CORRIERE DELLE OPERE II

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desiderio e lavoro Temi e personaggi del Meeting di Rimini. Interviste a: Sergio Marchionne, James Murdoch, Maurizio Sacconi, Ettore Gotti Tedeschi e altre personalità del mondo della politica e dell’impresa Cdo.net srl - via Melchiorre Gioia, 181 - 20125 Milano - Poste italiane SpA - D.L. 353/2003 (conv. 27/02/2004 L. n°46) art. 1 Comma 1, DCB Milano – House organ dell’Associazione Compagnia delle Opere (contiene allegati) Trimestrale della Compagnia delle Opere Luglio 2010 2 n. C orriere o pere C orriere o pere 2 n . creatività E INNOVAZIONE Aspettando Matching 2010, dal 28 al 29 settembre Cdo organizza a Genova un appuntamento b2b per imprese che operano in settori ad alto contenuto innovativo: energia, trasporti, Ict e nuovi materiali

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Corriere delle Opere - Desiderio e Lavoro – Creatività e Innovazione

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desiderio e lavoroTemi e personaggi del Meeting di Rimini. Interviste a: Sergio Marchionne, James Murdoch, Maurizio Sacconi, Ettore Gotti Tedeschi e altre personalità del mondo della politica e dell’impresa

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creatività E INNOVAZIONEAspettando Matching 2010, dal 28 al 29 settembre Cdo organizza a Genova un appuntamento b2b per imprese che operano in settori ad alto contenuto innovativo: energia, trasporti, Ict e nuovi materiali

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incatenate dalla burocrazia e dal fisco. Dalla crisi economica si uscirà ripartendo dalla persona. Da una persona che si concepisce e si muove con quel-la tensione di cui parla il titolo del Meeting e che in forza di questo sa guardare a tutto con una capacità di costruzione positiva.Il Meeting di Rimini è ogni anno una straordina-ria testimonianza di ciò che accade e può accadere quando una persona è fedele al desiderio iscritto nel suo cuore.In questo numero del Corriere delle Opere diamo qualche anticipazione di quello che si potrà vedere, incontrare, ascoltare e conoscere nei sette giorni di Rimini. Sono previsti numerosi appuntamenti che affronteranno tematiche economiche e politiche di stretta attualità: dalle condizioni che possono favo-rire la ripresa al ruolo della società civile, dal tema dell’innovazione a quello delle reti, dall’importanza del capitale umano alla sfida delle risorse energe-tiche.Allo stesso modo gli incontri culturali, di cui il ca-lendario è ricchissimo, le testimonianze e le mostre, sono momenti preziosi e importanti per riflettere sulla posizione umana originale che permette di af-frontare le sfide della vita come una opportunità di una maturazione personale, di uno sviluppo sociale e, dove possibile, di una crescita professionale.Il Meeting di Rimini è nato dalla gratuità di un in-contro che ha permesso a tanti una vita più vera e più feconda. Auguro a ognuno che i giorni dell’evento siano occasioni di ascolto e di paragone, ma anche di incontri personali e di dialogo che allarghino il cuore per renderlo più desideroso, più forte e più intelligente.

Buona lettura, e arrivederci a Rimini, dal 22 al 28 agosto. n

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“Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”. Il titolo del Meeting di Rimini di quest’anno indica con chiarezza quale sia l’origine del mettersi in moto di ogni azione e di ogni aspi-razione umana.Questo non riguarda solo la dimensione personale, ma coinvolge anche tutti gli aspetti e gli ambiti della vita. Compreso il lavoro. Non c’è forse il “deside-rio di fare cose grandi” alla base di ogni percorso imprenditoriale, di ogni impegno sociale, di ogni professionalità? È questa scintilla che sollecita la libertà dell’uomo, la spinge a rischiare, a mettere in gioco tutte le proprie capacità.Così anche quest’anno il Meeting si propone come un’occasione di recuperare e approfondire ciò che sta all’origine della creazione di relazioni, dell’in-traprendenza innovativa, del sostegno a chi ne ha bisogno: una tensione che muove la persona alla ricerca di ciò che pienamente la soddisfi, e senza la quale anche l’avventura imprenditoriale si riduce a puro calcolo, perde di slancio vitale e si sgancia dal bene comune.L’economia e la politica continuano a dibattersi nel-le strette della crisi. E anche noi cerchiamo di dare il nostro contributo perché le misure e i provvedi-menti necessari siano sussidiari e orientati alle reali necessità del Paese. Per questa ragione appoggiamo pienamente lo Statuto dell’impresa promosso da Raffaello Vignali. Ma questo nostro lavoro parte proprio dall’evidenza che la ripresa non potrà arri-vare solamente da nuove regole, ma da uno sprigio-namento delle forze imprenditoriali ancora troppo

Quella scintilla all’origined i o g n i a z i o n e u m a n a

L’ingresso allo stand della Compagnia delle Opere in oc-casione della trentesima edizione del Meeting di Rimini che si è tenuta nell’agosto dello scorso anno

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Anno XXV - n. 2 - luglio 2010Registrazione Tribunale di Milano n. 505 del 27 settembre 1986Iscrizione al Registro degli operatori di comunicazione n. 7521

Direttore responsabileDario Vascellaro

CondirettoreDavide Bartesaghi

RedazioneBettina Gamba, Carmelo Greco

UfficiVia Legnone 20, 20158 MilanoTel. +39 02 673961 - fax +39 02 67396230

EditoreCdo.net srl - via Melchiorre Gioia, 181 - 20125 Milano

PubblicitàEvidentia Communication srlVia Legnone 20 - 20158 Milano - Tel. [email protected]

StampaCentro Stampa Editoriale - Via del Lavoro 1836040 Grisignano di Zocco, Vicenza

Progetto graficoCurious Design

ImpaginazioneFrancesca Minniti

Distribuzione e confezionamentoComp Editoriale Veneta srl - Via Cappelletto 12 30173 Mestre (Ve)

L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli associati Cdo e la possibilità di richiederne gratuita-mente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Cdo.net srl - via Melchiorre Gioia, 181 - 20125 Milano. Le informazio-ni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli associati Cdo la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 675/96 - tutela dati personali).Il numero è stato chiuso in redazione il 22 marzo 2010.La percentuale di pubblicità di questo numero, comprensiva di inserti e allegati, è del 45%.

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convenzioni cdoMARKETING. Quarkode 16VANTAGGI YEAR. Le opportunità Cdo 2010-2011 17

matchingNETWORK. L’innovazione sbarca a Genova 18

primo pianoDIRETTIVO. Cdo difende la sussidiarietà 22

meeting: temi e personaggiPRESENTAZIONE. L’uomo, il cuore e il desiderio di cose grandi 28GLI APPUNTAMENTI. Il programma del Meeting 32L’INTERVENTO. Al “cuore” dell’economia 44LA MOSTRA. Cor Magis. Il cuore, l’opera, il bene di tutti 48LA PIAZZA. Il padiglione della Cdo 54L’APPROFONDIMENTO. Il manifesto di Cdo 58MARCHIONNE. Nessuno vince da solo 62MURDOCH. Il futuro è già qui 66SACCONI. Più società, meno Stato 70MCALEESE. La passione del presidente 74GOTTI TEDESCHI. Bisogna rieducare l’uomo 78BERTOLONE. Vedere con gli occhi del cuore 82FIORDI. Una banca a supporto dell’economia locale 86CATTANEO. Il metodo lombardo 92ZUCCOLI. Diamo energia al futuro 98GALIMBERTI. Al servizio dell’ambiente 102LANDI. Essere grandi nell’istante 104LA RICERCA. Le ragioni della crisi 108CSS. Il non profit che non molla 112GIUSEPPE GIANA. Un compleanno all’insegna dell’innovazione 114FOCUS. Capitale umano, innovazione e reti 116FONDAZIONE ANIA. Educare serve a prevenire 122AVSI. Il samba del morro 125LE MOSTRE 130MEETING ON LINE 136GLI SPETTACOLI 138

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ZZoom

Il 15 giugno scorso, la Cdo si è ritrovata nella capitale per fare il punto su servizi alle imprese, servizi finanziari, rappresentanza e internazionalizzazione (nella foto, un momento dei lavori)

Si è tenuto, lo scorso 15 giugno, al centro congressi Teatro Capranica di Roma, il Direttivo della Compagnia delle Opere. Introdotto dal presidente della Cdo, Bernhard Scholz, il Direttivo è stato l’occasione per riprendere sistematicamente il lavoro svolto durante l’Assemblea generale di Catania dello scorso marzo.Gli interventi di Rossano Breno sui servizi alle imprese, di Paolo Fumagal-li e Massimo Tonarini (Bfs) sui servizi finanziari, di Monica Poletto sulla rappresentanza e di Dino Righi sull’internazionalizzazione (quest’ultimo ha presentato la newco Cdo Network) sono stati l’occasione per “fare il punto” operativamente sull’attività della Compagnia delle Opere, valorizzando le esperienze più significative emerse in questi mesi e traendo da esse le indi-cazioni per capire come procedere.Durante il Direttivo, il professor Paolo Preti ha presentato il documento di Cdo dal titolo “Fare impresa”, uno strumento utile per approfondire, in que-sto momento di crisi, l’origine dell’iniziativa imprenditoriale (vedi articolo a pagina 58). n

D i r e t t i vo c o m p a g n i a d e l l e o p e r ea l t e a t r o c a p r a n i c a d i r o m a

Rapporto istat 2009la risposta delle pmi

La crisi economica del 2008-2009, la più grave del dopoguerra, è al centro del rapporto annuale Istat sulla situazione del Paese. Presentato a fine maggio, il volume di quasi 400 pagine fornisce in quattro capitoli un quadro organico di come la crisi abbia influito sul sistema produttivo e sulle famiglie italiane. In questo scenario, le pmi hanno dimostrato una capacità di tenuta e di risposta im-previste. «Le imprese hanno cercato di fronteggiare la crisi - ha affermato il presidente dell’Istat Enrico Giovannini durante la presentazione del rapporto a Montecitorio - riorientando le produzioni e la pre-senza sui mercati internazionali. Le piccole e medie imprese, nonché quelle più efficienti, hanno gestito meglio le difficoltà rispetto alle grandi e alle micro. Nonostante la gravità della recessione, molte impre-se manifatturiere hanno aumentato l’occupazione e le esportazioni, mostrando la vitalità di importanti segmenti del sistema produttivo italiano».

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la scuola di impresa adessoè diventata un’associazioneLa Scuola d’impresa, nata all’interno della Fondazione per la sussidiarietà in collaborazione con la Compagnia delle Opere, è diventata da maggio una associazione con sede in via Le-gnone 4 a Milano. L’associazione ha lo scopo di promuovere una cultura d’impresa fondata sulla riflessione sistematica del-la propria esperienza lavorativa sia nell’ambito delle pmi sia in quello delle organizzazioni non profit e della cooperazione.Proseguendo in un’esperienza ormai collaudata, la Scuola d’impresa si avvarrà del contributo delle sedi locali Cdo per la promozione in tutta Italia dei percorsi e delle conversazioni imprenditoriali. Dal prossimo autunno, inoltre, sarà on line un nuovo sito dedicato che presenterà l’offerta formativa insieme a tutte le informazioni relative ad attività e iniziative promosse dall’associazione. n

Un’occasione formati-va per imprenditori: è questa la Scuola d’im-presa. Nata all’interno della Fondazione per la sussidiarietà in colla-borazione con la Cdo, da maggio è un’asso-ciazione

export made in italy in ripresa,segnali contrastanti dai distretti

Anche a maggio sono cresciute le esportazioni italiane. Ad aprile avevano segnato +15,2%, un dato che consolidava la crescita a due cifre già regi-strata a marzo e spingeva il made in Italy a riconquistare mercati fonda-mentali come quello tedesco (+21%), nostro primo partner commerciale, insieme a quelli dei Paesi emergenti, dal Mercosur (+66%) alla Turchia (+49%) fino alla Cina (+17,8%), senza dimenticare il significativo risve-glio negli Stati Uniti (+17,1%), nostro primo mercato di sbocco extraUe.È probabile che la crescita media dell’export italiano nel 2010, in base a un’analisi congiunturale dell’Osservatorio economico del ministero dello Sviluppo economico, si assesterà sull’8%, fino a un massimo del 10%, e ciò contribuirà a una crescita del Pil dell’1,6% nell’anno e che potrebbe arrivare all’1,8% qualora il nostro export raggiungesse la crescita mas-sima.Se si confronta questo dato con quello del Monitor dei Distretti del giu-gno 2010, si nota un certo affanno nei distretti industriali italiani, la cui perdita complessiva comunque si è arrestata. Il dato medio mette insie-me risultati molto positivi (+48,6% della gomma del Sebino Bergama-sco, +42,3% dell’oreficeria aretina, +39,3% delle calzature di Lucca, +32% dell’alimentare di Parma) insieme a performance assai negative (-29,8% della maglieria di Carpi, -21,3% degli elettrodomestici di Fabria-no, -24,9% del tessile-abbigliamento di Treviso, -20,8% delle macchine agricole di Reggio Emilia e Modena).

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B2net: fare rete generaSviluppo In centrO italiaB2Net è una iniziativa “with Matching” - che ripropone, cioè, a livello locale la modalità di incontro tipica del workshop Cdo di novembre - promossa dalla Compagnia delle Opere Pesaro Urbino. Giunta alla quarta edizione, quest’anno ha visto coinvolte anche le sedi Cdo di Marche, Romagna, Toscana, Umbria e San Marino. Il 23 giugno 150 aziende si sono incontrate nella Pa-lazzina Sabatelli a Sant’Ippolito, in provincia di Pesaro-Urbino, e hanno dato vita a un fitto scambio di opportunità con lo scopo di svilup-pare una rete fra imprenditori. Tutti i partecipanti hanno avuto a disposizione un desk personaliz-zato e la possibilità, attraverso una guida delle aziende presenti, di incontrare liberamente altri imprenditori con cui cercare nuove occasioni di business. All’interno dell’iniziativa sono stati previsti quattro workshop sui seguenti temi: in-ternazionalizzazione, edilizia, ricettività e pro-mozione del territorio, finanza. I lavori si sono conclusi con un convegno dal titolo “Fare rete genera sviluppo”. n

Alla quarta edizione di B2Net, promossa il 23 giugno scorso dalla Cdo di Pesaro Urbino, si sono incontrate 150 aziende di tutti i settori

BAROMETRO dei PAGAMENTI, cresce il rischioma diminuiscono i giorni medi di ritardo

Il Barometro dei pagamenti 2010 di Euler Hermes Siac (Gruppo Allianz), alla sua terza edizione, è l’appuntamento annuale con il report sui trend di pagamento delle imprese manifatturiere italiane, utile alle aziende per la gestione del . In tutti i report settoriali l’analisi interna è integrata da una presentazione di dati provenienti dall’esterno, da fonti istituzionali quali Istat, Camere di commercio, Aida e associazioni di categoria. I comparti oggetto di studio nel Barometro sono ventidue e rappresentano più del 27% del Pil italiano e, dunque, una consistente parte del tessuto economico nazionale. Analizzando nel dettaglio l’andamento globale dei principali indicatori del Barometro, si nota come l’indice di rischiosità, nel corso del 2009, sia ulteriormente peggiorato: +26,2% rispetto al 2008 e +46,5% rispetto al 2005. Questo trend contribuisce a ridur-re la solidità attuale e prospettica dell’intero comparto analizzato. Unica nota positiva è la decrescita dei giorni di ritardo medi del sistema manifatturiero italiano e delle costruzioni che nel 2009 sono diminuiti dell’11,5% rispetto al 2008.

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Dall’8 al 10 giugno 2010 la sesta edizione di Eire - Expo Italia Real Estate, il salone dedicato al mercato immobiliare e al real estate italia-no e dell’area mediterranea organizzato da Ge.Fi. spa, ha visto prota-gonisti oltre ai tradizionali comparti (residenziale, terziario, logistico) anche il settore retail e il turistico alberghiero. L’edizione, che si è svolta nei padiglioni di Fieramilano, ha confermato i dati dell’anno scorso, in controtendenza rispetto all’andamento del settore: 35 mila mq di area espositiva, 473 imprese e istituzioni presenti, oltre 14 mila operatori professionali provenienti da oltre 50 Paesi, più di 300 giornalisti accreditati e un centinaio tra convegni, seminari ed eventi negli stand. Diverse le personalità accorse da tutto il mondo. In rap-presentanza delle istituzioni italiane, sono intervenuti, fra gli altri, il governatore della Regione Lombardia Roberto Formigoni, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della Provincia di Milano Gui-do Podestà, il presidente di Promos Bruno Ermolli, Carlo Masseroli e Gianni Verga del Comune di Milano, e il sindaco di Verona Flavio Tosi.L’appuntamento per la settima edizione di Eire è dal 7 al 9 giugno 2011, sempre in Fieramilano. n

Dati confortanti sul merca-to immobiliare arrivano dalla manifestazione organizzata da Ge.Fi. spa nei padiglioni di Fie-ramilano: 35 mila mq di area espositiva, 473 tra imprese e isti-tuzioni, 14 mila operatori profes-sionali provenienti da oltre 50 Paesi (a sinistra, un’immagine dell’ultima edizione di Eire)

L a S e s t a e d i z i o n e d i E i r e C o n f e r m ai l s u c c e s s o d e l l’ a n n o s c o r s o

come semplificare la vita all’imprenditore

Potrebbe diventare legge, entro il prossimo autunno, lo Statuto delle imprese, la norma che punta a semplificazione normativa, fiscalità, meccanismi di sostegno e snellimento nei rapporti con le istituzioni. Il tutto a favore delle micro, piccole e medie imprese. Presentato il 4 novembre 2009 dal primo firmatario Raffaello Vignali, vicepresidente della commissione Attività produttive, il progetto di legge “Norme per la tutela della libertà d’impresa” è stato sottoscritto da 130 parlamentari dei diversi schieramenti. Un’idea simile era già stata avanzata dalla Commissione Ue che, due anni fa, aveva elaborato una comunicazione, poi approvata dal Parlamento europeo, lo Small business act. Suddiviso in 10 punti, ha lo scopo di valorizzare la piccola impresa in un nuovo quadro normativo basato sul principio di sussidiarietà. Se la proposta promossa da Vignali andasse in porto, i diritti delle imprese avrebbero, oltre a un riconoscimento teorico, la forza della legge.

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Grande partecipazione alle sessioni formative, iniziate nell’ottobre scorso e concluse a giugno, che la Cdo Opere Sociali organizza a favore delle persone impegnate nelle realtà non profit

Sabato 5 giugno si è concluso il percorso della Scuola per Opere di carità 2009-2010 con l’assemblea finale condotta da don Eu-genio Nembrini, rettore della Fondazione Sacro Cuore di Milano. Nata nel 2004 su iniziativa della Fondazione per la sussidiarietà e della Cdo Opere Sociali, la Scuola per Opere di carità ha lo scopo di fornire strumenti educativi e formativi alle persone impegnate all’interno di organizzazioni non profit (onp). Diretta da Mario Dupuis, presidente della Fondazione Opera Edimar di Padova, che si occupa di accoglienza e recupero di minori, la Scuola propone, accanto a un ciclo di incontri con personalità di spicco, alcune visite a enti particolarmente esemplificativi dei temi affrontati. L’edizione 2009-2010, dal titolo “Al servizio della libertà”, è stata introdotta il 24 ottobre 2009 da Eugenio Nembrini; successiva-mente, il 10 dicembre, è stato invitato Bernhard Scholz, presiden-te della Compagnia delle Opere, che ha risposto alle domande di Monica Poletto, presidente della Cdo Opere Sociali. Il 10 aprile 2010, infine, è stata la volta di padre Sergio Massalongo, priore del monastero benedettino della Cascinazza di Gudo Gambaredo, che ha testimoniato l’incidenza del monachesimo nella ricostru-zione del tessuto sociale. n

S c u o l a o p e r e d i c a r i t à U n p e r c o r s o p e r l e o n p

Il 22 maggio scorso la Compagnia delle Opere di Milano e la Fondazio-ne per la sussidiarietà hanno celebrato la Giornata della sussidiarietà e il Premio San Bernardo. In questa seconda edizione è stata presentata la ricerca “Il lavoro e i suoi redditi: persone, famiglie e sussidiarietà in azione a Milano” realizzata dalla fondazione in collaborazione con il Crisp (Centro di ricerca interuniversitario per i servizi di pubblica utilità). Durante l’evento è stato consegnato il Premio San Bernardo al Banco Alimentare, alla Casa della Carità e a Workopp, opere che, secondo il principio di sussidiarietà, hanno sviluppato azioni solidali, educative, economiche e assistenziali. All’incontro hanno partecipato: Massimo Ferlini, presidente Compagnia delle Opere di Milano; Livia Pomodoro, presidente del Comitato d’Onore del Premio San Bernardo; Mario Mezzanzanica, direttore scientifico Crisp; Luca Pesenti, diretto-re Ores; Dario Cavenago, docente di Economia e Management all’Uni-versità Bicocca di Milano; Lanfranco Senn, docente di Economia regio-nale alla Bocconi; Luigi Campiglio, prorettore alla Cattolica di Milano; Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la sussidiarietà. n

Giornata della SUSSIDIARIETàE premio san bernardo

Per il secondo anno la Cdo di Milano e la Fondazione per la sussidiarietà hanno promosso una giornata di studio durante la quale sono state premiate opere che hanno sviluppato azioni riconducibili al principio di sussidiarietà (nella foto, da sini-stra: Giorgio Vittadini, Massimo Ferlini e Livia Pomodoro)

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5 per mille, pubblicati gli elenchi Degli ammessi

A maggio sono stati pubblicati sul sito Internet dell’Agenzia delle Entrate (www.agenziaentrate.gov.it) gli elenchi del 5 per mille 2010. Si tratta di 55.364 sog-getti ai quali i contribuenti potranno destinare una quota della propria Irpef con la dichiarazione dei redditi. Ai 47.264 enti iscritti nei quattro elenchi pubblicati fino a oggi vanno aggiunti altri 8.100, costituti dai Comuni italiani le cui at-tività sociali possono essere “premiate” tramite il 5 per mille dai cittadini ivi residenti.La platea dei destinatari è così suddivisa:40.570 enti del volontariato di cui fanno parte onlus, associazioni di promozio-ne sociale, associazioni e fondazioni riconosciute in possesso di determinati requisiti;239 enti della ricerca scientifica e dell’università;97 enti della salute;6.358 associazioni sportive dilettantistiche riconosciute dal Coni ai fini sportivi.

una divina commedia cosìnon si era mai vista prima

Il 30 marzo al Carcano, l’11 giugno al te-atro Nazionale di Milano, è stata messa in scena la Divina Commedia con una rappre-sentazione che ha visto impegnati 37 attori, di cui 25 disabili psico-fisici, accompagna-ti dai loro educatori e la partecipazione di ballerini e musicisti. Il progetto, affidato alla regia di Luisa Oneto, nasce dal lavoro congiunto delle cooperative sociali Cura e riabilitazione di Milano, Anaconda di Va-rese, Solidarietà e servizi di Busto Arsizio. «L’iniziativa - ha sottolineato Antonello Bolis, direttore di Cura e riabilitazione - si fonda su un metodo educativo che consi-ste nell’incontro con l’altro per quello che è, valorizzando ciò che sa fare». Gli attori disabili non sono nuovi a questa esperien-za. In passato si sono già cimentati in altre rappresentazioni teatrali quali il Giambur-rasca, la Turandot, il Gobbo di Notre Dame e West Side Story. n

Due rappresentazioni, con il tutto esaurito, han-no messo in scena il capolavoro di Dante. Dei 37 attori coinvolti, 25 sono disabili psico-fisici (nella foto, un momento dello spettacolo al teatro Carcano di Milano)

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Tramite la piattaforma Quarkodeè possibile realizzare le vostre:

I vantaggi di Quarkode

• Campagne virali• Marketing georeferenziato • Concorsi • Reminder • Trailer • Mobile Couponing • Sistemi di Brand Protection, anticontraffazione • Sistemi di rintracciabilità delle filiere, scaden-za prodotti ecc. • Etichette intelligenti, ticket, business cards, promozioni ecc.

• Trasformare campagne off line in campagne on line interattive.• Misurare in tempo reale la risposta del target.• Misurare il successo in funzione della testata, del mezzo o del luogo.• Dare valore aggiunto ad attività below the line.

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Q KQuarkodeLa piattaforma di marketing per codici QR

La piattaforma Quarkode estende il campo d’applicazione del QR-Code®, nato origina-riamente per tracciare le merci, al campo del

marketing, come anello di congiunzione tra il mondo della comunicazione off line tradizionale e quello dei new media digitali e interattivi.La soluzione offre un modo rapido e semplice agli abbonati di telefonia mobile per accedere a un contenuto multimediale o a servizi Web, eli-minando la necessità di digitare un lungo indi-rizzo Web mobile attraverso la scomoda tastie-ra. Un utente con un telefono cellulare dotato di fotocamera e l’apposito software di lettura può decodificare l’immagine del codice a barre 2D e accedere attraverso un solo click a siti Web per cellulari, offerte promozionali come sconti, cou-pon, download di immagini, suonerie, video e altri contenuti mobile.Il codice generato può essere stampato su pubbli-cità nei quotidiani, periodici, affissioni out-door, t-shirt, flyer comunicazioni in store, packaging, cataloghi e sui prodotti. Può essere inserito inol-tre all’interno di film, banner, siti Web, proiezioni multimediali.Quarkode fornisce anche soluzioni di infrastrut-tura per consentire mobile ticketing, programmi couponing e loyalty, anticontraffazione, persona-lizzazioni software e system integration.

Come gestire una campagna pubblicitaria con QuarkodeLa piattaforma integrata Quarkode, accessibile da qualunque postazione Web e dispositivi mo-bili, gestisce il ciclo completo di una campagna pubblicitaria basata su codici 2D, dalla loro cre-azione e gestione dei contenuti, fino ad arrivare all’analisi dei risultati.L’utilizzo della piattaforma è estremamente sem-plice e permette di arrivare sullo schermo del te-lefonino del consumatore anche a chi non ha già un sito mobile: basta sfruttare il potente motore interno di autocomposizione.

Quarkode Analytics consente di analizzare in tempo reale l’andamento della campagna e dei concorsi e consente di creare un’ampia reporti-stica.Con Quarkode è possibile inoltre vedere la di-stribuzione della risposta del target sul territorio e analizzare statistiche sulla piattaforma mobile utilizzata, sul vendor, MNO di provenienza ecc.La piattaforma può essere facilmente integrata con prodotti di terze parti e può essere persona-lizzata su specifica esigenza del cliente.La piattaforma Quarkode consente una gestione multilivello, permettendo ad agenzie e centri me-dia di pianificare e monitorare campagne multi-canale per più clienti o multisoggetto. n

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per informazioniBlei spaTel. [email protected]

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la nuova edizione di vantaggi year

TUTTE LE CONVENZIONI CDO NELLA NUOVA GUIDA “VANTAGGI YEAR CDO” (ALLEGATA A QUESTO NUMERO DEL CORRIERE DELLE OPERE) OPPURE SUL PORTALE WWW.VANTAGGICDO.IT

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L CLe opportunità Cdo 2010-2011Le aree di intervento di Cdo nell’ambito

dei servizi sono sostanzialmente sei: fi-

nanza, internazionalizzazione, innova-

zione, la rete fra gli associati (Matching),

le Convenzioni e la Formazione (Scuola

d’impresa)

Partecipare alla vita di Compagnia delle Opere significa trovarsi al centro di una rete di rela-zioni di cui protagonista è ciascun associato, e

da cui ciascun associato può trarre benefici per la propria impresa e la propria attività, a tutti i livelli.Vantaggi Year ne è un esempio. Questo strumento raccoglie in poche decine di pagine una ricca serie di opportunità di risparmio e di accesso a servizi che toccano molti aspetti della vita dell’impresa. Come ogni anno, è stato raccolto un ampio assorti-mento di convenzioni che permettono di generare risparmi significativi, soprattutto in un momento come quello attuale in cui ogni risorsa va utilizzata con grande oculatezza.Migliora e si arricchisce anche l’offerta di servizi che toccano punti decisivi nell’attività dell’impre-sa, soprattutto quando si tratta di aree che posso-no rappresentare occasioni di svolta e di rilancio aprendo nuove prospettive di sviluppo: l’innova-zione e l’internazionalizzazione, ad esempio, che tanti indicano - a ragione - come aree strategiche e che pertanto richiedono un approccio preparato e di grande competenza. Ma lo stesso vale per il rap-porto con il mondo della finanza, in un momento in cui il credit crunch ha reso più complessi e più faticosi i rapporti con gli istituti di credito. n

La copertina della nuova edizione 2010-2011 di Vantaggi Year, la guida ai servizi e alle convenzioni della Compagnia delle Opere

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18 C O R R I E R E D E L L E O P E R E N . 2 G i u g n o 2 0 1 0

gl’innovazione sbarca a GenovaIl 28 e 29 settembre prossimi, a

Genova, esordisce i l nuovo appun-

tamento “f ig l io” del Matching che,

privi legiando i settori del l ’ener-

gia, dei trasport i , del l ’Ict e dei

nuovi material i , intende favorire

le relazioni di business tra im-

prenditori tramite appuntamen-

t i mirati . Sponsor generale del la

manifestazione è Finmeccanica

d i D a r i o Va s c e l l a r o

prende il via a settembre a Genova, presso i Ma-gazzini del Cotone, il Matching Innovazione, un evento business to business organizzato da

Compagnia delle Opere per favorire le relazioni tra imprenditori. L’appuntamento di Genova, che vede tra i primissimi sostenitori il Gruppo Finmec-canica, intende rivolgersi innanzitutto a imprese che operano in settori o attività ad alto contenuto innovativo, in particolare nei settori dell’energia, dei trasporti, dell’Ict e dei nuovi materiali.Oltre alla possibilità di effettuare una ricerca di si-nergie e partner con altri partecipanti, le circa 200 aziende presenti al Matching Innovazione potran-no avere ampia visibilità verso il mercato di rife-rimento, potranno confrontarsi con altre imprese sui temi e sui risultati delle attività di ricerca e di sviluppo in un’ottica di benchmarking. Completa il quadro delle opportunità la possibilità di incon-trare grandi aziende.Della manifestazione abbiamo parlato con il di-rettore generale di Compagnia delle Opere Enrico Biscaglia.

A fianco, Enrico Biscaglia, direttore generale di Compa-gnia delle Opere, promotore, insieme al Gruppo Finmec-canica, di un nuovo evento finalizzato alla creazione di relazioni imprenditoriali che puntino all’innovazio-ne e allo sviluppo; in basso, un’immagine della scorsa edizione del Matching

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Com’è venuta l’idea di dedicare un Matching all’innovazione?«Il Matching Innovazione è “figlio” del Matching. L’idea della manifestazione è nata dalla presenza di Finmeccanica al Matching che si è rivelata di anno in anno sempre più interessante per il Grup-po, per la Cdo, per tutte le imprese partecipanti. Tale successo ci ha convinto dell’utilità e dell’ef-ficacia del rapporto del Matching con le grandi aziende e quindi della possibilità di fare incontra-re proficuamente grandi e piccole aziende (le se-conde rappresentano per le prime possibili forni-tori e partner) in vista di percorsi nuovi che mai un’azienda riesce a costruire da sola. Insieme al Gruppo Finmeccanica abbiamo così pensato a re-alizzare una manifestazione che approfondisse il

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tema dell’innovazione focalizzandosi su segmenti specifici: energia, trasporti, automazione, Ict, nuo-vi materiali. Le aziende che fanno parte del Grup-po Finmeccanica, infatti, sono leader mondiali nel settore aerospaziale, nei trasporti ad alta velocità, nella gestione di aeroporti, di sistemi di sicurezza. Insieme abbiamo lavorato per identificare le aree nelle quali si sarebbero potute creare interessanti relazioni imprenditoriali che puntassero all’inno-vazione e allo sviluppo».Perché è stata scelta Genova come sede della manifestazione?«Genova è una piazza molto importante per i temi legati all’innovazione. Hanno sede in quella città alcune imprese del Gruppo Finmeccanica (Agusta Westland, Alenia Aeronautica, Ansaldo Energia, Ansaldo STS, Elsag Datamat, Otome-lara, Selex Communications, Selex Galileo, Se-lex Sema, Selex Sistemi Integrati, Telespazio e Wass). Quello di Genova è un territorio che, per sua natura, ha dovuto affrontare problemi com-plessi: l’intermodalità, il sistema portuale, la situazione dei trasporti complicata dalla limita-tezza degli spazi. Nella città ligure, quindi, sono nate opere eccellenti e si sono addensate compe-tenze e professionalità che possono far da guida in un appuntamento di questo genere».Quello di Genova sarà un Matching differente rispetto a quello che si svolge a Milano?«La manifestazione di Genova da un certo punto di vista è molto diversa dal Matching milanese. Pur mantenendo lo stesso format (incontri b2b tra imprese), infatti, la partecipazione è molto più selezionata e più segmentato il tema della stes-sa. Insieme a Finmeccanica abbiamo definito nel dettaglio i settori per i quali c’è una domanda di relazione, di ricerca di imprese che abbiano solu-zioni innovative, esperienze e capacità produttive interessanti. Tale lavoro taylor made (altamente personalizzato, ndr) che si sta facendo per la mani-festazione di Genova è una novità rispetto a quello sempre svolto per il Matching. Non è una novità, invece, il fatto che ciò che “fa” il Matching, come dice il titolo della manifestazione di quest’anno “Conoscere per crescere - To know to growth”, è uno scambio di conoscenze, che è anche il focus dell’evento di Genova».

Nella preparazione dell’evento di Genova la Cdo si è avvalsa della collaborazione di altre strutture?«Abbiamo messo in campo tutte le forze che ab-biamo, innanzitutto le sedi locali Cdo che oggi costituiscono un radar per individuare, in Italia e all’estero, imprese che abbiano soluzioni interes-santi dal punto di vista dell’innovazione. Abbiamo anche cercato di coinvolgere le istituzioni locali della Liguria, università e centri di ricerca. Ci sia-mo avvalsi anche di società di servizi. Know-Net, che ci segue da tempo sul tema dell’innovazione, ha pensato di realizzare a Genova degli speed da-

Pier Francesco Guar-guaglini, presidente di Finmeccanica: «L’inno-vazione è la chiave del successo sui mercati internazionali»«Il tema dell’innovazione, come chiave d’accesso per il raggiungimento di un’eccel-lenza tecnologica attraverso la quale diventare competi-tivi sui mercati internazio-nali, è da sempre al centro degli interessi di Finmecca-nica. Un’attenzione visibile dal costante impegno che la nostra azienda ha sempre dimostrato sui temi di Ricer-ca e Sviluppo. Solo nel 2009,

infatti, abbiamo investito 1,982 miliardi di euro in attività di R&S, una cifra pari all’11% dei ricavi, potendo vantare tra le nostre risorse circa 15.600 addetti impegnati in mansioni di progettazione ed engineering e 5.200 addetti qualificati coinvolti in attività di Ricerca e Sviluppo. È per questo motivo che abbiamo deciso di partecipare come partner e spon-sor a Matching Innovazione, consapevoli che da iniziative come questa possono scaturire interessanti confronti e opportunità di business per le nuove realtà imprenditoriali del Paese. La scelta di Genova come sede di questo evento costituisce per noi un motivo di particolare soddisfazione considerato il forte legame con la città, dove siamo presenti con azien-de storiche quali Ansaldo Energia, Ansaldo STS, Selex Communication, Selex Galieo, Alenia SIA, Elsag Datamat, Oto Melara e Wass».PI

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ting, cioè delle presentazioni in cui chi ha realizza-to soluzioni innovative sarà messo in relazione con imprenditori interessati a utilizzarle».Il Matching dell’innovazione è una delle tante manifestazioni “gemmate” dal Matching. Fa dunque parte della strategia volta a “fare il Matching tutto l’anno”?«Il Matching risponde all’esigenza di dare agli im-prenditori la possibilità di una relazione che li apra al mercato, all’innovazione, all’internazionalizza-zione. Questa esigenza ha trovato nel Matching una risposta efficace. Come sempre succede molti la stanno imitando. Nella nostra realtà si stanno ri-proponendo, anche a dimensione locale, appunta-menti più semplici nella loro modalità organizza-tiva, ma analoghi nello scopo che perseguono. Ci sono stati quest’anno una decina di appuntamenti che, pur con diversa denominazione, possiamo considerare Matching locali».State pensando di organizzare altri appun-tamenti del genere, magari dedicati ad altre filiere?«Fino a oggi non siamo andati avanti per program-mazione dello sviluppo a tavolino, ma abbiamo sempre cercato di assecondare le esigenze che mano a mano ci capitava di incontrare. Penso che continueremo a seguire questa strada. Tanti ci han-

no proposto di replicare il Matching e spesso ci siamo rifiutati di farlo. Abbiamo accettato di farlo a Genova, ma ben valutando l’opportunità di tale scelta. Un’iniziativa come il Matching ha avuto esito utile perché ha saputo instaurare con gli im-prenditori un rapporto realmente capace di anda-re fino in fondo alle loro esigenze, in un clima di fiducia reciproca, condividendo lo scopo del fare impresa. Solo a queste condizioni possiamo accet-tare di replicare la formula del Matching».Anche il Matching dell’innovazione può essere uno strumento utile per agganciare la ripresa?«La crisi costringe gli imprenditori a porsi do-mande che prima non si ponevano, a mettere in discussione assetti consolidati. In un periodo come quello attuale gli imprenditori cercano con forza l’occasione per condividere tali domande con altri imprenditori che, magari in situazio-ni diverse, si pongono i medesimi interrogativi. Il Matching è un luogo in cui si può riprende-re fiducia, speranza nel futuro, nelle prospetti-ve della propria attività. Lo spirito costruttivo caratterizza l’essere imprenditori, ma oggi c’è bisogno di cambiamenti nel modo di affrontare il mercato, di realizzare il proprio prodotto e ac-compagnare il cambiamento: è il senso vero del Matching». n

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C SCdo difende la sussidiarietà sociale

Il sottosegretario al ministero dell ’Economia e delle Finanze, Luigi Casero, è intervenuto al direttivodi Compagnia delle Opere per presentare la manovrafinanziaria del Governo e ascoltare le osservazionidi Cdo

d i D a v i d e B a r t e s a g h i

Il sottosegretario al ministero dell’Economia e delle Finanze, Luigi Casero, è intervenu-to al direttivo di Compagnia delle Opere per

presentare la manovra finanziaria del Governo, discuterne con i responsabili dell’associazione e raccogliere proposte, spunti e sollecitazioni. L’incontro si è svolto martedì 15 giugno presso il Teatro Capranica a Roma.«Diciamo innanzitutto - ha spiegato l’onorevo-le Casero - che la manovra serve a rafforzare il nostro Paese rispetto ai suoi punti di debolez-za, che sono due in particolare: l’elevato debi-to pubblico, un apparato burocratico arretrato e poco efficiente, e un alto livello di evasione fiscale. Il contesto è difficile per tutti i Paesi europei; ma in questa congiuntura l’Italia si è ritrovata tra i Paesi con la situazione meno gra-ve nelle graduatorie internazionali. Il motivo è semplice: finalmente dopo tanti anni si è tornati a dare peso al valore dell’economia reale contro l’economia finanziaria. E su questo l’Italia può vantare sia una rete di pmi distribuita e radica-ta nel territorio, sia una struttura sociale basata sulla famiglia, con una forte propensione al ri-sparmio, che hanno permesso di parare meglio di altri i colpi della crisi. E questi sono punti di forza che dobbiamo difendere. La manovra ha un valore complessivo di 24 miliardi. La deci-sione di non istituire nuove tasse è uno dei punti fermi dell’operazione. Tra i principali interventi ci sono forti tagli sulla spesa pubblica e sul si-stema delle autonomie locali, con lo scopo di mettere a regime la spesa senza aumentare la pressione fiscale».Dopo la presentazione del quadro sintetico

Nel contesto del Direttivo Cdo, che si è svolto a Roma il 15 giugno scorso, sono stati illustrati i punti salienti della mano-vra dal sottosegretario all’Economia Luigi Casero (a sinistra, accanto al presidente Cdo Bernhard Scholz)

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della manovra da parte del sottosegretario Ca-sero, il presidente di Compagnia delle Ope-re Bernhard Scholz ha illustrato la posizione dell’associazione.«Questa manovra trova il nostro consenso, so-prattutto per la decisione di ridurre la spesa pub-blica. Ci sono però alcune parti che non ci con-vincono e su cui vi chiediamo un ripensamento: mi riferisco soprattutto a quelle parti che intro-ducono elementi che possono essere di intralcio alla crescita dell’economia reale. La giusta e necessaria lotta all’evasione fiscale deve esse-

re organizzata in modo da non penalizzare tutti gli imprenditori. Bisogna evitare che per colpire qualcuno si creino difficoltà per tutti».

Le criticità della manovraIl presidente della Cdo ha elencato all’onorevole Casero alcune criticità presenti nella manovra: «Lo strumento della compensazione è uno stru-mento di equità: in sua assenza il contribuen-te dovrebbe pagare subito il proprio debito e chiedere a rimborso il credito, il che comporta adempimenti da attuare e tempi spesso lunghi di

attesa. Sappiamo che tale strumento è in alcuni casi oggetto di abuso e anche di utilizzo delit-tuoso. Ma perché per contrastare questo abuso si rende l’utilizzo dello strumento più complesso per tutti?Anche in merito all’obbligo di invio telematico delle fatture all’amministrazione finanziaria, per contrastare il fenomeno dei documenti fasul-

« Q u e s t a m a n o v r a t r o v a i l n o s t r o c o n s e n s o , s o p r a t t u t t o p e r l a d e c i s i o n e d i r i d u r r e l a s p e s a p u b b l i c a »

Ci vuole una vera semplificazioneLe imprese sono soffocate dagli adempimenti burocratici, che ormai costitui-scono un reale ostacolo alla loro crescita. Della veridicità di questa afferma-zione sembrano tutti convinti, ma la convinzione non fa scaturire comporta-menti conseguenti. Infatti, l’ultima manovra finanziaria - nel segno della lotta all’evasione - ha ulteriormente aumentato gli adempimenti a carico delle imprese, adempimenti che presumibilmente continueranno a colpire i non evasori.In tal senso non si può che plaudire a norme che cambiano direzione e mettono a tema la semplificazione, come i recenti “progetti per la libertà di impresa” prospettati dal ministro Tremonti, o la proposta di legge “statuto delle impre-se”, di cui l’onorevole Vignali è primo firmatario. Affinché la semplificazione sia reale e non resti un proclama, è però necessario che chi scrive le norme sia a conoscenza dell’effettiva situazione delle imprese, delle attuali procedure, delle troppe complicazioni. In caso contrario, provvedimenti che hanno lo scopo di semplificare produrranno l’effetto contrario: si pensi ad esempio alla recen-te procedura di comunicazione unica (“comunica”), che dovrebbe permettere di semplificare le comunicazioni obbligatorie alle Camere di commercio e agli uffici imposte, Inps e Inail, ma che si sta dimostrando assolutamente peggio-rativa rispetto alla situazione precedente.Ben vengano le semplificazioni, dunque, ma chi le attua abbia il gusto di cono-scere la realtà e non si fermi ad affermazioni di principio.

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li, viene imposto a tutti i contribuenti l’onere della comunicazione per le operazioni superiori a 3.000 euro all’amministrazione finanziaria: questo è un ennesimo aggravio pesante per sog-getti che già registrano le fatture e inviano co-municazioni e dichiarazioni Iva annualmente.Ancora: nel contesto economico attuale, appa-re francamente irrealistico pensare ad azioni di sorveglianza nei confronti delle imprese che ri-sultano essere in perdita per più di un periodo di imposta.Inoltre, in merito alla doppia imposizione Inps per amministratori / soci di società, l’interpre-tazione disposta dalla norma penalizza molte

Le osservazioni della Cdo sulla manovraDi seguito riportiamo alcuni aspetti della manovra che, ad avviso della Compagnia delle Opere, penalizzano in modo indiscriminato tutte le aziende, soprattutto la grande maggioranza di aziende “virtuose”:- Articolo 31 - compensazioni: per contrastare gli abusi si rende l’utilizzo dello strumento più complesso per tutti;- Articolo 21 - obbligo di invio telematico delle fatture all’amministrazione finanziaria: ennesimo pesante aggravio per tutti i contribuenti ai quali viene esteso l’onere della comunicazione di tutte le operazioni superiori a 3.000 euro all’amministrazione finanziaria;- Articolo 27 - autorizzazione per le operazioni intracomunitarie: ulteriore obbligo, che si somma a molti altri tutt’ora presenti;- Articolo 19 commi 14 e 15 - dati catastali: vengono appesantiti tutti i rogiti e tutti i contratti di locazione stipulati con la descrizione analitica dei dati catastali;- Articolo 24 - azioni di sorveglianza nei confronti delle imprese che

risultano essere in perdita per più di un periodo di imposta: tale disposizione, in un contesto economico come quello attuale, appare assai irrealistica;- Articolo 40 - possibilità per le regioni del Sud di ridurre l’Irap: anche questa disposizione pare irrealistica;- Articolo 53 - detassazione dei premi di produttività: il rimando a parti sociali e ad accordi collettivi appare totalmente ingiustificato;- Articolo 12, comma 11 - doppia imposizione Inps per amministratori / soci di società: si tratta di una norma che penalizza gli imprenditori che vivono del loro lavoro;- Lotta all’evasione: l’attuale impostazione della lotta all’evasione corre il rischio di mettere in discussione due dei pilastri su cui si fonda l’obbligazione tributaria: 1) l’imparzialità dell’azione amministrativa e l’equità dell’azione del dipendente pubblico;2) la tutela della giustizia.

Adempimenti che penalizzano gli im-prenditori, blocco degli scatti di anzia-nità degli insegnanti, mancata valorizza-zione delle scuole paritarie. Sono al-cuni dei rilievi mossi dal presidente Cdo Bernhard Scholz alla manovra gover-nativa

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piccole aziende con pochi soci, che ci lavorano e le amministrano.Occorre fare molta attenzione, perché si rischia di mettere ulteriori impedimenti alla ripresa, impedimenti di fatto, ma anche impedimenti di natura psicologica, per i quali chi intraprende sente nello Stato un antagonista al suo fare.Per questo motivo condividiamo anche quanto dichiarato recentemente dal ministro Tremonti sulla volontà di semplificare l’impianto buro-cratico, rimuovere l’eccesso di regole e favorire la libertà d’impresa. Si tratta di un importantis-simo passaggio culturale: dal sospetto verso chi intraprende alla fiducia».

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Passando al tema della scuola, il presidente Scholz ha espresso contrarietà su alcuni provve-dimenti che riguardano gli insegnanti, «ai quali viene chiesto un doppio sacrificio: da una par-te il blocco degli scatti di anzianità dall’altra il congelamento dei contratti. Si tratta di interven-ti poco comprensibili e per nulla condivisibili. Siamo altrettanto contrari al fatto che l’iscrizio-ne alle scuole paritarie possa essere considerato un indice di capacità contributiva. Ci sono fami-glie che fanno grandi sacrifici per poter mandare i figli in queste scuole».Il presidente Scholz ha inoltre ricordato che le scuole paritarie rappresentano per lo Stato una straordinaria occasione di risparmio. «Nelle scuole paritarie il costo per studente è di cin-quemila euro; in quelle statali di 7.500 euro. Già oggi l’esistenza stessa di tante scuole paritarie permette allo Stato di risparmiare sei miliardi. Abbiamo accolto con piacere la promessa del ministro Tremonti di confermare le risorse per le scuole paritarie. È un bene, perché altrimen-ti molti istituti rischierebbero di chiudere. E se qualcuno di essi chiude, per lo Stato aumenta la spesa». Ed è proprio cogliendo lo spunto offerto dal tema della scuola che l’onorevole Casero ha avuto l’occasione di riprecisare il senso della

Il nuovo welfareIn occasione dell’incontro con l’onorevole Casero la Compagnia delle Opere ha lanciato un grido d’allarme sulla situazione del Welfare che è insostenibile perché:- da parte della classe politica c’è in moltissimi casi una mancanza di conoscenza della situazione reale del Paese; il Welfare è quasi ovunque tenuto in piedi da enti che vivono di: a) appalti e convenzioni con gli enti pubblici, pagati malissimo e tardissimo, che non permettono una crescita stabile dell’ente e prospettive decorose per le persone che vi lavorano a causa dell’assoluta precarietà e temporaneità della situazione; b) finanziamento di progetti da parte di enti pubblici, fondazioni bancarie e d’impresa. Progetti per i quali è sempre richiesta l’innovatività, anche se l’ente realizza - ad esempio - un servizio di assistenza domiciliare sempre uguale nel tempo, in quanto utilissimo e che non necessita di particolari evoluzioni; c) raccolte fondi e campagne di sensibilizzazione; d) economie realizzate grazie agli stipendi bassissimi, ai contratti poco onerosi ma molto precari di cui gli operatori si accontentano, lavoro volontario ecc.;- questi enti sono: a) circondati da interlocutori istituzionali che controllano il loro operato (Asl, Comuni, piani di zona, assistenti sociali, tribunali, enti finanziatori ecc.); b) nonostante ciò, considerati da molti interlocutori politici soggetti da controllare perché

vivono in chissà quale anarchia (allora viene inserito l’obbligo di rendicontazione anche all’ultima forma di entrata senza progetto che esiste in Italia, la nostra legge preferita: il 5x1000); c) usati da molti enti pubblici come subfornitori di servizi a basso costo; subfornitori di servizi: non sono interpellati sulla modalità di attuazione del servizio, sui bisogni che intercettano sul territorio ecc., di tutto ciò continuano a essere responsabili gli interlocutori pubblici, non sempre informatissimi.D’altra parte, la spesa sanitaria e anche assistenziale sta mettendo in serissima difficoltà tante amministrazioni pubbliche, soprattutto i Comuni.Ma se la coperta è sempre più corta, gli enti non ce la fanno più, i bisogni non accennano a diminuire, non si può andare avanti se non si pensa a delle riforme strutturali. La crisi internazionale non è una buona ragione per tenere in stand by il Libro bianco del ministro Sacconi e non iniziare alcuna riforma. Peraltro, si tratta di riforme che vogliono tendere a liberare energie, e non a spendere soldi. Alla Cdo sembra che la progettazione e l’avvio di un sistema che veda la libertà di scelta - attraverso strumenti come i voucher, i buoni servizi, le doti - quale pilastro del “nuovo Welfare” sia una necessità urgente e non più rinviabile.

manovra.«Se in Italia c’è una scuola paritaria che funziona meglio e costa meno di quella pubblica, ciò può di-ventare un modello anche per altri settori. Per questo la manovra deve diventare un’oc-casione per fare dei passi avanti e dei salti di qualità. La filosofia di fondo è che c’è una parte di questo Paese che fun-ziona e che va aiutata: ed è proprio la parte che ci ha permesso di presentarci in questa difficile congiuntura inter-nazionale con una situazione migliore di quella di tanti altri Paesi.E uno di questi elementi virtuosi è certamente la presenza di un sistema sussidiario dove le famiglie e le imprese sono aiutate a svolgere pienamente la loro responsabilità in una colla-borazione leale tra il sistema pubblico e quelle privato». n

Monica Poletto, presidente Cdo Ope-re Sociali, interviene durante il Direttivo della Compagnia delle Opere alla pre-senza dell’onorevole Casero

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ll’uomo, il cuore e il desiderio di cose grandi

Si è tenuta lo scorso 10 giugno la presentazio-ne della XXXI edizione del Meeting all’am-basciata italiana presso la Santa Sede. Ospiti,

insieme a Emilia Guarnieri, il ministro Franco Frattini e il professor Joseph Weiler, docente alla New York University. A fare gli onori di casa, di fronte a un pubblico prestigioso, tra cui una deci-na di ambasciatori, onorevoli, imprenditori, espo-nenti del mondo della cultura e dello spettacolo, l’ambasciatore Antonio Zanardi Landi. Il professore ebreo Weiler ha esordito raccontan-do dello stupore di alcuni amici quando seppero che nel 2003 aveva accettato di partecipare per la prima volta al Meeting: «Quando fui invitato per la prima volta, molti dei miei amici italiani ne furono estremamente sorpresi: “Cosa ci fa uno come te a un evento organizzato da loro?”. Capii che mi ero imbattuto in qualcosa di interessante quando questi amici mi chiesero “come mai sei stato invitato?”. Dopo sette anni, sorprendente-mente, il Meeting continua a invitarmi e io non esito mai nell’accettare». Partendo da questa pro-vocazione ha poi fatto sei ipotesi sulla ragione del successo del Meeting, usando sei sostantivi che lo definiscono: unicità, apertura intellettuale,

Il Meet ing ha lanciato lo scorso 10 g iugno la XXXI edizione. Quasi trecento persone present i all’incontro, tenutosi all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, a cui hanno partecipato i l ministro degli Ester i Franco Fratt ini , i l professor Weiler della New York University ed Emilia Guarnier i

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vita, gioventù, fami-glia, gravitas, gratuità e l’ingrediente segre-to: «L’ingrediente se-greto, infine, è lo spiri-to di don Giussani che continua ad aleggiare sull’intero evento, ri-animato dal suo suc-cessore, don Carrón. Giussani, nella seconda fase del suo insegnamento, non solo ha insistito sul fatto che la politica non potrà mai essere al primo posto, ma ha sempre detto che la vita spirituale dell’uomo di fede non è radicata semplicemen-te nella ragione, ma in una reale coscienza della Presenza. La fede non è solo un fatto cognitivo, ma anche, e soprattutto, sperimentale. E così è anche per il Meeting: va sperimentato, vissuto, per cogliere la sua piena e straordinaria combina-zione di vitalità e gravitas».

Il tema di quest’annoEmilia Guarnieri ha presentato il tema di quest’anno, prendendo spunto da quello che sarà lo spettacolo inaugurale, il Caligola di Ca-mus. «Ho bisogno della luna, o della felicità, o dell’immortalità: di qualche cosa, poniamo, di pazzesco, purché non sia di questo mondo», re-

Cl’uomo, il cuore e il desiderio di cose grandi

Sopra, da sinistra, Joseph Weiler, professore alla New York Universi-ty, Emilia Guarnieri, presidente del Meeting, Franco Frattini, ministro degli Esteri, e Antonio Zanardi Lan-di, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede

cita l’imperatore romano. Oggetto del Meeting sarà l’uomo e il suo desiderio di infinito: «L’uomo de-sidera cose grandi - ha affermato il presidente del Meeting - non solo i grandi maestri, non solo le persone e le figure che il Meeting quest’anno darà la possibilità di incontrare, ma tutti gli uomini de-

siderano cose grandi. Questo desiderio, o, come lo chiama don Giussani, “questa sorta di presen-timento di felicità” è ciò che sospinge l’uomo nell’azione, nel lavoro, nella ricerca, perché que-sto desiderio è come il baluginio di una positività possibile, di una realizzazione possibile. L’uomo quando desidera è come se in fondo presentisse che ciò che desidera può o potrebbe compier-si. L’uomo si impegna esattamente per questo. Il Meeting sarà una carrellata di come l’uomo si muove, sospinto da questo desiderio. Questo cuore, dice il titolo del Meeting, l’uomo ce l’ha per natura; ciò significa che dipende da esso, non se l’è dato lui e non può nemmeno toglierselo. La sua grandezza (qui Leopardi ci accompagna e ci sostiene) consiste proprio nel non essere mai ap-pagato, nel non essere mai soddisfatto, in questa sua inquietudine mai doma. Questo è quello che Dante chiama “l’ardore”. A volte si ritiene che questa inquietudine possa placarsi nel momento

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in cui trovi qualcosa che la appaghi, un punto di appoggio, qualcosa che soddisfi il desiderio. In-vece l’esperienza documenta che, quanto più si profila nell’orizzonte della vita l’ipotesi di una risposta, tanto più l’impeto del desiderio si esal-ta. Il cuore dell’uomo, proprio perché è rapporto con l’infinito, è la sola speranza che abbiamo da-vanti e che può andare oltre ogni bruttura. Certo è facile che questo desiderio si spenga e che si assopisca o tenda a cadere nello scetticismo. Che cosa può ridargli energia e vigore? L’incontro con qualcosa di bello e di grande, incontrare una speranza su di noi, un amore grande, qualcosa di positivo. Credo che il Meeting continui a esser-ci e a essere un’esperienza importante perché è l’occasione per incontrare qualcosa di bello, di grande; questo è ciò che ci aspettiamo anche dal Meeting di quest’anno».

U n c a r t a p r e g i a t a d e l l’ I t a l i a«Il Meeting - ha concluso il ministro degli Esteri Franco Frattini - lo considero personalmente una carta pregiata del sistema dell’Italia, dell’Italia come Paese, dell’Italia come sistema del mondo intero, delle relazioni internazionali, un vero va-lore aggiunto che arricchisce l’Italia e gli italiani

e tutti coloro che da ogni parte del mondo vi par-tecipano. Sotto il profilo del ministro degli Este-ri il titolo del Meeting di quest’anno può essere declinato con qualche approfondimento, che sarà poi il tema del panel a cui sono stato chia-mato a partecipare, sul dialogo interreligioso e sulla libertà religiosa. Su questo tema avrei oggi quattro suggestioni, spunti di riflessione. Quan-do parliamo di questo desiderio di cose grandi, esso restituisce un ruolo chiave al fattore reli-gioso anche nelle relazioni internazionali. Con la dimensione universale del fattore religioso, possiamo meglio comprendere la forza del dia-logo interreligioso, fondamentale per costruire oggi un concetto di pace che sia adeguato alle sfide del XXI secolo. La pace si costruisce attra-verso il dialogo e con la giustizia, con i principi giusti che devono essere trasmessi». In conclu-sione il ministro Frattini ha fatto una riflessione sulla libertà religiosa. «Da un lato riguarda la libertà di culto, la possibilità di esprimere libe-ramente e pubblicamente il proprio credo reli-gioso. Dall’altra si tratta di allontanare quella convinzione sbagliata per cui libertà religiosa vuol dire soltanto libertà di coltivare il proprio credo in privato. Questa non è libertà religiosa. Il crocefisso non è un qualcosa che io espongo per allontanare l’altro, ma per assecondare il bi-sogno della persona umana credente che ha il diritto di poterlo dire ed esprimere». n

La provocazione contenuta nel titolo del Meeting 2010, “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”, afferma che la natura dell’uomo è innanzitutto il suo cuore che si esprime come desiderio di cose grandi. Il motore di ogni azione umana è questa aspirazione a qualcosa di grande, l’esigenza di qualcosa di infinito. È questa tensione il tratto inconfondibile dell’umano, la scintilla di ogni azione, dal lavoro alla famiglia, dalla ricerca scientifica alla politica, dall’arte all’affronto dei bisogni quotidiani. I grandi desideri e le grandi aspirazioni non sono un ostacolo o qualcosa che compli-ca l’esistenza, ma sono ciò che rende l’uomo irriducibile proprio perché essi sono il segno del suo rapporto con l’infinito. Partendo da questo assunto, il Meeting cercherà di documentare come nella realtà di oggi sia innanzitutto necessario partire dall’umanità di ogni perso-na, facendo dei bisogni e dei desideri degli uomini l’anima delle scelte gran-di e di quelle quotidiane. Anche perché solo questo è il punto che accomuna tutti gli uomini ed è pertanto l’inizio anche di un reale dialogo tra i popoli. Nelle pagine che seguono anticiperemo alcuni dei temi e dei personaggi principali dell’evento che si terrà a Rimini dal 22 al 28 agosto, approfonden-do, soprattutto, quello che la Cdo porta al Meeting in termini di tematiche e di consapevolezza di esperienze.

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Joseph Weiler (sopra) ha fatto sei ipotesi sulla ragione del successo del Meeting, usando sei sostantivi che lo definiscono: unicità, apertura intellettuale, vita, gioventù, famiglia, gravitas, gratuità e l’ingrediente segreto: lo spirito di don Giussani

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i mil programma del meetingGuida ragionata agl i appuntamenti del-la XXXI edizione del l ’evento di Rimini ( i l programma completo è on l ine sul s i to www.meetingrimini .org)

Il titoloSarà la XXXI edizione del Meeting, quella che si aprirà il 22 agosto con la presenza del presi-dente di Irlanda Mary McAleese e lo spettacolo “Caligola e la luna”, tratto dal celebre dramma di Albert Camus, nella ricorrenza dei cinquant’anni dalla morte. Un’edizione che anche quest’anno propone incontri, mostre, spettacoli e sport, un ricco programma che da sempre contraddistingue uno dei momenti culturali più importanti dell’an-no. Il filo rosso sarà il titolo: “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”. Oggetto sarà la natura dell’uomo, la sua vera essenza. In una cultura che tende a cancellare “l’umanità dell’uomo”, il “mancamento e voto” espresso da Leopardi nello Zibaldone, il rischio è quello che si affermi una concezione puramente materialistica della vita. La provocazione conte-nuta nel titolo afferma invece il contrario. La na-tura dell’uomo è innanzitutto il suo cuore che si esprime come desiderio di cose grandi. Il motore di ogni azione umana è questa aspirazione a qual-cosa di grande, l’esigenza di qualcosa di infinito. L’uomo è rapporto con l’infinito. È questa tensio-ne il tratto inconfondibile dell’umano, la scintilla di ogni azione, dal lavoro alla famiglia, dalla ri-cerca scientifica alla politica, dall’arte all’affron-to dei bisogni quotidiani.Il Meeting cercherà di documentare come nella realtà di oggi sia innanzitutto necessario partire dall’umanità di ogni persona, facendo dei bisogni e dei desideri degli uomini l’anima delle grandi scelte e di quelle quotidiane. Anche perché solo questo è il punto che accomuna tutti ed è pertanto l’inizio anche di un reale dialogo tra i popoli. 

Il programmaIn calendario oltre 100 incontri; tra questi la fa-scia dei Focus, appuntamenti dedicati all’appro-fondimento per un pubblico specializzato, tra cui segnaliamo il ciclo di seminari con fondazioni in-

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ternazionali quali la Tony Blair Faith Foundation, la Fondazione Adenauer (con la presenza al semi-nario di Rocco Buttiglione, vice presidente del-la Camera dei deputati, S. Em. Card. Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, Hans-Gert Poettering, presidente Fon-dazione Adenauer), il London Citizen e ResPu-blica, ma anche la serie di incontri denominata “Caffè con…”, occasione per i giovani di incon-trare protagonisti del mondo dell’economia e del-la finanza. La fascia Testi e contesti presenterà libri, mostre, musica e video, tra cui segnaliamo la rassegna di reportage internazionali dal titolo “Storie dal mondo” e quella su storie di sport dal titolo “Storie di sport, storie di vita”.Otto mostre che spaziano dalla crisi economi-ca al samba, dalla figura di Flannery O’Connor all’Ulisse di Dante, dalla matematica a quella sul Portico della Gloria di Santiago, fino alla figura di Stefano d’Ungheria e alla vicenda di Danzica e Solidarnosc (per approfondimenti vedere le sche-de delle mostre a pagina 130).Infine 18 spettacoli con musica, teatro, danza (per approfondimenti vedere lo spazio dedicato agli spettacoli a pagina 138), eventi e manife-stazioni sportive.

Gli incontri delle 17: gli appuntamenti principali del programmaL’incontro inaugurale avrà come protagonista il presidente d’Irlanda Mary McAleese, intervi-stata dallo scrittore e giornalista irlandese John Waters sul tema “Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo”.

In questa e nelle pagine seguenti alcune immagini di passate edizio-ni del Meeting di Rimini

e s s e t i e m m e

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Nata nel 1951 a Belstaff, è il primo presidente proveniente dall’Irlanda del nord; molto amata nel suo Paese, figura di grande profilo sia per la sua storia personale - ha vissuto in prima persona la guerra civile - sia per lo slogan della sua presi-denza che è “costruire ponti”. Il 23 agosto un incontro all’insegna del dialogo tra cattolici e ortodossi di fronte alla sfida comu-ne di un’Europa che sempre di più mette da parte il cristianesimo e le chance che esso può avere per l’uomo contemporaneo. A incontrarsi saran-no il primate d’Ungheria e presidente del Consi-glio delle Conferenze episcopali d’Europa Péter Erdò e il metropolita di Minsk e Sluzk Filaret. Il tema del Meeting sarà svolto il 24 agosto da don Stefano Alberto, docente di Introduzione alla teologia all’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano. Desiderare Dio, sarà il punto di partenza della relazione del 25 agosto del Patriarca di Venezia Angelo Scola.La libertà religiosa e la responsa-bilità degli Stati saranno il tema dell’incontro che si svolgerà il 26 agosto con il ministro Frattini, a cui sono stati invitati Ahmet Davutoğlu, mi-nistro degli Esteri della Repubblica di Turchia, Ahmed Aboul Gheit, ministro degli Esteri della

Repubblica Araba d’Egitto, Joseph Kabila Ka-bange, presidente della Repubblica Democratica del Congo, Ojo Maduekwe, ministro degli Este-ri della Repubblica Federale di Nigeria, Shah Mehmood Qureshi, ministro degli Esteri della Repubblica Islamica del Pakistan e Hoshyar Ze-bari, ministro degli Esteri della Repubblica Ira-chena. Venerdì 26 agosto sarà la volta del tema politico dell’Europa e le sue regioni in un incontro a cui sono stati invitati, insieme al governatore della Regione Lombardia Roberto Formigoni, il pre-sidente della Commissione europea José Manuel Durão Barroso e il presidente della Romania Traian Basescu. Infine il Meeting si concluderà con la presenta-zione del libro di don Luigi Giussani L’io rina-sce in un incontro a cui parteciperà lo scrittore e filosofo francese Fabrice Hadjadj; di origine ebraica, arabo di nome, Hadjadj è uno dei filosofi emergenti in Francia, vincitore nel 2006 del pre-stigioso “Grand Prix catholique de littérature”. Altro importante incontro sarà domenica 22 ago-sto alle 19 con la presentazione in anteprima del primo volume dell’Opera Omnia di Benedetto XVI in edizione italiana a cura di Pierluca Azza-

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ro e Edmondo Caruana (Ed. Libreria Editrice Va-ticana), Teologia della liturgia, alla quale è stato invitato il vescovo di Ratisbona Muller. Interver-rà anche per un saluto il direttore della Libreria Editrice Vaticana Giuseppe Costa.

TestimonianzeAl Meeting interverranno uomini e donne da ogni parte del mondo, che testimoniano come il desiderio di felicità sia irriducibile, in qualsiasi circostanza.Il primo appuntamento sarà con Rose Busing-ye, del Meeting Point International in Uganda, e alcuni ragazzi accolti nel suo centro che rac-conteranno come anche in Africa sia possibile la rinascita di uomini nuovi.Interverrà Maria Teresa Landi, ricercatrice al National Institute of Health, il cuore della ricerca scientifica americana, con una testimonianza sul suo lavoro. Ci sarà per la prima volta al Meeting Margherita Coletta, vedova del brigadiere Giu-seppe Coletta, morto a Nassiriya nel 2003 nell’at-tentato che costò la vita a 19 italiani tra militari e civili. La speranza che ricostruisce in zone disastra-te sarà il fulcro del racconto di Mireille Yoga,

educatrice al Centro Sociale Edimar (Yaoundé, Camerun), centro che si dedica al reinserimento familiare e sociale dei ragazzi raccolti per stra-da, e di Fiammetta Cappellini, rappresentante di Avsi ad Haiti, tra le prime a portare soccorso dopo il terremoto. Un racconto del cristianesimo presente in terre di frontiera sarà quello di Alfre-do Monacelli, sacerdote della Diocesi di Vicotira a Vancouver Island e di David Frank, indiano della Ahousat Riserve.

Diritto, cultura, dialogo, scienza, educazioneAl Meeting approfondimenti sul tema del dirit-to, della convivenza e della tutela della vita. In-nanzitutto il tema della presenza religiosa nello spazio pubblico con giuristi del calibro di Giu-liano Amato, presidente della Treccani, l’ebreo Joseph H. H. Weiler della New York University, Giorgio Feliciani, docente di Diritto Canonico e Diritto Ecclesiastico all’Università Sacro Cuore di Milano e Lorenza Violini dell’Università degli Studi di Milano. Il problema del diritto e della tutela della vita con l’inglese anglicano John Milbank, professor in

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Religion, Politics and Ethics at the University of Nottingham, l’americano Carter Snead, asso-ciate professor of Law at the University of Notre Dame e Andrea Simoncini, docente di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Fi-renze.E infine un titolo provocatorio per il tema dei di-ritti umani “I diritti umani sono ancora diritto?” con Paolo Carozza, docente alla Notre Dame University e David Kretzmer, già componente del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Uni-te. Sul tema del desiderio nella cultura classica in-terverrà Ivano Dionigi, rettore dell’Università degli Studi di Bologna e Moreno Morani, docen-te all’Università degli Studi di Genova. Mentre sul tema della vita tra scienza e filosofia, due fi-losofi come Costantino Esposito dell’Università di Bari ed Eugenio Mazzarella dell’Università di Napoli insieme al matematico e filosofo francese Oliver Rey. A temi scientifici saranno dedicati due incontri.

Il primo, sul bene che la scienza può portare alla società, con Mario Livio dell’Hubble Space Te-lescope Science Institute e Andrea Carlo Moro, docente di Linguistica Generale all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Il secondo sarà la presentazione della mostra dedicata alla matematica con il grande matematico Edward Nelson.A settembre Benedetto XVI nella sua visita in In-ghilterra beatificherà John Henry Newman; sul-la figura del cardinale interverrà Diarmuid Mar-tin, arcivescovo di Dublino e Primate d’Irlanda.Sul tema della libertà religiosa e della persecu-zione dei cristiani ci sarà la toccante testimonian-za di Joaquin Alliende-Luco, presidente Asso-ciazione Aiuto alla Chiesa che Soffre insieme a Mario Mauro, rappresentante personale della Presidenza dell’Osce. L’incontro tra diverse religioni sarà a tema nel dialogo a cui sono stati invitati Shōdō Habu-kawa, monaco buddista e docente alla Koyasan University, Tareq Oubrou, rettore della Moschea

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di Bordeaux e il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Inoltre verrà presentata al Meeting la traduzione in cinese de Il senso religioso di

don Luigi Giussani. Dialogheranno di identità e convivenza Miguel Diaz, ambasciatore Usa presso la Santa Sede e Andrea Simoncini, docente di Diritto Costitu-zionale all’Università degli Studi di Firenze. “Io e tu: un binomio inscindibile” sarà il titolo dello stimolante dibattito a cui parteciperanno Giancarlo Cesana, docente di Igiene all’Univer-sità degli Studi di Milano Bicocca, e Giacomo Rizzolatti, docente di Fisiologia Umana nel Di-partimento di Neuroscienze all’Università degli Studi di Parma.Sul tema dell’educazione sono state invitate al-cune esperienze dall’estero, che si confronteran-no con uno degli esponenti dell’amministrazione Obama, Joshua DuBois, direttore dell’Ufficio relazioni interreligiose della Casa Bianca.L’informazione sarà il tema del panel a cui sono stati invitati Mario Calabresi, direttore de La Stampa, William McGurn, giornalista del Wall Street Journal, Peter Stockland, executive direc-tor Centre for Cultural Renewal di Ottawa e John Waters, editorialista de The Irish Times.Al Meeting anche la politica diventa cultura; gli appuntamenti saranno un confronto tra politici

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e uomini impegnati nel reale: storie e testimo-nianze su temi come la povertà, l’immigrazione, l’integrazione, che raccontano una spinta ideale positiva verso la realtà, un desiderio dell’uo-mo che si esprime anche in esigenze e istanze sociali che le istituzioni devono riconoscere e sostenere. Inoltre si farà il punto su due riforme urgenti per l’Italia, quella della giustizia e del federalismo. Innanzitutto il tema della povertà con il mini-stro del Welfare Maurizio Sacconi, il docente Luigi Campiglio, Mauro Inzoli, presidente As-sociazione Fraternità e Marco Lucchini della Fondazione Banco alimentare. Il ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna si confronterà sul problema dell’integrazione delle donne con tre testimonianze di esperienze di cooperative che operano in questo settore: Stefano Giorgi, direttore di In-Presa, Marie Therèse Mitsindo, responsabile Cooperativa Sociale Karibu a La-tina e Luigi Paccosi, presidente Associazione Progetto Sant’Agostino. Il ministro dell’interno Roberto Maroni si con-fronterà invece sul tema dell’immigrazione con alcune opere che offrono accoglienza: Ameur Belhadj, custode dell’Opera Ozanam di Como, Alberto Bonfanti, responsabile dell’associa-

zione Portofranco, Valter Izzo, presidente del Gruppo La Strada. Inoltre sarà affrontato il tema della riforma della giustizia in un convegno a cui parteciperanno il ministro Angelino Alfano e Luciano Violante; e il tema del federalismo con un incontro a cui sono stati invitati il governatore della Regione Lombardia Roberto Formigoni, quello del-la Regione Basilicata Vito De Filippo, quello della Regione Veneto Luca Zaia e quello della

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Regione Siciliana Raffaele Lombardo. Come è ormai tradizione da qualche anno, si ter-rà al Meeting l’appuntamento dell’Intergruppo per la sussidiarietà a cui è stato invitato il mini-stro Alfano e, tra i promotori, il vicepresidente della Camera dei deputati Maurizio Lupi e il deputato del Pd Enrico Letta. Infine saranno presenti al Meeting sulle speci-fiche tematiche di riferimento il viceministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani, il ministro dell’Agricoltura Giancarlo Galan, il ministro per i Beni e le Attività culturali Sandro Bondi e il senatore Francesco Rutelli, il sinda-co di Roma Gianni Alemanno, Andrea Prato, assessore dell’Agricoltura Regione Sardegna.

Economia e societàGrande ospite del Meeting di quest’anno sarà Sergio Marchionne, amministratore delegato del Gruppo Fiat, che racconterà la sua esperien-za di manager. Un altro importante imprenditore che interverrà sarà Naguib Onsi Sawiris, presidente di Ora-scom Telecom.Alcuni incontri prenderanno spunto dalla mostra dedicata alla crisi economica, approfondendone le cause, gli effetti in Italia e la provocazione e la sfida che la crisi ha posto a tutti.Sono l’incontro con il ministro del’Economia Giulio Tremonti e Paolo Scaroni, amministra-tore delegato di Eni, quello con il presidente di Generali Cesare Geronzi, il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e il vice-presidente della Camera dei deputati Maurizio Lupi, e infine quello a cui interverranno Phillip Blond, direttore di ResPublica, Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, Giu-seppe Folloni, docente di Economia all’Univer-sità degli Studi di Trento ed Ettore Gotti Tede-schi, presidente dello Ior. Sempre sul tema della ripresa economica e delle condizioni con cui essa può avvenire sono stati invitati Giovanni Bertolone, direttore centrale Operazioni di Finmeccanica spa, Raffaele Bo-nanni, segretario generale Cisl e Corrado Pas-sera, ceo di Intesa Sanpaolo.A discutere della crescita del capitale umano, al di là delle tante buone intenzioni, sono stati invitati Stefano Agostini, presidente e ammi-nistratore delegato Sanpellegrino spa, Gabriel-la Alemanno, direttore Agenzia del Territorio, Francesco Bombelli, presidente del Consorzio Hcm di Milano e Federico Vitali, presidente di Faam.

Rimanendo sempre in tema di persona e della dignità del lavoro, interverranno imprenditori come Luca Ferrarini, presidente del Gruppo Ferrarini-Vismara e Vincenzo Tassinari, pre-sidente Coop Italia insieme ad Alberto Daprà, presidente di Lombardia Informatica e Tiziano Treu, vicepresidente Commissione Lavoro e Previdenza Sociale del Senato.L’innovazione delle imprese come processo che coinvolge tutti i collaboratori sarà invece il tema di un convegno a cui sono stati invitati Marco Arzilli, segretario di Stato all’Industria della Repubblica di San Marino, Sergio Dom-pè, presidente di Farmindustria, Massimo Sar-mi, amministratore delegato di Poste Italiane, Antonio Tajani, vicepresidente Commissione europea, commissario responsabile di Industria e Imprenditoria, e Giuseppe Orsi, amministra-tore delegato di Agusta Westland.Infine il tema delle reti e l’importanza di esse per raggiungere obbiettivi importanti sarà al centro dell’incontro a cui sono stati invitati Rosario Altieri, presidente di Agci, Stefano Berni, direttore generale del Consorzio per la Tutela del Grana Padano, Marco Montagna del Club Libera Impresa, e Renzo Sartori, presi-dente dell’associazione Colog.Altro tema economico sarà quello dell’energia intorno a cui sono stati invitati Fulvio Conti, amministratore delegato e direttore generale di Enel, Federico Golla, amministratore delegato di Siemens Italia, Stefano Saglia, sottosegre-tario di Stato allo Sviluppo Economico, Pao-lo Togni, presidente dell’Associazione Viva - per la diffusione di una corretta conoscenza

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ambientale e Giuliano Zuccoli, presidente di A2A.Sul tema delle infrastrutture sono stati invitati Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, Giovanni Castellucci, amministra-tore delegato di Autostrade per l’Italia, Raf-faele Cattaneo, assessore alle Infrastrutture e Mobilità Regione Lombardia, Mauro Moretti, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Fs, e Roberto Tazzioli, presidente e ammini-stratore delegato Bombardier Transportation Italy Spa, insieme al ministro Altero Matteo-li, che interverrà anche al convegno sulla sicu-rezza stradale con S. Ecc. Mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro e Sandro Salvati, presidente della Fondazione Ania. Sul tema del sostegno alla imprenditorialità sono stati invitati Ferruccio Dardanello, pre-sidente Unioncamere; Giorgio Guerrini, pre-sidente nazionale di Confartigianato, Raffaello Vignali, vice presidente Commissione Attività Produttive, Commercio e Turismo della Camera dei deputati.Altro relatore su temi riguardanti l’economia sarà Giuseppe Guzzetti, presidente di Acri. n

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l’economia ridotta nel suo ambito puramente strumentaleC’è una celebre definizione di Lionel Robbins sull’economia e la sua natura, che per come è stata letta ha determinato sia il modo di riflettere sugli avvenimenti economici (occupazione tipi-ca dell’economista), sia la pratica e il mestiere

Un economista r if lette sul tema del Meet ing di Rimini di quest’anno: tutte le avventure economiche, grandi e piccole, nascono dal desider io di cose grandi

di amministratori e imprenditori, sia la cultura del lavoro in cui siamo immersi: «L’economia è la scienza che studia la condotta umana nel mo-mento in cui, data una graduatoria di obiettivi, si devono operare delle scelte su mezzi scarsi ap-plicabili a usi alternativi» (Lionel Robbins, Es-say on the Nature and Significance of Economic Science, 1932). È una definizione puramente strumentale. Nel leggerla, ciò che è specifico dell’uomo è fuori: è, in un certo senso, “risolto prima” (nella graduatoria di obiettivi) e quindi già saputo. Si tratta solo di individuare, attraverso l’uso di appropriati strumenti, come massimizza-re l’efficienza nell’uso delle risorse. Chi lavora partecipa al funzionamento di un meccanismo

d i G i u s e p p e F o l l o n i p r o f e s s o r e d i E c o n o m i a p r e s s o l ’ U n i v e r s i t à d e g l i S t u d i d i Tr e n t o

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N . 2 L u g l i o 2 0 1 0 C O R R I E R E D E L L E O P E R E 45

strumentale. Non è un’esperienza che spalanca la sua umanità. Un problema ridotto conduce a so-luzioni e risposte altrettanto ridotte. Vedremo più oltre che questo ha a che fare con una coscienza di sé totalmente immanente, slegata dalla consi-derazione di sé come esigenza di compimento e di felicità. Questo si riflette nella concezione che abbiamo del lavoro.

Una diversa percezione della realtà e del suo significatoSe stessimo attenti alla nostra originale esperienza, che le parole desiderio, attesa, curiosità e attrattiva esprimono, partiremmo da una diversa percezione della realtà. Lo dice con chiarezza la filosofa spa-gnola Maria Zambrano: «L’uomo non si rivolge alla realtà per conoscerla meglio o peggio, se non dopo, e a partire da, averla sentita come una promessa, come una patria dalla quale in linea di principio ci si attende tutto, nella quale si crede possibile tro-vare tutto» (Maria Zambrano, I beati, Feltrinelli, Milano 1992, p. 106). L’uomo sta di fronte al reale, al “dato”, come provocazione a un cammino, non come un cassetto di appunti da ordinare e classifica-

A Eal “cuore” dell’ economia

«Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, che nella tua filosofia»(W. Shakespeare, Amleto )

rivoluzione c’era un “limite allo sviluppo”. Così, di fronte a un problema, a un limite, gli uomini “si avventurano” in un rapporto diverso con le risorse. Noi giudichiamo la rivoluzione neolitica e il pas-saggio alla capacità di coltivare come un puro avve-nimento tecnologico. C’è di più: questa rivoluzione è stata possibile per l’esperienza che la realtà - come dice la Zambrano - ha dentro una promessa, è la scoperta di una corrispondenza del reale al proprio cammino, di cui l’ampliarsi della capacità tecnolo-gica è la conseguenza. Il lavoro nei monasteri era legato alla bonifica dei terreni, alla coltivazione dei campi, alla conserva-zione delle antiche pergamene. Nel modo di tratta-re la realtà e di “lavorarla” si esprimeva uno sguar-do alla realtà, alla creazione, che desiderava far emergere come tutta la realtà domanda di essere testimonianza di qualcosa di più grande. Cercan-do dentro le cose e i fatti della realtà, la promes-sa di compimento, hanno cambiato il volto alle plaghe, alle terre attorno ai loro monasteri, sono stati stirpe di innovatori, hanno “inventato” come conservare gli alimenti, hanno permesso alla gente di radunarsi di nuovo in villaggi, in paesi e città, riprendendo a vivere dopo le invasioni barbariche.

La risposta ai bisogni socialiCinquant’anni fa, la Silicon Valley è nata da alcuni professori ed ex-studenti della Stanford University: per l’intuizione che quello che venivano studiando aveva dentro di sé una grande possibilità di svilup-po, una promessa, per sé e per altri che sarebbero seguiti (come di fatto è stato). Tutte le avventu-re economiche, grandi e piccole, nascono così. Si svolgono e si sviluppano impastandosi con i limiti, gli errori e i ripiegamenti propri di ciascuno, ma all’origine hanno questo aspetto di apertura.L’economia cioè nasce perché io possa vivere, per-ché il luogo dove vivo possa essere una casa (come dice l’etimologia della parola), un luogo in cui si possa, vivendo, far fiorire la realtà.

re. C’è infatti più di quello che già so in quello che la realtà mi propone. Non è tolta la problematicità e la fatica nello stare di fronte alla realtà, ma questa non è disgiunta da una promessa, dalla percezione che stare di fronte al problema che la realtà porge è foriero di nuovi sviluppi. L’economia ha questo spring. Il lavoro è la risposta a questa provocazione.Quando gli uomini hanno imparato a coltivare in-vece che a raccogliere frutti e a cacciare, nella ri-voluzione neolitica, lo hanno fatto di fronte a un “problema” che la realtà poneva loro. Il territorio necessario a ogni cacciatore e a ogni raccoglitore di frutti per portare a casa quanto è necessario per vivere è molto più ampio del terreno che, coltiva-to, permette il sostentamento a un individuo. Senza

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Come è nata nella storia la riduzionePer noi l’economia è staccata da questo “entusia-smo” di fronte alla realtà come provocazione, come promessa. Abbiamo separato la gestione delle “cose” necessarie alla vita (ciò di cui tratta l’eco-nomia) dalle domande che l’uomo fa su di sé, sul senso del proprio cammino. Albert Hirschman rac-conta in molti suoi scritti come abbiamo separato l’interesse dalla passione. Accusando le passioni di essere fattori di conflitto si è consigliato all’uomo di attestarsi sul proprio interesse immediato, per non fare del male a sé e agli altri. Così il potere si è im-padronito dello spazio sociale. L’individuo - come ricorda Milosz - «pensi dunque a bere il caffè e a dar la caccia alle farfalle. Chi ama la res publica avrà la mano mozzata» (C. Milosz, “Consigli”, in Poesie, Adelphi, Milano 1983). Vi sono varie conseguenze di questa riduzione o se-parazione. La prima è che il lavoro è percepito come una cosa negativa. Solo il frutto del lavoro ha valore (e anche qui noi siamo oggi ridotti: il frutto del lavo-rare e dell’intraprendere è sostanzialmente il profit-to che ne deriva), non il “lavorare”, cioè il rapporto con il reale e la domanda di significato che ne scatu-risce. Nei corsi di economia insegniamo che il lavo-ro per il soggetto che lo attua è puro costo, sacrificio del tempo libero, che è la cosa che vale. Non si può essere molto creativi se si ha una simile posizione culturale. Anche il frutto allora ne perde. In secondo luogo si vive un dualismo fra attività economica e vita. Abbiamo una posizione culturale che ritrovo perfettamente in un dialogo svoltosi quindici/venti anni fa in un incontro organizzato dall’Università

Bocconi, fra l’ingegner Carlo De Benedetti e il car-dinal Martini. A quest’ultimo che chiedeva che le imprese stessero più attente nell’operare economi-co ai problemi sociali, alla condizione dei poveri, l’ingegner De Benedetti rispose: «Lasciateci fare il nostro mestiere, che è quello di produrre la torta; se ci lasciate lavorare produrremo una torta più grossa e, di conseguenza, ce ne sarà una fetta più grande anche per voi, che potrete distribuirla a chi vorrete». Mi domando se l’attuale diffusione delle pratiche di responsabilità sociale nelle imprese sia un effettivo superamento di tale dualismo. Si è internalizzato il “prete” nelle funzioni aziendali, per una preoccupa-zione d’immagine, ma la concezione dell’operare e del lavorare resta quella di prima.

Essere imprenditori è una posizione culturale, prima che un mestiere, una professioneLa Centesimus Annus ricordava che «il primo e più importante lavoro si compie nel cuore dell’uomo, e il modo in cui questi si impegna a costruire il proprio futuro dipende dalla concezione che ha di se stesso e del suo destino» (CA, 51). Si supera il dualismo e la concezione ridotta e negativa del lavoro prima ricordata se questo è l’interesse (e la passione) con cui si opera. In altro punto della Laborem Exercens ci viene ricordato che ogni lavoratore, sia in questo senso originale, sia nell’atto del fare, è imprenditore di se stesso; fa

infatti l’esperienza di un nuovo che avviene nella vita propria e per gli altri. Essere imprenditore è percepire un’unità fra la propria attività e il cammino umano. Ed è sempre essere innovatori, perché l’intrapresa innovativa “pesca” nella promessa che il reale è risposta all’uomo, al suo bisogno. Per questo l’innovazione ha sia un valore personale, sia un valore sociale, per tutti, tanto da far dire a Schumpeter che è essa il centro della dinamica economica. Questo nesso stretto fra il proprio lavoro come luogo del proprio cammino umano e la scoperta della realtà come promessa, come corrispondenza alla propria natura, al cuore, permette di stare di fronte alla crisi come provocazione a essere protagonisti. n

oggi Solo il frutto del lavoro ha valore, non il “lavorare”, cioè il rapporto con il reale e la domanda di significato che ne scaturisce

Se manca il rapporto con il reale e la doman-da di significato che ne scaturisce, il lavoro viene percepito come una cosa negativa, con il rischio di scivo-lare nell’alienazione, così ben descritta da Chaplin nel suo Tempi moderni (sopra, una scena)

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di Mariella Carlotti

Palazzo Comunale di Siena

Iccor magis. Il cu ore, l’opera

il bene di tutti

siena Anno Domi ni 1337

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Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo

I cosiddetti affreschi del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti de-corano la Sala del Governo dei Nove nel Palazzo Pubblico di Siena e sono databili al 1337-1339. Gli affreschi che corrono su tre pa-reti della Sala, rappresentano l’Allegoria del Buon Governo (parete nord), gli Effetti del Buon Governo in città e campagna (parete est) e l’Allegoria del Mal Governo e i suoi Effetti in città e campagna (parete ovest).Gli affreschi sono accompagnati da un vasto apparato didascalico che ne agevola l’interpretazione: quando gli uomini sono tesi al bene comune, l’effetto è l’operosità, la concordia e la sicurezza; quando diventa dominante la ricerca del bene proprio, la cifra dei rapporti sociali è la violenza che tutto devasta, uomini e cose.

Effetti del Buon Governo in città, 1337-1339, Sala dei Nove, Palazzo Pubblico, Siena

di Mariella Carlotti

Lo scorso anno, al centro del padiglione della Cdo al Meeting, abbiamo allestito una mo-stra con i calchi delle formelle di Giotto che

decorano la base del Campanile di Santa Maria del Fiore a Firenze. Il ciclo scultoreo fiorenti-no, dedicato al lavoro, ci è sembrato un’occa-sione esteticamente eccezionale per comunicare l’idea di lavoro che la Compagnia delle Opere aveva messo a tema all’Assemblea nazionale del 2008: “Il tuo lavoro è un’opera”.Chi nell’agosto scorso ha visitato il padiglione della Cdo al Meeting è stato così introdotto a incontrare la nostra realtà, partendo dal suo giu-dizio culturale e dalla sua preoccupazione edu-cativa, come radice della sua ricchissima varietà di opere.L’esperienza è stata così significativa da pensare immediatamente di ripeterla e quando Carrón ha svolto il tema che Cdo ha scelto per il nuovo anno sociale, “La tua opera è un bene per tut-ti”, il mio pensiero è subito corso a un ciclo di dipinti in cui la nostra tradizione medioevale ha espresso la sua concezione del bene comune: gli affreschi del Buon Governo del Palazzo Pubbli-co di Siena. Con Marco Barbone, responsabile

cor magis. Il cu ore, l’opera

il bene di tutti

siena Anno Domi ni 1337

Al Meet ing 2010, nell’allest imento dello spazio Cdo i v is itator i troveranno gl i af freschi del Buon Governo nel Palazzo Pubblico di Siena ,

opera di Ambrogio Lorenzett i , e l’esposizione della testa e dei cart igl i del Crocif isso di Lando di P ietro: un momento di convivenza tra uomini in cui i l bene comune è stato un ideale perseguito

Cdo per la comunicazione, con cui avevo fatto la mostra delle formelle, è iniziata subito la verifica di questo nuovo progetto, che abbiamo curato in-sieme.Ogni epoca agogna un mondo più bello, scriveva il grande storico Huizinga. Nella Sala dei Nove, la sala del governo cittadino, il mondo medioevale se-nese ha dipinto il suo ideale di vita comune. Giu-dicare un’epoca è giudicare il suo ideale, magari mille volte tradito: un uomo, un popolo non è ciò che riesce a realizzare - in questo entrano in scena fattori non determinabili dalla volontà -, ma ciò che desidera, ciò che costituisce il movente di ogni pen-siero e di ogni azione.

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La tensione al bene comuneLa fede cristiana condivisa rendeva gli uomini del Trecento senese tesi a realizzare una concordia in cui trovasse strada il compimento storico di ognuno. Negli affreschi di Lorenzetti si vede l’opposizione drammatica tra la ricerca del bene proprio - origine di ogni violenza - e la tensione al bene comune che, mentre realizza una convivenza armonica, salva l’io, conservandone le dimensioni proprie, non riconducibili a un piccolo possesso, sproporzionato al suo animo.L’effetto è un mondo più bello, una città e una campagna - come sono ancora quelle senesi, proprio per questa eredità - sulle quali si è stam-pata l’armonia di un’epoca. Un mondo più bello che è l’anticipo, come dice Jacopone, di quel «regno celesto / che compie omne festo / che ‘l core ha bramato», quello dipinto da Duccio e da Simone nelle loro celeberrime Maestà.Riprodurremo questi affreschi, quasi a grandez-za naturale al centro dello stand Cdo, per mo-strare, con la persuasività della bellezza, che il bene di tutti è più “mio” dell’individualismo.

Il cartiglio di Lando di PietroMentre lavoravo alla preparazione della mostra e del libro che l’accompagnerà, mi chiedevo da dove nascesse negli uomini del Medioevo questa tensione al bene comune, dove fosse visibilmen-te rintracciabile. Devo a due miei amici senesi - Francesco Mori e Antonio Socci - la scoperta di una storia impressionante che ho sentito ri-spondere al mio interrogativo.La storia è questa. Il 23 gennaio 1944, un vio-lento bombardamento alleato colpì la periferia di Siena, lasciando però miracolosamente intat-

➤ Sopra, l’Allegoria del Buon Governo. Sulla sinistra, la Giustizia guarda la Sapienza, che so-stiene la bilancia dalla quale partono due fili che, intrecciati dalla Concordia, passano nelle mani di 24 cittadini: la corda arriva così alla figura centrale dell’affresco, il Bene Comune, che è dominato da Fede, Speranza e Carità, e siede tra le virtù cardinali (Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza), cui Lorenzetti aggiunge la Magnanimità - l’animo grande, capace di un orizzonte vasto, che sa ridimensionare l’interesse meschino e pensare il bene di tutti - e la Pace, il termine del desiderio dell’uomo. Sotto, un particolare dell’Allegoria del Mal Governo. La figura diabolica di Tirannide è l’opposto del Bene Comune, tiene in mano un pugnale e una coppa d’oro, sporca di sangue: il suo metodo è la violenza, il suo scopo la ricchezza

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to il centro storico e la cattedrale. La perdita più grave per il patrimonio artistico fu la Basilica dell’Osservanza, che venne quasi rasa al suolo. Sull’altare principale della chiesa era collocato un bellissimo Crocifisso ligneo - di cui erano ri-masti ignoti, fino ad allora, autore ed epoca - il quale fu letteralmente polverizzato. Tra le ma-cerie i frati ne trovarono alcuni frammenti del ginocchio e del braccio sinistri e buona parte della testa. La sorpresa fu rinvenire un piccolo cartiglio attaccato al frammento del ginocchio e una più ampia pergamena nascosta dentro la testa del Cristo. Erano testi autografi dell’auto-re dell’opera: Lando di Pietro. In essi l’artista, noto come orafo e architetto, oltre ad appuntare la data di realizzazione del Crocifisso - gennaio 1337 (1338 per noi, visto che a Siena il cambio di data avveniva il 25 marzo, solennità dell’An-nunciazione) -, ci ha lasciato una testimonianza commovente della sua sensibilità cristiana. Nel piccolo cartiglio nascosto nel ginocchio si legge la data e l’autore dell’opera (Anno del Signore 1337, Gesù Cristo per la tua misericordia ti sia raccomandata l’anima di Lando di Pietro orafo, il quale fabbricò questo crocifisso).Nella pergamena ritrovata nella testa del Croci-fisso, c’è invece una lunga preghiera che Lando rivolge alla Madonna e ai santi, perché affidino a Dio il suo destino, quello della sua famiglia e di tutta l’umana generazione.

Nello stesso anno in cui Ambrogio Lorenzetti di-pingeva il Buon Governo nel Palazzo Pubblico, un altro grande artista senese - autore tra l’altro dell’ampliamento del Duomo - scolpiva il grande Crocifisso, ora andato distrutto. Ma paradossalmen-te proprio la distruzione dell’opera rivelava a tutti il cuore dell’artista: è questa tensione all’ideale che l’uomo vive nel segreto della sua esistenza quoti-diana e che “nasconde” nella sua opera, la radice misteriosa che fiorisce nella concordia della Sie-na che Lorenzetti ha rappresentato nella Sala dei Nove. La tua opera è un bene per tutti, se ha dentro questo cartiglio: sembra niente, invece è da questa tensione al vero che uno vive nel suo lavoro che scaturisce un mondo più bello. Grazie ai Frati Minori della Toscana e alla Soprin-tendenza di Siena, avremo al Meeting la testa del Crocifisso di Lando e i due cartigli che erano nasco-sti al suo interno: è la prima volta che tali preziosi manufatti lasciano Siena: siamo orgogliosi di poter ospitare nel padiglione della Compagnia delle Ope-re i segni di quello che riconosciamo come il nostro stesso animo e di poter raccontare e far vedere a tanti la storia che essi testimoniano, la nostra stessa storia. Chi arriva a Siena da nord, trova scritto su Porta Camollia: “Cor magis tibi Sena pandit”, cioè “più della porta, Siena ti apre il suo cuore”. Nel Me-eting 2010, dedicato al cuore, sveliamo il cuore di una città, di un momento di convivenza tra uomini in cui il bene comune è stato un ideale persegui-to. Per questo all’allestimento dello spazio Cdo, con la riproduzione degli affreschi di Lorenzetti e l’esposizione della testa e dei cartigli del Crocifisso di Lando di Pietro, abbiamo dato come titolo: Cor Magis. Il cuore, l’opera, il bene di tutti. Siena Anno Domini 1337. n

Sopra, la testa del Crocifisso di Lando di Pietro e, sotto, la pergamena in essa ritrovata che riporta una lunga preghie-ra rivolta dall’artista alla Madonna e ai santi

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I CIl padiglione d e l l a CDOd i M a r c o B a r b o n e

Anche quest’anno al Meet ing una delle aree più vis itate sarà quella della Compagnia delle Opere. Nei var i stand i v is itator i troveranno una rappresentazione paradigmatica della presenza dell’associazione nella società

come l’anno scorso, anche il padiglione del-la Cdo al Meeting 2010 vedrà al suo centro una mostra, caratterizzata dalle riproduzioni

degli affreschi del Lorenzetti nella Sala dei Nove del Palazzo comunale di Siena e dalla presenza di un autentico del Trecento, la testa di un croci-fisso ligneo scolpito lo stesso anno in cui venne avviata la realizzazione degli affreschi del Lo-renzetti (vedi articolo a pagina 46).Le allegorie del buongoverno e del malgoverno e dei loro effetti sulla città e sulla campagna han-no un grande significato perché si incardinano nel discorso sul “bene comune” che la Cdo ha iniziato con l’assemblea generale di novembre e approfondito in occasione delle elezioni. La Cdo, al cui interno possono trovarsi opere profit, iniziative imprenditoriali non profit, opere edu-cative e tutta la ricchezza di un vero “movimento sociale”, chiede alla politica di creare le condi-zioni per lo sviluppo armonico della società e delle varie iniziative che da essa emergono.

ting potranno incontrare “un’opera in atto”, cioè le donne sieropositive del Mpi che, guidate da Rose Busingye, hanno imparato a fare collane colorate di carta riciclata che vendono poi al mercato. Riescono così a mantenersi con un’at-tività dignitosa invece di spaccare pietre per po-chi scellini alla settimana come facevano fino a poco tempo fa. A Rimini si potrà ammirare la maestria delle donne ugandesi i cui manufatti sono già stati protagonisti della campagna delle Tende di Avsi.Altrettanto significativa sarà l’area del padiglio-ne Cdo dedicata ai Banchi (alimentare, building, farmaceutico, informatico e di solidarietà), una presenza sussidiaria all’interno della società che affronta il problema della povertà con un approc-cio non ideologico, ma concreto, con iniziative molto conosciute, come la Colletta alimentare, e

Una piazza piena di opereLa formula della piazza, che da due anni caratte-rizza il padiglione della Compagnia delle Opere al Meeting, viene confermata per la terza volta. Tutt’intorno alla mostra che, come abbiamo det-to, costituisce il centro del padiglione, i visitatori troveranno una serie di opere emblematiche che danno un’immagine della presenza della Cdo nella società.Alcune presenze sono ormai consolidate per il padiglione Cdo, ma quest’anno si presentano in modo innovativo. La Fondazione Avsi, ad esempio, riprodurrà, all’ingresso del padiglione, il Meeting Point International (Mpi), nato nel ’92 per iniziativa di Avsi per aiutare e sostene-re le persone affette da Hiv/Aids in alcuni slum di Kampala. In particolare, i visitatori del Mee-

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altre più piccole e che godono di minore visibili-tà, ma altrettanto utili.Parlando di presenze sussidiarie nella società, non possiamo trascurare la new entry del padi-glione Cdo di quest’anno: la cooperativa Rione Sanità, già protagonista di uno degli eventi clou del Meeting dell’anno scorso, la mostra “Napoli. Nessun dono di grazia più vi manca”. La coo-perativa opera in una delle aree centrali simbolo del degrado e della bellezza della città, afflitta da un’emarginazione sociale elevata, da disoccupa-zione o sotto-occupazione, nonostante le poten-zialità storico-culturali del rione.Percorrendo idealmente la pianta del padiglione Cdo, arriviamo allo stand del Club Cdo Libe-ra Impresa, un’associazione che raccoglie oggi circa 300 imprenditori di generazioni diverse. Li accomuna il desiderio di rischiare la propria esperienza di uomini segnati dall’incontro con l’avvenimento cristiano anche nella responsabi-lità dell’impresa e nella molteplicità degli inte-ressi e dei rapporti che ne conseguono. Il Club è una rete sussidiaria tra imprenditori, una trama di

Per il terzo anno consecutivo il padiglione Cdo ha la forma della piazza, luogo di incontro per ec-cellenza nel quale opere e persone possono trovare spazi di confronto, occasioni di dialogo, opportuni-tà di scambio

aiuto reciproco, dove per aiuto non si intende la consulenza di tipo tecnico o il supporto finanzia-rio, ma un sostegno per spezzare l’isolamento, la solitudine dell’imprenditore che può così sentirsi coinvolto in una rete di scambi di conoscenze, di opportunità.Altra presenza del padiglione Cdo è quella di Medicina e Persona, libera associazione fra operatori sanitari che intende svolgere un ruolo costruttivo rispetto alla realtà del lavoro e vuol essere uno strumento per la valorizzazione del-le intuizioni, delle intelligenze e delle capacità umane e professionali esistenti. Chiude questo primo scorcio di piazza la presen-za della Cusl, Cooperativa universitaria studio e lavoro, da quasi 30 anni un punto di riferimento per i suoi soci grazie alla sua presenza quotidiana all’interno dell’Università che ha come obiettivo prioritario quello di cercare di condividere i biso-gni concreti della vita universitaria.Nella zona del padiglione denominata “del Mu-nicipio” (trovandosi in fondo alla piazza, dove solitamente si erge l’edificio comunale) c’è

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l’area Cdo più strettamente legata all’associa-zione, con la presenza delle varie filiere (opere sociali e agroalimentare le più rappresentative) e del Matching che è una delle forme di incon-tro al bisogno e di reale capacità di fare rete nell’ambito della Cdo.In quest’area avrà il suo stand Cdo Network, una newco operante nel settore dei servizi per l’internazionalizzazione, nata dalla collabora-zione più che ventennale tra la Compagnia delle Opere e il consorzio per l’internazionalizzazio-ne Co.Export. Cdo Network funziona come una sorta di hub, ossia un punto di riferimento e di sintesi di tutte le realtà e i rapporti relativi al tema dello sviluppo internazionale.Tra le realtà presenti nel padiglione Cdo ricor-diamo i Csv-Co.Ge, punto di riferimento per il volontariato e storici partecipanti al Meeting. Accanto a questo stand i visitatori troveranno quello dei Centri di solidarietà (Cds), punti di accoglienza e di incrocio tra domanda e offerta lavoro che hanno ampliato il loro raggio d’azione al di là del mondo del lavoro, e ciò al fine di so-stenere meglio le famiglie nell’affronto delle di-verse problematiche e forme di disagio che sono nello stesso tempo sociali, culturali, economiche e umane.I Cds sono adiacenti al cosiddetto Bar Alcamo, in realtà un posto di ristorazione dove vengono offerti prodotti tipici siciliani da amici capitanati da Sebastiano Benenati. Sebastiano rappresenta l’origine storica della Cdo. Fu, infatti, anche per aiutare coraggiosi imprenditori come lui, operan-ti lontani da Milano che era il cuore del movi-mento di Comunione e Liberazione, che nacque, su ispirazione di Don Giussani, la Compagnia delle Opere.I visitatori, magari dopo essersi rifocillati al Bar Alcamo, potranno visitare gli stand di tante altre realtà come Diesse, associazione tra insegnanti, la Cdo Sport, Know Net, società nata per so-stenere iniziative di innovazione che quest’anno giocherà un ruolo importante con il Matching dell’innovazione.Quest’anno anche la grande libreria gestita dall’editore Itaca sarà collocata negli spazi ri-servati alla Compagnia delle Opere. A differenza degli anni scorsi, in cui la presenza di Itaca si trovava in un altro padiglione, nell’edizione del Meeting 2010 si vuole ribadire, sia visivamen-te sia come servizio, il nesso fondamentale tra attività economico-imprenditoriale e orizzonte culturale.Team Service e Obiettivo Lavoro sono due

presenze storiche del padiglione Cdo, due opere che, attraverso la fornitura di lavoro temporaneo piuttosto che di opportunità nell’ambito delle commodities, dimostrano che l’imprenditorialità si può fare anche attraverso l’affronto del tema del lavoro.Altra presenza tipica del padiglione Cdo è quella di Cdo Agroalimentare che al Meeting, durante interessanti e “gustose” presentazioni, ha l’occa-sione per far conoscere i suoi associati e i loro prodotti, realizzando all’interno dello stand un vero e proprio piccolo Matching.Affezionato del Meeting è anche il Club di Pa-

Un’immagine tridimensionale dello stand della Compagnia delle Opere al Meeting 2010

pillon, associazione nazionale, fondata dal cri-tico enogastronomico Paolo Massobrio, che ha come finalità la riscoperta dell’originalità di una cultura popolare attraverso il gusto.Tutto intorno alla mostra ci sono le opere legate al mondo della famiglia (Sindacato delle fami-glie, Famiglie per l’accoglienza) e opere carita-tevoli come Famiglie in cammino e l’Associa-zione Cilla.Nel padiglione Cdo, infine, sarà presente anche l’associazione COLog, nata nel 2007 dall’incon-tro di alcune aziende che operano a vario titolo nel settore logistico e che si riconoscono nella propo-sta e nei valori della Compagnia delle Opere. Questo è il padiglione della Cdo al Meeting, un ambiente particolare e interessante dove si ha la possibilità di incontrare la Cdo attraverso una sorta di manifestazione paradigmatica della sua presenza nella società. n

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I Cil manifesto di CDOd i D a r i o Va s c e l l a r o

Il documento della Compagnia delle Opere, dal titolo “Fare impresa”, che verrà presentato al Meeting, sottolinea il valore dell’avventura imprenditoriale se concepita secondo la sua natura originale. Ne parliamo con uno degli autori, il professor Mario Molteni

Mario Molteni è professore ordinario di Economia aziendale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna anche Corporate Strategy. Ha fondato e dirige Altis (Alta scuola impresa e società - Università Cattolica), che svolge attività di ricerca e alta formazione in tema di: Sostenibilità e Corporate Social Responsibility (Csr), Internazionalizzazione delle impre-se italiane nei Paesi emergenti, Pmi e distretti, Non profit, Finanza per lo sviluppo

«La legge originale per cui ci è stata data la vita è che abbiamo a imitare il Creatore diventando creativi. La vita ci è stata data per una creati-

vità». È questo l’incipit del manifesto intitolato “Fare impresa”, con il quale la Compagnia delle Opere in-tende sottolineare il valore dell’imprenditorialità e dell’impresa, soprattutto di quella piccola e media.In questa intervista Mario Molteni, professore ordi-nario di Economia aziendale e Strategia aziendale presso l’Università Cattolica di Milano, uno degli autori del manifesto, ci spiega genesi, contenuti e obiettivi dell’iniziativa.Quali sono state le ragioni che hanno portato alla realizzazione di questo manifesto?«Siamo partiti da un’esperienza in atto. Da tempo, infatti, gruppi di imprenditori legati alla Cdo si trova-no insieme per riflettere sulla loro traiettoria umana e professionale. Molti professionisti, poi, svolgono sistematicamente un’attività di affiancamento che consente loro di cogliere sul campo quale concezione e quale modo di fare sono alla radice delle esperienze più positive. Questo manifesto è un tentativo di far tesoro di quanto è emerso nei fitti dialoghi di questi anni. Non la pretesa di definire, ma la volontà di fis-sare, ovviamente in modo provvisorio, le riflessioni su una esperienza».La recente crisi ha rappresentato uno stimolo ulte-riore a ripensare meglio alle ragioni più profonde del fare impresa?«Ci tengo a sottolineare che questo desiderio di pen-sare alla natura e alle condizioni del nostro impegno

di lavoro era in atto ben prima della crisi. Cer-tamente però le difficoltà che gli imprenditori hanno dovuto affrontare in questi due anni hanno costretto a riflettere più a fondo sul “val la pena” dell’essere imprenditore, sul valore della creati-vità e del rischio, e soprattutto hanno indotto a mettersi in discussione. Quanti di noi hanno do-vuto ripensare all’assetto della propria impresa, alla strategia, al valore dell’autonomia o all’op-portunità delle alleanze».Quali sono gli obiettivi concreti del manifesto?«I primi due paragrafi del manifesto tentano di mettere alcuni paletti sulla natura dell’impresa e dell’imprenditore in questa nostra società; il terzo paragrafo offre alcuni spunti di riflessione su un aspetto chiave del fare impresa, cioè il rapporto con i collaboratori. Ci piacerebbe che gli impren-ditori, a gruppi di loro o ciascuno con i propri col-laboratori, si confrontassero con i contenuti del manifesto. In qualche caso potrebbero trovarvi un aiuto per meglio comprendere il valore di quanto vivono; in altri casi, potrebbero semplicemente chiarirsi perché certe affermazioni non sono ido-nee al loro contesto; in altri casi ancora potreb-bero essere provocati a mettere in discussione metodi e soluzioni adottati nella loro impresa. Lo ripeto: il manifesto è un “tentativo ironico”. Non ha la pretesa di dire cosa si deve fare, ma di provocare un momento di vaglio critico su come si agisce nella propria impresa. In questo senso il quarto paragrafo è emblematico: rispetto ai tre precedenti, è ancora più contingente. Suggerisce soluzioni operative che in questi anni, nello spe-cifico contesto italiano, si sono spesso rivelate capaci di assicurare il successo all’impresa. Ma guai a concepirle come regole auree. Lasciamole ai settimanali economici!».Uno dei tentativi coraggiosi del manifesto mi sembra essere proprio il fatto che non si limita a enunciazioni teoriche, ma declina nel concre-to i punti ideali presentati. Quali sono i sug-

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gerimenti concreti più importanti indicati nel manifesto, i più urgenti da adottare per supe-rare la recente crisi?«No, non c’è un suggerimento più importante degli altri: dipende molto dalla situazione della singola azienda. Posso però dire che ci sono li-nee d’azione che, in questi mesi di travaglio, si rivelano preziose per tante imprese. Pensiamo all’idea di mettere in discussione l’assetto di-mensionale ereditato dal passato, per verificare la strada delle alleanze o persino della fusione. Perdere il controllo esclusivo dell’impresa, ac-cogliere un nuovo socio per poter giocare una partita più grande: sono scelte coraggiose, spesso dolorose, ma spesso capaci di assicurare la so-pravvivenza, la ripresa, lo sviluppo. Oppure, mi piace ricordare un altro suggerimento contenuto nel manifesto, semplicissimo ma per nulla scon-tato: impegnarsi a fondo per “fare meglio ciò che si è sempre fatto” prima di avventurarsi su strade troppo sconosciute. Quali i margini di innovazio-ne di prodotto o di processo, quali le opportunità di internazionalizzazione dei business esistenti? Come valorizzare fino in fondo le risorse e le competenze accumulate in tanti anni di attività? Solo se non si trovano risposte convincenti a si-mili domande si può intraprendere la strada della diversificazione».Il manifesto presenta anche una diversa visio-ne dell’impresa e dell’imprenditore.«Secondo un pensiero economico così radicato e insistito da sembrarci “natura”, la molla fonda-mentale dell’imprenditore, quello che lo induce a rischiare e a lavorare ben sopra la media na-zionale (!), è il profitto, la “massimizzazione” del profitto. Guardando la realtà, guardando gli im-prenditori viventi (non quelli cartacei) si vede che tante volte il movente è ben più ampio e ricco. Di imprenditori che si muovono per una passione - per il bene di sé, della propria famiglia e della propria gente - ce ne sono tanti. E quelli che son così non hanno nulla da invidiare - sotto il profilo dell’immaginazione, dell’energia e della perse-veranza - a chi si muove solo per un tornaconto, anzi! In questo senso, il cuore della novità del manifesto sta nella prima riga dell’introduzione, dove si dice che la legge originale per cui ci è data la vita è che abbiamo a imitare il creatore diven-tando creativi. La creatività è ciò che più ci per-mette di realizzare noi stessi e ci rende più felici e compiuti. È possibile che si faccia impresa in questa prospettiva e non in quella della massimiz-zazione del profitto. E, soprattutto, è più bello!».In effetti, nel leggere il manifesto mi ha colpito

l’accenno all’attenzione estetica, al desiderio di realizzare qualcosa di meglio per sé e per la comunità, cosa che non è usualmente legata al fare impresa.«Sì, il termine “estetico” fa da pendant con il tema della creatività. La creatività serve a creare qualcosa di meglio, di bello per l’uomo. L’aver sottolineato la dimensione estetica ci aiuta a me-glio comprendere due cose. Innanzitutto ciò che muove l’uomo, e dunque l’uomo-imprenditore, è un’attrattiva: e il bene per sé e per la propria gente è più attraente della massimizzazione del proprio tornaconto. È la legge del cuore, anche se la dimentichiamo e, soprattutto, non riuscia-mo a viverla. Ma questa insistenza ha anche una valenza, per così dire, polemica: in un’epoca in cui non passa giorno senza sentir parlare della necessità dell’etica (impresa etica, mercato eti-co, etica degli affari, ecc., sempre ridotti a un angusto, e peraltro impossibile, rispetto delle regole), vogliamo ricordare che la vera etica - un’etica aperta alla creazione, alla scoperta di nuove possibilità, al cambiamento - scaturisce da un’estetica, da una bellezza incontrata che mette al lavoro: non l’etica del “non ledere” ma quella del bello che induce a costruire un positivo».L’esigenza di realizzare un manifesto come questo non nasce anche dalla necessità di re-agire a una certa negatività che circonda la figura dell’imprenditore, anche in un Paese

A fianco, la copertina del documento della Cdo dal titolo “Fare impresa”

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come il nostro così ricco di imprenditorialità?«Certamente. E lo fa contrapponendo a questa concezione negativa - lugubre, direi - un’espe-rienza positiva in atto, un’esperienza impegnata nel tentativo di rendersi conto e di rendere conto di se stessa. Mi piacerebbe che anche certi espo-nenti del mondo cattolico, dominati pure loro dalla cultura del sospetto (sospetto verso chi in-traprende), leggessero questo documento della Cdo. Dopo tutto è profondamente in sintonia - e desidera esserlo - con gli accenti contenuti nella Caritas in Veritate».Chi sono i destinatari del manifesto?«Sicuramente tutte le persone che vivono nell’impresa. Le centinaia di migliaia di piccole imprese che ci sono nel nostro Paese (e, perché no, il “popolo delle partite Iva”!) costituiscono i primi destinatari. Ma mi auguro che possa ri-sultare interessante anche per chi nell’impresa lavora, per i “collaboratori” che condividono la stessa avventura dell’imprenditore, che sono sulla stessa barca. Il documento, poi, ha anche una valenza culturale e politica: ricorda a tutti

quelli che si interessano del futuro della società il grandissimo valore di chi si assume la respon-sabilità di una costruzione e il valore dello stru-mento impresa. L’impresa è un sistema in grado di valorizzare le risorse personali e naturali, di orientarle verso obiettivi comuni, di soddisfare bisogni, di creare comunità e solidarietà. Se vis-suta bene, è un fattore di benessere e di socialità straordinario».Il nostro sistema delle imprese, dunque, è an-cora valido per assicurarci sviluppo anche in futuro?«È bello pensare a quale enorme sinfonia di la-voro, certamente con tante stonature, ha genera-to il nostro “sistema delle imprese”. Ha grande valore, e gli è riconosciuto internazionalmente. Ma allo stesso tempo, in un mondo che cambia così rapidamente, ha bisogno di una riscossa, di un aumento di velocità, di più coraggio. In molte imprese nel passaggio dalla prima alla seconda generazione, e poi dalla seconda alla terza, l’impeto delle origini si stempera e pre-vale il vano tentativo di sfruttare una posizione

di rendita. Il documento della Cdo suggerisce di recuperare una dimensione che nell’impresa e nella persona il tempo e il benessere hanno tante volte logorato». n

«È bello pensare a quale enorme sinfonia di lavoro, certamente con tante stonature, ha generato il nostro “sistema delle imprese”. Ha grande valore, e gli è riconosciuto internazionalmente»

un lavoro a più maniAlla stesura del documento “Fare impresa” hanno collaborato i membri della Commis-sione Economia e Pmi della Cdo: Maurizio Andronico, Giuseppe Angelico, Francesco Bernardi, Enrico Biscaglia, Rossano Bre-no, Corrado Colombo, Graziano Debellini, Luca Erzegovesi, Marco Montagna, Marco Piuri, Vito Sinopoli, Massimo Valentini e in particolare il professor Mario Molteni e il professor Paolo Preti, che hanno coordinato i lavori.Andrea Giussani e Francesco Liuzzi hanno dato un contributo alla revisione critica dei contenuti.

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Sergio Marchionne è nato a Chieti il 17 giugno 1952. Di cittadinanza italiana, canadese e svizzera, è attualmente am-ministratore delegato del Gruppo Fiat e di Chrysler. Marchionne viene consi-derato l’artefice del risanamento della divisione Fiat Group Automobiles

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Lei ha iniziato a lavorare nel mondo fo-rense per poi diventare dirigente di gran-di società, fino ad approdare alla guida

del più grande gruppo industriale italiano. Eclettismo e flessibilità sono le ricette del suo successo?«Non so se ci sia una ricetta vincente. In re-altà, quello che lei interpreta come successo personale è in buona parte legato al successo che hanno avuto le aziende che la vita mi ha portato a guidare. E questo non è un lavoro che si possa fare da soli. Credo che l’era dell’indi-vidualismo, del Grande uomo che da solo ri-solve i problemi sia finita da un pezzo. I leader, quelli veri, non sono nient’altro che strumenti di cambiamento. Il loro compito è quello di favorire una trasformazione culturale, di ga-rantire a chiunque la possibilità di emergere e di dimostrare quello che vale, di dare a tutti la possibilità di crescere perché è l’unica via per assicurare anche la crescita dell’azienda. In fondo, credo che il vero successo di una perso-na non dipenda da quello che ha raggiunto nel corso della sua carriera, ma solo da quello che ha lasciato». Il suo essere “cittadino del mondo” l’ha aiu-tata nella sua carriera di manager? Ritiene che i suoi colleghi italiani, invece, pecchino di eccessivo “provincialismo”? E le nuove generazioni di italiani sono davvero pronte ad aprirsi al mondo?«Viaggiare, conoscere altre culture, avere la possibilità di compiere delle esperienze inter-nazionali è uno straordinario modo per cre-scere in fretta, dal punto di vista personale e professionale. Permette di vedere le cose da angolazioni diverse, ti allena a essere flessibile e a non diventare prevedibile. Quanto all’Italia, credo che ci siano ottimi manager. Non ho mai pensato al provincialismo come un elemento legato a un particolare Paese o a una cultura o a una lingua. Quello che conta è il modo di affrontare le cose. Provinciale è chi si ostina

N DNessuno v i n c e da solod i D a r i o Va s c e l l a r o

In questa intervista l’amministratore delegato della Fiat , Serg io Marchionne, spiega qual è i l compito del leader di un’azienda e l’importanza , per le nuove generazioni , di apr irsi al mondo

MArc

hion

ne a

l mee

ting L’amministratore delegato di Fiat parteciperà all’incontro

dal titolo

“SAPER SCEGLIERE LA STRADA”

che si svolgerà il 26 agosto 2010 alle 11.15 nei padiglioni

della Fiera di Rimini.

Introduce Bernhard Scholz, presidente Compagnia delle

Opere.

a restare legato al passato, chi mantiene un atteggiamento autoreferenziale, chi non ha il coraggio di cambiare per progettare il futuro. E questo si può trovare ovunque, come peral-tro la voglia e la determinazione di spendersi per costruire qualcosa di nuovo e di migliore. I nostri giovani devono avere le possibilità e la volontà di aprirsi al mondo, perché hanno la fortuna di vivere in un’era globalizzata, che favorisce gli spostamenti e gli scambi culturali. E poi i giovani sono più portati, per natura, a vivere il cambiamento e le sfide come un fatto normale. Molto dipende anche dalla nostra ca-pacità di guidarli e incoraggiarli ad abbracciare queste sfide».L’obiettivo del raddoppio della produ-zione domestica di Fiat in cinque anni lancia una sfida al sindacato italiano. Come auspica che cambino nel nostro Paese le re-lazioni sindacali al fine di realizzare il bene comune (sviluppo industriale, benessere dei lavoratori, ripresa della competitività)?«Sono sempre stato convinto che si possa e si

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da, lavoratori e sindacati. È necessario che tutti condividano impegni, sacrifici e responsabilità».È la prima volta che viene al Meeting di Ri-mini. Cosa si aspetta di trovare?«Il Meeting di Rimini è uno degli eventi di maggiore fermento al mondo, per i temi trat-tati, per le personalità che vi partecipano, per

debba cercare il dialogo costruttivo e che le so-luzioni si possono trovare. Ma bisogna mettersi d’accordo sul vero obiettivo. Il nostro è quello di far compiere alla presenza della Fiat in Italia un salto di qualità, per renderla più efficiente, più competitiva e aperta a nuovi sviluppi. Con il progetto “Fabbrica Italia” vogliamo sanare una volta per tutte le debolezze storiche che pesano sulla nostra industria e voltare pagina. Solo così sarà possibile aumentare i volumi di produzione in Italia fino a 1.650.000 veicoli, far crescere le esportazioni e creare nuove oc-casioni di lavoro.Si tratta di un’opportunità unica, di quelle che ca-pitano una volta nella vita. È una sfida che chia-ma in causa le forze di un intero sistema, azien-

«con il s indacato bisogna mettersi d ’accordo sul vero obiett ivo. I l nostro è quello di far compiere alla presenza della F iat in Ital ia un salto di qua-l ità , per renderla p iù eff ic iente , p iù competit iva e aperta a nuovi sviluppi»

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l’energia propositiva che scatena. Ma al di là di questo, l’aspetto che mi ha sempre colpito è la grande quantità di giovani che si ritrovano qui ogni anno. L’opportunità di incontrarli e di parlare con loro è una delle cose che mi fa più piacere. In fondo, la mia generazione ha la re-sponsabilità di disegnare una nuova visione del mondo, di porre le basi su cui iniziare a costru-irla, ma il vero compito di renderla reale spetta a loro. Il fatto che i ragazzi che si incontrano a Rimini siano giovani impegnati, che vogliono informarsi e partecipare, pieni di passione e con valori saldi… è la nostra migliore garanzia». In alcuni appuntamenti economici del Mee-ting si parte dall’assunto che la recente crisi sia scaturita da dinamiche che hanno rinun-ciato a mettere al centro l’economia reale. È d’accordo?«Io non sono mai stato tra quelli che voglio-no mettere la finanza contro l’industria. Sono convinto che l’economia reale abbia bisogno di una finanza sana e competitiva. Non esiste nes-suna industria che possa funzionare senza un solido sistema finanziario alle spalle.Quello che non è accettabile è che siano le im-prese, i lavoratori e le famiglie a pagare sulla propria pelle i disastri provocati da un certo

modello di finanza, fine a se stessa.Questa crisi ha messo in evidenza l’importanza dei valori che guidano le nostre scelte - l’one-stà, la trasparenza, la responsabilità - e la ne-cessità di proteggerli.Sono questi valori che fanno di qualunque si-stema, finanziario o economico che sia, ma anche di qualunque organizzazione, piccola o grande che sia, qualcosa di solido e sano. Il nostro compito è proteggere e coltivare questi valori. Solo così riusciremo a ricostruire eco-nomie efficienti ma giuste, promuovendo una globalizzazione che sia davvero al servizio dell’uomo». n

Sergio Marchionne è l’artefice dell’acquisizio-ne da parte del Lingot-to del 20% delle azioni Chrysler, in cambio del know how e delle tecno-logie torinesi, operazione che ha fatto nascere il se-sto gruppo automobilisti-co del mondo

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I Qil futuro è già quid i D a r i o Va s c e l l a r o

James Murdoch spiega in questa intervista che cosa accomuna un’azienda come Sky Italia con i l Meet ing e con la Compagnia delle Opere. E r iguardo ai new media assicura: «Il presente è ormai completamente dig itale»

James Murdoch (a sini-stra durante il Meeting 2009) è presidente di Sky Italia (nelle pagine suc-cessive, alcune immagini degli studi del network). Ricopre anche il ruolo di presidente e ammini-stratore delegato di News Corporation Europe and Asia ed è membro del con-siglio d’amministrazione e del comitato esecutivo di News Corporation

spinte dall’opportunità di discutere di questio-ni fondamentali per la loro vita quotidiana. Sono rimasto molto impressionato dalla voglia di partecipare che ho visto in tutti. E mi hanno davvero commosso le storie che ho ascoltato dai tanti volontari e il lavoro fatto da tutti per fare di questo evento un grande successo».In un mondo sempre più “virtuale”, il Mee-ting rappresenta l’occasione di entrare in con-tatto con le persone “vere”, in carne e ossa, e di partecipare a incontri con personalità im-portanti. Non crede che ci siano pochi eventi come questo, che portano a una conoscenza diretta della realtà, senza la mediazione di uno schermo televisivo?«In ultima istanza, la tecnologia non può sosti-tuire il contatto faccia a faccia. Si dovrebbero promuovere più incontri di questo tipo perché è davvero molto difficile riuscire a riprodurre, in un ambiente virtuale, l’emozione dei dibattiti

tra persone che hanno un’infinità di argomenti da condividere. Tuttavia, con questo non inten-do dire che la tecnologia non abbia un ruolo da svolgere nel contribuire a coinvolgere e at-trarre ancora più persone a questi eventi. Molte delle tecnologie di largo consumo che fanno parte della nostra quotidianità incoraggiano una comunicazione più aperta e una maggiore condivisione delle informazioni. Queste sono anche un prezioso modo per promuovere even-ti importanti come questo. Se usata bene, la tecnologia può contribuire a sostenere e ampli-ficare l’impatto dell’evento».Dopo il Meeting i rapporti tra Sky e la Cdo si sono intensificati. Perché Sky si è avvici-nata al mondo della Compagnia delle Opere, e quali aspetti dell’associazione l’hanno col-pita maggiormente?

L’anno scorso, durante la partecipazione al Meeting, è rimasto «impressionato» e «commosso». È quanto dichiara in questa

intervista James Murdoch, presidente di Sky Italia, nonché presidente e amministratore de-legato di News Corporation Europe and Asia e membro del consiglio di amministrazione oltre che del comitato esecutivo di News Corpora-tion. E proprio per ribadire la stima nei con-fronti dell’iniziativa riminese, Sky Italia sarà presente alla trentunesima edizione in qualità di sponsor.Presidente Murdoch, l’anno scorso ha parte-cipato per la prima volta al Meeting di Ri-mini. Che impressione ha avuto dell’evento? Che cosa l’ha colpita maggiormente?«Mi hanno colpito l’entusiasmo e il desiderio da parte di tutti di partecipare a un dibattito aperto e costruttivo. È raro trovare un evento pubblico frequentato da così tante famiglie

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«Sky Italia è un’azienda giovane e dinamica che cresce rapidamente, coinvolgendo centina-ia di aziende italiane e migliaia di professioni-sti che collaborano con noi per produrre intrat-tenimento di qualità per quasi cinque milioni di clienti. Quando ho avuto modo di conoscere la Compagnia delle Opere, ho capito che c’era la possibilità di collaborare sulla base dello spi-rito imprenditoriale che è proprio di entrambe le organizzazioni. In particolare, mi ha colpi-to l’impegno della Cdo nel responsabilizzare il singolo a tutti i livelli dell’organizzazione, cosa che anche noi di Sky Italia riteniamo di fondamentale importanza».Investimento nell’innovazione, propensio-ne al rischio, libertà di scelta. Sono queste le regole del successo che lei ha illustrato alMeeting del 2009. Dirigere una multinazio-nale che opera in tutto il mondo le dà modo di avere una visione a 360 gradi delle econo-mie più avanzate del pianeta. Ritiene che il nostro Paese/sistema sia sulla buona strada per seguire queste regole?«Credo fermamente nel potenziale dell’Italia e ammiro l’apertura degli italiani nei confronti

delle innovazioni e delle nuove idee. Tuttavia, credo che si potrebbe fare di più affinché l’Ita-lia realizzi concretamente tutto il suo potenzia-le e diventi più competitiva sulla scena mon-diale. Sono necessarie condizioni uguali per

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tutti, e un supporto agli investimenti nazionali e internazionali attraverso un quadro norma-tivo trasparente. Un sistema caratterizzato da maggiore apertura e trasparenza promuovereb-be gli investimenti e porterebbe benefici a tutti i settori dell’economia italiana».Il mondo della comunicazione è scosso da forti innovazioni. Si propongono nuovi me-dia in alternativa - con più o meno successo - ai media tradizionali: stampa, radio e Tv. La Tv via satellite e via cavo, la Tv prepagata

e Internet sono alternative valide all’impie-go di tempo destinato alla carta stampata e soprattutto alla televisione fino a oggi. Alla luce anche delle attuali difficoltà economi-che, quale sarà il futuro dell’informazione?«Prima di tutto dobbiamo smettere di parlare di futuro digitale. La realtà è che il presente è or-mai completamente digitale. Sebbene parte del

consumo di media rimanga ancorata al mondo analogico - come aprire un giornale o un libro -, la produzione di queste opere creative è già completamente digitale e il loro consumo in digitale è in costante aumento. Le opportunità che presentano tali cambiamenti sono immen-se, se ci si adatta nel modo giusto. Le persone consumano in modo sempre più fluido. I confi-ni tra forme di comunicazione o media che un tempo erano nettamente distinti, si stanno dis-solvendo sempre più. Nel riconoscere questo,

dobbiamo fare in modo che gli interessi di chi crea contenuti siano sempre centrali in quello che facciamo. È facile farsi abbagliare dall’ul-tima nuova tecnologia, ma l’innovazione tec-nologica non conta nulla se manca il contenuto creativo che dà vita a questi dispositivi. Tute-lare il diritto d’autore è un passo fondamentale per incentivare la creatività in futuro». n

« I c o n f i n i t r a f o r m e d i c o m u n i c a z i o n e o m e -d i a c h e u n t e m p o e r a n o n e t t a m e n t e d i s t i n t i , s i s t a n n o d i s s o lve n d o s e m p r e p i ù »

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SPpiù società, m e n o statod i C a r m e l o G r e c o

Lavoro, formazione, Welfare: Maurizio Sacconi parla delle quest ioni pr incipali su cui i l ministero di via Veneto è chiamato a intervenire. E ant icipa alcuni degli argomenti che af fronterà al prossimo Meet ing

Maurizio Sacconi, ministro del Lavo-ro e delle Politiche sociali, interviene a tutto campo sul-le questioni più importanti che competono al suo incarico istituzio-nale. Anche l’anno scorso era stato ospite all’interno dell’evento di fine agosto

«Più società, meno Stato: questa è la strada per un sistema di protezione sociale che sostituisca il vecchio welfare state». Ad

affermarlo è Maurizio Sacconi, ministro del La-voro e delle Politiche sociali, che in questa inter-vista risponde ai temi principali di cui si occupa il suo dicastero.Ministro, l’incontro al quale lei interverrà al Meeting di Rimini 2010 si intitola “Poveri per-ché soli” e prende le mosse da un’indagine re-alizzata nel 2009 dalla Fondazione per la sus-sidiarietà in collaborazione con la Fondazione Banco Alimentare. È d’accordo con la tesi di fondo della ricerca che individua nella solitu-dine una delle cause principali dell’indigenza?«La povertà è certamente un fenomeno multidi-mensionale che pesca, ancorché nella situazione economica, in quella sociale e personale. È molto probabile cadere in condizioni di povertà laddove si sia soli e vengano meno quelle relazioni costi-

tutive quali la famiglia, il lavoro e la comunità. Si è poveri, si diventa poveri, se si è soli nell’affron-tare la vita con le sue sfide e le sue difficoltà».Quale può essere la risposta?«La risposta alla povertà è innanzitutto una com-pagnia umana che si prenda cura della persona, che l’accompagni nel riscoprire un senso nella vita e una rinnovata responsabilità. Tutti gli stru-menti a disposizione, in primis economici, non possono che essere intesi in questo orizzonte. Altrimenti rimangono sterili misure passive che non potranno mai riattivare un protagonismo del-la persona».La politica come può contribuire a riattivare questo protagonismo?«Il Governo ha promosso la Campagna naziona-le per il dono contro la solitudine e la povertà, con la volontà di valorizzare quella straordinaria

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capacità di gratuità di cui il nostro popolo è ca-pace. Anche qui, nessuna iniziativa statale potrà essere tanto efficace quanto la vicinanza umana di un volontario o di un amico che si fa prossimo al tuo bisogno. Vorremmo risvegliare e sostenere questa tensione verso l’altro, in una apertura che generi - in un rapporto umano - l’aiuto concreto necessario».Ma quali sono i compiti delle istituzioni e qua-li, invece, quelli della società?«Più società, meno stato: questa è la strada per un sistema di protezione sociale che sostituisca il vecchio welfare state. Nel periodo di crisi che stiamo attraversando risulta ancora più necessa-rio un cambio di paradigma, nel quale al centro vi sia la persona e la sua capacità di dare risposte innovative agli emergenti bisogni sociali, innan-zitutto aggregandosi e mettendosi insieme. Molti commentatori riconoscono che il “privato” sia chiamato a fare un passo avanti per assolvere a quanto lo Stato non riesce più a dare. Ma questa non è vera sussidiarietà perché rappresenterebbe un aggiustamento al margine di una inadeguata visione».E lo Stato dove è chiamato a intervenire?«Lo Stato invece deve intervenire laddove la so-cietà civile non arriva o non può arrivare. Le isti-tuzioni hanno la responsabilità di creare le condi-zioni perché i corpi intermedi possano esprimersi nella loro libertà responsabile. Da parte sua, lo Stato deve riguadagnare il suo ruolo originario di regolatore, di indirizzo e controllo, evitando dove non necessario di mettersi in concorrenza con il privato e il privato sociale».Se il welfare state è in crisi, con che cosa lo si sostituirà? Con la cosiddetta welfare society?«La società civile, e in particolare il terzo setto-re, non è un rimedio cui ricorrere a temporanee inefficienze nel dialogo tra Stato e mercato, bensì è attore alla pari, anzi privilegiato nella respon-sabilità di nuove risposte sociali. Mi sembra più opportuno dunque parlare di welfare community, di una comunità nella quale ognuno si senta re-sponsabile per sé e per il bene comune, dove a ognuno sia chiesto il suo e nessuno sia lasciato indietro».Negli ultimi 15 anni il mercato del lavoro è cambiato profondamente. Sempre meno chi inizia un percorso professionale lo conclude alla fine della propria vita attiva nella stessa azienda e con lo stesso tipo di contratto. Qual è il valore positivo di questo cambiamento e qual è, invece, l’aspetto negativo?«Che i nostri giovani abbiamo davanti la prospet-

tiva di cambiare diversi lavori nella loro carriera è un dato di fatto. Questa tendenza ripone al cen-tro del dibattito la questione delle competenze. La sfida è dare strumenti utili perché ciascuna persona possa aggiornare le proprie competenze per non rimanere tagliata fuori dal mercato del lavoro. Allora risulta innanzitutto urgente un pro-fondo ripensamento del sistema formativo: cen-tralità dell’azienda come luogo di apprendimento e certificazione delle competenze sono i caratte-ri di questo nuovo assetto che stiamo portando avanti nel dialogo con le regioni. Siamo certi che tutti abbiamo consapevolezza che il sistema at-

sacc

oni a

l mee

ting

Il ministro del Welfare parteciperà all’incontro dal titolo

“POVERI PERCHÉ SOLI” che si svolgerà il 23 agosto 2010

alle 11.15 nei padiglioni della Fiera di Rimini. All’incontro

interverranno anche: Luigi Campiglio, prorettore e docen-

te di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro

Cuore di Milano; Mauro Inzoli, presidente associazione

Fraternità. Introduce Marco Lucchini, direttore Fondazione

Banco Alimentare Onlus

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tuale sia per lo più fatto di sacche di rendita nel quale le buone iniziative non trovano ossigeno per crescere e diffondersi. Ed è per questo che desideriamo dare una scossa al sistema e ripar-tire con una impostazione che sia centrata sulla domanda anziché sull’offerta, che si parli di un sistema di apprendimento anziché di un sistema di formazione».Il proliferare, però, di co.co.pro. e partite Iva monocommittenti non è la dimostrazione che la flessibilità sia stata premiata spesso a scapi-to di garanzie e tutele?«L’orizzonte per i nostri giovani è il mondo, sono chiamati a superare la logica del “sotto casa”, per cui l’università e il lavoro debbono per forza es-sere a un chilometro dalla propria abitazione. La concorrenza globale premia chi ha più fame ed è pronto a investire in competenze, arricchendo il proprio curriculum con diverse esperienze. La flessibilità rientra in questa dinamica, rappresen-tando un utile strumento per entrare nel mercato del lavoro. Diventa certamente distorsiva se usata contra legem e si protrae a lungo nella carriera lavorativa».Che cosa cambierà con la nascita dello Statuto dei lavori, al posto dello Statuto dei lavoratori?«Lo Statuto dei lavori è un sogno di Marco Bia-gi che oggi trova terreno fertile per fiorire. È un modo per far vivere lo Statuto dei diritti dei lavo-ratori. Non è un modo per cambiarlo e sostituirlo,

bensì per renderlo più vivo e vitale. Oggi, a qua-rant’anni da allora, possiamo pensare a una rego-lazione di legge molto più essenziale, riferita ai diritti fondamentali nel lavoro, che devono essere riconosciuti a tutte le persone, per rinviare alle parti sociali, alla loro capacità di reciproco adat-tamento nei diversi contesti territoriali, settoriali, aziendali, la regolazione nei rapporti di lavoro di molte tutele. In modo da conciliare le esigenze della competitività con quelle della promozione di un lavoro di qualità».Intanto la crisi continua a mietere vittime sul fronte occupazionale.«Stiamo predisponendo un Piano triennale per il lavoro che ci aiuti ad affrontare la coda della crisi che stiamo vivendo e a cogliere le opportunità che pian piano stanno riemergendo nel mercato. Le nuove caratteristiche della crescita dell’economia internazionale pongono il pericolo di una crescita senza occupazione. Quindi, prima di tutto, il Pia-no triennale deve promuovere la formazione di quelle competenze che servono alla crescita. In secondo luogo deve garantire alta intensità occu-pazionale alla crescita economica e cioè, a parità di crescita, più posti di lavoro. E questo significa liberare il lavoro dal sovraccarico ideologico che lo ha sempre visto particolarmente contratto nella nostra società. In poche parole, dobbiamo fare in modo che si determini una maggiore propensione ad assumere, rimuovendo tutto ciò che inibisce questa scelta da parte di molti datori di lavoro».Nel documento “Fare impresa” (si veda in questo numero a pag. 58) la Compagnia del-le Opere sostiene che l’impresa, in quanto co-munità di uomini, sia un ambito educativo. È un’idea che si sente di sottoscrivere?«Il lavoro è certamente un ambito privilegiato nel quale emergono la personalità e le motivazioni di una persona. I giovani di oggi fanno spesso fatica a esprimersi nel lavoro per un carenza di ragio-ni ideali, per la mancanza di una certezza sulla vita. Ciò che dobbiamo per prima cosa garantire sono dunque luoghi di lavoro nei quali ciascu-no possa esprimere e trovare se stesso. Esistono molti diritti legati al lavoro, alcuni fondamentali e altri secondari, ma tutti hanno significato solo nell’orizzonte della crescita della persona, come professionista e ancor prima come uomo. La vi-talità sul lavoro è possibile solo laddove esiste un vitalismo della persona, qualunque sia la man-sione ricoperta. Dobbiamo tutelare questi spazi di creatività dove questa sia stimolata e colta in-nanzitutto nei rapporti personali in fabbrica o in ufficio». n

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I PLa passione del Presidentedi John Waters editorial ista del l ’Ir ish Times

Il presidente Mary McAleese è molto amata in Irlanda, famosa per essere straordinariamente brillante e allo stesso tempo in nessun modo esi-

bizionista della sua grande intelligenza o del suo livello di educazione. Ha l’apparenza di una “don-na ordinaria” che può parlare con la stessa facilità a re e imam, così come a pensionati e casalinghe che vengono a farle visita a Áras an Uachtaráin, la residenza presidenziale. Sfoggia la propria cono-scenza in maniera leggiadra, ma è una persona che non è attaccata a sentimenti populisti.Quando recentemente l’ho chiamata per incon-trarla con alcuni amici, accompagnato dalla mia figlia adolescente Roisin, il presidente è rimasto affascinato dai suoi stivali. Dove li ha comprati? Ha il permesso di indossarli a scuola? Il presidente è cool ma non nel modo forzato di molti politici moderni, che cercano di creare un’impressione di affinità con un voto giovanile di cui, in realtà, non capiscono niente. Forse perché non è mai stata una politica in senso stretto, Mary McAleese non ha imparato a fingere sincerità, ma riesce a esserlo

naturalmente senza doverci pensare su. Noi irlandesi ci fidiamo del nostro presidente. La amiamo - la parola non è troppo forte -. Lei è come una sorella per noi, una che si prende cura di noi, ma che ci dice sempre il vero. Nonostante sia capo dello Stato non è parte del Governo. In generale il suo è un ruolo simbolico, ha un numero di funzio-ni esecutive strettamente limitato e per la maggior parte di natura tecnica.

Al di sopra della politicaIl presidente della Repubblica è “al di sopra della politica” come ci piace dire. In passato, però, era quasi un “dopo politica”. Fino a vent’anni fa, la presidenza era vista come una specie di ricompen-

Mary Patricia McAleese (sotto) è una politica, avvocato, giornalista e in passa-to docente universitaria irlandese, oltre che l’ottavo e attuale presidente d’Irlan-da in carica dall’11 novembre 1997; a sinistra, una strada di Dublino; nella pa-gina a fianco, Áras an Uachtaráin, la re-sidenza ufficiale del presidente d’Irlanda

Un r itratto del presidente d’Irlanda , Mary McAleese, protagonista dell’incontro inaugurale del Meet ing domenica 22 agosto; la sua stor ia personale, i l suo carattere e l’importanza di un polit ico amato da gran parte del Paese

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sta televisiva a Dublino negli anni 70 e 80, in una cultura mediatica che stava cercando di spargere oltre i confini la colpa collettiva e la confusione riguardo al continuare del conflitto, ha attratto su di sé molti sospetti quando ha ripudiato i nazio-nalisti e ha cercato di smantellare il senso storico di auto-colpevolezza che la maggior parte degli irlandesi ancora sentivano. La sua esperienza nel-la stazione televisiva nazionale RTE, è stata se-gnata dall’ottusità e dall’ostilità, così come lo era stata la sua infanzia nella nativa Ardoyne, uno dei ghetti cattolici di Belfast dominato dagli unio-nisti. Fu marginalizzata e ripudiata dai colleghi (alcuni dei quali si sono ricreduti e le hanno porto le proprio scuse da quando è presidente). Quando successivamente ha agito in qualità di portavoce per i vescovi cattolici, è stata oggetto di virulenti attacchi che sono sfociati in minacce di morte da parte degli estremisti dell’Unione. Ciò nonostante, grazie alla sua personalità, Mary McAleese è emersa come una voce premurosa e

sa per politici eminenti, che per aver raggiunto una certa età e/o livello di stanchezza, erano ritenute persone adatte a ricoprire l’oneroso incarico di stringere la mano ai dignitari in visita. Ma tutto questo è cambiato nel 1990 con l’elezione della prima presidente donna, Mary Robinson, impor-tante avvocato e femminista che vinse la presi-denza in una drammatica campagna elettorale che sembrò, in quel momento, preannunciare il collasso dell’esistente sistema dei partiti. Questo, comunque, non accadde. Il partito dei Labour, di cui la Robinson era membro, andò al governo nel 1992 e cominciò subito a fossilizzarsi sull’au-tocompiacimento per il più grande risultato mai raggiunto. Nel giro di un paio d’anni, il prospet-to di una nuova divisione sinistra-destra sparì e il sistema politico venne di nuovo dominato dai principali partiti di centro-destra. La presidenza della Robinson venne vista, anche dai suoi più acuti sostenitori, come un falso risorgere di una repubblica liberale di sinistra. Quando Mary Robinson si dimise nel 1997, c’erano speranze in vari settori ideologici che la posizione potesse essere nuovamente usata per indirizzare il sistema politico in una direzione diversa. Ma il partito principale, il Fianna Fail, ha intelligentemente anticipato questa mossa sce-gliendo come suo candidato un’altra donna, un altro avvocato, un’altra Mary, ma questa volta qualcuno con una personalità che corrispondeva di più al sentimento generale che credeva nell’Ir-landa e in quello che era capace di diventare come nazione.Mary McAleese era senza dubbio simile al suo predecessore, ma in realtà totalmente diversa come presidente. Proveniente da una famiglia na-zionalista di Belfast, si è formata all’ombra della guerra che continuò dalla sua infanzia fino al pri-mo anno della sua presidenza. Robinson ha ade-rito veramente alla scuola revisionista della poli-tica irlandese (scuola che ha cercato di riscrivere la storia minacciando di lamentela il sentimento nazionalista, principalmente perché non era in grado di accettare le contraddizioni del conflitto), ma, nonostante abbia compiuto gesti significati-vi, le è mancato l’affetto personale necessario per tendere la mano a ognuna delle parti in conflit-to. Paradossalmente la McAleese, essendo stata una portavoce del proprio popolo senza senso di autocommiserazione, ha avuto l’autorità morale per dialogare al sopra della divisioni politiche e culturali con i gruppi che stavano dall’altra parte di quella profonda barriera culturale che esiste nell’Irlanda del Nord. Il suo viaggio non è stato semplice. Da giornali-

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Il presidente dell’Irlanda parteciperà all’incontro dal titolo

“LE FORZE CHE CAMBIANO LA STORIA SONO LE STESSE

CHE CAMBIANO IL CUORE DELL’UOMO”

che si svolgerà il 22 agosto 2010 alle 17 nei padiglioni

della Fiera di Rimini.

All’incontro parteciperà anche Emilia Guarnieri, presiden-

te Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli.

Introduce John Waters, editorialista de .

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coraggiosa, che non ha paura di parlare apertamen-te delle proprie origini, della propria fede o della propria idea di un’Irlanda libera da prescrizioni ideologiche. Un’acuta studentessa di filosofia, di storia e di politica, i suoi interventi pubblici sono caratterizzati da uno stile informale in cui è sem-pre riuscita a esprimere concetti piuttosto compli-cati senza dare l’idea di un intellettuale distaccato. Da presidente ha mantenuto questa immagine di sé come una sostenitrice del senso comune. Il suo tema presidenziale di “costruire ponti” si è basa-to sull’idea di aprirsi ad altri punti di vista, non attraverso una posizione caratterizzata dal diluire la propria identità o quello in cui si crede, ma dal nutrire un mutuo rispetto per altre opinioni che sono espresse sinceramente. Avere a che fare con “l’altro” è stato una specie di filo conduttore della sua presidenza. In virtù della propria personalità e dei suoi modi di fare, ha sdrammatizzato il pro-cesso di riconciliazione e, nel fare questo, ha con-tribuito enormemente a sanare i rapporti umani, cosa che in Irlanda ha spesso preceduto il sanare le differenze ideologiche. In una società che conti-nua ad aggrapparsi a un inconscio desiderio post-coloniale di imitare le caratteristiche di società più sofisticate, Mary McAleese ha fornito un modello propriamente irlandese per una modernità che ri-spetta la tradizione e per un illuminismo con la “i” minuscola.

Una voce di ragionevolezzaUn presidente può servire uno o due mandati di sette anni. Quando il primo mandato di Mary McAleese si è concluso nel 2004, c’è stato pra-ticamente un consenso unanime perché lei rima-nesse per altri sette anni. Molti irlandesi sarebbero contenti che rimanesse finché lei lo desidera.Il suo ruolo tra noi è minimo ma importante. Le sue esperienze di vita le hanno concesso di di-ventare una figura centrale nel processo di supe-ramento del conflitto che ha caratterizzato la sua adolescenza e i suoi anni da giovane adulta, ma questo è solo l’inizio di ciò che è venuta a rap-presentare. In una società traumatizzata negli ultimi anni da difficoltà economiche e scandali sugli abusi sessuali del clero e sulle loro copertu-re, McAleese è stata una continua voce di ragio-nevolezza e tenerezza sia nel regno civico che in quello spirituale. Durante gli anni del benessere, dall’inizio della sua presidenza nel 1997 fino alla metà del suo secondo mandato nel 2007, ha messo in guardia con discrezione contro l’illusione del materialismo. Ma quando il vaso è traboccato, ha richiamato l’attenzione sulla possibilità che il be-

nessere non abbia dato risposta a tutte le nostre do-mande. Dobbiamo forse pensare, ha suggerito, che il nostro desiderio di soddisfazione immediata ci sia costato così tanto, in maniera così imprevista, che ancora non c’è nemmeno venuto in mente? E se guardassimo la realtà in un modo più equilibra-to e in una prospettiva di maggior valore?Nessun politico sembrava essere in grado di dire queste cose. In questo modo, il presidente ha offer-to una chiara alternativa alla tendenza economista e mercatocentrica che veniva dal ramo esecutivo del Governo. Mentre il Taoiseach (primo mini-stro) e i suoi ministri si concentravano a rettificare le difficoltà economiche e mantenere la fede del mondo esterno sulla strada di una “Irlanda incor-porata”, il presidente ci ha parlato non come mem-bri di un corpo economico, ma come cittadini di una nazione e pellegrini di un misterioso viaggio nello spazio e nel tempo. In questo senso, la gran-dezza della sua personalità ha diffuso, senza biso-gno di parole, quello che vuol dire essere cristiano in un contesto politico, confermando quello su cui don Luigi Giussani insisteva: che la politica è la più grande forma di carità. n

Le contraddizioni delLa t igre celtica

L’Irlanda è stata artefice di un progresso economico incredibile negli ultimi anni. Il rinascimento culturale e politico dell’isola si deve anche al fortissimo progresso economico. L’Irlanda da Paese di emigranti è diventato un Paese che attira immigrati da tutte le parti del mondo per le grandi opportunità che si sono create. La crescita economica è stata in media del 10% nel quinquennio 1995-2000 e del 7% nel periodo tra il 1995 e il 2004. Tuttavia l’attuale crisi economica internazionale sta colpendo molto duramente il Paese, la cui economia è così fortemente legata ai servizi finanziari. Nel 2008 diversi economisti hanno inserito l’Irlanda nel gruppo di Paesi cosiddetti Piigs (insieme a Portogallo, Italia, Grecia e Spagna). Nel 2009 il Pil irlandese è calato di circa il 7%.La struttura dell’economia irlandese viene considerata inusuale per diversi fattori. Dal punto di vista settoriale, l’industria presenta un rendimento sensibilmente maggiore rispetto alle altre economie sviluppate. Tuttavia, dato che la maggior parte dell’industria manifatturiera è di proprietà straniera, un considerevole ammontare di profitti viene rimpatriato ogni anno, determinando un esteso gap tra Pil e Pnl (il più ampio tra i Paesi Ocse), anche se negli ultimi anni è risultato tendenzialmente in calo (dal 20% del 2004 al 15% del 2007). Dall’inizio del 2000 la crescita della produzione industriale è notevolmente rallentata, mentre il settore dei servizi è risultato in crescita; la struttura dell’economia irlandese si è così avvicinata a quella delle altre economie sviluppate. Il settore agricolo, negli ultimi anni, è apparso in declino sia in termini relativi che assoluti, nonostante mantenga la sua importanza relativamente alle altre economie dell’Europa Occidentale. La natura aperta dell’economia irlandese viene evidenziata dal fatto che nel 2007 la spesa registrata per importazioni ed esportazioni rappresentava il 151% del Pil, tra le più elevate al mondo, anche se in calo dal 183,6% del Pil del 2000.

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Le contraddizioni delLa t igre celtica

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Ettore Gotti Tedeschi è dal 23 settembre 2009 presidente dell’Istituto per le Opere di Religione (meglio noto con l’acronimo

Ior), una banca privata, istituita nel 1942 da papa Pio XII con sede nella Città del Vatica-no. Precedentemente è stato alla guida delle attività italiane del gruppo spagnolo Banco Santander. Dal suo punto di vista privilegiato, dunque, ha potuto osservare l’evolversi di una crisi nata nel mondo della finanza ma che ha, secondo Gotti Tedeschi, radici ben più pro-fonde, come ci spiega in questa intervista.«L’economia è una tecnica, avanzata e so-fisticata, ma neutrale, che per essere van-taggiosa per l’uomo deve trovarlo consen-ziente a considerarsi importante, centrale. [...] Il capitalismo indubbiamente ha fatto molto per l’uomo e può fare ancora molto, ma perché gli uomini non subiscano i condi-zionamenti del mondo globale devono esser “forti” e formati». Può spiegarci questa sua affermazione, tratta dalla rivista della Fon-dazione Liberal? E come la si può leggere alla luce della recente crisi economica?

d i D a r i o Va s c e l l a r o

«Nella Sollecitudo Rei Socialis Giovanni Paolo II profetizzò che all’uomo moderno, avanzato nelle tecniche ma poco maturo in saggezza, gli strumenti a sua disposizione sa-rebbero sfuggiti di mano. Lo stesso concetto, preoccupazione e implicita raccomandazione, lo troviamo nel sesto capitolo dell’Enciclica di Benedetto XVI, Caritas in Veritate. Nella Introduzione di detta Enciclica troviamo poi le ragioni di fondo di questa preoccupazione, il perché ciò è successo e può continuare a succedere: perché gli strumenti assumono au-tonomia morale. Ciò avviene quando l’uomo prescinde nelle sue scelte e nel suo comporta-

mento da riferimenti di Verità e i mezzi diventano fini. E ciò

Ettore Gotti Tedeschi (Pontenure, 3 marzo 1945) è un eco-nomista e banchiere italiano. Dal 2009 ricopre l’incarico di presidente dell’Istituto per le Opere di Religione

bisogna rieducare l’uomo

Secondo Ettore Gott i Tedeschi , presidente del lo Ior, non è tanto i l capital ismo, o i l mercato, a dover esser r i formato, è l ’uomo che deve esser r innovato

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Se è vero che «il capitalismo nasce in casa cattolica a esaltazione della dignità dell’uo-mo», come lei ha affermato, come si spiega che una parte del mondo cattolico sia pro-gressivamente diventata diffidente e ostile nei confronti della libera economia di mer-cato? E le recenti e non proprio esaltanti prove del sistema capitalistico, secondo lei, accresceranno la diffidenza nei confronti di tale sistema?«Effettivamente la cultura dominante, inve-ce di cercare le ragioni vere, ha attribuito gli errori agli strumenti usati portando a essere diffidenti verso lo strumento anziché verso l’incapacità di usarlo secondo il suo fine. Ma ciò è profondamente sbagliato. Non è tanto il capitalismo, o il mercato, a dover esser rifor-mato, è l’uomo che deve esser rieducato. Non esiste il capitalismo etico, il mercato etico o la banca etica. Etica è la capacità dell’uomo di usarli dando loro un senso, etico è l’uso che ne fa l’uomo con responsabilità personale. L’etica è personale ed è conseguenza di ciò che l’uomo crede, se l’uomo perde il senso della vita come può mantenere il senso da dare allo strumento? È l’uomo che ha appunto bisogno di esser rinnovato, rieducato, non tan-to lo strumento. E per rinnovare questo uomo, e pertanto l’uso che farà degli strumenti, non sono tanto necessari grandi economisti, pro-fessori, politici e scienziati. Sono necessari invece buoni preti che insegnino il senso (so-prannaturale) della vita, la razionalità della

avviene quando la vita umana perde il suo senso, quello voluto dal Creatore, così se la vita non ha senso neppure può averlo l’azio-ne umana, tanto meno si può chiedere a uno strumento di avere senso per l’uomo. E la vita umana non ha senso se non si riconosce che è frutto della scelta del Creatore. Che dignità potrà mai avere la vita dovuta alla evoluzio-ne di un bacillo e frutto del caos? Così senza una Verità assoluta di riferimento, che ispi-ra ogni pensiero e azione, sarà il nichilismo a diventare la filosofia della vita. È pertanto facile comprendere che la crisi economica attuale è il risultato della mancanza di Verità cui riferirsi, pertanto è il risultato della ne-gazione della vita stessa (contraddicendo le aspettative della Humanae Vitae di Paolo VI), ma non solo. Essa è anche conseguenza della incapacità di dare senso all’uso di strumenti di per sé neutrali, e pertanto di usarli male e produrre un progresso economico sbagliato (contraddicendo le aspettative della Populo-rum Progressio, sempre di Paolo VI). Nel pri-mo capitolo della Caritas in Veritate troviamo proprio questi due riferimenti, perciò il Santo Padre parla di origini morali della crisi eco-nomica, per spiegare che si è negata la vita rifiutando i figli e si è rifiutato di perseguire un progresso integrale ricercando solo quel-lo materiale. Tutto ciò coerentemente con la visione nichilista che vuole l’uomo quale ani-male intelligente da soddisfare solo, appunto, materialmente».

L’attuale crisi eco-nomica - sostiene il presidente dello Ior - è il risultato della mancanza di Verità a cui riferirsi e del rifiuto a perseguire un progresso inte-grale limitandosi a rincorrere quello materiale

gott

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g Il presidente dello Ior parteciperà all’incontro dal titolo

“UN IMPIEGO PER CIASCUNO. OGNUNO AL SUO LAVORO.

UNA STRADA PER L’UOMO”

che si svolgerà il 27 agosto 2010 alle 15 nei padiglioni

della Fiera di Rimini.

All’incontro parteciperanno anche Phillip Blond, direttore

di ResPublica, Ferruccio De Bortoli, direttore de Il Corriere

della Sera.

Introduce Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la

sussidiarietà.

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fede nelle leggi della natura economica, fisica eccetera».Nel documento della Compagnia delle Ope-re dal titolo “Fare impresa” si afferma che l’imprenditore deve essere guidato dal desi-derio di contribuire al bene comune. Perché è così difficile valorizzare lo sforzo per la creazione del bene comune?«È così difficile perché perdendo di vista la Verità e il senso conseguente da dare alle azioni umane, ogni strumento, in primis quel-lo economico, assumendo autonomia morale, prescinde dall’uomo stesso. Il nichilismo, in-segnando a prescindere da ogni verità assoluta e confermando che l’uomo è solo un animale intelligente da soddisfare materialmente, con-ferma detta autonomia morale. Così è etico solo ciò che si tocca, ciò che è tangibile, uti-lizzabile, dimostrabile. In tal modo l’uomo dipende dalle cose che ha. E se dipende dalle cose che ha, anziché il contrario, non è libe-ro perché sono le cose a possederlo. Ciò fa sì che non capisca che il vero possesso del-le cose è nel poterne fare a meno e pertanto distaccarsene, condividerle. E ciò è bene non solo per chi ne beneficia, ma proprio per chi sa privarsene, perché solo così dimostra la sua capacità di esser(ne) libero. In più la legge naturale, sempre coerente razionalmente con quella morale, spiega che la condivisione dei beni, per il bene comune, che in pratica è di-stribuzione della ricchezza, è anche una della leggi economiche necessarie allo sviluppo e alla crescita del benessere». Può sintetizzarci quali sono, secondo lei, le cause principali della recente crisi econo-mica? E quali sono le principali vittime e i maggiori “carnefici” (se ce ne sono) di tale crisi?«Le ragioni originali della crisi economica risiedono nel crollo della natalità nel mondo occidentale degli anni 1975-80, dovuto alle teorie dilaganti neomalthusiane originate nelle università americane di Stanford e MIT e poi distribuite in Europa e Giappone, che hanno comportato la flessione dello sviluppo economico facendo crescere costi fissi e tasse e facendo diminuire la crescita del risparmio prodotto. Detta flessione dello sviluppo pro-vocò i tentativi di compensarlo con strumenti logici (produttività e delocalizzazione) e poi inadeguati (debito) che hanno progressiva-mente provocato una forma di sussidiarietà delle famiglie e degli individui (che si inde-

bitavano per comprare e far crescere il Pil) alle esigenze di sviluppo degli Stati, in-terrotto grazie alla interru-zione delle nascite (crescita zero). Le prime vittime di questo processo sono state proprio le famiglie e i fi-gli sacrificati. Ma in realtà, successivamente, le vitti-me siamo stati tutti perché con la speranza di diventa-re più ricchi privandoci dei figli, siamo diventati tutti (nel mondo occidentale) più poveri. Il contrario si è opportunamente realizzato nel mondo asiatico grazie alla delocalizzazione e alla popolazione. Il responsa-bile di ciò è il solito pen-siero nichilista camuffato questa volta da neomalthu-sianesimo, ma il complice più importante è stato la mancanza di “educazione” ai valori, che se vogliamo è anche dovuta alla insuf-ficienza di insegnamento della dottrina e di direzione spirituale».Quali strade bisognerebbe seguire per uscire dalla crisi e assicurare un nuovo periodo di “sano” sviluppo? «L’uscita dalla crisi si fonderà, in un Paese a economia matura come il nostro, su un mo-dello economico di austerità per ricostruire i fondamentali. In questo periodo ciò che è auspicabile, e opportuno al fine di non cre-are troppe tensioni sociali, è ritrovare l’edu-cazione perduta e i valori smarriti. Per farlo è necessario investire su educazione, famiglia e sacerdoti. Solo buoni e santi sacerdoti pos-sono educare realmente alle cose importanti. Solo la ricostruzione della famiglia e dei va-lori familiari può ridar senso alla crescita ne-cessaria della natalità (non certo le tecniche). Solo uno sforzo eroico di rieducazione potrà restituire il senso di responsabilità personale nelle azioni necessarie a ricostruire i valori di una grande civiltà come la nostra, a ridare la dignità originale, voluta dal Creatore, all’uo-mo. E se ci proveremo, come potranno manca-re le grazie necessarie?». n

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d i D a r i o Va s c e l l a r o

Giovanni Bertolone è, dal 1° luglio, direttore cen-trale Operazioni di Finmeccanica, dopo essere stato amministratore delegato di Alenia Aero-

nautica dal febbraio 2005. In questa ultima veste ha partecipato spesso al Meeting di Rimini, affron-tando - lui che fa parte di una società che tende a ottenere l’eccellenza tecnica, operativa e industriale attraverso l’investimento in competenze - il tema dell’innovazione e della formazione dei giovani.È la persona giusta, dunque, con la quale cercare di capire cosa vuol dire innovare.L’innovatore è comunemente visto come colui che riesce a sognare qualcosa di diverso, di mi-gliore per tutti, portandosi oltre quanto compre-so finora. Anche per l’innovazione, dunque, il motore di ogni azione umana è questa aspirazio-ne a qualcosa di grande, l’esigenza di qualcosa di infinito, come richiamato dal titolo del Meeting?«Sì, ne sono convinto. Questa aspirazione a qual-

È questo i l segreto per fare inno-vazione secondo Giovanni Bertolo-ne, direttore centrale Operazioni di Finmeccanica spa, gruppo protago-nista sui mercati c iv i l i e del la dife-sa di tutto i l mondo

Giovanni Bertolone è, dal 1° luglio, direttore centrale Operazioni di Finmeccanica spa, dopo essere stato per anni amministratore delegato di Alenia Aeronautica, una società Finmeccanica

V DVedere con gli occhi del cuore

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cosa di grande è senz’altro il fattore più leale con cui la volontà umana può cercare “il bandolo” della vita. È questo fattore che scatena anche il desiderio di scoperta, di conoscenza e di affezione di cui è co-stituto il nostro cuore. Per citare una frase del Petit Prince di Saint Exupéry, occorre saper vedere con gli occhi del cuore, poiché l’essenziale è invisibile a uno sguardo superficiale. L’innovatore più che un sognatore è un “immaginatore”, capace di accostare la realtà con questo sguardo più profondo. Come? Non esiste uno schema da seguire, ma un modo di investigare usando la ragione in tutte le sue poten-zialità, partendo da un punto di vista diverso, più comprensivo di tutti i fattori in gioco. L’innovatore dunque non è una persona avulsa dalla realtà, dalla logica o dall’organizzazione, ma una persona che sa cercare risposte con meno condizionamenti deri-vanti dalla mentalità dominante». Può spiegarci come lei ha vissuto, da ammini-stratore delegato di un’azienda fortemente in-novativa, il desiderio di cose grandi, di qualcosa di infinito e come lo declina nell’attività di tutti i giorni in un colosso come Finmeccanica? “Desi-derio” e “cuore” sono parole che suonano fami-liari nella sua esperienza manageriale? «Quello che l’uomo desidera di più è la felicità, ossia la consapevolezza di quel piacere infinito che tuttavia non può essere conseguito, in quanto tutto ciò che proviene dalla sfera umana dell’esistenza è finito e limitato. Questa contraddizione tra desi-derio di infinito e l’impossibilità di raggiungerlo è sì il limite della natura umana ma anche il punto di partenza che apre alla domanda, al tentativo di conoscere, sapendo che c’è un rischio da mettere in conto, per la nostra “finitezza”. Questa dinamica si riflette anche nel modo di esercitare una responsa-bilità professionale, esprimendo così uno stile ma-

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derio sincero e forte di servire l’uomo (produrre qualcosa di buono e di bello) e che, quando que-sto sentimento è limitato a se stessi, la capacità innovativa risulta minore? «Il lavoro umano non è un’attività solitaria ma richiede collaborazione, interazione, coinvolgi-mento, voglia di costruire un bene comune. Abbiamo un bisogno incommensu-rabile di persone amiche e autorevoli con cui stabilire un rapporto che ci permetta di crescere. Pensate a quan-to fondamentale sia il ruolo della famiglia per lo svilup-po equilibrato del bambino. L’infinitezza dei nostri desi-deri e la contestuale accetta-zione della nostra dipenden-za da altri, sono elementi decisivi, certamente di di-mensione etica, per affron-tare la sfida della società nelle sue declinazioni cul-turali e lavorative. Senza l’aiuto di altre persone, senza questa continuità di rapporti, non saremmo in grado, non solo di trovare soluzioni brillanti e innovative, ma anche solo di trovare soddisfazioni nel coltivare il nostro piccolo orticello chiuso. La nozione di soddisfazione, quando non episodica, è direttamente legata al tema della felicità che, a sua volta, si esprime come desiderio di bene da dare e da ricevere nel percorso al destino. Ai tempi di Solidarnosc si parlava appunto di “Etica della responsabilità” non a caso. Quindi sono d’accor-

nageriale. Con i miei collaboratori io cerco sempre di arrivare al punto in cui in ciascuno scatta il desi-derio di conoscere di più, di farsi protagonista di un approfondimento maggiore dei problemi, con una attitudine positiva e possibilmente risolutiva. Anche qui c’è un rischio, c’è di mezzo la libertà e la vo-lontà dell’altro, che magari preferirebbe un ruolo semplicemente esecutivo. Comunque occorre sta-re fortemente radicati ai dati, alla realtà di ciascun programma, ponendo obbiettivi chiari, anche am-biziosi. Ripeto, non possiamo tenere separati i due livelli, il desiderio di conoscere e la realtà, sono due elementi inseparabili, anche e soprattutto sul lavoro».L’innovazione ha un riferimento stretto con il mercato, cioè con i fruitori del prodotto innova-to: se l’innovazione non satura le aspettative del mercato rischia di essere fine a se stessa. Come si riesce a coniugare il desiderio di cose grandi con le esigenze del mercato? «Innovare e al contempo formare le risorse costi-tuiscono una strada affidabile per arrivare a sod-disfare le nuove esigenze del mercato. Si è soliti pensare all’innovazione riferendosi agli enti di Ricerca & Sviluppo, delegando a loro completa-mente il compito di “trovare nuove soluzioni” con la probabilità elevata che siano avulse dal conte-sto. Invece l’innovazione deve operare a più livelli spesso intrecciati: non solo dunque ricerca ma an-che management, organizzazione, tecnologie, cul-tura delle persone, impostazioni commerciali ecc. L’innovazione è generata sia da una conoscenza tecnologica molto evoluta ma anche da un’attenta gestione dei processi con cui l’impresa cerca di in-terpretare e possibilmente anticipare e influenzare le attese del mercato. L’innovazione è un processo strategico che richiede una capacità metodologi-ca a 360 gradi. Innovarsi impone la definizione di obiettivi nel medio-lungo periodo - i programmi aeronautici in particolare sono programmi a ciclo molto lungo - ma al tempo stesso concentrarsi a declinare il nuovo che emerge, o che emergerà, dal mercato durante le prime e più critiche fasi di pro-getto. Professionalmente occorrono precise com-petenze capaci di mettere a frutto la tensione tra l’innovare e il realizzare, il conoscere e il produr-re. Tutte le iniziative di alta formazione, messe in campo negli ultimi anni da Finmeccanica e da Ale-nia Aeronautica, che vanno sotto il titolo di Pro-gram Management, puntano proprio a dare stru-menti concreti nella gestione di questa “tensione”, in ambiti complessi come quelli in cui operano». Condivide ciò che alcuni pensano, cioè che mo-tore dell’innovazione è l’etica, vale a dire il desi-

Vedere con gli occhi del cuore

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Il direttore centrale Operazioni di Finmeccanica spa parte-

ciperà all’incontro dal titolo

“RIPRESA A QUALI CONDIZIONI?”

che si svolgerà il 22 agosto 2010 alle 15 nei padiglioni

della Fiera di Rimini.

All’incontro parteciperanno anche Raffaele Bonanni, se-

gretario Generale Cisl e Corrado Passera, ceo Intesa San-

paolo.

Introduce Bernhard Scholz, presidente Compagnia delle

Opere.

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do nel definire l’etica, come tensione e non come teoria, quale motore dell’innovazione perché ci consente di orientare l’esercizio della professione verso un bene più grande, un bene che almeno ide-almente deve abbracciare l’umanità intera, senza costrizioni egoistiche».Oggi si tende a ritenere che la tecnologia sia il mezzo più importante per migliorare le condi-zioni di vita della persona, facendo guadagnare terreno nel cammino verso la gioia di vivere. Lei non crede che legare l’innovazione al solo ambi-to tecnico sia riduttivo? «Credo che innanzi tutto bisogna sapersi innovare dentro, come persona, costantemente. È necessa-rio rimettersi sempre in gioco, confrontarsi con gli altri e non dare mai nulla per scontato. Per il cristiano tutto ciò si chiama conversione. Certo l’innovazione tecnologica può aiutare a migliorare le condizioni di vita, a raggiungere il Ben-Essere, ma da sola non basta. Anche nella società ideale, dove tutto funzionasse perfettamente (e noi siamo molto lontani dal vederla comparire all’orizzonte dopo migliaia di anni di progresso tecnologico), il dramma della vita permarrebbe, anche sotto la crosta della superficialità. Rispetto alla domanda, dunque, invertirei l’ordine dei fattori: è la novità interiore dettata dalla tensione alla felicità che genera un tipo umano capace anche di esprimersi meglio nella realizzazione del progresso tecnolo-gico. Quando nel cuore dell’uomo c’è questa aper-tura, c’è sicuramente anche il desiderio di appli-carsi con rinnovata energia ed efficacia al proprio lavoro». L’innovazione è una delle caratteristiche distin-tive di Finmceccanica. Si tende a dire che solo aziende di grandi dimensioni siano in grado di essere competitive grazie a processi fortemente innovativi che richiedono investimenti e risorse. Al contrario delle pmi che innovano poco per-ché non dispongono dei capitali necessari. Qual è la sua opinione in proposito?«Non è l’approccio delle società di Finmeccanica che invece fanno delle pmi un atout incontourna-ble. Aziende come Alenia Aeronautica hanno ne-cessità di potersi avvalere della collaborazione e del sostegno delle pmi, perché questa collabora-zione trasversale - che esiste tra l’industria e le piccole e medie imprese - ci permette di fare, in-sieme, sistema. Questo consente una grande fles-sibilità nella programmazione delle lavorazioni, ottimizzandone anche i costi, e la possibilità, per la grande industria ma, contestualmente, anche per le piccole e medie imprese, di progredire sem-pre più nel settore dell’innovazione e della ricerca

tecnologica, sia pur mirate e focalizzate sulle dimensioni e vocazioni di ciascuna impresa. L’aerospaziale e l’elettronica, come noto, hanno spesso segnato frontie-re tra le più avanzate, facendo da traino alla crescita di altri campi. L’aeroplano, ad esempio, oggi più che mai, è un pro-dotto estremamente complesso, capace di integrare una molteplicità di differenti tecnologie, che non sempre è conveniente sviluppare nella grande azienda. Per que-sto io sono un grande sostenitore dei poli aeronautici regionali integrati in una rete nazionale che si deve affiancare e armo-nizzare con l’azione fondamentale di mi-nisteri come Mse e Miur. Là dove questi poli sono già in fase di avvio operativo - in Puglia come in Piemonte, in Campania come in Lombardia - mirano a valorizza-re la presenza preziosa delle pmi specia-lizzate nel settore, come filone prioritario della loro stessa esistenza. Certamente, con la crisi che stiamo attraversando, l’accesso al credito per le piccole aziende è un problema reale e grave. So che im-portanti progetti sono in cantiere anche a livello governativo per ovviare a questo problema che può minare la competitività stessa dell’impresa».La presenza di Finmeccanica al Mee-ting ormai è abituale. Che cosa spinge il suo gruppo a partecipare alla manifestazione riminese?«Ci sono, tra le altre, due buone ragioni che rendo-no alto l’interesse a partecipare. La prima è relativa alla dimensione culturale, capace di trattare, ogni anno, temi che escono dalle cerchie intellettuali per arrivare a portare un contributo ideale, ma anche concreto, all’azione di tutti, ivi compresi i respon-sabili di aziende. Questa stessa intervista ne è una prova. La seconda ragione è la possibilità di uscire dallo specifico in cui si opera, per confrontarsi in dibattiti e dialoghi con imprenditori che lavorano nei campi più disparati, una sorta di confronto per dissimilitudine che spesso si arricchisce di idee nuove e “importabili” nel proprio ambito. Queste due ragioni si intrecciano tra loro come trama e ordito di un tessuto. E poi c’è il piacere di immer-gersi in un clima costruttivo e aperto di gente che ha a cuore il destino comune e che sa accogliere personalità provenienti da culture, religioni e na-zioni le più diverse. È un’esperienza estremamente interessante di melting pot cui riferirsi, in un mon-do che sta sempre più diventando “mescolato”». n

Finmeccanica, prima realtà ita-liana operante a livello globale nei settori aerospazio difesa e sicurezza, è uno dei principali operatori al mondo nell’elicot-teristica e nell’elettronica per la difesa, leader europeo nei servi-zi satellitari e spaziali con im-portanti asset produttivi e com-petenze consolidate nell’energia e nei trasporti

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U SE

Una banca a supporto d e l l ’ Economia locale

d i D a r i o Va s c e l l a r o

Miro Fiordi , amministratore delegato del Credito Valtell inese, parla del ruolo delle banche terr itor iali e del s istema del credito in generale e del rapporto con le imprese

Secondo l’amministratore delegato del Creval Miro Fiordi, la forza di una banca territoriale risiede nella costante attenzione che essa rivolge a famiglie, profes-sionisti, artigiani, piccole-medie imprese e al mondo del non profit, in coerenza con la natura di banca popolare e cooperativa e in linea con il principio di un’azienda orientata al cliente e lontana dalla finanza speculativa

Il Gruppo bancario Credito Valtellinese è oggi una realtà a livello nazionale che opera in 10 regioni, dalla Lombardia alla Sicilia, con 540 fi-

liali. Nonostante la notevole espansione, ha saputo mantenere fede ai principi di mutualità e sussidia-rietà presenti nello statuto sin dal 1908, principi che hanno permesso all’Istituto di sostenere le economie locali anche nel contesto congiunturale di crisi economica. Ne parliamo con l’amministra-tore delegato del Credito Valtellinese Miro Fiordi.In che termini il modello della banca territoria-le ha saputo rispondere al contesto congiuntu-rale di crisi dei mercati?«Abbiamo aderito a tutte le iniziative di sistema - in alcuni casi anticipandole - volte a consentire un concreto supporto allo stato di difficoltà generaliz-zato dell’economia, in particolare per le famiglie e le pmi, che rappresentano il nostro core business. Ad esempio, tramite il posticipo delle scadenze di pagamento di imprese e famiglie - la cosiddetta “Moratoria” - abbiamo confermato il sostegno al fabbisogno del tessuto economico e sociale com-plessivo. Inoltre, aderendo all’accordo siglato tra l’Abi e la Conferenza episcopale italiana (Cei) in merito al programma nazionale di microcredito per le famiglie in difficoltà, abbiamo reso opera-tivo presso tutte le nostre filiali un nuovo finan-ziamento denominato “Prestito della speranza”. Ancora, con l’adesione agli accordi territoriali per l’anticipo della Cassa integrazione guadagni, ab-biamo garantito un intervento finanziario rapido, efficace e senza oneri a favore dei lavoratori coin-volti in processi di ristrutturazione aziendale».La recente crisi finanziaria ed economica inter-nazionale ha colpito anche il tessuto delle picco-le e medie imprese, che costituiscono il volano dell’economia italiana e un punto di riferimen-to anche per il Gruppo Credito Valtellinese.«Per affrontare con maggiore serenità questa dif-ficile congiuntura economica, oltre alla già citata

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“Moratoria dei debiti”, il Gruppo Creval ha messo a disposizione delle pmi una serie di finanziamenti a condizioni vantaggiose grazie agli accordi con Cassa depositi e prestiti e con Banca europea per gli investimenti. Nel primo caso sono stati messi a disposizione oltre 120 milioni di euro destina-ti a finanziare le attività delle pmi presenti nelle zone di insediamento del Gruppo in forma di in-vestimenti da realizzare o in corso di realizzazio-ne, oppure per esigenze di incremento del capitale circolante. L’accordo con la Banca europea per gli investimenti prevede invece un plafond complessi-vo di 200 milioni di euro per iniziative nei settori dell’industria, del turismo, dei servizi, dell’ener-gia, dell’ambiente e dal capitale umano. Abbiamo aderito inoltre - tramite il Credito Valtellinese, il Credito Artigiano, la Banca dell’Artigianato e dell’Industria - al fondo di rotazione attivato dalla Regione Lombardia tramite Finlombarda spa, fi-nalizzato all’erogazione di finanziamenti agevolati al settore turistico, altra grande eccellenza lom-barda - e in particolare della provincia di Sondrio, area di radicamento storico della Capogruppo - alla quale la nostra Banca dedica da sempre gran-de attenzione. L’intento che ci siamo posti, tramite quest’insieme articolato di misure ad hoc e la pro-fessionalità dei nostri operatori di filiale - veri ban-chieri del territorio - è quello di accompagnare le piccole e medie imprese in questa fase di difficile congiuntura e di sostenerne lo sviluppo nell’ottica della ripresa, che confidiamo arrivi presto».La recente crisi economica ha avuto tra le sue cause lo scollamento tra l’economia reale e l’economia finanziaria. Ritiene che, scottati dalle precedenti esperienze, si stia lavorando per evitare in futuro degenerazioni del sistema, oppure, come dicono alcuni osservatori, nulla è

cambiato e ci si deve preparare a nuove “bolle”?«È stato osservato da diversi commentatori, oltre che rilevato dalle autorità monetarie e finanziarie, che all’origine della crisi che l’Unione europea e l’euro stanno attraversando c’è il peso esorbitante che il sistema finanziario ha raggiunto nell’econo-mia mondiale. È evidente che nessuna economia - nemmeno quella della Ue - può reggere a lungo una situazione del genere, in cui l’economia reale, che dovrebbe poter usare la finanza come strumen-to necessario per un suo equilibrato sviluppo, è in realtà assoggettata a esso. Occorre dunque tornare a un peso equilibrato fra le due componenti; que-sto processo è cominciato, ma non avverto ancora il necessario mutamento, prima di tutto culturale. È evidente a tutti l’allarme sulla situazione e si sta lavorando per evitare in futuro degenerazioni del sistema - vi si lavora da Washington a Bruxelles. Il problema fondamentale al riguardo è che i tempi della legislazione, e la sua intrinseca complessità, mal si conciliano con mercati dinamici, in cui il ruolo delle aspettative e delle anticipazioni delle misure di politica economica è sempre più impor-tante. Peraltro le stesse autorità monetarie hanno più volte rimarcato le carenze regolatorie come una delle principali cause della crisi globale. In questo quadro il Santo Padre, nell’Enciclica Cari-tas in veritate, particolarmente acuta per capacità di analisi e visione prospettica, ha citato “gli effetti deleteri sull’economia reale di un’attività finan-ziaria mal utilizzata e per lo più speculativa” per poi sottolineare come “non va dimenticato che il mercato non esiste allo stato puro. Esso trae for-ma dalle configurazioni culturali che lo specifica-no e lo orientano. Infatti, l’economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoisti-ci. (…) Perciò non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l’uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e socia-

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L’amministratore delegato del Credito Val-

tellinese parteciperà al “Caffè con... un ban-

chiere” che si svolgerà il 24 agosto 2010 alle

13.45 nei padiglioni della Fiera di Rimini.

Introdurrà Mauro Bottarelli, giornalista.

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le”. C’è quindi un tema a monte a mio modo di vedere. Come ha rilevato di recente il prof. Ettore Gotti Tedeschi, “da molti decenni la nostra società ha sostituito il suo modello educativo fondato sul know why (saper perché) con il modello importato fondato sul know how (saper come). (…) Dovrem-mo tornare a insegnare e apprendere l’educazione del know why, ritornando a domandarci più spesso il ‘perché’ di ogni azione, risultato, conseguenza.

Questo modello educativo un tempo era un van-taggio competitivo della nostra cultura, e ancora non è spento del tutto”. Credo che sia necessario, per tutti, ripartire proprio dal know why; aver chia-ro il fine - di un sistema economico, ma direi anche di ogni singola azienda - è il vero tema centrale, che può garantire uno sviluppo serio e sostenibile di qualsiasi iniziativa economica».Bankitalia ha richiamato le nostre banche, poco esposte rispetto alla crisi internazionale ma storicamente portatrici di forti crediti fisca-li per le perdite sugli impieghi, che potrebbero determinare riduzioni patrimoniali con Basilea 3. Ritiene che il nostro sistema bancario corra dei rischi nel prossimo futuro? E le cosiddette “banche territoriali” sono più al sicuro dei gran-di istituti?«Nella crisi, che è di sistema e dura da agosto 2008, le nostre banche si sono distinte per avere nella loro generalità osservato i principi di “sana e prudente gestione”, da sempre indicati dalla Banca d’Italia e dalla normativa e che hanno costituito un faro ispiratore per la generalità del sistema. Robu-stezza patrimoniale, crescente efficienza operativa, profilo di rischio prudente, capacità di relazione fiduciaria e di gestione del credito, sostenibilità reddituale sono gli elementi che contraddistinguo-no la gran parte delle banche italiane. Proprio in virtù di questo modello operativo - che contem-pera la necessità di “creare valore” ma anche di operare nell’interesse generale - il sistema Italia può gestire con relativa tranquillità i rischi insiti nella congiuntura dei prossimi 2-3 anni. Le banche territoriali in particolare - quali le Popolari come il Creval e le Bcc - hanno saputo nel tempo man-tenere un profilo di rischio frazionato, conoscono personalmente i propri clienti, instaurano relazioni

durature e fiduciarie e dispongono di prodotti/ser-vizi in grado di soddisfare qualsiasi necessità; sono pronte a recitare la propria parte di soggetti a servi-zio dell’economia - un’economia, quella italiana, ad alta intensità di piccole e medie imprese e di lo-calismi. In questo quadro, è comunque prioritario rafforzare i presidi patrimoniali, per essere pronti finanziariamente a sostenere la ripresa economica, di cui intravediamo qualche segnale concreto. In

questo senso, come Credito Valtellinese ci siamo mossi con un’importante operazione di emissione di un prestito convertibile di 625 milioni di euro, operazione collocata a fine 2009».Cosa può fare un istituto di credito per mette-re al riparo i propri clienti da speculazioni ri-schiose? C’entra in questo la tensione al “bene comune”, troppo spesso dimenticata da chi fa impresa e da chi le imprese dovrebbe aiutarle?«Per rispondere a questa domanda, faccio ancora riferimento all’Enciclica del Santo Padre. “L’in-tero sistema finanziario deve essere finalizzato al sostegno di un vero sviluppo” (Caritas in veritate, § 65). Il bene comune dal canto suo ha molto a che vedere con il principio dello sviluppo integra-le della persona, un tema su cui la Dottrina socia-le della Chiesa non ha mai smesso di insistere e che rappresenta un principio cardine anche per le Popolari di ispirazione cristiana. Dal mio punto di vista, credo che alcuni principi vadano sempre salvaguardati e messi al centro della gestione ope-rativa aziendale:- è necessaria una scrupolosa osservanza alle nor-me vigenti, che vanno nell’interesse della salva-guardia del “buon nome” della Banca e a tutela della clientela;- reputo importante sviluppare continuamente il principio della cultura del servizio, della fiducia e del merito (tre categoria imprescindibili citate nel nostro Rapporto sociale);- per una banca territoriale è poi fondamentale la capacità di personalizzare le risposte e creare una relazione di lungo periodo basata sulla trasparenza, quindi una fidelizzazione reale, che aumenta nel tempo diventando quasi “generazionale”.Soltanto il costante riferimento a queste linee guida comportamentali e culturali può preservare real-

nessuna economia può reggere a lungo una situazione del genere, in cui l’economia reale, che dovrebbe poter usare la finanza come strumento ne-cessario per un suo equilibrato sviluppo, è in realtà assoggettata a esso.

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mente la Banca e la propria clientela dagli abbagli dei guadagni speculativi di breve termine. Nel 2007 è entrata in vigore nell’ordinamento italiano la Di-rettiva “Mifid”, che ha posto paletti precisi in termi-ni di coerenza fra profilo del cliente e adeguatezza dell’offerta nei servizi di investimento, introducen-do innovazioni nelle modalità di collocamento dei prodotti e una coerenza maggiore fra propensione al rischio da parte dei clienti e caratteristiche dei servizi prestati. Anche la Banca d’Italia ha varato diverse norme in tema di trasparenza dei prodotti e tutela dei diritti dei clienti; su questo stesso fron-te, registriamo anche gli interventi dell’Antitrust e dell’Isvap, quest’ultima per i profili del colloca-mento dei prodotti assicurativi. Riteniamo senz’al-tro utili gli interventi delle Autorità, perché rappre-sentano uno stimolo continuo al miglioramento dell’offerta e dell’operatività bancaria; sono peral-tro convinto che i fattori culturali cui ho fatto breve cenno vengano prima, come importanza culturale che poi guida il modus operandi dentro il quadro normativo di riferimento. Occorre quindi che la Banca - ma direi ogni azienda - abbia un’ottica del lungo periodo e non del “mordi e fuggi”: ci interes-sa che il cliente resti con noi nel tempo; in questo senso, operare in speculazioni rischiose è il modo migliore per perdere il cliente, oltre che per subire

effetti reputazionali». La crisi sta pian piano allentando la morsa, ma il sistema bancario non è ancora del tutto al riparo da fenomeni finanziari di rischio. Nel frattempo, però, le imprese vanno sostenute dal sistema cre-ditizio, in modo da dare respiro a un’economia che tenta con fatica di rilanciarsi. Il sistema in-ternazionale di regole sui requisiti patrimoniali delle banche, però, sarà modificato da una rifor-ma che manderà in pensione l’accordo Basilea 2 in favore del cosiddetto Basilea 3. Quale impatto avranno le nuove regole nei meccanismi di ero-gazione del credito alle imprese?«Vorrei innanzitutto ricordare che il Gruppo Cre-dito Valtellinese - e come noi molte banche territo-riali - a fine marzo 2010 ha registrato un aumento degli impieghi su base annuale nella misura del 10% circa, in misura nettamente superiore alla me-dia del sistema e in controtendenza rispetto all’an-damento di un’economia reale in difficoltà. Tante banche dunque continuano a sostenere l’economia e le imprese, nonostante le difficoltà oggettive e l’aumento del rischio. La crisi ha senz’altro di-mostrato che alcuni sistemi bancari - non certo quello italiano - avevano una dotazione di pa-trimonio non adeguata rispetto ai rischi assunti, rischi in maniera preponderante di natura finan-

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ziaria e non connessi con il finanziamento delle imprese e delle famiglie. È quindi necessario a livello globale un rafforzamento dei livelli patrimoniali delle banche e un quadro re-golamentare uniforme a livello internazio-nale. Detto questo, è sicuramente prematuro valutare l’impatto di Basilea 3, che è una regolamentazione ancora soggetta a fasi di consultazione e confronto; è però evidente la ratio del legislatore, peraltro esplicitata dalla stessa Banca dei regolamenti interna-zionali: rafforzare la dotazione di capitale globale e la regolamentazione sulla liquidi-tà allo scopo di promuovere un settore ban-cario più resistente. Per le banche italiane l’impatto sarà senz’altro significativo, ma tale impatto è mitigato, da un lato, dal pro-filo finanziario già molto solido degli inter-mediari e, dall’altro, dalla definizione di un congruo periodo transitorio, da avviarsi a ripresa consolidata. Più capitale, meno de-biti e minore esposizione ai rischi, per un maggiore afflusso di finanziamenti all’im-presa - questa è la sintesi del nuovo sistema bancario che viene a delinearsi e che ci vede, come Gruppo, ben posizionati». n

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LiIl metodo lombardod i D a r i o Va s c e l l a r o

Raffaele Cattaneo, assessore alle Infrastrutture e Mobil ità di Regione Lombardia , fa un resoconto dell’att ività di lavoro degli ult imi anni e parla anche delle prospett ive nel settore delle infrastrutture che devono basarsi sul pr incipio fondamentale della sussidiar ietà

Raffaele Cattaneo, nato a Saronno il 15 settem-bre 1962, si è laureato in Economia e Commercio all’Università Cattolica di Milano. È assessore alle Infrastrutture e Mobilità. Dal 2004 è membro del Consiglio di amministrazione della Sea, la società di gestione degli aeroporti di Milano e presidente del Consiglio di sorveglianza di Infrastrutture Lom-barde spa e di Lombardia Informatica

Paese. Con passione ci ha raccontato come si è agito e si agisce in Lombardia per dare al territorio un sistema infrastrutturale moderno che assicuri un duraturo sviluppo.«Dati inequivocabili dimostrano che il migliora-mento della dotazione infrastrutturale impatta in maniera positiva e significativa sulla competitività e sulla capacità di sviluppo di un territorio. La Ban-ca mondiale, ad esempio, nel 2007, con un’analisi che ha riguardato 39 Paesi Ocse, ha dimostrato come per la stragrande maggioranza di questi ci sia un riscontro tangibile di questa relazione po-sitiva e significativa. In un momento di crisi come questo è ancor più importante richiamare questo nesso tra infrastrutture e sviluppo. L’Università Bocconi stima che per ogni miliardo di euro de-stinato allo sviluppo di infrastrutture si generino circa ventimila nuovi posti di lavoro. Ci sono studi molto interessanti fatti dal professor Gilardoni del-la Bocconi che stimano i costi del “non fare”: c’è un vantaggio che deriva dal fare le infrastrutture e c’è un costo che deriva dal non farle. Gilardoni stima che da adesso al 2024 non fare le infrastrut-ture equivarrebbe a un costo per il Paese di oltre

Strada, ferrovia, elettricità, telecomunicazioni e acqua saranno i fattori chiave per il futuro svi-luppo economico e sociale. Quest’importanza

delle infrastrutture continuerà ad accentuarsi poi-ché l’economia, sempre più interconnessa, dipen-de da infrastrutture funzionali e funzionanti. Gli appuntamenti del Meeting di Rimini sono stati, in questi anni, l’occasione per riflettere sulle pro-fonde esigenze che il territorio e il mondo econo-mico hanno in merito al tema delle infrastrutture. L’assessore alle Infrastrutture e Mobilità di Re-gione Lombardia, Raffaele Cattaneo, sarà anche quest’anno protagonista di un incontro nel quale si delineerà il futuro delle infrastrutture nel nostro

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410 milioni di euro, di cui solo un centinaio per telecomunicazioni, reti idriche, rifiuti ecc. e oltre 300 per le carenze di strade e ferrovie».Il rilancio delle infrastrutture, dunque, potrebbe aiutare il Paese a riprendere a crescere?«Mi sembra che il problema principale dell’Italia sia il calo della crescita. Il nostro Paese negli anni 70 cresceva a un tasso medio del 4% l’anno, negli anni 80 del 2,5%, negli anni 90 dell’1,6% e nei primi anni del 2000 dello 0,3%. È evidente che, se continuiamo così, ci aspettano dieci anni in cui do-vremmo immaginare uno sviluppo senza crescita che è un’impresa sostanzialmente impossibile. Il calo della crescita ha tante ragioni (l’impatto del debito, il problema della moneta unica, un calo di competitività generale), ma tutte le ricerche internazionali dicono che l’adeguatezza delle in-frastrutture vale da due a quattro punti percentuali di Pil. Se avessimo un quadro infrastrutturale ade-guato, quindi, probabilmente saremmo in condi-

ulteriormente l’investimento in nuove infrastruttu-re rischia di essere l’ennesimo giogo imposto sul faticoso tentativo di ripresa che le imprese italia-ne stanno cercando di mettere in atto dopo la crisi che, iniziata a fine 2008 e durata per tutto il 2009, sembra finalmente dare qualche segnale di rallen-tamento in questi primi mesi del 2010».In Lombardia cosa avete fatto per invertire que-sta tendenza negativa?«In Lombardia abbiamo scelto un modello diverso che fonda la possibilità di realizzare nuove infra-strutture non innanzitutto sul contributo pubblico, ma sulla capacità di mettere in moto l’iniziativa delle imprese e del mercato. È un esperimento di sussidiarietà applicata alle infrastrutture che sta dando risultati positivi. La sussidiarietà, infat-ti, non funziona solo negli ambiti tradizionali in cui la si applica, cioè la scuola, i servizi sociali, la sanità ecc., ma funziona anche in campi nei qua-li normalmente non si pensa a questa modalità di governo che però oggi, dovendo fare i conti con la crisi della finanza pubblica, hanno un bisogno straordinario di trovare nuove vie, pena altrimenti il blocco di qualunque attività».Quali sono, in particolare, i desiderata del siste-ma imprenditoriale in tema di infrastrutture?«Innanzitutto che si chiuda il gap dal punto di vi-sta della dotazione di infrastrutture fisiche: strade, ferrovie, intermodalità, sistema aeroportuale, mo-bilità urbana. Le imprese chiedono la diminuzione di questo divario che ancora c’è nel nostro Paese rispetto ai nostri competitori europei e mondiali e che colpisce di più le regioni più sviluppate a co-minciare dalla Lombardia. La Lombardia, infatti, che è in testa alle classifiche delle regioni italiane per competitività, sviluppo economico, per quali-tà dei servizi, per imprenditorialità, è agli ultimi

L’esperienza di governo di Regione Lombardia sta di-mostrando che esiste un modello che può dare risposte anche ai grandi temi delle infrastrutture e della mobilità. Sussidiarietà e federalismo sono la ricetta in grado di far vincere anche questa partita

zione di ritornare a crescere come si faceva negli anni 80 e forse anche 70. Le infrastrutture sono strettamente collegate con la crescita del Paese. Il World Economic Forum nel Rapporto 2009, in cui ha analizzato 133 Paesi dal punto di vista dell’ade-guatezza della dotazione infrastrutturale, mette l’Italia al settantaduesimo posto, cioè ben oltre metà della classifica».La recente finanziaria, con i tagli che prevede, peggiorerà ancor più il nostro gap infrastruttu-rale?«Certamente su questo fronte non ci ha portato buone notizie. Siamo in attesa di leggere il testo definitivo della manovra (non ancora disponibile quando è stata realizzata l’intervista, ndr), ma dal-le anticipazioni sembra che questa finanziaria vada nella direzione di una contrazione degli investi-menti e non di espansione. Oggi in Europa, nono-stante i progressi introdotti dalla Legge Obiettivo e la chiara volontà politica mostrata in questi ultimi anni soprattutto dai Governi di centrodestra, l’Ita-lia è tra i Paesi che spendono meno per le infra-strutture: spendiamo il 2,2% del Pil di fronte a una media europea del 2,5% e a Paesi come la Francia e la Spagna che spendono, rispettivamente, il 3,2 e il 3,8%. In uno scenario di questo genere contrarre

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posti nelle graduatorie per chilometri di ferrovie o di strade (siamo al penultimo posto per dotazio-ne di strade rispetto al numero degli abitanti e al quattordicesimo per dotazione ferroviaria). C’è una strana contraddizione, un’inversione di gra-duatoria quando si parla di infrastrutture: le regio-ni più sviluppate, a cominciare dalla Lombardia, non stanno in cima alla classifica, ma in fondo. Per rimediare si dovrebbe aumentare il numero di chi-lometri di autostrade o di viabilità qualificata per abitante, o il numero di chilometri di ferrovia. È quello che abbiamo cercato di realizzare in questi anni rimettendo in moto opere che erano blocca-te da decenni. Penso alla Pedemontana lombarda, l’autostrada che collegherà Malpensa con Berga-mo, che era l’emblema dell’incapacità di realizza-re le infrastrutture di cui pure si avverte un grande bisogno. Si tratta di un’opera di cui si parla da 45 anni e i cui cantieri hanno visto finalmente il via solo nello scorso mese di febbraio. Lo stesso vale per l’autostrada diretta Milano-Brescia, la cosid-detta Brebemi, per la Tangenziale esterna di Mi-lano e, sul fronte delle ferrovie, per i collegamenti ad alta velocità che finalmente sono entrati in eser-

cizio, ma anche per quei potenziamen-ti o raddoppi delle linee che sono più funzionali alle esigenze di trasporto dei pendolari alla scala regionale. Pen-so al raddoppio che abbiamo realizzato delle linee ferroviarie per Lecco, per Bergamo e per Mortara o al raddoppio, che stiamo avviando e che dovrà esse-re concluso entro il 2015, della linea ferroviaria del Sempione che correrà vicino al sito dell’Expo».Il federalismo può essere la chiave per rilanciare le infrastrutture?«Spostare le decisioni più vicino al territorio che deve ospitare le grandi opere permette di risolvere le criticità in maniera più efficace. Un impianto più federalista nella governance delle infrastrutture non potrebbe che facili-

tare soluzioni più rapide e di migliore qualità. Noi lo abbiamo sperimentato con la nascita di Conces-sioni autostradali lombarde (Cal) che è una socie-tà costituita al 50% da Anas e al 50% da Regione Lombardia e che ha governato da Milano anziché da Roma il percorso decisionale di Pedemontana, Brebemi e Tangenziale esterna».Come state affrontando in Lombardia il pro-blema del reperimento dei capitali per la realiz-zazione dei piani infrastrutturali, in un periodo in cui le casse pubbliche sono piuttosto vuote?

«Noi abbiamo spinto a fondo sulla strada dell’in-novazione nel finanziamento delle grandi opere, partendo dal presupposto, come dicevo prima, che anche in questo campo si può sperimentare con successo la via della sussidiarietà che in questo ambito prende la forma innanzitutto del project financing, cioè del finanziamento di un progetto infrastrutturale di una grande opera non attraver-so il contributo dello Stato a fondo perduto, ma attraverso l’attualizzazione del flusso di redditi futuri che quell’opera genererà (pedaggi, royal-ties). Senza un euro di contributo pubblico, ad esempio, verranno realizzate la Brebemi e la Pe-demontana. La capacità di “catturare il valore” che le infrastrutture generano, come si dice in gergo tecnico, può essere un formidabile strumento di fi-nanziamento delle opere medesime. Anche ripor-tando in capo al beneficio pubblico valorizzazioni e rendite che altrimenti resterebbero in mano agli speculatori o comunque agli operatori privati che si troverebbero improvvisamente beneficati della nuova infrastruttura e in più di una valorizzazione. È di questi giorni uno studio che dice che i valori immobiliari, là dove si colloca una linea metropo-litana, crescono di oltre il 20%. Chi abita vicino a una nuova metropolitana, realizzata con le tasse prelevate dalle tasche di tutti, ha un servizio mi-gliore e in più una valorizzazione del valore patri-moniale del proprio immobile. È equo che questa valorizzazione rimanga tutta tra le mani di chi ha la fortuna di abitare vicino alla metropolitana o forse non avrebbe più senso usare parte di questa valorizzazione per finanziare proprio queste opere che consentono l’incremento di valore?». n

L’evoluzione di un territorio - dice l’assessore Cattaneo - non può prescindere dallo sviluppo del suo sistema di mobilità che deve tenere presente il vero protago-nista del muoversi: la persona. Bisogna ragionare sui movimenti delle persone e delle merci, inte-grando al meglio i mezzi di tra-sporto pubblici e privati con le nuove infrastrutture

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L’assessore alle Infrastrutture e Mobilità

della Regione Lombardia parteciperà all’in-

contro dal titolo “PIÙ RAPIDI, PIÙ AGEVOLI,

PIÙ SOSTENIBILI: QUALI MEZZI PER LA MO-

BILITÀ?” che si svolgerà il 24 agosto 2010

alle 11.15 nei padiglioni della Fiera di Rimini.

All’incontro interverranno: Domenico Arcuri,

amministratore delegato Invitalia; Giovanni

Castellucci, amministratore delegato Auto-

strade per l’Italia; Altero Matteoli, ministro

delle Infrastrutture e dei Trasporti; Mauro

Moretti, amministratore delegato di Ferrovie

dello Stato, Roberto Tazzioli, presidente e ad

Bombardier Transportation Italy spa.

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D FDiamo energia al futurod i D a r i o Va s c e l l a r o

Com’è possibile aumentare l’ef f icienza del s istema energet ico, rendendo maggiormente produtt ivo l’uso delle r isorse per migliorare la prestazione economica complessiva , proteggendo al tempo stesso l’ambiente e la salute, e favorendo l’accrescimento della competit ività dell’industr ia nazionale? Ne discut iamo con Giuliano Zuccoli , presidente del Consigl io di gest ione di A2A

Giuliano Zuccoli, laureato in ingegneria elettro-tecnica presso il Politecnico di Milano, dal 2002 è presidente di Edipower. È presidente del Consiglio di gestione di A2A, presidente di Edison spa, ammi-nistratore delegato di Transalpina di Energia srl e vice presidente consigliere del Credito Valtellinese

quanto il nucleare. Secondo lei è realistico?«Può essere realistico, benché rappresenti una sfi-da notevole. Ma quello che è più corretto chieder-si è: quanto costa raggiungere quell’obiettivo? E soprattutto: chi sarà chiamato a pagare? Perché se alla fine devono essere le bollette dei consumato-

si è sviluppata con standard europei e accertata competitività. Perché se la loro ostilità verso in-centivi facili e massivi dovesse portare alla loro insostenibilità nell’attuale manovra finanziaria e dovesse portare al loro blocco indiscriminato, al-lora sarebbe un danno incalcolabile per tutte quel-le imprese che finora hanno investito una cifra vicina ai 10 miliardi di euro! Come i produttori di Assoelettrica hanno ben chiarito, noi siamo d’ac-cordo con il Governo, il sistema degli incentivi va riformato! E va fatto anche radicalmente perché non possiamo continuare ad assistere all’assalto alla diligenza di questi ultimi anni. Non si può la-sciare che l’Italia diventi un Far West, in un setto-re già per certi aspetti non ordinato, a seguito della

Anche quest’anno A2A, la multiutility nata il primo gennaio 2008 dalla fusione tra Aem spa Milano e Asm spa Brescia con l’appor-

to di Amsa ed Ecodeco, le due società ambientali acquisite dal Gruppo, sarà presente al Meeting a un incontro dal titolo “Con quali energie costruire il futuro?”. Con Giuliano Zuccoli, presidente del Consiglio di gestione di A2A, abbiamo parlato di questo tema così importante per il nostro Paese e per il sistema delle imprese.Il futuro ci impone le fonti di energia tradizio-nale ma ci propone anche le fonti rinnovabili. Le statistiche ci rivelano però che la maggior parte dell’energia di questo tipo in Italia è prodotta dalle vecchie centrali idroelettriche. Il resto, sia eolico che fotovoltaico, ha crescite brillanti, ma un peso quasi trascurabile nella nostra bilancia energetica. Il Governo si è però posto l’obiettivo di raggiungere una quota del 25% sulla nostra produzione, praticamente

ri finali a reggere lo sforzo, può anche essere un obiettivo realistico, ma da evitare assolutamente. Con il miraggio di guadagni facili, scatenati da vari sistemi di incentivi, si continua a creare bolle e diseconomia, che poi si scaricano sui consuma-tori. Questo è da evitare. C’è poi un fatto indu-striale. Stiamo assistendo, nel settore delle rinno-vabili, alla nascita di operatori che nulla hanno a che fare con la tecnologia, con la tradizionale competenza elettrica, e che sono meri investito-ri. Questo vuol dire inquinare un settore dove c’è bisogno invece di una componente industriale e imprenditoriale qualificata. L’odierno sistema de-gli incentivi alle rinnovabili, favorisce una “non presa di rischio” da parte del singolo operatore, e una scarsa responsabilità. Perciò bisogna mettere mano a una “riforma generale” degli incentivi alle rinnovabili. Ma evitando di buttare, con l’acqua sporca, anche il bambino. Va, cioè, preservata l’industria sana e seria che in questi ultimi anni

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non credo che siano disponibili sistemi di produ-zione di energie rinnovabili (l’attuale fotovoltai-co ed eolico) capaci di sostituire l’importazione di gas e petrolio. Beninteso: a prezzi competitivi! Per qualche decennio ancora, se vogliamo dav-vero ridurre il pericolo di una dipendenza totale dagli idrocarburi, avremo bisogno di migliorare il mix con l’“antico” carbone e con il nucleare. Quando la ricerca ci darà qualcosa di meglio (o prima o poi succederà) allora si potrà valutare».“Né petrolio né carbone. L’energia del futuro sarà il sole”. La frase non è di un attivista qua-lunque, ma di Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica. Ritiene che quella solare sia un’alter-nativa realistica alle fonti tradizionali?«L’ho detto: sul lungo-lunghissimo periodo, for-se. Ma noi dobbiamo dare risposte oggi a un mon-do che chiede più energia e a un minor costo».I molteplici progetti sull’idrogeno in tutto il mondo evidenziano un interesse crescente per questo vettore energetico, che potenzialmente potrebbe cambiare in modo radicale l’attuale sistema energetico. A2A ha qualche progetto in proposito?«A Milano, già negli anni 90, la vecchia Aem ha sperimentato per quasi un decennio la produ-

liberalizzazione un po’ selvaggia che è avvenuta nel tempo. È in questo quadro soltanto che si può valutare quanto sia realistico quell’obiettivo che l’Unione europea ha indicato per il 2020».Un Rapporto del McKinsey (istituto di ricerca economica) riporta l’analisi delle varie opzioni per un sistema energetico senza combustibili fossili che sarebbe possibile per l’Europa en-

tro il 2050: si parla di un sistema elettrico generato al 100% da fon-ti rinnovabili attuabile e affidabile tanto quello attuale, che ridurreb-be i costi sostenuti dall’Europa per l’importazione dei combusti-bili fossili. Ritiene che questa ana-lisi abbia qualche fondamento di verità?«Tenga conto che nelle scelte dell’industria elettrica 20-30 anni sono un periodo minimo su cui si pianificano gli investimenti, con i ritorni attesi. Perciò siamo già in vi-sta del 2050. Ebbene, allo stato del-la tecnologia oggi prevedibile, e al di là della classica produzione idro-elettrica ormai già al picco in Italia,

A2A - dice il presidente Zuc-coli - è impegnata a dare ri-sposte a un mondo che chiede più energia a un minor costo, non dimenticando che tutto ciò deve essere fatto nell’otti-ca di una “logica verde”

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zione di idrogeno da metano, nell’impianto di Bicocca, con la cella a combustibile allora più grande d’Europa. Il costo del MW prodotto si giustificò solo per il valore intrinseco della spe-rimentazione. Sulla base di ciò, credo che la via dell’idrogeno, per quanto affascinante e sugge-stiva, sia ancora più lontana da venire». Il sistema imprenditoriale italiano sconta un “gap energetico” rispetto a molti Paesi concor-renti. Quali ritiene siano state le scelte passate che più hanno contribuito a creare questo gap e come sta lavorando A2A per alleviare i costi energetici delle imprese?«Basta mettere in confronto il nostro con i Pa-esi europei dove l’energia costa meno: l’Italia è l’unico Paese quasi interamente dipendente da idrocarburi importati, mentre gli altri hanno carbone e nucleare per equilibrare. In attesa del nostro mix ideale, non ci resta che portare avanti i programmi avviati, primo fra tutti quello per il ritorno al nucleare, che coraggiosamente il Go-verno ha deciso. E nel frattempo trovare il modo di massimizzare l’efficienza energetica. Come fare? Nelle città dove è presente, A2A sta appli-cando un sistema fortemente integrato tra le varie fonti: tanta energia idroelettrica, ma anche co-

generazione, teleriscaldamento e raffrescamento prodotti da impianti climatici con pompe di ca-lore ad acqua di falda, da termo utilizzatori che bruciando rifiuti producono non solo calore, ma anche energia elettrica ecc. Questa integrazione (Integris è un programma europeo a cui partecipa anche A2A) passa attraverso reti sem-pre più intelligenti, smart grid, essen-ziali per realizzare infrastrutture sul territorio come, ad esempio, quelle per la ricarica delle auto elettriche, oggi or-mai in produzione di serie. Su tutto ciò A2A c’è. E daremo il nostro meglio per assicurare qualità e convenienza a tutti i nostri clienti, con l’occhio attento so-prattutto alle impre-se». n

zucc

oli a

l mee

ting

Il presidente del Consiglio di gestione di A2A

parteciperà all’incontro dal titolo “CON QUA-

LI ENERGIE COSTRUIRE IL FUTURO?” che si

svolgerà il 23 agosto 2010 alle 15.00 nei pa-

diglioni della Fiera di Rimini.

All’incontro interverranno: Fulvio Conti, am-

ministratore delegato e direttore generale

dell’Enel; Federico Golla, ceo Siemens spa e

Siemens Holding; Stefano Saglia, sottosegre-

tario di Stato allo Sviluppo Economico; Paolo

Togni, presidente dell’associazione “VIVA”.

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Il presidente Amsa Sergio Galimbert i parla del nuovo im-

pianto che consente i l trattamento di 29.500 tonnel late

di terre di spazzamento ogni anno e i l recupero di c irca

16-18 mila tonnel late di prodott i inert i

A Aal servizio d e l l ’ ambiente

Con il recente taglio del nastro del nuovo im-pianto Amsa (l’azienda che gestisce i servizi ambientali nella città di Milano) di recupero

delle terre di spazzamento è stato segnato un nuo-vo, importante passo verso la valorizzazione della raccolta. «Ancora più importante della raccolta differen-ziata - ha spiegato il presidente di Amsa, Sergio Galimberti - sono la riduzione dei rifiuti all’origi-ne, il riuso dei prodotti, il loro riciclo e il rispetto dell’ambiente. Credo che questo nuovo impianto sia un’efficace sintesi di queste importanti linee guida su cui l’azienda si è sempre basata e su cui cerca di sensibilizzare sempre più i cittadini».Qual è la particolarità di questo impianto e cosa lo pone all’avanguardia nel processo di valorizzazio-ne della raccolta?«Facciamo una premessa: il tema centrale rispet-to alla raccolta dei rifiuti non è tanto quanta “dif-ferenziata” si può fare, ma quale parte di quello che si differenzia può essere mandato a riciclo. Da questo punto di vista, il nuovo impianto “Terre di spazzamento” con la sua produzione di materia-li per l’edilizia ricavati dal recupero della strada spazzata per le strade di Milano, rappresenta un ottimo esempio della via da percorrere. Al nuovo impianto sono conferite, infatti, le terre derivanti dalle attività di spazzamento stradale e di spurgo pozzetti. L’impianto permette di intercettare la frazione recuperabile (sabbia e ghiaia), che viene ripulita dalle sostanze contaminanti, destinando a smaltimento esclusivamente la parte delle terre di spazzamento non recuperabile. In questo modo è garantito un recupero pari al 50-60% delle terre trattate: su 29.500 tonnellate di terre di spazza-mento che l’impianto è in grado di trattare su base annua (95 tonnellate al giorno), si recupereranno da 16.000 a 18.000 tonnellate di ghiaia e sabbia che saranno impiegate in edilizia. Le caratteri-stiche tecnologiche d’avanguardia garantiscono

l’ottenimento di materiali di recupero di elevata qualità, certificati secondo le norme Uni relative ai prodotti per l’edilizia. La tecnologia soil washing dell’impianto, che rappresenta una novità nel cam-po dei processi di trattamento dei rifiuti urbani, garantisce performance decisamente superiori ri-spetto agli impianti tradizionali a secco. Il sistema di depurazione delle acque consente il riutilizzo del 75% dell’acqua di processo e porta così l’im-pianto a dare un’ulteriore garanzia di compatibilità e tutela ambientale».Quali saranno le ricadute positive dell’impian-to, dal punto di vista ambientale ed economico?«Prima di tutto, poter trattare queste tipologie di rifiuti “in casa” consente ad Amsa di non dipende-re dalla disponibilità o meno di ricezione da parte di impianti di società terze, di minimizzare le per-correnze dei rifiuti e conseguentemente il traffico veicolare, con i vantaggi economici e ambientali che ne derivano. La separazione e il recupero di materiali inerti fino a una percentuale del 60% delle terre di spazzamento consente di abbattere i costi di smaltimento, ma soprattutto di ridurre il rifiuto da eliminare e di incrementare il recupero dei materiali riutilizzabili, garantendo nel contem-po standard qualitativi elevati dei prodotti destina-ti all’edilizia grazie alla tecnologia d’avanguardia dell’impianto. Non dimentichiamo poi che la di-sponibilità sul mercato di una quantità stimata di 16-18.000 tonnellate di ghiaia e sabbia, che uscirà dall’impianto di Amsa, permetterà di evitare un impiego di quantitativi equivalenti di materiali ri-

Sergio Galimberti è il presidente di Amsa, l’Azienda che gestisce i servi-zi ambientali nella città di Milano, una metropoli comples-sa che, su una su-perficie di 182 Kmq, accoglie 1.300.000 residenti, con una densità per Kmq tra le più alte d’Italia

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N . 2 L u g l i o 2 0 1 0 C O R R I E R E D E L L E O P E R E 103

al servizio d e l l ’ ambientecavati da risorse naturali (cave ecc.)».L’investimento affrontato per la realizzazione di questo nuovo impianto aumenta il peso di Amsa in Italia nel settore delle tecnologie per il trattamento dei rifiuti, in cui è ai primi posti a livello nazionale: quali sono i vostri progetti futuri?«Abbiamo da poco presentato un progetto per un nuovo termovalorizzatore con una potenzialità di trattamento di 400.000 tonnellate/anno di rifiuti che, insieme al nostro impianto Silla 2 e agli al-tri esistenti sul territorio provinciale, vuole dare la giusta autonomia alla Provincia di Milano nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti per gli anni a venire. Un obiettivo che ci siamo posti proprio a partire dalle previsioni contenute nel Piano provin-ciale dei rifiuti, che al 2011 stima un deficit nello smaltimento dei rifiuti per 485.000 tonnellate (che diventano 600.000 tonnellate se si aggiunge anche la quota della Provincia di Monza e Brianza). E in questo momento guardiamo naturalmente anche all’orizzonte del 2015 per essere nelle condizioni di accogliere al meglio i visitatori richiamati a Mi-lano dall’Expo. Partendo dall’esperienza decenna-le di gestione del termovalorizzatore Silla 2, con i livelli di eccellenza tecnologica e ambientale rag-giunti, il progetto di Amsa prevede l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili di settore per ottenere il massimo livello di tutela ambientale at-tualmente raggiungibile, documentato con una se-rie di studi di valutazione di impatto ambientale e sanitario curati da professionisti di primo piano. Il nuovo termovalorizzatore consentirà un elevato re-cupero di energia: si stima che potrà cedere 324.000 MWh/anno di energia termica mediante la rete di teleriscaldamento, per un consumo medio di circa 20.000 impianti di riscaldamento e 303.000 MWh/anno di energia elettrica, pari al fabbisogno di cir-ca 100.000 famiglie. Amsa garantirà inoltre un processo di massima trasparenza e condivisione col territorio, con i cittadini e le amministrazioni

locali coinvolte, secondo il mo-dello già applicato con successo per il termovalorizzatore Silla 2. Abbiamo poi anche altri progetti futuri che in sintesi riguardano: la messa a regime, presso la no-stra area operativa di Muggiano, dell’impianto per la selezione, la valorizzazione e la riduzione vo-lumetrica dei rifiuti ingombran-ti, con una potenzialità pari a 29.000 tonnellate/anno di rifiuti; l’impianto per la produzione del

vetro “pronto al forno” (ad Asti); l’impianto per il trattamento e il completo recupero delle scorie prodotte dal termovalorizzatore Silla 2; il raddop-pio della potenza termica cedibile alla rete di tele-riscaldamento del termovalorizzatore Silla 2».In un momento di difficoltà economica per il nostro Paese e per tutto il mondo economica-mente avanzato, Amsa investe grandi risorse. Anche lei è convinto che la green economy possa essere la ricetta per uscire dalla crisi?«Data la gravità e la complessità dell’attuale crisi e la molteplicità di fattori che hanno contribuito a provocarla, non credo possa essere sufficiente una sola ricetta per uscirne. Gli impianti realizzati e i progetti futuri dimostrano quanto, pur in una fase di “vacche magre” per tutti, pubblico e privato, Amsa creda e investa nelle politiche di sostenibi-lità ambientale, nell’innovazione tecnologica per la riduzione delle emissioni e dei fattori inquinan-ti. In questo senso la green economy rappresenta una grande opportunità per le aziende (ma non solo quelle) che operano nel settore dei servizi ambientali, e sono convinto che il futuro riserverà sempre più spazio e penetrazione nei mercati alle società che avranno saputo investire in qualità e scelte realmente ecologiche. A proposito di qua-lità e ambiente, vi segnalo con orgoglio che il 21 giugno scorso Amsa è stata premiata da Certiqua-lity, prestigioso organismo di certificazione, con il “certificato di eccellenza” per avere implementato un sistema di gestione integrata qualità, ambiente e sicurezza, avendo conseguito le tre certificazioni a fronte delle norme internazionali Iso 9001, Iso 14001 e BS Ohsas 18001». n

Il presidente di Amsa, Sergio Galimberti, all’inaugurazione del nuovo im-pianto per il recupero delle terre di spazzamento, presenti anche il presiden-te del Consiglio di gestione A2A, Giuliano Zuccoli, il presidente del Consi-glio comunale, Manfredi Palmeri, gli assessori all’Ambiente e all’Arredo, Decoro Urbano e Verde del Comune di Milano, Paolo Massari e Maurizio Cadeo e il consigliere della Provincia di Milano, Marco Paoletti e Salvatore Cappello, direttore generale Amsa

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Eessere grandi Nell’istanteL

ei vive e lavora negli Stati Uniti da anni, è ri-cercatrice al National Institute of Health, ful-cro della ricerca scientifica americana, profes-

sore associato di Epidemiologia presso la Johns Hopkins University di Baltimora e membro del comitato direttivo di numerosi enti di ricerca sul cancro. Maria Teresa Landi porterà al Meeting di Rimini di questa estate una testimonianza sulla sua vita e il suo lavoro: i suoi studi si muovono nel campo della ricerca genetica applicata al can-cro e dalla passione con cui ha risposto alle no-stre domande, offrendoci un’anteprima su quanto dirà al pubblico riminese, si intuisce che, dietro alle grandi scoperte della realtà, non solo scienti-fiche, ci sono spesso grandi uomini. In Realtà e Giovinezza. La Sfida, libro di don Luigi Giussani, un giovane confida al fonda-tore di Comunione e Liberazione il suo desi-derio di voler avere una vita che sia grande. Don Giussani risponde alla provocazione con queste parole: «Quella natura che ti spinge a desiderare cose grandi è il cuore, quindi se-guilo» (da cui è tratto il titolo del Meeting di quest’anno). Che cosa desiderava lei quando ha deciso di intraprendere la dura strada della ricercatrice? «Io desideravo di conoscere come sono fatte le cose, la grandezza della natura. Tutto è nato un

d i B e t t i n a G a m b a

pomeriggio a un seminario mentre, studentessa di medicina, frequentavo il reparto di medicina interna dell’ospedale San Raffaele: uno studioso aveva presentato i risultati di uno studio sull’em-brione di mosca (drosophila melanogaster) che evidenziava come, alterando alcuni segnali in uno specifico pathway, le zampe della mosca crescevano sulla schiena. Pur non capendo mol-to, ricordo ancora lo stupore e la commozione all’idea di come fosse tutto meravigliosamente “organizzato” e volevo capire come i geni potes-sero controllare anche la localizzazione spaziale dei vari organi. Da lì l’idea di fare ricerca. Poi il desiderio si è evoluto, ho cominciato a desidera-re di scoprire qualcosa che potesse fare bene alla gente, e l’immagine delle “grandi cose” ha pre-so forme diverse e un’urgenza sempre maggio-re. Ho capito solo nel tempo che essere grandi si gioca nell’istante, nel come ti poni davanti al pezzo di realtà che hai davanti, e non si misura in un successo che arriva, se arriva, più tardi». Come è nata la scelta di recarsi negli Stati Uniti? «Per uno che vuole fare ricerca scientifica, l’America era considerata (e in un certo senso lo è tuttora) all’avanguardia, anche per via dei molti fondi disponibili per la ricerca; quindi ne ero attratta. Grazie all’aiuto di un mio profes-

Maria Teresa Landi, ricercatrice al National Institute of Health e professore associato di Epidemiologia presso la Johns Hopkins University di Baltimora, porterà al Meeting una testimonianza sul suo lavoro. In questa intervista spiega perché, anche nel campo della ricerca scientifica, si parte dal desiderio di cose grandi dettato dal proprio cuore

Maria Teresa Lan-di opera nel cuore della ricerca scien-tifica americana e il suo impegno è de-dicato alla ricerca genetica applicata al cancro

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sore dell’Università di Milano ho potuto studiare in America e partecipare a un ban-do di concorso per una borsa di studio dell’Organizzazione mondiale della sanità. Con la borsa ho potuto iniziare a fare ricerca in America e da lì si è poi sviluppato tutto il resto. Questa è la versione “ufficiale” della cosa. In realtà qualche anno fa, scar-tabellando tra vecchi documenti risalenti al periodo di passaggio dal liceo all’università, ho trovato un foglio in cui mi avevano chiesto cosa avrei voluto fare una volta terminata l’uni-versità. Ho visto, con mia sorpresa e commozio-ne, che avevo scritto: “Fare ricerca in America”. È come se la forma del nostro cammino, anche nei suoi dettagli apparentemente casuali e contin-genti, abbia un’origine molto lontana».Spesso accade nella vita che i nostri “deside-ri di grandezza”, di fare cioè cose grandi, si scontrino con circostanze non facili. È capitato anche a lei nella sua esperienza professionale?«Mi è capitato tante volte. A volte tu punti tutto su un’idea e qualcuno te la “soffia” o arriva pri-ma, o i dati non confermano l’ipotesi, o un altro più “politicamente potente” prende il sopravven-to e non permette che tu prosegua come vorresti, o i fondi sono ridotti... Comunque in tutti questi casi ho proprio visto che il desiderio di grandez-za, di giustizia, di verità si acuisce. E il risultato è che tu ti impegni di più, ricentri l’ipotesi, cerchi di affinare il progetto o cambiare approccio, in-tensifichi la ricerca di fondi, di contatti ecc. Cosa che ultimamente porta un risultato positivo per la ricerca stessa. La vera difficoltà invece sono pro-prio io, quando quel desiderio di fare cose grandi diventa la pretesa di affermare un mio progetto, un mio ultimo potere. Anche qualche settimana fa ne ho fatto esperienza».Ci racconti.«Ero a una riunione internazionale con gli esper-ti del mio campo. Qui un gruppo proveniente da tre università molto famose ha mostrato, con grande rilevanza anche della stampa divulgativa,

che le varianti alleliche di un certo gene erano apparentemente associate a una forma di tumo-re. Io ho migliaia di dati su questo tumore e ho potuto rapidamente verificare che i miei dati non confermavano affatto quel risultato. Come me, anche altri gruppi presenti alla riunione hanno denunciato la mancata conferma del risultato. Data l’importanza della questione, la discussio-ne ha preso una piega molto intensa e io, pur partendo dal desiderio di affermare la verità, ho violentemente portato avanti il mio punto di vista dimenticandomi cosa mi aveva spinto all’inizio. Ho percepito subito che, anche se “avevo vinto”, non ero contenta. Il dimostrare che avevo ragione non bastava al cuore».Come “combatte” ogni giorno per riaffermare questa grandezza per cui il cuore dell’uomo è fatto?«Facendo attenzione al cuore, anche se dà fasti-dio. Perché questo ti facilita il cogliere una diffe-renza umana appena ti si presenta. Il giorno dopo quella discussione, parlandone a un collega per-ché questo disagio di fondo non mi dava tregua, all’improvviso mi è venuta un’idea: di proporre di mettere insieme i dati di tutti, compresi quelli dei tre gruppi. Poter analizzare tantissimi dati in-sieme permette che si abbiano risultati più “solidi” e si crei un clima di lavoro più bello. Un’altra arma nella battaglia è l’offerta. Al mattino offro a Cristo il mio lavoro, cioè gli chiedo che Lui, che possiede la realtà, si riveli proprio dentro di essa. Si rive-li innanzitutto a me, che ne ho assoluto bisogno,

Fin dai tempi del liceo - ricorda la giovane ricercatrice - Maria Teresa Landi aveva espresso il desiderio, una volta conclusa l’università, di fare ri-cerca in America

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e quindi al mondo. Così sono certa che, quando sono immersa nella battaglia, la mia azione può servire a costruire il Suo regno, quella Grandezza a cui il mio cuore incessantemente aspira, anche se non ne ho un’immagine definita. E nel tempo, in mezzo alla pur grande distrazione, gli istanti di coscienza si sono fatti più frequenti».Lei studia una malattia che in numerosi casi porta alla morte. Qual è il fine della sua ricerca medica: far vivere di più un uomo o una don-na, oppure conoscerne fino in fondo le cause? Che cosa desidera ottenere dai suoi studi e dove vorrebbe arrivare? «Io studio l’eziologia dei tumori, per cui mi oc-cupo in primo luogo di cercarne le cause, ma l’obiettivo finale è che quello che scopro possa ultimamente servire per un radicale migliora-mento della prevenzione e cura dei tumori. Che forma poi prenda il cammino di questa ricerca nel tempo non lo so, e anche definire dove voglio ar-rivare è difficile, perché più vado avanti e scopro cose nuove più si aprono domande. Noi seguia-mo il metodo scientifico e ci muoviamo con passi logici; verifichiamo nuove ipotesi tenendo conto delle conoscenze acquisite e usiamo sempre nuo-ve tecnologie per esaminare con esattezza anche dati già studiati in passato. Ma so che “l’imprevi-

land

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g

La ricercatrice del National Institute of Health parteciperà

all’incontro dal titolo

“AL CUORE DELL’ESPERIENZA: RICERCA SCIENTIFICA

ALLA PROVA”

che si svolgerà il 23 agosto 2010 alle 15 nei padiglioni

della Fiera di Rimini.

sto” è l’unica speranza. Attendo, cioè, che acca-da qualcosa di totalmente nuovo, un’intuizione, una chiave di lettura che metta improvvisamente insieme e in modo semplice tutti i pezzi del puz-zle. Per questo cerco di studiare bene i “pezzi” spaziando anche su altre discipline, in attesa di questo avvenimento». n

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Perché una crisi scoppiata dall’altra parte dell’Atlantico e in un settore specifico come l’immobiliare da due anni sta condizionando

per esempio la vita dell’artigiano marchigiano, del mobiliere brianzolo, del viticoltore toscano e via dicendo? Perché la parola crisi è alla base di ogni discussione sulla vita delle nostre imprese piccole o grandi che siano, ma anche delle nostre famiglie e arriva a incidere sui comportamenti, sulle scelte dei consumi e, in fondo, sul nostro futuro? Tutto è partito da queste semplici domande stimolate dall’interesse di un gruppo di universitari di Eco-nomia che non volevano limitarsi a studiare sui manuali ciò che era esperienza quotidiana e cro-naca di tutti i giorni. Si è così formato un piccolo gruppo di lavoro coordinato da Giorgio Vittadini, con studenti, docenti, giornalisti, imprenditori, grafici che ha iniziato a riflettere insieme per ca-pire le ragioni di questa crisi. La mostra “Un im-piego per ciascuno. Ognuno al suo lavoro: prima, durante e dopo la crisi economica” a cura della Fondazione per la sussidiarietà, che sarà presenta-ta al Meeting di Rimini, è il frutto di questa ricerca comune.

Come tutto è cominciatoLa mostra è divisa in tre distinte sezioni: la crona-ca della crisi, gli interventi e le cure adottate dagli Stati, la ripresa.Si parte delle origini: quel 15 settembre del 2008

che ha segnato la fine della storica banca d’affari americana Lehman Brothers e forse - anche se è ancora presto per dirlo - di un certo modo di inten-dere la finanza come realtà sempre più sofisticata e avulsa da ogni concreto rapporto con la realtà.

l dle ragioni della crisi

Una mostra che sarà presentata al prossimo Meeting di Rimini s intet izza i r isultat i di una r icerca comune, compiuta da studenti , docenti , g iornal ist i , imprenditori , coordinati da Giorgio Vittadini , sul le dinamiche economiche causa dei recenti sconquassi e sul le strade da intraprendere per r i lanciare lo svi luppo

d i E n r i c o C a s t e l l i v i c e d i r e t t o r e R a i - T g 1

Una data che ha rappresenta-to lo spartiacque tra il prima e il dopo la crisi anche se le ragioni più profonde vanno ri-cercate negli anni precedenti. Vanno ricordate almeno tre date significative: il 1999 con l’abolizione della separazione tra banca commerciale e ban-ca di investimento, una decisione che aprì la stra-da a una confusione di ruoli nel mondo finanzia-rio americano; il 2000 con lo scoppio della bolla

della new economy e il 2001 l’attentato alle torri gemelle. Il timore di una recessione economica dopo l’attentato a New York portò l’amministra-zione americana a decidere una drastica riduzione dei tassi che facilitò l’espandersi di una finanza ag-

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lasciata fallire come decine di altre piccole ban-che: ma molte altre furono salvate solo grazie agli interventi diretti o indiretti delle amministrazioni pubbliche.In quei mesi dell’autunno 2008 fu chiaro a tutti che la finanza aveva inondato i mercati di prodotti poco chiari e poco trasparenti rendendo così im-possibile a chiunque capire con certezza quan-to i bilanci delle principali banche e finanziarie dell’Occidente fossero veri e reali.Questa incertezza e una generalizzata mancan-za di fiducia si sono così presto impossessati del sistema finanziario internazionale bloccando i normali rapporti interbancari e facendo pagare in breve tempo i costi di una crisi immobiliare fino al piccolo imprenditore a cui la sua banca ha im-provvisamente ristretto il credito o ha iniziato a chiedere garanzie aggiuntive per rilasciare prestiti.

Le misure di salvataggioTutto il 2009 è stato così caratterizzato prima dalla ricerca, poi dalla messa in pratica, di mi-sure atte a salvare l’Occidente da una crisi senza precedenti. A questi aspetti è dedicata la seconda parte che analizza le misure adottate e riassumi-bili in tre linee guida: taglio dei tassi, pulizia dei conti bancari; ammortizzatori sociali e misure per rilanciare l’economia. Provvedimenti all’inizio

La drastica riduzione dei tassi seguita all’11 settembre 2001 facilitò l’espan-dersi di una finanza aggressiva e spre-giudicata che si concentrò soprattutto sul mercato immobiliare: un vero e proprio castello costruito con mattoni di carta

gressiva e spregiudicata che, nella ricerca di pro-dotti sempre più remunerativi, trovò nel mercato immobiliare il rifugio apparentemente più sicuro.La casa, il sogno proibito per migliaia di famiglie meno abbienti, divenne a portata di mano grazie a prodotti finanziari basati su meccanismi tanto so-fisticati quanto poco trasparenti che inondarono i mercati finanziari di mezzo mondo. Un vero e pro-prio castello costruito con mattoni di carta che è crollato improvvisamente non appena le condizio-ni finanziarie sono mutate con il rialzo consisten-te dei tassi americani a partire dal 2004. È a quel punto che molti americani si trovarono improv-visamente più poveri, più indebitati e costretti ad abbandonare la casa non essendo più in grado di pagare le rate dei mutui diventate troppo onerose. Le banche americane che, nella ricerca di rendi-menti sempre più elevati, avevano acquistato titoli molto rischiosi collegati al mercato immobiliare, si sono ritrovate i bilanci in rosso e sull’orlo del fallimento. È successo così a Lehman Brothers,

Un impiego per ciascuno. Ognuno al suo lavoro.Dentro la crisi oltre la crisi

Tutti ne siamo stati toccati, ma pochi hanno davvero capito cosa sia successo. Improvvisamente si è parlato di mutui subprime, di derivati, di hedge fund e sembravano qualcosa di molto lontano, come di solito è la finanza. Poi, le principali banche americane hanno iniziato ad andare in crisi e, tutto sommato, anche questo poteva interessarci poco.Ma dopo qualche tempo, le banche italiane hanno erogato sempre meno credito, alcune imprese hanno dovuto chiudere, la disoccupazione è aumentata. Cosa ha scatenato tutto questo?Come mai gente che faceva il tondino di ferro, le sedie o lavorava nel settore delle scarpe si è trovata a essere sempre più in crisi e a non arrivare alla fine del mese, nonostante la qualità dei suoi prodotti? Come mai la finanza, strumento fondamentale a sostegno dell’economia reale, si è rivelata una catastrofe simile allo tsunami?Cosa è successo quando, in un processo iniziato da tempo di cui questa crisi è solo l’ultimo drammatico epilogo, le dinamiche economiche hanno rinunciato a mettere al centro le singole persone?La domanda che si pone è se un’economia dell’uomo e per l’uomo non debba solo tener conto dei desideri, delle aspirazioni, della creatività, ma anche valorizzare l’esigenza e la capacità di creare legami e realizzare il bene comune. È quindi una diversa concezione del lavoro il punto centrale da cui ripartire. Molti esempi virtuosi in questa direzione sono già in atto. La mostra vuole dare testimonianza anche di questo.

A cura di Giorgio Vittadini e della Fondazione per la sussidiarietà, dei giornalisti Enrico Castelli e Gianluigi Da Rold e di un gruppo di studenti di economia delle Università Bocconi e Cattolica di Milano

In collaborazione con il Tg 1, Paolo Cevoli, Guido Clericetti, il Club Cdo Libera Impresa e Sentieri del Cinema

domenica 22 agosto 2010 - sabato 28 agosto 2010

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adottati in modo spesso disordinato dai singo-li Stati che solo nella primavera del 2009 hanno raggiunto intese globali al termine di uno dei tanti vertici internazionali che in quei mesi si sono via via succeduti alla ricerca di vie d’uscita. Da allora i primi segnali di ripresa di fiducia sono arrivati innanzi tutto dalle Borse che solitamente tendono ad anticipare i trend economici. Poi, con il passare dei mesi, anche dall’economia reale sono arrivate le conferme.Era evidente però che il trasferimento ai bilanci pubblici dei debiti privati, accumulati dalle ban-che - una manovra inevitabile per poter uscire dalla crisi nel modo meno doloroso - non pote-va non condizionare i bilanci degli Stati aumen-tando a dismisura i debiti e sollevando più di un interrogativo soprattutto in Europa dove i piani di stabilità, i criteri di Maastricht e in genere la rigida struttura costruita per dar vita all’euro, ve-nivano messi a dura prova. E così, proprio quando il clima generale seppur lentamente stava migliorando, in primavera scop-pia il problema Grecia con l’euro per la prima volta nella sua storia attaccato dalla speculazione internazionale. Fino a che punto - questo in sintesi il ragionamento dei mercati - alcuni Paesi europei fortemente indebitati, primo fra tutti la Grecia, ma anche Spagna, Portogallo e Irlanda, sono in gra-do di far fronte agli impegni presi per superare la crisi economica? E se anche uno solo di questi Pa-esi dovesse fallire, che fine potrebbe fare l’euro? Questo spiega il durissimo attacco che ha subito la moneta unica per la prima volta nella sua storia. Per rintuzzarlo l’Europa con l’appoggio del fondo monetario internazionale ha dovuto adottare deci-sioni di emergenza senza precedenti per un totale di oltre 750 miliardi di euro. Risorse che ogni Sta-to dovrà trovare con nuove e impopolari manovre economiche che non potranno non avere l’effetto di rallentare ulteriormente la crescita già debole e di aumentare le tensioni sociali.

La ripresa economicaL’ultima parte della mostra è dedicata alla ripre-sa economica. In una situazione ancora confusa e caratterizzata da numerosi elementi di incertezza e di timori per l’occupazione e la tenuta sociale, è infatti possibile incontrare imprenditori, grandi e piccoli, giovani e anziani, che si sono rimboccati le maniche. Nella terza sezione realizzata in colla-borazione con il Club Cdo Libera impresa, i pro-tagonisti diventano coloro che non hanno atteso la fine della crisi per rimettersi in gioco. Per alcuni di loro “la crisi è stata uno schiaffo che fa bene”

- come ha detto un imprenditore - perché ha stimolato un cam-biamento, ha rilanciato rapporti e strategie, ha imposto un cam-biamento di mentalità, ha aiuta-to a porre al centro dell’impresa la persona e la sua capacità di creare rapporti e legami per re-alizzare il bene comune.

Un’occasione educativaIl visitatore non sarà lasciato da solo in questo viaggio. La mo-stra sarà realizzata con impor-tanti novità grafiche e contenutistiche. Grazie alla collaborazione con il Tg1 le tre sezioni avranno una parte di racconto realizzata con un filmato. Non semplice cronaca ma anche testimonianze accompagnate da grafiche e interviste ai prota-gonisti che aiuteranno la comprensione degli ar-gomenti. Fondamentale sarà il ruolo delle guide che accompa-gneranno i visitatori nell’aiuto della comprensione di un argo-mento come la finanza, che pre-senta terminologie e dinamiche spesso complicate.La mostra si propone infatti di essere anche un’occasione educativa. Tutti saranno aiutati a superare una certa diffidenza con il mondo della finanza che troppo spesso riteniamo avulso dalla realtà e con il quale inve-ce ci troviamo sempre di più a fare i conti nella vita di tutti i giorni: per esempio nella gestione del risparmio, nell’acquisto di una casa o per ga-rantirci la pensione del domani. Anche per que-sto a tutti i visitatori sarà consegnato non il tra-dizionale catalogo ma un piccolo dizionario dei termini economici che divente-rà strumento utile per la visita della mostra e per migliorare le proprie conoscenze sull’ar-gomento. In questo percorso educativo sarà di aiuto anche un geniale artista di grande capaci-tà comunicativa - Paolo Cevoli - che ha dato la sua disponibili-tà per rendere ancora più com-prensibile la materia con video didattico-comici attraverso cui anche la finanza diventerà argo-mento di piacevole ironia. n

La mostra sarà l’occa-sione, anche grazie ai video di Paolo Cevo-li, per comprendere il mondo della finanza che troppo spesso viene rite-nuto avulso dalla realtà

Ai visitatori, invece del solito catalogo, verrà consegnato un piccolo dizionario dei termini economici

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Nelle pagine seguenti raccontiamo

due storie di imprese, una non pro-

fit (il Consorzio servizi sociali di Bu-

sto Arsizio) e una profit (la Giusep-

pe Giana spa di Magnago) che, di

fronte alla crisi, hanno dimostrato

di essere dinamiche e competitive.

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Il dinamismo del modello cooperativo italiano può essere paragonato alla famosa rondine che, se non fa primavera, rappresenta in ogni caso

un segnale di speranza in un contesto economico poco vitale. È un dinamismo certificato dalla ri-levazione Movimprese del primo trimestre 2010 con cui Unioncamere fotografa periodicamente natalità e mortalità delle aziende registrate alle Camere di commercio. In base al rapporto, nei primi tre mesi di quest’anno soltanto le coopera-tive sono riuscite a chiudere con un saldo positi-vo tra imprese nate e imprese estinte. Ce ne sono 408 in più, pari a un incremento dello 0,51%, 100 delle quali si trovano in Lombardia. Sul signifi-cato di tale fenomeno Daniele Giani, presidente del Consorzio servizi sociali (Css) di Busto Ar-sizio, in provincia di Varese, è cauto: «Il mondo cooperativo - dice Giani - è molto variegato. Non ci sono soltanto le cooperative sociali come le nostre. Esistono quelle di produzione e lavoro, le cooperative edilizie, di consumo ecc. Se si vuole

d i C a r m e l o G r e c oCIil non profit che non molla

Il Consorzio servizi social i di Busto Arsizio è la dimostrazione che, anche in tempi di cr is i , i l migl ior antidoto al la stasi economica è scommettere sul lavorare insieme, puntare sul la qual i tàe creare aggregazioni Daniele Giani è presidente di un

consorzio che raggruppa cinque cooperative sociali in provincia di Varese. Di queste, quattro sono cooperative di tipo assistenziale (cosiddette “A”) e una, Solidarietà e lavoro (foto grande in alto), è una cooperativa di tipo B, che si occupa cioè dell’inserimento professionale di persone disabili e svantaggiate

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Nel 2009 il Css ha fat-turato 27 milioni di euro dando lavoro a duemila persone, di cui l’84% donne. La mission del consorzio è di condivide-re il bisogno progettando e gestendo servizi e of-frendo opportunità di oc-cupazione. Del consorzio fanno parte City Service, Solidarietà e servizi, Domus opere, Età viva, Solidarietà e lavoro (nel-la foto, bambini che fre-quentano le attività della cooperativa City Service, specializzata in servizi per l’infanzia)

trovare una costante, sicuramente le cooperative hanno una motivazione del fare impresa che non è solo il profitto. È una motivazione di tipo ideale». E i vantaggi fiscali di cui godono a tutt’oggi le cooperative? «Senza la prima motivazione, quella ideale, i vantaggi fiscali non giustificherebbero la scelta di dare vita a una cooperativa, anche perché i vantaggi sono legati al vincolo di non distribuire utili». Non ci si arricchisce, è vero, ma sbaglie-rebbe chi ritenesse questi soggetti non profit poco accorti nella gestione dei conti o carenti in termini di competenze manageriali. Lo dimostra proprio la storia del Css, a cui aderiscono quattro coope-rative sociali di tipo A (City Service, Solidarietà e servizi, Domus opere, Età viva) e una di tipo B (Solidarietà e lavoro). La loro mission è quella di condividere il bisogno delle persone progettando e gestendo servizi e offrendo opportunità di lavoro. Una mission portata avanti a sostegno di minori, disabili, anziani e famiglie. Nel 2003 il fatturato complessivo delle cooperative raggiungeva circa dieci milioni di euro dando lavoro a mille persone. Nel 2009, a sei anni dalla costituzione del consor-zio, il fatturato è stato di 27 milioni e le persone occupate circa duemila. L’obiettivo è di arrivare nel 2010 a 30 milioni e 2.500 soci lavoratori.

la crisi nei servizi sociali«Il consorzio - spiega Daniele Giani - è nato dall’idea di lavorare maggiormente insieme, non soltanto come avveniva in precedenza su alcuni progetti o su singoli servizi. L’idea si è concretiz-zata con la costituzione di uffici centralizzati che si occupano di gestione del personale, ammini-strazione e finanza, controlling, sicurezza, qualità e privacy, affari generali, ufficio legale e appalti». In questo modo le singole cooperative si sono fo-calizzate sui rispettivi core business senza sovrap-posizioni e hanno tratto beneficio dalle economie di scala proprie della grande dimensione del siste-ma consortile. Tanto che le previsioni del piano di sviluppo del primo triennio 2004-2007 sono state rispettate al centesimo. Per i risultati del triennio 2008-2011 pesano invece le incognite della cri-si, seppure in misura e modalità diverse rispetto all’impatto avuto sulle aziende for profit in termi-ni di diminuzione del fatturato e incremento della disoccupazione.Le cooperative che fanno parte del consorzio svol-gono attività principalmente in convenzione con le amministrazioni comunali (nel primo triennio sono state un centinaio quelle interessate). Gli enti locali da alcuni anni perseguono una politica di ta-gli delle risorse che ha ridotto progressivamente i

margini operativi dei soggetti non profit impegna-ti nella gestione di servizi essenziali. L’unica voce su cui non è possibile tagliare è il costo del lavoro che, ovviamente, è cresciuto nel tempo.«Diminuendo le risorse a disposizione e aumen-tando il costo del lavoro - continua Daniele Giani - , la dimensione dei margini è arrivata a un punto critico. La crisi del non profit oggi è questa. Nelle gare d’appalto la base sempre più spesso è il prez-zo di aggiudicazione, mentre la qualità non è nep-pure contemplata. Certo, anche con risorse minori è possibile garantire la qualità, però sotto certi livelli non si può andare». Finora anche la crisi del non profit, di cui le gare d’appalto al massimo ribasso sono uno dei fenomeni più eloquenti, non ha avuto la meglio. Altrimenti non si spieghereb-be il saldo attivo delle cooperative nate nei primi mesi del 2010 (tra le quali rientrano di certo alcu-ne cooperative sociali), mentre tante altre aziende chiudono i battenti. Né si spiegherebbe la storia del Consorzio servizi sociali. Una storia di cresci-ta dalla quale molte pmi avrebbero da imparare. n

il non profit che non molla

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Una delle macchine utensili realizzate dalla Giuseppe Giana di Magnago (Mila-no). Il costante aggiornamento, le cono-scenze tecniche acquisite, l’applicazione di tecnologie meccaniche ed elettroniche hanno confermato negli anni il successo dell’azienda a livello europeo e mondiale

d i F r a n c e s c a G l a n z e r

U DUn compleanno all’insegna dell’innovazione

Giuseppe Giana spa , azienda leader nella meccanica , ha festegg iato i l ventennale con un incremento di fatturato del 40%. Un dato in controtendenza per un comparto che ha molto sof ferto durante la cr is i

In un momento assai delicato per l’economia mondiale e nazionale, in cui si sente quasi quo-tidianamente parlare di aziende che chiudono e

di lavoratori che rimangono disoccupati, parlare di un’impresa che festeggia i vent’anni di attività è una notizia. Per presentare e inquadrare l’azien-da che ha raggiunto questo importante traguardo, la Giuseppe Giana spa di Magnago, alle porte di Milano, bastano alcune cifre: 30.000 metri qua-dri di estensione, di cui 10.000 coperti, ai quali si aggiungeranno altri 3000 metri quadri per attività di montaggio e per uffici tecnici e commerciali

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che andranno ad assommarsi a quelli già esistenti, fatturato del 2009 consolidatosi sui 10 milioni di euro, con un incremento del 40% rispetto al 2008, 25 dipendenti, 20 anni di storia. Numeri quasi da “record”. Ma non è certamente solo nei numeri che bisogna cercare le chiavi del successo di un’impresa che esporta il made in Italy della meccanica in Europa e nel mondo. «Il successo - come dice il fondato-re dell’azienda, Giuseppe Giana - sta soprattutto nell’innovazione continua, nelle modalità produt-tive e di progettazione e nella grande attenzione alle esigenze del mercato. Oltre che nella volontà di produrre macchine “su misura” per il cliente e di creare nell’azienda uno spirito familiare e co-struttivo dove ognuno è responsabilizzato a dare il meglio di sé, in termini di creatività, di lavoro e di esperienza».

UN’AZIENDA A TRASMISSIONE FAMILIARE La Giuseppe Giana spa nasce nel 1990 per volontà di Giuseppe Giana e della moglie Carmen, dopo un’esperienza trentennale di entrambi nel campo della meccanica. Ed è proprio nell’azienda in cui lavoravano - la società Fratelli Giana, fondata nel 1955 dai quattro fratelli Giana e dalla quale Giu-seppe si è staccato nel 1990 - che i coniugi si sono conosciuti e la storia familiare ha preso inizio. Oggi Giuseppe e Carmen sono infatti affiancati dai figli Giulio, che collabora con il padre nelle varie attività ed è direttore tecnico dell’azienda, e Carolina, che cura insieme alla madre il settore amministrativo e commerciale. L’ingresso della seconda generazione ha rappresentato un passag-gio molto importante nella storia della Giuseppe Giana spa: l’entrata dei figli in azienda ha infatti comportato un rinnovato slancio industriale e una maggiore attenzione alla sfida tecnologica e indu-striale. Proprio nel 2008 la struttura dell’impresa è cambiata ed è stato aggiunto un ramo d’attività dedicato all’engineering per renderla più funzio-nale e flessibile. La Giuseppe Giana engineering è nata proprio dalla necessità di dare un impulso all’innovazione e alla progettazione e di informa-tizzare tutti i settori dell’azienda.

IL CORE BUSINESSLa Giuseppe Giana spa è specializzata nella pro-duzione di rettificatrici, alesatrici, fresatrici e frese-piallatrici, tra cui la più grande rettificatrice per superfici piane esistente in Europa, oltre che nella costruzione e progettazione di torni paralleli a due e quattro guide a controllo numerico e di foratrici e barenatrici per fori profondi, tutti mac-

chinari che trovano impiego nei settori dell’ener-gia, del petrolifero e dell’aerospaziale. L’ampio e avanzato parco di macchine utensili è destinato sia ad attività di lavorazione conto terzi sia alla realizzazione di alcuni componenti delle proprie macchine e trova la sua commercializzazione so-prattutto nei mercati esteri, sia in quelli storici per l’azienda quali gli Usa, la Danimarca, l’Olanda che in quelli emergenti come l’India e la Cina. Ed è nelle parole di Giuseppe Giana che si riassu-me la mission imprenditoriale: «Lo sforzo che la nostra azienda, grazie anche all’arrivo delle nuove generazioni, in questi 20 anni di storia ha cercato di fare è di essere un’impresa internazionale. A oggi l’80% del nostro fatturato è fuori dall’Italia, ma salvaguardando l’italianità del prodotto, della tecnologia e soprattutto della progettazione».

LE CHIAVI DEL SUCCESSOSpirito imprenditoriale, tradizione, collaborazio-ne, attenzione al cliente, sguardo rivolto sia al passato che al futuro, decisa volontà di operare sui mercati esteri e di investire in tecnologie ed innovazione si possono definire gli ingredienti alla base della ricetta di successo della Giuseppe Giana spa. Un’azienda che ha saputo superare il passaggio generazionale, coniugando l’esperien-za trentennale dei fondatori con lo spirito più innovativo dei figli e affidando alle tecnologie d’avanguardia il futuro dell’azienda stessa. Come esempio si potrebbero citare la GGTronic 3000, la prima macchina multitasking targata Giuseppe Giana, dotata di alti livelli di specializzazione, o tutti i macchinari di nuova generazione che di-spongono del teleservice a garanzia dell’alta qua-lità del servizio di assistenza che l’azienda è in grado di offrire. n

Giuseppe Giana e la mo-glie Carmen, affiancati dai figli Giulio e Caroli-na, tagliano la torta dei vent’anni dell’azienda. I Giana sono un esempio del modello industriale fa-miliare tipico della realtà economica italiana, ca-pace di uscire dai confini territoriali per affermarsi con successo sul mercato europeo e mondiale

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capitale umano, innovazione e reti

FOCUSFOCUS

La vera forza dell’impresa, secon-do Federico Vitali, sono i lavoratori, perché «gli uomini sono il vero patrimo-nio distintivo»

Oggi più che mai il futuro del Paese e la sua partecipazione alla crescita dell’economia mondiale si gioca su due fronti: da una

parte con la scommessa su saperi e innovazio-ne tecnologica, dall’altra facendo riferimento all’orgoglioso recupero della identità positiva delle nostre imprese, legate al territorio di ri-ferimento. L’impresa partecipa attivamente allo sviluppo sociale ed economico della comunità, da essa attinge risorse, in primis umane, e a essa deve contribuire ridistribuendo valore aggiunto; quindi l’impresa non deve impoverire, ma va-lorizzare. Per questo il fine sociale dell’attività di impresa deve essere un valore condiviso a tutti i livelli ed è ciò che la caratterizza.L’impresa infatti altro non è che un gruppo di uomini fortemente motivati e tesi verso un uni-co e condiviso obiettivo. E per arrivare a capire

questo, è necessario riorientare la nostra cultu-ra, disimparare il consueto modo di vivere e di operare, e di imparare nuovamente, valorizzan-do l’uomo, le relazioni e il territorio.Ogni imprenditore dovrebbe capire che la vera forza dell’impresa è costituita dai lavoratori; infatti i macchinari si comprano, i capannoni si costruiscono, il know how si può acquisire, ma gli uomini no, sono il vero patrimonio di-stintivo.Faam nasce nel ’74 con l’obiettivo/sogno di creare un’impresa nel territorio del comune d’origine del fondatore e dei soci/amici portan-do ricchezza in un piccolo paese a economia esclusivamente rurale, nel rispetto di un lega-me sentimentale con la propria terra. Il rapporto umano e il rispetto reciproco sono notoriamente alla base delle politiche di ge-stione dell’azienda. Molti dei collaboratori che

Lunedì 23 agosto h 15.00 FEDERICO VITALI

Gli interventi di queste pagine, a cura di personalità del mondo associativo e imprenditoriale, anticipano alcuni dei temi che saranno discussi al Meeting all’ interno di incontri rivolti a un pubblico specializzato

LA CRESCITA DEL CAPITALE UMANO: INTENZIONE O REALTÀ?Sono stati invitati : Stefano Agostini , presidente e amministratore delegato Sanpellegrino spa; Gabriella Alemanno , direttore Agenzia del territorio; Francesco Bombelli , presidente Consorzio Hcm; Federico Vitali , presidente Faam. Introduce Bernhard Scholz , presidente Compagnia delle Opere

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capitale umano, innovazione e reti

FOCUSda più tempo sono impiegati, sono anche soci dell’impresa e partecipano direttamente alla direzione aziendale.Le risorse umane, ossia le persone che operano all’interno dell’azienda, costituiscono per noi il fattore più importante dell’impresa stessa, in grado di farci distinguere dalle altre imprese del settore.L’azienda adotta da sempre una politica incen-trata sulla motivazione, cercando di coinvol-gere la forza lavoro, portandola a conoscenza degli obiettivi che si intendono perseguire e dei risultati reddituali raggiunti.Faam non inventa nulla nella sua politica del personale, ma ha ben chiaro che per sopravvi-vere deve incentivare in ogni modo la risorsa umana.Viene attuata una politica di incentivi sotto for-

ma di premi di produzione, viene offerta assi-stenza fiscale a tutto il personale dipendente e, con la sottoscrizione di un contratto integrativo di secondo livello, sono garantite condizioni di maggiore soddisfazione rispetto al contratto nazionale del settore metalmeccanico.Un’altra forma di incentive è rappresentata dalla politica di formazione permanente che ci permette una costante crescita e valorizzazio-ne delle competenze a tutti i livelli. A questo proposito nel 2005 abbiamo deciso di costitu-ire una società di formazione e consulenza a supporto dell’area HR, la Sinergo srl, che ha anche il compito di seguire il passaggio gene-razionale.In questa ottica, Faam opera da sempre con l’obiettivo di realizzare i sogni professionali e personali di tutte le persone che vi lavorano. n

Stefano Agostini è amministratore delegato e pre-sidente del Gruppo Sanpellegrino, in cui lavorano 1.700 persone

sanpellegrino è un’azienda composta da tante realtà diverse: tanti gli stabilimenti sparsi per l’Italia, tanti i canali distributivi,

e circa 1.700 le persone che svolgono la loro attività in modo da affrontare con responsabili-tà l’incarico affidato e contribuire alla crescita dell’azienda. Il collante di questo meccanismo è la comune passione per l’acqua. Lavorare e vivere intorno a una risorsa così nobile riempie di orgoglio e incentiva a “fare bene”.L’obiettivo primario del Gruppo è aiutare le persone a mettere a frutto potenzialità e talento mantenendo alta l’attenzione alle ambizioni e impegni della sfera personale e al corretto equilibrio tra vita professionale e privata, assegnando obiettivi chiari, riconoscendo e premiando il raggiungimento dei risultati, esaltando la ricchezza proveniente dalle differenze di professionalità, cultura, età e sesso ma facendo sentire al contempo, ogni singolo lavoratore, parte di un progetto comune. Valorizzare le diverse professioni all’interno di Sanpellegrino significa passare attraverso il confronto con i colleghi, le riunioni per condividere obiettivi e strategie, il lavoro in team. Confrontarsi significa crescere e avere l’opportunità di migliorarsi.Sanpellegrino ha il vantaggio di essere inserita in un contesto internazionale, quello di Nestlé, che consente di attingere a un modello di formazione internazionale. Da un lato si richiede alla persona una

specializzazione professionale ben definita, fondamentale oggigiorno, ma dall’altra si offre la possibilità di passare attraverso esperienze diverse per creare figure a tutto tondo, complete e in grado di affrontare qualsiasi sfida. Un approccio interessante per tutti, ma, in particolare, per i più giovani, che in questo modo possono costruirsi un significativo bagaglio di esperienze: un neolaureato che inizia a lavorare all’interno del Gruppo riceve da subito obiettivi chiari per cui lavorare e sui quali verrà misurato in seguito. n

stefano Agostini

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FOCUS

Globalizzazione e competi-tività: sono queste le sfide a cui sono chiamate le azien-de del farmaco (nella foto, Sergio Dompé, presidente di Farmindustria)

Vincere la sfida della globalizzazione e della competitività. È l’obiettivo che oggi le imprese del farmaco devono af-

frontare. Con uno strumento: l’innovazione a 360 gradi. Attraverso l’uso efficiente delle tecnologie, l’informatizzazione, la cultura della qualità, la compatibilità ambientale e l’internazionalizzazione.Albert Einstein diceva: «Senza cambiare i nostri schemi mentali non saremo mai in grado di risolvere i problemi che con tali schemi abbiamo creato». Questo vale anche per l’innovazione che deve partire dai no-stri modelli di interpretazione della realtà, nel momento in cui questi non si dimostrino adeguati ai cambiamenti.E l’industria farmaceutica nell’ultimo decen-nio si è confrontata con un’evoluzione dello scenario di riferimento, caratterizzato dalla concorrenza crescente delle economie emer-genti, dall’invecchiamento della popolazione e dalla pervasività tecnologica. Ma anche da un’inversione nel trend di ricerca che - a

fronte di investimenti sempre più cospicui - ha determinato un calo progressivo della pro-duttività e del numero di molecole immesse sul mercato. Cambiamenti che il settore ha saputo interpretare e comprendere, indivi-duando, con grande capacità di adattamento, nuovi equilibri e nuovi modelli di sviluppo.L’innovazione non si può scegliere. È l’unica strada percorribile per il successo dell’im-presa. E si può realizzare a partire dalle persone. Perché voler innovare significa ac-cettare il principio di meritocrazia nella di-visione sociale. E saper innovare vuol dire affrontare le dinamicità con una sana passio-ne per il rischio.Come imprese e come imprenditori abbiamo, quindi, la responsabilità di rendere ancora più competitive le aziende e valorizzare al meglio le risorse.Il sistema aziendale non è una macchina, né un organismo biologico. Ma un insieme di emotività, di talenti capaci di creare cultura e generare valore. n

Giovedì 26 agosto h 15.00 sergio dompéINNOVAZIONE: UNA SFIDA A 360 GRADISono stati invitati : Marco Arzilli , segretario di Stato al l ’ Industria della Repubblica di San Marino; Sergio Dompé , presidente Farmindustria; Massimo Sarmi , amministratore delegato Poste Ital iane; Antonio Tajani , v icepresidente Commissione europea, commissario responsabile per l ’ Industria e l ’ Imprenditoria; Giuseppe Orsi , amministratore delegato di Agusta Westland. Introduce Bernhard Scholz , presidente Compagnia delle Opere

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FOCUS

rosario altieri

Giovedì 26 agosto h 19.00 Stefano Berni

Il 94% delle imprese italiane sono picco-le e medie. E il 74% del Pil è assicurato da loro (nella foto Rosario Altieri)

zazione e insufficiente strutturazione, rappresen-tano un fattore di criticità per il raggiungimento di apprezzabili livelli di competitività. Conside-rato il tutto e pur riconoscendo che le imprese più grandi mostrano, per la quantità di produzione da immettere sul mercato e per i costi sostenuti per l’approvvigionamento dei servizi, un maggiore protagonismo sui mercati, pensiamo che una al-ternativa valida possa essere individuata, più che in difficoltosi processi di fusione, nella creazione e nello sviluppo di reti in grado di supportare le piccole e medie imprese e di ridurne significa-tivamente gli oneri necessari ai fini di una utile competizione. In più, un sistema imprenditoriale costituito da una pluralità di soggetti, con le pro-prie idee, a volte anche originali, con la propria capacità di interpretare le tradizioni dei territori, così come avviene per molte imprese cooperative che occupano mercati di nicchia, può essere con-siderato un vero valore aggiunto che certamente non va disperso, anzi andrebbe tutelato, coltivato e incentivato. n

Si discute molto in Italia su quel fenomeno che viene definito il “nanismo” delle imprese e spesso è a esso che si fanno risalire le difficol-

tà che il sistema Italia incontra nella competizio-ne sul mercato. Penso, dall’esame di alcuni dati, che dovremmo riflettere un po’ più attentamente sulle cause. Il 94% delle imprese italiane sono classificabili come piccole e medie: di queste, molte sono cooperative. Circa il 74% del Prodot-to interno lordo è assicurato proprio dalle pmi e, solo per il residuo 26%, è coperto dalla produzio-ne delle grandi imprese. Questi dati ci indicano, senza alcun equivoco, il ruolo insostituibile che aziende di dimensioni modeste assumono nella produzione della ricchezza nazionale. Una poli-tica imprenditoriale tendente a stravolgere questo rapporto credo sia assolutamente improbabile. Rischieremmo, infatti, di impoverire l’intero si-stema Paese e di provocare l’estinzione di molte imprese senza il risultato di sostituire a quelle piccole le grandi. Va però anche detto che dimen-sioni ridotte, con conseguente modesta capitaliz-

Duecento aziende per un unico prodot-to. Il segreto lo spie-ga Stefano Berni, direttore del Consor-zio Grana Padano

L’esperienza del Consorzio penso possa ben rap-presentare la sintesi dei due concetti di origi-nalità e di rete. 200 aziende diverse per espe-

rienza, tradizione, impostazione, assetto societario, valorizzando le proprie diversità e la caratteristica di essere uniche decidono di produrre un unico pro-dotto che ha regole comuni, che nel nostro caso si chiama “disciplinare di produzione”, che distingue e caratterizza tale prodotto. Il prodotto è il formaggio Grana Padano, diverso da caseificio a caseificio, ma comune nei tratti fondamentali e tradizionali che lo contraddistinguono. Queste aziende si consorziano e attribuiscono al Consorzio Grana Padano alcune funzioni di promozione, di informazione del consu-matore, di vigilanza e di tutela dalle contraffazioni, tutelando così sia il consumatore che il caseificio produttore da abusi o distorsioni rispetto al discipli-nare di produzione. E realizzando un marchio om-brello che separa, differenzia e distingue il prodotto e su questo marchio effettuando azioni pubblicita-rie e di informazione e valorizzazione del prodotto.Con un investimento che pesa in modo poco rilevan-

te, appena il 2% sul valore all’ingrosso del prodotto e poco più dell’1% sul valore al consumo, vengono realizzate iniziative di tutela e valorizzazione che, se affidate alle singole aziende, costerebbero molto, molto di più. Altri marchi agroalimentari noti inve-stono, solo per la promozione, percentuali assai più consistenti per raggiungere risultati di penetrazione e conoscenza meno rilevanti. Sta di fatto che dopo un ventennio di investimenti in questa direzione il Grana Padano è arrivato a trasformare il 23% di tut-to il latte italiano, a coinvolgere oltre 40 mila perso-ne e diventare il prodotto Dop europeo (non solo il formaggio, ma il prodotto) più consumato in Italia e nel mondo, conosciuto e memorizzato in Italia alla stregua di marchi, non solo agroalimentari, che hanno investito e stanno investendo molto di più.È indubbio quindi che tutto ciò rappresenti bene come una rete, valorizzando le diversità, ma adot-tando strategie e regole comuni possa diventare un efficace strumento di successo con dei costi assai più contenuti rispetto a quelli che servirebbero se affrontati singolarmente. n

DIVERSI E AUTONOMI MA INSIEME E RAFFORZATI: IL FUTURO DELLE RETISono stati invitati : Rosario Altieri , presidente Agci; Stefano Berni , direttore generale del Consorzio per la tutela del Grana Padano; Marco Montagna , Club Cdo Libera Impresa; Renzo Sartori , presidente associazione Colog. Introduce Bernhard Scholz , presidente Compagnia delle Opere

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La strategia verso cui punta la Fon-dazione Ania per la sicurezza stradale, costituita dalle com-pagnie di assicu-razione nel 2004, è quella di affrontare l’emergenza nazio-nale rappresenta-ta dagli incidenti stradali a livello di sistema

Gli incidenti stradali non vengono associati alle morti sul lavoro. In realtà ne sono la pri-ma causa. Provocano ogni anno oltre 600

vittime, pari al 54% del totale delle “morti bianche”. Il rischio di morte sulla strada dei conducenti professionali e di chi compie il per-corso casa-lavoro è maggiore di chi lavora in fabbrica o in un cantiere. A lanciare l’allarme è Sandro Salvati, presidente della Fondazione Ania, la onlus (che anche quest’anno parteci-perà al Meeting di Rimini) nata nel 2004 per volontà delle compagnie assicurative, che spie-ga: «Le regole vanno rispettate. Sempre. Se ciò non avviene, o si uccide o ci si uccide».Presidente Salvati, qual è la relazione tra si-curezza stradale e sicurezza sul lavoro?«Il quadro è drammatico. Gli incidenti strada-li in Italia sono la prima causa di morte per i lavoratori. La sicurezza sul lavoro tocca giu-stamente le coscienze delle istituzioni e dei cit-tadini e, per buona parte, coincide con il tema della sicurezza stradale. Basti pensare che gli incidenti stradali fanno registrare oltre la metà del totale dei morti sul lavoro».Ci può fornire qualche cifra di riferimento su questo “dramma dei lavoratori”?«Le strade del nostro Paese sono il luogo di lavoro meno sicuro per eccellenza. Il 54,5% delle morti sul lavoro avviene per incidente stradale. Basti pensare che nel 2008 sui 1.120 morti registrati dall’Inail, 611 persone han-no perso la vita per incidente stradale. Nel dettaglio, 335 decessi, pari al 29,9%, si sono verificati durante lo svolgimento di attività la-

E peducare serve a prevenireÈ questo l’unico modo, secondo Sandro Salvat i , presidente della Fondazione Ania , per l imitare i l numero di vit t ime sul lavoro da incidente stradale (i l 54% del totale delle “mort i bianche”)

vorative, i restanti 276, pari al 24,6%, si sono verificati nel tragitto casa lavoro. La situazione dei decessi è leggermente migliorata in valo-re assoluto rispetto al passato, ma questo dato non ci deve certo far abbassare la guardia: il 30% delle “morti bianche” riguarda coloro i quali hanno nella strada il proprio luogo di la-voro. Una categoria che corre un rischio più elevato di quello a cui sono esposti gli operai in fabbrica e nei cantieri».Quali sono le principali cause degli incidenti stradali sul lavoro?«Nel nostro Paese l’80% degli incidenti strada-li è causato dai comportamenti umani, il 20% dalle infrastrutture. Gli incidenti sul lavoro non fanno certo eccezione. Quello della distrazione alla guida, ad esempio, è uno dei problemi più gravi. Telefonare a un amico, sistemarsi il truc-co, sfogliare un giornale o cercare una stazione alla radio: sono tutte operazioni che ci appaiono comuni e, per questo, non le riteniamo pericolo-se. Al contrario, se fatte al volante, possono risul-tare molto pericolose. Ci sono delle regole che vanno rispettate. Sempre. Se questo non avviene, o si uccide o ci si uccide».Quali soluzioni propone la Fondazione Ania per limitare il numero di vittime sul lavoro da incidente stradale?«È assurdo morire mentre si sta svolgendo il proprio lavoro e abbiamo tutti il dovere di impe-gnarci per porre fine a questa tragedia. Il nostro auspicio è che l’educazione stradale possa esse-re inserita obbligatoriamente all’interno di pro-grammi di formazione aziendale». n

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educare serve a prevenire

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Per “morro” si intende il colle su cui si trova la favela. L’omonimo samba espri-me il ritmo e la bellezza che neppure mi-seria e sofferenza possono fare scompari-re (la foto di apertura e quella di pagina 128 è di Fabrizio Arigossi)

d i B e t t i n a G a m b a

I Mil samba del Morro“U

n cielo in terra”. Così appare il colle della Mangueira, a Rio de Janeiro, a Paulinho da Viola, immensa favela, oggi abitata da

oltre 13 mila persone. “Um Céu no chão. Un cie-lo in terra. Il samba del morro” è il titolo della mostra che Rosetta Brambilla e Pigi Bernareg-gi hanno curato (con la collaborazione di Kika Antunes, Marcela Bertelli e Anna Zamboni) per la trentunesima edizione del Meeting di Rimini. Bisogna calarsi nei vicoli polverosi delle favelas per comprendere il ritmo della loro musica, il samba, che nasce in un luogo di miseria per ac-compagnare la vita, bella e sofferente di chi abita in favela. L’intento della mostra è, infatti, di “ca-lare” il visitatore con immagini e suoni dentro la vita quotidiana della favela, tutto questo seguen-do il ritmo e le parole del “samba del morro”, dove per “morro” si intende il pendio, il colle, su cui la favela si espande. Per capire fino in fondo questa musica si deve andare all’origine delle favelas brasiliane. Queste sorgono perché la gente di campagna, spinta dal desiderio di migliorare le proprie condizioni, inizia ad avventurarsi in città e a invadere delle aree costruendovi baracche con materiali di fortuna. Il legame con la campa-gna e i valori propri di una civiltà rurale, come la famiglia e il senso religioso, non verrà mai meno con il passare degli anni e rappresenta la scintilla da cui scaturirà poi il samba in città. La mostra propone all’inizio del percorso un parallelo tra il ritmo del cuore e il ritmo cre-ato da tutti gli strumenti da cui è composto il

Rosetta Brambilla e P ig i Bernareggi portano al Meet ing una mostra tutta dedicata al r itmo che nasce in favela

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samba. Il paragone che si percepirà a livello sonoro è fondamentale perché esalta tutta la bellezza della favela. Rosetta Brambilla parla di “bellezza straordinaria che c’è nella favela”, e appare quasi assurdo, per chi è lontano da quei luoghi, concepire come bello un posto del genere, più noto al mondo per il narcotraffico e la violenza che per le note della sua musica. Eppure è così. Il cuore è il centro della vita, e così lo è il samba per il suo popolo.

La favela come risorsaPigi Bernareggi, curatore della mostra, missiona-rio in Brasile dal 1962 e parroco del quartiere Pri-meiro de Maio, a Belo Horizonte, è solito ripetere che la favela non è un problema ma una risorsa. Così, mentre in altre città del Brasile, come a Rio, decidono di abbattere le favelas, a Belo Horizon-te nasce la “legge pro favela”: ai favelados viene offerto il titolo di proprietà del pezzetto di terra su cui sorge la loro casa. «Nella favela, la dinamica

Il Brasile, pur con un’economia in crescita, conta 40 milioni di poveri su una popolazio-ne totale di 170 milioni di persone. Rosetta Brambilla dal 1967 opera a Belo Horizonte dove, entrando ogni giorno in favela, inizia a incontrare madri sole con a carico numero-si bambini quasi sempre denutriti. Il primo asilo nasce sotto una tela cerata proprio per rispondere all’estremo bisogno delle mamme di trovare un luogo per i loro bimbi. Dal 1976 con l’aiuto di Avsi nascono i primi centri in grado di accogliere bambini e ragazzi da 0 a 18 anni. Nel 2005, dopo la morte di don Luigi Giussani, amico e maestro di Rosetta, per rendergli omaggio è stato scelto il nome “Obras Educativas Padre Giussani”, Opere educative Luigi Giussani, per indicare il grup-po di opere sorte a Belo Horizonte e dirette da Rosetta. Le strutture educative sono forma-te da 5 centri educativi per l’infanzia e da 5 centri socio-educativi. In tutto accolgono 553 bambini da 0 a 5 anni. I centri socio educa-tivi per bambini e adolescenti da 6 a 18 anni sono frequentati da 684 giovani. Le attività svolte sono: doposcuola, laboratori di arte e falegnameria, musica e teatro e per 134 di loro anche brevi tirocini presso imprese della zona. Per sostenere le opere di Rosetta puoi farlo con il “sostegno a distanza” oppure scegliendo il programma “adotta un’opera” (www.avsi.org).

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Presente in Brasile dal 1967, a Belo Horizonte, Rosetta Brambilla (nel-la foto) ha realizzato in-sieme ad Avsi un grup-po di opere che oggi accolgono più di 1.200 tra bambini, ragazzi e adolescenti

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della sofferenza innalza l’uomo - spiega don Pigi - lo innalza in modo paradossale, perché lo rende più grande nello svuotamento e nella distruzione. I fatti non ci permettono di mentire: nella favela le persone si amano di più, vivono più fraterna-mente (...) Riassumendo: le persone sono mag-giormente persone». Nei testi del samba ricorre spesso il termine “saudade” che è impossibile da tradurre in italiano, perché “nostalgia”, “ma-linconia”, “rimpianto”, “solitudine”, “desiderio di una presenza” ne rendono solo parzialmente l’idea.Al termine di tutto il percorso della mostra il samba diventa espressione del senso tota-

le dell’umano, ne esprime la sua stessa vita e quasi non ci sono più parole perché è il suono stesso a vibrare nell’aria.

Dodici anni insieme a RosettaDoveva rimanere in Brasile solo due anni. Giorgio Capitanio di Avsi è un architetto e ha aiutato a ricostruire alcuni quartieri periferici di Belo Horizonte tra cui Primero de Maio dove vive e opera Rosetta. Di anni alla fine ne è ri-masto dodici ed è tornato in Italia solo da pochi mesi. «Ti mettevi a costruire l’asilo - racconta Capitanio al Corriere delle Opere - ma subito intuivi che prima di farlo era necessario capire quale fosse la proposta educativa, perché era evidente che l’asilo non poteva bastare. I ragaz-zi crescono e magari hanno bisogno di un per-corso formativo completo, che li accompagni fino alla maggiore età». Dall’asilo alla fogna-tura, in favela sembra mancar tutto e il rischio maggiore è che a questa mancanza ci si abitui, che ci si riduca a vivere nella melma senza spe-ranza alcuna, ed è questo uno dei tanti nemi-

ci da combattere. «Nel lavoro che portavamo avanti ogni giorno con chi abita in favela - con-tinua Giorgio - si partiva sempre da una loro provocazione. Se ad esempio erano in molti ad avere i vermi allo stomaco e a stare male a causa delle pessime condizioni igieniche, ini-ziavamo a curarli e diventava quello il nostro principale obbiettivo e magari la costruzione della strada passava in secondo piano». Portare avanti un lavoro simile ha richiesto un coinvol-gimento totale con queste persone, con la loro vita e i loro desideri. Se l’intento, infatti, era di realizzare un progetto di urbanizzazione e miglioramento dell’area questo implicava una

conoscenza radicale delle necessità e dei bisogni di ogni abitante della fa-vela, e in particolare era fondamentale riaccendere in loro la speranza.A volte, infatti, sono le stesse madri a perdere fiducia di fronte ai figli. È il caso di Pedro, 4 anni, che i narco-trafficanti usavano come “navetta” per spacciare droga da una parte all’altra della favela. Gli spacciatori si servo-no di bambini piccolissimi perché se fermati dalla polizia non possono fi-nire in carcere. «La mamma di Pedro era disperata - ricorda Giorgio - per lei questo figlio era già perso. Il lavoro in questo caso, come in molti altri simi-li, è stato coinvolgere questa donna in

un rapporto tale con noi da farle riacquistare la fiducia nei confronti di suo figlio e anche nei nostri». Il progetto di riqualificazione del territorio por-tato avanti da Avsi a Belo Horizonte ha colpito anche la Fiat. L’industria automobilistica ha co-struito vicino a Belo Horizonte un grosso stabili-mento in cui lavorano direttamente circa 15 mila persone e indirettamente altre ottomila. Accanto a questo stabilimento si è sviluppata una favela di circa 35 mila abitanti, nata con la speranza per questa gente di poter trovare un posto di lavoro. Racconta Giorgio Capitanio: «Nell’arco di uno stesso giorno passavo dalla favela al consiglio di amministrazione della Fiat, a cui illustravo il nostro progetto di riqualificazione». La presen-za della Fiat ha rappresentato la possibilità di uno sviluppo del territorio. Ne è nato così un programma di responsabilità sociale chiamato “Arvore da Vida” (l’albero della vita), rivolto ai 35 mila abitanti della favela Jardim Teresopo-lis, che vede coinvolta la casa automobilistica in partnership con Avsi. n

Foto di gruppo con Rosetta Brambilla e don Pigi Ber-nareggi (secondo da destra) insieme ai collaboratori della mostra “Il samba del morro”. La mostra si snoda attraverso un percorso in cui la famosa musica brasiliana è vista come espressione del senso totale dell’umano

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Da uno a infinito. Al cuore della matematicaIn quanti l’hanno lasciata da parte come “qualcosa che non fa per me”. Anche per loro, ma non solo, la mostra dedicata alla matematica sarà l’occasione di un vero e proprio incontro, che inizia con lo stupore di fronte a problemi semplici, ma insoliti che evidenziano come un’idea risolutiva e chiarificatri-ce inevitabilmente ci colpisce come qualcosa di attraente. Questo è lo spunto per iniziare a seguire quel filo intrecciato di verità e di bellezza che percorre tutta la matematica. Sono tante le domande che accompagneranno il visita-tore nel percorso a partire dalle semplici esperienze di matematica proposte dalla mostra. Che cosa ha motivato i matematici nel corso della storia? Quale metodo seguono nella ricerca del vero? Come mai la matematica è così efficace nel descrivere la realtà naturale? Perché l’infinito riemerge continuamente nel discorso matematico, e che ruolo ha? C’è ancora qualcosa da scoprire oggi, in matematica? L’astra-zione è nemica del rapporto con il reale, o può essere uno strumento potente di comprensione della realtà?L’enfasi della mostra non sarà tanto su magie o effetti speciali (che pure non mancheranno!), quanto piuttosto sulla scoperta di come la matematica rivela in modo paradigmatico il modo con cui il cuore dell’uomo entra in rapporto con la realtà: c’è qualcosa in noi che ci permette di riconoscere una verità universale e oggettiva. Questo viaggio “al cuore della matematica” svelerà così aspetti propri della dinamica umana del conoscere in ogni suo aspetto.A chi entrerà nella mostra sarà proposto un germe di esperienza della matematica, un piccolo seme di meraviglia e identificazione nella sua struttura di “mirabili teoremi, stringenti dimostrazioni, formidabili applicazioni” attraverso cui si palesa una bellezza ben connotata dalle parole del filosofo e matematico Pavel Florenskij: «La bellezza non è una cosa nella quale si possa penetrare im-mediatamente. O meglio, e più precisamente, ci si può penetrare anche subito, ma dopo esserci rimasti accanto per un po’, e dopo che nell’animo i vari elementi assimilati progressivamente si sono composti insieme in maniera organica».n A cura dell’Associazione Euresis

Flannery O’Connor. L’infinita misura del limite Flannery O’Connor (1925-1964): una vocazione letteraria, una malattia, la vita di una cattolica nel Sud protestante degli Stati Uniti d’America. Scrittrice di racconti la cui visione è costantemente modellata dai sensi, un’artista che abbraccia i pro-pri limiti come la possibilità per un misterioso incontro con il senza limite, con l’Eterno. I protagonisti dei suoi racconti per la maggior parte non sono altro che delle incarnazioni degli aspetti più scioccanti e distorti della natura umana così che l’intrusione della Grazia appaia come puro dono e non necessariamente ovvia. Grazia che tuttavia è presente nei più marginali, e spesso più assurdi, momenti dell’esistenza umana. Attraverso la commedia del suo stile, i particolari della vita dei suoi personaggi diventano così una apertura verso l’Eterno. La più grande ere-dità che Flannery O’Connor ha lasciato è quella di invitare a guardare l’Assoluto, il Mistero profondo che chiama attraverso quella realtà che tutti possono vedere e toccare con mano.n A cura di Dino D’Agata, Annie Devlin, Abby Holtz, Nick Kraus, Stephen Lewis, John Martino, Pietro Rossotti, Amy Sapenoff, James Sternberg, Chiara Tanzi.Con la collaborazione di Maria Fiorenza Matteoni.

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MeetingIn fondo al cammino c’è Qualcuno che ti aspetta. Lo splendore della speranza nel Portico della GloriaNella Cattedrale di Santiago alberga un immenso “libro di pietra” che parla al pellegrino che raggiunge Compostela dai punti più insospettati del pianeta. In questo Anno Santo, la mostra dedicata al Portico della Gloria di Santiago propone una lettura originale e convincente del complesso iconografico di uno dei monumenti più celebri e venerati della tradizione cristiana. La mostra offrirà una chiave interpretativa per comprendere l’attualità del messaggio del Portico della Gloria per gli uomini del nostro tempo. Come scrive Benedetto XVI nella Spe salvi: spesso gli artisti hanno fatto prevalere l’aspetto minaccioso e lugubre del giudizio sulla rap-presentazione dello splendore della speranza. Certamente il Maestro Matteo ha scelto di dare alla pietra la forma dello “splendore della speranza”.n A cura di Félix Carbó, Miguel Angel Blazquez. Con la collaborazione di Enrique Bican, Rafael Gonzalez.

«Ma misi me per l’alto mare aperto». L’Ulisse: quando Dante cantò la statura dell’uomo L’Ulisse dantesco rappresenta un’immagine insupe-rata della grandezza dell’uomo, del suo irrefrenabile impeto a penetrare nell’ultima profondità delle cose, nella scaturigine dell’essere. Il rimprovero a Ulisse che fu di Petrarca, subito a ridosso della Commedia: «Disiò di veder troppo» (Trionfo della fama, II, v. 18), rivela una posizione che la nostra cultura ha lar-gamente accolto e fatto propria: condannare questa smisurata aspirazione del cuore, stigmatizzarne l’ec-cesso, o svuotarla del suo contenuto reale. Così ci si preclude la comprensione dell’Ulisse dantesco, per-ché si rende inintelligibile il muoversi umano. «Ma lui, Ulisse, proprio per la stessa “statura” con cui aveva percorso il mare nostrum, arrivato alle colonne d’Ercole, sentiva non solo che quella non era la fine, ma che era anzi come se la sua vera natura si sprigionasse da quel momento. E allora infranse la saggezza e andò» (L. Giussani, Il senso religioso, p. 187). Questo Ulisse continua ancor oggi a dar scandalo ai saggi e ai benpensanti e respiro agli amanti della grandezza e nobiltà della natura umana. n A cura di Ilaria Ariemme, Pietro Bocchia, Stefano Braschi, Carlo Carù, Irene Coerezza, Alberto De Simoni, Carmine Di Martino, Daniele Ferrari, Gabriele Grava, Simone Invernizzi, Tommaso Montorfano, Michele Orfano, Pietro Pellegatta, Benedetta Quadrio, Carlo Sacconaghi, Luca Tizzano, Paolo Torri.

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Stefano d’Ungheria. Fondatore dello stato e apostolo della nazioneÈ attorno all’anno 895 che il popolo ma-giaro, nomade fino ad allora, si stabilisce nel bacino dei Carpazi. Nel 969 nasce con il nome di Vajk, figlio del capotribù, il futuro primo re d’Ungheria Stefano (incoronato nel 1001), nome che pren-derà in occasione del suo battesimo da parte del Vescovo di Praga, Adalberto. La mostra, composta da grandi immagi-ni e da vari reperti (tra cui la copia della corona di Santo Stefano custodita nella chiesa di Mattia a Budapest) presenterà questa grande figura di santo. Infatti sarà

canonizzato nel 1083 da Papa Gregorio VII insieme al figlio Imre il quale morì giovane durante una battuta di caccia al cinghiale. Stefano, rimasto senza eredi e non volendo che il giovane Paese ripiombasse nel paganesimo, affidò la successione al nipote ve-neziano Pietro Orseolo affinché proseguisse l’edificazione del Paese nell’Europa cristiana. Stefano d’Ungheria ha quindi favorito la conversione di un popolo, comprendendo come il cristianesimo potesse essere una tappa fondamentale per l’integrazione in Europa del suo Paese, fondando anche arcivescovadi e monasteri grazie all’autonomia concessagli dal Papa. Nel 2000 Stefano è stato canonizzato dalla Chiesa Ortodossa: è il primo santo a essere dichiarato tale per entrambe le Chiese.n A cura dell’Università Cattolica Péter Pázmány e del Centro Studium di Gorizia.

Danzica 1980. SolidarnoscDopo Budapest 1956 e Praga 1968, Danzica 1980 è l’occasione per una rilettura della storia del secondo Novecento, per riproporre la dialettica di quegli anni tra la libertà dell’uomo e l’ideologia del potere, spesso con risvolti drammatici e violenti. Il cuore è la vicenda di Solidarnosc, a trent’an-ni dalla sua nascita, che si pone dentro la rivolta operaia dei Cantieri Navali di Danzica come esperienza umana radicata nell’identità nazionale, culturale e religiosa della Polonia, capace di far resuscitare la speranza e di ricostruire un tessuto sociale. Le immagini della mostra e i contributi vi-deo condurranno il visitatore dentro i giorni della ribellione e della solidarietà; una seconda sezione darà la parola ai principali protagonisti dello scontro, attraverso ritratti e documenti, mentre la parte conclusiva metterà l’accento sulla capacità che il fenomeno Solidarnosc ebbe di suscitare il coinvol-gimento di diverse realtà al di fuori della Polonia, non ultima anche quella del Meeting di Rimini.n A cura di Sandro Chierici, Annalia Guglielmi, Daria Rescaldani. Fotografie di Chris Niedenthal. Con il contributo di Archivio KARTA e Istituto per la Memoria Nazionale, Varsavia.

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Meetingrimini.orgOgni giorno su www.meetingrimini.org notizie sugli appuntamenti più importanti della giornata, i comu-nicati degli incontri, foto degli eventi e il Quotidiano Meeting in formato pdf da scaricare e leggere como-damente sul computer di casa. Infine on line da fine luglio la mappa interattiva della manifestazione per scoprire in anticipo la location delle mostre, delle sale, per arrivare a Rimini e non perdere nemmeno un minuto.

Meetingrimini.mobiTutto questo è disponibile anche per il tuo cellula-re all’indirizzo www.meetingrimini.mobi, da dove è possibile consultare comodamente il programma ag-giornato in tempo reale.

MEETING ON LINECome seguire il Meeting da casa

➤ Non puoi venire al Meeting o stare solo qualche giorno? Non c’è problema! Numerosi sono ormai gli strumenti con cui è possibile rimanere in con-tatto con la manifestazione, seguire gli appunta-menti fondamentali ed essere aggiornato su tutto quello che accade in fiera

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Feed RssSempre sul sito del Meeting sono attivi i feed rss per le seguenti sezioni del sito: Notizie: per rimanere sempre aggiornato, in tempo reale, con tutte le notizie relative alla vita del Mee-ting e alle attività che lo circondano. Selezione Rassegna stampa: in tempo reale le segna-lazioni degli articoli pubblicati on line.Programma: per ricevere tutte le eventuali variazioni di programma.Sala stampa: per ricevere nel tuo lettore rss tutti i co-municati stampa prodotti su ogni evento dell’edizio-ne del Meeting.

www.meetingrimini.tvAnche per questa edizione sulla tv del Meeting in-contri in diretta e on demand. Saranno in tutto 15 gli incontri che potrai seguire in diretta e 63 quelli in differita, di cui 28 tradotti anche in lingua. Inoltre 7 live saranno trasmessi sulla pagina di Fa-cebook “Amici del Meeting di Rimini”. Sul sito del Meeting da fine giugno il palinsesto degli incontri.

ilsussidiario.net - tgMeetingDa quest’anno il Meeting avrà il suo TG, realizzato insieme al quotidiano on line ilsussidiario.net. Du-rante la manifestazione potrai vederlo su www.me-etingrimini.org, su www.ilsussidiario.net e il canale Youtube del Meeting (www.youtube.com/meetingdi-rimini). Disponibile ogni giorno dalla domenica al sabato dalle 19.30 con servizi sugli incontri, mostre, spettacoli, interviste in esclusiva e la vita del Mee-ting raccontata attraverso gli occhi delle telecamere.

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D a l C a l i g o l a d i A l b e r t C a m u s a u n o m a g g i o aF e d e r i c o F e l l i n i , d a l v i a g g i o n e l l a m u s i c a d iM a r j i a j u d i n a a n u o v i i n t e r p r e t i g i o v a n i l i

La trentunesima edizione del Meeting per l’Amicizia fra i popoli che si terrà a Rimini da domenica 22 a sabato 28 agosto 2010 avrà per tema “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”. Un ti-tolo ambizioso per una manifestazione che richiama quasi ottocentomila persone e che, anche quest’anno come da tradizione, presenta occasioni uniche di cultura e divertimento, musica e spettacolo.La serata inaugurale vedrà in scena il Caligola di Albert Camus, pro-vocante riflessione sul desiderio dell’uomo (domenica 22 agosto) a cinquant’anni esatti dalla morte del drammaturgo francese. A vestire i panni di Caligola in questo allestimento originale sarà uno degli attori televisivi di maggior intensità, Stefano Pesce (foto a destra). Come sem-pre l’opening act del Meeting propone da subito la riflessione sul tema prescelto, che quest’anno è il cuore, alias l’infinito desiderio di ciò che può compiere l’uomo nella sua totalità: anche nella sua desolata e lucida follia, Caligola non può che «desiderare la luna», come visceralmente richiesto in scena al servitore Elicone. «Voglio portare l’intangibile sul-la terra», ripete il folle imperatore: è qui il midollo poetico della terza stesura del dramma da parte di Camus, che nell’arco di circa vent’anni (la prima versione è del 1937, quest’ultima è invece del 1958) ha trasfor-mato il suo capolavoro da una riflessione sul potere e sulle devastanti

dittature europee, in un approfondimento senza precedenti sul senso ultimo del cercare umano.Musica, letture ed immagini saranno prota-gonisti nella serata di lunedì 23 agosto con lo spettacolo Marjia Judina, la pianista che commosse Stalin, narrazione della vita artisti-ca della grande pianista russa (foto a sinistra), con un alternanza di composizioni eseguite da pianisti moscoviti e letture di lettere e brani della Judina e del suo caro amico Boris Paster-nak; il tutto coronato dalla proiezione in an-teprima di un mediometraggio sulla vita della musicista scomparsa nel 1970 e realizzato dal-la Scuola di cinema di Mosca.Martedì 24 agosto si ritorna al teatro. In occa-sione dei 50 anni de La dolce vita e dei 90 anni

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dalla nascita di Federico Fellini, in scena un divertente spettacolo teatra-le scritto e diretto da Bruno Sacchini dal titolo Federico! Felliniana in due atti e uno spot con Arnaldo Ninchi nella parte del Maestro e Valeria Ciangottini, nella parte di Giulietta Masina, sua moglie e musa.Una performance musicale sarà mercoledì 25 agosto con Samba Raiz, la radice del samba. In compagnia di una formazione di Belo Horizon-te, gli Essencia BH, viene proposto un poetico viaggio alla scoperta dei ritmi e delle canzoni tradizionali brasiliane, una serata che si abbina alla mostra dedicata al samba, che documenta la vita e la ripresa umana nei luoghi più poveri dell’immenso Paese sudamericano.In una contaminazione tra poesia, letteratura e musica, giovedì 26 agosto andrà in scena Che fai tu, luna, in ciel?, serata dedicata alle poesie più celebri di Giacomo Leopardi. Sul palco, a interpretare le opere del poeta di Recanati, ci sarà Giancarlo Giannini (foto a destra), pronto a svelare il proprio amore verso l’autore dell’Infinito.

Il Meeting si conferma inoltre palcoscenico di pièces teatrali innovative e di alta qualità artistica come: Prima che venga notte (lunedì 23 ago-sto, foto in basso), messa in scena con musica sulla base dei racconti della scrittrice Marina Corradi; L’ultima parola è dei pavoni (marte-dì 24 agosto), una pièce di Francesca Destefanis (vincitrice del Premio Flaiano Drammaturgia under 35) basata sull’amicizia epistolare tra la scrittrice americana Flannery O’Connor e una giovane universitaria; Angli o angeli (mercoledì 25), percorsi letterario-musicali sulle opere di maestri della letteratura inglese, da Chesterton a Newman, a cura di Paolo Gulisano, Walter Muto e Carlo Pastori; Cosa sarà: l’avventura

del mistero nella canzone italiana, una performance artistico-umana tra autori noti e meno noti della musica leggera del nostro Paese, a cura di Walter Gatti. Sul palco del teatro ci saranno anche i ballerini del Nantou Folk Dance Group che porteranno, con suoni, costumi ed immagini, le suggestioni e la tradizione della lonta-na Taiwan (mercoledì 25 agosto). Infine una pièce fir-mata da Giampiero Pizzol, Il vangelo visto da un cieco (giovedì 26 agosto), che indaga con attenzione la vita e il sentire dei personaggi “minori” dei Vangeli.

C’è molto rock e blues nelle altre serate del Meeting, con i concerti dei romani The Hideaway and the wan-ted men (23 agosto) e la Bryan Kazzaniga rock’n’roll band (mercoledì 25 agosto), mentre il folk italiano fa la sua comparsa con il Collettivo Mazzulata (26 ago-sto). Un tuffo nella contemporaneità della canzone na-

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poletana è invece previsto per venerdì 27 agosto: il cantautore Alfredo Minucci, cantore del rione sanità, presenterà il suo nuovo cd. Data molto speciale quella di martedì 24 agosto con il concerto italiano di Terra Na-omi, giovane cantautrice statunitense, vincitrice dello YouTube Award e già forte di una serie di esibizioni mozzafiato, tra cui quella al Wembley Stadium di Londra, di fronte ad oltre 80 mila spettatori. Insieme a lei i Radiolondra (foto a destra), giovane gruppo emergente tra i più interes-santi del panorama italiano.

Infine la serata di premiazione del Meeting Rimini Film Festival (lune-dì 23 agosto), quest’anno realizzato in collaborazione con la School of Visual Arts di New York, con il festival Karuzela Cooltury di Swinou-jscie in Polonia e con il Festival Encuentro di Madrid; a presiedere la giuria sarà il regista italiano Alessandro D’Alatri. n

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a c u r a d i C a r m e l o G r e c o

L’ e l e g i a e i l g r i d o d ’ a m o r ed i u n e x i n d u s t r i a l e p r a t e s e L’opera di Edoardo Nesi è una elegia, nel senso letterale di “canto del dolore”. È il dolore, ma insieme il grido d’amore, per il destino dell’industria tessile pratese e, con essa, di tutto il comparto. Del quale, a un certo punto, l’autore fa un elenco. «La mia gente - scrive - non sono solo i pratesi. A declinare e a soffrire, oggi, sono anche i distretti tessili di Biella e Como, di Lecco e Carpi, della Val Seriana e di Chieri in Piemonte e Bronte in Sicilia; i distretti dell’abbigliamento di San Marco dei Cavoti e di San Giuseppe Vesuviano; il distretto di Aiola vicino a Benevento e quello di Calitri, sempre in Campania; il distretto di Vibrata in Abruzzo e il distretto del jeans nel Monferrato». Stessa sorte è toccata alla ceramica, al mobile, al calzaturiero. A tutto il manifatturiero italiano. Nella sua doppia veste di ex «industriale di provincia» e scrittore, Nesi intreccia i proprio ricordi personali alle vicende economiche degli ultimi anni. Riuscendo a illustrare quanto il cambiamento sia stato profondo a Prato e nell’intero Paese.

Q u e l l e g a m e p e r ve r s oT r a m a n a g e r e f i n a n z aOgni pagina di questo libro è tesa a dimostrare quanto il management sia diventato invasivo nella vita dell’azienda, instaurando con la finanza un legame perverso che non tiene conto dell’interesse di tutti gli stakeholder. Una presenza ingombrante, quella del manager, che ha rovinato non soltanto l’impresa tradizionale, ma anche altri ambiti come i Comuni, nei quali non a caso oggi è prevista la figura del City Manager, o le ex municipalizzate o, ancora, le organizzazioni non profit al cui interno è ormai centrale il Fund Raiser. La tendenza, però, si può invertire. Uno dei modi è la riscoperta di ciò che fa infuriare Shylock, il protagonista del Mercante di Venezia di Shakespeare, che odia Antonio «perché presta denaro gratis, e fa scendere il tasso di interesse». La riscoperta, cioè, di quel «gratis» che può mettere in discussione il primato della finanza.

Contro il managementFrancesco varanini2010Guerini e Associati222 pagine19,50 €

C h i è o g g i i l p o l i t i c oE i l d i r i g e n t e d ’ a z i e n d aIl volume curato da Tito Boeri insieme ad altri economisti raccoglie due studi distinti - il primo sulle caratteristiche dei parlamentari italiani, il secondo su quelle del management - sviluppati per il decennale della Fondazione Rodolfo Debenedetti. Al di là delle conclusioni, in linea con la pubblicistica oggi in voga che attribuisce alla “casta” tutti i mali del Paese, il libro ha il pregio di offrire un ritratto documentato della classe politica nostrana utilizzando una banca dati di 4.465 membri, nonché un’immagine attendibile dei dirigenti. Si capisce così quanto è cambiato il profilo tipico del parlamentare dalla Prima alla Seconda Repubblica; e si capisce anche perché, in un tessuto economico in cui prevalgono le aziende familiari, sia premiata spesso la fedeltà a discapito degli stessi risultati.

Il capitale umanoPiero cipollonePaolo sestito2010Il mulino131 pagine9,80 €

Classe dirigenteA cura di tito boeriAntonio merloandrea prat2010Università bocconi152 pagine19 €

A u t o n o m i a e va l u t a z i o n eP e r u n a s c u o l a m i g l i o r ePiero Cipollone e Paolo Sestito sono economisti alla Banca d’Italia. Per questo trattano «il capitale umano con le categorie tipiche dell’economia, alla stregua di un bene economico un po’ speciale ma pur sempre un bene economico». Un punto di vista che permette di capire quanto l’Italia sia in ritardo «nell’accumulazione di questo bene», che viene valorizzato e remunerato meno che in altri Paesi avanzati. E questo sebbene il nostro sistema scolastico disponga di risorse pari, se non maggiori, a quelle investite nei Paesi Ocse. Permangono scarsa autonomia delle scuole e assenza di una valutazione uniforme dei risultati. Su quest’ultimo versante si segnalano i tentativi dell’Invalsi, l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione presieduto proprio da Cipollone.

Storia della mia genteEdoardo nesi2010bompiani163 pagine14 €

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Ii n d i r i z z ile aziende e gli enti citati in questo numerodel Corriere delle Opere

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Compagnia delle opereVia Legnone, 2020128 MilanoTel. 02673961Fax [email protected] n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

Compagnia delle opereopere socialiVia Legnone 420124 MilanoTel. 0236723900Fax 026694008www.cdo.orgn n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

CDO network srlVia Canova, 1920145 MilanoTel. 0234599656Fax [email protected] n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

Consorzio servizisocialiVia Isonzo, 221052 Busto Arsizio (Va)Tel. 0331336336Fax 0331336371www.consorzioservizisociali.itinfo@consorzioservizisociali.it

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Cooperativa sociale curae riabilitazioneVia Terruggia, 2220162 MilanoTel. 0266100415Fax 0264749849www.curaeriabilitazione.orginfo@curaeriabilitazione.orgn n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

cooperativa socialel’anaconda Via Rainoldi, 721100 Varese Tel. 0332232152Fax [email protected] n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

Cooperativa socialesolidarietà e serviziVia Isonzo, 221052 Busto Arsizio (Va)Tel. 0331336350Fax [email protected] n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

fondazione avsiVia Legnone, 420158 MilanoTel. 026749881Fax [email protected]

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fondazione meetingper l’amicizia fra i popoliVia Flaminia, 1847923 RiminiTel. 0541783100Fax [email protected] n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

ge.fi. spaViale Achille Papa, 3020149 MilanoTel. 0231911911Fax [email protected] n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

giuseppe giana spaVia Manciatelli, 2220020 Magnago (Mi)Tel 0331657380Fax [email protected] n n n n n n n n n n n n n n n n n n n

know net srl Via Oltrecolle, 14522100 ComoTel. 031542802 Fax [email protected]

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