CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNOLOGIE ALIMENTARI ... · correlate attraverso l’osservazione...

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CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNOLOGIE ALIMENTARI Programma del corso di IGIENE (nuovo ordinamento) - 3 crediti formativi universitari Prof. Salvatore MASSA Anno accademico 2004/2005 Obbiettivi del corso: L’Igiene si caratterizza per avere come fine la difesa della salute dei singoli e delle collettività. Particolare attenzione sarà rivolta alla prevenzione delle infezioni e intossicazioni che si contraggono attraverso gli alimenti e dei metodi per prevenire tali tossinfezioni. Saranno forniti anche i concetti di base per la comprensione dell’igiene dell’ambiente fisico (acque potabili,acque reflue, rifiuti solidi e aria atmosferica). METODOLOGIA EPIDEMIOLOGICA Introduzione all’epidemiologia Demografia e statistica sanitaria applicate all’epidemiologia: fonti e modalità di raccolta dati; metodologia di rilevamento dati; le misure della frequenza degli eventi sanitari (incidenza e prevalenza; tassi grezzi, tassi specifici, tassi standardizzati) Valutazione del rischio: rischio assoluto e rischio relativo Gli studi epidemiologici: studi ecologici; epidemiologia analitica; epidemiologia sperimentale Epidemiologia generale delle malattie infettive Principi generali di epidemiologia delle malattie non infettive METODOLOGIA DELLA PREVENZIONE Obiettivi e metodi della prevenzione: prevenzione primaria, prevenzione secondaria, prevenzione terziaria Prevenzione delle infezioni Modalità e mezzi per la sterilizzazione, la disinfezione e la disinfestazione Vaccini, immunoglobuline, sieri immuni MALATTIE INFETTIVE Epidemiologia e prevenzione delle infezioni enteriche Colera Febbre tifoide Febbre paratifoide Gastroenteriti acute (gastroenteriti virali, enteriti batteriche, diarree di origine parassitaria) Epatite virale A Epatite virale E

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CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNOLOGIE ALIMENTARI

Programma del corso di IGIENE

(nuovo ordinamento) - 3 crediti formativi universitari

Prof. Salvatore MASSA

Anno accademico 2004/2005

Obbiettivi del corso:

L’Igiene si caratterizza per avere come fine la difesa della salute dei singoli e delle collettività. Particolare

attenzione sarà rivolta alla prevenzione delle infezioni e intossicazioni che si contraggono attraverso gli

alimenti e dei metodi per prevenire tali tossinfezioni. Saranno forniti anche i concetti di base per la

comprensione dell’igiene dell’ambiente fisico (acque potabili,acque reflue, rifiuti solidi e aria atmosferica).

METODOLOGIA EPIDEMIOLOGICA

• Introduzione all’epidemiologia

• Demografia e statistica sanitaria applicate all’epidemiologia: fonti e modalità di raccolta dati;

metodologia di rilevamento dati; le misure della frequenza degli eventi sanitari (incidenza e

prevalenza; tassi grezzi, tassi specifici, tassi standardizzati)

• Valutazione del rischio: rischio assoluto e rischio relativo

• Gli studi epidemiologici: studi ecologici; epidemiologia analitica; epidemiologia sperimentale

• Epidemiologia generale delle malattie infettive

• Principi generali di epidemiologia delle malattie non infettive

METODOLOGIA DELLA PREVENZIONE

• Obiettivi e metodi della prevenzione: prevenzione primaria, prevenzione secondaria, prevenzione

terziaria

• Prevenzione delle infezioni

• Modalità e mezzi per la sterilizzazione, la disinfezione e la disinfestazione

• Vaccini, immunoglobuline, sieri immuni

MALATTIE INFETTIVE

• Epidemiologia e prevenzione delle infezioni enteriche

� Colera

� Febbre tifoide

� Febbre paratifoide

� Gastroenteriti acute (gastroenteriti virali, enteriti batteriche, diarree di origine parassitaria)

� Epatite virale A

� Epatite virale E

� Brucellosi

IGIENE AMBIENTALE

• Acqua potabile

� approvvigionamento idrico

� criteri di potabilità

� sistemi di potabilizzazione

� acque reflue

� rifiuti solidi

IGIENE DEGLI ALIMENTI

• Tossinfezione da salmonella

• Tossinfezione da stafilococchi

• Tossinfezione da Clorstidium prerfrigens

• Botulismo

• Tossinfezione da Bacillus cereus

• Tossinfezione da Vibrio parahaemolyticus

• Micosossine

• Avvelenamenti, adulterazioni e additivi alimentari

• Conservazione degli alimenti

• Il latte

• Alimenti di origine animale

• Parassiti

Testi consigliati:

� Checcacci L., Meloni C., Pelissero G. - IGIENE – ed. Ambrosiana, Milano (1992)

� Barbuti S., Bellelli E., Fara G., Giammanco G. - IGIENE – ed. Monduzzi (2002)

� Appunti delle lezioni, dispense fornite durante il corso.

Resume:

• fundamentals in epidemiology: epidemiology and infectious diseases, risk assessment

• Prevention methods: prevention of infections, sanitization, sterilization techniques.

Vaccines and immunoglobulins

• Principal infectious diseases

• Hygiene and Environment: water, soil, air. Water supplies and water depuration.

Wastewater treatments

• Foog Hygiene: Intoxications, infections, food poisoning

L’Igiene e la Medicina preventiva si servono dell’epidemiologia per

individuare le cause di malattia ed i fattori di causa o protettivi.

L’epidemiologia è la disciplina che studia le malattie e i fenomeni ad esse

correlate attraverso l’osservazione della distribuzione e dell’andamento

delle malattie stesse nella popolazione, l’individuazione dei fattori di

rischio e la programmazione di idonei interventi preventivi e curativi.

Dall’epidemiologia delle malattie infettive a vere e proprie sub-

specializzazioni.

Epidemiologia socio-sanitaria che analizza le prestazioni sanitarie erogate

(definizione, nell’ambito di questa, di stato di salute ottimale definito

dall’OMS).

Evoluzione dell’epidemiologia

Ambiti di applicazione: modello delle paesi in via di sviluppo e l’altro dei

paesi sviluppati.

STATISTICA SANITARIA APPLICATA ALL’EPIDEMIOLOGIA

Le informazioni statistiche espresse in termini quantitativi rappresentano

un fondamentale strumento per lo studio epidemiologico. Queste fonti

possono fornire la rappresentazione di una popolazione secondo due

modalità: una descrive statisticamente la configurazione in un determinato

momento (stato della popolazione), l’altra mette in luce le principali

modificazioni che avvengono in essa nel tempo (movimento della

popolazione).

• Censimento (rilevazione delle principali caratteristiche di una

popolazione, in genere ogni 10 anni).

• Piramide dell’età (struttura della popolazione per sesso ed età).

• Registri anagrafici e notificazioni obbligatorie.

• Certificazioni delle cause di morte.

• Registrazione delle nascite (per eventuale assistenza sanitaria di quei

bambini che necessitano di particolare cura).

• Notificazione delle malattie infettive (prevenire eventuali epidemie e

per adottare adeguate misure preventive).

• Fonti ospedalieri, scheda di dimissione ospedaliera e registri

ospedalieri.

• Indagini ad hoc: sistemi di rilevazione impiegati su insiemi

(campioni) della popolazione. Maggiore completezza e pertinenza

dei dati. Interviste e questionari.

• Registri di patologia.

METODOLOGIA DEL RILEVAMENTO DEI DATI

-osservazioni dirette

-sondaggi

-documentazione sanitaria

Misure della frequenza degli eventi sanitari

Per lo studio della distribuzione degli eventi all’interno di una determinata

popolazione sono usati particolari indicatori di frequenza:

• Frequenza assoluta: numeri di eventi verificatisi in un determinato

periodo all’interno di una popolazione;

• Rapporti: relazione tra due quantità indipendenti tra loro.

• Proporzioni (o frequenze relative): rapporto tra due quantità, in cui il

numeratore è incluso nel denominatore.

• Tassi: si compone di una popolazione a rischio di ammalare; di un

intervallo di tempo in cui si effettua la misura; il numero di eventi

che si sviluppano all’interno della popolazione scelta. In genere un

tasso viene espresso come numero di eventi per 100 o multipli di

100.

Incidenza e prevalenza

Criteri che studiano la distribuzione di un evento all’interno della

popolazione, che collocano diversamente nel tempo il processo

osservazionale.

Incidenza: (Numero di nuovi casi di malattia nel tempo t / popolazione a

rischio di ammalare in quel periodo) x 100

Prevalenza: (Numero di casi di malattia rilevati in un determinato istante t

/ popolazione totale) x 100

Prevalenza puntuale o periodale

Per le malattie inguaribili (nelle quali i casi prevalenti rimangono tali per

tutta la vita) si può stabilire una relazione tra incidenza (I) e prevalenza (P)

(dove I e durata d della malattia siano costanti nel tempo):

P = I x d

La prevalenza è influenzata dallo sviluppo e dalla durata dell’evento.

Tassi grezzi: numeri di eventi verificatisi all’interno di una determinata

popolazione.

Tassi specifici.

Standardizzazione dei tassi: metodologia con la quale si procede

all’aggiustamento dei tassi grezzi, con la quale è possibile “ pesare” le

diverse componenti.

Valutazione del rischio

I fattori di rischio possono essere attribuiti alla persona stessa, o essere

elementi a cui la persona è esposta che aumentano la probabilità che una

malattia o una condizione si verifichino.

Possono comprendere componenti genetiche (intrinseche all’individuo);

ambientali (inquinamenti di varia natura); comportamentali (errati stili di

vita).

I fattori di rischio pur aumentando le probabilità che una determinata

malattia si verifichi, no ne determina necessariamente lo sviluppo.

Rischio relativo : esprime di quanto è maggiore il rischio dei soggetti

esposti ad un determinato fattore rispetto ai non esposti

RR = Incidenza exp / Incidenza non exp

Studi epidemiologici

Epidemiologia di osservazione ed epidemiologia di intervento

Epidemiologia di osservazione si divide in:

1. epidemiologia ecologica o descrittiva (studi ecologici)

2. epidemiologia analitica (studi trasversali, studi a coorte, studi caso-

controllo)

Studi ecologici: forniscono informazioni generali sulla diffusione

(frequenza e distribuzione) delle malattie e dei fattori di rischio. Inoltre,

forniscono indicazioni generali sull’associazione di una malattia con

determinate caratteristiche di base dell’individuo. Tra le fonti da cui

attingere troviamo: schede di morte, notifiche delle malattie infettive,

registri di patologia, registri ospedalieri, censimenti, indagini ad hoc ecc.

Analisi per coorti: riferite ad un gruppo di soggetti nati in un determinato

periodo.

Epidemiologia analitica: ha lo scopo di individuare la causa di una malattia

o i fattori che la favoriscono o la ostacolano. Le indagini analitiche

consistono in studi progettati per verificare le ipotesi causali suggerite

dall’epidemiologia descrittiva.

Studi di prevalenza o trasversali: sono quelli in cui una popolazione

definita viene esaminata in un determinato istante al fine di valutare lo

stato di malattia o all’esposizione ad un particolare fattore di rischio. In

realtà si tratta di uno studio descrittivo, ma si differenzia da questo perché

non utilizza fonti già esistenti, ma si ricorre a rilevamenti diretti su un

campione della popolazione. Fotografia istantanea della popolazione

(difficile indagare sul rapporto temporale causa-effetto). Screening

Studi a coorte: si definisce coorte un gruppo di soggetti che hanno in

comune una o più caratteristiche. Gli studi a coorte osservano dei soggetti

appartenenti alla coorte selezionata per un determinato periodo di tempo;

esse includono il tempo come variabile essenziale. La coorte va scelta in

rapporto all’ipotesi che si vuole verificare. Quando si vuole verificare se

un determinato fattore sia responsabile dell’insorgenza di una malattia, la

coorte sarà costituita da tutti i soggetti esposti a quel fattore; fra di essi si

rileverà la prevalenza all’inizio dell’indagine e la sua incidenza negli anni

successivi, in paragone con la prevalenza e l’incidenza del resto della

popolazione o con un’altra coorte ma non esposta a quel fattore, nello

stesso periodo di tempo. È importante determinare la durata del tempo di

osservazione e l’evento terminale.

Studi caso-controllo: indagini retrospettive effettuate su due gruppi, uno

costituito da soggetti affetti da una determinata patologia (i casi) ed uno da

individui con le stesse caratteristiche ma non affetti da quella patologia (i

controlli). Ad ogni caso si appaia un controllo. Confronto quantitativo o

qualitativo (esposizione o non esposizione a un determinato fattore di

rischio). Studi poco costosi perché non bisogna aspettare il verificarsi della

malattia. Stima sufficientemente approssimata del rischio relativo.

Epidemiologia sperimentale si divide in:

1. studi terapeutici

2. studi preventivi: interventi che consistono nella rimozione di uno o

più fattori di rischio o nell’imposizione di misure preventive che si

ritengono efficaci. Sperimentazioni di intervento sul campo

(interventi presi su un’intera comunità o su un ben preciso territorio);

sperimentazioni sul campo (interventi condotti su individui non

malti, ma semplicemente a rischio di ammalare).

EPIDEMIOLOGIA GENERALE DELLE MALATTIE INFETTIVE Eziologia delle malattie infettive Malattia infettiva Causa microbica Specifico agente microbico Infezione opportunistica Minore specificità eziologia

Ecologia microbica

� Microrganismi saprofiti � Microrganismi commensali � Microrganismi parassiti

Microrganismi patogeni Patogenicità: capacità del microrganismo di causare un danno all’ospite Invasività (capacità di penetrare e diffondersi in tutto l’organismo o in un organo preferenziale) e tossigenicità (capacità di produrre tossine) Patogeni invasivi e non invasivi producono o liberano per disfacimento metabolici tossici, esoenzimi, endotossine, responsabili delle lesioni locali e generali. Virulenza: diverso grado con cui si esprime la patogenicità a seconda dei diversi stipiti microbici. Carica infettante Infettività: capacità di un microrganismo patogeno di penetrare, attecchire e moltiplicarsi nell’ospite. Contagiosità: capacità di un microrganismo patogeno di passare da un soggetto recettivo ad un altro, a seguito della sua eliminazione all’esterno

nel corso del suo processo infettivo. Malattie infettive contagiose (eliminazione all’esterno dell’agente microbico) e non contagiose (intervento di vettori). Patogeni opportunisti: microrganismi saprofiti o commensali che possono essere responsabili di processi infettivi quando vengono meno le normali barriere di difesa che impediscono loro di penetrare nell’organismo in condizioni normali.

Spettro d’ospite -Uomo o animali o entrambi -Ubiquitari o ristrette localizzazioni geografiche

Rapporti ospite-parassita Non sempre la penetrazione di un microrganismo pato geno è seguita dal suo impianto e dalla sua moltiplicazion e nell’organismo ospite. Solo in quest’ultimo caso (q uando le barriere di difesa dell’organismo non hanno impedit o l’impianto e la moltiplicazione) si realizza l’infe zione. Infezione asintomatica e malattia sintomatica. Infezione Risposta immunitaria da parte de ll’organismo (in entrambi i casi) Periodo di incubazione (PI): periodo intercorrente tra la penetrazione dell’agente patogeno e l’inizio della sintomatologia clinica (dipende dal microrganismo p atogeno e dalle difese dell’ospite).

PI breve nelle infezioni superficiali e con lesioni localizzate PI più lungo quando l’agente patogeno deve penetrare, moltiplicarsi, diffondersi e raggiungere un organo bersaglio.

Barriere di difesa dell’organismo ospite

� Cute e mucose (struttura, secrezioni, microrganismi commensali) � Intervento di fagociti � Produzione di anticorpi. Stato di immunità attiva (naturale o

artificiale) o passiva (naturale o artificiale) � Refrattarietà: dovuta a fattori intrinseci dell’ospite, geneticamente

determinati, che impediscono la penetrazione, l’attecchimento e la moltiplicazione del microrganismo patogeno.

� Fattori aspecifici Il rapporto ospite-parassita è un rapporto temporaneo che si conclude con il sopravvento dell’ospite sul microrganismo prima che esso penetri (subito dopo il contagio), oppure dopo che è penetrato e si è moltiplicato ma prima che abbia causato un danno evidente (infezione in apparente) o dopo che si è manifestata la malattia (guarigione). Nell’infezione latente si arriva ad uno stato di equilibrio tra l’ospite e il parassita, quest’ultimo persiste nei tessuti dell’ospite dove si moltiplica ma da segno della sua presenza solo occasionalmente. Nel portatore cronico la malattia si è conclusa con la guarigione, tuttavia il microrganismo patogeno ha potuto localizzarsi in un particolare sito anatomico dove si moltiplica e raggiunge l’ambiente esterno con gli escreti. TRASMISSIONI DELLE INFEZIONI Caratteristica delle malattie infettive è la trasmissibilità orizzontale da un ospite all’altro o in alcuni casi verticale (attraverso la placenta). Sorgente di infezione: ospite umano o animale di un microrganismo patogeno, quando quest’ultimo può essere trasmesso ad altri organismi recettivi. Soggetto ammalato. L’eliminazione dell’agente patogeno può avvenire attraverso diversi escreti o secreti, in rapporto alla localizzazione del processo infettivo.

Portatori. Soggetto non ammalato che alberga microrganismi patogeni e li elimina all’esterno. -Portatori convalescenti -Portatori cronici -Portatori di incubazione -Portatori sani (infezione inapparente) Serbatoi di infezione: specie animale o vegetale o substrato inanimato in cui il microrganismo patogeno trova il suo habitat naturale e da cui può essere trasmesso ad organismi recettivi. Antropozoonosi Zooantroponosi Vie di penetrazione e modalità di trasmissione Mucose dell’apparato digerente, dell’apparato respiratorio, delle vie genito-urinarie, della congiuntiva. Cute, barriera che può essere superata con la puntura di alcuni insetti o con la morsicatura di alcuni animali. Solo le larve di alcuni elminti possono attraversare la cute sana. Modalità di trasmissione dipendono dalle vie di ingresso obbligate o preferenziali del microrganismo patogeno e dalla resistenza che essi hanno nell’ambiente. Trasmissione diretta

- per contatto - mediante inoculazione - per via aerea

in genere questa modalità di trasmissione è tipica di microrganismi che vengono inattivati rapidamente nell’ambiente. Trasmissione indiretta -veicoli: substrati inerti: acqua, aria, alimenti e oggetti

-vettori: organismi animati. Gli antropodi fungono da vettori di virus, batteri, protozoi che si moltiplicano all’interno del vettore e sono trasmessi gli ospiti recettivi mediante puntura o deposizione delle feci su lesioni della pelle. Vettori obbligati e vettori meccanici o passivi. Catene di contagio -catena di trasmissione omogenea omonima (tra individui appartenenti alla stessa specie) -catena di trasmissione omogenea eteronima (tra individui appartenenti a specie diverse) -catena di trasmissione eterogenea omonima (tra individui della stessa specie tramite un vettore obbligato) - catena di trasmissione eterogenea eteronima (tra individui di specie diverse con l’intervento di un vettore) Conoscere le catene di trasmissione sono importanti per l’elaborazione di strategie di intervento Fattori favorenti le infezioni -Fattori individuali: fattori biologici e fattori comportamentali -Fattori ambientali: condizioni socio-economiche, affollamento, scarsità di acqua potabile, cattivo smaltimento di rifiuti MODI DI COMPARSA DELLE MALATTIE INFETTIVE Epidemia: più casi di malattia che si presentano nella stessa popolazione o nello stesso gruppo di individui entro un breve periodo di tempo avente la stessa origine. Può avere durata variabile e coinvolgere un numero più o meno elevato di soggetti in relazione alla contagiosità del microrganismo patogeno e alla recettività dei soggetti. Caso indice, casi secondari e intervallo seriale. Mappa temporale: studio della sequenza nel tempo della malattia. Pandemia Endemia: l’agente responsabile della malattia è stabilmente presente e circola nella popolazione, manifestandosi con un numero più o meno elevato di casi ma uniformemente distribuito nella popolazione. Equilibri

tra il microrganismo e la popolazione (fattori biologici, fattori sociali, ambientali e metereologici). Sporadicità: si manifesta in una popolazione in cui quella malattia è assente da tempo e non si trasmette ad altri individui rimanendo un caso isolato. Notificazione obbligatoria e indagini di laboratorio Storia naturale di una malattia infettiva: insieme delle carattreistiche biologiche del microrganismo patogeno, a recettività dell’ospite e le caratteristiche della popolazione concorrono a determinare il decorso nel singolo e nella collettività. EPIDEMIOLOGIA GENERALE DELLE MALLATTIE NON INFETTIVE Non sono caratterizzate dalla trasmissibilità orizzontale Causa: tutti gli agenti che svolgono un ruolo determinante per l’inizio e il decorso della malattia. -Cause biologiche comprendenti cause genetiche (alterazioni dei geni) e cause biologiche ambientali (allergeni naturali) -Cause chimiche: sostanze chimiche che causano alterazioni patologiche. Tossicità acuta, cronica e genetica. -Cause fisiche: calore, rumori, traumi, radiazioni ionizzanti e non. Fattori causali: pur non avendo i requisiti delle “cause” (unicità, indispensabilità, specificità, sufficienza) hanno un rapporto causa-effetto con la malattia (fumo di sigaretta, abuso di bevande alcoliche, ecc.). Fattore di rischio: condizioni che aumentano la probabilità che un evento patologico si manifesti. Variabili biologiche, comportamentali ed ambientali. Fattori protettivi. Variabili biologiche, comportamentali ed ambientali.

PREVENZIONE ED OBIETTIVI DELLA PREVENZIONE La prevenzione ha il fine di impedire l’insorgenza e la progressione della malattia. A seconda degli obiettivi e dei metodi di intervento distinguiamo tre tipi di prevenzione: primaria, secondaria e terziaria. Prevenzione primaria. Obiettivo della prevenzione primaria è impedire l’insorgenza di nuovi casi di malattia nelle persone sane. Diminuzione del tasso di incidenza. Per ottenere la diminuzione del tasso di incidenza è necessario ridurre il rischio individuale e questo può essere ridotto completamente a zero se si elimina completamente la causa della malattia o ad impedire che essa agisca sulla popolazione. In questo caso anche l’incidenza tenderà a zero in tempi più o meno brevi. (Brucellosi) Metodologia della prevenzione primaria

- eugenetica; - potenziamento delle capacità di difesa dell’organismo; - rimozione di comportamenti nocivi; - induzione di comportamenti positivi; - interventi sull’ambiente di lavoro e di vita

Prevenzione secondaria. Obiettivo della prevenzione secondaria è la scoperta e la guarigione dei casi di malattia prima che essi si manifestino clinicamente. Riduzione del tasso di prevalenza (i casi che vengono scoperti e subito sottoposti a cura, giungono rapidamente a guarigione) ma non del tasso di incidenza. Non tutte le malattie sono suscettibili di prevenzione secondaria, ma soltanto quelle aventi certi requisiti, come:

- conoscenza della storia naturale della malattia per prevederne l’evoluzione;

- periodo di latenza in fase asintomatica sufficientemente lungo; - disponibilità di un test (clinico, strumentale o di laboratorio); - disponibilità di terapie efficaci.

Metodologia della prevenzione secondaria Ogni intervento di prevenzione secondaria richiede l’esame di una massa di persone apparentemente sane per effettuare lo screening, cioè la selezione di coloro che non presentano ancora i sintomi della malattia. Screening selettivo (categoria con rischio di ammalare particolarmente elevato) o di massa. Requisiti perché si possano programmare interventi di prevenzione secondaria mediante screening:

- frequenza e gravità della malattia; - evoluzione della malattia; - disponibilità di efficaci terapie; - esame (saggio di laboratorio o indagine strumentale) semplice,

rapido, sensibile (falsi negativi), specifico (falsi positivi) e poco costoso.

Prevenzione terziaria. Obiettivo della prevenzione terziaria è impedire l’invalidità in persone già ammalate di malattie croniche. OBIETTIVI STRATEGICI DELLA PREVENZIONE

- proteggere il singolo individuo dalle malattie; - raggiungere il controllo delle malattie nella popolazione

(diminuzione dei casi di malattia); - eliminare le malattie (scomparsa dei casi di malattia); - eradicare le malattie.

PREVENZIONE DELLE INFEZIONI Nel caso di malattie infettive si attua una prevenzione primaria e secondaria. La prevenzione primaria delle infezioni mira ad evitare il contagio o, quando non è possibile, l’infezione.

1. per evitare il contagio è necessario impedire che l’agente eziologico venga a contatto con un ospite recettivo, agendo sulle sorgenti e sui serbatoi di infezione;

2. per evitare l’infezione è necessario impedire che il microrganismo venuto a contatto con l’ospite si moltiplichi all’interno di esso.

Strategie:

A. scoprire e rendere inattive le sorgenti di infezione; B. interrompere le catene di trasmissione; C. aumentare le resistenze alle infezioni.

A. notificazione obbligatoria primo atto per la scoperta delle sorgenti di infezione e successiva inchiesta epidemiologica. Isolamento e contumacia. Disinfezione e sterilizzazione. Disinfestazione. Scoperta e inattivazione dei portatori. Eradicazione dei serbatoi naturali.

B. Intervento sui fattori ambientali che ne favoriscono la diffusione attraverso la bonifica dell’ambiente (riduzione dei casi di malattia agendo sui vettori e sui veicoli) ed educazione sanitaria (modifica dei comportamenti).

C. Resistenze aspecifiche: barriere fisiologiche (cute e mucose). Importanti per evitare l’ingresso di microrganismi saprofiti e commensali. Immunoprofilassi attiva (vaccini) e/o passiva (immunoglobuline umane e sieri eterologhi). Chemioprofilassi primaria (per impedire l’attecchimento e il moltiplicarsi del microrganismo patogeno una volta penetrato in soggetti esposti ad un rischio di contagio).

La prevenzione secondaria ha lo scopo di impedire che l’infezione evolva in malattia conclamata. Teoricamente si deve impedire, una volta che è avvenuto il contagio e dopo che il microrganismo ha dato inizio al processo infettivo, che quest’ultimo dia segni clinicamente manifesti. In pratica non sempre questo è possibile a causa di periodi di incubazione piuttosto brevi. Gli interventi consistono essenzialmente nella diagnosi precoce mediante screening e nel trattamento della malattia in fase preclinica. Chemioprofilassi secondaria: somministrazione di chemioterapici e farmaci a persone in cui è già in atto il processo infettivo. OBIETTIVI DELLA PREVENZIONE

- Protezione individuale; - Controllo delle infezioni (processo dinamico che, per mezzo di

un opportuno programma di prevenzione, porta ad una significativa e progressiva riduzione dell’incidenza della malattia, ad esempio tramite vaccinazioni di massa;

- Eliminazione delle infezioni (assenza di casi di malattia pur essendo ancora presenti i serbatoi di infezione

- Eradicazione delle infezioni (scomparsa del microrganismo patogeno).

MODALITA’ E MEZZI PER LA STERILIZZAZIONE, LA DISINFEZIONE E LA DISINFESTAZIONE Sterilizzazione Distruzione totale delle forme vegetative e delle forme sporali di microrganismi patogeni e non. Sterilizzazione con il calore Il calore agisce alterando le sostanze che costituiscono le strutture dei microrganismi; particolarmente sensibili all’azione del calore sono le proteine con funzioni enzimatiche. Diversa sensibilità dei microrganismi al calore. Calore umido (vapore saturo e tindalizzazione) e calore secco (incenerimento, flambaggio di superfici e oggetti, aria calda e radiazioni infrarosse). 1. Aria calda Stufe o armadietti con temperatura tra 180°C-200°C per 30-60 minuti. (vetreria di laboratorio, siringhe, altro materiale di vetro o di metallo. Alcuni materiali possono subire alterazioni. 2. Raggi infrarossi Notevole capacità di penetrazione 3. Vapore saturo sotto pressione I microrganismi sono più sensibili quando si trovano in ambiente umido. Questo è dovuto alla minore stabilità delle proteine ed alla maggiore conducibilità termica dell’acqua e del vapore rispetto all’aria. Raggi ultravioletti

I raggi UV nella lunghezza d’onda di 2.500Å possiedono la maggiore attività microbicida. Agiscono alterando il DNA. Raggi gamma Radiazioni ionizzanti prodotti dal cobalto 60 Sterilizzazione con ossido di etilene Si utilizza per tutti quei materiali che possono subire alterazioni se sottoposte a calore umido o secco. L’ossido di etilene è un etere ciclico, che passa allo stato gassoso alla tem

INTOSSICAZIONI ALIMENTARI

Cosa sono?

Le intossicazioni alimentari sono manifestazioni patologiche che si determinano in seguito al consumo di alimenti contenenti tossine prodotte da microrganismi che si sono moltiplicati nell’alimento precedentemente al suo consumo. Perché si manifesti l’intossicazione pertanto non obbligatoriamente ci deve essere il microrganismo, bensì è indispensabile la presenza della sua tossina.

Le sole e vere intossicazioni alimentari di origine batterica sono:

• Intossicazione botulinica o botulismo

• Intossicazione stafilococcica

Esistono poi le cosiddette tossinfezioni alimentari in sensu strictu determinate dal consumo di alimenti contenenti sia tossine che batteri. In questo caso la tossicità è data sia dalle tossine preformate sia da quelle prodotte da cellule vive ingerite con l’alimento all’interno dell’ospite e dai microrganismi viventi che continuano la moltiplicazione nell’intestino.

Sono tossinfezioni alimentari le sindrome tossiche provocate da:

• Bacillus cereus

• Clostridium perfringens

• Vibrio parahaemolyticus

Botulismo

Responsabile di questa gravissima intossicazione, quasi sempre mortale, è Clostridium botulinum, il cui habitat naturale è rappresentato dal suolo e dalla polvere.

Caratteristiche di Cl. botulinum

• Bastoncino - Gram positivo - Sporigeno (spora terminale o subterminale

• Anaerobio obbligato

• Temp. ott. = 30-37°C

• Temp. min. = 10°C

• pH ott.= 7

• pH min. = 4.5

• Aw min. = 0.94

• Inibito da NaCl (8%) e da nitriti

Attualmente si conoscono 7 diversi tipi sierologici di Cl. botulinum indicati con altrettante lettere dell’alfabeto: A - B - C- D - E - F e G, distinti in base alla specificità antigenica e delle esotossine prodotte. Tutte hanno in comune la caratteristica di produrre la tossina, ma si differenziano tra loro per l’attività proteolitica, per la specificità nei confronti dell’ospite e per una certa distribuzione geografica.

Tipo

Att. proteolitica

Ospite Incidenza geografica

Veicoli

A + Uomo, pollame

Nord America, Russia

Conserve domestiche non acide

B +* Uomo, cavalli, bestiame

Nord America, Russia, Europa

Carne manipolata

C - Uccelli, bestiame

Nord e sud America, Sud Africa, Australia, Europa

Vegetali di palude, animali morti, insetti

D Bestiame Sud Africa, Australia

Animali morti

E - Uomo, pesci Giappone del Nord, Nord Europa, Alaska, Labrador

Prodotti carnei, patè di fegato

F +* Uomo Danimarca e Sud America

Suolo

G + Sconosciuto Argentina

* = alcuni ceppi sono negativi

La tossina è una esotossina prodotta dal microrganismo durante la crescita microbica e poi liberata nell’alimento; una volta ingerita viene assorbita nell’intestino tenue e da qui portata, attraverso il circolo sanguigno, al sistema nervoso, agendo sulle sinapsi e sulle placche neuromuscolari ostacolando la liberazione di acetilcolina. Si tratta di una neurotossina avente azione paralizzante a livello del sistema nervoso periferico; facilmente distrutta dal calore (80°C per 15 min. i tipi A e B), ma estremamente potente è infatti sufficiente una quantità pari a 1*10-8/g di tossina a determinare la morte.

I primi sintomi si manifestano dopo 18-36 ore l’ingestione dell’alimento contaminato e sono rappresentati da: nausea, vomito e diarrea. In breve tempo però subentrano disturbi più gravi a carico della vista, difficoltà di parola e di deambulazione sino alla paralisi dei muscoli e dell’attività respiratoria con conseguente morte che sopraggiunge nel 65% dei casi. Esistono antisieri specifici tuttavia la loro somministrazione, perchè sia efficace, deve essere estremamente tempestiva.

Le condizioni che determinano la germinazione delle spore e la moltiplicazione del microrganismo e quindi la produzione della tossina sono:

• assenza di aria (condizioni di anaerobiosi)

• temperatura > 10°C

• Aw > 94%

• pH > 4.5

• Concentrazione di NaCl < 7-8%

• Assenza di nitrati

• Presenza di altre forme microbiche che, attraverso la loro attività metabolica, possono realizzare condizioni idonee alla crescita e moltiplicazione del patogeno anche in ambienti originariamente inadatti (conserve acide).

La difficoltà con cui si verificano contemporaneamente tutte queste condizioni spiega la scarsa diffusione di questa intossicazione. In particolare il rischio a livello di produzioni industriali, se vengono rispettate tutte le procedure, è nullo. Più pericolose sono invece le preparazioni casalinghe, soprattutto nel caso di conserve poco acide

(verdure, carne). Gli alimenti maggiormente incriminati sono insaccati, carne in scatola e conserve vegetali sott’olio.

E’ buona norma evitare il consumo di prodotti provenienti da confezioni gonfie, indice di una produzione di gas, mentre negli insaccati un campanello d’allarme può essere la presenza di zone verdastre ad indicare una più o meno spinta proteolisi, talvolta associata anche a fenomeni di rammollimento e a cattivi odori.

Prevenzione Preparazioni casalinghe

• accurata pulizia dei prodotti

• utilizzo di prodotti freschi

• riscaldamento a 121°C per 3 minuti (pentola a pressione)

• acidificazione e salatura

Preparazioni industriali

• materie prime di qualità

• controllo parametri della sterilizzazione

L’accertamento di laboratorio consiste nel dimostrare la presenza nel siero del paziente, nelle feci o nell’alimento residuo di un fattore termolabile, letale per il topolino, che specificatamente neutralizzato da una delle anti-tossine botuliniche.

Intossicazione stafilococcica

Rappresenta forse la più diffusa intossicazione alimentare dei nostri tempi. Responsabile è la specie Staphylococcus aureus, cocco Gram positivo, anaerobio facoltativo, saprofita delle mucose e della cute di uomo ed animali. Alcuni suoi ceppi durante la crescita sono in grado di produrre

negli alimenti delle tossine, responsabili di una gastroenterite, conseguente il consumo di cibi contaminati. Le condizioni ideali di produzione della tossina, definita anche enterotossina, non sempre coincidono con quelle della crescita, a sua volta influenzata da temperatura, attività dell’acqua, concentrazione di NaCl, potenziale redox, pH dell’alimento.

Condizioni di crescita e di produzione di enterotossina Crescita Prod. tossina Range Ottimale Range Ottimale Temperatura 6-46°C 37°C 10-45°C 40°C

pH

4.8-8 (aerobiosi)

5.5-8 (anaerobiosi)

6.7 5.8 6.5-7

Conc. NaCl (%)

0-20 - 0-10 -

Aw 0.83-0.99 >0.98 0.86-0,99 >0.99

La principale caratteristica di questa enterotossina è di essere termostabile, pertanto i normali trattamenti di cottura non sono in grado di inattivarla. Sono attualmente state identificate 5 diverse enterotossine indicate come A-B-C-D- ed E. La tossina A è quella maggiormente implicata nei casi di intossicazione (circa 80%), seguono poi la D, la C e la B, mentre la E è molto rara. Si tratta di proteine semplici e benchè diverse tra loro possiedono una certa capacità di reazione incrociata. I tipi B e C sono prodotte alla fine della fase stazionaria (prodotti del metabolismo secondario), mentre A, D ed E sono prodotte nella fase logaritmica. Le tossine sembrano codificate a livello cromosomiale, ma per alcune di queste recentemente è stata avanzata l’ipotesi di una loro espressione a livello plasmidico.

A - E � cromosomiale

B-C � plasmidico /cromosomiale

D � plasmidico

I sintomi si manifestano rapidamente dopo l’ingestione del cibo contaminato, generalmente tra le 2 e le 6 ore e sono rappresentate da nausea, aumentata salivazione, vomito, cefalea, forti e frequenti dolori addominali e alcune volte diarrea, la febbre è rara.

La quantità di tossina necessaria determinare l’intossicazione è pari a quella prodotta da un numero di cellule di St. aureus di 106 ufc/g di prodotto, tuttavia esiste una certa sensibilità individuale. Il tutto si risolve in circa 24 ore, anche se può persistere una sensazione di spossatezza nei giorni immediatamente successivi. La morte è rara e nel caso colpisce solo soggetti particolarmente sensibili alla disidratazione come bambini ed anziani. L’unica cura adottata è il controllo appunto della stato di idratazione.

L’intossicazione stafilococcica è estremamente diffusa ed anche molto frequente. La reale incidenza è tuttavia molto difficile perchè molti casi non sono dichiarati: sono noti solo quelli più gravi che comportano un ricovero ospedaliero e che coinvolgono un numero elevato di persone, mentre i casi contratti a livello familiare restano sconosciuti.

Le preparazioni più comunemente implicate, sono quelle piuttosto complesse, molto manipolate, a elevato contenuto proteico, poco acide e non propriamente sottoposte a refrigerazione dopo la cottura: carni (arrosti freddi), prodotti a base di carne (pasticci vari) e salumi, prodotti a base di uova, pesci cotti ed affumicati. Tra le carni quelle macinate presentano il maggior rischio a causa delle numerose manipolazioni cui sono sottoposte e della maggiore superficie di esposizione. Da non dimenticare inoltre che, essendo lo stafilococco un microrganismo resistente ad alte concentrazioni di sale, anche i prodotti sottoposti a salagione possono essere fonte di intossicazione. La contaminazione dei cibi può avvenire prima o dopo la cottura; il periodo più pericoloso per la produzione di tossina è comunque quello che intercorre tra la cottura ed il momento della distribuzione che nella ristorazione collettiva è talvolta molto lungo.

In questo intervallo di tempo nella maggior parte dei casi l’alimento cotto viene lasciato a temperatura ambiente ed esposto all’aria, dando così la possibilità al microrganismo, se presente, di moltiplicarsi e di produrre tossina. L’intervallo di temperatura critico è quello tra i 20 ed i 40°C. Infine se la contaminazione da parte del microrganismo avviene dopo al cottura l'assenza di altra microflora facilita la moltiplicazione dello stafilococco che non ha più forme di competizione.

Condizioni necessarie per il manifestarsi dell’intossicazione

• Contaminazione dell’alimento con ceppi enterotossici di origine umana e provenienti da soggetti infetti

• Condizioni di temperatura tali da permettere la moltiplicazione del microrganismo e la produzione di tossina

• Consumo di un alimento contenente una elevata concentrazione di enterotossina preformata.

A causa della sua diffusione eliminare lo Stafilococco è molto difficile. La prevenzione di questa intossicazione si basa prevalentemente sull’istruzione del personale circa l’importanza di condurre in maniera corretta le operazioni di cottura e di successiva refrigerazione dei pasti, nonchè sull’educazione all’i giene personale da parte degli addetti alle varie preparazioni alimentari. In particolare la prevenzione deve mirare ad impedire la moltiplicazione del microrganismo così da evitare la produzione di tossina.

Le precauzioni da prendere sono:

• Mantenere i cibi cotti a temperatura al di sopra della quale gli stafilococchi cessano di moltiplicarsi (> 70°C)

• Raffreddare rapidamente gli alimenti e conservarli refrigerati in contenitori poco profondi (Temperatura al cuore non superiore a 7°C)

• Preparare e consumare gli alimenti nel più breve tempo possibile al fine di non dare alle forme presenti il tempo di moltiplicarsi (2-3 ore)

• Massimo rispetto delle norme di buona produzione

I principali fattori coinvolti nelle epidemie sono quindi in ordine decrescente:

• inadeguato raffreddamento

• lungo intervallo di tempo tra la preparazione ed il consumo

• personale malato e/o in carenti condizioni igieniche

• inadeguata cottura.

Esame batteriologico che dimostra la presenza dello stafilococco nell’alimento.

Clostridium perfringens

E' un bastoncino Gram positivo sporigeno immobile, anaerobio obbligato in grado di crescere in un ampio intervallo di temperatura (5-55°C) e di pH (5-8). Molto diffuso in natura dove si trova nelle acque, nel suolo e nell’intestino di uomo ed animali.

Si conoscono 5 diversi tipi indicati come A, B, C, D, E in grado di produrre vari tipi di tossine, tuttavia solo i tipi A e C sono pericolosi per l’uomo. Più specificatamente il tipo A è quello coinvolto nelle tossinfezioni, mentre il tipo C è molto più raro ed è responsabile di una enterite necrotica molto più grave della precedente.

Chimicamente la tossina è un polipeptide semplice facilmente distrutto dalla temperatura (60°C per 10 minuti) e viene prodotta durante la fase di sporulazione, pertanto le condizioni che favoriscono la germinazione delle spore, ne favoriscono anche la produzione che avviene generalmente a livello intestinale

I primi sintomi compaiono tra le 6 e le 24 ore successive l’ingestione di cibo contenente cellule vive (non < 106 ufc/g) e consistono in forti dolori addominali, diarrea, nausea. Il decorso è solitamente benigno.

Si tratta di una tossinfezione legata quasi esclusivamente alla Ristorazione Collettiva e soprattutto al consumo di carne non adeguatamente trattata al calore o mal refrigerata. Tra le carni comunque le più pericolose sono quelle tipo arrosto arrotolato, in quanto la loro superficie esterna, più contaminata, viene portata con la fase di arrotolamento all’interno della massa dove più facilmente si instaurano condizioni di anaerobiosi e gli scambi di calore avvengono molto più lentamente.

Particolarmente pericoloso è lasciare l’alimento a temperatura ambiente poichè in queste condizioni viene favorita la germinazione delle spore e la liberazione di tossina.

La tossinfezione si manifesta solo in seguito a:

• presenza del microrganismo patogeno vivo

• condizioni di temperatura che ne favoriscano la proliferazione sino ad un numero minimo pari a 106 ufc/g di prodotto

• consumo dell’alimento da parte di una collettività

Le misure preventive sono:

• controllo qualità nella scelta delle materie prime

• rispetto delle più elementari norme igieniche

• rigoroso controllo della temperatura nella fase di refrigerazione e di cottura (almeno 65°C per alimenti caldi; non più di 3°C per alimenti freddi sino al consumo)

Bacillus cereus

E' un bastoncino Gram positivo sporigeno, anaerobio facoltativo molto diffuso in natura. Produce numerose sostanze extracellulari, ma importanti per l’uomo sono due tossine entrambe responsabili di tossinfezioni

alimentari conseguente al consumo di alimenti contaminati con cellule vive.

Condizioni di crescita di Bacillus cereus

• T ottimale = 30-37°C

• T minima = 5°C

• T massima = 55°C

• pH = 4.9 - 9.3

• Aw minima = 0.95

Bacillus cereus produce due tipi di tossina: tossina diarroica e tossina emetizzante.

La tossina diarroica è prodotta durante la fase esponenziale di crescita e raggiunge il massimo nella successiva fase stazionaria, dopo di che la sua produzione cessa. E’ termolabile ed è possibile la sua determinazione solo in presenza di un numero di cellule non inferiore a 107 ufc/g. La sindrome si manifesta sottoforma di diarrea acquosa e forti dolori addominali tra le 6 e le 15 ore dopo il consumo di alimenti contaminati, raramente compaiono anche nausea e vomito. I sintomi scompaiono dopo circa 20-24 ore.

La tossina emetizzante differisce dalla precedente in quanto termostabile e resistente a valori estremi di pH (2-11). Si tratta di una sindrome molto più acuta della precedente con un periodo di incubazione non superiore alle 6 ore; la sintomatologia è peraltro molto simile a quella dell’intossicazione stafilococcica.

Condizioni ottimali produzione tossina diarroica

• T = 18 - 43°C

• pH = 6 - 8.5

• presenza di glucosio

Alimenti coinvolti Tossina diarroica Tossina emetizzante insalata o purea di patate

riso bollito o fritto

pollo latte in polvere verdure in insalata creme piatti precucinati

L’accertamento di laboratorio si considera positivo quando si isoli B. cereus in cariche elevate (10 5-109 ufc/g) da residui di alimenti oppure dalle feci e dal vomito dei soggetti colpiti.

Vibrio parahaemolyticus Batterio Gram negativo, di forma bastoncellare con un flagello ad una estremità, alofilo, che trova il suo habitat naturale nei sedimenti e nelle acque costiere e marine. Solo gli stipiti che contengono una emolisina sono enterotossici. Periodo di incubazione : 12-24 ore ma anche in alcuni casi 96 ore. Sintomi: diarrea profusa, nausea e dolori addominali, in alcuni casi anche la febbre e il vomito. Questa tossinfezione è molto frequente in Giappone, per il consumo di pesce crudo sminuzzato e lasciato macerare in salse. Carica batterica sufficiente per provocare la tossinfezione alimentare: 106-109 ufc/g.

FEBBRE TIFOIDE Agente eziologico: Salmonella typhi.

PATOGENESI Le metodiche batteriologiche di accertamento diagnostico devono tenere conto delle fasi patogenetiche della malattia: − emocoltura − sieroagglutinazione − coprocoltura SORGENTI DI INFEZIONI L’uomo malato o portatore, elimina il batterio attraverso le feci nelle fasi avanzate della malattia, o attraverso le urine durante la fase di batteremia. I portatori sono per la maggior parte convalescenti o cronici. Trasmissione diretta interumana (attraverso le mani) o indiretto. Veicoli: acqua, latte, molluschi, ortaggi. Vettori: mosche. PREVENZIONE − Adeguato smaltimento dei liquami; clorazione delle acque della rete

idrica pubblica; lotta contro le mosche; scrupolosa adozione di misure igieniche nella manipolazione dei cibi; bollitura e pastorizzazione del latte; controllo della commercializzazione dei frutti di mare; protezione delle acque, suolo e alimenti dall’inquinamento fecale

Periodo di incubazione: 1-7 giorni Periodo di invasione Periodo di stato

Periodo di defervescenza

− Identificazione, isolamento e bonifica dei portatori, dei contatti e dei malati

INTERVENTI DI PREVENZIONE SPECIFICA − Vaccino inattivato: costituito da sospensioni di S.typhi e S. paratyphi

inattivate con formolo o con acetone. 80-90% dei soggetti si ha una protezione immunitaria di 3-4 anni.

− Vaccino vivo attenuato: preparato da un mutante di S. typhi incapace di metabolizzare il galattosio, pertanto va inconytro ad autolisi.

Obbligo di vaccinazione: − Personale addetto ai servizi di cucina, disinfezione, pulizia degli

ospedali e degli istituti e case di cura; − Personale addetto ai servizi di approvvigionamento idrico, raccolta del

latte; − Personale addetto alla manipolazione, produzione e preparazione di

alimenti.

SALMONELLOSI Il genere Salmonella comprende due specie: S. enterica, che è divisa in 6 sottospecie (divise a loro volta in serovar sulla base degli antigeni somatici O, di superficie Vi e flagellari H) e S. bongori. Sono distrutte alla temperatura di 60°C per tempi d i 15-20 minuti (processi di pastorizzazione). Adeguata cottura degli alimenti Refrigerazione degli alimenti Possibile ricontaminazione dopo la cottura o prima della refrigerazione Si distinguono: 1. Sierotipi adattati all’uomo (S. typhi, S. paratyphi A e C); 2. Sierotipi adattati a particolari ospiti animali (S. abortus-equi, S.

gallinarum, S. abortus-ovis, S. typhi-suis); 3. Sierotipi non aventi un ospite preferenziale. Degli oltre 1600 sierotipi che si conoscono solo 50 ricorrono comunemente. Serbatoi naturali: rettili. Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento della diffusione di sierotipi negli animali da allevamento. PATOGENESI Maggiore è il numero di microrganismi introdotti per via orale, maggiori sono le probabilità che un certo numero giunga nell’intestino. Una volta giunte nell’intestino, se riescono ad aderire all’epitelio dell’intestino tenue, penetrano nella mucosa intestinale fino a raggiungere la lamina propria dove si moltiplicano e provocano diversi gradi di risposta infiammatoria. L’infezione (che in alcuni è inapparente) si manifesta dopo un periodo di 12-24 ore ( in alcuni casi anche dopo 72 ore).

Sintomi: diarrea, vomito, dolori addominali, febbre (di varia intensità a seconda di diversi fattori). In alcunu casi si possono avere anche forme setticemiche con localizzazioni diverse (S. cholerae suis e S. wien). EPIDEMIOLOGIA Le salmonelle sono veicolate in larga misura dagli alimenti. Meno frequenti sono i portatori cronici di salmonelle rispetto a quelli di S. typhi. Gli animali portatori sani e quelli ammalati contribuiscono alla trasmissione diretta tra gli animali stessi e alla trasmissione indiretta all’uomo attraverso i prodotti animali. Obbligo della notificazione dal 1975. Aumento della diffusione dei sierotipi introdotti nelle diverse regioni, ascrivibile a diversi fattori concomitanti ( importazione di carni e bestiame, diffusione degli allevamenti intensivi, impiego di mangimi a base di farine animali, abitudine di consumare i pasti fuori casa, aumento del consumo di carne). Nonostante il diffondersi di diversi sierotipi, la maggiorparte delle infezioni da salmonelle sono dovute a S. typhimurium. Aumento del numero delle infezioni Aumento del numero dei sierotipi Aumento della resistenza tra le salmonelle agli antibiotici

SHIGELLOSI S. dysenteriae, S. flexneri, S. boydii, S. sonnei. S. dysenteriae produce una esotossina (neurotossina, citotossina e enterotossina). I batteri colonizzano l’intestino e si isolano solamente dalle feci e dal muco intestinale dei malati o dei soggetti con infezioni inapparenti. Sono microrganismi patogeni solo per l’uomo e per la scimmia. Non sopravvivono a lungo nelle feci acide. Sopravvivenza limitata nell’ambiente esterno (S. sonnei è la più resistente). Sopravvivenza fino a 2-3 settimane in adatte condizioni ambientali. PATOLOGIA Il processo infiammatorio è dovuto al potere invasivo, che si manifesta con la capacità di invasione delle cellule epiteliali della mucosa del grosso intestino. Processo infiammatorio di diversa entità: nei casi più gravi dovuti a S. flexneri e S. dysenteriae si ha necrosi e formazione di ulcere. Periodo di incubazione: in media 3 giorni. Sintomi: vomito, diarrea acquosa, febbre, crampi addominali. Le infezioni dovute a S. sonnei sono a decorso più mite, inoltre molte volte l’infezione può rimanere asintomatica. EPIDEMIOLOGIA Trasmissione oro-fecale: il contagio avviene direttamente con le mani sporche dal malato o dal portatore al soggetto sano, oppure indirettamente attraverso asciugamani, rubinetti ecc. Diminuzione della diffusione di S. dysenteriae e S. flexneri. S. sonnei, rispetto alle altre specie, è molto più resistente nell’ambiente ed è sufficiente un numero di microrganismi più ridotto per provocare l’infezione (10-100 batteri). Dà infezioni molto spesso asintomatiche, contribuendo a mantenere attive e incontrollati serbatoi e sorgenti di infezione.

Maggiore diffusione nelle scuole, asili ecc. Diffusione di resistenza multipla agli antibiotici (trasferimento di plasmidi R mediante coniugazione anche se appartenenti a specie diverse). ENTERITI DA Escherichia coli La specie E. coli può essere suddivisa in numerosi sierotipi in base agli antigeni somatici O, flagellari H e capsulari K. La maggior parte dei sierotipi non è patogena, e la specie può essere considerata commensale. Sono batteri normalmente presenti nell’intestino degli uomini e degli animali, e sono considerati come indicatori di contaminazione fecale per il loro habitat esclusiva mente intestinale. Si distinguono E. coli enteropatogeni, enterotossici, enteroinvasivi, verocitotossigeni. E. coli enteropatogeni (EPEC) A differenza dei comuni commensali, sono in grado di colonizzare il duodeno, il digiuno e il tratto superiore dell’ileo, dove agiscono mediante la produzione di una o più enterotossina non ancora identificate, che stimolano la produzione di liquidi con conseguente diarrea. E. coli enterotossigeni (ETEC) Sierotipi diversi dai sierotipi EPEC, producono enterotossine di cui due sono state identificate: una termolabile e l’altra termostabile non antigenica. La loro produzione è determinata da plasmidi trasferibili. Alcuni sierotipi producono solo una delle due enterotossine, altri entrambe. Diarrea in seguito all’aumentata produzione di AMP ciclico (penetrazione della tossina LB nelle cellule della mucosa intestinale), mentre la tossina termostabile agisce sul GMP ciclico. E. coli enteroinvasivi (EIEC) La loro patogenicità è dovuta non alla produzione di tossine, ma alla loro capacità di invadere le cellule epiteliali della mucosa intestinale. E. coli verocitotossigeni (EHEC) Il più importante E.coli 0157 H7, responsabile di diarrea emorragica, sindrome emolitico-uremica, porpora trombotica trombocitopenica. Questo sierotipo produce tossine simili a quelle di S. dysenteriae diverse da quelle prodotte da EPEC ed ETEC, denominate verocitotossine.

ENTERITI DA Yersinia enterocolitica Appartiene alla famiglia delle Enterobacteriaceae comprende le specie Y. pestis, Y. pseudotuberculosis e Y. enterocolitica. Y. enterocolitica è un batterio lattosio negativo, capace di sviluppare anche nei terreni di isolamento delle salmonelle e delle shigelle a 22- 25°C. si distinguono diversi biotipi, sierotipi O e lisotipi. La loro patogenicità è dovuta sia alla produzione di una enterotossina termostabile e sia alla loro capacità invasiva. ENTERITI DA Campylobacter

Periodo di incubazione: 3-5 giorni Sintomi: diarrea acquosa, con crampi addominali e febbre (accompagnata da malessere generale, cefalea, vertigini, dolori muscolari) che precede di 12-24 ore la comparsa della diarrea. Il batterio si trova nelle feci durante la malattia e una settimana dopo la guarigione. Si coltiva solo su particolari terreni selettivi. EPATITE VIRALE A

Al genere Campylobacter appartengono batteri Gram negativi, di forma bastoncellare, incurvati a spirale, con un unico flagello polare (richiama la morfologia del genere Vibrio). Si conoscono diverse specie: innocui saprofiti degli animali (C. bubulus) o della cavità orale dell’uomo (C. sputorum). C. fetus causa infezioni degli annessi fetali. C. jejuni causa enterite acuta in seguito all’invasione da parte del microrganismo dell’intestino tenue e crasso.

È particolarmente diffusa nei paesi in via di sviluppo, legata alle condizioni igienico-sanitarie. L’agente eziologico (HAV) è un piccolo virus a RNA, privo di rivestimento, a simmetria icosaedrica, appartenente alla famiglia Picornaviridae. Resiste alla temperatura di 60°C per un’ora, a concentrazioni di 1 ppm di etere e cloro per 30 minuti, è inattivato dal calore umido a 100°C per 5 minuti. Possiede un solo determinante antigenico. L’infezione induce la produzione di anticorpi IgM e IgG. Il virus penetra per via orale e giunge nell’ intestino,e per via portale il fegato, dove si moltiplica attivamente negli epatociti, provocando lesioni di tipo degenerativo-necrotico. Dal fegato il virus passa nel sangue, diffondendosi ad altri organi e attraverso la bile ritorna nell’intestino. Periodo di incubazione: 10-50 giorni Periodo preitterico: 1 settimana con astenia, anoressia, nausea, dolore all’ipocondrio di destra e febbre che si manifesta prima della comparsa dell’ittero e che in genere non supera i 38-38.5°C. Periodo itterico: 2-4 settimane, scomparsa della febbre, emissione di urine del tipico color marsala, colorazione giallastra delle sclere. Aumento notevole delle transamminasi, della bilirubinemia e dei pigmenti biliari nelle urine e alterazione del tracciato elettroforetico. Non esiste lo stato di portatore cronico. Forme atipiche di epatite virale A � Fulminanti (encefalopatia epatica) � Gravi o subacute � A decorso protratto � Recidivanti

La diagnosi clinica è effettuata rilevando le modificazioni dei parametri biochimici (transamminasi). La diagnosi eziologia è effettuata con la ricerca delle IgM anti –HAV nel siero di pazienti in fase acuta o convalescenti. E’ possibile effettuare la ricerca diretta del virus nelle feci e nel sangue mediante PCR. EPIDEMIOLOGIA La malattia è diffusa in tutto il mondo, con maggiore frequenza nelle zone tropicali e subtropicali. La diffusione del virus HAV dipende da diversi fattori: � Densità della popolazione � Condizioni socio-economiche � Abitudini alimentari ecc. In Italia il 40 % delle epatiti è di tipo A (soprattutto nelle regioni meridionali). SORGENTI DI INFEZIONE Sorgente di infezione: l’uomo malato. Il virus è eliminato attraverso le feci qualche settimana prima della comparsa dell’ittero fino ad alcuni giorni dopo. Periodo di contagiosità: fase preclinica, asintomatica. L’infezione avviene per via orale e il contagio può avvenire direttamente o indirettamente (come per le altre malattie a trasmissione oro-fecale). Il contagio può avvenire anche mediante il sangue e i suoi derivati, ma è eccezionale per la breve durata della viremia. Maggiore frequenza nei soggetti di età compresa tra i 5 e i 15 anni. Andamento stagionale simile a quello della febbre tifoide. PREVENZIONE Isolamento per non più di 7 giorni a partire dalla scomparsa dell’ittero. Disinfezione delle feci e degli oggetti venuti a contatto con i malati Bonifica ambientale

Educazione sanitaria Vaccinazione con virus inattivi (strategia vaccinale: somministrazione a particolari soggetti esposti a rischio di ammalare) Somministrazione di immunoglobuline per tutti quei soggetti esposti ad un rischio immediato. EPATITE VIRALE E Forma di epatite conosciuta prima come NANB. L’agente eziologico denominato HEV è un piccolo virus a RNA a simmetria icosaedrica, privo di involucro. Nel siero di pazienti e d convalescenti è stato ritrovato un anticorpo anti-HEV. Periodo di incubazione: 6 settimane Il decorso della malattia è simile a quello causato dal virus dell’epatite A, si differenzia solo per il numero maggiore delle forme fulminanti e per la sintomatologia piuttosto grave nelle donne in gravidanza, specialmente nel terzo trimestre. La diagnosi eziologia si basa sulla ricerca degli anticorpi specifici anti-HEV mediante tecniche imunoenzimatiche e Western Blot. Diffusione: maggiormente nei paesi in via di sviluppo. Trasmissione tipica delle malattie a trasmissione oro-fecale. Colpisce soprattutto i giovani adulti. Non è disponibile una profilassi immunitaria.

Brucellosi

La brucellosi è una tipica zoonosi (che riguarda ovini, bovini, caprini, cani, renne): l’uomo è un ospite accidentale. L’infezione meglio conosciuta come febbre ondulante, si contrae o per contatto diretto (professionale) o per consumo di carne infettata (alimentare) con Brucella melitensis, microrganismo tipico del bestiame (che ha la patogenicità massima per l’uomo, mentre Brucella suis e Brucella abortus presentano patogenicità decrescente).

Le brucelle sono Gram negativi di forma cocco-bacillare, immobili. Sono esigenti da un punto di vista nutritivo, sono aerobi, ma spesso lo sviluppo è favorito dalla presenza di CO2. Il genere Brucella comprende 6 specie e diversi biotipi. La malattia, che non è una gastroenterite, non presenta sintomi specifici e ben definiti, bensì febbre intermittente, brividi, dolori diffusi e cefalea. Non si tratta di una infezione mortale, ma è comunque una malattia estremamente debilitante: il microrganismo è infatti di difficile eliminazione poichè la sua localizzazione a livello intracellulare è tale che rimane protetto dai trattamenti con antibiotici.

Possiedono due antigeni M e A localizzati alla superficie della cellula batterica ( entrambi presenti nelle tre specie patogene).

Produzione di una endotossina, costituita da una frazione fosfolipidica e da un polisaccaride azotato.

Le brucelle sono tra le forme vegetative le più resistenti nell’ambiente.

Fig. 1 Brucella abortus , coccobacillo , al microscopio elettronico a scansione SEM. E' chiamato cosi' perchè il batterio si moltiplica nel bovino nell'utero e nelle ghiandole mammarie provocando aborti .

Infettano l’uomo per via alimentare o per via cutanea. Una volta penetrato nell’organismo si diffonde per via linfatica e attraverso il circolo ematico in tutto l’organismo, localizzandosi nelle cellule del sistema reticolo-endoteliale, in particolare nei linfonodi, milza , fegato, rene e midollo osseo formazione di noduli reattivi di tipo granulomatoso.

La sintomatologia si manifesta, dopo un periodo di incubazione estremamente variabile (da pochi giorni a 4/6 settimane), con astenia, malessere generale, cefalea, algie, brividi, febbre che generalmente segue una curva ondulante (alta al pomeriggio, bassa la notte) ma non è la regola. Poi appaiono le tumefazione dei linfonodi di milza e fegato. Possono anche comparire problemi al sistema nervoso sia centrale che periferico. La Forma subacuta colpisce l’apparato motore, è complicata da meningite, meningo encefalite a liquor limpido. La forma cronica dà uno stato di abbattimento mentale e psichico. I gangli linfatici sono il primo focus infettivo.

La risposta immunologica consiste da un iniziale rialzo del titolo delle immunoglobuline IgM seguita dopo qualche settimana dalle IgG. Quando si comincia il trattamento, il declino del titolo anticorpale è un segno di buona risposta terapeutica agli antibiotici.

Nella fase cronica non vi è di solito batteremia, che si verifica invece nelle prime fasi della malattia.

Epidemiologia

La brucellosi è endemica in tutto il mondo, in alcuni paesi sembra scomparsa e in altri sembra in declino. In Italia i casi pur essendo diminuiti, rimangono sempre in numero elevato.

Sorgenti di infezione

Il serbatoio naturale di infezione è rappresentato dagli animali malati o portatori.

Il contagio interumano è eccezionale. Gli animali selvatici infettano l’uomo solo indirettamente attraverso il contagio di animali domestici.

L’eliminazione delle brucelle può durare per mesi o anni, avviene attraverso le urine, il latte, le secrezioni vaginali e i prodotti abortivi.

Tra gli alimenti i più a rischio sono latte crudo e prodotti lattiero caseari non pastorizzati; in essi, benchè il batterio non si riproduca, è in grado di tollerare:

• pH< 5 per almeno due settimane a temperatura di 11-14°C • Concentrazione di NaCl del 10% • Sopravvive in fase latente da 1uno a sei mesi.

I rischi di disseminare Brucella nell’ambiente sono molti:

• Viene eliminata a lungo • Si diffonde tra gli animali con estrema rapidità • Non sempre gli animali colpiti manifestano con evidenza la malattia • Persiste a lungo nell’ambiente

Però l’uomo può infettarsi anche per ingestione di alimenti contaminati, soprattutto latte non trattato e suoi derivati (ma anche la carne cruda...), oppure per via aerea inalando escrementi o secrezioni varie, o ancora per inoculazione, ovviamente accidentale, a carico soprattutto di addetti a laboratori e veterinari. L’infezione per contatto è quella che riveste maggiore importanza.

Accertamenti diagnostici

Data la disseminazione per via ematica bisogna fare l’emocoltura che va tenuta per almeno 10 giorni. Questi batteri liberano endotossine, responsabili dei picchi febbrili, che provocano una ipersensibilità cellulo mediata di tipo ritardato. I sintomi della infezione possono aumentare o diminuire durante un lungo arco di tempo , in rapporto al rilascio in circolo dei batteri (o dei prodotti di essi, quali il lipopolisaccaride). I macrofagi fagocitano ma non lisano le brucelle che si moltiplicano dentro le cellule.

Nelle fasi acute va ricercato nel sangue, mentre nelle fasi croniche nel midollo osseo. Nel 10-15% di questi pazienti si hanno complicazioni quali l’osteomielite. Le colture di midollo osseo sono positive in pazienti con brucellosi acuta, sub acuta e cronica, le emocolture sono positive solo in pazienti in fase acuta. Cresce a pH tra 6.6-7.4. Non è molto stringente riguardo la temperatura di crescita. E’ un aerobio stretto. Solo B. abortus è microaerofilo e richiede CO2 al 5-10%. In anaerobiosi non crescono. Hanno bisogno di un terreno ricco in aminoacidi e di fattori di accrescimento quali Mg, tiamina (vit B), niacina, biotina. Altre specie richiedono pantotenato di calcio. La base è sempre un tripticase soy agar TSA (che va bene per le Brucelle meno esigenti), con aggiunta di siero di cavallo al 5%, con aggiunta di antibiotici e/o coloranti batteriostatici.

Si puo’ fare il test di agglutinazione delle colonie isolate con lo stesso siero del paziente.

L’alta positività dei campioni di midollo osseo è dovuta all’accumulo di batteri nel sistema reticolo endoteliale. Una buona crescita è ottenibile utilizzando il terreno per Legionella al carbone attivo e estratto di lievito.

• Nel test di agglutinazione su vetrino, i microrganismi vengono prima sospesi in fenolo e soluzione fisiologica e scaldati a 60 °C (gli antigeni sono termostabili) per circa una ora. Si aggiunge una goccia di sospensione e una goccia di siero monospecifico. L’agglutinazione deve avvenire entro 1 minuto.

Come si preparano i sieri monospecifici: l’antisiero è ricavato da animali immunizzati da parte del ceppo liscio e agglutinano le tre principali specie di Brucella. A e M sono gli epitopi che cross reagiscono. A è il determinante maggiore in B. abortus e B. suis ed è un determinante minore in B. melitensis. Mentre M predomina in B. melitensis .

Classificazione di Huddleson

Permette di distinguere le differenti specie e i differenti biotipi.La versione qui sotto è molto semplificata .

CO2 Produzione di H2S

Ureasi Tionina (1:50.000)

Fucsina basica (1:25.00

0) B. abortus + + + - + B.melitensis - - + + +

B.suis - + + (rapida)

+ -

Vi sono 6 biovar e 15 biotipi che costituiscono il genere Brucella spp..

•Nella siero diagnosi di Wright si titolano sia le le IgM che le IgG. nza di diagnosi.

Prevenzione della brucellosi nell’uomo Notificazione obbligatoria Misure di protezione e prevenzione individuale e collettiva:

• Educazione igienica del personale addetto ai lavori agricoli • Bonifica del latte • Vaccinoprofilassi (vaccini vivi ed attenuati, vaccini inattivi, vaccini

preparati con frazioni antigeniche di B. melitensis e B. abortus di ultimo impiego).

Prevenzione della brucellosi negli animali

• Ricerca e individuazione degli animali infetti (ricerca di anticorpi anti-brucella nel latte);

• Abbattimento degli animali che risultano infetti; • Vaccinazione degli animali.

Definizione Le micotossine sono sostanze tossiche prodotte dal metabolismo di funghi (o muffe) che si sviluppano in particolari condizioni su foraggi insilati, cereali e mangimi aziendali od industriali. Effetti sulla salute d'uomo ed animali Le micotossine posseggono azione cancerogena, mutagena e teratogena sulla salute umana, come risulta dalla tabella seguente: Micotossina Effetto Aflatossina B1

Cancerogeno, epatotossico, immunosoppressore

Ocratossina A

Nefrotossico, teratogeno, immunosoppressore, cancerogeno

Fumonisina B1

Neurotossico, cancerogeno, citotossico

Tricoteceni Immunosoppressore, dermatotossico, emorragico Zearalenone Estrogenosimile Ergotina Neurotossico Tra gli alimenti d'origine animale, e quindi d'interesse per l'alimentazione umana, il latte e i suoi derivati sono i prodotti più frequentemente contaminati dalla presenza di micotossine, a causa del trasferimento di questi metaboliti dai mangimi contaminati di cui si nutrono le bovine. I bovini sono in grado di operare una bioconversione ruminale delle micotossine in prodotti meno dannosi, tuttavia sono comunque suscettibili all'azione nociva di queste sostanze, cosa intuibile da alcuni sintomi di tipo generale o specifico: · L'ingestione di sostanza secca può aumentare o diminuire in modo incoerente con la produzione della bovina; in genere se c'è calo d'assunzione si può pensare ad una presenza d'aflatossine, mentre aumenti d'ingestione stanno ad indicare presenza di DON o zearalenone. · Si verificano facilmente disordini digestivi, come diarrea (anche emorragica), mancanza d'appetito e rifiuto del cibo, stasi ruminale, chetosi, dislocazione dell'abomaso, anomale quantità di muco nelle feci. · Un'alta incidenza d'aborti, riassorbimento embrionale, ridotto grado di

fertilità e concepimento sono indice di presenza di micotossine, così come vulva e capezzoli ingrossati, prolassi rettali o vaginali, manifestazioni estrali in animali gravidi, calori silenti ecc.. · Le forti lattifere sono particolarmente sensibili alla presenza di tossine, cosa evidenziata anche dall'immediato calo produttivo e dall'aspetto arruffato del pelame. Condizioni predisponenti lo sviluppo Umidità ambientale o acqua libera (aw) Il parametro maggiormente utile nello stimare le probabilità di sviluppo fungino è l'aw, definito come il rapporto tra la pressione di vapore di un substrato rispetto all'acqua pura. In base al diverso comportamento in funzione della disponibilità d'acqua, le muffe sono state suddivise in: · igrofile: germinazione delle spore solo a valori d'aw superiori a 0,90; crescita ottimale a 1,00 · mesofile: germinazione delle spore a valori compresi tra 0,80 e 0,90 d'aw; crescita ottimale tra 0,95 e 1,00 · xerofile: germinazione delle spore ad un valore d'aw inferiore a 0,80 e crescita ottimale intorno a 0,95 Più in generale, se un substrato presenta un valore basso d'aw c'è una minor disponibilità d'acqua per lo sviluppo fungino. Temperatura Le temperature ideali per lo sviluppo dei funghi sono comprese tra 15 e 30°C, con un optimum di 20-25°C. In effetti, alcune tossine come le ocratossine ed i tricoteceni possono ritrovarsi già a T° di + 4-6 °C (ottimale sui 18 °C), mentre le aflatossine vengono prodotte preferibilmente in condizioni di caldo-umido (ottimale sui 25 °C). Climi più temperati e secchi sono ideali per le muffe produttrici di fumonisina e zearalenone (temperatura di sviluppo intorno ai 14 °C) pH e ossigeno Lo sviluppo delle muffe si verifica generalmente con valori di pH compresi tra 4 e 8; alcune di esse tuttavia sono in grado di comparire anche

a valori più bassi o più elevati. Le muffe sono generalmente organismi aerobi, cioè hanno bisogno d'aria per vivere, si sviluppano perciò sulla superficie dei substrati. Diverse specie tuttavia possono crescere anche in profondità o su substrati liquidi, con bassa disponibilità d'ossigeno. Funghi da campo e da stoccaggio Come detto in precedenza, lo sviluppo di funghi è c ondizionato dalla presenza di un substrato di crescita adeguato, da temperature comp rese tra 12 e 21 °C, dalla presenza d'ossigeno e da un'idonea umidità del cibo contaminato. In effetti, la contaminazione degli alimenti da parte delle micoto ssine è correlata a diversi fattori, tra cui si possono ricordare elevate escursioni ter miche nel periodo di maturazione delle piante, forti precipitazioni al momento del r accolto, attacchi d'insetti ed errori durante lo stoccaggio degli alimenti. La presenza d i micotossine è senz'altro rilevante in raccolti ottenuti in condizioni di cli ma freddo-umido o siccitoso, cosa facilmente riscontrabile in molte regioni. · Funghi da campo: le condizioni che favoriscono il loro sviluppo includono un alto grado d'umidità (>70%) e forti escursioni termiche (giornate calde seguite da notti fredde) Solitamente questo tipo di funghi non cresc e sugli insilati, a causa del pH basso e della mancanza di un ambiente aerobico. · Funghi da stoccaggio: sono quelli che si riscontr ano nel foraggio dopo il raccolto; alcune muffe trovate negli insilati sono in grado d i svilupparsi anche in condizioni di parziale anaerobiosi e pH basso, tuttavia il lor o potenziale di sopravvivenza è limitato dalla competizione con i batteri anaerobic i: in genere lo sviluppo di questi funghi è stimolato da un pH piuttosto elevato della massa insilata, cosa dovuta ai lieviti consumatori d'acido lattico, che si attivan o con l'introduzione d'ossigeno al momento dell'apertura del silo. Sfortunatamente, data la grande varietà di fattori predisponenti lo sviluppo dei funghi, le micotossine che ne derivano sono in grad o di contaminare la maggior parte degli alimenti ad uso zootecnico, quali mais, orzo, grano, semi di cotone, sorgo, sottoprodotti conservati o manipolati male e gli insilati: questi ultimi sono attualmente i maggiori responsabili della diffusion e di micotossine. Gli insilati contengono in genere muffe del tipo Fusarium e sono contaminati da Zearalenone, DON e tossina T-2. Elenco delle principali micotossine Le muffe del tipo Aspergillus, Fusarium e Penicillium sono le principali produttrici di tossine ritenute dannose per il bestiame. La tabella che segue individua le principali micotossine e le muffe che le producono.

Genere Micotossine Aspergillus flavus, parasiticus Aflatossine ochraceus Ocratossine Fusarium

graminearum Zearalenone moniliforme Fumonisine sporotrichoides DON, Tossina T-2 Penicillium viridaticum Ocratossine

Esaminiamo ora in dettaglio le suddette micotossine: Aflatossine: sono senza dubbio una tra le più studiate; prodotte da muffe del genere Aspergillus, hanno come organo bersaglio il fegato, con effetti carcinogeni ed immuno-soppressori. A tutt'oggi sono state studiati 18 differenti tipi d'aflatossine, di cui la B1 è la più pericolosa per la salute umana, infatti il suo metabolita M1 si ritrova nel latte e nei suoi derivati. Questo tipo di tossina è molto resistente ai trattamenti termici e la sua concentrazione può variare da 3 a 5 volte rispetto al latte da cui è stato ottenuto il prodotto caseario; per tale motivo il Regolamento n° 1525/98 emanato dalla Commissione Europea fissa come limite massimo accettabile per l'aflatossina M1 nel latte alimentare 0.05 ppb. (pari a 50 miliardesimi di grammo /kg di latte). La tabella che segue specifica i livelli d'ingestione tollerabili per bestiame da carne e latte: Concentrazione in razione

Tipo di bestiame Effetti

> 100 ppb. Bovini da ingrasso Livello Tossico 300/400 ppb. Nessun effetto visibile 600/800 ppb. Ridotta prod. latte

2400/3100 ppb.

Vacche da latte adulte Ridotto consumo cibo e

prod. latte

600/800 ppb. Manze Ridotti consumi e casi di morte

150/200 ppb. Ridotti consumi e lesioni epatiche

450/600 ppb. Vitelli/e

Morte Le aflatossine si sviluppano più facilmente in climi caldo-umidi (T =25-30 °C Umidità = 88-95% aw>0,78) DON o vomitossina: il Deossinivalenolo viene prodotto soprattutto da muffe del genere Fusarium e deve il suo nome più corrente (vomitossina) ai sintomi che provoca nel bestiame: inappetenza e stimolo al vomito

specialmente nel suino; nei bovini invece viene bioconvertito a livello ruminale in metaboliti di minor significato tossico. Livelli d'ingestione maggiori di 300-500 ppb. possono comunque essere causa di problemi negli animali da latte, quali ridotta assunzione di cibo e calo nella produzione lattea. Poiché questa micotossina viene frequentemente riscontrata in associazione con altre, viene impiegata nelle analisi degli alimenti come indice d'esposizione dei substrati a situazioni favorevoli allo sviluppo fungino; in altre parole, un'analisi positiva per il DON suggerisce la probabile presenza d'altre micotossine più nocive della suddetta. ZEA o Zearalenone: è una micotossina ad attività estrogenica, prodotta da muffe del genere Fusarium.gli alimenti che più facilmente la contengono sono i cereali, particolarmente il mais (anche come silomais) I sintomi più comunemente associati alla presenza di ZEA sono dati da aborto, cicli estrali abbreviati, ninfomania,calo della fertilità,vaginiti e anomalo ingrossamento della mammella nelle manze, oltre a calo della produzione di latte. La presenza di Zearalenone negli alimenti è strettamente dipendente dalle condizioni climatiche, essendo più frequente in climi umidi e freschi.Per quanto riguarda la tossicità nei bovini, alcuni studi riscontrano un calo di produzione lattea, diarrea e mancata riuscita delle interventi fecondativi se il livello di ZEA nella razione è di 750 ppb., in associazione con livelli di DON pari a 500 ppb. Come il DON, anche lo ZEA può essere impiegato come "marker"per gli alimenti contaminati: in base ai dati esistenti, si può affermare che livelli superiori a 200-300 ppb. nella razione possano essere nocivi alla salute degli animali. Tossina T-2: prodotta da muffe del genere Fusarium, è associata a sintomi quali ridotta ingestione, gastroenteriti ulcerative, emorragie intestinali; i dati disponibili non sono sufficienti a fissare dei livelli d'attenzione nella dieta, tuttavia si raccomanda di non superare valori di 100 ppb. Fumonisina:la forma B1 risulta essere la più pericolosa per la salute umana, dati i suoi effetti carcinogenetici mentre nei bovini è responsabile di danni a fegato e reni e ridotte funzioni immunitarie: i livelli di sicurezza nella razione sono inferiori a 50.000 ppb. Ocratossine: prodotte da muffe Penicillium ed Aspergillus, sono

particolarmente frequenti in climi freschi e temperati; si riscontrano facilmente in cereali, arachidi e legumi e sono sempre dovute a cattive condizioni di stoccaggio di tali alimenti . I sintomi riscontrati sui ruminanti adulti sono di scarsa entità, data la capacità di detossificazione del rumine, mentre nei vitelli con rumine non ancora funzionante risultano letali dosi minime (0,25 mg / kg. P.V.) In genere, si considerano sicuri livelli inferiori a 10.000 ppb. La seguente tabella riassume gli effetti delle micotossine sulla salute degli animali e gli alimenti in cui vengono più facilmente individuate Aflatossine

B1, B2, G1, G2

Epatiti, nefriti, carcinogenesi, immunosoppressione, calo prod. latte

Arachidi, semi oleosi, mais, cereali

M1,M2 Metaboliti di B1 e B2 Latte e derivati Zearalenone

Attività estrogenica, ipofertilità, aborti

Mais, altri cereali

DON Calo produzione latte Tossina T-2 Emorragie Fumonisina Epatopatie

Mais, orzo, altri cereali

Ocratossine Epatiti, nefriti,aborti Mais, orzo, altri cereali

Tecniche di prevenzione e trattamento degli alimenti contaminati In generale, è possibile intervenire sugli alimenti per detossificarli con mezzi chimici e fisici; tra i primi possiamo ricordare i trattamenti con ammoniaca (semi e pannelli di cotone, mais ed arachidi), con idrossidi di calcio, aldeide formica o etere metilico; i trattamenti fisici impiegano invece il calore secco o umido (cottura in forno, autoclave, arrostimento, torrefazione) e l'irraggiamento solare o con microonde. Per quanto riguarda gli insilati e le granaglie, è opportuno prendere alcune semplici precauzioni: Insilati: Per ottenere insilati di qualità è necessario che il silo sia

correttamente dimensionato sugli effettivi consumi della mandria, che venga riempito molto velocemente e caricato di continuo fino al momento della chiusura; le asportazioni quotidiane d'insilato devono essere fatte con una fresa, in modo tale da asportare almeno 15 cm. dall'intera superficie esposta. Assai importante è anche la pulizia dei sili vuoti, come pure l'uso d'additivi idonei (ammoniaca, acido propionico, inoculi batterici od enzimatici). Cereali: per quanto riguarda la granella è sempre opportuno controllare le partite, evitando quanto più possibile la presenza di cariossidi rotte o addirittura sbriciolate; se si tratta di farine, oltre ad idonea ventilazione durante i processi di molitura, è bene evitare punti di condensa negli impianti di stoccaggio, poiché in tal caso aumenta la causa principale per lo sviluppo di muffe, cioè l'umidità. Un altro fattore da tener presente è l'accurata pulizia dei sili di stoccaggio prima d'immettere nuove partite di cereali. Una buona tattica per contrastare lo sviluppo di muffe consiste nell'aggiunta di un adeguato inibitore come ad es. il propionato di calcio o di sodio, oppure gli acidi organici, in ragione di 0,2-0.25 % se il contenuto d'umidità dei cereali è di 14-17% , oppure 0,5-0,6 % se l'umidità è nell'ordine di 18-24% Riassumendo, per scongiurare la presenza di tossine è sempre meglio un'azione preventiva basata su un idoneo controllo dell'umidità per quanto riguarda la materia prima, le fasi di produzione e stoccaggio, curando la pulizia degli impianti e cercando di consumare rapidamente le partite presenti in azienda. Infine , utile ed in alcuni casi indispensabile, è l'impiego d'inibitori della crescita fungina, tanto sugli insilati (ammoniaca, acido propionico, colture microbiche ecc.) che sui mangimi e le granelle (acidi organici, propionato di calcio o sodio). Trattamento degli animali Un primo consiglio per contenere i livelli di micotossine in razione è ovviamente evitare l'impiego di prodotti palesemente ammuffiti, eliminando da foraggi e cereali chiazze fungine e "croste" e miscelando in razione gli alimenti contaminati con altri sicuramente esenti da tossine. Per mitigare gli effetti negativi delle micotossine può essere utile anche un aumento dei livelli di Vit. A, E , B1 e di Selenio, Zino, Rame e Manganese Di recente sono stati utilmente impiegati i cosiddetti "leganti", sostanze in grado per l'appunto di legarsi alle tossine adsorbendole a livello gastro-intestinale; essi si possono suddividere in quattro categorie:

·Bentoniti ·Alluminosilicati ·Zeoliti · Mix delle tre precedenti categorie, con l'aggiunta di vitamine e altri minerali Dal punto di vista della composizione chimica, queste sostanze appartengono tutte alla famiglia delle argille, ma presentano diverse caratteristiche dovute anche al grado di purezza ed al maggior o minor potere adsorbente posseduto. Di notevole efficacia sembrano essere i fillosilicati (una sottoclasse degli alluminosilicati), particolarmente in presenza di tossine prodotte da Fusarium sp. Vengono di solito aggiunti alla razione è in ragione dello 0,5 -1 % sulla sostanza secca totale. Oltre ai leganti minerali, risulta utile anche l'impiego concomitante di lieviti vivi (in particolare Saccharomyces cerevisiae) ed alcuni microrganismi (Lattobacilli e Bifidobatteri).

ACQUA POTABILE

Approvvigionamento idrico Acque profonde

1) Terreni rocciosi. Attraversato da un sistema di fessurazioni nelle quali l’acqua

si infiltra e si approfonda. Rocce silicee (fessure di limitata ampiezza e di

numero limitato)- Acqua poco mineralizzata, non abbondante e di buona

qualità. Rocce calcaree: notevole solubilità soprattutto in presenza di acque

acidule(ad esempio quelle contenenti disciolta una elevata concentrazione di

anidride carbonica). Volume e pressione elevati dell’acqua danno luogo a

fenomeni carsici e in questo caso i fenomeni di autodepurazione risultano

limitati. Fessurazioni limitate, invece, possono essere ostruite da sabbia e

detriti staccatisi dalle pareti per erosione e trasportati dalle acque, costituendo

dei sistemi di filtrazione piuttosto efficaci

2) Terreni sciolti. Sono caratterizzati da un’alternanza di strati permeabili (humus

in superficie, ghiaie e sabbie) ed impermeabili all’acqua (argille, costituite da

particelle finissime di silicati di alluminio e potassio idrati). L’acqua

percolando attraverso gli strati permeabili forma delle falde sugli strati

impermeabili. Falda freatica, la prima falda superficiale e falde profonde. Le

acque di falda possono avere anche una pressione idrostatica positiva (rispetto

al livello del suolo) dando luogo a fenomeni artesiani. Nel processo di

percolazione attraverso gli strati permeabili si realizzano fenomeni di

autodepurazione per filtrazione e assorbimento dei microrganismi. Tuttavia

molte acque di falde freatiche sono contaminate (spessore dello strato

permeabile modesto, granulometria dei terreni rilevante, contaminazione del

suolo). Contaminazione delle falde profonde in seguito a contaminazioni

massicce in superficie all’apice di conoidi alluvionali dove prendono origine le

diverse falde o per perforazioni di pozzi.

Acque superficiali

Fiumi, laghi e bacini artificiali.

a) Fiumi. La composizione dell’acqua dei fiumi è variabile in funzione della

portata, dei fenomeni metereologici e alla eventuale discontinuità degli

scarichi. Si verificano fenomeni di autodepurazione per:

- sedimentazione;

- reazioni chimiche: ossidazione chimica e complessazione dei metalli pesanti;

- azioni biochimiche: nei sedimenti le sostanze organiche vengono demolite con

meccanismi anaerobici piuttosto lenti, man mano che si sale negli strati

superficiali prevalgono meccanismi aerobi messi in atto da una flora

microbica;

- concorrenza vitale: la flora microbica autoctona è assai più adatta a sfruttare il

substrato colturale nel quale si è selezionata

b) Laghi e bacini.

Acque meteoriche

Possono essere raccolte su superfici limitate o in bacini artificiali più o meno vasti. Il

passaggio attraverso l’atmosfera, il dilavamento di superfici di raccolta, la

conservazione in cisterne o in bacini fa si che queste acque contengano gas e sostanze

organiche ed inorganiche piuttosto variabili. Si rendono necessari trattamenti di

potabilizzazione.

Acque di mare

Inquinamenti delle acque

CRITERI DI POTABILITA’

Criteri idrogeologici

L’esatta delimitazione del bacino imbrifero, lo studio del tipo di alimentazione delle

falde, della composizione e della struttura dei terreni e delle rocce attraversate, danno

un primo e fondamentale ragguaglio sul grado di protezione delle acque sotterranee.

Allo studio idrogeologico si affianca uno studio sulle possibili cause di inquinamento

e studio della popolazione che insiste sul bacino, sul tipo delle attività industriali e

agricole che comportano scarichi liquidi.

Criteri organolettici

Acqua priva di odore, colore e sapore. Torbidità transitorie (presenza di gas o di aria,

presenza di particelle di silice) e torbidità più stabili (sostanze di origine vegetale o

presenza di metalli che si ossidano in presenza di aria).

Criteri fisici

Conducibilità elettrica, pH e temperatura.

Criteri chimici

Facies naturale di un’acqua e tipo ed entità di inquinanti.

Di regola anioni e cationi non hanno un effetto negativo sulla salute e costituiscono

un importante quota dell’apporto giornaliero di minerali.

Solfati e cloruri: limite 250 mg/L. Superiore a tale limite si hanno acque di gusto

variabile.

Calcio e magnesio che costituiscono la “durezza” delle acque. Durezza temporanea

(bicarbonato di calcio e magnesio) e durezza permanente (solfati, cloruri e nitrati di

calcio e magnesio). Valori superiori a 500 mg/L comportano acqua di sapore poco

gradevole e valori superiori sono causa di incrostazioni, neutralizzano l’azione di

detergenti anionici e ostacolano la regolare cottura degli alimenti. Non è stato fissato

alcun limite di legge.

Ferro e manganese. Sotto forma di bicarbonato ferroso e manganoso si ossidano

rapidamente a contatto con l’aria, dando origine a colorazioni, intorbidamenti e

precipitati. In seguito ad evaporazione possono dare depositi rossastri o brunastri.

Limite per il ferro: 200 mg/L. Limite per il manganese: 50 mg/L.

Nitrati: limite di legge 50 mg/L. Valori superiori comportano metaemoglobinemia

infantile.

Fluoro: limite minimo 0,7 mg/L (prevenzione della carie dentale); limite massimo:

1,5 mg/L (prevenzione della fluorosi dei denti).

Sodio: 200 mg/L.

Oltre alle componenti inorganiche, nell’acqua sono presenti sostanze organiche.

COD o Chemical Oxygen Demand. In ecologia, parametro che esprime la quantità di

composto necessaria per ossidare attraverso un reagente chimico, le sostanze

inquinanti presenti in un corpo d’acqua, ad esempio un lago. Uno dei composti

comunemente usati per la determinazione del COD è il bicromato di potassio,

K2Cr2O7; la reazione tra il bicromato e le sostanze inquinanti viene fatta decorrere in

una soluzione contenente acido solforico. Il rilevamento del COD risulta indicato nel

caso di acque il cui carico inquinante è costituito da sostanze non biodegradabili o

comunque poco attaccabili dall’azione dei batteri, caso in cui non è possibile

applicare il metodo del BOD (Biological Oxygen Demand).

MISURAZIONE DEL COD

La misurazione del COD si esegue mettendo a reagire in una soluzione di acido

solforico, un campione dell’acqua da esaminare con una quantità conosciuta di

bicromato di potassio; avvenuta la reazione, si misura con una reazione di titolazione

il quantitativo di bicromato rimanente, da cui si può calcolare quello consumato nel

corso della reazione. La quantità di bicromato di potassio consumato è direttamente

proporzionale alla quantità di sostanza ossidabile (cioè di inquinante) che era presente

nella soluzione.

BOD o Biological Oxygen Demand In ecologia, parametro che esprime la quantità di

ossigeno necessaria perché possano essere ossidate e, quindi, demolite, a opera di

microrganismi, le sostanze inquinanti presenti in un corpo d’acqua (ad esempio, un

lago). La misurazione del BOD permette di valutare, sia pure indirettamente, il carico

inquinante presente nelle acque: infatti, valori di BOD alti indicano che nelle acque

esaminate vi è stato un elevato consumo di ossigeno; ciò signifca che i microrganismi

ne hanno richiesto grandi quantità per degradare forti quantitativi di inquinanti.

2 CARATTERISTICHE DEL BOD

Il parametro BOD prende in considerazione l’ossigeno disciolto nelle acque e viene

misurato a particolari condizioni di temperatura, di luce e di pH. Il BOD viene riferito

a un certo lasso di tempo, solitamente 5 giorni; pertanto, si indica come BOD5 la

quantità di ossigeno consumata nel corpo d’acqua in 5 giorni. Le sostanze inquinanti

che la misurazione del BOD permette di rilevare sono: sostanze biodegradabili, cioè

composti che possono essere ossidati e degradati da batteri eterotrofi, i quali dalle

reazioni di ossidazione ottengono energia per il proprio metabolismo; sostanze

organiche azotate e composti derivati da nitriti, che vengono attaccati da batteri

autotrofi chemiosintetici, i quali dalle reazioni di ossidazione ottengono energia per

effettuare la fotosintesi; composti che possono essere ossidati mediante reazioni

chimiche con altri composti.

3 MISURAZIONE DEL BOD

La misura della quantità di ossigeno che viene consumata in un corpo d’acqua dai

batteri può essere effettuata in modo diretto, con un metodo che si basa sul confronto

tra l’ossigeno presente all’inizio della misurazione e l’ossigeno presente nel

campione dopo un certo lasso di tempo. In particolare, i campioni da esaminare

vengono raccolti entro bottiglie scure (per impedire che la luce, penetrandovi, possa

stimolare attività di fotosintesi e conseguente liberazione di nuovo ossigeno, in alghe

eventualmente presenti); si eliminano o si correggono i fattori che potrebbero

interferire con l’esame (ad esempio, alcuni metalli e composti come i nitrati); in un

campione si effettua subito la misura della concentrazione dell’ossigeno, mentre le

altre bottiglie vengono collocate al buio per 5 giorni, alla temperatura costante di 20

°C. Trascorso tale periodo, si misura la concentrazione dell’ossigeno in queste

bottiglie; la misura, sottratta al valore ottenuto nella prima rilevazione, corrisponde al

BOD5.

La degradazione delle sostanze organiche azotate porta a composti inorganici come

l’ammoniaca che per successive ossidazioni porta alla formazione di nitrati e nitriti.

La presenza di nitriti è un indice di una contaminazione in atto, menttre la presenza di

nitrati di una contaminazione remota. Scarichi industriali e agricoli. L’ammoniaca

può avere effetti sfavorevoli se all’acqua si aggiunge cloro (formazione di

cloroammine); limite massimo 0,5 mg/L.

Fosfati (liquami domestici) e acido solfidrico (degradazione delle sostanze

organiche). Il reperirli è indice di infiltrazione di liquami (salvo rare eccezioni: i

fosfati si possono trovare in rocce costituite da graniti; l’acido solfidrico può derivare

da residui di attività vulcanica).

Componenti dovute ad inquinamenti

Tensioattivi: limite massimo 200 µg/L

Oli minerali 10 µg/L

Rame: 2000 µg/L

Fenoli (contaminanti industriali): 0,5 µg/L

Processi di clorazione (in presenza notevole di sostanze organiche) e ozonizzazione.

Riduzione delle sostanze organiche ed ottimizzazione dei trattamenti.

Criteri microbiologici

Indici microbiologici: carica microbica totale a 22°C e a 37°C; coliformi totali e

fecali; enterococchi (minore resistenza nelle acque rispetto ai coliformi); spore di

clostridi solfito riduttori (elevata resistenza nelle acque). Ricerca di enterovirus e di

cisti di protozoi parassiti e uova di elminti.

SISTEMI DI POTABILIZZAZIONE

Correzione dei caratteri fisico-organolettici

1) Filtri lenti o inglesi. Costituiti da strati sovrapposti di ghiaia via via più fine, di

sabbia di granulometria decrescente e dallo strato filtrante vero e proprio

costituito da sabbia silicea di diametro medio di 0,5mm alto 70-120 cm.

Periodo di maturazione di alcuni giorni. Formazione della membrana

biologica. Uso attualmente limitato (spazi notevoli e modesto rendimento).

Riduzione del 99% della carica microbica. Trattamenti successivi disinfettanti.

2) Filtri rapidi o americani. Brevissimo tempo di maturazione. Si tratta di un

procedimento combinato di coagulazione, sedimentazione e filtrazione vera e

propria. All’acqua si aggiunge un coagulante, generalmente solfato di

alluminio che in presenza di bicarbonato alcalino terrosi forma un precipitato

fioccoso di idrossido di alluminio che sedimentando, trascina al fondo una

buona parte dei solidi sospesi. Le particelle più fini di idrossido di alluminio

sfuggite alla sedimentazione vengono filtrate attraverso granuli di sabbia con

interstizi dal diametro maggiore rispetto a quelli inglesi, di più facile colmatura

e quindi di più rapida maturazione. Durata breve del filtro. Semplice lavaggio

in controcorrente. Si ha una riduzione microbica del 95-99%.

Correzione dei caratteri chimici

Durezza

1) Metodo alla calce soda. Aggiunta di idrossido di calcio che precipita i

bicarbonato alcalino terrosi.

2) Metodo di scambio ionico. Zeoliti sodiche. Naturali ed artificiali. Resine

organiche contenti gruppi scambiabili. Sistema di filtri di resine che

comportano una completa demineralizzazione.

Deferizzazione e demanganizazione. In solo eccesso di ferro, aerazione

abbondante, con ossidazione del Fe++ a Fe+++ che precipita come idrossido ferrico

e successiva filtrazione del precipitato. Se il ferro è presente come solfato ferroso

e in presenza di manganese è necessario utilizzare speciali permutiti. Se eccessi di

ferro e manganese si ritrovano in presenza di un COD piuttosto elevato si ricorre

ad una clorazione al break point od ozonizzazione e successiva separazione del

precipitato su filtro.

Dissalazione di acque marine e salmastre

1) distillazione a pressione inferiore a quella atmosferica;

2) congelamento, con separazione e lavaggio del ghiaccio formatosi, povero in

Sali;

3) eletroosmosi;

4) osmosi inversa, basata su membrane semipermeabili con l’applicazione di una

forte pressione su acqua a contatto con una membrana.

Correzione delle caratteristiche microbiologiche

Mezzi fisici

Calore. Inconvenienti quali: elevati costi energetici, necessità di raffreddare l’acqua,

alterazione delle caratteristiche organolettiche per perdita ddi gas, precipitazione di

Sali ecc.

Raggi ultravioletti. Fattori importanti sono l’intensità di emissione, profondità e

velocità dell’acqua, limpidezza e contenuto di sostanze organiche ed inorganiche

disciolte. Svantaggi: costi elevati di impianto e di gestione, necessità di controlli e

scarsa elasticità di fronte a portate variabili.

Mezzi chimici

- efficacia contro i microrganismi patogeni;

- innocuità nei confronti del consumatore.

Cloro gassoso. Azione ossidante

Cl2 + H2O HClO + H+ + Cl-

HClO + H2O H+ + OCl-

Gli equilibri della reazione sono determinati dalla temperatura e soprattutto dal pH. Il

potere ossidante pur essendo legato sia alla forma dissociata che indissociata

dell’acido ipocloroso è maggiore nella forma indissociata, di conseguenza il potere

ossidante è maggiore in ambiente acido. Il cloro essendo un ossidante agisce contro

non solo i batteri ma nei confronti di tutte le sostanze ossidabili (in particolar modo

su quelle organiche).

Ipocloriti. Ipocloriti di sodio, di potassio e di calcio. Il più utilizzato è quello di sodio.

L’aggiunta di ipocloriti all’acqua dà gli stessi risultati del cloro gassoso.

Na+ + ClO-

H++ ClO- HClO

In rapporto ai valori di pH.

L’acido ipocloroso può dare origine, in presenza di sostanze organiche ed

inorganiche, a composti intermedi dotati ancora di potere ossidante. Ad esempio, con

l’ammoniaca forma monocloroamine, dicloroamine e tricloroamine. Con composti

contenenti gruppi amminici può dare le stesse reazioni ed in presenza di fenoli a cloro

fenoli, responsabili di sapori e odori sgradevoli.

Compsti clororganici privi di potere ossidante (trialometani).

Metodi di clorazione.

Cloro residuo attivo: l quantità di cloro che è in grado di spoatere lo iodio dallo

ioduro di potassio; lo iodio viene poi titolato in presenza di un indicatore.

Si definisce anche come cloro attivo, la quantità di cloro che è in grado di reagire

colorimetricamente con l’ortotolidina.

Cloro residuo attivo libero (acido ipocloroso) e combinato (cloroamine, clorofenoli,

ecc.).

Cloro richiesta: quantità minima di cloro che è necessaria aggiungere all’acqua per

avere un clororesiduo attivo.

1) clorazione semplice o marginale. Sistema tradizionale. A volumi uguali di

acqua si aggiungono dosi scalari di cloro, si lascia agire per 15-30 minuti, poi

si aggiunge ortotolidina. Il primo campione in cui si il viraggio dà la

clororichiesta e quindi la concentrazione minima di cloro da aggiungere

all’acqua. Un clororesiduo combinato è molto più stabile e meno capace di

ossidare rapidamente.

2) Clorazione al break point. Aggiungendo progressivamente cloro ad acque

contenenti composti capaci di dar luogo a cloro residuo attivo combinato, la

concentrazione di quest’ultimo prima aumenta, poi diminuisce, poiché le

ulteriori aggiunte di cloro ossidano anche i composti costituenti il cloro residuo

combinato. Questo punto prende il nome di break point; continuando si ha un

aumento lineare del cloro residuo attivo libero.

3) Il cloro è inattivo sulle oocisti di Cryptosporidium parvum.

Biossido di cloro. Ossidante più energico del cloro. Vantaggi:

- attivo anche a pH alcalini;

- non dà origine a clororesiduo combinato;

- non dà origine a trialometani;

- attivo anche contro le forme cistiche dei protozoi.

Limiti all’applicabilità:

- formazione di cloriti.

Ozono.

Stato allotropico dell’ossigeno, ottenuto sottopendo l’aria secca ricca di ossigeno a

differenze di potenziale di 7.000 15.000 volts. Si tratta di un ossidante energico,

attivo contro virus e batteri, che non impartisce odori e sapori sgradevoli all’acqua.

Velocità di azione maggiore del biossido di cloro parità di concentrazione. Oocisti di

Cryptosporidium sono inattivate al 99% ad una concentrazione di 0,3 mg/L in 2

minuti.