CORSO DI INTRODUZIONE ALLA SACRA SCRITTURA · 3 V. MANNUCCI V., «Il canone delle Scritture », in...
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Appunti di integrazione al manuale di riferimento
2
Sommario
ELEMENTI DI INTRODUZIONE GENERALE ALLA BIBBIA
1. LA COLLEZIONE DELLE SACRE SCRITTURE: IL CANONE 1.1 La Bibbia libro della Fede 1.2 La storia della formazione del canone dell'AT
1.2.1 Il Siracide (180 a.C.)
1.2.2 Il Secondo libro dei Maccabei (160 a.C.)
1.2.3 I manoscritti del Mar Morto
1.2.4 Il Nuovo Testamento
1.2.5 I primi scrittori ebraici
1.2.6 Il canone breve e quello lungo dell'AT
1.2.7 La formazione del canone ebraico «breve» e l'accademia di Iamnia
1.2.8 Origine del canone lungo dei cristiani
1.3 Il Canone dell'AT 1.3.1 La Torā (Legge o Pentateuco)
1.3.2 I Profeti
1.3.3 Gli Scritti
1.4 La struttura aperta del canone dell'AT 1.4.1 L'AT cristiano orientato a Cristo – l'AT ebraico orientato al tempio
1.4.2 L'ingresso nella terra promessa
1.5 I cristiani e l'AT 1.5.1 I cristiani accolgono l'AT da Gesù
1.5.2 Annuncio di Gesù e canone nella Chiesa delle origini
1.5.3 Gesù e la canonicità delle Scritture
1.6 Il Canone del NT 1.6.1 L'importanza della tradizione orale
1.6.2 Il Corpus paulinum
1.6.3 La formazione del corpo dei quattro Vangeli (e di Atti)
1.6.4 Gli altri scritti del NT e il riconoscimento dei deuterocanonici
1.6.5 Chiusura del canone
3
INTRODUZIONE GENERALE ALLA SACRA SCRITTURA
Hai divelto una vite dall’Egitto,
per trapiantarla hai espulso i popoli.
Le hai preparato il terreno,
hai affondato le sue radici e ha riempito la terra.
La sua ombra copriva le montagne
e i suoi rami i più alti cedri.
Ha esteso i suoi tralci fino al mare
e arrivavano al fiume i suoi germogli.
Sal 80,9-10
ELEMENTI DI INTRODUZIONE GENERALE ALLA BIBBIA
Questa parte del corso si suddivide in momenti dedicati a: 1) Il canone della Bibbia e la
Rivelazione; 2) l'ispirazione e la verità della Bibbia; 3) l'interpretazione della Bibbia.
Per canone si intende la lista ufficiale, la raccolta normativa dei libri biblici. Ma perché questi
libri e non altri, pur magari interessanti ed edificanti? Cos'è che tiene uniti testi letterari così
differenti tra loro quanto al contenuto e allo stile (cf. i testi narrativi di Esodo, quelli poetici dei
Salmi e del Cantico, quelli epistolari del Corpus Paulinum e quelli visionari come il libro di Daniele e
dell'Apocalisse)? Si parla infatti sia di "Bibbia", insistendo sulla pluralità (= i libri, ta biblia, ta.
bibli,a), sia di "Sacra Scrittura", intendendo un'unità letteraria unica.
Per ispirazione invece si intende il processo che garantisce l'origine divina di uno scritto redatto
da autori umani; in altre parole si tratta di comprendere perché la Sacra Scrittura è, nello stesso
tempo, parola di uomini, scritta da persone in carne ed ossa e nel pieno possesso delle loro facoltà,
ma anche Parola di Dio, ossia ha come Autore Dio stesso.
L’ultima parte, riguardante l'interpretazione, ha come obiettivo quello di mostrare le modalità
di comprensione di un testo molto lontano dal linguaggio e dalla cultura contemporanei. Si proverò
a rispondere alla domanda: come posso correttamente capire e interpretare un testo biblico? Quali
sono i metodi per intendere e non fraintendere un brano, un capitolo o un intero libro biblico? Qui
il problema è più di carattere ermeneutico1.
1 In questa parte si seguono grosso modo le riflessioni di T. CITRINI, Identità della bibbia, Brescia 1982.
4
1. LA COLLEZIONE DELLE SACRE SCRITTURE: IL CANONE
1.1 La Bibbia libro della Fede
La Chiesa esprime e trasmette la sua fede attraverso molti modi, e soprattutto attraverso
svariate forme della parola: anche i simboli, i gesti liturgici e la testimonianza della vita hanno
bisogno di parole che li spieghino e, se necessario, diano loro evidenza. Questo primato della
parola è un fenomeno umano consueto ed è altrettanto normale che una fede universale abbia
l'intenzione di attraversare i secoli affidandosi non solo alle forme della parola parlata (più viva, più
immediata, più intensa) ma anche a quelle della parola scritta (più rigida, fissata una volta per
sempre, ma anche più capace di diffusione e di durata).
Più originale, invece, è l'autorità che la fede cristiana riconosce a quello scritto (o insieme di
scritti) che chiamiamo Bibbia. Alle parole che esprimono la fede e ai documenti che le riportano
viene riconosciuto un valore diversissimo; ma tra essi la Bibbia è senza pari, ha un'autorità nel suo
genere assoluta. Tanto è vero che viene anche indicata come «la Scrittura» (anche senza l'aggettivo
«sacra»). Il termine teologico tecnico per esprimere l'autorità della Bibbia circa la fede e la sua
trasmissione è canonicità ("canone" indica la misura, la regola).
Prima di addentrarci nei problemi relativi al canone, può essere utile un'annotazione: la
canonicità della Bibbia è un dato "indisponibile". La Chiesa la riconosce, l'accoglie, ma non la
saprebbe creare, né abrogare, né estendere, né limitare: la Chiesa non ne può disporre
arbitrariamente. È un dato, dunque, di cui non può liberamente disporre, non è "disponibile".
Indubbiamente il popolo di Dio e la tradizione della sua fede, come anche i suoi pastori e maestri,
hanno una funzione attiva, responsabile e necessaria nel discernimento e nella dichiarazione del
canone biblico.
Questa rivelazione soprannaturale, secondo la fede della chiesa universale, proclamata dal
santo concilio di Trento, è contenuta «nei libri scritti e nella tradizione non scritta che, ricevuta
dagli apostoli dalla bocca dello stesso Cristo, o trasmessa quasi di mano in mano dagli stessi
apostoli, per ispirazione dello Spirito Santo, è giunta fino a noi. Questi libri dell'Antico e del Nuovo
Testamento, nella loro interezza, con tutte le loro parti, così come sono elencati nel decreto di
questo concilio e come si trovano nell'antica edizione latina della Volgata, devono essere accettati
come sacri e canonici. La chiesa li considera tali non perché, composti per opera dell'uomo, sono
stati poi approvati dalla sua autorità, e neppure soltanto perché contengono senza errore la
rivelazione; ma perché, scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come
tali sono stati trasmessi alla chiesa»2.
Spiegando perché la Chiesa ritiene «sacri e canonici» gli scritti dell'Antico e del Nuovo
Testamento, il concilio Vaticano I ha esplicitamente escluso l'ipotesi che essi risultino tali perché
«approvati successivamente dalla sua [della Chiesa] autorità, essendo stati composti per sola opera
umana». Anzi, aggiunge che «come tali [cioè sacri e canonici] alla Chiesa stessa sono stati
trasmessi, consegnati (traditi sunt)». In altre parole la Chiesa non fa che accogliere la canonicità
della Bibbia. Con questo non si vuol escludere un ruolo "attivo" della Chiesa nei confronti del
canone, ma vedremo in che senso. Se dunque possiamo parlare di una trasmissione della Bibbia
2 Concilio Vaticano I, Constitutio dogmatica Dei Filius de fide catholica, II.
5
come canonica non solo nella Chiesa ma alla Chiesa, ecco che l'esame storico delle origini di questa
tradizione alla ricerca di questa «consegna» si fa particolarmente interessante.
Non solo la canonicità della Bibbia si presenta come un dato che ci precede, ma anche il
canone della Bibbia, cioè l'elenco, il catalogo degli scritti che la compongono "viene prima". Tra
canone e canonicità, del resto, vi è necessariamente una connessione molto stretta. Prima di
riprendere il cammino proviamo a darne una definizione sintetica: Il canone indica la lista ufficiale
di quei libri che la Chiesa ufficialmente accoglie e riconosce come facenti parte della sua
fondazione a comunità di fede; ma in quanto canonici, quei libri servono come norma profetica e
apostolica di ciò che è proprio e legittimo nella trasmissione della verità rivelata e nella
strutturazione della vita cristiana3.
In altre parole col termine canone s'intende l'elenco dei libri riconosciuti autorevoli e
fondamentali per delineare l'identità di fede della comunità che li utilizza; tale lista chiusa definisce
la collezione di libri (Bibbia) che esercita nei confronti della comunità un'autorità vincolante in
materia di dottrina (fede) e di comportamento (morale).
Noi siamo abituati alla determinatezza del canone e in questa abitudine si traduce la coscienza
della fede. Il Concilio di Trento, l'8 aprile 1546 nel decreto De canonicis Scripturibus, ci offre un
elenco di 73 libri (46 dell'AT4 e 27 del NT)5. Ma il Concilio tridentino rinvia oltre se stesso,
rifacendosi alla tradizione precedente. Infatti, non ci fu sempre pieno accordo attorno alla lista
canonica dei libri biblici: ci furono ampie e lunghe discussioni al riguardo, oppure prassi differenti
nelle varie comunità. Infatti, la definizione di Trento è stata preceduta da molti provvedimenti da
parte delle autorità ecclesiastiche, i primi dei quali risalgono al IV secolo, dopo che il cristianesimo
divenne religione ufficiale dell'impero. Alcuni concili locali hanno deliberato circa il canone delle
Scritture, specialmente in Africa del Nord (concili di Ippona nel 393 e di Cartagine nel 397 e 419).
La dichiarazione di Trento arriva, dunque, alla fine di un lungo processo, del quale è importante
e utile ripercorrere la storia. È bello e non del tutto infondato ipotizzare che le origini della Bibbia si
radichino nell'eternità stessa di Dio, ma nella storia c'è stato un tempo in cui questi libri non
esistevano, e nemmeno il loro canone. Inoltre non sono apparsi tutti insieme
contemporaneamente come frutto di un unico "progetto editoriale". Piuttosto vanno considerati
come il risultato di un lungo e complesso procedimento che si dispiega nella storia. Se questo vale
per la formazione dei libri biblici, lo stesso vale per il precisarsi della loro lista canonica. In altre
parole, la fissità del canone non sta "all'inizio" della storia dei libri biblici, ma "alla fine", come il
risultato maturo di un delicato e controverso processo di presa di coscienza circa i libri normativi
per la fede.
La storia del canone, dunque, è propriamente la storia della collezione degli scritti biblici, e
come tale ha una sua originalità, che va riconosciuta, anche se è difficile ricostruirla, non solo per
la scarsità della documentazione, ma anche perché essa è intrecciata con la storia della formazione
degli scritti stessi e della coscienza della loro canonicità. Proviamo, allora, a disegnare il quadro di
questa problematica, ripercorrendone le tappe salienti.
3 V. MANNUCCI V., «Il canone delle Scritture», in ID., Introduzione generale alla Bibbia, (Logos 1) 381. 4 Più precisamente dice 45, poiché il libro delle Lamentazioni era considerato come parte del libro del profeta Geremia. 5 Vengono detti "libri" ma non tutti si presentano come tali; in realtà assieme a veri e propri libri (ad es. Genesi, Esodo, i Vangeli) ci sono pure delle "lettere" (ad es. Corpus paulinum) e dei semplici "biglietti" (Abd, Fm, 2 Gv, 3 Gv, Gd).
6
1.2 La storia della formazione del canone dell'AT6
Il canone ebraico contiene ovviamente solo quello che per i cristiani si chiama «Antico
Testamento» e che gli ebrei chiamano Tanak, acronimo formato dalle prime sillabe di tre parole
ebraiche che designano le tre parti del la Bibbia: Torā («Legge»), Nebî’îm («Profeti») e K
etūbîm
(«Scritti»). Questo canone è anche il più breve perché contiene solo i libri scritti o in ebraico o
parzialmente in aramaico (esclude i testi scritti in lingua greca) e dispone i libri in un ordine diverso
da quello dei canoni cristiani. Il canone dei protestanti è più breve del canone cattolico, poiché
contiene solo i libri del canone ebraico (in forza della hebraica veritas). Quindi l'AT dei protestanti è
identico a quello degli ebrei, anche se l'ordine dei libri è diverso.
Risulta estremamente arduo stabilire quali siano i libri o gli scritti più antichi della Bibbia
ebraica. Gli esegeti discutono molto circa la datazione dei testi, perché non ci sono criteri
perfettamente sicuri per questa operazione; si ricorre, infatti, a criteri linguistici, al tipo di
argomento trattato, alle idee tipiche di alcune epoche o a riferimenti ad eventi contemporanei. Per
quanto riguarda quest'ultimo criterio, il riferimento, cioè, ai fatti contemporanei, riscontrabili
anche in fonti extrabibliche, si cita un testo del profeta Amos in cui si ricorda un «terremoto» (Am
1,1), che gli specialisti datano verso il 760 a.C. Le profezie di Amos sarebbero state pronunziate
«due anni prima del terremoto» (cf. Am 9,1; Zc 14,5). D'altra parte, il problema della datazione dei
libri biblici si complica perché essi furono rielaborati più volte in diverse epoche. Infatti, il testo di
cui disponiamo oggi non è il testo originale, il quale invece ha subito successive riedizioni, ritocchi,
aggiunte attualizzanti più tardive. Comunque secondo gli studi più recenti si pensa che la stesura
delle parti più antiche della Bibbia ebraica risalgano ad un'epoca collocabile tra la seconda parte
del IX secolo e l'inizio dell'VIII, quando si presentano in Israele le condizioni economiche e culturali
necessarie per la comparsa e lo sviluppo di una cultura della scrittura. Per le epoche precedenti
non abbiamo alcun materiale epigrafico. Dunque siamo nell'epoca dei primi «profeti scrittori»,
quali Amos e Osea.
Ma circa il nostro argomento: qual è la prima attestazione di un "elenco" di libri? A partire da
quando possiamo parlare di liste o raccolte di libri? Volutamente si evita di utilizzare il termine
tecnico canone, che designa una lista ufficiale, ratificata dall'autorità competente e quindi ritenuta
fissa, "chiusa", non più aggiornabile e modificabile. Infatti, prima della formazione del canone,
compaiono delle raccolte di libri considerati come ispirati e autorevoli per l'identità di Israele.
1.2.1 Il Siracide (180 a.C.) La Bibbia ebraica esisteva prima dei manoscritti di Qumran, (redatti fra il 150 a.C. circa, data
della fondazione della comunità, e il 68 d.C., data della sua distruzione). Una delle prime
attestazioni di una raccolta di libri sacri, si trova nel prologo della traduzione greca del libro del
Siracide (scritto verso il 180 a.C.), in cui si menzionano tre parti della Bibbia: la Legge, i Profeti, e un
terzo gruppo non molto bene definito: «Molti e profondi insegnamenti ci sono dati nella Legge, nei
Profeti e negli altri Scritti (Ketūbîm) successivi e per essi si deve lodare Israele come popolo istruito e
sapiente… ». Questa terza parte corrisponde probabilmente ai cosiddetti «Scritti» della Bibbia
ebraica (Salmi, Giobbe, Proverbi ecc.). La traduzione fu fatta dopo il 138 a.C.
6 Questa rapida carrellata storica segue pedissequamente il contributo di J.-L. SKA, «Formazione del canone delle Scritture ebraiche e cristiane», ID., Il libro sigillato e il libro aperto, Bologna 2005, 119-134.
7
1.2.2 Il Secondo libro dei Maccabei (160 a.C.)
Il secondo libro dei Maccabei, scritto verso il 160 a.C., contiene una testimonianza importante:
«Si descrivevano le stesse cose nei documenti e nelle memorie di Neemia e come egli, fondata una
biblioteca, curò la raccolta dei libri dei re, dei profeti e di Davide e le lettere dei re intorno ai doni»
(2Mac 2,13). Dunque, Neemia, avrebbe fondato una biblioteca che conteneva due tipi di libri:
cronache sui re e sui profeti, e testi legislativi sul culto, in particolare su certi tipi di oblazioni da
offrire nel tempio (stranamente non si fa cenno alcuno alla legge di Mosè).
In 2Mac 15,9 è scritto che Giuda Maccabeo sosteneva gli ebrei «… confortandoli così con le
parole della legge e dei profeti e ricordando loro le lotte che avevano già condotte a termine, li
rese più coraggiosi». Si tratta, dunque, di un'attestazione della divisione della Bibbia ebraica nelle
due parti più importanti (Legge e Profeti).
1.2.3 I manoscritti del Mar Morto
A Qumran si sono rinvenuti frammenti e, in alcuni casi, rotoli pressoché interi, di quasi tutti i
libri del canone ebraico, tranne Ester. Quest'ultimo libro, che nella versione ebraica è più breve
rispetto a quella greca, è un testo profano in cui non compare mai il nome di Dio, inoltre ha la
funzione di legittimare la festa dei Purim, corrispondente al nostro il carnevale ebraico (cf. Est 9,20-
32). Probabilmente la setta essena non era interessata a una tale celebrazione.
Oltre ai libri del canone ebraico, sono stati ritrovati anche frammenti del libro del Siracide,
della Lettera di Geremia e del libro di Tobia, scritti presenti nel canone cristiano. Accanto ai libri
biblici nella biblioteca di Qumran c'erano pure libri non canonici, come i libri dei Giubilei e di Enoc,
i Testamenti dei 12 patriarchi, e diversi altri scritti della setta (ad esempio la Regola della comunità
e la Regola della guerra). Dunque a Qumran non si può parlare di un "canone chiuso" nel senso
stretto della parola.
1.2.4 Il Nuovo Testamento
Nel NT sono davvero numerose le allusioni alla Scrittura, ma riguardano quasi sempre la Legge
e i Profeti. In un solo caso si presenta un'espressione che si riferisce alla Bibbia intesa come un
insieme composto di tre parti. In Lc 24,44-45, infatti, il Risorto dice ai discepoli: «Sono queste le
parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di
me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle
Scritture». Dunque Luca ci mostra la Bibbia ebraica considerandola come un trittico di libri.
I Salmi, poi, vennero usati ben presto nella riflessione della primitiva comunità cristiana per
dimostrare l'appartenenza della passione, morte e risurrezione di Cristo al disegno salvifico di Dio,
rivelato nelle Scritture (anche se non è del tutto sicuro che in quell'epoca si fosse già fissato il
salterio "canonico" di centocinquanta salmi così come lo conosciamo oggi).
Anche nel vangelo di Giovanni incontriamo un'altra attestazione del carattere ispirato dei
Salmi. In Gv 10,34 Gesù, rifacendosi al Sal 82,6 per dimostrare la sua figliolanza divina, lo annovera
tra i testi della Torā: «Non è forse scritto nella vostra Legge: "Io ho detto: voi siete dèi" (Sal 82,6)?
». Per il quarto vangelo, dunque, i Salmi vengono equiparati alla Legge, e di conseguenza vengono
riconosciuti come Scritture sacre.
8
Il NT, quindi, conosce una Bibbia composta dal Pentateuco, una serie di libri profetici, il libro
dei Salmi e diversi altri libri (gli Scritti). Ciononostante mai in nessun passo neotestamentario viene
fornita la lista precisa dei libri appartenenti a queste tre categorie.
Nel testo del NT, d'altronde, compaiono numerose citazioni di libri canonici del futuro canone
ebraico, ma pure di libri deuterocanonici (assenti nel canone ebraico e presenti nel canone greco)
come Siracide, Sapienza, 1-2 Maccabei, Tobia, e addirittura citazioni di scritti non canonici,
considerati in quel tempo come "autorevoli", come i Salmi di Salomone, 1-2 Esdra, 4 Maccabei
(presenti nel canone greco ma non riconosciuti poi nel canone cattolico) e l'Assunzione di Mosè ed
Enoc 7. Questa situazione sta a dimostrare che all'epoca della redazione del NT il canone delle
Scritture non era ancora stato fissato: ci sono libri conosciuti, l’autorevolezza dei quali non è in
discussione, ma le frontiere fra libri «canonici» e libri «non canonici» sono ancora abbastanza
flessibili.
1.2.5 I primi scrittori ebraici
Fra i primi scrittori ebraici del I secolo d.C., quindi quasi contemporanei degli apostoli,
incontriamo il filosofo Filone di Alessandria (30 a.C.-50 d.C. ca.) e lo storico Giuseppe Flavio (37 ca.-
107 d.C. ca.). Il primo nel De vita contemplativa 3,25 parla di una Bibbia divisa in tre parti (Legge,
parole profetiche, inni e altre opere); il secondo nel Contro Apione 1,8 39-41 menziona cinque libri
della Legge, tredici libri profetici e quattro libri con inni a Dio e precetti per la vita umana (= Salmi,
Cantico, Proverbi ed Ecclesiaste). Anche gli studi successivi dei rabbini, confluiti nel Talmud (IV secolo
d.C.), discutono sulle diverse parti della Bibbia, dando particolare risalto alla Legge e ai Profeti e
dibattono sui libri da ammettere nel canone. Quindi al tempo del NT il canone non è del tutto
stabilito e bisogna aspettare il III – IV secolo d.C. per arrivare a decisioni chiare in merito. Il
cristianesimo, quindi, non ha ricevuto dall'ebraismo un canone già fissato.
1.2.6 Il canone breve e quello lungo dell'AT
Se le discussioni sul canone all'interno dell'ebraismo si protraggono per parecchio tempo, una
situazione pressoché identica la si riscontra all'interno del cristianesimo. Tra i padri infatti
ritroviamo posizioni diverse. Alcuni, infatti, preferivano il canone breve (ebraico) a quello più lungo,
secondo la traduzione greca dei Settanta (= LXX8). Fra i fautori del canone breve (ebraico), si
trovano: Melitone di Sardi (II sec.), Origene (185 ca.-254 ca.), Cirillo di Gerusalemme (313/315-386),
Atanasio (295-373), Gregorio di Nazianzo (330 ca.-390 ca.), Gregorio di Nissa (335 ca.-395 ca.),
Epifanio (315 ca.-403 ca.), Ruffino d’Aquileia (340 ca.-410 ca.), Gerolamo (347 ca.-420 ca.), Gregorio
Magno (540 ca.-604 ca.), Giovanni Damasceno (fine del VII sec.-749 ca.), Ugo di San Vittore (morto
a Parigi nel 1141), Nicola di Lira (1270/1275-1340) e il cardinale Caietano (1469-1534). Come si può
7 Nel NT non compaiono mai citazioni di: Giosuè, Giudici, 2 Re, 1-2 Cronache, Esdra, Neemia, Rut, Cantico, Qoelet, Ester, Lamentazioni, Giuditta, Baruc, Abdia, Sofonia, Naum. 8 Il nome Settanta (LXX) proviene dalla Lettera di Aristea, che contiene un racconto leggendario sull'origine della traduzione greca della Bibbia. Il re Tolomeo ad Alessandria d'Egitto avrebbe chiesto a settanta traduttori di tradurre la Bibbia per la sua biblioteca. Essi lavorarono, ciascuno per conto proprio, su tutto il testo biblico in settanta giorni, e produssero, con stupore di tutti, settanta traduzioni perfettamente identiche.
9
facilmente notare anche all'interno del cristianesimo sono convissute a lungo posizioni differenti
(la questione del canone non era stata definitivamente risolta).
1.2.7 La formazione del canone ebraico «breve» e l'accademia di Iamnia
Quando si parla della formazione del canone ebraico della Bibbia ci si imbatte nell'accademia
di Iamnia o persino nel cosiddetto «concilio di Iamnia». Le teorie in merito però divergono. Di che
cosa si tratta? Iamnia (Iabné) è una piccola cittadina vicina all'attuale Tel Aviv, dove il rabbino
Yohanan ben Zakkai fondò un'accademia dopo la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C, durante
la quale il tempio, uno dei più importanti simboli dell'identità religiosa e nazionale di Israele, venne
distrutto per la seconda volta. Senza tempio e senza città santa l'unico modo per mantenere intatta
l'identità di Israele era la fedeltà alla Torā. Il «libro» prese per così dire il posto del tempio9.
Yohanan ben Zakkai da buon fariseo accettava fra i libri ispirati non solo la Torā, ma anche i
Profeti, e una serie di «scritti» 10. I farisei, contrariamente a quanto si pensa, erano «progressisti»,
rivolti cioè verso il futuro, ed erano più aperti di altri gruppi (i sadducei ad esempio erano più
«conservatori» e legati al culto). Per quanto riguarda il canone, il gruppo dei farisei asseriva
accanto alla «Legge scritta», l'esistenza di una «Legge orale», che risaliva allo stesso Mosè e che
permetteva di adeguare la Legge scritta alle circostanze nuove. Probabilmente, essi rintracciavano
l'origine di questa tradizione orale nei Profeti e negli Scritti e per questa ragione li consideravano
come «ispirati». Spesso riguardo all'attività dell'accademia si parla di un «concilio di Iamnia» che
ebbe luogo, forse, verso il 90 d.C. Purtroppo le notizie su questo supposto «concilio» sono esigue11.
Gli ebrei, in questo periodo perturbato dagli interventi armati dei romani, insistono molto sulla
centralità della Legge, tralasciando i libri apocalittici (che pullulavano in quel tempo), perché
"pericolosi", specialmente dopo le fallite ribellioni (del 66-70 e del 131-135 d.C). Accanto a questi
motivi prettamente storici se ne ritrova un altro, legato ai libri di Esdra e Neemia.
È abbastanza chiaro che gli ebrei vedono nei libri di Esdra e Neemia un'anticipazione e una
legittimazione della propria attività. Questi libri descrivono la ricostruzione del tempio e della città
di Gerusalemme. Esdra è uno «scriba esperto nella legge di Mosè» (Esd 7,6) che torna dall'esilio
portando la legge del suo Dio con il compito, datogli dal re di Persia Artaserse, di farla rispettare
dal suo popolo (7,14). Con ogni probabilità, gli ebrei radunati nelle accademie di Iamnia e altrove
hanno visto in Esdra e nella sua missione una prefigurazione della propria missione nei confronti
del popolo d'Israele. Il resto della storia d'Israele era molto meno interessante, e non aggiungeva
niente a quello che era considerato necessario per permettere al popolo d'Israele di sopravvivere.
Il canone così definito, almeno nelle sue grandi linee, iniziava con la Torà data da Dio a Mosè e
finiva con la proclamazione di questa Torà da parte di Esdra. La scena della lettura pubblica della
Torà da parte di Esdra in Ne 8 è una scena che ha dovuto apparire fondamentale agli occhi degli
ebrei dopo la distruzione di Gerusalemme. In questa Legge, il popolo tornato dall’esilio aveva posto
9 Un detto rabbinico recita: «Quando gli ebrei non ebbero più l'edificio di pietra (Tempio) celebrarono il culto nell'edificio di carta (Torā)». 10 Tra le discussioni più accese c'era quella su quali fossero i testi che "sporcavano le mani" (= sacri, per cui si rendeva necessaria la purificazione dopo il loro uso). Ad esempio non c'era unanimità sul Cantico dei cantici, in cui manca il nome divino. 11 Sarebbe meglio evitare di parlare di «concilio» di Iamnia, perché le decisioni prese non ebbero, in alcun modo, la forza decisionale dei decreti di un concilio simile a quelli celebrati dalle Chiese cristiane.
10
la sua fiducia e la sua speranza. Anche dopo la seconda distruzione del tempio e della città di
Gerusalemme, gli ebrei erano chiamati a ricostruire la propria identità sullo stesso fondamento12.
L'unico libro posteriore ad Esdra che è entrato nel canone ebraico è quello di Daniele, molto
probabilmente perché i racconti sugli israeliti fedeli che vengono perseguitati (cf. l'episodio dei tre
giovanetti gettati nella fornace a causa del loro rifiuto di prestare un atto di culto all'idolo: Dn 3)
venne percepito come un testo adatto alla situazione degli ebrei dopo la disfatta di Gerusalemme
(70 d. C.).
Ritornando al nostro tema si può affermare che una lista definitiva non c'è. «Le frontiere del
canone non sono ancora fissate in modo definitivo. Almeno non abbiamo elementi certi per poter
dire che il canone breve della Bibbia ebraica sia stabilito prima del IV secolo d.C.»13.
Per completare il quadro va ricordato che di fatto esitono differenti "liste" circa il canone
ebraico: il canone dei samaritani (composto dei soli libri del Pentateuco, perché nei Profeti e
negli Scritti si insiste sulla centralità di Gerusalemme, tema assente nei primi cinque libri. Il loro
culto infatti si teneva sul Garizim); il canone dei sadducei (composto del solo Pentateuco, come
quello samaritano, ma il motivo della loro esclusione dei testi profetici è legato da una parte al
rifiuto della critica mossa dai profeti nei confronti del culto e dall'altra alla loro diffidenza verso
le speranze escatologiche presenti negli insegnamenti profetici) e il canone degli esseni (di cui
sopra).
1.2.8 Origine del canone lungo dei cristiani
Per molto tempo si è ipotizzato che i cristiani avessero scelto il canone lungo unicamente per il
fatto che l'hanno mutuato dalla versione greca della Bibbia di Alessandria (LXX). In realtà
quest'ipotesi da sola si è mostrata insufficiente, perché le scoperte di Qumran hanno dimostrato
che alcuni libri conosciuti ad Alessandria lo erano anche in Palestina, (ad esempio Tobia e Siracide).
Inoltre ci sono alcune somiglianze fra il testo greco della LXX e il testo ebraico della Bibbia usata a
Qumran. Quindi, ribadendo un dato ormai acclarato, esistevano differenti "canoni" e diverse forme
testuali fino all'epoca del NT.
Probabilmente una ragione della scelta di un canone più lungo da parte dei cristiani sta nella
volontà di evidenziare la continuità tra quel gruppo di scritti che divenne per loro l'AT e i nuovi
scritti del NT. La connessione tra AT e NT la si può percepire e dimostrare efficacemente se si
prolunga la storia d’Israele facendola sfociare in quella del cristianesimo. Questa motivazione
spiega la presenza, nel canone cristiano, di libri come Tobia, Giuditta e 1-2 Maccabei che creano
una sorta di ponte narrativo fra la ricostruzione del tempio e la riforma di Esdra da una parte e la
nascita di Gesù Cristo dall'altra. Inoltre accogliere nel canone cristiano i libri sapienziali, (ad es.
Siracide e Sapienza), redatti in tempi più vicini all'epoca neotestamentaria permetteva di
dimostrare che l'ispirazione non si era fermata con Esdra, come invece sostenevano gli ebrei: la
rivelazione continuava nei libri del NT!
Poi certamente un ruolo non secondario fu svolto dalla Bibbia dei LXX, usata dagli ebrei della
diaspora e quindi anche dai cristiani. Questi ultimi nelle discussioni circa l'adempimento delle
Scritture nella persona e nella missione di Gesù Cristo, si riferivano al testo greco. Gli ebrei, invece,
12 SKA, «Formazione del canone », 133. 13 SKA, «Formazione del canone », 134.
11
argomentavano a partire dal testo ebraico, del quale sostenevano la superiorità sulla versione in
greco. L'esclusione dal canone ebraico di alcuni libri unicamente in versione greca (ad es. Sapienza,
alcuni brani di Ester e di Daniele) si spiega per lo stesso motivo. La comunità ebraica ha voluto
conservare la sua integrità rimanendo fedele all'ebraico, rifiutandosi nettamente di accogliere nel
canone libri redatti in greco perché sarebbe sembrato un rinnegamento della fede dei padri e una
pericolosa concessione al mondo ellenistico e pagano (ma ormai gli ebrei di quell'epoca non
parlavano più ebraico ma aramaico). Gli ebrei, quindi, optarono per un canone non aperto verso un
futuro "cristiano", ma preferirono la fedeltà a un ideale di osservanza della Legge che risale alla
riforma di Esdra.
Una parola resta ora da dire circa il canone "breve" dei protestanti e il canone degli ortodossi. Il
canone più breve delle Chiese protestanti corrisponde, per quanto riguarda i libri dell'AT, al canone
«breve» della Bibbia ebraica. Sono quindi esclusi dal canone i libri deuterocanonici (detti apocrifi
dai protestanti), scritti in greco o trasmessi solo nella versione greca. I motivi di questa esclusione
sono vari. Uno di essi è chiaramente legato allo spirito del tempo ed è connesso alla cosiddetta
hebraica veritas. La sensibilità del rinascimento era fortemente connotata dal desiderio di liberarsi
dalle eredità del medioevo per un ritorno alle "origini", soprattutto all'antichità. Così per quel che
riguarda la Bibbia si delineò il desiderio di ritrovare il testo originale al di là delle traduzioni latine
(in particolare la Vulgata di san Girolamo) e greche, ritenute non del tutto affidabili. Questa
esclusione non è quindi dettata da ragioni teologiche e dottrinali, ma principalmente da
motivazioni letterarie. Il desiderio era quello di ritrovare la Bibbia "autentica" e "originale",
abbandonando quella latina favorita da tutta la tradizione medioevale (così il sola Scriptura dei
protestanti si risolse per l'AT nel sola Scriptura hebraica). Raramente i protestanti hanno aggiunto
altre ragioni per giustificare la loro scelta (ad es. il 2Mac fu respinto perché i cattolici, per
giustificare la dottrina del purgatorio, adducevano il testo di 2Mac 12,44-45)14.
Il canone delle Chiese ortodosse è pressochè identico al canone cattolico. Ciononostante in
alcune edizioni sono inclusi libri quali il 2° Esdra o il 3° Maccabei, esclusi dal canone da parte della
Chiesa cattolica, ma anche pochissimo utilizzati nella liturgia e nell'esegesi delle Chiese ortodosse.
«In questo modo, le Chiese ortodosse, cattoliche e protestanti si distinguono perché hanno
ciascuna un AT diverso. La cosa può sembrare paradossale, perché le differenti interpretazioni dei
testi sacri che separano queste Chiese provengono tutte da discussioni su testi del NT. Ogni tanto,
la storia si permette di sorridere, e nessuno potrà impedirle di farlo»15.
1.3 Il Canone dell'AT
1.3.1 La Torā (Legge o Pentateuco)
La Legge o Torā, o Pentateuco (composta di Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio)
narra le origini fondanti del popolo d'Israele e della sua fede. Il Pentateuco non si presenta solo
come l'inzio ma costituisce piuttosto il fondamento sul quale si costruisce la storia di Israele. In
quanto fondanti questi inizi costituiscono una storia normativa, perché sono all'origine dell'identità
etnico-nazionale e teologica di Israele. Israele, infatti, può fare a meno di un territorio per la sua
14 Per quanto riguarda il canone del NT non vi sono divergenze. 15 SKA, «Formazione del canone », 142.
12
identità etnica (nazione), come pure può essere privo di un trono (monarchia) e di un tempio
(culto). La definizione irrinunciabile della sua identità permanente sta nel fatto che è un popolo
liberato da Dio: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla
condizione di schiavitù» (Es 20,2). Di questo elemento Israele non può fare a meno. Allora la storia
delle sue origini e i libri che la custodiscono godono della normatività più alta rispetto a tutti gli
altri libri dell'AT, tanto che sono attribuiti alla personalità più autorevole in assoluto: Mosè ne è
l'autore16.
Il Pentateuco termina con la morte di Mosè (Dt 34,1-11). Il testo contiene una serie di
affermazioni fondamentali sul posto che Mosè occupa nella storia della rivelazione e, perciò, sul
posto della Legge in rapporto agli altri libri biblici. Gli ultimi versetti sono significativi: «Non è più
sorto in Israele un profeta come Mosè – con il quale il Signore parlava faccia a faccia – per tutti i
segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere nel paese di Egitto, contro il faraone,
contro i suoi ministri e contro tutto il suo paese; e per la mano potente e il terrore grande messo in
opera da Mosè davanti agli occhi di tutto Israele» (Dt 34,10-12). Questo testo contiene non solo
l'elogio funebre di Mosè, ma anche alcune affermazioni fondamentali sul canone, in particolare
sulla rivelazione che si conclude con la morte di Mosè. Il testo è chiarissimo: la rivelazione fatta a
Mosè non si può paragonare con nessun'altra rivelazione fatta ai profeti. Tale superiorità si
giustifica, sempre secondo Dt 34,10-12, per due ragioni principali: 1) il Signore parlava a Mosè
faccia a faccia, e 2) Mosè è stato lo strumento privilegiato del Signore contro l'Egitto e in favore di
Israele. Ciò implica che nessun altro profeta ha conosciuto Dio «faccia a faccia» e ha compiuto
prodigi simili a quelli che Dio ha compiuto con la mediazione di Mosè. Riassumendo, la relazione
tra YHWH e Mosè è unica, e anche l'esodo è un avvenimento unico nella storia di Israele, sicchè i
libri che ne parlano, cioè i cinque libri del Pentateuco, sono a loro volta unici17.
1.3.2 I Profeti
Poi si trovano i Profeti o Nebî’îm, che Accanto alla Torā formano un dittico anche per il NT
18. Il
canone ebraico distingue tra profeti anteriori (che i cristiani classificano piuttosto come libri storici:
Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re) e profeti posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e i cosiddetti
dodici profeti «minori»: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia,
Aggeo, Zaccaria, Malachia). I profeti "leggono" la storia alla luce della parola di Dio di cui sono
portatori, dunque la loro esperienza e i loro insegnamenti sono autorevoli e normativi proprio per
questo rapporto diretto con la parola divina. In questo senso l'autorità dell'oracolo profetico è
sorgiva. Ciononostante essi non sono mai sganciati e autonomi dalla Legge (Torah), alla quale
fanno sempre riferimento. L'ultimo libro della raccolta dei libri profetici presenta proprio una
raccomandazione al riguardo molto esplicita: «Tenete a mente la Legge del mio servo Mosè, al
quale ordinai sull'Oreb, statuti e norme per tutto Israele» (Ml 3,22). Anche 2Re – considerato
appunto un libro profetico nel canone ebraico – contiene un'affermazione analoga: «Il Signore, per
mezzo di tutti i suoi profeti e dei veggenti, aveva ordinato a Israele e a Giuda: Convertitevi dalle
16 Questa è stata per lunghissimo tempo la convinzione al riguardo (invece si tratta di più autori e di diverse epoche). 17 SKA, «Formazione del canone », 03-104. 18 Cf. Lc 24,27: «… e cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui». Ma cf. anche Lc 24,44: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi».
13
vostre vie malvage e osservate i miei comandi e i miei decreti secondo ogni legge, che io ho imposta
ai vostri padri e che ho fatto dire a voi per mezzo dei miei servi, i profeti» (2Re 17,13). «I profeti sono
anzitutto custodi e interpreti della Legge»19.
1.3.3 Gli Scritti
È già stata presa in considerazione la menzione nel prologo greco al Siracide, in cui l'autore,
accanto alla Legge e ai Profeti, aggiunge un'altra categoria di libri, detta genericamente altri Scritti
(Ketūbîm)20. Quanto all'entità di questo terzo gruppo di scritti l'autore non fornisce elementi per
valutarne l'estensione; inoltre al tempo della formazione del canone degli scritti cristiani questo
gruppo non era ancora stato riconosciuto dagli ebrei stessi in modo unanime.
La collezione degli Scritti secondo il canone ebraico comprende: Salmi, Proverbi, Giobbe,
Cantico, Rut, Lamentazioni, Qohelet (Ecclesiaste), Ester, Daniele, Esdra, Neemia, 1 e 2 Cronache.
Nella traduzione greca della Bibbia (LXX) accanto a questi compaiono pure Tobia, Giuditta,
Sapienza, Siracide (Ecclesiastico), Baruc (più la Lettera di Geremia), 1-2 Maccabei, e le parti di Ester
e di Daniele scritte in greco e assenti nella versione ebraica. Questi ultimi libri, la cui canonicità era
discussa, non entreranno a far parte del canone ebraico, mentre saranno riconosciuti in quello
cristiano: i cattolici li chiamano deuterocanonici (riconosciuti come canonici solo in un secondo
momento), mentre i protestanti li considerano apocrifi (non nel senso che diamo noi agli scritti
apocrifi, di cui oltre)21.
Anche in questo caso gli Scritti non aggiungono nulla al Pentateuco (Legge), ma servono per
approfondirlo e meditarlo. Basti ricordare la prefazione del libro dei salmi, il Sal 1, che fornisce in
qualche modo l'intonazione dell'intera raccolta: «Beato l'uomo che non segue il consiglio degli
empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace
della Legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte» (Sal 1,1-2).
In sintesi riguardo alla complessa questione circa il canone e la storia del suo riconoscimento si
possono tirare le seguenti conclusioni:
1) Con la distruzione del Tempio nel 70 d.C. la religione giudaica divenne sempre più una
religione «del Libro»: questo implicava la necessità di un canone normativo definitivo. Ma la strada fu
più lunga e complessa di quello che si immagina. Mentre c'era sostanziale accordo per il Pentateuco
e i Profeti, per gli Scritti restava una situazione "fluida", non ancora ben cristallizzata.
2) Le dispute sorte all'interno del Giudaismo, in particolare tra Farisei e sette di tendenza
apocalittica (vengono redatti in questo periodo moltissimi libri apocalittici), hanno costituito uno
stimolo ulteriore alla fissazione di un canone, sollecitato in qualche misura anche dalla stessa
"concorrenza" dei libri cristiani. L'accoglienza di alcuni libri in ambito cristiano ha fatto sì che questi
stessi libri (deuterocanonici) venissero esclusi dal canone ebraico.
3) Anche se nel I sec. d.C. si poteva parlare dell'accettazione popolare di 22 o 24 libri come sacri,
per la comparsa di un canone ebraico fissato bisogna attendere il III-IV secolo.
19 SKA, «Formazione del canone », 109. 20 «Molti e profondi insegnamenti ci sono dati nella Legge, nei Profeti e negli altri Scritti successivi…». 21 Bisogna precisare che in pratica i libri più studiati non sono i deuterocanonici (o apocrifi). Nelle biblioteche specializzate i commentari e gli studi dedicati a questi libri sono molto meno numerosi di quelli consacrati ai libri più «classici» del canone breve.
14
4) L'assunzione del canone più ampio fatta dai cristiani tramite la versione greca dei LXX può
essere stata, se non la causa principale, comunque uno dei motivi più rilevanti, in base al quale il
giudaismo limitò il canone dell'AT ai libri che di fatto circolavano allora nella lingua originale
ebraica o aramaica.
1.4 La struttura aperta del canone dell'AT22
1.4.1 L'AT cristiano orientato a Cristo – l'AT ebraico orientato al tempio
Il canone cristiano dispone i libri biblici secondo una scansione che si apre con il Pentateuco e
si chiude con i libri profetici. In tal modo dando l'ultima parola ai profeti il canone è orientato verso
il futuro, è aperto cioè ad un seguito: alla venuta di Gesù Cristo. Gli ultimi versetti dell'AT nel
canone cristiano dicono «Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile
del Signore, perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri; così che io
venendo non colpisca il paese con lo sterminio» (Ml 3,23-24). Questa profezia di Malachia è ripresa
succintamente da Luca fin dalle prime battute del suo vangelo (1,17), quando l’angelo Gabriele
annuncia a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista, il quale, secondo i sinottici, è l'Elia che doveva
ritornare per preparare la venuta del Messia: «Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di
Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al
Signore un popolo ben disposto» (1,17). Questo testo dunque getta un ponte di continuità tra l'AT
e il NT ed è una delle ragioni per cui i profeti si trovano alla fine del canone cristiano23.
Il canone ebraico invece termina con i libri di Esdra e Neemia e i due libri delle Cronache.
Questi ultimi due ripercorrono tutta la storia del mondo dalla creazione sino all'editto di Ciro, che
permette agli israeliti di fare ritorno a Gerusalemme. I libri di Esdra e di Neemia invece ne formano
la continuazione logica del tutto naturale, poiché narrano l'attuarsi dell'editto di Ciro: il ritorno
degli esiliati, la ricostruzione del tempio e la riorganizzazione della comunità (come si vede l'ordine
cronologico non è rispettato, dunque la collocazione "forzata" è voluta).
Nel canone cristiano, invece, Esdra e Neemia vengono dopo 1-2 Cronache. Se la Bibbia ebraica
compie questa inversione forse è proprio per il desiderio di concludere l'intera Bibbia con le parole
dell'editto di Ciro: «Dice Ciro re di Persia: il Signore, Dio dei cieli, mi ha consegnato tutti i regni della
terra. Egli mi ha comandato di costruirgli un tempio in Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi
appartiene al suo popolo, il suo Dio sia con lui e parta (2Cr 36,23). Dunque notiamo due
orientamenti differenti nella comprensione dell'AT: il canone cristiano indirizza l'AT alla venuta del
Messia e del suo precursore; il canone ebraico, invece, è orientato verso la salita o ritorno a
Gerusalemme.
1.4.2 L'ingresso nella terra promessa
L'orientamento alla città di Gerusalemme è il segno indicatore di una "tensione verso la terra"
che attraversa un po' tutto l'AT. Abramo è invitato da Dio a raggiungere una terra e, una volta
22 Si seguono sostanzialmente le considerazioni di SKA, «Formazione del canone », 101-103 e 110-113. 23 In Is ci sono molti annunci messianici (7,13; 9,5-6; 11,1-9; 61,1-2; i carmi del servo: 42,1-4; 49,1-6; 50,4-9; 52,13–53,12).
15
giuntovi, di prenderne possesso (Gen 13,14-17)24. Nel mondo antico l'atto di "vedere" per primi un
territorio aveva valore giuridico e conferiva il diritto di possesso25. Abramo, comunque ha solo
potuto vedere il paese, l'ha potuto anche attraversare ma non ha mai goduto il diritto di proprietà
e non si è potuto stanziare stabilmente in questo territorio, perché lui era soltanto un migrante, e
non un proprietario. Una scena analoga la incontriamo con la figura di Mosè, il quale prima di
morire può vedere il paese che Dio ha promesso ad Abramo e ai suoi discendenti, ma non vi può
entrare (Dt 34,1-4)26. Il Pentateuco, quindi, terminando con la morte di Mosè, si conclude senza
che il popolo di Israele sia entrato in possesso della terra promessa. Sarà Giosuè ad introdurlo nel
territorio, facendogli attraversare il fiume Giordano. E in fondo (come già detto) tutto l'AT si
conclude con quest'anelito alla terra (il ritorno a Gerusalemme e la ricostruzione del tempio: cf.
2Cr 36,23). «L'AT è dunque una "sinfonia incompiuta". Quando il popolo farà ritorno nella propria
terra?»27.
Certamente la monarchia ha incarnato quest'anelito, realizzando un'indipendenza territoriale
identificata nella nazione governata da un sovrano (Davide). Ma la speranza messianica (l'attesa
del discendente davidico) andrà oltre la pura materialità di una restaurazione futura della
monarchia davidica. Infatti il NT, pur accogliendo pienamente tale attesa, l'ha anche radicalmente
"contestata", dilatandone gli orizzonti: la speranza della «terra promessa» ai patriarchi e l'attesa di
un «regno davidico» fiorirà nell'annuncio dell'inaugurazione del «regno dei cieli» o «regno di Dio».
Nella predicazione di Gesù incontriamo, infatti, una reinterpretazione radicale di questa attesa. Per
questa ragione i vangeli iniziano dal Giordano, dove predica il Battista e ha inizio la vita pubblica di
Gesù, che comincia proprio con la notizia del regno di Dio imminente28. Ora, Mosè si è fermato
davanti al Giordano, senza poter introdurre Israele nella terra promessa, ingresso realizzato con
Giosuè. In fondo il Battesimo di Gesù è interpretabile come un "passaggio" del fiume Giordano,
come un approdo dal deserto alla terra promessa, e lo scontro con il diavolo alle tentazioni è
paragonabile allo scontro affrontato da Giosuè per liberare dalle tribù nemiche il territorio di
Israele29.
Infine non va dimenticata una precisazione di grande interesse. Lo stesso NT presenta una
struttura "aperta". E anche in questo caso le conclusioni dei libri sono indicative. I vangeli si
concludono con l'orizzonte sconfinato dell'invio missionario dei discepoli da parte di Gesù a tutte le
genti (apertura geografica). L'Apocalisse, che chiude il canone neotestamentario, ha come battuta
24 «Allora il Signore disse ad Abram, dopo che Lot si era separato da lui: "Alza gli occhi e dal luogo dove tu stai spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l'oriente e l'occidente. Tutto il paese che tu vedi, io lo darò a te e alla tua discendenza per sempre. Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. Alzati, percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò a te"». 25 Cf. SKA, «Formazione del canone », 110. 26 «Poi Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima del Pisga, che è di fronte a Gerico. Il Signore gli mostrò
tutto il paese: Gàlaad fino a Dan, tutto Nèftali, il paese di Efraim e di Manàsse, tutto il paese di Giuda fino al Mar Mediterraneo e il Negheb, il distretto della valle di Gerico, città delle palme, fino a Zoar. Il Signore gli disse: "Questo è il paese per il quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò alla tua discendenza. Te l'ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!"» 27 SKA, «Formazione del canone », 111. 28 Cf Mc 1,14-15:«Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo"». 29 Cf. J.-L. SKA, «Mosè – Giosuè – Gesù », ID., La strada e la casa. Itinerari biblici, Bologna 2001, 169-193.
16
finale una promessa e una supplica orientati al futuro escatologico (apertura cronologica): «Colui che
attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20).
1.5 I cristiani e l'AT
Dopo aver scandito i passaggi storici e teologici della formazione del canone dell'AT e della
strutturazione diversa tra il canone ebraico e il canone cristiano, s'impone ora una serie di
considerazioni più ristrette circa il rapporto tra i cristiani e l'AT. Si tratta, dunque, di alcuni quesiti
circa il nucleo teologico fondamentale che ha rimesso in gioco la questione del canone dell'AT per i
cristiani: la persona di Gesù.
1.5.1 I cristiani accolgono l'AT da Gesù30
Qual è la canonicità che i cristiani riconoscono all'AT? La risposta è tanto ovvia a livello teorico
quanto difficile da utilizzare di fatto: la tradizione cristiana riceve le Scritture dell'AT da Gesù e
attraverso Gesù. La conseguenza per la canonicità sarebbe la seguente: la Chiesa riconosce le
scritture dell'AT secondo quel canone e quella canonicità che Gesù stesso avrebbe riconosciuto (cf.
Lc 24,27.44). In realtà, nella carrellata sulla storia della formazione del canone dell'AT, s'é visto
come ai tempi di Gesù non ci fosse un canone fissato; inoltre non ci sono dati neotestamentari
probanti per determinare precisamente il canone cui si riferiva Gesù. Si deve allora pacificamente
accettare due dati di fatto: a) Gesù non si è scostato dall'uso palestinese del suo tempo, b) non ci è
del tutto possibile ricostruire con esattezza il canone "utilizzato" da Gesù. In altre parole il corpo
delle Scritture che Gesù ha assunto e cui «ovviamente» faceva riferimento, per noi non è affatto
ovvio. Con un'analisi dettagliata si evince che preferenzialmente gli scritti del NT citano o alludono
alla traduzione greca dell'AT, la versione dei LXX (con un'eccezione: Apocalisse, infatti, quando
rinvia all'AT si riferisce al testo ebraico e non a quello greco). Possiamo comunque dire che la
testimonianza neotestamentaria è globalmente favorevole al canone esteso.
1.5.2 Annuncio di Gesù e canone nella Chiesa delle origini
Per quanto poliglotta fosse la Galilea, è del tutto improbabile che Gesù in persona si sia servito
della versione dei LXX e l'abbia consegnata agli apostoli: lui e loro parlavano aramaico!
Ciononostante nelle prime comunità cristiane vigeva il bilinguismo (aramaico e greco) e s'impose
abbastanza presto l'utilizzo dell'AT nella sua versione greca (LXX). Questa traduzione greca fu
essenzialmente utilizzata per comprendere e per annunciare il mistero di Gesù e anzitutto della
sua Pasqua, soprattutto grazie a quei passi in cui tale traduzione si mostrava più creativa e
promettente, dal momento che lasciava spazio ad ulteriori interpretazioni.
Un esempio concreto di questo utilizzo cristiano lo incontriamo in Is 7,14, in cui il termine
ebraico significa semplicemente ragazza, giovinetta, vien tradotto nella versione greca col termine
parthénos (parqe,noj). Questo aprì la strada per esplicitare il senso verginale del concepimento di
Maria, dal momento che il termine greco indica non solo una ragazza, ma anche una ragazza non
30 In queste osservazioni si seguono le riflessioni di T. CITRINI, Identità della bibbia, Brescia 1982, 25-30.
17
sposata e quindi vergine. Quindi, quando l'evangelista Matteo cita il testo isaiano, porta alla luce
un'accezione che non avrebbe potuto trovare così agevolmente nel testo ebraico. «Tutto questo
avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la
vergine (parqe,noj) concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio
con noi» (Mt 1,22-23).
La Bibbia greca finì per diventare la Bibbia cristiana per eccellenza; le vicende dei rapporti tra
cristianesimo e giudaismo fecero il resto. Possiamo allora approdare alla seguente conclusione: più
che la prassi personale di Gesù fu l'uso concreto delle Scritture da parte dei primi cristiani ad
influire sull'assunzione del canone lungo dell'AT in campo cristiano.
1.5.3 Gesù e la canonicità delle Scritture
A Gesù personalmente però risale ben altra originalità, che riguarda più la canonicità delle
Scritture che il canone. Gesù ha accolto le Scritture e la loro autorità, le ha comprese come
testimonianza dell'autorità del Padre, la cui volontà escatologica egli era venuto a compiere
(continuità con l'AT). Ciononostante Gesù esprime pure un'originalità del tutto inedita: egli ha
posto se stesso e non le Scritture come espressione autorevole e ultima del Padre e del suo
pensiero (discontinuità con l'AT). Quindi in primis le Scritture vengono interpretate alla luce di Gesù
e della sua autorità; e solo in un secondo momento Gesù viene interpretato e compreso sullo
sfondo delle Scritture. In soldoni: lo sfondo e il primo piano non sono intercambiabili, e la figura in
primo piano è Gesù.
Emblematico al riguardo è il «Ma io vi dico» del discorso della montagna (Mt 5,22 ecc.), per
mezzo del quale Gesù rilegge e riformula sulla propria autorità personale i capisaldi dell'Alleanza. Il
che non significa che Gesù abbia fondato una legge totalmente nuova, gettando via l'antica ormai
superata. Gesù riprende il senso originario della Legge contro tradizioni interpretative che
soffocavano lo spirito della Legge stessa (cf. ad esempio Mc 7,1-13 e Mt 19,1-9).
Gesù non proclama una nuova legge, ma dà invece una nuova interpretazione dell'antica legge
[…]. Gesù dunque non si presenta come un nuovo Mosè, ma piuttosto come il più autorevole
commentatore di Mosè, colui che dà alla legge una interpretazione nuova e definitiva31.
Per questo motivo Gesù «pone se stesso come colui che dalla torah fa scaturire vene sorgive
che la torah stessa non sapeva liberare»32; infatti egli afferma di essere venuto «non per abolire,
ma per dare compimento» (Mt 5,17).
L'intento di Gesù è diretto contro la mentalità legalistica. Egli voleva che l'uomo adempisse con
tutte le proprie forze la volontà di Dio. Matteo orienta in modo più deciso la direttiva di Gesù nel
senso della legge. Secondo la sua interpretazione, Gesù ha portato a compimento la legge, ossia ha
annunciato la definitiva volontà di Dio […]. L'autorità con cui Gesù parla non può essere precisata
nel senso che egli si sia rivolto contro l'autorità di Mosè, ma consiste invece nel modo di
interpretarla. Egli non fonda la propria idea, cioè la volontà di Dio da proclamare, su passi
31 SKA, «Mosè – Giosuè – Gesù », 184. 32 CITRINI, Identità della bibbia, 28.
18
scritturistici, come erano soliti fare i capiscuola, ma parla come chi è liberamente investito di pieni
poteri33.
Paolo di conseguenza dirà che la legge è confermata, ma anche abrogata (cf. Rm 3,31. 7,1-6 ed
Ef 2,15). L'AT in questo modo riceve una riqualificazione ermeneutica, perché raccoglie più la
speranza di Israele che la sua memoria, e pone al centro dei tempi non il passato ma il
compimento dei tempi stessi, l'eschaton, il quale si dà nell'avvento del regno di Dio, nella figura del
Figlio dell'uomo e nel mistero della Nuova Alleanza. Anche i profeti, più che autorevoli difensori ed
interpreti della Torā, diventano in questa prospettiva anzitutto testimoni a favore di Gesù (Lc 9,30-
3134; 24,25-27.44-47). Potremmo dire così: se prima il baricentro delle Scritture era il Pentateuco,
autorità più alta all'interno dell'insieme dei libri biblici, ora con Gesù questo baricentro s'è
definitivamente spostato sulla sua persona e sul suo insegnamento.
Se il canone dell'AT è assunto senza essere modificato, la dinamica interna della sua
canonicità invece è capovolta. Già s'è notato come la tensione verso la terra (il tempio e
Gerusalemme), che connota il canone ebraico, è riformulata dal canone cristiano come attesa di una
figura ventura (il Messia). D'altro canto una rilettura cristocentrica delle Scritture
veterotestamentarie fa emergere linee di forza diverse, gettando luci nuove di comprensione e di
strutturazione teologica, le quali, se reinterpretano e rileggono l'AT, non ne autorizzano però
l'archiviazione.
Anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel suo sangue, tuttavia i libri dell'AT,
integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro completo
significato nel NT, e a loro volta lo illuminano e lo spiegano (DV 16, nn. 14-15).
1.6 Il Canone del NT
1.6.1 L'importanza della tradizione orale
Le Scritture cristiane comprendono il NT, e, anche se il sorgere di questo corpo di scritti è stato
certamente più rapido rispetto alla formazione dell'AT, a conti fatti non risulta meno impegnativo.
Infatti come avvenne per le tradizioni orali dell'AT allo stesso modo le tradizioni delle origini
cristiane diedero forma a gruppi di scritti, ma solo per rispondere all'esigenza di non perdere la
testimonianza su Gesù da parte degli apostoli35.
La necessità di mettere per iscritto le parole di Gesù, il fondatore del cristianesimo, o di fornire
alle diverse Chiese locali una o più «vite di Gesù» e alcuni scritti essenziali dei primi discepoli non si
è fatta sentire sin dall’inizio. La spiegazione del fenomeno è abbastanza semplice: i cristiani erano
33 J. GNILKA, J., Il vangelo di Matteo, Brescia 1990, 301. 34 Mosè ed Elia con la loro presenza attestano e ratificano che la passione di Gesù è il compimento delle Scritture: «Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita (esodo) che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (Lc 9,30-31). 35 Al riguardo è emblematica un'osservazione di IRENEO DI LIONE, Adversus Haereses, 3.4.1: «Supponiamo che scoppi fra di noi una controversia a proposito di una questione importante. Non dovremmo rivolgerci alle Chiese più antiche con le quali dialogavano gli apostoli e imparare da esse che cos’è certo e chiaro in merito a questa questione? E che cosa dovremmo fare se gli apostoli non ci avessero lasciato scritti? Non sarebbe necessario [in questo caso] seguire la tradizione che essi [gli apostoli] hanno trasmessa a coloro ai quali hanno affidato la direzione delle Chiese?». Nell'antichità ci si fidava di più delle persone che degli scritti.
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pochi, e mentre i primi apostoli e discepoli erano ancora in vita la «tradizione viva» permetteva di
risolvere i problemi principali che sorgevano all’interno del cristianesimo nascente. Occorre inoltre
ricordarsi che, al contrario della storia d'Israele, che si estende su un lungo periodo e comprende
una lunga serie di personaggi, la storia della nascita del cristianesimo è molto breve e coinvolge un
numero molto ristretto di persone. Il cristianesimo, perciò, era un fenomeno relativamente ridotto
e la sua dottrina non richiedeva una lunga esposizione. La persona di Cristo, inoltre, era più
importante delle Scritture come tali, e i testimoni oculari erano più autorevoli di qualsivoglia
documento scritto. Il cristianesimo si presenta meno come una religione legata a un libro e più
come una religione centrata sulla persona del suo fondatore36.
Ciononostante assistiamo abbastanza presto all'affiorare dell'esigenza di mettere per iscritto le
tradizioni orali, basate sui racconti dei testimoni oculari. Furono sostanzialmente tre i motivi che
provocarono il passaggio dalla trasmissione orale alla fase di redazione scritta: a) col passare del
tempo i racconti orali e la memoria rischiano di sfumare il contenuto originario, e con la diffusione
del cristianesimo non era più possibile né la consultazione dei diretti interessati nella piccola terra
di Palestina né la comunicazione tra comunità cristiane (sempre più numerose e diffuse in molte
parti d'Europa). Per la conservazione del patrimonio della fede cristiana, dunque, bisognava
affidarsi a mezzi più attendibili e durevoli della pura memoria e del semplice racconto orale. b) La
scomparsa dei primi testimoni oculari (gli apostoli) e il ritardo della parousia (ritenuta almeno
inizialmente imminente) costrinsero le comunità cristiane a far subentrare alla tradizione orale altri
mezzi più duraturi – i testi scritti –, adatti a consegnare alle generazioni future e per un lungo
periodo il patrimonio della fede. c) Le controversie con il giudaismo e quelle interne al
cristianesimo (in particolare alcune affermazioni critiche di Paolo nei cfr. dell'Antica alleanza)
obbligarono le Chiese cristiane a rivedere il loro parere nei confronti dell'AT. Anche la posizione
avversa di Marcione verso l'AT (di cui vedremo in seguito) provocherà i cristiani a difenderne la
validità.
1.6.2 Il Corpus paulinum
Paolo è il primo "scrittore" del NT, e redige le sue lettere fra il 50 e il 60 circa. Le prime citazioni
testuali delle lettere di Paolo si trovano già in Clemente di Roma (fine I sec.), poi in Ignazio di
Antiochia (fine I sec. – inizio II sec.). Policarpo (I – II sec.), discepolo dell'apostolo Giovanni, cita
anch'egli Paolo, soprattutto la Lettera ai Colossesi. In tutti gli altri scrittori cristiani dei primissimi
secoli riscontriamo diversi riferimenti a Paolo. Clemente, ad esempio, riconosce a Paolo un'autorità
simile a quella dell'AT. Si può, quindi, affermare con un elevato grado di probabilità che le lettere di
Paolo fossero già note alla fine del I secolo. La posizione autorevole delle lettere paoline è attestata
– caso unico in tutto il NT – da un fatto particolarissimo: è l'unico autore di cui lo stesso NT cita le
opere. Infatti, in 2Pt 3,15-16, lettera attribuita a Pietro e scritta verso la fine del I secolo,
incontriamo una menzione degli scritti di Paolo, ai quali si riconosce un valore pari alle Scritture
dell'AT (le "altre Scritture"):La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come
anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; così
egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da
36 SKA, «Formazione del canone », 149.
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comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria
rovina (2Pt 3,15-16).
Un Corpus paulinum, cioè una raccolta di lettere di Paolo, si deve essere formato per scambio
tra le chiese: una lettera indirizzata espressamente ad una comunità veniva "condivisa" con altre
comunità. Questo scambio è menzionato in Col 4,16 («E quando questa lettera sarà stata letta da
voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai
Laodicesi») ed è dato per assodato in 2 Pt 3,16. Non conosciamo, tuttavia, l'estensione precisa
dell'epistolario cui l'autore di 2 Pt si riferisce. Nella metà del II sec. Marcione usa le dieci maggiori
lettere paoline (Gal, 1 e 2 Cor, Rm, 1 e 2 Ts, cosiddetta ai "Laodicesi" [= Ef], Col, Fm, Fil); e pochi
decenni più avanti il canone romano cosiddetto "di Muratori" insieme a queste conosce le "lettere
pastorali" (Tt, 1 e 2 Tm). Al Corpus paulinum la tradizione successiva aggiunse pure Eb, la cui
attribuzione a Paolo però sin dalla remota antichità fu ampiamente discussa. In sintesi: per "corpo
paolino" si intende l'insieme delle lettere scritte da Paolo e da alcuni suoi discepoli, che ne hanno
mantenuto vivo il pensiero. Di alcune si è certi che furono scritte da Paolo (homologoumena:
"riconosciute"); di altre, invece, se ne mette in dubbio la paternità letteraria (antilegomena:
"discusse"), anche se si riconosce la derivazione paolina del pensiero teologico. Le lettere
riconosciute sono: 1 Tessalonicesi, 1 e 2 Corinzi, Romani, Galati, Filippesi, Filemone. Le lettere
discusse sono: 2Tessalonicesi, Colossesi ed Efesini37
, 1 e 2 Timoteo, Tito (cosiddette pastorali).
1.6.3 La formazione del corpo dei quattro Vangeli (e di Atti)
«L'interesse per i vangeli scritti appare abbastanza tardi e questo fatto può sorprendere.
Abbiamo visto, tuttavia, che il mondo antico in genere e il mondo cristiano in particolare erano
spesso più legati alle persone che agli scritti»38. Nelle lettere di Paolo, negli Atti, nella Lettera agli
Ebrei e nell'Apocalisse si riscontrano pochissime allusioni alle parole di Gesù. Bisognerà attendere
la fine del I secolo perché vengano scritti i vangeli, quando si comincerà a percepire in modo più
intenso la distanza temporale dagli avvenimenti della vita di Cristo. I quattro vangeli canonici sono
stati redatti, secondo le ricerche più recenti fra il 60 e il 100. Il primo vangelo è probabilmente
quello di Marco e l'ultimo è quasi sicuramente quello di Giovanni39.
Attraverso quali sviluppi ha preso forma la canonicità dei quattro vangeli? Come la Torā si
presenta quale memoria della storia fondatrice dell'alleanza e come codificazione del progetto di
esistenza che ne derivava (Legge), così anche i vangeli si presentano come memoria della storia
fondante della fede e della condotta dei cristiani. La fede cristiana è polarizzata sui detti e i fatti di
Gesù, perché confessa che in Lui Dio ha compiuto definitivamente la sua presenza e azione di
salvezza. Per questo la fede cristiana ha una dimensione memoriale ancor più viva di quella
veterotestamentaria, dimensione che si concretizza appunto nella necessità di mettere per iscritto
quanto riguardava la figura di Gesù. La tradizione evangelica è, dunque, a servizio della memoria di
Gesù, tuttavia non con una finalità meramente storiografica, ma con l'intento di rendere
37 Colossesi ed Efesini assieme a Filippesi e Filemone, sono dette le lettere della prigionia. 38 SKA, «Formazione del canone », 156. 39 Il dibattito sulla datazione dei vangeli non è ancora del tutto chiuso circa le date precise. Sul periodo però c'è ormai consenso unanime: fine del I secolo, 60 – 100.
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continuamente tale memoria un annuncio autentico di salvezza, che susciti la fede in Gesù e
orienti la vita secondo questa fede.
Per rispondere a tali esigenze, nasce il genere «vangelo», fenomeno letterario del tutto
originale, che non ha degli esempi precedenti e si presenta come una novità assoluta. Il primo autore
a parlare di «vangeli» al plurale è Giustino (morto a Roma verso il 165); ed è anche il primo
scrittore cristiano ad utilizzare i vangeli come «Scritture», accordando loro la stessa autorità
dell'AT40. Il vangelo diventa rapidamente un "problema" perché da comunità diverse nacquero
vangeli diversi. Ovviamente ogni singola comunità considerava il "suo" vangelo come "il" vangelo.
Per porre rimedio a tale difficoltà, le Chiese scelgono due soluzioni: o accordare la preferenza ad
un vangelo in particolare, ignorando gli altri (criterio di selezione), o combinare diversi vangeli in
uno (criterio di fusione). Infatti questa posizione riduzionistica da una parte indusse Marcione ad
accogliere solo Lc (selezione) e a respingere gli altri, e dall'altra spinse Taziano a comporre il
Diatessaron (fusione)41. L'uno e l'altro tentativo furono respinti come tentazione42. L'uso anche
successivo delle chiese continuò a manifestare preferenze per questo o quel vangelo, ma sulla base
della compresenza dei quattro, e cercò di spiegarne la complementarità in modi diversi,
appellandosi alla storia della loro origine e alla diversità della loro impostazione.
Ireneo (fra il 170 e il 180) teorizza con un'argomentazione più simbolica che teologica la
necessità del numero quattro riguardo ai vangeli, collegandolo ai quattro venti e ai quattro punti
cardinali, ai quali è destinata la predicazione apostolica43. Non si conoscono con esattezza i motivi
e le tappe storiche della compaginazione e affermazione quadriforme del corpo dei vangeli.
Rimane comunque una questione di natura teologica, che già sollecitava gli antichi: perché quattro
vangeli? Che è mai questa testimonianza, perché essa giunga a noi in quadruplice forma canonica?
Anche se originariamente la loro origine è da collocarsi in chiese e per chiese diverse e, quindi,
inizialmente almeno potevano essere percepiti come scritti alternativi, la loro compresenza nel
canone suggerisce che essi siano stati lentamente compresi come testimonianze complementari,
che si integrano ed arricchiscono reciprocamente. Comunque le considerazioni di Ireneo non
furono certo ininfluenti nell'accoglienza della canonicità dei quattro vangeli.
Diversi sono i motivi che hanno contribuito al successo dei quattro vangeli canonici. Il più
importante fu quasi certamente la loro origine «apostolica», diretta per Matteo e Giovanni, e
indiretta per Marco (discepolo di Pietro) e Luca (discepolo di Paolo)44. I quattro vangeli canonici
potevano rivendicare una maggiore antichità e una maggiore diffusione, inoltre provenivano da
comunità più influenti (Mt in Siria, Mc a Roma, Lc ad Antiochia o alla Grecia, e Gv ad Efeso). Infine,
la preferenza è spiegabile anche per il fatto che Mt, Mc, Lc e Gv sono più completi, presentano una
ricca varietà di tradizioni (discorsi, narrazioni, parabole, singoli detti, racconti completi sulla
passione e la risurrezione), sono scritti in uno stile semplice e accessibile, e soprattutto si
40 GIUSTINO, Apologia 1,39.66-67; Dialogo con Trifone, 103. 41 Il termine te,ssarej indica il numero 4, diatessaron significa "[uno] per mezzo dei quattro". Si tratta dunque di un compendio riassuntivo desunto dai quattro vangeli. 42 Anche se nelle Chiese orientali della Siria il Diatessaron di Taziano fu utilizzato per lungo tempo. 43 IRENEO, Adversus Haereses, 3,11.8-9. 44 Anche alcuni vangeli apocrifi, pur attribuiti ad apostoli furono comunque esclusi dal canone: il Vangelo di Pietro e il Vangelo di Tommaso.
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presentano meno unilaterali rispetto ai vangeli di Pietro, di Tommaso, e al protoevangelo di
Giacomo, ed erano quindi più adatti alle varie esigenze delle comunità cristiane. Tra il II e il III sec. il
"corpo quadriforme dei vangeli" è ampiamente diffuso e utilizzato.
Infine va sottolineato il fatto che Mt, Mc, Lc e Gv hanno acquistato lo statuto canonico non
isolatamente ma insieme, come gruppo. Diverse, tuttavia, erano le modalità di "catalogazione". In
occidente prevaleva un ordine di «autorevolezza» circa l'autore: Matteo e Giovanni (apostoli)
precedevano Marco e Luca ("soltanto" discepoli). In oriente, invece, prevaleva un ordine
cronologico (come si riteneva allora): Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Questa, tra l'altro, è la
collocazione canonica a noi pervenuta45.
Lo scritto "Atti degli Apostoli" fa parte di un dittico composto da Luca verso l'80 come un'unica
opera letteraria in due tempi: Vangelo e Atti. Gli At mostrano che la predicazione degli apostoli
Pietro e Paolo continua l'attività di Gesù e realizza la diffusione del vangelo nei paesi che si
affacciano sul Mediterraneo. At diventa un libro popolare dopo Marcione (150 c.a), che lo esclude
dal suo «canone», e acquista uno statuto "quasi canonico" verso il 200.
1.6.4 Gli altri scritti del NT e il riconoscimento dei deuterocanonici
«Questa parte del canone neotestamentario conosce una storia molto simile a quella della
terza parte dell'AT, gli Scritti, a causa della mancanza di dati e di informazioni precise»46.
Nel canone neotestamentario è contemplato pure un terzo gruppo di scritti, composto dalla
prima lettera di Pietro (1Pt) e dalla prima lettera di Giovanni (1Gv), la cui canonicità non fu mai
messa in discussione (= protocanonici) e da Ebrei, Giacomo, seconda di Pietro (2 Pt), seconda e terza
di Giovanni (2 e 3 Gv), lettera di Giuda e Apocalisse, riconosciuti come canonici solo in un secondo
momento (= deuterocanonici). Il riconoscimento della canonicità di questi ultimi incontrò perplessità
e contrasti fin verso la fine del sec. IV (poi non ci furono più grandi diatribe).
Benché sporadiche, tali difficoltà e discussioni risultano istruttive, se si riesce a comprenderne i
motivi e le vie attraverso le quali si giunse a risolverle. Siamo, così, introdotti nella comprensione dei
criteri in base ai quali uno scritto cristiano poteva essere riconosciuto o meno come canonico.
1.6.5 Chiusura del canone
Una delle ragioni per le quali bisognerà attendere il IV secolo prima di assistere alla chiusura
del canone è stata la decisione di dare al cristianesimo uno statuto ufficiale all'interno dell'impero
romano, situazione prima impensabile anche a causa delle persecuzioni da parte dell'autorità
imperiale. Inoltre la diffusione del cristianesimo e la necessità di testi precisi per la catechesi e la
liturgia contribuirono non poco alla fissazione del canone del NT. L'imperatore Costantino dichiarò
il cristianesimo religio licita e questa condizione di libertà favorì le comunicazioni tra le comunità e
creò la necessità di fissare un canone comune tra tutte le comunità cristiane. I primi elenchi completi
del canone appaiono quindi durante il IV secolo. Il primo vero elenco completo è quello di Eusebio di
45 In realtà Matteo precede Marco perché Matteo è stato ampiamente utilizzato nella catechesi a causa della presenza di numerosi discorsi. L'ordine attuale risale alla scelta di S. Girolamo nella sua traduzione latina, la Vulgata (400 ca.), che si impose come versione ufficiale nella Chiesa latina. 46 SKA, «Formazione del canone », 160.
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Cesarea (verso il 325) nella sua Storia ecclesiastica (3,25), seguito da quelli di Cirillo di Gerusalemme
(350), Atanasio di Alessandria (367), Gregorio di Nazianzo (400), Agostino (400), liste poi sancite dai
concili di Ippona (393) e di Cartagine (397).
Comunque solo Atanasio di Alessandria ci offre una lista di ventisette libri senza avere alcun
tentennamento a proposito dell'uno o dell'altro libro47; Eusebio, invece, non si mostra sicuro
verso alcuni scritti sulla cui canonicità fatica a pronunciarsi (Eb, Gc, 2Pt, 2 e 3Gv, Gd e Ap). Le
discussioni si protrarranno certamente fino alla fine del IV secolo, soprattutto a proposito della
Lettera agli Ebrei e di Apocalisse, accolte nelle chiese di Occidente, ma guardate con riluttanza in
Oriente.
Le prime "edizioni" complete di un testo del NT risalgono attorno al IV-V sec48. Il primo codice
completo è il Codex Vaticanus49 (IV sec.), c'è poi il Codex Sinaiticus50 (IV sec., ma leggermente più
recente del Vaticanus) infine il Codex Alexandrinus51 (inizio del V sec.) Questo fatto attesta che «le
discussioni sul canone si sono protratte per lungo tempo. Si può pensare che la possibilità, nel IV
secolo, di produrre codici capaci di contenere tutta la Scrittura abbia spinto le autorità
ecclesiastiche in oriente e in occidente a stabilire in modo più chiaro le frontiere del canone».
47 Lettera festiva, 39. 48 Vi sono alcuni papiri più antichi di questi codici, ma che contengono solo alcune parti del NT. Il testo più antico finora rinvenuto è il P
52 (papiro numero 52) della John Ryland Library di Manchester, databile al 140 e contiene un
brano della passione del Vangelo secondo Giovanni (18,31-33.37-38). Il secondo testo databile verso il 200 è il P46
della Chester Beatty Library di Dublino. 49 Comprende AT e NT, ma non contiene, nel suo AT, né la preghiera di Manasse né i libri dei Maccabei, e nel NT né le lettere pastorali né l’Apocalisse 50 È il più antico manoscritto a contenere tutto il NT e praticamente tutto l’AT, fino a Esdra 9,9. Contiene pure il Pastore di Erma e la Lettera di Barnaba. 51 Contiene oltre all’AT e al NT, 1 e 2 Clemente e i Salmi di Salomone.