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Corso di Fisica Terza Liceo Scientifico

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Corso di Fisica

Terza Liceo Scientifico

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Questo libro è stato interamente scritto a Pordenone da Francesco Saitta, Docente di Matematica e Fisica,c.d.c A027 ( già A049).

Un ringraziamento particolare va a Francesca Del Puppo, studentessa di Fisica all’università di Trieste,per la sua accurata lettura delle note, le puntuali osservazioni ed i preziosi suggerimenti per la stesuradel testo attuale.

Testo elaborato e prodotto con Latex (http://www.latex-project.org/),Figure prodotte con Geogebra (http://www.geogebra.org/) o Gnuplot (http://www.gnuplot.info/),

Ultimo aggiornamento Settembre 2019.

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Indice

1 Introduzione 7

2 Moti e Dinamica 9

2.1 Cinematica rettilinea 11

2.1.1 Moto rettilineo uniforme 12

2.1.2 Moto rettilineo uniformemente accelerato 13

2.1.3 Caduta dei gravi 14

2.1.4 Moto rettilineo vario 15

2.2 Cinematica bidimensionale 16

2.2.1 Moto parabolico 18

2.2.2 Moto circolare uniforme 18

2.2.3 Moto armonico 20

2.3 I principi della dinamica 21

2.3.1 Primo principio della dinamica 21

2.3.2 Secondo principio della dinamica 22

2.3.3 Terzo principio della dinamica 23

2.3.4 Sistemi di riferimento non inerziali 24

2.4 Work and Energy 25

2.4.1 Mechanical work 25

2.4.2 Work done by a constant force 25

2.4.3 Work done by a force varying on space 26

2.4.4 Work done by the gravitational force 27

2.4.5 Work done by elastic force 29

2.4.6 Conservative forces 29

2.4.7 Energy 29

2.4.8 Kinetic energy 30

2.4.9 Gravitational energy 31

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2.4.10 Elastic energy 31

2.4.11 Conservation of mechanical energy 32

2.4.12 Work done by non-conservative forces 34

2.4.13 Problem Solving 34

2.4.14 Power 35

2.4.15 The Feynman point of view 36

2.5 Meccanica dei fluidi 37

2.5.1 Fluidi in moto 38

2.5.2 Equazione di continuità 38

2.5.3 Teorema di Bernoulli 39

2.5.4 Tubo di Venturi 41

2.5.5 Portanza 43

2.5.6 Aneurismi e Trombosi 43

2.6 Esercizi 46

3 Relatività Galileiana 55

3.1 Spazio e tempo nella fisica classica 56

3.1.1 Il carattere assoluto di spazio e tempo: Galilei e Newton 56

3.1.2 Il concetto di spazio secondo Berkeley e Mach 57

3.2 Legge di composizione delle posizioni e degli spostamenti 58

3.3 Legge di composizione delle velocità 59

3.4 Legge di composizione delle accelerazioni 60

3.5 Trasformazioni di Galileo 60

3.5.1 Invarianza delle lunghezze 61

3.6 Principio di relatività galileiano 61

3.7 Esercizi 64

4 Quantità di moto ed urti 69

4.1 Teorema dell’impulso 69

4.2 Teorema di conservazione della quantità di moto 70

4.3 Descartes e Leibniz: dibattito sui principi di conservazione 71

4.4 Urti 74

4.4.1 Urti completamente anelastici in una, due o tre dimensioni 75

4.4.2 Urti elastici in una dimensione 76

4.4.3 Urti elastici in due dimensioni 76

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4.5 Centro di massa e moto di sistemi di particelle 77

4.6 Esercizi 81

5 Momento angolare e moto rotatorio 87

5.1 Momento d’inerzia 87

5.1.1 Rotazione di un punto materiale 88

5.1.2 Rotazione di un sistema di punti materiali 89

5.1.3 Rotazione di un corpo rigido 89

5.2 Momento angolare 90

5.3 Teorema di conservazione del momento angolare 91

5.4 Dinamica rotazionale 92

5.4.1 Lavoro dei momenti delle forze 92

5.4.2 Energia cinetica rotazionale 93

5.4.3 Moti di un corpo rigido 94

5.5 Parallelismo tra dinamica traslatoria e rotatoria 95

5.6 Equazioni cardinali della dinamica 96

5.7 Esercizi 98

6 Gravitazione universale 103

6.1 Le leggi di Keplero 103

6.1.1 La prima legge di Keplero 103

6.1.2 La seconda legge di Keplero 104

6.1.3 La terza legge di Keplero 104

6.2 La legge di gravitazione universale 104

6.3 Il concetto di campo 106

6.3.1 Linee di campo 108

6.4 Il campo gravitazionale 108

6.5 L’energia potenziale gravitazionale 109

6.6 Pianeti e satelliti 110

6.6.1 I satelliti artificiali della terra 110

6.7 Traiettorie ed energia 111

6.8 Esercizi 114

7 Termodinamica 119

7.1 Teoria cinetica dei gas perfetti 121

7.1.1 Principio di equipartizione dell’energia 123

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7.2 First principle of thermodynamics 124

7.2.1 Introduction to Thermodynamics 124

7.2.2 Thermal Machines 125

7.2.3 Internal Energy 125

7.2.4 Heat capacities of gases 126

7.2.5 Mechanical work of gases 127

7.2.6 The first law of thermodynamics 132

7.3 Rendimento delle macchine termiche 133

7.3.1 Macchina di Stirling 134

7.3.2 Macchina di Carnot 134

7.3.3 Macchina di Otto (motore 4 tempi) 136

7.3.4 Macchina Diesel 137

7.3.5 Macchina Frigorifero 138

7.4 Secondo principio della termodinamica 138

7.4.1 Enunciati di Clausius, Kelvin-Planck e loro equivalenza 139

7.4.2 Enunciato di Carnot ed entropia 139

7.5 Esercizi 145

Bibliografia 153

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1 Introduzione

Questo corso nasce dall’idea di consegnare agli studenti uno strumento di lavoro gratuito, snello e flessi-bile. L’idea fondamentale è che queste note possano essere veicolo di uno studio dinamico, che venganosottolineate, integrate dagli appunti presi in classe o dagli approfondimenti personali, anche modificatenel corso degli anni per renderle sempre più utili all’apprendimento della disciplina.

Le dispense sono pensate come inserite in un percorso di didattica collaborativa e multimediale:

• non vi si trovano schemi riassuntivi o formulari perché questi verranno chiesti agli studenti durante ilcorso all’interno di una piattaforma multimediale o semplicemente negli appunti personali;

• possono e devono essere affiancate ad una costante ricerca di fonti, materiali audio e video, simulazionidigitali ed attività di laboratorio vere e proprie.

Gli esercizi, destinati a crescere in numero di anno in anno, non sono suddivisi nei paragrafi del libroperché gli studenti siano stimolati a capire l’argomento specifico cui fanno riferimento, affinché l’esercizionon diventi atto puramente meccanico e relativo ad una certa formula, ma abbia una forte componentedi discernimento e descrizione della realtà. Anche gli esercizi verranno supportati da una serie di attivitàdidattiche, esempi, compiti e test, forniti nella piattaforma digitale di classe.

Talvolta le costanti da utilizzare non sono esplicitate o presenti nel testo, così da stimolare gli studentialla loro ricerca, con i canali preferiti.

Alcune parti del testo, così come gli ultimi esercizi di ogni capitolo, sono in inglese; questo per abi-tuare gli studenti all’utilizzo della lingua veicolare della scienza al di fuori dell’insegnamento dedicato.In relazione al programma della classe redatto dal consiglio di classe ad inizio anno, alcune parti di pro-gramma (tipicamente quelle già scritte in inglese) potranno essere affrontate con alcune lezioni in lingua,in collaborazione con il/la docente di inglese.

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2 Moti e Dinamica

Ammesso - come visto ed ampiamente discusso gli scorsi due anni- che lafisica è la scienza che descrive e predice i fenomeni naturali che avvengo-no nell’universo, la prima cosa che possiamo fare per descrivere la realtàche ci circonda è quella di studiare come si muovono i punti materiali equali siano le cause del loro moto. Gli argomenti di questo capitolo sonogià stati affrontati nel corso del primo biennio di liceo: li riprendiamo all’i-nizio del secondo biennio per evidenziare ed approfondire alcuni aspetticoncettuali e matematici utili per il proseguo del corso, in particolare lageometria analitica e l’algebra vettoriale.

Fu Galileo Galilei, l’ultimo dei filosofi naturali ed il primo dei fisi- Pisa, 1564 - Arcetri, 1642

ci, a studiare in modo quantitativo la cinematica: la descrizione dei motidal punto di vista geometrico, fatta senza prendere in considerazione lecause dei moti stessi. Questa semplificazione ha permesso e permettedi schematizzare e descrivere anche sperimentalmente diverse situazioniconcrete: lo stesso Galilei riuscì a verificare le leggi della cinematica inlaboratorio, riuscendo a minimizzare gli effetti reali di attrito non presi inconsiderazione dalla cinematica, che pur esistono. Nel corso dei suoi studilo scienziato pisano - come vedremo nel capitolo seguente con il principiodi relatività galileiano - affrontò anche il problema delle cause del moto,ed in qualche modo anticipò alcune delle leggi che ora conosciamo comei principi della dinamica, ma non le formalizzò mai in termini scientifici.

La dinamica per come è conosciuta al giorno d’oggi affonda le sue ra-dici negli studi di Isaac Newton, fisico e filosofo britannico, presidente Woolsthorpe, 1642 - Londra,

1727della Royal Society, il cui lavoro spaziò dallo studio delle forze all’ottica,dalla gravitazione universale allo sviluppo della matematica infinitesima-le. Newton studiò dal punto di vista formale e matematico il problemadelle cause del moto, riprendendo alcuni ragionamenti fatti da Galilei edassumendo tutta la cinematica del fisico pisano. Nella sua opera “Philo-sophiae Naturalis Principia Mathematica” 1, lo scienziato britannico esplicita 1 (Newton, 1687)

le basi matematiche delle sue teorie ed enuncia i famosi tre principi delladinamica che fondano, assieme al lavoro di Galilei, tutta l’impostazionedella meccanica e della fisica dei seguenti due secoli.

Riprendiamo dunque alcuni concetti fondamentali per la descrizione dicinematica e dinamica: Punto materiale, Sistemi di riferimento, Variabilicinematiche, Traiettoria e Legge oraria.

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Moti e Dinamica

Punto materiale Uno dei concetti fondamentali della meccanica è quellodi punto materiale. Con punto materiale si intende un corpo le cui dimen-sioni si possono trascurare nella descrizione del suo moto. É ben chiaro che questapossibilità dipende dalle condizioni concrete di questo o quell’altro problema. Peresempio, i pianeti possono esser considerati punti materiali quando si studia laloro rivoluzione intorno al sole, ma, naturalmente, non quando si considera laloro rotazione.2. 2 (Landau e Lifshitz, 1999a)

Sistemi di riferimento Per poter definire la posizione di un punto mate-riale in modo quantitativo dobbiamo definire un riferimento rispetto alquale farlo. Chiedendoci ad esempio la posizione di Luca all’interno dellaclasse qualcuno potrà rispondere “è un posto davanti a me” oppure “ilposto davanti alla cattedra” o ancora “nella fila centrale il terzo banco dalfondo a sinistra”: in ogni caso la risposta prevede un riferimento al luogoin cui ci si trova. La scelta che gli scienziati fanno per poter definire laposizione di punti materiali è quella di definire dei sistemi di coordina-te; il più utilizzato, che useremo anche noi durante tutto il corso di fisicaè il sistema di riferimento cartesiano: un sistema di rette orientateperpendicolari tra loro all’interno delle quali definire la posizione di unpunto materiale come vettore con coordinate sulle rette, una se il proble-ma è unidimensionale, due se bidimensionale, tre se tridimensionale. Infigura (2.1) vediamo un esempio di posizione rispettivamente nello spazio, nel piano e nella retta. Figura 2.1: Posizione di un pun-

to materiale in un riferimentocartesiano.

(a) Punto in 3D (b) Punto in 2D (c) Punto in 1D

Variabili cinematiche Le variabili cinematiche di interesse per lo studiodei moti sono i vettori posizione ~s(t), velocità ~v(t) ed accelerazione ~a(t).A seconda della dimensione di riferimento del problema naturalmente sitratta di vettori in una, due o tre dimensioni.

Il vettore posizione è il vettore che identifica la posizione del puntomateriale nello spazio: ha come coordinate le coordinate del punto stesso.La posizione di un punto materiale in SI3 si misura in metri. 3 SI è il Sistema Internazionale

delle unità di misura, nato nel1960 durante l’undicesima Con-ferenza Generale dei Pesi e delleMisure (CGPM) a Parigi

Il vettore velocità viene definito a partire dalla velocità media ~vm =~∆s/∆t: la velocità media tra due istanti t2 e t1 è data dallo spostamen-to effettuato tra i due istanti e il tempo trascorso (la differenza tra i due

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Moti e Dinamica

istanti).4 La velocità istantanea invece rappresenta la velocità in un certo 4 (!!) in fisica il concetto di spo-stamento è diverso dal pensie-ro intuitivo di spazio percorso.Lo spostamento è la differen-za tra due vettori posizione indue istanti diversi. Risulta cosìche se il punto materiale in con-siderazione parte dal punto Ae dopo un certo percorso tornaal punto A stesso avrà percorsouna certa quantità di spazio, malo spostamento risulta essere ilvettore nullo

istante: possiamo pensare che la velocità istantanea sia la velocità mediatra due istanti molto vicini (l’intervallo di tempo deve essere trascurabilerispetto al fenomeno che si sta considerando); dal punto di vista mate-matico si può dire che la velocità istantanea è il limite per ∆t che tende azero della velocità media, come si vedrà nel corso di matematica parlandodi analisi matematica e limiti. Per quanto ci riguarda quando scriveremod anziché ∆ intenderemo considerare un intervallo molto piccolo rispet-to al fenomeno considerato; per cui scrivendo v = ∆s/∆t parleremo divelocità media, scrivendo v = ds/dt parleremo di velocità istantanea, ecosì con tutte le altre grandezze ottenibili come rapporto tra variazioni dialtre quantità. La velocità di un punto materiale in SI si misura in metrial secondo.

Il vettore accelerazione viene definito a partire dall’accelerazione me-dia ~am = ~∆v/∆t: l’accelerazione media tra due istanti t2 e t1 è data dalladifferenza dei vettori velocità tra i due istanti e il tempo trascorso (la diffe-renza tra i due istanti). Analogamente al caso della velocità l’accelerazioneistantanea è il limite per ∆t che tende a zero dell’accelerazione media: èl’accelerazione media calcolata tra due istanti di tempo molto vicini traloro, tali che la differenza tra i due istanti sia molto più piccola rispetto alfenomeno considerato.

Traiettoria Si definisce traiettoria l’insieme dei punti dello spazio percor-si dal punto materiale. Essa è quindi il percorso che il punto materialedescrive durante il fenomeno considerato; per quanto detto in precedenzaè importante sottolineare come la lunghezza della traiettoria non corri-sponda necessariamente con lo spostamento del punto materiale nè conlo spazio percorso; ad esempio un punto materiale che si muova in linearetta in avanti per 2 m, poi indietro per 3m, poi ancora in avanti per 1mavrà percorso 6m, fatto spostamento nullo e la traiettoria un segmento dilunghezza 3m.

Legge oraria Si definisce legge oraria la relazione tra posizione del puntomateriale e tempo trascorso. È una funzione reale di variabile reale nelcaso di un problema unidimensionale, una funzione vettoriale in due otre dimensioni negli altri casi, per studiare i quali basta considerare il vet-tore~s(t) nelle sue componenti, ognuna delle quali sarà una funzione realedi variabile reale. Per quanto ci riguarda studieremo nel dettaglio il casounidimensionale, in cui la legge oraria è semplicemente data dalla fun-zione s(t), e bidimensionale in cui si avrà ~s(t) = (x(t), y(t)) o altrimentiscritto~s(t) = x(t)x + y(t)y) con x e y i versori5 degli assi cartesiani. 5 (!!) un versore è un vettore di

modulo unitario adimensionale,che indica solamente una dire-zione ed un verso. In generaleun versore si ottiene come rap-porto tra un vettore ed il suomodulo: v = ~v/v. Nel caso bi-dimensionale cartesiano si avràper le due direzioni principalix = (1, 0), y = (0, 1).

2.1 Cinematica rettilinea

I moti più semplici da descrivere sono i moti che avvengono lungo unaretta, in cui le variabili cinematiche posizione, velocità ed accelerazionesono vettori in una dimensione, descrivibili quindi come scalari: positi-vi se il verso è concorde all’asse scelto, negativi se il verso è discorde.

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Moti e Dinamica

Particolarmente efficace per la descrizione di questo moto è il diagram-ma orario, un grafico cartesiano che rappresenta in ascissa il tempo ed inordinata la posizione del punto materiale. A differenza della traiettoria,che resta sempre una retta o un segmento se consideriamo il moto rettili-neo tra due particolari istanti di tempo, il diagramma orario rappresentala legge oraria e permette di ricavare informazioni importanti su velocitàed accelerazione, come vedremo nel paragrafo 2.1.4.

2.1.1 Moto rettilineo uniforme

Diremo che un punto materiale si trova in uno stato di moto rettilineo uni-forme se la sua velocità media è sempre uguale alla velocità istantanea, edha modulo costante, v. In questa situazione si ricavano le seguenti leggi Per ricavare la legge oraria in

questo caso basta applicare ladefinizione di velocità media inquesta situazione:

v = vm =∆s∆t

=

=s(t)− s0

t− t0

=⇒ v(t− t0) = s(t)− s0

=⇒ v(t− t0) + s0 = s(t)

per la posizione e la velocità:

s(t) = v(t− t0) + s0

v(t) = v

(2.1.1)

(2.1.2)

Nel rappresentare la legge oraria nel diagramma orario (t,s) riconoscia-mo l’equazione di una retta con coefficiente angolare v ed intercetta s0,come rappresentato in figura (2.2); la rappresentazione della legge per

(a) v > 0 pendenza positiva (b) v = 0 pendenza nulla (c) v < 0 pendenza negativaFigura 2.2: Diagramma orariodel moto rettilineo uniforme.Le grandezze sono intese esse-re misurate in SI: spazio in me-tri, tempo in secondi, velocità inmetri al secondo.

la velocità è invece molto più semplice, essendo la velocità costante neltempo, come rappresentato nella figura (2.3). È interessante notare co-

Figura 2.3: Rappresentazionecartesiana della legge della ve-locità nel moto rettilineo uni-forme. Le grandezze sono in-tese essere misurate in SI: spa-zio in metri, tempo in secondi,velocità in metri al secondo.

me la legge oraria si può ottenere graficamente a partire dalla legge della

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Moti e Dinamica

velocità nel seguente modo: lo spostamento effettuato dal punto materia-le s(t) − s0 è l’area sottesa dalla curva v(t) nel grafico di velocità, comemostrato dalla figura (2.4). Questa regola - che verrà dimostrata dall’ana-lisi matematica e lo studio delle derivate - si può assumere come regolagenerale della cinematica.

Figura 2.4: Relazione tra spaziopercorso e grafico della velocità.

2.1.2 Moto rettilineo uniformemente accelerato

Diremo che un punto materiale si trova in uno stato di moto rettilineouniformemente accelerato se la sua accelerazione media è sempre ugualealla sua accelerazione istantanea, ed ha modulo costante, a. In questa si-tuazione si ricavano le seguenti leggi per la posizione e la velocità:

s(t) =12

a(t− t0)2 + v0(t− t0) + s0

v(t) = a(t− t0) + v0

(2.1.3)

(2.1.4)

L’equazione della velocità è ricavabile in modo analogo alla legge ora-ria del moto rettilineo uniforme. Per quanto riguarda la legge oraria in-vece dobbiamo ricorrere alla regola grafica vista nel paragrafo preceden-te, come rappresentato in figura (2.5): lo spostamento effettuato s(t)− s0

è dato quindi dall’area del trapezio di altezza (t − t0), base maggiorev(t) = a(t − t0) + v0 e base minore v0. Il grafico della legge oraria rap-

(a) Costruzione della legge oraria (b) a > 0 concavità verso l’alto (c) a < 0 concavità verso il bassoFigura 2.5: Moto rettilineouniformemente accelerato.

presenta una parabola, come già parzialmente visto in matematica nellarisoluzione di disequazioni di secondo grado e come si vedrà nel corso dimatematica studiando geometria analitica. Il segno dell’accelerazione de-finisce la concavità della parabola: ad accelerazione positiva corrispondeconcavità verso l’alto e ad accelerazione negativa concavità verso il basso;ad accelerazione sempre maggiore corrisponde una parabola sempre piùschiacciata verso l’asse delle ordinate, ad accelerazione minore una para-bola sempre più schiacciata verso l’asse delle ascisse. Gli altri parametricontribuiscono alla forma della parabola nei modi che verranno studiatinel corso di matematica e che possono essere testati con semplici provefatte usando carta millimetrata e penna o software di geometria dinamica(geogebra ad esempio).

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Moti e Dinamica

2.1.3 Caduta dei gravi

Il tipico moto rettilineo uniformemente accelerato che possiamo osservarein natura è la caduta di un oggetto da una certa altezza. Ogni oggetto la-sciato cadere da una certa altezza, nell’ipotesi in cui si possano trascuraretutti gli effetti di attrito dell’aria sull’oggetto stesso, si muove di moto ret-tilineo uniformemente accelerato con un’accelerazione - che chiameremoaccelerazione di gravità - approssimativamente costante in prossimità del-la superficie terrestre di modulo pari a g = 9, 81m/s2, direzione lungo lacongiungente tra la posizione iniziale dell’oggetto ed il centro della terrae verso che punta al centro della terra.

L’analisi di Galileo Galilei sulla caduta dei gravi fu sicuramente unodei primissimi esempi di applicazione del metodo scientifico, con cui ilfisico pisano segnò il passaggio tra la filosofia naturale e la fisica. La leg-genda dice che Galilei per verificare l’ipotesi secondo cui la velocità di ungrave in caduta libera è direttamente proporzionale al tempo di caduta enon dipende dalla massa o dalla forma del grave stesso, come invece do-veva essere secondo la teoria Aristotelica del moto, avrebbe lasciato cadereuna serie di oggetti dalla torre di Pisa. Non siamo certi che questo esperi-mento sia stato realmente effettuato, ma di certo Galilei ha lasciato moltiscritti all’interno dei quali giustifica in modo logico le sue affermazioni 6 6 (Galilei, 1592, 1638, 1632)

; in particolare nell’ultimo di questi scritti alla giornata terza lo scienziatopisano descrisse l’esperimento con cui verificò la sua ipotesi, utilizzandoun piano inclinato ed un orologio ad acqua: “In un regolo, o vogliàn dircorrente, di legno, lungo circa 12 braccia, e largo per un verso mezo bracio e perl’altro 3 dita, si era in questa minor larghezza incavato un canaletto, poco piùlargo d’un dito; tiratolo drittissimo, e, per averlo ben pulito e liscio, incollatovidentro una carta pecora zannata e lustrata al possibile, si faceva in esso scende-re una palla di bronzo durissimo, ben rotondata e pulita; costituito che si era ildetto regolo pendente, elevando sopra il piano orizontale una delle sue estremitàun braccio o due ad arbitrio, si lasciava (come dico) scendere per il detto canale lapalla, notando, nel modo che appresso dirò, il tempo che consumava nello scorrerlotutto, replicando il medesimo atto molte volte per assicurarsi bene della quanti-tà del tempo, nel quale non si trovava mai differenza né anco della decima parted’una battuta di polso. Fatta e stabilita precisamente tale operazione, facemmoscender la medesima palla solamente per la quarta parte della lunghezza di essocanale; e misurato il tempo della sua scesa, si trovava sempre puntualissimamenteesser la metà dell’altro: e facendo poi l’esperienze di altre parti, esaminando orail tempo di tutta la lunghezza col tempo della metà, o con quello delli duo ter-zi o de i 3/4, o in conclusione con qualunque altra divisione, per esperienze bencento volte replicate sempre s’incontrava, gli spazii passati esser tra di loro comei quadrati e i tempi, e questo in tutte le inclinazioni del piano, cioè del canalenel quale si faceva scender la palla; dove osservammo ancora, i tempi delle sceseper diverse inclinazioni mantener esquisitamente tra di loro quella proporzioneche più a basso troveremo essergli assegnata e dimostrata dall’Autore. Quantopoi alla misura del tempo, si teneva una gran secchia piena d’acqua, attaccata inalto, la quale per un sottil cannellino, saldatogli nel fondo, versava un sottil filod’acqua, che s’andava ricevendo con un piccol bicchiero per tutto ’l tempo che la

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Moti e Dinamica

palla scendeva nel canale e nelle sue parti: le particelle poi dell’acqua, in tal guisaraccolte, s’andavano di volta in volta con esattissima bilancia pesando, dandocile differenze e proporzioni de i pesi loro le differenze e proporzioni de i tempi; equesto con tal giustezza, che, come ho detto, tali operazioni, molte e molte voltereplicate, già mai non differivano d’un notabil momento.”

2.1.4 Moto rettilineo vario

Diremo che un punto materiale si trova in uno stato di moto rettilineovario se caratterizzato da variabili cinematiche s(t), v(t), a(t) che nonnecessariamente restano costanti nel tempo. In generale recuperando leconsiderazioni fatte nei paragrafi precedenti potremo dire che la variazio-ne di velocità v(t) − v0 è ottenibile come l’area sottostante la curva a(t)nel piano cartesiano (t, a), la variazione di posizione s(t)− s0 come l’areasottostante la curva v(t) nel piano cartesiano (t, v).

Figura 2.6: diagramma orario

Diagramma orario In questo paragrafo affronteremo il problema opposto:conoscendo il diagramma orario capiremo come ottenere informazioni suvelocità ed accelerazione del punto materiale. Consideriamo ad esempioun punto materiale il cui moto sia descritto dalle figure (2.6,2.7, 2.8).

La prima figura mostra il diagramma orario che rappresenta il motodel punto materiale: possiamo certamente dire che per circa un secondo ilpunto materiale si muove in avanti (quindi con velocità positiva), poi percirca due secondi, dal secondo uno al secondo tre invece si muove all’in-dietro (con velocità negativa quindi), infine riparte in avanti passando perl’origine poco dopo il quarto secondo.

Figura 2.7: velocità

Velocità Applicando la definizione di velocità media tra due punti possia-mo vedere dalla seconda figura come il modulo della velocità possa esserericavato come il rapporto tra la variazione di posizione ∆s = s(t)− s0 edil tempo trascorso ∆t = t− t0: la velocità media tra i punti s(tA) ed s(tB)

è dunque la pendenza della retta secante il diagramma orario nei punti Ae B. La velocità istantanea diventa dunque la pendenza della retta secanteil diagramma orario nel caso in cui i due punti A e B siano molto vicinitra loro, al punto di non essere distinguibili l’uno dall’altro:

Figura 2.8: accelerazione

è dunque la pendenza della retta tangente alla curva nel punto in que-stione! Diventa così evidente che tutti i punti in cui la tangente al dia-gramma orario è parallela all’asse delle ascisse sono punti in cui la veloci-tà è nulla: osservando attentamente il grafico potremo dedurre che questipunti sono tutti i massimi o i minimi della curva: definiamo un puntoP = (xP, yP) della curva come massimo se tutti i punti più vicini ad esso,sia a destra che a sinistra, hanno ordinata minore di yP, minimo invece sei punti più vicini hanno ordinata maggiore di yP.

Accelerazione L’accelerazione è una variazione di velocità: partendo daquest’idea intuitiva di accelerazione possiamo capire come l’accelerazionedel punto materiale sia legata alla concavità della curva, come mostratonella terza figura del moto vario. Se la velocità diminuisce la curva ten-derà a ”piegarsi” verso il basso dando origine ad una concavità verso il

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basso, se invece la velocità aumenta accadrà il contrario. Come per il casodella velocità, queste affermazioni al momento piuttosto qualitative tro-veranno una dimostrazione matematica formale verrà fatta nel contestodell’analisi matematica e dello studio delle derivate.

2.2 Cinematica bidimensionale

La cinematica bidimensionale si fonda sul principio di indipendenza del-le azioni simultanee che afferma come se il moto di un punto materialeavviene in più dimensioni, esso può essere sempre scomposto in com-ponenti indipendenti l’una dall’altra. Esso può essere quindi studiatoattraverso le sue componenti , che noi assumeremo sempre essere coordi-nate cartesiane; il moto risultante sarà il moto del punto materiale la cuiposizione è descritta dal vettore

~s(t) = x(t)x + y(t)y

La rappresentazione grafica della legge oraria diventa dunque una rap-presentazione in tre dimensioni, o una rappresentazione delle leggi orariedelle singole componenti: per questo motivo utilizzeremo spesso la rap-presentazione della traiettoria per descrivere graficamente il moto, che nelcaso bidimensionale è più significativa rispetto al caso unidimensionale.

É importante sottolineare come in un moto in più dimensioni il vettorevelocità sia sempre tangente alla traiettoria percorsa dal punto materiale:non facciamo qui una dimostrazione formale di questo fatto, ma possiamorendercene conto in modo piuttosto intuitivo pensando alla definizione divelocità; il vettore velocità è un vettore la cui direzione è data dalla dif-ferenza tra due vettori posizione, per cui è un vettore che ha origine inun punto della traiettoria e fine in un altro punto della traiettoria stessa:evidentemente quando questi due punti tendono a diventare lo stesso ladirezione del vettore velocità diventa il tangente alla curva che definiscela traiettoria. La figura (2.9) mostra proprio questo fatto.

(a) (b)

Figura 2.9: Velocità in un motobidimensionale.

Per quanto riguarda l’accelerazione in un moto bidimensionale, sia-

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mo soliti pensare che essa possa essere generata solo da una variazionedel modulo del vettore velocità: è bene sottolineare come si possa avereun accelerazione anche solamente con la variazione della direzione o delverso del vettore velocità. Sappiamo bene infatti che la differenza di duevettori con lo stesso modulo, ma direzione diversa, non necessariamen-te risulta essere il vettore nullo. Ecco allora che l’accelerazione in duedimensioni può essere causata da una variazione di modulo del vettorevelocità, da una variazione della sua direzione, o da una combinazionedelle due variazioni. In generale chiameremo accelerazione tangenzialel’accelerazione dovuta ad una variazione del modulo del vettore velocitàdel punto materiale, accelerazione centripeta invece l’accelerazione dovu-ta alla variazione della direzione del vettore velocità. Diremo quindi chesempre l’accelerazione di un punto materiale può essere scomposta nelseguente modo:

~a =~at +~ac,

dove ~at è l’accelerazione tangenziale e ~ac è l’accelerazione centripeta. Lacomponente tangenziale dell’accelerazione è sempre diretta parallelamen-te al vettore velocità, e dunque tangente alla traiettoria, mentre la compo-nente centripeta è sempre perpendicolare alla velocità stessa. Per darciragione della direzione delle due componenti dell’accelerazione facciamoriferimento alla figura (2.10). Come si può vedere in figura se l’accele-razione è dovuta ad una variazione unicamente di modulo della velocitàha la stessa direzione dei due vettori velocità ~a = ~v1 −~v2, se invece l’ac-celerazione è dovuta solo ad una variazione di direzione della velocitàsi ha che l’angolo tra velocità ~v2 ed accelerazione ~a è dato da γ = π+α

2 :è evidente che se consideriamo la velocità istantanea l’angolo α diventamolto piccolo e man mano che α diventa piccolo γ si avvicina sempre piùa π/2. L’accelerazione centripeta è dunque perpendicolare alla velocitàistantanea.

(a) Accelerazione tangenziale (b) Accelerazione centripeta

Figura 2.10: Direzione del-le componenti dell’accelerazio-ne in un moto bidimensionale.

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2.2.1 Moto parabolico

Il moto parabolico è un moto in cui una componente del vettore posizionesi muove di moto rettilineo uniforme, l’altra di moto rettilineo uniforme-mente accelerato. Ne conseguono le seguenti equazioni per la descrizionedel moto:

x(t) = v0xt + x0

y(t) =12

at2 + v0yt + y0

vx(t) = v0x

vy(t) = at + v0y

(2.2.1)

(2.2.2)

(2.2.3)

(2.2.4)

Il moto si chiama moto parabolico perchè la traiettoria descritta dal puntomateriale dal punto di vista della geometria analitica è un parabola, comesi vedrà nel dettaglio nel corso di matematica. Tutte le considerazioni fattestudiando i due moti che compongono il moto parabolico possono essereriutilizzate nella descrizione di un moto parabolico. Nella nostra espe-rienza quotidiana di fenomeni naturali il moto parabolico è uno dei motiche possiamo osservare con più facilità: risponde infatti alla situazione dicaduta di un oggetto con una componente orizzontale di velocità iniziale.

2.2.2 Moto circolare uniforme

Definiamo moto circolare un moto la cui traiettoria è una circonferenza. Ilvettore velocità dunque, essendo sempre tangente alla traiettoria cambiacontinuamente; per questo il concetto di “uniforme” in questo caso nonpuò significare, come nel caso unidimensionale, che la velocità è costan-te. Moto circolare uniforme si definisce un moto la cui traiettoria è unacirconferenza ed il modulo della velocità è costante. Il moto circolare uni-forme è dunque caratterizzato dalle tre grandezze: velocità tangenziale(~v), periodo (T, il tempo che il punto materiale impiega a percorrere ungiro di circonferenza) e il raggio della circonferenza (R). Il periodo puòessere sostituito dalla frequenza ( f o ν), che rappresenta il numero di giriche il punto materiale compie in un secondo, e si misura in Hertz (Hz).Queste grandezze si relazionano, per definizione di velocità, nel seguentemodo:

v =2πR

T= 2πR f

Abbiamo anche dimostrato, utilizzando le similitudini tra triangolo, comeillustrato in figura (2.11) che l’accelerazione, che per quanto detto prece-dentemente deve essere centripeta e dunque diretta verso il centro dellacirconferenza per le proprietà della geometria euclidea, è ottenibile dallaseguente formula:

ac =v2

R

Le grandezze angolari La descrizione del paragrafo precedente del motocircolare uniforme è una descrizione che si basa sulle variabili cinematiche

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Figura 2.11: Dimostrazionedella formula ac = v2/R

classiche descritte anche all’inizio di questo capitolo; per quanto riguar-da i moti circolari hanno grande rilevanza anche le variabili cinematicheangolari: l’angolo spazzato dal vettore posizione, il vettore velocità an-golare ed il vettore accelerazione angolare. L’angolo spazzato dal vettoreposizione~r(t) tra due istanti t2 e t1 si definisce come l’angolo θ compresotra i due vettori r2 ed r1. La definizione degli angoli in radianti, come mo-strato in figura (2.12), ci permette di passare dalla descrizione tra variabilicinematiche classiche e variabili cinematiche angolari: lo spazio percorsos è dato da Rθ, se l’angolo è misurato in radianti. Definiamo quindi la

Figura 2.12: Gli angoli inradianti

velocità angolare media ~ωm il vettore che ha come modulo la variazionedi angolo spazzato dal vettore posizione del punto materiale e l’intervallo

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di tempo stesso:

ωm =θ(t2)− θ(t1)

t2 − t1

la velocità angolare istantanea sarà in analogia con le quantità cinematicheistantanee tradizionali la velocità angolare media calcolata in un interval-lo di tempo molto piccolo rispetto alla durata del fenomeno che stiamoconsiderando. dal punto di vista della velocità istantanea quindi si ha

v =∆s∆t

=R∆θ

∆t= Rω

Il passaggio è giustificato solo nel caso di velocità istantanea, in cui l’inter-vallo di tempo è molto piccolo rispetto alla durata del fenomeno e quindil’arco di circonferenza ∆s può essere approssimato con la corda ∆r. Ladirezione del vettore velocità angolare ci permette di collegare il vettore alverso di rotazione del punto materiale: la direzione di ~ω è perpendicolareal piano formato da~r1 ed~r2 ed il suo verso definito dalla regola destrorsa,come mostrato in figura (2.13).

Figura 2.13: La velocità angola-re

Unendo le caratteristiche del vettore ω appena descritte possiamo con-cludere che

~v = ~ω×~r

L’accelerazione centripeta può essere espressa anch’essa come funzionedella velocità angolare secondo l’espressione

~ac = ~ω×~v

ac = ω2r

Per moti in cui la velocità angolare non è costante si può definire l’accele-razione angolare α:

~α =∆~ω

∆t

Nel caso del moto circolare uniforme avremo:

~α =~0

~ω =~k

|~ω| = vr

θ = ωt + θ0,

(2.2.5)

(2.2.6)

(2.2.7)

(2.2.8)

di cui notiamo le somiglianze formali con le equazioni del moto rettilineouniforme per le variabili cinematiche~s, ~v ed~a.

2.2.3 Moto armonico

Definiamo moto armonico un moto per cui vale la relazione

~a(t) = −ω2~s(t)

Una relazione di questo genere tra accelerazione e vettore posizione de-scrive un’oscillazione periodica di periodo T = 2π/ω del punto materiale

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attorno ad un centro (~s = ~0). Abbiamo già discusso nel corso del primobiennio come la proiezione del moto circolare uniforme lungo una dire-zione particolare ed il moto del pendolo semplice siano esempi di motoarmonico. I moti armonici ricoprono un ruolo di prima importanza in fi-sica, perchè sono alla base della descrizione di moltissimi fenomeni fisici,dal pendolo semplice alle onde meccaniche, dai circuiti elettrici alla strut-tura microscopica della materia, come avremo modo di accennare duranteil corso di fisica del secondo biennio e del quinto anno di liceo.

2.3 I principi della dinamica

I principi della dinamica sono tre leggi che Newton introdusse con l’in-tento di descrivere come le forze siano collegate ai moti dei corpi (senzaconsiderare i moti di rotazione dei corpi attorno a loro stessi). Sono leg-gi derivate dall’esperienza e l’osservazione, non sono teoremi derivabilida definizioni date precedentemente, per questo le chiamiamo principi.Essi sintetizzano il lavoro fatto dai pensatori del 1600, Galilei e Newtonsopratutto, e pongono le basi per la costruzione della fisica moderna, lameccanica in particolare.

2.3.1 Primo principio della dinamica

“Lex I: Corpus omne perseverare in statu suo quiescendi vel movendiuniformiter in directum, nisi quatenus a viribus impressis cogitur sta-tum illum mutare” (Newton, 1687)

Il primo principio della dinamica dice che ogni corpo non soggetto aforze persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. Inaltre parole, se la somma di tutte le forze agenti su un corpo è nulla essorimarrà nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, e viceversa

~R(=n

∑i=1

~Fi) =~0⇐⇒ ~v =~k (2.3.1)

Il primo principio della dinamica, che fu proposto in termini non forma-li già da Galilei, è di fondamentale importanza per la fisica moderna inquanto introduce il concetto di equilibrio di un punto materiale; è chia-mato anche principio d’inerzia: si definisce inerzia infatti la proprietà deicorpi che si oppone ad un cambiamento dello stato di moto del corpo stes-so. Nella discussione fatta da Newton è implicito il concetto di sistemadi riferimento inerziale che nell’idea dello scienziato britannico si defini-sce come il sistema di riferimento all’interno del quale valgono i principidella dinamica. Questi sistemi sono tutti i sistemi in stato di quiete o dimoto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro. In questo senso ancorauna volta la fisica che propone Newton si pone in continuità con la fisicadi Galileo: circa cinquant’anni prima di Newton Galileo propose il suoprincipio di relatività (che noi studieremo nel prossimo capitolo), il qualediceva che tutte le leggi della fisica devono avere la stessa forma in sistemidi riferimento inerziali tra loro.

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2.3.1.1 Esempi ed applicazioni

• Se siamo seduti in un’automobile che inizia a frenare, ci sentiamo spin-gere in avanti; in realtà è la nostra inerzia che si manifesta: tendiamo acontinuare a muoverci di moto rettilineo uniforme!

• Se pensiamo a dover mantenere la velocità costante andando in bici-cletta capiamo bene di dover imprimere una forza sui pedali. Questaforza, secondo il primo principio della dinamica, deve essere esatta-mente uguale ed opposta alla forza d’attrito che si sviluppa tra le ruoteed il terreno e tra la bicicletta, il ciclista e l’aria.

• Un esempio particolarmente importante di sistema di riferimento chenormalmente approssimiamo come sistema inerziale è dato dalla terrastessa: perché valgano i principi della dinamica tutti gli esperimentiche facciamo ogni giorno nei nostri laboratori devono essere fatti insistemi di riferimento inerziali! Ma come possiamo giustificare questaapprossimazione dato il fatto che conosciamo il moto di rivoluzionedella terra attorno al sole e dunque sappiamo che la terra ha una certaaccelerazione centripeta? Calcolando l’accelerazione centripeta dellaterra nella sua rivoluzione intorno al sole e nella rotazione intorno ase stessa possiamo notare come queste accelerazioni abbiamo intensitàmolto piccole, per lo meno rispetto ai tempi tipici della maggior partedegli esperimenti che possiamo immaginare di fare in un laboratorio.

2.3.2 Secondo principio della dinamica

“Lex II: Mutationem motus proportionalem esse vi motrici impressae, etfieri secundum lineam rectam qua vis illa imprimitur.” (Newton, 1687)

Il secondo principio della dinamica dice che l’accelerazione di un puntomateriale è direttamente proporzionale alla somma delle forze su di essoimpresse. La relazione matematica tra le due grandezze è dunque

~R(=n

∑i=1

~Fi) = m~a (2.3.2)

Il secondo principio della dinamica mette in evidenza la relazione tra acce-lerazione e forza: la forza applicata ad un punto materiale è la causa del-l’accelerazione del punto materiale stesso. Dal punto di vista concettualequesta legge è importante per due motivi:

• è la prima legge fisica che parla di come una causa si relaziona conil suo effetto, caratteristica che diventa distintiva della fisica modernadandole la capacità di predire fenomeni e non solo descriverli,

• definisce la massa di un punto materiale come la sua inerzia, la carat-teristica che si oppone al cambiamento dello stato di moto.

2.3.2.1 Esempi ed applicazioni

• Il peso è una delle prime forze cui applichiamo la seconda legge del-la dinamica per concludere che ~g, il vettore che siamo stati abituati a

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moltiplicare alla massa per ottenere la forza peso è certamente un’acce-lerazione, giustificando formalmente il suo utilizzo nei moti di cadutalibera e parabolici.

• I produttori di automobili spesso fanno pubblicità mostrando i tempi incui le autovetture raggiungono velocità elevate: ad esempio la Ferrari2011 FF “può andare da 0 a 100 km/h in 3,7 secondi”. Questa frase siriferisce all’accelerazione, la compagnia ci sta semplicemente dicendoche l’accelerazione che può raggiungere la macchina è a = 27,8−0

3,7 = 7, 5m/s2. Da questa informazione, sapendo che un’automobile del genereha una massa m = 1800 kg possiamo cercare di capire quanta forzadeve imprimere il motore V12 della ferrari sulla macchina stessa perfornire quest’accelerazione (senza considerare gli attriti...) F = ma =

13524 N, poco meno della forza necessaria ad alzarla completamente(P = mg = 17640 N)!!

• Ricordiamo come le forze siano grandezze vettoriali e come quindispesso siamo obbligati ad operare in due o tre dimensioni, scompo-nendo le forze in componenti perpendicolari tra loro. Basta risolvereil seguente problema, che fa riferimento alla figura (2.14) per render-sene conto: Una valigia ha una massa m = 10kg e viene trainata dal suoproprietario con una forza F = 50 N con una direzione che forma un angoloα = 60 rispetto all’orizzontale; supponendo un coefficiente d’attrito k = 0, 2tra la valigia e il pavimento, si calcoli l’accelerazione della valigia.

Figura 2.14: Esempio 3

2.3.3 Terzo principio della dinamica

“Lex III: Actioni contrariam semper et æqualem esse reactionem: sivecorporum duorum actiones in se mutuo semper esse æquales et in par-tes contrarias dirigi.” (Newton, 1687)

Il terzo principio della dinamica dice che se un punto materiale A im-prime una forza ~F1 su un punto materiale B, allora il punto materiale Bimprimerà una forza ~F2 uguale e contraria ad ~F1 sul punto materiale A,vale cioè la relazione

~F1 = −~F2 (2.3.3)

Un elemento particolarmente importante da evidenziare parlando del ter-zo principio della dinamica è dato dal fatto che le due forze ~F1 ed ~F2

devono agire lungo la stessa direzione ma non sono applicate allo stessocorpo, per cui non si annullano ma generano accelerazione sui due puntimateriali coinvolti (~a1 ed ~a2). Il terzo principio della dinamica introduceper la prima volta nella storia della scienza il concetto di forze a distanza:esso si applica anche se i due punti materiali non sono in contatto l’u-no con l’altro. L’intuizione degli esseri umani suggerisce l’esistenza delleforze come forze di contatto, in natura invece troviamo molte forze cheagiscono a distanza e che studieremo nel dettaglio nel corso degli anni diliceo come ad esempio la forza gravitazionale e quella elettrostatica.

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2.3.3.1 Esempi ed applicazioni

• Per poter correre in avanti dobbiamo spingere con il piede all’indietro!!!Come è possibile? Per il terzo principio della dinamica se il piedespinge all’indietro il pavimento (o il blocco di partenza per le corsedi atletica leggera), il pavimento risponderà con una forza uguale econtraria sul piede, effetto della quale sarà l’accelerazione in avanti delcorridore.

• Immaginiamo di pesarci sulla bilancia premendo con una scopa sulsoffitto. La bilancia peserà una forza maggiore della nostra forza peso,perché la stessa forza con cui premiamo sul soffitto verso l’alto vieneimpressa dal soffitto su di noi verso il basso, andando a sommarsi alnostro peso nella misurazione della bilancia.

• Se immaginiamo di essere sui pattini di fronte ad un muro e spinger-ci in avanti con le mani sul muro siamo sicuri di iniziare a muoverciall’indietro. Anche questa situazione può sembrare assurda, ma nonè nient’altro che nuovamente l’applicazione del terzo principio delladinamica.

2.3.4 Sistemi di riferimento non inerziali

Sistemi non inerziali si definiscono come sistemi accelerati gli uni rispettoagli altri. Nel prossimo capitolo entreremo nel merito dei ragionamentiche vennero fatti dagli scienziati dei secoli scorsi per definire un sistemainerziale o non inerziale in senso assoluto e non in relazione ad un altrosistema, mentre in questo paragrafo ci limitiamo a far notare come i treprincipi della dinamica valgano solo all’interno di sistemi inerziali. Pren-dendo in considerazione sistemi non inerziali infatti sembrano accaderestrani fenomeni dal punto di vista della meccanica newtoniana, in par-ticolare sembrano esistere delle accelerazioni senza nessuna forza che lecausi. Pensiamo ad esempio alle seguenti situazioni

• l’accelerazione che percepiamo se l’automobile in cui ci troviamo sterzadi colpo, frena o accelera

• l’accelerazione che percepiamo stando su una giostra rotante (come iltagadà del luna park)

• l’accelerazione che percepiamo quando l’ascensore parte verso l’alto overso il basso

In ognuno di questi fenomeni percepiamo delle accelerazioni, e le misu-riamo fisicamente, senza che nessuna forza agisca su di noi direttamente.Sembra quindi non valere il secondo principio della dinamica! Riflettendosu questi fenomeni, come descriveremo nel dettagli nel capitolo ??, possia-mo capire che queste accelerazioni sono in realtà l’effetto della descrizionedel fenomeno da un sistema di riferimento in accelerazione, causate so-stanzialmente dalla nostra inerzia. Per descrivere questi effetti restandonel formalismo newtoniano la comunità scientifica ha scelto di introdurredelle forze cosiddette apparenti, che sono la causa dell’accelerazione che

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percepiamo in sistemi di riferimento accelerati. Esempi di queste forze,già descritte nel biennio, sono la forza centrifuga o la forza di Coriolis.

2.4 Work and Energy

2.4.1 Mechanical work

The term ”work” that we use in our everyday language has a meaningthat we all know and understand; in science instead this is a specific wordrelated to the action of a force on a body. We know that the action ofa force on a body is the cause for the accelleration of the body itself: itmeans that the body changes its state of motion under the effect of forces,it moves in a particular way, with an acceleration ~a = ~F/m (with ~a theacceleration of the body, ~F the sum of all the forces acting on the body,m the mass of the body). The work done by the force ~F on the body isrelated to the connection between the force and the space travelled by thebody as a consequence of the action of ~F.

2.4.2 Work done by a constant force

In the simplest case in which the force is constant work is defined by therelation:

L = ~F ·~s, (2.4.1)

where ~F is the constant force, ~s is the displacement of the body and theoperation · is the scalar product between the two vectors, it means thatthe equation (2.4.1) can be written as

L = Fs cos α

where α is the angle between the two vectors ~F and~s. At this point we canstart asking ourselves ”what is the physical meaning of this quantity?”. Toanswer this question let’s have a look to the picture (2.15). In the picturethere are four different situations:

1. in (A) we can see a body lying on a surface. There are two forces actingon this body, its weight ~P, and the normal reaction of the surface, ~N:since the weight is balanced by the normal reaction, and the body isinitially at rest, it is not cause of any motion. As a consequence, ~s = 0and the work done by the weight equals zero.

2. in (B) we can see a body that is moving up (by means of an externalforce). Since the weight is acting to the bottom and the displacement istowards the top, α = π, cos α = −1, so the work done by the weightit will be negative: the weight is acting against the displacement of thebody.

3. in (C) we can see a body that is moving down (by means of its weight).Since the weight is acting to the bottom, as the displacement, α = 0,cos α = 1, so the work done by the weight it will be positive: the weightis acting for the displacement of the body.

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Figura 2.15: work done by aconstant force

4. in (D) we can see a body that is moving horizzontally (by means ofan external force). Since the weight is acting to the bottom, and thedisplacement is horizontal α = π/2, cos α = 0, so the work doneby the weight it will be zero: the weight has nothing to do with thedisplacement of the body.

In this example we can understand how mechanical work is a physicalquantity that measures the relation between a force acting on a body andthe displacement of the body itself. We will use L (the italian way) orW (the english way) to indentify mechanical work. Mechanical work ismeasured in Joule (J): one Joule is the work done by a force with strenghtof 1 N causing a displacement of 1 m along the direction of the force:1J = 1N · 1m.

2.4.3 Work done by a force varying on space

Let’s now investigate how to calculate the work done by a force varyingon space: we assume a force ~F(s) acting on a body, with a constant angleα between the force and the displacement. In such a case we cannot applythe previous formula, we do not know which value of F has to be putinto Fscos(α), since it is varying. The trick to solve the problem is toconsider many tiny works and then sum all of them. Indeed, if we dividethe displacement in many tiny pieces, d~s (where d, instead of ∆ meanthat our segments are negligible with respect to the total lenght of thedisplacement), in each of them we can consider the force constant, and use~F · d~s to find a work dL. Then we have to ”sum” al these tiny works. Thisis a well known operation in math, called integral, that we are not goingto study in mathematical detail at this point. This mathematical conceptis important even if we will not see tecnical details of the calculation,to understand a geometrical way to calculate the work done by a forcevarying on space: the area under the function Fcos(α) (as a function of

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Moti e Dinamica

Figura 2.16: work done by aforce varying on space

the displacement) in a s-F cartesian graph. Let see figure (2.16): this isthe geometrical representation of the work done by the force ~F, causingthe displacement ~s (from 1 to 7 units) (we assume the angle α between~F and ~s as a constant). In the picture is clear that if we consider a tinyds the force can be considered constant (with strenght F ∗ cos(α) in ourexample) and the area between the function and the s-axis is the areaof the rectangle with basis ds and height F∗cos(α): the work done by the”constant” force F∗cos(α) along the displacement ds! Then, the work donealong the displacement s, it will be the area between the function Fcos(α)and the s-axis. At this point we know what is mechanical work and weknow how to calculate it: in next paragraphs we will calculate the workdone by two well known forces: the gravitational force and the elasticforce.

2.4.4 Work done by the gravitational force

The first force we analize is the gravitational force acting on a point par-ticle with mass m: ~F = m~g. Gravitational force is a constant force, alwaysacting on the vertical line connecting the point particle to the ground.Figure (2.17) describes four different situations:

• in (A) we can see that if the point particle moves horizzontally by meansof an external force the work done by the gravitational forces equalszero: the gravitational force has nothing to do with that displacement.

• in (B) we can see that if the point particle is moving up vertically bymeans of an external force, the work done by the gravitational force isnegative (the work is done ”against” the gravitational force) and equalsthe quantity −mgh, where h is the difference in height between theground and the final position of the point particle.

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 27

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• in (C) we can see that if the point particle is moving down vertically bymeans of the gravitational force, the work done by the gravitational for-ce is positive(the work is done by the gravitational force) and equals thequantity mgh, where h is the difference in height between the groundand the initial position of the point particle.

• in (D) we can see that even if the displacement is not along the verticalline connecting the initial point and the ground the work done by thegravitational force is again mgh! This is because of the scalar productthat defines mechanical work.

We can conclude that it doesn’t matter what is the trajectory done by thepoint particle, the work done by the gravitational force does not dependon it, but only on the initial and final heights and the difference betweenthem: L~P = mg(hi − h f ).

Figura 2.17: work done by thegravitational force

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2.4.5 Work done by elastic force

The elastic force is the tipical force varying on space: ~Fe = −k~s. So,to calculate the work done by this force we have to look at the graphFe − s, since the angle α is always constant α = π and on the graph wewill plot Fecos(α) = −F = ks, or F = −ks. We can see from picture(2.18) that the work done by the elastic force is obtained by the area ofthe trapezoid defined by the function Fe: L = (B+b)∗h

2 = 12 ks2

i −12 ks2

f .

Figura 2.18: work done by theelastic force

Thinking on a spring we can say that the elastic force does work trying tobring the spring back to the equilibrium position, and each compressionor extension of it is done by an external force that works ”against” theelastic force.

2.4.6 Conservative forces

In this section we define conservative forces: it is a very important conceptin physics, and we will find it in almost all the topics we will study inthese years. A force is defined to be conservative if the work done by itdoes not depend on the path travelled from the point particle. In otherwords, a force is defined to be conservative, if the work done to bring apoint particle from a point A to a point B depends only on the two pointsA and B. The two forces we studied in previous paragraphs, they areconservative! Indeed

L~P = mghi −mgh f ,

L~Fe=

12

ks2i −

12

ks2f ,

the work depends just on si and s f , not on the path done by the pointparticle. In next paragraphs we will introduce energy, and it will be clearthe importance of a conservative force in physics.

2.4.7 Energy

In science energy is defined as the ability of a physical system to do work.What does it mean? It means that a system has to ”contain” energy in or-

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der to do work, and any time a system (the forces inside the system) doeswork, it spends energy. Energy is a sort of scientific-money to do work.with this definition it is clear that energy has the same unit than work, Jou-le. In next sections we will analize three different energies arising fromthe forces we studied before: generic constant force, gravitational force,elastic force.

2.4.8 Kinetic energy

Let’s analize the following situation (fig.(2.19)): a point particle movingwith constant velocity starts to be under the effect of a constant force~F: the effect will be that the point particle will move with a uniformlyaccelerated motion, with initial velocity vi. Since the particle is movingthe force will do work: L = ~F ·~s = Fs = ma(s f − si) = m

v f−vi∆t (s f − si) =

m(v f − vi)12 a(∆t)2+vi∆t

∆t = m(v f − vi)(12 a∆t + vi) = m(v f − vi)(

12 (v f − vi) +

vi) = m(v f − vi)(v f +vi)

2 = 12 m(v2

f − v2i ) (here we used the equation of the

uniformly accelerated motion s f = 12 a(t f − ti)

2 + vi(t f − ti) + si, v f =

a(t f − ti) + vi). This calculation suggests us that the energy used by theforce to accelerate the particle equals the work done; since this energy isthe difference between the quantity 1

2 mv2 at the end and at the beginningof our situation, we can argue that every point particle moving with acertain speed v it has a ”Kinetic” energy K = 1

2 mv2 (in italian we will useEc). Every time a point particle is accellerated by an external force theparticle acquires kinetic energy, following the Kinetic energy theorem:

L = ∆K = K f − Ki.

Figura 2.19: Kinetic energytheorem

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2.4.9 Gravitational energy

We have already seen that the work done by the gravitational force equalsmghi − mgh f : we can define gravitational energy as Ug = mgh, where his the spatial coordinate of the point particle referred to its height. Wenotice that the possibility to define an energy for the gravitational forcehere depends on the fact that the gravitational work depends only on theinitial and the final position of the particle: since the gravitational forceis conservative then we can define a gravitational energy! If the work isdone by the force, the gravitational energy is decreasing, if the work isdone by an external force, the gravitational energy is increasing:

L = −∆Ug.

Figura 2.20: Gravitational ener-gy

2.4.10 Elastic energy

We have already seen that the work done by the elastic force equals12 ks2

i −12 ks2

f : we can define elastic energy as Ue = 12 ks2, where s is the

spatial coordinate of the point particle referred to its distance from theequilibrium point. We notice that the possibility to define an energy forthe elastic force depends again on the fact that the elastic work dependsonly on the initial and the final position of the particle: since the elasticforce is conservative then we can define an elastic energy! If the work isdone by the force, the elastic energy is decreasing, if the work is done byan external force, the elastic energy is increasing:

L = −∆Ue.

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Figura 2.21: Elastic energy

2.4.11 Conservation of mechanical energy

All the energies related to conservative forces are called potential energies:them are the energies that allow a force to do some work, kinetic energyinstead is the energy gained (or lost) by the point particle under the effectof a force acting on it. An important characteristics of potential energiesis that they all depends only on the position of the point particle. Aswritten in the previous pictures, in presence of a conservative force itholds: L = −∆U, so we can say that if a force is conservative the workdone on a closed path (the starting point coincides with the final one),the work done equals zero: LA→A = 0. We are ready to enounce thetheorem of conservation of mechanical energy: any conservative physicalsystem (a system in which all the forces are conservatives) has a constantmechanical energy, Etot given by the sum of all the potential energiesand the kinetical energy in a given istant of time. It means that if a forceis doing work on a point particle, the force is losing potential energy, whilethe point particle is gaining kinetic energy. It can be demostrated in fewsimple calculations:

L~F = ∆K,

L~F =n

∑i=0

~Fi = −n

∑i=0

∆Ui ,

∆K = −n

∑i=0

∆Ui ,

∆K +n

∑i=0

∆Ui = 0,

∆(K +n

∑i=0

∆Ui) = 0,

∆Etot = 0,

Etot = K +n

∑i=0

∆Ui = const.

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Figura 2.22: Conservation ofmechanical energy

The simplest example of conservation of energy is described in figure2.22. Consider a point particle standing on the top of a double slide, as infigure:

• since it stands at a certain height h, it has a potential energy Ug = mgh;it means that the gravitational force can do work: the work done whenthe point particle start falling along the slide.

• Sliding down, the gravitational energy decreases, while kinetic energyincreases (the point particle accelerates under the effect of the gravita-tional force).

• When the point particle is on the bottom of the slide, it has no moregravitational energy, which all trasformed into kinetic energy 1

2 mv2.According to the conservation theorem the energy at this point as toequal the initial energy, so Ugi = K f , mgh = 1

2 mv2.

• The velocity gained by the point particle allows it to move up on theother side of the slice: gravitational energy starts increasing, kineticenergy decreases (the point particle slows down while going up)

• When all the initial kinetic energy does its work the point particle stops;at that point all the kinetic energy transformed into potential energy:Ki = Ug f , 1

2 mv2 = mgh.

The conservation of energy is very important theorem in physics basicallyfor two reasons:

1. it gives us an invariant, a quantity that, under some hypothesis (con-servative forces), is always constant. It allows us to label a system: thesystem with energy 5J, 8J, ...

2. as we will see in paragraph (2.4.13), it is a useful tool to solve problemsin a simpler way than the study of kinematics of point particles

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2.4.12 Work done by non-conservative forces

The tipical example of non-conservative force is friction. Friction is a nonconservative force because the work it does depends on the path travel-led by the point particle: Fa = µF⊥, LFa = −Fas = −µF⊥s. Along acertain path friction does more work than a shorter one. Since friction isnot a conservative force, we cannot define a friction energy: friction alwaysconsumes energy of the system, never gains it. In presence of a non con-servative force Fnc, the conservation of mechanical energy does not apply,but we can write:

∆Etot = LFnc .

2.4.13 Problem Solving

In this paragraph we will see how to set up a procedure to solve most ofconservation of energy based exercises.

1. First step: draw a schetch of the system to study;

2. Second step: draw in the schetch all the energies involved in all theimportant points of the problem;

3. Third step: apply the conservation of energy at the different points.

Let’s apply the procedure on the follwing exercise:A point particle of mass m = 10kg is free-falling from a height h = 10m. Findits speed the istant before it hurts the floor. Following our steps:

Figura 2.23: First step: Thedraw of our system

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Figura 2.24: Second step: Thedraw of our system with all theenergies involved

Figura 2.25: Third step: The ap-plication of the conservation ofenergy

The solution of the problem (v f =√

2gh) is the same if we apply ki-nematics (as we saw last year and at the beginning of this one), but usingconservation of energy is much faster an simpler!

2.4.14 Power

We define Power as the physical quantity given by the ratio between thework done by a force and the time taken to make the work:

Pm =L

∆t(2.4.2)

This physical quantity is measured in Watt (1 W=1 J/s), and tells us thecapacity of a force to do a certain amount of work in a given period oftime. If we think that this work is done on a point particle we can finda relationship between the average power, the average force acting on the

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point particle and its average velocity:

Pm =L

∆t

=~Fm · ∆~s

∆t

= ~Fm ·∆~s∆t

= ~Fm ·~vm

The istantaneous power is then the average power when the time interval∆t is tiny with respect to the phenomenon we are considering, in sucha way that the average force becames the istantaneous force and so thevelocity:

P = ~F ·~v (2.4.3)

We can interpret power as the energy consumed or provided per unit oftime.

A simple example Two runners with the same mass m = 70 kg reachthe same velocity v f = 10 m/s from a standing start. They both makeL = ∆Ec = 3500 J of work; we say that the runner A, who reaches thevelocity v in 10 seconds is much powerful than the runner B who reachesthe velocity v in 20 seconds: the power consumed by A is PA = 350 W,while the power consumed by B is PB = 175 W. The work done by the tworunners is the same but the power is different.

2.4.15 The Feynman point of view

The approach we used in these paragraphs to the topic of work and ener-gy is the typical approach used in italian high schools: starting from thedefinition of work, then talking about energy, the theorem of conservationof mechanical energy to get finally to the conservation of total energy (atthe fourth year of high school) studying heat and thermodynamics. But itis not the only possible way to introduce this topic. For example, the greatphysicist Richard Feynman in his famous lectures uses a completely New York, 1918 - Los Angeles,

1988different approach. In the chapter “What is energy?” Feyman writes:There is a fact, or if you wish, a law, governing natural phenomena that are kno-wn to date. There is no known exception to this law; it is exact, so far we knowThe law is called conservation of energy; it states that there is a certain quantity,which we call energy, that does not change in manifold changes which natureundergoes. That is a most abstract idea, because it is a mathematical principle; itsays that there is a numerical quantity, which does not change when somethinghappens. It is not a description of a mechanism, or anything concrete; it is justa strange fact that we can calculate some number, and when we finish watchingnature go through her tricks and calculate the number again, it is the same (Feyn-man, 2001).

Physicists are very fond of this type of setting because energy conser-vation is really a very important principle and this aproach does not bindenergy to the work of a force like we did. In this case, the work of aforce becomes a possible form of energy, as well as heat, internal energy

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(which we will study in thermodynamics) or electromagnetic energy. Theapproach is interesting and useful, and all the formulas and concepts thatwe have just described can also be derived from this idea. Among manypositive aspects there is also a lack in Feynman’s approach: it is hard tosee what difference there is between energy and whatever else is preser-ved, such as mass or electric charge, for example. Although our approachis different from this, it is interesting to note, however, as in science theremay be different ways to think and to present its fundamental concepts.

2.5 Meccanica dei fluidi

Nel biennio abbiamo studiato la fluidostatica, ovvero la parte della fisi-ca che studia i fluidi nei loro stati di equilibrio. Quello che faremo inquesto paragrafo è di considerare fluidi in movimento, applicando le co-noscenze che abbiamo della fisica fuori equilibrio che abbiamo ripreso edapprofondito in questo primo capitolo al caso dei fluidi. Prima di entrarenei dettagli della meccanica dei fluidi riprendiamo brevemente i concettiprincipali della fisica dei fluidi in equilibrio.

Fluido Definiamo fluido una sostanza che si trovi in uno stato fisico nondotato di forma propria. Possiamo per il momento immaginare che fluidoè una qualsiasi sostanza che non si trovi allo stato solido. Parleremo difluidi incomprimibili in presenza di un fluido a densità costante (ρ =

m/V = cost).

Pressione Definiamo come pressione P la grandezza fisica che si ottienecome rapporto tra il modulo della forza perpendicolare ~F⊥ agente su unasuperficie e l’ampiezza A della superficie stessa:

P =F⊥A

L’unità di misura della pressione nel sistema internazionale si chiama Pa-scal (Pa): un Pascal è la pressione esercitata da una forza di un Newtonche agisce perpendicolarmente su una superficie di un metro quadrato:1Pa=1N/1m2.

Fluido in equilibrio Diremo che un fluido è in equilibrio se, presa comun-que una superficie aperta7 all’interno del fluido, la pressione esercitata 7 si definisce aperta una superfi-

cie per cui non si riesca a defini-re un interno od un esterno al-la superficie. Immaginiamo peresempio un fazzoletto rettango-lare o circolare; la superficie diuna sfera invece non è aperta.

su un lato della superficie è uguale alla pressione esercitata sull’altro latodella superficie.

Principio di Pascal Il principio di Pascal asserisce che in un fluido in equi-librio una variazione di pressione in un certo punto del fluido viene tra-smessa inalterata a tutto il fluido, in tutte le direzioni fino alle pareti delcontenitore in cui il fluido è contenuto.

Pressione idrostatica e legge di Stevino Definiamo pressione idrostatica lapressione in un fluido incomprimibile dovuta alla gravità: un certo fluidoche si distribuisce su diverse altezze (o profondità) risentirà della forza di

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gravità che la parte di fluido più in alto imprime sulla parte più bassa.Esisterà quindi una differenza di pressione a diverse altezze dovuta allagravità, che possiamo trovare grazie alla legge di Stevino:

∆p = ρgh (2.5.1)

dove ρ è la densità del fluido, g l’accelerazione di gravità ed h il dislivellotra i due punti tra cui stiamo calcolando la differenza di pressione.

Principio di Archimede Il principio di Archimede asserisce che un corpoimmerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto (la spinta diArchimede appunto), pari al peso del liquido che occuperebbe il volumedel corpo immerso nel fluido. Questo principio, su cui abbiamo ragionatomolto nel primo anno di liceo, non porta molte conseguenze rispetto allameccanica dei fluidi per come la studieremo qui, ma è stato riportato peravere un riferimento completo dei concetti visti nel biennio per quantoriguarda l’equilibrio dei fluidi.

2.5.1 Fluidi in moto

Descriveremo fluidi in moto tramite il moto delle particelle di cui immagi-niamo essi siano composti, più nello specifico noi ci riferiremo ad elementidi fluido: immagineremo cioè di suddividere il fluido in moltissimi volumimolto piccoli dV che si muovono formando nell’insieme il moto completodel fluido. La descrizione dei moti di un fluido può essere molto comples-sa sia dal punto di vista concettuale che matematico, e proprio per questomotivo faremo delle approssimazioni che ci aiuteranno nella comprensio-ne e descrizione di questi fenomeni. La descrizione di moti reali dei fluidipoi potrà essere più o meno fedele a queste approssimazioni, richieden-do in alcuni casi delle descrizioni più complesse che però non tratteremodurante il corso del liceo. Le approssimazioni che facciamo per studiarefluidi in movimento sono:

1. Considereremo solo fluidi incomprimibili

2. Considereremo solo fluidi non viscosi (trascureremo quindi gli attritiinterni del fluido stesso)

3. Considereremo solo moti stazionari, ovvero moti in cui la velocità diun elemento di fluido resta costante nello spazio v = v(~r)

4. Considereremo solo moti irrotazionali, ovvero moti in cui non esistonoelementi di volume del fluido in cui la traiettoria di un elemento difluido sia circolare

In particolare chiameremo fluidi ideali i fluidi che soddisfano alle condi-zioni (1) e (2).

2.5.2 Equazione di continuità

La prima conseguenza delle richieste di approssimazione fatte nel para-grafo precedente è l’equazione di continuità. Immaginiamo di avere un

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fluido che scorre all’interno di un tubo orizzontale che varia la sua di-mensione trasversale. Diciamo che, come rappresentato in figura (2.26) lasezione passi da un certo valore S1 ad un altro valore S2, S1 < S2.

Figura 2.26: Flusso di unfluido attraverso due superficidifferenti S1 ed S2

Immaginiamo ora un certo volume V di fluido incomprimibile che at-traversi la superficie S1 in un intervallo di tempo ∆t: per l’incomprimi-bilità del fluido uno stesso volume V nello stesso intervallo di tempo ∆tdovrà attraversare anche la superficie S2. Immaginando che il volumesia distribuito su tutta la superficie con un’estensione longitudinale moltopiccola ∆x avremo che il volume che attraversa S1 è dato da V1 = S1∆x1

ed il volume che attraversa la superficie S2 è dato da V2 = S2∆x2. Si avràdunque

V1

∆t=

V2

∆tS1∆x1

∆t=

S2∆x2

∆t

S1∆x1

∆t= S2

∆x2

∆t

E dunque, immaginando le estensioni longitudinali molto piccole, cosìcome l’intervallo di tempo di attraversamento molto piccolo possiamoscrivere l’equazione di continuità:

Q = Sv = cost (2.5.2)

Questa semplice equazione dà importanti informazioni sul moto dei flui-di incomprimibili: velocità del fluido e sezione attraversata sono inversa-mente proporzionali, un fluido ideale, per evitare “ingorghi” deve averevelocità maggiori man mano che attraversa sezioni più piccole! La quan-tità Q = Sv si chiama portata e si misura in m3/s ed è una costante nelmoto di fluidi ideali.

2.5.3 Teorema di Bernoulli

Il teorema di Bernoulli è un’estensione della legge di equilibrio per i fluidie rende conto in qualche modo, come vedremo a breve, della conserva-zione dell’energia anche nel caso di fluidi in movimento. Prendiamo inconsiderazione un fluido ideale che faccia un percorso in cui varia nonsolo la sezione trasversale come nel caso precedente, ma che vari anche lasua altezza rispetto al livello del mare, come in figura (2.27).

Figura 2.27: Fluido in movimen-to in un percorso che varia sia lasezione che l’altezza

Evidentemente per portare il fluido verso l’alto ci deve essere del la-voro esterno fatto contro la forza di gravità che tenderebbe a spingere lamassa di fluido verso il basso. Tale lavoro dovrà essere uguale alla sommadella variazione di energia cinetica del fluido e della variazione di ener-gia potenziale gravitazionale del fluido nei punti di attraversamento dellasuperficie S1 e della superficie S2:

L = ∆Ec + ∆Ug

Analizzeremo quindi ogni elemento di questa equazione di conservazionedell’energia per ottenere quello che chiameremo il teorema di Bernoulli.Sottolineiamo qui come per dimostrare questo teorema stiamo usando un

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approccio “alla Feynman”, stiamo cioè assumendo che l’energia si con-servi, ovvero che il lavoro fatto dalle forze esterne al sistema bilanci esat-tamente la somma delle diverse energie in gioco: la cosa è ragionevolevisto che stiamo trascurando gli attriti interni al sistema, ma è pur sempreun’assunzione che estende il concetto di campo gravitazionale conserva-tivo e conservazione dell’energia da un sistema di meccanica dei solidi adun sistema di meccanica dei fluidi. Immaginiamo quindi che un certo vo-lume V di fluido attraversi la superficie S1 in un certo intervallo di tempo∆t: per l’incomprimibilità del fluido dovrà essere quindi che un volumeV di fluido attraversi la superficie S2 nello stesso intervallo di tempo.

Il lavoro L Il lavoro esterno L fatto sul fluido avrà due componenti: laprima L1 data dalla massa di fluido che spinge il volume V che attraversaS1 dato da L1 = F1∆x1, con ∆x1 lo spostamento longitudinale del volumeed il lavoro L2 = F2∆x2 sulla superficie S2 subito dalla massa di fluidoche si trova dopo la superficie S2; questi due lavori hanno segno opposto:prenderemo come positivo L1 e negativo L2 immaginando che la massadi fluido si stia spostando da S1 ad S2. Il lavoro totale sarà dunque L =

L1 − L2 = F1∆x1 − F2∆x2. Per riscrivere in termini di pressione questolavoro possiamo moltiplicare e dividere L1 per S1 e moltiplicare e dividereL2 per S2 ottenendo l’espressione

L = p1V1 − p2V2 = (p1 − p2)V

L’uguaglianza tra i due volumi può essere assunta sempre in virtù dell’in-comprimibilità supposta del fluido.

L’energia cinetica ∆Ec La variazione di energia cinetica del fluido è datada:

∆Ec =12

m2v22 −

12

m1v21 =

12

ρ2V2v22 −

12

ρ1V1v21 =

12

ρV(v22 − v2

1)

sempre utilizzando l’incomprimibilità del fluido.

L’energia potenziale gravitazionale ∆Ug La variazione di energia potenzialedel fluido è data quindi da:

∆Ug = m2gh2 −m1gh1 = ρVg(h2 − h1)

con h2 ed h1 le altezze del volume di fluido attraversando rispettivamenteS1 ed S2

L’equazione di Bernoulli Mettendo ora assieme tutti i termini trovati pos-siamo scrivere la nostra equazione nel seguente modo:

(p1 − p2)V =12

ρV(v22 − v2

1) + ρVg(h2 − h1)

Questa equazione esprime la conservazione dell’energia nel caso del flui-do in movimento, ed è una prima versione del teorema di Bernoulli.Notiamo come questa relazione possa essere riscritta portando al primo

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membro tutti i termini relativi alla superficie S1 ed al secondo membrotutti i termini relativi alla superficie S2 ottenendo

(p1 + ρv21 + ρgh1)V = (p2 + ρv2

2 + ρgh2)V

questa espressione mette in evidenza una quantità, che chiameremo anchepressione generalizzata, ottenuta come somma della pressione del fluido,la densità di energia cinetica e la densità di energia potenziale gravitazio-ne, che rimane costante durante tutto il tragitto del fluido! Si ha quindi lalegge di conservazione:

p +12

ρv2 + ρgh = cost (2.5.3)

Questo risultato, ottenuto per la prima volta da Daniel Bernoulli , dice Groninga, 1700- Basilea, 1782

come la pressione generalizzata, interpretabile come la densità di energiadi un fluido in movimento, rimanga costante lungo il percorso di un fluidoideale in moto stazionario ed irrotazionale. Il teorema di Bernoulli, comevedremo in qualche semplice applicazione qui di seguito è alla base dimoltissimi studi ed applicazioni della meccanica dei fluidi.

2.5.3.1 Applicazioni

L’utilizzo dell’equazione di continuità e del teorema di Bernoulli permettela descrizione di moltissimi fenomeni di moto dei fluidi, ed ha permessonella storia della fisica lo studio e la produzione di moltissimi strumenti edapparati tecnologici che hanno a che fare con la fluidodinamica. Vedremoqui di seguito tre applicazioni, la prima - l’effetto Venturi - tecnologicaper la misura della portata di un fluido, la seconda - la portanza - chemostra il principio base per il funzionamento degli aeroplani ed infinealcune applicazioni in campo medico - gli aneurismi e le trombosi.

2.5.4 Tubo di Venturi

Giovanni Battista Venturi è stato il sacerdote e fisico italiano che Bibbiano, 1746 - Reggio Emilia,1822inventò uno strumento di misura della portata di un fluido in movimento.

L’apparato sperimentale inventato da Venturi è descritto in figura (2.28):esso è costituito da un tubo con due diverse sezioni S1 ed S2 collegato adun altro tubo ad U posto sotto al primo tubo che si collega ad esso neipunti di sezione S1 ed S2. All’interno del tubo con le due sezioni vienefatto passare orizzontalmente il fluido di cui si vuole misurare la portata; iltubo ad U invece è un manometro in cui viene posto un liquido che possavariare le sue altezze a seconda della differenza di pressione presente suidue rami del manometro stesso. Venturi cercò una relazione tra la portatadel fluido e la differenza di altezza misurata dal manometro, conoscendole due sezioni dello strumento. Infatti, per la legge di continuità si ha cheS1v1 = S2v2, dunque la velocità del fluido che attraversa S2 è maggioredella velocità del fluido che attraversa S1; questa differenza di velocità simanifesta in una differenza di pressione grazie al teorema di Bernoulli,che viene misurata dal manometro. Otteniamo dunque la relazione che ci

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Moti e Dinamica

Figura 2.28: Tubo di Venturi

permette di ottenere la portata in funzione di S1, S2 e ∆h: considerando iltratto rettilineo del tubo di Venturi possiamo scrivere:

Q = S1v1 = S2v2

p1 +12

ρv21 = p2 +

12

ρv22

p1 +12

ρ(Q/S1)2 = p2 +

12

ρ(Q/S2)2

12

ρ[(Q/S1)2 − (Q/S2)

2] = p2 − p1

Q2S22 −Q2S2

1S2

1S22

=2(p2 − p1)

ρ

Q2 =2(p2 − p1)

ρ

S21S2

2S2

2 − S21

Q =

√2(p2 − p1)

ρ

S21S2

2S2

2 − S21

A questo punto possiamo usare la legge di Bernoulli lungo il tubo ad Uper scrivere che

p1 + ρgh1 = p2 + ρgh2

p2 − p1 = ρg(h1 − h2)

E sostituire il risultato nell’ultima delle equazioni precedenti trovando larelazione desiderata:

Q =

√2g(h1 − h2)

S21S2

2S2

2 − S21

(2.5.4)

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2.5.5 Portanza

La portanza in fluidodinamica è la forza perpendicolare rispetto alla velo-cità relativa di un’ala di un aereo o di un veicolo che si muove all’internoo sopra ad un fluido. Essa è di fondamentale importanza per la stabilitàdel veicolo e per la sua capacità di viaggiare. Studiamo in modo sem-plice la portanza nel caso dell’ala di un aeroplano, facendo riferimentoalla figura (2.29). Vogliamo dare giustificazione del fatto che esiste una

Figura 2.29: Profilo di un’aladi aeroplano per lo studio dellaportanza

differenza p1 − p2 > 0 che genera una forza dal basso verso l’alto sul-la superficie dell’ala e che aiuta sostanzialmente l’aereo a volare. Per farquesto ci richiamiamo al teorema di Bernoulli per cui:

p1 − p2 =12

ρ(v22 − v2

1) + ρg(h2 − h1)

Notiamo come, dato il profilo dell’ala (ecco l’importanza della forma deiprofili in aerodinamica), l’aria che passa sopra all’ala deve avere una velo-cità maggiore dell’aria che passa sotto all’ala, in quanto deve percorre piùspazio in meno tempo, sempre assumendo che non si formino moti vor-ticosi attorno all’ala, cosa che si rivelerebbe pericolosa più che fastidiosadal punto di vista del modello fisico; inoltre h2 > h1: ecco allora che - indipendenza della densità dell’aria naturalmente - esiste una differenza dipressione nella giusta direzione affinché l’aereo possa volare!

2.5.6 Aneurismi e Trombosi

In medicina si definiscono aneurismi le dilatazioni di vene o arterie do-vute al cedimento delle pareti di una di esse; il nostro intento qui non èquello di capirne le motivazioni o i rimedi, ma la fluidodinamica del feno-meno per capire in che direzione potrebbe evolvere l’aneurisma secondole regole della fisica. In figura (2.30) vediamo lo schema di un possibileaneurisma: chiameremo S1 la superficie in cui abbiamo evidenziato la ve-locità del sangue ~v1 ed S2 quella dove abbiamo evidenziato la velocità ~v2.Per l’equazione di continuità avremo evidentemente v2 < v1. A questopunto possiamo applicare il teorema di Bernoulli alla nostra vena (suppo-nendo che sia in orizzontale o che la differenza di altezza sia trascurabileviste le dimensioni del fenomeno in questione) ed abbiamo:

p1 − p2 =12

ρ(v22 − v2

1)⇒ p1 < p2

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Figura 2.30: Aneurisma

Ovvero la pressione laddove la vena ha ceduto aumenta: il che significache dal punto di vista medico la fisica non tende a risolvere il problema,anzi, serve capire come poter intervenire per non peggiorare il problema.

In medicina di definiscono trombi le ostruzioni di vene o arterie dovu-te al deposito di sostanze di diversa origine. Evidentemente il fenomenodal punto di vista fluidodinamico è l’esatto opposto del precedente, ed èdescritto dalla figura (2.31). Evidentemente, ricalcando la dimostrazione

Figura 2.31: Trombosi

precedente, in questo caso la pressione del fluido diminuisce in corrispon-denza del trombo, facilitando il deposito di ulteriore sostanza ed anche inquesto caso favorendo il peggiorarsi del fenomeno patologico.

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2.6 Esercizi

Le equazioni del moto di un punto materiale, quando non specificato in modo diverso, si considerino espresse con leunità di misura del sistema internazionale. Ad esempio s = 5t + 2 esprime lo spazio in metri in funzione del tempoin un moto rettilineo uniforme, 5 rappresenta la velocità in metri al secondo, 2 la coordinata iniziale in metri, t iltempo in secondi.

1. Si descriva il moto rettilineo di un punto materiale A rappresentato in figura (2.32), trovando i modulidelle velocità dei diversi tratti di percorso del punto materiale. Qual è la velocità media su tutto ilpercorso vm? Quante volte si incontrerebbe il punto materiale A con il punto materiale B che partenello stesso istante di A ma muovendosi costantemente alla velocità vB = vm?

Figura 2.32: .

[v1=2 m/s; v2=0 m/s; v3=2 m/s; v4=3,3 m/s; v5=0 m/s; v6=2,2 m/s; vm=0,75 m/s; due volte,escludendo il punto di partenza]

2. Due punti materiali A e B si stanno muovendo, secondo un sistema di riferimento fissato s con leseguenti equazioni del moto: sA = 7t, sB = 7t + 5. I due punti materiali si incontreranno? Perché?

[No, perché...]

3. Due punti materiali A e B si stanno muovendo, secondo un sistema di riferimento fissato s con leseguenti equazioni del moto: sA = 7t, sB = −7t + 7. Dove (lungo s) e quando si incontreranno?Si esprima la soluzione anche dal punto di vista geometrico disegnando il diagramma orario dellasituazione.

[t=0,5 s; s=3,5 m]

4. Un calciatore A sta correndo in linea retta dalla sua area di rigore verso il centrocampo alla velocitàvA = 5m/s. Il portiere lancia la palla, sempre in linea retta, quando il calciatore A si trova a 30 metridal punto in cui il portiere calcia il pallone. Se la palla raggiunge il giocatore si trova a 60 metri dalpunto in cui il pallone è stato calciato dal portiere, a che velocità il portiere ha calciato il pallone? (Siapprossimino i moti del calciatore e della palla con moti rettilinei uniformi). Si descriva la situazionein un diagramma orario.

[vP=10 m/s]

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5. A causa di un colpo di sonno, Gigetto chiude gli occhi alla guida, mentre l’auto si muove ad unavelocità vA = 80km/h verso un albero che si trova ad una distanza d = 120m. Quanto tempo ha persvegliarsi, sapendo che una frenata a quella velocità necessita 30 metri per fermare l’auto?

[t=4,05 s]

6. Un’automobile da corsa raggiunge la velocità di 100 km/h in 3,0 secondi, partendo da ferma. Quantospazio ha percorso in questo tempo supponendo che la variazione della sua velocità sia costante neltempo?

[s=42 m]

7. Un punto materiale A si muove secondo l’equazione del moto sA = 10t2 + 2t− 3, mentre un punto BsB = 5t + 3. Si incontreranno? Dove e Quando? Si esprima la soluzione anche dal punto di vista geo-metrico disegnando il diagramma orario della situazione. Si siano le soluzioni con 2 cifre significative.

[s=7,7 m; t=0,94 s]

8. Antonio (A) sta correndo alla velocità va = 7m/s. Barbara (B) inizia a ricorrere Antonio quandoquesto si trova ad una distanza d = 30m. Quale accelerazione deve avere per raggiungere Antonioin 10s? Si esprima la soluzione anche dal punto di vista geometrico disegnando il diagramma orariodella situazione.

[aA=2 m/s2]

9. Un automobile sta viaggiando alla velocità vA = 72km/h quando a 50m un semaforo diventa rosso.Se il tempo di reazione del guidatore è di mezzo secondo, qual è la minima accelerazione che deveavere l’automobile per fermarsi al semaforo? Si esprima la soluzione anche dal punto di vista geome-trico disegnando il diagramma orario della situazione.

[a=-5 m/s2]

10. Due corridori A e B stanno correndo verso il traguardo appaiati ad una velocità v = 8m/s. A 30mdal traguardo il corridore A inizia ad accelerare e vince la gara per 0,50 secondi. Quanto è stata la suaaccelerazione media negli ultimi 30 metri?

[a=0,76 m/s2]

11. Un punto materiale A si muove secondo l’equazione del moto sA = 8t2 − t + 5, mentre un puntoB sB = −4t2 + 5t + 3. Si incontreranno? Dove e Quando? Si esprima la soluzione anche dal puntodi vista geometrico disegnando il diagramma orario della situazione. Si siano le soluzioni con 2 cifresignificative.

[Non si incontreranno mai, perchè...]

12. Un punto materiale A si muove secondo l’equazione del moto sA = 8t2 − t + 3, mentre un punto BsB = −4t2 + 5t + 5. Si incontreranno? Dove e Quando? Si esprima la soluzione anche dal punto divista geometrico disegnando il diagramma orario della situazione. Si diano le soluzioni con 2 cifresignificative.

[s=6,5 m; t=0,73 s]

13. I due fratelli Antonio (A) e Barbara (B) stanno facendo il seguente gioco: Antonio sta alla finestrache si trova ad un’altezza h = 3m da terra, mentre Barbara si trova ad una distanza d = 10m dal murodella finestra, Antonio lascia cadere una palla in verticale sotto l’effetto della gravità, mentre Barbara

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Moti e Dinamica

lancia una palla orizzontalmente rasoterra verso il muro. Che velocità deve avere la palla lanciata daBarbara affinché le due palle si scontrino?

[vP=13 m/s]

14. La giostra Columbia di Mirabilandia è definita come free fall tower: è una struttura alta 60m che simulala caduta libera per chi si siede sulle poltroncine che salgono fino alla cima dell’attrazione. Suppo-nendo di poter trascurare gli attriti, con quale velocità arrivano a terra le persone che provano questagiostra?

[v=123 km/h]

15. Un altro gioco di Antonio (A) e Barbara (B) è il seguente: Antonio lancia una pallina rasoterra conuna certa velocità verso Barbara, la quale lascia cadere in verticale un’altra pallina cercando di colpirela pallina lanciata da Antonio. Supponendo che Antonio e Barbara siano ad una distanza d = 3m eche la velocità con cui Antonio lancia la pallina sia vA=20cm/s, dopo quanto tempo dal lancio dellapallina del fratello Barbara deve lasciar andare la pallina dall’altezza h = 1, 5m per riuscire nel gioco?

[t=14,7 s]

16. Considerando le dimensioni massime regolamentari di un campo da calcio e supponendo che unportiere calci dando dalla palla una velocità iniziale formante un angolo α = 30 con l’orizzontale qualè il modulo minimo di questa velocità affinché il portiere faccia una rimessa dalla sua area piccola cheraggiunga la linea di fondo dell’altra metà campo? Qual è l’altezza massima raggiunta dal pallonesupponendo che la velocità iniziale sia questa velocità minima?

[v0=129,6 km/h; hmax=7,7 m]

17. Alberto (A) e suo figlio Bruno (B) giocano a passarsi la palla colpendola di testa. Alberto è altohA=180 cm, mentre Bruno hB=150 cm. Alberto colpisce la palla con una velocità iniziale v0=2 m/s conun angolo rispetto l’orizzontale α = 45 e la palla cade esattamente sulla testa di Bruno. A che distanzaorizzontale si trovano i due?

[d=60 cm]

18. Qual è la velocità iniziale che un cestista deve dare alla palla per segnare un tiro libero, supponendoche l’angolo rispetto l’orizzontale del lancio sia α = 60 e che la palla si stacchi dalla mano del gio-catore ad un’altezza h = 1, 95m. Si assumano le dimensioni regolamentari del campo da pallacanestro.

[v0=7,8 m/s]

19. Al giorno d’oggi (Marzo 2014) il record del mondo per il lancio del giavellotto misura d = 98, 48m,ottenuto nel 1996 dall’atleta ceco Jan Zelezny 8. Supponendo che l’altezza iniziale del giavellotto sia8 http://www.iaaf.org/

records/by-discipline/

throws/javelin-throw/

outdoor/men

di un metro, e che l’angolo di tiro sia α = 30, si trovi la velocità iniziale impressa dal campione ceconel tiro del record.

[v0=33,4 m/s]

20. Alessandro vuole saltare un ostacolo alto h = 80 cm. Supponendo che si avvicini all’ostacolo con unavelocità v = 5 m/s e stacchi, mantenendo il modulo della sua velocità pari a v, con un angolo rispettol’orizzontale α = 60 ad una distanza d = 1 m dall’ostacolo. Alessandro riuscirà a saltare l’ostacolo?Se si, quanto di quanto supera in altezza l’ostacolo quando ci si trova sopra? Qual è l’altezza massimache raggiunge?

[Sì, supera l’ostacolo di 0,15 m; hmax=96 cm]

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21. Antonio vuole lanciare un sasso oltre una siepe che sta di fronte a lui. Antonio si trova a 5 metridalla siepe, che è alta 2 metri, e lancia il sasso lasciandolo andare quando si trova ad un’altezza di 1,2metri con una velocità di modulo v0 = 10 m/s che forma un angolo di 30 gradi con l’orizzontale. Ilsasso andrà oltre la siepe? Se sì, quanto sopra alla siepe passerà? A che distanza dalla siepe toccheràpoi terra?

[Sì, passa 0,5 metri sopra; d=5,6 m]

22. Un giocatore di calcio vuol mostrare la sua bravura colpendo la traversa con un calcio da 30 metridalla linea di porta. Supponendo che l’angolo di tiro del giocatore sia α = 20, qual è la velocità chedeve imprimere al pallone per riuscire nel suo intento? Si assuma l’altezza della porta regolamentare,2,44 metri.

[v0= 24,2 m/s]

23. Due giocatori di golf sono uno di fronte all’altro ad una distanza d = 10 m l’uno dall’altro. Il primogiocatore effettua un tiro dando alla palla una velocità iniziale v01 =50 m/s con un angolo rispettol’orizzontale α = 30, mentre il secondo colpisce la sua palla dandole una velocità di modulo v02 cheforma un angolo β = 45 con l’orizzontale. Supponendo che i due colpi avvengano nello stesso istante,quale deve essere la velocità v02 affinché le due palline si colpiscano? In tal caso, in quale puntoavviene l’urto tra le palline (distanza dal primo giocatore d1 ed altezza da terra h)?

[v02=35,4 m/s; d1=6,5 m; h=3,6 m]

24. Un pompiere deve spegnere il fuoco che divampa da una finestra che si trova a 10 metri in orizzon-tale e 5 in verticale rispetto la sua posizione. Supponendo che l’angolo con cui il pompiere punta labocca del tubo dell’acqua sia α = 60 rispetto l’orizzontale si trovi la velocità iniziale che deve averel’acqua affinché il pompiere riesca a centrare la finestra e spegnere il fuoco.

[v=12,5 m/s]

25. Lasciando suonare un vecchio disco 45 giri per un’ora, quanto angolo è stato spazzato da uno deiraggi del disco? Lo si esprima sia in radianti che in gradi.

[α = 17 rad ∼ 974°]

26. Un ragazzo lancia un sasso ad una distanza d = 100 metri con velocità iniziale orizzontale da un’al-tezza h = 3 metri dal suolo ottenuta facendo ruotare uno spago lungo l = 20 cm con un moto circolareuniforme. Si calcoli la frequenza con cui deve ruotare lo spago per ottenere un lancio del genere.

[f=102 Hz]

27. Si calcoli l’accelerazione centripeta e la velocità tangenziale di un oggetto sulla superficie terrestreapprossimando la terra ad una sfera che ruota attorno ad un suo diametro.

[ac = 3, 38× 10−2 m/s2; v = 470 m/s]

28. Si calcolino le frequenze fm ed fs della lancetta dei minuti e dei secondi delle lancette di un orologioa parete. Si calcolino inoltre le velocità angolari ωm, ωs delle due lancette e le accelerazioni centripetedi due punti delle lancette entrambi ad una distanza d = 5cm dal centro.

[ fm=2,8×10−4 Hz; fs=0,17 Hz; ωm=1,7×10

−3 rad/s; ωs=0,1 rad/s; am=1,4×10−7 m/s2; as=5×10

−4

m/s2]

29. Si trovi l’equazione del moto di un moto armonico con ampiezza 350 cm, pulsazione 5 rad/s e fase π

usando le unità standard del sistema internazionale. Si calcoli la posizione iniziale del punto materiale

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Moti e Dinamica

di cui è descritto il moto. Si calcoli la velocità massima del moto del punto materiale.

[s=3,5cos(5t+π); s0=-3,5 m; vmax=17,5 m/s]

30. Si trovi la pulsazione di un moto armonico con fase nulla la cui velocità massima è vmax = 10 m/s ela cui posizione al tempo t = 0 s è s = 2 m

[ω = 5rad/s]

31. Un punto materiale si sta muovendo di moto armonico di pulsazione ω = 5 rad/s. Quale sarà la suaposizione nell’istante in cui la sua accelerazione è a = 0, 4 m/s2?

[s=1,6 cm]

32. Un elastico di lunghezza a riposo l0 = 10 cm poggia su un tavolo ed è fissato ad una sua estremitàda un chiodo. All’altra estremità dell’elastico è fissata una massa m = 500 g. Se la massa sta ruotandocon una frequenza f = 50 Hz provocando un allungamento ∆l = 1, 5 cm si calcoli la costante elasticadella molla.

[k = 378, 3 kN/m]

33. Che velocità deve avere il supereroe Flash per riuscire a correre in orizzontale sulla parete verticaledi un palazzo cilindrico con la base di raggio R = 30 m, supponendo che il suo peso sia P = 780 N, edil coefficiente d’attrito tra le sue scarpe e la parete kA = 0, 8? Di quanto cambia la velocità se la massadi Flash triplica?

[v = 69 km/h; la velocità non dipende dalla massa di Flash, perché...]

34. Una pallina si sta muovendo di moto rettilineo uniforme su un piano senza attrito ad una velocitàv0 = 20 km/h. Ad un certo punto entra in una zona in cui è presente sul pavimento un materiale ilcui coefficiente di attrito con la pallina è kA = 0, 5. Dopo quanto tempo e in quanto spazio la pallinasi fermerà?

[t=1,1 s; s=3,2 m]

35. Quale massa mB indicherà una bilancia nel “pesare” un uomo di massa m = 80 kg all’interno di unaereo che sta accelerando verso l’alto con un’accelerazione a = 5 m/s2? A che peso in realtà corri-sponde?

[mB=76 kg; P=744 N]

36. Si trovi l’accelerazione del sistema in figura (2.33), considerando il piano senza attrito, il filo comeinestensibile e la carrucola di dimensioni e massa trascurabili rispetto al fenomeno in studio.

[a=0,88 m/s2, facendo scendere M2]

37. Si trovi l’accelerazione del sistema in figura (2.34), considerando il piano senza attrito, il filo comeinestensibile e la carrucola di dimensioni e massa trascurabili rispetto al fenomeno in studio.

[a=0,69 m/s2 facendo scendere M1]

38. Si risolva il problema 4 nel caso in cui tra il piano e la massa M2 ci sia un coefficiente di attritokA = 0, 3.

[a=0,025 m/s2]

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Moti e Dinamica

Figura 2.33: .

Figura 2.34: .

39. Si risolva il problema 7 nel caso in cui tra il piano e la massa M2 ci sia un coefficiente di attritokA2 = 0, 2 e tra il piano e la massa M1 un coefficiente kA1 = 0, 8.

[a=0 m/s2]

40. Un ragazzo sta giocando a tirare un sasso di massa m = 50 g con una fionda. La fionda ha un elasticodi costante k = 10000 N/m allungabile fino a 10 cm rispetto alla sua lunghezza a riposo. Supponendoche il ragazzo lanci il sasso da un’altezza h = 1, 2 m con un angolo α = π/6 rispetto l’orizzontale, sicalcoli la gittata massima del sasso.

[x=180 m]

41. Immaginiamo di approssimare il funzionamento di un tappeto elastico come il funzionamento diuna molla. In questa ipotesi, data la costante elastica del tappeto k = 20000 N/m, si calcoli a che altez-za minima da terra deve essere messo il tappeto affinché un persona di massa m = 80 kg raggiungal’altezza h = 3 m sopra al tappeto stesso.

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 51

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Moti e Dinamica

[h0 = 0, 5 m]

42. Un punto materiale di massa m si trova in cima ad un piano inclinato liscio alto h, alla base delquale si trova un piano orizzontale scabro con coefficiente d’attrito tra piano e massa k. Si calcoli illavoro fatto dalla forza d’attrito nel piano orizzontale per fermare il punto materiale; si calcoli inoltrelo spazio (percorso sul piano orizzontale) necessario per fermare il punto materiale. cc[L= mgh; s=h/g]

43. Nella costruzione di una pista per biglie si vuol fare un giro della morte dopo la partenza da fermadella biglia da una certa altezza h. Qual è il minimo valore di h per riuscire a far compiere il giro dellamorte alla biglia approssimando il giro della morte con una circonferenza di raggio R?

[hmin = 5R/2]

44. Una massa m = 10 kg che comprime una molla orizzontale (k = 100 N/m) di una quantità ∆x = 20cm viene lasciata muoversi sotto l’effetto della forza elastica. Supponendo che il piano su cui giaccionomolla e massa sia caratterizzato da una costante d’attrito tra massa e piano k = 0, 1 si calcoli il lavorofatto dalla forza d’attrito per fermare la massa.

[L=2 J]

45. Una pallina di massa m = 500 g viene spinta in salita lungo un piano inclinato di un angolo α = π/4da una forza costante ~F di modulo F = 5 N. Se la velocità della pallina all’inizio del piano è vi = 1m/s e alla fine del piano v f = 3 m/s, quanto lavoro ha fatto la forza ~F? Quanto è lungo il pianoinclinato? Quanto lontano dal piano inclinato cadrà la pallina se continua nel suo moto?

[L=2 J; l=40 cm; d=1,14 m]

46. Data la figura (2.35) si calcolino le velocità o le altezze nei punti indicati del punto materiale di massam = 1 Kg.

Figura 2.35: .

[vB = 8, 9 m/s2; hC = 3, 7 m; vD = 7, 7 m/s; vE = 9, 9 m/s]

47. Una gru deve portare degli oggetti da terra ad un altezza h = 5 m. Che potenza deve sviluppare ilmotore della gru per portare un carico massimo di 100 oggetti da 50 kg in due ore?

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 52

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Moti e Dinamica

[P=34 W]

48. La fabbrica costruttrice di una moto da corsa dichiara che il modello di punta può portare la motoda ferma ai 100 km/h in 3 secondi. Supponendo una massa di 150 kg, quale potenza viene consumatadalla moto in tale accelerazione?

[P= 19,3 kW]

49. Un ragazzino gioca su un altalena le cui catene sono lunghe l = 2, 5 m partendo da fermo formandoun angolo α = 30 rispetto l’orizzontale. Se la massa del ragazzino è m = 60 kg, si calcoli la tensionedelle catene dell’altalena nel punto più basso della traiettoria.

[T=743 N]

50. A force F = 10 N is acting on a point particle of mass m = 10 kg, with initial speed vi = 0 m/s. Findthe work done by the force after ∆t = 10 s.

[500 J]

51. A point particle is standing on the floor. It is pushed by a force F = 10 N making an angle α = π3

with respect to the ground. Find the work done by the force after a displacement of the point particlealong the floor s = 5 m.

[25 J]

52. A point particle (m = 5 kg) is moving with speed v = 50 m/s on a floor with friction coefficientµ = 2. Find the work done by friction when the point particle stops.

[6250 J]

53. A point particle (m = 2 kg) is moving with speed v = 10 m/s. An external force does on the pointparticle a work L = 100 J. Find the final velocity of the point particle.

[14 m/s]

54. Find the work that a force has to do to expand a spring, with k = 10 N/m, from the equilibrium(l = 5 m) to l = 15 m.

[500 J]

55. Find the energy of the system made up by two identical point particles (m = 1 kg), one moving onthe ground (without friction) with speed v = 10 m/s, the other free falling down, knowing that atsome point the second point particle is at h = 2 m with v = 10 m/s.

[120 J]

56. A spring (k = 1000 N/m) in vertical position is compressed by an external force of ∆l = 0, 1 m; apoint particle (m = 1 kg) on the top of it is launched up by means of the elastic force. Find the higherpoint reached by the point particle.

[0,5 m]

57. A point particle (m = 5 kg) free-falls from a height h = 10 m on the top of a spring (k = 1000 N/m).What speed does the point particle have before hitting the spring?

[14 m/s]

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Moti e Dinamica

58. A point particle of mass m = 1, 00 kg is launched by means of a spring (k = 500, 00 N/m) com-pressed of ∆l = 20, 00 cm and inclined by α = π

3 with respect to the floor. Find the maximum heightreached by the point particle, and its kinetic energy at that point.

[0,81 m;2 J]

59. A block of mass m = 10 kg is pushed up on an inclined plane (α = π/4) with an initial velocityv0 = 2 m/s. If the constant of friction between the block and the plane is k = 0, 5, what is the speedof the block when it returns to its original position? What is the intensity of the work done by thefriction during this phenomenon?

[v f = 1, 2 m/s; LFA = 13, 2 J]

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3 Relatività Galileiana

Relatività Galileiana]cap2 In questo capitolo discuteremo come un feno-meno possa essere descritto da un osservatore in quiete rispetto al feno-meno e da un osservatore in moto uniforme rispetto al primo, eviden-ziando i legami tra le due descrizioni. Il primo scienziato a parlare dicome queste due descrizioni possano essere messe in relazione tra lorofu Galilei, da cui il nome di relatività galileiana a questa parte di fisica,dove relatività indica proprio che la descrizione dei fenomeni è relativaa sistemi di riferimento diversi tra loro. Introdurremo le leggi di com-posizione e le trasformazioni di Galileo, assieme al principio di relativitàgalileiano, relazioni che furono alla base di tutta la fisica fino alla fine del1800, quando gli scienziati si accorsero che questa teoria non era validaper la radiazione elettromagnetica (come vedremo nel quinto anno di cor-so). Albert Einstein propose delle soluzioni ai problemi creati dalla Ulm, 1879 - Princeton, 1955

relatività classica con la teoria della relatività, prima ristretta nel 1905 epoi generale nel 1916, che risultano essere un ampliamento di ciò che an-dremo a studiare in questo capitolo. Uno dei problemi filosoficamente piùimportanti per la teoria della relatività galileiana è quello della definizionedel sistema di riferimento in quiete assoluta: per affermare infatti se duesistemi sono inerziali tra loro dobbiamo ammettere che esista un sistemadi riferimento in quiete assoluta, ovvero secondo un qualsiasi osservatore,rispetto al quale definire lo stato di moto di tutti i punti materiali dell’u-niverso. Già Galilei tentò di risolvere questo problema individuando ilsistema assoluto con quello solidale alle stelle fisse, argomento che diven-tò presto inconsistente grazie alle osservazioni celesti sempre più precise(non ci sono stelle fisse); Newton invece, mosso dal suo sentimento reli-gioso panteistico, disse che il sistema assoluto era quello solidale con Dio.Entrambe queste proposte non ebbero grande seguito nella storia dellafisica; gli scienziati del diciottesimo e diciannovesimo secolo furono con-vinti dell’esistenza dell’etere: una sostanza impalpabile ed invisibile sullaquale doveva propagarsi la luce e che doveva essere in quiete assoluta.Ogni tentativo sperimentale di rilevare l’etere risultò però fallimentare,portò anzi alla formulazione delle teorie di relatività di Einstein, con cuicome già detto si risolsero alcuni dei problemi posti già da Galilei e New-ton.

Nella nostra descrizione immagineremo sempre un sistema di riferi-mento in quiete, ed uno in moto rettilineo uniforme rispetto al primo,come descritto in figura (3.1). Per quanto riguarda i prossimi paragrafiutilizzeremo sempre la convenzione per cui le quantità senza pedice sono

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Relatività Galileiana

le quantità misurate dal sistema di riferimento considerato in quiete, lequantità con pedice r sono quelle misurate dal sistema di riferimento inmovimento e le quantità con pedice t sono riferite al sistema di riferimentoin movimento (la sua posizione, la sua velocità,...). Per rendere concrete leleggi dei seguenti paragrafi, che valgono comunque in generale, immagi-niamo una semplice situazione esemplificativa: consideriamo il passaggiodi un treno in una stazione in cui il treno stesso non sosta, supponendorettilineo uniforme (~v = ~vt) il moto del treno. Il sistema di riferimentoin quiete è solidale alla stazione, possiamo immaginare un personaggio Aseduto su di una panchina che osserva il passaggio del treno, mentre ilsistema in movimento è solidale con il treno stesso, possiamo immaginareun altro personaggio B seduto all’interno del treno.

Figura 3.1: Sistemi di riferimen-to inerziali

3.1 Spazio e tempo nella fisica classica

3.1.1 Il carattere assoluto di spazio e tempo: Galilei e Newton

Tutta la fisica classica si basa sui concetti primitivi di spazio e tempo as-soluti. Nello sviluppo della meccanica Galilei e Newton fecero esplicitoriferimento a questi concetti e tutta la comunità scientifica, fatta eccezio-ne per alcuni casi che discuteremo nel prossimo paragrafo, guardava allospazio ed al tempo come a delle cornici all’interno delle quali descrivere

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i fenomeni naturali. Descrivere un fenomeno utilizzando un sistema diriferimento faceva capo solamente alla convinzione che l’universo fossescritto in termini matematici (Galilei, 1623) e la descrizione con le coordi-nate fosse solamente il più semplice stratagemma tecnico per farlo. Questaconcezione fu uno dei pilastri filosofici su cui si basò tutta la scienza clas-sica: il suo superamento con le teorie di Einstein all’inizio del ventesimosecolo fu sicuramente uno dei momenti più rivoluzionari della storia dellafisica.

Il tempo è indipendente da ogni elemento esterno. Esso è pura durata, danon confondere con il tempo umano, sensibile ed imperfetto, e neppurecon il tempo meteorologico. “ Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e persua natura senza relazione con alcunché di esterno, scorre uniformemente, e conaltro nome è chiamato durata; quello relativo, apparente e volgare, è una misura(accurata o approssimata) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto checomunemente viene impiegata al posto del vero tempo; tali sono l’ora il giorno, ilmese, l’anno.” (Newton, 1687).

Lo spazio non ha alcun rapporto con l’esterno. Lo spazio assoluto, ugualeed immobile è condizione dello spazio, che nella sensazione di dà unica-mente in relazione ai corpi. “Lo spazio assoluto, per sua natura senza relazionead alcunché di esterno, rimane sempre uguale ed immobile; lo spazio relativo è unadimensione mobile o misura dello spazio assoluto, che i nostri sensi definisconoin relazione alla sua posizione rispetto ai corpi, ed è comunemente preso come lospazio immobile; così la dimensione di uno spazio sotterraneo o aereo o celesteviene determinata dalla sua posizione rispetto alla terra. Lo spazio assoluto e lospazio relativo sono identici per grandezza e specie, ma non sempre permangonoidentici quanto al numero. Infatti se la Terra, per esempio, si muove, lo spaziodella nostra aria, che relativamente alla Terra rimane sempre identico, sarà orauna parte dello spazio assoluto attraverso cui l’aria passa, ora un’altra parte diesso; e così muterà assolutamente in perpetuo.” (Newton, 1687).

3.1.2 Il concetto di spazio secondo Berkeley e Mach

Nonostante il sostanziale accordo con la natura assoluta di spazio e tem-po dei contemporanei di Newton, ci furono delle voci che si dissociaro-no da questa idea i cui principali esponenti furono il vescovo britannicoGeorge Berkeley ed il fisico e filosofo austriaco Ernst Mach . Kilkenny, 1685 - Oxford, 1753

Brno, 1838 - Haar, 1916

Berkeley si oppose all’idea dello spazio assoluto in quanto esso non èosservabile. Egli sottolineò il fatto che ogni moto esiste in quanto con-testualizzato in un sistema di corpi e masse, senza i quali non potrebbenemmeno essere descritto. Alcuni anni dopo i principia di Newton egliscrisse:

“Se ogni luogo è relativo, anche ogni moto è relativo; e non si può compren-dere il moto se non se ne è determinata la direzione, che a sua volta non si puòcomprendere se non in relazione al nostro o a qualche altro corpo. In su, in giù,a destra, a sinistra, tutte le direzioni e i luoghi si basano su qualche riferimento

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ed è necessario presupporre un altro corpo distinto da quello in movimento... percui il moto è per sua natura relativo, né può essere compreso finché non si consi-derino i corpi in relazione a cui esiste; più generalmente, non si può stabilire unriferimento, se mancano i termini che in riferimento debbono esser posti. Perciò,se supponiamo che tutto si annulli eccetto un globo, è impossibile immaginare unqualsiasi movimento di tale globo. Consideriamo ora che i globi siano due, e cheoltre ad essi non esista alcun’altra cosa materiale: il moto circolare di questi dueglobi intorno al loro centro comune non può essere immaginato. Ma ammettiamoche venga improvvisamente creato il cielo delle stelle fisse: saremo allora in condi-zione di immaginare il moto dei globi per mezzo della loro posizione relativa allevarie parti del cielo.”(Berkeley, 1721)Berkeley evidentemente si oppose allaconcezione del moto assoluto e quindi della stessa esistenza di un sistemadi riferimento in quiete assoluta, e da diversi studiosi è considerato unprecursore delle teorie della relatività di inizio novecento sviluppate daEinstein.

Mach in tempi in cui l’autorità delle idee Newton era indiscussa, parise non maggiore rispetto all’autorità delle idee di Aristotele nel dicias-settesimo secolo, riprese le idee del vescovo britannico riaccendendo ladiscussione sulla natura dello spazio. Il punto di vista di Mach è moltosimile a quello di Berkeley:

“...Secondo me esistono solo moti relativi... Quando un corpo ruota rispet-to alle stelle fisse, si producono forze centrifughe; quando ruota rispetto a qualchealtro corpo e non in relazione alle stelle fisse, non si producono forze centrifughe.Non ho nulla in contrario a chiamare rotazione la prima, purché ci si ricordi chenon vuol dire altro che rotazione rispetto alle stelle fisse.”

“Ovviamente non ha importanza se noi pensiamo che sia la Terra a ruotareintorno al suo asse, o che essa sia ferma mentre le stelle fisse le girano intorno.Da un punto di vista geometrico, in tutti e due i casi, si tratta di un moto relativodella Terra e delle stelle fisse l’una rispetto alle altre. Ma se ammettiamo che laTerra sia ferma e che le stelle fisse le girino intorno, non c’è schiacciamento del-la Terra..., almeno secondo la concezione che noi abbiamo della legge di inerzia.Ora possiamo superare questa difficoltà in due modi: o ogni moto è assoluto, ola nostra legge di inerzia è formulata in modo sbagliato. Io preferisco la secondasoluzione. La legge di inerzia deve essere concepita in modo da portare allo stessorisultato sia nella prima che nella seconda ipotesi. È perciò evidente che nella suaformulazione bisogna tener presenti le masse dell’Universo”(Mach, 1893)Machquindi riprende gli argomenti di Berkeley e come vedremo ispirerà Ein-stein nei suoi ragionamenti che lo portarono alle formulazioni della teoriadella relatività speciale prima e generale poi.

3.2 Legge di composizione delle posizioni e degli spostamenti

Ritorniamo ora alla situazione del treno e dei due osservatori A e B de-finita nell’introduzione a questo capitolo: supponiamo di chiedere ad uncerto istante di tempo ai due osservatori A e B quale sia la posizione dellapunta del treno. Evidentemente per l’osservatore B, quello seduto all’in-

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terno del treno, avrà una certa posizione~st che non dipende dal tempo (lapunta del treno sarà sempre un certo numero di metri davanti a lui); perl’osservatore A invece la punta del treno si trova in un punto diverso, ~s,ottenibile come la somma del vettore posizione del tizio B sommato allaposizione misurata dal tizio B, come illustrato in figura (3.2). La formula

Figura 3.2: Legge di composi-zione delle posizioni

generale che possiamo ottenere è dunque:

~s =~sr +~st, (3.2.1)

con ~s il vettore posizione misurato dall’osservatore fermo, ~st il vettoreposizione dell’osservatore in movimento rispetto all’osservatore fermo e~sr il vettore posizione misurato dall’osservatore in movimento. Allo stessomodo possiamo pensare alla misura di un certo spostamento, ottenendola seguente formula:

~∆s = ~∆sr + ~∆st (3.2.2)

3.3 Legge di composizione delle velocità

Immaginiamo ora che un tizio C si muova con velocità costante all’internodel treno partendo da B ed andando verso la punta del treno. Il signor Bmisurerà una certa velocità ~vr = ~∆sr/∆t data dal rapporto tra lo sposta-mento effettuato dal signor C nel suo sistema di riferimento e l’intervallodi tempo ∆t che il signor C ha impiegato a percorrere ~∆sr. Il signor Ainvece misurerà una velocità maggiore, data dalla somma tra la velocitàdel treno e la velocità di C all’interno del treno. La situazione è espressadall’equazione:

~v = ~vr +~vt (3.3.1)

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In questo ragionamento è fondamentale la convinzione classica che l’in-tervallo di tempo ∆t sia lo stesso per l’osservatore A e l’osservatore B:nella fisica classica il tempo ha un carattere assoluto, scorre nello stessomodo in qualsiasi sistema di riferimento. Per noi questo concetto è scon-tato, naturale, non ci sembra possibile che il tempo scorra in modo diversoa seconda del sistema di riferimento in cui ci troviamo; eppure vedremoche all’inizio del ventesimo secolo Albert Einstein dimostrò, ed in modoconvincente, che il tempo dipende dal sistema di riferimento in cui lo simisura! Ricordando che stiamo trattando solo di moti rettilinei uniformi eche dunque la velocità media coincide con la velocità istantanea, dal pun-to di vista matematico è semplice dimostrare l’equazione (3.3.1) a partiredall’equazione (3.2.2):

~∆s = ~∆sr + ~∆st

~∆s∆t

=~∆sr

∆t+

~∆st

∆t~v = ~vr +~vt

3.4 Legge di composizione delle accelerazioni

A questo punto capiamo in modo molto semplice che se il signor C, inveceche muoversi di moto rettilineo uniforme si muovesse di moto rettilineouniformemente accelerato, l’accelerazione misurata dal signor A e dal si-gnor B sarebbe la stessa, visto che il treno non sta accelerando. Da unpunto di vista matematico si può semplicemente dimostrare dividendomembro a membro l’equazione (3.3.1) per l’intervallo di tempo ∆t e ve-dendo che il termine~at sparisce in quanto l’accelerazione del treno è nulla.Si ha quindi per le accelerazioni la seguente relazione:

~a =~ar (3.4.1)

Questa relazione è di estrema importanza da un punto di vista concettua-le perchè dimostra come le accelerazioni siano delle quantità invariantinella relatività galileiana, quantità cioè che rimangono sempre le stesse aprescindere dal sistema di riferimento in cui vengono misurate. Essendoinvarianti le accelerazioni e concependo in modo naturale, così come peril tempo, la massa come grandezza invariante, possiamo dire che anche leforze sono grandezze invarianti per la relatività galileiana: le forze sonodunque grandezze che non dipendono dal sistema di riferimento in cuisono misurate purché i sistemi in questione siano inerziali. Ecco il motivoconcettuale per cui abbiamo sempre detto che i principi della dinamicavalgono solamente in sistemi di riferimento inerziali tra loro, e che se citroviamo in sistemi accelerati compaiono le cosiddette forze apparenti.

3.5 Trasformazioni di Galileo

Storicamente la relazione descritta dall’equazione (3.2.2) viene scritta intermini di trasformazione matematica, dove le coordinate con apice sonosecondo il nostro schema di lavoro le coordinate misurate dal sistema di

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riferimento in movimento, mentre le coordinate senza apice quelle mi-surate dal sistema di riferimento in quiete. Il vettore ~v = (vx; vy; vz) èil vettore che precedentemente avevamo chiamato ~vt, la velocità con cuisi muove il sistema di riferimento in moto. Le seguenti equazioni sonochiamate trasformazioni di Galileo:

x′ = x− vxty′ = y− vytz′ = z− vztt′ = t

(3.5.1)

È interessante notare come dal punto di vista matematico le equazioni(3.5.1) siano semplicemente le equazioni di una traslazione di vettore ~A =

~vt. L’ultima equazione spesso non è riportata, esprime la convinzionecomune che il tempo sia invariante per la relatività galileiana (si usa anchedire invariante per trasformazioni di Galileo); la riportiamo qui perchécome detto precedentemente è uno dei paletti della fisica classica che verràabbattuto all’inizio del novecento dalle teorie di Einstein.

3.5.1 Invarianza delle lunghezze

Abbiamo già discusso dell’invarianza di massa, tempo, accelerazione eforze per trasformazioni di Galileo, vogliamo qui dimostrare che anche lelunghezze lo sono: sembrerebbe infatti decisamente strano che un certo ri-ghello lungo ad esempio 10 centimetri in un sistema di riferimento in quie-te possa diventare lungo 8 o 12 centrimetri in un sistema di riferimento inmoto!!! Anche questa è una certezza che lasceremo solamente in quintastudiando la relatività di Einstein, per il momento la fisica classica ci assi-cura anche questa invarianza, come vedremo in queste righe con qualchesemplice passaggio matematico. Supponiamo, nell’esempio del treno diprima, di voler misurare la lunghezza di un righello all’interno del treno.Il tizio B all’interno del treno semplicemente opererà la misura nel suosistema di riferimento, ottenendo L′ = x′2 − x′1, dove x′2 è la posizione mi-surata di un estremo del righello nel sistema di riferimento in moto, x′1 è laposizione dell’altro estremo sempre nel sistema di riferimento in moto. Iltizio fermo in stazione misurerà invece una lunghezza L = x2− x1, con x2

ed x1 le posizioni degli estremi del righello misurate nel sistema di riferi-mento in quiete. Applicando le trasformazioni di Galileo possiamo vederecon facilità che L′ = x′2 − x′1 = (x2 − vxt)− (x1 − vxt) = x2 − x1 = L, cioèla lunghezza del righello è una grandezza invariante per trasformazioni diGalileo, come volevamo dimostrare e come il nostro intuito ci suggerisce.

3.6 Principio di relatività galileiano

Galilei arriva ad intuire il principio di relatività meccanica, ovvero il fattoche ogni fenomeno meccanico viene descritto nel medesimo modo insistemi di riferimento inerziali; riportiamo qui uno dei passi più famosidelle opere del fisico pisano in cui mette in evidenza il principio appe-na esposto:Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto

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coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili anima-letti volanti; siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi de’ pescetti; sospendasianco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell’acqua inun altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave,osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vannoverso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferente-mente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi,gettando all’amico alcuna cosa non più gagliardamente la dovrete gettare versoquella parte che verso questa, quando le lontananze siano eguali; e saltando voi,come si dice, a pié giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservateche avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia che mentreil vassello sta fermo non debbano succeder così, fate muover la nave con quantasi voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e inlà) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, néda alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma: voisaltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima, né, perché la nave simuova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua,benché, nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso laparte contraria al vostro salto; e gettando alcuna cosa al compagno, non con piùforza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli sarà verso la prua e voi verso poppa,che se voi fuste situati per l’opposito; le gocciole cadranno come prima nel vasoinferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché, mentre la gocciola è peraria, la nave scorra molti palmi (Galilei, 1632)È evidente come quindi secon-do questo principio di relatività ogni legge della meccanica abbia semprela stessa forma in sistemi di riferimento inerziali, e come quindi non siapossibile determinare, con esperimenti meccanici, se il sistema inerzialein cui mi trovo sia in stato di quiete o di moto rettilineo uniforme: questisistemi sono tutti equivalenti tra loro. Questo punto è molto importantein quanto spiega come mai, come studieremo nel corso dell’ultimo anno,per cercare di trovare l’etere (il sistema di riferimento in quiete assoluta)si fecero esperimenti di elettromagnetismo e non esperimenti meccanici.

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3.7 Esercizi

1. Un sistema di riferimento S1 è spostato rispetto al sistema di riferimento S di un vettore ~d = (2; 3).Quale sarà la posizione per un osservatore solidale con S di un punto materiale che per un osservatoresolidale con S1 ha coordinate P1 = (3; 1)?

[P1 = (5; 4)]

2. Un sistema di riferimento S1 è spostato rispetto al sistema di riferimento S di un vettore ~d). Qualesarà ~d se per un osservatore solidale con S la posizione di un punto materiale è P = (1; 1), mentre perun osservatore solidale con S1 è P1 = (−5; 4)?

[~d = (6;−3)]

3. Un sistema di riferimento S1 è spostato rispetto al sistema di riferimento S di un vettore ~v) di modulod = 5 ed angolo formato con l’asse delle ascisse di S α = π/6 rad. Quale sarà la posizione di unpunto materiale P, secondo un osservatore solidale con il sistema S, se per un osservatore solidale conil sistema S1 il punto materiale ha coordinate P1 = (10, 5; 7, 3)?

[P = (14, 85; 9, 8)]

4. Un uomo A sta camminando alla velocità vA = 1 m/s sopra ad un treno, che passa alla velocitàvT = 120 km/h davanti ad una stazione, nella stessa direzione della velocità del treno. Un tizio sedu-to sulla panchina della stazione che velocità misurerà per l’uomo A?

[v =123,6 km/h]

5. Rispetto al problema (4) che velocità calcolerebbe l’uomo seduto sulla panchina se il tizio A si muo-vesse in direzione opposta alla velocità del treno?

[v =116,4 km/h]

6. Rispetto al problema (4) che velocità calcolerebbe l’uomo seduto sulla panchina se il tizio A si muo-vesse in direzione perpendicolare alla velocità del treno?

[v =120,05 km/h]

7. Un ragazzo sta correndo in bicicletta alla velocità v = 20 km/h quando lascia cadere per sbaglio iltelefono cellulare da un’altezza h = 1, 2 m. Trascurando l’attrito dell’aria che moto descriverà per iltelefono un tizio seduto su una panchina che osserva la situazione? Che velocità del telefono misure-rebbe un osservatore solidale con il tizio seduto sulla panchina un istante prima che il telefono tocchiterra?

[v = 7, 4 m/s]

8. Se nel problema (7) il ragazzo in bicicletta stesse facendo un moto uniformemente accelerato con unacerta accelerazione a ed il telefono cadesse nell’istante in cui la bicicletta ha una velocità v0 = 20 km/h,come cambierebbe il risultato?

[v = 7, 4 m/s]

9. Che moto deve fare un carrello a cui è appeso un pendolo affinché il pendolo sia in equilibrio forman-do un angolo α = π/6 rispetto l’orizzontale?

[moto rettilineo uniformemente accelerato, a = 17 m/s2]

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10. Un calciatore sta correndo incontro alla palla ad una velocità vG = 7 m/s; la direzione della corsadel giocatore forma un angolo α = 135 con la direzione della palla, che si muove rasoterra. A chevelocità è stata lanciata la palla se il giocatore la vede avvicinarsi ad una velocità vP = 90 km/h?

[v = 19, 5 m/s]

11. Un ragazzino all’interno di un treno gioca a lanciare in verticale una pallina. Supponendo che unosservatore solidale con il treno veda un moto di caduta di grave con velocità iniziale v0 = 6 m/s eche un osservatore solidale con la banchina della stazione in cui sta passando il treno senza fermarsimisuri un moto parabolico con velocità iniziale v = 50 m/s qual è la velocità del treno?

[vT = 178 km/h]

12. In una giornata di pioggia un osservatore A fermo sul ciglio della strada osserva le gocce cadere inverticale; se un osservatore all’interno di un’automobile che viaggia ad una velocità vA = 90 km/hvede la pioggia lasciare una traccia sul finestrino laterale con un angolo α = π/6 rispetto alla verti-cale qual è la velocità della pioggia vA che osserva A? Quale la velocità vB misurata dall’osservatoresull’auto? Si trascurino gli attriti delle gocce sul finestrino.

[vA = 43 m/s; vB = 50 m/s]

13. All’interno di un aereo per la simulazione di assenza di gravità, nella sua fase di caduta libera unastronauta lancia una palla in orizzontale con velocità v0 = 5 m/s. Dopo quanto tempo toccheràil pavimento dell’aereo? Che velocità della palla misura un osservatore solidale con la terra dopo 3

secondi dal lancio?

[mai (per lo meno finché l’aereo resta in caduta libera); v = 29, 8 m/s]

14. Si calcoli la velocità tangenziale della luna secondo un osservatore T solidale con la terra ed un os-servatore S solidale con il sole nel momento in cui si ha l’allineamento Sole-Terra-Luna.

[vT = 948 m/s; vS = 30796 m/s]

15. Si risolva il problema (14) nel caso in cui l’allineamento sia del tipo Sole-Luna-Terra. rivoluzioneterrestre.

[vT = 948 m/s; vS = 28900 m/s]

16. Un operatore televisivo deve filmare la scena di un film in cui il protagonista corre ad una velocitàv = 5 m/s (!). L’attore protagonista non è evidentemente in grado di correre a quella velocità, masolamente ad una velocità massima vmax = 1, 5 m/s. Come può l’operatore realizzare comunque lasua ripresa? Si spieghi il ragionamento fatto.

[facendo muovere la telecamera incontro all’attore ad una velocità di 3,5 m/s]

17. Due ragazzi, A e B stanno giocando a passarsi un pallone dentro ad una barca che si sta muovendoad una velocità v = 3 m/s. Essi distano tra loro d = 2 m, lanciano la palla e la ricevono entrambi aduna altezza h = 1, 2 m, con un angolo di lancio e di ricezione α = π/3 A quale velocità deve lanciareognuno di loro (vA per A e vB per B) affinché il gioco riesca? Secondo l’osservatore a terra i dueragazzi lanciano la palla con la stessa velocità? Che velocità misura un osservatore fermo a riva per illancio di A (v′A) e per il lancio di B (v′B)? Si supponga che l’osservatore veda A lanciare nella direzionedel moto della barca e B in direzione opposta.

[vA = 4, 8 m/s; vB = 4, 8 m/s; v′A = 6, 8 m/s; v′B = 4, 2 m/s]

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 65

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Relatività Galileiana

18. Un’automobile A si muove con una velocità vA = 25m/s in direzione N30°E, mentre un’automobileB si muove con velocità vB = 30 m/s in direzione E60°S. Si calcoli il modulo della velocità relativa trale due automobili.

[vr = 48 m/s]

19. Durante una partita di calcio il portiere effettua una rimessa dal fondo imprimendo alla palla unavelocità iniziale v0 = 20 m/s formante un angolo α = 30 rispetto al suolo. Se un giocatore che stacorrendo parallelamente alla palla verso centrocampo misura una velocità della palla v = 12 m/s ache velocità vG sta correndo il giocatore?

[vG = 10, 6 m/s]

20. Un oggetto viene fatto cadere dalla finestra di un palazzo con velocità iniziale v0 = 6, 5 m/s direttaverso il basso in verticale da un’altezza h = 15 m. Un tizio A sta salendo con un ascensore a velocitàcostante v = 1 m/s nel palazzo; ad un’altezza h = 10 m dal suolo vede passare l’oggetto di fronte asé: quale velocità misurerà A per l’oggetto in questione?

[v = 12, 8 m/s]

21. Da un carrello che si sta muovendo con velocità costante vC = 50 km/h viene lanciata una palla conuna velocità iniziale v0 = 3 m/s in direzione orizzontale opposta al senso di marcia del carrello edaltezza iniziale h = 1, 5 m. Quale sarà la gittata Gt del lancio secondo un osservatore solidale con ilterreno e quale la gittata Gc secondo il lanciatore?

[Gt = 6, 0 m; Gc = 1, 6 m]

22. A quale velocità deve correre una persona per mantenere un pallone di massa m = 200 g in equilibrioin verticale sul petto se il coefficiente di attrito tra la palla e la maglia è k = 3?

[Non importa la velocità, il moto deve essere accelerato con a = 3, 3 m/s2]

23. Quale deve essere la velocità vB di una barca che vuole muoversi in direzione Est-Ovest ad una velo-cità v = 100 km/h se la corrente su cui si sta muovendo è caratterizzata da una velocità vC = 40 m/sin direzione Nord-Sud?

[vB = 48, 8 m/s in direzione N(0,6rad)O]

24. Un aereo si sta muovendo ad una velocità v = 500 km/h parallela al suolo quando entra in una zonacon una corrente ascensionale di velocità vC = 100 km/h. Quale sarà la velocità dell’aereo rispetto alsuolo all’interno della corrente?

[v = 510 km/h con un angolo α = 11 rispetto l’orizzontale]

25. Si consideri un moto parabolico caratterizzato da una velocità iniziale v0 = 20 m/s che forma unangolo α = 45 rispetto l’orizzontale. A quale velocità si deve muovere un osservatore A, rispetto alsistema in cui avviene il moto parabolico, per osservare un moto di caduta di grave?

[vA = 14 m/s nella stessa direzione della velocità orizzontale iniziale del moto parabolico]

26. Find the relative speed of two point particles A and B with velocities ~vA = 2x + 3y (m/s) and~vB = −2x + 5y (m/s) in a given reference frame Oxy.

[vr = 4, 5 m/s]

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Relatività Galileiana

27. In a given reference frame Oxy a point particle A is moving with a velocity ~vA = 4x− 3y (m/s). Therelative velocity of a point particle B with respect to A is ~vr = 2x + 2y (m/s). Find vB.

[~vB = 6x− 1y (m/s)]

28. Find the speed of an airplane if the velocity measured from the earth is v = 300 km/h with an angleα = 30 with respect to the horizontal and the airplane is flying in an area characterized by a verticalwind with vW = 80 km/h.

[vA = 269 km/h]

29. A runner A is training and moves with a speed vA = 3 m/s when another runner, B, passes him: in10 seconds B moves from 5 m before A up to 3 m after A. What is the velocity of B with respect toanother guy C sitting on a bench and looking to the scene?

[vB = 3, 8 m/s]

30. A guy A is moving with a speed vA = 2 m/s inside a train A (vTA = 70 km/h) in the same directionof the train A. A guy B is moving with a speed vB = 3 m/s inside another train B (vTB = 50 km/h)in the opposite direction of the train B. What is the speed of the guy B measured by the guy A if thetwo trains are moving one towards the other?

[v = 32, 2 m/s]

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4 Quantità di moto ed urti

In questo capitolo introdurremo una nuova grandezza fisica: la quantitàdi moto di un punto materiale; attraverso questa grandezza arriveremoad una formulazione più generale, rispetto a quella vista nel capitolo 2,delle leggi della dinamica. Tale formulazione ci permetterà una più sem-plice descrizione di fenomeni complessi quali sistemi a massa variabile,forze impulsive (che agiscono in un intervallo di tempo molto breve) ourti tra punti materiali. La necessità dell’introduzione di una grandez-za simile Risulta evidente dalla difficoltà di descrivere dal punto di vistaNewtoniano molte situazioni concrete, come ad esempio:

• La salita di una mongolfiera inizialmente in equilibrio ad una certaaltezza per effetto del rilascio di una certa quantità di zavorra.

• Il rimbalzo di una palla contro un muro o la battuta di una pallinadurante una partita di tennis.

• L’efficacia di un colpo secco di martello rispetto all’applicazione costan-te di una certa forza per infilare un chiodo in un pezzo di legno.

A tal fine definiamo la seguente grandezza vettoriale:

~q = m~v, (4.0.1)

che chiamiamo quantità di moto e che misureremo nel sistema internazio-nale in kg·m/s o N·s.

4.1 Teorema dell’impulso

Il teorema dell’impulso dice che l’impulso di una forza, ovvero il prodottotra la forza media ~Fm applicata su un punto materiale in un intervallo di tempo∆t, è uguale alla variazione della quantità di moto del punto materiale stesso inquell’intervallo di tempo. Ovvero:

~Fm∆t = ~∆q (4.1.1)

Per darci ragione del teorema immaginiamo una forza variabile che agiscasu un punto materiale per un certo intervallo di tempo: ad esempio pos-siamo visualizzare un colpo di un tennista sulla pallina da tennis. La forzaagente sul punto materiale avrà in generale un andamento temporale deltipo illustrato in figura (4.1), concentrata nell’istante t0 ma diversa da ze-ro lungo tutto l’intervallo ∆t. Possiamo quindi operare con il secondo

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Quantità di moto ed urti

Figura 4.1: Forza agente sulpunto materiale in ∆t

principio della dinamica nel seguente modo:

~Fm = m~am

~Fm = m~∆v∆t

~Fm = m~v f −~vi

∆t

~Fm =m~v f −m~vi

∆t

~Fm =~∆q∆t

da cui si ottiene facilmente il teorema (4.1.1). Se volessimo considerare unintervallo di tempo infinitamente piccolo (o quantomeno molto piccolorispetto al fenomeno che stiamo considerando) otterremmo, con la solitaconvenzione introdotta nel primo capitolo, la relazione:

~F =d~qdt

, (4.1.2)

in cui questa volta arriviamo a definire la forza istantanea come il rapportotra la variazione della quantità di moto e l’intervallo di tempo infinitesimoin cui la variazione stessa è avvenuta. Come per il secondo principiodella dinamica questo teorema parla di cause ed effetti: la relazione tra lacausa forza ed il suo effetto variazione della quantità di moto. Riapplicandoil ragionamento fatto per il lavoro e descritto nella figura (2.16) possiamodire che la variazione di quantità di moto totale in figura (4.1) è datadall’area tra la curva F(t) e l’asse dei tempi1. 1 in questo testo sottolineiamo

continuamente le relazioni geo-metriche tra quantità fisiche edaree o curve tangenti. Questoaffinché, una volta che nel cor-so di matematica si affronteran-no i concetti di derivata ed in-tegrale definito, si possano co-gliere le diverse applicazioni adargomenti già svolti di fisica

4.2 Teorema di conservazione della quantità di moto

Dal teorema dell’impulso è facile dedurre che se la somma tutte le forzeagenti su un punto materiale è nulla allora sarà nulla la variazione diquantità di moto del punto materiale stesso, ovvero la quantità di moto ècostante. In sistemi isolati la quantità di moto si conserva è l’usuale enunciato

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Quantità di moto ed urti

di questo teorema, che matematicamente si esprime come:

~F =~0⇐⇒ ~q =~k (4.2.1)

Naturalmente considerando un sistema formato da un insieme di puntimateriali possiamo considerare come quantità di moto totale del sistemala somma delle singole quantità di moto dei diversi punti materiali edapplicare il teorema ad un qualsiasi sistema di punti materiali. Comeogni teorema di conservazione in fisica la conservazione della quantità dimoto è importante dal punto di vista concettuale per due motivi: in primoluogo è una caratterizzazione dei sistemi fisici ed in secondo luogo ci aiutaa risolvere problemi in sistemi isolati. Al momento quindi possiamo direcon certezza che:

• In un sistema chiuso si conserva la massa;

• In un sistema conservativo si conserva l’energia meccanica;

• In un sistema isolato si conserva la quantità di moto.

Più quantità che si conservano vengono trovate più si può conoscere neldettaglio fisico il sistema stesso, potendolo descrivere e potendo predi-re la sua evoluzione sulla base delle informazioni date dalle quantitàconservate.

4.3 Descartes e Leibniz: dibattito sui principi di conservazione

Nei secoli dello sviluppo della fisica classica ebbero grande risalto duescienziati, Renè Descartes e Gottfried Wilhelm Leibniz . In La Haye en Touraine, 1596 -

Stoccarda, 1650

Lipsia, 1646 - Hannover, 1716

questo paragrafo approfondiremo le idee di questi due scienziati rispettoalla quantità di moto; è interessante vedere come queste due grandi mentidella scienza ebbero idee molto diverse tra loro anche per renderci contodi come, nella storia della fisica, le conclusioni che oggi studiamo in pochigiorni sono in realtà frutto di processi molto lunghi e complessi. Ci sof-fermeremo soprattutto sul concetto di conservazione di quantità di motovisto dal punto di vista dei due scienziati, ed in particolare studieremo ilragionamento che portò Leibniz a scrivere un saggio comparso sugli ActaEruditorum del 1686 (Leibniz, 1863) intitolato Brevis denmostratio erroris me-morabilis Cartesii et aliorum circa legem naturalem (Breve dimostrazione di unerrore memorabile di Cartesio e di altri riguardo una legge naturale). SiaDescartes che Leibniz colsero l’importanza di trovare qualche grandezzafisica che risultasse invariante, cioè che rimanesse immutata qualunque fe-nomeno fisico possa avvenire nell’universo: da un punto di vista filosoficoquesta ricerca è giustificata dalla convinzione che l’universo debba averedelle regole scientifiche all’interno delle quali tutto possa avvenire e dellaricerca di ciò che genera il moto dei corpi, dal punto di vista pratico lequantità invarianti (come abbiamo visto nel caso dell’energia) ci permet-tono di catalogare sistemi a seconda del valore che assume l’invariante edi risolvere problemi in modo semplice.

• Il punto di vista di Descartes:Descartes e gli studiosi a lui vicini (i cartesiani) pensavano che la quan-

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tità di moto fosse un ”invariante universale”: essi identificano il pro-dotto tra massa e velocità di una particella con la forza motrice, ciò chepermette il moto nell’universo. Ecco qui di seguito il pensiero di De-scartes in proposito : (Descartes, 1644)

“Dopo aver esaminato la natura del movimento bisogna che ne consideria-mo la causa, e poiché essa può essere presa in due maniere, cominceremo dallaprima e più universale, che produce generalmente tutti i movimenti che sonoal mondo; considereremo in appresso l’altra la quale fa sì che ogni parte del-la materia acquisti movimenti che non aveva prima. Per quanto riguarda laprima mi sembra evidente che non ce n’è altra che Dio, che per sua onnipo-tenza ha creato la materia con il movimento e il riposo, e che conserva adessonell’universo, col suo concorso ordinario, tanto movimento o riposo quanto cen’ha messo creandolo.Poiché sebbene il movimento non sia che un mo-do nella materia che è mossa, essa ne ha pertanto una certa quantitàche non aumenta e non diminuisce mai, benché ce ne sia ora più eora meno in alcune delle sue parti. Ecco perché quando una partedella materia si muove due volte più presto di un’altra, e questa èdue volte maggiore della prima noi dobbiamo pensare che c’è tantomovimento nella più piccola che nella maggiore, e che tutte quante levolte il movimento di una parte diminuisce, quello di qualche altraparte aumenta in proporzione. Noi conosciamo anche che è una perfezionein Dio non solamente di essere immutabile nella sua natura, ma anche di agirein un modo che non cambia mai, tanto che, oltre i cambiamenti che vediamo nelmondo e quelli cui crediamo perché Dio li ha rivelati, e che sappiamo accadereo essere accaduti nella natura senza alcun cambiamento da parte del Creatore,non ne dobbiamo supporre altri nelle sue opere per paura di attribuirgli inco-stanza. Da cui segue che poiché egli ha mosso in molte maniere differenti leparti della materia, quando le ha create, e le mantiene tutte nella stessa manierae con le stesse leggi ch’egli ha potuto osservare loro nella creazione, conservaincessantemente in questa materia un’uguale quantità di movimen-to.”

Alla luce delle nostre conoscenze notiamo come la conservazione dellaquantità di moto secondo Descartes non fosse un concetto completa-mente errato, l’errore fatto dal grande scienziato fu quello di assolu-tizzare questa conservazione: sappiamo infatti al giorno d’oggi - e neabbiamo visto la dimostrazione in classe - come la quantità di moto siconservi, ma solamente in sistemi isolati.

• Il punto di vista di Leibniz:Leibniz comprese come nel ragionamento di Descartes ci fossero deglierrori dal punto di vista fisico-matematico. Egli dimostrò come nell’u-niverso la quantità che si conserva sempre sia un’altra quantità: mv2 (che assimilò ad mh). Seppur in modo non analitico, considerando sola-mente un esempio meccanico, possiamo trovare nelle righe di Leibnizl’idea moderna di conservazione dell’energia. Qui di seguito il branotratto dagli scritti di Leibnitz : (Leibniz, 1863)

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Quantità di moto ed urti

“Poiché molti matematici vedono nelle cinque macchine semplici che la ve-locità e la mole (massa) sono tra loro compensate, generalmente essi valutanola forza motrice tramite la quantità di moto, ossia tramite il prodotto dellamoltiplicazione del corpo per la sua velocità. Oppure, per parlare più geome-tricamente, essi affermano che le forze di due corpi (della stessa specie) che siurtano nel movimento e che agiscono parimente mediante la loro massa e ilmovimento sono in ragione composta dei corpi, o delle masse, e delle velocitàche hanno. E così poiché è conforme alla ragione che la stessa somma dellapotenza motrice è conservata in natura, e non è diminuita, in quanto vediamoche non è persa alcuna forza da un corpo che non sia trasferita in un altro;né aumentata perché ancora il moto perpetuo meccanico non avviene mai, peril fatto che nessuna macchina e di conseguenza neanche il mondo intero puòaumentare la sua forza senza un nuovo impulso esterno; da qui Cartesio, checonsiderava equivalente la forza motrice e la quantità di moto, ha affermato chela stessa quantità di moto è conservata da Dio nell’universo. Io, certamente,per mostrare quanto si trovi tra queste due, suppongo anzitutto che un corpo,cadendo da una certa altezza, acquista una forza fino a rialzarsi di nuovo, sela sua direzione così lo conduce né qualcosa d’esterno l’impedisce: per esempioun pendolo ritornerà precisamente all’altezza da cui è caduto, a meno che laresistenza dell’aria e altri impedimenti simili molto piccoli non assorbano unpo’ della sua forza, dai quali noi ora facciamo astrazione. Suppongo anche, insecondo luogo, che è necessaria una forza tanto grande per sollevare il corpo Adi una libbra fino all’altezza CD di quattro braccia di quella che è necessariaper sollevare il corpo B di quattro libbre fino all’altezza EF di un braccio. Tuttequeste cose sono ammesse ugualmente dai cartesiani e dagli altri filosofi e mate-matici dei nostri tempi. Segue da qui che il corpo A lasciato cadere dall’altezzaCD ha acquisito precisamente altrettanta forza del corpo B lasciato cadere dal-l’altezza EF. Infatti, il corpo A dopo esser stato lanciato da C arriva in D,e làesso possiede la forza di risollevarsi fino a C, per la prima ipotesi, ossia la forzadi sollevare un corpo di una libbra (vale a dire il proprio corpo) fino all’altezzadi quattro braccia. E parimenti dopo che il corpo B è pervenuto per la cadutada E in F, dove esso ha la forza di risalire fino ad E, per la prima ipotesi, ossiala forza di sollevare un corpo di quattro libbre (vale a dire il proprio corpo) finoall’altezza di un braccio. Pertanto, per la seconda ipotesi, la forza del corpo Ache si trova in D e la forza del corpo B che si trova in E sono uguali. Vediamoora se la quantità di moto è la stessa in entrambi i casi. In verità, il più gran-de disaccordo sarà trovato lì contro ogni speranza. Il che io mostro nel modoseguente. È stato dimostrato da Galileo che la velocità acquisita mediante lacaduta CD è il doppio della velocità acquisita mediante la caduta EF. Molti-plichiamo quindi il corpo A che è come 1 per la sua velocità che è come 2, ilprodotto o quantità di moto sarà come 2; moltiplichiamo di nuovo il corpo Bche è come 4 per la sua velocità che è come 1, il prodotto o quantità di moto saràcome 4.Pertanto la quantità di moto che è del corpo A che si trova in Dè la metà della quantità di moto che è del corpo B che si trova in F, etuttavia poco prima le forze sono state trovate uguali. E pertanto esi-ste una grande differenza tra la forza motrice e la quantità di moto, dital sorta che l’una non potrebbe essere calcolata tramite l’altra, comeabbiamo inteso dimostrare. Risulta da ciò come la forza dovrebbe esseremisurata dalla quantità dell’effetto che può produrre, per esempio dall’altezza

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a cui precisamente può sollevare un corpo di grandezza e specie date, non dicerto dalla velocità che può imprimere a un corpo. Infatti, non è necessaria unaforza doppia, ma una più grande per dare al corpo una velocità doppia. Nessu-no sicuramente si meraviglierà che nelle macchine semplici, la leva, l’asse dellaruota, la puleggia, il cuneo, la vite d’Archimede, e simili, c’è equilibrio quan-do la grandezza di un corpo è compensata dalla velocità dell’altro che nasceràsecondo la disposizione della macchina; o quando le grandezze (essendo datala stessa specie di corpi) stanno reciprocamente come le velocità; o quando lastessa quantità di moto si produrrà dall’uno o dall’altro. Infatti deriva ancorada qui che la quantità dell’effetto dovrebbe essere la stessa in entrambi i casi,ovvero l’altezza di discesa o di salita in un qualunque lato dell’equilibrio chetu desideri che il moto sia fatto. È quindi accidentale che la forza possa esseremisurata dalla quantità di moto. Di sicuro si danno altri casi, tale è quelloche abbiamo riportato qui dove esse non coincidono. D’altronde poiché nulla èpiù semplice della nostra dimostrazione, è sorprendente che non sia venuta inmente a Cartesio o ai cartesiani, uomini molto dotti. Ma di sicuro la troppaconfidenza nel suo spirito l’ha deviato dal cammino. Infatti Descartes, per ildifetto comune ai grandi uomini fu reso alla fine un po’ troppo importante.D’altra parte, temo che non pochi cartesiani comincino a imitare i peripateticidi cui si burlano, ed è perché hanno l’abitudine di consultare i libri del mae-stro anziché la retta ragione e la natura delle cose. Si deve dunque direche le forze sono in ragione composta dei corpi (della gravità stessao della solidità) e delle altezze che producono la velocità, vale a diredi quelle mediante le quali tali velocità potrebbero essere acquisitecadendo, o più generalmente (poiché talvolta nessuna velocità è stataancora prodotta) delle altezze sul punto di produrre: non in veritàgeneralmente delle velocità stesse, di qualche maniera che ciò sia plausi-bile in prima approssimazione e sia constatato dalla maggior parte, e da quinacquero molti errori che sono tangibili negli scritti matematico-meccanici deireverendi padri Honoré Fabri e Claude Dechales e anche in Giovanni AlfonsoBorelli e in altri, per il resto eminenti in questi studi. E penso anche che di-penda da ciò se recentemente la regola di Huygens sul centro di oscillazionedei pendoli, che è vera, è stata revocata in dubbio da alcuni dotti uomini.”

4.4 Urti

Uno dei fenomeni descrivibili in modo semplice con il teorema dell’im-pulso anziché la seconda legge della dinamica è sicuramente l’urto tra duepunti materiali, ovvero ciò che succede quando le traiettorie del moto didue punti materiali si incontrano in un dato istante di tempo. Sappiamoche due corpi non possono occupare un certo volume nello stesso istan-te e dunque qualcosa deve accadere: i punti materiali restano attaccatil’uno con l’altro, rimbalzano, cambiano le loro traiettorie,... sono certa-mente fenomeni con cui abbiamo avuto molte volte a che fare: il lancio didue palline l’una contro l’altra, il gioco del biliardo, uno scontro tra dueautomobili, il lancio di una pallina contro ad un muro,... È importantenotare come le forze interne al sistema dei punti materiali che si scontra-no sono sempre molto maggiori di tutte le forze esterne presenti (gravitàcompresa), per lo meno nell’intervallo di tempo molto piccolo in cui l’urto

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Quantità di moto ed urti

avviene; il sistema durante un urto è quindi sempre isolato, pertanto laquantità di moto totale di un sistema durante un urto si conserva sem-pre, se si considera un intervallo di tempo molto piccolo. Classificheremogli urti quindi non sulla base della conservazione o meno della quantitàdi moto, ma sulla base della conservazione o meno dell’energia cinetica:

• Urti elastici: in cui l’energia cinetica si conserva;

• Urti anelastici: in cui l’energia cinetica non si conserva;

• Urti completamente anelastici: urti anelastici in cui i due punti mate-riali restano uniti dopo l’urto stesso.

Consideriamo solo l’energia cinetica perché considerando il sistema isola-to (per lo meno in un piccolo intervallo di tempo attorno all’urto stesso)non sono presenti forze che giustifichino la presenza di energie poten-ziali. In generale quindi possiamo dire che un urto viene descritto dalleseguenti equazioni: {

~qi = ~q f

Ei = E f + ∆E(4.4.1)

dove ~qi è il vettore quantità di moto iniziale del sistema, ~q f è il vettorequantità di moto finale del sistema, Ei è l’energia cinetica iniziale del si-stema, E f è l’energia cinetica finale del sistema e ∆E l’eventuale energiapersa durante l’urto. Il caso più comune di urto anelastico è anche il piùcomplicato, da risolvere volta per volta affrontando il sistema (4.4.1). Con-sidereremo qui di seguito alcuni esempi semplici di urti in una o due di-mensioni, le cui soluzioni possono essere trovate in generale senza troppecomplicazioni matematiche.

4.4.1 Urti completamente anelastici in una, due o tre dimensioni

Figura 4.2: Urto completamenteanelastico

Gli urti completamente anelastici sono sicuramente gli urti più semplicida descrivere in termini matematici. Consideriamo due punti materialidi masse m1 ed m2, velocità ~v1 e ~v2 che si urtino tra loro in modo darestare poi attaccati l’uno all’altro: un particolare colpo di biliardo puòesemplificare bene questa situazione in due dimensioni, come mostrato infigura (4.2). Il sistema (4.4.1) diventa quindi{

m1~v1 + m2~v2 = (m1 + m2)~v f12 m1v2

1 +12 m2v2

2 = 12 (m1 + m2)v2

f + ∆E

{~v f = m1~v1+m2~v2

m1+m2

∆E = 12 m1v2

1 +12 m2v2

2 −12 (m1 + m2)v2

f

In generale possiamo quindi dire che, per un urto completamente anela-stico si ha: ~v f = ∑i mi~vi

∑i mi

∆E = 12 ∑i miv2

i −12 ∑i miv2

f(4.4.2)

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Quantità di moto ed urti

In un urto completamente anelastico quindi, date le masse ed i vettorivelocità iniziali, possiamo sempre trovare in modo piuttosto semplice (ap-plicando le relazioni descritte in (4.4.2) ) la velocità finale dell’insieme deipunti materiali e la perdita di energia cinetica.

4.4.2 Urti elastici in una dimensione

Gli urti elastici, o in generale urti in cui i punti materiali non rimangonoattaccati sono in generale più difficili da risolvere, se risolvere significapredire le velocità finali dei diversi punti materiali conoscendone le ve-locità iniziali, in quanto ci sono molte variabili incognite. Nel caso uni-dimensionale, in mancanza di ulteriori dati oltre alle masse e le velocitàiniziali, l’unico caso risolvibile analiticamente è il caso dell’urto tra duepunti materiali: possiamo pensare nuovamente ad un colpo di biliardo incui le due palline però si muovono nella stessa direzione, come in figura(4.3).

Figura 4.3: Urto elastico in unadimensione

Il sistema di equazioni da risolvere in questo caso sarà:{m1v1 + m2v2 = m1v′1 + m2v′212 m1v2

1 +12 m2v2

2 = 12 m1v

′21 + 1

2 m2v′22

dove v′ sono le velocità finali. Matematicamente il problema si riduce allarisoluzione di un sistema di due equazioni e due incognite di secondogrado, che possiamo risolvere come esercizio. Il risultato , scartate lesoluzioni non accettabili fisicamente, è dato da: v′1 = (m1−m2)v1+2m2v2

m1+m2

v′2 = (m2−m1)v2+2m1v1m1+m2

(4.4.3)

Nel caso degli urti elastici in una dimensione è interessante notare alcunicasi particolari, che si invita a studiare come esercizio:

• il caso di masse uguali m2 = m1 = m,

• il caso in cui la velocità iniziale di uno dei due punti materiali sia nulla,

• il caso in cui la velocità iniziale di uno dei due punti materiali sia nullae la sua massa sia enormemente più grande dell’altra (l’urto di unapallina contro ad un muro).

4.4.3 Urti elastici in due dimensioni

Il caso di urti elastici in due dimensioni, anche se coinvolgenti solo duepunti materiali non è sempre risolvibile conoscendo solo le due masse ele due velocità iniziali:{

m1~v1 + m2~v2 = m1~v′1 + m2~v′212 m1v2

1 +12 m2v2

2 = 12 m1v

′21 + 1

2 m2v′22

(4.4.4)

considerando infatti le componenti dei vettori questo sistema diventa unsistema di tre equazioni e quattro incognite. Esiste però un caso partico-lare su cui si può dire qualcosa : il caso in cui m1 = m2 = m e v2 = 0. In

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Quantità di moto ed urti

questo caso particolare infatti il sistema (4.4.4) diventa:

{~v1 = ~v′1 +~v′2v2

1 = v′21 + v

′22

(4.4.5)

Le due equazioni ci assicurano che i due vettori ~v′1 e ~v′2 debbano essereperpendicolari tra loro: infatti la prima equazione ci garantisce che i trevettori in questione formino un triangolo mentre la seconda è il teoremadi Pitagora sui lati del triangolo, applicabile come sappiamo solo nel casoin cui il triangolo sia rettangolo ed i cateti siano ~v′1 e ~v′2! Per risolvere ilproblema analiticamente trovando le due velocità serve senz’altro un’altrainformazione, ma per lo meno si può dire qualcosa sulla situazione finale.

4.5 Centro di massa e moto di sistemi di particelle

Come si può notare dal sistema generale di equazioni (4.4.1) i casi conpiù di due particelle possono essere molto complicati dal punto di vistamatematico, anche conoscendo alcuni parametri della situazione finale.In questo paragrafo studieremo il moto del centro di massa di un sistemadi particelle come sintesi dell’evoluzione del sistema stesso. In molti casicomplessi questo può essere utile per capire l’evoluzione del sistema oparte di esso, soprattutto quando è impossibile descrivere la traiettoriadopo l’urto di ogni singola particella che compone il sistema. Ricordiamoche il centro di massa di un sistema di particelle è definito come il puntoin cui possiamo pensare sia applicata la risultante delle forze peso di tuttele particelle, o dal punto di vista matematico la media, pesata sulle masse,delle posizioni di ogni singolo punto materiale:

~rcm =m1~r1 + m2~r2 + · · ·+ mn~rn

m1 + m2 + · · ·+ mn=

∑ni=1 mi~ri

∑ni=1 mi

=∑n

i=1 mi~ri

M(4.5.1)

dove il sistema ha n punti materiali ed M è la massa totale del siste-ma. L’equazione (4.5.1) può anche essere scritta secondo le componenticartesiane:

xcm = ∑n

i=1 mixiM

ycm = ∑ni=1 miyi

M

zcm = ∑ni=1 mizi

M

(4.5.2)

Ora, immaginando che questi punti materiali si stiano muovendo, ognunocon una certa velocità, andiamo a calcolare qual è la velocità media del

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Quantità di moto ed urti

centro di massa tra due istanti di tempo t1 e t2:

~vcm =~rcm(t2)−~rcm(t1)

t2 − t1

=∑n

i=1 mi~ri(t2)M − ∑n

i=1 mi~ri(t1)M

t2 − t1

=∑n

i=1 mi~ri(t2)−∑ni=1 mi~ri(t1)

M(t2 − t1)

=∑n

i=1(mi~ri(t2)−mi~ri(t2))

M(t2 − t1)

=∑n

i=1 mi ~∆ri

M(t2 − t1)

=∑n

i=1 mi~∆ri

(t2−t1)

M

=∑n

i=1 mivi

M

Ovvero per le velocità medie, e quindi anche per quelle istantanee va-le il fatto che la velocità del centro di massa è la media, pesata con lemasse, delle velocità di tutte le singole particelle componenti il sistema.Analogamente possiamo anche concludere che

~acm =∑n

i=1 mi~ai

M

Riusciamo quindi a definire la cinematica del centro di massa a partiredalla cinematica dei punti materiali componenti il sistema:

~rcm =∑n

i=1 mi~ri

M

~vcm =∑n

i=1 mi~vi

M

~acm =∑n

i=1 mi~ai

M

(4.5.3)

(4.5.4)

(4.5.5)

(4.5.6)

In particolare possiamo riscrivere la seconda equazione (4.5.4) nel seguen-te modo:

~qcm = M~vcm =n

∑i=1

mi~vi = ~qi (4.5.7)

e la terza (4.5.5) come:

M~acm =n

∑i=1

mi~ai = ~R, (4.5.8)

con ~qi la quantità di moto iniziale del sistema e ~R la risultante di tuttele forze agenti sul sistema. Possiamo quindi concludere che per il centrodi massa valgono le stesse leggi della cinematica e della dinamica cheabbiamo visto fin’ora per un sistema con un punto materiale soltanto:il centro di massa è un punto che riassume in sé tutta la fisica di unsistema di particelle.

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Quantità di moto ed urti

Primo principio della dinamica e conservazione della quantità di moto In unsistema di particelle isolato la quantità di moto del centro di massa siconserva, esso è quindi in equilibrio ovvero persiste nel suo stato di quieteo di moto rettilineo uniforme!

Secondo principio della dinamica e teorema dell’impulso La risultante delleforze agenti sul sistema è uguale alla massa totale del sistema moltiplicataper il vettore accelerazione del centro di massa ovvero la forza risultanteche agisce sul sistema è causa della variazione di quantità di moto delcentro di massa del sistema!

In altre parole, non importa quanti e quali urti facciano tra loro le parti-celle componenti il sistema, il centro di massa continuerà fare il suo moto,in equilibrio se il sistema è isolato, secondo le leggi del moto derivantidalle forze agenti se il sistema non è isolato. Gli esempi e le applicazio-ni di questa analisi sono molte e molto utilizzate: possiamo pensare adesempio di voler descrivere il moto del centro di massa di un fuoco d’arti-ficio (che continua il suo moto parabolico indipendentemente dal numerodi frammenti in cui si spezza - i frammenti anzi sono vincolati a spostarsifacendo in modo che il centro di massa continui il moto parabolico) o ladescrizione degli urti tra particelle della fisica nucleare e la conseguentecinematica delle particelle dopo l’urto all’interno dei grandi acceleratoridi particelle nel mondo. Dopo le analisi fatte in questo paragrafo, il siste-ma di riferimento del centro di massa di un sistema di particelle diventaun luogo privilegiato da cui descrivere un sistema di punti materiali.

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Quantità di moto ed urti

4.6 Esercizi

1. Un giocatore di tennis imprime una forza media Fm = 50 N su di una pallina (m = 57 g) che arrivaalla racchetta con una velocità vi = 70 km/h. Supponendo che l’impatto tra racchetta e pallina duri0,1 secondi, quale sarebbe la velocità della pallina dopo il colpo se non ci fosse deformazione dellapallina durante l’urto?

[v f = 245, 8 km/h]

2. Si calcoli la forza media che un pugile deve imprimere ad un sacco da 30 kg affinché esso si muovacon una velocità v = 2 m/s, supponendo che l’impatto tra guanto e sacco duri 0,3 secondi.

[Fm = 200 N]

3. Si calcoli la variazione di quantità di moto di un sistema su cui agisce una forza media esterna esternaFm = 500 N per un decimo di minuto.

[∆q = 3000 kg m/s]

4. Un calciatore in grado di imprimere una forza massima F = 500 N ad una palla di massa m = 200 gvuole far raggiungere alla palla una velocità v = 120 km/h. Quanto deve durare l’impatto tra piede epallone?

[∆t = 0, 01 s]

5. Un battitore di baseball riesce a colpire la palla lanciata dall’avversario. Supponendo che la palla dimassa m = 100 g sia arrivata in orizzontale con una velocità vi = 30 m/s, che l’impatto con la mazzaduri ∆t = 5 ms e che dopo l’impatto la pallina abbia una velocità v f = 50 m/s e formi un angoloα = 30 rispetto l’orizzontale, qual è l’intensità della forza applicata dal battitore alla pallina?

[F = 1549 N]

6. Un carrello di massa M = 50 kg si sta muovendo orizzontalmente alla velocità costante v = 30 km/h.Quale sarà la velocità finale del carrello se da esso cade verticalmente un sacchetto di massa m = 5 kg?

[v f = 9, 3 m/s]

7. Se dallo stesso carrello del problema (6) viene lanciata una palla da 1 kg in direzione opposta allamarcia del carrello con velocità vp = 20 km/h, quale sarà la velocità finale del carrello?

[v f = 8, 6 m/s]

8. Se dallo stesso carrello del problema (6) viene lanciata una palla da 1 kg nella stessa direzione dellamarcia del carrello con velocità vp = 20 km/h, quale sarà la velocità finale del carrello?

[v f = 8, 4 m/s]

9. Antonio (A) lancia una palla, calciandola da terra con una velocità iniziale v0 = 10 m/s con un angolorispetto l’orizzontale α = π/3 rad, a Barbara (B) che si trova seduta su un carrello ad una altezza20 cm da terra. Se la massa della palla è m = 200 g e la massa complessiva di carretto e Barbara èM = 100 kg, si calcoli la velocità finale del carrello.

[v f = 10−2 m/s]

10. Un fuoco d’artificio di massa m viene lanciato in verticale. Nel punto più alto della sua traiettoriail fuoco scoppia in 2 pezzi, il primo di massa m/3, il secondo di massa 2m/3. Si descriva il moto di

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Quantità di moto ed urti

ogni singolo pezzo del fuoco d’artificio dopo lo scoppio, se il pezzo di massa minore appena dopo loscoppio ha una velocità v1 = 5 m/s.

[Ogni pezzo fa un moto parabolico con velocità iniziale orizzontale, il primo con v1 = 5 m/s, ilsecondo con v2 = 2, 5 m/s]

11. Una cinquecento (m = 680 kg) tampona un camion (M = 5000 kg) alla velocità v = 60 km/h. Sup-ponendo un urto completamente anelastico tra i due veicoli quale sarà la velocità finale del sistemacinquecento/camion?

[v f = 7 km/h]

12. Si calcoli la variazione di energia cinetica del sistema nell’esercizio precedente.

[∆Ec = −83700 J]

13. Un placcaggio di rugby può essere considerato (se va a buon fine) come un urto completamenteanelastico. Si calcoli il modulo della velocità dei due giocatori appena dopo l’impatto se il primo(m1 = 100 kg) si stava muovendo con una velocità v1 = 10 m/s formante un angolo α = π/3 rad conla direzione della velocità secondo (m2 = 90 kg, v2 = 8 m/s).

[v f = 7, 9 m/s]

14. Un urto completamente anelastico è caratterizzato da una perdita di energia cinetica ∆Ec = 100 J. Sel’urto è avvenuto tra due corpi di ugual massa, uno dei due inizialmente fermo e l’altro con quantitàdi moto iniziale q1 = 50 kg m/s, quanto vale la velocità finale del sistema?

[v f = 4 m/s]

15. Due corpi di masse m1 = 5 kg e m2 = 10 kg si stanno muovendo con velocità di intensità v1 = 10m/s e v2 = 8 m/s. Per quale angolo tra le due velocità si ha la massima dispersione di energia cineticadurante l’urto? Ed in tal caso quanto vale questa dispersione?

[α = π rad, ∆Ec = −540 J]

16. Rispetto all’esercizio (7) si calcoli l’angolo per la dispersione minima di energia ed il valore di taledispersione.

[α = 0 rad, ∆Ec = −2, 3 J]

17. Due masse m1 = 10 kg ed m2 = 20 kg urtano in modo completamente anelastico avendo velocitàiniziali v1 = 5 m/s e v2 = 2, 5 m/s. Se la velocità finale del sistema ha modulo v f = 1 m/s quale eral’angolo tra le velocità ~v1 e ~v2?

[α = 2, 5 rad]

18. Due palline di pongo fanno tra loro un urto completamente anelastico, la prima viene lanciata fron-talmente contro la seconda con una velocità v1 = 5 m/s. Si misura come velocità finale delle duepalline v f = 2 m/s. Se le due palline hanno la medesima massa m = 250 g, qual è la velocità v2 dellaseconda pallina?

[v2 = 1 m/s]

19. Due palline da biliardo, entrambe di massa m = 200 g si scontrano facendo un urto elastico. Suppo-nendo che la prima si scontri con la seconda, inizialmente ferma, ad una velocità v1 = 3 m/s qual è lavelocità finale di ciascuna pallina?

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Quantità di moto ed urti

[v1 f = 0 m/s; v2 f = 3 m/s]

20. Si risolva il problema (19) supponendo che m1 = 200 g ed m2 = 250 g.

[v1 f = −0, 3 m/s; v2 f = 2, 7 m/s, con segno positivo dato dal verso iniziale di v1]

21. Si risolva il problema (20) supponendo che la seconda pallina abbia una velocità iniziale v2 = 2 m/snella stessa direzione di ~v1 ma con verso opposto.

[v1 f = −2, 6 m/s; v2 f = 2, 4 m/s, con segno positivo dato dal verso iniziale di v1]

22. Tre palline (m1 = 2m2 = 4m3 = 250 g) sono disposte come in figura (4.4). Si trovino le velocità finalidelle tre palline supponendo che tutti gli urti siano elastici.

Figura 4.4: .

[v1 f = 3, 3 m/s; v2 f = 4, 4 m/s; v3 f = 17, 7 m/s]

23. Data la situazione in figura (4.5) si calcolino le velocità finali delle palline 1 e 2, assumendo tra loroun urto elastico:

Figura 4.5: .

[v1 f = −6 m/s; v2 f = 4 m/s, con segno positivo dato dal verso iniziale di v1]

24. Data la situazione in figura (4.6) si trovi la distanza dal tavolino a cui cadono le due palline 1 e 2,assumendo un urto elastico tra le due palline:

[d1 = 0, 25 m; d2 = 1, 15 m]

25. Una pallina viene lasciata cadere su un piano inclinato (α = π/3 rad rispetto l’orizzontale) senzaattrito da un’altezza h = 2 m. Supponendo che l’urto tra la pallina e il pavimento orizzontale una

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Quantità di moto ed urti

Figura 4.6: .

volta arrivata in fondo al piano inclinato sia elastico, si calcoli a quale distanza dalla base del piano lapallina toccherà terra di nuovo.

[d = 3, 5 m]

26. Si risolva il problema (25) ipotizzando un urto anelastico nel quale la pallina perde il 40% della suaenergia.

[d = 2, 1 m]

27. Due palle da biliardo m1 = 2 kg ed m2 = 5 kg di velocità iniziali v1 = 5 m/s e v2 = 8 m/s di versoopposto si scontrano frontalmente. Quali sono le velocità finali se l’urto è anelastico e la perdita dienergia ammonta al 30% dell’energia iniziale?

[v1 f = 1, 6 m/s; v2 f = 11 m/s]

28. Una pallina viene sparata contro un bersaglio collegato ad una molla, come in figura (4.7). Si calcolila velocità iniziale del proiettile se la massima compressione della molla è di ∆ = 4 cm. Si consideril’urto tra pallina e molla come completamente anelastico.

Figura 4.7: .

[vp = 253 m/s]

29. Si risolva l’esercizio (28) nell’ipotesi in cui l’urto tra pallina e molla sia elastico.

[vp = 125 m/s]

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Quantità di moto ed urti

30. Si risolva l’esercizio (28) nell’ipotesi in cui l’urto tra pallina e molla sia anelastico con una perdita dienergia del 20% rispetto l’energia iniziale.

[vp = 132 m/s]

31. Dato il doppio pendolo il figura (4.8) si calcoli l’altezza (distanza minima dal soffitto) raggiunta dallapallina m se l’urto tra le due palline è da considerarsi elastico.

Figura 4.8: .

[hm = 0, 3 m]

32. Si risponda alla domanda dell’esercizio (31) nel caso in cui l’urto tra le palline sia completamenteanelastico.

[hm = 1, 2 m]

33. Una massa M = 2 kg è appesa verticalmente ad una molla di costante elastica k = 1000 N/m. Unafreccetta (m = 50 g) viene lanciata verticalmente dal basso verso la massa. Supponendo che la freccettaabbia una velocità v f = 3 m/s un istante prima di colpire la massa si calcoli la massima compressione(rispetto alla sua posizione di riposo) della molla dopo l’urto, da considerarsi completamente anela-stico.

[∆ = 18 mm]

34. Si consideri la situazione dell’esercizio (31) con il seguente cambiamento: la pallina m2 sia appog-giata sul piano senza essere collegata al filo del pendolo. Si assuma il coefficiente d’attrito tra pallinae pavimento k = 0, 2. Supponendo che l’urto tra le due palline sia un urto anelastico con energiadispersa pari a ∆E = 10 J, si calcoli il lavoro fatto dalla forza d’attrito per fermare la pallina m2. Sicalcoli inoltre in quanto tempo la pallina si ferma e quanto spazio percorre prima di fermarsi.

[t = 2, 2 s; s = 4, 7 m; L = 23 J]

35. Find the final speed of an electron, which moves at ve = 5000 m/s, after an elastic collision with astandstill proton. Find also the final speed of the proton.

[ve = −4994 m/s; vp = 6 m/s]

36. Find the average strength that causes a change of momentum of a system ∆q = 50 kg m/s acting onit for ∆t = 20 s.

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Quantità di moto ed urti

[Fm = 2, 5 N]

37. A block of mass m1 is initially at rest on a frictionless horizontal surface. A bullet of mass m2 is firedat the block with a speed v. The bullet sticks in the block, and the block ends up with a speed V.What is the momentum of the bullet with speed v (in terms of m1, m2, and V) ?

[q = (m1 + m2)V]

38. Consider two cars (m1 = 600 kg and m2 = 1200 kg) crashing at a intersection between the two streetsthey were travelling. The two streets are perpendicular and the two speeds are v1 = 40 m/s andv2 = 10 m/s. Find the final velocity of the cars if the crash can be approximated as a completelyinelastic collision.

[v f = 14, 9 m/s with and angle α = 0, 46 rad with respect to car 1]

39. Calculate the momentum of a rhino (m = 3500 kg) charging a hunter at a speed of 9 m/s. Comparethe rhino’s momentum with the momentum of a tranquilizer dart (m = 0, 2 g) fired at a speed v = 500m/s. What is the loss of kinetic energy of the rhino just after the collision if the hunter hits him withthe tranquilizer dart?

[qr = 31500 kg m/s; qd = 0, 1 kg m/s; ∆Ec = 3 J]

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5 Momento angolare e moto rotatorio

Nel corso del biennio abbiamo imparato che un sistema è un equilibriose la risultante delle forze agenti sul sistema è nulla (equilibrio di trasla-zione) e se la risultante di tutti i momenti delle forze agenti sul sistemaè nulla (equilibrio rotazionale). Abbiamo poi studiato approfonditamen-te la dinamica dei punti materiali fuori dall’equilibrio, con le tre leggi diNewton, ma non abbiamo mai studiato cosa succede ad un corpo rigidonel momento in cui la somma dei momenti delle forze sia diversa da zero.L’argomento centrale di questo capitolo è proprio lo studio di corpi rigidifuori equilibrio, quando cioè ruotano di moto non uniforme.

I moti rotatori di un corpo rigido, che ricordiamo è un corpo non sog-getto a deformazioni in cui cioè le mutue distanze tra i punti che locompongono restano invariate nel tempo, possono essere molto com-plessi da descrivere sia in termini fisici che matematici. Per questo noici limiteremo a descrivere in modo analitico solamente il caso in cui larotazione del corpo avvenga lungo un certo asse fissato1: specificheremo 1 Possiamo immaginare di stu-

diare un sistema con asse di ro-tazione fissato oppure un siste-ma con asse di rotazione varia-bile in un intervallo di tempotalmente piccolo che la variazio-ne dell’asse non è significativaper la nostra analisi.

di volta in volta i concetti che valgono in generale e quelli che valgonosolamente rispetto alla nostra situazione di studio.

Fu Eulero con uno dei suoi più importanti libri uno dei primi scien-

Basilea, 1707 - San Pietroburgo,1783

(Euler, 1765)

ziati a descrivere in modo analitico ed esauriente la dinamica dei corpirigidi, in particolare con riferimento al momento d’inerzia. Nell’operatroviamo tanto le definizioni di corpo rigido, momento d’inerzia e motorotatorio, quanto tutti i calcoli per descrivere al meglio il fenomeno. Eu-lero certamente fu una delle menti matematiche e fisiche più importantied influenti della storia della scienza, scrisse moltissimo e molte delle sueintuizioni furono di fondamentale importanza per lo sviluppo successivodi matematica e fisica.

5.1 Momento d’inerzia

Quando abbiamo studiato un sistema fuori dall’equilibrio di traslazioneabbiamo osservato che l’effetto dell’applicazione di una forza su un pun-to materiale è l’accelerazione, ovvero il moto rettilineo non uniforme delpunto materiale stesso; analogamente ci aspettiamo che l’effetto dell’ap-plicazione di un momento di una forza su un corpo rigido sia un motorotatorio non uniforme del sistema, ovvero il presentarsi di un’accelera-zione angolare. Se questo è vero, ci aspettiamo di trovare un’equazione

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Momento angolare e moto rotatorio

del tipo:

~M = I~α (5.1.1)

dove ~M è la risultante dei momenti di forza applicati al sistema, α l’ac-celerazione angolare ed I una certa costante di proporzionalità tra le duegrandezze. La costante di proporzionalità è chiamata momento d’iner-zia, si misura in kg·m2 e fa le veci della massa inerziale nella dinamicalineare: è l’inerzia rotazionale del corpo, ciò che si oppone alla variazionedi stato di moto rotatorio del corpo quando soggetto a momenti di forza.Facciamo notare qui che la relazione (5.1.1) ha senso nel momento in cuila rotazione avviene attorno ad un asse fissato, come vedremo in segui-to il momento d’inerzia può essere calcolato e dipende dalla geometriadell’oggetto ma anche dall’asse di rotazione dell’oggetto stesso: cambian-do l’asse di rotazione I non è più costante e l’equazione data deve esseremodificata. Nei prossimi paragrafi cercheremo di darci ragione dell’equa-zione (5.1.1) assumendo sempre rotazioni attorno ad un asse fissato in casivia via più complessi.

5.1.1 Rotazione di un punto materiale

Immaginiamo un punto materiale in rotazione attorno ad un asse fissosotto l’effetto di una forza costante ~F diretta lungo la direzione della ve-locità tangenziale ~v, come descritto in figura (5.1). Possiamo immaginareche il punto materiale sia una persona seduta sul bordo di un tagadà 2 2 giostra meccanica presente in

molti parchi dei divertimen-ti composta da un disco chepuò ruotare attorno al suo cen-tro, anche attorno ad assi nonperpendicolari al terreno

nel momento in cui la giostra inizia a girare sotto l’effetto di una coppiadi forze costante, ancora senza inclinazione rispetto al suolo.

Figura 5.1: Rotazione acceleratadi un punto materiale

Evidentemente la forza ~F genera un momento ~M =~r× ~F perpendico-lare al piano su cui ruota il punto materiale, ma anche un’accelerazionetangenziale, che non modifica la distanza dal centro O del punto, ma au-menta la velocità tangenziale e quindi quella angolare del punto di massam: v(t) = ω(t)r. Proviamo quindi a studiare la meccanica del sistema:

• Il modulo del momento della forza è ottenibile secondo la formula M =

rF, essendo la forza sempre perpendicolare al raggio,

• La forza è sempre tangente alla traiettoria, contribuisce quindi ad unaaccelerazione tangenziale secondo il principio della dinamica F = mat,

• Essendo la forza costante anche l’accelerazione è costante e dunquel’accelerazione tangenziale media è sempre uguale all’accelerazione tan-genziale istantanea, per cui possiamo scrivere:

at =∆v∆t

=∆(ωr)

∆t=

ω(t2)r−ω(t1)rt2 − t1

= rω(t2)−ω(t1)

t2 − t1= r

∆ω

∆t= rα

Mettendo assieme tutte queste considerazioni possiamo quindi scrivere:

M = rF

= rmat

= r2mα

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 88

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Momento angolare e moto rotatorio

Il che conferma il fatto che il momento della forza sia direttamente pro-porzionale all’accelerazione angolare; ma non solo, questo ragionamen-to ci fornisce anche l’espressione del momento d’inerzia per un puntomateriale che ruoti lungo una circonferenza:

I = mr2 (5.1.2)

Questa equazione, pur nella sua semplicità, dà molte informazioni sul-la natura del momento d’inerzia: questa grandezza fisica è connessa allamassa ed al modo in cui la massa è distribuita attorno al centro di rotazio-ne del sistema, più la massa è concentrata attorno al centro e meno inerziarotazionale ha il sistema, viceversa più la massa è distante dal centro dirotazione del sistema e più inerzia rotazionale ha il sistema. Pur studian-do un fenomeno molto semplice ed idealizzato possiamo già cominciarea capire ad esempio come mai per riuscire a completare le evoluzioni inaria i pattinatori od i tuffatori si rannicchiano attorno all’asse della lororotazione.

5.1.2 Rotazione di un sistema di punti materiali

Se immaginiamo di complicare la situazione ed avere una serie di n pun-ti materiali tutti ruotanti attorno allo stesso asse possiamo riproporre lostesso ragionamento del paragrafo precedente e giungere alla conclusioneche il momento d’inerzia del sistema così fatto è dato da:

I =n

∑i=1

mir2i (5.1.3)

Vediamo di nuovo quindi come nel determinare l’inerzia di un sistemanon conti solamente la massa di ogni singolo elemento del sistema maanche la sua distribuzione rispetto l’asse di rotazione. Questo passaggioda punto materiale a sistema di punti materiali che ruotano tutti attornoad uno stesso asse fisso non è particolarmente significativo dal punto divista della sua concretezza, ma è importante per poter definire il momentod’inerzia di un corpo rigido che ruota attorno ad un certo asse fissato.

5.1.3 Rotazione di un corpo rigido

Consideriamo ora un corpo rigido che ruota attorno ad un asse fisso, comead esempio una trottola che ruota in verticale o un pallone da pallacane-stro sul dito di un cestista particolarmente abile, schematizzato come infigura (5.2).

Figura 5.2: Corpo rigido cheruota attorno ad un asse fisso

In questo caso possiamo pensare di suddividere il corpo rigido in moltepiccole parti di massa dm, ognuna delle quali contribuirà al momentod’inerzia per dm r2 se r è la distanza di questo elemento di massa dall’assedi rotazione. Per sommare poi ogni piccolo contributo dovremo fare unasomma particolare, che in matematica è data da un certo tipo di integrale(materia di studio dell’ultimo anno di corso di matematica) e che si scrive:

I =∫

dm r2 (5.1.4)

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 89

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Momento angolare e moto rotatorio

Evidentemente questo momento d’inerzia ancora dipende da come lamassa è distribuita attorno all’asse di rotazione. Noi al momento nonsiamo in grado di calcolare questo tipo di momenti d’inerzia, per cui fare-mo riferimento a tabelle, facilmente reperibili sul web, in cui sono riportatii valori di alcuni momenti d’inerzia fissata la geometria del corpo rigidoe l’asse di rotazione passante per il centro di massa del corpo rigido. Peresempio il momento d’inerzia di una sfera omogenea di massa m e rag-gio r che ruota attorno ad un asse passante per il suo centro è 2/5 mr2;se la sfera è invece cava con spessore del guscio trascurabile, il momentod’inerzia diventa 2/3 mr2; il momento d’inerzia di un cilindro pieno abase circolare, di massa m e raggio r qualsiasi sia la sua altezza, rispettoad un asse passante per il centro della circonferenza di base e paralleloall’altezza è mr2/2. In ogni caso si può sempre notare come il momentod’inerzia aumenti man mano che la distribuzione di massa si concentralontano dall’asse di rotazione del corpo rigido, diminuisca man mano chela massa si concentra intorno all’asse. Nei casi in cui l’asse di rotazionenon sia passante per il centro di massa del corpo rigido ma sia paralleload un asse passante per il centro di massa si ricorre al Teorema di Steiner.

Teorema di Steiner Il momento d’inerzia di un corpo rigido ruotante at-torno ad un asse fisso parallelo ad un asse passante per il centro di massacm del corpo rigido stesso è dato dalla relazione

I = Icm + md2 (5.1.5)

Dove Icm è il momento d’inerzia rispetto all’asse passante per il centro dimassa, m la massa del corpo e d la distanza tra i due assi. Ad esempio ilmomento d’inerzia di una barra sottile di massa m e lunghezza L rispettoad un asse passante per il suo centro e perpendicolare alla barra stessa è1/12 mL2, se invece l’asse è perpendicolare alla barra ma passante per unsuo estremo esso diventa 1/3 mL2 = 1/12 mL2 + m(L/2)2.

5.2 Momento angolare

I moti rotatori che riusciamo a descrivere in modo analitico al momentosono dunque solamente quelli con asse di rotazione fisso. Quando l’assedi rotazione non è fissato esiste comunque una relazione tra i momentidelle forze e le accelerazioni angolari, la complicazione matematica chenoi non affronteremo è che la costante di proporzionalità non è un nume-ro: il momento d’inerzia dipende dall’asse di rotazione e formalmente èrappresentato non da un numero ma da un tensore, oggetto matematicodi cui non ci occupiamo.

Possiamo però descrivere in modo generale la rotazione di un corporigido introducendo una nuova grandezza, il momento angolare. Questagrandezza fisica si definisce, per un punto materiale in movimento, nelseguente modo:

~L =~r×~q (5.2.1)

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 90

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Momento angolare e moto rotatorio

dove ~L è appunto il momento angolare, ~q la quantità di moto ed ~r ilraggio vettore che collega il centro rispetto a cui vogliamo calcolare ilmomento angolare e la posizione del punto materiale. Parlando di unpunto materiale che ruota rispetto ad un centro, come nell’esempio (5.1)~r sarà lo stesso vettore rispetto a cui si calcola il momento della forza.Sviluppando l’espressione (5.2.1) con i parametri dell’esempio si ottiene laseguente relazione tra momento angolare e momento d’inerzia del puntomateriale:

~L = I~ω (5.2.2)

Anche in questo caso l’espressione, con gli opportuni ragionamenti ana-loghi a quelli fatti nel paragrafo precedente, è valida solamente per unpunto materiale, un sistema di punti o un corpo rigido che ruotino attor-no ad un asse fissato. Per arrivare ad una relazione tra la causa del nonequilibrio di rotazione ( ~M) e questa nuova grandezza dobbiamo conside-rare la definizione di momento di forza, di momento angolare e il teoremadell’impulso (4.1.1)3: 3 In particolare il passaggio ~r ×

∆~q = ∆(~r × ~q) è giustificatodalla proprietà distributiva delprodotto vettoriale rispetto allasomma e divisione

~M = ~r× ~F

= r× ∆~q∆t

=r× ∆~q

∆t

=∆(~r×~q)

∆t

=∆~L∆t

Con ragionamenti analoghi a quelli fatti in precedenza possiamo conclu-dere che la relazione

~M =∆~L∆t

(5.2.3)

è valida per qualsiasi corpo rigido su cui stia agendo un momento delleforze risultante ~M. Questa espressione è indipendente dal fatto che la ro-tazione avvenga rispetto ad un asse fisso, vale in generale: l’applicazionedi un momento di forza su un corpo rigido è dunque causa di una varia-zione di momento angolare. L’espressione (5.2.3) si riferisce al momen-to medio applicato nell’intervallo di tempo ∆t, se volessimo considerareinvece il momento istantaneo troveremmo la relazione:

~M =d~Ldt

(5.2.4)

che giustificheremo matematicamente quando nel corso di matematicaverranno affrontate le derivate.

5.3 Teorema di conservazione del momento angolare

Abbiamo ormai iniziato a capire che un legge formalmente come la (5.2.4),in cui l’effetto di una certa causa è la variazione di una grandezza fisica,

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 91

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Momento angolare e moto rotatorio

prelude ad una legge di conservazione: se la causa è assente infatti non viè variazione dell’effetto e dunque la grandezza in questione si conserva.Arriviamo così ad un nuovo teorema di conservazione.

In un sistema in cui la risultante dei momenti di forza è nulla ilmomento angolare totale del sistema si conserva:

~M =~0⇐⇒ d~Ldt

=~0⇐⇒ ~L =~k (5.3.1)

Aggiungiamo quindi la conservazione del momento angolare alle conside-razioni ed all’elenco fatto precedentemente (4.2). L’importanza e l’effettodella conservazione del momento angolare può essere testata da ognunodi noi in casa, a patto di possedere una sedia girevole: sedendosi sullasedia girevole ed iniziando a ruotare sulla sedia possiamo notare comeallargare le braccia faccia frenare la rotazione, mentre stringerle a noi lafacciamo accelerare4; dopo aver provato questo esperimento fatto in casa 4 naturalmente trascuriamo gli

effetti del momento della for-za peso sulle braccia e ci scon-triamo con l’attrito che fa co-munque rallentare la rotazio-ne: per effettuare al megliol’esperimento dovremmo esse-re nel vuoto con una sedieperfettamente oliata...

e verificato che in effetti accade proprio ciò che abbiamo descritto, si pro-vi a spiegare questo effetto sulla base della conservazione del momentoangolare e dalle definizioni date precedentemente.

5.4 Dinamica rotazionale

Studiare la dinamica rotazionale significa capire quanto lavoro fanno leforze esterne quando vengono applicate ad un corpo rigido, e come que-sto lavoro sia legato alla variazione di energia cinetica che chiameremorotazionale del sistema. Per far questo ci riferiremo sempre ad un puntomateriale che ruota lungo una circonferenza di raggio fissato sotto l’effet-to di una forza di modulo costante F sempre tangente alla traiettoria delpunto; generalizzeremo poi i risultati ottenuti ad un qualsiasi corpo rigidoomettendo i ragionamenti ed i passaggi matematici che abbiamo accenna-to nei paragrafi precedenti e che non siamo ancora in grado di effettuareformalmente. Per i passaggi matematici ci riferiremo quindi sempre allafigura (5.3).

Figura 5.3: Punto materiale inrotazione accelerata

5.4.1 Lavoro dei momenti delle forze

Consideriamo la situazione descritta in precedenza e cerchiamo di calco-lare il lavoro fatto dalla forza ~F in un certo intervallo di tempo. Per far ciòdobbiamo considerare un pezzo di traiettoria curvilinea s talmente piccoloda essere confondibile con la corda~s =~r(t2)−~r(t1); con questa approssi-mazione possiamo affermare che la forza ~F è parallela al vettore~s, vettorespostamento che coincide con lo spazio percorso nell’intervallo di tempo(t2 − t1) ed anche che s = rθ, θ l’angolo spazzato dal punto materiale.Possiamo quindi giustificare i seguenti passaggi:

L = ~F ·~s= Fs

= Frθ

= Mθ

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Momento angolare e moto rotatorio

Pur avendo schematizzato la situazione possiamo dire che il lavoro fattoda un momento torcente costante su un qualsiasi corpo rigido è dato dalprodotto tra il modulo del momento per l’angolo spazzato dal corpo ri-gido attorno all’asse di rotazione, che resta fisso nell’ipotesi di momentotorcente costante:

L = Mθ (5.4.1)

Naturalmente possiamo calcolare anche la potenza sviluppata dal mo-mento torcente dividendo il lavoro fatto per l’intervallo di tempo ottenen-do

P = Mω, (5.4.2)

dove ω è la velocità angolare media del corpo rigido nell’intervallo ditempo (t2 − t1), o istantanea nell’approssimazione in cui l’intervallo ditempo sia molto piccolo rispetto a tutto il moto considerato.

5.4.2 Energia cinetica rotazionale

Evidentemente se la risultante dei momenti torcenti agenti su un sistemafa lavoro secondo la formula (5.4.1) il sistema, secondo la definizione dienergia introdotta nel primo capitolo, acquisterà energia cinetica in quan-tità uguale al lavoro fatto dalla risultante dei momenti (trascurando tuttigli attriti agenti sul sistema). Per capire come è fatta questa energia ci-netica rotazionale, dovuta cioè al lavoro dei momenti torcenti, dobbiamoricordare la cinematica del moto circolare uniformemente accelerato:

θ(t) =12

α(t− ti)2 + ωi(t− ti) + θi

ω(t) = α(t− ti) + ωi

con α l’accelerazione angolare del sistema. Nel corso dei calcoli che segui-ranno è utile la seguente relazione che esprime la velocità angolare mediain funzione della velocità angolare finale e quella iniziale nel caso di unmoto circolare uniformemente accelerato:

ωm =θ f − θi

∆t

=12 α(∆t)2 + ωi∆t + θi − θi

∆t

=12

α∆t + ωi

=α∆t + 2ωi

2

=α∆t + ωi + ωi

2

=ω f + ωi

2

A questo punto basta notare come un corpo rigido sotto l’effetto di unmomento torcente costante il sistema compie un moto circolare unifor-memente accelerato caratterizzato dalle relazioni appena viste e seguire il

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Momento angolare e moto rotatorio

seguente calcolo:

L = Mθ

=∆L∆t

∆θ

=Iω f − Iωi

∆t∆θ

= (Iω f − Iωi)∆θ

∆t= (Iω f − Iωi)ωm

= (Iω f − Iωi)ω f + ωi

2

= I(ω f −ωi)(ω f + ωi)

2

= Iω2

f −ω2i

2

=Iω2

f

2−

Iω2i

2

che evidenzia come il lavoro dei momenti torcenti dipenda solamente dal-le velocità angolari iniziali e finali. Questa espressione dice dunque laquantità di energia cinetica guadagnata dal sistema quando partendo dauna velocità angolare ωi raggiunge una velocità angolare ω f sotto l’effettodel momento torcente costante di modulo M. L’espressione dell’energiacinetica rotazionale è dunque:

Ec =12

Iω2 (5.4.3)

5.4.3 Moti di un corpo rigido

Cerchiamo ora di riassumere i possibili movimenti di un corpo rigido allaluce di tutte le cose studiate fino ad ora. Considereremo come caso distudio un disco omogeneo, concretizzabile per esempio con una ruota dibicicletta o di un’automobile o di una motocicletta. Le considerazioni cheseguono possono poi essere applicate ad un generico corpo rigido.

5.4.3.1 Traslazione pura

Figura 5.4: Traslazione pura

Il moto più semplice che possiamo immaginare e che abbiamo già intro-dotto nel corso del primo biennio di corso è il moto di traslazione pura,ovvero il moto per cui ogni elemento del corpo rigido si muove con la stes-sa velocità (sia essa costante o variabile). In questo caso, illustrato in figura(5.4), il centro di massa del disco si muove con la stessa velocità di ognipunto del corpo: possiamo pensare ad esempio ad una ruota che poggiasu un piano completamente privo di attrito e viene spinta orizzontalmenteall’altezza del centro del disco stesso. Dal punto di vista energetico inquesto caso la ruota di massa m ha un’energia cinetica dovuta solo dallacomponente di traslazione e data dall’espressione:

Ec =12

mv2

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Momento angolare e moto rotatorio

5.4.3.2 Rotazione pura

In questo capitolo abbiamo introdotto un modo per descrivere la rotazio-ne di un corpo rigido dal punto di vista della sua dinamica. Il moto dirotazione più semplice per un corpo rigido è chiamato rotazione pura edè la rotazione attorno ad un fulcro, senza considerare l’attrito sul fulcrostesso. Immaginiamo per esempio di far ruotare la ruota di una biciclettasollevandola da terra. In figura (5.5) è descritto il moto del disco quandola rotazione avviene attorno al centro di massa: il centro di massa restafermo, mentre tutti i punti del disco hanno la stessa velocità angolare (co-stante o variabile che sia). La velocità tangenziale di ogni punto materialedel disco è quindi sempre tangente alla circonferenza di centro il centrodi massa e raggio la distanza tra centro e posizione del punto materialestesso: a parità di distanza dal centro il modulo della velocità tangenzialeè sempre la stessa.

Figura 5.5: Rotazione pura

Dal punto di vista energetico in questo caso la ruota ha un’energia ci-netica dovuta solo dalla componente di rotazione e data dall’espressione:

Ec =12

Iω2

con I il momento d’inerzia del disco ed ω la velocità angolare di ognipunto del disco stesso.

5.4.3.3 Rotolamento puro

Il moto di rotolamento puro è la combinazione dei due moti visti in pre-cedenza, possiamo immaginarlo come il moto della ruota di una biciclettaquando è completamente assente lo scivolamento della ruota sul terre-no: il punto di contatto tra ruota e terreno è sempre in quiete. La figu-ra (5.6) illustra la situazione della velocità di alcuni punti della ruota: èsemplicemente la somma vettoriale delle velocità dei due casi precedenti.

Figura 5.6: Puro rotolamento

Dal punto di vista energetico in questo caso la ruota ha un’energiacinetica dovuta sia alla componente di traslazione che a quella di rotazionee data quindi dall’espressione:

Ec =12

mv2cm +

12

Iω2

5.5 Parallelismo tra dinamica traslatoria e rotatoria

In questo capitolo abbiamo studiato la dinamica rotatoria dei corpi rigi-di ed abbiamo potuto notare come ci siano moltissime analogia formalie concettuali tra la dinamica rotatoria e quella traslatoria già studiata inprecedenza. La tabella (5.1) le riassume ed evidenzia, i diversi simbolisono gli stessi utilizzati in precedenza pertanto non necessitano ulteriorispiegazioni. È invece importate riflettere sulla portata di tale osservazio-ne: sembra proprio vero che l’Universo sia scritto in termini matematici !!! (Galilei, 1623)

Ed è interessante e sconvolgente da certi punti di vista come leggi fisichedescrivono concetti analoghi siano descritte allo stesso modo in terminimatematici: ad esempio la relazione causa effetto e la definizione di iner-zia trovano in ~F = m~a e ~M = I~α, due equazioni che differiscono solo per

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il nome dato alle variabili, la loro espressione matematica o l’espressionedel teorema di conservazione di grandezze fisiche diverse tra loro ha lastessa forma matematica. Questo fa davvero pensare al mistero della ca-pacità della matematica nel descrivere la natura ed all’estrema armonia esimmetria presente nelle leggi che regolano il nostro universo.

Moti traslatori Moti rotatori

~s θ

~v ~ω

~a ~α = d~ωdt

~F ~M

m I~F = m~a ~M = Iα

~q = m~v ~L = I~ω

~F = d~qdt

~M = d~Ldt

~F =~0⇒ ~q =~k ~M =~0⇒ ~L =~k

L = ~F ·~s L = Mθ

P = ~F ·~v P = Mω

Ec =12 mv2 Ec =

12 Iω2

Tabella 5.1: Parallelismo tra lequantità della dinamica trasla-toria e quelle della dinamicarotatoria

5.6 Equazioni cardinali della dinamica

Sappiamo che ai fisici piace molto la sintesi e l’idea di descrivere il mag-gior numero di fenomeni naturali con il minor numero di equazioni è unpunto fisso per le comunità scientifiche in tutta la storia della fisica; con-cludiamo quindi il capitolo mettendo in evidenza le due equazioni piùimportanti tra quelle viste, quelle che mettono in relazione le cause dellavariazione delle quantità che in assenza di queste cause resterebbero co-stanti, che chiamiamo equazioni cardinali della dinamica poichè a partireda queste possiamo definire i teoremi di conservazione e ricostruire tuttala dinamica vista fin’ora:

~F =d~qdt

~M =d~Ldt

(5.6.1)

(5.6.2)

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Momento angolare e moto rotatorio

5.7 Esercizi

1. Si calcoli il momento angolare della terra nel suo moto di rivoluzione attorno al sole.

[L = 2, 6× 1040 kg m2/s]

2. Si calcoli il momento angolare della terra nel suo moto di rotazione; si approssimi la terra ad unasfera rotante attorno ad un suo diametro.

[L = 7× 1027 kg m2/s]

3. Si calcoli il momento angolare di un disco 33 giri, nell’ipotesi che la sua massa sia m = 180 g.

[L = 7× 10−3 kg m2/s]

4. Un motore è in grado di erogare una coppia di intensità 200 Nm per un massimo di 3,5 secondi. Diquanto varia il momento angolare dell’albero cui il motore è collegato?

[∆L = 700 kg m2/s]

5. Un disco di massa m = 5 kg e raggio R = 30 cm inizia a ruotare attorno al suo asse. In 10 secondipassa da una velocità angolare ωi = 3 rad/s ad una velocità angolare ω f = 6 rad/s. Qual è l’intensitàdel momento torcente che ha causato questa accelerazione?

[M = 0, 07 Nm]

6. Un disco di massa m = 10 kg e raggio R = 50 cm sta ruotando alla frequenza ν = 2 Hz. Si ferma pereffetto delle forze d’attrito in 4 secondi. Qual è l’intensità del momento torcente applicato dalle forzed’attrito sul disco?

[M = 3, 9 Nm]

7. Un giocatore di pallacanestro fa ruotare la palla su un dito finché la palla gira ad una frequenza su-periore a ν = 30 Hz. Supponendo che inizi a far girare la palla con una velocità angolare ωi = 250rad/s, e che l’attrito agisca sulla palla con un momento torcente di modulo M = 5 Nm, per quantotempo riuscirà il giocatore a far ruotare la palla sul suo dito? Si supponga la palla una sfera (piena)perfetta di massa M = 600 g e raggio R = 24 cm.

[∆t = 0, 17 s]

8. Che momento torcente deve applicare un ragazzo per far ruotare le sue due bolas (m = 200 g l’una)facendo raggiungere loro una velocità ω = 4 rad/s in 15 secondi? Si supponga che le bolas siano sfereperfette che si trovano alle estremità di un cordino lungo 1,2 m, fatto ruotare tenendone il centro inmano.

[M = 0, 04 Nm]

9. Uno scienziato vuole conoscere il momento d’inerzia di uno strano oggetto, rispetto almeno uno deisuoi assi di simmetria. Ha l’idea di iniziare a farlo ruotare attorno all’asse prescelto, per riuscire nelsuo intento. Rispetto la rotazione osservata riesce a misurare: il momento torcente applicato, M = 40Nm, la durata dell’esperimento ∆t = 10 s, la frequenza finale ν = 3 Hz (l’oggetto partiva da fermo)Quale sarà la sua conclusione sul momento d’inerzia dell’oggetto?

[I = 21 kg m2/s2]

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10. Una sbarra omogenea di lunghezza l = 2 m e massa m = 800 g si trova appesa in posizione verticale.Un ragazzo inizia a farla ruotare attorno al punto in cui è appesa applicando un momento torcentecostante M = 40 Nm per un tempo t = 2 s. Quale sarà la velocità angolare raggiunta dalla sbarra?

[ω = 75 rad/s]

11. Un disco di ghiaccio omogeneo (r = 20 cm, m = 200 g) sta ruotando ad una velocità angolareωi = 10 rad/s. Per effetto degli attriti il disco inizia a sciogliersi e perdere massa. Supponendo chesciogliendosi sia sempre approssimabile ad un disco omogeneo dello stesso raggio, si calcoli la massadel disco quando il disco raddoppia la sua velocità angolare.

[m = 100 g]

12. Un tuffatore per aumentare la sua velocità angolare e riuscire a fare il tuffo previsto dal suo numerosi piega su se stesso dimezzando la distanza massima del suo corpo da centro di rotazione. Se lasua massima velocità angolare raggiunta prima di piegarsi è ω1 = 2 rad/s, quale sarà la sua velocitàangolare dopo il piegamento?

[ω f = 8 rad/s]

13. Un giocoliere sta facendo ruotare sopra la sua testa una pallina legata all’estremità di una cordalunga l = 80 cm, di massa m = 500 g e raggio trascurabile, alla frequenza ν = 20 Hz. Per aumentare lavelocità angolare della pallina fino a ω f = 200 rad/s senza applicare momento torcente cosa deve fare?

[ridurre la lunghezza della corda fino ad un valore l f = 63 cm]

14. Una freccetta di massa m = 25 g che si muove con la velocità v f = 50 m/s si conficca tangenzialmen-te sul bordo di un disco fermo di massa M = 500 g e raggio R = 20 cm. Si trovi la velocità angolarefinale del sistema disco/freccetta.

[ω f = 22, 7 rad/s]

15. Un cilindro vuoto di massa m = 500 g sta ruotando attorno al suo asse con una velocità angolareωi = 10 rad/s. Il cilindro viene riempito di un certo materiale ad un ritmo di 20 grammi al secondo.Dopo quanto tempo la velocità angolare raggiungerà il valore ω f = 3 rad/s? Si supponga che l’ope-razione di riempimento del cilindro avvenga senza imprimere un momento torcente al sistema.

[t = 58 s]

16. Si risolva l’esercizio (14) nel caso in cui il disco non sia inizialmente fermo ma stia ruotando, converso concorde alla velocità della freccetta, con una velocità angolare ωi = 0, 5 rad/s.

[ω f = 0, 52 rad/s]

17. Si risolva l’esercizio (14) nel caso in cui il disco non sia inizialmente fermo ma stia ruotando, converso opposto alla velocità della freccetta, con una velocità angolare ωi = 0, 5 rad/s.

[ω f = 0, 47 rad/s]

18. La figura (5.7) mostra dall’alto una palla di pongo (m = 200 g) che sta per colpire una porta ini-zialmente ferma (di lunghezza totale L = 50 cm e massa M = 5 kg). Nell’ipotesi che la palla restiattaccata alla porta dopo l’urto, si calcoli la velocità angolare finale del sistema palla/porta.

[ω f = 4, 6 rad/s]

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 99

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Momento angolare e moto rotatorio

Figura 5.7: .

19. Come cambia in percentuale la velocità angolare di un tagadà (M = 2000 kg) se le 10 persone (m = 60kg) a bordo si spostano dal bordo (R = 3 m) al centro della giostra?

[aumenta del 60%]

20. Un cilindro di massa M = 1 kg e e volume V = 5 l sta ruotando attorno al suo asse pieno di unamassa m = 2 kg d’acqua ad una velocità angolare ω = 3 rad/s. Ad un certo punto si apre un foro sulfondo del cilindro e l’acqua inizia ad uscire al ritmo di r = 0, 2 kg/s. Quale sarà la velocità angolareω1 del cilindro dopo un tempo t = 5 s? Quale sarà la velocità angolare ω2 del cilindro quando tuttal’acqua è fuoriuscita dal foro?

[ω1 = 4, 5 rad/s; ω2 = 9 rad/s]

21. Quanto lavoro fa il motore di un’auto di momento d’inerzia I = 1500 kgm2 che fornisce una coppiaM = 200 Nm per 12 secondi?

[L = 1920 J]

22. Quanto lavoro fa il motore di un’auto di momento d’inerzia I = 1500 kgm2 che fornisce una coppiaM = 200 Nm per raggiungere la velocità angolare finale ω f = 5 rad/s?

[L = 18750 J]

23. Su un volano di momento d’inerzia I = 200 kgm2 agisce una coppia di forze costante che fa unlavoro L = 300000 J. Qual è la frequenza iniziale νi del volano se la frequenza raggiunta è ν f = 50 Hz?

[νi = 49, 2 Hz]

24. Quanto lavoro devono fare gli attriti per fermare la rotazione di un cilindro di massa M = 30 kg eraggio R = 50 cm che ruota attorno al suo asse con velocità angolare ω = 1, 5 rad/s?

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 100

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Momento angolare e moto rotatorio

[L = 8, 4 J]

25. Una pallina sferica di massa m = 200 g e raggio r = 20 cm viene lanciata in orizzontale compiendoun lavoro L = 1900 J. Supponendo che non ci siano attriti qual è la sua velocità angolare, prima chel’effetto della gravità diventi non trascurabile, se la sua velocità è v = 100 m/s?

[ω = 750 rad/s]

26. Si calcoli l’energia totale di un asta sottile (M = 200 kg, l = 30 cm) che sta ruotando alla frequenzaν = 50 Hz attorno ad uno dei suoi estremi senza traslare.

[E = 296 kJ]

27. Si calcoli l’energia totale di un cilindro (M = 2 kg, R = 20 cm) che, facendo un moto di puro rotola-mento, percorre 3 metri in 2 secondi.

[E = 3, 4 J]

28. Si risolva il problema (30) nel caso in cui a muoversi sia una sfera della stessa massa e dello stessoraggio del cilindro. Si commenti il risultato.

[E = 3, 2 J]

29. Si calcoli la variazione di energia nel processo fisico descritto dal problema (18).

[∆E = −59, 3 J]

30. Un cilindro (M = 5 kg, R = 30 cm) viene lasciato scivolare lungo un piano inclinato (α = π/6 rad)da un’altezza h = 3 m. Quale sarà la sua velocità angolare nel momento in cui raggiunge il fondo delpiano inclinato? Si supponga un moto di rotolamento puro per il cilindro.

[ω = 21 rad/s]

31. Si risolva il problema (30) nel caso in cui a cadere sia una sfera della stessa massa e dello stessoraggio del cilindro. Si commenti il risultato.

[ω = 22 rad/s]

32. Un’asta sottile omogenea di massa m = 2 kg e lunga l = 1, 2 m si trova in posizione verticale quandoviene leggermente spostata dalla posizione di equilibrio instabile in cui si trovava. Si calcoli la velocitàdel suo punto estremo (il più alto nel momento in cui si trova in posizione di equilibrio) un attimoprima di toccare terra. Come cambia il risultato se la massa dell’asta dovesse raddoppiare?

[v = 3 m/s; il risultato non dipende dalla massa dell’asta]

33. Quanto lavoro devono fare le forze d’attrito per fermare un disco di massa m = 10 kg che sta roto-lando con un moto di puro rotolamento di velocità vcm = 15 m/s?

[L = 1687, 5 J]

34. Qual è la massima altezza raggiunta da un’asta sottile di massa m = 200 g e lunghezza l = 30 cmlanciata verso l’alto con velocità vcm = 5 m/s e frequenza di rotazione attorno al suo centro di massaν = 3 Hz, nell’ipotesi che non agiscano attriti sul sistema e che nel punto più alto l’asta non ruoti.

[h = 1, 4 m]

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Momento angolare e moto rotatorio

35. Un giocatore di golf colpisce la pallina con una forza media Fm = 200 N per un intervallo di tempo∆t = 20 ms. Calcola la massima altezza raggiunta dalla pallina se la pallina può essere approssimatacon una sfera di raggio r = 5 cm e massa m = 100 g, la velocità iniziale della pallina forma un angoloα = 60 con l’orizzontale e la velocità angolare sia data nell’ipotesi che la pallina qualche istante dopo illancio inizi a ruotare con una velocità angolare come se la pallina facesse un moto di puro rotolamentoin aria senza variare la velocità del centro di massa e lo mantenga poi costante.

[h = 28, 6 m]

36. Find the angular momentum of the moon in its revolution around the earth.

[L = 2, 9× 1034 kg m2/s]

37. Find the angular momentum of the moon in its rotation. Approximates the moon to a sphere rotatingaround its diameter.

[L = 2, 9× 1024 kg m2/s]

38. Find the mass of a wheel (R = 40 cm) that is accelerating from ω1 = 0 rad/s to ω2 = 5 rad/s in 25

seconds under the action of a torque M = 20 Nm.

[m = 1250 kg]

39. Find the total mechanical energy of the earth in its revolution around the sun and in its rotationaround its diameter.

[ET = 1, 5× 1053 J]

40. A rope is wrapped around a cylinder (M = 125 kg, R = 50 cm), with a fixed frictionless axis. Theother end of the rope is tied to a block (M = 10 kg). What is the angular acceleration ac of the cylin-der? What is the linear acceleration ab of the block? Assume that the rope does not slip on the cylinder.

[ac = 2, 7 rad/s2, ab = 1, 4 m/s2]

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6 Gravitazione universale

Nel 1687, nel suo libro Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, lo stes-so in cui enunciò le tre leggi della dinamica, Newton enunciò la legge digravitazione universale. Parlando di forza gravitazionale e legge di gravi-tazione universale non possiamo non accennare al ruolo che ebbe questalegge nella storia della fisica e nell’evoluzione dalla cosmologia aristote-lica alla cosmologia moderna.

La legge di Newton si pone come la formalizzazione matematica dellarivoluzione Copernicana, i cui protagonisti furono tra gli altri Coperni-co1, Ticho Brahe2, Keplero3, Galileo e Newton, che sostituì alla 1 Torun, 1473 - Frombork, 1543

2 Castello di Knutstorp, 1546 -Praga, 1601

3 Weil der Stadt, 1571 - Ratisbo-na, 1630

visione di Aristotele4 e Tolomeo5 di un universo geocentrico la visio-

4 Stagira, 384-83 a.C. - Calcide,322 a.C5 Pelusio, 100 - 175

ne moderna di un universo in cui la terra non è altro che un pianeta diuna stella come molte altre, il sole. La teoria Newtoniana fu considerata lacorretta descrizione dell’universo per più di 200 anni, quando Einsteinformulò la relatività ristretta prima, nel 1905, e la relatività generale poi,nel 1916, teorie che misero le basi per una nuova concezione dell’universoe la cosmologia come studiata al giorno d’oggi.

Anche per il nostro corso questa teoria riveste un’importanza parti-colare: rappresenta infatti la prima teoria fisica, come intesa da metodosperimentale studiato al primo anno, che affrontiamo; per la prima voltametteremo assieme le nozioni di cinematica e dinamica studiate fin qui perdescrivere un fenomeno naturale di primissima importanza nell’universocome la gravitazione.

Figura 6.1: Prima legge di Ke-plero: S è il sole, P uno qualsiasidei suoi pianeti.

6.1 Le leggi di Keplero

Keplero analizzo ed interpretò i dati raccolti da Tycho Brahe in due librinei quali sono contenute le famose tre leggi di Keplero 6.

6 (Kepler, 1609, 1619)Queste leggi nate da un’attentissima analisi di una mole enorme di dati

e rilette con la convinzione che l’universo debba rispondere ad un’esigen-za di armonia dei corpi celesti sono state tra le premesse fondamentali perla teoria Newtoniana della gravitazione, come vedremo in seguito.

6.1.1 La prima legge di Keplero

La prima legge di Keplero asserisce che, come descritto dalla figura (6.1)ogni pianeta del sistema solare compie un’orbita ellittica in cui il sole è uno deidue fuochi.

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Gravitazione universale

Pianeta Eccentricità dell’orbita

Mercurio 0,205

Venere 0,007

Terra 0,017

Marte 0,094

Giove 0,049

Saturno 0,057

Urano 0,046

Nettuno 0,011

Tabella 6.1: Eccentricità delleorbite ellittiche dei pianetidel sistema solare; fontedei dati NASA/NSSDChttp://nssdc.gsfc.nasa.gov/

planetary/factsheet/

6.1.2 La seconda legge di Keplero

Le seconda legge di Keplero asserisce che ogni pianeta del sistema solarenella sua orbita spazza aree uguali in tempi uguali. Come illustrato anche infigura (6.2) questa legge ha diretta conseguenza sulle velocità dei pianetinelle diverse parti dell’orbita: essi avranno velocità minore nelle aree piùlontane dal sole, velocità maggiori nelle aree più vicine ad esso; il punto divelocità massima, quello dell’orbita più vicino al sole si chiama perielio,quello di velocità minima e massima distanza dal sole afelio

Figura 6.2: Seconda legge di Ke-plero: S è il sole, P uno qualsiasidei suoi pianeti.

6.1.3 La terza legge di Keplero

La terza legge di Keplero asserisce che per ogni pianeta del sistema solareresta costante il rapporto tra il quadrato del suo periodo di rotazione attorno alsole e il cubo del semiasse maggiore dell’orbita:

T2

a3 = k (6.1.1)

6.2 La legge di gravitazione universale

Riportiamo qui una giustificazione matematica della legge che Newtonpropose come sintesi di tutte le osservazioni ed i ragionamenti fatti dagliscienziati vissuti dalla metà del 1400 in poi: cercheremo di comprendereil motivo della forma che la forza gravitazionale assume. Il grande meritodi Newton fu quello di riuscire a dimostrare matematicamente quello chealcuni astronomi avevano intuito, assieme al coraggio di ipotizzare che iltipo di forza che fa cadere un oggetto da un tavolo sulla terra sia la stessache fa ruotare la luna attorno al nostro pianeta o un pianeta attorno allasua stella: la legge di gravitazione universale che segue è l’esempio di unadelle generalizzazioni fisico-matematiche più importanti della storia dellascienza.

Dalla tabella (6.1) possiamo notare come le eccentricità dei pianeti delsistema solare siano tutte molto piccole: possiamo quindi pensare chel’approssimazione delle orbite ellittiche dei pianeti con orbite circolaripossa essere una buona approssimazione. L’ipotesi fatta ci aiuta dal pun-

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Gravitazione universale

to di vista matematico nel trovare l’espressione della forza di gravitazioneuniversale, ma non ne modifica la forma; ragioneremo in seguito sullaforma delle traiettorie di corpi sotto l’effetto della forza gravitazionale.Faremo quindi riferimento alla figura (6.3) per i calcoli che seguono.

Figura 6.3: S è il sole men-tre P uno qualunque dei piane-ti del suo sistema, nell’approssi-mazione di orbita circolare. ~FSPè la forza che il sole applica sulpianeta, mentre ~FPS è la forzache il pianeta applica sul sole.

La forza che il sole applica sul pianeta, per la seconda legge di New-ton deve essere uguale alla massa del pianeta mP moltiplicata per la suaaccelerazione:

~FSP = mP~aP (6.2.1)

Ipotizzando il moto del pianeta circolare uniforme di raggio R e periodoT7 si ha aP = v2

P/R = 4π2R/T2, che porta ad una forza di attrazione

7 Nella nostra esperienza possia-mo dire che la terra compie ungiro attorno al sole sempre nel-lo stesso tempo, che definiamoessere un anno solare.

centripeta

FSP = mp4π2R

T2 . (6.2.2)

Fino a questo punto la dinamica descritta non ha nulla a che vedere con lagravitazione od il sistema solare, è semplicemente la dinamica di un corpoche si muove di moto circolare uniforme; inserendo però nell’equazione(6.2.2) la terza legge di Keplero (6.1.1) si ottiene

FSP =4π2

kS

mP

R2 , (6.2.3)

dove kS è la costante che caratterizza tutti i pianeti che ruotano attorno alsole. Notiamo che la forza con cui il sole attrae un pianeta è direttamenteproporzionale alla massa del pianeta stesso ed inversamente proporzio-nale al quadrato della distanza tra pianeta e sole. L’equazione (6.2.3) èdunque valida come legge di gravitazione per tutti i pianeti che compio-no un moto di rivoluzione attorno alla stella che chiamiamo sole; l’ideache evidenziò tutta la genialità di Newton fu quella di ipotizzare che lanatura di questa forza fosse la stessa per tutte le masse, ovvero ipotizzareche prese comunque due masse m1 ed m2 esse si attraggano con una forzadiretta lungo la congiungente le due masse con un’intensità direttamenteproporzionale alle masse ed inversamente proporzionale al quadrato del-la loro distanza.

Per capire come può essere fatta questa forza torniamo alla descrizionedel sistema sole-pianeta: se il sole applica una forza ~FSP sul pianeta, si-gnifica che per il terzo principio della dinamica il pianeta deve applicaresul sole una forza uguale e contraria ~FSP = −~FPS. Se immaginiamo didescrivere il sistema da un riferimento solidale con il pianeta possiamoimmaginare che la forza di cui risente il sole sia del tipo

FPS =4π2

kP

mSR2 , (6.2.4)

dove kP ora è la costante della terza legge di Keplero per un sistemache ruota attorno al pianeta P. Già in questo ragionamento vediamo lageneralizzazione che necessaria per poter costruire una teoria universaledella gravitazione, le leggi di Keplero sono leggi osservative valide in li-nea di principio solamente per il sistema in cui i pianeti ruotano attorno

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Gravitazione universale

al sole, noi stiamo immaginando che siano valide per qualsiasi sistemagravitazionale. Vale dunque:

~FSP = −~FPS

4π2

kP

mS

R2 =4π2

kS

mP

R2

mSkP

=mPkS

mSkS = mPkP

possiamo quindi definire una costante più generale k = mSkS = mPkP dapoter inserire nelle formule (6.2.3) e (6.2.4), ottenendo:

FSP =4π2

kmSmP

R2

FPS =4π2

kmSmP

R2 .

L’intuizione di Newton fu quella di assumere 4π2/k come costante uni-versale, la costante di gravitazione universale G e dire che due massequalsiasi m1 ed m2 si attraggono con una forza del tipo:

~F = Gm1m2

r2 r (6.2.5)

La costante di gravitazione universale fu calcolata per la prima voltada Henry Cavendish (Nizza, 1731 - Londra, 1810) con l’utilizzo di unabilancia a torsione (Cavendish, 1798), ed al giorno d’oggi si assume essere

G = 6, 67 · 10−11 Nm2

kg2 (6.2.6)

6.3 Il concetto di campo

Parlando di forza gravitazionale ci troviamo per la prima volta di fronteal concetto di campo in fisica. Questo concetto è di fondamentale impor-tanza per il ruolo che ha nell’impostazione di tutta la fisica moderna, eper questo cercheremo di darne una semplice spiegazione in queste righe.Il concetto di campo nasce in fisica per dare una spiegazione plausibi-le ad un fatto provato ma di difficile spiegazione: esistono delle forze adistanza, ovvero che agiscono senza bisogno di contatto, di un mediato-re che faccia imprimere la forza da un corpo ad un altro. Una forza dicontatto è semplice da comprendere: studiando il fenomeno del calcio dipunizione di un calciatore ad esempio, è facile capire come il giocatoreriesca ad imprimere una certa forza sul pallone: colpendola tramite il pie-de e lo scarpino! Ma se lasciamo cadere una penna dalla mano, come fala terra a ”comunicare” alla penna di dirigersi verso il centro della terracon una ben definita accelerazione ~g? Nella storia della scienza, fino aglistudi di Newton sulla gravitazione, tutti gli scienziati ed i filosofi eranofermamente convinti che una forza dovesse necessariamente essere forzadi contatto; con la formalizzazione della legge di gravitazione universale

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Gravitazione universale

invece si ebbe la prima teorizzazione di una forza a distanza: questo fattofu difficilmente digerito dalla comunità scientifica e trovò completa solu-zione solo con la formalizzazione del concetto di campo di forza dopo glistudi sull’elettromagnetismo alla fine del XIX secolo. Per capire di checosa si tratta torniamo all’esempio precedente: come fa la penna a ”sa-pere” come muoversi verso la terra? L’idea fondamentale è che la terra,per il solo fatto di esistere, modifica lo spazio nel suo intorno, in mododa far percepire a tutte le masse circostanti la sua presenza; in che modo?Tramite il campo gravitazionale. La modifica dello spazio da parte di unamassa può essere descritta dalla figura (6.4).

Figura 6.4: Nella figura è raffigu-rato in basso lo spazio senza mas-se: un piano, un’infinita distesapiatta; immaginando di posizionar-si in questa distesa tutti i punti so-no equivalenti: non vi è differen-za alcuna nel posizionarsi in unoqualsiasi dei punti del piano. Nel-la figura in alto invece è raffigura-to lo spazio modificato da una mas-sa; non c’è più un piano, lo spa-zio non è più uguale a se stessoin ogni punto: posizionarsi in unpunto non equivale a posizionarsiin un qualsiasi altro, la massa hamodificato lo spazio intorno a sé!

Modificando lo spazio intorno a se di fatto la massa sta lasciando delleinformazioni sul tipo di forza (per questo campo di forze) di cui risentiràun’altra massa nel caso in cui dovesse posizionarsi in una certa posizione:~F = m~g, dove ~F è la forza, m la massa “di prova” (l’ipotetica massa chesi trova nelle vicinanze della massa “sorgente”, che genera il campo) e~g il campo. In questo modo è facile capire come si risolve, per lo menoda un punto di vista concettuale, il problema della forza a distanza: il“mediatore” della forza, ciò che permette alla forza di essere impressa daun corpo ad un altro, è il campo stesso. Il campo è dunque un vettoreche in ogni punto dello spazio circostante la sorgente dà l’informazionesul tipo di forza (modulo, direzione e verso) di cui risentirà una massacollocandosi in quel punto dello spazio. Ogni qual volta ci si trova inpresenza di una forza a distanza si definisce il relativo campo che funzionasempre nello stesso modo, dando l’informazione di forza ad ogni puntodello spazio, come descritto in figura(6.5); ciò che cambia da caso a casosono le sorgenti della forza: nel caso gravitazionale sono le masse, nelcaso elettrico (che non abbiamo ancora studiato) sono le cariche, e cosìvia. Dal punto di vista matematico un campo di forze è una funzione che

Figura 6.5: Con ~C è indicato uncampo generico, generato da unacerta proprietà della materia, iden-tificata con p (massa, carica,...). Lafigura mostra l’effetto generale diun campo di forza: esso dà l’in-formazione di forza per ogni cor-po dotato della proprietà p. Il vet-tore campo dipende dal punto del-lo spazio in cui si trova, per cuil’informazione è relativa alla forzadi cui risentirebbe un corpo in queldeterminato punto dello spazio.

associa ad un vettore tridimensionale (la posizione nello spazio (x,y,z)) unvettore tridimensionale (il campo stesso). Abbiamo definito un campo diforze, in quanto si tratta in fisica di una quantità di importanza moltorilevante, ma in modo analogo si possono definire campi di velocità, diaccelerazione, o di qualsiasi quantità vettoriale di interesse. Nella fisicamoderna il concetto di campo assume un ruolo fondamentale, in quantodal punto di vista concettuale un campo di forza porta con sé tutte le

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informazioni legate alla forza a prescindere dal soggetto che “subisce” laforza stessa: a differenza della fisica classica e del percorso che abbiamoseguito, per cui prima si studia la forza e poi si ricava il campo relativo,in fisica moderna ogni qual volta si voglia studiare un interazione se nestudia prima il campo ed in seguito si focalizza sulla forza che esso genera.

6.3.1 Linee di campo

Spesso rappresentare un campo vettoriale può essere complesso e pocochiaro: i vettori si accavallano e non si capisce l’andamento reale del cam-po. Per questo motivo si utilizza una convenzione assodata nel tempo perrappresentare i campi di forza in fisica: le linee di campo. Le linee dicampo sono delle linee che vengono tracciate nel piano o nello spazio conlo scopo di rappresentare graficamente l’andamento del campo. Esistonodelle semplici regole per disegnarle:

1. Le linee di campo sono fatte in modo tale che il campo sia sempretangente ad esse;

2. La densità di linee di campo è direttamente proporzionale all’intensitàdel campo;

3. Le linee di campo sono orientate secondo l’orientazione del campostesso.

In figura(6.6) vediamo un chiaro esempio di linee di campo: le linee dicampo gravitazionale generate da una massa M.

Figura 6.6: Linee di campo gra-vitazionale generate da una massam

6.4 Il campo gravitazionale

Nel caso gravitazionale dunque, unendo la legge di gravitazione uni-versale con la (6.5) otteniamo la seguente espressione per il campo, chechiameremo ~g:

~g = Gmr2 r (6.4.1)

Notiamo come le unità di misura del campo gravitazionale siano N/kgovvero m/s2, il campo gravitazione è un’accelerazione, come possiamodedurre anche dal confronto tra la relazione generale (6.5) e la secondalegge della dinamica. Una delle applicazioni per noi più interessanti del-l’equazione (6.4.1) è la sua applicazione alla terra: proviamo a calcolarequanto vale il campo gravitazionale terrestre e quanto cambia ad esempiopassando dal livello del mare alla cima del monte Everest (h=8848m):

~g(r = RT) = GMT

R2T

r = 6, 67 · 10−11 5, 97 · 1024

(6, 37 · 106)2 r = 9, 81r (6.4.2)

~g(r = RE) = GMT

(RT + h)2 r = 6, 67 · 10−11 5, 97 · 1024

(6, 37 · 106 + 8, 848 · 103)2 r = 9, 78r

(6.4.3)

Nel calcolo non abbiamo riportato le unità di misura per non appesantirela notazione, resta vera l’osservazione fatta precedentemente per cui l’uni-tà di misura del campo gravitazionale è quella di un’accelerazione. Come

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possiamo notare l’affermazione che abbiamo sempre utilizzato fin’ora l’ac-celerazione di gravità vale 9,81 m/s2 su tutta la superficie terrestre è senz’altrouna buona approssimazione anche considerando la legge di gravitazioneuniversale di Newton, il valore del campo varia dal livello del mare allacima del monte più alto della terra solamente dello 0,3%: per la maggiorparte dei fenomeni naturali che osserviamo quotidianamente od esperi-menti che possiamo immaginare di compiere in un laboratorio terrestre gè considerabile costante!

6.5 L’energia potenziale gravitazionale

Quando un fisico si trova di fronte ad una nuova forza una delle primedomande che sorgono nella sua mente è: la forza che sto considerando è con-servativa? Posso trovare un’espressione per la sua energia potenziale? Vedremoin queste righe come la forza gravitazionale è una forza conservativa edaremo l’espressione dell’energia potenziale gravitazionale. A differen-za dei casi di forze studiate durante lo scorso anno e riprese anche nelcapitolo (2) la forza gravitazionale ha un’espressione matematica tale percui non siamo ancora i grado di affrontare la dimostrazione completa del-l’espressione che scriveremo: daremo qui una giustificazione, speriamoragionevole, del fatto che la forza gravitazione è una forza conservativa,rimandando al momento in cui nel corso di matematica si affronterà ilcalcolo integrale una più soddisfacente dimostrazione.

Figura 6.7: Tre possibili percor-si per portare la massa m2 daA e B. Il lavoro fatto dalla for-za gravitazionale per spostare lamassa m2 dipende dal percorso?

Immaginiamo di avere una massa m1 che genera un campo gravitazio-nale in cui la massa m2 si trova immersa. La massa m2 si trova inizialmentenel punto A ed il nostro proposito è quello di darci ragione del fatto che,volendo spostare la massa in un qualsiasi altro punto B dello spazio, illavoro che la forza gravitazionale compie non dipende dal percorso effet-tuato dalla massa m2; la situazione è descritta dalla figura (6.7). Cerche-remo ora di dare ragione del fatto che il percorso 1 ed il percorso 2 dellafigura sono equivalenti in termini di lavoro fatto dalla forza gravitazio-nale, a quel punto dovremo credere che ogni altro percorso è equivalentead essi, anche il percorso 3, che pur sembra molto diverso... Per quantoriguarda il percorso 1 possiamo dire che la forza è sempre parallela allatraiettoria e quindi il lavoro, come detto nel capitolo (2) parlando di forzevariabili, è dato dall’area della curva definita dalla forza dal raggio rA alraggio rB, come illustrato in figura (6.8)

Figura 6.8: Lavoro come areadella funzione F(r)

Ora basta notare che in un qualsiasi pezzo di traiettoria circolare concentro m1, come la prima parte del percorso 2, la forza è sempre perpen-dicolare alla traiettoria (ricordiamo che per intervalli di tempo abbastan-za piccoli possiamo confondere la corda che esprime lo spostamento conl’arco di circonferenza che esprime la traiettoria e la tangente alla cur-va in quel punto): il lavoro in quel tratto di traiettoria è quindi nullo, enel secondo tratto è sempre dato dall’area di figura (6.8). Abbiamo co-sì dimostrato che il lavoro della forza gravitazionale lungo il percorso 1

è uguale al lavoro lungo il percorso 2, ed in generale uguale a qualsiasipercorso che preveda una combinazione di tratti circolari con centro m1 etratti radiali. L’atto di fiducia che richiesto ora è quello di credere che siadimostrabile l’indipendenza del lavoro per ogni percorso che colleghi A e

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Gravitazione universale

B e che l’espressione che si ottiene per l’energia potenziale gravitazionaleè:

U = −Gm1m2

r(6.5.1)

Il lavoro dipende quindi solo dalle distanze iniziale e finale della massam2 rispetto alla massa m1:

L = −∆U = Ui −U f = Gm1m2(1r f− 1

ri) (6.5.2)

6.6 Pianeti e satelliti

In questo paragrafo studieremo come i concetti studiati per la gravitazio-ne universale possono essere utilizzati per analizzare la dinamica di unsistema gravitante a due masse, la prima di massa molto maggiore dellaseconda, come può essere un pianeta con uno dei suoi satelliti (naturaliod artificiali) o una stella con un suo pianeta. Affinché un satellite possagravitare stabilmente attorno alla massa che lo attrae la forza centripetagravitazionale ~Fg deve essere bilanciata dalla forza centrifuga ~Fc, comedescritto dalla figura (6.9).

Figura 6.9: Bilanciamento delleforze in un sistema gravitazio-nale a due corpi nel sistema diriferimento del corpo di massamaggiore

Dal punto di vista algebrico possiamo immaginare di calcolare la rela-zione tra la velocità e la distanza che il satellite deve avere per rimanerein equilibrio, supponendo di conoscere la massa del corpo che genera ilcampo gravitazionale sul satellite stesso:

Fc = Fg

mac = GmMr2

mv2

r= G

mMr2

mv2

r= G

mMr2

v =

√GM

r

Dal punto di vista energetico possiamo quindi sfruttare la relazione tro-vata per calcolare la relazione tra energia totale del sistema e posizione diequilibrio del satellite:

Etot =12

mv2 − GmM

r=

12

mGM

r− G

mMr

= −12

GmM

r

6.6.1 I satelliti artificiali della terra

Grazie anche e sopratutto agli studi sulla gravitazione universale l’uomoha potuto mettere in orbita dei satelliti che gravitano attorno al nostropianeta ed hanno diverse funzioni, tra le quali sopratutto l’astronomia,la meteorologia, le telecomunicazioni e la navigazione. Il primo satelliteartificiale messo in orbita dagli uomini fu il sovietico Sputnik I nel 1957,il più famoso probabilmente è stato l’Hubble Space Telescope messo in or-bita nel 1990 da una collaborazione tra NASA8 ed ESA9. Le equazioni 8 l’agenzia spaziale statunitense

9 l’agenzia spaziale europea

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Gravitazione universale

viste precedentemente mettono in relazione la velocità che devono averei satelliti con l’altezza rispetto alla superficie terrestre (h = r− RT) in cuidevono essere posizionati per essere in equilibrio. Particolare importanzaal giorno d’oggi rivestono due tipi di satelliti:

• Geostazionari:si definiscono in questo modo satelliti che hanno un’orbita circolare po-sta sul piano definito dall’equatore, con periodo di rivoluzione ugualeal periodo di rotazione della terra in modo tale da apparire in posizio-ne fissa da un osservatore solidale con il sistema terrestre. Per averetale periodo essi devono essere ad un distanza dalla superficie terrestrepari ad h = 35863km:

v =

√GM

r∧ v =

2πrTrot

=⇒ r =3

√GMT2

rot4π2 =⇒ h =

3

√GMT2

rot4π2 − RT

• Polari:si definiscono in questo modo satelliti che hanno un’orbita che attra-versa i poli; sono studiati in modo da sorvolare sempre aree differentisotto di sé, acquisendo immagini o video della parte di pianeta sotto disé. Essi si trovano tipicamente ad altezze non molto elevate, attorno ai1000 km di altitudine rispetto al livello del mare.

6.7 Traiettorie ed energia

Abbiamo già notato come l’energia totale di un sistema gravitante a duecorpi pianeta-satellite ha energia totale negativa: in questo paragrafo stu-dieremo la relazione esistente tra energia di un sistema gravitante a duecorpi e traiettoria dei corpi del sistema. Per semplicità considereremosempre uno dei due corpi molti più massiccio del secondo, in modo dapoter considerare inerziale un sistema solidale con esso. Immaginiamoper esempio di lanciare un oggetto di massa m dalla superficie terrestre.Il sistema considerato è conservativo, ci è conveniente quindi avere ladescrizione dell’energetica del sistema stesso: esso ha energia potenziale

Ug = −GmMRT

(con M la massa ed RT il raggio del pianeta terra) ed un energia cinetica

Ec =12

mv2

, con v la velocità iniziale della massa lanciata. La quantità totale dienergia del sistema è dunque

Etot =12

mv2 − GmMRT

, composta evidentemente dalla differenza di due quantità positive. Siamodunque di fronte a tre possibilità:

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Gravitazione universale

• Etot > 0:in questo caso man mano che la massa si muove allontanandosi dallaterra sia la sua energia cinetica che l’energia potenziale del sistema siavvicinano a zero; per la conservazione dell’energia esisterà un momen-to in cui l’energia potenziale si annullerà e al corpo resterà solamenteenergia cinetica: esso dunque sarà libero dall’influenza gravitazionaleterrestre e si potrà muovere nello spazio. Chiameremo un sistema diquesto genere aperto.

• Etot < 0:in questo caso invece esisterà un momento in cui l’energia cinetica siesaurirà con una certa quota di energia potenziale: il corpo ricadràdunque verso la superficie terrestre. Chiameremo un sistema di questogenere legato.

• Etot = 0:il caso limite definisce la cosiddetta velocità di fuga, la minima velocitàche deve avere il corpo per liberarsi dall’influenza gravitazionale terre-stre (o del pianeta in cui si trova). Imponendo l’equazione Etot = 0 sitrova v f uga =

√2GM/RT = 11200m/s.

In generale diremo che un sistema gravitazionale con energia totale nega-tiva è un sistema legato, i cui elementi cioè continueranno a gravitare gliuni attorno agli altri ed in generale sono attratti gli uni dagli altri, mentreun sistema con energia totale positiva è un sistema i cui elementi tende-ranno ad allontanarsi gli uni rispetto agli altri. Questa regola che nonabbiamo giustificato matematicamente in generale può essere considera-ta valida per tutte le forze la cui energia potenziale si annulla quando ladistanza tra i corpi che risentono della forza tende ad essere molto gran-de: sistemi con energia totale negativa sono in generale sistemi attrattivie sistemi con energia totale positiva sono in generale sistemi repulsivi.Proseguendo con il corso di fisica vedremo l’applicazione di questa regolaanche studiando l’elettrostatica.

É interessante a questo punto far notare come da un punto di vistamatematico le diverse possibili orbite di un sistema gravitazionale sianotutte curve coniche, che come sappiamo furono introdotte dal matematicogreco Apollonio tra il terzo ed il secondo secolo avanti Cristo. Lo stu-dio delle coniche dopo le analisi degli studiosi greci fu sostanzialmenteabbandonato per più di un millennio quando Keplero ebbe l’intuizionee fece lo sforzo di analizzarle come possibili curve con cui interpretare idati ereditati da Brahe. Keplero compì moltissimi studi matematici sul-la natura delle coniche e le loro eccentricità e riuscì ad affermare la suaprima legge, in seguito la formalizzazione della dinamica di sistemi gravi-tazionali dimostrò come il campo gravitazionale generi in modo naturaletraiettorie coniche a seconda delle caratteristiche di partenza del sistema.

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Gravitazione universale

6.8 Esercizi

1. Si calcoli la forza con cui la terra è attratta dal sole.

[F = 3, 3× 1022 N]

2. Si calcoli la forza con cui la luna è attratta dalla terra.

[F = 1, 97× 1020 N]

3. Qual è la forza di attrazione gravitazionale tra due persone di massa m = 80 kg alla distanza di unmetro l’una dall’altra?

[F = 4, 3× 10−7 N]

4. Due masse m1 = 10 kg ed m=25 kg sono poste ad una distanza d = 5 m l’una dall’altra. Dove deveposizionarsi una massa m3 = 10 g per essere in equilibrio?

[sulla congiungente le masse m1 ed m2 ad una distanza d = 193 cm da m1]

5. Tre masse mA = 20 kg, mB = 20 kg ed mC = 5 g sono poste sui vertici di un triangolo equilatero ABCdi lato l = 2 m. Si calcoli la forza che agisce sulla massa mC posta sul vertice C del triangolo.

[F = 2, 8× 10−12 N, diretta perpendicolarmente al lato AB del triangolo con verso tale che la massasia attratta verso AB]

6. Tre masse mA = 20 kg, mB = 10 kg ed mC = 5 g sono poste sui vertici di un triangolo equilatero ABCdi lato l = 2 m. Si calcoli la forza che agisce sulla massa mC posta sul vertice C del triangolo.

[F = 2, 2× 10−12 N, formante un angolo α = 259 rispetto la base AB]

7. Tre masse mA = 25 kg, mB = 25 kg ed mC = 25 g sono poste sui vertici di un triangolo isoscelerettangolo ABC di cateti AC = BC = 2 m. Si calcoli la forza che agisce sulla massa mC posta sulvertice C del triangolo.

[F = 1, 5× 10−11 N, diretta lungo la bisettrice dell’angolo ACB]

8. Tre masse mA = 5 kg, mB = 15 kg ed mC = 25 kg sono allineate con AC = 20 cm, CB = 45 cm eAB = 25 cm. Si calcoli la forza che agisce sulla massa mC.

[F = 3, 3× 10−7 N, diretta verso A]

9. Quattro masse mA = 20 kg, mB = 25 kg, mC = 20 kg ed mD = 20 g sono poste sui vertici di unquadrato ABCD di lato l = 30 cm. Si calcoli la forza che agisce sulla massa mD.

[F = 6× 10−10 N, diretta lungo la diagonale del quadrato verso B]

10. Si calcoli il peso misurato con un dinamometro di un uomo di massa m = 70 kg che si trovi su unamongolfiera ad un’altezza h = 11 km sul livello del mare. Se si pesasse con una bilancia, di quantocrederebbe di essere dimagrito?

[P = 676 N, crederebbe di avere perso m = 1 kg]

11. A che altezza si trova un uomo di massa m = 90 kg che pesandosi ha come risposta dalla bilanciam = 85 kg?

[h = 150 km]

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12. Si trovi il campo gravitazione generato da una massa m = 1000 kg ad una distanza r = 50 m. Diquale forza gravitazionale risentirebbe un uomo di massa mP = 80 kg se si trovasse ad una distanza rdalla massa m?

[g = 2, 7× 10−11 m/s2, F = 2, 1× 10−9 N]

13. Si trovi il campo gravitazionale generato dalla terra ad una distanza h = 12000 km da terra.

[g = 2, 7 m/s2]

14. A che distanza dalla superficie terrestre il campo gravitazionale generato dal nostro pianeta si di-mezza?

[h = 2600 km]

15. Qual è il valore del campo gravitazionale lunare sulla superficie terrestre?

[g = 3, 3× 10−5 m/s2]

16. Qual è il valore del campo gravitazionale solare sulla superficie terrestre?

[g = 5, 6× 10−3 m/s2]

17. Si trovi il valore del campo gravitazionale generato da un anello sottile uniforme di massa m = 40kg e raggio r = 30cm nel suo centro.

[g = 0 m/s2]

18. Quale massa genera un campo gravitazione di intensità g = 9, 8 m/s2 ad una distanza di 5 metri?

[m = 3, 7× 1012 kg]

19. Tre masse mA = 20 kg, mB = 20 kg ed mC = 20 kg sono poste sui vertici di un triangolo equilateroABC di lato l = 2 m. Si calcoli il campo gravitazionale generato dalle tre masse sul punto medio dellato AB.

[g = 4, 4× 10−10 m/s2 diretto in verticale verso il vertice C]

20. Quattro masse mA = 40 kg, mB = 40 kg, mC = 20 kg ed mD = 20 kg sono poste sui vertici di unquadrato ABCD di lato l = 30 cm. Si calcoli il campo gravitazionale al centro del quadrato.

[g = 4, 2× 10−8 m/s2 diretto perpendicolarmente e verso il lato AB]

21. Si calcoli il lavoro necessario per costruire un triangolo equilatero di lato 50 cm con tre masse ugualim = 10 kg.

[L = 4× 10−8 J, fatto dalla forza gravitazionale]

22. Si calcoli il lavoro necessario per costruire un quadrato di lato 20 cm con quattro masse uguali m = 20kg.

[L = 7, 2× 10−7 J, fatto dalla forza gravitazionale]

23. Tre masse mA = 20 kg, mB = 25 kg ed mC = 10 kg sono poste sui vertici di un triangolo equilateroABC di lato l = 1, 5 m. Qual è il lavoro che il campo gravitazionale fa o subisce per portare le massesu un triangolo equilatero come il primo, ma di lato l = 20 cm?

[L = 2, 8× 10−7 J, fatto dalla forza gravitazionale]

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24. Quattro masse mA = 10 kg, mB = 40 kg, mC = 20 kg ed mD = 15 kg sono poste sui vertici di unquadrato ABCD di lato l = 50 cm. Qual è il lavoro che il campo gravitazionale fa o subisce per portarele masse in linea nell’ordine ABCD con AB = BC = CD = 20 cm?

[L = 3, 5× 10−7 J, fatto dalla forza gravitazionale]

25. Quanto lavoro hanno fatto i motori di un astronave (m = 50000 kg) partita dalla superficie terrestrequando questa raggiunge quota h = 20000 km?

[L = 23, 7× 1011 J]

26. A quale altezza dalla superficie terrestre si trova un satellite che ruota attorno al nostro pianeta conun periodo T = 10 giorni?

[h = 1, 9× 108 m]

27. A quale velocità si muove un satellite che orbita attorno alla terra ad una quota h = 50000 km sullivello del mare?

[v = 2642 m/s]

28. Un satellite in orbita attorno alla terra alla velocità v = 200 m/s misura un peso P = 50 N per unamassa m = 50 kg. Il satellite è in equilibrio su un’orbita stabile?

[No, perché...]

29. Dalla cima di un grattacelo alto h = 200 m un tizio vuole lanciare una pallina in modo che riescaad entrare in orbita all’altezza da cui è stata lanciata. A quale velocità dovrebbe lanciare la pallina,supponendo un lancio a velocità iniziale orizzontale, per riuscire nel suo intento?

[v = 7860 m/s]

30. A che altezza arriverebbe un corpo di massa m = 100 kg lanciato dalla superficie terrestre con velo-cità pari ad un terzo della velocità di fuga? E se il corpo avesse massa m = 20 kg?

[h = 796 km, indipendentemente dalla massa del corpo]

31. A che altezza si trova un satellite di massa m = 500 kg in orbita attorno alla terra, se il sistematerra-satellite ha energia totale E = −0, 1 J?

[h = 9, 8× 1017 m]

32. Con che velocità si deve lanciare verso l’alto un oggetto di massa m = 250 g dalla superficie terrestreaffinché raggiunga l’altezza massima h = 10 km?

[v = 440 m/s]

33. Qual è l’energia del sistema terra-satellite geostazionario se il satellite ha massa m = 4500 kg?

[E = −2× 1010 J]

34. Qual è la velocità di fuga di un oggetto di massa m = 100 kg che viene lanciato da una piattaformache si trova ad una quota h = 200 km dalla superficie terrestre?

[v = 10900 m/s]

35. Con quale velocità si deve lanciare un oggetto di massa m = 100 kg verso la luna affinché il corpoarrivi sulla superficie lunare con velocità nulla? Si supponga che il moto dell’oggetto sia rettilineo e

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Gravitazione universale

senza attrito.

[v = 11119 m/s]

36. Find the gravitational field of Saturn on the planet’s surface.

[g = 10, 3 m/s2]

37. Find the potential gravitational energy of the system earth-moon.

[U = −7, 8× 1020 J]

38. A satellite is gravitating around the earth at a velocity v = 50 km/h. What is its heigh with respectto the earth surface?

[h = 2× 1012 m]

39. Two masses m1 = 40 kg and m2 = 20 kg are fixed at a distance d = 4 m. What is the gravitationalstrength acting on a third mass m3 = 1 kg positioned in the middle of the line defined by m1 and m2?

[F = 3, 3× 10−10 N towards m1]

40. Find the gravitational strenght due to the sun acting on the farest planet (from the sun) of the solarsystem.

[F = 6, 4× 1020 N]

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7 Termodinamica

Come vedremo introducendo il primo principio della termodinamica inuno dei prossimi paragrafi questa parte di fisica si è sviluppata nel dician-novesimo secolo per opera di diversi scienziati dell’epoca in relazione allosviluppo tecnologico della rivoluzione industriale di quegli anni. Per par-lare di termodinamica richiamiamo alcuni concetti visti durante il primobiennio nello studio di temperatura e calore:

• Temperatura: grandezza fisica legata alle sensazioni di caldo e freddo,che possiamo misurare con un termometro sulla base degli effetti diuna sua variazione su corpi liquidi e solidi. La presente definizione èuna definizione operativa che necessita di un ampliamento concettua-le per comprendere davvero quale sia la natura di questa grandezzafisica con cui abbiamo quotidianamente a che fare e che troviamo co-sì complicato definire in modo soddisfacente. La sua unità di misuranel sistema internazionale sono i Kelvin, la cui conversione con i gradicentigradi da noi più utilizzati è data da T(K) = t(C) + 273.15. In-dicheremo sempre la temperatura misurata in gradi centigradi con lalettera minuscola t, misurata in Kelvin con la lettera maiuscola T.

• Gas perfetto: insieme di particelle o molecole con le seguenti caratteri-stiche:

1. le molecole hanno dimensioni trascurabili rispetto alla media dellaloro distanza reciproca e sono indistinguibili le une dalle altre: sonoapprossimabili a punti materiali identici;

2. le molecole sono moltissime si muovono in modo disordinato ecasuale;

3. le molecole non risentono a distanza le une dalle altre (non sono sog-gette ad attrazioni gravitazionali, elettriche,...): si parla di molecolenon interagenti;

4. le molecole urtano solamente in modo elastico, tra loro e con lepareti del recipiente in cui eventualmente si trovano;

• Numero di moli e numero di Avogadro: la mole è una delle sette unitàdi misura fondamentali ed esprime la quantità di sostanza; questa uni-tà di misura è pratica dal punto di vista chimico e fisico delle molecoleperchè evita di lavorare con numero molto grandi (il numero di mo-lecole/atomi) o numeri molto piccoli (le masse molecolari/atomiche).Una mole rappresenta la quantità di materia pari ad un numero di Avo-gadro di elementi (NA = 6, 022× 1023), altrimenti definita anche come

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Termodinamica

la quantità di sostanza equivalente (che contiene tante molecole/atomi)a 12g di 12C.

• Parametri di stato: i parametri fisici che definiscono in modo completola situazione macroscopica di un gas; essi sono la pressione P, il volu-me V, la temperatura T ed il numero di moli n.

• Legge di Boyle: un gas perfetto che subisce una trasformazione a tem-peratura costante segue la seguente legge PV = P0V0

• Prima legge di Gay-Lussac: un gas perfetto che subisce una trasforma-zione a pressione costante segue la seguente legge V = V0(1 + αt) =

V0αT, da cui si può ricavare α = 1/273, 15.

• Seconda legge di Gay-Lussac: un gas perfetto che subisce una trasfor-mazione a volume costante segue la seguente legge P = P0(1 + βt) =

V0βT, da cui si può ricavare β = α = 1/273, 15.

• Equazione di stato dei gas perfetti: un gas perfetto che subisce unaqualsiasi trasformazione segue la seguente legge: PV = nRT, con nil numero di moli e R ∼ 8, 31J/(mol K) la costante universale dei gasperfetti

• Calore: grandezza fisica che determina la variazione di temperatura oil cambiamento di stato fisico (solido, liquido, aeriforme) di un corpo.La sua unità di misura è la caloria, la quantità di calore necessaria perfar innalzare di un grado centigrado, da 14,5 a 15,5, la temperatura diun grammo d’acqua. Ogni sostanza ha un particolare calore specifico,necessario per far innalzare di un grado la temperatura un kilogram-mo di sostanza cs = Q/(m∆T), un calore latente di fusione, necessarioper far passare dallo stato solido a quello liquido un kilogrammo di so-stanza Q f = Q/m ed un calore latente di evaporazione, necessarioper far passare dallo stato liquido a quello aeriforme un kilogrammodi sostanza Qv = Q/m

• Equivalenza tra calore e lavoro: nel 1850 lo scienziato inglese JamesPrescott Joule fece il suo famoso esperimento che abbiamo descrittonei dettagli nel corso del primo biennio dimostrando come facendodel lavoro meccanico su una sostanza esso può essere completamentetrasformato in variazione di temperatura della sostanza stessa trasfe-rendole quindi calore. Joule calcolò l’equivalente meccanico del calore,ovvero la conversione tra lavoro esterno fatto sul sistema e calore tra-sferito alla sostanza: per ogni caloria trasferita al sistema si fanno 4,186Jdi lavoro meccanico. La portata concettuale di questa equivalenza è ilfatto di poter accostare il calore al lavoro e all’energia, affermando che

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Termodinamica

sono possibili trasformazioni dell’uno negli altri e viceversa, secondol’equivalenza 1cal = 4, 186J.

• Principio zero della termodinamica: Se un corpo A ha la medesimatemperatura di un corpo B ed il corpo B ha la medesima temperatura diun corpo C, allora A e C hanno la stessa temperatura. Questo principioche sembra banale permette però di definire l’equilibrio termico tracorpi che non possono essere messi a contatto tra loro, con l’uso di unterzo corpo che può essere ad esempio un termometro.

• Convenzioni di segno per calore e lavoro: evidenziamo qui inizial-mente le convenzioni per il segno di calore e lavoro rispettivamenteassorbito/ceduto e fatto/subito:

– Q > 0 - calore assorbito dal gas;

– Q < 0 - calore ceduto dal gas;

– L > 0 - lavoro fatto dal gas;

– L < 0 - lavoro subito dal gas.

Prima di proseguire con i due principi della termodinamica che ci permet-teranno di capire come trattare la dinamica di sistemi in cui consideriamoanche lo scambio di calore nel bilancio energetico studieremo un model-lo microscopico per i gas perfetti, che ci aiuterà nella comprensione dellanatura di grandezze come la temperatura e l’energia cinetica associata adun gas.

7.1 Teoria cinetica dei gas perfetti

Figura 7.1: Gas perfetto in unascatola: sono qui rappresentatesolo 11 particelle, evidentemen-te nella nostra schematizzazioneil numero di particelle di gas èmolto più elevato.

Il modello che costruiremo in questo paragrafo per i gas perfetti ci permet-terà di capire la natura microscopica di alcune grandezze termodinamicheche in genere consideriamo come riassuntive del sistema (pressione, tem-peratura); questo modello è un primo esempio di quella branca della fisicachiamata fisica statistica che cerca di studiare un sistema complesso comesomma o unione di moltissimi sistemi elementari: un intero libro di unadelle collane più famose di fisica teorica 1

1 (Landau e Lifshitz, 1999b)

Figura 7.2: Urto di una particel-la di gas contro una parete dellascatola.

fu dedicato a questa parte di scienza che noi studieremo solamente nel-la sua parte più semplice ed iniziale.

Consideriamo quindi un gas perfetto in una scatola cubica di lato l:ogni particella i si muoverà quindi in una direzione casuale con una certavelocità ~vi, come rappresentato in figura (7.1). Fissando un sistema car-tesiano in un angolo della scatola possiamo scomporre le velocità di ogniparticella nelle tre direzioni ~vi = (vix; viy; viz) ed analizzare la dinamicadel problema una direzione alla volta. Secondo le ipotesi di gas perfettole particelle urtano sempre in modo elastico con le pareti della scatola: co-me descritto dalla figura (7.2), ogni volta che una particella urta con unaparete la componente perpendicolare alla superficie della sua quantità di

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Termodinamica

moto si inverte e dunque la particella imprime sulla parete una forza ~F⊥

~F⊥ = −∆~q⊥∆t

=2m~v⊥

∆t2 Le particelle si muovono senza interazioni interne, le componenti della 2 Da notare come la forza im-

pressa sulla particella è datadalla variazione della quantitàdi moto della particella rispet-to al tempo, e dunque la forzache la particella imprime sullaparete è data, per il terzo prin-cipio della dinamica, dalla suaopposta

loro velocità restano sempre costanti tranne quando si invertono per l’urtocon una parete, l’urto con la parete avviene quindi ogni ∆t = 2l/v⊥ e laforza diventa

F⊥ =mv2⊥

lImmaginando quindi che nella scatola ci siano N particelle la forza mediache viene applicata su una parete dal gas è data da

Fm =ml

N

∑i=1

v2⊥i

e dunque la pressione esercitata dal gas su una parete della scatola è datadal rapporto tra la forza media applicata e la superficie della parete:

P =ml3

N

∑i=1

v2⊥i

=mV

N

∑i=1

v2⊥i

con V = l3 il volume della scatola. A questo punto notiamo come nelleipotesi di gas perfetto e moto casuale le componenti di velocità del gasnelle tre direzioni cartesiane x, y, z devono provocare la stessa pressionein ogni parete; si dovrà avere

N

∑i=1

v2xi=

N

∑i=1

v2yi=

N

∑i=1

v2zi(=

N

∑i=1

v2⊥i)

e quindi

N

∑i=1

v2i =

N

∑i=1

(v2xi+ v2

yi+ v2

zi) =

N

∑i=1

v2xi+

N

∑i=1

v2yi+

N

∑i=1

v2zi= 3

N

∑i=1

v2⊥i

da cui

P =m

3V

N

∑i=1

v2i

PV =m3

N

∑i=1

v2i

A questo punto possiamo utilizzare la legge di stato dei gas perfetti perdare un’interpretazione microscopica della temperatura, in funzione dellevelocità delle particelle di gas:

nRT =m3

N

∑i=1

v2i =⇒ T =

m3nR

N

∑i=1

v2i ,

che sostanzialmente lega la temperatura di un gas con il grado di agita-zione meccanica delle particelle che lo compongono, per questo spesso siparla di temperatura come misura dell’agitazione termica del gas; la co-stante di proporzionalità può essere riscritta ricordando che il numero dimoli è uguale al numero di molecole fratto il numero di Avogadro:

n =N

NA=⇒ T =

NAm3NR

N

∑i=1

v2i ,

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Termodinamica

Questo passaggio sembra complicare la formula, ma ci permette di in-travedere la velocità quadratica media all’interno della formula; si definiscevelocità quadratica media di un gas:

vqm =

√∑N

i=1 v2i

N

La velocità quadratica media di un gas, vqm, è un numero che ci fornisceinformazioni sulla media dei moduli delle velocità delle particelle: nontiene infatti conto della direzione delle velocità ma solamente dei suoimoduli. È inoltre interessante perché legata all’energia cinetica media delgas, Ec:

Ec =∑N

i=112 mv2

iN

=12

mv2qm

Ecco che sostituendo quest’espressione nella relazione ottenuta preceden-temente per la temperatura otteniamo:

T =2NA3R

Ec (7.1.1)

la temperatura è dunque una grandezza fisica direttamente proporzionaleall’energia cinetica media del gas! Questa relazione conferma e quantificain modo preciso l’intuizione di temperatura legata all’agitazione termicae quindi al movimento delle particelle componenti il gas. L’equazione(7.1.1) è solitamente espressa come:

Ec =32

kBT (7.1.2)

con kB = R/NA ∼ 1, 38× 10−23J/K, la costante di Boltzmann. Notiamoanche come la legge di stato dei gas perfetti possa essere scritta in terminiformalmente identici con la costante universale dei gas perfetti

PV = nRT

oppure con la costante di Boltzmann

PV = NkBT

Questi due modi apparentemente uguali per scrivere la legge indicano pe-rò due visioni opposte: la prima una visione macroscopica che coinvolgeil numero di moli del gas, mentre la seconda una visione microscopica checoinvolge invece il numero esatto di particelle che compongono il gas.

7.1.1 Principio di equipartizione dell’energia

L’equazione (7.1.2), oltre a dare significato fisico alla temperatura, esprimeil punto di partenza per i ragionamenti che hanno portato alla formula-zione di un importante principio della fisica statistica, il quale asserisceche l’energia totale di un gas si distribuisce equamente sui gradi di libertà dellemolecole che lo costituiscono; ad ogni grado di libertà corrisponde una quantitàdi energia cinetica pari a 1/2kBT. Senza entrare nei dettagli diciamo qui

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Termodinamica

che per grado di libertà di un corpo rigido in fisica si intende il numerominimo di variabili indipendenti tra loro con le quali è possibile definirela posizione e l’orientamento del corpo stesso. Nel caso di punti materia-li non vincolati ogni punto materiale porta con sé 3 gradi di libertà, magià una molecola biatomica ha 5 gradi di libertà: i due punti materialiavrebbero in tutto 6 gradi di libertà, ma sono vincolati a stare ad una certadistanza media, il che riduce i gradi a 5. Per quanto riguarda il nostrointeresse è importante sapere che un gas composto da molecole monoa-tomiche ha 3 gradi di libertà, biatomiche 5 e triatomiche 7. È importantenotare invece la portata concettuale di questo principio: ancora una voltala natura si comporta in modo simmetrico e matematicamente elegantedistribuendo in modo che potremmo definire democratico l’energia nellediverse coordinate che definiscono il gas e di come la sua energia cineti-ca media dipenda da quanto si muovono le molecole al suo interno e dacome sono fatte (e quindi dai modi in cui si possono muovere). Eviden-temente quindi la (7.1.2) può essere generalizzata, per un gas con f gradidi libertà:

Ec =f2

kBT (7.1.3)

7.2 First principle of thermodynamics

7.2.1 Introduction to Thermodynamics

Thermodynamics was born in the early nineteenth century, during theindustrial revolution, to improve the efficiency of steam engines. Then,thanks to scientists as James Joule (Saldford, 1818 - Sale, 1889), RudolfClausius (Koslin, 1822 - Bonn, 1888), William Thomson ”Lord Kelvin”(Belfast, 1824 - Largs, 1907), Sadi Carnot (Parigi, 1796 - Parigi, 1832), Lud-wig Boltzmann (Vienna, 1844 - Duino, 1906), thermodynamics has becomethe branch of physics that studies the exchange of energy between a sy-stem and its environment. The starting point for the work of these scien-tists of thermodynamics has been their discovery that the heat is not afluid-like substance, but is a measure of the energy exchanged in thermo-dynamical processes. Joule’s experiment, we studied last year, pointed outhow mechanical work done on a system can be tranformed into heat fin-ding the equivalence between heat and mechanical work: 1Kcal = 4186J.Once accepted this fact has been natural to study all physical phenomena,in particular those involving gases, taking into account heat in the energyexchanges: this led to the formulation of the first law of thermodynamics,which we will analyze in detail in these notes, stating that the total energyis conserved regardless of the nature of forces involved in the consideredsystem. Using the first principle of thermodynamics it was possible tostudy many kinds of steam engines and thermal machines, from an ener-getic point of view, trying to maximize their efficency. We will analyze indetail the thermal machines in the next section, but we have to say herethat a thermal engine is a tool that converts heat into mechanical work,and was discovered by physicists such as Carnot, Clausius and Kelvin,that it is impossible to take a certain amount of heat and transform all of

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it into mechanical work: in other words, it is impossible to have a ther-mal machine with a 100 % efficency. This is only one formulation of thesecond law of thermodynamics: in the 1860s Clausius introduced entropyas a ratio of heat to temperature, and stated the Second Law in terms ofthe increase of this quantity. Boltzmann then gave a statistical intepre-tation of entropy, as the ”disorder degree” of a system, and the secondlaw became the law of the increasing disorder in the Universe. In thisway, the second law has become important not only from the ”thermo-dynamic” point of view, but also from the philosophical one; accordingto thermodynamics, the universe slowly will die because all the reactionswithin it will lead to a uniform heat distribution, all warm regions (stars)of the universe will disappear and so life (human life in particular): thisis called the ”heat death” of the universe. As we shall see in a coupleof years, during the twentieth century many new physical theories weredeveloped in disagreement or in completion of all the classical theories:in particular, quantum mechanics, relativity and modern cosmology canexplain different scenarios for the evolution of the universe.

7.2.2 Thermal Machines

We define as thermal machine any tool that, by means of thermodynamicprocesses, transforms heat into mechanical work. This general definitionneeds to be schematized to be described in a scientific way, anche thescheme is the following:

• the system is a gas inside a cylinder, closed by a piston;

• moving the piston the gas can change its volume;

• the gas can exchange heat with external sources;

• an ideal source, heat reservoir, is a source with heat capacity C = ∞: itdoes not change temperature even exchanging heat with the system;

• the overall thermodynamical process as to be cyclic, the gas has tobecame again to its initial condition to restart the process.

The simplest thermal machine we can imagine is described in fig.(7.3),a black box where all the thermodynamical processes take place, absor-bing heat from a hot source, giving heat to a cold source, and produ-cing mechanical work. Then, since heat is a kind of energy, it has to beL = Q2 − Q1. To define and study precisely a thermal machine we ha-ve to understand which is the energy involved and how this energy canturn into mechanical work, that is what we are going to study in the nextparagraphs.

Figura 7.3: A generic thermalmachine

7.2.3 Internal Energy

As already seen in the study of the kinetic model for an ideal gas, tempe-rature is the macroscopic effect of the average kinetic energy of the gas.Since for an ideal gas there is no potential energy (there are no interac-tions, the gas is ”free”), there is no ”structure” in the gas molecules and

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they interact just by means of elastic scattering, the kinetic energy is sim-ply mv2/2 for each molecule and can be considered as the total energy ofthe gas. This total average energy of internal molecular motion is calledinternal energy and should always be taken into account when consideringthe conservation of energy.The internal energy of an ideal gas of N molecules can be expressed interms of the average kinetic energy of the molecules

U = N〈Ek〉 =32

nRT;

so at any change on the gas temperature it will correspond a change onthe internal energy ∆U = 3

2 nR∆T.This energy is also interpreted in terms of a heat exchange: U = CvT,where Cv is called the “heat capacity at constant volume”, the heat neces-sary to change the temperature of the gas by 1 degree through a processwith constant volume: it equals 3

2 nR for monoatomic gases, 52 nR for bia-

tomic gases, it holds the same rule of the equipartion theorem. We definealso the “molar heat capacity at constant volume”: cv = Cv/n the heatnecessary to change the temperature of one mole of the gas by 1 degreethrough a process with constant volume; we will see that this definition isuseful studying the conservation of energy in thermodynamics.We also notice here that the internal energy is a function of state, i.e. itdepends only on the temperature of the gas, it is defined for each point inthe Clapeyron space of the gas.

7.2.4 Heat capacities of gases

We studied that the heat exchange between two bodies or fluids is regu-lated by

Q = C∆T,

where C is a constant depending on the bodies or fluids called heat capa-city. We are going to study in these pages that the heat exchange betweengases (or between gases and a body) depend on the particular processacting on the gas. In this perspective is simple to understand that theheat capacity of a gas is not a constant but depends on the thermodyna-mical process the gas is involved into; we define two heat capacities inparticular:

1. heat capacity at constant volume Cv - if the gas is involved into anisochoric process the heat exchange is given by

Q = Cv∆T

2. heat capacity at constant pressure Cp - if the gas is involved into anisobaric process the heat exchange is given by

Q = Cp∆T

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7.2.5 Mechanical work of gases

The internal energy of a system can be increased at the expense of me-chanical energy as was demonstrated in Joule’s experiment: there existmachines that produce mechanical work depending on what processesare involved in their functioning. We will always refer to a gas ( withstate parameters (p, V, T) representing pressure, volume and temperature) inserted in a cilinder with a base surface S; the piston will move intothe cylinder under the effect of external forces or the pressure of the gasitself. Therefore the mechanical work done by the gas will be connectedwith the motion of the piston: dL = ~F · d~s = F ∗ ds = p ∗ S ∗ ds = pdV(general expression even if the force is not constant). As in mechanics thework is represented by the area under the curve F(s) in the s-F plane or,as in our case, the area under the curve p(V) in the V-P plane (Clapeyronplane).

Figura 7.4: A generic cylinderfilled with gas and the represen-tation of the work made by thegas itself on the piston

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7.2.5.1 Isobaric processes

An isobaric process (fig.(7.5)) is a thermodynamical process in which thepressure stays constant. Since the pressure is constant the force acting onthe system is constant, therefore the work will be: L = ~F ·~s = p ∗ S ∗ s =

p ∗ ∆V.

Figura 7.5: An isobaric processin the Claperyron Plane

In our practical example we would have a movable piston in a cylinder,so that the pressure inside the cylinder is always at the pressure given bythe piston and the atmosphere. An increase in the temperature of the gaswould imply an increase in the volume of the piston, in such a way tomantain the same pressure given by the piston.

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7.2.5.2 Isothermal processes

An isothermal process is a process where the gas is maintained at the sametemperature, being in contact with a huge body called “heat reservoir”, abody with C = +∞. The temperature of the gas remains constant becausethe heat is free to flow from the gas to the heat reservoir. In an isothermalexpansion (fig.(7.6)), if the system is closed, the pressure will be inverselyproportional to the volume: PV = nRT = P0V0. In this case the workas a more complicated expression than the isobaric one: dL = p ∗ dV =nRT

V dV ⇒ L = nRT lnVfVi

.3 3 We have to define here the ma-thematical function called loga-rithm y = ln(x). This functionwill be formally defined duringnext year in the math class; forour purposes we can say thaty = ln( x2

x1), x1 ∈ R+, x2 ∈ R+,

is the area between the x-axisof the cartesian plane and thefunction y = 1/x between x1and x2. At the moment you caneasily calculate the logarithm ofa number using your electroniccalculators.

Figura 7.6: An isothermalprocess in the Claperyron Plane

In our practical example we would have the system immersed in alarge constant-temperature bath (imagine a huge mixture of water and iceat 273K). Any work performed by the system will be lost to the bath, butits temperature will remain constant: an increase in volume of the gaswould imply a decrease in pressure, and viceversa.

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7.2.5.3 Isochoric processes

An isochoric process (fig.(7.7)), also called a constant-volume process, isa thermodynamic process during which the volume of the closed systemundergoing such a process remains constant. The work done by the gasin this case is zero: dL = p ∗ dV = 0.

Figura 7.7: An isochoric processin the Claperyron Plane

In our practical example we would have the piston locked in a parti-cular position (for example screwed to close the cylinder): an increase intemperature would imply in this case an increase in pressure, and vice-versa. An isochoric process is also known as an isometric process or anisovolumetric process.

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7.2.5.4 Adiabatic processes

An adiabatic process (fig.(7.8)) is a thermodynamic process in which noheat is transferred to or from the working gas. If there is no heat transfer-red all the work done by the gas is enterly connected with a change in theinternal energy of the gas itself, therefore L = −∆U = −ncv∆T.

Figura 7.8: An adiabatic processin the Claperyron Plane

In our practical example we would have both the cylinder and the pi-ston made by perfect thermal insulator, in such a way that there cannot beany exchange of heat or energy between the gas and the external atmo-sphere. It can be prooved that in an adiabatic process holds the relationPAVγ

A = PBVγB , where γ =

CpCv

; Cp is the so called "heat capacity at con-stant pressure", the heat necessary to change the temperature of the gasby 1 degree through a process with constant pressure. We will define alsocp as the “molar heat capacity at constant pressure”.

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7.2.6 The first law of thermodynamics

We are now ready to introduce the ”first law of thermodynamics”, whichis nothing more than the conservation law for internal and mechanicalenergy into a thermodynamical system. The starting point of this princi-ple is the experimental observation that in any thermodynamical processthe difference between the heat exchanged and the work done by the sy-stem is a particular function depending only on the initial and final stateof the system, representing the total energy of the system. This functionturns out to be (when taking into account ideal gases) the internal energypreviously defined.

1. Energy conservation in an adiabatic process. If there are no exchangesof heat with the environment (as in an adiabatic process) than conser-vation of energy requires that the work L done by the gas be equal tothe loss of its internal energy U:

L = −∆U

where the minus sign means that the internal energy is lost when thegas expands and does work.

2. Energy Conservation in an Isothermal Process. If we consider anisothermal expansion of the gas we notice that the internal energy hasto be constant (U = U(T)). If the internal energy has to be constant allthe work done by the gas has to turn into heat, and all the heat givento the gas has to be spent by means of mechanical work. The work Ldone by the gas must be equal to the heat Q absorbed by it:

L = Q

3. Energy conservation in an isochoric process. If the volume of the gasis not changing all the heat taken or given to the gas cannot transformin mechanical work, since the piston cannot move, but it transformsinto an increase or loss of internal energy; if the gas acquires heat itwill increase the internal energy, otherwise the internal energy willdecrease:

Q = ∆U

4. Energy conservation in a general process: First law of thermodyna-mics. In a general process usually both heat and internal energy areconverted into work. Since heat absorbed by the gas contributes to ma-king work, and a loss of internal energy can be turned into work, thetotal balance of work, heat and internal energy is:

L = Q− ∆U,

or∆U = Q− L

and is known as the first law of thermodynamics. It says that theinternal energy gained by a system must be equal to the heat absorbedby the system minus work done by the system.

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5. First law and the Mayer relationship . Let’s consider a general processin the Clapeyron plane: it can be decomposed into many tiny isobaricprocesses. For each of these processes holds

∆U = Q− L,

where4 4 The first relation holds for anyprocess, the second one holdssince each process is an isoba-ric process, and the last one canbe obtained using the universallaw of ideal gases.

∆U = ncv∆T,

Q = ncp∆T

L = p∆V = nR∆T.

We can conclude that for any thermal process the first principle of ther-modynamics, the conservation of energy in thermal processes, can bewritten as the Mayer relationship:

cp − cv = R.

This law connects a universal constant, R, with two particular constantsdepending on the gas we are considering: no matter which gas we aredealing with, the difference between cp and cv will equal the constantR!

7.3 Rendimento delle macchine termiche

Dal punto di vista tecnologico di chi progetta una macchina termica èinteressato a capire quanta percentuale del calore che viene ceduto allamacchina termica dall’esterno verrà convertito in lavoro. Questo indica-tore, solitamente rappresentato con la lettera greca η, è detto rendimentodella macchina termica:

η =L

Qa(7.3.1)

Dove L è il lavoro prodotto dalla macchina termica e Qa il calore assorbitodalla macchina stessa (ceduto alla macchina dall’ambiente esterno). Dalleconsiderazioni del paragrafo precedente, visto che una macchina termicadeve essere ciclica per poter essere utilizzabile in modo industriale e nonessere “usa e getta”, possiamo definire il rendimento di una macchinatermica su un singolo ciclo:

η =L

Qa=

Qa −Qc

Qa= 1− Qa

Qc

con Qc il valore assoluto del calore ceduto dalla macchina termica all’am-biente esterno. La costruzione di macchine termiche iniziò già tra il di-ciassettesimo ed il diciottesimo secolo in Inghilterra per opera di scienziaticome Denis Papin (Blois, 1647 - Londra 1714), Thomas Savery (Shilstone,1650 - Londra 1715), Thomas Newcomen (Dartmouth, 1663 - Londra 1729)e James Watt (Greenock, 1736 - Handsworth, 1819); fu però nella Franciadel secolo successivo che la tecnica si coniugò con lo studio scientifico ana-litico ed approfondito della termodinamica, per opera sopratutto di SadiCarnot (Parigi, 1796 - Parigi, 1832). Vediamo di seguito alcune delle piùfamose macchine termiche, alcune delle quali hanno contribuito in mo-do decisivo alla rivoluzione industriale del diciannovesimo secolo e sonostate protagoniste della tecnica fino ai giorni nostri.

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7.3.1 Macchina di Stirling

La macchina di Stirling fu realizzata e brevettata nel 1816 dal pastore pro-testante scozzese Robert Stirling (Methven, 1790 - Methven 1878), ed èancora oggi in commercio. Si tratta di un motore ad aria calda di cui nonstudieremo i dettagli ingegneristici ma che risponde al ciclo termodinami-co in figura (7.9): il motore lavora tra due temperature Tc la temperaturapiù calda e Tf ed i due volumi V1 e V2 con due trasformazioni isocore edue isoterme.

Figura 7.9: Ciclo termodinami-co di Stirling A → B → C → Dtra le due temperature Tc e Tf ei due volumi V1 e V2.

Studiamo l’energetica del ciclo di Stirling:

• A −→ B: La trasformazione è isocora, per cui il lavoro fatto dal gasè nullo e il calore assorbito è dato dalla differenza di energia internaQ = ∆U = ncv∆T = ncv(Tc − Tf ) > 0

• B −→ C: La trasformazione è isoterma, per cui il lavoro fatto dalgas è uguale al calore assorbito nell’espansione da V1 a V2 Q = L =

nRTcln(V2/V1) > 0

• C −→ D: La trasformazione è nuovamente isocora, con calore cedutodal gas Q = ∆U = ncv∆T = ncv(Tf − Tc) < 0

• D −→ A: La trasformazione è isoterma, con lavoro subito dal gasuguale al calore ceduto per la compressione da V2 a V1 Q = L =

nRTf ln(V1/V2) < 0

I due calori scambiati nelle trasformazioni isocore sono chiamati di rigene-razione e non vengono scambiati con l’esterno: la macchina è studiata inmodo che il calore di rigenerazione ceduto nella trasformazione C −→ Dviene restituito al gas nella trasformazione A −→ B; il rendimento dellamacchina di Stirling (ideale) è dunque

η = 1−nRTf ln(V1/V2)

nRTcln(V2/V1)

= 1−Tf

Tc

7.3.2 Macchina di Carnot

La macchina di Carnot fu concepita dal fisico francese in una sua ope-ra fondamentale (Carnot, 1824), nella quale pose le basi per moltissi-mi concetti fondanti per la termodinamica che stiamo studiando, tra cuil’introduzione della macchina di Carnot, descritta in figura (7.10).

Figura 7.10: Ciclo termodinami-co di Carnot A → B → C → Dtra le due temperature Ti e Tf .

Questa macchina è una macchina teorica, pensata dal fisico francesecon l’intento di costruire la macchina termica lavorante tra due sorgen-ti termiche con il massimo rendimento possibile: per questo pensò diconnettere le due isoterme dove avviene lo scambio di calore con le sor-genti con due trasformazioni adiabatiche, in cui non c’è scambio di calore.Studiando l’energetica della macchina:

• A −→ B: La trasformazione è adiabatica, per cui il calore scambiato dalgas è nullo ed il lavoro fatto è dato dalla differenza di energia internaL = ∆U = ncv∆T = ncv(Tc − Tf ) > 0

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Termodinamica

• B −→ C: La trasformazione è isoterma, per cui il lavoro fatto dalgas è uguale al calore assorbito nell’espansione da VB a VC Q = L =

nRTcln(VC/VB) > 0

• C −→ D: La trasformazione è nuovamente adiabatica, con lavorosubito dal gas L = ∆U = ncv∆T = ncv(Tf − Tc) < 0

• D −→ A: La trasformazione è isoterma, con lavoro subito dal gasuguale al calore ceduto per la compressione da VD a VA Q = L =

nRTf ln(VA/VD) < 0

Anche in questo caso possiamo calcolare il rendimento con la (??):

η = 1−nRTf ln(VC/VB)

nRTcln(VA/VD)=

Tf ln(VC/VB)

Tcln(VA/VD)(7.3.2)

Possiamo ottenere una relazione migliore andando a valutare il rappor-to VC/VB ed il rapporto VA/VD sfruttando le leggi delle trasformazioniadiabatiche ed isoterme. Valgono sicuramente:

pAVγA = pBVγ

B

pBVB = pCVC

pCVγC = pDVγ

D

pDVD = pAVA

che possono essere riscritte come:

pAVγA = pBVγ

B

pB = pCVCVB

pC = pDVγ

DVγ

C

pD = pAVAVD

che ci suggerisce di sostituire tutte le pressioni delle ultime tre equazioniper ottenere:

pAVγA = pA

VAVγ−1D Vγ−1

B

Vγ−1C

che si può scrivere come(VAVD

)γ−1

=

(VBVC

)γ−1

ovveroVAVD

=VBVC

che sostituito nel rendimento della macchina di Carnot (7.3.2) restituisceun’espressione molto più semplice:

ηc = 1−Tf

Tc(7.3.3)

È facile notare come questo rendimento sia uguale a quello di una macchi-na di Stirling che lavora tra le stesse due temperature; ci daremo ragionedi questo fatto nei prossimi paragrafi.

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7.3.3 Macchina di Otto (motore 4 tempi)

La macchina di Otto, conosciuta anche come motore a 4 tempi, ancoraoggi alla base della costruzione della maggior parte dei motori a benzina,fu proposta dall’ingegnere tedesco Nikolaus August Otto 5 nel 1876. La 5 (Holzhausen, 1832 - Colonia,

1891)macchina dal punto di vista termodinamico ideale è descritta in figura(7.11).

Figura 7.11: Trasformazioni ter-modinamiche per la macchinadi Otto a 4 tempi A→ B→ C →D → E→ B→ A.

Quando questa serie di trasformazioni termodinamiche è implementataper il funzionamento di un motore a benzina dobbiamo immaginare unsistema come rappresentato in figura (7.12). Descriviamo qui i 4 tempi

Figura 7.12: Il cuore ter-modinamico di un motore ascoppio

della macchina:

• Aspirazione A −→ B: il pistone si trova nella sua posizione più alta,si apre la valvola di aspirazione, viene inserita dal carburatore (o dal-l’impianto di iniezione) il gas (una miscela di aria e benzina nel casodel motore a benzina) a pressione costante in quanto l’apertura dellavalvola mette a pressione atmosferica il gas all’interno del cilindro. Ilgas si espande quindi dal volume V1 al volume V2.

• Compressione B −→ C: si chiude la valvola di aspirazione, il gas al-l’interno del cilindro subisce una compressione dovuta all’inerzia delpistone che nel ciclo ideale possiamo considerare come adiabatica. Inquesta fase non vi è scambio di calore con l’esterno ed il lavoro subitodal gas è dato da L = −∆U = ncv∆T = ncv(TC − TB) < 0

• Scoppio ed espansione C −→ D −→ E: quando il pistone si trova nelpunto più alto una candela posta tra le due valvole scocca una scintilla;la temperatura del gas aumenta molto e molto velocemente (a volu-me costante) provocando la combustione del gas che di conseguenzasi dilata spingendo nuovamente il pistone verso il basso. Nel ciclo

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ideale questa trasformazione può essere di nuovo considerata adia-batica. Nella fase isocora non vi è lavoro ed il gas acquista il caloreQ = ∆U = ncv∆T = ncv(TD − TC) > 0. Nella fase adiabatica il gas siespande senza scambiare calore con l’esterno, dunque compie il lavoroL = −∆U = ncv∆T = ncv(TE − TD) > 0

• Scarico E −→ B −→ A: quando il pistone si trova nella sua posizionepiù bassa, si apre la valvola di scarico permettendo al gas di usciredal cilindro: a volume costante la pressione torna al valore iniziale dipressione atmosferica, di seguito il pistone per inerzia torna verso l’altospingendo il gas fuori dal cilindro. Nella fase isocora il gas non compielavoro, cede il calore Q = ∆U = ncv∆T = ncv(TB − TE) < 0. Nella faseisobara il gas esce dal cilindro e fa tornare il pistone nella posizioneiniziale ed il ciclo può ricominciare dall’iniezione.

Il rendimento termodinamico della macchina si può calcolare sul cicloB −→ C −→ D −→ B:

η = 1− ncv(TE − TB)

ncv(TD − TC)= 1− TE − TB

TD − TC(7.3.4)

Possiamo ottenere una relazione migliore andando a valutare il rappor-to TE/TB ed il rapporto TC/TD sfruttando le leggi delle trasformazioniadiabatiche:

TBVγ−1B = TCVγ−1

C

TEVγ−1E = TDVγ−1

D

Da cui, sapendo che VC = VD VE = VB e dividendo membro a membro leequazioni possiamo ottenere

TBTE

=TCTD

Vale dunque

η = 1− TETD

1− TBTE

1− TCTD

= 1− TETD

Ecco allora che il rendimento della macchina di Otto è più semplice e indipendenza unicamente delle due temperature TB e TD. Usando ancorale equazioni delle trasformazioni adiabatiche possiamo esprimere questorendimento come

η = 1− TETD

= 1−Vγ−1

1

Vγ−12

in unica dipendenza dei due volumi V2 e V1, la geometria del cilindro e deltipo di gas γ = cp/cv. Il rapporto r = V2/V1 viene solitamente chiamatorapporto di compressione e di conseguenza il rendimento si esprime come

η = 1− r1−γ (7.3.5)

7.3.4 Macchina Diesel

La macchina Diesel, brevettata nel 1892 da Rudolf Diesel 6, si differen- 6 (Parigi, 1858 - canale dellamanica, 1913)zia dal punto di vista termodinamico dal motore Otto per la modalità di

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Termodinamica

scoppio del gas, come descritto dal grafico (7.13). La combustione del gasin un ciclo Diesel non viene innescata dalla scintilla di una candela madalla compressione del gas stesso. La fase di scoppio (l’isocora del cicloprecedente) in questo caso viene sostituita con un’espansione isobara.

Figura 7.13: Ciclo termodinami-co Diesel 4 tempi A→ B→ C →D → E→ B→ A.

Con un’analisi analoga a quella fatta per il ciclo Otto possiamo trova-re il rendimento termodinamico della macchina Diesel in funzione delletemperature TB,TC,TD,TE:

η = 1− cv

cp

TE − TBTD − TC

Per riscrivere in modo più semplice questo rendimento è convenienteesplicitare il rapporto di compressione r = V2/V1 ed il rapporto di com-bustione c = V3/V2 per poi ottenere il rendimento

η = 1− r1−γ cγ − 1γ(c− 1)

(7.3.6)

7.3.5 Macchina Frigorifero

Definiamo macchina frigorifero una macchina termica il cui effetto è quel-lo di assorbire calore da una sorgente ad una temperatura Tf e cederlo aduna sorgente Tc, con Tc < Tf subendo una certa quantità di lavoro L, cheper il primo principio della termodinamica è dato da L = Qa − Qc. Pen-sandoci bene questo ciclo termodinamico descrive proprio ciò che accadenel frigorifero di casa nostra: è un elettrodomestico che prende calore daun ambiente freddo (l’interno del frigorifero) e lo cede all’esterno (il retrodei nostri frigoriferi ha solitamente una serpentina che si scalda con l’usodel frigorifero) subendo il lavoro fornito dalla rete elettrica di casa.

Figura 7.14: Ciclo frigorifero, ilpassaggio di calore dalla tempe-ratura più fredda Tf e la tempe-ratura più calda Tc, subendo illavoro L

Nel caso delle macchine frigorifere non si parla di rendimento termo-dinamico ma di coefficiente di prestazione k, che esprime la quantità dicalore ceduto alla sorgente calda rispetto al lavoro subito:

k =Qc

L(7.3.7)

Applicazione comune del modello frigorifero, sono le pompe di calore:strumenti che vediamo abitualmente nelle case e che chiamiamo solita-mente condizionatori elettrici. Essi spostano calore da una sorgente atemperatura minore ad una a temperatura maggiore sfruttando il lavorodella rete elettrica: possono essere usati per scaldare l’interno di un edi-ficio d’inverno, prendendo il calore dall’esterno e cedendolo all’interno,o per raffreddarlo d’estate, prendendo il calore dall’interno e cedendoloall’esterno.

7.4 Secondo principio della termodinamica

Il secondo principio della termodinamica può essere espresso in diver-se forme, come vedremo nei prossimi paragrafi, ognuna della quali ri-porta sempre allo stesso concetto: qualsiasi macchina termica possiamoinventarci, il budget energetico dell’universo sarà sempre a favore della

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Termodinamica

dispersione di energia in calore. Applicato alla nostra esperienza quo-tidiana7 questo principio può sembrare ovvio e per nulla fondamenta- 7 le automobili spostandosi im-

mettono calore nell’atmosferasotto forma di gas, così cometutti gli impianti industriali; icomputer ed i telefoni che usia-mo ogni giorno emettono ca-lore nell’ambiente, riflettendocibene qualsiasi azione facciamoprovoca un surriscaldamento inqualche parte dell’ambiente incui siamo.

le, ma di fronte ad un’attenta analisi che cercheremo di impostare quici accorgeremo dell’importanza concettuale che si cela dietro a questaconsiderazione.

7.4.1 Enunciati di Clausius, Kelvin-Planck e loro equivalenza

Enunciato di Clausius Non si può costruire una macchina termica il cuiunico risultato sia quello di trasferire calore da una sorgente fredda aduna sorgente calda.

Enunciato di Kelvin-Planck Non si può costruire una macchina termicail cui unico risultato sia quello di produrre lavoro assorbendo calore daun’unica sorgente.

Equivalenza dei due enunciati Per dimostrare l’equivalenza dei due enun-ciati procederemo con una dimostrazione per assurdo nel seguente modo:invece di dimostrare che l’enunciato di Clausius (Cl) implica l’enuncia-to di Kelvin-Planck (KP) Cl =⇒ KP e viceversa KP =⇒ Cl dimostre-remo che la negazione dell’enunciato di Clausius (nCl) implica la ne-gazione dell’enunciato di Kelvin-Planck (nKP) nCl =⇒ nKP e viceversanKP =⇒ nCl.

nCl =⇒ nKP

Figura 7.15: Collegamen-to di una macchina termicadi Kelvin-Planck con unamacchina non-Clausius

Immaginiamo di avere a disposizione una macchina termica che neghil’enunciato di Clausius e di collegarla ad una macchina termica che in-vece rispetta l’enunciato di Kelvin-Planck come in figura (7.15). L’effettonetto della macchina in figura è quello di assorbire una quantità di caloreQ2−Q1 dalla sorgente calda, producendo un lavoro L senza cedere calorealla sorgente fredda: negando l’enunciato di Clausius siamo riusciti a ne-gare l’enunciato di kelvin-Planck costruendo una macchina termica il cuiunico risultato è quello di produrre lavoro assorbendo calore da un’unicasorgente!

nKP =⇒ nCl

Figura 7.16: Collegamento diuna macchina termica di Clau-sius con una macchina non-Kelvin-Planck

Immaginiamo ora di avere a disposizione una macchina termica che neghil’enunciato di Kelvin-Planck e di collegarla ad una macchina termica cheinvece rispetta l’enunciato di Clausius come in figura (7.16). L’effetto nettodella macchina in figura è quello di trasferire il calore Q2 da una sorgentefredda ad una calda senza subire lavoro dall’esterno: negando l’enunciatodi Kelvin-Planck siamo riusciti a negare l’enunciato di Clausius costruen-do una macchina termica il cui unico risultato è quello di trasferire caloreda una sorgente fredda ad una sorgente calda!

7.4.2 Enunciato di Carnot ed entropia

7.4.2.1 Enunciato di Carnot

Non si può costruire una macchina termica che lavora tra due sorgenti conrendimento superiore al rendimento della macchina di Carnot che lavora

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Termodinamica

tra le medesime sorgenti:η ≤ ηc

Ogni macchina termica reversibile8 che lavori tra due sorgenti termiche 8 definiamo macchina termicareversibile una macchina ter-mica in cui ogni stato delgas è perfettamente conosciu-to, ciclo che quindi può esse-re percorso in entrambi i sen-si (orario ed antiorario nel pia-no di Clapeyron per esempio).In generale una macchina re-versibile è un’idealizzazione diuna macchina termica, che puòessere approssimata con tra-sformazioni quasi-statiche, mamai realizzata perfettamente innatura.

inoltre ha rendimento pari al rendimento della corrispondente macchinadi Carnot:

ηirrev < ηrev = ηc < 1 (7.4.1)

7.4.2.2 Entropia termodinamica

Nel caso della macchina di Carnot (e quindi di una qualsiasi macchinatermica reversibile) è interessante studiare l’uguaglianza tra il rendimentogenerale in funzione del calore scambiato ed il rendimento particolare infunzione delle due temperature delle sorgenti:

1− Qc

Qa= 1−

Tf

Tc=⇒ Qa

Tc=

Qc

Tf(7.4.2)

Questa semplice relazione matematica ci dice come se è vero che la quan-tità di calore assorbita dalla sorgente calda è maggiore della quantità dicalore ceduta alla sorgente calda (ed è bene che sia così da un punto divista tecnologico, perché genera lavoro meccanico) è altrettanto vero chela quantità definita dal rapporto tra il calore scambiato e la temperaturadella sorgente con cui lo ha scambiato è una costante. Ecco allora comead un fisico che osserva questi calcoli viene il dubbio che questa quantità,che si conserva in un ciclo di Carnot, possa essere una quantità interes-sante dal punto di vista termodinamico. Definiamo allora come entropiatermodinamica9 la seguente quantità S: 9 Introdotta per la prima vol-

ta da Clausius nel 1864 (Clau-sius, 1864), che prese spunto dauna parola greca che significatrasformazione per definire unagrandezza fisica che egli inter-pretò come la traccia di ogni tra-sformazione termodinamica innatura.

∆S =QT

(7.4.3)

In questo modo possiamo riscrivere l’enunciato di Carnot nel seguentemodo:

∆S = 0 (7.4.4)

Ovvero che la variazione di entropia di un gas che subisce un ciclo ter-modinamico reversibile chiuso è uguale a zero. L’entropia viene definitaper differenze: ogni qual volta si scambia calore con una sorgente ad unacerta temperatura avviene una variazione di entropia del gas: aumenta seil calore è assorbito, diminuisce se il calore è ceduto. L’unità di misuradell’entropia è il rapporto tra Joule e Kelvin (J/K). È importante ed inte-ressante notare come l’entropia sia una funzione di stato termodinamica,una funzione che dipende solo dai parametri di stato: in un percorso chiu-so nel piano di Clapeyron infatti la variazione di entropia è nulla, comesi può notare dall’equazione (7.4.2). Questa osservazione è interessanteper il calcolo dell’entropia in una data trasformazione: la sua variazio-ne non dipende dalla serie di trasformazioni che possiamo fare, ma solodallo stato iniziale e dallo stato finale del gas. Supponiamo quindi che ilgas passi da un generico stato A ad un generico stato B con una trasfor-mazione reversibile: per calcolare la variazione di entropia del gas non èevidentemente utilizzabile la formula (7.4.3) in quanto gli scambi di calore

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Termodinamica

non avvengono a temperatura costante. Gli unici due casi semplici sono ilcaso isotermo appunto in cui si può applicare la formula ed il caso adia-batico in cui non essendoci scambio di calore l’entropia rimane costante.Nel caso più generale dal punto di vista concettuale occorre dividere ilpercorso in moltissimi tratti quasi-statici per cui sia possibile pensare cheil trasferimento di calore avvenga a temperatura costante, e sommare poitutti questi contributi; dal punto di vista matematico questo corrispondea risolvere un integrale di cui diamo qui solo il risultato:

∆S = S(B)− S(A) = ∑i

QiTi

= ncv ln(

TBTA

)+ nR ln

(VBVA

)(7.4.5)

7.4.2.3 Disuguaglianza di Clausius

Nel caso in cui un ciclo termodinamico non sia reversibile non possia-mo calcolare la variazione di entropia delle trasformazioni del ciclo comesommatoria dei diversi rapporti tra i calori scambiati e le temperature acui sono stati scambiati, ma possiamo sempre ottenere una relazione perquesta sommatoria che chiamiamo disuguaglianza di Clausius:

∑i

QiTi

< 0 (7.4.6)

7.4.2.4 Entropia di sistemi isolati, universo e morte termica dell’universo

Consideriamo un sistema termodinamico isolato, che non scambia calorecon l’esterno, ed immaginiamolo cambiare il suo stato da A a B attraversouna trasformazione reale irreversibile: non possiamo dunque applicarel’equazione (7.4.5) per calcolare l’eventuale variazione di entropia nellatrasformazione considerata. La situazione è schematizzata in figura (7.17).

Figura 7.17: La zona ombreg-giata indica una trasformazio-ne irreversibile, in cui non co-nosciamo di preciso lo statodel gas in ogni istante dellatrasformazione

Sicuramente per quanto detto in precedenza vale (7.4.6), che possiamodividere in due parti:(

∑i

QiTi

)A→B

+

(∑

i

QiTi

)B→A

< 0

E, siccome la trasformazione B → A è reversibile il secondo addendo èproprio S(A)− S(B) e si ha(

∑i

QiTi

)A→B

+ S(A)− S(B) < 0

ovvero

S(B)− S(A) >

(∑

i

QiTi

)A→B

Ma se il sistema è isolato come da ipotesi significa che il gas non scambiacalore con l’esterno e dunque si ha sempre

S(B) > S(A) (7.4.7)

Questo significa che l’entropia di un sistema isolato aumenta sempre, ognivolta che si compie una trasformazione termodinamica irreversibile al suo

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Termodinamica

interno, e siccome come abbiamo già visto in precedenza se compiamo tra-sformazioni reversibili l’entropia non varia possiamo dire che In un siste-ma termodinamico isolato l’entropia non può mai diminuire, qualsiasitrasformazione accada, ed ogni qual volta si compie una trasformazioneirreversibile essa aumenta sempre. Il sistema isolato che più caratterizzalo studio della fisica e stimola l’intelletto umano è sicuramente l’universointero. Con il passare del tempo e lo svolgersi delle trasformazioni ir-reversibili reali all’interno dell’universo l’entropia tenderà sempre ad au-mentare, tutta l’energia tenderà a dissiparsi in calore e la temperatura aduniformarsi in tutto lo spazio disponibile: i fisici del tempo previdero cosìla morte termica dell’universo. In realtà la cosmologia moderna prevedediversi fenomeni ed il futuro dell’universo non è così certo come potrebbesembrare dal secondo principio della termodinamica.

7.4.2.5 Espansione libera di un gas

L’esempio più comune che viene fatto di un sistema chiuso in cui l’en-tropia aumenta è l’espansione libera di un gas. Immaginiamo di avereun gas all’interno di una stanza di volume fissato isolata termicamentedal resto dell’universo, all’interno della quale vi è una piccola boccetta digas che ad un certo punto viene aperta. Quello che possiamo dire spe-rimentalmente e dalla nostra esperienza quotidiana, è che il gas per suanatura si distribuisce nella stanza in modo uniforme, occupando tutto ilvolume a sua disposizione. Questa trasformazione si chiama espansionelibera in quanto il gas non scambia calore con l’esterno né compie lavorosulle pareti della scatola: per il primo principio della termodinamica noncambia nemmeno la sua energia interna, la sua temperatura finale è quin-di uguale alla sua temperatura finale. Nel piano di Clapeyron dunque,pur non conoscendo i dettagli della trasformazione realmente avvenuta,possiamo dire che i due punti iniziale A e finale B si trovano sulla stessacurva isoterma alla temperatura TA, come mostrato in figura (7.18).

Figura 7.18: Espansione liberadi un gas perfetto

Da quanto detto in precedenza quindi possiamo calcolare la variazionedi entropia del sistema usando la legge (7.4.5) sapendo che la temperaturafinale ed iniziale sono uguali tra loro. A seconda della grandezza dellaboccetta dunque ci sarà una certa variazione di entropia del sistema, chesicuramente però sarà positiva10:

10 Il logaritmo di una quantitàmaggiore di 1 è sempre positivo∆S = ncv ln

(TBTA

)+ nR ln

(VBVA

)= nR ln

(VBVA

)> 0

7.4.2.6 Entropia e freccia del tempo

L’entropia spesso viene considerata come freccia del tempo, indicatoredella successione degli eventi che avvengono in natura. Molti fenomenimeccanici sono simmetrici rispetto al tempo: immaginando di guardarel’urto tra due palline non possiamo pensare di scoprire se stiamo guar-dando un fenomeno dal passato verso il futuro o viceversa; guardando unprocesso termodinamico invece abbiamo il modo per scoprire la direzio-ne del tempo, dire se stiamo guardando il fenomeno dal passato verso ilfuturo o viceversa: se l’entropia sta aumentando il sistema sta evolvendosicuramente dal passato verso il futuro! In fisica si parla spesso di questa

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simmetria (o non simmetria) rispetto al tempo, si parla di simmetria T:esistono importantissimi teoremi e ricerche di fisica delle particelle chemirano a studiare la simmetria rispetto al tempo o la sua violazione.

7.4.2.7 Entropia statistica e disordine

La definizione statistica di entropia fu introdotta da Ludwig Boltzmann11 11 La cui definizione si trovaanche incisa sulla tomba delloscienziato austrico a Duino, vi-cino a Trieste dove si tolse la vitadurante una vacanza nel 1906

alla fine del diciannovesimo secolo (Boltzmann, 1877). L’idea che Boltz-mann propose è la seguente: l’entropia di un sistema è legata alla pro-babilità che ha un determinato stato di esistere. Questa definizione si èsviluppata nel contesto della meccanica statistica , trova senso nella de-scrizione microscopica di un gas e dà origine al concetto di entropia comedisordine. Il significato di disordine che si lega a quello di entropia non èdi senso comune ed è strettamente legato alla meccanica statistica: tantopiù la configurazione è probabile quanto più è disordinata e con entropiaelevata. La famosa equazione di Boltzmann è la seguente

S = k ln(W(A)) (7.4.8)

dove k è la costante di Boltzmann e W(A) è il numero di microstati del gasche generano lo stato termodinamico A. Possiamo fare un esempio moltosemplice e schematico, ma significativo per la comprensione di questadefinizione di entropia. Immaginiamo di avere una scatola con al suointerno 4 particelle di gas ed una parete di separazione nel mezzo dellascatola. In figura (7.19) mostriamo le possibili configurazioni in cui il gas

Figura 7.19: Microstati possibi-li per 4 particelle in una scatolacon due spazi disponibili

può disporsi nella scatola: lo stato macroscopico con più microstati che lodefinisce è quello in cui ci sono due particelle da una parte e dall’altra;per la statistica è lo stato più probabile, per la definizione di Boltzmannè lo stato con maggiore entropia, per esperienza è lo stato in cui un gastende ad evolvere liberamente, qualsiasi fosse la sua condizione iniziale!

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7.5 Esercizi

1. Quanto calore è necessario affinché un kilogrammo di ghiaccio alla temperatura T = 250 K evaporicompletamente?

[Q = 3, 1× 106 J]

2. Un litro di gas perfetto raddoppia la sua pressione a temperatura costante, quale sarà il suo volumealla fine della trasformazione?

[V = 0, 0005 m3]

3. Che volume occupa una mole di gas perfetto alla temperatura T = 300 K che si trova alla pressioneatmosferica?

[V = 0, 025 m3]

4. Di quanto varia in percentuale la temperatura di un gas perfetto durante un’espansione isobara dalvolume iniziale V1 = 5 l al volume finale V2 = 8 l?

[varia del 60%]

5. Un gas perfetto in equilibrio alla pressione atmosferica in un contenitore di volume V = 2 m3 si trovaalla temperatura T = 200 K. Quante moli di gas sono contenute nel contenitore?

[n = 122 mol]

6. Il tappo di una bottiglia da un litro sopporta al massimo una pressione di 50 atmosfere. All’internodella bottiglia si trovano 3 moli di gas perfetto alla temperatura T = 300 K. Il tappo manterrà la botti-glia chiusa o verrà scoperchiato dalla pressione del gas?

[No, la pressione del gas è P = 74 atm]

7. Ad un cubetto di ghiaccio di massa m = 300 g alla temperatura t = −20 vengono fornite 300kcal.Quale sarà la situazione finale del cubetto di ghiaccio?

[Evapora tutto]

8. Quanta massa di ghiaccio alla temperatura di passaggio di stato verrà fusa con la quantità di calorenecessaria per far evaporare 1 g d’acqua?

[m = 7 g]

9. A che temperatura si troveranno 5 moli di gas perfetto che subiscono una trasformazione isocora dallasituazione iniziale PA = 3 atm, TA = 200 K fino alla situazione finale in cui PB = 10 atm? E se le molidi gas fossero state 2, cosa sarebbe cambiato?

[T = 667 K, indipendentemente dalle moli di gas]

10. Si calcoli la quantità di aria (in moli) presente in un’aula scolastica. Si supponga che la stanza sialarga 5 metri, lunga 6 metri, altra 3 metri, che la pressione sia quella atmosferica e che la temperaturasia primaverile (t = 23C). Come cambia questo numero d’inverno senza riscaldamento nella stanza(t = 3C)? Si supponga che l’aria che respiriamo sia un gas perfetto.

[n = 3706 mol in primavera; n = 3975 mol in inverno]

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Termodinamica

11. Si calcoli la velocità quadratica media di una certa quantità di idrogeno molecolare (H2) allo statogassoso ed alla temperatura T = 300 K.

[vqm = 2500 m/s]

12. Si calcoli l’energia cinetica media di una certa quantità di elio gassoso (He) alla temperatura T = 0C

[Ec = 5, 6× 10−21 J]

13. Che tipo di gas ha, alla temperatura T = 300 K, un’energia cinetica media Ec = 1, 449× 10−20 J?

[Triatomico]

14. Che pressione imprimono sulle pareti del contenitore in cui si trovano 5 moli di un gas monoatomicodi densità d = 5× 10−25 kg/m3 e velocità quadratica media vqm = 1000 m/s?

[P = 5 atm]

15. Un mole di gas monoatomico si trova alla temperatura Ti = 20C. Se un certo macchinario compieun lavoro L = 100 J sul gas, a quale temperatura si troverà il gas, potendo trascurare qualsiasi tipo didispersione?

[T = 301 K]

16. Qual è la temperatura di una mole di gas descritto dal punto (1; 2× 104) nel Piano di Clapeyron? Siassumano le unità di misura del SI.

[T = 2407 K]

17. Si studi l’energetica del ciclo termodinamico descritto in figura (7.20). Si assuma n = 3 mol. Inparticolare si trovi il lavoro fatto dal gas nel ciclo.

Figura 7.20: Il ciclo segue lasequenza A→ B→ C → D

[L = 966 J]

18. Si studi l’energetica del ciclo termodinamico descritto in figura (7.21). Si assuma n = 1 mol. Inparticolare si trovi il lavoro fatto dal gas nel ciclo ed il calore assorbito.

[L = 570 J; Q = 2570 J]

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Termodinamica

Figura 7.21: Il ciclo segue lasequenza A→ B→ C → D

19. Quanto calore serve affinché, in una trasformazione isocora, la temperatura di una mole di gas per-fetto monoatomico aumenti la sua temperatura da T1 = 200 K a T2 = 600 K?

[Q = 4986 J]

20. Qual è l’energetica del ciclo termodinamico descritto in un piano di Clapeyron (V(m3); P(Pa)) dauna circonferenza di centro C(3; 30000) e raggio r = 10? In particolare si trovi il lavoro fatto dal gasnel ciclo ed il calore assorbito.

[L = 314 J; Q = 314 J]

21. Si calcoli il rendimento del ciclo termodinamico dell’esercizio (17)

[η = 30%]

22. Si calcoli il rendimento del ciclo termodinamico dell’esercizio (18)

[η = 25%]

23. Si calcoli il lavoro fatto da 5 cicli di una macchina ideale di Carnot dal rendimento ν = 60%, cheassorbe Q = 500 J dalla sorgente calda.

[L = 1500 J]

24. Si calcoli la variazione di energia interna di 10 moli di gas perfetto biatomico che subiscono unatrasformazione isobara dallo stato (5; 2) nel piano di Clapeyron (V(l); P(atm)) fino allo stato (9; 2).

[∆U = 20 atm l ]

25. Si risolva l’esercizio (24) nel caso in cui il gas sia monoatomico.

[∆U = 1200 J]

26. Si calcoli il lavoro fatto da una mole di gas monoatomico perfetto in un’espansione adiabatica chetriplichi il volume del gas a partire dallo stato (2; 5) nel piano di Clapeyron (V(l); P(atm)).

[L = 791 J]

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Termodinamica

27. Si calcoli la variazione di energia interna di due moli di gas biatomico che passi dalla temperaturaT1 = 200 K alla temperatura T2 = 350 K.

[∆U = 6233 J]

28. Si calcoli il calore ceduto alla sorgente fredda di una macchina di Carnot di rendimento η = 0, 7, seil lavoro della macchina è pari a L = 500 J.

[Q = 214 J]

29. Si calcoli il calore assorbito da una mole di gas perfetto che percorra un ciclo definito dal triangoloABC nel piano di Clapeyron (V(m3); P(Pa)) definito da A(2; 20000), B(4; 20000) e C(3; 40000).

[Q = 20000 J]

30. Un cilindro di volume V = 1, 5 m3 chiuso ermeticamente contiene due moli di gas biatomico allatemperatura T = 300 K. Quale temperatura raggiungerà il gas se dall’esterno si fornisce Q = 4000 J dicalore?

[Tf = 396 K]

31. Si calcoli la variazione di entropia del gas nella trasformazione descritta nel problema (30)

[∆S = 11, 5 J/K]

32. Si calcoli la variazione di entropia di una mole di un gas perfetto monoatomico che si espande libe-ramente fino a triplicare il suo volume.

[∆S = 9, 1 J/K]

33. Si calcoli la variazione di entropia dell’universo nello scioglimento di un cubetto di ghiaccio di massam = 200 g alla temperatura di fusione messo a contatto con una sorgente a temperatura Ts = 300 K.

[∆S = 22 J/K]

34. Si calcoli la variazione di entropia di una mole di gas perfetto monoatomico che subisce una trasfor-mazione irreversibile dal punto (2; 6) al punto (3; 4) nel piano di Clapeyron (V(l); P(atm)).

[∆S = 3, 4 J/K]

35. Una macchina di Carnot lavora tra due sorgenti costituite l’una da un enorme blocco di ghiaccio aTf = 0C, l’altra da un’enorme quantità di acqua in ebollizione. Si calcoli il rendimento della macchinadi Carnot ed il lavoro svolto quando si è fusa una quantità di ghiaccio m = 10 Kg.

[η = 27%; L = 1, 2× 106 J]

36. Una certa quantità di gas perfetto, inizialmente nello stato con pressione pari a 101 kPa, volume paria 25 l e temperatura pari a 300 K, subisce due trasformazioni successive. Dapprima la temperatura au-menta a pressione constante, raggiungendo il valore di 400 K. Successivamente la temperatura rimanecostante, mentre il volume viene dimezzato. Dopo aver rappresentato le trasformazioni sul piano diClapeyron, si determinino i valori finali delle variabili che descrivono lo stato del gas.

[P3 = 202 kPa; V3 = 17 l; T3 = 400 K, n = 1 mol]

37. Un motore termico di rendimento η = 25% produce 18,3 kJ di lavoro. Quanto calore deve assorbireper svolgere tale lavoro?

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 148

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Termodinamica

[Q = 73200 J]

38. Si calcoli l’aumento di entropia dell’universo quando 10 g di ghiaccio a 273 K sciolgono in 100 kgd’acqua a 293 K. Si supponga che la temperatura dell’acqua rimanga costante.

[∆S = 0, 83 J/K]

39. Un ragazzino lancia una palla di massa m = 200 g con una velocità iniziale v0 = 50 m/s. Di quantoè aumentata l’entropia nell’universo quando la pallina si ferma dopo il lancio? Si supponga che latemperatura dell’ambiente in cui il ragazzino lancia la palla sia T = 290 K

[∆S = 0, 86 J/K]

40. A un tizio scivola di mano un oggetto di massa m = 2 kg da un’altezza h = 1, 3 m in una giornatadi sole (t = 30 C). Di quanto aumenta l’entropia dell’universo quando l’oggetto è caduto a terra?

[∆S = 0, 08 J/K]

41. Describe the energetic balance in a ciclic process ABCD:

• AB adiabatic process: TA = 300K, TB = 400K, VA = 2lt, VB = 1lt

• BC isothermal process: VC = 3lt

• CD adiabatic process

• DA isothermal process

Assume 10 moles of a monoatomic gas. Show the process in the Clapeyron plane.

[L = 34 kJ; Q = 34 kJ]

42. Find the work done by one mole of monoatomic ideal gas in the cycle described in fig.7.22. In whichof these processes the gas gains/yields heat?

Figura 7.22: The cycle followsthe sequence A→ B→ C → A

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 149

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Termodinamica

[L = 1200 J ]

43. Six moles of a biatomic ideal gas changes its state gaining 40J of internal energy and 100J of heat.What is the amount of work done by the gas? What happens if the gas would be monoatomic insteadof biatomic?

[L = 60 J]

44. One mole of a monoatomic ideal gas expands isobarically gaining ∆U = 10J of internal energy. As-suming that it expansion is ∆V = 10l, what is its pressure?

[P = 667 Pa]

45. Find the work done by one mole of monoatomic ideal gas in the cycle described in fig.7.23. In whichof these processes the gas gains/yields heat?

Figura 7.23: The cycle followsthe sequence A → B → C →D → A

[L = 1600 J]

46. One mole of a monoatomic ideal gas at temperature T1 = 230K compresses adiabatically to a tem-perature T2 = 300K. Find the work done by the gas. If the gas was initially occupying a volumeV1 = 10m3, find V2.

[L = −873 J, V2 = 6.7 m3]

47. Ten moles of a monoatomic ideal gas at temperature T1 = 260K, and volume V1 = 20l expandsisobarically to a volume V2 = 40l. Then it is compressed (adiabatically) back to V1. Finally it returnsto the first state. Draw the cycle in the Clapeyron plane, find the work done by the gas in the cycle,verifying the first law of thermodynamics.

[L = −16668 J]

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 150

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Termodinamica

48. Find the work done by one mole of monoatomic ideal gas in the cycle described in fig.7.24. In whichof these processes the gas gains/yields heat? Find ∆UA→D.

Figura 7.24: The cycle follows

the sequence A isoth.−−→ B →C isoth.−−→ D

[L = 520 J,∆UA→D = 300 J]

49. Find the entropy change of three moles of monatomic gas that performs a transformation isobaricstarting from (4 l; 2 atm) and doubling its volume.

[∆S = 43 J/K]

50. Find the entropy change of two moles of diatomic gas that performs a reversible transformation fromA to B: TA = 200 K, VA = 80 m3, TB = 400 K and VB = 10 m3.

[∆S = −5, 8 J/K]

Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 151

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Bibliografia

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Francesco Saitta, Pordenone Settembre 2019 153