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Corso di Laurea in Farmacia Appunti e schede di Biochimica Prof. F. Di Lisa Emoglobina Vitamine ATPasi Bioenergetica P450 PFK2 Ossidazione insaturi AMPK Lipoproteine Digiuno-alimentazione Metabolismo esercizio Ischemia Facolta’ di Farmacia

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Emoglobina e anidride carbonica

L'anidride carbonica prodotta viene eliminata dai polmoni ai quali essa viene trasportata tramite il sangue. Il suo trasporto è strettamente legato all'emoglobina e alla necessità del mantenimento di un pH costante nel sangue. L'anidride carbonica è presente nel sangue in tre forme principali: come CO2 disciolta, come HCO3

-, (formato dalla ionizzazione dell'H2CO3 prodotto quando la CO2 reagisce con l'acqua) e come carbamino gruppi (formati quando la CO2 reagisce con gli amino gruppi delle proteine). E' da notare che per ogni forma di anidride carbonica la differenza artero-venosa rappresenta solo una piccola frazione della quantità totale presente; il sangue venoso rispetto al sangue arterioso contiene solamente circa il 10% in più di anidride carbonica totale (l'anidride carbonica totale è data dalla somma di HCO3

-, CO2 disciolta e carbamino emoglobina). L'anidride carbonica dopo essere entrata nel flusso sanguigno per il trasporto ai polmoni produce ioni idrogeno. La maggior parte di essi deriva dalla formazione di ioni bicarbonato che avviene nella maniera seguente. L'anidride carbonica che entra nel sangue diffonde all'interno degli eritrociti. La membrana eritrocitaria, come molte altre membrane biologiche è liberamente permeabile alla anidride carbonica disciolta. All'interno degli eritrociti gran parte dell'anidride carbonica è trasformata in acido carbonico da un enzima intracellulare, l'anidrasi carbonica. Dall'acido carbonico si ottengono quantità equivalenti di H+ e HCO3

-. Per la dissociazione dell'acido carbonico vengono quindi addizionati ad ogni litro di sangue 1,69 meq di bicarbonato: di conseguenza anche 1,69 meq di H+ devono essere prodotti nello stesso volume di sangue. L'aggiunta di questa quantità di acido ad un litro di acqua, più di 10-3 equivalenti di H+, determinerebbe un pH finale inferiore a 3. Poiché il pH del plasma venoso ha un valore medio di 7,37, ovviamente molti degli H+ generati durante la produzione di HCO3

- devono essere consumati dall'azione tampone e/o da altri processi. A causa della compartimentazione dell'anidrasi carbonica, tutta la conversione della CO2 ad acido carbonico ed infine a HCO3

- avviene all'interno dell'eritrocita. Trascurabili quantità di CO2 reagiscono non enzimaticamente nel plasma; ciò significa che, praticamente, tutto l'incremento in HCO3

- nel sangue venoso rispetto a quello arterioso proviene da una produzione di HCO3

- intraeritrocitaria. Senza dubbio, la maggior parte diffonde nel plasma e quindi l'HCO3

- del plasma venoso risulta più alto di quello arterioso anche se l'eritrocita rappresenta il luogo della sua produzione. È stato osservato che anche in presenza di inibitori dell'anidrasi carbonica, come l'acetazolamide o il cianuro, il sangue continua ad assorbire rapidamente una certa quantità di anidride carbonica. Ciò è dovuto alla reazione dell'anidride carbonica con gli amino gruppi delle proteine all'interno dell'eritrocita in modo da formare carbamino gruppi. La reazione avviene principalmente con gli amino gruppi dell'emoglobina. La deossiemoglobina forma carbamino emoglobina più rapidamente dell'ossiemoglobina e l'ossigenazione determina il rilascio della CO2 legata nella carbamino emoglobina.

La formazione della carbamino emoglobina avviene solo con gli amino gruppi alifatici non carichi, non con le forme cariche R-NH3

+. Il pH all'interno dell'eritrocita è normalmente circa 7,2, leggermente più acido di quello del plasma. Poichè gli amino gruppi delle proteine presentano pK nettamente più alcalini di 7,2, essi saranno prevalentemente in forma carica (acido indissociato). La rimozione di alcune forme non ionizzate tramite la formazione di carbamino gruppi sposterà l'equilibrio, producendo più amino gruppi non carichi ed una equivalente quantità di H+. R-NH3

+ HCO3- ←→ R-NH2 + H+

Chiaramente la formazione di un gruppo carbamino è, come la formazione di HCO3

-, un processo che genera H+. Il fatto che solo gruppi non carichi possano formare gruppi carbamino, limita enormemente il numero degli stessi che possono potenzialmente partecipare a questa reazione. Tipici amino gruppi, come gli ε-amino gruppi delle catene laterali dei residui di lisina, hanno pK di 9,5-10,5. Se il pK fosse 10,2, ad un pH intracellulare di 7,2 solo un gruppo ε-aminico su mille dovrebbe essere non carico e quindi capace di reagire con l'anidride carbonica. Gli α-amino gruppi agli N-terminali delle proteine, tuttavia, hanno pK molto più bassi, nell'intervallo di 7,6-8,4. Ciò è dovuto all'effetto di richiamo degli elettroni esercitato dal vicino ossigeno del legame peptidico. Per un amino gruppo con pK 8,2, si può prevedere che 1 residuo ogni 10 sia non carico all'interno della cellula e capace di reagire con la CO2. Un pK più basso (o un pH intracellulare più alto) comporterebbe una maggiore disponibilità del gruppo aminico. Gli α-amino gruppi alle estremità NH2 terminali delle catene polipeptidiche dell'emoglobina a causa dei loro pK più bassi rappresentano i principali siti di formazione dei gruppi carbamino. Se tutti e quattro gli amino gruppi N-terminali dell'emoglobina fossero bloccati chimicamente dalla reazione con cianato, non avverrebbe più la formazione dei gruppi carbamino. Gli amino gruppi N-terminali delle catene formano parte del sito di legame del DPG. Poichè i residui N-terminali non possono legare il DPG e contemporaneamente formare gruppi carbamino, si ha una competizione tra la CO2 e il DPG. La CO2 diminuisce l'effetto del DPG e, viceversa, il DPG diminuisce la capacità dell'emoglobina di formare carbamino emoglobina. Trascurare quest'ultima interazione porta ad una sovrastima del ruolo della carbamino emoglobina nel trasporto dell'anidride carbonica. Prima della scoperta dell'effetto del DPG, erano state fatte accurate determinazioni della capacità dell' emoglobina purificata (senza la presenza del DPG) di formare carbamino emoglobina. Si assunse che i risultati potessero essere applicati all'emoglobina nell'eritrocita, giungendo all'errata conclusione che la carbamino emoglobina fosse responsabile del 25-30% o più del trasporto dell'anidride carbonica. Ora invece sembra che solo il 13-15% del trasporto dell'anidride carbonica avvenga tramite la carbamino emoglobina. L’emoglobina, olre al fatto di essere il carrier principale dell’ossigeno e un trasportatore dell’anidride carbonica sotto forma di gruppi carbamino legati covalentemente, gioca anche il ruolo principale nel controllo degli ioni idrogeno prodotti dal trasporto dell' anidride carbonica. Ciò si realizza tramite un'azione tampone e tramite un secondo meccanismo che verrà discusso in seguito. La capacita' tamponante dell'emoglobina è dovuta ai suoi gruppi ionizzabili con pK vicino al pH intracellulare dell'eritrocita. Questi comprendono i quattro α-amino gruppi degli aminoacidi N-terminall e le catene laterali

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Emoglobina e CO2 2

imidazoliche dei residui di istidina. L'emoglobina possiede 38 istidine per tetramero; esse quindi sono responsabili della maggior parte della capacità tamponante dell' emoglobina. Nel sangue intero, l'azione tampone assorbe circa il 60% dell'acido prodotto nel normale trasporto dell' anidride carbonica. Sebbene l'emoglobina rappresenti nel sangue il più importante tampone non bicarbonato, tuttavia anche i fosfati organici negli eritrociti, le proteine plasmatiche ecc. forniscono un importante contributo. Questi composti tamponano circa il 10% dell'acido, lasciando circa il 50% del controllo dell'acidità specificamente all'azione tampone dell'emoglobina. Questi sistemi tampone rendono minimi i cambiamenti di pH che si verificano qualora si aggiungano degli acidi o delle basi, ma non sono in grado di prevenirli completamente. Quindi si osserva una lieve differenza di pH tra il sangue arterioso e quello venoso. La parte rimanente dell'acido che proviene dall'anidride carbonica viene assorbita dall'emoglobina tramite un meccanismo che non ha nulla a che vedere con l'azione tampone. Bisogna ricordare che quando l'emoglobina si ossigena si trasforma in un acido più forte, rilasciando H + (effetto Bohr). Nei capillari, dove l'ossigeno viene rilasciato, avviene l'opposto: HbO2 + H+ ←→ HCO3

- HHb + O2 Contemporaneamente, l'anidride carbonica entra nei capillari e viene idratata: CO2 + H2O ←→ HCO3

- ←→ H+ + HCO3,-

La somma di queste due equazioni è la seguente: HbO2 + CO2 + H2O ←→ HHb + HCO3

- + O2 e mette in evidenza che questo sistema in una certa misura può assorbire H+ che derivano dall'anidride carbonica, senza che si verifichino variazioni nella concentrazione degli stessi (cioè senza cambiamenti del pH). La capacità dell'emoglobina di attuare questo meccanismo, tramite l'effetto Bohr, è definita come il trasporto isoidrico di CO2. Come già detto, vi èuna piccola differenza di pH tra il plasma arterioso e quello venoso. Ciò è dovuto al fatto che il meccanismo isoidrico non può assorbire tutto l'acido prodotto durante il trasporto normale della CO2; se ciò fosse possibile, non dovrebbero esserci tali differenze. Nel corso degli anni si sono avute differenti valutazioni sull'importanza del meccanismo isoidrico nella neutralizzazione della acidità normalmente prodotta dalla respirazione. In passato, valutazioni errate erano derivate dalle insufficienti conoscenze delle molteplici interazioni alle quali partecipa l'emoglobina. I primi esperimenti di titolazione di ossiemoglobina e deossiemoglobina purificate, hanno rivelato che l'ossigenazione dell'emoglobina comportava in media un rilascio di 0,7 H+ per ogni O2 legato. Questo valore appare ancora nei testi e molti dati sono stati ricavati in base ad esso. Alcuni autori hanno sostenuto che con un effetto Bohr di questa entità il meccanismo isoidrico da solo potrebbe assorbire tutta l'acidità prodotta dalla ossidazione metabolica dei grassi (il QR dei grassi è pari a 0,7) e che quindi l'azione tampone non sarebbe necessaria. Sfortunatamente la base sperimentale per questa interpretazione non ha fondamenti fisiologici; le titolazioni venivano effettuate in totale assenza di anidride carbonica, che ora noi sappiamo si lega ad alcuni gruppi coinvolti nell'effetto Bohr formando carbamino gruppi e diminuendo quindi l'effetto Bohr stesso. Quando successivi esperimenti vennero condotti in presenza di quantità fisiologiche di anidride carbonica, si verificò una drastica diminuzione dell'effetto Bohr, al punto che a pH 7,45 il meccanismo isoidrico apparve in grado di neutralizzare solo la quantità di acido derivante dalla formazione dei carbamino gruppi. Questi esperimenti, tuttavia, sono stati condotti prima della nostra definizione della competizione tra il DPG e

l'anidride carbonica per la stessa regione della molecola emoglobinica. Infine, nel 1971, sono state eseguite accurate titolazioni del sangue intero in condizioni presumibilmente fisiologiche che hanno fornito un valore di 0,31 H+ rilasciati per O2 legato. Questo valore è la base della attuale asserzione che il meccanismo isoidrico è responsabile della neutralizzazione di circa il 40% dell'acidità prodotta durante il normale trasporto dell'anidride carbonica. I contributi percentuali dei vari meccanismi al controllo del-l'acidità derivante dal trasporto dell'anidnde carbonica sono riassunti nella tabella che segue. Controllo dell'eccesso di H+ prodotto durante il normale trasporto dell'anidride carbonica Tamponamento

da parte dell'emoglobina 50% da parte di altri tamponi 10% Meccanismo isoidrico 40% E' ovvio il ruolo principale svolto dall'emoglobina in questa funzione. Abbiamo visto che, essenzialmente, tutta la formazione dell'HCO3

- è intracellulare, catalizzata dalla anidrasi carbonica, e che la grande quantità di H+ prodotta dalla CO2 avviene all'interno dell'eritrocita. Queste due osservazioni giustificano la distribuzione finale dell'HCO3

- nel plasma e nell'eritrocita. La formazione intracellulare dell'HCO3

- ne incrementa la concentrazione all'interno dell'eritrocita. Poiché l'HCO3

- è il Cl- attraversano liberamente la membrana, l'HCO3

- diffonderà fuori dall'eritrocita aumentando la sua concentrazione plasmatica. Quando ciò si verifica, deve essere mantenuta la neutralità elettrica attraverso la membrana; ciò si può realizzare in linea di principio o mediante ioni con carica positiva che accompagnano l'HCO3

- fuori dalla cellula o mediante altri ioni carichi negativamente che entrano nella cellula sostitiuendo l'HCO3

-. Poiché la distribuzione dei principali cationi, Na+ e K+ è strettamente controllata, si realizza il secondo meccanismo considerato e i Cl- rappresentno gli ioni che vengono scambiati con gli ioni bicarbonato. Così appena l'HCO3

- viene formato nei globuli rossi durante il loro passaggio attraverso il letto capillare, esso fuoriesce nel plasma e il Cl- entra negli eritrociti per rimpiazzarlo. Nei polmoni, dove sono invertiti tutti gli eventi che si verificano nel letto capillare dei tessuti periferici, l'HCO3

- migra all'interno degli eritrociti per essere trasformato in CO2 che verrà espirata e Cl- ritorna nel plasma. Lo scambio di Cl- e HCO3

- che si verifica tra il plasma e l'eritrocita prende il nome di shift del cloruro. Il tamponamento intracellulare di H+ derivante dall'anidride carbonica determina un rigonfiamento delle cellule, dando luogo ad un sangue venoso con un ematocrito leggermente più alto (0,6%) rispetto al sangue arterioso (l'ematocrito rappresenta il volume percentuale dei globuli rossi nel sangue). Questo avviene perchè la carica di ogni molecola di emoglobina diventa più positiva per ogni H+ legato. Ogni carica positiva legata richiede una carica negativa per mantenere la neutralità. Così in conseguenza dell'azione tampone vi è un netto accumulo di HCO3

- o Cl- all'interno dell'eritrocita. In seguito a tale accumulo si ha un incremento della pressione osmotica dei liquidi intracellulari. Quindi l'acqua entra all'interno delle cellule determinando il loro leggero rigonfiamento. Normalmente, l'ematocrito del sangue arterioso dovrebbe essere 44.8 quello del sangue venoso 45.1. Le relazioni fin qui descritte tra i ligandi dell'emoglobina possono essere riassunte schematicamente come segue:

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Emoglobina e CO2 3

Questa equazione dimostra che cambiamenti nella concentrazione di H+, DPG o CO2 hanno effetti simili sul

legame dell'ossigeno. L'equazione aiuterà a ricordare l'effetto dei cambiamenti di qualcuna di queste variabili sull' affinità dell' emoglobina per l'ossigeno. La quantità di DPG nei globuli rossi è controllata dalla inibizione da prodotto della sintesi e dal pH. L'ipossia comporta aumentati livelli di deossiemoglobina. Poiché la deossiemoglobina lega il DPG molto fortemente, nelle condizioni di ipossia vi è meno DPG libero in grado di inibire la sua stessa sintesi e così i suoi livelli cresceranno. L'effetto del pH consiste nel fatto che alti valori di pH aumentano la sintesi di DPG mentre bassi valori di pH la diminuiscono; ciò riflette l'effetto del pH sulla DPG mutasi, l'enzima che catalizza la formazione di DPG. Poichè le variazioni nei livelli di DPG richiedono molte ore per realizzarsi completamente, ne consegue che l’effetto immediato di una dimunuzione del pH del sangue consisterà nell’aumentato rilascio dell’ossigeno

tramite l’effetto Bohr. Se l’acidosi è prolungata (molte cause di acidosi metabolica cronica non sono associate con al necessità di un aumentato rilascio dell’ossigeno), la diminuita sintesi del DPG conduce ad un abbassamento della concentrazione intracellulare dello stesso e l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno ritorna normale. In questo modo disponiamo di un meccanismo che può rispondere in maniera appropriata a condizioni acute, come un vigoroso esercizio fisico, ma che trovandosi di fronte ad una prolungata anormalità di pH ripristina il normale (e presumibilmente ottimale) rilascio dell’ossigeno. Gli effetti opposti prodotti sull'affinità dell'emoglobina per l'O2 dai meccanismi messi in gioco dall'ipossia sono riassunti nello schema seguente.

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VITAMINE E COENZIMI*

Generalità Le vitamine sono composti organici necessari per le normali funzioni dell'organismo, ma che l'organismo non è in grado di sintetizzare. Per questo devono essere presenti, seppure in piccole quantità, nella dieta. Il termine vitamina, cioè amina indispensabile per la vita, originariamente attribuito alla vitamina B, (un'amina), fu mantenuto anche quando si riconobbe che gli altri fattori vitaminici non sono affatto delle amine. Classificazione In rapporto alla loro solubilità le vitamine sono state classificate in vitamine liposolubili e vitamine idrosolubili. Le prime, comprendenti le vitamine A, D, E, F e K, insolubili in mezzi acquosi, sono trasportate e depositate nell'organismo in modo identico, o analogo, ai lipidi. La maggior parte delle vitamine idrosolubili, comprendenti la vitamina C ed il complesso delle vitamine B, agiscono previa trasformazione nei relativi coenzimi. Alcune vitamine, o derivati di queste, sono necessarie per l'accrescimento di microorganismi e per questo vengono chiamate «fattori di crescita». Sostanze chimiche analoghe alle vitamine, ma aventi azione biochimica antagonista sono le «antivitamine». Fabbisogno Il fabbisogno medio dell'uomo pro-die varia considerevolmente da vitamina a vitamina: 30 mg per la vitamina C, 1 mg per la B1, 0,01 mg per la vitamina D e 0,001 mg per la B12. Il fabbisogno vitaminico varia anche da un individuo ad un altro e nello stesso individuo in rapporto con i più svariati fattori ambientali, dietetici, di attività ecc. Deficienze Le malattie da deficienza vanno sotto il nome di avitaminosi; le più note sono il rachitismo (avitaminosi D), lo scorbuto (avitaminosi C), il beri beri (avitaminosi B,) e la pellagra (avitaminosi PP). Il termine ipovitaminosi viene talvolta usato per indicare uno stato di carenza parziale. Esiste poi una deficienza vitaminica condizionata dovuta a deficiente assorbimento intestinale. L'anemia perniciosa, per esempio, è considerata uno stato di deficienza condizionata di vitamina B12.

* Tratto dal testo Biochimica Medica di Siliprandi e Tettamanti, Ed. Piccin

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vitamine 2

LE VITAMINE IDROSOLUBILI

Vitamina C Chimica - La vitamina C, o acido ascorbico, è il γ-lattone dell'acido deidrogulonico. Le sue proprietà acide derivano dalla dissociabilità del protone dell'ossidrile enolico in C,. L'acido ascorbico viene ossidato ad acido deidroascorbico per azione della ascorbico ossidasi, enzima a rame presente nei vegetali, ma anche per azione di tracce di rame e di altri metalli. Per questa facile ossidabilità il contenuto in acido ascorbico dei prodotti naturali che lo contengono può diminuire. Tuttavia alcuni polifenoli, specie rutina, quercetina ed altri flavonoidi (talvolta denominati vitamina P), pure contenuti negli stessi vegetali esplicano azione protettiva, forse in quanto capaci di chelare gli ioni Cu*` che catalizzano la degradazione ossidativa della vitamina C. L'acido deidroascorbico può essere riconvertito in acido ascorbico a spese del glutatione ridotto e per azione di una specifica riduttasi. Irrecuperabile è invece l'acido 2,3-dichetogulonico, prodotto di idratazione dell'acido deidroascorbico:

Azione - La vitamina C è un fattore necessario per la idrossilazione della prolina e lisina rispettivamente in idrossiprolina ed idrossilisina da parte della prolina e della lisina ossidasi. Queste idrossilazioni, che interessano i residui della prolina e della lisina nelle fibrille di protocollagene, non possono avvenire sugli stessi amino acidi liberi. Si tratta di una modificazione postsintetica proteica necessaria per la normale conformazione delle nascenti fibre di collagene. È per questa ragione che in mancanza di vitamina C il collagene, strutturalmente anomalo, non è più in grado di esplicare la sua normale funzione cementante intercellulare. Altre idrossilazioni dipendenti da acido ascorbico sono quelle che intervengono nella trasformazione del colesterolo in acidi biliari (donde la ipercolesterolemia che si può riscontrare nella avitaminosi C) e nel metabolismo della tirosina, donde l'alcaptonuria. In virtù della sua capacità riducente non enzimatica, l'acido ascorbico facilita l'assorbimento intestinale del ferro, riducendolo e mantenendolo allo stato ferroso. L'acido ascorbico facilita anche il trasporto del ferro dal plasma al fegato e la sua incorporazione nella ferritina, la forma primaria di deposito del ferro nel fegato. Deficienza - Nell'uomo la deficienza di vitamina C, quale si può verificare in seguito ad alimentazione povera o priva di verdure fresche, può portare allo scorbuto. Tipiche manifestazioni dello scorbuto sono: fragilità dei piccoli vasi e dei capillari, con conseguenti emorragie, dovute alla difettosa qualità della sostanza cementante le cellule endoteliali; piorrea, causata da difetto delle connessioni connettivali che fissano i denti negli alveoli, ritardo di cicatrizzazione delle ferite e di saldatura delle fratture. Nel bambino il processo di ossificazione è alterato per anomalie di formazione della matrice ossea, donde le alterazioni strutturali e funzionali scheletriche tipiche del morbo di Barlow. Se ne deduce che le manifestazioni di deficienza di vitamina C sono a carico dei tessuti di sostegno di origine mesechimale (ossa, cartilagine, tessuto connettivo), proprio per un difetto di formazione della sostanza cementante intercellulare, che ha fra i componenti principali il collagene. Solo l'uomo, i primati e le cavie sono suscettibili di avitaminosi C; gli altri animali sintetizzano infatti l'acido ascorbico dall'acido glucuronico, metabolita del glucosio. Poiché la incapacità di questa sintesi da parte dell'uomo, primati e cavie è dovuta alla mancanza congenita di un enzima (la L-gulonolattone ossidasi), si può a ragione considerare lo scorbuto comeuna enzimopatia ereditaria di specie. Distribuzione e fabbisogno - La vitamina C è contenuta nella frutta e verdure fresche. Particolarmente ricchi ne sono gli agrumi, le fragole ed i pomodori. Nell'organismo animale particolarmente ricche di vitamina C sono le ghiandole surrenali in relazione, probabilmente, ai numerosi processi idrossilativi che vi si svolgono. La circostanza che la tossina difterica ed altre tossine batteriche determinano una forte riduzione di vitamina C nelle surrenali, rende verosimile la sua utilità nel potenziamento dei meccanismi di difesa contro le infezioni. Il fabbisogno di vitamina C per l'uomo adulto è di 50-60 mg/die. È questa una dose sufficiente a mantenere immodificato il pool di vitamina C nell'intero organismo (1,5 g.). Dosi superiori vengono bene tollerate, anche per il fatto che il surplus di vitamina C non si deposita nei tessuti, ma viene eliminato con le urine. Questa eliminazione non ha tuttavia luogo fino a che i tessuti non ne siano stati

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vitamine 3 fisiologicamente saturati. Il contenuto di acido ascorbico nel plasma di un uomo normoalimentato è di 0,7-1,2 mg/l00 ml.

LE VITAMINE B ED I LORO COENZIMI

In genere le vitamine B esplicano la loro azione fisiologica solo dopo essere state trasformate nell'organismo nei corrispondenti coenzimi; questi in associazione con proteine (apoenzimi) costituiscono determinati enzimi (oloenzimi):

oloenzima ↔ apoenzima + coenzima Nella tabella che segue vengono elencati i coenzimi derivati da vitamine del complesso B.

Dal momento che queste vitamine adempiono alla loro funzione metabolica solo se previamente trasformate nell'organismo nei corrispondenti coenzimi, alterazioni metaboliche possono originare, oltre che per carenza alimentare di questi fattori, anche per una inadeguata capacità dell'organismo a convertire le vitamine libere nei coenzimi. Tutte le alterazioni metaboliche che conseguono a deficienza di una o più vitamine del gruppo B possono ricondursi ad alterazioni della funzionalità dei sistemi enzimatici nei quali le vitamine entrano come cofattori. La maggior parte dei sintomi clinici da carenza vitaminica, al contrario, non è ancora stata messa in rapporto con le reazioni enzimatiche nelle quali le vitamine intervengono. Ribofiavina (Vitamina B1) Chimica - La riboflavina è la 7,8-dimetil-N,10-1'-ribitil-isoallosazina. Deriva cioè dall'unione del nucleo isoallosazinico con il ribitolo, l'alcool che si forma per riduzione del ribosio. E una sostanza giallo-verde, intensamente fluorescente alla luce ultravioletta e fotolabile:

Deficienza - Nell'uomo una deficienza di riboflavina è molto rara e si manifesta con cheilosi (lesioni alle labbra), stomatite angolare (ragadi e macerazione in corrispondenza delle commessure labiali), glossite (lingua scarlatta, dolente), dermatite seborroica del naso e delle palpebre, opacità e vascolarizzazione corneale. La avitaminosi sperimentale nel ratto si manifesta con arresto dell'accrescimento e con dermatite. Diffusione e fabbisogno - La sua ampia diffusione sia nel regno animale che vegetale spiega la difficile evenienza di una avitaminosi da riboflavina. Il fabbisogno dell'uomo adulto può essere stimato intorno ai 2 mg/die. Coenzimi I coenzimi derivanti dalla riboflavina sono il flavin mononucleotide (FMN) o riboflavinfosfato ed il

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vitamine 4 flavindinucleotide (FAD).

Gli enzimi che contengono l'uno o l'altro dei coenzimi flavinici sono gli enzimi flavinici. In essi FNM o FAI) sono covalentemente legati alla porzione proteica e costituiscono la sede del processo ossido

riduttivo che si attua secondo il seguente equilibrio: Biosintesi - Il FMN si forma per fosforilazione della riboflavina a spese del. l'ATP e per azione della flavochinasi:

Il FAD si forma per adenilazione dei FMN, catalizzata dalla FAD sintetasi:

Nicotinamide (Vitamina PP) I due vitameri PP sono l'acido nicotinico e la sua amide, nicotinamide, che vengono anche designati con il termine comprensivo di niacina. La forma attiva è in realtà la nicotinamide; l'acido nicotinico, suscettibile di essere trasformato in nicotinamide dall'organismo, ne è il precursore. La nicotinamide viene eliminata con le urine in forma metilata: N-metilnicotinamide:

Deficienza - Nell'uomo la deficienza di vitamina PP porta alla pellagra (donde la sigla PP = Previene Pellagra), caratterizzata da dermatite, demenza e diarrea (malattia delle tre d). La dermatite, che è

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vitamine 5 l'espressione più precoce e caratteristica della pellagra (pellagra), consiste in un'ispessimento ed annerimento della pelle in corrispondenza delle parti generalmente esposte alla luce (faccia e mani). La pellagra si riscontra in popolazioni a dieta ipoproteica e ricca di mais (polenta). Il mais, privo di nicotinamide, contiene come componente proteico la zeina, una proteina poverissima di triptofano, l'amino acido da cui l'organismo può sintetizzare la nicotinamide. Distribuzione e fabbisogno - La vitamina PP è presente in buona quantità nelle carni, mentre è scarsa nei vegetali. Il fabbisogno di vitamina PP dell'uomo è di 20 mg per giorno. Se si tiene conto che 60 mg di triptofano producono nel nostro organismo 1 mg di niacina e che con la dieta normale non si introducono più di 400-500 mg di triptofano, si comprende come sia necessaria la introduzione della vitamina PP come tale. Coenzimi I coenzimi che derivano dalla nicotinamide sono il NAD (Nicotinamide Adenin Dinucleotide) ed il NADP (Nicotinamide Adenin Dinucleotide Fosfato - in inglese Phosphate), indicati comprensivamente come coenzimi piridinnucleotidici. NAD e NADP sono dinucleotidi in quanto costituiti da un (mono)-nucleotide, l'AMP, legato ad altro (mono)nucleotide che ha la nicotinamide come base eterociclica: di qui la loro denominazione.

Funzione - NAD e NADP sono i coenzimi di numerose deidrogenasi, denominate deidrogenasi piridiniche. Nei processi ossidoriduttivi, catalizzati da queste deidrogenasi, NAD e NADP vengono alternativamente ossidati e ridotti in corrispondenza della nicotinamide, che ne costituisce il centro attivo secondo il seguente equilibrio: Dei due atomi di H (2 protoni + 2 elettroni), ceduti dal substrato ossidabile, nell'anello piridinico del NAD+, o del NADP+ entrano due elettroni ed un protone (cioè un ione idruro: H-), il restante protone (H+) viene rilasciato nel mezzo:

Pertanto se la reazione di riduzione ha luogo in un mezzo non tamponato il pH diminuisce. Le sigle dei due coenzimi allo stato ossidato portano il segno +: NAD' e NADP` ad indicare la carica positiva dell'anello piridinico; allo stato ridotto vengono abbreviati con le sigle NADH e NADPH rispettivamente. Una proprietà peculiare e di notevole importanza pratica dei coenzimi piridinici è la loro capacità di

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vitamine 6 assorbire le lunghezze d'onda intorno a 340 nm allo stato ridotto, ma non allo stato ossidato, come si può osservare negli spettri di assorbimento riportati nella figura sottostante.

Si può osservare che mentre il picco di assorbimento intorno a 270 nm, dovuto alla porzione adenosinica, non si modifica con lo stato ossido riduttivo dei coenzimi, il picco più appiattito intorno a 340 nm è tipico ed esclusivo dello stato ridotto. Il differente comportamento spettrofotometrico a 340 nm riflette il diverso assetto elettronico dell'anello piridinico allo stato ossidato ed allo stato ridotto (vedi struttura dell'anello piridinico nei due stati). La misura dell'assorbimento della luce a 340 nm durante il decorso di reazioni, catalizzate da deidrogenasi NAD(P) dipendenti, consente la stima dello stato di riduzione, o di ossidazione, del coenzima. Ciò costituisce la base per la determinazione di molti enzimi e metaboliti in chimica clinica. Nelle cellule il NAD è presente prevalentemente nella forma ossidata ed il NADP nella forma ridotta. Infatti mentre il NADP è generalmente impiegato nelle reazioni di riduzione, cioè per ridurre un substrato, il NAD è prevalentemente utilizzato nelle reazioni di ossidazione, cioè per ossidare un substrato. NAD come donatore di «ADP-ribosio» - Il NAD agisce anche come agente «ADP-ribosilante», in quanto capace di cedere il raggruppamento «ADP-ribosio» (ADPR) a determinate proteine.

Tiamina (Vitamina B,) Chimica - La molecola della tiamina consta di un anello pirimidinico ed uno tiazolico, entrambi sostituiti, legati fra loro da un gruppo metilenico:

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Deficienza - Nell'uomo la tipica avitaminosi B, è il beri beri, che colpisce generalmente le popolazioni orientali la cui nutrizione è a base di riso brillato, cioè privo della cuticola. Nella così detta forma secca, il beri beri si manifesta con polineurite periferica (ischialgia e brachialgia), che regredisce prontamente per somministrazione di tiamina. Il beri beri umido, oltre che da polineurite, è caratterizzato da edemi diffusi con insufficienza circolatoria. L'alcoolismo predispone ad una deficienza di tiamina, sia perchè l'etanolo altera l'assorbimento intestinale della tiamina, sia perchè le lesioni epatiche che ne conseguono compromettono la conversione della tiamina nel suo coenzima. La sindrome encefalopatica di Wernicke-Korsakoff, che si può manifestare negli alcoolisti con perdita della memoria, atassia e stato confusionale, viene infatti notevolmente alleviata dalla somministrazione di elevate dosi di tiamina. La flora intestinale elabora la tiaminasi, che demolisce la tiamìna nei due anelli costituitivi, inattivandola. La iperproduzione di questa enzima da parte di una flora intestinale alterata può causare una deficienza (condizionata) di tiamina. Distribuzione e fabbisogno . Gli alimenti più ricchi di tiamina sono i piselli, i fagioli, le lenticchie ed i lieviti. Ricca di tiamina è la crusca di frumento e di riso; per contro privi di tiamina sono il pane bianco ed il riso brillato. La dose giornaliera raccomandata per l'uomo è di 0,5 mg. ogni 1000 kcal introdotte con la dieta. Questa dose va aumentata se la dieta è prevalentemente glucidica (a comprova che il coenzima derivante dalla tiamina interviene nel metabolismo glucidico). Coenzima Nell'organismo la tiamina si trasforma in tiamina pirofosfato (DPT), il coenzima della piruvato e della α-chetoglutarato deidrogenasi e della transchetolasi. La sintesi della DPT avviene per pirofosforilazione della tiamina ad opera della tiamina pirofosfochinasi:

Tiamina + ATP DPT + AMP In tutte le reazioni catalizzate dagli enzimi DPT dipendenti il centro attivo è il C-2 dell'anello tiazolico della DPT che tende a dissociare il protone per formare un carbanione:

Il carbanione attacca con meccanismo nucleofilico il carbonio carbonilico dell' a-chetoacido (acido piruvico nell'esempio della figura seguente) che, dopo risistemazione degli elettroni, va incontro a decarbossilazione. Nei tessuti animali il residuo del metabolita decarbossilato (aldeide acetica nell'esempio) viene trasferito sull'acido lipoico ossidato per formare l'acido acetil lipoico; nei lieviti viene invece rilasciato in forma di aldeide.

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vitamine 8 Tenendo presente che la DPT è il coenzima della piruvato deidrogenasi, si comprende perchè nell'avitaminosi B, si abbia un aumento dell'acido piruvico nel sangue e nei tessuti. Inoltre la sottoutilizzazione dell'acido piruvico, metabolita del glucosio spiega perchè i sintomi della avitaminosi B, siano prevalentemente nervosi. Infatti il tessuto nervoso utilizza i glucidi preferenzialmente, se non esclusivamente.

Acido lipoico Chimica - E l'acido 6,8-ditioottanico, che può esistere nella forma ossidata e ridotta:

L'acido lipoico insieme con la DPT è cofattore necessario per la attività della piruvato e della α-chetoglutarato deidrogenasi. Si ancora ad un componente proteico di questi complessi enzimatici formando un legame covalente (carboamidico) con un residuo di lisina: Poichè gli animali superiori quasi certamente lo sintetizzano nelle quantità minime necessarie, l'acido lipoico viene considerato una pseudo-vitamina.

Funzione - Nell'ambito della piruvato e della a-chetogluratato deidrogenasi l'acido lipoico riceve dalla idrossietil-DPT il radicale bicarbonioso (aldeide acetica attiva) ossidandolo ad acetile per poi trasferirlo sul coenzima A (Fig. 8.11). La diidrolipoil deidrogenasi, che ossida l'acido diidrolipoico in acido lipoico, è una flavoproteina che si riossida a spese del NAD'.

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I due gruppi tiolici vicinali dell'acido lipoico ridotto reagiscono con elevata affinità con alcuni tossici quali arsenito, ioni mercurici, tellurito ecc. per formare dei coniugati molto stabili che prevengono l'azione fisiologica dell'acido lipoico:

Così si spiega l'azione tossica di questi agenti abbastanza diffusi. Efficace antidoto ne è il BAL (British Anti Lewisite o mercaptopropanolo), così denominato in quanto originariamente impiegato come antidoto della Lewisite, un gas di guerra arsenicale. Il BAL compete con l'acido lipoico formando con i tossici dei composti solubili atossici che vengono escreti con le urine: Acido pantotenico Chimica - L'acido pantotenico è composto dall' acido α,γ-diossi-β,β'dimetilbutirrico (ac. pantoico) unito tramite legame carboamidico con la β-alanina.

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vitamine 10 Il legame carboamidico fra acido pantoico e β-alanina è resistente all'azione degli enzimi proteolitici del tubo digerente; per questa ragione e per essere bene assorbito dall'intestino, l'acido pantotenico è efficiente anche quando somministrato per os. Deficienza - Nell'uomo una avitaminosi da deficienza di acido pantotenico non è nota. Ciò dipende anche dalla ubiquitarietà di questo fattore vitaminico negli alimenti naturali (donde la denominazione di pantotenico). Nel ratto la deficienza di acido pantotenico si manifesta con dermatite essudativa specie intorno agli occhi (ratto con gli occhiali) e lesioni surrenaliche. Il ratto nero va incontro ad un ingrigimento del pelo. Fabbisogno - Non è noto con certezza. La introduzione di 5-10 mg per giorno viene considerata adeguata per l'uomo. Coenzima Il coenzima derivante dall'acido pantotenico è il coenzima A, o coenzima della acilazione:

Coenzima A Il gruppo del coenzima A al quale si legano gli acili è il gruppo-SH: donde la sigla CoA-SH. Anche la fosfopantoteina, che è parte della molecola del CoA-SH (vedi formula) agisce, analogamente al CoA-SH, come accettore di acili (vedi biosintesi degli acidi grassi pag. 352) e può a ragione considerarsi un coenzima. Il CoA-SH può essere alternativamente acetilato e deacetilato (o acilato e deacilato nel caso generale) come segue:

Il legame tioestereo viene indicato con il simbolo ~ , in quanto "ricco di energia" (8 Kcal/mole). L'elevato contenuto di energia degli acil CoA li rende metabolicamente reattivi; i corrispondenti acidi grassi liberi sono invece metabolicamente inerti. Vitamina B6 (piridossolo, piridossale, piridossamina) Chimica - I vitameri della B6 sono composti piridinici, largamente distribuiti sia nel regno animale che vegetale. Il vitamero più diffuso è il piridossolo (2-metil-3-idrossi-4,5-diidrossimetilpiridina). Nel fegato il piridossolo si converte negli altri vitameri liberi (piridossamina e piridossale) e fosforilati (piridossalfosfato e piridossamina fosfato) come indicato nella figura seguente. L'acido piridossico è il catabolita terminale dei vitameri B6 e lo si ritrova nelle urine come prodotto di escrezione. Deficienza - La deficienza di B6 determina, anche nell'uomo, la sintomatologia seguente: 1) dermatite, che essendo nel ratto localizzata in corrispondenza delle estremità (muso, coda, orecchie e zampe) viene denominataacrodinia; 2) anemia microcitica ipocromica, caratterizzata da globuli rossipiù piccoli e più pallidi che di norma, in quanto più poveri in emoglobina.All'ipocromia si accompagna emosiderosi, cioè aumento del ferro plasmatico, conseguenza di una sua subottimale utilizzazione nella biosintesi dell'eme; 3) nevrite con demielinizzazione dei nervi periferici (la nevrite daavitaminosi

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tiaminica non si accompagna a demielinizzazione); 4) convulsioni epilettiformi, espressione di ipereccitabilità delle cellule cerebrali; 5) eliminazione urinaria di acido xanturenico, indice della incapacità dell'organismoa metabolizzare normalmente il triptofano e precisamente di trasformare la3-idrossi-chinurenina in acido 3-idrossi-antranilico. Il reperimento di acido xanturenico nelle urine dopo carico di triptofano costituisce infatti il criterio più sicuro per la diagnosi di deficienza da B6. Manifestazioni di deficienza di B6 si riscontrano facilmente in bambini a dieta artificiale, o in bambini affetti da un errore ereditario del metabolismo, caratterizzato da un abnormemente elevato fabbisogno di triptofano. Nell'uomo adulto una avitaminosi B6 può insorgere in seguito a somministrazione prolungata dell'idrazide dell'acido isonicotinico. Questo farmaco, che trova impiego nella terapia della tubercolosi, reagisce con il piridossal fosfato formando un'aldimina stabile, così sottraendolo al suo compito coenzimatico:

Distribuzione e fabbisogno - Fonti alimentari di vitamina B6 sono fegato, carne, cereali ed uova. Il fabbisogno di vitamina B6 per l'uomo può considerarsi intorno ai 2 mg pro-die; proporzionale comunque alla quota proteica ingerita, così come il fabbisogno di tiamina è proporzionale alla quota glucidica. Coenzima Il coenzima derivante dalla vitamina B6 è il piridossal fosfato, che, legato a specifici apoenzimi, catalizza numerose reazioni enzimatiche, aventi come substrato gli amino acidi. Le tre più importanti sono: transaminazione, decarbossilazione e racemizzazione (quest'ultima solo nei batteri), di ciascuna delle quali viene riportato un esempio tipico. Il piridossal fosfato è anche coenzima della fosforilasi, enzima che interviene nel metabolismo del

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vitamine 12 glicogeno. Il piridossal fosfato nelle reazioni di transaminazione - Nel processo di transaminazione, che

implica il trasferimento del gruppo aminico da un amino acido (donatore) ad un chetoacido (accettore), il piridossal fosfato nell'ambito delle transaminasi interviene come intermediario della reazione, accettando il gruppo aminico dell'amino acido per cederlo al chetoacido. Durante questo trasferimento il piridossal fosfato viene transitoriamente trasformato in piridossamina fosfato:

1) glutammato + piridossal fosfato α-chetoglutarato + piridossamina fosfato; 2) piruvato + piridossamina fosfato alanina + piridossal fosfato.

Queste due reazioni accoppiate sono a loro volta scindibili in reazioni intermedie, nelle quali si forma

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vitamine 13 una aldimina (Ia base di Schiff) tra piridossal fosfato ed amino acido. La aldimina si converte in chetimina (IIa base di Schiff) che si idrolizza in piridossamina fosfato e chetoacido. In una successione inversa delle stesse reazioni la piridossamina fosfato reagisce con il chetoacido (piruvato), accettore del -NH2, per formare la chetimina che si trasforma in aldimina; alla fine si ripristina il piridossal fosfato con formazione di alanina. Il piridossal fosfato nelle reazioni di decarbossilazione - Come coenzima delle decarbossilasi il piridossal fosfato, legando l'amino acido in forma di aldimina, ne catalizza la decarbossilazione:

Una reazione di decarbossilazione piridossal fosfato dipendente di notevole interesse medico è la decarbossilazione dell'acido glutammico in acido γ-aminobutirrico (GABA) da parte della glutammato decarbossilasi delle cellule cerebrali:

Il GABA agisce come moderatore della eccitabilità delle cellule nervose. La sua insufficiente formazione nella carenza di B6, che implica una diminuita attività della glutammato decarbossilasi, spiega la sindrome epilettiforme che caratterizza la avitaminosi B6. Biotina Chimica - La molecola della biotina consta di un nucleo derivante dalla fusione dell'anello dell'imidazolo con quello del tiofene e, come nell'acido lipoico, di una catena laterale di 5 atomi di C:

Analogamente all'acido lipoico, la biotina è saldamente legata alla porzione proteica degli enzimi biotina dipendenti con un legame carboamidico fra gruppo carbossilico della sua catena laterale e gruppo aminico e di un residuo di lisina. Infatti fra i prodotti di idrolisi enzimatica od acida degli enzimi biotina dipendenti si ritrova la e-N-biotinil lisina, detta anche biocitina. Ciò significa che il legame carboamidico fra biotina e residuo della lisina è più resistente di quello carboamidico intercorrente fra i residui degli amino acidi costituenti la proteina. Deficienza - La avitaminosi da biotina non può essere provocata mediante somministrazione di una dieta carente di questo fattore, in quanto la flora batterica intestinale sintetizza questa vitamina molto attivamente, come è dimostrato dal riscontro di biotina nelle feci in quantità superiore a quanta ne viene ingerita. Una deficienza da biotina può essere ottenuta o sterilizzando con antibiotici il tubo digerente, oppure ingerendo bianco d'uovo. Il bianco d'uovo contiene, infatti, una glicoproteina basica detta «avidina», che si combina con la biotina sottraendola all'assorbimento intestinale. La denaturazione mediante calore toglie all'avidina questa proprietà. Per questa ragione il bianco d'uovo provoca deficienza di biotina solo se crudo. Pallore, dolori muscolari, facile affaticabilità si possono

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vitamine 14 riscontrare in soggeti sovralimentati con uova fresche. Tali sintomi possono quindi essere considerati espressione di avitaminosi biotinica. Distribuzione e fabbisogno - Cibi ricchi di biotina sono: fegato, rene e soprattutto tuorlo d'uovo. Si noti che il bianco d'uovo contiene invece l'avidina. Per l'uomo il fabbisogno di biotina si calcola intorno a 0.1 mg/die. Funzione coenzimatica. La biotina è il coenzima delle carbossilasi, enzimi che catalizzano la fissazione della CO, su determinati substrati. Le carbossilasi biotina dipendenti sono: la aceti! CoA carbossilasi, la propionil CoA carbossilasi e la piruvato carbossilasi, che catalizzano rispettivamente le seguenti reazioni:

Si può osservare che la carbossilazione interessa sempre il carbonio attiguo al gruppo carbonilico. Come illustrato dalla figura sottostante, nelle carbossilasi (biotinil enzimi) la biotina è il centro attivo in corrispondenza del quale si lega uno dei substrati della reazione: la CO2. Le reazioni di carbossilazione avvengono in due fasi: 1) attivazione della CO2 e sua fissazione sul biotinil enzima; 2) trasferimento della CO2 attivata sull'accettore. Le carbossilasi sono costituite di tre unità proteiche: la «biotin carrier protein», che fa da supporto alla biotina; la biotina carbossilasi, che catalizza la fissazione, dipendente da energia, dello ione carbonato sulla biotina e la transcarbossilasi che trasferisce il radicale carbonilico dalla biotina all'accettore.

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vitamine 15 Acido paraminobenzoico (PABA) Il PABA non è una vitamina, in quanto gli animali non sono in grado di utilizzarlo. Costituisce invece un fondamentale fattore di accrescimento per molte specie di microorganismi, alcune delle quali patogene, che lo utilizzano per la sintesi degli acidi folici. Il PABA entra infatti nella costituzione dell'acido folico e la sua essenzialità per i microorganismi capaci di utilizzarlo deriva dalla sua necessaria disponibilità per la biosintesi dell'acido folico. È ovvio quindi che i microorganismi che per il loro accrescimento richiedono il PABA non richiedano l'acido folico, mentre quelli che non richiedono il PABA, in quanto incapaci di utilizzarlo per la sintesi dell'acido folico, richiedano quest'ultimo come fattore di accrescimento. Il PABA riveste interesse per la sua «competizione» con i sulfamidici. Questi ultimi, analoghi strutturali del PABA (confronta la formula del PABA con quella della sulfanilamide, uno dei primi sulfamidici usati), inibiscono infatti la incorporazione del PABA nell'acido folico, arrestando l'accrescimento dei microorganismi PABA dipendenti; da qui l'azione antibatterica dei sulfamidici.

Acidi folici Chimica - Gli acidi folici sono peptidi costituiti da acido pteroico e da una o più molecole (1,3,5 o 7) di acido glutammico: acido pteroil glutammico. L'acido pteroico è il prodotto di condensazione fra 2-amino-4-ossi-6-metilpterina e acido p-aminobenzoico. I residui dell'acido glutammico sono legati tra loro con legami -y-glutamilici:

L'acido paraminobenzoico (PABA) è quindi parte della molecola dell'acido folico. Gli acidi folici presenti in natura contengono più molecole di acido glutammico (da 3 a 7), ma durante l'assorbimento intestinale questi poliglutammati vengono idrolizzati in monoglutammato dalla -y-glutamil carbossipeptidasi. Questo enzima, che viene indicato nella letturatura medica con il termine di coniugasi, è localizzato nell'orletto a spazzola delle cellule intestinali e viene perduto nelle malattie che causano degenerazione della mucosa intestinale (sprue tropicale e non tropicale, cancro dell'intestino ecc.). È la mancanza di questo enzima che produce deficienza di acido folico in queste malattie intestinali. Anche alcuni farmaci, fra i quali i contracettivi contenenti progesterone ed estrogeni, inibiscono la coniugasi e possono indurre a lungo termine una avitaminosi folica. La deficienza di acido folico secondaria a mancanza od ipofunzione della coniugasi intestinale può essere ovviata per somministrazione di acido pteroilmonoglutammico, il prodotto di reazione della coniugasi. Si ritiene che l'acido pteroilmonoglutammico sia la «forma di trasporto» dell'acido folico attraverso la mucosa intestinale ed anche attraverso le membrane cellulari e che gli acidi pteroilpo-liglutammici siano la «forma di ritenzione» dell'acido folico entro le cellule. In altre parole l'acido folico penetra nella cellula in forma di monoglutammato (F-glut.) e nella cellula viene trasformato in poliglutammato (F-poliglut.) nella reazione catalizzata dalla folilpoliglutammato sintetasi:

Deficienza - Nell'uomo la deficienza di acido folico si manifesta con anemia macrocitica megaloblastica perniciosiforme, caratterizzata dalla presenza nel sangue di forme immature di

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vitamine 16 eritrociti e da alterazioni gastrointestinali (sprue), caratterizzate da malassorbimento dei lipidi (steatorrea). Queste anomalie sono conseguenza di difettosa sintesi dei DNA, che si manifesta particolarmente nei tessuti caratterizzati da un elevato ritmo di moltiplicazione cellulare, come appunto le cellule del sangue e le cellule epiteliali intestinali. Le alterazioni ematiche, conseguenti a deficienza di acido folico, si riscontrano anche nella deficienza di B12. Ciò è dovuto al necessario intervento della B12 per la normale funzione del tetraidrofolato, il coenzima dell'acido folico. Una deficienza latente di acido folico (ipovitaminosi) è rilevabile dalla comparsa nelle urine di acido formimino glutammico dopo carico di istidina. L'acido formimino glutammico è infatti un prodotto del metabolismo dell'istidina. Oltre a deficienza di acido folico, derivante da sua insufficiente introduzione con la dieta, vi può essere deficienza dovuta a difettoso assorbimento intestinale (avitaminosi condizionata), come quella indotta dalla ingestione di elevata quantità di alcool, che interferisce sull'assorbimento intestinale dell'acido folico. Distribuzione e fabbisogno - Gli acidi folici sono presenti nel fegato, nei cereali, nelle foglie (donde «folico») e negli spinaci in particolare. Il fabbisogno per l'uomo adulto è di 50 µg/die, ma la dose giornaliera raccomandata è di 400 µg. Il fabbisogno aumenta considerevolmente nella gravidanza, nel puerperio, durante l'accrescimento, nel corso di anemie emolitiche ed in genere in ogni condizione che richieda un più accentuato rinnovo dei tessuti. Coenzima Coenzima dell'acido folico è l'acido tetraidrofolico (FH4), che deriva dal folico per riduzione, catalizzata rispettivamente dalla folico (1) e dalla diidrofolico riduttasi (2):

L'agente riducente è in entrambe le reazioni il NADPH; l'acido diidrofolico (FH2) è ilcomposto intermedio:

La funzione del FH4 è quella di metabolizzare le così dette unità monocarboniose, molecole costituite da un solo atomo di carbonio con vario grado di ossidazione

Nella Tabella non figura la CO2, che viene invece metabolizzata dalla biotina. In combinazione con il FH4 le unità monocarboniose vengono trasformate le une nelle altre e trasferite sull'accettore. Nel processo illustrato nella figura seguente l'aldeide formica si lega spontaneamente con il N5 del FH4 per formare il N -idrossimetil-FH,. Questo ciclizza spontaneamente per formare il N5,N10-

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vitamine 17 metilen-FH4 nel quale il gruppo metilenico forma un ponte fra gli N5 e N10. Il N5,N10-metilen-FH4, si può anche formare per cessione del radicale idrossimetilico della serina al FH4; viceversa la serina si può formare per cessione del gruppo metilenico del N5,N10-metilen-FH4 alla glicina. Il processo reversibile è catalizzato dalla serina transidrossimetilasi, enzima piridossal fosfato dipendente. Infatti serina e glicina possono reagire solo se legate in forma di aldimina con il piridossal fosfato. Si tratta di un tipico esempio di cooperazione di due coenzimi (FH4 e piridossal fosfato) con lo stesso enzima. Il N5,N10-metilen-FH4 può essere ossidato in N5,N10-metenil-FH4 e questo, per azione dell'ammoniaca, trasformato in N5-formimino-FH4. Infine il N5,N10-metenil-FH4 per opera di una N5,N10-metenil-FH4 cicloidrolasi può essere convertito in N5-formil-FH4, noto anche come acido folinico, oppure in N10-formil-FH4. Quest'ultimo si forma anche da acido tetraidrofolico ed acido formico in presenza di una N10formil-FH4 sintetasi.

Tutti questi composti fra unità monocarboniose e FH4 sono utilizzati dall'organismo per la sintesi di numerosi composti di cui qualche esempio viene riportato nella tabella seguente.

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vitamine 18 Antifolici Sono analoghi chimici degli acidi folici che agiscono come specifici antagonisti (antivitamine) provocandone una deficienza. I più comuni antifolici sono l'aminopterina (acido-4-amino folico), che si differenzia dall'acido folico per avere un gruppo NH2 al posto dell'OH in posizione 4 e l'ametapterina o metotrexato (acido 4-amino-10 metil folico), che in aggiunta possiede un -CH3 in posizione 10:

Gli antifolici inibiscono la attività della diidrofolato riduttasi e quindi la conversione dell'acido folico in tetraidrofolico. Viene così inibito il metabolismo delle unità monocarboniose e la sintesi dei nucleotidi purinici che ne dipende, come pure la trasformazione del dUMP in dTMP. Il conseguente blocco della sintesi degli acidi nucleici comporta un arresto delle mitosi e quindi della divisione cellulare. Per questa ragione gli antifolici vengono utilizzati nella chemioterapia delle leucemie e dei tumori maligni. Purtroppo viene inibita anche la proliferazione cellulare dei tessuti normali, specie quelli caratterizzati da un elevato turnover di divisione cellulare (midollo osseo e mucosa intestinale). Un altro serio inconveniente della chemioterapia con antifolici è costituito dalla progressiva resistenza delle cellule tumorali alla loro azione inibitrice. Questa resistenza consegue ad una sempre più elevata produzione di diidrofolato riduttasi e da un aumento degli enzimi adibiti al «ricupero» dei nucleotidi. Tetraidrobiopterina Un fattore coenzimatico strutturalmente analogo al FH4 e suscettibile di analoghe modificazioni redox è la tetraidrobiopterina, agente riducente dell'ossigeno molecolare in processi idrossilativi (es. idrossilazione della tirosina in DOPA nella sintesi delle catecolamine). Come mostra la figura seguente, la tetraidrobiopterina, che l'organismo sintetizza dal GTP e che quindi non va ritenuta un fattore vitaminico, cede gli equivalenti riducenti all'ossigeno molecolare formando acqua con uno dei due atomi di ossigeno. Nell'esempio riportato dalla figura la reazione di trasferimento è catalizzata dalla tirosina 3-monoossigenasi . Il ripristino allo stato ridotto avviene per cessione di equivalenti riducenti da parte del NADPH(H+) catalizzata dalla diidrobiopterina riduttasi.

Azione redox della tetrabiopterina nella idrossilazione della tirosina in DOPA, catalizzata dalla tiroisina 3-monoossigenasi (1). La diidrobiopterina che si forma viene ridotta in tetrabiopterina dalla diidrobiopterina riduttasi (2) a spese del NADPH(H+)

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vitamine 19 Vitamina B12 Chimica - La molecola della B12 consta di due parti: il «gruppo planare» ed il «gruppo pseudonucleotidico», uno perpendicolare all'altro. Il «gruppo planare», detto corrina, consta come le porfirine, di 4 anelli pirrolici, due dei quali saldati direttamente, che coordinano un ione cobalto. Con altri due legami coordinativi lo ione Co (che come il Fe ha numero di coordinazione 6) lega da una parte il 5,6-dimetilbenzimidazolo e dall'altra un radicale R. Questo radicale è il CN nella cianocobalamina, l'OH nella idrossicobalamina, il metile e la deossiadenosina rispettivamente nei due coenzimi metilcobamide e deossiadenosina cobamide. Per azione del CN tutti i vitameri ed i coenzimi della B12 si convertono in cianocobalamina che è la forma più stabile, anche se si decompone spontaneamente per azione della luce (fotolisi). La cianocobalamina è quindi una forma preparativa di B12 che non esiste in vivo.

A differenza dei nucleotidi considerati nel capitolo degli acidi nucleici, il «gruppo nucleotidico» della B12, in luogo di una base purinica o pirimidinica contiene il 5,6-dimetilbenzimidazolo (nel riquadro tratteggiato). Questo è legato con un legame α-glucosidico (non β come nei nucleotidi tipici) con il ribosio fosforilato in posizione 3'. Lo stesso gruppo fosforico è anche esterificato (diestere) con l'1-amino-2-propanolo, legato a sua volta con legame carboamidico al radicale propanoilico di uno dei quattro anelli pirrolici. Deficienza - La mancanza di B12, induce, come quella di acido folico, l'anemia perniciosa, caratterizzata dalla presenza in circolo di elementi immaturi della serie eritrocitaria. In più la mancanza di B12 porta a degenerazione delle fibre nervose e ad altre anomalie del sistema nervoso. II fatto che la sintomatologia ematologica dell'avitaminosi B12, non sia distinguibile da quella che si riscontra nella avitaminosi di acido folico è dovuto anche a deficienza di acido folico secondaria a quella di B12. Questa interdipendenza è documentata, fra l'altro, dalla aumentata escrezione urinaria di acido formiminoglutammico nella avitaminosi B12. Anche funzionalmente acido folico e B12, sono, come vedremo, strettamente connessi. L'anemia perniciosa è solo eccezionalmente causata da mancanza di B12 nella dieta, generalmente è causata da blocco del suo assorbimento intestinale. L'assorbimento intestinale della B12, è condizionato dalla presenza nella secrezione gastrica di HCI e di una glicoproteina del PM di 60.000, detta fattore intrinseco di Castle. La funzione del fattore intrinseco è quella di legare la B12 (che si identifica con il fattore estrinseco di Castle), trasportarla all'ileo dove, legandosi a siti specifici sui microvilli immette la B12 entro gli enterociti per azione di un fattore di rilascio. Il principio intrinseco è abbastanza resistente all'azione delle proteasi digestive, dalle quali viene inattivato solo dopo digestione prolungata. La deficienza del fattore intrinseco per anomalia genetica, costituisce un esempio di errore congenito, che compromette il trasporto di nutrienti essenziali. Pazienti che subiscono la resezione gastrica totale vanno incontro ad anemia perniciosa per la completa assenza del principio intrinseco necessario per l'assorbimento intestinale della B12. In tale circostanza l'anemia si instaura 3 o 4 anni dopo l'operazione, in quanto i depositi di B12 dell'organismo si depauperano molto lentamente. In mancanza del fattore intrinseco la

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vitamine 20 somministrazione di B12 per via orale è praticamente priva di azione. Iniezioni intramuscolari di B12 alla dose iniziale da 10 a 100 µg determinano invece una pronta remissione dei sintomi ed una normalizzazione del quadro ematico. Come terapia di mantenimento bastano, in seguito, 10 µg ogni due settimane. Negli individui normali la B12 assorbita dall'intestino viene portata al fegato da una specifica proteina «carrier», la transcobalamina I; dal fegato la B12 viene poi trasportata ai tessuti ematopoietici da un'altra proteina, la transcobalamina II. Distribuzione e fabbisogno - La vitamina B12, è sintetizzata esclusivamente dai microorganismi. Gli alimenti di origine animale (fegato, carne, latte ed uova) la contengono come risultato della sintesi della B12 da parte della flora intestinale. I vegetali sono privi di B12, per cui una deficienza di questa vitamina può verificarsi in individui strettamente vegetariani. La dose raccomandata per gli adulti è di 3 µg per giorno. Coenzimi I coenzimi derivanti dalla B,, sono la S'-deossiadenosilcobalamina e la metilcobalamina: 1) La S'-deossiadenosilcobalamina è il coenzima di numerosi enzimi, specie batterici. Nell'organismo animale l'enzima dipendente dalla 5'-deossiadenosilcobalamina è la metilmalonil CoA mutasi che catalizza la seguente reazione:

Questa reazione, come le altre catalizzate da mutasi B12, dipendenti, consiste nello scambio di un H con altro raggruppamento (nel caso riportato con il CoA-S-C=O). La inibizione di questa reazione per mancanza di coenzima porta alla eliminazione urinaria di acido metilmalonico, prodotto di idrolisi dei metilmalonil CoA che si accumula nei tessuti. La «aciduria metilmalonica» costituisce infatti un dato diagnostico precoce della deficienza di B12. 2) La metilcobalamina è il coenzima di numerose transmetilasi, la più importante delle quali è quella che converte la omocisteina in metionina. In questo processo, illustrato nella figura

seguente, la metilcobalamina opera di concerto con il N5-metil-FH4, il donatore del metile. Questa reazione, che fornisce un esempio tipico della collaborazione metabolica fra coenzima dell'acido folico e della B12, è molto importante in quanto rigenera la metionina man mano che questa, in forma di adenosil metionina, cede i suoi metili nelle reazioni di transmetilazione. Dalla figura si può rilevare che una mancanza di B12 può determinare un accumulo inutilizzato di N5-metil-FH4 e quindi una deficienza degli altri intermedi del FH4. Inoltre, la conseguente deficienza di adenosil metionina limita la sintesi dei nucleotidi costituenti il DNA. A livello del midollo osseo questa deficienza di metili potrebbe essere la causa dell'anomala formazione di precursori dei globuli rossi e quindi della anemia perniciosa. La sintomatologia neurologica della avitaminosi B12, viene analogamente attribuita a deficienza di metili, necessari per la sintesi della colina nel sistema

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vitamine 21 nervoso. Nella Tabella sottostante vengono riassunte le fonti principali, le dosi giornaliere raccomandate e le manifestazioni da deficienza delle vitamine B.

FATTORI VITAMINOSIMILI

Con la denominazione «fattori vitaminosimili» si designano composti indispensabili, ma che vengono sintetizzati dall'organismo in quantità subottimale. La introduzione di questi fattori con la dieta integra la loro produzione endogena e previene alterazioni metaboliche altrimenti possibili. I fattori vitaminosimili più importanti sono la S-adenosilmetionina, la colina e la carnitina. S-adenosilmetionina Un cofattore non vitaminico funzionalmente correlato con gli acidi folici e la B, nel trasporto dei metile è la S-adenosilmetionina (SAM). Questo composto si forma per trasferimento alla metionina di una molecola di adenosina dall'ATP (i cui tre gruppi fosforici vengono liberati in forma di orto e piro-fosfato inorganici) per azione della metionina adenosil trasferasi:

Il gruppo metilico della SAM è reso particolarmente reattivo dalla carica positiva sull'atomo di S adiacente. Per azione di metiltrasferasi specifiche la S-adenosilmetionina cede il gruppo metilico a substrati che vengono metilati (es. l'acido guanidoacetico in creatina), trasformandosi in S-adenosilomocisteina. Questa viene poi demolita in adenosina ed omocisteina. La omocisteina viene rimetilata in metionina per acquisizione del metile dal N5-metil-FH4 tramite la B12. La Fig 8.20 permette anche di constatare che in mancanza di B12, che agisce in questo processo da trasmettitore del metile, il ciclo rimane bloccato ed il FH4 sequestrato in forma di N5-metil FH4, non può partecipare alle reazioni di trasformazione dell'unità monocarboniosa. La mancanza di B12 crea quindi una «trappola del metile» che spiega come le anemie perniciose rispondano meglio alla somministrazione combinata di B12 ed acido folico che non alla somministrazione di una sola delle due vitamine.

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vitamine 22 Colina La biosintesi endogena della colina, che avviene a livello dei fosfolipidi (metilazione della fosfotidiletanolamina in fosfatidilcolina, non è sufficiente a coprire il fabbisogno dell'organismo. La produzione endogema di colina deve quindi essere integrata con l'apporto di colina esogena; questo è normalmente assicurato in misura sufficiente dalla presenza nella dieta di fosfolipidi contenenti colina (fosfatidilcolina e sfingomielina). Questi fosfolipidi sono pressochè ubiquitari nei comuni alimenti animali ed anche vegetali e sono particolarmente abbondanti nel tuorlo d'uovo. Oltre che componente dei più diffusi fosfolipidi, la colina, in forma di acetilcolina, assolve una importante funzione di neurotrasmettitore. Altra funzione della colina è quella di agire come donatore di metili alla omocisteina per formare metionina (Fig. 8.21). Per questa funzione la colina deve essere previamente ossidata in betaina in un processo a due stadi catalizzato dalla colina deidrogenasi FAD dipendente e successivamente dalla betaina aldeide deidrogenasi NAD dipendente. 1 due metili residui che rimangono sulla dimetilglicina, dopo trasferimento del metile sulla omocisteina ad opera della betaina-omocisteina transmetilasi, non sono più trasferibili, ma vengono ossidati e staccati in forma di aldeide formica e come tali immessi nel «pool» delle unità monocarboniose. In tal modo la N-dimetilglicina viene completamente demolita a glicina. Una deficienza di colina produce steatosi epatica ed è certamente ad un difetto del processo di metilazione facente capo alla colina che si deve attribuire la «steatosi epatica» che insorge negli animali mantenuti a dieta priva di colina. Questa steatosi viene infatti prevenuta, o fatta regredire, non solo dalla colina ma anche da altri donatori di metili, che per questa ragione vengono denominati fattori lipotropi. Per contro accettori di metili quali nicotinamide ed acido guanidoacetico sono fattori antilipotropi, in quanto, sottraendo metili alla colina, favoriscono la steatosi epatica.

Carnitina Così denomimata perchè identificata nel 1900 negli estratti di carne, la funzione della carnitina cominciò a delinarsi negli anni 50 quando la si riconobbe fattore necessario per lo sviluppo del Tenebrio molitor, il verme della farina; da qui la denominazione, poi abbandonata, di vitamina BT. In assenza di carnitina il Tenebrio molitor rimane soffocato dai trigliceridi che progressivamente accumula. Sulla scorta di questa osservazione si riconobbe in seguito che la carnitina, di concerto con enzimi presenti nella membrana interna dei mitocondri, è necessaria per il trasferimento degli acidi grassi all'interno dei mitocondri dove operano gli enzimi adibiti alla

Ossidazione della colina in betaina e processo di transmetilazione fra betaina ed omocisteina =colina deidrogenasi; =betaina aldeide deidrogenasi; = betaina:omocisteina transmetilasi; =N-dimetilglicina

demetilasi

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vitamine 23 loro ossidazione. In assenza di carnitina gli acidi grassi non vengono ossidati, ma esterificati nei trigliceridi e in tale forma accumulati nel citoplasma. Particolarmente ricchi di carnitina sono i muscoli scheletrici ed il miocardio, cioè quei tessuti che traggono la loro energia prevalentemente dalla ossidazione degli acidi grassi. Nell'organismo animale (i vegetali ne sono privi) la carnitina viene sintetizzata a partire dalla lisina; non è tuttavia ancora noto se tale sintesi soddisfi completamente il fabbisogno in carnitina. Si tratta di una situazione analoga a quella già discussa a proposito della vitamina PP nei confronti del triptofano. La carnitina è l'acido -γ−trimetilammonio-β−ossibutirrico:

L'ossidrile della carnitina può essere esterificato con un acetile o in genere con un acile:

Gli acili esterificati sulla carnitina provengono dagli acil CoA in un processo di transacilazione reversibile mediato dalla CoA: carnitina acil trasferasi:

acil-S-CoA + carnitina ←→ acil-carnitina + CoA-SH Gli acili a lunga catena legati alla carnitina possono essere traslocati attraverso la membrana mitocondriale all'interno dei mitocondri per essere ossidati nel processo della β−ossidazione. Implicitamente la carnitina, sottraendo acili al coenzima A, esercita una funzione di risparmio di coenzima A. I l coenzima A, pur essendo impegnato in numerosi processi metabolici, è presente nella cellula in quantità limitata, che diventa critica in certi momenti funzionali. Sono noti casi di mancanza congenita di carnitina nel muscolo, che si presenta infiltrato di trigliceridi addossati ai mitocondri (steatosi muscolare). Questa alterazione e la profonda adinamia muscolare che caratterizza questi pazienti consegue alla incapacità del muscolo di utilizzare gli acidi grassi a lunga catena, che rappresentano in condizioni normali il substrato energetico preferito. Infatti in mancanza di carnitina gli acili non possono adire al sito intramitocondriale della β−ossidazione e vengono esterificati in trigliceridi nello spazio extramitocondriale dove rimangono inutilizzati.

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VITAMINE LIPOSOLUBILI

Vitamina A Chimica - La vitamina A, o retinolo, è un alcool a 20 atomi di carbonio, costituito da un anello (β-iononico e da una catena laterale polinsatura per doppi legami coniugati trans:

L'elevato numero di doppi legami conferisce alla vitamina A una particolare suscettibilità alla perossidazione, che sopprime l'attività vitaminica. È dotato di azione vitaminica A anche il 3-deidroretinolo o vitamina A2*1 (presente nei pesci di acqua dolce) che possiede un secondo doppio legame fra le posizioni 3 e 4 dell'anello β-iononico. Provitamina A - La vitamina A può formarsi nell'organismo dai caroteni presenti nei vegetali e particolarmente nelle verdure (carote, insalata, spinaci ecc.). Il più diffuso è il β-carotene dal quale si possono formare due molecole di retinolo per l'azione successiva della β-carotene-15,15'-diossigenasi e della retinolo deidrogenasi.

La introduzione della molecola di O2 in corrispondenza del doppio legame 15-15' forma inizialmente un perossido, in corrispondenza del quale si ha la rottura della molecola:

Possedendo due anelli β-iononici, una molecola di β-carotene forma due molecole di retinolo. In realtà un equivalente di β-carotene esplica un'azione inferiore a quella di due equivalenti di retinolo, sia perchè il suo assorbimento intestinale è incompleto, sia perchè cellule intestinali ed epatociti, le uniche che contengono la β-carotene 15, 15'-diossigenasi, non lo convertono quantitativamente in retinolo. Fra l'altro parte del retinale che si forma dal β-carotene viene ossidato nell'intestino ad acido retinoico. Assorbimento e trasporto - La vitamina A ed i caroteni presenti nella dieta vengono assorbiti dall'intestino in un processo analogo a quello degli acidi grassi. Nelle cellule intestinali i caroteni

1 Retinolo e 3-deidroretinolo, in quanto composti chimicamente distinti, ma esplicanti la stessa azione vitaminica, sono denominati "vitameri".

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vitamine 25 vengono in gran parte demoliti in vitamina A e questa, insieme con quella assorbita come tale, viene esterificata con acidi grassi a lunga catena. Immessi nella linfa, gli esteri della vitamina A vengono convogliati al fegato incorporati nei chilomicroni, più precisamente nei «remnants» dei chilomicroni. È così che il fegato viene a costituire un ricco deposito di vitamina A, disponibile per l'intero organismo per lungo periodo di tempo. Dal fegato la vitamina A viene distribuita ai tessuti in forma libera, trasportata nel sangue da una globulina, la «retinol binding protein», sintetizzata nel fegato. La concentrazione normale della vitamina A nel plasma umano è di 30-50 µg per 100 ml. Funzioni della vitamina A - Nelle cellule dei vari tessuti il retinolo viene in parte ossidato a retinale e parte di questo in acido retinoico. Mentre il retinale è riducibile a retinolo, l'acido retinoico non è più riducibile a retinale. Ciascuno di questi composti esplica le funzioni peculiari che sono indicate nel seguente schema:

Il retinolo interviene nella sintesi delle glicoproteine in forma di estere fosforico (retini! fosfato) adibito, come i dolicoli, al trasporto delle unità monosaccariche . L'acido retinoico promuove, con meccanismo ancora oscuro, l'accrescimento dell'osso e la differenziazione degli epiteli. Il retinale è adibito alla funzione visiva. Funzione della vitamina A nella visione - La funzione meglio conosciuta della vitamina A è quella relativa alla sua partecipazione alla visione come cofattore dei fotorecettori della retina. Nella retina la vitamina A (retinolo) viene ossidata a retinale dalla retinolo deidrogenasi, NADP dipendente: I complessi fra retinale ed alcune proteine della retina, le opsine, costituiscono i fotorecettori, adibiti alla ricezione dello stimolo luminoso ed alla sua conversione in impulso nervoso, che viene trasmesso ai centri della visione.

La retina dei vertebrati contiene due tipi di cellule visive: i bastoncelli, deputati alla percezione della luce crepuscolare a bassa intensità ed i coni, deputati alla ricezione della luce piena e dei colori. Nei coni sono presenti tre opsine che, complessate con il retinale, costituiscono tre ricettori sensibili rispettivamente al blu, al rosso ed al verde. Nei bastoncelli è presente una sola opsina che, in associazione con il retinale, forma la rodopsina. Il retinale si lega alla opsina non nella forma nativa tutto trans, ma dopo aver subito una isomerizzazione a retinale 11-cis ad opera della retinale isomerasi. Il retinale 11-cis si lega alla opsina mediante legame aldiminico (base di Schiff) fra il suo gruppo aldeidico ed il gruppo aminico di un residuo di lisina della opsina. Quando la rodopsina viene colpita dalla luce va incontro a modificazioni conformazionali che determinano la isomerizzazione del retinale 11-cis in retinale tutto trans ed il suo simultaneo distacco dalla opsina. Il retinale tutto trans viene riconvertito dalla retinale isomerasi in retinale 11-cis e questo, al buio, si combina con la opsina per costituire la rodopsina. Retinale tutto trans e 11 -cis sono mantenuti in equilibrio con i corrispondenti retinoli dalle relative retinolo deidrogenasi.

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In tal modo la vitamina A (retinale tutto trans) funge da serbatoio per il sistema. Deficienza - La vitamina A, oltre che per la normale funzione visiva, è necessaria per il mantenimento della integrità degli epiteli, donde la denominazione di vitamina epitelio protettiva. Negli animali superiori, uomo compreso, la deficienza di vitamina A si manifesta con sintomatologia a carico degli epiteli e della retina. a) Xeroftalmia (secchezza dell'occhio) - La xeroftalmia costituisce la manifestazione più tipica e precoce della alterazione di tutti gli epiteli. Consiste in cheratinizzazione e desquamazione dell'epitelio corneale e dei dotti lacrimali con ostruzione di questi ed arresto del deflusso delle lacrime, donde la «secchezza». Per azione dei batteri, che trovano in queste condizioni una favorevole condizione di sviluppo, si può arrivare alla perforazione della cornea ed alla conseguente perdita dell'occhio. Alterazioni epiteliali si possono manifestare a carico dei dotti ghiandolari con loro ostruzione e conseguente atrofia delle ghiandole lacrimali. Tutti gli epiteli risultano più o meno profondamente alterati dalla deficienza di vitamina A. Per esempio l'atrofia dell'epitelio germinale determina sterilità nel maschio. A carico dei denti si manifestano erosioni dello smalto, che è una formazione epiteliale e quindi sensibile alla deficienza di vitamina A. Nell'uomo la deficienza di vitamina A può determinare la formazione di papule ipercheratosiche intorno ai follicoli piliferi (xeroderma) e in casi estremi la così detta «pelle di rospo». b) Emeralopia o cecità alla luce crepuscolare - Costituisce il segno più caratteristico e precoce della avitaminosi A e consiste in un difettoso adattamento alla luce di bassa intensità (luce crepuscolare). Questa condizione può essere valutata quantitativamente mediante la determinazione della soglia visiva, cioè della minima intensità luminosa necessaria per la percezione visiva. I bambini sono più suscettibili degli adulti alla avitaminosi A, in quanto non dispongono dei depositi di vitamina A nel fegato, che gli adulti hanno invece potuto accumulare e che sono sufficienti a coprirne il fabbisogno per alcuni anni. c) Ritardato accrescimento - Nei bambini e nei giovani animali la carenza di vitamina A può produrre arresto dell'accrescimento scheletrico per difettosa sintesi della matrice ossea. L'azione sull'accrescimento è dovuta al retinolo ed all'acido retinoico, entrambi capaci di stimolare la sintesi proteica con meccanismo analogo a quello degli ormoni steroidei. Fabbisogno e fonti naturali - La quantità giornaliera raccomandata di vitamina A è di 1 mg di retinolo per l'uomo adulto. La fonte naturale più ricca di vitamina A è l'olio di fegato di pesce. Burro, uova, latte ne contengono quantità discrete. Di β-carotene (provitamina A), il cui fabbisogno per l'uomo adulto è di 5 mg (in alternativa al mg di retinolo), sono particolarmente ricchi carote e pomodori. Tossicità - Una eccessiva introduzione di vitamina A produce effetti tossici che si manifestano con cefalea, nausea e dermatite. Recentemente è stata messa in luce la relazione tra ipervitamionosi A ed osteoporosi nell’anziano. La vitamina A diventa tossica allorchè supera la capacità di legame con la

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vitamine 27 «retinol binding protein», sì che le cellule rimangono esposte alla vitamina A non legata. Vitamina D Chimica - Il termine vitamina D è comune a due vitameri: la vitamina D3 o colecalciferolo, che si forma nella pelle dei mammiferi per azione della luce ultravioletta sul 7-deidrocolesterolo e la vitamina D2 o ergocalciferolo, che si forma nei lieviti per azione della luce ultravioletta sull'ergosterolo. I due vitameri, ugualmente attivi nel prevenire e curare il rachitismo, differiscono per la natura della catena laterale, che è satura e costituita da 8 C nella D3, insatura e costituita da 9 C nella D2.

Biogenesi, attivazione e deattivazione della vitamina D3 - La vitamina D3 si forma nella pelle per fotolisi del 7-deidrocolesterolo per azione della luce ultravioletta. Il fabbisogno di questa vitamina dipende quindi dalla esposizione della pelle alla luce solare. Gli individui che vivono all'aria aperta ed in regioni soleggiate richiedono molto meno vitamina D di quelli che sono poco esposti alla luce solare. La vitamina D, formatasi nella pelle, o assorbita dall'intestino, viene accumulata dal fegato, dove subisce una prima idrossilazione in corrispondenza del C-25 per formare la 25-idrossi-D3, (25(OH)D3) o calcidiolo. Questa idrossilazione è catalizzata da una idrossilasi microsomiale, dipendente da citocromo P-450 ed inibita dal prodotto della reazione, il calcidiolo. Si tratta di un importante meccanismo di controllo inteso a commisurare la formazione del calcidiolo al fabbisogno dell'organismo. Fra l'altro il calcidiolo è più tossico della D3. Nei reni il calcidiolo viene idrossilato in posizione 1 per formare la α,25-diidrossi-D3 (1,α,25(OH)2D3) o calcitriolo per opera della calcidiolo idrossilasi che ha sede mitocondriale. La biosintesi del calcitriolo è sotto il controllo del paratormone, che regola la biosintesi della idrossilasi renale. Il calcitriolo viene rilasciato in circolo e trasportato ai tessuti bersaglio (intestino, ossa, rene e pancreas) legato ad una specifica a-globulina. La vita media del calcitriolo è di 24 ore; viene quindi idrossilato in 24 (1,24,25-triidrossi-D3) ed eliminato con la bile. Azione - Il calcitriolo, la forma fisiologicamente attiva della D, è considerato, a ragione, un vero e proprio ormone. La sua azione intesa al mantenimento della concentrazione fisiologica di calcio e di fosfato nel sangue (10 mg di Ca e 5 mg di fosforo/100 ml), si esplica a livello dell'intestino, ossa, rene e pancreas.

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a) Intestino - Il calcitriolo stimola l'assorbimento intestinale del calcio. Il trasporto del calcio nella cellula intestinale è mediato da una proteina carrier («calcium binding protein») la cui biosintesi è dipendente dal calcitriolo, che stimola la RNA polimerasi adibita alla sintesi del relativo RNA. L'azione del calcitriolo, il cui meccanismo è analogo a quello degli ormoni steroidei consiste quindi nell'induzione della biosintesi della «calcium binding protein». b) Ossa - Il calcitriolo, insieme con l'isomero 24,25-diidrossi-D3 influenza positivamente la formazione dell'osso, sia promuovendo la formazione di legami crociati del collagene della matrice, sia facilitando la formazione dell'idrossiapatite.

Trasformazione del 7-deidrocolesterolo in calcitriolo, la forma fisologicamente attiva della vitamina D3

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vitamine 29 c) Rene - Il calcitriolo stimola il riassorbimento del calcio e del fosfato a livello dei tubuli distali. Questa azione, come le precedenti, tende ad arricchire il sangue di calcio e fosfato. d) Pancreas - Il calcitriolo, di cui si è individuato uno specifico recettore citosolico nelle cellule pancreatiche β, è necessario per la normale secrezione dell'insulina. L'azione del calcitriolo è riassunta nella Fig. 8.6. Deficienza - Una deficienza di vitamina D nella dieta, associata ad insufficiente esposizione ai raggi ultravioletti, provoca rachitismo nei bambini ed osteomalacia negli adulti. Il rachitismo colpisce i bambini nei primi anni di vita. La lesione caratteristica è la deficiente calcificazione delle ossa. Infatti i ridotti livelli ematici di calcio e fosforo ostacolano la normale deposizione dei cristalli di idrossiopatite (fosfato di calcio idrato) nelle zone di mineralizzazione. Tuttavia, anche in assenza di tale deposizione, gli osteociti e gli osteoblasti continuano a produrre una matrice organica approssimativamente normale, costituita da collageno e mucopolisaccaridi. In conseguenza si ha la formazione di strutture ossee cedevoli che, sottoposte a carico, tendono a deformarsi. Nel rachitismo la calcemia rimane generalmente normale, ma la concentrazione del fosfato diminuisce, sicchè il prodotto Ca x P risulta inferiore a 40 (il prodotto normale è 50 cioè 10 (Ca) x 5 (P)). Forme familiari di rachitismo, resistenti alla vitamina D, sono dovute alla incapacità di convertire la D, in calcitriolo per mancanza congenita della la-idrossilasi renale. Fabbisogno - La dose giornaliera raccomandata per i bambini e per le donne gravide è di 10 µg di colecalciferolo, per gli adulti di 5 µg. Un eccesso di vitamina D (che viene smaltita molto lentamente) risulta tossico. La somministrazione prolungata di dosi di vitamina D da 5 a 10 volte superiori alla dose raccomandata (si noti come dose terapeutica e dose tossica siano vicine), o la somministrazione di poche dosi «urto», può infatti indurre danni renali ed ossificazione anomala dei tessuti molli. Vitamina E Chimica - Azione vitaminica E è posseduta dai tocoferoli, che hanno in comune il nucleo del cromano, derivante dalla condensazione dell'anello fenolico con quello del pirano. Il più attivo è l'α-tocoferolo, caratterizzato da una catena laterale poliisoprenica satura:

Azione - La vitamina E protegge dalla perossidazione gli acidi grassi insaturi, la vitamina A ed i caroteni: azione antiperossidante. Essendo i fosfolipidi, costituenti le membrane cellulari ed intracellulari, ricchi di acidi grassi insaturi, si spiega come la deficienza in vitamina E si ripercuota sulla integrità strutturale e funzionale delle membrane. Infatti per accertare una carenza di vitamina E nell'uomo si usa saggiare la suscettibilità all'emolisi degli eritrociti trattati in vitro con soluzioni diluite di H2O2. L'azione antiperossidante della vitamina E è attribuibile alla sua azione di «rottura» delle reazioni a catena producenti i radicali liberi, protagonisti della perossidazione. La ragione per cui i grassi vegetali sono molto più resistenti all'irrancidimento di quelli animali, nonostante contengano una maggior quota di acidi grassi insaturi, è dovuta al loro elevato contenuto di vitamina E. L'azione antiperossidativa della vitamina E è notevolmente potenziata dal selenio, il cofattore della glutatione perossidasi, l'enzima che catalizza la distruzione dei perossidi mediante il glutatione ridotto. La distruzione dei perossidi per azione dell'enzima diminuisce il fabbisogno di vitamina E. Inoltre il selenio con meccanismo ancora non chiarito incrementa la ritenzione della vitamina E nelle lipoproteine del sangue dalle quali viene trasportata. Per contro la vitamina E riduce il fabbisogno di selenio. È quindi chiaro che vitamina E e selenio esplicano un'azione integrata. Deficienza - Nei ratti maschi la deficienza di vitamina E produce una alterazione degenerativa irreversibile dell'epitelio germinale e quindi sterilità, donde il nome di vitamina antisterile. Nei ratti femmine la avitaminosi E determina aborto spontaneo, dovuto tuttavia ad alterazioni reversibili; la somministrazione di vitamina E ripristina infatti la capacità di condurre a termine la gravidanza. Nei ratti (maschi e femmine) la avitaminosi E, se associata a somministrazione di acidi grassi polinsaturi, provoca necrosi acuta del fegato, chiaramente dovuta a perossidazione non contrastata degli acidi grassi polinsaturi. Nei conigli, cavie e scimmie la avitaminosi E produce una grave distrofia muscolare

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vitamine 30 associata a creatinuria. Nell'uomo, anche per la impossibilità di una sperimentazione diretta, non si conosce una precisa sintomatologia riferibile a carenza di vitamina E. Tuttavia in condizioni di malassorbimento intestinale dei lipidi, la conseguente deficienza di vitamina E si manifesta con fragilità degli eritrociti, debolezza muscolare e creatinuria. È quindi chiaro che la avitaminosi E si manifesta con modalità diverse nelle varie specie animali. Diffusione e fabbisogno - Di tocoferoli sono ricchi i vegetali e quindi gli olii che se ne estraggono (specie l'olio di germe di grano). Il fabbisogno giornaliero per l'uomo è di 10-15 mg di α-tocoferolo ed è in genere proporzionale alla quantità di acidi grassi insaturi introdotti con la dieta. Vitamina K Chimica - La vitamina K esiste in forma di vari vitameri derivati del naftochinone, i più attivi dei quali sono: 1) La vitamina K1, o fillochinone, caratterizzata da una catena laterale fitilica, costituita da 4 unità isopreniche, tre delle quali idrogenate:

2) La vitamina K2, o menachinone, caratterizzata da una catena laterale costituita da 6 unità isopreniche:

3) La vitamina K3, o menadione: prodotto sintetico, privo di catena laterale e parzialmente idrosolubile. Il fatto che il menadione sia attivo nonostante la mancanza della catena laterale significa che o la catena laterale non è necessaria per la attività biologica della vitamina K, oppure che l'organismo è in grado di sintetizzarla trasformando il menadione in altro vitamero. Il menadione ed altri analoghi idrosolubili della vitamina K, vengono assorbiti dall'intestino anche in assenza di sali biliari ed entrano direttamente nel circolo sanguigno.

Azione - La vitamina K è un fattore necessario per il normale processo di coagulazione (K è in lingua tedesca la iniziale di coagulazione). La avitaminosi K si manifesta infatti con allungamento del tempo di coagulazione del sangue. Più particolarmente la vitamina K è necessaria per la sintesi «completa» della protrombina e dei fattori II, VII, IX e X. La attività di questi fattori proteici richiede delle modificazioni postsintetiche, che avvengono cioè a sintesi ribosomale avvenuta, cui partecipa la vitamina K. Precisamente la loro attività è condizionata dalla carbossilazione di alcuni residui di glutammato in carbossiglutammato: La K è il cofattore della carbossilasi che catalizza detta carbossilazione. Per quanto riguarda ad esempio la protrombina, la carbossilazione di alcuni suoi residui di acido glutammico, siti nel segmento N terminale della catena polipetidica, conferisce a questo fattore la capacità di legare Ca2+ e conseguentemente di formare il complesso attivo: «proteina-calcio-fosfolipidi».

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vitamine 31

La carbossilazione postsintetica della protrombina, dipendente da vitamina K, è quindi necessaria per il legame della quantità ottimale di Ca2', prerequisito per la sua trasformazione in trombina. Anche l'osteocalcina, una proteina presente nell'osso ed adibita al processo di calcificazione, deve la sua capacità di legare i Ca2+ a residui di γ-carbossilglutammato, la cui formazione è dipendente dalla vitamina K. Diffusione e fabbisogno - La vitamina K1 è presente nei vegetali, soprattutto negli spinaci, cavoli e pomodori. La vitamina K2, che è di origine batterica, nell'uomo viene sintetizzata dalla flora intestinale in quantità sufficiente a coprirne il fabbisogno. Una deficienza di vitamina K si manifesta nella insufficienza biliare che limita l'assorbimento intestinale della vitamina, o nelle alterazioni della flora intestinale, quali si hanno nelle malattie intestinali, che ne limitano la produzione. In tali casi la dose giornaliera di menadione che previene alterazioni della coagulazione del sangue è di 150 µg. Una deficienza fisiologica di vitamina K si verifica nel neonato, sia perchè la placenta materna è scarsamente permeabile a questa vitamina, sia perchè l'intestino del neonato, pressochè sterile, non possiede la flora batterica che la sintetizza. Per ovviare a questa condizione di deficienza, che caratterizza i primi 10 giorni di vita dell'uomo e che si può manifestare con la sindrome emorragica del neonato, è uso somministrare al neonato 1 mg di menadione. Antivitamina K - Analoghi strutturali della vitamina K, quali il dicumarolo e la warfarina, esplicano azione antivitaminica K, in quanto deprimono la sintesi epatica della protrombina e delle altre proteine della coagulazione, dipendenti da vitamina K: La introduzione di questi antagonisti dà luogo ad una condizione di predisposizione alle emorragie. Tuttavia la loro somministrazione controllata attenua il processo coagulativo senza inibirlo drasticamente. Per questo gli antagonisti della vitamina K trovano impiego terapeutico nel trattamento e nella profilassi della trombosi e di altre condizioni patologiche che implicano accentuata tendenza alla coagulazione intravasale.

Vitamina F o acidi grassi essenziali Alcuni acidi grassi polinsaturi quali l'acido linoleico (18:2ω6) e linolenico (18:3ω3) non sono sintetizzati dall'organismo. Data la loro indispensabilità sia per la formazione dei fosfolipidi di membrana come delle prostaglandine e dei trombossani devono essere necessariamente introdotti con la dieta. Per questo vengono definiti essenziali ed omologati alle vitamine. Tutti gli acidi grassi essenziali posseggono uno o più doppi legami fra il CH3 terminale (ω) ed il 7°C a partire da esso: l'organismo non è infatti capace di desaturare gli acidi grassi in questo segmento. Anche l'acido arachidonico è essenziale, ma solo se è deficiente l'acido linoleico da cui può formarsi per allungamento e desaturazione.

La quantità minima di acidi grassi essenziali che deve essere assunta con la dieta è dell'1% rispetto al totale delle calorie introdotte. Nei ratti la deficienza di acidi grassi essenziali induce la sindrome di Burr, caratterizzata da lesioni renali e dermatite squamosa, localizzata in corrispondenza della coda e delle zampe posteriori.

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vitamine 32 Nell'uomo gli acidi grassi essenziali pare abbiano un ruolo importante nel prevenire la formazione delle placche ateromatose nell'intima delle arterie. È comunque accertato che un elevato rapporto acidi «grassi saturi/acidi grassi polinsaturi» nella dieta predispone alla aterosclerosi. Tabella riassuntiva La tabella che segue riassume le informazioni riguardanti le vitamine liposolubili

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ATPasi: cenni strutturali e funzionali

1. Concetti generali Nei tessuti del nostro organismo l'ATP è utilizzato direttamente o indirettamente come fonte energetica. Poichè le cellule sono impermeabili all'ATP, questo nucleotide deve essere riciclato all'interno delle cellule. Di conseguenza in tutte le cellule esiste un ciclo ininterrotto nel quale si alternano i processi di sintesi ed idrolisi dell'ATP. Tale ciclo è catalizzato dalle diverse ATPasi (Fig .1). Gran parte di questi enzimi catalizzano il trasporto contro gradiente di ioni, processo generalmente descritto come trasporto attivo. Nel ciclo catalitico, l'idrolisi dell'ATP (processo esoergonico) viene accoppiata con il trasporto contro gradiente di uno o più ioni (processo endoergonico). La funzione di tali "pompe ioniche", è in molti casi legata all'esigenza di ristabilire l'omeostasi intracellulare di una specie ionica che era stata precedentemente perturbata dal movimento in senso opposto di tale ione. In questo senso l'attività di diverse ATPasi appare contrapposta al trasporto passivo che si realizza attraverso i canali ionici durante importanti eventi cellulari, quali i processi di depolarizzazione o la contrazione muscolare. Per meglio comprendere il contrapporsi tra le due modalità di trasporto occorre tuttavia considerare le velocità relative e il numero di molecole proteiche che nelle cellule catalizzano i diversi processi. Nelle ATPasi, la velocità di traslocazione che corrisponde alla durata di ogni ciclo catalitico è di 30-50 msec. Ciò significa che una singola molecola enzimatica può traslocare in un secondo non più di 30 ioni. Questa velocità è largamente inferiore a quella che si realizza con il trasporto a favore di gradiente catalizzato dai

canali ionici: un singolo canale consente il passaggio fino a 10 milioni (107) ioni/sec. Quindi, per consentire il regolare mantenimento dell'omeostasi ionica, pur considerando che i canali restano aperti per un tempo molto breve (inferiore ai 100 msec), lo squilibrio teorico tra velocità di ingresso e di efflusso può essere annullato aumentando il numero di molecole di ATPasi rispetto a quelle delle proteine formanti canali. Tutto ciò è ben esemplificato a livello cardiaco. Nel cuore, la contrazione (sistole) è garantita dal passaggio dei Ca2+ attraverso specifici canali posti nella membrana plasmatica e nel reticolo sarcoplamatico (RS). Il rilasciamento avviene soprattutto tramite il pompaggio dei Ca2+ all'interno del RS catalizzato dalla Ca2+ ATPasi. Il bilancio tra i processi che portano Ca2+ nell'interno della cellula e più esattamente nel citoplasma, e quelli che lo rimuovono è esemplificato nella tabella accanto.

Questa tabella evidenzia l'enorme sproporzione tra il numero di canali dei Ca2+ e le "pompe" Ca2+ ATPasiche del reticolo. Ciononostante, la velocità di ingresso dei Ca2+ resta superore a quella di efflusso, o meglio di rimozione dal citoplasma. Si comprende dunque il motivo per il quale la fase di rilasciamento sia più lunga di quella di contrazione. Un simile squilibrio temporale è necessario anche per la ripolarizzazione elettrica della membrana plasmatica. La depolarizzazione1 , che precede l'ingresso dei Ca2+, è dovuta all'apertura dei canali per i Na+. La ripolarizzazione, necessariamente più lunga, è in larga parte dovuta al pompaggio fuori della cellula dei Na+ realizzato dalla Na+/K+ ATPasi

2. Classificazione tipo P la reazione enzimatica prevede la forma di un

intermedio enzima-fosforilato (es.: Na+/K+, Ca2+, H+ ATPasi della membrana plasmatica e Ca2+ ATPasi del reticolo sarcoplasmatico) tipo V enzimi associati ad altri organelli intracellulari che non siano mitocondri o reticolo. Il suffisso V indica vacuoli. Si trovano in granuli secretori, nelle vescicole di endocitosi, nei lisosomi, nell'apparato del Golgi ecc. tipo F del tipo F0F1 dei mitocondri dove F1 è la porzione idrosolubile dotata di attività catalitica, mentre F0 è nella membrana ed è coinvolta nella

1 L'interno della cellula a riposo è carico negativamente rispetto all'esterno (-90 mV)

Sistole Numero di canali dei Ca2+ in una singola cellula 14x103

Velocità di ingresso dei Ca2+ attraverso ciascun canale

3x106 ioni/sec

Quantità massima di Ca2+ che possono entrare nel citoplasma di una singola cellula per ogni sistole

4x1010 ioni/sec

Diastole Numero di Ca2+ ATPasi del RS in una singola cellula 166x106

Velocità di trasporto di ogni molecola di Ca2+ ATPasi 30 ioni/sec

Quantità massima di Ca2+ che possono essere rimossi dal citoplasma di una singola cellula per ogni diastole

5x109 ioni/se

Figura 1. Relazioni di "dipendenza" intercorrenti tra le varie ATPasi cellulari. Il metabolismo energetico permette di descrivere un'ATPasi principale, quella mitocondriale, che fornisce ATP ad una serie di ATPasi dipendenti appunto da un costante rifornimento di energia. Si noti la diversa direzione dei flussi di ioni e metaboliti che si osserva in condizioni fisiologiche. Nei mitocondri il flusso di protoni, a favore di gradiente verso la matrice, consente la sintesi dell'ATP. Nelle altre ATPasi è l'utilizzazione dell'ATP a permettere il passaggio dei vari ioni contro gradiente. MITO = mitocondri; RS = reticolo sarco-(o endo-) plasmatico

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ATPasi 2

traslocazione dei protoni Altri tipi lo sviluppo degli studi in questo settore ha portato all'identificazione di ATPasi nella membrana nucleare (che saranno probabilmente classificate come tipo N), di ATPasi adibite all'estrusione di molecole complesse attraverso la membrana plasmatica (come quella alla base del fenomeno di resistenza ai farmaci denominata MDRG, (Multi Drug Resistance Glycoprotein) e, nei procarioti, di pompe per anioni e per i Mg2+ (Fig. 2). Alla famiglia delle ATPasi appartiene anche la proteina regolatrice della conduttanza di membrana che è alterata nei pazienti

affetti da fibrosi cistica (da cui il nome di Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator) e una pompa perossisomiale (PMP70, 70 kDa peroxisomal membrane protein) assente nella sindrome di Zellweger.2

2Di seguito vengono trattate alcune caratteristiche strutturali e funzionali delle pompe ioniche di tipo P e V.. Vengono inoltre fornite recenti acquisizioni su CFTR e MDR. Per la trattazione dell'ATPasi

3. Tipo P Il ciclo di reazione di questa classe di enzimi è caratterizzata dalla formazione di un intermedio enzima fosforilato. Tale fosforilazione avviene sempre a carico di un residuo di acido aspartico. La fosforilazione e la conseguente defosforilazione fanno si che siano descrivibili due diversi stati conformazionali, generalmente denominati E1 (defosforilato) e E2 (fosforilato). Un generico schema di reazione vede come primo evento il legame dello ione all'enzima da un lato della membrana. Successivamente l'ATP fosforila l'enzima che modifica la sua conformazione (da E1 a

E2). Tale modifica consente la traslocazione: è infatti modificata l'affinità dell'enzima per lo ione che può essere rilasciato. Il rilascio dello ione determina un'ulteriore modica conformazionale e rende l'enzima defosforilabile. L'enzima perdendo il fosfato modifica di nuovo vistosamente la sua conformazione passando dallo stato E2 a E1, pronto per un nuovo ciclo catalitico. Occorre sottolineare che si può parlare di ATPasi solo al termine del ciclo di reazione. Un'ATPasi catalizza per definizione la scissione idrolitica dell'ATP in ADP e Pi. In altri termini si può parlare di ATPasi solo quando ADP e Pi vengono rilasciati nel mezzo, mentre non è sufficiente per definire l'attività ATPasica la semplice scomparsa dell'ATP. Nel caso delle ATPasi di tipo P l'attività ATPasica risulta dall'addizione di un'attività chinasica (data dal trasferimento del fosfato γ dell'ATP sul residuo di aspartato) con una fosfatasica (dovuta al distacco idrolitico del fosfato dall'enzima). Le due attività come si vedrà in seguito sono chiaramente separabili nel caso della Na+/K+ ATPasi . Le modifiche conformazionali conseguenti alla fosforilazione e alla defosforilazione sono particolarmente rilevanti e sono state evidenziate da tecniche quali il dicroismo circolare e la fluorescenza intrinseca dovuta ai residui di triptofano. Altri cambiamenti più sottili avvengono quando l'enzima si lega alla specie ionica da trasportare. E' stata ipotizzata una sorta di occlusione con la quale l'enzima sequestrerebbe lo ione dall'ambiente circostante. Si ritiene

anche che queste ATPasi si aggreghino in dimeri, ma è stata ampiamente dimostrato che i monomeri isolati e ricostituiti svolgono perfettamente il ciclo catalitico e la funzione di trasporto. Strutturalmente in tutte c'è un peptide (α) di 70-100 kDa che contiene i siti di fosforilazione e di legame con

mitocondriale si rimanda ai manuali correnti di biochimica.

ADP +Pi ATP

H+

Mitochondrion

Vacuole

ATP

ATP

H+

H+

K+ K+

Na+ Ca2+ Mg2+

Nucleus

MDR

CFTR

HSPs

N

NC

C

Drugs+

Cl -

P P P PP

V

F

CM

N

H

E

Figura 2. Diversi tipi di ATPasi esistenti nei sistemi biologici. Oltre ai tipi P, V ed F, descritti nel testo, sono state recentemente aggiunti i seguenti tipi: C, per indicare quelle coinvolte nei processi contrattili (es. miosina); M, quelle simili alla glicoproteina responsabile del fenomeno della resistenza ai farmaci (vedi testo); N, che agiscono sugli acidi nucleici; H, suffisso che sta ad indicare le heat shock proteins; E, per indicare le ATPasi a localizzazione extracellulare

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ATPasi 3

l'ATP. La Na+/K+ ATPasi contiene anche un peptide β, la cui funzione è sconosciuta. Queste ATPasi sono inibite dal vanadato, un analogo del fosfato, circostanza che permette di distinguere le forme P dalle V e dalle F. In queste pompe la porzione estrinseca, che aggetta nel citoplasma, è notevolmente più grande della porzione intrinseca. Poichè sia l'N che il C terminale sono dallo stesso lato della membrana, cioè quello citosolico, il numero dei domini transmembrana è forzatamente in numero pari. A cominciare dall'N terminale, si incontra dapprima una porzione ad α-elica e successivamente un dominio composto da tratti antiparalleli a conformazione β, che è la regione funzionalmente più importante dove si accoppiano l'idrolisi dell'ATP e la traslocazione degli ioni. Una successiva porzione citoplasmatica contiene il residuo fosforilabile di aspartato. Le porzioni estrinseche non citoplasmatiche, quindi sulla faccia esterna della membrana cellulare o sulla faccia luminale del RS, sono di scarse dimensioni e prive di funzioni accertate, con la sola eccezione del sito di legame per la ouabaina nella Na+/K+ ATPasi. La porzione intracitoplasmatica verso il C teminale è generalmente breve. Fa eccezione la Ca2+ ATPasi della membrana plasmatica, nella quale questa regione comprendente >150 residui aminoacidici disposti soprattutto in α-elica, contiene importanti domini di regolazione, quali il sito di legame per la calmodulina e il sito di fosforilazione catalizzato da proteine chinasi. E' interessante notare che in diverse ATPasi, dove il segmento verso il C treminale non è lungo come nella pompa dei Ca2+ della membrana plasmatica, sia presente una seconda subunità o un'altra proteina distinta (non legata covalentemente) in grado di regolare l'attività catalitica. E' il caso della Ca2+ ATPasi del RS, la cui attività è aumentata quando una proteina contigua, il fosfolambano, è fosforilata da una proteina chinasi A. Inoltre, il fatto che l'isolamento della sola subunità α della Na+/K+ ATPasi non consenta di ottenere alcuna funzione, fa ipotizzare che, anche in questa pompa, la subunità accessoria β svolga compiti di regolazione. E' riconoscibile una notevole omologia di sequenza tra le varie ATPasi di tipo P. Ad esempio, il raffronto tra le subunità α della Na+/K+ ATPasi renale e la Ca2+ ATPasi del muscolo cardiaco mostra che ambedue presentano otto domini idrofobici e pesi molecolari simili. Sono inoltre simili i siti di legame con l'ATP e di fosforilazione, e in particolare la sequenza aminoacidica (Asp-Lys-Thr-Gly-Thr-Leu-Thr) vicino al residuo di Asp che viene fosforilato. Accanto a queste analogie, devono esistere anche delle differenze che rendano conto delle funzioni differenti svolte dalle varie ATPasi. Ad esempio, le Ca2+ ATPasi del RS del cuore e del muscolo scheletrico rapido contengono un gruppo di residui di acido glutammico, insolitamente situati in porzioni di α-elica che compongono il tratto di connessione tra la porzione idrofobica intramembrana e la regione idrofilica situata al di fuori della membrana. Questo "raggruppamento acido" ad elevata densità di cariche negative rappresenta probabilmente il sito di legame con i Ca2+. Differenze sono anche riconoscibili nella sensibilità agli inibitori o a particolari peptidi attivatori. La ouabaina (come descritto dettagliatamente in seguito) inibisce specificamente la Na+/K+ ATPasi, mentre le H+ ATPasi della membrana plasmatica sono inibite dal DCCD (dicicloesilcarbodiimide) o dal DES (dietilstilbestrolo). Per quel che concerne gli attivatori, nel cuore e nel muscolo scheletrico l'attività delle Ca2+ ATPasi del RS è aumentata dalla fosforilazione catalizzata dal fosfolambano (da non confondere con la fosforilazione propria del ciclo catalitico), che è alla base della risposta contrattile alla stimolazione β-adrenergica. La Ca2+

ATPasi della membrana plasmatica è invece attivata dal legame con la calmodulina. Ad ultimo sembrano esserci importanti differenze funzionali anche quando si raffrontino ATPasi che traslochino lo stesso ione. Ad esempio l'ATPasi protonica della membrana plasmatica delle cellule della mucosa gastrica3 negli organismi eucarioti superiori catalizza l'eflusso di H+ opposto all'ingresso di K+ in un processo di scambio elettroneutro, mentre nella Neurospora è elettrogenica poichè catalizza univocamente la traslocazione protonica. Nei lieviti sono presenti entrambe le possibilità.

3.1. Na+/K+ ATPasi E' costituito da due subunità α e β, probabilmente organizzate nelle membrane in un tetramero (αβ)2. α (p.m. ~ 110 kDa) presenta 10 segmenti transmembrana, viene fosforilata sul residuo di aspartato in posizione 369 e contiene sia l'attività di idrolisi dell'ATP che l'attività di pompa. β è necessaria alla funzione: non è stato possibile ricostituire subunità α funzionanti in assenza di β. Probabilmente stabilizza α e ne evita la denaturazione durante il processo di estrazione. Sono state descritte varie isoforme: α1 in tutte le cellule; α2 in tutte le cellule;α3 nel tessuto nervoso (dove si trovano anche α1 e α2). Variano per la composizione in amino acidi e presentano differente sensibilità alla ouabaina. Per la subunità β, che è intensamente glicosilata, sono state isolate una forma β1 predominante nel rene e una β2 nel tessuto nervoso. I fosfolipidi sono necessari per l'espressione dell'attività enzimatica. L'enzima attivo è isolato con proporzioni di 1:50 e 1:40 rispettivamente con i fosfolipidi e il colesterolo. Questa sorta di scudo lipidico è probabilmente è necessario per proteggere l'enzima dai detergenti durante l'isolamento. La funzione della pompa presenta una stechiometria di 3 Na+ portati fuori dalla cellula, contro 2 K+ che entrano nel citoplasma4 insieme all'idrolisi di 1.16 moli di ATP. La variazione di energia libera determinata dalla traslocazione ionica è uguale a + 9.9 Kcal. L'affinità della pompa per l'ATP è elevata (Km = 0.1 mM), tale che solo una deplezione praticamente completa di ATP può creare un limite energetico alla pompa. Considerazioni analoghe possono essere fatte sostituendo all'ATP il termine termodinamicamente più corrretto di potenziale citosolico di fosforilazione. L'attività della pompa è influenzata da diversi ormoni. Gli ormoni tiroidei ne aumentano la sintesi: si spiega in questo modo l'aumentata suscettibilità all'intossicazione digitalica dei pazienti ipertiroidei. Le catecolamine, con meccanismo ancora da definire, aumentano l'attività della Na+/K+ ATPasi e un simile effetto sembra essere esercitato dall'insulina. L'attività è inibita dalla ouabaina e dai glicosidi digitalici, ancora oggi i farmaci più usati contro lo scompenso cardiaco. La scoperta compiuta nei primi anni '60 che la Na+/K+ ATPasi è il bersaglio dell'azione della digitale ha dato un notevole impulso agli studi su questa proteina. Prima ancora di aver isolato e purificato l'enzima si vide che: 1. L'attività ATPasica e la traslocazione degli ioni sono legate alla stessa proteina; 2. Entrambi queste attività sono presenti quando i K+

3 responsabile dell'ambiente intensamente acido (pH ~ 1) esistente nel lume gastrico. 4 Nel mezzo extracellulare le concentrazioni di Na+ e K+ sono rispettivamente 140 e 5 mM; viceversa all'interno della cellula i K+ sono più concentrati (157 mM) dei Na+ (10 mM).

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ATPasi 4

sono fuori della membrana e i Na+ al suo interno; 3. L'ATP è il substrato per l'ATPasi solo quando è all'interno delle vescicole o delle cellule; 4. L'attività ATPasica è inibita dal vanadato quando si trova all'interno delle vescicole o delle cellule; 5. La ouabaina inibisce solo dall'esterno. Il normale operare della Na+/K+ ATPasi prevede che l'idrolisi dell'ATP sia accoppiato all'estrusione dei Na+ e all'ingresso dei K+. La reazione è tuttavia completamente reversibile e dipende dalle concentrazioni delle due specie ioniche ai due lati della membrana e dalla presenza di ATP nel citoplasma. (Fig. 3. Gli studi eseguiti sia sull'enzima ricostituito che sulla proteina in soluzione mostrano che l'attività ATPasica è dissociabile nelle sue due componenti chinasica e fosfatasica. Quando studiata in soluzione, l'attività di fosforilazione cresce parallelamente all'aumentare della concentrazione di Na+ ed è inibita da basse concentrazioni di Na+ ed elevata [K+]. Al contrario la defosforilazione è inibita da alta [Na+] ed aumenta col diminuire dei Na+ e l'aumentare dei K+. Tutte le informazioni sulla funzione e la struttura disponibili consentono di schematizzare il complesso ciclo catalitico nel modo seguente: 1. Legame ATP E1 + ATP è E1-ATP Il legame dell'ATP all'enzima non provova alcun cambiamento. Il reale evento iniziale è rappresentato dal cambiamento conformazionale indotto dal metallo. Solo in seguito a questo l'ATP viene utilizzato per la fosforilazione. 2. Legame Na+ E1-ATP + 3 Na+ è E1-ATP-3Na+ Per indicare il legame così tenace tra i Na+ e l'enzima si usa il termine "occlusione". Questa reazione è indispensabile per far avvenire la fosforilazione 3. Fosforilazione E1-ATP-3Na+ è E1-3Na+-P L'ADP viene rilasciato. L'enzima fosforilato è una struttura stabile. Questa reazione è inibita dal vanadato che si lega al posto del fosfato nel sito di fosforilazione. In taluni schemi il P è preceduto dal segno ~ (squiggle), cioè E1-3Na+~P . Questo indicherebbe che è stata trasferita alla molecola enzimatica l'energia del legame anidridico del fosfato in γ dell'ATP, o anche che l'energia dell'ATP, trasferita sulla proteina, non è stata ancora "tradotta" in cambio conformazionale. Occorre tuttavia ricordare che l'energia scaturisce solo da reazioni (e non da semplici composti) nelle quali il

rapporto tra substrati e prodotti di reazione sia lontano da quello raggiunto quando la reazione è all'equilibrio, indipendentemente dalle molecole considerate. 4. Traslocazione E1-3Na+-P è E2-3Na+-P L'enzima modifica la sua conformazione in modo rilevante (E1 è

E2) e con essa si riduce l'affinità per i Na+ ed aumenta quella per i K+. Non è noto quale sia il processo, a livello molecolare, che consente la traslocazione vera e propria (apertura di un canale?)

5. Rilascio Na+ E2-3Na+-P è E2-P Vengono liberati Na+ nello spazio extracellulare. Questa è la configurazione che può legare la ouabaina. Questa reazione esclude il legame con i K+, preclude la possibilità di una successiva defosforilazione e quindi provoca l'arresto dell'intero ciclo catalitico. L'inibizione dipende dai livelli ematici di potassio. L'ipopotassiemia accentua gli effetti della ouabaina e dei glicosidi digitalici. 6. Legame K+ E2-P + 2 K+ è E2-P-2K+ L'enzima che ha legato i K+ non può più essere fosforilato e diviene substrato per l'azione della fosfatasi 7. Defosforilazione E2-P-2K+ + H2O è E2-2K+

Viene rilasciato il fosfato 8. Traslocazione E2-2K+ è E1-2K+ In seguito alla defosforilazione l'enzima torna alla conformazione iniziale (E2

è E1) e si riduce l'affinità per i K+ 9. Rilascio K+ E1-2K+ è E1 Vengono rilasciati K+ nel citoplasma. Questo processo viene enormemente accelerato dall'ATP, che in definitiva catalizza la trasformazione diE2 in E1. Da quanto su esposto appare che la digitale e i suoi derivati sono potenti veleni cellulari. Infatti, nonostante siano farmaci, come detto, largamente usati il limite tra dose terapeutica e dose letale è tutt'altro che ampio. Fattori che potenziano l'azione digitalica sono la stimolazione adrenergica e tiroidea e l'ipopotassiemia. Il meccanismo che sottintende il beneficio terapeutico (l'aumentata contrattilità del muscolo cardiaco, vedi box) è lo stesso che rende ragione della tossicità, riconducibile in definitiva ad un sovraccarico cellulare di Ca2+. L'inibizione della Na+/K+ ATPasi porta inizilamente ad un aumento del [Na+] intracellulare. La cellula può ridurre il sovraccarico di Na+ espellendo questo ione in scambio con l'ingresso di Ca2+, processo catalizzato dallo scambiatore 3Na+/Ca2+. Tale via è normalmente uno dei principali sistemi, insieme alla Ca2+ ATPasi del

Figura 3. Modi di operare della Na+-K+ ATPasi. Nel pannello di sinistra è illustrato il trasporto contro gradiente dei Na+ e dei K+ catalizzato in condizioni fisiologiche. L'energia per questo processo endoergonico è fornita da un elevato rapporto ATP/ADP. La modalità inversa illustrata a destra permette la sintesi dell'ATP, partendo da un elevato rapporto ADP/ATP, attraverso il trasporto degli stessi ioni in favore di gradiente. In ambedue i casi la pompa ATPasica catalizza la trasformazione di una forma di energia (ad esempio l'idrolisi dell'ATP) in un altra (gradiente ionico) e viceversa.

2 K+

3 Na+

ATP

ADP+Pi

[ATP]<0.1mM [ADP]>1mM

[K ]=1mM+ [Na ]=150mM+

[Na ]=1mM+

2 K+

3 Na+

[K ]=5mM+ [Na ]=140mM+

ATP

ADP+Pi

[K ]=157mM+ [Na ]=10mM+

[ATP]>1mM [ADP]<0.1mM

[K ]=150mM+

membranaplasmatica

citoplasma

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ATPasi 5

RS, utilizzati dal miocita per ridurre durante la diastole le concentrazioni di Ca2+ aumentate durante la sistole. L'inversione del normale operare dello scambiatore 3Na+/Ca2+ porta quindi ad un aumento dei Ca2+ che devono essere pompati dalla Ca2+ ATPasi all'interno del reticolo. A questo processo consegue un aumentato riempimento di Ca2+ del reticolo che a sua volta libererà più Ca2+ alla successiva onda di depolarizzazione. Il conseguente aumento dei Ca2+ citosolici si tradurrà in un parallelo accrescersi della forza contrattile. Lo squilibrio di questi processi risulterà da un lato in un aumento della [Ca2+] citoplasmatica in diastole, cui può conseguire, attraverso l'attivazione di fosfolipasi e proteasi, il danneggiamento della ultrastruttura. D'altro canto l'aumentata attività delle ATPasi miosinica e Ca2+ dipendente del SR portano ad un eccessivo consumo di ATP che può arrivare a superare le capacità di produzione energetica. Non sorprende come la ricerca di farmaci cosiddetti inotropi, quelli cioè in grado di aumentare la forza contrattile, punti all'aumento della

sensibilità dei miofilamenti ai Ca2+. In altri termini sostanze con queste proprietà dovrebbero garantire un'aumento della performance contrattile senza modificare nè i livelli di Ca2+ intracellulari, nè il consumo di ATP.

3.2. Ca2+ ATPasi Considerando la localizzazione cellulare si distiguono Ca2+ ATPasi della membrana plasmatica (PMCA; PM è l'abbreviazione per plasma membrane) e dei reticoli endoplasmico e sarcoplasmatico (SERCA; SER = sarcoplasmic - endoplasmic reticulum). Ambedue i tipi rispondono all'esigenza di mantenere la concentrazione di Ca2+ citoplasmatico, nella cellula a riposo, ≅ 0.1 µM. Similarità (caratteristiche comuni al tipo P come fosforilazione sull'aspartato, inibizione da vanadato, larga porzione intracitoplasmatica) e differenze (dominio presso il C terminale con funzioni regolatorie in PMCA, relazione con il fosfolambano nella SERCA muscolare) sono in parte già state descritte.

E P2

E K2

E P Na2E P K2

E K ATP2

E K ATP1 E ATP1 E Na ATP1

E Na ADP Pi1

E Na Pi1

+oK Na+

o

+iK Na+

i

Figura 4. Schema delle reazioni coinvolte in un ciclo catalitico della Na+/K+ ATPasi. I suffissi i e o indicano eventi e componenti presenti nel citoplasma o nel mezzo extracellulare.

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ATPasi 6

Lo schema della reazione ricalca per molti versi quello già esaminato per la Na+/K+ ATPasi: ovviamente c'è un solo ione in gioco e la sua traslocazione è, in condizioni fisiologiche, unidirezionale. E' tuttavia possibile, come del resto in tutte le ATPasi, invertire il flusso dei Ca2+ ed ottenere la sintesi di ATP5. 1. Legame Ca2+ E1 + Ca2+ è E1-Ca2+ Anche in questo caso il legame con il metallo è indispensabile per far avvenire la fosforilazione. La stechiometria Ca2+/ATP è 2 nella pompa del reticolo e 1 in quella della membrana plasmatica. 2. Fosforilazione E1-Ca2+ + ATP è E1-Ca2+-P + ADP 3. Traslocazione E1-Ca2+-P è E2-Ca2+-P 4. Rilascio Ca2+ E2-Ca2+-P è E2-P I Ca2+ vengono

5 Tale condizione si realizza utilizzando vescicole cariche di Ca2+ risospese in un mezzo che contenga EGTA, un chelante dei Ca2+ (in modo da rendere massimo il gradiente dei Ca2+), e un eccesso di ADP e fosfato.

rilasciati all'esterno, nel caso della Ca2+ ATPasi della membrana plasmatica, o nel lume del reticolo, nel caso della Ca2+ ATPasi del RS. Solo dopo questa reazione è possibile la defosforilazione 5. Defosforilazione E2-P + H2O è E2 viene rilasciato il fosfato 6. Traslocazione E2

è E1 La defosforilazione consente il recupero della conformazione iniziale Diversi problemi si incontrano quando sia necessario isolare e studiare separatmente le due specie enzimatiche, oppure se ne voglia caratterizzare la funzione in modo distinto all'interno di una cellula. Molte difficoltà sono state superate attraverso l'uso di inibitori specifici. Solo recentemente si è reso disponibile un inibitore estremamente specifico e con elevata affinità per le SERCA, la tapsigargina. Tale sostanza si lega alla ATPasi durante il ciclo catalitico quando i Ca2+ non sono ancora legati. Per le PMCA viene invece sfruttato il particolare effetto del La3+. In seguito a trattamento con questo ione la formazione

L' accoppiamento eccito-contattile nel muscolo cardiaco La contrazione del miocita cardiaco è iniziata dall'ingresso dei Ca2+ attraverso i canali lenti dei Ca2+ posti nella membrana plasmatica. Questa quota di Ca2+, relativamente modesta, provoca il rilascio di grandi quantità di Ca2+ da parte del RS. Questo processo è denominato rilascio di calcio indotto dal calcio. Nel citoplasma, il legame dei Ca2+ alla troponina consente la formazione dei ponti tra actina e miosina. Ne consegue una modifica conformazionale della miosina, resa possibile dalla concomitante idrolisi di ATP, che si traduce nello scivolare dell'actina sulla miosina, cioè il fenomeno molecolare alla base della contrazione muscolare. Successivamente il rilasciamnto richiede la riduzione del [Ca2+] citoplasmatico, reso possibile dalla Ca2+ ATPasi del RS e dalla fuoriuscita dei Ca2+ dalla cellula attraverso lo scambiatore Na+/Ca2+. Il [Na+] intracellulare, aumentato in opposizione all'efflusso dei Ca2+ viene successivamente ridotto ai livelli basali dalla Na+/K2+ ATPasi .

SL

RS

MITO

MF

Rappresentazione schematica di una fibrocellula miocardica con particolare riferimento all'omeostasi dei Ca2+ e all'intervento delle diverse ATPasi. SL = sarcolemma; RS = reticolo sarcoplasmatico; MITO = mitocondrio; MF = proteine miofibrillari

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ATPasi 7

dell'intermedio enzima-fosforilato è aumentato di oltre 3 volte nella PMCA, mentre è fortemente ridotto in tutte le altre pompe di tipo P. La PMCA (peso molecolare 134 kDa) presenta 10 segmenti transmembrana e circa l'80% della sua massa protrude nel lume citosolico con tre unità principali (Fig. 5). A partire dall'N terminale, la prima corrisponde al dominio cosidetto di "trasduzione", dove avviene l'accoppiamento tra idrolisi di ATP e traslocazione. Questa regione è anche responsabile della sensibilità ai fosfolipidi, (descritta in seguito). Una seconda porzione citoplasmatica contiene il residuo fosforilabile di aspartato e il sito di legame con l'ATP. La terza regione citoplasmatica, quella più vicina al C-terminale, presenta il dominio di interazione con la calmodulina e i siti fosforilabili dalle proteine chinasi A e C. Dubbi ancora esistono sul modo di interagire con i Ca2+: in questa terza porzione due domini ad α-elica contenenti residui amiinoacidici carichi negativamente sono stati ipotizzati come possibili strutture attraverso le quali i Ca2+ verrebbero incanalati verso il sito catalitico. L'attività della PMCA è stimolata dalla interazione con la calmodulina (CM), una proteina citosolica che lega i Ca2+: aumentano l'affinità per i Ca2+ (la Km cambia da 20 a 0.5 µM) e in minor misura la Vmax. La CM si lega ad un dominio di circa 30 aminoacidi prevalentemente basici. Il dominio di legame con la CM potrebbe, in assenza di CM, inibire l'attività della pompa. Tale dominio è infatti in grado di interagire non solo con la CM ma anche con un'altra regione dell'enzima formando una sorta di ponte tra le prime due regioni protrudenti nel citoplasma. Ne risulterebbe inibito l'accesso del substrato al sito catalitico. In assenza di CM, la PMCA è stimolata alternativamente da fosfolipidi carichi negativamente, da trattamento proteolitico, dalla fosforilazione

catalizzata da proteine chinasi A o C. L'effetto esercitato dai fosfolipidi presenta interessanti implicazioni fisiologiche. Nella membrana l'ATPasi è circondata da quantità di fosfatidilserina simili a quelle che in vitro producono circa il 50% della attivazione massimale. Tuttavia la quantità di fosfatidilserina non si modifica in modo sostanziale in breve tempo, per cui non è ipotizzabile un effetto di modulazione della pompa dipendente da questo fosfolipide. Un tale ruolo potrebbe essere esercitato dal fosfaditilinositolo, anch'esso in grado di stimolare la PMCA. Come è noto tale fosfolipide, in seguito alla stimolazione della fosfolipasi C da parte di diversi agonisti, viene idrolizzato in inositolo trifosfato e diacilglicerolo, entrambi senza effetto sulla PMCA. In questo modo una ridotta attività della pompa sarebbe in accordo con il messaggio ormonale tendente a produrre un aumento del [Ca2+] citoplasmatico.

3.3. Fosfolambano e regolazione adrenergica della contrattilità miocardica Possono essre descritti tre tipi di regolazione dell'attività delle pompe di tipo P. Nel caso più semplice, rappresentato dalla Ca2+ ATPasi della membrana plasmatica i domini catalitici e di regolazione sono localizzati sulla stessa catena polipeptidica. Nel caso della Na+/K+ ATPasi, formata da due diverse subunità, ad una catena polipetidica, la subunità a spetta l'attività catalitica, mentre alla subunità b viene attribuita funzione di regolazione. Tale funzione nel caso della SERCA 2a è invece svolta da un'altra proteina, il fosfolambano. E' interessante notare come le porzioni catalitiche delle due Ca2+ ATPasi siano simili: la pompa della membrana plasmatica presenta tuttavia una grande porzione citoplasmatica nel tratto C-terminale con funzione di regolazione che è assente nella SERCA dove è sostituita dal fosfolambano. Il fosfolambano è una proteina di 52 amminoacidi (6080 Da) presente sia inel reticolo sia in forma monomerica, sia in forma di aggregato pentamerico che prevale quando il fosfolambano è fosforilato. Presenta due domini: uno idrofobico con il quale si ancora al reticolo e l'altro idrofilico che sporge nel citoplasma. Il dominio transmembrana ha una struttura prevalentemente ad α-elica. L'interazione tra i diversi monomeri per dare la struttura pentamerica è favorita da una chiusura a leucina (leucine zipper) che consente il superavvolgimento delle eliche (coiled coil). E' una proteina fortemente basica (pI=10) che diviene leggermente acida in seguito a fosforilazione (pI=6.7).

5 6

Figura 5. Architettura molecolare della Ca2+-ATPasi della membrana plasmatica. I cilindri rappresentano i segmenti ad α-elica e le frecce i segmenti a foglietto β. I domini più rilevanti sono indicati dai numeri seguenti: 1. regione di interazione con i fosfolipidi acidi 2. sito di legame per la calmodulina 3. dominio-substrato per la proteina chinasi AMPc-dipendente 4. regione flessibile che permette il movimento dei domini contenenti il sito di legame per l'ATP e il residuo fosforilabile di acido aspartico. 5. residuo fosforilabile di acido aspartico 6. sito di legame per l'ATP

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ATPasi 8

L'aggregazione nella forma pentamerica è dunque il risultato dal venir meno di repulsioni elettrostatiche tra i residui basici che rende possibili le interazioni idrofobiche nel tratto transmembrana. Al carattere basico contribuiscono due residui adiacenti di arginina (in posizione 13 e 14) che precedono nella sequenza i due residui fosforilabili. La serina 16 viene fosforilata esclusivamente dalla PKA, mentre la chinasi Ca-calmodulina dipendente fosforila il residuo di treonina 17. Questi processi fosforilativi possono avvenire indipendentemente l'uno dall'altro, anche se durante la stimolazione adrenergica viene fosforilata la serina prima della treonina e lo stesso ordine viene seguito durante il ritorno alla condizione basale mediante defosforilazione. In condizioni fisiologiche i due siti vengono fosforilati in uguale quantità. Anche se la fosforilazione di uno dei soli dei due siti è in grado di potenziare il rilassamento del cardiomiocita, entrambi i siti devono essere fosforilati per ottenere il massimo effetto. Il fosfolambano defosforilato agisce da inibitore della SERCA del miocardio: tale inibizione è rimossa dalla fosforilazione del fosfolambano che si traduce in un aumento dell'affinità apparente della SERCA per il Ca2+ . In effetti quello che cambia è la cinetica di attivazione della SERCA da parte del Ca2+ e non la capacità della pompa di legare il catione. Aumenta in questo modo la capacità della pompa di portare Ca2+ all'interno del reticolo in presenza di concentrazioni fisiologiche (submicromolari) di Ca2+: non viene infatti modificata la Vmax della SERCA che si ottiene a concentrazioni saturanti (>1 µM) di Ca2+. L'inibizione è dovuta ad interazione sia della porzione idrofilica, sia di quella idrofobica del fosfolambano con la SERCA. La capacità inibitoria sembra dipendere dalla porzione idrofobica, ma l'interazione con la SERCA sarebbe favorita, o guidata, da ponti salini che si stabiliscono tra i residui carichi positivamente del fosfolambano e quelli di segno opposto della pompa. A tal riguardo sarebbe rilevante il legame con l'aspartato la

cui fosforilazione è necassaria per l'attività catalitica. La porzione idrofilica da sola non è comunque in grado di inibire la pompa. Con ogni probabilità è la forma monomerica del fosfolambano ad interagire con la pompa. In questo senso il pentamero può essere considerato una sorta di serbatoio di monomeri, messi a disposizione per l'inibizione della pompa in seguito a defosforilazione del fosfolambano. La modulazione dell'interazione tra fosfolambano e SERCA spiega gli effetti della stimolazione β-adrenergica sulla contrazione cardiaca. L'aumento della forza di contrazione (inotropismo positivo), della frequenza (cronotropismo positivo) e della capacità di rilasciamento sono tutte conseguenze dell'aumento di attività della SERCA che porta una quota maggiore di Ca2+ all'interno del reticolo. In questo modo più rapidamente il Ca2+ viene rimosso dalle proteine contrattili rendendo possibile il rilasciamento (diastole). Al contempo, essendo accorciato il periodo di rilasciamento, sarà possibile un maggior numero di eventi contrattili nell'unità di tempo. All'aumentata ricapatazione di Ca2+ da parte del reticolo farà seguito un maggior rilascio di Ca2+ alla stimolazione successiva: l'aumento del Ca2+ a disposizione delle proteine

contrattili, ed in particolare della troponina C, avrà come risultato il potenziamento della forza di contrazione. Più in dettaglio (come mostrato dalla figura): la stimolazione dei recettori β1 adrenergici, attraverso la formazione intracellulare dell'AMP ciclico, porta all'aumento dell'attività della PKA. Un primo risultato di questa stimolazione è la fosforilazione della serina 16 del fosfolambano (PLB) cui consegue la rimozione dell'inibizione della SERCA per probabile oligomerizzazione e distacco del fosfolambano. la PKA fosforila anche i canali del Ca2+ del sarcolemma. Questo evento, insieme al maggior rilascio di Ca2+ dal reticolo, determina l'aumento della [Ca2+] nel citoplasma cui consegue l'attivazione della chinasi calcio/calmodulina dipendente (CaMK). Questa chinasi fosforila la treonina 17 del fosfolambano, potenziando l'effetto determinato dalla PKA. il fosfolambano fosforilato è substrato della proteina fosfatasi 1 (PP1) presente nel reticolo come complesso con una proteina identica alla subunità G responsabile dell'associazione della PP1 con il glicogeno (da cui deriva la defosforilazione e quindi l'arresto dell'attività della glicogeno fosforilasi). La subunità G una volta fosforilata dalla PKA non è più in grado di legare la PP1 che viene rilasciata dal reticolo così come viene allontanata dal glicogeno per consentirne la degradazione. La PP1 non solo perde "contatto" con il fosfolambano, ma viene ulteriormente inibita legandosi ad una particolare proteina, denominata inibitore della PP1 (IP1), quando quest'ultima viene fosforilata dalla PKA. In ultima analisi la PKA determina la fosforilazione del fosfolambano e ne impedisce la defosforilazione. la capcità di rilasciamento è ulteriormente favorita dalla fosforilazione della troponina I, anch'essa dipendente dalla PKA, che aumenta la velocità di distacco del Ca2+ dalla troponina C. Questo fenomeno può essere anche interpretato come un meccanismo teso a limitare la forza di contazione potenziata dall'aumento del Ca2+ nel sarcoplasma.

Figura 6. Modello dell'interazione tra fosfolambano (PLB) e Ca2+

ATPasi del reticolo sarcoplasmatico del miocardio (SERCA 2a). Il PLB defosforilato, interagendo probabilmente in formamonomerica, inibisce la pompa,. La fosforilazione del PLB ne favorisce l'aggregazione in pentameri rimuovendo l'inibizione della SERCA.

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ATPasi 9

SERCAPLB

PLBP

P

PG

PP1

G

PP1

Ca2+

PKA

TnIP

P

Ca2+

Ca2+

CaMK

For

za

Tempo

controllo

stimolazione adrenergicaβ

SL

RS

attiva

IP1P

PP1inattiva

Figura 7. Meccanismo degli effetti inotropo e cronotropo positivi (esemplificati nell'inserto) determinati dalla stimolazione β-adrenergica. Per le spiegazioni e le abbreviazioni si rimanda al testo.

4. Tipo V Le ATPasi protoniche vacuolari sono una famiglia di pompe protoniche che acidificano diversi compartimenti intracellulari. Negli organismi eucarioti intervengono in importanti processi cellulari quali: a) endocitosi, acidificando le vescicole di endocitosi6 rivestite di clatrina, i fagosomi, gli endosomi

6 Il processo di endocitosi riguarda in genere componenti extracellulari legati a recettori situati sulla faccia esterna della membrana cellulare: si parla per questo di endocitosi mediata o legata al ricettore. Vanno incontro ad endocitosi i recettori per le LDL, la transferrina, le immunoglobuline e diversi ormoni quali insulina e EGF. Attraverso questo processo le cellule, riducendo il numero dei recettori, hanno a disposizione un ulteriore modo per regolare il metabolismo. I recettori che vanno incontro a questo processo sono situati su particolari avvallamenti della membrana (fossette di endocitosi) che sono rivestite dal lato citoplasmatico da una proteina fibrosa, la clatrina. Gli avvallamenti della membrana tendono ad approfondirsi, formando le fossete di endocitosi anch'esse rivestite dalla clatrina, che successivamente si richiudono a formare delle vescicole che si internalizzano nel citoplasma. In seguito le vescicole perdono il rivestimento di clatrina trasformandosi in endosomi che possono fondersi con altre vescicole non rivestite. A livello degli endosomi avviene il distacco del ligando (es. ormone) dal ricettore. Il ricettore viene poi riciclato e torna ad inserirsi nella membrana cellulare, mentre i ligandi dissociati vengono di solito catabolizzati nei lisosomi.

e i lisosomi b) secrezione acidificando sia granuli di secrezione che vescicole derivate dall'apparato del Golgi Anche se sono state caratterizzate in misura minore rispetto alle altre due classi, possono essere identificati tre comuni denominatori: 1. Traslocano solo protoni 2. Non si forma un intermedio fosforilato nel ciclo catalitico 3. A differenza del tipo P, ma con caratteristica analoga al tipo F, sono composte da più subunità con pesi molecolari compresi tra 500 e 750 kDa . Come accertato nel tipo F, anche in questo gruppo sembra che l'idrolisi dell'ATP e la traslocazione dei protoni siano catalizzate da subunità diverse. Molte sono le analogie, soprattutto a livello strutturale, tra il tipo V e il tipo F. Non desta sorpresa dunque che le informazioni raccolte dal clonaggio e il sequenziamento dei cDNA codificanti diverse subunità di ATPasi vacuolare indicano che i tipi V e F sono correlati anche da un punto di vista evoluzionistico. Omologie di sequenza esistono infatti sia per quanto riguarda il sito di legame per i nucleotidi si a per la subunità c che in ambedue i tipi conferisce sensibilità al DCCD. Nella struttura si riconoscono una porzione estrinseca, V1 ed una parte intermembrana denominata V0 (in analogia alla F0 - F1 mitocondriale). Nella V1 i siti di legame per i nucleotidi sono distribuiti tra le subunità A (70 kDa) e B (60 kDa). Il legame vero e proprio sembra avvenire a livello della subunità B, mentre l'evento catalitico riguarderebbe soprattutto la A. Sempre nella V1 sono presenti almeno altre tre subunità di minore peso molecolare che partecipano all'interazione tra V1 e V0. Il dominio intrinseco contiene n unità di un proteolipide di 15-17 kDa (subunità c) che è in parte

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responsabile della traslocazione dei protoni ed è bersaglio dell'azione del DCCD. Alla traslocazione dei protoni partecipano altri piccoli polipeptidi costituenti V0, sui quali non sono disponibili informazioni sufficienti. A differenza di quanto si osserva nel tipo tipo F, la dissociazione del dominio estrinseco da quello intrinseco comporta la perdita di ogni funzione: V1 e V0 non possono funzionare indipendentemente. Le ATPasi vacuolari sono insensibili agli inibitori caratteristici e specifici degli altri tipi, vanadato e oligomicina. Vengono inibite dal DCCD, dal DES (come alcune ATPasi di tipo P), dal KNO3 e dal KCSN. Questi ultimi due composti, attivi anche sul tipo F, sembrano inibire maggiormente le ATPasi di tipo V. Un altro potente inibitore in questa classe è la N-etilmaleimide (NEM) un reagente (ossidante) dei gruppi -SH. Per quanto attiene alla funzione, l'acidificazione dei compartimenti vacuolari riveste un ruolo critico in svariati processi cellulari. L'acidificazione è necessaria per la dissociazione tra ligando e ricettore che avviene nelle vescicole di endocitosi ed è quindi critica sia per il riciclaggio dei recettori, che per la degradazione delle molecole internalizzate. Nei lisosomi, nelle vescicole di secrezione e nei vacuoli di immagazzinamento l'acidificazione è importante per due fondamentali aspetti: a) un basso pH è necessario per l'attività delle idrolasi acide che metabolizzano e degradano le macromolecole presenti all'interno dei vacuoli; b) il trasporto di queste molecole è reso possibile dal gradiente chimico dei protoni creato da queste ATPasi. Nei granuli cromaffini, queste ATPasi appaiono essere essenziali per l'importo e l'immagazzinamento delle catecolamine. La loro funzione si esplicherebbe anche nel trasporto ed accumulo di serotonina nelle piastrine e di acetilcolina nelle vescicole sinaptiche. Il trasporto di protoni attraverso la membrana plasmatica di particolari cellule (intercalate) del parenchima renale è responsabile dell'acidificazione urinaria. L'acidificazione negli osteoclasti è parte del meccanismo di riassorbimento dell'osso.

4.1. H+ ATPasi delle vescicole di endocitosi Trasportano protoni unidirezionalmente dal lato citoplasmatico al lato intraluminale della vescicola. Sono quindi elettrogeniche. Il potenziale di membrana generato dalla pompa protonica è dissipato dal movimento parallelo di cariche negative, rappresentate dai Cl- che entrano attraverso specifici canali formatisi nella membrana di queste vescicole. La conduttanza ai Cl- modula l'attività della pompa protonica. Entrambe la corrente di cloruri e protoni sono aumentate per fosforilazione del canale dei Cl- catalizzata da una proteina chinasi AMP ciclico dipendente. Al contratrio una riduzione dell'ingresso dei Cl- potrebbe rendere ragione del fatto che le vescicole rivestite di clatrina non si acidificano per una gran parte del processo di endocitosi e più esattamente fino alla formazione del compartimento endovescicolare dove avviene la dissociazione del ligando dal ricettore. Poichè le ATPasi protoniche sono presenti durante tutto il processo, appare certo che le vescicole di endocitosi non si acidificano perchè l'attività ATPasica viene in qualche modo soppressa. Per spiegare questo fenomeno accanto alla ridotta corrente di cloruri, altri Autori hanno avanzato numerose ipotesi quali l'assenza di una subunità regolatrice, la presenza di isoforme a ridotta funzionalità, il disaccoppiamento tra idrolisi di ATP e trasporto ionico o l'inattivazione risultante dal disancoramento tra V1 e V0.

5. CFTR (cystic fibrosis transmembrane regulator) La fibrosi cistica è la malattia più comune tra quelle trasmesse geneticamente ad esito fatale (nel Nord Europa colpisce 1 neonato ogni 2500). È' una malattia autosomica recessiva causata da mutazioni del gene codificante per una proteina che regola la conduttanza attraverso la membrana cellulare. Nelle cellule epiteliali di individui sani è dimostrabile una conduttanza ai Cl-, AMPciclico-dipendente, che manca nelle cellule dei pazienti affetti da fibrosi cistica (CF). Il gene (250 Kb) localizzato sul cromosoma 7 codifica una proteina integrale di membrana di 1480 aminoacidi (180 kDa). Tale proteina è localizzata nella membrana cellulare ed è particolarmente abbondante nel pancreas, ghiandole salivari e sudoripare, intestino, ghiandole submucose e polmoni (ma poco o nulla negli alveoli). Presenta due domini transmembrana (ciascuno con sei segmenti) e due siti di legame per l'ATP. Questi siti presentano sequenza analoga (i cosidetti motivi di Walker) a quella di altre proteine che svolgono funzioni di trasporto. Tali siti vengono oggi definiti ABC, cioè ATP Binding Cassette, e sono contenuti in una superfamiglia di proteine che comprende sistemi di importo delle proteine nei batteri, di esporto di fattori e proteine nei lieviti, il CFTR, l'MDRG e la PSP70 nell'uomo (Fig. 8). La "cassette" è una regione di circa 200 aminoacidi contenente il sito di legame per l'ATP, con una omologia di circa il 30% tra le diverse proteine appartenenti a questo gruppo. Tali proteine non vengono fosforilate dall'ATP (come accade nelle ATPasi di tipo P), per cui l'idrolisi dell'ATP da esse catalizzata (attività ATPasica) è con ogni probabilità tradotta in una modifica conformazionale che permette l'accumulo dei substrati, come ad esempio nei batteri, o l'espulsione di ioni o metaboliti, come nel caso del CFTR e della MDRG. La "cassetta" che lega l'ATP è connessa, come accennato in precedenza, con una porzione transmembrana. Sembra che i trasportatori del tipo ABC localizzati sulla membrana cellulare siano costituiti da 12 domini transmembrana e da 2 siti di legame per l'ATP. I trasportatori degli organelli intracellulari presenterebbero invece sei domini transmembrana e un solo sito per l'ATP. Tuttavia in quest'ultimo caso appare probabile l'associazione funzionale in dimeri, per cui si può indicare in 12 domini transmembrana e due siti per l'ATP l'unità minima funzionale in questo gruppo di ATPasi. Da un punto di vista funzionale, queste ATPasi presentano spesso caratteristiche che si discostano sensibilmente da quelle descritte per le altre ATPasi ioniche. Nel caso del CFTR non si tratta di trasporto attivo, in quanto i cloruri escono in favore di gradiente: l'energia derivata dall'idrolisi dell'ATP è usata per l'apertura del canale al Cl-. Nel caso della MDRG il trasporto non riguarda ioni (esula dunque dalle pompe ioniche in senso stretto) e non necessariamente si tratta di trasporto attivo, cioè contro gradiente di concentrazione. L'energia in questo caso è utilizzata per il passaggio delle sostanze da espellere da un lato all'altro della membrana e per il successivo rilascio nello spazio extracellulare. Nel CFTR, in posizione quasi intermedia tra i due domini leganti l'ATP è presente un dominio, cosidetto di regolazione (R), caratterizzato da 4 residui di serina fosforilabili che costituisce il bersaglio della fosforilazione catalizzata da PKA. Esperimenti di ricostituzione del CFTR in membrane artificiali hanno dimostrato che tale proteina si comporta da vero e

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proprio canale dei Cl-. Il meccanismo più probabile di funzionamento del CFTR appare eseere il seguente: la fosforilazione mediata da PKA permette il legame dell'ATP che viene idrolizzato portando ad una modifica conformazionale della proteina che ad ultima si traduce nell'apertura del canale per i cloruri. Il passaggio stesso dei cloruri, la modifica del potenziale di membrana o il distacco dei prodotti di idrolisi dell'ATP (o ancora il combinarsi di tutti questi eventi) fa tornare la proteina ad uno stato di riposo "attivo" (nei modelli proposti la proteina rimane fosforilata, in altri termini non c'è bisogno dell'intervento di una proteina fosfatasi e quindi di una successiva fosforilazione per riprendere il ciclo catalitico) pronta per legare nuovamente ATP. Per quel che concerne la funzione come già sottolineato non si tratta di una pompa ionica in senso stretto. A rinforzare questo concetto contribuiscono le evidenze che il flusso dei Cl- può avvenire bidirezionalmente e che non esiste alcuna stechiometria tra ATP utilizzato e Cl- trasportati. In taluni cellule l'attività potrebbe portare ad accumulo di HCl e quindi acidificazione intracellulare o degli organelli. In cellule pancreatiche di pazienti portatori di CF si sono riscontrati difetti nei processi di endocitosi ed esocitosi stimolati da AMP ciclico. Sono state descritte 170 mutazioni responsabili dell'alterata funzionalità di questa proteina. Tuttavia circa il 70% dei casi riconosce come difetto la delezione di 3 basi nell' esone 10 che si traduce nella mancanza della fenilalanina in posizione 508: di qui la designazione ∆F508. Questa delezione è a carico del I sito di legame per l'ATP. Studi di dicroismo circolare hanno evidenziato che la mancanza di F508 si traduce in una riduzione di struttura β e in aumento di avvolgimento casuale. Il difetto tuttavia non si manifesta con alterato binding degli adenin nucleotidi, nè talvolta in ridotta attività ATPasica. L'alterata struttura proteica

sembra piuttosto influenzare negativamente il processo di trasferimento della proteina neoformata a livello del reticolo endoplasmico, con il risultato finale di una ridotta espressione del CFTR nella membrana cellulare. In definitiva la malattia sarebbe espressione della mancanza della proteina matura nella locazione appropriata più che di una proteina con funzione alterata. La possibilità di correggere in vitro la funzione delle cellule malate mediante l'inserzione del gene codificante per la proteina corretta ha reso questa malattia il primo banco di prova per la sperimentazione della terapia genica. Sono in corso tentativi basati su inalazione mediante aerosol di adenovirus recanti il gene corretto con l'intento e la speranza di correggere le complicanze polmonari che costituiscono la più importante causa di decesso nei portatori di CF.

6. MDR (multi drug resistance) Il fenomeno della resistenza ad un vasto spettro di farmaci (multidrug resistance), ed in particolare a diversi chemioterapici usati per limitare od arrestare la crescita tumorale, è causato dall'espressione di una fosfo-glicoproteina in grado di opporsi all'ingresso di xenobiotici all'interno delle cellule bersaglio. Le funzioni associate a questa proteina, che per convenienza definiamo MDRG (come abbreviazione di glicoproteina associata alla resistenza a molteplici farmaci), appaiono quanto mai complesse, probabilmente in relazione a un peculiare modo di trasporto associato all'attività di questa ATPasi. Si usa di solito assegnare all'MDRG il compito di espellere sostanze indesiderate dalla cellula. Tale concetto non caratterizza a fondo la funzione dell'MDRG, che può non solo ridurre le concentrazioni intracellulari di un farmaco, ma anche opporsi all'ingresso di svariate

Figura 8. Struttura della proteina transmembrana che regola la permeabilità ai Cl-. Tale proteina è conosciuta come CFTR (cystic fibrosis transmembrane regulator) in quanto alterata nei pazienti portatori di fibrosi cistica. Sono indicati i principali domini strutturali e il sito di delezione della fenilalanina in posizione 508, responsabile di circa il 70% dei casi di fibrosi cistica.

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molecole. Questa seconda funzione sembra prevalere quantitativamente. Infatti l'MDRG può rendere una cellula resistente ad un aumento di 1000 volte della concentrazione extracellulare di un farmaco, mentre è in grado di ridurre le concentrazioni intracellulari di non oltre 10 volte. A complicare il quadro studi recenti assegnano a questa proteina anche la funzione di canale per i Cl-. La proteina è codificata dal gene MDR, più esattamente dal MDR 1. Esiste infatti anche un MDR 2 la cui funzione è tuttora sconosciuta. Entrambi i geni sono localizzati sul braccio lungo del cromosoma 7. L'MDR 1 è composto da 28 esoni per un totale di circa 100 kb. La proteina codificata è composta da 1280 aminoacidi con 12 domini transmembrana e due grandi domini citoplasmatici contenenti il sito di legame per l'ATP (che come descritto nel paragrafo precedente appartiene alla superfamiglia ABC). La struttura nel suo complesso sembra formata dal ripetersi di due metà analoghe, ognuna cioè con sei domini transmembrana e una regione intracitoplasmatica. E' descritto anche un loop dal lato extracellulare compreso tra le prime due eliche transmembrana: tale regione sarebbe la porzione glicosilata, ma dubbi ancora esistono sulla reale configurazione in situ. Questa proteina non è espressa solo in cellule tumorali, ma è stata trovata nell'uomo anche in tessuti normali (corteccia surrenale, tubulo prossimale renale, epatociti, intestino, dotti pancreatici, placenta, endotelio dei capillari cerebrali ecc.). La funzione dell'MDRG in cellule "normali" dovrebbe essere quella di proteggerle da composti tossici ed è stato suggerito un ruolo anche nella secrezione degli ormoni steroidei. In aggiunta a queste funzioni "prevedibili" per tale proteina, recentemente in talune cellule (ad esempio nell'epitelio dei villi intestinali) è stato dimostrato che l'MDRG è in grado di comportarsi da canale dei Cl-, sensibile a variazioni di volume della cellula. E' difficile precisare allo stato attauale delle conoscenze se la funzione di canale dei Cl- sia in aggiunta o in sostituzione a quella di trasporto di sostanze idrofobiche. Le due attività potrebbero rappresentare proprietà assolutamente

distinte della stessa proteina. Alternativamente l'attività regolata del canale del cloro potrebbe essere necessaria per lo svolgimento ed il controllo del trasporto del materiale idrofobico. Nelle cellule tumorali la resistenza ai farmaci può essere intrinseca o acquisita. Esempi di MDR intrinseca si trovano nei tumori di rene, fegato, colon, pancreas e surreni. Nel caso dei tumori renali sembra esistere una relazione diretta tra grado di differenziamento e resistenza ai farmaci. In altri casi il tessuto di origine non presenta MDR (cellule del sangue, tessuto cerebrale, polmoni ecc.): appare probabile che sia la stessa trasformazione maligna ad attivare il gene MDR 1. A sostegno di questa ipotesi è stato dimostrato che un promoter del MDR 1 era stimolato da ras e p53, due geni comunemente associati con la progressione tumorale. Il modello illustrato nella Fig. 9 tenta di riunire e conciliare gli elementi biochimici e funzionali fin qui descritti ipotizzando due caratteristiche salienti: a) i farmaci sono riconosciuti nella membrana plasmatica ed espulsi direttamente dalla membrana all'ambiente extracellulare: in altri termini ; b) il trasporto avviene attraverso una sorta di canale formato dal ripiegamento di una o più subunità della proteina stessa nello spessore della membrana.

In tal modo la MDRG sarebbe una sorta di aspiratore per sostanze idrofobiche (hydrophobic vacuum cleaner). Occorre sottolineare che i migliori substrati per questa proteina sono molecole amfipatiche L'ATP verrebbe utilizzato per traslocare le molecole dall'ambiente idrofobico della membrana all'ambiente idrofilico interno alla struttura canale della proteina da dove i composti da eliminare diffonderebbero nel mezzo extracellulare. Un contributo alla formazione di un ambiente idrofilico intraproteina verrebbe fornito dal pompaggio di protoni seguito passivamente dai cloruri (si è visto in particolari condizioni sperimentali che la MDRG acidifica il mezzo extracellulare) (Fig. 9). Tale movimento ionico richiamerebbe acqua all'interno della proteina. Alternativamente l'idrolisi dell'ATP fornirebbe l'energia per "flippare" (flip è sinonimo di piccolo movimento a scatto) le molecole amfipatiche dal foglietto citoplasmatico a quello esterno del bilayer fosfolipidico, in modo analogo a quanto realizzato dalle flippasi catlizzanti i movimenti flip-flop necessari per la traslocazione dei fosfolipidi dal compartimento citoplasmatico dove vengono sintetizzati al lato esterno della membrana cellulare.

Figura 9. Modello proposto per il funzionamento della ATPasi responsabile del fenomeno della resistenza ai farmaci denominato MDR (multi drug resistance). I farmaci o sostanze idrfobiche sarebbero presi indifferentemente dal lato extracellulare o intracellulare, "risucchiati" all'interno della struttura della ATPasi attraverso lo spazio idrofobico della membrana cellulare per essere espulsi fuori dalla cellula. Questo modello mette in risalto la struttura costituita da due metà praticamente identiche ciascuna recante un sito di legame ed idrolisi l'ATP. La struttura canale, formulata in base a recenti acquisizioni sul trasporto dei Cl- operato dal MDR, è ancora lungi dall'essere dimostrata

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Fosfofruttochinasi 2 e fruttosio 2,6 bifosfato

Gli effettori allosterici della fosfofruttochinasi (PFK1) agiscono con segno opposto sulla fruttosio-1,6-bifosfato-fosfatasi, tappa chiave della gluconeogenesi. Il fatto che un metabolita, ad esempio l'AMP, agisca da attivatore allosterico sulla PFK e da inibitore sulla fruttosio-1,6-bifosfato-fosfatasi spiega in quale modo la stimolazione della glicolisi sia accompagnata dal rallentamento della gluconeogenesi. Tramite la fosfofruttochinasi 2 (PFK2) il fruttosio-6-fosfato può essere fosforilato anche a fruttosio-2,6-bifosfato (F2,6P2) che nel fegato è il più potente attivatore della PFK e al contempo agisce da effettore allosterico negativo della fruttosio-1,6-bifosfato fosfatasi. Quindi in presenza di fruttosio-2,6-bifosfato la glicolisi è stimolata mentre è repressa la gluconeogenesi. Il fruttosio-2,6-bifosfato è in grado di attivare allostericamente la PFK1 rimuovendo l'inbizione dovuta all'ATP. Ciò spiega come sia possibile ottenere la stimolazione della glicolisi in un organo dove non si osservano fluttuazioni significative dei livelli di ATP.

La PFK2 è un enzima bifunzionale in quanto è in grado di agire sia come chinasi (6-fosfofrutto-2-chinasi), portando alla formazione del fruttosio-2,6-bifosfato, sia come fosfatasi (fruttosio-2,6-bifosfato fosfatasi) che catalizza il distacco idrolitico del fosfato riformando il fruttosio-6-fosfato. Nel caso dell'isoenzima epatico, sulla stessa catena polipeptidica di 470 amino acidi, il dominio con attività chinasica è situato verso l'N-terminale, mentre la metà verso il C-terminale è occupata dal dominio con attività fosfatasica. Il prevalere dell'una o dell'altra attività è determinato dalla fosforilazione di un residuo di serina (in posizione 32) catalizzata da una proteina chinasi AMP ciclico dipendente. La fosforilazione reprime l'attività chinasica e stimola l'attività fosfatasica della PFK2. Una riduzione della glicemia, mediante l'aumento del rapporto glucagone/insulina, stimola l'adenilato ciclasi che attraverso l'AMP ciclico si riflette in un aumentata attività della PKA. La conseguente fosforilazione della PFK2 porta all'inibizione della formazione del fruttosio-2,6-bifosfato, che anzi diviene substrato per l'accresciuta attività fosfatasica. Cessa in questo modo l'attivazione della via glicolitica operata

dal fruttosio-2,6-bifosfato e viene stimolata la gluconeogenesi.

Si comprende quindi come lo stimolo ipoglicemico possa richiamare glucosio dal fegato mediante la stimolazione della gluconeogenesi e della glicogenolisi. L'inibizione della glicolisi indirizza inoltre il glucosio-6-fosfato formatosi dal glicogeno verso la reazione con la glucosio-6-fosfatasi promuovendo il rilascio di glucosio nel torrente circolatorio. Nel fegato, gli stimoli che portano all'aumento dell'AMP ciclico producono l'inibizione della glicolisi attraverso la fosforilazione dell'enzima bifunzionale e la conseguente scomparsa del F2,6P2. Tale regolazione risponde alla necessità di stimolare la gluconeogenesi per poter mantenere la glicemia e rifornire gli organi extraepatici con il glucosio in condizioni di digiuno (stimolazione da glucagone) o stress (stimolazione da catecolamine). Diversa deve essere la regolazione in altri distretti nei quali le catecolamine determinano un aumento delle richieste energetiche. In particolare, nel miocardio la stimolazione adrenergica aumenta il lavoro cardiaco (crescono sia la frequenza dei battiti che la forza di contrazione) e di conseguenza l'utilizzazione dei substrati per la produzione energetica. Non è pertanto auspicabile avere nel miocardio la stessa regolazione vigente nel fegato, perchè con essa si otterrebbe

GLIC

OLIS

IF2,6P2 PFK1

GLU

CO

NE

OG

EN

ES

I

F1,6P2asi

fruttosio 2,6 bifosfato

fruttosio 6 fosfato

P

ATP

ADPH O2

Pi

AMPc

H O2 Pi

ATPADP

PROTEINAFOSFATASI

PKA

F2,6PFOSFATASI

2 PFKCHINASI

2

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PFK2 2

Regolazione della PFK2 cardiaca. L'enzima, schematizzato in basso, presenta, come l'isoforma epatica, un dominio ad attività chinasica posto all'N-terminale e un dominio ad attività fosfatasica nella metà C-terminale. Quest'ultima porzione, a differenza di quanto avviene nella proteina epatica, può essere fosforilata ad opera di una chinasi AMPciclico dipendente. La fosforilazione stimola l'attività chinasica e deprime la fosfatasi. Il risultato finale è l'aumento della velocità nella via glicolitica provocato dalla stimolazione della fosfofruttochinasi (PFK1) da parte del fruttosio 2,6 bifosfato.

l'inibizione della glicolisi e non la sua stimolazione, come invece deve avvenire. Non sorprende, dunque, che l'isoenzima cardiaco sia regolato in modo diverso. La catena polipeptidica è costituita da 530 amino acidi e il sito fosforilabile dalla PKA si trova nei pressi del C-terminale (serina 466), cioè nel dominio ad attività fosfatasica. La fosforilazione si accompagna alla stimolazione dell'attività chinasica che comporta un'accresciuta formazione di F2,6P2 e di conseguenza l'accelerazione del flusso glicolitico, un effetto dunque opposto a quello riscontrabile nel fegato.

Formazione del fruttosio 2,6 bifosfato nel fegato durante la fase post-assorbimento. L'insulina, attraverso meccanismi ancora ignoti, porta a riduzione dell'AMPciclico e conseguentemente al cessare della stimolazione della PKA. Al contempo è stimolata l'attività di fosfoproteine fosfatasi che rimuovendo il fosfato dall'enzima bifunzioanle portano all'attivazione della funzione chinasica (PF-2-Ka, dove la a indica l'enzima in forma attiva) e all'inibizione dell'attività fosfatasica (F-2,6-P2asi b, indicando con b l'inattivazione della fosfatasi). N.B. è stata sbiancata la via relativa alla trasduzione del segnale legata ad un aumento dell'AMP ciclico

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3 cicli dibβ-ossidazione

enoil CoA reduttasi

1 ciclo dibβ-ossidazione

acil CoA deidrogenasiFAD

FADH2

23

45

trans

cis

trans-2, cis-4-enoil CoA

C23

45

trans

trans-3-enoil CoA

2,4-dienoil CoAreduttasi

da due doppi legami se ne ottieneuno solo con configurazione idoneaper l’acil CoA deidrogenasi, ma inposizione gγ invece che β: si rendenecessario l’intervento dell’isomerasi

trans-2-enoil CoA2

3

trans

enoil CoA isomerasi

4 cicli dibβ-ossidazione

bβ-ossidazione degli acidi grassi polinsaturi

cis cis

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LIPOPROTEINE PLASMATICHE

COMPONENTI DELLE LIPOPROTEINE

Apoproteine Le apoproteine, con l'eccezione delle apo B, insieme al colesterolo libero sono relativamente idosolubili e possono essere scambiati tra le varie lipoproteine o con altre superfici lipidiche (membrane cellulari). Anche gli elementi più apolari delle lipoproteine possono essere scambiati, ma tale processo richiede l'intervento di apposite proteine di trasporto. Nella maggior parte delle apoproteine (A-I, A-II, A-IV, C-I, C-II, C-III e E) si riscontra la ripetizione di domini amfiaptici. Queste proteine appartengono a una famiglia multigenica in cui le regioni codificanti sono composte dalla ripetizione a coppie di 11 codoni, probabilmente come risultato di un processo evolutivo avvenuto attraverso la duplicazione di un gene primordiale. Le apoproteine B non appartengono a questa famiglia, contengono pochi domini amfipatici e sono invce caratterizzate da elevata idrofobicità. La ricchezza in residui idrofobici consente a queste apoproteine di stabilire relazioni con il core idrofobico delle lipoproteine. Tali relazioni, particolarmente tenaci stabilizzano la struttura della lipoproteina (si può dire che le apo B siano il vero scheletro delle lipoproteine che le contengono) e al tempo stesso impediscono il trasferimento delle apo B da una lipoproteina ad un'altra. La apo D contiene anch'essa numerosi residui aminoacidici non polari e fa parte della famiglia genica delle α2u-globuline cui appartiene anche la proteina legante il retinolo. Tale similarità fa ritenere che la apo D possa rivestire una specifica funzione di legame per gli esteri del colesterolo all'interno delle HDL, la classe di lipoproteine cui l'apo D è associata in modo quasi esclusivo. Gli esteri del colesterolo sono inoltre trasportati dalla CETP (cholesteryl ester transfer protein) anch'essa ricca di resdui idrofobici. Tale proteina assolve funzioni di trasporto per questi esteri tra diverse lipoproteine, ad esempio dalle HDL alle LDL e viceversa, oppure dalle lipoproteine ai tessuti ed in particolare al fegato. Sia la apo D che la CETP posseggono scarsa affinità per le lipoproteine e possono essere facilmente dissociate da queste con l'ultracentrifugazione.

Lipoproteina Lipasi E' necessaria per l'idrolisi dei trigliceridi veicolati dai chilomicroni e dalle VLDL. La proteina è sintetizzata dalle cellule parenchimali, soprattutto cellule muscolari ed adipociti, ed è trasferita nella sua forma matura sulla faccia luminale dei periciti capillari. Le cellule endoteliali non sono in grado di sintetizzare la lipoproteina lipasi. Il gene umano, situato sulla regione p22 (braccio corto) del cromosoma 8, è costituito da circa 30 kb e contiene dieci esoni e nove introni. Codifica la sintesi di una proteina di 475 aa che contiene anche una sequenza leader di 27 aa: la proteina matura è costituita da 448 aa con un peso molecolare di 50,4 kDa. Sono stati identificati 5 domini funzionali:

a) un sito catalitico (codificato dall'esone 5 con la sequenza caratteristica Gly-X-Ser-X-Gly). Esperimenti di site-directed mutagenesis hanno dimostrato che la serina in posizione 132 è essenziale per l'esplicarsi dell'attività catalitica;

b) un sito di interazione con l'apo C-II; c) un sito di interazione idrofobica (codificato

dall'esone 4); d) un sito per l'interazione con le glicoproteine della

membrana plasmatica ed in particolare con gli eparan-solfati (codificato dall'esone 6);

e) un sito di interazione tra unità di lipoproteina lipasi. La proteina matura esiste come dimero ed è presente in diverse glicoforme, cioè isoforme della glicoproteina matura che differiscono solo per le porzioni glucidiche. Il processo di dimerizzazione avviene nel reticolo endoplasmatico dove inizia anche il processo di glicosilazione che a sua volta prosegue nel Golgi. Una corrretta glicosilazione è essenziale sia per il trasferimento della proteina matura nella membrana plasmatica, sia per per l'attività catalitica. La tunicamicina, un antibiotico che inibisce la glicosilazione, provoca la ritenzione dell'enzima inattivo nel reticolo endoplasmico o l'espressione nella membrana plasmatica di una proteina priva di attività catalitica. Sulla membrana plasmatica delle cellule endoteliali la lipoproteina lipasi interagisce con i residui glucidici carichi negativamente delle glicoproteine1. L'eparina è in grado di rimuovere la lipoproteina lipasi dal suo legame con le cellule endoteliali proprio per la sua similarità di struttura con i residui glucidici delle glicoproteine di membrana. Alternativamente la lipoproteina lipasi si lega covalentemente alla membrana attraverso la connessione tra catene glucidiche e residui di inositolo (glycosyl-phospatidylinositol anchor2 ). In tal caso la rimozione della lipoproteina lipasi sarà conseguente all'attivazione della fosfolipasi C che idrolizza il legame estereo tra fosfato e ossidrile del diacilglicerolo. La quantità di lipoproteina lipasi rilasciabile con questo meccanismo varia tra i diversi tipi cellulari. E' nulla nei macrofagi, relativamente scarsa negli adipocti (<10%) ed elevata nei miociti cardiaci (>50%). Tali quantità si riferiscono tuttavia al rilascio massimo ottenibile in cellule isolate, mentre non è ancora nota la reale portata di tale processo in vivo. Il rilascio di lipoproteina lipasi può anche essere indotto da un aumento degli acidi grassi circolanti che sono d'altra parte in grado di inibire come prodotto di reazione l'attività lipasica e ridurre l'attivazione da parte della apo C-II. In tal modo si realizza un complesso ed efficace meccanismo di inibizione della lipasi che riduce la possibilità di sovraccarico intracellulare di acidi grassi. Recentemente è stato avanzata l'ipotesi di un ruolo strutturale della lipoproteina lipasi disgiunto dalla attività catalitica. La lipoproteina lipasi liberata in circolo sembra infatti in grado di legarsi ai remnants dei chilomicroni e delle VLDL facilitandone il legame ai ricettori e quindi accelerandone il catabolismo. Aumenterebbe in tal modo anche il grado di cooperazione con la lipasi epatica. Tale

1 In esse sono particolarmente abbondanti i glicosilaminoglicani, polisaccaridi lineari costituiti dal ripetersi di unità di disaccaridi. Le unità glucidiche costituenti i disaccaridi sono acido uronico e un aminozucchero i cui ossidrili sono abbondantemente esterificati con l'acido solforico: di qui la dizione di eparansolfati. 2 In questo sistema di ancoraggio il carbossile terminale della proteina forma un legame carboammidico con un residuo di etanolamina che esterifica l'ossidrile con un fosfato a sua volta legato con una particolare catena glucidica formato da tre residui di mannosio e da un residuo di glicosammina che si lega con legame glicosidico all'inositolo di un fosfatidilinositolo di membrana.

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appunti sulle lipoproteine 2

enzima, caratterizzato da notevole analogia strutturale con la lipoproteina lipasi non richiede apo C-II per la sua attivazione ed è responsabile dell'idrolisi dei trigliceridi contenuti nelle HDL, specie HDL2 (come descritto in seguito), e nei remnants.

LCAT E' responsabille della sintesi di tutto il colesterolo esterificato contenuto nelle lipoproteine plasmatiche. E' sintetizzata negli epatociti ed è rilasciata nel sangue dove si associa alle HDL. Come già accennato, in alcune specie animali comprendenti l'uomo, il prodotto dell'attività LCAT, cioè gli esteri del colesterolo, sono trasferiti ad altre lipoproteine dalla CETP, mentre all'interno delle HDL l'apo-D probabilmente agisce da proteina legante il colesterolo esterificato. L'insieme della LCAT, CETP e apo-D costituisce un sistema che riveste un ruolo centrale nel processo di trasporto inverso del colesterolo. Si usa il termine inverso per indicare un percorso opposto a quello principale cioè il rifornimento di colesterolo ai tessuti extraepatici operato dal fegato attraverso le lipoproteine. Quindi, nel trasporto inverso il colesterolo torna al fegato dai tessuti extraepatici. Tale processo consente ai tessuti extraepatici sprovvisti degli enzimi che catalizzano la sintesi degli acidi biliari e quindi incapaci di catabolismo endogeno del colesterolo di operare un regolare turnover del colesterolo cellulare.

Ricettore per apo B/E Il catabolismo delle lipoproteine contenenti apo-B termina obbligatoriamente con un processo di endocitosi che segue il legame delle lipoproteine a specifici

ricettori. Nel caso delle HDL, che non contengono apo-B, il destino finale è meno chiaro, mentre nel caso dei chilomicroni remnants e delle VLDL l'endocitosi a livello epatico (attraverso i ricettori che riconoscono preferenzialmente l'apo E) non costituisce il solo destino possibile. Tra i ricettori per le lipoproteine, il ricettore per le LDL, detto anche ricettore per apoB/E, è quello più caratterizzato. Nell'uomo è una glicoproteina della membrana plasmatica di 839 aminoacidi che contiene almeno due catene glucidiche legate all'azoto di un residuo di asparagina e circa 18 catene glucidiche legate all'ossidrile di residui di serina o treonina (2/3 di questi residui glucidici sono confinati ad un particolare dominio di 58 aminoacidi, come viene descritto più avanti). Il ricettore per le LDL lega due proteine: 1) apoB-100, presente nelle LDL in un rapporto rigorosamente di una apo B per ciascuna LDL; 2) apo-E, una proteina presente nelle VLDL, IDL e HDL, oltre che nei chilomicroni remnants con più molecole per ciascuna lipoproteina. L'affinità per le lipoproteine è funzione non solo del tipo di apoproteina ma anche del loro numero. Una liporoteina contenente più copie di apo E può avere un'affinità per il ricettore anche 20 volte più elevata di una LDL contenente una sola apo B-100. Nel ricettore si riconoscono 5 domini che vengono descritti a partire dall'N terminale:

1. Dominio di legame: cosituito da 292 amino acidi che sono il risultato del ripetersi di un tratto di circa 40 aminoacidi arrangiati con modalità testa-coda. Ognuno di questi tratti contiene a sua volta sei cisteine che formano tre ponti disolfuro all'interno di ciascun tratto ripetuto. In ciascuno di questi tratti

Metabolismo dei CHILOMICRONI. APO-A: apolipoproteina A; APO-B: apolipoproteina B; APO-C: apolipoproteina C; APO-E: apolipoproteina E; HDL: lipoproteine ad alta densità; TG: trigliceridi; C: colesterolo; P: fosfolipidi.

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appunti sulle lipoproteine 3

ripetuti, la porzione verso il C-terminale presenta un'alta densità di aminoacidi carici negativamente. Viceversa la porzione centrale è relativamente idrofobica. I ponti disolfuro sono contenuti in questa zona idrobica che a sua volta è affiancata dalle regioni idrofiliche che con le cariche negative interagiscono verosimilmente con residui ricchi di carichepositive delle aporoteine (ad esempio arginine e lisine dell'apo E).

2. Dominio omologo all'EGF (epidermal growth factor). Questa porzione di 400 aminoacidi mostra un'omologia del 35% con l'EGF ed è necessaria per la dissociazione del ricettore dal ligando che avviene negli endosomi e consente il riciclaggio dei ricettori. E' anche necessario per legare l'apo B-100 delle LDL ma non per legare l'apo E.

3. Dominio delle catene glucidiche. Questo tratto di 58 aminoacidi è particolarmente ricco di serine e treonine che legano catene glucidiche di cui non è conosciuta la funzione. L'eliminazione di questo tratto non modifica infatti la funzionalità del ricettore.

4. Dominio transmembrana. Costituito di 22-25 aminoacidi idrofobici, ancora il ricettore alla membrana. E' stato escluso (per adesso) un ruolo di tale tratto nella trasduzione di segnali transmembrana o la funzione di canale ionico. In altri termini il processo di endocitosi avviene senza che siano necessari un segnale ormonale trasdotto nel citoplasma o il passaggio di ioni.

5. Dominio citoplasmatico. Costituito da 50 aminoacidi è necessario per la localizzazione del ricettore in quelle particolari zone della membrana plasmatica rivestite da clatrina sul versante

citoplasmatico dove inizia il processo di endocitosi.

METABOLISMO DELLE LIPOPROTEINE

Chilomicroni Al momento della secrezione dall'enterocita, le apoproteine costituenti i chilomicroni sono la apo B-48 e la apo A-I (oltre ad altre apo A come A-I e A-IV). In circolo i chilomicroni associano apoproteine del gruppo C (e in particolare C-II, l'attivatore della lipoproteina lipasi) e l'apo E per trasferimento dalle HDL. Come è noto i chilomicroni interagiscono con la lipoproteina lipasi perdendo il loro contenuto in trigliceridi. Al contempo una quota di fosfolipidi e di apo A vengono trasferite alle HDL e questi cambiamenti si traducono in una riduzione dell'affinità dei chilomicroni per l'apo C-II che viene rilasciata e torna alle HDL. I chilomicroni remnants così formati (che posseggono il 10-20% del contenuto di triglceridi dei chilomicroni nascenti), avendo perso l'apo C-II, non possono più interagire con la lipoproteina lipasi e vengono rilasciati in circolo. Ad ultimo, attraverso l'apo E, interagiscono con specifici ricettori della membrana plasmatica degli epatociti e vengono internalizzati con un processo di endocitosi. Nella prima fase del loro metabolismo i chilomicroni cedono i trigliceridi in essi contenuti direttamente ai tessuti extraepatici. Nella seconda fase, come remnants, riversano i trigliceridi restanti e il colesterolo nella cellula epatica. Il fegato a sua volta riversa di nuovo in circolo l'eccesso di trigliceridi e il colesterolo veicolandoli con le VLDL.

Metabolismo delle LIPOPROTEINE A BASSISSIMA DENSITA' (VLDL). APO-A: apolipoproteina A; APO-B: apolipoproteina B; APO-C: apolipoproteina C; APO-E: apolipoproteina E; HDL: lipoproteine ad alta densità; TG: trigliceridi; C: colesterolo; P: fosfolipidi; IDL: lipoproteine a densità intermedia; LDL: lipoproteine a bassa densità.

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appunti sulle lipoproteine 4

Nell'uomo il colesterolo contenuto nelle VLDL è prevalentemente non esterificato per la scarsa attività della ACAT (acil CoA:colesterolo aciltrasferasi) intracellulare.

VLDL Le apoproteine contenute nelle VLDL al momento della loro secrezione sono: apo B-100 e scarse quantità di apo E e apo C. La quantità di queste due ultime proteine viene accresciuta in circolo per trasferimento dalle HDL, come già descritto per i chilomicroni. Simile a quanto descritto per i chilomicroni è anche la prima fase del metabolismo delle VLDL, che cedono i loro trigliceridi ai tessuti extraeapatici per interazione con la lipoproteina lipasi mediata dall'apo C-II. La velocità di idrolisi dei trigliceridi delle VLDL è più lenta di quelli contenuti nei

chilomicroni e questo probabilmente in relazione al diametro minore delle VLDL che quindi possono legare un minor numero di molecole di lipoproteina lipasi. Ne deriva che il tempo medio di residenza dei chilomicroni in circolo è di 5-10 minuti, mentre quello delle VLDL varia tra 15 e 60 minuti. La cessione dei trigliceridi trasforma le VLDL in particelle di dimensioni minori, i remnants delle VLDL. Durante questa trasformazione in aggiunta alla perdita dell'apo C-II (analoga a quella descritta per i chilomicroni) si scopre il sito di legame dell'apo E per gli appositi ricettori. Infatti, anche se appena secrete le VLDL contengono già l'apo-E, il sito di legame di questa apoproteina, come anche quello dell'apo-B, non è esposto, impedendo un futile processo di endocitosi della lipoproteina appena secreta.

Metabolismo delle LIPOPROTEINE AD ALTA DENSITA' (HDL). LCAT: lecitina colesterolo aciltrasferasi; APO-A: apolipoproteina A; APO-B: apolipoproteina B; APO-C: apolipoproteina C; APO-E: apolipoproteina E; HDL: lipoproteine ad alta densità; HRHL: lipasi epatica rilasciata dall'eparina;TG: trigliceridi; C: colesterolo libero; CE: colesterolo esterificato; LPL: lipoproteina lipasi; P: fosfolipidi; IDL: lipoproteine a densità intermedia; LDL:

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appunti sulle lipoproteine 5

Le VLDL interagiscono con i ricettori (impropriamente definiti) per le LDL tramite l'apo E. La presenza di diverse molecole di apo E in ciascun remnant, come già accennato, aumenta l'affinità per il ricettore e facilita la rimozione della lipoproteina stessa dal circolo. Questo risulta particolarmente vero per i remnants di dimensioni maggiori, in generale ottenuti a partire dalle VLDL più grandi. Le VLDL più piccole tendono a trasformarsi in remnants di piccolo diametro che rimangono più a lungo in circolo, dando origine in parte alle IDL. Queste a loro volta a seguito di un processo di lipolisi (quindi ulteriore perdita di trigliceridi e riduzione di diametro), mediato soprattutto dalla lipasi epatica, danno origine alle LDL. Queste ultime lipoproteine contengono quantità irrilevanti di apo E ed interagiscono con i ricettori per le LDL tramite l'apo B-100. Il destino dei remnants delle VLDL è dunque assai differente da quello dei chilomicroni remnants. Da questi ultimi infatti non si generano particelle con scarso o nullo contenuto di apo E, come nel caso delle VLDL. Del resto l'eliminazione di eventuali remnants dei chilomicroni privati dell'apo E sarebbe praticamente impossibile. Infatti l'apo B-48 non viene riconosciuta dal ricettore per le LDL. Nell'uomo circa la metà dei remnants delle VLDL è convertito in LDL. E' da sottolineare che mentre il destino finale dei remnants delle VLDL è esclusivamente l'endocitosi da parte dell'epatocita, le LDL possono cedere, e cedono, il loro contenuto anche ai tessuti extraepatici. Tuttavia, in condizioni normali, la rimozione delle LDL dal circolo è prevalentemente a carico del fegato.

HDL Le apoproteine principali delle HDL neoformate sono quelle del gruppo A (soprattutto A-I e A-II). Nell'intestino queste proteine vengono in parte associate ai chilomicroni e in parte alle HDL nascenti. Le HDL possono essere sintetizzate anche dal fegato. In questo caso conterranno al momento della secrezione anche l'apo E. In ogni caso al momento della loro comparsa nella linfa o nel sangue hanno la forma di dischi lamellari o piccoli aggregati micellari. Nel plasma le HDL nascenti si arricchiscono di componenti di superficie delle lipoproteine ricche di trigliceridi che da queste si liberano durante il processo di idrolisi dei trigliceridi catalizzato dalla lipoproteina lipasi. Tali componenti sono fosfolipidi, colesterolo ed alcune apoproteine. Come è noto nelle HDL la fosfatidilcolina cede l'acile in posizione 2 al colesterolo in una reazione catalizzata dalla LCAT che necessita della presenza di apo A-I. I prodotti di questa reazione subiscono destini diversi. La lisolecitina viene rimossa mediante trasferimento all'albumina plasmatica. Gli esteri del colesterolo si accumulano nel core idrofobico della lipoproteina oppure vengono trasferiti ad altre lipoproteine, specie LDL, tramite la CETP. Arricchendosi di esteri del colesterolo le HDL nascenti si ingrandiscono assumendo forma sferica. Le maggiori dimensioni possono essere anche il risultato di processi di fusione. Poichè i componenti necessari per l'ingrandimento delle HDL derivano dalle altre lipoproteine, una lipolisi efficiente stimola la trasformazione delle HDL ed in ultima analisi accelera l'esterificazione del colesterolo. Quindi due processi apparentemente disgiunti, quali idrolisi dei trigliceridi nelle VLDL e nei chilomicroni da una parte ed esterificazione del colesterolo nelle HDL dall'altra, sono in qualche modo correlati. Il colesterolo, substrato per la LCAT, deriva non solo dalle altre lipoproteine ma anche dalle membrane plasmatiche cellulari. Tale processo si riduce quando chilomicroni e VLDL sono particolarmente ricchi di

colesterolo, riducendo al contempo la rimozione dell'eccesso di colesterolo dei tessuti periferici. In altri termini in condizioni patologiche (ma probabilmente frequenti) si crea una sorta di competizione tra l'eccesso di colesterolo contenuto nelle cellule e quello veicolato dalle lipoproteine, competizione per la cessione del colesterolo alle HDL che a loro volta lo veicolano al fegato nel processo di trasporto inverso del colesterolo. A seconda delle dimensioni si distinguono due sottoclassi di HDL. Le HDL più grandi vengono definite HDL2, le più piccole HDL3. In base alla relazione inversa tra dimensione e densità e quindi contenuto lipidico valida per tutte le lipoproteine, nelle HDL2 il contenuto lipidico è più abbondante. I lipidi in questo sottogruppo sono costituiti non solo da esteri del colesterolo, ma anche da trigliceridi. I processi metabolici che presiedono alla trasformazione di una classe nell'altra non sono stati completamente definiti. L'iniziale accrescimento delle HDL nascenti porta alla formazione delle HDL3. In esse le dimensioni e l'opportuno rapporto fosfolipidi/colesterolo libero favorisce il legame con la LCAT e la sua attività. L'ulteriore ingrandimento, conseguente all'accumulo di esteri del colesterolo, riduce l'affinità per la LCAT e favorisce lo scambio degli esteri del colesterolo con le altre lipoproteine mediato dalla CETP. Lo scambio, tuttavia, non appare essere univoco e unidirezionale. Sembra infatti che la CETP porti il colesterolo esterificato alle LDL e alle VLDL per poi trasportare in direzione opposta trigliceridi alle HDL2. Le LDL, come già descritto, portano successivamente per endocitosi il colesterolo esterificato nella cellula epatica. A sua volta il carico di trigliceridi fa si che le HDL2 diventino suscettibili di lipolisi catalizzata dalla lipasi epatica. Tramite la lipasi epatica le HDL2 si riducono di volume tornando ad essere HDL3, che possono così caricarsi nuovamente di colesterolo esterificato. Questo ciclo porta dunque il colesterolo libero dalle VLDL e dai chilomicroni ad essere esterificato nelle HDL, per poi essere ceduto attraverso le LDL al fegato (anche se come è stato illustrato è possibile anche l'endocitosi e quindi il rifornimento di colesterolo nei tessuti extraepatici). Tale processo è uno dei modi, forse quello più rilevante, con cui si attua il trasporto inverso del colesterolo. Alternativamente le HDL possono cedere loro stesse il colesterolo esterificato al fegato. E' possibile attraverso modalità non ben definite il trasferimento diretto, mediato forse dalla CETP, del colesterolo esterificato dalle HDL all'epatocita senza endocitosi. Un altra e più frequente possibilità prevede l'associazione dell'apo E alle HDL2 che possono così legarsi ai ricettori specifici. Tale possibilità sarebbe messa in opera soprattutto per quanto riguarda il trasporto di colesterolo dai tessuti al fegato. I macrofagi in modo particolare, e meno efficacemente numerosi tessuti, sono in grado di sintetizzare apo E che sarebbe così trasferita alle HDL insieme al colesterolo. Questo processo è probabilmente coinvolto nel limitare l'espansione del processo aterosclerotico. Si è visto infatti che le HDL rimuovono il colesterolo anche dai macrofagi trasformati in cellule schiumose (foam cells). Inoltre, nei conigli l'infusione di particelle contenenti HDL si è dimostrata in grado di provocare la regressione del processo aterosclerotico.

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Integrazione dei processi metabolici nell'alternanza tra digiuno e alimentazione

Non tutti i principali processi metabolici dell'organismo avvengono contemporaneamente in ogni tessuto. E importante sapere: (a) quali tessuti sono maggiormente attivi nei diversi processi metabolici, (b) quando questi processi sono più o meno attivi, e (c) come questi processi sono controllati e coordinati nei differenti stati nutrizionali. I processi metabolici che verranno presi in considerazione sono glicogenesi, glicogenolisi, gluconeogenesi, glicolisi, sintesi degli acidi grassi, ossidazione degli acidi grassi, ciclo dell'acido citrico, chetogenesi, ossidazione degli aminoacidi, sintesi proteica, proteolisi e sintesi dell'urea. Il ciclo digiuno-alimentazione permette un consumo variabile di alimenti per far fronte ad una variabile richiesta metabolica. Il termine alimentazione si riferisce all'assunzione di cibi (apporto variabile di alimenti) seguita da un accumulo di riserve alimentari (sotto forma di glicogeno e lipidi) destinate ad essere utilizzate per far fronte alle esigenze metaboliche durante il periodo di digiuno. L'organismo umano ha la capacità di consumare una quantità di cibo circa 100 volte maggiore della sua richiesta calorica basale. Questo ci permette di sopravvivere fra un pasto e l'altro senza dover mangiare continuamente. In questo modo accumuliamo le calorie come glicogeno e lipidi e le utiizziamo al momento del bisogno. Sfortunatamente, una quasi illimitata capacità di consumare cibo è accompagnata da una quasi illimitata capacità di immagazzinarlo come grasso. L'obesità è la diretta conseguenza di un'eccessiva assunzione di cibo ed è un problema comune delle nazioni ricche, mentre altre forme dimalnutrizione sono maggiormente diffuse nei paesi in via di sviluppo. Ogni giorno è scandito dai susseguirsi di cicli digiuno-alimentazione. Nella maggior parte dei casi il consumo di alimenti equivale alla loro utilizzazione. La regolazione del consumo del cibo è estremamente complessa e non ancora ben chiarita; tale processo necessita di un controllo molto stretto, come è indicato dal calcolo che l'assunzione giornaliera di due panetti di burro (circa 100 cal) in più rispetto al consumo calorico si traduce in un aumento di peso di circa 5 Kg in un anno, che, moltiplicato per 10 anni, equivale ad obesità!

Ciclo digiuno-alimentazione

Fase post-prandiale La figura 1 mostra il destino di glucosio, aminoacidi e grassi acquisiti con il cibo; è da notare la differente via attraverso la quale i grassi entrano nel torrente circolatorio. Il glucosio e gli aminoacidi passano direttamente nel sangue dalle cellule dell'epitelio intestinale e sono condotte ai fegato attraverso la vena porta. I grassi, contenuti nei chilomicroni, sono secreti dalle cellule epiteliali dell'intestino nei dotti linfatici che drenano l'intestino stesso. Questi ultimi portano al dotto toracico, che, attraverso la vena succlavia, libera i chilomicroni nel sangue in una zona di flusso veloce, che si incarica di distribuirli rapidamente e impedisce la coalescenza delle particelle di grasso. Il fegato è il primo organo che ha l'opportunità di utilizzare il glucosio della dieta. Nel fegato il glucosio può essere convertito in glicogeno mediante la gluconeogenesi, in piruvato e lattato mediante la glicolisi o può essere utilizzato nella via dei pentoso fosfati per la produzione di NADPH necessario per vari processi sintetici. Il piruvato può essere ossidato ad acetil CoA,

che a sua volta può essere convertito in grassi od ossidato a CO2 ed H2O mediante il ciclo dell'acido citrico. Parte del glucosio proveniente dall'intestino oltrepassa il fegato e raggiunge altri tessuti. Il cervello dipende quasi esclusivamente dal glucosio per la produzione di ATP; altri tessuti che utilizzano prevalentemente il glucosio sono i globuli rossi, che possono trasformare il glucosio solo in lattato e piruvato, ed il tessuto adiposo che lo trasforma in grassi. Anche il tessuto muscolare ha la capacita' di utilizzare il glucosio, trasformandolo in glicogeno o utilizzandolo nella via glicolitica e nel ciclo degli acidi tricarbossilici. Molti tessuti producono lattato e piruvato, a partire dal glucosio circolante, attraverso la glicolisi. Il lattato e il piruvato prodotti nei tessuti periferici sono assorbiti dal fegato e convertiti in grassi mediante il processo di lipogenesi. Nella fase post-prandiale, il fegato utilizza glucosio e non attiva la gluconeogenesi; di conseguenza si ha l'interruzione del ciclo di Cori, che comprende la conversione di glucosio a lattato nei tessuti periferici, seguita dalla riconversione di lattato a glucosio nel fegato. Le proteine della dieta sono idrolizzate nell'intestino, le cui cellule utilizzano alcuni aminoacidi come fonte di energia.

La maggior parte degli aminoacidi che provengono dalla dieta sono trasportati nel sangue portale; tuttavia l'intestino metabolizza aspartato, asparagina, glutamato e glutamina, rilasciando nel sangue portale alanina, lattato, citrullina e prolina. Successivamente gli aminoacidi possono essere assorbiti a livello epatico (Fig. 1); generalmente il fegato lascia passare la maggior parte degli aminoacidi a meno che la loro concentrazione ematica non sia insolitamente elevata; ciò è particolarmente importante per gli aminoacidi essenziali, che sono necessari a tutti i tessuti dell'organismo per la sintesi proteica. Il fegato può catabolizzare gli aminoacidi; molti degli enzimi coinvolti in questi processi catabolici hanno alti valori di Km per i loro substrati. Gli aminoacidi devono essere quindi presenti in alta concentrazione negli epatociti prima che possa avvenire un catabolismo apprezzabile. Le aminoacil-tRNA-sintetasi hanno invece valori molto più bassi di Km per gli aminoacidi; questo fatto, sempre che la cellula abbia la necessaria disponibilità di aminoacidi, facilita il processo di sintesi proteica, essenziale per la crescita e per il turnover proteico. Gli aminoacidi in eccesso possono essere ossidati completamente a CO2 e H2O, oppure gli intermedi prodotti possono essere utilizzati come substrati per la lipogenesi mentre l'azoto aminico viene convertito in urea. Gli aminoacidi che oltrepassano il fegato, possono essere utilizzati in altri tessuti per la sintesi proteica o per la produzione di energia. Il muscolo scheletrico e il cuore hanno un'alta capacità di transaminare gli aminoacidi e di ossidare i corrispondenti α-chetoacidi a CO2 e H2O. Gli aminoacidi a catena ramificata (leucina, isoleucina e valina) sono metabolizzati in maniera particolare: il fegato ha una scarsa capacità di transaminare questi aminoacidi, ma una notevole capacità di operare la decarbossilazione ossidativa degli α-chetoacidi corrispondenti; d'altra parte il muscolo scheletrico ha una considerevole capacità di transaminazione, ma è povero degli enzimi responsabili delle reazioni cataboliche successive. Di conseguenza, la maggior parte delle reazioni di transaminazione avvengono a livello del muscolo scheletrico e gli α-chetoacidi che si formano sono trasportati dal torrente circolatorio al fegato, dove sono ossidati. Nel muscolo gli aminoacidi a catena ramificata sono la principale sorgente di azoto per la produzione di alanina e glutamina. La citrullina prodotta nell'intestino è metabolizzata dai reni ad arginina; il fegato utilizza poi l'arginina per generare urea ed ornitina. Quindi, dopo un pasto ad alto contenuto proteico, si hanno livelli di ornitina superiori alla norma; il fegato risponde prontamente a questo stimolo

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Digiuno e alimentazione 2

aumentando la propria capacità di sintetizzare urea. Per quanto riguarda la distribuzione dei lipidi nei vari tessuti, bisogna fare una distinzione fra lipidi endogeni ed esogeni (fig. 1). Glucosio, lattato, piruvato e aminoacidi possono essere utilizzati per la lipogenesi epatica; i lipidi prodotti da questi substrati sono rilasciati dal fegato sotto forma di VLDL. I lipidi della dieta entrano nel torrente circolatorio sotto forma di chiomicroni; sia i chilomicroni che le VLDL circolano nel sangue fino a che non subiscono l’azione di un enzima extracellulare, la lipoproteina lipasi, legato alle cellule endoteliali dei capillari. Tale enzima, particolarmente abbondante nei capillari del tessuto adiposo, agisce sia sui chilomicroni che sulle VLDL liberando acidi grassi per idrolisi dei triacilgliceroli. Gli acidi grassi sono quindi assorbiti dagli adipociti, riesterificati con glicerolo 3-fosfato per formare triacilgliceroi e depositati all’interno di queste cellule sotto forma di grosse gocce di grasso. Il glicerolo 3-fosfato, necessario per la formazione dei triacilgliceroli nel tessuto adiposo, è prodotto a partire dal glucosio mediante la prima metà della via glicolitica che genera

diidrossiacetonfosfato il quale è ridotto a sua volta a glicerolo 3-fosfato dalla glicerolo 3-fosfato deidrogenasi. Le cellule β del pancreas sono molto sensibili all’afflusso di glucosio e di aminoacidi nella fase di alimentazione. Infatti, durante e dopo i pasti, queste cellule liberano insulina, che è essenziale per il metabolismo dei suddetti composti da parte del fegato, del muscolo e del tessuto adiposo.

Fase iniziale di digiuno La figura 2 mostra cosa succede nella fase iniziale di digiuno, dopo l’interruzione del flusso di alimenti dall’intestino. In questa fase la glicogenolisi epatica è molto importante per il mantenimento del normale livello di glucosio nel sangue. La lipogenesi viene interrotta e il lattato, il piruvato e gli aminoacidi che erano utilizzati per questa via metabolica, sono convogliati verso la formazione di glucosio. Il ciclo di Cori diviene a questo punto un’importante via per il mantenimento dei livelli ematici di glucosio che si forma nel fegato a partire dal lattato ed è quindi trasformato di nuovo in lattato mediante la glicolisi a livello di tessuti

Vena porta

Vasi linfatici

Intestino

Fegato

Eritrociti

Muscoli

Cervello

Tessutoadiposo

Pancreas endocrinocellule β

Glucosio

Aminoacidi

TG

Glucosio Glicogeno

Aminoacidi

Insulina

TG

TG

chilomicroniVLDL

Lattato

Sintesiproteica

PiruvatoUrea

Lattato

C O + H O2 2

Glicogen

o

Glicogeno

C O + H O2 2

Figura 1. Utilizzazione dei diversi substrati e relazioni metaboliche tra i vari organi nella fase post-prandiale. TG: trigliceridi.

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Digiuno e alimentazione 3

periferici e in cellule circolanti quali i globuli rossi. In questa situazione assume notevole importanza anche il ciclo dell’alanina, nel quale gli atomi di carbonio ritornano al fegato sotto forma di alanina invece che di lattato. Nella fase iniziale di digiuno il catabolismo degli aminoacidi a scopo energetico è fortemente diminuito perché si riduce la disponibilità di aminoacidi a livello intestinale.

Digiuno prolungato La figura 3 mostra cosa accade nella fase di digiuno. Nessun alimento proviene dall’intestino e nel fegato rimane una piccola quantità di glicogeno; i tessuti che utilizzano glucosio dipendono così completamente dalla gluconeogenesi epatica, principalmente dal lattato, dal glicerolo e dall’alanina. Il ciclo di Cori e il ciclo dell’alanina descritti precedentemente giocano in questa fase un ruolo determinante; tuttavia questi due cicli non comportano la sintesi netta di glucosio a livello epatico, in quanto il glucosio prodotto nel fegato a partire da lattato ed alanina rimpiazza semplicemente quello che era stato trasformato in lattato ed alanina nei tessuti periferici. Il cervello ossida completamente il glucosio a CO2 ed H2O; di conseguenza, durante il digiuno, è indispensabile la sintesi netta di glucosio a partire da

altri precursori. Gli acidi grassi non possono essere utilizzati per la sintesi di glucosio, perché l’acetil CoA prodotto dal loro catabolismo non può essere convertito negli intermedi a tre atomi di carbonio della gluconeogenesi. Il glicerolo, prodotto secondario della lipolisi nel tessuto adiposo, è un substrato importante per la sintesi del glucosio nella fase di digiuno. Sono tuttavia le proteine, specialmente quelle del muscolo scheletrico, a fornire principalmente lo scheletro carbonioso necessario per la sintesi netta di glucosio; le proteine sono idrolizzate nelle cellule dei muscoli (proteolisi) per produrre aminoacidi, la maggior parte dei quali non è rilasciata nel torrente circolatorio ma viene parzialmente metabolizzata nelle stesse cellule muscolari. Solo due aminoacidi, alanina, glutamina, sono immessi nel sangue in grandi quantità; tutti gli altri sono sottoposti a processi metabolici che, attraverso la formazione di intermedi quali piruvato e α-chetoglutarato, portano alla produzione di alanina e glutamina. Questi aminoacidi passano quindi nel sangue e da qui nel fegato o nei reni dove costituiscono il punto di partenza per la formazione di glucosio. L’alanina è quantitativamente il più importante substrato glicogenico. I reni ed i muscoli ossidano prevalentemente gli acidi grassi a glucosio; i muscoli inoltre forniscono α-chetoacidi a catena

Vena porta

Vasi linfatici

Intestino

Fegato

Eritrociti

Muscoli

Cervello

Tessutoadiposo

Pancreas endocrinocellule α

Glucosio

Glucagone

Lattato

Piruvato

Lattato

CO + HO2 2

CO + HO2 2

Glicogeno

Piruvato

Alanina

Figura 2. Relazioni metaboliche tra i vari organi durante la fase imiziale del digiuno

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Digiuno e alimentazione 4

ramificata al fegato, che sintetizza glucosio dal chetoacido della valina, corpi chetonici dal chetoacido della leucina e, sia glucosio che corpi chetonici, dal chetoacido della isoleucina. È stato dimostrato che molta della glutamina rilasciata dai muscoli è convertita in alanina dall’epitelio intestinale. La glutamina è parzialmente ossidata in queste cellule per produrre energia; gli atomi di carbonio e i gruppi aminici non utilizzati ritornano in circolo come alanina e NH4+. Questa via metabolica probabilmente comporta la formazione di ossalacetato dalla glutamina attraverso il ciclo degli acidi tricarbossilici e la conversione di ossalacetato a fosfoenolpiruvato e infine di fosfoenolpiruvato a piruvato. E' inoltre possibile la decarbossilazione ossidativa diretta di malato a piruvato; il piruvato è quindi trasformato in alanina attraverso una reazione di transaminazione. La glicina rilasciata dai muscoli è in parte trasformata in serina dai reni; la serina è quindi convertita a glucosio dal fegato o dai reni. La sintesi di glucosio nel fegato durante il digiuno è strettamente legata alla sintesi dell’urea. La maggior parte degli aminoacidi può scambiare, per transaminazione, il gruppo aminico con l’α-chetoglutarato, formando glutamato ed un nuovo α-

chetoacido che può essere utilizzato per la sintesi di glucosio. Il glutamato fornisce i due composti azotati necessari per la sintesi dell’urea: l’ammoniaca, per deaminazione ossidativa ad opera della glutamico deidrogenasi, e l’aspartato, per transaminazione con ossalacetato ad opera dell’ aspartico aminotransferasi. Un’altra importante fonte di ammoniaca è la mucosa intestinale, che converte la glutamina ad alanina ed ammoniaca. Inoltre l’intestino rilascia precursori dell’ornitina quali la citrullina, come descritto precedentemente. Anche il tessuto adiposo è molto importante nello stato di digiuno. Durante questa fase la lipolisi è fortemente attivata a causa del basso rapporto insulina:glucagone; ciò comporta un aumento del livello ematico degli acidi grassi, che possono essere utilizzati come combustibile in molti organi in alternativa al glucosio. Nel cuore e nei muscoli l’ossidazione degli acidi grassi inibisce la glicolisi; il cervello invece non ossida gli acidi grassi perché essi non possono attraversare la barriera emato-encefalica. Nelle cellule epatiche l’ossidazione degli acidi grassi fornisce la maggior parte dell’ATP necessario per la gluconeogenesi. Solo una piccola parte dell’acetil CoA prodotto nel fegato dalla β-ossidazione

Pancreas endocrinocellule α

Glucosio

Glucagone

Lattato

Piruvato

Lattato

CO + HO2 2

TG

Proteine

AA

GliceroloNEFA

KBAlanina

CO + HO2 2

Proteine

AA

AlaninaGlutammina

Alanina

Ente

roci

ti

Urea

Figura 3. Relazioni metaboliche tr ai vari organi durante il digiuno prolungato. Le linee nere illustrano le vie del metabolismo glucidico, mentre le vie del metabolismo dei lipidi e degli aminoacidi sono indicate rispettivamente dalle l inee verdi e dalle linee blu. AA: aminoacidi; KB: corpi chetonici; TG trigliceridi; NEFA: acidi grassi liberi.

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viene completamente degradato; in queste condizioni, infatti, l’acetil CoA è trasformato, nei mitocondri delle cellule epatiche, in corpi chetonici (acetoacetato e β-idrossibutirrato), che sono immessi nel circolo e utilizzati come fonte energetica da molti tessuti. La β-ossidazione, che porta alla formazione dei corpi chetonici, serve anche a produrre gli equivalenti riducenti, sotto forma di NADH(H+) utilizzati dalla gluconeogenesi. Inoltre il catabolismo lipidico nel suo complesso fornisce un ulteriore ausilio alla gluconeogenesi. La lipolisi del tessuto adiposo rilascia infatti nel torrente circolatorio non solo acidi grassi, ma anche glicerolo. Questo metabolita non è riutilizzabile dall'adipocita in quanto privo della capacità di fosforilarlo in a-glicerofosfato, il metabolita iniziale della sintesi dei trigliceridi. Il fegato, essendo l'unico tessuto in grado di fosforilare il glicerolo, può utilizzarlo come substrato per la gluconeogenesi. Come gli acidi grassi, anche i corpi chetonici sono preferiti al glucosio da molti tessuti; inoltre, a differenza degli acidi grassi, i corpi chetonici sono in grado di attraversare la barriera ematoencefalica. Quando la loro concentrazione ematica è abbastanza elevata, i corpi chetonici costituiscono una forma alternativa di combustibile per il cervello anche se non sono in grado di rimpiazzare completamente il fabbisogno cerebrale di glucosio. I corpi chetonici rallentano anche la proteolisi nel muscolo scheletrico e quindi riducono il deperimento muscolare che si manifesta durante il digiuno. Fino a quando i livelli ematici dei corpi chetonici sono mantenuti alti dalla β-ossidazione epatica, c’è meno bisogno di glucosio, di aminoacidi glicogenici e quindi di utilizzare i preziosi tessuti muscolari mediante proteolisi. Si comprende dunque come l'aumento dei

corpi chetonici nel plasma si correli con la riduzione dell'escrezione urinaria di azoto. Anche se l'ossidazione del glucosio è fortemente ridotta dall'abbondante disponibilità di acidi grassi e corpi chetonici, questi ultimi non possono essere ossidati in assenza di glucosio. Come già evidenziato per la gluconeogenesi, l'acetil CoA per essere introdotto nel ciclo di Krebs deve essere condensato con l'ossaloacetato che viene prodotto a partire dal piruvato. Occorre inoltre ricordare che il ciclo di Krebs non svolge solo una funzione energetica, ma fornisce i precursori per la sintesi di diverse macromolecole. Per tale ragione, l'allontanamento dal ciclo (cataplerosi) di intermedi utilizzati nei processi anabolici deve essere prontamente bilanciato dalla reintroduzione (anaplerosi) di nuovi scheletri carboniosi. Solo i carboidrati e gli amino acidi generano o sono essi stessi metaboliti anaplerotici (piruvato, malato glutammato e propionato), mentre tale funzione non viene affatto ricoperta dal catabolismo lipidico che riveste dunque una funzione meramente energetica. Le interrelazioni che si instaurano fra fegato, muscoli e tessuto adiposo allo scopo di fornire glucosio al cervello sono mostrate in figura 3. Il fegato sintetizza il glucosio, i muscoli forniscono il substrato (l’alanina) e il tessuto adiposo fornisce l’ATP (ossidazione degli acidi grassi) necessario per la gluconeogenesi epatica. Queste interrelazioni dipendono da un basso rapporto insulina:glucagone. I livelli ematici di glucosio, più bassi nella fase di digiuno, inibiscono la secrezione di insulina e favoriscono il rilascio di glucagone dal pancreas.

Fase iniziale di rialimentazione La figura 4 mostra cosa succede immediatamente dopo

Figura 4. Relazioni metaboliche tra i vari organi durante la fase imiziale di rialimentazione

Pancreas endocrinocellule β

Glucosio

Aminoacidi

TG

Glucosio

Aminoacidi

Insulina

TG

chilomicroni

Lattato

Sintesiproteica

PiruvatoUrea

Lattato

C O + H O2 2

Glicogen

o

Glicogeno

C O + H O2 2

VLDL

TG

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Tabella 2. Riserve energetiche nell'uomoa Combustibili Riserve di combustibili accumulati Tessuti grammi chilocalorie Glicogeno Fegato 70 280 Glicogeno Muscoli 120 480 Glucoso Fluidi 20 80 Lipidi Tessuto adiposo 15.000 133.000 Proteine Muscoli 6.000 24.000 a I valori si riferiscono a soggetti normali di 70 kg. I carboidrati contengono 4 kcal/g; i lipidi 9 kcal/g; le proteine 4 kcal/g.

che gli alimenti cominciano ad essere assorbiti dall’intestino. Durante questa fase del ciclo digiuno-alimentazione i lipidi sono metabolizzati come descritto precedentemente per la fase post-prandiale; il glucosio invece è poco assorbito dal fegato ed è scarsamente utilizzato per la sintesi epatica di glicogeno. Anche la glicolisi epatica viene ripristinata lentamente, cosicché il fegato rimane nella condizione gluconeogenica per alcune ore dopo il pasto. La gluconeogenesi epatica, tuttavia, invece di fornire glucosio al sangue, fornisce glucosio 6-fosfato per la sintesi del glicogeno. Questo significa che il glicogeno epatico non è ripristinato, dopo un digiuno, attraverso la sintesi diretta dal glucosio ematico, che è invece catabolizzato nei tessuti periferici a Iattato, convertito a sua volta nel fegato a glicogeno. Anche la gluconeogenesi da specifici aminoacidi provenienti dall’intestino può giocare un ruolo importante nel ristabilire il normale livello di glicogeno del fegato. Dopo poche ore dall’inizio della fase di rialimentazione tornano a stabilizzarsi le relazioni metaboliche descritte nella figura 1: la velocità della gluconeogenesi diminuisce, la glicolisi diventa la via predominante di utilizzazione del glucosio nel fegato, e il glicogeno epatico si riforma per sintesi diretta dal glucosio.

Rapporto insulina:glucagone I tessuti dell’organismo cooperano per mantenere una costante disponibilità di combustibile nel sangue. Questo processo, definito omeostasi calorica ed illustrato in tabella 1, significa che, indipendentemente dal fatto che un’individuo si trovi in condizioni di buona alimentazione, di digiuno o di digiuno avanzato, i livelli ematici dei composti che, in seguito a processi metabolici, forniscono ATP non scendono al di sotto di determinati valori limite. Le variazioni del rapporto insulina:glucagone, discusse precedentemente e mostrate in tabella 1, sono cruciali per il mantenimento appropriato della omeostasi calorica. È da notare che i

livelli ernatici di glucosio sono controllati entro limiti molto stretti, mentre la concentrazione ematica degli acidi grassi e dei corpi chetonici può variare di uno o due ordini di grandezza rispettivamente. Il glucosio è mantenuto entro limiti molto stretti a causa dell’assoluto bisogno che il cervello ha di questo substrato; infatti, la diminuzione dei livelli ematici di glucosio al di sotto di certi limiti (<1.5 mM) provoca uno stato di corna per mancata produzione di ATP, seguito a breve distanza di tempo da morte se la situazione non viene rapidamente corretta. D’altra parte, anche l’iperglicemia deve essere evitata a causa del rischio di corna iperosmolare iperglicemico. L’iperglicernia inoltre comporta perdita di glucosio con le urine e glicosilazione di molte proteine. Quest’ultima, è ritenuta una delle più pericolose complicazioni causate da elevate e prolungate concentrazioni ematiche di glucosio.

Richieste e riserve energetiche Una persona normale che conduce una vita sedentaria consuma giornalmente circa 200g di carboidrati, 70g di proteine, 60g di grassi e 100g di etanolo, il che comporta un fabbisogno energetico giornaliero di 1600-2400 kcal. Come mostrato in tabella 2, le riserve energetiche di una persona di media corporatura sono considerevoli. Generalmente si tende a sottolineare i dettagli del metabolismo del glicogeno, e in effetti la capacità di utilizzare rapidamente il glicogeno è molto importante; tuttavia la tabella 2 dimostra che le nostre riserve di glicogeno sono trascurabili rispetto alle riserve di grassi. Nei soggetti obesi quest’ultime possono raggiungere 80 Kg, aggiungendo altre 585.000 Kcal alle loro riserve energetiche. Le proteine sono elencate nella tabella 2 come riserve energetiche, in quanto fonte di aminoacidi destinati a reazioni cataboliche. D’altra parte le proteine non sono inerti come i grassi di deposito e il glicogeno: le proteine contrattili dei muscoli ci fanno muovere e respirare, e gli enzimi rendono possibili i processi metabolici. Per questo motivo l’organismo è più restio a

rimuovere e cedere le proteine rispetto ai grassi ed al glicogeno.

L’omeostasi del glucosio è costituita da cinque fasi La figura 5 illustra gli effetti del lungo digiuno su quei processi impiegati dall’organismo per mantenere la omeostasi calorica. Sono state individuate cinque fasi. La fase I è lo stato di buona alimentazione, in cui il glucosio è

Tabella 1. Livelli ematici di substrati e ormoni in individui ben alimentati, a digiuno e a digiuno prolungato a Ormone o Buona Dopo il pasto Digiuno Digiuno prolungato substrato (unità) alimentazione (12 ore) (3 giorni) (5 sett.) Insulina (µtU/ml) 40 15 8 6 Glucagorie (pg/ml) 80 100 150 120 Rapp. insulina:glucagorìe (µµU/pg) 0.50 0.15 0.05 0.05 Glucoso (mM) 6.10 4.80 3.80 3.60 Acidi grassi (mM) 0.14 0.60 1.20 1.40 Acetoacetato (mM) 0.04 0.05 0.40 1.30 β-idrossibutirrato (mM) 0.03 0.10 1.40 6.00 Lattato (mM) 2.50 0.70 0.70 0.60 Piruvato (mM) 0.25 0.06 0.04 0.03 Alanina (mM) 0.80 0.30 0.30 0.10 Equivalenti di ATP (mM) 313 290 380 537 a I valori sono stati misurati in soggetti di peso normale eccetto quelli dopo 5 settimane di digiuno, che si riferiscono a soggetti obesi sottoposti a digiuno terapeutico. Gli equivalenti di ATP sono stati calcolati sulla base della produzione di ATP che ci si aspetta dalla completa ossidazione di ogni substrato a CO2 e H20: 38 molecole di ATP per ogni molecola di glucoso; 144 per gli acidi grassi (considerando l’oleato come media); 23 per l’acetoacetato; 26 per il ~-idrossibutirrato; 18 per il lattato; 15 per il piruvato e 13 (correggendo per la formazione di urea) per l’alanina.

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fornito dai carboidrati contenuti nella dieta. Quando questa fonte si esaurisce, i livelli ematici di glucosio sono mantenuti costanti dalla glicogenolisi epatica (fase Il). Nel momento in cui anche questa fonte di glucosio comincia a diminuire, la gluconeogenesi epatica da lattato, glicerolo e alanina diventa sempre più importante, fino a costituire, nella fase III, la principale sorgente di glucosio del sangue. Bisogna sottolineare che tutti questi cambiamenti avvengono entro circa 20 ore di digiuno, dipendendo ovviamente da quanto l’individuo si era alimentato prima del digiuno, da quanto glicogeno era presente nel fegato, e dal tipo di attività fisica svolta durante il digiuno. Parecchi giorni di digiuno portano l’individuo nella fase IV, in cui la dipendenza dalla gluconeogenesi addirittura diminuisce; infatti, come già discusso in precedenza, i corpi chetonici si sono accumulati in concentrazioni sufficientemente alte da entrare nel cervello e fornire parte dell’energia necessaria a questo organo. In questa fase la gluconeogenesi renale diventa significativa rispetto a quella epatica a causa di una diminuzione del volume del fegato. La fase V si verifica dopo un digiuno molto prolungato di individui estremamente obesi; è caratterizzata da una dipendenza ancora minore dalla gluconeogenesi, in quanto l’energia necessaria a quasi tutti i tessuti è fornita in misura ancora maggiore

dall’ossidazione degli acidi grassi e dei corpi chetonici. La proteolisi viene limitata e le proteine muscolari e gli enzimi sono risparmiati fino a quando l’organismo mantiene alti livelli di corpi chetonici; questa situazione perdura fino a che tutto il grasso viene utilizzato come conseguenza del digiuno; a questo punto l’organismo non può fare a meno di consumare le proteine muscolari. La morte sopraggiunge prima che esse siano completamente esaurite. La deplezione dei depositi di trigliceridi del tessuto adiposo determina condizioni incompatibili con la sopravvivenza. La ridotta disponibilità di acidi grassi e corpi chetonici comporta un progressivo aumento dell'utilizzazione periferica di glucosio. Il fegato per mantenere la glicemia utilizza gli amino acidi ricavati dalla proteolisi delle masse muscolari. Come già sottolineato questo meccanismo provoca la compromissione delle molteplici funzioni svolte dalle proteine, e trattandosi del muscolo scheletrico, viene alterata la capacità contrattile. Questo è forse l'ultimo meccanismo di difesa a disposizione dell'organismo che risparmia energia, e quindi consumo di glucosio, attraverso la riduzione del lavoro muscolare. Al contempo, viene però compromessa la dinamica respiratoria e, specie nei bambini, la morte sopraggiunge per infezioni polmonari.

Fase Origine del glucosio ematico

Tessuti utilizzanti glucosio Substrato principale del cervello

I Esogeno Tutti Glucosio

II Glicogeno Gluconeogenesi epatica Tutti tranne fegato Glucosio

III Gluconeogenesi epatica Glicogeno Tutti tranne fegato Glucosio

IV Gluconeogenesi epatica e renale

Cervello, eritrociti e surrene (meno i muscoli)

Glucosio e corpi chetonci

V Gluconeogenesi epatica e renale

Eritrociti e surrene (riduzione consumo cerebrale)

Corpi chetonici e glucosio

Figura 5 . Le cinque fasi dell'omeostasi del glucosio

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Caratteristica peculiare e drammatica della riduzione dell'apporto calorico è la diminuzione della massa corporea dovuta all'impoverimento sia del tessuto adiposo, sia delle masse muscolari. La sopravvivenza si correla infatti con l'indice di massa corporea (BMI, body mass index) che si ottiene dividendo il peso per la superficie corporea. Condizione affatto diversa è la malnutrizione proteica, che si realizza quando una dieta quasi esclusivamente amidacea riesce a mantenere un adeguato apporto calorico senza soddisfare la richiesta di proteine. La differenza fondamentale con il digiuno è il diverso rapporto insulina/glucagone. Nel caso della malnutrizione, l'euglicemia mantenuta dall'apporto alimentare, stimola la secrezione insulinica che deprime la lipolisi, favorendo il processo contrario, la liponeogenesi. Il pannicolo adiposo è mantenuto, mentre non si verifica la chetogenesi. Nel fegato, tuttavia, i trigliceridi neoformati non possono essere veicolati al tessuto adiposo, poichè la ridotta disponibilità di amino acidi interferisce con la sintesi delle lipoproteine (VLDL). Ne consegue un grado più o meno grave di compromissione epatica per steatosi.

Stress e digiuno Lo stato di stress è caratterizzato da aumentati livelli ematici di cortisolo, glucagone, catecolamine e ormone della crescita. Questi ormoni rafforzano il messaggio portato dalla riduzione del rapporto insulina/glucagone, favorendo in particolare la lipolisi del tessuto adiposo. Nel digiuno l'azione degli ormoni da stress è contrastata dalla ridotta formazione di triiodotironina, la forma attiva dell'ormone tiroideo. In questo modo si ha una diminuzione delle richieste energetiche basali fino al 25%, pur mantenendo lo stimolo lipolitico. Questa circostanza mette in risalto l'efficacia dei meccanismi di adattamento al digiuno. Nell'individuo traumatizzato, ma ben alimentato, si osserva spesso la difficoltà nel preservare le scorte proteiche del muscolo che è in parte da riferire alla ridotta o assente produzione di corpi chetonici. D'altro canto intervengono a stimolare la proteolisi, rendendo negativo il bilancio azotato, diverse citochine, quali TNFα e interleuchina 6 (IL6). Queste citochine sono prodotte in larga misura dal tessuto adiposo, che viene oggi visto come una vera e propria ghiandola endocrina. La riduzione della massa grassa durante il digiuno può dunque essere interpretata come un meccanismo di difesa teso a limitare l'orientamento catabolico. A tale meccanismo contribuisce probabilmente anche la riduzione della secrezione di leptina, un ormone anoressizante prodotto dal tessuto adiposo. Le citochine sono tuttavia importanti mediatori della risposta immunitaria e favoriscono i processi riparativi. L'IL6, ad esempio, stimola la sintesi di varie proteine epatiche, denominate proteine della fase acuta, implicate nei meccanismi di difesa contro le ferite e le infezioni. La diminuita produzione di citochine, derivante dalla riduzione della massa adiposa, può spiegare il calo delle difese immunitarie nel soggetto a digiuno.

Abuso di etanolo Le relazioni metaboliche tra i vari organi, caratteristiche del digiuno e dipendenti da un basso rapporto insulina-glucagone, sono totalmente alterate dall’alcool. Le alterazioni metaboliche create da un'elevata e frequente ingestione di bevande alcooliche sono ben documentate dall'analisi dei metaboliti circolanti che mostra ipoglicemia, ipochetonemia, iperlattacidemia ipertrigliceridemia e aumento delle VLDL. Tutti questi

segni possono essere spiegati dall'abnorme aumento del rapporto NADH(H+)/NAD+ generato dall'ossidazione dell'alcool etilico. L'utilizzazione dell'etanolo avviene primariamente nel fegato che, mediante l'alcool deidrogenasi, lo ossida ad acetaldeide nel citoplasma. Successivamente l'acetaldeide viene ossidata ad acido acetico da un'ulteriore deidrogenasi all'interno dei mitocondri. Ambedue queste reazioni utilizzano come accettori di equivalenti riducenti il NAD+ che viene così ridotto in NADH(H+). Apparentemente, dunque, l'etanolo si comporta come gli altri nutrienti: viene degradato ossidativamente e la riossidazione del NADH(H+) da parte della catena respiratoria consente la produzione di ATP. Tuttavia, mentre l'utilizzazione degli altri nutrienti è controllata da numerose regolazioni allosteriche ed è coordinata dagli stimoli ormonali, l'ossidazione dell'etanolo non è soggetta da alcun controllo e modifica la coordinazione esistente tra le altre vie metaboliche. Ne è prova significativa la paradossale concomitanza di ipoglicemia ed ipochetonemia. L'elevato rapporto NADH(H+)/NAD+ e la diminuita disponibilità di NAD+ modificano l'attività di diverse deidrogenasi fornendo il razionale biochimico del grave quadro di compromissione metabolica: a) acil CoA deidrogenasi: è questo la prima tappa della

β-ossidazione. La sua inibizione determina la mancata formazione di corpi chetonici e rende altresì disponibile una quantità elevata di acili per la sintesi dei trigliceridi.

b) lattico deidrogenasi: catalizza la trasformazione del lattato in piruvato. L'equilibrio della reazione viene spostato verso la formazione del lattato, eliminando la possibilità di trasformare in glucosio il lattato prodotto dai tessuti extraepatici (ciclo di Cori).

c) malico deidrogenasi: catalizza la trasformazione del malato in ossaloacetato che a sua volta viene immesso nella gluconeogenesi attraverso un processo di decarbossilazione e fosforilazione da cui origina il fosfoenolpiruvato. L'equilibrio viene spostato verso la formazione di malato eliminando di fatto la possibilità di utilizzare gli amino acidi come sustrati gluconeogenici.

d) α-glicerofosfato deidrogenasi: catalizza la trasformazione dell'α-glicerofosfato in fosfodiossiacetone, consentendo l'utilizzazione gluconeogenica del glicerolo rilasciato dal tessuto adiposo. L'inibizione di questa reazione, o meglio lo spostamento verso la formazione di α-glicerofosfato, rende disponibile questo metabolita per la sintesi dei trigliceridi ulteriormente favorita dall'accumulo degli acili (descritto al punto a). I trigliceridi in eccesso vengono in parte immessi in circolo sotto forma di VLDL, e in parte si accumulano nell'epatocita, favorendo l'instaurarsi della steatosi epatica.

L'elevato rapporto NADH(H+)/NAD+ inibisce anche il ciclo di Krebs, agendo come effettore allosterico negativo sulle deidrogenasi dell'isocitrato e dell'α-chetoglutarato. Si riduce di conseguenza l'attività della succinico tiochinasi e con essa la produzione del GTP necessario per la conversione dell'acetato in acetil CoA. L'epatocita diviene dunque incapace di degradare ossidativamente l'acetato che viene riversato nel torrente circolatorio. I tessuti extraepatici, e in particolare il miocardio, sono in grado di ossidare l'acetato, ma questa capacità ossidativa è ridotta dalla scarsa disponibilità di glucosio, necessario come già sottolineato, per mantenere un ritmo ottimale nel ciclo di Krebs. Di conseguenza anche la concentrazione di acetato nel plasma si eleva a valori millimolari.

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0HWDEROLVPR�HG�HVHUFL]LR �JUDGXDOPHQWH� LO� SDVVR� DO�PHWDEROLVPR� DHURELFR� FRQ� XQD�ULGX]LRQH�FRQVHJXHQWH�GHOOD�SRWHQ]D�VYLOXSSDWD�6L� UHDOL]]D� XQD� FDVFDWD� GL� HYHQWL� FKH� SXz� HVVHUH� YLVWD�FRPH� XQD� VRUWD� GL� VWDIIHWWD� QHOOD� TXDOH� L� SURGRWWL� GHOOH�UHD]LRQL� LQL]LDOL� UDSSUHVHQWDQR� LO� WHVWLPRQH� FKH�PHWWH� LQ�PRWR� L� SURFHVVL� VXFFHVVLYL� �)LJ�� ���� /LQL]LR� GL� TXHVWD�FDVFDWD� GL� HYHQWL� q� GHWHUPLQDWR� GD� XQR� VTXLOLEULR� WUD�VLQWHVL� H� SURGX]LRQH� GL� $73�� ,Q� DOWUL� WHUPLQL� DO� WHPSR�]HUR� GHOOHVHUFL]LR� OD� ULFKLHVWD� GL� $73� GD� SDUWH� GHOOD�FRQWUD]LRQH�VXSHUD�OD�FDSDFLWj�FKH�KD�LQ�TXHO�PRPHQWR�LO�PLRFLWD GL� SURGXUUH�$73��8QD� VLWXD]LRQH�GUDPPDWLFD�GL�VTXLOLEULR��FKH�LQQHVFD�WXWWDYLD�OD�VWHVVD�FDVFDWD�GL�HYHQWL��q�GHWHUPLQDWD�GDOOD�ULGRWWD�GLVSRQLELOLWj�GL�RVVLJHQR�/R�VTXLOLEULR�q�FUHDWR�VROR�GD�XQ�HVHUFL]LR�LQWHQVR��,QIDWWL��VH� GD� XQR� VWDWR� GL� ULSRVR� VL� SDVVD� DG� XQR� GL� PRGHVWD�DWWLYLWj�� OD� ULFKLHVWD� GL� $73� YHUUj� VRGGLVIDWWD� GDO�

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MECCANISMI DI DANNO ISCHEMICO NEL MIOCARDIO

Ruolo dei mitococondri

METABOLISMO ENERGETICO ED OMEOSTASI DEL Ca2+ NEL MIOCITA CARDIACO Nel miocita cardiaco l'incessante richiesta energetica dettata dalla contrazione è fronteggiata da una produzione di energia, sotto forma di ATP e fosfocreatina (PCr), sostenuta in modo praticamente univoco dal metabolismo ossidativo e dalla fosforilazione ossidativa mitocondriale. Questo spiega l'elevato contenuto di mitocondri e di mioglobina, accanto all'elevata capacità di utilizzare qualsiasi substrato e in modo particolare gli acidi grassi, substrato energetico praticamente inesauribile. La produzione di ATP è indubbiamente l'attività più rilevante, ma non l'unica, svolta dai mitocondri. In questi organelli avviene in parte la sintesi di importanti composti (es. l'eme). Inoltre, lo stesso potenziale di membrana mitocondriale (∆ψm) che consente la sintesi dell'ATP e ne facilita il trasporto nel citoplasma può essere utilizzato per il trasporto degli ioni. I mitocondri hanno infatti una notevole capacità di accumulo di Ca2+. Questa proprietà, facilmente documentabile nei mitocondri isolati, ha per anni relegato il trasporto mitocondriale di Ca2+ ad un ambito patologico. L'importo di Ca2+ compete infatti con la produzione di ATP. Inoltre, l'attivazione di enzimi litici (fosfolipasi e/o proteasi) porta ad alterazioni strutturali incompatibili con la produzione energetica. Inoltre, come descritto in un paragrafo successivo, elevate concentrazioni di questo catione provocano il rigonfiamento dei mitocondri e la perdita del ∆ψm attraverso l'apertura di un canale della membrana mitocondriale, conosciuto come poro della transizione di permeabilità (PTP) che viene inibito dalla ciclosporina A. Tali processi sono osservabili in presenza di concentrazioni di Ca2+ superiori a 10 µM, valori difficilmente riscontrabili o ipotizzabili in una cellula vitale. A questo catione viene assegnato oggi un importante ruolo fisiologico di accoppiamento tra la richiesta e la produzione energetica. Infatti, la maggiore spesa di ATP determinata dall' aumento della forza contrattile è perfettamente bilanciata da una maggiore produzione di ATP conseguente all'attivazione Ca2+-dipendente di alcune importanti deidrogenasi mitocondriali. I mitocondri avrebbero invece un ruolo marginale o nullo nelle oscillazioni fasiche del Ca2+ intracellualre necessarie per il realizzarsi del processo contrattile. L'aumento del Ca2+ citosolico necessario per la contrazione avviene attraverso un movimento a favore di gradiente, ovverosia senza spesa energetica. Viceversa, il ritorno del Ca2+ a livelli basali necessario per il rilasciamento determina consumo di ATP, sia direttamente attraverso le Ca2+ ATPasi sia indirettamente attraverso la Na+/K+ ATPasi per ripristinare i livelli di Na+ modificati dallo scambiatore Na+/Ca2+. Quindi, per quanto riguarda l'omeostasi ionica è la diastole il processo che richiede energia, per cui le alterazioni del metabolismo energetico si riflettono primariamente su questa fase del ciclo contrattile. Inoltre, per quanto riguarda l'interazione tra actina e miosina, mentre la contrazione può avvenire in presenza di concentrazioni minime di ATP (0.1 mM), il distacco dell'actina dalla

miosina richiede concentrazioni millimolari di ATP, richiesta che viene ulteriormente elevata dall'aumento di Ca2+. Quindi in una cellula muscolare con scarsa disponibilità di ATP sarà ancora possibile l'accorciamento, ma verrà via via reso impossibile il rilasciamento, in un processo reso drammaticamente evidente dal rigor mortis.

ISCHEMIA MIOCARDICA Si definisce ischemia l'assenza di flusso ematico che nel miocardio è determinata dall'occlusione, generalmente per trombosi, di un vaso coronarico. L'ischemia è dunque un evento meccanico cui conseguono modificazioni funzionali e strutturali. Ove l'occlusione perduri il territorio ischemico va incontro a necrosi e la lesione ischemica, processo reversibile, viene sostituita dall'infarto miocardico, caratterizzato da modificazioni cliniche ed anatomopatologiche irreversibili. Tali processi possono essere studiati anche su preparati sperimentali (Fig. 1). L'attenzione degli studiosi e dei clinici riguarda soprattutto al lasso di tempo che

Pres

sion

e sv

ilupp

ata

(mm

Hg)

Tempo (min)

Pres

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(mm

Hg)

Tempo (min)

Fig. 1. Effetto della durata del periodo ischemico sul recupero contrattile durante la riperfusione nel cuore isolato di coniglio. I periodi ischemici sono compresi tra i triangoli (inizio) e frecce (fine). Dopo 30 min di ischemia si ottiene un discreto recupero della pressione sviluppata con modeste varaizioni della capacità di rilasciamento. Modificazioni più vistose della pressione diastolica sono prodotte dalla riperfusione dopo 60 min di ischemia insieme a un grado modesto di recupero contrattile. Infine per ischemie di 90 minuti, diviene praticamente assente la pressione sviluppata a fronte di un imponente aumento della pressione diastolica (ipercontrattura). Si noti anche l'asistolia che si instaura nei primi minuti di ischemia e l'aumento della pressione diastolica (contrattura) che compare dopo circa 30 minuti di ischemia come risultato della marcata riduzione dei contenuti di ATP.

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Ischemia e mitocondri 2

Modificazioni morfologiche e funzionali determinatedall'anossia nei cardiomiociti isolati. Il cardiomiocita isolato si presenta con una forma abastoncino (rod shaped) con un rapportolunghezza/larghezza >3. La cellula è quiescente, ma èpossibile indurre l'accorciamento ritmico mediantestimolazione elettrica. L'anossia (o la deplezione di ATP)determina l'accorciamento della cellula (contrattura) cheassume un aspetto quasi quadrato con un rapportolunghezza/larghezza compreso tra 1 e 3. In questo stato ilmiocita mantiene ancora il tipico aspetto striato, madiviene ineccitabile. Al momento della riossigenazione,se l'anossia è stata di breve durata, si ottiene il recuperodella forma allungata e della capacità di rispondere allastimolazione elettrica. Viceversa, quando l'anossiaperduri per oltre 20 minuti dopo la contrattura, lariossigenazione provoca un immediato e irreversibilecambiamento della morfologia del miocita che assumeuna forma rotondeggiante in cui non è più distinguibile lastriatura (ipercontrattura). La membrana plasmatica,sebbene inizialmente non presenti soluzioni di continuo,si ricopre di rigonfiamenti di piccole dimensioni (blebs).I blebs tendono a confluire in rigonfiamenti via via piùgrandi che vanno incontro a rottura determinando lafuoriuscita di materiale intracellulare. Apparentementenel miocita isolato il danno irreversibile si presenta concaratteristiche diverse da quelle osservabili nell'organointatto. In quest'ultimo la riperfusione (dopo un'ischemiaprolungata) determina la rottura immediata della plasmamembrana che si manifesta con il rilascio degli enzimiintracellulari nell'effluente coronarico. Nel miocita invececome appena descritto la membrana cellulare rimaneintegra per un certo tempo (circa 30 minuti) dopo lariossigenazione. Tuttavia, è verosimile che nel cuoreintatto l'ipercontrattura di un miocita provochi pertrazione la rottura del sarcolemma dei miociti adiacenti.

intercorre tra inizio dell'ischemia e necrosi cellulare. La necessità drammatica di prolungare quanto più possibile questa finestra temporale orienta le ricerche all'identificazione dei fenomeni o fattori che sono connessi o possono determinare l'irreversibilità del danno. Ovviamente il problema ischemia non riguarda solo i pazienti affetti da vasculopatia coronarica (ischemia regionale), ma anche la chirurgia a cuore aperto e il trapianto d'organo, interventi che realizzano delle ischemie globali. La definizione di opportune soluzioni cardioplegiche ha portato notevoli successi in cardiochirurgia che hanno tratto via via vantaggio dall'avanzamneto delle conoscenze sui meccanismi di danno cellulare.

Danno reversibile ed irreversibile Instaurata l'ischemia, entro 8-10 secondi viene consumato tutto l'ossigeno disponibile nel tessuto e si verificano immediatamente drastici cambiamenti nel metabolismo e nella funzione. Le modificazioni più precoci sono rappresentate dall’aumento della concentrazione intracellulare degli ioni fosfato (Pi) e H+. L’accumulo del fosfato e la riduzione del pH sono responsabili a loro volta della riduzione della contrattilità fino all’asistolia. Questo fenomeno, attraverso una drastica riduzione della richiesta energetica dettata dal processo contrattile, rappresenta il più importante meccanismo di difesa del miocita anossico che ne consente la sopravvivenza, seppure per un tempo limitato. L’arresto della fosforilazione ossidativa mitocondriale si riflette in una notevole riduzione della produzione di ATP, che non può essere sostenuta dalla sola glicolisi anaerobica. Tuttavia, anche a causa del ridotto consumo determinato dall’asistolia, i livelli di ATP si mantengono praticamente inalterati per circa 15 minuti, periodo nel quale si osserva la diminuzione fin quasi alla scomparsa della fosfocreatina. Se durante tale periodo viene ripristinata la circolazione coronarica, intervento che va sotto il nome di riperfusione, si osserva in tempi piuttosto variabili il recupero praticamente completo della funzione contrattile. Il danno è dunque reversibile come viene confermato dall’assente o ridotto rilascio di enzimi nell’effluente coronarico. Prolungando la durata del periodo ischemico, il calo dell’ATP e l’impossibilità di riossidare i coenzimi ridotti si riflettono in alterazioni sempre più profonde del metabolismo ossidativo e dell’omeostasi ionica. Dopo 40-60 minuti di ischemia il contenuto di ATP e' ridotto di oltre il 90% e la glicolisi cessa. Se il cuore viene riperfuso a questo punto, si constata l'assenza di ripresa contrattile e la morte dei miociti danneggiati in modo irreversibile. Il concetto di danno irreversibile è stato introdotto dal Dr. Jennings che già nel 1957 lo descriveva come "un danno di grado e durata tali che le cellule coinvolte continueranno a degenerare fino alla necrosi anche quando siano riossigenate attraverso la riperfusione con il sangue arterioso". Il miocardio mostra una transizione affatto particolare dal danno reversibile a quello irreversibile. In qualsiasi tessuto la caduta dei livelli di ATP si associa all'instaurarsi di un processo degenerativo che termina con la perdita di permeabilità della membrana plasmatica e il rilasco di costituenti intracellulari. Accanto a questo modo graduale di morte cellulare, nel cuore si può osservare l'insorgenza improvvisa di un danno irreversibile qualora si ristabilisca l'ossigenazione cellulare dopo un periodo prolungato di ischemia. In questo caso l'ipercontrattura dei miofilamenti è associata ad un rapido aumento della permeabilità di membrana. Nel cuore isolato il rilascio di enzimi segue

immediatamente l'inizio della riperfusione per completarsi in circa cinque minuti. In queste condizioni la morte cellulare si associa alla precipitazione di sali di calcio nella matrice mitocondriale, indice di una profonda alterazione funzionale degli organelli interessati. Questa osservazione pionieristica di Jennings attrasse l'interesse di molti ricercatori in ambito cardiovascolare sulla funzione mitocondriale e sull'omeostasi intracellulare del Ca2+. Rafforzarva il ruolo centrale dei mitocondri una successiva e non meno importante osservazione secondo cui il danno miocardico era fortemente ridotto dall'inibizione della catena respiratoria o dal disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa. Per il rapido instaurarsi delle condizioni che portano a morte la cellula è dunque

Sovraccarico cellulare di Ca2+

Rottura del sarcolemma

Deplezione di ATP

Figura 2. Il circolo vizioso autoaggravantesi responsabile della transizione da danno reversibile a irrversibile

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Ischemia e mitocondri 3

necessaria la respirazione accoppiata alla produzione di ATP. In termini apparentemente paradossali si può affermare che il recupero della capacità mitocondriale è essenziale, ovviamente, per il ripristino della funzione

contrattile e il mantenimento della vitalità cellulare, ma può anche contribuire in modo determinante alla rapida sequenza di eventi che provoca la necrosi.

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Figura 3. Ruolo dei mitocondri nelle modificazioni del metabolismo cellulare indotte da una riduzione critica dell'apporto di ossigeno. In aerobiosi i protoni espulsi contro gradiente dalla catena respiratoria rientrano a favore di gradiente attraverso la F0F1 ATPasi consentendo la fosforilazione dell'ADP in ATP. L'ATP rilasciato nel citosol rallenta la glicolisi inibendo la fosfofruttochinasi. Il piruvato substrato del ciclo di Krebs (TCA cycle) sotto forma di acetil CoA, viene generato in misura irrielevante dal glicogeno, in parte dal glucosio esogeno e in parte dall'ossidazione del lattato. La mancanza di ossigeno come accettore finale degli elettroni rende impossibile il pompaggio dei protoni. Il mantenimento del ∆ψm avviene allora per inversione della F0F1 ATPasi che idrolizza, invece di produrre, l'ATP. La glicolisi divenuta la via principale ed unica di produzione energetica viene sostenuta soprattutto dalla glicogenolisi. Il piruvato prodotto, non potendo essere ossidato nei mitocondri, viene ossidato a lattato che è rilasciato nel torrnte circolatorio. Il miocita si trasforma da utilizzatore a produttore di lattato. Alla forte spinta glicolitica è connesso il calo del pH intracellulare. L'ossigeno eventualmente presente (ipossia) può essere ridotto in modo parziale dalla stessa catena respiratoria, ed in paticolare dal radicale semichinonico a livello dei complessi I e III, generando specie radicaliche (ROS).

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Ischemia e mitocondri 4

Genesi dell'irreversibilita' delle lesioni ischemiche Nella morte cellulare e' coinvolto un meccanismo complesso e multifattoriale, che ha inizio con l'aumento della permeabilita' della membrana plasmatica per il calcio e la deplezione di ATP. Anche se non e' accettato un nesso obbligatorio tra deplezione di ATP e necrosi, in quanto questa puo' verificarsi in cellule che ancora presentano sufficienti quantita' di ATP, non vi e' dubbio che l'esaurimento di questo nucleotide non permette alla cellula di mantenere l'omeostasi ionica che risulta percio' alterata. Ne consegue un precoce aumento degli ioni sodio e calcio all'interno della cellula. Si innesca cosi' un ciclo vizioso cui si aggiunge l'alterazione strutturale del sarcolemma che determina un irrimediabile sovraccarico citosolico di Ca2+. A tale incremento del calcio intracellulare e' legata l'evoluzione in senso irreversibile del danno ischemico, con un elevato rilascio di enzimi e cofattori (Fig. 2). Varie ipotesi sono state avanzate per spiegare gli eventi responsabili della rottura della membrana plasmatica: 1) l'incremento intracellulare di Ca2+, che avviene precocemente in ischemia, determina l'attivazione di fosfolipasi del sarcolemma quindi la degradazione dei fosfolipidi e l'accumulo di lisofosfolipidi; 2) conseguentemente al blocco metabolico avviene l'accumulo di molecole ad azione detergente, come acilCoA ed acilcarnitine (Brecher, 1983); 3) al momento della riperfusione si formano radicali liberi dell'ossigeno che perossidano i fosfolipidi di membrana. Poiche' la rottura del sarcolemma e' sempre evidenziabile

in associazione con episodi di rigonfiamento cellulare, si ipotizza un fenomeno a due stadi: nel primo stadio si sviluppano lesioni a carico del citoscheletro subsarcolemmale, nel secondo stadio l'applicazione di una forza, rigonfiamento e/o contrattura, distrugge il sarcolemma che non e' piu' ancorato al citoscheletro (Steenbergen et al. 1985).

ALTERAZIONI MITOCONDRIALI COME CAUSA E CONSEGUENZA DEL DANNO ISCHEMICO Poichè il cuore deriva la parte più cospicua della sua produzione energetica (>90%) dalla fosforilazione ossidativa è facile ipotizzare che alterazioni dei processi ossidativi mitocondriali abbiano conseguenze negative sulla funzione e la struttura dei cardiomiociti. In effetti a livello cellulare l'ischemia inizia quando l'apporto di ossigeno diviene insufficiente per i processi ultima della catena respiratoria. Da quel momento i mitocondri non solo cessano di produrre ATP, ma ne divengono avidi utilizzatori. Nel tentativo di mantenere il ∆ψm viene infatti invertita la reazione ATPasica che utilizza come substrato l'ATP prodotto dalla glicolisi anaerobica (fig. 3). Questo processo, seppure limitato da vari fattori endogeni (acidosi, una proteina inibitrice e la probabile inibizione a carico dell'adenilato traslocasi), contribuisce in modo determinante alla caduta dei livelli di ATP e quindi all'evoluzione verso la morte cellulare. Da studi compiuti sui m iociti isolati si nota che il collasso del ∆ψm coincide con la deplezione di ATP a sua volta

0

4

100

0

elevato

bas so

lunghezzacellulare

%

∆ψm

[Mg ]i2+

mM

5 min 5 min

ANOSSIA ANOSSIADANNO REVERSIBILE DANNO IRREVERSIBILE

Figura 4. Modificazioni della forma, della funzione e del metabolismo indotte dall'anossia e dalla riossigenazione nei cardiomiociti isolati. Inizialmente l'anossia non produce variazioni significative in quanto sia la contrazioneche la funzione mitocondriale sono sostenute dall'ATP prodotto dalla glicolisi. Questo è possibile solo nelle cellule isolate favorite dalla ridotta richiesta energetica dell'accorciamento che avviene in assenza di carico.L'esaurimento del glicogeno e il conseguente arresto della glicolisi determinano una veloce sequenza di eventi. L'ineccitabilità precede il rapido calo dell'ATP (segnalato dall'aumento del Mg2+) che si associa nella fase finale al collasso del ∆ψm coincidente a sua volta con l'accorciamento per contrattura della cellula. Le concentrazioni intracellulari di Ca2+, rimaste immodificate in questa prima fase, iniziano a salire gradualmente (non mostrato). L'elevazione della [Ca2+] nei mitocondri a valori superiori a 250 nM durante l'anossia si associa ad un mancato recupero funzionale durante la riossigenazione. Se l'anossia non viene prolungata dopo la contrattura, lariossigenazione determina il recupero dellla forma e della contrattilità. Viceversa, la riossigenazione dopo un periodo prolungato di anossia determina una transizione immediata ed irreversibile della morfologia cellulare inuna forma rotondeggiante (ipercontrattura). In ambedue i casi, recupero o danno irreversibile, si ottiene ilripristino della fosforilazione ossidativa.

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Ischemia e mitocondri 5

provocata dall'esaurimento delle riserve di glicogeno. Questa profonda alterazione del metabolismo energetico è riflessa dall'accorciamento del miocita nel fenomeno della contrattura. Nonostante questa modificazione morfologica, la tipica striatura sarcomerica e la permeabilità della membrana plasmatica vengono preservate. Solo dopo la contrattura, le concentrazioni di Ca2+ cominciano ad aumentare in modo parallelo nel citosol e nei mitocondri restando al di sotto del micromolare anche dopo episodi prolungati di anossia. Dunque la mancata disponibilità di ossigeno per se non

provoca un sovraccarico cellulare di calcio, che si verifica invece nella fase di riperfusione dopo un periodo prolungato di ischemia. Gli studi sui miociti isolati hanno mostrato che durante la riossigenazione, indipendentemente dal recupero morfologico e funzionale, nei mitocondri si ottiene il recupero del ∆ψm. e della capacità di produrre ATP (Fig. 4). Sempre nei miociti, anche in quelli danneggiati irreversibilmente (vedi box), le concentrazioni di Ca2+ sia citosolico che mitocondriale non aumentano. Semmai il Ca2+ citosolico diminuisce ad opera della Ca2+ ATPasi

glycogenexhaustion

cellular ATPmaintenance

ATP production

lack of mitochondrialATP production

mitochondrialATP utilization

partial∆ψ maintenancem

lack ofATP production

glycolysis

glycolysis

[Mg ]i2+

∆ψ collapsem

contracture

anoxia

reoxygenation

partial∆ψ recoverym

MTP

+

_

?

mitochondrialATP production

hypercontracture

irreversible lossofstructure and function

cytosolic ATP+

high[Ca ](≥500nM)

2+

[Ca ]2+c [Ca ]2+

m

high [Ca ]2+m

MTP_

?

?

recoveryofmyocytemorphologyandfunction

cytosolic ATP+

low[Ca ](<200nM)

2+cc

ATP

f ast(< 1 min)

slow(> 5 min))

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ATP production

lack of mitochondrialATP production

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+

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Figura 5. Sequenza di eventi alla base del recupero funzionale o della morte cellulare nella fase di riperfusione post-ischemica

Page 87: Corso di Laurea in Farmacia - bio.unipd.it Far/Bioc2015.pdf · titolazione di ossiemoglobina e deossiemoglobina purificate, hanno rivelato che l'ossigenazione dell'emoglobina comportava

Ischemia e mitocondri 6

del reticolo sarcoplasmico, così da escludere, almeno nel cardiomiocita isolato, che il danno irreversibile dipenda da un sovraccarico cellulare di Ca2+. In altri termini, il fatto che nel miocita isolato il danno irreversibile si manifesti in assenza di modificazioni rilevanti delle concentrazioni intracellulari di Ca2+ indica che l'aumento marcato misurabile nell'organo intatto è una conseguenza, e non la causa, della perdita di permeabilità del sarcolemma. Dai dati esposti si ricava che, anche nel danno irreversibile, i mitocondri tornano ad utilizzare la catena respiratoria per pompare protoni e il ∆ψm così ottenuto viene utilizzato per la produzione di ATP e non, ad esempio, per accumulare Ca2+. Ci si può allora chiedere perchè sia necessaria la funzione mitocondriale per ottenere l'ipercontrattura e il danno cellulare. Non esiste una risposta definitiva, ma è probabile che questo apparente paradosso dipenda dalla differente richiesta di ATP da parte della contrazione e del rilasciamento. Secondo questa ipotesi suffragata da numerosi dati sperimentali, al momento della riossigenazione una ripresa ottimale della fosforilazione ossidativa garantirebbe il raggiungimento di concentrazioni millimolari di ATP che in presenza di basse concentrazioni di Ca2+ consentono il regolare alternarsi di sistole e diastole. Viceversa una ripresa inadeguata del metabolismo energetico fornirebbe concentrazioni di ATP sufficienti per la contrazione, ma non per il rilasciamento, portando quindi all'ipercontrattura (Fig. 5). Questa condizione sarebbe facilitata da una maggiore disponibilità di Ca2+ che favorisce ulteriormente la contrazione stimolando in tal modo il consumo di ATP

Per approfondimenti Vary TC, Reibel DK, Neely JR: Control of energy metabolism of heart muscle. Annu. Rev. Physiol. 1981;43:419-30 Allen DG, Orchard CH: Myocardial contractile function during ischemia and hypoxia. Circ. Res. 1987;60:153-168 Lee JA, Allen DG: Mechanisms of acute ischemic contractile failure of the heart. Role of intracellular calcium. J.Clin.Invest. 1991;88:361-367 Reimer KA, Jennings RB: Myocardial ischemia, hypoxia and infarction. In: Fozzard H, Haber E, Jennings RB, Katz A, Morgan H, eds. The heart and cardiovascular system, second edition. New York: Raven Press; 1992:1875-1973. Kusuoka H, Marban E. Cellular mechanisms of myocardial stunning. Annu Rev Physiol. 1992;54:243-256. Ganote C, Armstrong S: Ischaemia and the myocyte cytoskeleton: review and speculation. Cardiovasc. Res. 1993;27:1387-403