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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI CORSO ABILITANTE CLASSE DI CONCORSO A049 Fondamenti di Fisica Moderna Professori Fedele Lizzi Francesco Nicodemi Particelle e campi di forze Coscione Ester Malerba Antonia Verrone Maria Giuseppa pag. 1

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE E NATURALI

CORSO ABILITANTE CLASSE DI CONCORSO A049 Fondamenti di Fisica Moderna

Professori

Fedele Lizzi

Francesco Nicodemi

Particelle e campi di forze

Coscione Ester Malerba AntoniaVerrone Maria Giuseppa

pag. 1

Premessa

Dal punto di vista didattico il concetto di campo crea sempre molte difficoltà negli

studenti. Soprattutto essi non capiscono perché sia necessario introdurre questo concetto.

Ripercorrere storicamente le motivazioni con cui si è arrivati a questo rivoluzionario

concetto può aiutare a meglio comprenderlo e giustificarlo.

Lo studio dell’evoluzione del concetto di campo non si impone tuttavia soltanto perché può

fornire un aiuto didattico ma mostra anche come il procedere della scienza non sia lineare e

soltanto cumulativo,ma è provvisorio e in continua evoluzione.

La possibilità di suscitare interesse sia culturale che di ricerca nei giovani è legata

spesso alla capacità di entusiasmare, di far appassionare, di incuriosire del docente.

E’ sperimentato che parlare dei protagonisti della Fisica affascina gli alunni. Essi sono

interessati a conoscere chi erano questi uomini dal punto di vista umano, quali erano le loro

aspirazioni, le loro concezioni, i loro valori, cosa li spingesse a intraprendere le loro ricerche

e le difficoltà umane e sociali che hanno dovuto affrontare.

Inoltre potrebbe essere utile porre agli allievi delle domande di stimolo.

Ad esempio si potrebbe chiedere loro cosa intendiamo precisamente quando diciamo

che “c’è campo” quindi che il telefonino “prende” e spiegare poi che equivale a dire che ci

troviamo in una zona geografica in cui il campo elettromagnetico è ottimale cioè le onde

elettromagnetiche prodotte dal generatore possono essere percepite dagli strumenti

tecnologici che portiamo con noi , in primis i telefoni cellulari.

La nozione di campo viene così vista come una conoscenza di base utile ed attuale

riuscendo in tal modo ad aumentare notevolmente l’interesse e la curiosità degli alunni

stessi.

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Critica del concetto di forza; campi

Uno dei concetti chiave della meccanica classica, che tuttora continua ad avere

numerose applicazioni, è quello di “forza”. Per altri aspetti, tuttavia, è stato sottoposto a una

serrata critica dalla fisica moderna che in alcuni settori l’ha sostituito definitivamente con il

concetto di campo. Vediamo perché.

Nel modo in cui sono state introdotte da Newton,le forze fanno sentire il loro effetto a

qualsiasi distanza e istantaneamente. Ciò vuol dire che nell’istante preciso in cui si pone

una massa A a una certa distanza da un’altra, quest’ultima dovrebbe subire una forza

gravitazionale. In pratica,secondo la fisica newtoniana, il tempo necessario a un corpo A per

accorgersi della presenza di un altro corpo B ,è zero.

Ma supponiamo che A avverta la presenza di B perché capta un segnale emesso da

B:se il tempo necessario perché A si accorga di B è zero,vuol dire che il segnale si propaga

con velocità infinita. Ora è dimostrato sperimentalmente che anche la luce-che è il segnale

che si propaga con la massima velocità nota-viaggia tuttavia con una velocità

finita(c=300.000 km/s nel vuoto).

Per capire che una perturbazione (quindi una forza) si propaga con una velocità non

infinita,basta pensare ad un esempio semplicissimo che di fatto è applicabile ad ogni tipo di

interazione.

Poniamo due pezzi di sughero A e B sulla superficie dell’acqua contenuta in una

vasca;quando tutto è perfettamente fermo ,immergiamo uno dei due sugheri(ad esempio A)

lasciandolo poi immediatamente riemergere. Osserveremo che esso si mette ad oscillare in

superficie emettendo onde che si propagano a cerchio. Quando le onde raggiungono

B,anch’esso si mette ad oscillare; B ”sente” infatti la forza esercitata da A con un certo

ritardo determinato dalla velocità finita con cui le onde si propagano nell’acqua. Possiamo

dire che A e B interagiscono tramite le onde della superficie dell’acqua.

L ‘interazione inoltre prende qui un senso fisico preciso: è qualcosa che si propaga ed

esiste anche se B non c’è. Le forze newtoniane invece si annullano quando non si è in

presenza di due corpi. Infatti ad esempio , la forza

F = G MA MB / r2

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si annulla quando non c’è il corpo A e quindi MA= 0 oppure non c’è il corpo B e quindi

MB=0.

Nel linguaggio della fisica moderna la superficie dell’acqua perturbata dalle oscillazioni di

A viene chiamata campo di A ;questa definizione sottintende che la perturbazione esiste

anche senza B.

Un discorso analogo a quello dei due sugheri nell’acqua,si può fare anche per altri tipi di

forze. L’analogia è valida infatti anche se due corpi si trovano nel vuoto:a ogni forza si può

far corrispondere un campo, che equivale alla trasmissione di un segnale che si propaga in

un fluido, in un solido o nel vuoto. Pensiamo ad esempio a un corpo carico elettricamente;

facendolo oscillare, esso produce una forza elettrica oscillante che può essere rivelata con

un’altra carica posta a distanza. La forza elettrica oscillante (meglio campo oscillante) si

propaga nel vuoto con la velocità della luce. Con questo metodo (cioè facendo oscillare

cariche elettriche) si trasmettono le onde radio: chiaramente non è necessario che ci sia una

radioricevente accesa affinché le onde trasmesse esistano nello spazio!

Ci sembra quindi chiaro che una massa o una carica elettrica o altre entità fisiche provocano

nello spazio circostante delle perturbazioni,le quali si rendono manifeste quando in tale

spazio vengono introdotte altre entità fisiche che siano in grado di recepirle.

Una regione dello spazio, che sia sede di perturbazioni , come abbiamo già detto, viene detta

campo; si parla quindi di campi gravitazionali, campi elettrici, ecc.

Ad esempio, per quanto riguarda la forza gravitazionale F = Gm1 m2/r2 fra due pianeti di

masse m1 ed m2, si può pensare che in realtà esista un campo gravitazionale generato dal

pianeta di massa m1 anche se non c’è il pianeta di massa m2; tale campo a distanza r da m1 si

definisce:

C = Gm1 /r2

Chiaramente quindi campo e forza gravitazionali sono fra loro connessi dalla relazione:

C = F/m2

In modo del tutto analogo si parla di campo elettrico generato dalla carica q1

E = kq1 /r2

tale che

F = kq1 q2 /r2 =q2 E

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Il concetto di campo spesso però fa nascere molte perplessità negli studenti.

Il cammino stesso che nella storia della Fisica ha condotto a tale concetto è stato molto

lungo e controverso.

Un po’ di storia aiuta la comprensione. Nei primi decenni dell’ottocento l’idea di una forza

a distanza era comunemente accettata dalla comunità scientifica. Essa derivava dal grande

successo della fisica newtoniana che imponeva la validità del terzo principio della dinamica.

Fu quindi accettata, più o meno tranquillamente, fino a quando Faraday non iniziò a parlare

di “linee o curve di forza magnetica” e di effetti elettrici e magnetici che coinvolgevano lo

spazio attorno ai magneti o ai corpi carichi. Dopo Faraday, Maxwell riuscì a sintetizzare

tutti i fenomeni conosciuti dell’elettricità e del magnetismo in una teoria del “campo

elettromagnetico, segnando definitivamente il passaggio da un’epoca dominata da una

filosofia dell’azione a distanza all’epoca attuale di teoria di campo.

Ma andiamo per ordine e cerchiamo di analizzare come e perché si è passati da una

concezione all’altra.

Azione a distanza e azione a contatto

Durante il XVII secolo Newton formulò la sua teoria della gravitazione universale.

La formulazione da lui proposta, ricca e affascinante, introduceva però uno schema

interpretativo sconcertante: due masse gravitazionali (ad esempio il Sole e la Terra) si

attraggono reciprocamente (per via di quella che chiamiamo forza di gravità) attraverso un

meccanismo di azione a distanza. Siamo abituati a pensare che per trasmettere una forza ad

un corpo sia necessario un contatto materiale, o diretto, o attraverso un mezzo che possa

trasferire questa forza: ad esempio col piede colpiamo la palla (contatto diretto), con la

mazza da golf colpiamo la pallina (la mazza da golf fa da tramite tra la nostra mano e la

pallina). Il fatto che una forza possa essere trasmessa da un corpo ad un altro senza che

avvenga un contatto è una cosa della quale abbiamo sì esperienza diretta (pensiamo a due

calamite che si respingono o si attraggono a seconda di come sono orientati i loro poli), ma

che mantiene in sé un’aria di mistero. Newton stava sfidando quello che allora era il buon

senso comune (e 2000 anni di filosofia prima di lui) dicendo che due masse gravitazionali

potevano scambiarsi una forza, istantaneamente, e a distanza, senza che vi fosse contatto

meccanico tra di esse.

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Inutile dire che anche quando questo schema interpretativo ha iniziato ad essere

accettato ha comunque lasciato dietro di sé un senso generale di insoddisfazione. Nei

centocinquant’anni successivi, la Meccanica ha subito una profonda e ricca riformulazione

che ha permesso di sostituire il concetto di azione a distanza con un altro, più ricco, più

generale e più aperto a sviluppi teorici successivi: quello di campo.

Definire l’idea di campo è una delle cose più difficili di tutta la Fisica.

Benché esso matematicamente sia ben definito e abbia delle proprietà molto interessanti e

fondamentali, qui vogliamo cercare di capire quale sia il suo significato fisico. Possiamo

dire, per iniziare, che esso è una proprietà dello spazio.

Quando Newton pensava all’attrazione gravitazionale tra Sole e Terra immaginava

uno spazio tridimensionale (che oggi sappiamo essere dotato di proprietà molto particolari,

ad esempio quello di avere una metrica, ovvero la possibilità di misurare in esso delle

distanze) dotato di sole proprietà geometriche (in particolare era dotato di un’estensione

infinita in tre direzioni ortogonali). Nessun’altra proprietà era di competenza dello spazio,

che era solo un contenitore per il Sole e la Terra, che interagivano reciprocamente

scambiandosi una forza con un’azione a distanza. La formulazione analitica della

Meccanica ha permesso di soppiantare il concetto di azione a distanza arricchendo la

struttura dello spazio tridimensionale in cui sono immersi i corpi. Esso, infatti, è dotato non

solo di proprietà geometriche, ma anche di proprietà fisiche che prendono il nome generico

di campi.

Un campo è quindi una proprietà dello spazio che viene modificata da un corpo fisico

immerso in esso dotato di certe caratteristiche.

Ad esempio il Sole ha la caratteristica di essere dotato di una massa, e in virtù di questo

modifica la proprietà campo gravitazionale dello spazio in cui è immerso; la Terra,

trovandosi in un punto del medesimo spazio, ed essendo anch’essa dotata di una massa,

avvertirà nel punto in cui si trova non già un’azione a distanza dovuta al Sole, ma un certo

valore per la proprietà campo gravitazionale, e l’interazione tra la massa della Terra e il

campo gravitazionale nel punto dello spazio in cui essa si trova (e che nel nostro Universo a

due corpi è dovuto al Sole) fa sì che la Terra sia sottoposta ad una forza diretta verso il Sole.

Naturalmente siccome anche la Terra ha una sua massa, anch’essa modifica la proprietà

campo gravitazionale dello spazio, e anche il Sole pertanto avvertirà la presenza della Terra

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non già direttamente, ma attraverso la perturbazione del campo gravitazionale da essa

causato, e con un meccanismo analogo subirà una forza diretta verso la Terra.

Con questo schema interpretativo si rimpiazza il meccanismo di azione a distanza

usato per la prima volta da Newton.

Cambia, quindi, il modo di guardare la realtà:si passa dall’interpretazione meccanicistica dei

fenomeni al concetto più moderno di “campo”.

La concezione meccanicistica comporta una visione corpuscolare della realtà fisica : la

materia è costituita da particelle il cui moto e le cui interazioni sono governate dalla

meccanica newtoniana ( le tre leggi di Newton e per l’interazione gravitazionale la legge di

gravitazione universale) e l’interazione tra particelle avviene secondo le caratteristiche

dell’azione a distanza:

-non richiede un mezzo interposto

-è istantanea (velocità di propagazione infinita)

-è centrale (lungo la congiungente i corpi interagenti).

Quando all’inizio dell’800 si comincia a ritenere che il meccanicismo non sia più adeguato a

descrivere tutti i fenomeni fisici, si va gradualmente delineando un modo diverso di

guardare la realtà fisica,soprattutto un nuovo modo di intendere lo spazio e l’interazione.

Lo spazio da puro contenitore passivo sorta di inerte sfondo-palcoscenico dei fenomeni

naturali comincia a partecipare attivamente ai fenomeni.

L’azione a distanza perde il privilegio di unica categoria che permette di descrivere

l’interazione tra corpi : essa viene affiancata dalla rivale azione a contatto che gode di

caratteristiche diverse:

-necessita di un mezzo (perché agisce per contiguità)

-si propaga con velocità finita

-non è necessariamente centrale.

Nell’ambito dell’azione a contatto , la materia, non è più concepita come granulare,ad

esempio gli atomi sono pensati non più come corpi duri e impenetrabili ma piuttosto come

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dei centri di forza; la luce e il calore non sono più particelle ma sono concepiti come

fenomeni ondulatori.

Linee di forza e campi

Vediamo ora quale è stata la causa storica di questo progressivo slittamento dalle

teorie dell’interazione tramite forze a distanza a quelle tramite campo.

Nel 1820 un’esperienza apparentemente innocua realizzata dal fisico danese Oersted aveva

portato un grande scompiglio nella fisica.

Per la prima volta, dopo 130 anni di rassicuranti azioni ‘rettilinee a distanza’ venne

evidenziata un’azione totalmente differente: un filo conduttore, se disposto parallelamente

ad un ago magnetico, lo vede ruotare di 90° e disporsi perpendicolarmente , quando in esso

viene fatta circolare corrente.

L’esperienza di Oersted sconvolge il quadro newtoniano del meccanicismo e dell’azione a

distanza.

Molti studiosi cercano di ridurre questa nuova esperienza ad azioni di tipo newtoniano tra

cui il francese Ampère che associava all’impostazione newtoniana della scienza una

formazione matematica di prim’ordine.

La fisica dell’inglese Faraday, invece, fu risolutamente antinewtoniana, nel senso che egli

si rifiutò di aderire a quei programmi di ricerca che vedevano nella riduzione alle leggi della

meccanica l'unica forma di spiegazione scientifica. In particolare, egli fu sempre

fermamente convinto che il concetto di azione a distanza era divenuto del tutto

insufficiente, anzi costituisse un vero e proprio ostacolo alla comprensione di una realtà

fisica arricchitasi di nuove determinazioni, grazie all'eccezionale sviluppo della fisica

sperimentale attorno al 1800.

Michael Faraday,fisico e chimico, nato nel 1791 da una povera famiglia che non poteva

neanche permettersi di pagare l'istruzione di base per i figli, è un personaggio unico nella

storia della scienza, un germoglio cresciuto in un terreno arido che ha trovato da solo, dentro

se stesso, le risorse per emergere.

Del tutto autodidatta ha saputo raggiungere, nonostante il suo handicap iniziale, vette

altissime nel campo della ricerca chimica e fisica, grazie alla sua insaziabile curiosità

scientifica e alla rara abilità pratica di cui era dotato. Non è esagerato dire che

probabilmente Faraday è il maggior fisico sperimentale mai vissuto.

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Assunto giovanissimo come apprendista rilegatore, non trova di meglio che passare

le sue (poche) ore libere nel leggere alcuni dei volumi che gli passavano per le mani.

Un articolo sull'elettricità pubblicato sull'Enciclopedia Britannica lo colpisce in modo

particolare, tanto da convincerlo a dedicare la sua vita alla scienza.

Faraday fu il primo a sviluppare l'idea dei campi elettrici e magnetici. Il fatto curioso è che

non avendo sufficienti nozioni di matematica per trattare teoricamente i problemi di campo

non si azzardò ad inserire neppure un'equazione. Tuttavia queste osservazioni sono così

giuste e di tale e fondamentale importanza che successivamente un grande fisico

dell'Ottocento come James Clerk Maxwell, le usò come base per le sue famose equazioni

che descrivono per l'appunto il campo elettromagnetico.

Faraday rifiutava l’idea di una forza che facesse sentire la propria azione a distanza

ed istantaneamente, in quanto incomprensibile ed inaccettabile (opinione condivisa anche

da Huygens, Cartesio, Leibniz e, probabilmente, da Newton).

La novità da lui introdotta era che l’attrazione e la repulsione dovevano coinvolgere coppie

di corpi interagenti secondo le seguenti modalità:

-un corpo A, da solo nello spazio, non produce alcun effetto (attrazione o repulsione)

-accade qualcosa se un secondo corpo B viene introdotto: partendo dalla quiete,A e B si

dirigono l’uno verso l’altro, oppure si allontanano l’uno dall’altro.

Faraday applicò le proprie idee ed esperimenti soprattutto al campo elettromagnetico.

Infatti, se il campo di studio fosse stato la gravitazione, i risultati di laboratorio non

avrebbero condotto alla formulazione del concetto di campo, a causa della scarsa rilevanza

dei risultati sperimentali in quel campo, rispetto a quanto ottenibile ed ottenuto nel caso

elettromagnetico. Inoltre la forza gravitazionale agiva “in linea retta lungo la linea che

congiunge i due corpi”.

Un altro fattore a suo svantaggio in questa fase di ricerca. Egli analizzò , nel 1821,

l’azione scoperta da Oersted e in nessun modo riusciva a convincersi che le azioni tra il filo

conduttore e il magnete potessero essere rettilinee, istantanee e a distanza.

Ciò che più colpiva lo scienziato erano gli effetti di simmetria: se l’ago era disposto sotto il

filo la rotazione avveniva in un senso, sopra il filo la rotazione dell’ago avveniva in verso

opposto.

Dopo una serie di esperienze egli maturò l’idea che le azioni si propagavano lungo linee

magnetiche curve alle quali dette il nome di linee di forza.

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Attraverso l’introduzione delle linee di forza, Faraday riuscì a dare un significato fisico allo

spazio,che in questo modo assumeva caratteristiche e proprietà che potevano essere studiate

e modificate. In poche parole definì il concetto di campo.

Faraday definì “campo” quella zona dello spazio modificata dalla presenza di una fonte che

possiede proprietà descrivibili secondo leggi fisiche. Egli stabilì per il campo due leggi

fondamentali:

-le forze sono sempre tangenti alle linee del campo

-la densità delle linee di forza indica l’intensità della forza.

In questo modo le linee di forza assumono un significato fisico.

Quindi per Faraday i fenomeni non si possono spiegare in termini di azione a distanza tra le

particelle e assegnò il ruolo di “propagatore” alle linee di forza del mezzo interessato. Egli

pose quindi le basi per il moderno concetto di campo che fu poi elaborato da Maxwell.

Lo spazio non è più inizialmente dato e indifferente alle cose, ma svolge un ruolo di

mediatore nell’interazione tra due corpi.

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Il campo per immagazzinare l’energia

Nel 1855, in uno dei suoi ultimi lavori, in cui tenta di convincere i suoi

contemporanei dell'erroneità della teoria dell'azione a distanza, Faraday affronta il tema del

campo in termini di conservazione dell'energia ed in esso sostiene la necessità del campo

perché altrimenti si arriverebbe all'assurdo di creazione o annichilamento di energia.

Secondo la teoria di Newton, due corpi che si attraggono (Sole e Terra, ad esempio) devono

essere considerati, separatamente, come inerti, cioè a ciascun corpo da solo non deve

essere associata alcuna forza. Se ora facciamo interagire i due corpi essi si attraggono a

seguito del fatto che si sarebbe creata nello spazio tra i due quella forza che li tiene uniti. Se,

invece, tolgo uno dei due corpi che stanno interagendo annichilo una forza che

precedentemente li teneva uniti. Questi fatti paiono assurdi e l'unico modo per spiegarli è

ammettere l'ipotesi che ciascuno dei due corpi abbia una preesistente forza (oggi diremmo

energia) che lo circonda e questa forza si diparte da questo corpo occupando l'intero spazio.

Due corpi che si attraggono sono allora due corpi che fanno interagire le loro preesistenti

linee di forza (i loro campi).

Per rendere piu' chiaro agli studenti l'importanza del concetto di campo in relazione

all'energia e alla quantita' di moto che esso trasporta, possiamo ricorrere a qualche esempio.

Tutti noi siamo convinti di saper distinguere nettamente il concetto di "pieno" da quello di

"vuoto". Se consideriamo una scatola piena di caramelle e togliamo le caramelle rimane una

scatola vuota, dentro la quale non c'è niente: c'è il vuoto. Il vuoto è per l’appunto uno spazio

dove non c'è niente. Sembra tutto molto semplice e chiaro, eppure c'è stato chi nei secoli ha

riflettuto a lungo su questa apparente banalità nella convinzione che in realtà qualcosa non

quadrasse. Immaginiamo di trovarci seduti all'aria aperta perfettamente immobili e che l'aria

sia quieta e trasparente: noi non avremmo nessuna percezione dell'esistenza dell'aria stessa.

Se però compiamo un movimento brusco, o semplicemente inspiriamo, o ancor di più se

qualcos'altro intorno a noi si muove ci accorgeremo che c'è qualcosa in cui siamo immersi.

Possiamo paragonare l'aria al vuoto e osservare che essa non ci appare più vuota quando

qualcosa la perturba; una perturbazione,una volta generata, si propaga attraverso l'aria

precedentemente quieta (attraverso il "vuoto") e trasferisce da un punto all'altro un po' di

energia, ossia di capacità di produrre degli effetti fisici. L'aria del nostro esempio ci dà

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un'idea del concetto di campo in fisica. Lo spazio contiene, o meglio, è un campo attraverso

cui si propagano delle perturbazioni che trasferiscono energia. Il vuoto è un particolare stato

del campo che si realizza là dove e quando le perturbazioni siano assenti.

Consideriamo meglio le "perturbazioni" di cui abbiamo parlato prima; ci serviremo

ora dell'immagine della superficie di una distesa d'acqua. Se l'acqua è in quiete potremmo

confondere la sua superficie con quella di una lastra di vetro, ma se la superficie viene in

qualche modo perturbata ad ora nasceranno delle onde. Le onde propagando si trasportano

energia, ossia sono in grado di compiere un lavoro, come si vede, per esempio, dal fatto che

se possono mettere in movimento il corpo galleggiante. Il trasporto di energia è associato

all'intero sistema di onde che può occupare tutta la superficie oppure una parte rilevante di

essa. Se pensiamo ora al moto ondoso in riva al mare è però vero che a volte è possibile

individuare una particolare onda, magari perché increspata di schiuma, e seguirla per un po',

per esempio fin che si frange. Ad una singola così isolata dal sistema ondoso possiamo

allora attribuire, con una certa approssimazione, una posizione, una forma, una massa,una

certa quantità di energia: possiamo insomma pensarla più o meno come un oggetto. Tutto

ciò vale solo per un tempo limitato, fin tanto che l'onda non si frange o non si smorza

confondendosi con le altre. Questa immagine dell'onda singolare ci suggerisce il significato

che possiamo attribuire alle particelle e alla loro relazione con il campo; vediamo in

particolare il nesso strettissimo che vi è tra il concetto di massa è quello di energia.

Tutti gli esempi che abbiamo fatto fin qui hanno solo un valore indicativo e non

possono essere presi troppo alla lettera. In particolare l'immagine del campo come simile

all'aria o l'acqua in cui si propagano delle onde richiama un'idea introdotta nella seconda

metà del secolo scorso per tentare di spiegare la propagazione delle onde elettromagnetiche:

il mezzo ipotetico in cui sarebbe avvenuta la propagazione si chiamava "etere".

Per Maxwell, infatti, l'energia è localizzata in tutto lo spazio ed è tutta di natura

meccanica: egli considera un etere costituito da una enorme quantità di piccolissime cellule

che, all'interno di un campo magnetico, ruotano tutte nello stesso verso attorno ad assi

paralleli alle linee di forza. Egli considera quindi l'energia elettrica come energia

potenziale meccanica e l'energia magnetica come energia cinetica di natura meccanica.

E, come già detto, questa energia meccanica - elettromagnetica risiede in tutto lo spazio e, in

particolari condizioni, si può propagare sotto forma di onde elettromagnetiche. Il mezzo,

l'etere, si può polarizzare in virtù della sua elasticità e quando è polarizzato è in una

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condizione di accumulo di energia potenziale (elettrica) che ridarà, sotto forma di energia

cinetica (magnetica). Lo sviluppo delle conoscenze teoriche e sperimentali della fisica ha

però dimostrato che un "etere" inteso come una sorta di mezzo elastico diffuso ovunque in

realtà non esisteva. Le differenti proprietà del campo (o dei campi) di cui abbiamo parlato

rispetto al vecchio etere si possono esprimere chiaramente solo in termini matematici. Oggi

piuttosto che introdurre nuovi nomi a sostituire l’etere, si usa la parola vuoto, si tratta però

di un "vuoto" che ha una propria realtà ed esistenza.

La realtà fisica in sostanza viene ricondotta a due tipi di entità chiaramente distinte:

le particelle ed i campi. In questa concezione le particelle sono enti dotati di massa,

eventualmente di carica, che, oltre ad occupare una ben precisa posizione nello spazio,

possiedono in ogni istante valori assolutamente definiti dalle grandezze cinematiche

(posizione, velocità ecc.) e dell'energia. Un campo al contrario non possiede alcuna di

queste proprietà: esso è simultaneamente ovunque (ossia occupa nello stesso istante tutto lo

spazio in cui si è esteso) per cui ne consegue, per esempio, che l'energia e la quantità di

moto sono distribuite in tutto il volume in cui il campo esiste.

Quindi, se ci allontaniamo da una sorgente del campo la quantità di energia per unità di

volume diminuisce sempre di più, mentre per una particella l'energia è sempre concentrata

nella particella stessa. In tal senso i fenomeni fisici possono essere divisi in:

● Movimenti di punti materiali nello spazio. Matematicamente le leggi del moto sono

date da equazioni differenziali alle derivate totali (nel tempo), che descrivono il moto

di ciascun punto.

● Evoluzione temporale dello stato dei campi continui. Matematicamente le leggi del moto sono date da equazioni differenziali alle derivate parziali, perché le variazioni di un campo in un punto coinvolgono le variazioni di punti vicini.

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Il campo dalla meccanica all'elettromagnetismo

La potenza e la versatilità del concetto di campo, insieme con l’accuratezza con cui

permette di descrivere i risultati sperimentali, hanno fatto sì che esso sia diventato un

concetto ubiquitario in tutta la Fisica anche contemporanea, facendolo uscire dai confini

della Meccanica in cui è nato, e facendolo ad esempio entrare entro quelli

dell’elettromagnetismo. In maniera assolutamente analoga a quella con cui descriviamo

l’interazione gravitazionale tra due corpi celesti possiamo descrivere l’interazione

elettrostatica tra due particelle elettricamente cariche. Supponiamo di avere una particella

elettricamente carica q che si trova nel punto xq. Tale particella genera il campo elettrico E

nello spazio circostante. Esso è dato dalla seguente espressione:

che ne individua il modulo(essendo E un vettore sarà radiale rispetto alla particella q e il

verso sarà, convenzionalmente, in allontanamento da q se essa ha carica elettrica positiva e

in avvicinamento se essa a carica elettrica negativa). Ora immaginiamo di poter spostare

istantaneamente la particella q dal punto xq al punto x’q. Poniamoci il problema di

determinare quanto vale il campo elettrico in un certo punto x1 .La proprietà campo

elettrico aggiorna il suo valore nello spazio non già istantaneamente, ma richieda un certo

tempo affinché la perturbazione si propaghi. Chiamiamo c la velocità a cui si propaga nello

spazio la perturbazione del campo elettrico, e poniamoci ad un istante di tempo t0 (misurato

a partire dall’istante t = 0 in cui abbiamo spostato la particella q) tale per cui ct0 < (x1 – x’q).

Se però, come dicevamo, il campo elettrico ha una velocità di propagazione c, allora

all’istante t0 solo le regioni di spazio che distano al massimo ct0 da x’q sentiranno il nuovo

valore del campo elettrico. Il punto che si trova in x1 ancora sarà caratterizzato dallo stesso

valore di campo elettrico che aveva prima dello spostamento di q, perché in x1 la perturba-

zione del campo elettrico ancora non è arrivata. Solo per tempi t1 tali per cui ct1 > (x1 - x’q)

anche il punto in x1 avvertirà, tramite il mutato valore del campo elettrico, lo spostamento di

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q in x’q. Ecco un primo vantaggio dell’adottare il concetto di campo rispetto a quello di

azione a distanza: diventa molto più semplice generalizzare la descrizione del problema

ammettendo anche la possibilità che una variazione delle proprietà della sorgente del campo

(in questo caso un suo spostamento) si propaghi a tutto lo spazio non istantaneamente, ma

con una certa velocità. La possibilità offertaci da questo strumento concettuale di prendere

in considerazione questa eventualità è fondamentale, perché sperimentalmente si verifica in

effetti che nel caso elettromagnetico (ma anche in quello gravitazionale) la velocità di

propagazione di un campo non è infinita, ma assume un valore finito di circa 2.9979·108

m/s (che poi sono quei circa 300.000 km/s che tutti conosciamo come valore della velocità

della luce nel vuoto). Perché il campo elettrico (e anche quello gravitazionale) si propaga

proprio a questa velocità e non ad un’altra? Una risposta non c’è, è un dato sperimentale.

Tutto questo ragionamento fatto sul campo elettrico E avremmo potuto farlo sul campo

gravitazionale, ma anche sul campo magnetico H. Diciamo che:

• il campo magnetico H è una proprietà dello spazio, esattamente come il campo elettrico E, e si propaga in esso anche lui a velocità c;

• il campo magnetico H è generato da cariche elettriche in moto; l’esempio più ovvio di una

carica elettrica in moto è una corrente elettrica (ad esempio in un filo di rame) ed è anche la

nostra particella carica q che abbiamo mosso dal punto xq al punto x’q.

Quest’ultimo aspetto è molto interessante: avevamo una carica elettrica in un certo

punto dello spazio, essa generava un certo campo elettrico; poi l’abbiamo spostata, e la

perturbazione del campo elettrico si è propagata nello spazio con velocità c per riflettere la

nuova posizione della particella. Ma per il fatto stesso che essa è una particella carica ed è

stata in movimento, essa ha generato anche un campo magnetico il quale si propaga nello

spazio ancora a velocità c in maniera assolutamente analoga a quanto ha fatto il campo

elettrico, pur avendo un’espressione matematica diversa da questo. La particella carica si

ferma nella sua nuova posizione, e non essendo più in movimento cessa di generare anche il

campo magnetico; tuttavia, durante il movimento, ha prodotto un campo H che si è

propagato progressivamente nello spazio. Se poi tale particella, in virtù di qualche

meccanismo strano, potesse continuare a muoversi indefinitamente, ad esempio oscillando

di moto armonico attorno ad una posizione di equilibrio, genererebbe (essendo carica) una

perturbazione del campo elettrico sinusoidale nel tempo che si propaga nello spazio

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circostante con velocità c. Associata a tale perturbazione, in virtù del fatto che stiamo

parlando di una particella elettricamente carica in moto, avremmo anche una perturbazione

del campo magnetico, anch’essa sinusoidale nel tempo, anch’essa propagantesi con velocità

c nello spazio circostante. Questa perturbazione sinusoidale di E ed H prende il nome di

campo elettromagnetico o onda elettromagnetica.

Un’onda elettromagnetica è costituita da un campo elettrico e un campo magnetico

variabili sinusoidalmente nel tempo lungo direzioni perpendicolari, ed entrambe sono

perpendicolari alla direzione di propagazione; così, nello spazio tridimensionale, un’onda

elettromagnetica può propagarsi lungo l’asse z ed avere il campo elettrico oscillante

sinusoidalmente lungo la direzione dell’asse x e quello magnetico oscillante

sinusoidalmente lungo la direzione dell’asse y.

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La luce: un onda elettromagneticaEsperimento di Young

Uno dei fenomeni fisici in cui è stato fondamentale l'utilizzo del concetto di campo è

il fenomeno fisico dell'interferenza della luce.

L'esperimento di interferenza della luce fu eseguito nel 1801 dal fisico inglese Thomas

Young (1773-1829)che riuscì a misurare, per la prima volta nella storia della fisica, la

lunghezza d'onda della luce.

Il dispositivo originale di Young era molto semplice: in una stanza buia un fascio di

raggi luminosi di un sol colore colpisce il diaframma a sinistra e diffrange passando

attraverso le due strettissime fenditure S1e S2 ( ciò fu fatto da Young per garantirsi la

coerenza dei due fasci di luce uscenti). Per il fenomeno della diffrazione ciascuna delle due

fenditure, investita dall'onda piana, si comporta come una sorgente luminosa. Al di là delle

fenditure emergono due fasci di luce che interferiscono tra loro. La figura d'interferenza che

ne risulta può essere osservata direttamente oppure può essere raccolta su di uno schermo

distante. Se il fascio di luce è di un solo colore, si ottiene comunque un alternarsi di strisce

luminose e di strisce scure. Le strisce luminose sono il risultato dell'interferenza costruttiva

tra le onde emesse dalle due fenditure; invece le strisce scure sono il prodotto

dell'interferenza distruttiva.

La figura che segue fa vedere il modo con cui Young ottenne interferenza con luce rossa monocromatica.

Per studiare in dettaglio dove si formano le frange si consideri la figura seguente,

nella quale a è la distanza tra le due fenditure S1e S2, d è la loro distanza dallo schermo C,

e un generico punto P sullo schermo si trova a distanza x dall'asse OP0.

Nel punto P0 si produce un massimo di illuminazione, perché i raggi incidenti in P0 hanno

percorso tratti della stessa lunghezza e giungono con differenza di fase nulla. Sull'uno e

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sull'altro lato di P0 i cammini delle onde luminose differiscono sempre più fra loro e si

raggiunge una posizione in cui la loro differenza è pari a mezza lunghezza d'onda; in questa

condizione le onde si neutralizzano a vicenda e la zona di sovrapposizione è buia.

Proseguendo inoltre, si raggiunge un punto in cui la differenza di cammino è pari a una

lunghezza d'onda e di nuovo si ha un massimo di illuminazione. Proseguendo così sullo

schermo si incontrano alternativamente frange chiare e scure separate da bande con

illuminazione decrescente(dopo una frangia chiara) e crescente (dopo una frangia scura).

Vale la pena spiegare meglio quanto detto. Intanto riportiamo i disegni della sezione

di onde: (a) due onde in fase e la loro somma, (b) due onde sfasate e la loro somma, (c) onde

in controfase e la loro somma. Si

può osservare che la somma delle due onde in (a) fornisce un'onda con massimi e minimi,

somma delle onde che la originano (questa situazione corrisponde al massimo di

illuminazione); in (c) si ha un'onda risultante nulla (buio); in (b) una situazione intermedia

(penombra). Resta ora da vedere qual è il meccanismo analitico che, sullo schermo origina

una situazione di luce o di buio.

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Per meglio spiegare l'esperimento di Young ai ragazzi, dobbiamo parlare del

fenomeno di diffrazione. Siamo abituati a pensare che la luce, quando incontra un ostacolo,

proietti al di là di esso un'ombra dai contorni netti e ben definiti. Per esempio, inviando un

fascio di raggi paralleli su una fenditura, ci aspettiamo che proseguano solo quelli che non

sono stati intercettati dallo schermo. Sopra e sotto il fascio che emerge dovrebbe formarsi

un'ombra netta. Di solito succede effettivamente così. Ma se la fenditura è molto stretta si

verifica un fenomeno curioso. Illuminiamo con un fascio di raggi paralleli e di un solo

colore uno schermo opaco che ha una fenditura di larghezza regolabile. Se la fenditura è

abbastanza larga, su uno schermo posto al di là di essa osserviamo una striscia luminosa dai

contorni ben definiti. Restringendo la fenditura, però, la striscia luminosa invece di

assottigliarsi si allarga. La luce invade così quella che dovrebbe essere la zona d'ombra.

L'effetto si verifica in modo tanto più pronunciato quanto più la fenditura è stretta.

Questo fenomeno, per cui la luce aggira gli ostacoli e invade la zona d'ombra geometrica, si

chiama diffrazione. Si tratta di un fenomeno tipico delle onde. Possiamo osservarlo, per

esempio, con le onde che si propagano sulla superficie dell'acqua. La diffrazione si

manifesta in modo evidente quando le dimensioni dell'apertura (o dell'ostacolo) sono

paragonabili o minori della lunghezza d'onda della perturbazione. Per schematizzare

possiamo dire che:

● quando la lunghezza d'onda è grande rispetto alla dimensione dell'apertura (o dell'ostacolo) si ha diffrazione;

● quando la lunghezza d'onda è molto piccola rispetto alla dimensione dell'apertura (o dell'ostacolo) non c'è praticamente diffrazione e le ombre sono nette.

Infatti, nel suo esperimento, Young, per avere diffrazione, utilizza una luce

monocromatica e delle fenditure di dimensioni minori della lunghezza d'onda della

luce(circa 0,5x10-6 m). Per far comprendere meglio il comportamento ondulatorio della

luce,presentiamo un esperimento eseguito con particelle materiali e un esperimento eseguito

con onde.

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Esperimento d'interferenza eseguito con particelle materiali

Si consideri il dispositivo mostrato in figura, consistente in una specie di

mitragliatore in grado di sparare particelle materiali di massa m definita (piccolissimi

proiettili metallici) contro una lamina di acciaio nella quale sono state praticate due

fenditure.

Se, come mostrato, le particelle vengono sparate in una regione angolare piuttosto

grande, un certo numero di esse riuscirà a passare attraverso le fenditure e colpirà

successivamente lo schermo S. Sullo schermo è disposto un rivelatore di particelle capace di

muoversi avanti e indietro, mediante il quale, in ogni momento, possiamo contare il numero

di particelle che colpiscono una determinata regione dello schermo.

Ci chiediamo ora qual è la probabilità che una particella, dopo aver attraversato una

delle due fenditure, vada a cadere in una determinata regione dello schermo. È

indispensabile parlare di probabilità in quanto ciascuna particella, nell'attraversare una delle

due fenditure, può essere deviata dalle pareti della fenditura in una qualsiasi direzione

diversa da quella originaria.

Questa probabilità può essere calcolata semplicemente eseguendo il rapporto tra il numero

di particelle che arrivano in un determinato punto ed il numero totale di particelle che nello

stesso intervallo di tempo incidono su tutto lo schermo. Nell'ipotesi iniziale di piccole

sferette metalliche si ottengono, per la distribuzione delle probabilità sullo schermo, le curve

rappresentate a fianco del dispositivo.

Con P1 abbiamo indicato la curva che descrive l'andamento del la probabilità, nel

caso in cui sia aperta la fenditura 1 mentre la 2 è chiusa. Viceversa con P2 indichiamo curva

di probabilità nel caso opposto, ossia fenditura 2 aperta e la 1 chiusa. Se ora l'esperimento

viene eseguito quando entrambe le fenditure sono aperte si ottiene come risultato la curva

P12. È immediato riconoscere che P12=P1 + P2 ossia l'effetto risultante, quando entrambe le

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fenditure sono aperte, è dato semplicemente dalla somma degli effetti ottenuti

separatamente quando solo una delle due era aperta, In altri termini è possibile affermare

che le particelle materiali non producono interferenza.

Esperimento d'interferenza eseguito con onde

Si consideri ora un ondoscopio nel quale una punta colpisca ritmicamente la

superficie dell'acqua generando onde circolari i cui fronti incidono su un setto nel quale

sono state praticate due piccole aperture, Se le aperture sono sufficientemente piccole esse

diventano a loro volta sorgenti di onde circolari i cui fronti d'onda propagandosi

simultaneamente nella stessa regione di spazio si sovrappongono cioè interferiscono.

Supponiamo che ad una certa distanza dalle aperture venga posto un dispositivo (una specie

di schermo) che oltre ad assorbire completamente le onde in arrivo (al fine di evitare

riflessioni)sia in grado di misurare punto per punto l'intensità I dell'onda incidente.

Possiamo, come prima, confrontare i risultati ottenuti chiudendo alternativamente una delle

due aperture, con quello che si ottiene quando entrambe le aperture sono aperte. Le curve di

intensità (= energia) I1, I2 e I12 presentano una situazione completamente diversa da quella

vista a proposito dell'esperimento eseguito con particelle. Nel caso in esame l'intensità

risultante I12 valutata punto per punto differisce chiaramente dal valore di (I1 + I2 ) nella

stessa posizione.

Esistono infatti punti in cui l'effetto risultante consiste in un rinforzo del segnale

(punti in cui le onde giungono in fase), ma ne esistono altri in cui si ha indebolimento del

segnale stesso. Come sappiamo nel primo caso si parla di interferenza costruttiva mentre nel

secondo di interferenza distruttiva.

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Volendo determinare numericamente l'intensità I12 corrispondente al caso in cui entrambe le

fessure sono aperte, si ricordi che questa grandezza risulta direttamente proporzionale al

quadrato dell'ampiezza totale A il cui valore è dato da:

A = | Al + A2 |

dove nel termine a secondo membro i valori di Al (ampiezza dell'onda di intensità I1 ) e di

A2 (ampiezza dell'onda di intensità I2 ) in un punto P qualsiasi dipendono dalla distanza del

punto stesso dalla sorgente, Sarà dunque:

I1 =| Al |2 I2 =| A2|2 I12= | Al + A2 |2≠| Al |2 +| A2|2 .

Come si può facilmente constatare questo risultato è sostanzialmente diverso da quello

ottenuto precedentemente.

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