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Corso per l’abilitazione alla caccia di selezione ai cervidi e bovidi in Provincia di Grosseto 2010 - 11

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Corso per l’abilitazione alla caccia di

selezione ai cervidi e bovidi

in Provincia di Grosseto

2010 - 11

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DISPENSE INTEGRATIVE DELLE LEZIONI

Autori testi Gianangelo Canova

Luca Cimino Sandro Lovari

Maddalena Mattii Andrea Monaco Giorgia Romeo Andrea Sforzi

Redazione * Luca Cimino

* Alcuni testi sono tratti dal manuale Dispense per il corso di abilitazione alla caccia di selezione ai cevidi e bovidi in provincia di Siena pubblicato dal Servizio Risorse Faunistiche e Riserve Naturali della Provincia di Siena con la collaborazione dello Studio Ist.Ric.E.

Ist.Ric.E. Istituto di Ricerche Ecofaunistiche

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PRINCIPI DI GESTIONE FAUNISTICA E DI ECOLOGIA APPLICATA Introduzione

Per gestione della fauna si intende un’insieme di attività faunistiche finalizzate alla salvaguardia delle risorse naturali e al raggiungimento di un equilibrio tra le esigenze dell’uomo e quelle degli ecosistemi. Gestire una popolazione animale (ossia individui della stessa specie, p.es. cinghiale, che vivono in uno stesso territorio) con il proposito di preservarne l’esistenza è un compito impossibile da realizzare qualora non si disponga di informazioni concrete sulla biologia della specie che si vuole amministrare, sui parametri ambientali da cui essa dipende e sullo status della popolazione stessa. Monitorare le popolazioni animali è pertanto necessario quando si voglia sottoporle al prelievo venatorio. Il punto cruciale per una DURATURA GESTIONE FAUNISTICO-VENATORIA è “prima documentarsi e poi intervenire in modo opportuno”.

Definizione GESTIONE DELLA FAUNA

Complesso di attività finalizzate allo studio delle relazioni tra popolazioni di animali selvatici, caratteristiche dell’ambiente frequentato e l’uomo, per raggiungere un’integrazione che rispetti le esigenze dell’uomo attraverso una corretta amministrazione delle risorse faunistiche.

Gestione venatoria

Il prelievo venatorio è basato su due principi: (1) la mortalità dovuta alla caccia dovrebbe mirare a sostituire la mortalità naturale (prelievo

conservativo o prolungato); (2) il prelievo venatorio dovrebbe rispettare e pilotare la popolazione cacciata intervenendo

proporzionalmente all’incremento utile annuo (I.U.A., ossia la variazione del n° di capi da un anno al successivo, vedi oltre) della popolazione, agli obiettivi gestionali e ai tempi entro i quali si vuole raggiungerli (Fig. 1).

Fig. 1. L’entità del prelievo venatorio determina nel tempo le sorti della popolazione cacciata: a seconda che il prelievo sia inferiore, uguale o superiore all’I.U.A. il n° di capi aumenterà, rimarrà stazionario o diminuirà.

Da questa premessa scaturisce che il massimo prelievo prolungato si ottiene abbattendo un

numero di animali pari all’incremento utile annuo. Infatti solo così sarà possibile prelevare anno dopo anno il numero massimo di individui, senza condurre al declino la popolazione su cui viene esercitato il prelievo. Non esiste un unico valore di prelievo prolungato per ciascuna popolazione: esso varia al mutare delle modalità di gestione e della densità di popolazione.

Spesso si mira a raggiungere il massimo prelievo prolungato, che può non coincidere necessariamente con quello ottimale sul piano economico. Infatti, per un rendimento massimo in

No INDIVIDUI

TEMPO

prelievo <

=

>

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termini economici (prelievo prolungato ottimale) è spesso opportuno fare ‘sì che la fauna di un’area venga sfruttata non solo per l’utilizzo venatorio, ma anche per quello turistico o per altri usi. Il punto cruciale è quello sopra menzionato: il prelievo prolungato di una popolazione varierà al mutare delle caratteristiche di essa, che pertanto dovranno essere studiate e regolarmente controllate nel tempo per una corretta gestione consapevole.

Caccia di selezione

La caccia di selezione deve prevedere piani annuali di abbattimento, a livello locale, in cui i cacciatori prelevino un numero limitato di capi scelti, per sesso ed età, sulla base delle informazioni raccolte con i censimenti.

Dove esista una popolazione animale di dimensioni adeguate, può esserne consentito il prelievo venatorio, purché controllato, ma dove vi siano pochi individui non c’è giustificazione alcuna per sparare. Questo rende necessaria l’esecuzione di censimenti e di una adeguata pianificazione, prima e durante l’esercizio venatorio. Se le aree sono troppo grandi o troppo impervie per garantire una loro gestione consapevole, possono essere selezionate aree più piccole e maggiormente vocate dove effettuare censimenti e abbattimenti, a beneficio della popolazione cacciata e della comunità venatoria. METODI: la caccia selettiva non è praticabile con metodi invasivi, come la braccata, ma solo con metodi selettivi, da appostamento o alla cerca (e per il cinghiale in alcune realtà anche tramite girata con l’uso di un cane limiere, preferibilmente a gamba corta).

Le immissioni di fauna Per specie autoctona (o indigena) si intende il complesso di popolazioni appartenenti alla stessa

specie, naturalmente residenti o spontaneamente insediatesi in un’area biogeografica. Al contrario, le popolazioni non autoctone, immesse in un’area per opera dell’uomo, appartengono a una specie alloctona. Le immissioni di specie alloctone vengono definite introduzioni e sono di norma da escludere, sia perché alterano il profilo biogeografico dell’area interessata, sia per la probabile competizione che potrebbero originare con specie locali. Per ripopolamenti si intendono invece le immissioni di individui appartenenti a un’entità faunistica già presente in un’area, ma a densità esigua. I ripopolamenti non hanno alcuna efficacia, se vengono effettuati senza avere prima individuato e rimosso le cause che hanno indotto la bassa consistenza della popolazione. Le reintroduzioni sono invece le immissioni di entità faunistiche in aree dove erano state sicuramente presenti e dalle quali erano poi scomparse in tempi storici, per lo più per azione dell’uomo. Le reintroduzioni sono positive operazioni gestionali, se ben impostate: la riqualificazione ambientale e l’utilizzo venatorio, successivo alla ricostituzione di un’abbondante popolazione, sono i principali motivi che possono giustificare una reintroduzione, purché: (1) le cause dell’estinzione siano state previamente identificate e rimosse, e (2) siano ancora presenti o siano state restaurate le condizioni ambientali necessarie per la sopravvivenza della specie da reintrodurre.

Caccia e conservazione

Conservare le popolazioni animali è responsabilità di chiunque sia interessato alla fauna (specialmente i cacciatori). Le associazioni protezionistiche non dovrebbero aspettarsi che i cacciatori smettano di cacciare, ma piuttosto dovrebbero contare su questi per cooperare attivamente al fine di conservare le popolazioni di quegli animali che essi cacciano, insieme al loro habitat. Senza animali, non può sussistere la caccia. I Cacciatori (con la “C” maiuscola) dovrebbero essere più conservazionisti degli stessi protezionisti.

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Schema riassuntivo IMMISSIONI DI FAUNA

• Specie autoctona: popolazioni appartenenti alla stessa specie, naturalmente residenti o spontaneamente insediatesi in un’area geografica, p.es. capriolo in Campania.

• Specie alloctona: popolazioni non autoctone, immesse in un’area per opera dell’uomo, p.es. daino in Campania. • Introduzione: immissione di una specie alloctona in un’area per opera dell’uomo. • Ripopolamento: immissione di individui appartenenti a una specie già presente in un’area, ma a densità esigua. I ripopolamenti

non hanno alcuna efficacia, se vengono effettuati senza avere prima individuato e rimosso le cause che hanno indotto la bassa consistenza della popolazione.

• Reintroduzione: immissione di una specie in un’area dove era stata presente in passato e dalla quale sia scomparsa (per lo più per azione dell’uomo). Sono positive operazioni gestionali, se le cause dell’estinzione sono state previamente identificate e rimosse, e se sono ancora presenti (o sono state restaurate) le condizioni ambientali necessarie per la sopravvivenza della specie da reintrodurre.

CURVA DI ACCRESCIMENTO DI UNA POPOLAZIONE La risultante tra i fattori di crescita (nascite+immigrazione) e i fattori limitanti

(mortalità+emigrazione) di una popolazione ne determina nel tempo l’accrescimento, il decremento o la stabilità (DINAMICA DI POPOLAZIONE). • Può variare da specie a specie (p.es. in relazione al tasso di riproduzione; Fig. 2). • Nell’ambito della stessa specie, può variare da popolazione a popolazione (p.es. in relazione

all’effetto dei locali parametri ambientali). CURVA DI ACCRESCIMENTO TEORICA

Fig. 2. Le femmine di capriolo hanno normalmente due piccoli, quelle di cervo e daino ne hanno uno. Le popolazioni di capriolo si accrescono dunque a velocità maggiore rispetto a quelle di cervo e daino, a parità di numero di femmine riproduttrici.

TASSO DI NATALITA’ (O DI RIPRODUZIONE)

Il numero dei piccoli rapportato a quello delle femmine adulte annualmente in una popolazione. INCREMENTO UTILE ANNUO (I.U.A)

Parametro annuale di una popolazione risultante dalla somma del numero di nuovi nati e degli individui immigrati nella popolazione, meno il numero degli individui morti e di quelli immigrati.

N° nuovi nati + N° immigrati – N° morti – N° emigrati

capriolo

cervo, daino

TEMPO

No INDIVIDUI

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CARATTERISTICHE DI UNA POPOLAZIONE • Consistenza Il numero di individui che costituiscono una determinata popolazione (N° capi). • Densità Il numero di individui di una popolazione rapportato a una unità di superficie (p.es. N° capi per 100 ha). • Densità biotica La massima densità raggiungibile da una popolazione in una determinata area (oltre tale valore intervengono i meccanismi naturali di autoregolazione della stessa). • Densità agro-forestale (D.A.F.) La massima densità tollerabile: densità oltre la quale i danni a coltivazioni diventano inaccettabili. • Struttura La composizione di una popolazione per sesso e classi di età (Fig. 3). • Dinamica L’insieme dei cambiamenti nell’ambito di una popolazione e dei fattori che li regolano, agendo su natalità, mortalità, immigrazione e emigrazione.

Fig. 3. Teorica struttura per età di una popolazione. Gli individui giovani sono i più numerosi e occupano i livelli di base del triangolo. La mortalità sottrae individui tra un livello e il successivo.

CACCIA DI SELEZIONE E SELEZIONE NATURALE

Un capriolo, un cervo, o un cinghiale non si muovono a caso nell’ambiente, ma secondo le loro necessità di alimentazione, riproduzione, rifugio, etc., che continuamente li inducono a cercare le risorse di cui hanno bisogno. In questa loro ricerca devono confrontarsi con la presenza dei predatori p.es. il lupo, e con quella delle altre specie che desiderano le loro stesse risorse, nonché con la distribuzione nell’ambiente di queste (che non è quasi mai uniforme nel tempo e nello spazio, ma varia al mutare delle stagioni). Gli individui più capaci di superare le difficoltà conseguenti a questa continua ricerca delle risorse saranno quelli che si riprodurranno di più e lasceranno il maggior numero di discendenti. Gli altri produrranno meno prole, o meno vigorosa, o addirittura nessun discendente e, alla lunga, la loro “linea di sangue” (cioè le loro caratteristiche ereditarie) tenderà a estinguersi. I meccanismi naturali di selezione degli individui (quelli in base ai quali l’ambiente “decide” chi merita di sopravvivere e chi no) sono appunto la predazione, la competizione per le risorse, la disponibilità di queste, le intemperie, le malattie, etc.

Il “cacciatore di selezione” ambisce a inserirsi in questo complesso ingranaggio, in parte “sostituendosi” a qualcuno dei fattori naturali di regolazione delle popolazioni. Ambisce anche a farlo in misura approssimativamente consapevole (da qui la necessità di controllare la dinamica delle popolazioni animali cacciate, attraverso l’effettuazione di stime numeriche e la calibratura dei piani di abbattimento). Questa ambizione, purché non resti velleitaria, è un grande passo avanti rispetto al tradizionale “prelievo alla cieca” o allo “sparare nel branco” e promuove il cacciatore a livello tecnico.

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USO DELLO SPAZIO Attraverso l’osservazione degli animali, che dovrebbe sempre precedere l’abbattimento, il

cacciatore noterà p.es. quanto detto poco fa, cioè che gli animali non si muovono a caso, ma secondo precisi parametri. In primavera e in estate un capriolo maschio è insofferente della presenza di altri caprioli dello stesso sesso nell’area in cui vive. Si chiama territorio l’area difesa da un individuo nei confronti delle intrusioni di conspecifici, dove esso si accoppia e si ricovera. Il maschio di capriolo è, appunto, territoriale da Marzo ad Agosto. La territorialità serve a spaziare gli individui nell’ambiente, evitandone così il sovrasfruttamento. Fuori dal territorio esiste un’area in cui l’individuo è più tollerante o addirittura ignora la presenza di conspecifici: la cosiddetta area familiare (o home range). L’area familiare è l’area, non difesa, nella quale un individuo vive abitualmente p.es. per nutrirsi o riposarsi. L’area familiare non è costante nel tempo e nello spazio: un animale può utilizzare, in tempi diversi, settori diversi di un’area p.es. in relazione alle locali disponibilità di risorse alimentari o per l’arrivo di un individuo più forte che lo faccia spostare altrove. L’area totale, occupata da un individuo nel corso della sua esistenza, viene definita spazio vitale.

Schema riassuntivo SPAZIO VITALE: area totale occupata da un individuo nel corso della sua esistenza. AREA FAMILIARE o HOME RANGE: area – non difesa – nella quale un individuo si muove abitualmente, di solito per nutrirsi. TERRITORIO: area difesa da un individuo nei confronti delle intrusioni di conspecifici.

IL “TROFEO”

Negli ungulati, una delle caratteristiche più evidenti dei maschi è quello che in gergo venatorio viene definito il trofeo, cioè due appendici (o prolungamenti) dell’osso frontale o dei denti. Il “trofeo” non è presente in tutti gli erbivori e costituisce un termine molto equivoco: il trofeo di capriolo e cervo sono i palchi, quello del muflone sono le corna, ma quello del cinghiale è costituito dalle zanne. In realtà per trofeo generalmente si intende la testa imbalsamata degli animali uccisi.

Palchi e corna.

I palchi sono strutture anatomiche piene, formate da tessuto osseo, che si accrescono e cadono secondo un ciclo annuale di sviluppo. Nella fase di formazione i palchi sono coperti da uno strato protettivo, il velluto, attraverso i cui vasi sanguigni l’osso sottostante, in formazione, viene nutrito, crescendo e solidificandosi sempre più fino a trasformarsi in vero osso. Poi il velluto cade a pezzi e resta l’osso: il palco. Dopo la stagione degli amori, alcune particolari cellule (osteoclasti) che disgregano l’osso si attivano alla base dei palchi, che così cadono, per poi cominciare a ricrescere lentamente. L’intero processo è sotto il controllo ormonale (cioè di sostanze chimiche, dette ormoni, secrete da particolari ghiandole attivate da stimoli ambientali p.es. le stagioni).

I palchi sono presenti nella “famiglia” dei Cervidi, quindi anche nel capriolo e cervo, ma solo nei maschi (a eccezione della renna, in cui anche le femmine portano i palchi).

Le corna sono invece strutture anatomiche formate da un asse osseo (saldato al frontale) sul quale si innesta una guaina cornea, formata da cheratina (la stessa sostanza delle unghie e dei capelli). Sono a crescita continua, a partire dai primi mesi di vita dell’animale. Di norma presenti tanto nei maschi che nelle femmine, in queste sono generalmente più piccole e meno appariscenti di quelle dei maschi. Nei Bovidi italiani (muflone, stambecco, camoscio) le corna sono permanenti e ogni anno si ha la crescita di un nuovo astuccio corneo sopra quello dell’anno precedente.

Le diverse dimensioni corporee tra maschio e femmina (con il maschio di solito più grosso), la presenza di corna ben sviluppate o di palchi, alcune differenze di lunghezza o colore del pelo, aiutano a distinguere i due sessi: l’insieme di queste differenze costituisce il cosiddetto dimorfismo sessuale.

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Schema riassuntivo PALCHI e CORNA

“Trofeo” nella terminologia venatoria Sono appendici (prolungamenti) dell’osso frontale

Palchi - Strutture piene, temporanee, con ciclo annuale di sviluppo: nascita-crescita-caduta. - Tessuto osseo (in prevalenza carbonato di calcio). - Presenti solo nei cervidi maschi (p.es. capriolo, cervo, daino).

Corna - Strutture cave, permanenti, a crescita continua. - Tessuto corneo (cheratina), che alla base si innesta su un asse osseo saldato all’osso frontale. - Presenti nei bovidi maschi e femmine (p.es. muflone, camoscio, stambecco)

A cosa servono palchi e corna? Una funzione primaria è sicuramente quella di “armi” utilizzabili nelle lotte tra maschi per

accedere alle femmine nel periodo riproduttivo. Per questo la selezione naturale ha favorito l’evoluzione di corna voluminose e palchi nel sesso maschile.

Una funzione secondaria è la difesa contro i predatori. Le femmine utilizzano strategie antipredatorie alternative, p.es. vivere in gruppo (così ci sono più occhi, orecchie e nasi in grado di avvertire la presenza di predatori, nonché la relativa protezione offerta dalla presenza di conspecifici con cui si “diluisce” la probabilità di essere predati).

Cosa significa RUMINANTE? Il capriolo e il cervo (non il cinghiale) sono “ruminanti”. Il loro apparato digerente non comprende

un solo stomaco (come noi), ma ben quattro. L’animale ingoia il cibo nelle aree di alimentazione, immagazzinandolo nel primo “stomaco” (il rumine), poi si ricovera in un sito tranquillo ove “ruminare”. Dopo una breve permanenza anche nel secondo “stomaco” (il reticolo), il cibo – ormai fermentato dall’azione disgregatrice dei microrganismi che vivono in questi due primi stomaci – torna in bocca all’animale per essere ulteriormente masticato e triturato. Passa poi nel terzo (omaso) e quarto (abomaso) ”stomaco”, dove viene ulteriormente preparato per la digestione vera e propria e poi digerito. Soltanto l’abomaso contiene succhi gastrici e pertanto è realmente simile al nostro

stomaco (rumine, reticolo e omaso sono infatti semplici camere esofagee). Dall’abomaso il cibo scende poi nell’intestino.

Significato adattativo della ruminazione: si è evoluta come (1) strategia alimentare per permettere di massimizzare la resa energetica di cibo che, se pur disponibile in grande quantità sarebbe altrimenti poco digeribile e come (2) strategia antipredatoria in quanto consente di assumere grosse quantità di cibo e di digerirle in luoghi sicuri.

Capacità del rumine: è maggiore nei cosiddetti pascolatori (che si nutrono soprattutto di fibra grezza ingerendone grossi quantitativi) e minore nei brucatori (che si nutrono di cibo a più alto contenuto proteico ingerendone piccoli quantitativi).

Cosa significa UNGULATO? Nella catena alimentare gli erbivori e gli onnivori sono predati dai carnivori. Questo significa che

generalmente devono essere in grado di correre velocemente per sfuggire ai predatori. Nel corso dell’evoluzione hanno dunque trasformato le zampe adattandole alla corsa attraverso la formazione di

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zoccoli, che sono enormi ispessimenti delle unghie del 3° e 4° dito (medio e anulare) nel capriolo, cervo, cinghiale, etc., e del solo 3° dito nel cavallo, asino, zebra, etc. I primi si chiamano Ungulati artiodattili, mentre i secondi sono Ungulati perissodattili. Ungulato significa dunque “animale dotato di zoccoli” (Fig. 4).

Fig. 4. Lo zoccolo degli ungulati artiodattili (p.es. cervidi, bovidi, suidi) è formato dalle nostre stesse dita, trasformate per la corsa e con l’unghia ispessita.

Cosa è la SISTEMATICA? Per distinguerci l’uno dall’altro noi usiamo i nomi. Se vogliamo identificarci ancor meglio, lo

facciamo per mezzo del cognome. Per gli stessi scopi si è sentita la necessità di ideare una convenzione in grado di classificare e denominare gli organismi animali e vegetali. Si chiama sistematica la scienza che classifica e ordina gli organismi in relazione ai loro rapporti filogenetici (cioè ereditari). Si definisce tassonomia l’insieme delle norme che regolano, per convenzione, la denominazione degli organismi in relazione alla loro posizione sistematica. Queste norme prevedono nomi che indicano grandi categorie p.es. la “CLASSE” raduna in un caso tutti i mammiferi, in un altro gli uccelli, in un altro ancora i pesci etc., e categorie progressivamente più piccole (in una sorta di struttura piramidale). Tutti gli animali appartengono al Regno Animale, ma solo gli animali dotati di ghiandole mammarie appartengono alla Classe dei Mammiferi, e solo i mammiferi provvisti di zoccoli al Superordine degli Ungulati, e così via.

Per convenzione il Genere, la specie (appartengono alla medesima specie tutti gli individui che, accoppiandosi, siano in grado di produrre prole feconda) e la sottospecie (individui appartenenti alla stessa specie, ma con differenze che consentano di ascriverli a razze separate, in genere geograficamente separate l’una dall’altra) vengono indicate con nomi latini.

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IL CAPRIOLO Generalità

Il capriolo è un mammifero artiodattilo ruminante, appartenente alla Famiglia dei Cervidi, al Genere Capreolus e alla specie capreolus. Vive in quasi tutta Europa con la specie Capreolus capreolus e, in Asia centrale, con la specie Capreolus pygargus (circa 1/3 più grossa del nostro capriolo).

In Italia, la mancanza di ogni forma di conservazione nei confronti di questo Cervide lo aveva spinto sull’orlo dell’estinzione nella prima metà del ventesimo secolo. A partire dagli anni ’60, l’effettuazione di reintroduzioni e l’applicazione di norme venatorie più lungimiranti e conservative lo ha reso nuovamente comune in gran parte della penisola.

Il capriolo è ben adattato agli ambienti boscati per tutta una serie di particolari caratteristiche morfologiche, fisiologiche e comportamentali. Prospera negli ecotoni (ambienti di transizione tra due e più ambienti p.es. la fascia di transizione tra bosco e prato) con vegetazione cespugliosa, boschi con ampie radure, coltivi alternati ad aree boscose. Si nutre di vegetazione arbustiva e semi-arbustiva, con minoranza di erbe, frutti e funghi. Il capriolo è un erbivoro “generalista”, che si nutre di centinaia di specie vegetali – in relazione alla loro locale abbondanza – con la capacità di utilizzarne tutte le parti. La sua taglia relativamente piccola lo costringe tuttavia a selezionare il cibo di cui si nutre: la capacità digestiva del tratto intestinale di un erbivoro è infatti direttamente proporzionale al peso corporeo; la maggioranza dei ruminanti di peso inferiore a circa 40 kg può così utilizzare al meglio soltanto risorse alimentari di qualità relativamente elevata. Queste specie di erbivori sono denominate selettrici di risorse alimentari che concentrano un’alta quantità di sostanze nutritive (p.es. germogli e frutti) o, più brevemente, selettori concentrati.

Il capriolo ha elevata capacità di adattamento ad ambienti diversi per antropizzazione, altitudine, compagini vegetali, ma è molto sensibile all’azione negativa svolta da cani vaganti e dalla caccia incontrollata. In condizioni naturali arriva a vivere fino a 10–15 anni, età oltre la quale l’usura delle superfici dentarie diventa la principale causa (indiretta) di mortalità.

Nella gestione venatoria si definiscono piccoli gli individui nel corso dell’anno della nascita (quindi da maggio a dicembre), ossia fino a 7-8 mesi di età, subadulti a gennaio dell’anno successivo (ossia da 8 a 20 mesi), adulti a gennaio del secondo anno (ossia dopo i 20 mesi).

TASSONOMIA DEL CAPRIOLO

Classe: Mammiferi (animali provvisti di ghiandole mammarie)

Superordine: Ungulati (mammiferi provvisti di zoccoli)

Ordine: Artiodattili (n° di dita pari; poggiano su 3° e 4° dito)

Sottordine: Ruminanti (stomaco composto da 4 cavità, fra cui il rumine)

Famiglia: Cervidi (palchi caduchi; non corna!)

Sottofamiglia: Odocoileini

Genere: Capreolus

2 Specie: Capreolus capreolus (capriolo europeo) Capreolus pygargus (capriolo asiatico)

3 Sottospecie: C. c. capreolus (Europa centro-settentrionale) C. c. garganta (Penisola iberica) C. c. italicus (Italia centro-meridionale)

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DISTRIBUZIONE DEL CAPRIOLO IN EUROPA.

DISTRIBUZIONE DEL CAPRIOLO IN ITALIA

CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE

PRINCIPALI CARATTERISTICHE MORFOMETRICHE

Maschio adulto Femmina adulta Peso corporeo

(o “peso pieno”) 22-32 Kg 18-30 Kg

Peso animale sventrato (eviscerato o “peso vuoto”) 16-24 kg 12-22 kg

Lunghezza totale (punta del naso – base della coda) 108-126 cm 107-125 cm

Altezza (al garrese) 66-83 cm 66-83 cm

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MORFOLOGIA ESTERNA Evoluzione di una corporatura adatta a un ambiente di macchia e fitto sottobosco: - arti posteriori più lunghi e sviluppati degli anteriori; - muso appuntito e corpo affusolato; - appendici frontali (palchi) ridotte e rivolte all’indietro; - occhi relativamente grandi e ben adattati alla visione in condizioni di scarsa luminosità; - orecchie di lunghezza pari a 2/3 della testa per stabilire con precisione la provenienza dei suoni (udito finissimo); - apparato olfattivo molto efficiente; - mantello di colorazione mimetica (o criptica).

MANTELLO

Nel capriolo si distinguono un mantello estivo e uno invernale. Questi differiscono per lunghezza, spessore e colore dei peli.

Mantello estivo (maggio-settembre): Peli: corti - sottili

Colore: bruno chiaro / ruggine acceso

Mantello Invernale (ottobre-aprile) Peli: lunghi - spessi - ondulati

Colore: grigio-bruno

Il mantello invernale presenta caratteristiche importanti ai fini del riconoscimento. Maschi: chiazza bianca (specchio anale) in zona perianale, a forma di fagiolo.

Femmine: specchio anale a forma di cuore rovesciato, con falsa coda (ciuffo di peli). MANTELLO DEI PICCOLI Nei primi due mesi: di colore bruno / marrone scuro con macchie biancastre sui fianchi.

MUTA

Il cambio del pelo avviene due volte all’anno: • MUTA PRIMAVERILE Subadulti: aprile

Adulti: maggio In primavera è un processo lento (2-3 settimane) e vistoso, con perdita abbondante di ciuffi di peli

a partire da testa e collo, poi arti, spalle, dorso e fianchi; • MUTA AUTUNNALE Piccoli: settembre

Subadulti: settembre-ottobre Adulti: ottobre

In autunno il cambio del mantello dura solo pochi giorni ed è un fenomeno poco appariscente (processo veloce e non vistoso).

HABITAT

Il capriolo ha elevate capacità di adattamento: colonizza aree dal livello del mare fino a 2.000 m. e lo si trova sempre più spesso in zone a elevato impatto antropico (aree agricole e peri-urbane).

Ambienti favorevoli: - Boscaglie con fitto sottobosco (p.es. latifoglie); - Bosco a elevata frammentazione (a “macchie di leopardo”); - Avvallamenti e radure; - Macchie lungo canaloni o corsi fluviali; - Aree agricole di tipo tradizionale.

Ambienti meno favorevoli: - Boschi con piante ad alto fusto e scarsa vegetazione di sottobosco (p.es. faggete); - Boschi di grandi dimensioni e con scarsa frammentazione.

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ALIMENTAZIONE ERBIVORI

Qualità del cibo

Periodi di alimentazione

Periodi di ruminazione

Capacità del rumine

VARIAZIONI ANNUALI DELLE ABITUDINI ALIMENTARI DEL CAPRIOLO Primavera-Estate: germogli e foglie di arbusti (quercia, prugnolo, biancospino);

piante erbacee (legumi e graminacee). Autunno: frutta selvatica (ghiande, faggiole, castagne, sambuco, sorbo) Inverno: erba medica; barbabietole; cavoli; rametti di latifoglie.

RITMI DI ATTIVITA’ GIORNALIERI Nel capriolo i ritmi giornalieri di attività sono caratterizzati da un alternanza tra brevi periodi (1-2

ore), in cui gli animali sono attivi, e brevi periodi in cui essi si riposano. Si possono distinguere:

- dormiveglia (7-8 ore totali); - attività (alimentazione, spostamenti, interazioni sociali) (7-8 ore totali); - ruminazione (7-8 ore totali).

Nel capriolo il sonno vero dura 1-2 ore, divise in 3-4 periodi di sonno di 20-30 minuti ciascuno. Questi sono gli unici momenti in cui i due più importanti organi di senso (udito e olfatto) sono in gran parte “inattivi”. PERIODI DI ATTIVITÀ

Le ore della giornata in cui la maggior parte dei caprioli è attiva sono quelle dell’alba e del tramonto. Il momento di minima attività è invece nelle parti centrali del giorno.

In condizioni naturali i periodi di attività variano nelle diverse stagioni e con le condizioni atmosferiche; in generale:

- in estate i caprioli sono attivi prevalentemente di notte; - in primavera/autunno prevalentemente all’alba/tramonto e di notte; - in inverno prevalentemente all’alba/tramonto e di giorno.

COMPORTAMENTO SOCIALE DEL CAPRIOLO Il comportamento sociale del capriolo varia durante l’anno: da prevalentemente solitari in

PRIMAVERA-ESTATE i caprioli diventano più gregari in AUTUNNO-INVERNO. • Marzo / Agosto

- Fase territoriale nei maschi adulti - Adulti (maschi e femmine) solitari - Dispersione (emigrazione) nei subadulti

• Settembre / Febbraio - Formazione di piccoli gruppi familiari

BRUCATORI SELETTORI (p.es. capriolo)

PASCOLATORI NON-SELETTORI (p.es. pecora)

NUTRIENTE (alta digeribilità)

POCO NUTRIENTE (alto contenuto fibra grezza)

BREVI E FREQUENTI LUNGHI E POCO FREQUENTI

BREVI E FREQUENTI LUNGHI E POCO FREQUENTI

BASSA ALTA

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(1 femmina adulta + 1-2 piccoli, talvolta con 1 femmina “sottile” e/o 1 maschio adulto) - Formazione di aggregazioni temporanee (p.es. 20-30 caprioli in una radura)

DEFINIZIONI • Spazio vitale: area in cui un capriolo vive nell’arco della sua esistenza (in genere 200-300 ha) • Area familiare (o home range): area all’interno della quale un capriolo vive abitualmente (p.es.

in una stagione) (in media 50-100 ha). • Territorio: area (30-40 ha) difesa dai maschi adulti nei confronti di altri maschi.

TERRITORIALITÀ NEL MASCHIO ADULTO L’attività di difesa del territorio è favorita dall’aumento di aggressività che si manifesta a seguito

dell’ingrossamento delle ghiandole genitali (testicoli) e dei livelli di testosterone in febbraio. Manifestazioni di territorialità

Un maschio può segnalare ad altri il possesso di una particolare area sia mediante confronto diretto sia tramite segnali di avvertimento. Segnalazione di possesso tramite confronto diretto

Può avvenire tramite segnali visivi, acustici e/o tramite contatto fisico. Il confronto aggressivo tra due maschi adulti segue rituali ben definiti:

1. avvertimento o dimostrazione di forza: camminata “spalla a spalla”, “raspata” (con le zampe), “percuotimento” (con i palchi, sulla vegetazione) (tutti segnali visivi), e con l’abbaio (segnale acustico);

2. sfida: un contendente orienta i palchi (abbassando il capo) verso l’altro in atteggiamento di minaccia (segnale visivo);

3. combattimento: scontro diretto di breve durata (contatto fisico); 4. cessazione delle ostilità e eventuale “ridefinizione dei confini dei rispettivi territori”.

Il confronto tra un adulto e un subadulto è rapido e si conclude con la fuga del subadulto. Segnalazione di possesso tramite marcatura

Avviene tramite la deposizione di segnali olfattivi a seguito dello sfregamento di ghiandole specializzate poste in varie parti del corpo.

Si possono distinguere due tipi di attività di marcatura: • le raspate: - con le zampe anteriori: organo cutaneo delle dita (OCD);

- con quelle posteriori: organo cutaneo delle dita e ghiandole interdigitali (GI); • gli sfregamenti: - con la testa: organo frontale (F);

- con gli arti posteriori: ghiandole metatarsali (GM).

CICLO BIOLOGICO DEL MASCHIO Il ciclo biologico dei maschi è scandito dal ciclo annuale di caduta, crescita e pulitura del trofeo.

⇒ La crescita dei palchi dura circa 3 mesi, e avviene prima negli adulti (tra dicembre e febbraio), seguiti dai subadulti (tra gennaio e marzo).

⇒ La “pulitura” avviene verso fine febbraio negli adulti, in marzo nei subadulti. ⇒ La caduta avviene verso fine-ottobre/inizio-novembre negli adulti, verso fine novembre nei subadulti,

e a fine dicembre nei piccoli (caduta del “bottone” o primo trofeo). Nei piccoli si hanno 2 cicli annuali del trofeo:

Settembre-Dicembre: crescita degli abbozzi ossei (bottone); Dicembre-Gennaio: caduta del bottone; Febbraio-Aprile: crescita dei palchi.

I palchi, presenti solo nel maschio, sono due stanghe di tessuto osseo che poggiano su due prolungamenti dell’osso frontale detti tappi o steli.

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PALCHI

La distanza tra i palchi è detta apertura del trofeo. La base del palco si presenta allargata e frastagliata e viene denominata rosa. Ogni palco presenta delle scanalature longitudinali dette solchi e delle piccole escrescenze ossee

dette perle. CLASSIFICAZIONE DEI MASCHI IN BASE ALLA RAMIFICAZIONE DEI PALCHI

Nei subadulti i palchi presentano di solito una sola punta ciascuno (negli individui cosiddetti puntuti) o due punte ciascuno (nei cosiddetti forcuti).

Nell’adulto (2 anni) i palchi di norma si ramificano dando origine a 3 punte per ogni palco (individui palcuti).

STANGA DI CAPRIOLO “PALCUTO” IMPALCATURA OSSEA DI TROFEO

(forma tipica; vista laterale) (vista di fronte)

CRESCITA DEI PALCHI Avviene tramite la deposizione di sali di calcio e la moltiplicazione di cellule cartilaginee. Il palco in crescita è coperto da un rivestimento cutaneo, il velluto. Il velluto è costituito da due

strati: 1. uno strato interno costituito da tessuto ricco di vasi sanguigni, con la funzione di portare

sostanze nutritizie ai palchi in crescita; 2. uno strato esterno costituito da pelo corto e fitto, con la funzione di proteggere i palchi in

crescita.

Fasi successive della crescita, della pulitura e della caduta del 1°, 2° e 3° trofeo. Il rivestimento cutaneo che protegge e nutre la stanga in via di formazione è il “velluto”.

OF: osso frontale; S: stelo o tappo; SD: sutura dentata frontale; OP: osso parietale.

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REGOLAZIONE DEL PROCESSO DI ACCRESCIMENTO La crescita dei palchi è regolata da vari ormoni (sostanze chimiche prodotte da ghiandole

specializzate) tra cui i più importanti sono il testosterone (ad azione inibente) e l’ormone della crescita (ad azione stimolante).

Il fattore iniziale è il fotoperiodo: l’allungamento delle giornate in gennaio stimola la produzione dell’ormone della crescita (che favorisce lo sviluppo del trofeo) e di testosterone (che provoca l’ingrossamento delle ghiandole genitali: da 12 grammi in gennaio a 65 grammi in luglio). Ciò determina un aumento di testosterone nel sangue con due conseguenze:

1) aumento dell’aggressività; 2) inibizione del processo di crescita dei palchi.

L’inibizione della crescita porta alla ossificazione completa dei palchi, in seguito alla chiusura dei vasi sanguigni e alla conseguente atrofia e morte del velluto, con conseguente pulitura del trofeo.

In autunno la caduta dei palchi avviene in seguito all’erosione cellulare delle stanghe sotto la rosa, per opera di cellule specializzate (osteoclasti - si veda pag. 13).

CICLO BIOLOGICO DELLA FEMMINA Nel capriolo le femmine si accoppiano tra luglio e agosto, e partoriscono verso la fine di maggio,

per un totale di circa 10 mesi di gravidanza. Il ciclo di sviluppo dell’embrione viene però bloccato pochi giorni dopo la fecondazione per circa 5 mesi (embriostasi); il feto inizia quindi a svilupparsi solo a partire da gennaio, per un totale di circa 5 mesi di gravidanza effettiva: questa è una particolarità fisiologica soltanto del capriolo fra tutti gli artiodattili.

NASCITE E PRIMI MESI DI VITA A partire dal mese di marzo le femmine adulte iniziano a isolarsi e a diminuire i propri

spostamenti in aree sempre più ristrette e con una vegetazione molto fitta. In queste zone partoriranno 2 piccoli (raramente 1 o 3), di solito verso metà-fine maggio.

Nelle prime due settimane di vita la sopravvivenza dei piccoli è legata alla capacità e alla possibilità di nascondersi nell’erba alta o nei cespugli più fitti, seguendo particolari strategie antipredatorie: 1. ogni piccolo viene lasciato solo (nascosto tra la vegetazione); 2. i piccoli rimangono immobili fino al ritorno della madre; 3. i piccoli sono privi di odore; 4. la madre ingerisce le feci dei piccoli per rimuovere le tracce e sposta i piccoli dopo ogni poppata

(fino a 10 volte al giorno). • A partire dalla terza settimana si ha: (1) inizio della ruminazione, (2) comparsa delle prime

“fatte”, (3) ingestione delle proprie feci e di quelle della madre (per instaurare la flora batterica

Ovulazione (estro) e fecondazione (accoppiamento) Durata: 3-4 giorni Periodo: 15 luglio / 15 agosto

Embriostasi o diapausa embrionale (interruzione dello sviluppo embrionale)

Durata: 5 mesi Periodo: agosto / dicembre

Gestazione Durata: circa 10 mesi (5 mesi di embriostasi

+ 5 mesi di gravidanza vera e propria) Periodo: agosto / maggio

Parto Periodo: maggio - giugno

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intestinale e per sopperire alla carenza di sali presenti nel latte), (4) comparsa dell’istinto alla fuga e (5) progressiva diminuzione delle poppate.

• Il riconoscimento della madre avviene solo a partire dalla 3° settimana. ACCOPPIAMENTI

Il periodo degli “amori” nel capriolo va dal 15 luglio al 15 agosto. Il periodo in cui una femmina va in estro (e quindi può di fatto accoppiarsi) dura però solo 3-4 giorni (a differenza delle femmine di daino, che possono avere fino a 6 estri consecutivi, se non vengono fecondate). Questo breve periodo è quindi “critico” per la femmina che deve accoppiarsi per non perdere l’unica possibilità che ha di riprodursi in un anno.

L’accoppiamento viene sempre preceduto dal corteggiamento: in questa fase la femmina si fa inseguire dal maschio (per 30-60 minuti) mettendolo duramente alla prova in una serie di corse estenuanti, spesso in circolo intorno ad alberi e cespugli, per poi permettere l’accoppiamento.

RICONOSCIMENTO SUL CAMPO RICONOSCIMENTO MASCHIO / FEMMINA

Nei PICCOLI il riconoscimento del sesso è possibile solo a partire dal 3° mese di vita, allorchè nei maschi iniziano a spuntare gli abbozzi ossei (bottone): M F

Settembre-Gennaio

nei maschi

abbozzi ossei (2-3 cm)

“bottone”

Febbraio-Aprile

nei maschi: palchi (con velluto)

“puntuto”(2 punte)

“forcuto”(4 punte)

Nei SUBADULTI e negli ADULTI il riconoscimento è più facile perché: • Nei maschi:

(1) è visibile il pennello; (2) per gran parte dell’anno i maschi sono provvisti di palchi (in crescita o formati) (3) lo specchio anale è a forma di fagiolo nel maschio e di cuore rovesciato, con falsa coda, nella femmina (mantello invernale).

RICONOSCIMENTO DELLE CLASSI D’ETÁ NEL MASCHIO • PICCOLI (0-8 mesi)

- Testa slanciata - collo e tronco esili - arti relativamente lunghi - “Bottone” (da settembre a gennaio)

• SUBADULTI (9-21 mesi) - Mutano il mantello prima degli adulti - Sviluppano e perdono il trofeo dopo gli adulti - Trofeo generalmente “puntuto” o “forcuto” - Trofeo basso: supera di poco o è lungo come le orecchie in altezza

• ADULTI (> 21 mesi) - Mutano il mantello dopo i subadulti - Sviluppano e perdono il trofeo prima dei subadulti - Trofeo “palcuto” (6 punte) (o “forcuto” e “puntuto”, in regressione per vecchiaia); rose ben sviluppate - Trofeo alto: supera le orecchie in altezza (fino a 1,5 volte)

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PICCOLI (< 1 anno) SUBADULTI (1-2 anni)

ADULTI (oltre i 2 anni)

3 anni 4-8 anni > 9 anni

Per semplicità si può decidere di definire: MASCHIO ADULTO: maschio con trofeo di altezza superiore alla linea congiungente la punta

delle orecchie; MASCHIO GIOVANE: maschio con trofeo di altezza inferiore alla linea congiungente la punta

delle orecchie. GIOVANI

ADULTI

RICONOSCIMENTO DELLE CLASSI D’ETÀ NELLA FEMMINA • PICCOLE (0-8 mesi)

- Piccole dimensioni - Testa slanciata - Collo e tronco esili - Arti apparentemente lunghi

• SUBADULTE (9-21 mesi) - Mutano il mantello prima degli adulti - Dorso orizzontale - Aspetto relativamente esile (“femmina sottile”)

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• ADULTE (> 21 mesi) - Mutano il mantello dopo i subadulti - Dorso “a sella”

PICCOLE SUBADULTE

ADULTE

3 anni 4-8 anni >10 anni

DENTATURA Nel capriolo la dentatura è definitiva già dopo il primo anno. Ogni emimandibola è composta da 4 tipi di denti:

INCISIVI (I) CANINI (C) PREMOLARI (P) MOLARI (M)

N.B: la lunghezza della mandibola è un ottimo indicatore delle dimensioni corporee in quanto è

strettamente collegato al peso corporeo (indice di stato fisico).

La dentatura completa è costituita in tutto da 32 denti: 12 molari 6 nella mandibola (3 + 3)

6 nella mascella (3 + 3) 12 premolari 6 nella mandibola (3 + 3)

6 nella mascella (3 + 3) 6 incisivi e 2 canini con funzione di incisivi, tutti nella mandibola.

Nella mascella mancano gli incisivi e i canini, sostituiti da una callosità duro-elastica, che si contrappone agli incisivi e ai canini della mandibola per strappare il cibo.

La superficie di masticazione è formata dai PREMOLARI (soprattutto dai P3) e dai MOLARI.

VALUTAZIONE DELL’ETÀ

La valutazione dell’età si effettua in base all’eruzione e all’usura dei denti definitivi.

DENTATURA DEFINITIVA:

Mascella: 0 I;

0 C;

3 P;

3 M.

Mandibola: 3 1 3 3

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Alla nascita sono presenti: 6 incisivi, 2 canini e 12 premolari (tutti denti da latte) per un totale di 20 denti. • Eruzione

Il primo molare (M1) spunta verso i 3-4 mesi. Il secondo molare (M2) e il primo incisivo (I1) compaiono a circa 5-7 mesi. Il secondo incisivo (I2) spunta a 7-9 mesi. Il canino (C) spunta a circa 10-12 mesi. Il terzo incisivo (I3) compare a circa 9-10 mesi. Il terzo molare (M3) spunta verso gli 11-12 mesi. I tre premolari definitivi (P1), (P2) e (P3) sostituiscono i tre premolari da latte a circa 12-14 mesi. Il p3

da latte è TRICUSPIDATO e si distingue da quello definitivo (P3) che invece è BICUSPIDATO. • Usura

Terminata l’eruzione inizia l’usura dei denti; essa è influenzata da: 1. tipo di alimentazione (un’alimentazione a base di piante particolarmente fibrose, oppure in

aree sabbiose, usura prima le cuspidi dentarie); 2. caratteristiche di smalto e dentina; 3. anomalie dentarie.

Per definire l’usura si devono considerare: • proporzione tra lo smalto (strato esterno bianco) e dentina (strato interno scuro); • pieghe del dente; • altezza dell’orlo di masticazione.

Con il passare degli anni l’azione abrasiva del cibo porta all’usura della superficie di masticazione, a partire da P2, P3 e M1 con:

1. spianamento (appiattimento) degli apici e degli orli; 2. riduzione in profondità e scomparsa delle pieghe dello smalto nella fessura; 3. affioramento sempre maggiore della dentina.

Schema di usura: (N.B.: orientativo e non valido in tutte le situazioni)

5 ANNI scompare fessura lobo ANTERIORE di M1 6 ANNI “ “ “ POSTERIORE di M1 7 ANNI “ “ “ ANTERIORE di M2 8 ANNI “ “ “ POSTERIORE di M2 9 ANNI “ “ “ ANTERIORE di M3 10 ANNI “ “ “ POSTERIORE di M3

STIMA DELL’ETA’ DALL’ERUZIONE E USURA DEI DENTI

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SEGNI DI PRESENZA DEL CAPRIOLO Saper interpretare i segni indiretti di presenza del capriolo può dare importanti indicazioni sulle

caratteristiche della popolazione e sulla sua distribuzione. Suddividiamo i segni di presenza in 3 categorie: 1. SEGNI DI PRESENZA COMUNI

Impronte Escrementi Viottoli e siti di riposo

2. SEGNI DI PRESENZA LEGATI ALLA TERRITORIALITÀ Sfregamenti (o “fregoni”) Raspate Vocalizzazioni

3. SEGNI DI PRESENZA LEGATI ALL’ALIMENTAZIONE Cimatura Scortecciamento (raro)

1. SEGNI DI PRESENZA COMUNI IMPRONTA

È formata dagli “unghioni” che ricoprono l’ultima falange del 3° e 4° dito;

meno visibile è l’orma degli “speroni” che ricoprono le falangi terminali del 2° e 5° dito, atrofizzati.

A. Durante la marcia lenta si ha, in genere, la sovrapposizione dell’impronta degli zoccoli posteriori su quella degli anteriori.

B. Durante la corsa gli zoccoli sono divaricati e gli speroni lasciano una chiara impronta sul suolo. Le impronte anteriori e posteriori non sono sovrapposte, con le seconde poste davanti alle prime.

A. PISTA DI UN CAPRIOLO AL PASSO

C. PISTA DI UN CAPRIOLO IN CORSA

ESCREMENTI Sono spesso costituiti da numerosi elementi, sparsi sul terreno o in piccoli

ammassi; colore scuro e forma ovale o a cilindretto, con estremità arrotondate o

leggermente a punta; lunghi 10-15 mm, larghi 7-10 mm.

La forma e la consistenza degli escrementi sono variabili in funzione del tipo di alimentazione stagionale:

1. primavera ⇒ ricchezza di acqua e succhi ⇒ ammassi; 2. inverno ⇒ maggiore componente fibrosa ⇒ piccoli e singoli.

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VIOTTOLI E SITI DI RIPOSO Il capriolo è un animale abitudinario e tende a fare sempre gli stessi percorsi (se non disturbato)

che uniscono i punti di riposo con i siti di alimentazione, etc. Probabilmente i sentieri soddisfano più criteri di sicurezza che di minima distanza fra i punti

(p.es. spesso si trovano nel bosco, paralleli al margine); “giostre” nel periodo degli accoppiamenti; i siti di riposo sono i punti dove il capriolo trascorre le ore di inattività, accovacciato al

suolo; sono spesso semplici giacigli tra l’erba alta o i cespugli, in posizione con buona visibilità dei dintorni, di frequente protetti da sole e pioggia dalle fronde degli alberi.

2. SEGNI DI PRESENZA LEGATI ALLA TERRITORIALITÀ Sono “marcature territoriali” che si manifestano durante la fase territoriale. Sono di triplice natura: visivi, olfattivi e acustici.

SFREGAMENTI O FREGONI Sono degli scorticamenti di arbusti e giovani alberi di ridotto diametro (2-5 cm), ottenuti

mediante lo sfregamento del palco (anche per la pulitura del velluto, ma in questo caso non è un segno territoriale).

L’azione di scorticamento degli arbusti si ferma all’altezza della spalla del capriolo, a circa 65-70 cm.

Vengono distinti: • “sfregamenti di marcatura” (effettuati da maschi territoriali) in cui il danneggiamento della

pianta viene causato dallo sfregamento delle stanghe nell’intento di marcare tramite le ghiandole frontali;

• “sfregamenti di aggressione rediretta” (effettuati da maschi sconfitti o di rango basso) fatti per sfogare la propria aggressività e “frustrazione”.

RASPATE Sono marcature territoriali, sia visive sia olfattive, dovute all’asportazione dello strato erbaceo

mediante colpi di zoccolo. La superficie delle raspate è molto variabile, come anche la forma; spesso si trovano alla base di

cespugli. Anche le raspate, come gli sfregamenti, sembra possano avere la duplice natura di marcatura

odorosa territoriale (zampe posteriori) e di segnali di aggressione rediretta su elementi vegetali (spesso dopo aver effettuato uno sfregamento) VOCALIZZAZIONI

Viene chiamato “abbaio” il classico segnale acustico del capriolo: da alcuni autori è interpretato come territoriale (associato a fregoni e raspate, frequenza maggiore in primavera ed estate), per altri non è territoriale ma è un segnale d’allarme o di sospettosità (lo fanno anche le femmine). 3. SEGNI DI PRESENZA LEGATI ALL’ALIMENTAZIONE

Rispetto ad altri ungulati di taglia maggiore (cervo, cinghiale) il capriolo presenta un ridotto impatto sulla vegetazione e quindi lascia anche pochi segni di consumo del cibo.

Essendo un brucatore la sua attività preferita è il consumo delle gemme e dei germogli apicali, cibo tenero e nutriente, sia delle conifere sia delle latifoglie;

lo scortecciamento tramite morso, così tipico nei cervi, è molto limitato nel capriolo; un consumo alimentare, localmente anche intenso, può riguardare essenze pregiate di orti,

frutteti e vivai; tra le coltivazioni sono spesso mangiate l’erba medica, il mais, la segale, le patate e,

soprattutto, la barbabietola.

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DINAMICA DI POPOLAZIONE Una corretta gestione faunistica non può prescindere dalla conoscenza approfondita delle

caratteristiche della popolazione da gestire. La popolazione non è un’entità fissa ma dinamica, che si modifica nel tempo

DENSITÀ

STRUTTURA PER SESSI

STRUTTURA PER ETÀ

NATALITÀ DINAMICA

DI

POPOLAZIONE MORTALITÀ

EMIGRAZIONE

IMMIGRAZIONE

DENSITÀ

Viene espressa in N° animali per 100 ha di superficie totale o di bosco. Variazioni nel corso dell’anno in funzione di: nascite, decessi, immigrazioni ed emigrazioni;

va riferita a un periodo preciso (in genere prima dei parti) p.es.: AFV “Le Malandrine” – Buonconvento (Siena)

densità primaverile 1994: 24,6 caprioli/100 ha densità autunnale 1994: 33,3 caprioli/100 ha

Il capriolo raggiunge densità molto variabili in funzione della presenza di habitat idonei e del disturbo umano

p.es.: (fonte: D.R.E.A.M.) Aree di caccia, provincia di Siena:

densità primaverile 1992: 9,6 caprioli/100 ha AFV “Monterongriffoli” (Siena)

densità primaverile 1992: 62,9 caprioli/100 ha

Densità e dinamica di popolazione

p.es. un’elevata densità può causare una diminuzione delle risorse disponibili per ciascun individuo

di una popolazione con diverse conseguenze: • riduzione della produttività (N° piccoli/femmina);

• aumento della mortalità; • aumento dell’emigrazione.

STRUTTURA PER SESSI La proporzione fra i sessi (P.S.) è il rapporto tra numero di maschi e femmine di una

popolazione p.es.: P.S.= 1:2,5 significa che nella popolazione per ogni maschio ci sono 2,5 femmine

In natura, alla nascita, la P.S. è circa paritaria (1:1). La P.S. può subire notevoli variazioni a favore di uno dei due sessi a seconda delle condizioni ambientali p.es.: maggiore è la densità e più la P.S. sarà a favore delle femmine (emigrazione e mortalità dei

maschi)

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4

In linea generale la P.S. tende ad essere spostata un po’ a favore delle femmine per diversi motivi:

• emigrazione, competizione territoriale tra maschi; • mortalità, più elevata nei maschi (vita più “stressante”).

Struttura per sessi e

dinamica di popolazione

Il variare della P.S. influenza la dinamica di una popolazione soprattutto perché agisce sulla produttività, p.es.

50 maschi + 50 femmine P.S. = 1:1

N° medio di piccoli per femmina = 0,7 ⇒ 35 piccoli

30 maschi + 70 femmine P.S. = 1:2,3

N° medio di piccoli per femmina = 0,7 ⇒ 49 piccoli

STRUTTURA PER CLASSI D’ETÀ Ogni popolazione può essere suddivisa in diverse classi d’età composte da un numero di

individui sempre minore all’aumentare dell’età Esempio di struttura autunnale d’età per il capriolo (fonte: Ferloni, 1998) 32% giovani (0-1 anni) 19% subadulti (1-2 anni) 43% adulti (2-7 anni) 6% anziani (oltre 7 anni)

Solo pochi individui sopravvivono oltre i 7 anni Mortalità forte e molto variabile dei giovani dell’anno (in relazione a diversi fattori:

disponibilità di alimento, entità della predazione, condizioni meteorologiche) L’emigrazione incide sulla proporzione di subadulti (privi di territorio) Tutta la popolazione è imperniata sugli adulti

Struttura per classi di età e dinamica di popolazione La struttura per classi di età fornisce importanti indicazioni sulla dinamica di una popolazione:

popol. in espansione popol. in equilibrio popol. male strutturata

1: giovani; 2: subadulti; 3: adulti; 4: anziani.

4

3

2

11

2

3

4

3

2

1

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EMIGRAZIONE

Si tratta dell’abbandono della zona di nascita da parte di individui giovani (per lo più maschi di 1 o 2 anni) che non sono ancora “maturi” socialmente, cioè non riescono a conquistarsi una collocazione territoriale. Questa dispersione comporta una maggiore esposizione a predazione e investimenti, rispetto alle femmine.

E’ un fenomeno più accentuato nelle popolazioni ad alta densità. IMMIGRAZIONE

E’ l’ingresso in una popolazione di individui giovani provenienti, in genere, da situazioni a densità maggiore.

Necessità di reperire lo spazio per la formazione del territorio.

Immigrazione e dinamica di popolazione

Variazioni del tasso di migrazione (in entrata e uscita) possono far variare l’incremento utile

annuo (I.U.A.) di una popolazione e quindi la sua dinamica.

MORTALITÀ

Ogni classe di sesso e di età ha una mortalità differente, espressa in % di morti sul totale, p.es. mortalità annuale di una popolazione di capriolo in presenza di predatori (lupo e lince)

• Giovani (0-1 anni) 50%

• Subadulti (1-2 anni) 20-30%

• Adulti (2-7 anni) 5-10 %

• Anziani (oltre 7 anni) 15-20% Va indicato anche il periodo a cui viene riferita, p.es. i piccoli hanno una diversa mortalità

estiva e invernale Mortalità giovanile

Condizioni ambientali post-parto, elevata densità (denutrizione, abbandono), predazione, età della madre, impatto dell’uomo (sfalci, asportazioni)

Mortalità negli adulti e subadulti Rigidità degli inverni, predazione, malattie (soprattutto ad alte densità), conseguenze (dirette o indirette) delle attività aggressive (maschi) o della gravidanza (femmine) nel periodo della riproduzione, impatto dell’uomo (caccia, bracconaggio, investimenti)

Mortalità e dinamica di popolazione

Variazioni della mortalità, differenziate per sessi ed età, alterano la struttura e si riflettono sulla

dinamica di una popolazione. NATALITÀ

Il tasso di riproduzione (T.R.) è il numero di piccoli nati per ogni femmina di capriolo (si veda oltre). p.es. T.R. = 1,21 significa che in una popolazione ogni 100 femmine ci sono stati 121 nuovi

nati Il T.R. dipende da diversi fattori: • clima (condizione fisica degli animali) • disponibilità di risorse alimentari (raggiungimento della soglia di peso oltre la quale la

gravidanza è portata a termine con successo)

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• caratteristiche individuali delle femmine partorienti (il T.R. varia nelle diverse classi di età: è massimo nelle femmine adulte)

• densità di popolazione (in genere in situazioni a alta densità, l’età delle primipare è più alta) In genere 2 piccoli per femmina all’anno (primo parto a 2 anni), dei quali, spesso, solo uno

sopravvive all’inverno L’elevata mortalità dei primi giorni di vita rende difficile stimare la natalità reale quindi, dove

possibile, si determina il numero di embrioni/femmina (abbattuta).

Natalità e dinamica di popolazione

La dinamica è strettamente legata al potenziale riproduttivo e, quindi, alle sue variazioni. p.es. un inverno particolarmente rigido può impedire a gran parte delle femmine giovani di

raggiungere la soglia di peso sufficiente a portare a termine la gravidanza, e pertanto si abbassa fortemente il tasso di riproduzione.

INCREMENTO UTILE ANNUO (I.U.A.)

Corrisponde a: nascite + immigrazioni - morti- emigrazioni

in pratica corrisponde a quanto aumenta una popolazione rispetto all’anno precedente (nello stesso periodo)

p.es. primavera 1997 in totale 100 caprioli nascite: 70 animali (+) immigrazioni: 15 animali (+) morti: 20 animali (-) emigrazioni: 5 animali (-)

primavera 1998 in totale 160 caprioli: I.U.A. = 60% E’ un parametro essenziale per la gestione venatoria, ma non è facile da calcolare, soprattutto

perché sono difficili da determinare la mortalità (naturale e bracconaggio), l’immigrazione e l’emigrazione.

Incremento Utile Annuo e dinamica di popolazione

Sulla base della stima dell’incremento utile annuo (IUA) è possibile formulare un corretto piano di prelievo.

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IL CERVO Generalità Il cervo è il più grande ungulato italiano. Appartiene all’Ordine degli Artiodattili, Sottordine dei

Ruminanti, Famiglia dei Cervidi, Sottofamiglia delle Cervine, Genere Cervus. La sua classificazione tassonomica è Cervus elaphus.

Il cervo è caratterizzato da un accentuato dimorfismo sessuale, in quanto i due sessi differiscono non solo per dimensioni ma anche per aspetto fisico. Al pari degli altri Cervidi, il maschio possiede due appendici frontali caduche (palchi) generalmente simmetriche, ramificate e a sezione approssimativamente cilindrica che, negli individui adulti, possono raggiungere notevoli dimensioni.

Pur presentando una buona plasticità ecologica che lo rende adattabile a diversi ambienti, il cervo predilige boschi di latifoglie o misti di conifere, aperti, d’alto fusto, intercalati da ampie vallate. Mal sopporta inverni rigidi e a lungo innevamento. Si nutre prevalentemente di vegetali erbacei, in inverno anche di ramoscelli e gemme.

TASSONOMIA DEL CERVO

Classe: Mammiferi

Superordine: Ungulati

Ordine: Artiodattili

Sottordine: Ruminanti

Famiglia: Cervidi

Sottofamiglia: Cervine

Genere: Cervus

Specie: Cervus elaphus

La specie Cervus elaphus viene suddivisa in numerose sottospecie, distinguibili per la colorazione del mantello, le vocalizzazioni, la forma dei palchi, alcuni moduli comportamentali, etc. Recenti studi hanno consentito di suddividere la specie in:

• 3 sottospecie europee (C.e.elaphus, montanus, corsicanus); • 2 sottospecie nordamericane (C.e.canadensis, nannodes); • 1 sottospecie nordafricana (C.e.barbarus); • 10 sottospecie asiatiche (C.e.maral, bactrianus, etc.).

In Italia peninsulare è presente la sottospecie C.e.elaphus e in Sardegna C.e.corsicanus

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DISTRIBUZIONE DEL CERVO

• Distribuzione nel mondo

• Distribuzione in Italia: in Italia peninsulare il cervo era quasi completamente estinto agli inizi del secolo XX sia per l’esteso sfruttamento antropico del territorio, sia per la carente gestione venatoria (bracconaggio). L’unico nucleo autoctono forse sopravvissuto è quello ospitato nel Gran Bosco della Mesola (Provincia di Ferrara). L’attuale popolazione di cervi in Italia, fatta salva questa eccezione, è stata originata da gruppi di individui immigrati spontaneamente da paesi confinanti (Svizzera o Austria), oppure è frutto di reintroduzioni, con individui provenienti generalmente dall’Europa centrale o dall’arco alpino. Attualmente l’area di distribuzione del cervo interessa le Alpi e parte dell’Appennino. La consistenza numerica è stimata intorno a 33.000 capi. L’unica area italiana in cui il cervo è sopravvissuto in maniera consistente è la Sardegna, con la sottospecie C.e.corsicanus, di taglia più piccola, ben adattata all’ambiente mediterraneo, ma molto minacciata dal bracconaggio (consistenza attuale: circa 2.000 capi).

DISTRIBUZIONE DEL CERVO IN ITALIA

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PRINCIPALI CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE

MISURE BIOMETRICHE MEDIE IN EUROPA (escluso il cervo sardo)

Maschio adulto Femmina adulta

Peso corporeo (o “peso pieno) 160-220 kg 90-120 kg

Peso animale sventrato (eviscerato o “peso vuoto”) 100-200 kg 60-90 kg

Lunghezza totale (punta del naso – base della coda) 190-205 cm 165-180 cm

Altezza (al garrese) 115-130 cm 100-115 cm

Lunghezza coda 14-16 cm 13-15 cm

ACCRESCIMENTO CORPOREO L’accrescimento corporeo è piuttosto rapido e il 50% del peso definitivo può essere raggiunto già

dopo 12-18 mesi. Il massimo sviluppo corporeo viene raggiunto a 7-8 anni nel maschio e a 4-5 anni nella femmina.

MORFOLOGIA ESTERNA E’ dotato di una corporatura adatta a un ambiente di bosco aperto ad alto fusto e di radura: - corporatura relativamente robusta; - struttura corporea equilibrata, adattata alla corsa in spazi aperti; - appendici frontali (palchi) ramificati e di grandi dimensioni (solo nei maschi).

MANTELLO Nel cervo si distinguono un mantello estivo e uno invernale, che differiscono per lunghezza,

spessore e colore dei peli. • Mantello invernale:

è costituito da pelo fitto e lungo, con una colorazione fulva tendente al grigiastro, simile a quello del capriolo. Particolarmente evidente risulta la grossa macchia di peli colore crema del sotto-coda (specchio anale), che scende lungo le zampe posteriori divenendo quasi bianca e risale verso la groppa, tendendo all’arancione. Nei maschi adulti è presente la “criniera”, costituita da lunghi e folti peli del collo.

• Mantello estivo: colore rosso-fulvo uniforme, meno intenso rispetto al capriolo, con specchio anale evidente.

Il mantello melanico (nerastro) è molto raro.

Piccoli: nei primi due mesi dopo la nascita, il manto si presenta bruno / bruno scuro, con macchie biancastre lungo i fianchi. In inverno (a circa 6 mesi) i giovani maschi sono più chiari delle femmine.

MUTA

Il cambio del pelo avviene due volte l’anno:

• MUTA AUTUNNALE: tra settembre e ottobre. Il cambio del mantello è un processo veloce e non vistoso;

• MUTA PRIMAVERILE: tra aprile e giugno. In primavera il cambio del mantello è un processo lento e molto visibile (il pelo si stacca a ciuffi, dando all’animale un aspetto “tignato”).

Il periodo delle mute è influenzato da fattori climatici, ambientali, dall’età e dallo stato di salute dell’individuo: gli individui giovani, in genere, cambiano il pelo in anticipo rispetto a quelli più vecchi.

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ALTRE CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE

• Ghiandole cutanee: il cervo possiede numerosi raggruppamenti cutanei di ghiandole odorifere che consentono una comunicazione olfattiva, importante soprattutto nel periodo riproduttivo, per le marcature e per il riconoscimento individuale; p.es. ghiandole preorbitali: particolarmente sviluppate nei piccoli e nei maschi adulti durante la

stagione riproduttiva; ghiandole metatarsali: situate a circa metà delle zampe; ghiandole infracaudale e subcaudali: nell’area della coda (caratteristiche della specie); ghiandola frontale: tipica delle femmine.

• Sensi: particolarmente sviluppati l’olfatto e l’udito.

IL PALCO NEL CERVO Il palco del cervo è formato da due appendici frontali piene (stanghe), costituite da tessuto osseo

(in prevalenza carbonato di calcio), inserite su strutture denominate abbozzi o steli che crescono sull’osso frontale dei maschi.

1) FORMA E TERMINOLOGIA I maschi adulti sono caratterizzati dalla presenza di palchi ramificati, a sezione

approssimativamente cilindrica. A pieno sviluppo la lunghezza delle stanghe è compresa tra 85 e 100 cm, per un peso netto di 3,5-6 kg.

“Testa”: in gergo venatorio denomina il palco portato dal cervo in un dato anno p.es. cervo di

“prima testa” è quello che porta il palco per la prima volta. 2) CICLO ANNUALE DEL PALCO

I palchi sono strutture temporanee, con ciclo annuale di sviluppo che prevede la caduta, la crescita e la “pulitura” delle stanghe dal cosiddetto velluto. • La caduta avviene verso marzo, ma i più giovani possono arrivare al rinnovo anche in aprile e i

più anziani a fine febbraio. • La crescita dei palchi inizia subito dopo la caduta, dura circa 3 mesi e avviene prima negli adulti

(verso aprile), seguiti dai subadulti e infine dai piccoli (tra maggio e giugno). • La pulitura dal velluto dura poche ore e avviene ad agosto/settembre (cervi di 1-2 anni) e verso

luglio (cervi più maturi).

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SCHEMA DEL CICLO DEL PALCO

Il ciclo del trofeo è strettamente correlato al ciclo riproduttivo ed è regolato dalla secrezione di ormoni maschili (p.es. testosterone)

3) SVILUPPO DEL TROFEO • A circa 8-10 mesi di vita, in inverno, sulla testa del maschio compaiono i supporti frontali

(abbozzi o steli); • all’età di un anno comincia a svilupparsi la “prima testa”, generalmente costituita da un paio di

aste semplici (lunghezza: da 3 a 40 cm), e priva della “rosa” basale che è segno del rinnovo annuale del palco:

GIOVANI FUSONI o PUNTUTI

• tra 2 e 3 anni di età: il cervo di “seconda testa” sviluppa stanghe ramificate (40-50 cm) con il solo oculare (forcuto) o più spesso con 6-8 punte (palcuto a 6-8 punte):

FORCUTO E PALCUTO

• tra 3 e 4 anni d’età: la “terza testa” è caratterizzata da 8-10 punte, in genere ben distribuite:

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• tra 4 e 6 anni d’età: la “quarta e quinta testa” sono caratterizzate da 10-12 punte. Le aste

acquistano un colore più scuro e la perlatura si rafforza:

• dopo 6 anni d’età: il palco raggiunge il massimo sviluppo e può portare da 14 a 20 punte. La perlatura è forte e le rose basali molto larghe. Negli anni successivi aumenterà solo la massa;

• dopo 15 anni d’età: il palco dà segni di regressione con diminuzione del numero delle punte e della massa cornuale totale.

SCHEMA DELLO SVILUPPO DEL PALCO

1°-9° testa 10°-14° 15°-17° E’ importante notare che:

• le dimensioni e il peso dei palchi aumentano in maniera abbastanza regolare con l’età; • il numero delle punte tende ad aumentare di anno in anno, ma non in progressione diretta con

l’età (p.es. a seconda delle annate si possono osservare delle brusche e transitorie regressioni o progressioni del palco);

N.B. - dimensioni e forma dei palchi sono influenzati moltissimo da fattori genetici e alimentari!

ALIMENTAZIONE • Pascolatore intermedio: erbivoro ruminante che si nutre in prevalenza di piante erbacee

(leguminose e graminacee), con scarso contenuto in proteine grezze e ricche di fibre (p.es. cellulosa, lignina);

NECESSITA’ GIORNALIERA: circa 10-15 kg di foraggio per individuo adulto, al giorno

• adattabile: il regime alimentare varia in funzione dell’area geografica, dell’ambiente e della

stagione; • in assenza di radure e prati e/o durante il periodo invernale, si nutre brucando foglie, rametti e

frutti da alberi e arbusti (p.es. rovi, lamponi, ginestre, eriche, faggiole e castagne) e talvolta scortecciando tronchi (DANNI ALLE COLTURE AGRICOLE E ALLE FORESTE).

COMPETIZIONE ALIMENTARE CON ALTRI UNGULATI • Capriolo: vista la diversificazione del regime alimentare, se la densità delle popolazioni è

relativamente bassa, non si dovrebbe verificare concorrenza alimentare e le due specie possono convivere.

• Daino: per la spiccata somiglianza nell’alimentazione, si può verificare competizione alimentare (p.es. Bosco della Mesola).

• Ungulati domestici: possono verificarsi fenomeni di competizione spaziale, alimentare e problemi di tipo sanitario, specialmente con pecore e bovini.

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RITMI DI ATTIVITA’ E’ attivo sia di giorno sia di notte, con massima attività all’alba e al tramonto. Il disturbo antropico determina un aumento dell’attività notturna. I ritmi di attività variano in funzione del sesso, dell’età, di fattori ambientali e a seconda del

periodo del ciclo biologico annuale (p.es. i maschi adulti durante il periodo degli amori riducono notevolmente la fase di assunzione del cibo).

HABITAT Il cervo è una specie plastica, capace di adattarsi ad ambienti piuttosto diversificati. Predilige

boschi di latifoglie caduche o misti, intercalati da spazi aperti, ma si adatta anche alla pianura, se sono disponibili estesi comprensori forestali con limitato sottobosco. Vive dal livello del mare fino al limite altitudinale della vegetazione arborea (oltre 2.000 m s.l.m.).

I fattori limitanti per la specie sono l’innevamento prolungato, il disturbo antropico e l’assenza di acqua, necessaria non solo per il fabbisogno idrico ma anche per i bagni di fango in periodo riproduttivo.

HOME-RANGE o AREA FAMILIARE - In aree idonee, poco innevate e con limitato disturbo antropico, il cervo è un animale fedele ai

suoi territori.

- Dimensioni medie dello home-range annuale, ma con fortissima variabilità dipendente dalle locali condizioni ambientali, p.es.

• maschio adulto: 700-800 ettari; • femmina adulta: 300-400 ettari.

- Eventuali migrazioni stagionali (anche di notevoli estensioni), dai quartieri invernali a quelli estivi, avvengono seguendo percorsi preferenziali e conosciuti, ricchi di siti di alimentazione, presenza di acqua e di rifugio.

COMPORTAMENTO SOCIALE

SPECIE TENDENZIALMENTE SOCIALE

• Per la maggior parte dell’anno i maschi restano però separati dalle femmine. • Le femmine sono più sociali dei maschi e di solito vivono in gruppi. • L’entità della socialità varia in funzione del tipo di habitat (maggiore nelle brughiere, minore

nelle zone boscose).

ORGANIZZAZIONE SOCIALE DELLE FEMMINE - L’unità sociale di base è il gruppo familiare costituito da madre, piccolo e figlio/a dell’anno

precedente. - Questa unità sociale non è stabile durante l’anno:

• si dilata all’epoca degli amori e dei parti; • può confluire in gruppi più numerosi (costituiti da più “nuclei familiari”, fra essi

imparentati) cui partecipano anche alcuni maschi giovani (fino al 2° anno di vita).

ORGANIZZAZIONE SOCIALE DEI MASCHI - I maschi formano branchi meno numerosi e stabili delle femmine, in genere costituiti da tutte le

classi di età. - Solo i maschi più anziani (> 12 anni) presentano la tendenza ad isolarsi. - Questi gruppi maschili hanno due interruzioni annuali:

• prima del periodo degli accoppiamenti, in autunno; • dopo la caduta dei palchi.

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CICLO BIOLOGICO ANNUALE E BIOLOGIA RIPRODUTTIVA - A fine estate, abbandonata la vita di gruppo, i maschi adulti iniziano a muoversi solitari verso i siti di riproduzione, dove si trovano le femmine. - Dopo aver riunito un branco di femmine (harem), il maschio dominante le difenderà dalle intrusioni degli altri maschi mediante:

• comportamenti di “marcatura” e di esibizione: si rotola nel fango, si impregna dell’odore della propria urina, raspa il suolo con gli zoccoli, strappa la vegetazione con i palchi e soprattutto emette dei potenti vocalizzi (bramiti);

• complesso rituale di lotta che prevede: 1) esibizione del proprio vigore fisico e valutazione delle capacità dell’avversario (emissione

di vocalizzi; marcia fianco a fianco); 2) eventuale scontro diretto che può causare anche notevoli ferite ai contendenti o addirittura

la loro morte. Il vincitore si accoppia.

CICLO BIOLOGICO

CICLO BIOLOGICO DEL MASCHIO

Maturità sessuale fisiologica: 16-18 mesi. Maturità sociale: 6 anni. Periodo di attività sessuale: 6 anni.

CICLO BIOLOGICO DELLA FEMMINA

Maturità sessuale fisiologica: 16-18 mesi (casi estremi fino a 40 mesi, legata al peso corporeo). Maturità sociale: 3 anni. Periodo di attività sessuale: 12 anni. Periodo degli accoppiamenti: settembre-ottobre. Il calore, della durata di 12-24 ore, tende a

sincronizzarsi nelle femmine di uno stesso branco. Tuttavia, le femmine non coperte tornano ricettive dopo circa 16-18 giorni (ciclo poliestrale).

Durata media della gestazione: 34 settimane (235 giorni). Periodo dei parti: maggio-giugno. Numero dei piccoli: 1 (parti gemellari molto rari). Peso alla nascita: 8-9 kg. Cure parentali: il piccolo rimane nascosto nella vegetazione per 7-10 giorni; viene visitato dalla

NON E’ TERRITORIALE non difende cioè un’area dalle intrusioni di altri

individui, ma i maschi adulti, in periodo riproduttivo, difendono il possesso dell’harem o, in casi particolari,

l’area in cui l’harem si muove

Scioglimento (prima dell’estro autunnale)

Scioglimento (alla caduta del palco in primavera)

Branco compatto (estate)

Branco compatto (inverno)

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madre da 6 a 10 volte al giorno per la poppata e le cure corporali. Svezzamento: a circa 6 mesi.

L’età ha un influsso maggiore sul successo riproduttivo del maschio che su quello delle femmine. L’importanza delle dimensioni corporee e del palco, ai fini riproduttivi, restringe il periodo “socialmente” fertile del maschio dal 6° all’12° anno di vita. Le femmine godono invece di un periodo riproduttivo più lungo (dal 2° al 12° anno) e meno variabile rispetto al numero dei figli prodotto ogni anno da individui diversi.

Successo riproduttivo (espresso come numero medio di figli all’anno) dei maschi e delle femmine di cervo nelle diverse classi d’età.

RICONOSCIMENTO SUL CAMPO

1. RICONOSCIMENTO MASCHIO/FEMMINA

Sul campo, la distinzione tra maschio e femmina risulta agevole per il marcato dimorfismo sessuale, a partire dal 9° mese di vita:

- presenza dei palchi nei maschi; - presenza di criniera nei maschi; - diversa struttura fisica.

2. RICONOSCIMENTO A DISTANZA DELL’ETA’ NELLE FEMMINE

Nelle femmine la stima dell’età a distanza può risultare problematica e consente il riconoscimento di 4 classi di età, a partire da 9-10 mesi:

1) piccole: < 9 mesi (entro l’anno di nascita); 2) giovani (sottili): 1 anno; 3) adulte: 2-12 anni; 4) anziane: > 12 anni.

Il riconoscimento si basa sui seguenti elementi diagnostici: - figura complessiva; - forma della testa.

CARATTERISTICHE DELLE CLASSI DI ETÀ NELLE FEMMINE 1) PICCOLE (<9 MESI)

• Profilo del corpo esile, con quarti posteriori apparentemente più alti; • torace poco profondo e arti apparentemente lunghi; • collo molto sottile e tenuto in alto (angolo retto tra collo e linea dorsale); • linea dorsale diritta e posteriore appuntito; • testa corta (l’occhio divide la testa in due parti quasi uguali in lunghezza);

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• comportamento curioso e movimenti rapidi; • stretto legame con la madre;

2) SOTTILI (1 ANNO) • Profilo del corpo snello e taglia inferiore alle femmine adulte; • peso del corpo distribuito uniformemente tra le zampe anteriori e posteriori; • ventre non prominente, torace poco profondo e arti apparentemente lunghi; • collo lungo e più sottile dei maschi (angolo tra collo e linea dorsale molto pronunciato); • linea dorsale diritta e posteriore appuntito; • testa più corta delle femmine adulte, con lineamenti dolci e assenza di infossature e spigolosità; • comportamento curioso e movimenti rapidi; • permane uno stretto legame con la madre.

3) ADULTE (2-12 ANNI) • Testa allungata, muso e orecchie lunghe; il muso con l’avanzare dell’età presenta infossature e

si allarga orizzontalmente nella parte anteriore; • collo più grosso e disteso (angolo tra collo e linea dorsale meno pronunciato); • baricentro del corpo spostato verso gli arti posteriori; • linea dorsale leggermente incurvata; linea del ventre prominente; • comportamento calmo e attento, rimangono vicino al piccolo e vivono generalmente in gruppo.

4) ANZIANE (> 12 ANNI) • Testa spigolosa; • linea del ventre pendente e dorso arcuato; • pelo opaco.

3. RICONOSCIMENTO A DISTANZA DELL’ETA’ NEI MASCHI

Nel cervo maschio si possono distinguere 5 classi di età, a partire da 9-10 mesi: 1) piccoli: < 9 mesi; 2) giovani (fusoni): 1 anno; 3) subadulti (palcuti): 2-5 anni; 4) adulti (palcuti): 6-12 anni; 5) anziani: > 12 anni.

Il riconoscimento si basa su una serie di caratteri diagnostici: - figura complessiva; - portamento del capo; - forma e dimensione del trofeo; - presenza di criniera; - comportamento.

CARATTERISTICHE DELLE CLASSI DI ETÀ NEI MASCHI 1) PICCOLI (<9 MESI)

• Profilo del corpo esile, simile a quello di una femmina, ma con quarti posteriori apparentemente più alti;

• torace poco profondo e arti relativamente lunghi; • collo molto sottile e tenuto in alto (angolo retto tra collo e linea dorsale); • linea dorsale diritta e posteriore appuntito; • testa corta (l’occhio divide la testa in due parti quasi uguali in lunghezza); • possibile evidenza di steli dopo dicembre (7-8 mesi) e formazione della prima testa che può

raggiungere 1-3 cm di palchi in velluto, in maggio (12 mesi); • comportamento curioso e movimenti rapidi; • stretto legame con la madre.

2) GIOVANE (1 ANNO) (FUSONE) • Profilo del corpo snello, simile a quello di una femmina; • baricentro del corpo cade tra le zampe anteriori e posteriori; • torace poco profondo e arti apparentemente lunghi;

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• collo molto sottile, privo di criniera e tenuto in alto (angolo tra collo e linea dorsale molto pronunciato);

• linea dorsale diritta e posteriore appuntito; • muso appuntito; • trofeo di colore chiaro, normalmente puntuto (con assenza di rose) o con accenno di cime; • comportamento curioso e movimenti rapidi; vivono nei gruppi femminili.

3) SUBADULTO (2-5 ANNI) • Profilo del corpo snello; • baricentro del corpo cade tra le zampe anteriori e posteriori; • torace poco profondo e arti apparentemente lunghi; • collo sottile con accenno di criniera e tenuto in alto (angolo tra collo e linea dorsale molto

pronunciato); • linea dorsale diritta; • muso relativamente appuntito e triangolare; • posteriore appuntito; • trofeo da 2 punte a quasi completo per numero di punte; • comportamento curioso e movimenti rapidi.

4) ADULTO (6-12 ANNI) • Muso poco appuntito, con accenno di giogaia; • collo grosso e più disteso (angolo tra collo e linea dorsale meno pronunciato); • criniera presente; • baricentro del corpo spostato verso gli arti anteriori; • torace profondo; • linea dorsale abbassata posteriormente e sviluppo del garrese

anteriormente; • trofeo completo e con dimensioni sempre maggiori; • comportamento calmo, vive generalmente in gruppo.

5) VECCHIO (> 12 ANNI) • Muso triangolare con giogaia; • collo grosso, portato quasi orizzontale (collo e linea dorsale quasi sullo stesso piano); • criniera ben sviluppata; • baricentro del corpo spostato anteriormente; • torace profondo e zampe relativamente corte; • linea dorsale convessa, posteriormente quasi concava, garrese

molto evidente; • trofeo completo o in regresso; • comportamento calmo e riservato; vive generalmente isolato.

DENTATURA

Come per gli altri Cervidi è presente nell’arcata superiore

una superficie callosa che si contrappone agli incisivi mandibolari nella presa del cibo.

Una particolarità del cervo invece è la presenza di un canino rudimentale anche nella mascella.

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Ogni emimandibola è composta da 4 tipi diversi di denti: INCISIVI (3) CANINI (1) PREMOLARI (3) MOLARI (3)

ERUZIONE DEI DENTI

La dentatura da latte di un cervo è costituita da 22 denti: 3 incisivi, 2 canini (1 sopra + 1 sotto) e 6 premolari (3 sopra + 3 sotto)

per ciascun lato del cranio

schema della sequenza di eruzione dei denti a 4-5 mesi Eruzione del 1° molare (M1)

a 12 mesi Eruzione del 2° molare (M2)

tra 14 e 17 mesi Sostituzione dei 3 incisivi da latte (I1, I2 e I3)

a 19 mesi Sostituzione del canino da latte (C)

a 21 mesi Eruzione del 3° molare (M3)

a 25 mesi Sostituzione dei 3 premolari da latte (P1, P2 e P3, bicuspidato)

(da: Wagenknecht, 1984) eruzione dei molari e sostituzione dei premolari

sostituzione degli incisivi e dei canini

La dentatura definitiva di un cervo è costituita da 34 denti: 6 incisivi, 4 canini, 12 premolari e 12 molari

USURA DEI DENTI Completata la sequenza d’eruzione dei denti a circa 25-27 mesi, la stima approssimativa dell’età in

base alla dentatura è possibile in un cervo mediante la valutazione dell’usura della tavola di masticazione. A determinare il grado di usura concorrono diversi fattori:

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• il tipo di alimentazione (più o meno coriacea); • le caratteristiche di smalto e dentina (variabilità individuale); • le eventuali anomalie dentarie (irregolarità nella masticazione).

Con il trascorrere degli anni l’azione abrasiva degli alimenti su molari e premolari porta a:

molare non usurato

molare usurato

• Spianamento degli apici e degli orli, con

abbassamento della tavola masticatoria • Riduzione in profondità e scomparsa delle

pieghe di smalto (fessura) • Affioramento progressivo della dentina

( ) schema della sequenza di usura dei denti (premolari e molari)

a 3 anni Molari con dentina a strisce sottili e fessure ben evidenti tra 4 e 5 anni Si ingrandiscono i rombi di dentina su M1 tra 6 e 7 anni Si ingrandiscono i rombi di dentina su M2 tra 8 e 9 anni Dentina a forma di ampio ovale in M1

a 10 anni Scompare il solco nella prima cuspide di M1 tra 11 e 12 anni Scompare il solco nella seconda cuspide di M1 tra 13 e 14 anni Scompare (o quasi) il solco di M2 tra 15 e 18 anni Corone e superfici di masticazione dei molari spianate

oltre 18 anni Alcuni denti possono mancare (da: Wagenknecht, 1984)

SEGNI DI PRESENZA DEL CERVO Saper interpretare i segni indiretti di presenza del cervo può dare importanti indicazioni sulle

caratteristiche della popolazione e, soprattutto, sulla sua distribuzione Suddividiamo i segni di presenza in 3 categorie: 1. SEGNI DI PRESENZA COMUNI (impronte e escrementi); 2. SEGNI DI PRESENZA LEGATI AL COMPORTAMENTO; 3. SEGNI DI PRESENZA LEGATI ALL’ALIMENTAZIONE.

1.SEGNI DI PRESENZA COMUNI

IMPRONTA

È formata dagli “unghioni” che ricoprono l’ultima

falange del 3° e 4° dito. E’ larga da 30 a 60 mm e lunga da 40 a 80 mm;

nei maschi la punta è più arrotondata che nelle femmine.

MASCHIO

FEMMINA

ESCREMENTI Sono spesso costituiti da piccoli ammassi di forma e consistenza variabili con la stagione. Nei maschi le dimensioni sono maggiori e la forma è a “ghianda”, con apice appuntito; nelle

femmine la forma è più ovale (si veda disegno pag. 20).

2. SEGNI DI PRESENZA LEGATI AL COMPORTAMENTO

SFREGAMENTI: sono degli scorticamenti di arbusti e alberi ottenuti mediante lo sfregamento del palco a dimostrazione del proprio vigore, durante il periodo riproduttivo, ma anche al fine di facilitare la pulitura del palco dal velluto (agosto-settembre) e la caduta delle stanghe (febbraio-aprile).

BRAMITO: caratteristica vocalizzazione dei maschi durante la stagione degli amori; simile a un

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muggito rauco, il bramito è emesso dal cervo per segnalare agli altri maschi contendenti il proprio rango, forza e autorità.

3. SEGNI DI PRESENZA LEGATI ALL’ALIMENTAZIONE

CIMATURA: pur non essendo un brucatore (come il capriolo), ma un pascolatore intermedio, anche il cervo si ciba delle gemme e dei germogli apicali delle piante, cibo tenero e nutriente, sia nelle conifere sia nelle latifoglie; la cimatura, i cui segni si trovano fino a 2 metri di altezza dal suolo, può avere un notevole impatto sul rinnovamento delle giovani fustaie.

SCORTECCIAMENTO: in particolare durante la penuria alimentare invernale, il cervo è solito cibarsi della corteccia che strappa a morsi dai tronchi di svariate specie legnose (conifere, castagno, frassino, etc.). I segni lasciati sul tronco dagli incisivi sono inconfondibili e possono provocare gravi problemi alla pianta, in quanto la espongono all’attacco degli agenti patogeni.

CENSIMENTI Una corretta gestione venatoria non può prescindere dalla conoscenza dell’entità e della

struttura della popolazione.

Censimenti regolari, accurati e standardizzati.

Nel caso del cervo è praticamente impossibile ottenere numeri esatti e quindi si parla di stime (assolute), in genere sottostime (a seconda del metodo).

Non sempre è necessario, a fini gestionali, arrivare ad una stima assoluta dell’entità della popolazione, ma può bastare seguire l’evoluzione della densità in anni successivi mediante stime relative di abbondanza.

Non tutti i metodi di censimento sono sempre utilizzabili

Bisogna scegliere il metodo più adeguato in funzione di:

grado di approfondimento necessario; preparazione e motivazione del personale; numero di persone disponibili e tempo; estensione e caratteristiche ambientali dell’area.

Schematizzando, possiamo individuare 3 diverse tipologie di censimento:

A. Conteggi esaustivi: stima del numero totale di presenti (consistenza) in una data popolazione

B. Conteggi su zona campione: stima del numero di animali presenti in un’area ridotta e successiva estensione all’intero comprensorio

C. Conteggi relativi: definizione di un “indice di abbondanza” relativa, in funzione della dimensione assoluta della popolazione

Esperienze decennali, conseguite sulle popolazioni di cervo dell’Appennino settentrionale (Toscana – Emilia Romagna), hanno dimostrato che le migliori stime quantitative e qualitative delle popolazioni di questo cervide si ottengono abbinando diversi metodi di censimento:

Conteggio al bramito CONSISTENZA

Battute CONSISTENZA (controllo)

Osservazioni STRUTTURA e CONSISTENZA MINIMA

Ogni metodo va realizzato nel periodo più adeguato:

conteggio al bramito fine settembre/inizio ottobre durante il periodo del bramito, al culmine della stagione degli amori

osservazioni da punti fissi fine inverno/inizio primavera

quando gli animali frequentano il primo verde nei prati si possono stimare le consistenze minime presenti

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osservazioni (sparse) da luglio a marzo

in un ampio periodo in cui è possibile osservare tutte le classi di sesso ed età presenti nella popolazione

battute

dopo l’inverno ma prima dei parti quando gli animali presentano una distribuzione meno aggregata e non c’è ancora troppa foglia (magari sfruttando le battute fatte per censire il capriolo)

CENSIMENTO IN BATTUTA

Principio: gli animali vengono spinti verso le poste dove si trovano gli osservatori incaricati del loro conteggio.

Metodo: battitori sempre allineati e in contatto visivo (distanza variabile) su un fronte rettilineo; osservatori disposti attorno all’area di battuta in zone con buona visibilità.

Superficie: meglio zone strette e lunghe; meglio aree piccole che grandi (massimo 100-200 ha; minimo: 20-30 ha); superficie battuta: 10-15% del totale (aumenta in caso di basse densità); la superficie è calcolata solo sugli ambienti boscati.

Periodo: quando gli animali sono inattivi, ad esempio le ore centrali della mattina e del pomeriggio.

Conteggio: ciascun osservatore segna su di una scheda gli animali che passano tra lui e l’osservatore più vicino; i battitori segnano solo gli animali che “sfondano” il fronte di battuta; alla fine vengono raccolte tutte le schede per una valutazione critica.

Organizzazione: la riuscita di questi censimenti è vincolata all’organizzazione; complessivamente servono da 1 a 3 persone per ettaro.

Analisi dati: dai dati ottenuti per le aree campione vengono ricavate le stime per l’intero comprensorio mediante semplici proporzioni.

CENSIMENTO DA PUNTI FISSI DI OSSERVAZIONE Principio: gli animali sono osservati sul “primo verde”, alla ripresa della stagione vegetativa,

nelle aree aperte. Metodo: tutte le superfici aperte di un’area sono censite contemporaneamente da più osservatori

posti in punti sopraelevati (altane, zone sopraelevate, etc.); eventuali integrazioni “alla cerca” in zone boscate con piccole radure.

Superficie: la zona censita va coperta interamente; la superficie delle diverse parcelle varia in funzione della visibilità (morfologia del terreno e vegetazione).

Periodo: l’ideale è tra metà marzo e metà aprile (ripresa vegetativa); variazioni anche in funzione delle condizioni meteorologiche; osservazioni durante i periodi di attività degli animali (alba e tramonto).

Conteggio: tutti dati, raccolti utilizzando ottiche di vario tipo, sono registrati su di una scheda; molto importante è l’ora per determinare i doppi conteggi; raccolta delle schede.

Organizzazione: da 1 a 8 osservatori per 100 ha, preparati al riconoscimento di sessi e classi d’età; almeno 4-6 ripetizioni (2-3 albe e 2-3 tramonti) consecutive e molto ravvicinate; poste invariate negli anni per effettuare dei confronti.

Analisi dati: in genere si stimano la dimensione e la struttura della popolazione prendendo il risultato della ripetizione con il maggior numero di avvistati oppure prendendo il più alto numero di individui avvistato per classe di sesso ed età nel totale delle sessioni.

CONTEGGIO DEI MASCHI IN BRAMITO Principio: vengono contati i maschi bramenti durante il periodo culminante della stagione

riproduttiva per poi risalire alla dimensione complessiva della popolazione. Metodo: un determinato settore boscato viene censito da più operatori contemporaneamente, che

offrano una completa copertura acustica dell’area. Superficie: è necessario campionare l’intera area di riproduzione o comunque una porzione

ampia (almeno il 40%), in settori di 1000-3000 (5000) ha per ogni uscita. Periodo: variabile secondo le zone, nell’Appennino settentrionale l’ideale è tra la fine di

settembre e l’inizio di ottobre; i rilievi vengono effettuati all’incirca dalle ore 21 alle ore 24. Conteggio: tutti i bramiti vengono registrati dai rilevatori su di una scheda annotandone il

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numero, il minuto preciso, la distanza approssimativa e la direzione. Organizzazione: è necessario prevedere almeno 1 punto di ascolto ogni 100 ha e quindi un

minimo di 10-30 (50) operatori per ogni sessione. Analisi dati: il numero dei maschi bramenti viene determinato mediante triangolazioni su carta

dei dati raccolti; questo numero, in teoria corrispondente al numero di maschi adulti, abbinato ai dati di struttura derivanti dalle osservazioni, permette di ricostruire le dimensioni della popolazione.

QUALCHE ESEMPIO DI DENSITÀ PRIMAVERILE DI CERVO IN ITALIA E IN EUROPA

Acquerino (Pt, Po, Bo) 1996 (fonte: D.R.E.A.M. Italia) 1,7-2 capi/100 ha

Foreste Casentinesi (Arezzo) 1995 (fonte: D.R.E.A.M. Italia) 2,4 capi/100 ha

Val di Susa (Torino) 1988 (fonte: Università di Torino) 3,0 capi/100 ha

Isola di Rhum (Gran Bretagna) 1982 (fonte: Clutton Brock et al.)

15 capi/100 ha

Bialowieza (Polonia) 1994 (fonte: Jedrzejewska et al.)

5,4-14 capi/100 ha

DINAMICA DI POPOLAZIONE

Una corretta gestione faunistica non può prescindere dalla conoscenza approfondita delle caratteristiche della popolazione da gestire.

La popolazione non è un’entità fissa ma dinamica, che si modifica nel tempo (si veda schema pag. 22).

DENSITÀ

Viene espressa in N° animali per 100 ha di superficie totale o di bosco.

Variazioni nel corso dell’anno in funzione dei naturali eventi demografici (nascite, decessi, immigrazioni ed emigrazioni), delle condizioni climatiche (persistenza della neve) e delle caratteristiche morfologiche dell’area (migrazioni stagionali, concentramenti)

Il cervo raggiunge densità molto variabili in funzione della presenza di habitat idonei, soprattutto in termini di disponibilità alimentare e di rifugi di sicurezza, del disturbo umano (attività venatoria, bracconaggio, rete viaria, escursionismo) e della presenza di randagismo canino.

Densità e dinamica di popolazione

p.es. un’elevata densità può causare una diminuzione delle risorse disponibili per ciascun individuo

di una popolazione con diverse conseguenze:

• riduzione della produttività (N° piccoli/femmina); • aumento della mortalità; • aumento dell’emigrazione.

STRUTTURA PER SESSI

La proporzione fra i sessi (P.S.) è il rapporto tra numero di maschi e femmine di una popolazione; p.es.: P.S.= 1:2,5 significa che nella popolazione per ogni maschio ci sono 2,5 femmine.

In natura, alla nascita, la P.S. è circa paritaria (1:1), anche se alcuni studiosi suggeriscono una capacità delle femmine di regolare il sesso del nascituro in funzione delle loro condizioni fisiche (Clutton-Brock et al., 1982).

La P.S. può subire notevoli variazioni a favore di uno dei due sessi, secondo le condizioni ambientali e della densità;

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p.es. nella popolazione dell’Acquerino nel periodo 1994-95 la P.S. è risultata compresa tra 1:1,59 e 1:1,37 (fonte: D.R.E.A.M. Italia).

In linea generale la P.S. tende ad essere spostata un po’ a favore delle femmine per diversi

motivi: • emigrazione, competizione per le femmine tra maschi; • mortalità, più elevata nei maschi (vita più “stressante”).

Struttura per sessi e

dinamica di popolazione

Il variare della P.S. influenza la dinamica di una popolazione soprattutto perché agisce sulla produttività, p.es.

50 maschi + 50 femmine P.S. = 1:1

Tasso di riproduzione = 0,7 ⇒ 35 piccoli

30 maschi + 70 femmine P.S. = 1:2,3

Tasso di riproduzione = 0,7 ⇒ 49 piccoli

STRUTTURA PER CLASSI D’ETÀ

Ogni popolazione è caratterizzata da una struttura in classi di sesso ed età, ricavabile attraverso osservazioni effettuate lungo il corso dell’anno: p.es. popolazione di cervo dell’Acquerino, periodo 1993-95

classi % Maschi adulti (oltre 4 anni) 19,3 Maschi giovani (da 2 a 4 anni) 6,8 Maschi fusoni (1 anno) 6,9 Femmine (maggiori di 1 anno) 48,6 Piccoli (minori di 1 anno) 18,4

Struttura per classi di età e dinamica di popolazione

La struttura per classi di età fornisce importanti indicazioni sulla dinamica di una popolazione (si

veda pagg. 5 e 23).

MORTALITÀ

Ogni classe di sesso e di età ha una mortalità differente, espressa in % di morti sul totale; il valore di questi tassi può variare di anno in anno in funzione delle condizioni climatiche e meteorologiche (soprattutto invernali); p.es.: mortalità annuale di una popolazione di cervo in ambiente alpino

(fonte: Tarello, 1991):

Piramide d'età in una popolazione di cervo

> 11 anni

7 - 11 anni

3 - 7 anni

0 - 3 anni

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• mortalità naturale annua degli adulti = 7%; • mortalità naturale nel primo anno di vita = 20%.

Mortalità giovanile, è inferiore rispetto a quella del capriolo e può variare dal 10-15% (in

condizioni ambientali ottimali) al 20-30% (in condizioni ambientali scadenti).

Fattori: condizioni ambientali post-parto (p.es. neve, carestia, etc.), elevata densità (denutrizione, abbandono), predazione, stato fisico complessivo della madre (età, peso, rango sociale).

Mortalità negli adulti, variabile ma in genere compresa tra 5 e 10%.

Fattori: rigidità degli inverni, predazione, malattie (soprattutto a alte densità), impatto dell’uomo (caccia, bracconaggio, investimenti).

Mortalità e dinamica di popolazione

Variazioni della mortalità, differenziate per sesso e età, alterano la struttura e si riflettono sulla dinamica di una popolazione.

NATALITÀ

Il tasso di riproduzione (T.R.) è il numero di piccoli nati per ogni femmina di cervo; p.es.: T.R. = 0,83 significa che, in una popolazione, per ogni 100 femmine ci sono stati 83 nuovi

nati.

Il T.R. dipende da diversi fattori:

• clima (condizione degli animali); • risorse alimentari (soglia di peso); • caratteristiche individuali delle femmine partorienti (età); • densità di popolazione (età delle primipare).

In genere 1 piccolo per femmina, all’anno (primo parto a 2-3 anni); parti gemellari molto rari; p.es.: nella popolazione di cervo dell’Acquerino, nel 1994 è stato rilevato un T.R.=0,54 e un

T.R., calcolato solo sulle femmine di almeno 2 anni, pari a 0,70. (fonte: Mazarone e Mattioli, 1996).

Natalità e dinamica di popolazione

La dinamica è strettamente legata al potenziale riproduttivo e, quindi, alle sue variazioni. p.es.: un inverno particolarmente rigido può impedire a gran parte delle femmine giovani di

raggiungere la soglia di peso sufficiente a portare a termine la gravidanza. Questo abbassa fortemente il N° di femmine che partecipano alla riproduzione.

INCREMENTO UTILE ANNUO (I.U.A.)

Corrisponde alla consistenza iniziale di una popolazione (si veda pag.25) + nascite + immigrazioni - morti - emigrazioni

in pratica corrisponde a quanto aumenta una popolazione rispetto all’anno precedente (nello stesso periodo), p.es.

primavera 1997: in totale 100 cervi (50 maschi e 50 femmine) nascite: 40 animali (+)

immigrazioni: 5 animali (+)

morti: 10 animali (5 adulti e 8 piccoli) (-)

emigrazioni: 5 animali (-)

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primavera 1998: in totale 127 cervi

I.U.A. = 27%

E’ un parametro essenziale per la gestione venatoria ma non è facile da calcolare, soprattutto perché sono difficili da determinare la mortalità (naturale e bracconaggio), l’immigrazione e l’emigrazione (e che pertanto difficilmente vengono utilizzate nel computo dell’I.U.A.).

Incremento Utile Annuo e dinamica di popolazione

Sulla base della stima dell’incremento utile annuo (IUA) è possibile formulare un corretto piano

di prelievo.

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IL DAINO Generalità

Il daino Dama dama è un cervide importato in Italia dai Fenici e dai Romani qualche migliaia di anni fa, dopo la sua locale estinzione in tempi preistorici, e quindi è da considerarsi specie alloctona (cioè di origine non locale), anche se parzialmente “naturalizzata” (cioè ormai ben inserito biologicamente nei locali ecosistemi). La sua distribuzione in Italia era originariamente limitata, ma successivamente è stato introdotto in varie località dell’Appennino e della costa.

E’ un cervide di climi temperati e caldi, fortemente sfavorito da climi freddi e da precipitazioni nevose. Il suo ambiente originale è caratterizzato da vegetazione mediterranea, con alternanza di macchia e boschi aperti di conifere o querce sempreverdi. Tuttavia, si è dimostrato alquanto adattabile e sopravvive, in condizioni libere o di semicattività, praticamente in ogni tipo di ambiente, con l'eccezione di quelli alpini o artici.

Il daino è un ungulato di medie dimensioni caratterizzato da uno spiccato dimorfismo sessuale, con i maschi più grandi delle femmine. Il peso corporeo dei maschi adulti può talvolta superare 100 kg nel periodo estivo, mentre le femmine raggiungono 50-55 kg. Il mantello, nella forma tipica, è rossiccio punteggiato da macchie bianche (cioè, pomellato), ben evidenti nel mantello estivo. Una striscia nera corre lungo la colonna vertebrale e la coda, scontornando i bordi posteriori delle cosce e conferendo allo specchio anale il tipico disegno di “ancora rovesciata”. Il daino presenta diverse varianti del mantello: melanico (cioè, nero), bianco e "menil" (cioè, color nocciola chiaro) sono le principali. I maschi adulti (di oltre 4 anni) sono caratterizzati da palchi ramificati con un'ampia palmatura distale (pala), che è un carattere presente nei Cervidi primitivi.

Questa specie mostra una notevole plasticità alimentare; è stato, infatti, classificato in una posizione intermedia fra i brucatori e i pascolatori puri sulla base della struttura del suo apparato digerente.

Il daino è un animale sociale, che presenta una spiccata separazione sessuale al di fuori del periodo riproduttivo. Gruppi composti di maschi di tutte le età e gruppi di femmine, piccoli e subadulti sono le unità sociali più frequenti, anche se talvolta si possono osservare gruppi misti di grandi proporzioni, ma di scarsa coerenza.

L'apice del periodo degli accoppiamenti, in Italia, ha luogo nel mese di Ottobre, in genere nelle prime tre settimane di questo mese. Le nascite in area mediterranea avvengono principalmente fra la fine di Maggio e la prima decade di Giugno, ma sono possibili parti fino a Settembre. I daini hanno una mortalità, in assenza di predatori, che difficilmente supera il 10% nel primo anno di vita in climi ottimali. Come in molti altri mammiferi poliginici (cioè in cui un maschio normalmente si accoppia con più di una femmina), la durata media della vita delle femmine è superiore a quella dei maschi.

TASSONOMIA DEL DAINO

Classe: Mammiferi

Superordine: Ungulati

Ordine: Artiodattili

Sottordine: Ruminanti

Famiglia: Cervidi

Sottofamiglia: Cervine

Genere: Dama

Specie: Dama dama La forma attuale di Dama dama (daino) apparve in Europa nell’ultimo periodo interglaciale

(circa 100.000 anni fa) con un’ampia diffusione comprendente l’area mediterranea (Italia inclusa) e quella centro-europea fino alla Polonia e Danimarca. Sulla sua scomparsa dall’Europa occidentale i pareri dei paleontologi sono discordi: sembra che l’ultima glaciazione abbia fortemente ridotto la

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distribuzione di questa specie, tipica di ambienti temperati e caldi (cfr. pag. 103). Con certezza il daino è sopravvissuto all’ultima glaciazione esclusivamente in Asia Minore e, forse, in Macedonia e Bulgaria. Sembra che i Fenici, intorno all’anno 1.000 a.C. siano stati i responsabili della reintroduzione del daino europeo nel bacino del Mediterraneo. Da questi nuclei e dalle successive importazioni fatte da Romani e da Normanni, si è originata l’attuale distribuzione europea del daino, ulteriormente estesa con introduzioni pressochè continue fino ai giorni nostri.

SPECIE ALLOCTONA IN ITALIA

PROBLEMI LEGATI ALLE INTRODUZIONI DI DAINO

L’opportunità di eseguire ulteriori immissioni dovrebbe essere attentamente valutata alla luce dei seguenti parametri:

- probabile competizione alimentare con il capriolo e il cervo; - limitata capacità di sopravvivenza del daino in regioni montuose caratterizzate da forti

pendenze, ampie superfici di roccia esposta e innevamento prolungato; - elevate capacità di riproduzione e, per le sue abitudini, difficoltà a controllarne la consitenza

numerica; - capacità di produrre danni consistenti al patrimonio forestale e a alcune colture agricole

(frutteti e vigneti).

DISTRIBUZIONE ATTUALE DEL DAINO

DISTRIBUZIONE DEL DAINO IN EUROPA E NEL MONDO

Attualmente, con l’eccezione di Grecia e Islanda, il daino è presente in tutti gli stati europei. La specie è stata successivamente introdotta anche in Nord-America, Sud-America, Australia e Sud-Africa.

DISTRIBUZIONE DEL DAINO IN ITALIA

Le numerose introduzioni, effettuate in particolare negli anni ’60 e ’70, hanno determinato la presenza di questo ungulato in molte aree recintate e in libertà, con una consistenza complessiva di circa 7.000 capi nel 1991. Il più numeroso nucleo italiano è quello della Tenuta Presidenziale di San Rossore (Pisa). Lungo il litorale tirrenico la specie ha consistenti popolazioni nel Parco Naturale della Maremma (Grosseto) e nella Tenuta Presidenziale di Castelporziano (Roma). L’Appennino centro-settentrionale, dall’Umbria alla Liguria, è popolato da nuclei isolati, più o meno numerosi, a causa delle continue introduzioni. Lungo il litorale adriatico il daino è presente nel Gran Bosco della Mesola (Ferrara), dove sta mettendo a rischio la sopravvivenza dei locali cervi, e nel Bosco Nordio presso Marghera. Varie introduzioni sono state fatte sulle Alpi e in Italia meridionale.

L’areale del daino in Italia si presenta frazionato e in costante evoluzione per le continue immissioni locali, che dovrebbero invece auspicabilmente cessare del tutto!

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DISTRIBUZIONE DEL DAINO IN ITALIA

Area di distribuzione

CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE

PRINCIPALI CARATTERISTICHE MORFOMETRICHE

N.B. Peso vuoto: 65-70% del peso pieno

DIMENSIONI CORPOREE INTERMEDIE FRA CAPRIOLO E CERVO MORFOLOGIA ESTERNA

La struttura corporea del daino è quella tipica di un corridore, funzionalmente adattato agli spazi aperti o semiaperti:

- corporatura relativamente robusta e zampe abbastanza lunghe; - profilo della groppa (linea cinto scapolare – cinto pelvico) dritta e con ridotta compressione

degli arti; - appendici frontali (palchi) ramificati, palmati e di grandi dimensioni (solo nei maschi).

Maschio adulto Femmina adulta

Peso corporeo (o “peso pieno”)

65-120 Kg 40-65 Kg

Lunghezza (punta del naso – base della coda) 180-190 cm 130-160 cm

Altezza (al garrese) 85-100 cm 70-85 cm

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MANTELLO

L’origine “semidomestica” di questa specie ha determinato un’ampia gamma di colorazioni del mantello, che va dalla forma melanica, in cui non si distingue il tipico disegno dello specchio anale, a una varietà bianca.

Le principali colorazioni sono: • Forma pomellata: è la forma selvatica più comune. Presenta un mantello di colore rossiccio-

marrone con pomellatura bianca, evidente sui lati della schiena, sulle spalle e sulla parte superiore degli arti. Le parti sottostanti (collo e pancia) sono chiare o biancastre. Una linea nera percorre la linea mediana dorsale, partendo dalla nuca, e termina, allargandosi, nella parte superiore della coda e nel contorno posteriore delle cosce, dando allo specchio anale la tipica forma di ancora rovesciata su fondo bianco, caratteristica che consente l’immediato riconoscimento della specie. La coda, superiormente nera, presenta inferiormente una colorazione bianca. Il mantello invernale è caratterizzato da una colorazione più scura, tendente al grigio e la pomellatura è assente, o poco evidente, apprezzabile solamente osservando l’animale da vicino.

• Forma melanica: colorazione completamente nera, lievemente più chiara nelle parti sottostanti e nello specchio anale.

• Forma bianca: colorazione completamente bianca in ogni parte del corpo. Da non confondere con l’albinismo: i soggetti affetti da albinismo presentano anche occhi rossi e velluto bianco durante la ricrescita del trofeo.

• Forma menil (isabellino): simile a quella tradizionale, ma con pomellatura più evidente. Non è altro che un’accentuazione dei toni bianchi del mantello normale: le pomellature sono conservate anche durante il periodo invernale e collo e testa sono quasi bianchi nel mantello estivo. Non è presente in Europa.

La frequenza relativa delle diverse colorazioni nelle popolazioni di daino è variabile. In Italia i mantelli più frequenti sono il pomellato e il melanico, distinguibili anche in autunno-inverno (in assenza della pomellatura bianca) per lo specchio anale, che nei pomellati mostra la caratteristica forma a M, non visibile nei melanici. Le giovani femmine melaniche assomigliano a quelle di capriolo, in inverno, a un occhiata superficiale: la presenza di una evidente coda però distingue le daine.

Mantello dei piccoli: nei primi due mesi: di colore bruno / marrone scuro con macchie biancastre sui fianchi.

SPECCHIO ANALE TIPI DI MANTELLO

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MUTA

Esistono due mute del mantello:

• muta primaverile: tra aprile e giugno in funzione del clima, dell’ambiente e dell’età. Infatti, generalmente, i più giovani mutano prima dei più anziani:

piccoli intorno alla metà di aprile

giovani seconda metà di aprile

classi intermedie fine aprile, metà maggio

adulti seconda metà di maggio

deboli, vecchi e malati giugno

• muta autunnale: tra ottobre e novembre:

piccoli intorno alla metà di ottobre

giovani seconda metà di ottobre

classi intermedie fine ottobre, inizio novembre

adulti prima metà di novembre

deboli, vecchi e malati metà novembre

Se si escludono gli individui bianchi, il mantello invernale risulta sempre più scuro di quello

estivo. Come tutti gli ungulati, il daino presenta mute primaverili più vistose di quelle autunnali, infatti

in autunno i peli estivi cadono uno a uno e non a ciuffi. Inoltre, la muta primaverile avviene con l’aiuto dello strofinamento del mantello su arbusti e piante.

PALCHI

1) FORMA E TERMINOLOGIA I maschi adulti (oltre 4 anni) sono caratterizzati da

palchi ramificati con un’ampia palmatura (pala) nella metà superiore del palco. Tipicamente una stanga è caratterizzata da due punte, una basale (pugnale) e una superiore (pila o mediano), sopra le quali si sviluppa la pala, che può avere un numero anche elevato (>10) di cime di pochi cm di lunghezza e dalla cui base posteriore si diparte un’ulteriore punta, la spina.

2) SVILUPPO DEL PALCO • A circa 7-8 mesi di vita (gennaio-febbraio), sulla testa

del maschio si sviluppano gli steli o peduncoli dall’osso frontale, dai quali si originerà il primo trofeo.

• Successivamente (maggio-giugno) inizia lo sviluppo del palco vero e proprio. Il primo palco è costituito da aste senza ramificazioni, di lunghezza variabile (fino a 10-20 cm) e con base ingrossata che darà origine alla “rosa”. Queste aste sono dette in gergo venatorio “fusi” e il maschio tra i 12 e i 24 mesi è detto “fusone” (giovane).

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• Tra 2 e 4 anni di età si sviluppa un palco ramificato, che di norma non ha però palmatura distale, o ne presenta una molto modesta. In questo stadio il maschio è detto “balestrone” (subadulto).

• Dal quarto anno il palco si presenta nella sua forma definitiva e il maschio è detto “palancone” (adulto).

N.B. La collocazione temporale del passaggio tra queste due ultime classi non è assoluta, poiché vi è molta variabilità individuale.

FUSONE BALESTRONE

PALANCONE

3) CICLO ANNUALE DEL PALCO

Il palco del daino, come quello del cervo e del capriolo, è di natura ossea e segue un ciclo annuale di sviluppo (caduta, ricrescita e pulitura dal velluto). Come per gli altri cervidi della fauna italiana, vale la regola seconda la quale la perdita, ricrescita e successiva pulitura del trofeo avvengono anticipatamente negli animali più vecchi e successivamente in quelli via via più giovani.

- Fusoni (12-24 mesi): • maggio-giugno: inizia la crescita del 1° trofeo (“prima testa”); • agosto: pulitura del 1° trofeo; • maggio (successivo) perdita del 1° trofeo e inizio di crescita del 2° trofeo (“seconda testa”).

- Adulti (> 24 mesi): • aprile-maggio: crescita del trofeo; • agosto-inizio settembre: pulitura del trofeo; • aprile-maggio successivo: perdita e inizio formazione del nuovo trofeo.

La colorazione del palco del daino segue gli stessi principi comuni a tutti i cervidi, cioè dipende dalla porosità del trofeo, dall’ossidazione dei residui di sangue e in maggior misura dai succhi e dalla linfa delle piante su cui avviene la pulitura del trofeo.

PERDITA DEL PALCO E RICRESCITA

(APRILE - MAGGIO) (AGOSTO – SETTEMBRE)

PULITURAPALCO “PULITO”

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ALTRE CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE

GHIANDOLE ODOROSE Nel daino sono presenti alcune ghiandole odorose: interdigitali, metatarsali, suborbitali (pari e

presenti in entrambi i sessi) e prepuziali, tipiche dei maschi. 1. Le ghiandole interdigitali sono situate nella linea mediana degli arti, immediatamente al di sopra

di ciascuno zoccolo. 2. La posizione delle ghiandole metatarsali è chiaramente identificabile all’esterno per la presenza

di una macchia ovale di peli chiari (circa 4x3,5 cm) appena sotto il garretto, verso l’esterno. 3. La ghiandola suborbitale, situata al di sotto dell’occhio, è costituita da una piccola “borsa” della

pelle contenente ghiandole sebacee e sudoripare. 4. Il caratteristico odore dei maschi adulti durante il periodo riproduttivo è dovuto alla secrezione

della ghiandola prepuziale, situata all’apice del pene. Le ghiandole, spesso dotate di secrezioni odorose, hanno funzione di richiamo sessuale, di

riconoscimento e, in alcuni casi, di delimitazione dei territori di accoppiamento. L’attività di quelle suborbitali e prepuziali è connessa al ciclo riproduttivo: sono usate per contrassegnare olfattivamente la vegetazione, se stessi e anche altri daini.

RICONOSCIMENTO DELLA SPECIE

Le caratteristiche del “trofeo” (nel maschio) e del mantello consentono di distinguere con facilità il daino dal capriolo e dal cervo.

1) Trofeo: palchi ramificati in modo simile al cervo, ma di dimensioni inferiori, con la parte

superiore allargata a formare la caratteristica “pala”, molto evidente da 3-4 anni di età. 2) Colorazione del mantello: a parte le forme melaniche e bianche, è inconfondibile con le altre

specie europee; i daini pomellati presentano tre bande cromatiche ben distinte: marrone scuro (estate) o grigio (inverno) sul dorso, rossiccio (estate) o grigio chiaro (inverno), sui fianchi e bianco sporco sulle parti ventrali (estate e inverno). Nel cervo e nel capriolo invece il mantello presenta colorazioni più uniformi (marrone rossicce in estate e grigie in inverno), che sfumano con regolarità verso tonalità più chiare nelle parti ventrali.

3) Specchio anale: nei daini pomellati lo specchio anale è bianco bordato di nero, con coda

superiormente nera (di 15-20 cm) bordata di bianco, molto evidente. Nel capriolo invece lo specchio anale è completamente bianco e senza coda, mentre nel cervo assume una colorazione marrone-giallastra con piccola coda marrone scura.

HABITAT

Il daino ha elevate capacità di adattamento a un’ampia varietà di condizioni ambientali. Predilige boschi aperti di alto fusto (di querce e misti di latifoglie), ricchi di sottobosco e intervallati da aree aperte sufficientemente vaste. Vive in pianura, collina e, nell’area mediterranea, anche in media-montagna.

In Italia occupa prevalentemente boschi costieri e macchie a carattere schiettamente mediterraneo o fasce collinari con boschi di latifoglie sino agli 800-1000 metri di altitudine.

La siccità estiva è invece ben sopportata.

ALIMENTAZIONE

• Pascolatore intermedio: come gli altri cervidi, il daino è un erbivoro ruminante. E’ stato classificato in una posizione intermedia fra i brucatori e i pascolatori puri, sulla base della struttura del suo apparato digerente.

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• Adattabile: il regime alimentare varia in funzione dell’area geografica, dello habitat e della stagione.

La sua alimentazione è costituita in netta prevalenza di piante erbacee, anche in fase avanzata di sviluppo (in prevalenza graminacee), arbusti (p.es. rovi Rubus sp., biancospino Crataegus sp., prugnolo Prunus spinosa, acero Acer campestris, corniolo Cornus sanguinea), frutti selvatici, gemme e talvolta corteccia degli alberi. Infatti, in assenza di radure e prati e/o durante il periodo invernale, si nutre brucando foglie, rametti e frutti da alberi e arbusti (p.es. rovi, lamponi, ginestre, eriche, faggiole e castagne) e talvolta scortecciando tronchi (con conseguenti DANNI ALLE COLTURE AGRICOLE E ALLE FORESTE).

COMPETIZIONE ALIMENTARE CON ALTRI UNGULATI • Capriolo: vista la diversificazione del regime alimentare, se la densità delle popolazioni è

relativamente bassa, non si verifica concorrenza alimentare e le due specie possono convivere. • Cervo: per la spiccata somiglianza nell’alimentazione, si può verificare competizione alimentare.

RITMI DI ATTIVITA’ GIORNALIERI

E’ prevalentemente diurno, con picchi di attività alimentare all’alba e al crepuscolo e, spesso, uno minore durante il giorno.

CICLO BIOLOGICO

Il daino è una specie “poliginica”, in cui un maschio feconda più di una femmina, nella stessa stagione riproduttiva. Il ciclo riproduttivo è caratterizzato da una marcata stagionalità con un picco riproduttivo autunnale (ottobre-novembre), cui può seguire un secondo e minore periodo riproduttivo invernale (da dicembre- gennaio, a volte fino a marzo-aprile). Le date di inizio e fine possono variare in funzione della popolazione e dell’ambiente in cui questa vive.

CICLO BIOLOGICO DELLA FEMMINA Maturità sessuale fisiologica: a circa un anno (verso i 16 mesi). Maturità sociale: le femmine, a differenza dei maschi, sono in grado di riprodursi effettivamente dal

secondo anno di vita. Periodo degli accoppiamenti: le femmine possono essere sessualmente ricettive dal mese di ottobre

a febbraio. L’estro, indotto dal fotoperiodo (cioè, la durata delle ore di luce in un ciclo di 24 ore), dura circa 21-25 giorni. Le femmine sono poliestrali (con più ovulazioni o periodi di “calore” in cui possono essere ingravidate) e possono presentare fino a sei cicli successivi, in assenza di avvenuta fecondazione. Sul totale di femmine adulte di una popolazione, nel 90% dei casi estro e concepimento avvengono in ottobre, mentre nel 10% dei casi estro e concepimento avvengono durante l’inverno o la primavera (dicembre-gennaio o aprile).

Durata media della gestazione: 33 settimane (229 giorni). Periodo dei parti: prevalentemente tra la fine di maggio e la prima decade di giugno, ma sono

possibili parti fino a settembre e talvolta fino a ottobre. Numero dei piccoli: 1 (i parti gemellari sono molto rari). Peso alla nascita: 3,5 – 4,5 kg. Allattamento: dura circa 3 mesi (talvolta fino a 9 mesi), e prosegue con frequenza e intensità regolari

fino a settembre. Cure materne: per i primi giorni dopo la nascita, il piccolo rimane nascosto nella vegetazione; è

visitato frequentemente dalla madre per l’allattamento e le cure corporali. Le cure materne si prolungano fino all’anno successivo, e il distacco dei figli dalla madre avviene generalmente dopo i nuovi parti e il raggiungimento dell’indipendenza da parte del piccolo.

CICLO BIOLOGICO DEL MASCHIO Maturità sessuale fisiologica: verso 16 mesi (anche 7-14 mesi). Maturità sociale: 4-5 anni.

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Spermatogenesi (cioè produzione e maturazioni di spermi): da agosto a marzo (con picco a ottobre).

Periodo di attività riproduttiva: fine settembre-inizio novembre, a cui può seguire un secondo periodo riproduttivo invernale in novembre-marzo.

Nel periodo di maggiore intensità riproduttiva nei maschi adulti si evidenziano alcune caratteristiche morfologiche connesse con l’attività riproduttiva:

• odore legato alla forte attività di secrezione delle ghiandole sottorbitali e prepuziale; • aumento della circonferenza del collo; • aspetto sfrangiato dei peli del pene (per la frequente emissione di urina); • aumento ponderale dei testicoli.

SISTEMI RIPRODUTTIVI

Il daino è un ungulato caratterizzato da un comportamento riproduttivo estremamente variabile e elastico. Questa specie adotta diversi sistemi di accoppiamento in relazione al variare delle condizioni ambientali, demografiche, stagionali e fisiologiche.

I sistemi riproduttivi sono divisi in due principali categorie: 1. Sistemi territoriali: i maschi adulti occupano un territorio di pochi mq, che è difeso dalle

intrusioni degli altri maschi. Su questo territorio avvengono gli accoppiamenti. 2. Sistemi non territoriali: i maschi non sono legati a una zona particolare, ma si muovono

seguendo le femmine in calore o prossime all’estro.

STRUTTURA SOCIALE

SPECIE TENDENZIALMENTE SOCIALE COMPOSIZIONE E DIMENSIONI DEI GRUPPI

La composizione e la dimensione dei gruppi variano fortemente nel corso dell’anno: • spiccata tendenza a vivere da soli o in piccoli gruppi in primavera-estate; • maggiore tendenza alla socialità in inverno e in primavera, quando la vita di gruppo

costituisce la regola.

Si possono distinguere tre categorie principali di gruppi sociali:

1) GRUPPI DI FEMMINE: l’unità fondamentale nella struttura sociale del daino è l’unità familiare, composta da una femmina adulta e il suo piccolo, eventualmente anche con il giovane dell’anno precedente. Questi gruppi familiari si associano, principalmente in inverno, per formare gruppi di femmine (alcune decine di capi) in cui però i legami sono deboli e più o meno temporanei.

2) GRUPPI DI MASCHI: i maschi, fra 1 e 2 anni di età, passano dall’unità familiare a gruppi monosessuali di maschi adulti, mentre le femmine di pari età spesso restano con la madre per tutto il secondo anno di vita. I branchi di maschi sembrano essere privi di gerarchia al loro interno (manca un leader) e temporanei. Le dimensioni sono molto variabili (dai 3-4 individui alle 20-30 unità) ma in genere sono di dimensioni minori rispetto a quelli femminili.

3) GRUPPI MISTI: sono tipici del periodo invernale, temporanei e formati dall’associazione dei due tipi di gruppi precedenti (50-100 individui).

La taglia media e la frequenza di questi gruppi è sempre più elevata in ambienti aperti rispetto a quelli boscosi.

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RICONOSCIMENTO SUL CAMPO

1. RICONOSCIMENTO MASCHIO/FEMMINA Le differenze tra i sessi sono estremamente evidenti:

• PALCHI: presenti solo nei maschi. Nei PICCOLI il riconoscimento è possibile solo a partire dal 7°-8° mese di vita, allorché nei maschi iniziano a spuntare gli steli ossei;

• CORPORATURA: maggiori dimensioni dei maschi; • FORMA DEL CAPO: nelle femmine la testa presenta un profilo allungato mentre nei maschi

tende a essere triangolare, con aspetto taurino in quelli pienamente adulti; • COLLO: nei maschi adulti è decisamente più poderoso rispetto a quello longilineo delle

femmine; ben visibile è il caratteristico “pomo d’Adamo”; • MANTELLO: nei maschi è presente il pennello (ciuffo di lunghi peli, circa 12 cm, che riveste la

guaina del pene).

2. RICONOSCIMENTO DELLE CLASSI D’ETÁ NEL MASCHIO

• PICCOLO (< 12 mesi) - testa slanciata, collo e tronco esili; - arti relativamente lunghi; - sviluppo degli steli ossei all’età di 7-8 mesi di età; crescita del 1° palco a partire da 9-10 mesi.

• FUSONE (1-2 anni) - collo sottile; - peso corporeo uniformemente distribuito sugli arti; - linee del dorso e del ventre rettilinee; - muta il mantello prima dei balestroni e palanconi; - pomo d’Adamo e pennello non sempre evidenti; - trofeo costituito da due stanghe singole, aguzze e di lunghezza variabile (fusi); sviluppano e

perdono il trofeo dopo gli adulti.

• BALESTRONI (2-4 anni) - peso corporeo uniformemente distribuito sugli arti; - collo relativamente sottile; testa portata in alto; - linee del dorso e del ventre rettilinee; - pomo d’Adamo e pennello piuttosto evidenti; - mutano il mantello dopo i fusoni; - palchi che presentano un allargamento nella metà superiore (larghezza della pala: <7 cm;

lunghezza della stanga: <50 cm), ma che non raggiungono ancora le dimensioni definitive; - sviluppano e perdono il trofeo prima dei fusoni e dopo gli adulti.

• PALANCONI (oltre 4 anni) - peso corporeo spostato anteriormente; - collo robusto; testa larga e tozza; - linee del dorso e del ventre un po’ incurvate; - pomo d’Adamo e pennello molto evidenti; - mutano il mantello dopo i fusoni e i balestroni; - palchi che presentano la tipica conformazione a “pala” (larghezza della pala: >7 cm; lunghezza

della stanga: >50 cm); - sviluppano e perdono il trofeo prima dei fusoni e balestroni.

Secondo il “Regolamento provinciale per la gestione faunistica e venatoria del capriolo, del daino, del muflone e del cervo”, si definisce:

Balestrone: maschio in cui la larghezza della pala, misurata al di sopra della spina, non

supera i 7 cm (4 dita); Palancone: maschio in cui la larghezza della pala, misurata al di sopra della spina, supera i 7

cm (4 dita).

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ALTEZZA DOVE VIENE VALUTATA

LA DIFFERENZA TRA BALESTRONE E PALANCONE

3. RICONOSCIMENTO DELLE CLASSI D’ETÀ NELLA FEMMINA

• PICCOLE (< 12 mesi) - piccole dimensioni (inferiori alle femmine sottili); - testa breve e slanciata; collo e tronco esili; - arti relativamente lunghi; - profilo del ventre sempre dritto; - mutano il mantello prima delle subadulte e adulte.

SUBADULTE (1-2 anni) - dorso orizzontale e linea del ventre dritta; - aspetto relativamente esile (“femmina sottile”), con corporatura snella; - testa allungata con tratti ancora infantili; - zampe relativamente lunghe; - collo sottile; - mutano il mantello prima delle adulte.

• ADULTE (> 2 anni) - dorso “a sella” e profilo del ventre sempre più cadente con il procedere dell’età; - testa allungata; - mutano il mantello dopo le subadulte.

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DENTATURA Come tutti gli altri cervidi, il daino è caratterizzato dall’assenza di incisivi e canini superiori

(unica eccezione: il cervo), sostituiti da una callosità duro-elastica; nella mandibola, invece, incisivi e canini incisiviformi sono presenti e separati da un largo spazio (diastema) da premolari e molari.

Ogni emimandibola è composta da 4 tipi diversi di denti:

INCISIVI (3) CANINI (1) PREMOLARI (3) MOLARI (3)

Il carattere distintivo degli incisivi di daino è la tipica forma “a pala” della corona.

La dentatura completa è costituita in tutto da 32 denti: 12 molari 6 nella mandibola (3 + 3)

6 nella mascella (3 + 3) 12 premolari 6 nella mandibola (3 + 3)

6 nella mascella (3 + 3) 2 canini tutti nella mandibola e con funzione di incisivi 6 incisivi tutti nella mandibola.

DENTATURA DEFINITIVA:

Mascella: 0 I;

0 C;

3 P;

3 M.

Mandibola: 3 1 3 3

VALUTAZIONE DELL’ETÀ La valutazione dell’età si effettua in base all’eruzione e, quando il fenomeno della dentizione è

completato, dall’usura dei denti.

Nel daino la dentatura è definitiva a 24 – 26 mesi d’età.

Alla nascita sono presenti: 6 incisivi, 2 canini e 12 premolari (tutti denti da latte) per un totale di 20 denti.

• Eruzione Il primo molare (M1) spunta verso i 5 mesi. Il primo incisivo (I1) compare a circa 8 mesi. Il secondo molare (M2) e il secondo incisivo (I2) spuntano verso i 13 mesi. Il terzo incisivo (I3) e il canino (C) spuntano a circa 15-16 mesi. Il terzo molare (M3) compare a circa 21 mesi. I tre premolari definitivi (P1, P2 e P3) sostituiscono i tre premolari da latte a circa 22-24 mesi.

Il P3 definitivo è facilmente distinguibile dal p3 da latte perché presenta 2 lobi (bicuspidato) invece di 3 (tricuspidato).

Caratteristica particolare della dentizione del daino è la sostituzione dei premolari, successiva all’eruzione dei molari, che avviene in direzione postero-anteriore (P3, P2 e, per ultimo, P1).

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Usura Terminata l’eruzione dentale, la stima dell’età si basa sull’analisi dell’usura dei denti che, come

per gli altri ungulati, è influenzata da: 1. tipo di alimentazione; 2. caratteristiche di smalto e dentina; 3. anomalie dentarie.

Con il passare degli anni l’azione abrasiva del cibo (alimenti più duri e fibrosi determinano una maggiore usura) porta al consumo della superficie di masticazione, a partire da P2, P3 e M1 con:

1. spianamento (appiattimento) degli apici e degli orli; 2. riduzione in profondità e scomparsa delle pieghe dello smalto nella fessura; 3. affioramento sempre maggiore della dentina.

Schema di usura: (N.B. orientativo e non valido in tutte le situazioni – si veda pag. 18. )

5 ANNI scompare fessura lobo ANTERIORE di M1 6 ANNI “ “ POSTERIORE di M1 7 ANNI “ “ ANTERIORE di M2 8 ANNI “ “ POSTERIORE di M2 9 ANNI “ “ ANTERIORE di M3 10 ANNI “ “ POSTERIORE di M3

SEGNI DI PRESENZA

Suddividiamo i segni di presenza in 3 categorie:

1. SEGNI DI PRESENZA COMUNI IMPRONTE: l’orma è simile a quella del cervo, ma relativamente più breve e larga. Quella dei maschi è larga 45-55 mm e lunga 65-80 mm; le impronte delle femmine sono più piccole, appuntite e sottili di quelle dei maschi.

ESCREMENTI: sono costituiti da piccoli ammassi di forma e consistenza variabili con la stagione. Sono simili per forma e colore a quelli di cervo, ma generalmente più piccoli.

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2. SEGNI DI PRESENZA LEGATI ALL’ATTIVITA’ RIPRODUTTIVA SFREGAMENTI (FREGONI): sono causati dallo sfregamento dei palchi sulla vegetazione per marcarla durante il periodo riproduttivo e, in estate, per facilitare la pulitura dal velluto.

RASPATE: sono segni di presenza tipici di attività riproduttive “territoriali”, con cui il maschio adulto contrassegna l’area difesa;

BUCHE: i maschi in amore possono creare al centro dell’area frequentata una zona circolare di 2-8 m di diametro, priva di vegetazione;

VOCALIZZAZIONI: emette diversi tipi di vocalizzi in funzione delle esigenze: (p.es. richiamo d’amore del maschio: breve, profondo e cupo (bramito); richiamo d’amore della femmina: simile a un abbaio; richiamo di contatto del maschio: breve e nasale)

3. SEGNI DI PRESENZA LEGATI ALL’ALIMENTAZIONE BRUCATURA: in condizioni di elevata densità di daini, la brucatura può determinare una forma caratteristica in specie arboree e arbustive. Gli alberi con portamento ricadente mostrano una linea netta di brucatura a circa 120 cm di altezza. Gli arbusti, a seguito dell’attività di brucatura, possono assumere una forma conica.

SCORTECCIAMENTO: lo scortecciamento a fini alimentari è raro in ambiente mediterraneo ma più frequente in zone alpine e appenniniche, soprattutto in periodo invernale. Le corteccia di alberi e arbusti mostrano incisioni verticali determinate dagli incisivi.

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IL MUFLONE

Generalità

Il muflone è l’unico rappresentante europeo delle pecore selvatiche. Appartiene all’Ordine degli

Artiodattili, Sottordine dei Ruminanti, Famiglia dei Bovidi, Sottofamiglia delle Caprine, Genere

Ovis. La sua classificazione tassonomica è: Ovis orientalis musimon.

Diversamente dal cervo, dal daino e dal capriolo, che ogni anno perdono i palchi, il muflone

maschio possiede due appendici frontali (corna) simmetriche e permanenti, che si accrescono ogni

anno tendendo a formare una spirale. La femmina invece possiede corna piccole e corte (in Corsica),

o ne è priva (in Sardegna). La corporatura del muflone supera di poco quella del capriolo; i maschi

raggiungono il peso di circa 50 Kg, le femmine pesano in genere 10-20% in meno.

Originario del Medio e Vicino Oriente, fu introdotto nelle isole del Mediterraneo (Cipro, Sardegna

e Corsica, dove frequenta aree cespugliose e rocciose) circa 7.000 anni fa. Da queste isole è stato

recentemente introdotto nella penisola e in Europa, ove ha raggiunto una notevole consistenza,

prosperando in boschi misti e di latifoglie. Mal sopporta inverni rigidi e lungo innevamento.

Gli arti sono adattati a spostamenti su fondo pietroso, con zampe relativamente brevi e robuste e

zoccoli con “unghioni” ben divaricabili.

TASSONOMIA DEL MUFLONE

Classe: Mammiferi

Superordine: Ungulati

Ordine: Artiodattili

Sottordine: Ruminanti

Famiglia: Bovidi

Sottofamiglia: Caprine

Genere: Ovis

Specie: Ovis orientalis

Sottospecie: Ovis orientalis musimon (Europa)

DISTRIBUZIONE DEL MUFLONE

• Mondiale: dal Mediterraneo (isole di Cipro, Corsica, Sardegna) all’Asia Minore, fino all’India nord-occidentale.

• Europea: dalle isole del Mediterraneo, a partire dal 18° secolo, è stato a più riprese introdotto su tutto il continente europeo (attuale consistenza: 60.000 capi circa).

• Italia: “storicamente autoctono” in Sardegna (attuale consistenza: 3.000 capi circa), ma alloctono in Europa (Italia compresa) a seguito di introduzioni, colonie diffuse nella penisola (attuale consistenza: 7.500 capi circa).

In Corsica e in Sardegna è stato probabilmente introdotto dal Medio-Oriente nel 6.000 a.c.. In queste isole il muflone è ritornato allo stato selvatico, diffondendosi.

SPECIE ALLOCTONA IN ITALIA PENINSULARE

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DISTRIBUZIONE MONDIALE DELLE PECORE SELVATICHE

DISTRIBUZIONE ITALIANA DEL MUFLONE

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INTRODUZIONI (immissioni di specie alloctone)

Il muflone è stato introdotto in Europa continentale per: 1) finalità ornamentali; 2) scopi venatori; 3) “valorizzazione” di aree marginali.

CONSEGUENZE DELLE INTRODUZIONI 1) Danni al patrimonio faunistico:

• competizione con altri ungulati selvatici e domestici; • incrocio con pecora domestica.

2) Problemi sanitari per altri ungulati. 3) Danni alle colture agricole e forestali.

PRINCIPALI CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE PRINCIPALI CARATTERISTICHE MORFOMETRICHE (Perco, 1977)

Maschio Femmina

Peso animale sventrato (eviscerato“peso vuoto”)* 30-40 Kg 25-35 Kg

Lunghezza totale (punta del naso – base della coda) 110-130 cm 110-120

Lunghezza coda 4-8 cm 4-8 cm

Altezza (al garrese) 70-90 cm 65-75 cm

* rappresenta circa il 65% del peso pieno. MORFOLOGIA ESTERNA

• Aspetto vigoroso e robusto: animale che sta in un “quadrato” (altezza alla spalla e lunghezza dalla coda alla sterno che si equivalgono);

• assomiglia a una pecora domestica;

• zampe relativamente corte e poco slanciate; • zoccolo formato dal 3° e 4° dito (medio e anulare) e da due “speroni” (2° e 5° dito) posti

superiormente a circa 5 cm dai primi; • colore del mantello variabile da bruno rossastro a marrone scuro, più chiaro nelle

femmine e nei giovani; • dimorfismo sessuale accentuato: nel maschio, manto scuro con “sella” (zona di pelo

chiaro), criniera scura sul collo e sul torace e presenza di corna voluminose.

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MANTELLO

Pelo: ruvido, corto, folto, mai riccio. Muta: - in primavera (marzo - maggio) più evidente;

- in autunno (settembre - ottobre). I giovani mutano prima degli adulti.

MANTELLO NEI MASCHI ADULTI • Il colore varia da bruno rossastro in estate a marrone scuro in inverno. • Nei maschi di età superiore a 2 anni e mezzo compare la sella, ben visibile solo in inverno. • Presenza della criniera, più evidente in inverno. • Estremità degli arti, ventre, sottocoscia, maschera facciale e specchio anale biancastri; il

passaggio fra zone chiare e zone scure, netto nel manto invernale, si attenua nel manto estivo. • Coda nera nella parte superiore che spicca nello specchio anale. • Muso con porzioni di pelo molto chiaro (maschera facciale), che secondo alcuni autori

aumenta al crescere dell’età.

MANTELLO NELLE FEMMINE ADULTE • Mantello bruno, tendenzialmente più scuro in inverno, ma più chiaro di quello del maschio. • Eventuale accenno di “sella” in inverno. • Estremità degli arti, ventre, sottocoscia, maschera facciale e specchio anale biancastri; il

passaggio fra zone chiare e zone scure, meno evidente che nel maschio, è visibile nel manto invernale, si attenua nel manto estivo.

• Coda nera che spicca nello specchio anale. • La maschera facciale, chiara, aumenta al crescere dell’età (stima dell’età).

MANTELLO NEI PICCOLI E NEI GIOVANI • Colore sempre più chiaro degli adulti. • Assenza di “sella”.

criniera

sella

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• Maschera facciale limitata a aree biancastre nelle zone intorno alle labbra (perilabiali) e agli occhi (periorbitali).

IL “TROFEO” NEL MUFLONE

Il “trofeo” è costituito da due astucci di sostanza cornea inseriti su ossa frontali (osso del corno), di forma conica, che si accrescono dalla scatola cranica come protuberanze inclinate posteriormente. Le due appendici frontali nei maschi si sviluppano iscrivendosi in un cerchio tendente a chiudersi negli individui adulti.

A differenza di tutte le pecore selvatiche, le femmine generalmente non hanno corna (Sardegna) (l’assenza delle corna nelle femmine è un segno dell’origine domestica del muflone) o le hanno poco sviluppate (da 6 a 12 cm, molto meno arcuate e più sottili di quelle dei maschi di 1 anno) (in Corsica, il 70% delle femmine è munito di corna: un carattere primitivo che si sta apparentemente riaffermando in questa popolazione).

FORMA - A forma di spirale compressa, larghe alla base, rivolte indietro, poi in avanti e in alto; - a sezione irregolarmente triangolare; - superficie rugosa per la presenza di solchi trasversali (anelli di bellezza); - colore dal marrone al nero.

CRESCITA - L’ormone ipofisario induce la crescita delle bozze ossee fin da poche settimane dopo la nascita; - le bozze si accrescono fino al 4°- 5° anno (osso del corno) ricorte dagli astucci cornei a crescita

continua; - la crescita iniziale delle bozze, forte nel primo periodo, soprattutto anteriormente, induce la

piegatura del corno.

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SCHEMA DI ACCRESCIMENTO DELLE CORNA

OSSO DEL CORNO

ASTUCCIO CORNEO

SVILUPPO

- Alla nascita l’agnello è privo di corna, che cominciano a evidenziarsi a 3-4 mesi; - la curvatura inizia a formarsi a 1 anno, quando misurano in media 16-20 cm;

1 anno appena compiuto

(PRIMAVERA)

- lo sviluppo è notevole nei primi 3-4 anni e soprattutto nel 2°, mentre dall’8°-9° anno l’accrescimento non compensa l’usura delle cime.

LUNGHEZZA DEL TROFEO IN PRIMAVERA

3-4 anni 2 anni

5-6 anni 7 e più anni

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- possono raggiungere la lunghezza di 80-90 cm e una circonferenza basale di 25 cm. La circonferenza basale delle corna si restringe lievemente in età avanzata;

- l’accrescimento è molto lento durante l’inverno (novembre-dicembre) (pausa cornuale), forte in estate e autunno (marzo-novembre), lasciando anelli di accrescimento o cerchi annuali, che separano la parte di nuova formazione da quella precedente e possono non essere presenti negli individui con foraggiamento artificiale;

- le corna non si rigenerano una volta spezzate; - il ritmo di crescita è legato allo habitat, alle risorse trofiche e allo stato di salute dell’individuo.

MISURE DEL TROFEO

Apertura delle spire e circonferenza media

Lunghezza media delle spire (basale, intermedia, terminale)

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ANOMALIE DEL TROFEO Eccezionalmente lo sviluppo delle corna può avvenire in maniera irregolare:

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ALTRE CARATTERISTICHE

• Ghiandole cutanee interdigitali anteriori e posteriori, preorbitali e prepuziali, più attive nel periodo degli accoppiamenti.

• Sensi: - odorato e udito molto sviluppati; - vista superiore agli altri ungulati con pupilla orizzontale, ma scarsa visione dei colori

(prevalentemente diurno, adattato a spazi aperti).

RITMI DI ATTIVITA’

- Abitudini prevalentemente diurne: • animali meno attivi (impegnati nel riposo e nella ruminazione) nelle ore centrali della giornata

(12:00-14:00); • viceversa nelle ore estreme (alba, tramonto), quando sono impegnati in attività di pascolo,

spostamento, gioco, interazioni.

FEDELTA’ ALL’AREA

Stabilità: fedeltà alla località di origine, tipica di entrambi i sessi. Nel periodo degli amori maggiore erraticità dei maschi.

HABITAT

Lo habitat originario del muflone, in Medio Oriente, è costituito da aree prevalentemente aperte, ma in Sardegna e Corsica si è adattato a vivere in zone con vegetazione di macchia mediterranea

- Luogo di origine (Sardegna, Corsica e Cipro): dal livello del mare fino a 1.500 m s.l.m.

Alti pascoli intervallati da zone rocciose, con bosco sottostante di leccio, roverella, orniello e carpino nero.

- Europa continentale: utilizza aree boschive di latifoglie, faggete termofile, foreste di conifere, con pendenze relativamente ridotte e zone rocciose

- Italia peninsulare: vive ad altitudini comprese tra 300 e 2.500 m s.l.m., in boschi di caducifoglie o misti, ma frequenta anche, nel periodo tardo primaverile-estivo, le praterie di altitudine. Il legame con pendici rocciose si mantiene quando queste sono presenti.

VOCAZIONALITÀ DEL TERRITORIO

Conformemente ad una linea prioritaria di rispetto per la fauna autoctona presente, la vocazionalità nei confronti del muflone va considerata solo ed esclusivamente per ambiti territoriali sfavorevoli alla presenza di altri ungulati autoctoni.

Per questa specie sono ottimali le seguenti caratteristiche:

• presenza di ampi settori ad esposizione S, SE, SO, dove bosco e roccia siano ben rappresentati come tali o in mosaico con altre composizioni fisionomiche;

• prevalenza di formazioni vegetali del piano montano; • assenza di randagismo.

ALIMENTAZIONE

- Erbivoro ruminante: caratterizzato da stomaco suddiviso in quattro camere: rumine, reticolo, omaso e abomaso (il vero stomaco).

- Necessità giornaliera: 4,3 kg di foraggio verde/30 kg di peso vivo.

- Pascolatore selettivo: può utilizzare risorse alimentari di qualità relativamente scadente (ricche di fibra) ma, in questo ambito, tende a selezionare le migliori.

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- Adattabile: non mostra reali preferenze per alcun tipo di pianta, ma si adatta a ciò che trova.

p.es. • A Miemo (Provincia di Pisa): principalmente foglie e ramoscelli di Quercus sp., Pistacia

lentiscus, Arbutus unedo, Acer sp., cioè tutte le essenze che costituiscono la macchia mediterranea e, in secondo luogo, di graminacee.

• In Germania orientale: 69% graminacee, 22% foglie e altri vegetali (soprattutto Quercus sp. e Vaccynium mirtillus), 9% prodotti agricoli (segale, cavoli, avena), frutta (ghiande e castagne), semi, felci e funghi.

• Nelle Alpi piemontesi: 25% graminacee, 30% altre specie erbacee, 45% alberi e arbusti.

ADATTAMENTI ANATOMICI E FISIOLOGICI

Rumine Grande

Reticolo Piccolo

Omaso Grande

ben fogliettato

Abomaso Grande

Intestino Lungo (25-30 v.c.)

Digestione Lenta

ADATTAMENTI COMPORTAMENTALI Periodi di attività alimentare: pochi e lunghi. Tempi di ruminazione: lunghi.

DANNI LEGATI ALL’ALIMENTAZIONE

• Danni all’agricoltura: - nocività potenziale del muflone nei confronti dei coltivi; - danni ai prati-seminativi durante la ripresa vegetativa (pascolatore-sradicatore).

• Danni alle attività forestali: - cimatura: di entità irrilevante; - scortecciamenti: di entità variabile in funzione delle popolazioni, dello habitat, della densità e

della variabilità individuale.

COMPORTAMENTO SOCIALE

GREGARIO Specie con spiccata tendenza alla socialità,

che forma gruppi di dimensioni anche notevoli

CONCLUSIONI

• il muflone danneggia certamente meno di altri ungulati ruminanti (il danno provocato è inferiore di tre volte a quello che può provocare un capriolo);

• il muflone non è assolutamente “spartano” nelle esigenze alimentari: è solamente una specie molto più adattabile e, se sono presenti coltivi, questi non vengono certamente rifiutati.

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Sono poco frequenti i casi in cui si possano osservare animali isolati e generalmente riguardano femmine prossime al parto e arieti in età avanzata.

COMPOSIZIONE DEI GRUPPI I gruppi hanno composizione variabile in funzione della stagione, della densità, dello habitat e

della struttura di popolazione (p.es.in territori aperti c’è maggiore tendenza all’aggregazione).

- DA APRILE A SETTEMBRE: si formano gruppi unisessuali: 1) gruppi di femmine adulte, femmine sottili, maschi fino a 1 anno di età e piccoli (gruppi

matriarcali); 2) gruppi unisessuali di maschi adulti (oltre 2 anni) che durante il secondo anno di vita

hanno completamente sciolto ogni legame con la madre; 3) maschi anziani solitari.

In caso di avversità meteorologiche, si possono creare “gruppi aperti” in siti di rifugio.

- PERIODO RIPRODUTTIVO: gruppi misti cui si aggiungono i maschi in cerca di femmine (solo i maschi “ben adulti” partecipano all’attività riproduttiva) (ottobre-febbraio)

- PERIODO DEI PARTI: le femmine si isolano; i branchi sono meno numerosi e formati esclusivamente da giovani di entrambi i sessi (marzo-aprile)

CICLO BIOLOGICO ANNUALE e BIOLOGIA RIPRODUTTIVA

• Periodo degli accoppiamenti: il picco è tra OTTOBRE e NOVEMBRE, con variazioni anche notevoli dovute alle condizioni ecologiche (p.es. sull’Appennino si assiste a accoppiamenti anche in settembre).

• I maschi sono sessualmente fertili durante tutto l’anno.

• Le femmine sono sessualmente ricettive da SETTEMBRE-OTTOBRE fino a MARZO-APRILE. L’accoppiamento viene accettato solo per 48 ore circa; se non si instaura la gravidanza, esse torneranno ricettive dopo 18-20 giorni (ciclo poliestrale stagionale). Non vanno in calore tutte contemporaneamente.

• Maturità sessuale femminile: 18 mesi (ma talora anche a 9 mesi).

• Maturità sessuale maschile: 18 mesi.

• Età effettiva di accoppiamento dei maschi: > 3-4 anni.

• I maschi riproduttori non sono territoriali: durante il periodo di estro delle femmine si riuniscono al branco per fecondarle.

• Sistema maschile di accoppiamento nelle aree aperte: individuazione dall’alto delle femmine e successivo avvicinamento a esse.

• Sistema maschile di accoppiamento nelle aree boscose: ricerca olfattiva delle femmine.

• Struttura gerarchica maschile: si instaura mediante combattimenti e interazioni aggressive tra maschi (p.es. su 180 crani di maschi adulti, 135 con danni evidenti a corna, ossa craniche e denti) non esclusivamente legati al periodo riproduttivo.

• Periodo dei parti: apice tra inizio marzo-maggio. Parti tardivi (agosto-settembre) sono stati segnalati sia in colonie alpine sia in quelle appenniniche.

• Gestazione: dura 150-160 giorni. • Parti: viene in genere partorito un solo piccolo (parti gemellari: 5-10%, ma estremamente

variabile in base all’ambiente). Le primipare posticipano (40-50 gg). Spontaneo isolamento temporaneo della femmina al momento del parto.

• Peso alla nascita: 2-2,5 Kg.

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• Allattamento (4 capezzoli): sino al 4°-5° mese, ma l’importanza alimentare del latte rimane alta solo nei primi 2-3 mesi.

• I piccoli mantengono uno stretto legame con la madre durante il primo anno di vita; dal secondo anno il rapporto madre-agnello tende a ridursi, prima nel maschio e poi nella femmina.

• Fattori di mortalità nei piccoli: neve, predatori (cani, lupo, volpe, aquila).

CICLO BIOLOGICO ANNUALE

RICONOSCIMENTO SUL CAMPO

1. RICONOSCIMENTO MASCHIO/FEMMINA

• Problematico nei piccoli di età < a 3-4 mesi; • Agevole dai 6 mesi (da settembre–ottobre) per il visibile dimorfismo sessuale:

- corna e criniera (evidente dopo 2 anni) nei maschi; - manto più scuro e “sella” ben evidente nei maschi adulti (soprattutto in inverno); - taglia maggiore nel maschio.

2. RICONOSCIMENTO A DISTANZA DELL’ETA’ NEI MASCHI

1) Completezza del “cerchio” delle corna: è valido se si osserva l’animale lateralmente con la testa in posizione orizzontale. Anche se non si può determinare l’età esatta, è agevole riconoscere le seguenti classi di età: • AGNELLO (piccolo < 12 mesi): corna appena curve, in cui l’arco di cerchio è appena

accennato (15-20 cm); • GIOVANE (fino a 2 anni): corna che hanno compiuto circa un terzo dell’angolo giro (360°); • ARIETE (adulti di oltre 2 anni): l’angolo tende sempre più a chiudersi (3/4 di angolo giro,

cioè 270° a tre anni e via di seguito).

Nella valutazione dell’età bisogna sempre tenere presente che il corno è in accrescimento dalla primavera fino all’autunno.

Una valutazione che si basi sulla lunghezza o sul completamento del “cerchio” formato dalla spirale del corno, vista da una posizione laterale, deve considerare il periodo dell’anno in cui essa viene effettuata.

Gestation = gestazione Mise-bas = nascite Lactation = allattamento Rut = periodo degli amori

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Nei mesi caldi, non è facile stimare esattamente l’età avvalendosi dei criteri soliti, in quanto il corno si trova in uno stadio intermedio di accrescimento. p.es. un animale di 7 mesi (ottobre) presenta corna uguali a quelle di un animale di 1 anno e 1 mese

(aprile) in quanto le corna non si sono quasi ulteriormente accresciute per la pausa cornuale.

2) Direzione delle cime: criterio valido se si osserva l’animale da una posizione laterale e frontale, soprattutto per valutare la differenza fra il muflone giovane e quello maturo.

1: ariete maturo (cime nettamente rivolte verso l’alto). 2: maschio immaturo (cime acute, rivolte verso il basso). 3: ariete maturo (cime apparentemente smussate, sono invece rivolte

verso l’alto). 4: ariete maturo, che ha superato il culmine dello sviluppo (il “trofeo” si

restringe alla base e è ben visibile una netta separazione tra le due corna, nel punto di insorgenza).

3) Colore della faccia: metodo, non condiviso da tutti, secondo il quale l’ampiezza della mascherina chiara denuncerebbe l’età più o meno avanzata.

4) Comportamento: sicuro elemento per diagnosticare con esattezza la classe sociale. E’ possibile –

osservando i vari atteggiamenti dei maschi del branco – distinguere i subordinati dai dominanti, cioè i più giovani dagli anziani, ma l’età di questi può variare da popolazione a popolazione.

CARATTERISTICHE RIASSUNTIVE DELLE CLASSI DI ETÀ NEL MASCHIO

- Agnello (età < 12 mesi): • Taglia ridotta (peso “pieno”: 18 Kg circa); • corna brevi (15-20 cm a fine inverno), appena curve,

in cui l’arco del cerchio è appena accennato; • muso breve, con maschera facciale ridotta alle aree

periorbitali e perilabiali; • assenza di sella e mantello più chiaro; • comportamenti infantili (gioco, curiosità); • stretto legame con la madre.

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- Giovane (età 1-2 anni): • taglia intermedia tra agnello e adulto (peso: 22,5 kg); • arti apparentemente lunghi; • muso giovanile con macchie perilabiali e periorbitali

poco evidenti; inizia a formarsi la macchia perinasale che arriva al massimo tra la punta del naso e l’altezza degli occhi;

• corna comprese tra 15 cm (subito dopo il primo inverno) e 30-35 cm nell’autunno successivo; le punte delle corna non sorpassano la linea del collo;

• assenza di sella e mantello più chiaro; • non partecipano attivamente agli amori.

- Ariete adulto (età 3-6 anni) • Taglia media (peso 53 Kg); • corna comprese tra 50-85 cm; le punte delle corna

superano nettamente la linea del collo fino ad arrivare al massimo alla congiungente tra la base dell’orecchio e la bocca; lo sviluppo dei corni supera 200°;

• la macchia perinasale in genere supera il punto di mezzo tra la punta del naso e l’altezza degli occhi; le macchie perioculari sono evidenti;

• torace robusto e arti apparentemente corti; • criniera e sella (più evidente in inverno); • partecipano attivamente agli amori.

- Ariete maturo (età >7 anni) • Taglia tozza e superiore alla media; • corna lunghe più di 80 cm; le punte delle corna

superano di poco la congiungente tra la base dell’orecchio e la bocca; lo sviluppo di almeno una delle corna si avvicina a 270°;

• la macchia perinasale si estende sulla maggioranza della testa; le macchie perioculari sono molto evidenti;

• criniera e sella (più evidenti in inverno); • torace robusto e arti apparentemente corti; linea

della groppa incavata; • partecipano agli amori.

3. RICONOSCIMENTO A DISTANZA DELL’ETA’ NELLE FEMMINE

La valutazione è resa difficile dalla mancanza di corna. Si possono distinguere, dopo il periodo dei parti, le femmine “sottili” (di 1 anno compiuto) che non hanno partorito, da quelle più vecchie. Le femmine anziane possono essere riconosciute dal profilo più spigoloso, da una lieve infossatura della linea della schiena, da altre caratteristiche come il pelame opaco e la testa angolosa.

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- Agnello (età < 1 anno): • Taglia ridotta (peso: 18 Kg); • muso breve, profilo a cono, con maschera facciale

ridotta alle aree periorbitali e perilabiali;• mantello più chiaro; • comportamenti infantili (gioco, curiosità); • stretto legame con la madre.

- Giovane (età 1-2 anni) nello (età < 1 anno):

• Taglia intermedia tra agnello e adulto; • arti apparentemente lunghi; • muso a punta con profilo conico allungato,

macchie perilabiali e periorbitali poco evidenti, inizia a formarsi la macchia perinasale;

• il legame materno è molto labile.

- Adulta (età >3anni) • Taglia definitiva e superiore alle giovani (peso medio: 34 Kg); • la macchia perinasale è sempre estesa oltre il naso, sino a superare nelle anziane la linea degli

occhi; macchie perioculari molto evidenti; • muso allargato, maschera facciale larga sulla fronte, testa allungata e circa rettangolare; • schiena incavata e pelo più grigio nelle anziane; • torace profondo e arti apparentemente corti; • generalmente gravide o con piccolo al seguito.

DENTATURA

Formula dentaria: 0 0 3 3

3 1 3 3 Totale = 32 denti

CARATTERISTICHE DELLA DENTATURA • I mufloni (come tutti i Ruminanti) sono privi di incisivi nella mascella superiore, sostituiti da

una callosità; • il canino della mandibola (cantone) è addossato agli incisivi; • i premolari sono in tutto 12.

VALUTAZIONE DELL’ETÀ DALL’ANALISI DELLA MANDIBOLA

Fino a 4 anni si può determinare l’età dall’eruzione dei denti (dentizione). In seguito bisogna basarsi sull’usura della tavola dentaria.

DENTIZIONE Comparsa dei denti da latte e loro sostituzione con denti definitivi (valutata sull’emimandibola): • alla nascita presenti tre incisivi (i1, i2,i3) e un canino (c) da latte; • entro il primo mese spuntano il 1° e il 2° premolare da latte (p1, p2);

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• al terzo mese spunta il 3° premolare da latte (p3) tripartito; • tra il terzo e il quinto mese spunta il 1° molare definitivo (M1); • tra il decimo mese e il tredicesimo spunta il 2° molare definitivo (M2); • a due anni circa (24-28 mesi) cambiano i tre premolari (P1, P2, P3); il P3 è diviso in due parti; • entro i due anni e mezzo (24-32 mesi) spunta il 3° molare definitivo (M3); • gli incisivi da latte sono sostituiti tra un anno e mezzo e due anni e mezzo:

- tra il 17°-19° mese viene sostituito i1 (I1) - tra il 25°-27° mese i2 (I2) - tra il 32° e il 34° mese i3 (I3)

• il canino da latte (c) è l’ultimo dente che viene cambiato, tra i 3 anni e mezzo e i quattro anni (C) (43-46 mesi).

USURA Questo metodo si basa sull’analisi dell’usura (consumo) della tavola dentaria che tende a

appiattirsi in funzione dell’età, ma anche dipendentemente del tipo di alimentazione. • A 5-6 anni usura nella fessura del 3P (nel lato prossimale); • a 8-9 anni iniziale usura degli incisivi e “spianamento” del 1M.

SCHEMA DI SOSTITUZIONE DEGLI INCISIVI E DEL CANINO DA LATTE

SEGNI DI “IMBASTARDIMENTO”

Il muflone si incrocia con la pecora domestica (appartengono infatti alla stessa specie), dando prole fertile. L’incrocio avviene spontaneamente nelle aree in cui muflone e pecora domestica convivono.

Tuttavia, nei primi tempi della sua introduzione in Europa, l’incrocio fu facilitato per volontà umana, per i seguenti motivi:

• difficoltà nel procurarsi i riproduttori sardi o corsi; • per aumentare la tolleranza del muflone ai climi rigidi; • per aumentare la taglia e la bellezza del trofeo. I primi incroci quasi non denunciavano la loro origine domestica. In seguito si manifestarono però

caratteri morfologici e comportamentali tipici della pecora domestica.

SEGNI MORFOLOGICI DI “IMBASTARDIMENTO”

- variazioni della colorazione del manto, con toni giallastri tipici della pecora; - pelame lanoso e ricciuto; - parte posteriore della coda non completamente nera;

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- zoccoli e corna molto chiari; - presenza di macchie bianche in varie parti del corpo;

SEGNI DI DUBBIA ATTENDIBILITÀ: - assenza di sella; - corna eccessivamente divergenti; - notevole lunghezza della criniera invernale nei maschi.

SEGNI COMPORTAMENTALI DI “IMBASTARDIMENTO” (non condivisi da tutti gli autori)

- diminuzione della naturale elusività, rusticità e diffidenza nei confronti dell’uomo; - tendenza a pascolare preferibilmente nei campi coltivati; - modificazione delle abitudini alimentari (aumento dello scortecciamento e della cimatura).

SEGNI DI PRESENZA

1) ORME L’impronta lasciata dallo zoccolo è uguale a quella della pecora domestica. Generalmente si imprimono sul terreno solo due zoccoli (3°-4° dito); in condizioni particolari

(neve e fango) o con animale in corsa, sono visibili anche gli speroni. Forma ovale con le punte degli “unghioni” piuttosto divaricate (soprattutto in corsa) e rivolte

leggermente in dentro; ai bordi dell’impronta risulta ben impresso lo spigolo appuntito e tagliente dello zoccolo.

Dimensione: maschio: lunghezza 5,5-6 cm; larghezza 4,5 cm; femmina: lunghezza 4,5-5,5 cm; larghezza 3,2-3,7 cm.

2) TRACCE

In tutte le andature si evidenzia la tendenza del muflone a rivolgere gli zoccoli all’esterno. • Andatura al passo: le orme degli zoccoli anteriori si sovrappongono in tutto o in parte a quelle

degli zoccoli anteriori. • Andatura al galoppo: successione di gruppi di quattro impronte (le prime due degli arti

posteriori, le altre agli arti anteriori).

3) ESCREMENTI Molto simili a quelli di pecora da cui spesso non sono

distinguibili. Si presentano come singoli elementi lunghi in media 1,5

cm (anche di più nei maschi adulti) o in masse più o meno compatte, paragonabili a “fichi secchi” accatastati alla rinfusa. I singoli elementi presentano una somiglianza con le fatte di giovani di cervo e di daino.

4) VOCALIZZI

• belati: tipica vocalizzazione, simile a quella della pecora;

RITORNO A MUFLONI DI RAZZA PURA E EVITAMENTO DELL’INCROCIO

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p.es. - belati dei piccoli e delle madri: con funzione di riconoscimento, tipici da marzo all’autunno;

- belati delle femmine: particolarmente attraenti per i maschi durante il periodo riproduttivo;

• fischi: presenti in tutte le classi di sesso e di età, emessi espellendo aria dalle narici, con funzione di allarme;

• suoni gutturali: emessi dai maschi durante le fasi di corteggiamento.

5) SEGNI SULLA VEGETAZIONE

Strappi: scortecciamento (a altezza variabile) di piante adulte a scopo alimentare, realizzato con gli incisivi a contrasto con la callosità superiore;

segni degli zoccoli: per mangiare, il muflone si appoggia frequentemente alle piante, dove può imprimere, a altezza variabile, il segno degli zoccoli;

scortecciamenti degli alberi, inflitti con le corna;

morso: identificabile, come in tutti gli ungulati ruminanti, dal segno del taglio (quasi mai netto, ma con margine leggermente sfilacciato).

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CENNI DI CARTOGRAFIA LE CARTE GEOGRAFICHE Le carte geografiche sono la raffigurazione in piano di tutta la superficie terrestre, o di parte di essa. Le carte geografiche servono a moltissimi usi, non solo nello studio della geografia ma anche nella vita di tutti i giorni; basti pensare alle carte stradali o alle mappe di città. Un nuovo tipo di carte geografiche sono quelle multimediali che permettono di visualizzare una grande parte di territorio e poi di ingrandire la parte a cui siamo interessati fino a visualizzarne i più piccoli particolari. Le carte hanno le seguenti caratteristiche:

1. sono ridotte 2. sono simboliche 3. sono approssimate

Le carte geografiche devono essere ridotte secondo un fattore che ne definisce la scala, espressa con una frazione avente per numeratore 1 e per denominatore il numero per il quale si deve dividere l'unità di misura lineare per ottenere la grandezza del suo valore sulla carta. Per esempio una carta con scala 1:1.000.000 significa che 1 cm sulla carta corrisponde a 1 Km nella realtà. Naturalmente se si misura la distanza fra due centri sulla carta questa non corrisponde alla distanza effettiva nella realtà, perché la carta non tiene conto di montagne, valli, curve, fiumi, ecc., ma misura solo la distanza in linea d'aria. Più grande è la scala di riduzione delle carte, maggiore è il territorio che si può rappresentare sulla carta, ma maggiori sono i particolari che vanno persi. Le carte geografiche sono simboliche in quanto in esse compaiono simboli o segni convenzionali che raffigurano, in modo sistematico, i vari elementi topografici e geografici della realtà. Si usano linee di diverso colore per i fiumi, le coste, i confini, le vie di comunicazione; macchie di colore per le pianure, i mari e i laghi; sfumature o tratteggi per le montagne; varie forme geometriche per le sedi umane, ecc. In generale, i segni convenzionali sono raggruppati e spiegati in un riquadro della carta geografica, che viene chiamato leggenda (o legenda). I simboli che vengono usati sono accompagnati da scritti che danno i nomi dei principali oggetti geografici rappresentati e da cifre che indicano le quote di altitudine e profondità. Le carte geografiche sono rappresentazioni approssimate per due motivi:

1. perché non raffigurano tutti gli oggetti che troviamo sulla superficie terrestre, ma solo quelli più importanti ai fini della carta geografica;

2. perchè la rappresentazione su un piano di una sfera, che si esegue secondo proiezioni geometriche, comporta gravi deformazioni.

LE SCALE La scala numerica è una frazione il cui numeratore è sempre uno e il suo denominatore un numero che indica quante volte le distanze reali sono state ridotte sulla carta. La scala 1:50.000 ad esempio significa che ogni distanza reale è stata ridotta di 50.000 volte e che quindi un millimetro della carta corrisponde a 50.000 millimetri sul terreno nella realtà, un centimetro sulla carta a 500 metri sul terreno. Nell’uso della carta non è comunque necessario fare calcoli complicati, poiché ogni carta riporta accanto alla scala numerica anche la corrispondente scala grafica con indicata la proporzione tra le distanze sulla carta e quelle in realtà sul terreno.

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Per una valutazione immediata, senza ricorso ai calcoli, si possono tenere presenti le seguenti corrispondenze: SCALA 1: 25.000 1 cm = 250 metri 4 cm = 1 km SCALA 1: 50.000 1 cm = 500 metri 2 cm = 1 km SCALA 1:100.000 1 cm = 1 km Da questi esempi risulta chiaro che più il denominatore è piccolo, tanto più grande è la rappresentazione cartografica, si chiamano quindi carte a grande scala quelle con scala fino a 1:100.000 usate per orientamento, mentre carte a piccola scala quelle con denominatore maggiore. Di elevato interesse ai fini della programmazione e gestione del territorio sono inoltre le carte tematiche, che rappresentano principalmente su base geografica o topografica dei temi (natura del suolo, elementi climatici, distribuzione della vegetazione, densità della popolazione, distribuzione delle singole colture, ecc.). La Carta topografica d’Italia, la cui realizzazione è affidata all’Istituto Geografico Militare (I.G.M.), alla scala 1:100.000 consta oggi di 285 fogli. Ad ogni foglio al 100.000 corrispondono quattro carte al 50.000, chiamate quadranti, che si indicano col numero del foglio e con un numero romano (da I a IV) secondo il posto che essi occupano nel foglio stesso, andando nel senso delle lancette dell’orologio. A sua volta ogni quadrante comprende quattro carte al 25.000, chiamate tavolette, ciascuna delle quali, oltre che con un nome, si indica col numero del foglio e del quadrante di cui fa parte, cui fa seguito il segno del punto cardinale in cui si trova nel quadrante stesso. Un ruolo di crescente importanza è infine svolto dalla cartografia realizzata dalle regioni alla scala 1:10000 e 1:5000, denominata Carta Tecnica Regionale (C.T.R.) e suddivisa in Sezioni. Il GIS Gli studi cartografici e le relative applicazioni nei diversi campi applicativi sono state rivoluzionate negli ultimi anni dallo sviluppo e dalla diffusione dei Sistemi Informativi Geografici (GIS). Un Sistema Informativo Geografico (Geographical Information System, GIS) è un sistema informativo computerizzato che permette l'acquisizione, la registrazione, l'analisi, la visualizzazione e la restituzione di informazioni derivanti da dati geografici (geo-referenziati). Il GIS può essere visto come una forma di Sistema di Gestione di Basi di Dati, capace di gestire le posizioni degli “elementi” sul territorio, che si integra con delle componenti software di interrogazione e visualizzazione. Il termine SIT (Sistema Informativo Territoriale) viene spesso usato come sinonimo di GIS. L'aspetto che caratterizza il GIS è quello geometrico: esso memorizza la posizione del dato impiegando un sistema di proiezione reale che definisce la posizione geografica dell'oggetto. A differenza della cartografia su carta, la scala, in un GIS, è un parametro di qualità del dato e non di visualizzazione. Il GIS consente di mettere in relazione tra di loro dati diversi, sulla base del loro comune riferimento geografico in modo da creare nuove informazioni a partire dai dati esistenti. Il GIS offre ampie possibilità di interazione con l'utente e un insieme di strumenti che ne facilitano la personalizzazione e l'adattamento alle problematiche specifiche dell'utente.

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MIGLIORAMENTI AMBIENTALI I miglioramenti ambientali a fini faunistici hanno lo scopo di migliorare o ripristinare condizioni ambientali favorevoli per la fauna selvatica. Attraverso queste misure si cerca quindi di favorire la presenza di popolazioni selvatiche. Gli interventi possono essere mirati ad aumentare la disponibilità alimentare per uno o più gruppi sistematici diversi (ungulati, passeriformi, lagomorfi, ecc.) presenti in un determinato territorio, soprattutto nel periodo di minore disponibilità trofica. In aree mediterranee, generalmente, il periodo più critico per la fauna selvatica coincide con la tarda estate, quando la vegetazione prativa è ormai ridotta per il prolungato periodo di siccità e la fruttificazione delle essenze arboree non è ancora avvenuta. Un altro periodo limitante può essere identificato con il cuore dell’inverno, quando i frutti del bosco sono ormai esauriti e ancora non è avvenuta la ripresa vegetativa. Il crescente interesse per i problemi ambientali e per la difesa della natura ha stimolato negli ultimi anni la messa a punto di numerosi provvedimenti legislativi che funzionano da supporto per la corretta gestione conservativa dell’ambiente e delle risorse naturali. Iniziative in tal senso derivano soprattutto dalla legislazione comunitaria, secondariamente da quella nazionale, applicate poi a livello regionale. L’origine di queste normative è spesso diversa; si possono distinguere:

misure ambientali per la protezione degli habitat e delle specie selvatiche (L.N. n° 394/91, Direttiva 79/409/CEE, Direttiva 92/43/CEE, Regolamento CEE n° 1973/92);

misure che provengono dal settore agricolo (Regolamento CEE n° 1765/92, Regolamento CEE n° 2078/92, Regolamento CEE n° 2080/92);

misure che derivano dalla legislazione venatoria (L.N. n° 157/92). Con il termine Miglioramenti Ambientali a fini faunistici si definiscono dunque quelle misure che hanno lo scopo di incrementare o ripristinare condizioni dell’habitat favorevoli alla fauna (risorse alimentari, zone di rifugio e siti di riproduzione) e di ridurre o eliminare gli impatti più significativi causati dalle attività antropiche presenti sul territorio. Dal punto di vista tecnico, la realizzazione di questi interventi si differenzia in base:

all’area geografica e del tipo di habitat; alle specie selvatiche che si intende tutelare o favorire.

Alcuni esempi di interventi per la fauna selvatica sono: • messa a coltura, mantenimento e/o ripristino di elementi fissi del paesaggio di valore

ambientale e faunistico (siepi, arbusteti, cespuglieti, alberi, frangivento, boschetti, punti d’acqua, laghetti, ecc.);

• semina di colture a perdere e/o rinuncia alla raccolta di alcune coltivazioni su appezzamenti di piccola estensione;

• posticipazione dell’aratura, dello sfalcio dei fieni o dell’interramento delle stoppie e controllo della pratica della loro bruciatura.

ALCUNI ESEMPI DI MIGLIORAMENTI AMBIENTALI: Ripristino di ambienti prativi Gli ambienti prativi sono un tipo di habitat caratterizzato da associazioni vegetali erbacee, diversificate per fasce altitudinali; a volte queste associazioni sono difficilmente riconoscibili per la degradazione operata dall’uomo tramite lo sfalcio o il pascolo del bestiame, che comporta l’asportazione di ingente biomassa vegetale e, di conseguenza, non consente un’evoluzione naturale verso stadi vegetazionali più maturi. In base alle tecniche di raccolta del foraggio possiamo distinguere: - pascoli: praterie in cui il foraggio viene utilizzato direttamente dal bestiame; - prati: ambienti prativi in cui il foraggio viene utilizzato tramite lo sfalcio. I prati possono essere

distinti in naturali (quando il cotico è formato da specie spontanee) e artificiali (quando il prato è costituito da foraggere seminate artificialmente);

- prati-pascoli: particolare tipo di pascolo che viene sfalciato a primavera e pascolato in estate e autunno;

- maggesi: terreni destinati generalmente a cerealicolture che vengono periodicamente messi a riposo per motivi agronomici, consentendo così il ritorno della vegetazione spontanea.

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Molte volte i processi di degradazione del cotico portano all’impoverimento della vegetazione dei pascoli, con la conseguente scomparsa di molte specie. (A) Miglioramento degli ambienti prativi E’ possibile riqualificare dal punto di vista botanico questi habitat procedendo alla: (1) messa a riposo del pascolo, che favorisce il ritorno della vegetazione prative originaria, ricca

anche di piante maggiormente appetite dagli ungulati e che, quindi, sono progressivamente scomparse;

(2) limitazione del sovraccarico di pascolatori, mantenendo equilibrato il rapporto tra produzione di biomassa foraggera dell’area pascolata e il carico di pascolatori;

(3) trasemina ossia semina delle specie scomparse e in particolare la semina di una leguminosa (erba medica, lupinella, trifoglio, etc.) in associazione con un cereale (prevalentemente a semina primaverile), generalmente orzo. Tale operazione non deve però essere realizzata seminando direttamente sul cotico, perché la maggior parte dei semi non germina se rimane imprigionata all’interno della cotica erbosa. Occorre pertanto aprire una rete di solchi (larghi circa 10 cm) con un aratro assolcatore o macchine simili; in questa maniera si potrà procedere alla semina direttamente sul terreno, consentendo così la germinazione e l’attecchimento delle piantine. Negli anni successivi le piantine, riproducendosi per seme o per stoloni, tenderanno a diffondersi per tutto il pascolo. Questa operazione deve essere realizzata in primavera o meglio ancora in autunno.

(B) creazione di nuovi ambienti prativi Semina di colture a perdere Viene effettuata soprattutto per fornire un supporto alimentare alla fauna selvatica, nei mesi autunnali e invernali. L'intervento interessa piccole superfici, da un minimo di 1000 ad un massimo di 5000mq. La distanza tra gli appezzamenti dovrà essere di almeno 50m. Ritiro dei terreni dalla produzione (set-aside) Queste superfici possono essere più idonee alla fauna selvatica qualora la vegetazione presente venga gestita favorendone l'eterogeneicità, l'alternanza tra aree a vegetazione pluriennale e vegetazione annuale, sfalciate ed erpicate superficialmente. Il problema per questi terreni è che il proprietario che percepisce finanziamenti per il set-aside non può richiedere quelli per i miglioramenti ambientali. Modificazione dei sistemi di coltivazione Attraverso: una maggiore frammentazione degli appezzamenti e delle colture, l'adozione o il ripristino delle rotazioni colturali, il ricorso alle lavorazioni minime del terreno e delle tecniche di agricoltura biologica. Riduzione dell'impiego dei fitofarmaci e dei fertilizzanti più dannosi alla fauna selvatica Ripristino e mantenimento degli elementi fissi del paesaggio Le siepi, gli arbusti, i cespugli, gli alberi, i frangivento, i boschetti, i laghetti costituiscono importanti elementi per la presenza, l'alimentazione e il rifugio della fauna selvatica. Per favorire l’offerta trofica (di cibo) è generalmente utile creare un'alternanza di specie sempreverdi (leccio, rovella, agrifoglio, alloro, ginepro, ligustro ecc..) con specie caducifoglie (faggio, albero di giuda, salice, ecc..). I bandi di miglioramento ambientale prevedono generalmente la messa a dimora di siepi a composizione mista arborea o soltanto arbustiva scelte tra quelle da frutto appetite dalla fauna selvatica. Tali siepi dovranno essere a fila semplice o doppia con andamento spezzato. Le distanze tra le piante saranno indicativamente di 1-2 m per le specie arbustive e 5-6 m tra le specie arboree, utilizzando piante in vaso di almeno due anni e con altezza minima di cm 50-80. La distanza tra le file doppie sarà indicativamente di 2-3m. L'intervento può risultare non ammissibile se a distanza inferiore di 200 m da fabbricati adibiti ad abitazione. Infine le siepi dovranno essere mantenute per un periodo (circa 4 anni) dal loro impianto. Siepe lineare a prevalente interesse faunistico La presenza delle siepi negli ambienti naturali è di fondamentale importanza, in quanto esse sono in grado di ricoprire numerosi ruoli, da quelli ambientali a quelli strutturali a e paesaggistici. Le siepi sono importanti per diminuire l’erosione dei suoli, laddove ci troviamo in presenza di pendenze, anche ridotte. Esse hanno inoltre un’azione frangivento e di protezione dall’insolazione. Altri aspetti rilevanti delle siepi sono legati alla produzione di biomassa (legname), di frutti, alla creazione di ambienti favorevoli agli insetti impollinatori.

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Le siepi inoltre possono costituire degli ambienti ideali per il rifugio della fauna selvatica, in quanto in grado di fornire protezione, alimentazione e siti idonei per la nidificazione.

MIGLIORAMENTI AMBIENTALI A FAVORE DEI CERVIDI Relativamente al concetto di strategia integrata di miglioramento ambientale incentrata su uno specifico gruppo sistematico, viene riportato a titolo esemplificativo uno schema degli interventi complessivi che possono favorire la presenza di cervidi in una data area geografica: Gestione forestale

• Conservazione e creazione di radure (radure:~ 3ha ogni 50 ha di bosco) nei boschi; • creazione di prati aperti nelle vicinanze dei boschi; • favorire le latifoglie e i tagli di piccole superfici sparse; • taglio regolare del ceduo; • evitare i rimboschimenti di grandi superfici utilizzando una sola specie di conifere; • falciatura / mantenimento di prati e tagliate, con eventuale uso di concimi organici o azotati; • limitare allo stretto necessario la protezione della rigenerazione forestale con recinzioni fisse.

Colture a perdere • Coltivare appezzamenti specifici utili nei periodi invernali e primaverili (cereali a semina

autunnale, lupinella, erba medica, cavolo da foraggio, rapa, segale, grano saraceno, mais, etc.). Somministrazione artificiale di alimenti

Evitare il foraggiamento artificiale, in quanto: • di scarsa utilità in ambiente mediterraneo (inverni miti); • può favorire fenomeni negativi di tipo “qualitativo” (sopravvivenza di soggetti non idonei),

sanitario (diffusione di malattie) e venatorio (facilita il bracconaggio); • può alterare l’organizzazione sociale della popolazione; • può comportare danni alla vegetazione naturale nelle vicinanze dei siti di foraggiamento.

La somministrazione di salgemma in blocchi in saline ricavate al riparo di rocce, pietre, tronchi tagliati o appositi pali, è una prassi non auspicabile, per le stesse ragioni che sconsigliano il foraggiamento (eccezion fatta per un uso limitato nel tempo teso a favorire il rispetto del piano di abbattimento).

Altre misure gestionali • Rimozione (catture) dei cani randagi; lotta al bracconaggio.

STIME NUMERICHE DEGLI UNGULATI

Negli ultimi decenni, molte popolazioni di Ungulati selvatici dell’Italia centro-settentrionale sono andate incontro ad un consistente incremento numerico e geografico. Questo fenomeno ha fatto emergere la necessità di individuare soluzioni gestionali basate su stime affidabili della consistenza delle popolazioni e della sua variazione temporale. La valutazione attendibile della abbondanza degli Ungulati è infatti un punto cruciale nella determinazione del trend di popolazione, oltre che del livello di prelievo possibile (nel caso di popolazioni cacciabili) o dell’entità degli eventuali interventi di contenimento necessari (nel caso delle aree protette). Un corretto approccio al problema è essenziale per giungere ad una accurata gestione delle popolazioni, alla riduzione dei danni alle colture agricole, al decremento di incidenti stradali dovuti ad Ungulati e al miglioramento dello status delle popolazioni. Ancora prima di mettere in atto qualunque azione diretta sulle popolazioni è dunque necessario conoscere, con la massima precisione ottenibile, la loro consistenza, possibilmente ripartita per tipologie ambientali e/o per aree omogenee. Dato che censire una popolazione significa determinare con esattezza il numero dei suoi individui (cosa possibile solo in rarissime condizioni

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ambientali), nel caso dei Cervidi è certamente più corretto parlare di “conteggi”, ovvero metodi che consentono di ottenere una stima numerica delle popolazioni. Idealmente una stima numerica dovrebbe essere il frutto di un compromesso tra due estremi: elevato grado di affidabilità (che comporta grandi investimenti di tempo, personale e denaro) e semplicità di esecuzione e ripetizione (a discapito del grado di affidabilità, che rischia di portare a stime inadeguate per la conduzione di corrette azioni gestionali). Un corretto equilibrio tra questi due fattori consentirà di ottimizzare il rapporto costi/rendimento, fornendo la migliore valutazione numerica possibile in rapporto agli obiettivi prefissati, al tempo, alle risorse e al personale disponibile, assicurando la sua sostenibilità nel lungo periodo. Nel caso di aree molto ampie non è ipotizzabile una copertura totale del territorio; in questi casi la stima numerica dovrà essere condotta su aree campione scelte in base ad un adeguato piano di campionamento. Affinché le stime siano attendibili, le aree-campione dovrebbero coprire una percentuale rappresentativa del territorio di studio: più piccola è la percentuale del territorio sottoposta a conteggio, maggiore è l’errore della stima. Ove possibile, è auspicabile ripetere i campionamenti su base regolare, prediligendo metodi affidabili, da condurre in condizioni molto simili (località, periodo dell’anno, condizioni atmosferiche, numero di persone coinvolte, ecc.). Principali metodi di stima numerica degli Ungulati I metodi utilizzati per la stima numerica delle popolazioni di Ungulati si possono dividere in due categorie principali: diretti e indiretti. I metodi diretti si fondano sull'osservazione degli esemplari e sono generalmente indicati per i territori aperti, dove è possibile avvistare e riconoscere abbastanza agevolmente i singoli animali. Sebbene essi siano comunemente utilizzati, alcuni studi hanno dimostrato come i metodi basati sulla osservazione diretta degli individui siano mediamente poco affidabili per le popolazioni di Ungulati, che mostrano spesso un comportamento elusivo e frequentano aree con vario grado di copertura vegetazionale. I metodi indiretti si basano sul rilevamento di segni di presenza (escrementi, impronte) lasciati dagli animali sul terreno per stimare la loro consistenza. Quando si opera su piccole aree campionate in maniera esaustiva si cerca di valutare quale sia la probabilità di osservare una certa specie in un determinato ambiente. Dopo aver stimato questo parametro, è facile stimare la popolazione, dato il numero di animali contattati. Il fatto che i conteggi vengano condotti in molti casi “a campione” introduce inoltre una nuova fonte di variabilità (talvolta estremamente ampia), connessa alla distribuzione spaziale delle popolazioni. Su questa base, le stime numeriche possono essere distinte in: a) assolute: stimano il numero di animali presenti in una superficie nota; b) campionarie: stimano il numero di animali presenti in un’area-campione, per poi estrapolare il dato all’intera superficie. La scelta tra le due opzioni dipende da vari fattori, come la morfologia del territorio, il comportamento della specie da censire e, soprattutto, le dimensioni dell’area di studio. Di seguito vengono esaminati alcuni tra i metodi utilizzati per la stima numerica degli Ungulati: Conteggio in battuta Il metodo consiste nell’attraversare l’area da censire con un fronte di persone allineate, i battitori. Questi segnano su apposite schede gli animali che forzano la linea di battuta e spingono gli altri a abbandonare i loro nascondigli, portandosi verso gli osservatori (poste), che li contano. Il numero di poste è determinato dalla topografia e orografia del settore da censire, mentre il numero dei battitori è condizionato dalla lunghezza del fronte di battuta e dalle caratteristiche strutturali del bosco. I conteggi vengono effettuati nelle ore diurne, quando gli ungulati sono solitamente nelle zone di ricovero, in bosco.

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1) L’area della battuta è rappresentata da una superficie di bosco di dimensioni generalmente non inferiori a 15 ha;

2) in ogni giornata sono effettuate 3 battute (una in un’area ad elevata presenza della specie da censire, una con presenza media e una con presenza scarsa);

3) i conteggi hanno luogo ogni anno a fine inverno – inizio primavera; 4) a ciascuna battuta partecipa un numero di battitori non inferiore a 1-3 / ha; 5) in ogni area dovrebbe essere battuta una superficie non inferiore a 10% della superficie boschiva

totale; 6) tramite i censimenti in battuta è possibile ottenere una stima indicativa della popolazione di

caprioli presente nell’area:

n° capi presenti = n° capi avvistati

x superficie boschiva totale

n° ettari di superficie battuta

7) dalla stima della consistenza della popolazione si risale alla densità nell’area (n° individui/100ha):

C 2 B A 1 A B 3 C

BOSCO

Poste

Battitori

1 Responsabile della battuta

2-3 Vice-responsabili della battuta

A-B-C Responsabili dei gruppi

Tecnico faunistico

Le dimensioni dell’area campione da censire e le modalità di svolgimento delle battute variano notevolmente da specie a specie.

ALTRI METODI DI STIMA NUMERICA Osservazioni da punti fissi Si effettuano prevalentemente in ambienti collinari, da punti con buona visibilità. I mesi di aprile e maggio e le fasce orarie crepuscolari sono i più indicati per l’osservazione. I conteggi vengono effettuati per periodi di due o tre ore, condotti nel corso di alcuni giorni successivi, mattina e sera. Le osservazioni vengono effettuate con binocoli e cannocchiali, per identificare gli individui e classificarli in base al sesso e alla classe di età; tutti i dati vengono registrati su una mappa in scala, con l’ora e la direzione di movimento degli singoli esemplari. Alla fine di ogni periodo viene registrato il numero totale minimo dei esemplari avvistati. Al termine delle osservazioni viene

N.B. - Secondo altre fonti (Meriggi, 1989), la battuta dovrebbe procedere parallelamente al lato maggiore e non nella lunghezza del bosco, in relazione alla densità della vegetazione, al numero di battitori disponibili e alla orografia dell’area (in aree “dense” l’allineamento del fronte è più facile se corto).

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estrapolato il numero totale massimo degli animali registrati. Le ripetizioni in giorni successivi sono finalizzate al miglioramento del campionamento, dato che il numero di animali avvistati può abbassarsi per varie cause (cattive condizioni meteo, presenza umana, etc.). Marcatura-riavvistamento Questo metodo si fonda sul presupposto che, in una certa popolazione, la probabilità di contattare un individuo marcato sia la stessa di contattare individui non marcati. Il rapporto tra il numero di individui marcati osservati e il numero di individui marcati disponibili fornisce un valore di stima della probabilità di contatto per la popolazione studiata. Dividendo il numero di individui non-marcati osservati per la probabilità di contatto stimata si ottiene una stima della popolazione non marcata. Attualmente esistono metodologie standardizzate e un software ben sperimentato in grado di effettuare queste stime. Altri calcoli più complessi sono impiegabili quando gli animali sono marcati con targhe auricolari anziché con radiocollari. Avvistamenti diretti su transetti Consistono nel tracciare nell’area di studio un percorso fisso, continuo o segmentato (transetto). L’osservatore lo percorre a velocità costante, controllando entrambi i lati per avvistare gli animali. Nella conduzione dei rilievi è necessario che i transetti siano distribuiti nel tempo e nello spazio in modo da garantire osservazioni casuali nell’area di studio. Tutti e due i lati del percorso devono essere inoltre osservati allo stesso modo, affinché gli animali abbiano (a parità di distanza) la stessa probabilità di essere individuati. Questo metodo consente di utilizzare anche un solo osservatore; le osservazioni, tuttavia, devono essere condotte per tempi prolungati. Conteggi notturni con sorgente di luce Questo metodo consiste nel percorrere in auto alcuni percorsi campione precedentemente individuati sulla carta e illuminare con uno o più fari le zone aperte circostanti, individuando e contando gli animali presenti. La misura dello spazio illuminato ai due lati della strada consentirà di calcolare l’area della fascia su cui è stata condotta la stima. Le superfici da censire dovranno essere caratterizzate da ampie aree aperte e potranno essere efficacemente controllate solo in quei periodi dell’anno in cui la vegetazione è poco sviluppata. I periodi considerati ideali sono l’autunno (dopo i raccolti) e la primavera (prima della crescita delle nuove coltivazioni). I percorsi vengono scelti preferibilmente su strade transitabili in ogni condizione climatica, in modo da ottenere una buona copertura dell’area di studio in ogni stagione. Altra caratteristica importante nella scelta del percorso è la copertura del maggior numero possibile di aree aperte, in modo da rendere più elevata la possibilità di contare buona parte degli esemplari presenti nelle radure.

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LE ARMI LUNGHE A CANNA RIGATA Tipologie tecniche e costruttive CARABINE AD OTTURATORE GIREVOLE – SCORREVOLE: SISTEMA MAUSER. Per la loro struttura meccanica sono molto robuste e hanno una notevole precisione. Consentono la rapida ripetizione del colpo senza variare molto l’impostazione del tiratore. Sono camerate in tutti i calibri disponibili. Hanno il prezzo che può essere di gran lunga inferiore ad altre armi. Tutti questi motivi fanno sì che siano in assoluto le armi a canna rigata più note e diffuse. Con una sola arma camerata in un valido calibro medio è possibile cacciare tutti i selvatici, dal capriolo all’orso. CARABINE AD OTTURATORE SCORREVOLE Sistema poco diffuso adottato da Blaser ed altri. Numerose alette poste in testa all’otturatore vanno in contrasto con un apposito spazio in culatta.

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CARABINE SEMIAUTOMATICHE Parte dell’energia provocata dall’esplosione del colpo viene sfruttata per espellere il bossolo, riarmare il percussore ed inserire una ulteriore cartuccia nella camera di scoppio. La grande velocità nel consentire la ripetizione del tiro le fa apprezzare nelle cacce in battuta, soprattutto al cinghiale. CARABINE A LEVA Molto care alla tradizione americana queste armi consentono una ricarica veloce agendo su una leva posta sotto l’impugnatura. Godono di una certa diffusione tra i cacciatori di cinghiali ed i recuperatori. Hanno peraltro notevoli limiti nei calibri impiegabili ed inoltre il caricatore tabulare obbliga all’impiego esclusivamente di palle a punta schiacciata (flat nose). CARABINE A POMPA Pure queste di tradizione statunitense hanno pochissima diffusione altrove. Il riarmo si effettua facendo scorrere indietro l’astina e riportandola successivamente in avanti.

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CARABINE A BLOCCO CADENTE Azionando una leva posta sotto il ponticello si fa abbassare il blocco di culatta, consentendo l’accesso alla camera di scoppio che può ricevere una nuova cartuccia. Armi molto precise ma piuttosto rare e costose. CARABINE A BLOCCO OSCILLANTE Detto anche sistema Martini, dal nome del suo inventore. Simile al precedente, del quale è progenitore, differisce da questo per una scina a cucchiaio che, agendo sulla leva inferiore, si abbassa liberando la camera ed agevolando l’immissione della cartuccia. In Svizzera con il marchio Martini vennero prodotte delle eccellenti carabine impiegate nel tiro di precisione, armi di squisita fattura e di costo molto elevato. CARABINE BASCULANTI Sono armi con una o più canne che ruotano, cioè basculano, intorno ad un perno come una doppietta o un sovrapposto, e come queste hanno delle robuste chiusure, fondamentali per garantire una buona precisione nel tiro a palla. Possono essere: a una canna (Kipplauf) leggere e create per la caccia in montagna, a una canna liscia ed una rigata: combinati, a due canne lisce ed una rigata: drilling (armi tipiche della tradizione Mittel europea, maneggevoli, comode da trasportare perché smontabili, molto curate nell’esecuzione e che non ammettono pecche costruttive, armi fini e costose), a due canne rigate: express; le armi leggendarie dei grandi safari africani. Nomi prestigiosi dei miti della storia della caccia grossa nel mondo.

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SISTEMI DI PUNTAMENTO Tacca di mira e mirino Su quasi tutte le armi lunghe a canna rigata per l’impiego venatorio vengono montati la tacca di mira, regolabile in alzo e derivazione, ed il mirino. Sistemi questi utilizzabili solo a distanza molto breve, anche se oggi vengono migliorati da riferimenti in fibra ottica. Adatti quindi solo per la caccia in battuta in zone con folta vegetazione, o in armi adatte ai recuperatori con il cane da traccia o sugli express per elefanti e bufali. Ottiche optoelettroniche Sistema di puntamento con punto rosso (red point), di recente nascita, consente un tiro veloce anche su bersagli in movimento. Queste ottiche, dotate di regolazioni in alzo e laterale, una volta tarate con l’arma che le monta e con la cartuccia impiegata, permettono di colpire il bersaglio, individuato dal “punto rosso”, tenendo entrambi gli occhi aperti ed indipendentemente all’assetto e dall’inclinazione dell’arma. Si prestano quindi molto bene per le battute al cinghiale, sono facili da montare ed hanno un prezzo non eccessivo.

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OTTICHE DI PUNTAMENTO: CANNOCCHIALI Questi strumenti ottici sono indispensabili per poter colpire con sicurezza il punto mirato anche a lunga distanza, offrendo i vantaggi di ingrandire il bersaglio, di avere la messa a fuoco su un solo piano (e non su tre come per: tacca di mira, mirino e bersaglio) e di consentire il tiro, grazie alla loro luminosità, anche in condizione di luce sfavorevoli. Possono essere ad ingrandimento fisso o variabile. Le caratteristiche di ciascuno si identificano con due o tre cifre: 4 x 32 - 6 x 42 - 8 x 56 per quelli ad ingrandimento fisso: la prima cifra indica gli ingrandimenti e ola seconda il diametro dell’obbiettivo (lente anteriore) 1,5 – 5 x 20 / 2,5 – 10 x 42 / 3 – 12 x 50 per quelli ad ingrandimento variabile: si può rapidamente passare dall’ingrandimento più basso (per esempio 1,5) al più alto (5) passando per quelli intermedi (2 – 3 – 4). La terza cifra indica sempre il diametro dell’obbiettivo. Pochi ingrandimenti vanno bene per i tiri veloci e/o in movimento. Alto ingrandimento per i tiri lunghi con buon appoggio. Aumentando gli ingrandimenti si riduce il campo visivo. Ampio diametro dell’obbiettivo: tanta luminosità. A ciascuno la scelta della combinazione Arma ottica più adatta alle proprie esigenze. Regola da osservare: si può cercare di risparmiare sull’arma ma è meglio non farlo sull’ottica. ATTACCHI PER OTTICHE DI PUNTAMENTO Possono essere di due tipi fondamentali: mobili o fissi. I primi consentono di togliere e rimontare il cannocchiale conservando la taratura dell’arma. I secondi nel caso venga rimossa l’ottica costringono ad una nuova taratura. I migliori attacchi mobili sono quelli ad incastro: degli zoccoli fissati al cannocchiale vanno ad incastrarsi saldamente nelle basi quasi sempre saldate sull’arma. Esigono il lavoro paziente ed accurato di un bravo armaiolo e sono perciò molto costosi. Seguono poi quelli a Pivot: il cannocchiale viene fatto ruotare orizzontalmente su di un perno anteriore fino ad agganciare il piede posteriore ad una base fissata sull’arma. Più facili da montare dei precedenti ed abbastanza affidabili se di buona marca costano molto meno. La Blaser ne ha brevettato un tipo, per le sue armi, eccellente, ma non proprio economico. Gli attacchi fissi sono economici, leggeri, facili da montare ed ormai adottati quasi da tutti. Solo i basculanti (monocanna, combinati, drilling e, talvolta espress) obbligano ad un attacco mobile.

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OTTICHE DA OSSERVAZIONE Binocoli Il binocolo è lo strumento più importante nell’equipaggiamento di un cacciatore a palla. Non sono ammesse mediocrità, ma solo il meglio. Le combinazioni in assoluto più usate fra gli ingrandimenti e campo visivo sono: 7 x 42 - 7 x 50 - 8 x 30 - 8 x 56 - 10 x 42 Per la caccia alla cerca preferiti il 7 x 42 oppure l’ 8 x 30 per la loro leggerezza. Imbattibili per la loro luminosità, quindi per l’aspetto serale, il 7 x 50 e l’ 8 x 56. Cannocchiali da osservazione Strumenti indispensabili per la caccia di selezione, consentono la valutazione sicura dell’animale osservato anche a distanze molto elevate. Possono essere fissi 30 x 75 oppure variabili 20-60 x 80 i più usati. Anche in questo caso indispensabile la qualità. Strumenti per misurare la distanza I telemetri hanno avuto in questi ultimi anni una grande diffusione. La scienza e la tecnica in questo settore si sono sviluppate moltissimo consentendo al mercato di offrire strumenti eccellenti a prezzi abbordabili. LA CARTUCCIA PER L’ARMA LUNGA A CANNA RIGATA Componenti: Bossolo metallico (prevalentemente di ottone legato con altri metalli) proiettile o palla, innesco e polvere da lancio (carica). Il bossolo è a sua volta composto da: corpo la parte centrale (quasi sempre di forma tronco-conica), fondello dove si inserisce l’innesco, colletto dove si inserisce la palla e spalla che unisce quest’ultimo al corpo. Il fondello a sua volta può essere: Rimless quando il collarino dove si aggancia l’estrattore on sporge dal profilo del corpo, Rimmel quando il collarino sporge dal profilo del bossolo, specifica delle cartucce per armi basculanti, Belted quando il bossolo alla sua base ha una cintura di rinforzo, caratteristica dei calibri Magnum. Le cartucce a palla si identificano con dei numeri espressi in millimetri nel sistema europeo dove il primo indica il diametro della palla, il secondo la lunghezza del bossolo. Ad esempio: 6.5 x 57 - 7 x 64 - 8 x 57 Se la seconda cifra è seguita da R (Rimmed o Rand in tedesco) la cartuccia è destinata ai basculanti. Nel sistema anglosassone il diametro della palla è espresso in millimetri di pollice seguito dalla sigla della ditta ideatrice 270W (Winchester) 308W (Winchester) 280Rem (Remington) 300Weath.Mag (Weatherby magnum) 1 pollice = 25,4 mm./270 millesimi di pollice 0.270 x 25,4 = 6,86 mm. Il peso della polvere e delle palle è espresso in grani 1 grano = 0.0648 grammi / 1 grammo = 15,5 grani

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IL PROIETTILE O PALLOTTOLA O PALLA A parità di calibro ogni produttore ne propone diversi tipi che si differenziano per peso, forma e materiali. Avremo così palle con punta allungata e piombo scoperto (Spire point o spitzer), con punta in polimeri (Ballistic tip), tozze con punta schiacciata (flat nose), con punta arrotondata (Round nose) con punta forata (Hollow point), a punta tronco-conica (K S), completamente rivestite (blindate), con coda rastremata (Boat-tail), tutte comunque composte da un corpo interno in piombo ricoperto, con spessore variabile, da un rivestimento in leghe a base principalmente di rame. Forma, peso, velocità impressa dalla carica di lancio e caratteristiche costruttive intrinseche determinano l’energia che, alle varie distanze ed ovviamente massima alla bocca dell’arma e via via decrescente con la diminuzione della velocità, scaricano sul bersaglio. I tests vengono effettuati su blocchi di gelatina che possiede caratteristiche simili ai tessuti animali. Come qualsiasi oggetto solido in movimento, il proiettile, essendo appunto dotato di una certa massa e di una certa velocità, possiede una certa quota di Energia, detta “Energia cinetica”, che dipende appunto dall’entità delle sue caratteristiche di peso e velocità ed è direttamente proporzionale ad esse: vale a dire che tanto maggiore sarà il peso e quanto più elevata sarà la velocità, tanto maggiore sarà l’energia da esso posseduta. L’energia di cui un proiettile è dotato è espressa in Kgm (chilogrammetri) o J (joule: 1 Kgm = 9.8 joule) e può essere calcolata molto semplicemente mediante la seguente espressione:

Energia = peso del proiettile x velocità al quadrato

19620

In altre parole si deve moltiplicare il valore della velocità espresso in metri al secondo (m/s) per se stesso e successivamente per il peso espresso in grammi, dividendo il tutto per 19620. Il risultato darà il valore dell’energia espresso in Kilogrammetri. A scopo esplicativo ricordiamo che un Kilogrammetro è la forza necessaria per alzare un chilogrammo all’altezza di un metro. Ricapitolando: il proiettile lascia la canna animato da una determinata velocità, la quale, unitamente al

peso dello stesso, determina l’Energia cinetica del proiettile medesimo, comunemente espressa in Kilogrammetri. Essa è appunto il prodotto del peso e della velocità e può essere semplicemente calcolata mediante l’espressione sopra detta.

La balistica interna studia il comportamento del proiettile lungo la canna. La balistica esterna studia la traiettoria del proiettile. La balistica terminale studia gli effetti che esso produce all’interno del bersaglio. La velocità di un proiettile è espressa in metri al secondo (Europa) o piedi al secondo (paesi Anglosassoni), 1 piede (foot) = metri 0,3048.

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TAVOLE BALISTICHE: le più note case produttrici di cartucce a palla offrono tavole balistiche delle stesse in cui sono riportati per ogni calibro, e per ogni palla per esso montata, velocità, energia e parabola da 0 a 300 m, indicando anche la distanza ottimale di taratura (Dot o Gee) e la classe di selvatici più adatta al suo impiego. Ogni buon cacciatore ha comunque il dovere di provare ripetutamente la propria arma con i vari tipi di munizioni e a varie distanze e infine di scegliere la cartuccia che meglio si adatta all’arma e con una palla adeguata ai selvatici cacciati, così da consentirgli abbattimenti puliti e istantanei.

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FONDAMENTALI REGOLE DI SICUREZZA

• Maneggiare l’arma come se fosse sempre carica;

• Prima di caricarla controllare che la canna sia perfettamente libera;

• Una volta caricata inserire la sicura;

• Non sparare mai in aria o a bersagli posti su crinali “contro cielo”;

• Sparare solo quando si è assolutamente sicuri che la palla possa arrestarsi in una zona sicura;

• Porre molta attenzione nell’uso dello “Stecher” (alleggeritore dello scatto);

• Scaricare l’arma non appena terminata l’azione di caccia;

• Ricontrollarla prima di riporla nel fodero.

POSIZIONI DI TIRO CON LA CARABINA Possono essere: statiche, statico-dinamiche e dinamiche. Le posizioni statiche sono quelle in cui si ha un appoggio ottimale dell’arma sia anteriormente sotto l’asta, sia posteriormente sotto il calcio, dietro l’impugnatura e consentono tiri anche alle massime distanze. Tipica quella al poligono sui sacchetti di sabbia o sul terreno di caccia sdraiati sul ventre con l’appoggio dello zaino, oppure sfruttando una roccia di giusta altezza stando in piedi e frapponendo fra questa e la carabina un indumento oppure ancora lo zaino. Statico-dinamiche sono quelle in cui viene in parte usato un sostegno ed in parte la muscolatura, appoggio al bastone o ad una pianta : consentono tiri a distanze medio-corte. Dinamiche: quelle in cui il peso dell’arma è sostenuto esclusivamente dalla muscolatura: in piedi, seduti, in ginocchio. Queste ultime in particolare richiedono grande allenamento e consentono tiri abbastanza sicuri solo a brevi distanze.

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TECNICHE DI CACCIA: L’ASPETTO L’appostamento va preparato per tempo e deve garantire visibilità, mimetismo, angoli di tiro sicuri. Deve inoltre essere raggiungibile con un percorso che non allarmi i selvatici della zona e reso comodo per l’occupante. E’ opportuno predisporre degli appoggi per poter tirare agevolmente in diversi punti. Nelle zone collinari o di montagna si fanno postazioni a terra mentre in pianura è quasi d’obbligo, per aumentare la visibilità, ma soprattutto per la sicurezza del tiro, predisporre dei palchetti sulle piante o costruire delle altane: queste ultime in particolare garantiscono visibilità, mimetismo visivo ed olfattivo, comodità e sicurezza nel tiro. Indispensabili per l’aspetto al cinghiale, vengono erette in piccole radure nel bosco a vento buono e nella posizione migliore per sfruttare la luce del crepuscolo o quella lunare, quando è praticabile la caccia notturna. Il sito viene poi regolarmente rifornito di granoturco che deve essere ben sparso: se verranno più animali staranno più discosti l’uno dall’altro consentendo una migliore valutazione individuale ed un tiro più sicuro sul soggetto scelto senza rischi per gli altri.

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TECNICHE DI CACCIA: LA CERCA Presuppone ottima conoscenza degli animali selvatici e del territorio, abilità nel sapersi muovere con disinvoltura nell’ambiente naturale, rapidità di valutazione ed esecuzione del tiro con velocità e sicurezza. L’equipaggiamento esige abiti comodi, non rumorosi ed in tinta con l’ambiente, un ottimo binocolo, una carabina corta, leggera, maneggevole con un’ottica a basso ingrandimento. Di grande utilità un bastone di giusta lunghezza. I movimenti saranno sempre lenti e misurati con soste frequenti addossati ad un albero, cespuglio o roccia, evitando che la nostra figura si stagli nettamente contro cielo o comunque su uno sfondo che la faccia risaltare. La caccia alla cerca (Pirsch in tedesco) si può praticare anche al cinghiale durante l’estate quando le notti molto brevi lo costringono ad uscire dal folto prima la sera ed a rientrare più tardi al mattino, oppure quando sussistano particolari condizioni di eccezionale freddo o neve tali da fargli gradire delle rimesse sui versanti al sole, praticamente al pulito. Nei periodi di estro del capriolo e del cervo si può effettuare la caccia con il richiamo. Per il capriolo si usa un fischietto o una “pompetta” in gomma, detta “buttalo”, che riproduce il “fippio” della femmina, mentre per il cervo si riproduce con un corno, con una grossa conchiglia o con un tubo di gomma corrugato, il bramito di sfida di un rivale. Caccia altamente specialistica, di scuola Mittel europea, che richiede una grande abilità ed esperienza, pena cocenti delusioni. IL RECUPERO DEGLI ANIMALI FERITI Oggi il cacciatore è responsabile di una buona gestione del patrimonio faunistico. Gestire beni significa, avvalendosi della conoscenza diretta e dell’indispensabile apporto scientifico, prelevare in giusta misura e conservare il “capitale” nel miglior modo possibile, sia quantitativo che qualitativo, compatibilmente con l’ambiente. La caccia è un’azione cruenta, ma che non deve prescindere dal rispetto per gli animali, evitando di infliggere sofferenze inutili e di sprecare un bene di tutti. Il recupero degli animali feriti è quindi un dovere soprattutto etico e morale, oltrechè di convenienza. L’impiego del cane da traccia e la creazione di efficienti nuclei di recupero sono pertanto componenti fondamentali di una gestione faunistica seria e responsabile. I conduttori di cani da traccia devono essere seriamente motivati e preparati con opportuni corsi di buon livello. Una volta ottenuta l’abilitazione e superata una prova di lavoro riconosciuta dall’E.N.C.I. o comunque giudicata da un giudice esperto dell’E.N.C.I., verranno iscritti ad un apposito albo e diverranno operativi. L’abilitazione del conduttore è definitiva, i cani invece devono essere riabilitati almeno ogni due anni. COME ORGANIZZARE UN SERVIZIO DI RECUPERO Conduttore e cani abilitati costituiscono un nucleo di recupero. Ogni nucleo dovrebbe lavorare in un distretto con un piano di abbattimento di circa 100 (cento) capi di ungulati vari, compresi cinghiali, una trentina di capi in più se il conduttore è guardiacaccia, avendo questi maggiore disponibilità di tempo. Un numero limitato di tali nuclei è insufficiente a garantire un servizio efficace e serio, ma neppure un numero eccessivo va bene, in quanto il lavoro distribuito fra troppi cani fa sì che nessuno di questi sarà così ben allenato da garantire un buon rendimento. Oltre alle nozioni teoriche è fondamentale per il recuperatore avere un rigoroso codice di comportamento che gli conferisce una specifica connotazione etica, nel massimo rispetto della legislazione venatoria e soprattutto delle regole della vita biologica e degli animali selvatici.

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I CANI DA TRACCIA, CENNI STORICI E LE VARIE RAZZE La storia del cane da traccia affonda le sue radici nei secoli. La prima descrizione nota dell’impiego di un cane adatto a seguire la traccia di sangue per recuperare l’animale ferito è di Pietro De Crescenzo (1230 – 1321). E’ comunque nel 1800 che nella confederazione germanica, abolite le forme di caccia distruttive, inizia una vera e propria gestione faunistica e con questa il lavoro di selezione per ottenere una razza di cani da traccia omogenea nel lavoro e nella morfologia. Circa alla metà del 1800 viene ufficialmente riconosciuta la razza “annoveriana” seguita dalla “bavarese” nel 1883, selezionata e fissata sulle montagne dell’Austria e della Baviera con segugi di taglia ridotta adatti al difficile ambiente alpino. Nel 1896 nasce un club internazionale per la tutela e la selezione dell’Alpen laendische dachsbrake, piccolo “bracco” delle Alpi Austriache che dagli inizi del ‘900 ha conquistato la fiducia dei cacciatori di tutta Europa. Queste quindi sono le tre razze riconosciute dalla F.C.I, (Federazione Citologica Internazionale) come razze da traccia specializzate: segugio di Hannover, Segugio Bavarese da Montagna e Dachsbracke. Altre razze impiegate anche nel recupero: tutte le razze tedesche da ferma o da seguita e varie razze di segugi (Istriani – Dei Balcani – S. Uberto – Blood Hound - etc.). ADDESTRAMENTO L’addestramento va iniziato fin da cucciolo, per gradi, con pazienza e dolce fermezza. Il massimo si ottiene facendo vivere il cane con noi: apprenderà rapidamente le regole fondamentali dell’educazione e dell’obbedienza. Per crescere bene ha bisogno di aria, di sole, di giochi, di brevi passeggiate durante le quali, senza insistenza e con metodo, gli insegneremo a camminare “al piede”, “al dietro” ed a “rimanere al posto” (platz) sempre più a lungo. Ogni esecuzione dei comandi impartiti va premiata. Comandi che devono essere semplici, chiari e sempre gli stessi. INDICI DI FERIMENTO: REPERTI Nelle tavole successive, sotto le reazioni al colpo, vengono riportati i relativi reperti. Accertato il ferimento dagli indici sul terreno, evitando di calpestarli e disperderli, il cacciatore procederà ad una meticolosa ricerca nel raggio massimo di un centinaio di metri. Se questa risulterà infruttuosa ha il dovere di segnalare il fatto facendo intervenire un conduttore abilitato con il suo cane. Per facilitare il loro compito è opportuno che venga marcato, di solito con un ramo scortecciato, il punto esatto del tiro (anschuss) e la direzione di fuga.

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TROFEISTICA E’ importante che i cacciatori diano al trofeo il giusto valore venatorio che esso ha. La trofeistica non è solo fatta di medaglie, valutazioni record ma soprattutto studio dei trofei, che all’esperto rivelano, a secondo dei casi, condizioni ottimali del selvatico, carenze alimentari o mancanza di sali minerali, indisposizioni passeggere o patologie gravi, inverni duri e primavere piovose o traumi fisici. Le mostre dei trofei che ogni anno si ripetono su tutto l’arco alpino ed ora si diffondono sulla dorsale appenninica rivestono un’importanza basilare nel contesto della gestione faunistica: anno dopo anno testimoniano inconfutabilmente lo stato di salute e di qualità delle popolazioni selvatiche.

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SCHEDA DI ABBATTIMENTO E RILEVAMENTO BIOMETRICO Indispensabile è la compilazione corretta e veritiera della scheda di abbattimento. Le caratteristiche del trofeo nei maschi, il peso dell’animale eviscerato, la classe d’età (desumibile dalla dentatura della mandibola), la lunghezza della mandibola e quella del piede posteriore sono tutte informazioni che consentono di determinare lo stato di salute e la qualità non solo del soggetto abbattuto ma soprattutto dell’intera popolazione. I dati raccolti su numeri elevati, confrontati negli anni, danno informazioni sull’evoluzione della popolazione, consentendo una migliore gestione.

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