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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO” CHIETI FACOLTA’ DI PSICOLOGIA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE PSICOLOGICHE VERSO UNA NUOVA IPNOSI: UNA PROPOSTA NEUROFISIOLOGICA ANALOGICA Laureando: Relatore: Marco Rotonda Prof. Camillo Di Giulio Anno Accademico 2003-2004

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO”

CHIETI

FACOLTA’ DI PSICOLOGIA

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE PSICOLOGICHE

VERSO UNA NUOVA IPNOSI:

UNA PROPOSTA NEUROFISIOLOGICA

ANALOGICA

Laureando: Relatore:

Marco Rotonda Prof. Camillo Di Giulio

Anno Accademico 2003-2004

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“La mia unica paura è che un piccolo guadagno vi sia sufficiente”

Maestro Hakuin (1685-1768)

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INDICE

INTRODUZIONE........................................................................................ 1

ATTUALE EPISTEMOLOGIA DELLO STATO IPNOTICO....................... 3

1. INTEGRAZIONE SOCIOCOGNITIVA-NEUROPSICOFISIOLOGICA. ..................... 3

2. ATTUALI EVIDENZE NEUROFISIOLOGICHE DELLO STATO IPNOTICO............... 8

VERSO L’INTEGRAZIONE DELL’IPNOSI DINAMICA........................... 17

1. LA SOLUZIONE ANALOGICA. .................................................................. 17

2. UNA POSSIBILE INTERPRETAZIONE PSICOFISIOLOGICA DELL’INDUZIONE

IPNOTICA ANALOGICA................................................................................... 23

CONCLUSIONE ...................................................................................... 26

BIBLIOGRAFIA....................................................................................... 27

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INTRODUZIONE

Questo contributo si propone di risolvere alcuni interrogativi posti

dall’odierna epistemologia inerenti lo stato ipnotico, e di inquadrare questo

stato all’interno di un nuovo paradigma.

Nella prima parte dell’elaborato, partendo dall’analisi della letteratura più

recente a riguardo, si tenterà di evidenziare come è oggi necessario

superare l’ormai vecchio dibattito sull’esistenza o meno di uno stato ipnotico,

sia all’interno di un modello concettuale basato sui sistemi dinamici, sia

ridefinendo il concetto di induzione ipnotica. Per quanto riguarda

quest’ultima, ci soffermeremo sul fatto che le attuali scale di valutazione di

induzione sono ormai superate ed è ormai necessaria una revisione delle

stesse su una nuova definizione di ipnosi.

Successivamente cercherò di mettere in evidenza le attuali conoscenze

neurofisiologiche dello stato ipnotico. Si evidenzieranno le modalità con cui i

soggetti in ipnosi attivano determinati meccanismi della coscienza, della

percezione del proprio corpo e di arousal e rilassamento. Per i primi sono

interessati i nuclei del tronco encefalico, intimamente connessi con

l’integrazione corpo-cervello e con gli stati di attenzione. Sappiamo inoltre

come dai nuclei del tronco partono proiezioni verso la corteccia cingolata

anteriore e di come il tronco, il talamo e la corteccia cingolata sono coinvolti

negli stati di coscienza. Per i secondi meccanismi rilevati sono sempre gli

stessi circuiti neuronali ad essere coinvolti, ma intesi in senso di rilassamento

e assorbimento-attivazione.

Nella seconda parte cercherò di risolvere i problemi posti in un’ottica che

definisco rivoluzionaria, se riferita alla concezione classica di ipnosi. L’ottica

proposta è quella dell’Ipnosi Dinamica di Stefano Benemeglio. L’ipnosi viene

così definita come una sindrome da stress sperimentalmente indotta e si

propone una nuova lettura dei risultati ottenuti dalla letteratura disponibile.

Successivamente, cercherò di dimostrare le modalità con cui l’induzione

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ipnotica analogica potrebbe funzionare a livello neurofisiologico. Si

metteranno in collegamento due canali non verbali di induzione ipnotica, con

i circuiti neuronali trovati in precedenza tramite l’amigdala.

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ATTUALE EPISTEMOLOGIA DELLO STATO

IPNOTICO.

1. INTEGRAZIONE SOCIOCOGNITIVA-

NEUROPSICOFISIOLOGICA.

Negli ultimi decenni in ambito neurofisiologico è in corso un fervente

dibattito inerente l’ipnosi: si verifica o no uno stato particolare? Questo stato

è unico? Come si realizza?

Da un lato, l’approccio sociocognitivo suggerisce che questo indicatore di

“stato” non è stato individuato [es. Kirsch, I., & Lynn, S.NJ. (1995), Wagstaff,

G.F. (1998)] e interpretano questa lacuna come l’evidenza di una mancanza

di uno “stato ipnotico”.

Dall’altro, l’approccio neurofisiologico mostra con sempre più chiarezza

che esiste uno stato ipnotico differente sia dalla veglia, che dal sonno, ma di

questo parleremo più avanti quando analizzeremo le ricerche più aggiornate

a riguardo.

Il problema si può risolvere se spostiamo il ragionamento ad un altro

livello. Woody & McConkey (2003) propongono l’adozione dei sistemi

dinamici per il concetto di “stato”, utilizzato dai fisici e da altri scienziati. Il

termine “sistema” denota in questo caso il set di variabili correlate o

interagenti che caratterizzano una persona ipnotizzata. Le idee base di

questo approccio sono le seguenti:

1. Un sistema può occupare diversi stati.

2. Questi diversi stati possono essere rappresentati come uno “spazio di

stato”.

3. Nello spazio di stato un sistema si caratterizza da come si muove da

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uno stato all’altro, rappresentando dalle traiettorie che connettono gli

stati successivi.

Si può notare che siamo ben lontani dalla vecchia concezione di “stato”

ipnotico unico, statico e speciale. Quindi le ricerche si dovrebbero impegnare

nelle varietà di stati continui che accadono nell’ipnosi, caratterizzando le

dimensioni dello spazio di stato in un modo multivariato ed esaminando

questi stati nel corso del tempo.

Anche Gruzelier (2000) si è interessato all’argomento e propone di

superare lo sterile dibattito sullo “stato – non stato” per approdare a una

nuova sintesi di teorie neurofisiologiche e sociocognitive. Questo approccio è

esemplificato dalla traslazione neurofisiologica del processo di induzione e

propone che le istruzioni di un’induzione ipnotica convenzionale siano

concettualizzate per scopi neurofisiologici e non semplicemente come un

artefatto culturale che dimostri il potere della suggestione contestuale.

In alcuni esperimenti Gruzelier (1998) ha suggerito che, nella procedura di

rilassamento tradizionale, si può riscontrare un modello di lavoro a tre stadi:

1. Le iniziali istruzioni di fissazione (sia di oggetti, che della voce

dell’ipnotista) coinvolgerebbero la rete attentiva, che include i sistemi

talamo-corticali e le connessioni parieto-frontali con l’impiego del

sistema del controllo attentivo anteriore sinistro. Questa attenzione

focalizzata e selettiva richiede il processo fronto-temporale

dell’emisfero sinistro.

2. Si prosegue con la chiusura degli occhi, le suggestioni di fatica, unite a

quelle di profonda rilassatezza. Con questo stadio si inibisce la parte

fronto-limbica per la soppressione della realtà e della valutazione

critica.

3. Il terzo stadio, contrassegnato dalle istruzioni di rilassatezza e

immaginazione passiva, conduce a una redistribuzione dell’attività

funzionale e a un aumento dell’attività postero-corticale, in particolare

dell’emisfero destro, nei soggetti altamente ipnotizzabili.

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Il primo stadio è caratterizzato dal processo attentivo, che permette un

reindirizzamento dell’attenzione e che coinvolge la modulazione del sistema

limbico ed in particolare dell’amigdala e dell’ippocampo [es. Pribram e

McGuinness (1975)].

Anche Gruzelier sostiene che le attuali scale di suscettibilità dovrebbero

essere revisionate e nota come gli sforzi di Barber (1999), Barrett (1996) e

Pekala (1991).

“only begin to grapple with the complexity of individual differences in

brain structure and function” (p. 63).

Un’altra domanda su cui ci si interroga da molto tempo è se esitano delle

differenze individuali nella capacità di rispondere alle suggestioni ipnotiche.

Nella “prima generazione” di domande, a parte qualche sparuto

dissidente, la risposta sembra positiva e hanno individuato un unico tratto. In

modo semplicistico, alla domanda “perché alcune persone sono più

ipnotizzabili di altre”, essi rispondevano che i soggetti ipnotizzabili hanno

risultati più alti nel tratto di suggestionabilità ipnotica.

Esempi includono la procedura a doppio test come la Standford Hypnotic

Susceptibility Scale, Form A [SHSS:A; Weitzenhoffer & Hilgard, (1959)] o la

Harvard Group Scale of Hypnotic Susceptibility, Form A [HGSHS:A; Shor &

Orne, (1962)] seguite dalla Stanford Hypnotic Susceptibility Scale, Form C

[SHSS:C; Weitzenhoffer & Hilgard, (1962)] o dalla Waterloo-Stanford Group

Scale of Hypnotic Susceptibility, Form C [WSGC; K.S. Bowers, (1993),

(1998)].

Il problema di questi test è che sono stati mutuati dalle ricerche

psicometriche sull’intelligenza. Nell’approccio tradizionale sull’intelligenza

generale ha una grande importanza il fattore generale (“g”), mentre nelle

ricerche più recenti questo fattore perde di importanza, in quanto si è dato al

concetto una definizione più ristretta.

Woody & McConkey (2003) propongono un “modello componenziale” per

sopperire a queste lacune, le cui idee base si possono così riassumere:

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1. Risposte differenti richiedono differenti combinazioni di abilità di utilizzo

di “componenti di base”.

2. Per un tipo particolare di risposta, uno o più componenti possono

essere necessari per la sua produzione. Comunque può accadere che

varie combinazioni possibili di componenti possano essere sufficienti

alla produzione della risposta, favorendo più di una via per la sua

produzione.

3. Gli individui differiscono nei propri profili di abilità, per promuovere

varie specifiche componenti di base.

4. Gli individui, che non hanno una specifica componente, non possono

produrre quella risposta. Tuttavia, persone con differenti profili di

abilità, possono produrre la stessa risposta in modi differenti.

A supporto di quest’approccio, ci sono sempre più evidenze emergenti,

che sottolineano come differenti suggestioni ipnotiche possano elicitare

differenti processi corticali [es. Ray & De Pascalis (2003)].

Sono state proposte diverse teorie su come siano caratterizzati i processi

psicologici alla base delle esperienze ipnotiche e di come agisca la

suggestione.

Anche se differiscono molto in base all’inquadramento teorico di

riferimento (sia esso etologico, biologico o psicologico), si possono tutte

ricondurre a due filoni principali: o intendono l’ipnosi come un

comportamento sociale ordinario o in termini di uno o più processi speciali. In

ogni caso queste distinzioni appaiono artificiose, dato che comunque tutti gli

studiosi concordano sul fatto, che una comprensione dell’ipnosi necessita al

suo interno dell’integrazione dei principi psicologici generali. Inoltre, anche le

più attuali teorie soiciocognitive [es. Kirsh a Lynn (1995) e Wagstaff (1998)],

che continuano a sostenere le teorie contro processi speciali, sostengono

che l’ipnosi non è una menzogna.

Quindi è tempo di muovere le future ricerche verso nuove domande.

Anziché interrogarsi sulla verità o falsità dell’ipnosi, cercare invece di capire

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quali sono i meccanismi alla base di tale fenomeno.

Woody & McConkey (2003) sottolineano come bisogna tener sempre

presente le differenze individuali e come queste sono intimamente collegate

con i processi alla base dei meccanismi psicologici. Anche quando i soggetti

mostrano apparenti simili risposte, esse possono sottostare a differenti

processi. Evidenze di questo nuovo approccio si possono riscontrare dalle

ricerche condotte con la Esperiential Analysis Tecnique [EAT; es.: McConkey

(1991); Sheehan (1992)], riscontrando una diversità essenziale nella risposta

ipnotica. A questo riguardo Kosslyn et Al. (2002) notano che:

“Although all members of the same species share the same

fundamental mechanism, biological systems are notoriously redundant

and complex, affording many different ways to accomplish the same

goal. Thus people… may differ not only in the efficacy of specific

mechanisms but also in the frequency with which particular

mechanisms are recruited”. (p. 341)

Inoltre possono differire nel reperimento dei meccanismi (o strategie e

sistemi di attivazione) che sono particolarmente importanti perché:

“for many mental processes, if one can accomplish this process at all,

that is good enough to perform the task well – and thus, individual

differences in the efficacy of that process are not correlated with

individual differences in performance”. (p. 348)

A questo punto si può notare, come l’attuale ricerca sia arrivata alle

seguenti conclusioni:

1. L’ipnosi deve essere intesa come uno stato, che a sua volta

dev’essere inteso come un sistema dinamico che dura nel tempo.

2. E’ necessaria una revisione degli attuali metodi induttivi e quindi anche

delle scale di suscettibilità.

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2. ATTUALI EVIDENZE NEUROFISIOLOGICHE

DELLO STATO IPNOTICO.

Recentemente gli studi sull’ipnosi stanno vivendo un periodo di riscoperta

nel campo psicofisiologico, grazie all’applicazione di tecniche d’indagine

moderne come la fMRI (functional Magnetic Resonance Imaging), la rCBF

(regional distribution of Cerebral Blood Flow) o la PET (Positron Emission

Tomography). Comunque, questi studi si sono concentrati sugli effetti delle

suggestioni ipnotiche nelle varie modalità sensoriali e di percezione e non si

sono interessati più in generale allo “stato” ipnotico.

Rainville & Price (2003) propongono un modello (Fig. 1) in base al quale

l’esperienza dell’ipnosi comincia con una condizione di rilassatezza mentale

e spesso fisica, in combinazione con un assorbimento e una focalizzazione

su un oggetto o oggetti dell’attenzione. Queste suggestioni iniziali sono per la

maggior parte dirette verso due obiettivi: agio mentale (rilassamento) e

assorbimento.

Fig. 1. Modello sperimentale di ipnosi. Gli stati ipnotici sono comunemente sentiti e descritti

usando dimensioni molteplici dell’esperienza soggettiva. In questo modello sono proposte

interazioni funzionali nelle quali cambiamenti in dimensioni sperimentali distinte, precedono

cambiamenti in altre dimensioni, che seguono le sequenze delle frecce (+: relazione positiva; -

: relazione negativa). E’ da notare, che le interazioni successive non hanno bisogno da una

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stretta sequenza temporale, ma indicano piuttosto un’interazione funzionale generale. Le linee

piene rappresentano relazioni confermate statisticamente. Da Price (1996). [Fonte: Rainville &

Price (2003), p. 112, traduzione a cura dell’autore].

Ovviamente questo assorbimento non ci permette alcuna inferenza, dato

che possiamo essere assorbiti nei nostri pensieri naturalmente: ad esempio

se guardiamo un film o se guardiamo il mare, ne siamo catturati. Col

passare del tempo si passa da una concentrazione attiva a un rilassamento

passivo, e questo rilassamento e/o riduzione della capacità attentiva porta ad

una mancanza del controllo e delle funzioni censorie, che ci permettono di

pensare e di accedere a significati che sono disconnessi dalla riflessione

attiva. Il soggetto si identifica semplicemente e automaticamente con le

azioni, con le sensazioni o con la perdita di sensazioni suggerite

dall’ipnotista. Gli autori propongono una definizione dell’ipnosi come:

“changes in the subjective experience induced by suggestion and

characterized by mental ease, absorption, reduction in self-orientation

and automaticity”. (p. 113, corsivo in originale)

Damasio (1999) teorizza che la coscienza è altamente dipendente dalle

strutture del cervello, implicate nella rappresentazione e nella regolazione

degli stati e delle funzioni del corpo. Nel cuore del modello di Damasio (Fig.

2) si trovano i nuclei del tronco encefalico, localizzati dorsalmente nel ponte

mesencefalico [si veda Parvizi & Damasio (2001) per una descrizione

accurata del modello].

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Fig. 2. Modello anatomico-funzionale della neurobiologia della coscienza [da Damasio (1999)].

Si pensa che alcune strutture cerebrali contribuiscano più specificatamente agli aspetti base

della rappresentazione del proprio corpo (proto-self) e del modello fenomenico del sé, mentre

altre strutture potrebbero contribuire più specificatamente alla rappresentazione degli oggetti

fenomenici esperiti come esterni. Le strutture neurali e i processi coinvolti nella

rappresentazione del proprio corpo sono suggeriti come corrispondenti almeno

approssimativamente a quelle coinvolte nella regolazione degli stati di coscienza [Fonte:

Rainville & Price (2003), p. 116, traduzione a cura dell’autore].

Questi nuclei, come il nucleo parabranchiale e il grigio periacquedottale,

sono in una posizione ottimale per integrare le informazioni ascendenti

somatosensoriali. Inoltre nel ponte si trovano i nuclei che servono alla

regolazione neurotrasmettitoriale essenziali per l’organizzazione e

l’integrazione corpo-cervello. Studi recenti [Maquet & Phillips (1998)]

confermano l’importanza del ponte e del mesencefalo nella regolazione del

sonno-veglia negli esseri umani e suggeriscono che i cambiamenti

nell’attività dei nuclei del tronco encefalico possono essere associati alla

perdita di conoscenza prodotti da agenti anestetici [Fiset et Al. (1999)].

Sappiamo come il locus coeruleus è deputato alla diffusione noradrenergica

anche nella corteccia e di come Ë coinvolto nella regolazione degli stati di

attenzione e nella selezione dei contenuti della coscienza [Aston-Jones,

Rajkowski & Cohen (1999)]. Similmente i nuclei colinergici del tronco

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encefalico inviano proiezioni ascendenti al talamo e al proencefalo basale

che può influenzare indirettamente l’attività corticale [es. Parvizi & Damasio

(2001); Cooper et Al. (1991)]. Molti di questi nuclei mostrano importanti

interazioni col talamo e con la corteccia cingolata anteriore (ACC) nella

regolazione sonno-veglia, nella vigilanza e nell’attenzione [es. Aston-Jones

et Al.(1999); Paus (2000)]. Diversi ricercatori indipendenti hanno dimostrato

come queste specifiche strutture del cervello (nuclei del tronco encefalico,

talamo e ACC) sono strutture cardine nella regolazione degli stati di

coscienza [es. Herculano-Houzel et Al. (1999); Laureys et Al. (2000); Llinas

et Al. (1998)]. Anche se queste strutture possono non essere sufficienti per

una corretta definizione di coscienza, esse forniscono le sue fondamenta e

costituiscono un sito di primaria importanza per l’investigazione dei correlati

neuronali dello stato ipnotico.

Rainville & Price (2003) dimostrano come l’induzione ipnotica comporta

importanti cambiamenti nell’attività cerebrale in diverse zone del cervello,

soprattutto nel tronco encefalico, nel talamo e nella ACC.

La sensazione di rilassamento è stata associata a livelli più bassi della

rCBF nel tegmento mesencefalico del tronco spinale, nel talamo e nella ACC

(rostrale rispetto all’incremento relativo all’ipnosi nella parte mediale della

ACC). Come giustamente suggeriscono gli autori, il rilassamento potrebbe

essere associato a una diminuzione della vigilanza e a un’attenuazione della

lettura degli stimoli esterni, se, come anche Paus (2000) ha suggerito, questi

schemi potrebbero essere associati al livello di attivazione e di vigilanza.

La sensazione di assorbimento, d’altro canto, è associata a livelli più alti

della rCBF nel tronco spinale ponto-mesencefalico, nel talamo e nella ACC

rostrale. Questo potrebbe significare:

1. L’azione di processi competitivi della stessa popolazione di neuroni.

2. L’azione di stesse strutture in parallelo.

3. L’azione di stesse strutture in interazione con quelle del rilassamento

(Fig. 3).

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Fig. 3. Mappe statistiche (t). Coprono una visione medio-sagittale di un’immagine anatomica

MRI di un singolo soggetto. Mostrano la localizzazione di regressioni significative sia positive

(frecce rosse) che negative (frecce blu) tra la rCBF e l’autovalutazione nelle tre regioni di

interesse (tronco encefalico, talamo e ACC). (A) Un picco di regressione negativa è stato

trovato con il rilassamento nel tegmento mesencefalico e (B) picchi di regressione positiva

sono stati trovati nella porzione mediana (mACC) e perigenuale (pACC) della ACC (si noti

l’inversione nella scala di colori). (C) Picchi di regressione positiva sono stati trovati con

l’assorbimento nel talamo e nella parte rostrale della ACC (rACC) e nella pACC. (D) La

regressione della rCBF nelle valutazioni di assorbimento, dopo averli rapportati agli effetti

relativi al rilassamento, conferma picchi di regressione positiva specifici dell’assorbimento nel

tronco, nel talamo e nella rACC. Si nota, inoltre, un picco positivo nel ponte superiore (le scale

di colore in C e D sono le stesse di B). [Fonte: Rainville & Price (2002), p. 890, traduzione a

cura dell’autore].

Rainville & Price (2003) hanno anche rilevato effetti nella corteccia

occipitale. Gli aumenti nella regione occipitale della rCBF, indotti dall’ipnosi

sono stati correlati a:

1. un incremento delle onde delta nell’EEG dell’attività dei lobi occipitali;

2. un decremento nella rCBF nel talamo posteriore [probabilmente nel

nucleo del pulvinar, che proietta alla porzione extrastriata della

corteccia visiva, es. Rainville (1999)];

3. incrementi nella risposta soggettiva di rilassamento ipnotico.

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Questi cambiamenti potrebbero essere conseguenti a un abbassamento

dell’attività nei neuroni colinergici ascendenti del tronco, che proiettano al

nucleo reticolato del talamo, il quale, a sua volta, invia segnali inibitori agli

altri nuclei talamici. La riduzione dell’attività in questa via colinergica porta

normalmente alla riduzione dell’influenza degli input sensoriali ascendenti

alla corteccia, facilitando le basse oscillazioni talamiche, potendo quindi

contribuire all’incremento relativo al rilassamento dell’attività di basse onde

nell’EGG e all’incremento nella rCBF.

Suggeriscono anche un altro meccanismo, che potrebbe influire

sull’incremento occipitale della rCBF: la riduzione nella cross-modalità

soppressoria. Questo meccanismo ha una rete inibitoria che agisce su tutta

la capacità neuronale. Si pensa che questo meccanismo sia relativamente

inoperativo durante il sonno ad onde lente e che mostri un graduale

decremento nella propria influenza con livelli di vigilanza, attivazione e

attenzione decrescenti [es.: Hofle et Al. (1997); Paus (2000); Paus et Al.

(1997)]. Inoltre, un generale decremento nella cross-modalità soppressoria,

potrebbe contribuire all’incremento generale della rCBF occipitale, in seguito

all’induzione ipnotica [Rainville et Al. (1999)]. Simili effetti possono essere

implicati nell’incremento della rCBF occipitale durante la meditazione [Lou et

Al. (1999)]. Paus (2000) suggerisce che questa riduzione della vigilanza

potrebbe esser dovuta alla riduzione di norepinefrina rilasciata nella corteccia

dalle proiezioni ascendenti del locus coeruleus. Sappiamo che la

norepinefrina ha un effetto inibitorio e quindi che una sua riduzione potrebbe

provocare un incremento dell’attività sinaptica e della rCBF della corteccia

occipitale, come risultato del rilassamento ipnotico.

In un altro studio Rainville et Al. (2002) ha trovato delle associazioni tra il

rilassamento ipnotico e il decremento delle attività nella corteccia

somatosensoriale primaria e secondaria e la corteccia posteriore dell’insula,

soprattutto dell’emisfero destro. Ovviamente queste aree hanno

un’importanza fondamentale per la rappresentazione del corpo e dei

cambiamenti a questi livelli potrebbero contribuire all’alterazione del modello

di rappresentazione del proprio corpo, come suggerito dal modello della

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coscienza proposta prima [vedi Fig. 2, Damasio (1999)] (Fig. 4).

Fig. 4. Regioni cerebrali che mostrano picchi di regressione positiva (frecce rosse) e negativa

(frecce blu) tra la rCBF e le autovalutazioni di (A) rilassamento e (B) assorbimento, dopo la

rimozione delle variazioni relative al rilassamento. Mappe statistiche (t) sono sovraimposte alla

MRI anatomica media. Sono indicate le ubicazioni di taglio in un’immagine anatomica 3D di un

singolo soggetto. (A-positivo) Effetti positivi relativi al rilassamento sono mostrati nella regione

centrale bilaterale (slice orizzontale di sinistra). Un picco positivo è mostrato nel giro occipitale

superiore destro (SOg) (visione coronale sulla destra; si noti il cambio di scale). (A-negativo)

Un effetto negativo, relativo al rilassamento nella corteccia parietale posteriore destra, è

mostrato in visione orizzontale (il primo da sinistra), coronale (secondo), e laterale sagittale

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(terzo). Il segno (+) indica l’ubicazione più anteriore del picco di regressione positiva

nell’analisi degli effetti relativi all’assorbimento, come mostrati in B. Ulteriori correlazioni

negative sono mostrate nel giro temporale medio e inferiore bilaterale (secondo), e nelle

cortecce somatosensoriali destre (S1, S2, insula). (B-positivo) Un picco positivo relativo

all’assorbimento è mostrato nel lobulo parietale inferiore destro (primo da sinistra). Il segno (-)

indica l’ubicazione più posteriore del picco di regressione negativa nell’analisi degli effetti

relativi al rilassamento, come mostrato in A. Altri picchi sono mostrati nella visione

mediosagittale nel talamo e nella corteccia cingolata anteriore (secondo da sinistra), nei nuclei

lenticolari sinistri e nella corteccia prefrontale sinistra (le altre tre immagini da sinistra). (B-

negativo) Effetti negativi relativi all’assorbimento sono mostrati nel lobulo parietale inferiore

sinistro (primo da sinistra), in entrambi i lobi occipitali (secondo e terzo da sinistra), e nel

precuneo (primo e terzo). [Fonte: Rainville & Price (2002), p. 894, traduzione a cura

dell’autore].

Sempre Rainville & Price (2003) propongono uno schema che riassume i

risultati dei cambiamenti prodotti dall’induzione ipnotica nei sistemi di

attivazione e di attenzione. Meccanismi neurofisiologici potenziali, che

soggiacciono agli incrementi nel rilassamento e nell’assorbimento, includono

la modulazione dell’attività ascendente colinergica e noradrenergica. La

riduzione dell’attività colinergica potrebbe facilitare la sincronizzazione

talamo-corticale e contribuire a una riduzione non specifica nell’attivazione

corticale. I sistemi noradrenergici potrebbero anch’essi esser coinvolti nella

produzione degli stati ipnotici, anche se, specifici ruoli di questi sistemi

potrebbero essere più complessi. Inoltre questi sistemi potrebbero essere

sotto il controllo di sistemi che li oppongono gli uni agli altri, per produrre stati

che combinano alti livelli di rilassamento e di assorbimento. Proiezioni

discendenti dalla ACC al locus coeruleus potrebbero contribuire a questo tipo

di processo di regolamento [Cohen et Al. (2000)]. (Fig. 5)

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Fig. 5. Meccanismi cerebrali potenziali coinvolti nella produzione del rilassamento (linee

tratteggiate) e nell’assorbimento (linee continue) ipnotico. I nuclei del tronco encefalico

possono influenzare direttamente l’attività corticale attraverso le proiezioni noradrenergiche

(NE) ascendenti. Il rilassamento ipnotico potrebbe produrre un decremento nella soppressione

NE-mediata dell’attività sinaptica (disinibizione) portando un incremento (+) nell’attività della

corteccia occipitale e, probabilmente, in alcune aree parietali posteriori (es: IPL destro: lobulo

parietale inferiore). La riduzione nella attività colinergica (ACh) ascendente al talamo potrebbe

contribuire al decremento (-) nell’attività in uno delle sue efferenze principali, il nucleo

reticolare. Inoltre questa riduzione nell’attività del nucleo reticolare produce un incremento

nella sincronizzazione talamo-corticale con i nuclei sensori talamici (sens) e le loro efferenze

corticali (corteccia somatosensoriale S1, S2, insula). In contrasto, l’assorbimento potrebbe

rinforzare la soppressione NE-mediata, attenuata dal rilassamento nel lobo occipitale,

probabilmente sotto l’influenza delle proiezioni discendenti dalla corteccia cingolata anteriore

(ACC; BA32: Area del Brodmann 32). L’attività nel tronco encefalico, nel talamo mediale ed

intralaminare (med/il), e nella ACC è altamente correlata con il loro ruolo coordinatore nella

regolazione dell’arousal e dell’attenzione. Inoltre, l’attività nelle cortecce prefrontali ventro-

laterali (VL-PFC) è associata con l’assorbimento mentale e potrebbe contribuire alla

regolazione dell’attività relativa all’assorbimento nelle cortecce somatosensoriali e parietali

posteriori attraverso proiezioni intracorticali. Da Rainville ed altri (2002). [Fonte: Rainville &

Price (2003), p. 112, traduzione a cura dell’autore].

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VERSO L’INTEGRAZIONE DELL’IPNOSI

DINAMICA.

1. LA SOLUZIONE ANALOGICA.

Arrivati a questo punto non possiamo far altro che cercare di integrare le

attuali conoscenze sull’ipnosi e di delineare possibili soluzioni ai problemi

posti dall’odierna epistemologia.

Se, come suggeriscono Woody & McConkey (2003), si deve cominciare a

intendere l’ipnosi all’interno dei sistemi dinamici, come possiamo indurre

l’ipnosi in un unico modo? Se, come sostiene Gruzelier (2000), le attuali

scale vanno revisionate, perché si continuano a usare metodi valutativi ormai

vetusti?

A queste domande e lungo questa traiettoria si è mosso da tempo

Benemeglio (1984), con la sua rivoluzionaria Ipnosi Dinamica. In questo

caso, credo sia adeguato il termine “rivoluzione” proposta da Kuhn (1996)

dato che vi è un radicale mutamento di paradigma: da un’ipnosi classica,

basata su induzioni univoche, verbali e universali, a un’ipnosi dinamica,

basata su induzioni appunto dinamiche, non verbali e particolari. Cerchiamo

di definire meglio questi concetti. L’approccio cognitivo-comportamentale

benemegliano parte dalla considerazione che gli individui sono dei sistemi

omeostatici, in relazione dinamica con l’ambiente esterno. L’individuo viene

condizionato fin dall’infanzia dal rapporto con i genitori. Ad ogni input

sensoriale l’individuo risponde in base al proprio specifico stato all’interno del

suo esclusivo apparato cognitivo. Ciò significa che a uno specifico input (sia

esso di tipo verbale o non verbale) un individuo può rispondere in modo

diverso perché:

1. ha una propria struttura cognitiva (che Benemeglio definisce

“tipologia”);

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2. all’interno della propria tipologia può vivere stati differenti.

A questo punto la discussione si sta spostando su differenti livelli, sia

molari che molecolari. Come giustamente suggeriscono i sociocognitivi [es.

Wagstaff (2000)], non si possono confondere i livelli e i domini di

spiegazione. Hasegawa & Jamieson (2002) propongono un modello in cui tre

domini (Sperimentale, Fisico e Informazionale) sono in interrelazione

reciproca e ognuno di questi tre domini viene suddiviso in vari livelli (Sub-

atomico, Atomico, Molecolare, Cellulare, Tessutale, Individuale e Sociale).

Gruzelier (2000) definisce l’ipnosi come:

“an altered state of brain functional organization involving interrelations

between brain regions initiated by the intervention of the hypnotist – that

is, an atypical alteration of brain systems through an interpersonal and

cultural context”. (p. 51)

Tale definizione copre i vari aspetti e i livelli di indagine sollecitati dai

sociocognitivi. Gruzelier definisce in modo chiaro sia il rapporto dinamico tra

l’ipnotista e il soggetto ipnotizzato sia quello che avviene all’interno dello

stesso soggetto. Purtroppo, pur sottolineando che le attuali scale e i metodi

induttivi andrebbero revisionati (vedi sopra), non indica chiare soluzioni ai

problemi sollevati.

Il discorso ci riporta alla soluzione adottata da Benemeglio. Ogni individuo

si rapporta con l’ambiente circostante in modo diverso, in relazione alla

propria tipologia di appartenenza e in base al proprio livello di attivazione,

determinato dallo stato particolare in cui si trova. Impostando dei codici

metacomunicativi, calibrati sul soggetto, si potranno ottenere determinate

reazioni, che saranno diverse da soggetto a soggetto e nel soggetto stesso,

in differenti momenti.

Senza entrare nel merito della teoria della Psicologia Analogica, mi

limiterò a interpretare l’induzione ipnotica proposta da Benemeglio, alla luce

dei risultati precedenti.

Benemeglio (1985), partendo dalle intuizioni di Watzlawick, Beavin e

Jackson (1967) sulla comunicazione analogica, afferma che, per effettuare

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una comunicazione efficace, esistono dei codici metacomunicativi molto più

potenti della comunicazione logica-digitale. Dunque, i classici metodi

induttivi, su cui sono basate le varie scale di suscettibilità, cadono tout-court

in quanto fondano il loro approccio tramite un’induzione meramente verbale.

L’approccio benemegliano è più coerente con il livello interattivo della

comunicazione: da un lato, l’approccio classico, in cui, tramite stimolazioni

verbali, si cerca di ottenere manifestazioni non verbali (risposte fisiologiche e

comportamentali, con un chiaro salto di livello comunicativo), dall’altro,

l’approccio analogico, in cui, tramite stimolazioni non verbali, si ottengono

manifestazioni non verbali e si interagisce con esse con lo stesso

“linguaggio”.

L’approccio analogico di induzione ipnotica si basa su quattro canali non

verbali:

• Prossemica (gestione degli spazi)

• Cinesica (gestione dei gesti)

• Digitale (gestione dei toccamenti)

• Paralinguistica (gestione dei suoni verbali e non).

Con la giusta calibrazione di questi canali si riesce ad instaurare una forte

comunicazione emotiva.

Per calibrazione si intende la somministrazione di determinati codici, in

base all’obiettivo che ci si prefigge. Ogni individuo, in relazione al proprio

vissuto infantile-adolescienziale, avrà dei condizionamenti su determinati

stimoli sensoriali, che saranno diversi in relazione al singolo caso. Inoltre lo

stesso individuo, sarà soggetto alla propria vita emotiva quotidiana e quindi,

in determinate condizioni o per determinati scopi, lo stimolo da utilizzare

potrà essere differente. Si tratta quindi di calibrare la qualità e la quantità

delle stimolazioni per quell’individuo in quel momento.

Per Benemeglio l’ipnosi non è altro che una particolare comunicazione a

forti contenuti emotivi o, come lui stesso la definisce, una “sindrome da

stress sperimentalmente indotta” [cfr. Benemeglio (1979)]. Ponendo il

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soggetto in posizione ortostatica, lo si può “caricare” tramite le giuste

stimolazioni, in altre parole, in una visione neurofisiologica, si possono

attivare dei meccanismi di arousal, stress, attenzione. Durante l’induzione si

utilizzeranno dei codici per aumentare il carico tensionale e altri per ridurlo,

stando ben attenti a non superare determinati limiti di tolleranza. Per tornare

al modello di Rainville & Price (2003) (Fig. 1) si scavalcherebbe il primo

passaggio, quello del rilassamento e quello dell’agio mentale, causato dai

metodi induttivi classici, per passare direttamente al grado di assorbimento e,

successivamente, al disorientamento tramite i quattro canali dinamici non

verbali. Come per Gruzelier (1998), si manterrebbe il primo stadio del

coinvolgimento della rete attentiva, ma si andrebbe, in prima istanza, a

coinvolgere il sistema limbico, in particolare l’amigdala e le strutture del

sistema limbico ad essa associate, ovvero la corteccia cingolata, l’ipotalamo

e il tronco encefalico, data la connotazione prettamente emotiva che

l’approccio analogico vuole fornire.

Purtroppo non esistono pubblicazioni di ricerche sperimentali in ambito

neuro-psico-fisiologico che possono supportare queste speculazioni. L’unico

contributo neurofisiologico in cui l’approccio analogico viene considerato è

quello di Cavallaro (1996) che, a riguardo, sottolinea:

“L’intuizione freudiana del “trauma originario” andrebbe così corretta ed

integrata dal fatto che non è l’evento in quanto tale ad essere

traumatico, ma l’eventuale carica emozionale con cui è vissuto”. (pag.

57)

Proprio come nel trauma originario freudiano nel bambino si formerebbero

dei condizionamenti su determinati stimoli a connotazione emotiva. Andando

a riprodurre quegli stimoli, si riattiverebbero dei circuiti acquisiti. A questo

proposito, recentemente, Ciompi (2003) ha dimostrato una relazione tra

memoria ed emozioni nei bambini che hanno subito forti eventi traumatici

(quindi a forte contenuto emotivo) e ha dimostrato che questi traumi

influiscano sull’amnesia infantile.

Benemeglio ha individuato delle classi di comportamento non verbale che

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ha definito “verifiche positive” e “verifiche negative”. A titolo d’esempio si

possono ricordare come verifiche positive o negative lo spostamento in

avanti o indietro del busto (ricordiamoci che il soggetto, in fase d’induzione, è

in posizione ortostatica e gli si chiede di non muoversi. In una normale

conversazione questi stessi movimenti hanno lo stesso significato ma si

verifica più facilmente lo spostamento in avanti o indietro del corpo). Il

soggetto, in relazione agli stimoli non verbali, risponderà o con verifiche

positive, o con verifiche negative o non risponderà affatto. In quest’ultimo

caso, lo stimolo non è significativo, o meglio, non produce per l’individuo

attivazione emozionale. Mentre, se risponde con una verifica positiva, si

aumenterà il carico tensionale del soggetto. Se è negativa, si ridurrà.

La differenza sostanziale tra questi due tipi di stimolo è a livello qualitativo:

i primi, le verifiche positive, hanno per l’individuo una valenza positiva e

riprodurranno, nel presente, condizionamenti avvenuti nell’infanzia con un

genitore significativo; i secondi, le verifiche negative, pur riproponendo nel

presente stimoli significativi, avranno per l’individuo una valenza negativa, e,

al contrario dei precedenti, ridurranno il carico tensionale e verranno utilizzati

per calibrare i precedenti.

Nell’induzione ipnotica benemegliana, quindi, l’ipnotizzatore, una volta

impostati questi codici, utilizzerà i codici positivi per aumentare nel soggetto

lo stato tensionale e i codici negativi per calibrare il soggetto, ovvero per

evitare che superi i limiti di tolleranza o per sottolineare negativamente la

manifestazione comportamentale del soggetto. In sostanza è un

condizionamento su codici metacomunicativi. Quando il soggetto farà o dirà

quello che l’operatore vuole, lo si rinforzerà con codici positivi. Al contrario,

quando il soggetto non farà o non dirà quello che l’operatore vuole, lo si

calibrerà con quelli negativi. La differenza sostanziale con l’utilizzo di codici

casuali sta nel fatto che questi codici rappresentano per l’individuo una

ripetizione nel presente di sensazioni passate, vissute con carica tensionale

emotiva. Se riprendiamo la teoria della memoria distribuita di Hebb (1949), si

può affermare che questi codici riattivano determinati circuiti, che hanno

avuto per l’individuo valenze positive o negative, comunque emotive.

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Bisogna fare una precisazione sui termini “positivo” e “negativo”. Benemeglio

sostiene che, per l’individuo, non è positivo quello che normalmente si

intende come positivo secondo la logica comune. E’ l’individuo a connotare

l’esperienza emotiva, positivamente o negativamente, in base al proprio

vissuto.

A questo punto appare chiaro che l’osservazione fatta da Woody &

McConkey (2003), citata all’inizio (inerente la necessità di individuare i

sistemi dinamici e di relazionarli al tempo) sia perfettamente calzante.

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2. UNA POSSIBILE INTERPRETAZIONE

PSICOFISIOLOGICA DELL’INDUZIONE

IPNOTICA ANALOGICA.

E’ interessante notare l’accostamento tra emozione, stress e tra le attuali

ricerche sulla memoria emotiva [es: Buchanan, Denburg, Tranel, & Adolphs

(2001); Haman (2001); Laney, Heuer, & Reisberg (2003)]. Queste ricerche

mettono in evidenza la stretta correlazione tra l’amigdala e l’ippocampo e la

memoria di eventi a contenuto emotivo, in particolare ai ricordi di paura.

L’importanza è comunque legata alla plasticità delle sinapsi dell’amigdala,

ovvero alla sua possibilità di imparare nuovi eventi [cfr. Richter-Levin (2004)].

Se riprendiamo per un momento la suddivisione in stati dell’induzione

proposta da Gruzelier (1998) si vede che, come primo passo, vi è proprio un

procedimento attentivo che coinvolge il sistema limbico e, in particolare,

l’amigdala e l’ippocampo. E’ come se il soggetto venisse coinvolto da

qualcosa e che questo coinvolgimento gli provocasse dei ricordi emotivi. A

riguardo vi sono evidenze in fMRI che mettono in relazione l’amigdala, la

corteccia orbitofrontale e la corteccia cingolata anteriore, proprio in relazione

ai ricordi emotivi [cfr. Smith, Henson, Dolan, & Rugg (2004)]. L’approccio

analogico sembra andare direttamente al punto: reindirizzare l’attenzione

dell’individuo su determinati circuiti emotivi, ovvero attivare l’arousal. E’

chiaro che a questo livello (sistema limbico) il soggetto non può aver

consapevolezza del motivo che ha scatenato questo stato. Si verifica

esclusivamente un’attivazione comportamentale.

Per quanto riguarda l’approccio analogico abbiamo detto che utilizza

canali non verbali. Tra questi canali c’è la paralinguistica, ovvero la gestione

dei suoni vocali e non.

LeDoux (2002) ha investigato sul meccanismo in base al quale gli stimoli

uditivi possono essere immagazzinati nella memoria emotiva ed essere fonti

di reazioni a contenuto emotivo Fig. 6.

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Fig. 6. Un circuito neurale per la paura acquisita. Con l’addestramento, il tono di un suono può

venire associato al dolore. La presunta risposta di paura è mediata dall’amigdala. Lo stimolo

emotivo raggiunge i nuclei basolaterali dell’amigdala per mezzo della corteccia uditiva, e il suo

segnale è ritrasmesso al nucleo centrale. Le efferenze provenienti dall’amigdala proiettano

verso la sostanza grigia periaquedottale del tronco encefalico, inducendo una reazione

comportamentale allo stimolo, e verso l’ipotalamo, provocando una risposta autonoma.

L’esperienza di un’emozione coinvolge, probabilmente, anche proiezioni dirette alla corteccia

cerebrale. [Fonte: Bear et Al. (2002), p. 611]

Un altro canale è la cinesica, ovvero la gestione dei segni. Buchel et Al.

(1998) hanno riscontrato l’attivazione della corteccia del cingolo e della

corteccia dell’insula, come risposta a uno stimolo visivo, associato con un

suono avverso (Fig. 7).

Fig. 7. Le aree cerebrali in arancio e giallo venivano maggiormente attivate in risposta a uno

stimolo visivo associato con un suono avverso, che con gli altri stimoli visivi. La freccia vicino

alla linea mediana punta verso la corteccia del cingolo e le aree attive sui due lati sono la

corteccia dell’insula. [Fonte: Buchel et Al. (1998); da Bear et Al. (2002), p. 610].

A questo punto si possono riscontrare le stesse strutture individuate in

precedenza nell’ipnosi: il tronco encefalico con la sostanza grigia

periacquedottale e i sistemi modulatori diffusi per l’aumento della vigilanza,

l’ipotalamo, la corteccia cerebrale, la corteccia cingolata e l’insula.

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Negli esperimenti, LeDoux e Buchel et Al., si sono limitati a valutare la

paura appresa tramite suoni o stimoli visivi associati ad essi. Si può

ragionevolmente supporre che, per estensione, possano esistere altri tipi di

suoni e di stimoli visivi associati ad essi, che non scatenino una risposta così

elevata, ma che, comunque, vadano ad attivare gli stessi circuiti trovati.

L’ipnosi potrebbe essere, quindi, una condizione di attivazione

emozionale, proprio come aveva proposto Benemeglio (1979). Tramite la

giusta calibrazione degli stimoli sensoriali, ovvero tramite i quattro canali non

verbali proposti, si agisce direttamente su questi circuiti, inducendo uno stato

emotivo tensionale nel soggetto. Questa tecnica andrebbe a scavalcare la

parte logica-riflessiva della neocorteccia, andando ad agire direttamente sul

sistema limbico e portando il soggetto a uno stato di attivazione emozionale.

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CONCLUSIONE

In conclusione, data l’importanza che negli ultimi anni sta rivivendo

l’ipnosi, dalla medicina, all’ortodonzia e alla psicologia, è tempo di un

decisivo intervento concettuale per una redefinizione dell’ipnosi stessa.

Siamo ormai giunti al punto in cui l’ipnosi classica si basa su fondamenta

troppo deboli e in cui la struttura portante comincia a scricchiolare.

Rivoluzionando la concezione di ipnosi nell’ambito delle teorie dei sistemi

dinamici, possiamo risolvere numerosi problemi a cui oggi siamo bloccati.

Prima di tutto, se intendiamo l’ipnosi come un sistema dinamico, bisogna

intendere la relazione comunicativa, che intercorre tra ipnotizzatore e

ipnotizzato, come una comunicazione a forti contenuti emotivi. Questi

contenuti emotivi si possono ottenere in modo migliore tramite una giusta e

corretta gestione dei canali non verbali. Inoltre, una revisione dei metodi

induttivi, da classici a dinamici, ci dà modo di individuare induzioni differenti

per soggetti differenti, superando la vecchia concezione di suscettibilità

ipnotica proposta dalle scale oggi utilizzate.

Arrivati a questo punto, spero che la futura ricerca possa trovare spunti

per altri piani di lavoro, che possano definire meglio concetti come “giusta

calibrazione” della stimolazione o che possano dare una migliore definizione

di “stimolatore”, ricordando sempre che, oltre ad una rigorosa metodologia

sperimentale, a volte sia necessario trovare su altri piani le risposte celate

nella realtà.

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