi e le seconde per l’astronomia sferica); il secondo volume proveniente da Cracovia contiene la versione più diffusa degli elementi di Euclide ed uno dei più completi trattati astrologici arabi tradotto in latino.

Nell’agosto del ’95, a seguito della morte di un canonico, il Capitolo di Warmja elesse al posto vacante, grazie all’influenza dello zio Vescovo, Nicola Copernico; Copernico rifiutò risolutamente di diventare sacerdote, anche quando, in seguito, il vescovo minacciò di privarlo delle prebende. Poiché la conferma definitiva al suo diritto sul canonicato ritardava, Nicola s’immatricolò presso l’Università di Bologna in diritto canonico; egli però soggiornava nella casa dell’astronomo Domenico Maria Novara, che, come facevano molti docenti, incluso più tardi il Galilei, prendeva in casa ospiti paganti.

2222 Problemi irrisolti del modello Tolemaico. Il prof. Novara incoraggiò Copernico a studiare i cieli e lo aiutò a comprendere come in

astronomia ci fosse spazio per ricerca originale, e come fosse possibile scoprire nuovi fenomeni. Ne era prova la sua scoperta del fatto che le latitudini di numerose città mediterranee erano cresciute di 1°10’ rispetto alla posizione indicata nell’Almagesto di Tolomeo; Novara ne aveva dedotto che il polo Nord si era spostato e che l’asse terrestre subiva una lenta rivoluzione in 395.000 anni: l’ipotesi ebbe vasta risonanza per diversi decenni e, sebbene abbandonata, sollevò l’idea di un eventuale movimento della terra.

La prima osservazione registrata da Copernico ebbe luogo a Bologna il 9 marzo del ’97 quando egli vide la luna avvicinarsi alla stella Aldebaran e passarle davanti alle ore 23.00 (occultazione). Nell’antichità Tolomeo aveva incluso una approfondita trattazione sulla Luna nella sua Grande sintassi matematica, opera conosciuta in seguito come Almagesto dal titolo della traduzione medievale araba. Questo complesso trattato fu parafrasato in latino dall’astronomo J. Müller detto il Regiomontano in quanto originario di Köenigsberg (“Montagna del Re”) e pubblicato a Venezia nel 1497 con il titolo Epìtome (riassunto) dell’Almagesto. L’Epìtome gettò lo scompiglio tra gli astronomi in quanto evidenziava alcuni limiti del lavoro di Tolomeo; in particolare se la spiegazione

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tolemaica del moto della Luna fosse corretta, il disco della luna piena dovrebbe apparire di dimensioni pari ad un quarto di quelle del disco della mezza luna (di cui ovviamente vediamo solo la metà). Copernico rimase particolarmente colpito da questa discrepanza e, forse, fu questo ad indurlo a cercare altre inesattezze nel sistema tolemaico e notizie relative a teorie alternative. Dato che le informazioni in latino erano scarse, comprese che avrebbe dovuto imparare il greco e si imbarcò a capofitto nell’impresa traducendo le lettere morali, rustiche ed amatorie di tal Teofilatto Simocatta, lavoro che lo impegnò per anni!

Il 6 settembre 1500, terminate le lezioni a Bologna, Copernico partì, come molti altri pellegrini,

per Roma, in occasione dell’anno giubilare indetto dal papa Alessandro VI; circa quattro decenni dopo, egli ricordava che “quando avevo circa ventisette anni avevo tenuto una lezione di matematica a Roma, davanti ad un folto pubblico di studenti ed a una moltitudine di insigni personalità e di esperti in questa branca del sapere”; perché accorrevano in tanti ad ascoltarlo? Non certo per conoscere le sue idee sul moto della Terra ma per sentirlo parlare dei moti della Luna.

Rientrato in Warmja per ottemperare ai suoi compiti di canonico, ritornò in Italia nell’autunno del 1501 per iscriversi alla più famosa facoltà di medicina d’Europa: Padova. Una prova in più del fatto che non aveva intenzione di diventare prete in quanto come giurista canonico era a conoscenza della norma che non permetteva ai preti di praticare chirurgia e cauterizzazione, in quanto affermava: “Dottori e chirurghi, le cui pratiche comprendono bruciature e tagli, sono squalificati per l’ordinazione sacerdotale, poiché essi scarseggiano di tenerezza”.

A Copernico, tornato definitivamente in Warmja nel 1503, il Capitolo attribuisce importanti mansioni: lo troviamo a stabilire il giusto prezzo e peso del pane, a provvedere ai prestiti, a scrivere quello che si può ritenere il primo studio sui problemi economici causati dalla svalutazione di un sistema monetario (Saggio sul conio del denaro), ad esercitare la professione medica a vantaggio dei canonici e del vescovo. Potrebbe essere l’inizio di una brillante carriera ecclesiastica, invece la sua vita potrebbe ben essere descritta dallo slogan, “mille impegni, una passione”: l’astronomia. D’ora in poi tralasceremo tutto quello che riguarda questi aspetti della vita del nostro astronomo, seppur fondamentali nella comprensione dei mutamenti culturali che andavano delineandosi all’orizzonte del nuovo secolo (v. bibliografia: [1]).

3333 I moti nella volta celeste. Una caratteristica della volta celeste è il percorso che sembrano tracciare i cosiddetti “pianeti” tra

le stelle fisse, notte dopo notte. Il termine pianeta deriva proprio da un vocabolo greco che significa “vagabondo”: l’orbita seguita da un pianeta non è né lineare né percorsa a velocità costante; ad esempio in figura vediamo Marte in avvicinamento da ovest il 1° aprile, rallentare a giugno per poi tornare indietro rispetto allo sfondo delle stelle fisse fino a metà di agosto prima di riprendere il proprio avanzamento verso est. Le fermate apparenti prendono il nome di “stazioni”, i movimenti all’indietro quello di “moti retrogradi ”.

Il moto del sole tra le stelle non può essere osservato in modo così diretto poiché esse non sono ovviamente visibili di giorno; ma se guardiamo le costellazioni che sorgono immediatamente prima del Sole ogni mattina, notiamo che esse variano durante l’anno. Supponiamo che una mattina il Sole sembri seguire la costellazione del Toro nel cielo: vediamo appena prima dell’alba sorgere il Toro e

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subito dopo il Sole ci abbaglia e noi supponiamo che il Toro sia ancora lì a precedere il Sole per tutto il giorno. Un mese dopo il sorgere del Toro è seguito dal sorgere dei Gemelli che precedono il sole ed ai quali è ora “affidato il compito” di precedere il sole. Così, sebbene il sole si muova attorno alla Terra da est ad ovest come le stelle fisse, esso è continuamente in ritardo rispetto ad esse ed impiega circo 4 minuti in più per compiere il proprio giro quotidiano; sembra perciò spostarsi all’indietro, da ovest ad est, attraversando il disegno delle stelle fisse: il cammino del Sole attraverso questo disegno fu tracciato dai Babilonesi, che lo suddivisero nelle 12 costellazioni; quando il Toro, per esempio, precede il Sole, sarà la costellazione dei Gemelli, a noi invisibile, a sorgere con il Sole e si dirà che “il Sole è nei Gemelli”.

Gli antichi astronomi non tardarono a scoprire che il moto del sole e della Luna sono caratterizzati da una particolare irregolarità che fu chiamata “Prima Ineguaglianza”: ad esempio, rispetto ai “punti equinoziali” il Sole impiega 187 giorni per passare dall’equinozio primaverile a quello autunnale e 188 giorni per tornare a quello primaverile. L’irregolarità del movimento del Sole è messa in evidenza anche dall’osservazione delle sue velocità giornaliere; la sua rivoluzione annuale (tempo impiegato a ritornare all’equinozio) è di 365 giorni, 5 ore, 49’8’’; se dunque avanzasse con moto regolare compirebbe ogni giorno un arco di 59’8’’e per determinare la sua posizione sull’eclittica in un giorno qualsiasi, basterebbe moltiplicare il numero di giorni trascorsi dell’equinozio per 59’8’’; in realtà, rispetto alla posizione così calcolata, la posizione reale del Sole è in anticipo o in ritardo di un massimo di 2°: l’anticipo ed il ritardo sono massimi in due punti detti “absidi”, posti lungo una linea che passa per il centro della Terra.

4 4 4 4 I modelli dei classici ed il loro valore “epistemologico”.

1. Nel IV secolo a.C. l’astronomo greco Eudosso ideò un sistema di sfere concentriche per spiegare perché i pianeti paiono muoversi in questo modo. Il suo “modello cosmologico”, perfezionato da Callippo (attenzione: non cabibbo!) fu incorporato nella filosofia naturale di Aristotele e per questo è generalmente noto come modello aristotelico. L’essenza del sistema è che ciascun pianeta è mosso da diverse sfere tra loro connesse, dette sfere “omocentriche” (dal greco οµός “uguale”) per il fatto di avere lo stesso centro. Il pianeta è fissato ad una sfera il cui asse è collegato con l’interno di un’altra sfera e così via; postulando un numero sufficiente si sfere, sistemando gli assi ad opportuni angoli e variando le velocità di rotazione, Eudosso era in grado di descrivere le osservazioni con una buona approssimazione. Per evitare che una qualunque sfera associata ad un particolare pianeta, trasmettesse il moto a tutte le sfere sottostanti, Eudosso aveva introdotto delle sfere di compensazione che ruotavano attorno allo stesso asse, con lo stesso periodo ma in direzione opposta; in tutto esistevano 55 sfere più una sfera di stelle fisse per un totale di 56.

Il sistema delle sfere omocentriche soffriva di una debolezza: l’assunzione che la distanza di ciascun pianeta dalla Terra fosse costante, impedendo così di spiegare nel modo più semplice le variazioni di luminosità e dimensione apparente, come pure il fatto che le eclissi solari fossero a volte “totali”, a volte “anulari”.

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2. L’astronomo alessandrino del II sec. d.C. Claudio Tolomeo trovò il modo di superare queste

difficoltà. Il suo lavoro viene ricordato col nome che venne dato alla traduzione medioevale in arabo “Almagesto”, ossia “il più grande”; è davvero il massimo lavoro astronomico sopravvissuto dall’antichità ed espone in dettaglio i metodi geometrici per calcolare come si spostano nel cielo Sole e pianeti; il risultato è impressionante ed è raggiunto con l’aiuto di tre espedienti: l’eccentrico, l’epiciclo e l’equante. La prima innovazione era stata introdotta da Ipparco, astronomo di Rodi del II secolo a.C. che posizionò la Terra in un punto non coincidente con il centro della traiettoria circolare percorsa dai pianeti in modo che questi potessero apparire più brillanti e più veloci quando venivano a trovarsi più vicini alla Terra. Apollonio di Perge, famoso matematico del III sec. a.C. ebbe un’idea altrettanto brillante: porre ogni pianeta Q su di una circonferenza, detta “epiciclo” il cui centro P ruotava uniformemente sopra una seconda circonferenza, chiamata “deferente”: la curva risultante dalla combinazione dei due moti lungo l’epiciclo ed il deferente è tale che, quando il pianeta si trova all’interno del cappio, un osservatore posto in T lo vede muoversi di moto retrogrado.

Questi due stratagemmi permettevano dare ragione delle traiettorie apparentemente irregolari dei pianeti, ma poiché l’epiciclo doveva muoversi a velocità costante, restava il problema di giustificare il moto a volte accelerato a volte rallentato dei pianeti stessi. Tolomeo, geometra provetto, determinò un punto detto “equante” all’interno di un cerchio, dal quale il pianeta che ruota è visto comunque muoversi con velocità costante: rimane così salvo il principio della fisica aristotelica secondo il quale nei cieli il moto “naturale” è quello circolare uniforme.

� I calcoli di Tolomeo davano risultati sorprendentemente buoni però egli considerava una singola

costruzione per volta e operava come se tutti gli altri aspetti del moto fossero irrilevanti rispetto al fine di quanto stava facendo; ad esempio se facciamo riferimento alla luna, Tolomeo fa un ottimo lavoro per dare conto della velocità ma trascura in questo contesto una conseguenza assai seria, quella della dimensione apparente (che dovrebbe risultare molto maggiore di quella osservata); per dar conto del problema egli si serve di un’altra costruzione che però è incoerente con la prima. In altre parole, nell’Almagesto non troviamo un sistema geometrico che sia in grado di dare conto di tutti i movimenti di un pianeta contemporaneamente. Inoltre, l’artificio dell’equante era particolarmente insoddisfacente proprio perché privo di significato fisico.

� Quali erano dunque le intenzioni di Tolomeo? Di sicuro non era alla ricerca di una teoria cosmologica completa: sembrava convinto che il proprio lavoro fosse quello di “dare conto di come i corpi celesti apparissero” e non di offrire una spiegazione fisica (= reale) del loro moto. Se un dato pianeta mostrava un’irregolarità nella velocità ed una nella dimensione apparente l’astronomo era libero di spiegare la prima con un epiciclo e la seconda con un eccentrico, o viceversa, senza porsi il problema della realtà di queste costruzioni. Probabilmente egli era consapevole di questo, tanto da affermare: “secondo il mio parere, importanti filosofi hanno fatto bene a distinguere l’aspetto teorico del loro lavoro da quello

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pratico. Perché, anche qualora una teoria a priori trovi un’applicazione pratica, indubitabilmente si può riscontrare una gran differenza tra teoria e pratica” . Ma se si intende solo costruire delle tavole con la posizione dei corpi celesti, le costruzioni di Tolomeo funzionavano perfettamente; per la prima volta nella storia, l’Almagesto mostrava come convertire i dati osservativi in parametri numerici che permettevano di calcolare la posizione di Sole, Luna e pianeti in qualsiasi istante, del passato o del futuro, utilizzate poi per la costruzione delle tavole Alfonsine.

� L’astronomia, secondo Tolomeo aveva poi altre due differenti implicazioni, una etica e l’altra pratica. Il riflettere sulle regolarità matematiche dell’ordine planetario avrebbe dovuto ispirare l’uomo a stabilire una analoga armonia nel proprio animo: “Essendo la scienza dei corpi celesti la sola ad occuparsi di oggetti eterni e immutabili, … Aiuterà più di ogni altra cosa, a renderci migliori, concentrando la nostra attenzione sulla bellezza e sul valore della condotta morale. Infatti, la corrispondenza che troviamo tra l’ordine delle cose celesti divine e l’ordine dei nostri asserti matematici, promuove in chi studia l’astronomia matematica l’amore per la bellezza divina e in tal modo abitua ad utilizzarla come modello per i propri comportamenti ”. Secondo Tolomeo questa tensione morale non è in contrasto con l’astrologia. Anzi. Perché perdere tanto tempo per sapere la posizione di marte o di un altro pianeta in un certo istante? Nell’antichità si pensava che la regolarità dei moti dei pianeti aprisse un ampio filone di ricerca sulle regolarità fondamentali della natura; in questo quadro l’Almagesto di Tolomeo era pensato come un mezzo più che un fine: il traguardo ultimo che l’autore si prefiggeva è descritto in un altro lavoro, il Tetrabiblos, dove egli assume che la regolarità dei pianeti si rifletta sugli eventi terreni. Tolomeo fa notare l’ovvia influenza del Sole e della Luna sugli eventi terrestri e giustifica l’astrologia mettendola sullo stesso piano delle attuali previsioni meteorologiche: nessuna persona sensata vorrebbe negare che Sole e Luna influiscano sui raccolti, sull’innalzamento e sull’abbassamento dei mari, sulle variazioni meteorologiche stagionali e sul momento di germinazione delle sementi; “Perché non dovrebbe, allo stesso modo, considerando la natura della configurazione astronomica al momento della nascita, dedurre per ciascun individuo il carattere generale che sarà proprio del suo temperamento, ovvero se gli saranno proprie queste o quelle caratteristiche fisiche e psicologiche?” Tolomeo espose quindi il significato politico delle eclissi e i poteri astrologici dei diversi pianeti, e quali di essi fossero malefici o benefici. Tutto ciò a noi può sembrare sciocco, ma va ricordato che finché Newton non mostrò la natura delle forze che i corpi celesti esercitano su quelli terrestri, l’astrologia poteva essere considerata una scienza, sia pure decisamente fondata su congetture e tentativi; nel secolo XVII era ancora praticata da personaggi del calibro di Keplero e Galilei, al contrario di Copernico, il quale nonostante la formazione in questo settore acquisita all’Università di Cracovia, non si occupò mai di questioni astrologiche.

5555 I precursori di Copernico e gli ostacoli alla teoria eliocentrica Il modello geocentrico non era ritenuto intoccabile nel mondo antico e lo stesso Aristotele era

consapevole dell’esistenza di varie difficoltà in particolare di quella relativa alle dimensioni apparenti. Egli conosceva molto bene l’ipotesi, radicalmente diversa, avanzata nel V sec. a.C. dai primi pitagorici chi si erano stabiliti in Italia, in quella che divenne la Magna Grecia. La posizione dei pitagorici (descritta e criticata da Aristotele nel trattato “Sul cielo”) derivava però dall’assunzione filosofica della maggior importanza del Fuoco rispetto alla Terra e non si basava su una dettagliata osservazione dei pianeti. Un contemporaneo di Aristotele però, l’astronomo Eraclide di Ponto e la concretizzò con l’aggiunta di due riflessioni. La prima era che il moto di Mercurio e Venere può essere spiegato più facilmente se si assume che essi ruotino intorno al Sole piuttosto che alla Terra dal momento che essi viaggiano sempre vicini al Sole essendo visibili sia prima dell’alba, sia dopo il tramonto. La seconda riflessione era che il moto diurno della volta celeste poteva ben essere solo apparente: in questo modo risultava più semplice ed elegante considerare che fosse la Terra a ruotare sul suo asse in ventiquattr’ore. Eraclide però non poteva provare le proprie affermazioni in quanto quello che vediamo sulla volta celeste non cambia se consideriamo la Terra in movimento e le sfere fisse oppure le sfere movimento, viste da una Terra fissa. Secondo Eraclide comunque il

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moto del Sole non doveva essere soltanto apparente; invece un secolo più tardi (III a.C.) Aristarco di Samo fermò il Sole di botto: anche la rivoluzione del Sole è una illusione ottica.

Le obiezioni a questi modelli erano essenzialmente due, perfettamente valide ancora ai tempi di Copernico, una di carattere fisico ed una di carattere astronomico. La prima riguarda il fatto che il moto della Terra (che ci è noto dall’età di quattro anni o giù di lì!) non viene avvertito: ancora oggi troviamo sbalorditivo il fatto che la Terra stia ruotando a 1.600 chilometri all’ora, lanciata attorno al Sole alla folle velocità di ben trenta chilometri al secondo! I filosofi affermavano dunque molto opinatamene che se la Terra sfrecciasse nello spazio avrebbe dovuto perdere le nuvole ed anche la luna; inoltre se la Terra ruotasse su se stessa, una pietra lasciata cadere da una torre avrebbe dovuto cadere, non ai piedi della torre, ma un poco ad ovest poichè la terra avrebbe percorso una certa distanza da ovest ad est durante la caduta! Tolomeo afferma questo molto chiaramente nell’Almagesto. Per superare queste difficoltà sarebbe stata necessaria una “nuova fisica” conquistata con la corretta idea di relatività del moto avuta dal Galilei e con la legge di gravitazione di Newton. Ma Newton nacque nel 1654 (tra l’altro nello stesso anno in cui morì Galilei, quasi ad ereditare il testimone di una ideale staffetta) quasi duemila anni dopo Aristarco e 150 anni dopo Copernico!

La seconda obiezione era di natura astronomica: se la Terra ruota attorno al Sole le stelle dovrebbero apparire in punti diversi se osservate da posizioni diverse; è il cosiddetto fenomeno della parallasse ottica. Con gli strumenti a disposizione ancora ai tempi di Copernico tale spostamento non era assolutamente rilevabile. L’unico modo per superare questa difficoltà era di ammettere che le stelle si trovassero a distanze enormi: gli antichi erano pronti ad ammettere che la sfera delle stelle fosse molto grande, ma non così grande come richiedeva la teoria di Aristarco; e questo non per mancanza di immaginazione: se le stelle fossero state così lontane, non avrebbero dovuto apparire come puntini infinitamente piccoli, tanto da non poter essere visti?

6666 Il modello copernicano e la pubblicazione del De Rivolutionibus

Il primo abbozzo del modello ideato da Copernico fu scritto prima del 1 maggio 1514, quando venne catalogato tra le opere della biblioteca dell’università di Cracovia senza titolo né autore, come “sei fogli rilegati dedicati a una teoria che sostiene che la Terra si muove mentre il Sole resta immobile”. Altre copie furono fatte circolare ed il testo è sopravvissuto sotto il titolo di Commentariolus o Breve Trattato fino alla sua scoperta e pubblicazione avvenuta nel XIX° secolo. Seguendo il modello di Euclide, di cui conosceva molto profondamente gli elementi, Copernico mise in apertura del Commentariolus 7 assiomi:

1. Non esiste un solo centro di tutti gli orbi celesti o sfere. 2. Il centro della Terra non è il centro dell’universo ma solo della gravità e della sfera della Luna. 3. Tutte le sfere ruotano intorno al Sole come al loro punto centrale e pertanto il centro

dell’universo è in prossimità del Sole. 4. Il rapporto tra la distanza della Terra dal Sole e l’altezza del firmamento è talmente più piccolo

di quello tra il raggio della Terra e la sua distanza dal Sole, che la distanza dalla Terra al Sole è impercettibile in confronto all’altezza del firmamento.

5. Qualunque moto appaia nel firmamento non deriva da un qualche moto del firmamento, ma dal moto della Terra. Pertanto la Terra, con gli elementi ad essa più vicini compie in un moto diurno una rotazione completa attorno ai suoi poli fissi, mentre il firmamento e il più alto cielo rimangono immobili.

6. Ciò che ci appare come movimento del Sole non dipende da un suo effettivo movimento, ma dal moto della Terra e della nostra sfera, con la quale ruotiamo intorno al Sole come ogni altro pianeta. La Terra ha pertanto più di un movimento.

7. Il moto apparente retrogrado e diretto dei pianeti è dovuto non al loro movimento ma a quello della Terra. Il moto della sola Terra è pertanto sufficiente a spiegare tutte le irregolarità che appaiono nel cielo.

La diffusione delle idee copernicane è in gran parte dovuta all’azione di Georg Joachim von

Lauschen, matematico fantasioso ed insolito viaggiatore, nato nell’antica provincia austro-svizzera

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della Rezia e passato alla storia con il nome di Retico; era pure “rinomato” per la vita sregolata che conduceva in compagnia di una cerchia di amici dissoluti. Nel 1536 gli fu affidata la cattedra di matematica, aritmetica e geometria all’università di Wittemberg (dove era stato avviato agli studi in matematica da Filippo Melantone) ma si occupava anche del corso di matematica superiore ossia di astronomia. Raggiunto da alcuni resoconti sulle innovazioni apportate da Copernico partì per la Polonia e, sebbene protestante, fu accolto calorosamente; ospitato dal fraterno amico di Copernico, Tiedemann Giese, vescovo di Kulm, poté leggere il manoscritto di quello che divenne il vero “manifesto” della teoria copernicana, il De Rivolutionibus. Il manoscritto di Copernico è sopravvissuto: un’analisi della carta utilizzata conferma che vi lavorò per trent’anni, dal 1512 al 1542.

Retico ne scrisse un resoconto, la Narratio Prima, inviandolo al famoso professore di teologia di Wittemberg Filippo Melantone. Tornato a Wittemberg fece stampare come saggio promozionale il capitolo relativo alla trigonometria sferica, rendendo riconoscibile Copernico dalla città natale, Thorn senza fare però riferimento alla sua posizione di canonico nella cattedrale cattolica di Frauenburg. Una sera, durante una cena, Lutero aveva sottolineato sprezzantemente come Copernico fosse “uno sciocco che intendeva mettere sottosopra l’intera scienza dell’astronomia”; anche il suo braccio destro a Wittemberg, Filippo Melantone, riteneva che fosse possibile mettere in movimento la Terra.

Sebbene Retico fosse stato ricevuto entusiasticamente al ritorno dalla Polonia, capì che Wittenberg non era proprio il posto dove tentare di fare pubblicità alla teoria eliocentrica; chiese così un ennesimo congedo per raggiungere Norimberga dove incontrò il famoso matematico Schöner, al quale aveva dedicato la Narratio Prima, e l’editore Johannes Petreius; quest’ultimo era anche uno studioso ed aveva pubblicato uno scritto in cui esprimeva la speranza che il trattato di Copernico fosse messo a stampa. La riluttanza a pubblicare di Copernico fu vinta proprio grazie all’insistenza di Retico, dell’amico vescovo Tiedemann Giese e forse anche in virtù di un precedente tentativo nientemeno del cardinale Nicholas Schoemberg, inviato in missioni episcopali; Copernico acconsentì scrivendo la famosa dedica al Papa Paolo III nella quale si legge: “Mi rendo ben conto, o Padre Santissimo, che, non appena alcuni saranno venuti a conoscenza del fatto… che io attribuisco certi movimenti al globo terrestre, subito andranno gridando che sono da mettere al bando io e la mia opinione”. Volle che comparisse sul frontespizio a caratteri ben visibili la dicitura “Qui non si entra senza una conoscenza della geometria” ingiunzione che aveva lo scopo di scoraggiare il lettore a digiuno di discipline scientifiche. In una appendice alla Narratio Prima Retico offre un vivace resoconto della discussione di cui fu testimone tra Giese e Copernico nella quale l’insistente vescovo sollecitava a pubblicare l’astronomo riluttante.

La stampa, iniziata a maggio del 1542, non era ancora terminata quando Retico ricevette un nuovo incarico all’Università di Lipsia, in ottobre, e dunque il compito di supervisione fu affidato ad Andreas Osiander, colto pastore della chiesa di San Lorenzo a Norimberga. Osiander aveva suggerito a Copernico di non presentare la nuova astronomia come una realtà fisica, ma semplicemente come un sistema conveniente per il calcolo del moto dei pianeti; Copernico, nonostante fosse ben conscio dei problemi irrisolti, rifiutò con fermezza e fu così che la stampa del De Rivolutionibus venne diretta da qualcuno le cui convinzioni sulla natura della scienza erano diametralmente opposte a quelle dell’autore. Copernico fu stroncato da un colpo apoplettico e, mentre esalava gli ultime respiri, era il 24 maggio 1543, ricevette tra le mani tremanti la prima copia a stampa del De Rivolutionibus; per grazia del cielo non fece a tempo a vedere che al suo libro era stata apposta una Prefazione non autorizzata che descriveva il lavoro della sua vita come una costruzione ipotetica, utile anche se illusoria. Vi si legge: “E’ compito dell’astronomo prima registrare la storia dei corpi celesti con osservazioni abili e accurate; quindi escogitare e supporre cause, in un modo qualsiasi, non potendole dimostrare in alcun modo come vere. … Non è infatti necessario che quelle ipotesi siano vere, e neppure verosimili, ma basta che mostrino il calcolo in armonia con i fenomeni osservati”. Retico, costernato dalla scoperta della prefazione anonima la eliminò dalle copie che distribuì e cancellò anche le due ultime parole del titolo che era diventato De Rivolutionibus Orbium Caelestium. Da una annotazione su di una copia del De Rivolutionibus appartenuta a Michael Maestlin, professore di astronomia di Keplero, si legge: “So per certo che l’autore [della prefazione] fu Andreas Osiander”. Keplero ci descrisse successivamente le ragioni di questa certezza [1].

7777 Dettagli tecnici e “valore di verità” del sistema copernicano.

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Potremmo dire che, nel De Rivolutionibus, Copernico sovverte l’universo, ma crede ancora nelle

sfere cristalline e nella naturalità del moto circolare e ciò lo porta a complicare oltremodo il suo sistema.

La rivoluzione della Terra intorno al sole ha il duplice vantaggio di offrire una migliore spiegazione sia della posizione di Venere e Mercurio, sempre vicini al Sole, sia del moto retrogrado dei pianeti che avviene, a seconda del pianeta, quando il pianeta stesso è in opposizione oppure in congiunzione al Sole, come si vede bene dalla figura:

Un altro vantaggio del Sistema copernicano, è quello di rendere possibile il calcolo della distanza

dei pianeti dal sole, in funzione della distanza Terra-Sole, da allora utilizzata (e battezzata!) come “unità astronomica” (u.a.), come si vede dalla figura:

S

V VS = TS*sinα dove TS = 1u.a. α

T In realtà un modello siffatto non si accorda con le osservazioni se non grossolanamente. In

particolare, per rendere conto della cosiddetta “prima ineguaglianza” Copernico dovette ricorrere agli stessi strumenti impiegati da Tolomeo, l’eccentrico e gli epicicli; ad esempio, nel caso di Marte, la costruzione che egli offre nel Commentariolus utilizza ben due epicicli (v. fig. a sinistra) mentre nel De Rivolutionibus ne suggerisce un’altra che utilizza un solo epiciclo che ruota su un deferente eccentrico (il centro non coincide né con la posizione fisica del sole né con la sua posizione media). Per spiegare la Prima Ineguaglianza dei pianeti interni poi, Copernico aveva escogitato un sistema ancora diverso: un eccentrico “mobile”; fece muovere cioè il centro di Mercurio (fig. a destra) su un piccolo cerchio con velocità angolare doppia di quella della Terra dando a questo piccolo cerchio un raggio pari ad un terzo dell’eccentricità cioè DF = 1/3CD; ma questo non bastava e Copernico dovette far muovere con un moto di librazione sul diametro di un piccolo epiciclo LK.

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Come si può ben vedere il modello copernicano in quanto a complessità non ha proprio niente da invidiare a quello tolemaico! Il numero complessivo di epicicli utilizzati è difficile da determinare in quanto Copernico ci offre spesso la scelta tra due o tre alternative e lo lasciamo a qualche patito di statistica, ma comunque non è molto inferiore a quello di Tolemeo. Ma allora, si dirà, se la teoria di Copernico era complicata al pari di quella di Tolomeo, fu preferita per altre ragioni: se non per semplicità allora per precisione! Ma anche qui ci troviamo di fronte ad una sorpresa. Erasmus Reinhold fu il primo a pubblicare le cosiddette effemeridi, ossia le tavole delle coordinate di oggetti celesti, basate sul sistema copernicano, nel 1551, pensate per sostituire le precedenti di Stoeffler del ’31, le cui previsioni arrivavano appunto fino al 1551.

Se dunque la ragione per preferire un sistema astronomico all’altro avesse dovuto risiedere nella precisione delle previsioni, allora sarebbe stato impossibile scegliere; un vero passo avanti lo si ebbe solo con la pubblicazione delle Tavole Rudolfine di Keplero (1626), calcolate sulla base di orbite per la prima volta non più circolari, bensì ellittiche.

Prima di Keplero dunque non si poteva abbracciare il copernicanesimo per la sua maggiore

precisione o economicità. Accettarlo era un atto di fede, come lo definì chiaramente il più convinto ed agguerrito dei copernicani italiani, Galileo Galilei:

“Voi vi meravigliate che così pochi siano seguaci della opinione de’ Pitagorici; ed io stupisco come vi sia mai trovato sin qui alcuno che l’abbia abbracciata e seguita, né posso abbastanza ammirare l’eminenza e l’ingegno di quelli che l’hanno ricevuta e stimata vera, ed hanno con la vivacità dell’intelletto loro fatto forza tale ai propri sensi, che abbiano potuto anteporre quello che il discorso gli dettava e quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente in contrario […] lo torno a dire, non posso trovare termine all’ammirazione mia come abbia possuto in Aristarco e nel Copernico far la ragion tanta violenza al senso, che contro a questo ella si sia fatta padrona della loro credulità.”

Copernico era certamente ben consapevole di questa situazione per così dire di stallo, tant’è che nella dedica a Paolo III afferma tra l’altro che “il timore del disprezzo e della novità che la mia opinione si sarebbe attirata per la sua novità e stranezza per poco non mi spinse a tralasciare del tutto l’opera intrapresa”. Sappiamo da Retico che egli aveva un duplice obiettivo: quello di rendere il lavoro il più possibile coerente dal punto di vista numerico ma anche di fornire una dimostrazione, o almeno una prova convincente, della realtà fisica della sua teoria. I tentennamenti di Copernico si spiegano soltanto nel caso egli avesse compreso, come era avvenuto, di poter sostenere soltanto la ragionevolezza del suo modello, con maggiore o minore capacità di persuasione. Egli si trovava nella situazione, non rara nelle scienze naturali, nella cultura e nel diritto (e nei telefilm del tenente Colombo…), di essere certo di avere ragione ma di non possedere la prova decisiva. E a peggiorare il

Sulle Tabulae Prutenicae (prussiane) di Erasmus Reinhold, si basarono tutte le effemeridi relative ai 50 anni successivi, tra le quali, le più famose erano quelle del maestro di Keplero, Michael Maestlin. Nella nostra era elettronica, è facile rifare i calcoli per stabilire quale fosse la posizione dei pianeti nel Cinquecento e dunque è possibile confrontare le effemeridi basate sul sistema copernicano con quelle basate su quello tolemaico. Nella figura qui a lato vediamo i grafici degli errori, in gradi, della posizione calcolata dalle tavole, rispetto a quella reale. I primi due grafici si riferiscono a tavole tolemaiche, i restanti tre a tavole copernicane. Gli errori costituiscono una sorta di impronta digitale: quelli tolemaici hanno caratteristiche precise e distinte da quelli copernicane ma, come notava Keplero nel 1625, ambedue i tipi di errore avevano lo stesso ordine di grandezza!

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tutto credeva di avere ragione riguardo a qualcosa di tanto insolito che gli altri lo avrebbero trovato non soltanto incerto o dubbio ma assurdo.

8888 Il grande dibattito sull’adesione al sistema copernicano. Tra gli astronomi professionisti, la scoperta di Copernico consisteva essenzialmente nell’adozione

del nuovo sistema di calcolo per le tavole planetarie compilate da Erasmus Reinhold; tuttavia Reinhold non fu mai copernicano: per lui era sufficiente che Copernico avesse immaginato un congegno matematico atto a semplificare i conti, posizione che condivideva con la maggior parte degli astronomi computazionali. La tavole Prutenicae erano state utilizzate per la riforma del calendario promulgato dopo la morte del papa Gregorio XIII nel 1582, come Copernico si era augurato potesse fare una astronomia rinnovata. Copernico era stato sollecitato, come tutti gli astronomi della cristianità, ad inviare le proprie osservazioni al Concilio Lateranense da Paolo di Middelburg, vescovo di Fossombrone, come lui stesso dichiara nella prefazione al De Rivolutionibus.

Gli astronomi non copernicani del XVII sec. (1600) adottarono generalmente il sistema Ticonico, piuttosto che quello tolemaico. I vantaggi del modello ideato da Tycho Brahe erano enormi perché era matematicamente equivalente a quello copernicano ma senza l’imbarazzo di una Terra in moto. Il sistema è davvero semplice e si rifà all’idea di Eraclide da Ponto: la Terra resta ferma ed attorno ad essa ruota in 24 ore un’unica sfera che da conto del movimento delle stelle; il Sole ruota intorno alla Terra ed i pianeti ruotano intorno al Sole. Questo sistema spiega altrettanto bene di quello copernicano perché Venere e Mercurio accompagnano sempre il Sole, i moti retrogradi e la variazione di luminosità apparente, eliminando tutti o quasi gli epicicli; va detto che di fatto Tycho, che era un astronomo essenzialmente osservatore, non elaborò mai una rappresentazione matematica del proprio modello. Il vero motore del lavoro di Tycho furono le osservazione della grande cometa del 1577 da cui dedusse che questi oggetti non potevano trovarsi tra la Terra e la Luna come sostenevano Aristotele e Tolomeo; inoltre comunque sistemasse le sfere dei pianeti, Tycho poté notare che le orbite delle comete le avrebbero intersecate e concluse che non poteva esistere alcuna sfera cristallina a supportare il moto dei pianeti. Questa negazione della realtà delle sfere cristalline fu qualcosa di veramente rivoluzionario, tanto rivoluzionario quanto l’aver spostato la Terra dal centro dell’universo. Da allora il termine Orbe smise di indicare una sfera e acquisì il significato di “orbita”. L’abbandono delle sfere cristalline sollevava il problema di cosa mantenesse i pianeti sui loro cammini, ma Tycho non si curò mai della cosa. Il problema rimase insoluto fino ai tempi di Newton (fine XVII°sec) ma in realtà l’inglese William Gilbert , autore del De Magnete (1600) suggerì in un trattato successivo, pubblicato postumo nel 1651, che la forza magnetica della Terra si potesse estendere fino alla Luna mantenendola in movimento intorno alla Terra stessa. Nel De Magnete possiamo trovare la prima prova di tipo sperimentale della rotazione della Terra, prova di tipo magnetico: Gilbert aveva scoperto che la Terra era un grosso magnete e che una calamita sferica ruota quando il suo polo viene spostato rispetto al nord. Gilbert senza essere astronomo sviluppo dunque molte idee astronomiche ed incoraggiò il copernicanesimo affermando che la Terra è dotata di una forza viva che la fa ruotare.

La diffusione dell’idea copernicana era rallentata dalla difficoltà matematica del De Rivolutionibus che comunque fu letto da un numero discreto di persone che garantì una seconda edizione a Basilea, che riportava in appendice la Narratio Prima, testo assai più leggibile. Erano in molti a considerare il copernicanesimo come una parte dell’astronomia non ancora sistematizzata da poter essere inclusa in una presentazione elementare. Nell’ultimo decennio del XVI° sec cominciò a far capolino nelle Università: il manuale di Michael Maestlin, Epitome Astronomiae (1588), che riflette le sue lezioni universitarie, era strettamente tolemaico, ma le edizioni successive contengono appendici copernicane. Il fatto che Keplero fosse suo allievo e considerasse Maestlin il proprio maestro mostra che comunque con gli alunni progrediti egli discuteva della nuova dottrina, Nel 1596 Maestlin aiutò Keplero nella pubblicazione del suo primo libro e, di propria iniziativa, vi aggiunse la Narratio Prima di Retico, con una prefazione in elogio al copernicanesimo. Dopo la condanna da parte della Chiesa cattolica avvenuta in anni successivi, Maestlin, protestante, propose una nuova edizione del De Rivolutionibus. Un caso particolare è quello di un astronomo, C. Rothmann, che intrattenne una lunga corrispondenza con l’astronomo danese Tycho Brahe, in cui difendeva con ardore Copernico e rifiutava le contro-argomentazioni di Tycho.

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Il dichiararsi a favore della teoria copernicana aveva un grande fascino sui pensatori radicali del XVI secolo. Molte discussioni sul copernicanesimo avvennero nel contesto dell’anti-aristotelismo ed a volte si ha l’impressione che la difesa di Copernico sia in parte una risposta al piacere intellettuale della novità ed alla ricerca di una via di fuga dai lacci dell’aristotelismo scolastico. Forse questo spiega perché tante citazioni a favore di Copernico vennero da persone che non erano astronomi e nemmeno uomini di scienza. Ma anche gli attacchi più violenti vennero da non scienziati, quasi sempre mossi, lo si desume dalle loro argomentazioni, dalla paura del nuovo; è interessante notare che spesso si attribuiva a Copernico l’ipotesi di un universo infinito, che egli non aveva mai sostenuto; era facile per un non addetto ai lavori fare confusione tra l’idea copernicana che la sfera delle stelle fisse dovesse essere enormemente vasta e l’idea epicurea che l’universo fosse realmente infinito. Uno dei primi astronomi ad ampliare l’universo copernicano fu l’inglese Thomas Diggers, nato nell’anno in cui fu pubblicato il De Rivolutionibus; l’universo di Diggers (1576) non è più il mondo chiuso copernicano ma la sfera celeste è ora illimitata: egli pone a contatto i cieli astronomici con i cieli teologici, eliminando il limite superiore delle sfera celeste. La correzione successiva fu altrettanto radicale ma di origine del tutto diversa: si tratta del sistema qualitativo ideato da Tycho Brahe per render conto delle sue osservazioni; ironicamente le sue osservazioni, precise ai 4 minuti d’arco, giocarono un ruolo trascurabile nella stesura del suo lavoro teorico.

L’atteggiamento della Chiesa nei confronti del copernicanesimo ebbe una decisa svolta dopo il processo a Giordano Bruno, monaco napoletano che dopo un lungo peregrinare tra le capitali europee trovò, grazie anche a Gilbert, una atmosfera stimolante nella Londra di fine secolo, attorno al 1580. Qui scrisse per la prima volta di questioni cosmologiche; egli però non era un astronomo professionista ma un mistico: per lui Dio era ovunque e l’infinità dell’universo era in armonia con l’infinità di Dio. Bruno vedeva l’idea copernicana di un sistema “solare” come una conferma della nozione epicurea di una pluralità di mondi, che egli immaginava proprio come il nostro, ciascuno con il proprio sole ed i pianeti. Non fu però per l’adesione al copernicanesimo che Bruno, tornato temerariamente in Italia nel ’91, venne imprigionato prima dall’Inquisizione veneziana e poi da quella romana; gli furono mosse una quantità di accuse: era stato monaco “apostata”, aveva aderito alle dottrine atee epicuree, aveva negato la divinità di Cristo e il dogma della Trinità. Di fronte alla richiesta di abiurare rimase inflessibile e cercò di mostrare ai giudici le bellezze del suo panteismo mistico. L’inquisizione impiegò otto anni per stabilire che si trattava di “un eretico impenitente e pertinace” ma nell’imputazione a noi pervenuta non c’è menzione del copernicanesimo, né venne in mente ad alcuno che ci dovesse essere.

Tuttavia dopo che Bruno fu arso sul rogo di Campo dei Fiori il 17/2/1600 fu difficile dimenticare che l’ipotesi eliocentrica poteva essere usata con intenzioni pericolose, se si fosse sostenuta una sua verità fisica. Ma, sebbene alcuni circoli gradualmente si rendessero conto dei pericoli insiti nella nuova astronomia, la questione non fu spesso affrontata in pubblico. Paradossalmente, nei primi anni, quando erano ancora minime le prove per affermare la veridicità del sistema copernicano, le restrizioni protestanti furono più pesanti, mentre l’offensiva della Chiesa cattolica fu più feroce quando, per la prima volta, cominciò ad apparire chiaro che potevano esserci fondate ragioni fisiche, e non solamente matematiche ed estetiche, per adottare il sistema eliocentrico.

9999 Le nubi si diradano… Furono due personalità molto differenti a compiere i passi decisivi che portarono a considerare il

copernicanesimo una realtà fisica: una è Giovanni Keplero, matematico instancabile, a cui la debole vista impedì di diventare astronomo osservativo e l’altra è Galileo Galilei, brillante sperimentale che trasformò il telescopio nel più sensazionale strumento d’indagine della storia della scienza.

Keplero, nel suo primo libro, Mysteryium Cosmographicum, cercò di mostrare come i cinque solidi regolari (cubo, tetraedro, ottaedro, dodecaedro ed icosaedro) potevano essere inscritti all’interno delle orbite dei sei pianeti; il numero dei pianeti, secondo lui era dovuto all’impossibilità geometrica di ottenere più di cinque solidi regolari. L’idea era inverosimile ma i calcoli erano impressionanti e convinsero Tycho Brahe di trovarsi di fronte al matematico di prima classe che gli serviva. Tycho invitò Keplero a Praga e gli affidò il compito di risolvere l’orbita di marte sulla base dei dati raccolti in ventenni di sue osservazioni. Keplero scoprì che non era possibile far concordare i date a meno di considerare la traiettoria di marte ellittica e non circolare. Questa era la prima delle tre leggi che

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avrebbe scoperto: la seconda consisteva nel fatto che le aree spazzate dalla congiungente Sole-pianeta, descrive aree uguali in tempi uguali. Il fatto era inspiegabile e così Keplero fu spinto ad indagare ulteriormente se potesse esistere un’altra relazione tra periodo T dei pianeti e la loro distanza media dal Sole D: fece dapprima un semplice rapporto tra D e T, poi provò ad elevarli al quadrato, ma non era possibile rilevare alcuna relazione tra T2 e D2. Chiunque si sarebbe fermato qui, ma egli era un appassionato di numeri e proseguì: non ebbe bisogno che di calcolare D3 per rendersi conto che, rapportati ai valori terrestri, D2 = T3

Queste tre leggi mostravano come il copernicanesimo poteva essere utilizzato per scoprire sorprendenti relazioni matematiche tra i pianeti, ma non risolvevano la questione relativa alla realtà fisica dell’eliocentrismo ed i due sistemi continuarono ad essere discussi.

Il copernicanesimo sarebbe rimasto al lungo nel campo delle ipotesi se un molto terreno trastullarsi con lenti concave e convesse non avesse preso piede in Italia attorno al 1590, nei Paesi Bassi nel 1604 e poi in tutta Europa entro l’estate del 1609: ne era venuto fuori un telescopio primitivo che si vendeva alle fiere e mostrava immagini ingrandite e capovolte. Galileo, professore a Padova ne venne a conoscenza probabilmente in occasione di un viaggio a Venezia nel luglio del 1609 e trasformò questo aggeggio primitivo nel moderno cannocchiale che restituisce immagini non capovolte ed ingrandite fino a 20 volte, già entro il gennaio del 1610. Sebbene non fosse in grado di determinare il potere di ingrandimento dalle distanze focali delle lenti, come si fa oggi, aveva escogitato un metodo pratico ed attendibile che aggirava considerazioni geometriche e che ci dà l’idea dell’ingegnosità di Galileo e della sua mentalità concreta:

“Voi vi meravigliate che così pochi siano seguaci della opinione de’ Pitagorici; ed io stupisco come vi sia mai trovato sin qui alcuno che l’abbia abbracciata e seguita, né posso abbastanza ammirare l’eminenza e l’ingegno di quelli che l’hanno ricevuta e stimata vera, ed hanno con la vivacità dell’intelletto loro fatto forza tale ai propri sensi, che abbiano potuto anteporre quello che il discorso gli dettava e quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente in contrario […] lo torno a dire, non posso trovare termine all’ammirazione mia come abbia possuto in Aristarco e nel Copernico far la ragion tanta violenza al senso, che contro a questo ella si sia fatta padrona della loro credulità.”

Tra le difficoltà sollevate contro la teoria di Copernico vi era l’obiezione che Mercurio e Venere, come la Luna avrebbero dovuto mostrare le “fasi” visto che si trovavano tra il Sole e la Terra. Copernico aveva replicato che le fasi erano invisibili ad occhio nudo e Galileo era ansioso di vedere se il proprio telescopio lo avrebbe messo in grado di scorgerle; Venere era solitamente troppo vicina

Il 7 gennaio 1610 Galileo osservò per la prima volta tre piccole stelle molto vicine a Giove; l’idea che fossero satelliti non lo sfiorò: annotò la loro configurazione inusuale, su un breve segmento lungo l’eclittica di giove, due ad est e una ad ovest; la notte successiva notò che tutte e tre erano ad ovest del pianeta, come se questo si fosse spostato verso est, sebbene dai calcoli il pianeta avrebbe dovuto muoversi di moto retrogrado. Proseguendo con ansia notte dopo notte nelle osservazioni Galileo giunse alla conclusione incontrovertibile che le stelline osservate, fossero dei satelliti di Giove.

In termini copernicani era la più eccitante delle scoperte di Galileo; a coloro che obiettavano che la terra non poteva ruotare intorno al sole senza perdere la luna, ora Galileo poteva indicare il cielo, e mostrare Giove che girava comunque attorno un corpo centrale (fosse esso la Terra o il Sole) senza lasciarsi dietro non uno ma ben quattro satelliti.

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al Sole e fu solo nell’autunno del 1610 che egli poté confermare che l’intuizione di Copernico era corretta. La scoperta delle fasi di Venere era un argomento convincente contro l’astronomia antica, ma non soppiantava l’ipotesi rivale proposta di Tycho Brahe, che concordava sul fatto che Venere e gli altri pianeti ruotassero intorno al Sole, pur sostenendo che fosse il Sole a ruotare intorno alla Terra.

Le scoperte celesti di Galileo sostennero la causa del copernicanesimo, ma non erano schiaccianti; ciò che egli voleva era la prova fisica del moto della Terra. Tale prova gli balenò in mente durante uno dei frequenti viaggi che compiva tra Padova e Venezia, su di un barcone il cui fondo conteneva una certa quantità d’acqua che sciabordava su e giù: Galileo notò che essa si accumulava al fondo quando la barca accelerava e viceversa; ciò lo colpì ricordandogli una sorta di moto mareale e si chiese se le oscillazione delle maree non potessero essere spiegata da una combinazione di accelerazioni e decelerazioni dovute alla combinazione dei moti diurni ed annuali della Terra: egli spiegò come se la Terra non ruotasse attorno al proprio asse, non avrebbe potuto osservarsi “il flusso e riflusso degli oceani”. Oggi in realtà sappiamo che l’ordine di grandezza dell’innalzamento mareale, dovuto alle cosiddette forze fittizie che si introducono nel caso di moti rotazionali è assolutamente trascurabile, e che le maree non si possono spiegare se non in termini di effetti gravitazionali. Galileo mise alla prova il suo argomento discutendo il saggio “Dialogo sulle maree” a Roma. Venne considerato arguto ma non molto convincente e lo scompiglio generato sulla questione indusse i censori romani ad esaminare il De Rivolutionibus, pubblicato quasi tre quarti di secolo prima; ciò portò alla messa all’Indice dell’opera (1616).

Se Galileo non poteva ideare un esperimento per dimostrare che la Terra ruota sul proprio asse, fu però in grado di mostrare che l’altra fondamentale obiezione non era valida [è il caso di dire: non stava né in cielo né in terra…!]. Una palla di cannone sparata verticalmente verso l’alto o un oggetto lasciato cadere da una torre, cadono verticalmente e non in ritardo verso ovest come si pensava, perché nella caduta continuano a muoversi orizzontalmente alla stessa velocità di rotazione della Terra. Il riconoscimento da parte di Galileo del fatto che le componenti verticali ed orizzontali del moto sono indipendenti (oggi noto come principio di sovrapposizione dei moti) e del fatto che le velocità si compongano (relatività galileiana) rappresenta un importantissimo progresso concettuale. Galileo scelse di presentare le proprie argomentazioni nella forma di una discussione fra tre interlocutori: Filippo Salviati, copernicano militante, Giovanfrancesco Sagredo, appassionato dilettante (entrambi suoi amici) ed un personaggio di fantasia, Simplicio sostenitore del geocentrismo. Ecco dunque uno stralcio dell’argomentare galileiano:

Simplicio: “Ma, Dio Buono, come, se ella si muove trasversalmente, la veggo io muoversi rettamente e perpendicolarmente? Questo è pure un negare il senso manifesto; e se non si deve credere al senso, per qual altra porta si deve entrare a filosofare?”.

Salviati: “Rispetto alla Terra, alla torre e a noi, che tutti di conserva ci moviamo, col moto diurno insieme con la pietra, il moto diurno è come se non fusse, resta insensibile, resta impercettibile, è senza azione alcuna, e sol ci resta osservabile quel moto del quale noi manchiamo, che è il venire a basso lambendo la torre”.

Mai, prima di Galileo, nessun critico dell’astronomia tradizionale era stato tanto efficace nel convincere un avversario con la vivacità della propria presentazione e tanto magistrale nel metterlo fuori gioco con una risata, quando si rifiutava di essere persuaso dalla logica. Egli attinse alle risorse dell’italiano natio ed il suo stile non possedeva la disadorna concretezza di una moderna relazione di laboratorio né l’inflessibile rigore di una deduzione matematica; egli rivestì le sue tesi con i colori delle emozioni, con l’intenzione non solo di insegnare, ma di smuovere e di istigare all’azione. Venne così alla luce l’epocale “ Dialogo sopra i due massimi sistemi” nella cui stesura Galileo s’imbarcò all’età di sessant’anni; completato nel 1630, venne finito di stampare due anni dopo, il 21 febbraio 1632. Nell’estate la reazione ostile era già così intensa da ottenere una prima presa di posizione del Papa Urbano VIII, il quale si sentiva per di più offeso e raggirato in quanto una sua tesi era stata presentata, nel dialogo, in forma tale da esporla al ridicolo. La tesi, esposta personalmente dal pontefice allo scienziato, era quella secondo la quale Dio, nella sua infinita potenza, era in grado di far si che i fenomeni osservabili potessero essere provocati in una infinità di maniere tra loro diverse; l’osservazione dei fenomeni non poteva dunque portare gli uomini alla verità. In chiusura del Dialogo Galileo mette in bocca tale tesi proprio a quel Simplicio confutato e sbeffeggiato per tutta l’opera, il quale afferma di aver appreso la dottrina da “una persona dottissima ed eminentissima, alla quale è

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forza quietarsi”. Al che Salviati rispondeva con il motto “Mirabile e veramente angelica dottrina”… Il susseguirsi degli eventi è tristemente noto [5].

Nell’illustrazione precedente vediamo una tavola tratta dall’Iter extaticun coeleste di Athanasius

Kirker, che riportava ancora, nel 1671, ben sei sistemi astronomici in competizione!!!

10101010 Sulle rivoluzioni scientifiche. Così si esprime, a proposito delle rivoluzioni scientifiche, Freeman J. Dyson, amico e

collaboratore di quella che è stata, con Einstein, Planck, Bohr, Einsemberg, Dirac e Fermi, una delle menti più geniali ed anticonformiste del XX° secolo, Richard Feynmann.

“Nella scienza alcune rivoluzioni hanno origine dall’invenzione di nuovi strumenti per l’osservazione della natura, altre hanno origine dalla scoperta di nuovi concetti utili alla comprensione del mondo naturale. Due storici, Peter Galison e Thomas Kuhn, hanno studiato in profondità il procedimento della scoperta scientifica. La grande opera di Galison Image and Logic fu pubblicata nel 1997, l’opera di Kuhn, The structure of Scientific Revolutions, era apparsa trentacinque anni prima e Khun morì prima di poter esprimere la sua opinione su Image and Logic. Entrambi avevano iniziato la carriera come fisici prima di divenire storici. Tutti e due s’interessano in primo luogo di storia della fisica e tutt’e due conoscono perfettamente i dettagli tecnici della fisica, come pure l’arte erudita della storiografia. Eppure le loro opinioni sulla storia della scienza sono completamente diverse ed i loro libri non hanno quasi nulla in comune. Volendo banalizzare un po’, il libro di Galison contiene centinaia di fotografie di apparecchi scientifici; quello di Kuhn contiene solo parole. Secondo Galison il procedimento della scoperta scientifica trova il suo motore nei nuovi strumenti, secondo Kuhn nei nuovi concetti. Ambedue gli scenari sono veritieri, ma né l’uno né l’altro è completo: il progresso della scienza richiede infatti sia concetti nuovi sia nuovi strumenti. La differenza tra Galison e Kuhn è in gran parte una differenza di enfasi: Kuhn mette in risalto le idee e Galison le cose.”

“Purtroppo la visione della storia data da Kuhn ha dominato per trent’anni prima che Galison riportasse l’equilibrio. Il libro di Kuhn divenne un classico e dette ai suoi lettori non scienziati una visione della scienza del tutto unilaterale. Egli aveva scritto delle lotte tra concetti rivali ed alcuni dei suoi lettori ebbero l’impressione che la scienza fosse in gran parte qualcosa di soggettivo, una lotta di opinioni contrastanti, piuttosto che una obiettiva lotta tra la precisione degli strumenti e le ambiguità della natura. Egli vedeva la scienza dal punto di vista di un fisico teorico, che da per scontati i risultati sperimentali e descrive i grandi balzi dell’immaginazione teorica. Galison vede la scienza dal punto di

La prova decisiva della rotazione terrestre, sarebbe stata sotto gli occhi di tutti nel 1661, quando un Accademico del Cimento, Vincenzo Viviani, scoprì che il piano di oscillazione di un pendolo ruota nell’arco di più di una giornata; la spiegazione corretta però l’avrebbe data Leon Foucault solo nel 1861! Comunque, quando Newton pubblicò quel castello ineguagliato che furono I Principia, descrivendo l’origine ed il comportamento delle forze che fanno sì che i pianeti si muovano secondo quanto osservato, non vi furono più dubbi. In verità, già Galileo, sulla base del criterio passato alla storia come “rasoio di Occam”, poteva accettare la realtà fisica del sistema eliocentrico, come Egli stesso ci spiega:

“chi vorrà credere che la natura (che pur, per comun consenso, non opera con l’intervento di molte cose quel che si può fare col mezzo di poche) abbia eletto di far muovere un numero immenso di corpi vastissimi, e con una velocità inestimabile, per conseguir quello che col movimento mediocre di un solo, intorno al proprio centro, poteva ottenersi?”.

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vista di un fisico sperimentale, che descrive i grandi balzi dell’ingegno e dell’organizzazione che ci consentono di acquisire nuovi dati. Pur essendo un teorico, trovo la visione di Galison a me più congeniale; la maggior parte dei fisici teorici ha la tendenza opposta…”

“La maggior parte delle più recenti rivoluzioni scientifiche deriva dalla scoperta di nuovi strumenti: ad esempio la rivoluzione della doppia elica in biologia e la rivoluzione del big – bang in astronomia. Tuttavia vi sono talvolta anche delle rivoluzioni legate all’enunciazione di nuovi concetti. Un buon esempio è quella degli anni sessanta riguardante la tettonica a placche, quando la comunità scientifica internazionale si convertì dalla convinzione che i continenti fossero immobili a quella che i continenti “galleggiassero” su placche di roccia mobili. Le prove che i continenti si muovono erano state accuratamente raccolte già molto tempo prima dal meteorologo tedesco Alfred Wegener che le presentò in un libro nel 1915; per quasi cinquant’anni quelle prove rimasero trascurate perché contraddicevano il dogma prevalente. A quel tempo non esisteva infatti una struttura concettuale in grado di accettare il fatto che i continenti fossero mobili. Il dogma venne rapidamente meno negli anni sessanta, quando fu enunciata una nuova struttura concettuale, secondo la quale i continenti erano collegati a placche mobili formate da crosta oceanica. Questa rivoluzione ha ripercorso esattamente il modello esposto da Kuhn nel suo libro: fatti che erano apparsi irrilevanti quando non concordavano con i concetti correnti, assunsero importanza nel momento in cui furono i concetti a cambiare, così da poter spiegare bene anche i fatti nuovi.”

“Secondo Kuhn questo tipo di rivoluzione, nata da idee nuove, ha luogo quando un’intera generazione di scienziati ad un tratto accetta prove da tempo trascurate, contrarie ad un dogma prevalente. Questa accettazione è improvvisa perché ha dovute attendere che emergesse un concetto nuovo.”

Emblematico, a questo proposito, quanto affermò di Max Planck nella sua “Autobiografia scientifica”, dopo aver tentato inutilmente per tutta la vita di ricondurre il fenomeno dell’emissione del corpo nero agli schemi della fisica classica: “Una nuova verità non trionfa perché convince i suoi oppositori e fa loro vedere la luce, quanto piuttosto perché i suoi oppositori alla fine muoiono e cresce una nuova generazione che è abituata ad essa”.

Rileva inoltre, molto argutamente, Fred Dyson: “Quando viene fondata una nuova religione accade spesso che i seguaci diventino assai più rigidi e dogmatici del fondatore stesso. Accadde proprio questo ai seguaci di Thomas Kuhn; un gruppo notevole di storici e filosofi si definiscono kuhniani e propongono opinioni assai più estreme della sua. Alcuni kuhniani hanno addirittura asserito che l’accettazione di teorie scientifiche nuove si basa su lotte di potere politico ed economico piuttosto che su dimostrazioni scientifiche”.

Quando ad un convegno Dyson fece notare a Kuhn le sciocchezze che venivano collegate al suo nome, egli reagì con rabbia ed esclamò a voce alta, tanto da essere udito da tutti nella sala: “Dovete capire solo una cosa: io non sono un kuhniano!!!”.

“Kuhn non aveva mai detto che la scienza fosse una lotta di potere politico. Se alcuni dei suoi seguaci affermano che egli ha negato la validità oggettiva della scienza, questo è avvenuto solo perché egli ha troppo sottolineato il ruolo delle idee, sottovalutando il ruolo che l’aspetto sperimentale ha nella scienza. Aveva iniziato la sua carriera come fisico teorico; se invece avesse iniziato come biologo, non avrebbe commesso quell’errore. I biologi sono obbligati dalla natura stessa della loro disciplina ad occuparsi più dei fatti che delle teorie”.

Il dibattito sulla validità oggettiva della scienza fu ravvivato nel 1997 anche da una burla clamorosa: Alan Sokal, fisico teorico della New York University, si era accorto che molti allievi e colleghi prendevano per buono quanto letto su “Social Text”, una delle riviste specializzate nell’analisi sociale della scienza; egli compose uno scritto che dava l’impressione di essere un tipico articolo della rivista, mentre in realtà non era che una farragine di sciocchezze; perfino il titolo non significava niente (Towards a Transformative Hermeneutics of Quantun Gravity). I redattori glielo pubblicarono dimostrando di non saper vedere la differenza tra buon senso ed insensatezza!

Così inizia invece Peter Galison la sua grande opera Image and Logic: “Questo è un libro sulle macchine della fisica … Immagini ed impulsi, voglio sapere da dove vengono, come mai fotografie e conti siano divenuti i dati fondamentali della fisica. Il teorico dei numeri di Göttingen, Edmund Landau, sentendo parlare di qualcosa che per i suoi gusti sapeva troppo di scienza applicata, guardò con disgusto dall’altra parte e definì quella cosa Schmieröl – grasso per macchine. Ma è proprio questo ciò che voglio sapere. Cioè come tutte queste macchine, questi gas, questi prodotti chimici e

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l’elettronica finiscano per costituire dei fatti intorno alla parte della natura che vanta il maggior numero di teorie. Storicamente, storiograficamente e filosoficamente questo libro è una passeggiata su e giù per la fisica, allo scopo di esplorare la zona di confine dove il grasso per macchine si imbatte nei risultati sperimentali e nelle strutture teoriche”.

Mi sembra opportuno concludere questo paragrafo con una affermazione di Riccardo Luccio,

docente di Psicologia sperimentale all’università di Trieste, il quale, riprendendo il punto di vista dello storico e matematico H. Truesdale, afferma: “La scienza non esiste al di fuori della storia. Le idee non compaiono all’improvviso e soprattutto non compaiono perché alcuni geni le hanno improvvisamente scoperte. Esiste una storia complessiva del pensiero e della cultura…”.

Alla luce di questi brani che ovviamente non hanno la pretesa di essere esaustivi in materia di “rivoluzioni scientifiche”, ma solo di gettare il seme della curiosità e della critica, cosa ne dite, VOI, della cosiddetta Rivoluzione Copernicana? Per essa, ha più senso parlare di rivoluzione nell’accezione di Kuhn oppure secondo il punto di vista di Galison? Oppure quello di Dyson, oppure… il vostro?!

11111111 Un salto ai giorni nostri: la scoperta dei pianeti extrasolari nel racconto di F. Dyson. A cominciare dagli anni trenta, gli astronomi hanno cercato invano di trovare prove dell’esistenza

di pianeti intorno ad altre stelle. Poi improvvisamente nel 1992, Alexander Wolszczan, un giovane radioastronomo della Pennsylvannia State University, scoprì la prima famiglia di pianeti extrasolari. La notizia fu accolta con grande scetticismo dagli astronomi di Princeton Ebbi la fortuna di essere presente quando Wolszczan venne a Princeton ad affrontare gli scettici. Fu un’occasione storica, che ci offre un ottimo esempio di come l’establishment scientifico tratti i giovani scienziati che sostengono di aver fatto importanti scoperte. Alexander Wolszczan sedette a pranzo con una cinquantina di astronomi di Princeton e di altre comunità vicine. I rapporti erano informali e superficialmente amichevoli, ma nell’aria c’era una gran tensione. Wolszczan aveva sostenuto di aver scoperto dei pianeti orbitanti attorno ad una stella “sbagliata”: una pulsar, ossia un oggetto minuscolo che roteava rapidamente con periodo attorno ai millisecondi, che è tanto diverso dal sole quanto è possibile immaginare! E’ un residuo di pochi chilometri di diametro: si forma quando una stella gigante, giunta alla fine della sua esistenza, esplode. L’esplosione scaglia nello spazio l’involucro

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massiccio della stella, lasciandosi dietro solo il piccolo nucleo centrale collassato. Se la stella gigante avesse avuto una famiglia di pianeti, probabilmente non ne sarebbe sopravvissuto nessuno, tanto meno sarebbe rimasto ad orbitarle intorno. Era altrettanto difficile immaginare che si fossero formati nuovi pianeti dai rottami dovuti all’esplosione. Wolszczan condivideva l’opinione diffusa che una pulsar fosse il tipo di stella con minor probabilità di essere accompagnata da pianeti; ed infatti non li aveva cercati. Giunse a tale conclusione solo dopo che gli vennero meno tutte le altre spiegazioni.

Le prove dell’esistenza dei pianeti erano ovviamente indirette. L’unica cosa che aveva misurato direttamente erano stati i tempi degli impulsi delle onde radio emesse dalla pulsar nel ruotare parecchie centinaia di volte al secondo. Aveva misurato i tempi degli impulsi con una straordinaria precisione, resa possibile da nuovi strumenti, nuovi orologi e nuovi software. La pulsar stessa è un orologio che batte con regolarità paragonabile ai quella dei più precisi orologi atomici costruiti dall’uomo. Ma, nel confrontare l’orologio della pulsar con i suoi orologi atomici dotati di una precisione al microsecondo in un arco di parecchi anni, Wolszczan scoprì strane anomalie, i tempi degli impulsi in uscita dalla pulsar variavano con regolarità, anticipando o ritardando, in un modo che poteva essere spiegato come l’effetto perturbante dovuto a due pianeti in orbita intorno ad essa. Dalla struttura dettagliata delle variazioni Wolszczan poté dedurre quali fossero le orbite dei pianeti e le loro masse che dovevano essere circa il triplo di quella della Terra.

Tra gli strumenti che permisero a Wolszczan di effettuare la scoperta, il più importante fu il software; Il telescopio utilizzato era stato lo storico radiotelescopio di Arecibo (Porto Rico), risalente a quarant’anni prima, mentre il software era assolutamente nuovo. La pulsar che mostrò quei battiti irregolari era estremamente debole e l’irregolarità la rendeva ancor meno percepibile di quanto non lo fosse una normale pulsar di quel periodo attorno ai millisecondi. Solo utilizzando un software ad hoc fu possibile discernere la debole modulazione della pulsar con il fragore dei radiorumori cui era mescolata. Tanto per fare un paragone sarebbe come capire in una notte di cielo coperto se si sta verificando una eclisse molto parziale di luna! La credibilità della scoperta di Wolszczan dipendeva totalmente dalla credibilità del software. Per riuscire a convincere i colleghi che i pianeti esistevano davvero, dovette convincerli che il software non era affetto da “bachi”.

Prima di parlare ad altri Wolszczan cercò in tutti i modi di dimostrare che aveva torto. Controllò e ricontrollò l’attrezzatura ed i programmi, ricercò fonti di segnali radio che potessero in qualche modo aver interferito, riesaminò ogni effetto strumentale e solo dopo che tutti i tentativi fatto per dimostrare che si era sbagliato erano falliti, annunciò la sua scoperta. Perciò, quando arrivò a Princeton era ben preparato; a ciascuno degli astronomi presenti al pranzo, toccò il ruolo di pubblico ministero. Wolszczan rispose ad ogni domanda con calma ed in modo esauriente, dimostrando che anche lui si era posto quelle stesse domande. Alla fine del pranzo nessuno aveva più domande da porgli.

Dopo la pubblicazione della scoperta dei due pianeti e la sua accettazione da parte di tutti, Wolszczan continuò a studiare i segnali della pulsar e annunciò la scoperta di un terzo pianeta, molto più piccolo. Il piccolo pianeta sembrava orbitare con un periodo di 25,34 giorni. Successivamente si trovò nei segnali radio della vecchia sonda Pioneer 10, che si sta allontanando dal Sole molto al di là di Plutone, una modulazione analoga e ci si rese conto che doveva essere dovuta al Sole. Il sole dunque ruotando con periodo molto prossimo a 25,34 giorni trascina con sé una struttura estesa di campi magnetici che avevano influenzato la misurazione dei segnali della pulsar.

Dunque il terzo pianeta non esiste: questo errore dimostra quanto sia facile, anche per un ricercatore accurato e di primissimo ordine, essere tratto in inganno. A cinque anni dalla scoperta di Wolszczan erano già dieci i pianeti scoperti, oltretutto attorno a stelle di tipologia vicina a quella del Sole e di masse confrontabili con quelle dei pianeti giganti Giove e Saturno.

Fine

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QUESTIONARIO:

1. Quali sono i dati osservativi che non si possono spiegare con le teorie geocentriche. 2. Quale era, per Tolomeo, il valore di verità del suo modello. 3. Quali erano, secondo Tolomeo, i tre obiettivi dell’astronomia. 4. Quali erano i modelli eliocentrici ipotizzati prima di Copernico. 5. Quali sono i principali moti che si osservano sulla volta celeste. 6. Quali furono le tre “effemeridi” storiche, che si ricordano nella storia dell’astronomia. 7. Quali erano le principali obiezioni che si opponevano al modello copernicano. 8. Come Galileo contraddice le critiche al modello copernicano. 9. Che cosa si intende per “rasoio di Occam”? 10. Cosa intendeva Thomas Kuhn per “rivoluzione scientifica”. 11. Quale atteggiamento deve tenere un gruppo di ricerca prima di pubblicare i risultati. 12. Da cosa dipese l’attendibilità della scoperta dei pianeti extrasolare e perché.

BIBLIOGRAFIA:

1. William Shea, “COPERNICO – un rivoluzionario prudente”, coll. “I grandi della scienza”, n° Aprile 2001, ed. Le Scienze.

2. William Shea, “Copernico, Galileo, Cartesio: aspetti della rivoluzione scientifica”, Armando editore, Roma, 1989.

3. Thomas Kuhn, “La rivoluzione copernicana”, Einaudi, Torino,1972. 4. Thomas Kuhn, “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” Einaudi, Torino, 1978.

5. Enrico Bellone, “GALILEO – le opere e i giorni di una mente inquieta”,

coll. “I grandi della scienza”, n° febbraio 1998, ed. Le Scienze.

6. N. Guicciardini, “NEWTON - un filosofo della natura e il sistema del mondo”, coll. “I grandi della scienza”, n° Aprile 1998, ed. Le Scienze.

7. Freeman Dyson, “Il Sole, il genoma ed internet – strumenti delle rivoluzioni scientifiche”, Bollati Boringhieri, Torino, 2000.

8. Dario Antiseri, “Didattica delle scienze” Armando Editore. 9. Peter Galison, “Image and Logic”, University of Chicago Press, 1997.

10. K. R. Popper, “Logica della scoperta scientifica”, G. Einaudi Editore, Torino, 1970.

11. T. Koestler, “I sonnambuli”, Jaca Book

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Appendice 1:

Cronologia del “Modello Tolemaico”

0) IV sec. a.C. EUDOSSO:

modello delle “SFERE OMOCENTRICHE”.

1) III sec. a.C. APOLLONIO da PERGE:

introduce gli “EPICICLI” ed il “DEFERENTE”

2) II sec. a.C. IPPARCO di RODI

Introduce il punto “ECCENTRICO”

3) II sec. d.C. CLAUDIO TOLOMEO

Introduce l’ EQUANTE, artifizio per dar conto del moto non uniforme dei pianeti.

Scrive l’ALMAGESTO (=il più grande) contenente le “TAVOLE ALFONSINE”

Critiche al modello Tolemaico

1°) La latitudine astronomica delle città mediterranee era aumentata di oltre 1° rispetto alla posizione prevista nell’Almagesto 2°) Il disco della Luna piena dovrebbe apparire di dimensioni pari ad ¼ di quelle della mezza Luna. 3°) Tolemeo descrive questo fenomeno con una seconda costruzione incoerente con la prima. L’obiettivo di Tolomeo sembra essere quello di: “dare conto di come i corpi celesti apparissero, senza porsi il problema della realtà di queste costruzioni” [William Shea]

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Appendice 2:

CRONOLOGIA delle TEORIE ELIOCENTRICHE 1°) IV sec. a.C. “PITAGORICI”

Assunzione filosofica della maggior importanza del Fuoco rispetto alla Terra.

2°) IV sec. a.C. ERACLIDE da PONTO

Rotazione dei pianeti marte e venere attorno al sole; rotazione terrestre. 3°) III sec. a.C ARISTARCO di SAMO 4°) 1° MAGGIO 1514:

nota nei registri della biblioteca di Cracovia sul “COMMENTARIOLUS”

5°) 1543 viene pubblicato il:

“DE RIVOLUTIONIBUS ORBIUM CAELESTIUM” 6°) 1610 GALILEO pubblica il:

“SIDEREUS NUNCIUS” 7°) 1632 Si stampa a Firenze il:

“DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO” 8°) 1661 Vincenzo Viviani, accademico dei Cimento, scopre la

rotazione del piano di oscillazione del pendolo.

Arrivano le prove fisiche…

9°) 1726 E. Manfredi - J. Bradley: aberrazione stelle fisse → prova fisica della rivoluzione terrestre.

10°) 1861 Léon Foucault dà corretta interpretazione della esperienza di Viviani sul pendolo.

→ Finalmente la prova “fisica” della rotazione terrestre.

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Appendice 3: CRITICHE SOLLEVATE AL MODELLO COPERNICANO

� Critiche di natura “fisica”:

a) Il moto della Terra non viene “avvertito”: non ci perdiamo né le nuvole, né la Luna!

b) I “gravi” dovrebbero cadere verso ovest!

EST

� Critiche di natura “astronomica”:

o Mancata osservazione della “parallasse ottica” (→ distanze inimmaginabili → dimensioni inimmaginabili)

o Mancata osservazione delle “fasi” su Venere e Mercurio.

� Critiche (a posteriori) di natura generale:

a) Il modello copernicano non era, nei particolari, meno complicato di quello tolemaico.

b) Errori nelle previsioni aventi lo stesso ordine di grandezza!

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Appendice 4:

La Figura di TIEDEMANN GIESE, vescovo tra Riforma e Controriforma.

Dal momento che fu il più intimo amico di Copernico, è interessante studiare più da vicino la sua origine ed anche la sua posizione teologica. Egli proveniva da una famiglia benestante di Danzica ed aveva iniziato gli studi universitari all’eccezionale età di 12 anni! Nominato canonico, aveva condiviso con Copernico innumerevoli mansioni e pare avesse maturato un sincero ed appassionato interesse per il lavoro astronomico di Copernico: sappiamo da Retico che possedeva alcuni strumenti astronomici di ottima qualità; così come Egli si dimostrava convinto sul realismo del lavoro copernicano, quest’ultimo condivideva i contributi di Giese alla teologia. Le sue opinioni sui contrasti all’interno della Chiesa ci sono note attraverso la Antilogikon, replica ad una collezione di centodieci proposizioni di un vescovo prussiano, decisamente favorevoli a Lutero. La reazione di Giese aveva un tono conciliante: “Detesto qualsiasi tipo di scontro” scriveva, aggiungendo che era felice quando molto di quanto diceva sembrava favorire il punto di vista dell’avversario piuttosto che il proprio: “Spesso sembro appoggiarlo piuttosto che dargli contro”. Desiderava che per un istante i luterani immaginassero di essere cattolici romani e viceversa, e che ciascuno cedesse un poco all’altro: “Allora, certamente non vi sarebbe questa tragedia all’interno delle chiese”. Con atteggiamento completamente erasmiano, Giese conveniva sul fatto che le cerimonie esteriori non sono importanti in se stesse e che la religione affonda le sue radici nel cuore della gente; ammetteva senza riserve i numerosi abusi e superstizioni della Chiesa ma chiedeva agli avversari di lavorare con pazienza ed indulgenza dall’interno verso una riforma. Da semplice canonico aveva agito secondo le sue parole ed era spesso intervenuto a favore dei luterani, cercando di temperare la severità del vescovo Dantiscus; quando divenne vescovo (a differenza di Dantiscus che aveva ambizioni cardinalizie…) egli stesso continuò in questo atteggiamento tollerante. Nel 1536 scrisse un’opera, De regno Christi, in cui, pur restando fedele alla dottrina cattolica romana si arrendeva ai Riformatori su molti punti; ne inviò copie ad Erasmo ed a Melantone ma il primo morì subito dopo ed il secondo rispose in maniera elusiva. Giese inviò poi la sua opera colui che stava per diventare il suo successore ed il più importante fanatico della controriforma in Polonia, che non lo ritenne degno di pubblicazione e in questo modo andò perso. Questa apparente divagazione sul punto di vista teologico di Giese trova la sua motivazione nella fortissima affinità spirituale tra Giese e Copernico che ci permette di affermare con sicurezza che studiando le opinioni teologiche di Giese possiamo conoscere quelle di Copernico, proprio come cercando di comprendere le opinioni astronomiche di Copernico ne ricaviamo quelle di Giese. Copernico aveva incoraggiato Giese quando esitava a pubblicare l’Antilogikon: infatti nella lettera di dedica, al un comune amico e confratello Felix Reich, Giese parla di “…Nicola Copernico, uomo di giudizio perspicace, che mi convinse a pubblicare queste mie sciocchezze”. D’altra parte Giese seguiva con interesse l’evoluzione del pensiero di Copernico, incoraggiandolo a proseguire e questo viene riconosciuto da Copernico nella dedica del “De Rivolutionibus” quando afferma che l’amatissimo Tiedemann Giese lo spinse a superare le proprie esitazioni. Giese andò oltre nel sostenere la causa copernicana: scrisse una difesa (oggi andata persa) di Copernico intitolata “Lo scudiero”. A pag. 73 della monografia “Copernico, un rivoluzionario prudente” potete recuperare le argomentazioni argute e puntuali con le quali Tiedemann Giese si contrappose all’amico Copernico convincendolo a pubblicare il De Rivolutionibus, così come ci sono state tramandate da Retico nell’appendice della sua Narratio Prima.