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Corriere della Sera - e-dicola martedì, 6 maggio, 2003 REATI OMICIDI 045/046

Temeva le follie di quel ragazzo Voleva cambiare casa per paura «Ha ucciso Stefania, poi ha sparato sui passanti» In fin di vita il pensionato che soccorreva l' avvocato Litta Modignani. Una logopedista rischia di restare paralizzata TERRORE IN CITTA' : LA PRIMA VITTIMA «Io non so... non so che cosa dire. Non so se è possibile...». Ilaria Guaraldi è la figlia di Stefania Vinassa de Regny, la prima vittima di Andrea Calderini. È stranita, si stringe al petto un pacco rosso, ancora non riesce ad afferrare l' esplosione di follia che si è portata via sua madre. Arriva Milly Moratti, grande amica di famiglia, e Ilaria la guarda con gli occhi spalancati: «Io non so...» ripete. Altro non può dire. Ma nelle tragedie ci sono sempre dei bambini: e Ilaria - piccolina, vestita semplicemente - si riscuote pensando ai suoi figli. A che cosa dire loro. A come spiegare che la nonna non è all' ospedale, la prima versione dei fatti ancora animata, forse, dalla speranza. E poi come trovare le parole per una fine senza un senso? Più tardi, in serata, Ilaria si infilerà anche lei un giubbotto antiproiettile. Accompagnata dagli agenti entrerà nella casa della follia per andare a vedere la mamma, che è ancora lì, sulla porta di casa, dove è stata raggiunta dai colpi dello squilibrato. A posteriori, sarebbe facile parlare di un presentimento. Di certo, per Stefania Vinassa quel vicino così minaccioso - «così selvaggio» dice una testimone - era una continua fonte di inquietudine: «Tutta colpa di quel pazzo lì, voleva cambiare casa. Voleva vendere. Quello rendeva la vita impossibile a tutti». Lo racconta una signora che attende di poter rientrare in casa: «Io abito nel palazzo di fianco, conoscevo bene Stefania. Una volta ci siamo accorte di aver cambiato marciapede tutte e due per lo stesso motivo: stava arrivando lui. Ci siamo sorrise. Ma da ridere c' era davvero poco». Confermano altri vicini: raccontando che Stefania Vinassa, diversamente da altri residenti di via Filippo Carcano 19, con Andrea Calderini non aveva mai avuto discussioni. Si rendeva conto dei disturbi dell' uomo, ne temeva le possibili reazioni: quelle che nella palazzina a due passi dalla Fiera erano a tutti ben note. Delle intemperanze, aveva anche parlato con l'

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amministratore. Un' ansia sottile. Non forte abbastanza da rinunciare ad appendere la «Rainbow flag», la bandiera della pace. Due piani più in alto, sventola pigra quella a stelle e strisce esposta dal suo futuro assassino. Ilaria torna fuori dalla casa: «Dopo tutte quelle che aveva passate...» è l' unica frase che si riesce a cogliere. E chissà a che cosa si riferisce. Stefania Vinassa era nata sessantacinque anni fa da una famiglia aristocratica quanto illustre: il padre, Paolo Vinassa de Regny, era un geologo e paleontologo fiorentino molto noto all' inizio del secolo scorso, senatore del regno sabaudo, e autore di testi universitari adottati da generazioni di studenti. La figlia Stefania, sposata con un diplomatico, aveva potuto mantenere il prestigioso cognome, utilizzato anche da Ilaria. Che a Milano è una persona molto nota, la responsabile delle relazioni esterne del museo di Storia naturale e la presidente dell' Associazione didattico museale: sue le mostre e i «lab» visitati ogni mattina da innumerevoli scolaresche. Il destino sa essere bizzarro. Perché tra le persone prese di mira da Andrea Calderini c' è un' altra figura dal gran cognome. Si tratta dell' avvocato Giovanni Fabrizio Litta Modignani. Pedalava sulla sua bicicletta lungo via Carcano diretto al suo studio. Una pallottola, la prima sparata dal folle fuori di casa, lo ha centrato alle gambe. Si è fratturato il femore, ma è stata la sua salvezza: il ferito più grave - Piero Toso, 70 anni - è la persona che lo ha accostato per soccorrerlo. Ed è stato sadicamente colpito da Calderini. Daniela Zaniboni, 41 anni, logopedista, lavora in un centro per bambini sordi di via Ragusa. E' da lì che viene, a bordo del suo scooter, diretta a casa di un' amica: «Ho sentito un colpo al braccio, fortissimo, poi sono caduta», racconta ai medici. La pallottola, diranno i sanitari, è entrata e uscita. La prima. Perché dopo che la donna cade, arriva il secondo colpo: trapassa un polmone, scheggia la spina dorsale, si ferma dall' altra parte del busto. In serata, durante l' assedio all' uomo che le ha sparato, la donna è sotto i ferri dei chirurghi in una sala operatoria di Niguarda. Non è in pericolo di vita. Ma il destino può essere spietato anche con lei: potrebbe restare paralizzata. Chi invece a notte fonda lottava ancora per la vita è Piero Toso, il soccorritore di Litta Modignani. Le sue condizioni appaiono subito gravi, lo trasportano al Sacco. Ma la ferita più grave è quella alla testa, ci vuole una neurochirurgia. Viene trasportato al Galeazzi, dove in serata lo opera Domenico Servello: oltre alle pallottole conficcate nella coscia e nella costola, un terzo colpo ha causato una emorragia cerebrale: le sue condizioni sono gravissime. Marco Cremonesi

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Corriere della Sera - e-dicola martedì, 6 maggio, 2003 REATI OMICIDI 011

Uccide la moglie, spara ai passanti e si ammazza Milano, trentunenne con problemi psichici aveva due pistole e un fucile. Morta la vicina di casa, ferite tre persone. In azione i Nocs TERRORE A MILANO: GLI SPARI E LE VITTIME MILANO - Adesso non c' è più uno, in questo bel quartiere di palazzi signorili, balconi ben tenuti, facciate decorose, che parli ancora di quell' uomo a bassa voce. Non uno, adesso che ormai è fatta, e che il decoro discreto di quella strada a due passi dalla Fiera è stato spazzato via dai cordoni della polizia, dalla consueta folla di telecamere e cronisti, dai vicini che ora ripetono ai microfoni «lo dicevo...», non più uno che ora pronunci più le parole «pazzo pericoloso» soltanto mormorandole, come pure continuavano a fare da anni. Un trantran andato in pezzi in una manciata di minuti, poco dopo le 15 di ieri pomeriggio: quando Andrea Calderini, 31 anni, sotto cure neuropsichiatriche da un pezzo, svastica sulla porta, bandiera americana sul bancone, il «666» dell' Anticristo sul campanello, ha impugnato una delle sue pistole e ha fatto fuori una vicina del primo piano; poi è sceso in strada, sparando ancora all' impazzata e centrando tre passanti; quindi è risalito al suo balcone, aprendo il fuoco una volta di più fra il terrore di altra gente in fuga; e asserragliandosi infine in casa, dove i Nocs sono riusciti a irrompere solo a tarda sera. Trovandolo morto a sua volta, così come la sua giovane moglie. Uccisa prima degli altri, crivellata di colpi alla schiena. Per poi metter fine alla sua follia puntandosi l' arma in bocca e premendo il grilletto un' ultima volta. La ricostruzione dei fatti, ancora in buona parte da definire nei dettagli, procede per un intero pomeriggio a tentoni, parallelamente al lungo assedio che precederà l' epilogo. E i fatti certi sono che Calderini viveva al terzo piano di una palazzina al numero 19 di via Filippo Carcano, all' angolo con via Mosè Bianchi, tra Fiera e circonvallazione, e che ci abitava col suo barboncino e una vicentina di 22 anni, Heglietta Scalori, sposata a Las Vegas non molto tempo fa. Due piani sotto viveva invece Stefania Vinassa De Regny, che di anni ne aveva 65: figlia di un senatore del Regno d'

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Italia, sposata al diplomatico Guaraldi, che ieri si trovava a Rimini, e la cui figlia Ilaria dirige il Museo di Scienze naturali di Milano. Tra la bandiera della pace appesa al suo balcone e quella americana al bancone di Calderini distano meno di sei metri. «Era un folle che andava in escandescenze con nulla», ripetono adesso i vicini. «Ma tutti cercavano di non dargli peso - aggiungono subito - anche per una forma di rispetto a suo padre»: che a suo modo, essendo direttore centrale finanziario della Zurigo assicurazioni, nel quartiere ha sempre goduto di una certa stima. «Stefania aveva paura, avrebbe voluto cambiare casa - dice una signora che la conosceva - ma cercava lo stesso di essere gentile con quel vicino così problematico...». Fatto sta che ieri, poco dopo le tre, qualcuno dice di aver sentito le voci di un diverbio. Non si sa con precisione tra chi. E Andrea Calderini, secondo una delle ricostruzioni più accreditate, ad un certo punto avrebbe suonato al campanello di Stefania: contro la quale, quando se la trova di fronte sul pianerottolo, fa fuoco uccidendola sul colpo. È solo l' inizio. Calderini scende in strada. Con sé ha una Colt 45 Magnum, regolarmente denunciata: «Ma possiede anche un' altra pistola e una carabina», dirà più tardi il vicesindaco Riccardo De Corato. Perché è un appassionato di tiro, Andrea Calderini. E sul marciapiede ne dà buona prova: spara dodici colpi in successione e vanno quasi tutti a segno. I primi feriscono a una gamba l' avvocato Giovanni Maurizio Litta Modignani, che in quel momento sta passando in motorino. Altri tre centrano alla nuca, al torace e a una coscia Piero Toso, 70 anni, che a quanto pare si era fermato a soccorrerlo. Altri raggiungono Daniela Zaniboni, 41 anni, che sopraggiungeva in bicicletta. Poi Calderini risale in casa sua, e dal balcone spara di nuovo: «Almeno venti colpi», giura il parrucchiere dietro l' angolo. Alcuni proiettili toccano l' asfalto a pochi metri dalle due moto della polizia già arrivate nel frattempo, mentre in strada è l' inferno: «Mi sento un miracolato, fosse passato mezzo minuto prima - dice Giorgio G. ancora col fiatone - avrebbe beccato anche me...». Da quel momento in poi, di Andrea Calderini, non si sa più niente. «Asserragliato in casa», dicono gli agenti che sopraggiungono via via. E arriva anche il questore Enzo Boncoraglio, che si incarica di intavolare una «trattativa». Ma è una trattativa sotto forma di monologo. Il questore parla a una porta chiusa, ma dall' interno non viene il minimo segno di vita. I genitori di Calderini, contattati e portati sul posto nel frattempo, non ottengono differente risultato. La madre lo implora di uscire: da dentro viene solo silenzio, neppure l' abbaiare del cane. Ed è col passare dei minuti che si affaccia l' altro terribile interrogativo: che fine ha fatto la

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moglie di Andrea? Gli agenti rintracciano il numero del suo cellulare, la chiamano ripetutamente, ma l' apparecchio suona a vuoto: dall' interno dell' appartamento. È già trascorsa un' ora e mezza dall' inizio del dramma quando il questore e il pm Marco Ghezzi, consultatisi con i carabinieri sopraggiunti a loro volta, decidono di far intervenire i Nocs. Che però non ci stanno, a Milano: bisogna farli arrivare da Roma. Arriveranno solo alle nove di sera. Ed è ormai l' una meno un quarto, quando finalmente entrano dentro. Per certificare la strage avvenuta. Paolo Foschini LA VITTIMA Alle 15.10 Andrea Calderini, 31 anni suona alla porta della vicina, Stefania Guaraldi. Quando apre la porta l' uomo le spara e la uccide I TRE FERITI L' uomo scende in strada e spara. Colpisce tre passanti: una donna in scooter, un avvocato in bici e un pensionato. Due di loro sono gravi GLI SPARI Calderini, con regolare porto d' armi per uso sportivo ma con problemi psichici, risale in casa e dal balcone spara altri colpi di pistola IL PANICO Arrivano i primi soccorsi, ma l' uomo continua a sparare Due persone si salvano nascondendosi dietro le auto parcheggiate IL SILENZIO Alle 15.30 l' omicida si barrica in casa. I genitori e il questore tentano di convincerlo alla resa, ma dall' abitazione non arrivano segni di vita L' IRRUZIONE In nottata l' irruzione dei Nocs. Quando entrano l' uomo e la moglie Heglietta Scalori erano già morti. La donna è stata la prima vittima Era un folle che andava in escandescenza con nulla ma tutti cercavano di non dargli peso per rispetto a suo padre Stefania aveva paura, avrebbe voluto cambiare casa ma cercava lo stesso di essere gentile con quel giovane così problematico Foschini Paolo

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Corriere della Sera - e-dicola martedì, 6 maggio, 2003 REATI OMICIDI 010

«Aboliti per legge I malati sono in strada» De Corato: era in cura. E' normale che avesse il permesso di sparare al poligono? IL VICESINDACO MILANO - «Hanno voluto abolire i pazzi per legge. Ma i pazzi esistono». Il vicesindaco Riccardo De Corato è l' uomo che ha rappresentato il Comune di Milano nell' allucinante giornata di via Filippo Carcano. E' stato tra i primi ad arrivare, e tra i primi a temere atti di follia ulteriori: ha immediatamente dato l' ordine alla municipalizzata dell' energia di togliere il gas all' appartamento del folle. E c' è chi dice che l' assassino il gas lo avesse già aperto: «Ma quanto gas rimane nei tubi dopo che l' avete chiuso?». «Quanti ne vogliamo di morti per la legge Basaglia?». De Corato riattacca. Non se ne capacita. Ma il vicesindaco di Milano è stupefatto anche per un altro risvolto della vicenda: «Mi dicono che Calderini fosse in cura da un neurologo, che le sue instabilità fossero ben note. Ma guarda un po' : andava al poligono a tirare al piattello. E per farlo, aveva avuto tanto di regolare certificato medico. E' normale?». Sbuffa, il vicesindaco: «Li lasciamo in giro per le strade, e gli forniamo un porto d' armi». Ma a mettere a dura prova i nervi del numero due della città, è la snervante attesa. Sin dalle prime fasi della vicenda, si diffonde la voce: stanno arrivando i Nocs, i corpi speciali della polizia. Ma fino a tarda sera, sui tetti intorno alla palazzina della tragedia, si vedono solo i pompieri. Anche perché nel capoluogo lombardo i Nocs non ci sono. «Milano - sbotta De Corato - ha una specificità tale da rendere indispensabile un reparto operativo specializzato. Non si dice un esercito: una decina di uomini sarebbero facilmente distaccabili». Il tempo passa, e il nervosismo rischia di trasformarsi in rabbia: «Sono ore che è iniziata questa storia. Quell' uomo potrebbe essere morto da ore. Si sarà sparato alle quattro del pomeriggio. Ma c' è anche l' ipotesi che sia riuscito a scappare: e qui, sono ore che nessuno agisce». M. Cre. Cremonesi Marco

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Corriere della Sera - e-dicola martedì, 6 maggio, 2003 REATI OMICIDI 010

Urla, rock e violenza: lo chiamavano «il matto» Aveva il numero satanico 666 sul citofono e una svastica sulla porta. Nessuna traccia della moglie sposata a Las Vegas La famiglia, benestante, gli aveva regalato l' appartamento Una passione per le belle auto TERRORE A MILANO: L' OMICIDA MILANO - La ragazza che sta appiattita contro lo stipite della portafinestra fa segno col pollice dietro a sé, il terrazzo dà sul cortile interno d' una casa all' angolo e oltre le palme e i gerani si distingue l' appartamento al terzo piano, una bandiera americana al balcone, le tendine beige a strisce marrone abbassate, l' ambiente buio e impenetrabile come l' animo del suo proprietario, «stia attento, prima una pallottola è arrivata nell' ufficio di fronte, quello è matto totale». L' epiteto non risale a ieri pomeriggio, da anni nel quartiere lo chiamavano tutti così: «il matto». Quello che pompava rock a tutto volume ma alle cinque e mezzo del mattino urlava e prendeva a pugni e martellate i muri perché gli dava fastidio il rumore dell' impianto di riscaldamento, che aveva tentato d' accoltellare un vicino, lanciato la bicicletta del medesimo dal terzo piano ma solo dopo aver bucato le gomme, massacrato a bastonate i cani d' un condominio poco oltre, che s' era tagliato le dita e i palmi e aveva striato di sangue l' intonaco della scala, le mani gocciolanti come stimmate, lui che sul citofono s' era fatto mettere il numero della Bestia nell' Apocalisse di Giovanni, 666, l' Anticristo abbinato alla svastica tracciata sulla porta di casa e fra i capelli. Una vicina racconta che quando lo vedeva cambiava marciapiede, un' altra assicura d' aver sentito almeno uno sparo domenica, «abito nel palazzo di fianco, credo tirasse ai piccioni». Non che Andrea Calderini avesse un aspetto particolare, un giovane di 31 anni, altezza media, abbastanza robusto, capelli biondi ricci e corti, vestiti curati e macchine di pregio, un Maggiolone rosso, una Porsche Carrera. Lo vedevano con quella ragazza minuta e nessuno immaginava che fosse sua moglie, appena 22 anni - di lei non c' è traccia da ieri mattina - del resto, s' erano sposati a Las Vegas e a quanto pare il matrimonio

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non era riconosciuto in Italia. Un tipo riservato, quando non dava i numeri. Ma basta vedere gli occhi della prostituta che la sera lavora all' incrocio tra via Mosé Bianchi e via Carcano e ieri fissava la palazzina atterrita, «mi ha sempre fatto paura». Il quartiere è elegante, tranquillo, un' oasi di villette liberty ed eclettiche nel verde di una delle zone più belle di Milano. Ai vecchi abitanti si sono aggiunti la buona borghesia e i nuovi ricchi. Nessuno fa caso alle prostitute della zona, la gente le conosce per nome, «guarda com' è spaventata, poverina». Lui però le odiava, le puttane, quando incrociava quella donna all' angolo si metteva a urlare, il volto sfigurato dall' ira. Probabile che urtasse la sua idea di pulizia. D' altra parte lo urtavano gli essere umani in genere. Ieri ha sparato a intervalli regolari, metodico, raffiche nel silenzio. Così il giovanotto gironzolava elegante per il quartiere, sgommando con la Porsche o passeggiando con un barboncino bianco al guinzaglio, come lo psicopatico Jame Gumb del Silenzio degli innocenti, lo sguardo fisso davanti a sé. Parlava da solo, a voce alta, convulso, irritato, incattivito. Nessuno lo ha mai visto lavorare, risultava ancora «studente», ma non gli mancava nulla. La famiglia è benestante, il padre è direttore centrale d' una grande compagnia d' assicurazioni e gli aveva comperato il terzo piano più la mansarda della palazzina di via Carcano. Qui, tre anni fa, Andrea aveva fatto fuggire a gambe levate marito e moglie del piano di sotto, quelli della bicicletta. La gente del palazzo accanto chiamò i vigili «ma ci dissero che non potevano far nulla: bisognava prenderlo in flagrante». Anche la signora Stefania Guaraldi, assassinata nella casa al primo piano, aveva paura di quello squilibrato e se ne voleva andare da lì. Da un pezzo era in cura da un neurologo, tutto qui. «Da anni si sapeva che era pazzo, ma nessuno è mai andato dalla polizia perché il padre, un rispettabile professionista, si era sempre scusato chiedendo di non denunciarlo», sospirava ieri la consuocera della signora Stefania. Resta il fatto che «il matto» del quartiere aveva due pistole regolarmente denunciate e sparava al poligono con la sua Colt 45. Finché ieri il tiro al bersaglio lo ha fatto per strada, prima di chiudersi al mondo dietro al portone e al citofono col 666, il numero della Bestia. Gian Guido Vecchi Vecchi Gian Guido

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Corriere della Sera - e-dicola martedì, 6 maggio, 2003 REATI OMICIDI 010

«Quello doveva essere in galera da tempo» «Sfuriate, minacce e spintoni: faceva paura a tutti. E da un anno era peggiorato» IL QUARTIERE MILANO - «Avrebbe dovuto essere in galera da tempo». Nessuno, nella tragedia di via Carcano, dice «non l' avrei mai creduto». Al contrario, «il pazzo» era temuto da tutti. Anche da chi ignorava la svastica sulla porta e il «numero della Bestia» - il 666 dell' Apocalisse - sul citofono. Una delle prostitute della zona, non rare in queste tranquille stradette a due passi dalla fiera, è andata a riparare in un bar poco lontano. Ed è netta: «Speriamo che lo ammazzino». Non ha nessuna voglia di parlare. Ma l' odio per Andrea Calderini a un certo punto trabocca: «Di solito faceva finta di non vederci. Ma se lo vedevamo arrivare che parlava da solo, c' era da scappare. Che fosse pazzo, lo sapevano tutti». La donna volta le spalle, ma c' è chi racconta le frequenti sfuriate, le minacce, in parecchi casi gli spintoni. A dispetto dell' amore per il barboncino, pare prendesse di mira in modo particolare una prostituta «gattofila»: lei portava croccantini e latte ai randagi, lui la metteva in fuga e spazzava via il pranzo dei felini: «Cercava di prendere a calci anche i gatti». L' incubo si era fatto più cupo circa un anno fa. «Era diventato un problema per tutto il quartiere - racconta una signora che abita nel palazzo a fianco a quello della tragedia, accompagnata da una badante -. Perché l' impianto di riscaldamento si accendeva al mattino presto, faceva rumore. Lui andava su tutte le furie, tirava mazzate terribili contro i muri, le persone erano terrorizzate». Stefania Vinassa, la vittima del folle che abitava due piani sotto di lui, se ne era lamentata a più riprese con l' amministratore. Ma direttamente pare non l' avesse mai affrontato: «E come si faceva? - prosegue la vicina -. Una volta ho incontrato per strada la signora Stefania. Ci siamo accorte che avevamo cambiato marciapiede tutte e due: stava arrivando quello là». Marco Cremonesi Cremonesi Marco

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Corriere della Sera - e-dicola martedì, 6 maggio, 2003 REATI OMICIDI 046

«Ero al telefono con mio marito quando è stato colpito alla gamba»

TERRORE IN CITTA' : LA TESTIMONIANZA Parlava al telefono con suo marito. «Sto andando in studio, tutto bene». Poi, in un attimo, l' ha sentito urlare: «No! No! Aiuto, aiuto!». Carmela Di Pietto, moglie dell' avvocato Giovanni Maurizio Litta Modignani, ha vissuto in diretta il pomeriggio di follia di via Carcano. Il marito, 53 anni, discendente di una delle famiglie più note di Milano, è ricoverato al Fatebenefratelli, con una ferita da arma da fuoco al femore destro. Una frattura scomposta. Ma è vivo, e fuori pericolo. La signora Carmela tira un sospiro di sollievo, e spiega quanto il marito, al pronto soccorso, dopo le prime cure, le ha raccontato con un filo di voce. «Stava tornando da una visita al nostro medico di famiglia. Niente di grave, gli serviva un certificato. Era in bicicletta, mi stava giusto dicendo che era diretto in studio». Poi gli spari, le grida, la comunicazione al cellulare che si interrompe. Litta viene ferito. Subito si butta a terra e si finge morto, mentre attorno la furia omicida si scatena. Ai familiari racconterà di essere stato soccorso da Piero Toso, subito colpito dai proiettili di Calderini. Intanto, la moglie continua a chiamarlo al telefonino. Tenta e ritenta. Ma nessuno risponde. Arrivano i poliziotti, coprono il corpo del ferito con i giubbotti antiproiettile e dopo poco lo portano al Fatebenefratelli. Qualcuno si accorge dell' incessante suonare di quel telefonino rimasto in terra. E risponde. «Signora, non si preoccupi, c' è stato un incidente, ma suo marito sta bene». La donna si precipita di corsa in via Carcano, vicino a casa, accompagnata dal fratello e dal nipote. Ma quando arriva, tra auto della polizia e ambulanze, tra uomini in camice e altri con la pistola in pugno, non riesce a trovare il marito. Nessuno sa dirle dove sia. Finalmente, dall' ospedale avvertono lo studio, in via Lanino. E i familiari corrono al pronto soccorso di via Castelfidardo. «Non posso andare in barca quest' estate», sono le prime parole pronunciate dal ferito. Poi, un pensiero anche per il suo attentatore. «Dì a tua madre (la suocera) di pregare anche per

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lui». Le visite dei medici («Credo che quella gamba guarirà bene», spiega il professore Ezio Omboni, responsabile del dipartimento Emergenza-urgenza del Fatebenefratelli»), e dei parenti. Arriva anche il fratello Alessandro, consigliere regionale radicale (l' altro fratello, Leopoldo, è magistrato a Monza). «Adesso sta bene - dice Alessandro -. Circondato dalle persone che ama, trova anche la forza di scherzare». Annachiara Sacchi Sacchi Annachiara

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Corriere della Sera - e-dicola martedì, 6 maggio, 2003 REATI OMICIDI 047

«Tutti avevano paura, ma nessuno l' ha denunciato» I testimoni: voleva la strage. Irruzione dei Nocs: ha ucciso la moglie di 22 anni e poi si è ammazzato Dieci ore di terrore Il vicesindaco: servono subito reparti speciali anche a Milano «Un uomo inquietante, veniva tollerato solo per rispetto nei confronti dei genitori» Lo sapevano tutti che non era normale, ma nessuno ha mai voluto accusarlo direttamente. I suoi genitori sono delle brave persone. Ogni volta che lo incrociavo, mi spaventava. Così come mi faceva inorridire quel numero satanico che aveva scritto sulla targhetta dell' uscio, un 666 Ho sentito diversi colpi. Poi ho visto un uomo cadere a terra di schiena. Un altro era già steso sul marciapiede. Dopo ho visto un passante correre piegato su se stesso per cercare di soccorrere le persone a terra, ma sono partiti altri colpi e tutti ci siamo gettati dietro il primo riparo TERRORE IN CITTA' : I TESTIMONI «Ha suonato al campanello di Stefania e, quando la porta si è aperta, quel pazzo l' ha uccisa». Non riesce a dire più nulla. Lei, 60 anni, consuocera della vittima, può solo piangere, ripetendo come un' automa il nome di Stefania. Poi, riprende fiato e con rabbia urla: «Lo sapevano tutti che non era normale, ma nessuno ha mai voluto denunciarlo. Forse per rispetto ai suoi genitori, delle brave persone. Ogni volta che lo incrociavo, mi inquietava. Così come mi faceva inorridire quel numero satanico che aveva scritto sulla targhetta dell' uscio, un 666». Quel «matto», come lo descrivono in molti, dopo aver ucciso Stefania, ha ferito altre tre persone, crivellato di colpi alle spalle la moglie, e ammazzandosi poi con una pallottola in bocca. Quel «matto» era Andrea Calderini, 31 anni e abitava al terzo piano di via Filippo Carcano 19, in zona Fiera. Aveva un padre dirigente di una nota compagnia di assicurazioni, una potente Porsche, un barboncino bianco che spesso portava a spasso, e una moglie di 22 anni vicentina, Helietta Scalori, figlia di un medico, che aveva sposato tre mesi fa a Las Vegas. Ma Calderini aveva anche diversi ricoveri in ospedale per motivi psicologici. Per via di quella testa calda che lo aveva portato più volte a litigare con i vicini, a gettare dalla finestra una bicicletta e a menare un

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inquilino che aveva poi preferito cambiare casa per non incontrarlo più. Meno di una settimana fa se l' era presa con due motociclisti che lo avevano tamponato: li aveva presi a colpi di bloccasterzo. Ieri, poco dopo le 15, nella testa di Andrea Calderini scatta un raptus. Irrefrenabile, più forte dei precedenti, omicida. Prende la sua semiautomatica, calibro 45 caricata con pallottole «camiciate» e scende al primo piano, dalla vicina con la quale ha sempre avuto degli accesi diverbi. Da Stefania Vinassa de Regny, 65 anni, figlia del noto geologo dei primi decenni del ' 900 e senatore del Regno d' Italia. L' uomo suona alla porta e attende con la pistola in pugno. Quando Stefania apre non ha neppure il tempo di capire le intenzioni di quell' uomo «un po' matto»: viene raggiunta da un sola pallottola in testa. Freddata sul colpo. Ma è solo l' inizio. Calderini esce in strada e preme ancora il grilletto ferendo altre tre persone: due proiettili raggiungono al braccio e al torace Daniela Zamboni, 41 anni, in sella a un motorino. Poi, tre colpi alla schiena e alla nuca di Piero Toso, 70 anni, e una pallottola in una gamba dell' avvocato Giovanni Maurizio Litta Modignani, 53 anni, mentre era in bicicletta. La donna rischia di rimanere paralizzata e il pensionato è in gravissime condizioni. Dopo gli spari Calderini rincasa e, dal suo balcone dal quale sventola una grande bandiera americana, esplode all' impazzata altri colpi, all' indirizzo di alcuni agenti di polizia accorsi in moto. Quindi il silenzio. Inutili i tentativi del questore, Enzo Boncoraglio, e della madre dell' omicida. Nell' appartamento nessun rumore. Tre ore di trattative senza risposta prima di richiedere l' intervento dei Nocs, i reparti speciali della polizia di Stato con sede a Roma. Tra le polemiche del vice-sindaco Riccardo De Corato: «Ci deve essere un reparto operativo dei Nocs anche a Milano, per evitare lentezze di questo tipo». All' una meno un quarto il blitz e la scoperta di altri due cadaveri. Alberto Berticelli Michele Focarete Berticelli Alberto, Focarete Michele

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Corriere della Sera - e-dicola mercoledì, 7 maggio, 2003 REATI OMICIDI 011

Milano, l' assassino era stato denunciato Tutte le querele furono ritirate e il killer conservò la licenza per le armi. Uno dei feriti aveva testimoniato contro di lui

MILANO - Magari è solo una coincidenza, probabilmente lo è, magari invece no. Eppure anche se davvero fosse solo questo, in fondo, contiene quanto basta per dirla lunga assai su chi fosse Andrea Calderini. E cioè un uomo che, comunque sia, prima del drammatico ieri l' altro in cui ha ammazzato due persone, centrandone altre tre, quindi sparandosi a sua volta, aveva perlomeno «litigato» con così tanta gente che uno dei feriti da lui stesi «a casaccio», mentre passavano sotto il suo balcone, è risultato, infine, essere un vecchio teste d' accusa in un processo per lesioni intentato a suo carico anni fa. Processo finito in niente, con un risarcimento a chi lo aveva denunciato, così come tutte le querele - almeno tre - che Calderini aveva accumulato per il suo temperamento burrascoso: e che non gli hanno impedito, proprio per questo, di poter «regolarmente» detenere non solo l' arsenale di pistole e carabine di cui si era liberato di recente ma anche la Kimber calibro 45 con cui, invece, ha compiuto la strage. La dinamica dei fatti, ricostruita all' indomani, non chiarisce ancora tutto. Ma l' ipotesi più accreditata dal pm Marco Ghezzi e dalla Polizia dice in sostanza quanto segue. Calderini è in casa con la moglie Helietta Scalori. Non si sa per qual motivo, a un certo punto scende le scale e spara all' inquilina del primo piano, Stefania Guaraldi Vinassa De Regny, uccidendola sul colpo. Tornato in casa, scarica undici proiettili sulla moglie uccidendo anche lei. Si affaccia al balcone e continua a sparare all' impazzata: colpisce con la precisione di un cecchino Piero Toso, Giovanni Maurizio Litta Modignani e Daniela Zaniboni. Poi torna dentro e si ammazza. Sipario. Se davvero è andata così. Il fatto è che Piero Toso, 70 anni, non era per lui un passante come tanti. Perché in un passato non troppo lontano era stato citato dalla pubblica accusa a testimoniare contro di lui in un' aula di tribunale. Per una storia di querele e controquerele, tutte per fatti analoghi. Una delle tante in cui Calderini incappa almeno a

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partire dal ' 99, quando per un diverbio su un box aggredisce una coppia di portinai nel condominio in cui vivevano i suoi genitori. Loro denunciano lui, un mese dopo lui denuncia loro. Nella lite si inserisce quindi un vicino, un medico, che Calderini aggredisce a sua volta ricavandone un' ulteriore denuncia e poi una terza, quando lo investe con uno scooter: ed è proprio su queste ultime che, giunte nel 2000 in sede di contenzioso, verrà chiamato a testimoniare Toso. Una testimonianza, però, di cui alla fine non ci sarà bisogno: Calderini accetta di risarcire 18 milioni ai custodi, altri 3 al medico, e le querele vengono ritirate. Resta il fatto che la sua indole non conosce riposo. Nel novembre scorso è lui a chiamare una Volante per un diverbio con una prostituta. Venti giorni fa è un parrucchiere del vicinato a far intervenire la Polizia per sedare un violento litigio tra Calderini e due passanti. «Ancora di recente - racconta Marcello, il barista sotto casa - aveva minacciato con un bloccasterzo un tizio cui aveva appena ammaccato la macchina...». La svastica che portava tatuata sulla nuca, a questo punto, è solo un dettaglio che si aggiunge al racconto di Franco Romeo, il titolare dell' armeria presso la quale Calderini si riforniva da tempo senza risparmio: «Da me aveva comprato 5 o 6 pistole più una quindicina tra fucili da caccia e carabine, da un altro armaiolo di mia conoscenza altre due o tre pistole e sedici fucili...». Alla fine si era liberato di tutto, tranne di una pistola: che però gli è bastata. «Ci vuole un bel pelo sullo stomaco - sibila adesso con rabbia Ilaria Guaraldi, la figlia della vittima - per consentire a un uomo del genere di possedere delle armi». Eppure è così che è andata. Calderini, un patito del tiro a volo, aveva rinnovato la richiesta di licenza per il «possesso d' armi ad uso sportivo» nel dicembre scorso. E la sua pratica è passata proprio dal commissariato Fiera: esattamente lo stesso che negli anni precedenti aveva ricevuto anche le denunce a suo carico. Ma quelle denunce, come si è detto, erano finite in nulla: al casellario, sul conto di Andrea Calderini, non risultava più alcunché. Né alcun impedimento, malgrado le pastiglie che un neurologo gli prescriveva da tempo, risultava dal certificato medico allegato alla richiesta. Che in febbraio è stata puntualmente accolta. Paolo Foschini LA STRAGE. L' IRRUZIONE LA VICINA Alle 15.10 Andrea Calderini suona alla porta della vicina di casa, Stefania Vinassa de Regny, 65 anni. Quando lei apre la porta, l' uomo spara 8 colpi e la uccide I COLPI Quarantadue Calderini con la sua semiautomatica calibro 45 esplode 42 colpi prima di rivolgere l' arma contro se stesso e uccidersi. Alla moglie Helietta aveva sparato 11 volte, alla schiena e al torace I NOCS Alle 20.30 Gli

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uomini dei reparti speciali (foto) sono arrivati verso le 20.30. Solo verso l' una meno un quarto della notte hanno fatto irruzione nell' appartamento al terzo piano di via Carcano, senza usare esplosivo. Hanno trovato Helietta morta in bagno e Andrea nella camera da letto Foschini Paolo

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Corriere della Sera - e-dicola mercoledì, 7 maggio, 2003 REATI OMICIDI 011

Helietta, la ragazza che sognava di diventare una grande stilista

La giovane era andata via da Asigliano, nel Vicentino, dopo un amore tragico. La nonna: lunedì l' ho chiamata, il telefonino squillava a vuoto DAL NOSTRO INVIATO ASIGLIANO (Vicenza) - «Ciao Helietta, come va?». «Tranquillo papà, tutto bene. Più tardi ho appuntamento col dentista, sai, devo sistemare quel dente scheggiato. Ci sentiamo». Conversazione tra un padre amorevole e la figlia, studentessa a Milano. L' ultima. Lunedì mattina, alle 10, il dottor Guido Scalori, pediatra, vice primario dell' ospedale di Noventa Vicentina, mai avrebbe immaginato che quel giovanotto trentenne, sposato a Las Vegas, secondo il «rito americano», dalla minore delle sue due figliole, covasse mali oscuri, e tantomeno follie criminali. «Helietta in balia di Andrea impazzito? Helietta morta ammazzata?». Assurdo. Incredibile. Solo, nel soggiorno della sua casetta gialla di Asigliano, lunedì sera, il dottore, al telefono con un funzionario della Squadra mobile milanese, ha seguito, tra paura e speranza, il tragico epilogo di una sequenza di fuoco: la sua «bambina» a terra, uccisa da un numero spropositato di colpi di pistola. Non aveva ancora 22 anni, Helietta; li avrebbe compiuti il prossimo 21 giugno. Studiava design, voleva diventare stilista. Che dire di lei e della sua storia d' amore e di morte? Papà Scalori spiega agli inquirenti che la ragazza aveva conosciuto Andrea Calderini un anno fa, e lo scorso dicembre era andata a vivere con lui. «Mia figlia era serena, non ha mai manifestato timori, o apprensioni sul comportamento del suo compagno». Si racconta poco di Helietta, nel borgo di Asigliano, 917 abitanti, sul confine delle province di Vicenza e Verona. Il sindaco precisa che, all' anagrafe, non risulta sposata. Poi, aggiunge che lei e la sorella maggiore Lavinia (ora universitaria a Verona), prima che lasciassero il paese, frequentavano la Pro Loco ed erano ragazze buone e generose. Qualcuno ricorda, con discrezione, il grande dolore di Helietta adolescente: «Stava con Luca, un ragazzo di qui. Era un' intesa affettuosa; è durata fino a che lui è morto, all' improvviso». Mesi

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di sconvolgimento. Poi, la studentessa se ne va a Milano e ad Asigliano si fa vedere saltuariamente. E' sfocato il ricordo di Nicoletta Prozzo, madre di Lavinia e Helietta, moglie separata di Guido Scalori. «E' tornata a Mantova, la sua città. Le figlie sono state affidate al padre. Praticamente, le ha cresciute da solo». A Mantova, le famiglie dei genitori di Helietta sono conosciute. Borghesi, benestanti. Rintracciamo Maria Pisoni Prozzo, la nonna materna. «Vedevo di rado mia nipote - racconta - Ci sentivamo al telefono. Lunedì, l' ho chiamata a lungo, al cellulare. Squillava a vuoto. Adesso capisco il perché. Era già morta». «Ha sempre avuto la passione del disegno, fin da ragazzina - dice, trattenendo le lacrime - Dopo le medie, ha frequentato una scuola d' arte. Un mese fa è venuta a trovarmi. Affettuosa, carina. Mi ha detto che studiava a Milano, per entrare nel campo della moda». «Helietta, cara. Sa perché porta questo nome? Fu Nicoletta a deciderlo. Ispirata da un paio di orecchini di corallo, comprati mentre era incinta. "Sono firmati Helietta Caracciolo", le disse il gioielliere. E lei: "Fantastico! La mia bambina si chiamerà così"». Marisa Fumagalli Fumagalli Marisa

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Corriere della Sera - e-dicola mercoledì, 7 maggio, 2003 REATI OMICIDI 051

«Troppe armi in città, segnalate i casi sospetti» Il magistrato: l' intervento dei Nocs è stato lento. La sparatoria è partita da una lite per futili motivi «Bisogna segnalare le situazioni a rischio, si poteva fare di più per quel ragazzo» TERRORE IN CITTA' . LA RICOSTRUZIONE Con tre morti e tre feriti e 43 colpi sparati all' impazzata da un folle è stato difficile per la polizia e per il magistrato ricostruire quanto è accaduto in via Filippo Carcano, nel quartiere Fiera. Una tragedia culminata con l' intervento dei Nocs, il reparto speciale della Polizia. La Procura invita, per il futuro, a «denunciare i casi sospetti, sia per le situazioni a rischio che per la presenza di armi». IL FATTO - «Verosimilmente - è l' avverbio che Marco Ghezzi, il pm che per 10 ore filate ha seguito in diretta la tragedia, usa all' inizio del suo racconto - Andrea Calderini, 31 anni, ha avuto una lite per futili motivi con Stefania Vinassa de Regny, 65 anni, che abitava al primo piano. Non conosciamo però con esattezza la causa scatenante. Dal terzo piano scende, suona alla porta e le spara otto colpi, tre almeno vanno a segno. Calderini risale in casa e si barrica. A logica pensiamo che abbia ucciso subito la moglie Helietta Scalori, 21 anni, centrata alla schiena da 11 colpi in bagno. Esce sul balcone e fa fuoco con una Colt 45: prima centra con un proiettile a una gamba l' avvocato Gianni Maurizio Litta Modignani che sta passando in bici. Poi è la volta di Daniela Zaniboni, centrata alla spalla e alla schiena con due colpi mentre passava in scooter: è molto grave. Infine, tre colpi sono per Piero Toso, 70 anni, che abita lì vicino ferito al capo e alla spalla sinistra. Andrea Calderini rientra nel suo appartamento, va in camera da letto e si suicida con un colpo in testa. Alle 17, in accordo con il questore Boncoraglio, abbiamo chiesto l' intervento dei Nocs. Sono arrivati alle 20.20 e hanno operato all' una meno dieci». I DUBBI - Due poliziotti motociclisti presi di mira dal folle dicono di non averlo visto scappare. Qualcuno ipotizza che sia fuggito dai tetti. Nessuno sa dire se sia in casa solo o con la moglie. Ai cellulari nessuno risponde. LA POLEMICA - Ancora il pm Marco Ghezzi. «Qui lo dico e non lo nego: l' intervento dei Nocs è

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stato troppo lento. Sono d' accordo con il vicesindaco De Corato che ha chiesto un nucleo dei reparti speciali a Milano. Se Calderini era in casa con un ostaggio avremmo potuto aspettare sin quasi l' una?». E ancora: «Non sono uno specialista ma se si fosse utilizzata una telecamera a fibre ottiche avremmo subito visto chi c' era nell' appartamento». LA REPLICA - In diretta gli ha risposto il vice dirigente della Squadra mobile Fabio Bernardi: «Non era possibile usare la telecamera perché l' appartamento era blindato e protetto e i vetri erano doppi. Non c' era un punto accessibile dove poterla piazzare». IL TENTATIVO - Questore e magistrato hanno portato per due volte i genitori di Andrea Calderini davanti alla porta dell' appartamento nel tentativo di un colloquio. Non hanno mai ottenuto risposta. Solo alle 20.15, dalla Telecom, gli investigatori hanno avuto la ragionevole certezza che anche la moglie era nell' appartamento. LO PSICHIATRA - Andrea era affetto da sindrome ossessivo-compulsiva, arginata da farmaci come lo Zoloft. Aveva un basso livello di sopportazione delle frustrazioni e dello stress. Ma questo - non certificato da due referti medici - non gli ha impedito di ottenere la licenza per il tiro a volo. L' omicida non ha mai voluto andare in analisi. «Sulla limitazione del porto d' armi - ha detto il pm - bisogna fare ancora molto». I GENITORI - «Qui si apre una dolorosa parentesi - ha detto Ghezzi - i genitori avrebbero dovuto fare di più nei confronti di questo ragazzo». Andrea Calderini, che anni fa aveva subito un pauroso incidente stradale, aveva poi avuto un risarcimento miliardario. Aveva una Ferrari, una Porsche, una Smart e una potente moto Ducati e non lavorava. I VICINI - «Adesso tutti dicono che era un violento. In commissariato non c' è uno straccio di denuncia. Sarebbe stato auspicabile che chi sapeva lo avesse comunicato alla polizia». E in futuro? «Non voglio spingere alla delazione. Ma chi è a conoscenza di situazioni a rischio o di presenza di armi le segnali subito». Alberto Berticelli GLI INTERROGATIVI I ritardi 1 Uno dei punti critici sollevati dal magistrato che, assieme al questore Enzo Boncoraglio, ha seguito lo svolgersi dei fatti durante la giornata di lunedì è stato quello dei tempi. È mai possibile - si è chiesto il pm Marco Ghezzi - che i Nocs messi in allerta attorno alle 17 siano arrivati in via Carcano alle 20.20 ma abbiano operato solo all' una meno dieci? E se ci fossero stati ostaggi nell' appartamento? I Nocs 2 Il Nocs - Nucleo operativo centrale di sicurezza - è il corpo d' élite della Polizia che interviene in tutte quelle situazioni critiche legate alla criminalità e al terrorismo o quando ci sono situazioni ad alto rischio che richiedono l' intervento di specialisti. Hanno sede a Roma dove avviene l' addestramento. Il vicesindaco De Corato ha

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chiesto che siano spostati, in parte, a Milano: perché dovrebbero restare solo nella capitale? Il porto d' armi 3 «Sulle limitazioni del rilascio del porto d' armi c' è ancora molto da fare». Parola di magistrato. Andrea Calderini, l' assassino, sino al 16 aprile scorso aveva in casa un piccolo arsenale che ha dimostrato di sapere usare molto bene: tre pistole e un fucile a pompa. Poi ha venduto due pistole e il fucile e ha tenuto una Colt 45. «Se uno non ha pendenze e ha il certificato medico può ottenere il porto d' armi». Le denunce 4 Seppur senza denunce agli atti, Andrea Calderini era un rissoso, un attaccabrighe. Lo dimostrano le numerose querele che ha ricevuto da chi importunava o che ha fatto a sua volta. Molte sono state messe a tacere pagando. Per questo, per polizia e carabinieri, sul piano delle carte, è un emerito sconosciuto. Proprio giocando su questi aspetti (e su una scarsa informatizzazione che non permette di scambiare dati sulle denunce) Calderini ha ottenuto la licenza di tiro a volo. L' IDENTIKIT del killer CHI È Figlio di dirigente Andrea Calderini, 31 anni, figlio di un dirigente di una compagnia di assicurazioni abitava, con la moglie, al terzo piano di una palazzina in via Filippo Carcano 19 LE DENUNCE Minacce e offese Tra il ' 99 e il 2000 i vicini di casa avevano presentato tre denunce e un esposto contro Andrea Calderini per le sue continue offese e minacce L' EPILOGO L' omicidio-suicidio Quando i Nocs entrano nell' appartemento, scardinando la porta d' ingresso, trovano i corpi riversi di Andrea Calderini e di sua moglie, Helietta Scalori. Lei nel bagno e lui in camera da letto, disteso su un tappeto. Berticelli Alberto

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Corriere della Sera - e-dicola mercoledì, 7 maggio, 2003 REATI OMICIDI 011

«Mi aveva aggredito in strada e picchiato Andai dalla polizia»

MILANO - Un quartiere terrorizzato, dove chi incontrava «quel tipaccio dallo sguardo aguzzo e pieno di odio» cambiava marciapiede. Nelle palazzine quiete ed eleganti da via Carcano alla Fiera tutti lo ricordano, Andrea Calderini: «Senza amici, sempre cupo, in lotta con un nemico invisibile che forse stava solo nella sua testa. Ma come hanno fatto a dargli la possibilità di maneggiare una pistola?», la pistola del pomeriggio di fuoco. Le sue stranezze, ecco. «Che a ricordarle adesso sembra quasi di rinnovare l' incubo di trovarselo di fronte. O alle spalle. Non salutava mai. E se indugiavi con lo sguardo su di lui, ti fissava come se volesse incenerirti». Provocatore, solitario. «Ora biondo, poi rapato, un' altra volta con i capelli color carota». Un passato pieno d' ombre, da cui affiora la testimonianza di «uno stimato medico» che abita nella zona e preferisce mantenere l' anonimato. Lui, il medico, contro «quel pericoloso vicino di casa» ha presentato due denunce-querele e un esposto al commissariato Fiera di via Spinola, «lo stesso che deve valutare i requisiti per ottenere i permessi di detenere armi». Tutto parte nel febbraio 1999. Calderini ha un garage nel palazzo dove il medico abita da trent' anni. I box dei due sono vicini. Calderini è solito ammucchiare la spazzatura davanti al box di fianco. «Affissi un cartello: è maleducazione imbrattare le parti comuni del condominio». Scoppiò il finimondo. Calderini pensava ad un rimprovero dei custodi, marito e moglie, e li aggredì: «Lui fu selvaggiamente picchiato con pugni, calci e testate con il casco fino a perdere i sensi. Una pedata fratturò a lei il dito di una mano». Il medico fu richiamato dal trambusto e, una volta afferrato che era l' autore dal cartello sul box, venne insultato. Particolare inquietante: «Testimone dell' episodio fu Piero Toso, lunedì colpito e ridotto in fin di vita da Calderini». Il risultato? Una querela sporta dai due custodi il 28 febbraio 1999, a cui ne seguì, il 9 agosto, una del medico che si rifaceva all' episodio di febbraio, ma parlava di nuove ingiurie. L' 11

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agosto, il medico è al balcone: è il giorno dell' eclissi totale. Passa Calderini, gli grida: «Crepa!». Parte un esposto. «Poi, per qualche mese, quel tipo sembrò calmarsi». Un' illusione: «Portavo a passeggio i miei due cani in via Monte Bianco. Calderini mi affiancò con lo scooter, il casco in testa, e mi sputò addosso. Poi parcheggiò e mi fece cadere a terra. Mi ferii al naso». Il racconto è contenuto in una nuova denuncia presentata in via Spinola il 26 aprile 2000. Su questi fatti fu aperto un procedimento penale: una scrittura privata del 4 maggio 2001 portò alla remissione delle querele dei custodi e del medico, ai quali andò un risarcimento «per i danni morali e materiali subiti». Paolo Baldini IL CAMBIO DI ASPETTO Una volta era biondo, poi colore carota e anche rapato a zero. Sembrava irriconoscibile. Spariva per lunghi periodi e tornava più grasso I CUSTODI PESTATI Posava i rifiuti davanti al garage di fianco. Misi un cartello di protesta e lui credette che fosse dei custodi Li pestò IL GARAGE DELLE LITI Manomise la centralina mandando in tilt tutti i nostri telecomandi. E un' altra volta strisciò tutta la rampa d' accesso con la sua Bmw Baldini Paolo

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Corriere della Sera - e-dicola mercoledì, 7 maggio, 2003 VARIE 049

«Terrorizzava tutti, nessuno l' ha fermato» I vicini minacciati dal folle assassino: era un pericolo, non doveva avere le armi Il giorno dopo la strage di via Carcano si cerca nel passato di Andrea Calderini il motivo del raptus Una carneficina: quarantatré colpi di pistola dei quali 11 contro la moglie e 8 contro la vicina di casa. È stata una ricostruzione difficoltosa quella che hanno fatto gli uomini della Squadra mobile impegnati nelle indagini sui tre morti e i tre feriti di via Filippo Carcano, alla Fiera. Una quartiere che, il giorno dopo, scopre di aver vissuto nella paura. I punti fermi sono pochi. Un uomo - Andrea Calderini, 31 anni, ricco (ha una Ferrari, una Porsche, una Smart e una moto Ducati) ma rissoso e irascibile - che in un momento di follia scende dal suo appartamento del terzo piano al primo e ammazza una vicina. Poi risale in casa, fredda la moglie di 21 anni (sposata tre mesi fa a Las Vegas) sparandole alla schiena e si affaccia sul balcone con una Colt 45 in mano. Un' altra raffica di colpi che centrano tre passanti, due uomini e una donna. Due di loro sono ancora in gravi condizioni, la donna forse perderà l' uso delle gambe. È polemica anche sui Nocs arrivati da Roma e che hanno fatto irruzione nell' appartamento. «Troppo lento il loro intervento» ha detto il pm Enrico Ghezzi, «sono stati chiamati alle 17 e sono arrivati a Milano alle 20.20. Hanno agito alle 0.50». Dalla parte del magistrato il sindaco e il vicesindaco (De Corato ha presentato un' interpellanza parlamentare per chiedere che parte dei Nocs vengano stanziati a Milano). Ma i dubbi sollevati dal magistrato riguardano anche altri punti come la facilità con cui si rilascia il porto d' armi e l' assenza della famiglia nei controlli. E, ancora, un altro aspetto sconcertante: nonostante le querele per lesioni che hanno colpito Calderini ciò non ha impedito che gli fosse rilasciata la licenza di tiro al volo che gli ha permesso di detenere armi in casa. BERTICELLI a pagina 51

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Corriere della Sera - e-dicola mercoledì, 7 maggio, 2003 REATI OMICIDI 011

«Stava male, gli chiesi di vendere il suo arsenale» I poliziotti domandano a Sergio Calderini se l' omicida fosse stato sottoposto a trattamenti sanitari: «Mio figlio in cura obbligatoria? Mai»

MILANO - Stava sull' ultima rampa, a dieci gradini dalla porta chiusa, le avevano fatto indossare il giubbotto antiproiettile e lei continuava a ripetere «Andrea, Andrea ci sei?, perché fai così, non ci dare questo dispiacere», la voce ferma d' una rassegnazione che veniva da lontano. Quando le hanno detto che suo figlio era morto, che si era ucciso dopo aver ammazzato la moglie e una vicina, la signora Sandra non ha pianto, è rimasta in silenzio, non c' era più nulla da dire, «non potete capire». Il padre, Sergio, appariva più fragile. Sessantaquattro anni, grande manager, ha passato buona parte della sua vita a proteggere il figlio, cercare in qualche modo di averne cura, scusarsi coi vicini e pagare transazioni per evitare denunce. Però quando i poliziotti hanno chiesto a lui e alla moglie se il figlio aveva mai subito dei Tso, i «trattamenti sanitari obbligatori», hanno sbarrato gli occhi quasi fosse un' onta inconcepibile, come dovessero ancora difenderlo: «Nostro figlio? Mai». Certo, dopo un po' hanno spiegato che era in cura da un medico «e negli ultimi tempi stava un po' male», sarà per questo che il papà s' era cominciato a preoccupare, «gli avevo chiesto di vendere le sue armi», e alla fine l' aveva convinto solo in parte: a metà aprile Andrea si era liberato d' un fucile a pompa, una pistola e una rivoltella, ma in casa gli erano rimasti i coltelli, l' ascia appesa alla parete e la calibro 45 che ha scaricato l' altro pomeriggio, quarantadue colpi: tre morti e tre feriti. Eppure avevano lo sguardo incredulo, i genitori di Andrea, quasi la violenza fosse un evento impensabile, anche il medico aveva diagnosticato una «sindrome ossessivo compulsiva» che in teoria gli procurava un «basso livello di sopportazione delle frustrazioni e dello stress», nient' altro, in casa gli hanno trovato solo un antidepressivo. Andrea «stava male», punto. Per la verità il «livello di sopportazione» era bassissimo, gli scatti furiosi di

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Andrea andavano avanti da tempo e non era facile correre ai ripari. Le denunce e i racconti sono terrificanti. Anche la prostituta che lavora sotto casa dei genitori, un bel palazzo di cinque piani in via Desiderio da Settignano, poco distante dall' appartamento di Andrea, racconta della collega che viveva nel palazzo e si è dovuta trasferire, atterrita: «La minacciava, le scriveva "puttana" sulla porta, tirava le uova contro la macchina e la madre niente, anche lei non voleva perché era poco decoroso». Un vicino si ricorda di Andrea fin da piccolo, il ragazzino «che si divertiva a gettare dalla finestra fogli di carta incendiati» era diventato il diciottenne che girava con la Porsche, «gliel' avevano regalata dopo una delle sue liti furiose con il padre», il giovanotto che aveva massacrato di botte i custodi del palazzo dei genitori «e dopo due ore, ripulito, passeggiava tranquillamente lì davanti». Un giorno d' agosto, scrive in una lettera firmata, il vicino s' era trovato la porta di casa «distrutta a coltellate» ed era salito a protestare dalla mamma, «non poteva che essere stato Andrea, gli altri condomini erano tutti in ferie». La signora «difese il figlio, negò che si fosse recato da lei la sera prima, mi disse che non si capacitava del perché io e altre persone ce l' avessimo tanto con lui e mi tolse il saluto». Lo stesso signore ricevette due giorni dopo «una lettera che minacciava di morte mia figlia, allora tredicenne, mi recai dai carabinieri di zona e feci un esposto contro Andrea Calderini». Che l' autore fosse davvero lui o meno, non ha più importanza, l' essenziale è altro: chi lo incontrava aveva paura di quel ragazzo. Così i genitori avevano cercato di proteggerlo, dargli tutto, anche l' appartamento che occupa l' intero terzo piano più la mansarda della palazzina signorile di via Carcano. Si racconta che a scuola lo accompagnassero con l' autista, che continuasse a cambiare macchine costose e adesso meditasse di comperare una Ferrari. Nel frattempo aveva portato la sua ultima Porsche dal carrozziere. Aveva tutto ma «stava male», Andrea. Solo i genitori e la sorella sanno cosa hanno passato in questi anni. Qualcosa che doveva riguardare solo la famiglia. Sergio Calderini lo ha ripetuto anche ieri, «voi non sapete qual è la verità, non potete capire». Gian Guido Vecchi Vecchi Gian Guido

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Corriere della Sera - e-dicola mercoledì, 7 maggio, 2003 REATI OMICIDI 050

«Una serie di violenze, ci ha fatto sempre paura» Gli abitanti del quartiere raccontano gli ultimi mesi: aggressioni, martellate, minacce, muri macchiati di sangue I vicini: una volta ha gettato una bicicletta dal terzo piano Una pensionata: quando lo incrociavo cambiavo subito strada Folla di curiosi in via Carcano per vedere il luogo della tragedia

La follia. Sempre la follia. Solo la follia. Non si sente ripetere altro all' angolo tra via Filippo Carcano e via Mosè Bianchi. Dai conoscenti, dai vicini, dai curiosi. Perché nessuno sa dare un' altra spiegazione, se non la follia, a quel raptus omicida di un pomeriggio torrido ma uguale a tanti altri. Nessuno. Mentre tutti sapevano che Andrea Calderini, «quel giovane dagli strani comportamenti, proprio del tutto a posto non lo era», dice Giorgio Leoni, un ragazzo poco più che ventenne, tempestivo nel filmare gli attimi successivi alla sparatoria. Poco importa se gli esperti, come il sottosegretario alla Salute, Antonio Guidi, non accettano il collegamento tra malattia mentale e violenza, per poi spiegare che «questi raptus possono cogliere chiunque sia vittima di una sofferenza psicologica». Per gli abitanti del quartiere, a due passi dalla Fiera, Andrea Calderini «matto lo era davvero. E violento». Al punto che in molti «avevamo paura quando lo vedevamo», aggiunge la signora Maria, pensionata. Lei abita di fronte all' elegante palazzina dai mattoni a vista del civico 19 e quando lo incrociava «cambiavo strada». La follia, quindi. Solo così i vicini di casa del giovane riescono a giustificare anche i tanti episodi di aggressività e vendetta, che solo adesso sono disposti a raccontare. Il custode aggredito a pugni, le martellate al muro per protestare contro il rumore dell' impianto di riscaldamento, la bicicletta di un coinquilino gettata dal terrazzo del terzo piano, le immondizie lasciate davanti ai garage o lanciati sui balconi adiacenti. E le sue stranezze: come le parrucche che indossava, le ferite che si procurava lungo le scale, i muri macchiati di sangue, le svastiche e il marchio della Bestia dell' Anticristo, il numero 666 che non si era impresso «sulla mano destra o in testa», ma che aveva scelto per

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identificare il campanello del suo appartamento. Episodi di cui Sergio Calderini, padre di Andrea, non vuole neppur sentir parlare, quando per un attimo incrocia giornalisti e telecamere di fronte al suo palazzo di via Desiderio da Settignano: «Non sapete quello che è successo. E non devo spiegarlo a voi, ma alla polizia». Anche qui, dove Andrea ha abitato sino a una decina di anni fa, prima di trasferirsi, sono in molti a ricordarsi «di quel giovane dai modi violenti: rissoso, irascibile, violento. L' esatto contrario del resto della famiglia», tagliano corto due coniugi pensionati che preferiscono restare anonimi. Gli stessi ricordi che si sentono in continuazione in via Carcano. Dove continuo è anche il passaggio di curiosi: «Non ho mai visto così tanta gente in questa strada come adesso», sottolinea Giorgio, che abita poco distante, in via Vodice. Così come mai «in passato ci sono stati simili fatti di violenza». «E' una zona tranquilla», conferma Paola, studentessa universitaria. «Sino a ora», si affretta ad aggiungere indicando i tanti cerchi di gesso. Macchie bianche sull' asfalto che rievocano la pioggia di pallottole di ventiquattro ore prima. «Ma lo sapevo che quell' Andrea aveva qualcosa che non andava. Lo si leggeva negli occhi. Lo sapevamo tutti, ma nessuno ha fatto nulla». Davide Gorni Dieci ore di terrore LA SPARATORIA L' ultima pallottola Lunedì pomeriggio, alle 15.10, Andrea Calderini, 31 anni, inizia a premere il grilletto della sua semiautomatica calibro 45. Esplode 43 colpi in tre riprese. Spara dal suo balcone al terzo piano di via Carcano 19, all' angolo con via Mosè Bianchi, in zona Fiera. Dopo aver ucciso una vicina di casa, ferisce tre passanti. Poi, le ultime pallottole sono per sua moglie e per se stesso IL BILANCIO I morti e i passanti feriti I feriti sono Piero Toso, 70 anni, ex top manager in pensione, colpito alla spalla e alla testa; Daniela Zaniboni, 41 anni, logopedista, centrata alla spalla e alla schiena; Giovanni Maurizio Litta Modignani, 53 anni, ferito a una gamba (nella foto a destra). I morti sono Stefania Vinassa de Regny, 65 anni, la moglie del folle, Helietta Scalori, 21 anni, e Andrea Calderini, 31 anni, l' omicida-suicida L' ASSEDIO La trattativa impossibile Dopo la folle sparatoria, il silenzio. Per oltre tre ore il questore, Enzo Boncoraglio, ha tentato di parlare con Andrea Calderini per chiedergli di arrendersi. Ma dall' abitazione dell' uomo nessun rumore e nessuna risposta. Calderini, dopo aver crivellato di colpi la moglie, colpendola con undici pallottole alla schiena, si era tolto la vita nella camera da letto, sparandosi in bocca L' INTERVENTO Arrivano i nuclei speciali Alle 17 i Nocs, il nucleo operativo centrale della Polizia specializzato in situazioni critiche, viene messo in preallarme. Alle 20.20, dalla sede di Roma,

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arrivano a Milano. Dopo i sopralluoghi, le ricognizioni e un briefing con il questore e il magistrato, i «rambo» (nella foto a sinistra) passano all' azione. Alla una meno dieci, irrompono nell' appartamento Gorni Davide

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Corriere della Sera - e-dicola giovedì, 8 maggio, 2003 REATI OMICIDI 051

Ha sparato alla moglie, poi ha cercato la strage Nuova ricostruzione del pomeriggio di follia. Il magistrato: i genitori avrebbero dovuto fare di più

Un' inchiesta della Questura tra i commissariati per verificare se la strage di via Carcano poteva essere evitata: o meglio se, in altre parole, qualche controllo un po' più rigoroso avrebbe potuto almeno impedire a un tizio violento come Andrea Calderini di possedere legittimamente l' arma con cui lunedì scorso, prima di spararsi, ha fatto in tempo a trucidare due persone ferendone altre tre. È il questore Enzo Boncoraglio a confermarlo, pur precisando ancora una volta che «allo stato non risulta in alcun modo nessuna violazione delle procedure». Anzi, ribadisce: il rinnovo della licenza di possesso d' armi per uso sportivo, richiesto da Calderini lo scorso dicembre presso il commissariato Fiera, non ha incontrato nessun intoppo formale proprio perché le querele per lesioni e minacce sporte a suo carico in passato erano poi state ritirate in seguito a risarcimenti dei danni provocati. Resta il fatto che la gente del quartiere sostiene di aver chiesto in più occasioni, proprio a causa del carattere rissoso del soggetto, l' intervento degli agenti: possibile che di tutte quelle «uscite» non sia rimasta traccia? E che nessuno ne abbia tenuto conto al momento di concedere a Calderini il nulla osta? «Faremo tutte le verifiche del caso - spiega il questore - e se ci sono state leggerezze le faremo emergere». Anche se non sarà un lavoro semplice, così come - va detto - non è affatto né automatico né ovvio il collegamento fra un intervento della polizia per sedare una lite, ad esempio, e le persone che vi sono coinvolte: le cui generalità in molti casi - come quando la lite si ricompone sul posto - possono anche non essere rilevate. Le verifiche tra i commissariati sono comunque in corso. Mentre i carabinieri hanno già reso noto che nei loro archivi, a carico di Calderini Andrea, non risulta in effetti assolutamente nulla. Formalmente, a parte quelle famose querele, dal suo passato emergono solo il furto di un disco in un negozio di cd, nel ' 97, e una stecca di sigarette non denunciate, l' anno dopo, al

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rientro dalla Svizzera. Naturalmente, potrà ora avere un qualche peso, giusto ai fini della ricostruzione esatta del suo ultimo raptus e della molla che l' ha fatto scattare, la testimonianza del suo amico Gianluca: quello cui pare Calderini avesse confidato in più occasioni che «se mia moglie mi lascia ammazzo lei poi anche me». Il che sarebbe compatibile con la successione degli eventi ricavabile dalla sequenza degli spari descritta ieri da una vicina: in base alla quale l' uomo, magari al culmine di un diverbio, avrebbe fatto fuoco dapprima su sua moglie Helietta Scalori, morta con undici colpi addosso, per poi scendere le scale ammazzando a bruciapelo Stefania Guaraldi Vinassa de Regny, sul pianerottolo del primo piano, tornando infine in casa sua, al terzo, per mettersi a sparare dal balcone sui passanti, ferendone tre prima di uccidersi a sua volta. Quale che sia stata la dinamica dei fatti, però, a non spostarsi di un millimetro è la polemica sulla circostanza che in fin dei conti li ha consentiti: il «regolare» possesso di quella calibro 45 (più altre pistole e una quantità di fucili, fino a poche settimane fa) da parte di un uomo d' indole almeno sopra le righe. «È scandaloso - ha ripetuto ieri Ilaria Guaraldi, la figlia della vittima - che uno così avesse un' arma». Autorizzata solo per il tiro a segno, d' accordo. E Guido Carrer, il presidente del poligono in cui Calderini era andato a esercitarsi una decina di volte negli ultimi tre mesi, ci tiene a precisare: «Qui nessuno se lo ricorda, non si era mai fatto notare. D' altronde, i nostri controlli sono severi, se avesse avuto un comportamento anomalo sarebbe stato allontanato». «La verità - conclude il pm Marco Ghezzi, titolare delle indagini - è che, purtroppo, i casi simili sono forse centinaia: persone che di fatto hanno un sacco di problemi ma sul conto delle quali, da un punto di vista formale, non "risultano" motivi per revocar loro il porto d' armi». Dunque? «Nel caso specifico io credo - conclude il magistrato - che i genitori di Calderini, pur avendolo già convinto a vendere quasi tutte le armi che aveva, avrebbero potuto fare di più: per esempio, segnalando che aveva ancora una pistola e i suoi problemi di carattere. Più in generale, dico che il porto d' armi, nel nostro Paese, andrebbe drasticamente limitato. Anche quello per l' autodifesa». Alberto Berticelli Paolo Foschini LE FASI della tragedia LA SPARATORIA Le vittime Alle 15,10 di lunedì Andrea Calderini, 31 anni, preme il grilletto della sua calibro 45. Spara dal balcone al terzo piano di via Carcano 19, zona Fiera. Esplode 43 colpi in più riprese. La prima vittima è la moglie, poi Calderini uccide una vicina di casa, Stefania Vinassa de Regny, 65 anni. Le autopsie saranno effettuate domani mattina I FERITI Ancora gravi Sono tre: il più grave è Piero

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Toso, 70 anni, manager in pensione, colpito a una spalla e alla testa, le cui condizioni sono stabili; poi Daniela Zaniboni, 41 anni, logopedista, centrata alla spalla e alla schiena; e l' avvocato Giovanni Maurizio Litta Modignani, 53 anni, ferito a una gamba L' ASSEDIO Irruzione notturna Dopo la sparatoria, le forze dell' ordine accorrono in via Carcano. Il questore Enzo Boncoraglio tenta di stabilire una trattativa con Calderini. Alle 20,20, dalla sede di Roma arrivano a Milano i Nocs. Quando fanno irruzione, trovano i corpi senza vita di Calderini e della moglie 43 Il totale dei colpi sparati in tre riprese da Calderini che ha ucciso due persone e ferite tre prima di ammazzarsi Berticelli Alberto

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Corriere della Sera - e-dicola giovedì, 8 maggio, 2003 ARMI 015

«Chi ha il porto d' armi torni a farsi visitare» Il piano del Viminale: doppio controllo ogni anno Il giro di vite dopo il duplice omicidio di Milano ROMA - Visite mediche periodiche per accertare l' idoneità all' uso delle armi e revisione di tutte le licenze rilasciate. Dopo le stragi di Aci Castello e di Milano, il Viminale richiama prefetti e questori «a verificare con la massima attenzione i requisiti psico-fisici di coloro che chiedono il rilascio del porto d' armi e il nulla osta alla detenzione di pistole e fucili», ma anche di chi è già in possesso delle licenze. E' questa la novità inserita in una circolare che i tecnici del dipartimento stanno preparando e che dovrebbe essere firmata questa mattina dal capo della polizia, Gianni De Gennaro. Mentre l' opposizione invoca una nuova legge che imponga limitazione ferree, il ministero dell' Interno interviene per via amministrativa e decide «una revisione delle licenze». L' idea è quella di imporre a chi ha un permesso pluriennale e da oltre dodici mesi non è stato sottoposto a verifica attitudinale, l' esibizione di un nuovo certificato rilasciato del medico di famiglia che deve essere poi «convalidato» dai sanitari dell' esercito, della polizia e del ministero dei Trasporti, gli unici abilitati a compilare la relazione finale di idoneità. Due giorni fa al Viminale è stata convocata una riunione tecnica alla quale hanno partecipato gli esperti delle armi per fornire suggerimenti e pareri. Tutti sono stati concordi sulla necessità di imporre regole ferree, ma senza modifiche sostanziali perché in questo caso si rende necessario un intervento legislativo che ha ovviamente tempi molto più lunghi. Per questo alla fine si è deciso di intervenire in maniera efficace sulla verifica delle certificazioni mediche. A suggerire una «drastica limitazione senza però creare uno stato di polizia» è stato ieri anche il pubblico ministero di Milano Marco Ghezzi, titolare dell' inchiesta sul massacro compiuto da Andrea Calderini. «Le armi - spiega - sono oggetti pericolosi e non si può permettere a tutti di possederli se non in casi eccezionali come per esempio gli orefici: naturalmente anche loro devono essere sottoposti a una serie di controlli. Inoltre, in deroga al diritto-dovere di

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segretezza professionale, sarebbe necessario introdurre l' obbligo per gli psichiatri e gli psicologi di segnalare all' autorità di polizia tutte le persone con problemi di aggressività consentendo di compiere verifiche incrociate per accertare se tali persone hanno il porto d' armi». D' accordo il prefetto Bruno Ferrante secondo il quale «potrebbe essere utile una riflessione sulle norme, ma non bisogna dimenticare che si è trattato del gesto di una persona squilibrata che ha perso il controllo di sé e che questi comportamenti «sono purtroppo imprevedibili». Domani mattina saranno compiute le autopsie sulle vittime di Calderini, ma la squadra mobile ha già compiuto una prima ricostruzione di quanto potrebbe essere avvenuto lunedì in via Carcano. Gli investigatori sembrano certi che la prima a morire sia stata la giovane moglie Helietta Scalori, probabilmente uccisa dopo una lite. A questo punto l' uomo esce, scende le scale e incontra Stefania Vinassa De Gregny, la vicina uscita sul pianerottolo dopo aver sentito i numerosi spari. La ammazza con otto colpi, poi ritorna in casa e si accanisce contro i passanti. Ne ferisce tre. Soltanto allora rivolge la pistola verso di sé e si suicida. L' ultimo atto di un pomeriggio di tragica follia. Fiorenza Sarzanini VIA CARCANO Gli spari Nel primo pomeriggio di lunedì scorso Andrea Calderini, 31 anni, ha ucciso a colpi di pistola la moglie, una vicina di casa e poi ha cominciato a sparare ai passanti per la strada e dalla finestra di casa sua, ferendo 3 persone, di cui 2 in modo grave I NOCS L' irruzione Dopo ore di terrore i Nocs, corpi speciali della polizia, hanno fatto irruzione nell' appartamento scoprendo che l' uomo si era tolto la vita L' OMICIDA I problemi psichici Calderini era noto nel quartiere come «il matto». Da tempo terrorizzava il vicinato con ripetuti episodi di violenza. Era stato denunciato ed era in cura da un neurologo. Ma malgrado tutto questi era in possesso di un regolare porto d' armi LA DISPUTA Le armi Dopo questo episodio in Italia è scoppiata la polemica sulla concessione delle licenze di porto d' armi. Ora il Viminale intende introdurre controlli più severi e ravvicinati nel tempo per chiunque ne abbia una Sarzanini Fiorenza

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Corriere della Sera - e-dicola giovedì, 8 maggio, 2003 REATI OMICIDI 015

Nocs: un' ora per trovare l' aereo, poi scalo a Pisa

Allarme alle 16.30, arrivo 225 minuti dopo. E il volo si ferma per cambiare equipaggio ROMA - Un' ora per trovare un aereo, poi il decollo seguito da una «sosta tecnica» a Pisa. E l' arrivo a Milano quattro ore dopo il primo allarme, mentre proseguiva l' assedio intorno all' appartamento di Calderini. Una lunga attesa, con gli uomini del Nocs pronti a partire ma nessun velivolo disponibile a trasportarli. Al Viminale fanno di tutto: chiamano l' Aeronautica militare, viene contattato persino il Cai, la flotta di jet utilizzata dai servizi segreti. Ma per più di 60 minuti non ci sono aerei. Da Milano il questore e il magistrato continuano a chiamare. E quando alle 18 l' aviazione militare mette a disposizione un aereo, bisogna però prima raggiungere la base di Pratica di Mare e poi fare scalo a Pisa per cambiare equipaggio. L' irruzione scatta solo alle 23.50: 440 minuti dopo l' allerta. La ricostruzione del viaggio del nucleo speciale da Roma a Milano sembra destinata ad accendere nuove polemiche. Il sindaco Albertini e il presidente della provincia Colli hanno chiesto di dislocare squadre di intervento anche nel capoluogo lombardo. E ieri il vicesindaco De Corato ha presentato un' interrogazione al ministro Pisanu: «Bisogna riorganizzare il servizio per fare sì che si possa intervenire tempestivamente ed evitare che episodi come quello di lunedì». Lunedì il questore Boncoraglio arriva in via Carcano alle 16.15. C' è anche il pm. Un quarto d' ora dopo vengono preallertati i Nocs e alle 17 parte la richiesta ufficiale di intervento. A Roma il comandante del nucleo speciale si mette in contatto con l' Aeronautica per sapere quali mezzi ci siano a disposizione. La polizia infatti non ha aerei. Viene consultato anche il Cai: invano. Solo alle 18 dall' Arma azzurra arriva il via libera: un velivolo militare è pronto a partire, ma deve fare scalo a Pisa per il cambio dell' equipaggio. Una trentina di agenti partono per la missione. Alle 18.30 decollano da Pratica di Mare. Tre quarti d' ora dopo, scalo tecnico in Toscana. Poi nuovo decollo verso Milano. Alle 20.15 sono a Linate.

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Quando arrivano in via Carcano hanno già a disposizione le piantine del palazzo e tutte le coordinate tecniche fornite dalla questura. C' è una prima consultazione con il questore e con il pubblico ministero. Mentre si posizionano i tiratori scelti, il comandante individua le possibili vie di ingresso nell' appartamento di Calderini. L' emergenza sembra comunque terminata. Da ore l' uomo ha smesso di sparare, dalla casa non arriva alcun rumore. Il comandante impartisce disposizioni ai suoi uomini. Alle 23.50 comincia l' irruzione. «Troppo tardi», accusano gli amministratori locali. La soluzione potrebbe essere quella di creare «gruppi speciali» nelle metropoli. «Rispetto agli operatori ordinari - propone Giovanni Aliquò, segretario dell' Associazione funzionari di polizia - questi nuclei avrebbero un più alto livello di addestramento per azioni a rischio». F.Sar. L' ALLARME Da Milano parte la richiesta per l' intervento dei Nocs. Il reparto non ha aerei a disposizione e comincia la ricerca di un mezzo VIA LIBERA Un velivolo militare è pronto a partire da Pratica di Mare, ma deve fare uno scalo tecnico a Pisa per il cambio di equipaggio IL DECOLLO Il velivolo decolla come previsto. Alle 20.15, dopo lo scalo tecnico a Pisa, i trenta uomini del Nocs atterrano a Linate L' IRRUZIONE I Nocs fanno irruzione nell' appartamento in via Carcano dopo aver studiato le cartine e consultato il questore Sarzanini Fiorenza

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Corriere della Sera - e-dicola giovedì, 8 maggio, 2003 REATI OMICIDI 051

Ha sparato alla moglie, poi ha cercato la strage Nuova ricostruzione del pomeriggio di follia. Il magistrato: i genitori avrebbero dovuto fare di più

Un' inchiesta della Questura tra i commissariati per verificare se la strage di via Carcano poteva essere evitata: o meglio se, in altre parole, qualche controllo un po' più rigoroso avrebbe potuto almeno impedire a un tizio violento come Andrea Calderini di possedere legittimamente l' arma con cui lunedì scorso, prima di spararsi, ha fatto in tempo a trucidare due persone ferendone altre tre. È il questore Enzo Boncoraglio a confermarlo, pur precisando ancora una volta che «allo stato non risulta in alcun modo nessuna violazione delle procedure». Anzi, ribadisce: il rinnovo della licenza di possesso d' armi per uso sportivo, richiesto da Calderini lo scorso dicembre presso il commissariato Fiera, non ha incontrato nessun intoppo formale proprio perché le querele per lesioni e minacce sporte a suo carico in passato erano poi state ritirate in seguito a risarcimenti dei danni provocati. Resta il fatto che la gente del quartiere sostiene di aver chiesto in più occasioni, proprio a causa del carattere rissoso del soggetto, l' intervento degli agenti: possibile che di tutte quelle «uscite» non sia rimasta traccia? E che nessuno ne abbia tenuto conto al momento di concedere a Calderini il nulla osta? «Faremo tutte le verifiche del caso - spiega il questore - e se ci sono state leggerezze le faremo emergere». Anche se non sarà un lavoro semplice, così come - va detto - non è affatto né automatico né ovvio il collegamento fra un intervento della polizia per sedare una lite, ad esempio, e le persone che vi sono coinvolte: le cui generalità in molti casi - come quando la lite si ricompone sul posto - possono anche non essere rilevate. Le verifiche tra i commissariati sono comunque in corso. Mentre i carabinieri hanno già reso noto che nei loro archivi, a carico di Calderini Andrea, non risulta in effetti assolutamente nulla. Formalmente, a parte quelle famose querele, dal suo passato emergono solo il furto di un disco in un negozio di cd, nel ' 97, e una stecca di sigarette non denunciate, l' anno dopo, al

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rientro dalla Svizzera. Naturalmente, potrà ora avere un qualche peso, giusto ai fini della ricostruzione esatta del suo ultimo raptus e della molla che l' ha fatto scattare, la testimonianza del suo amico Gianluca: quello cui pare Calderini avesse confidato in più occasioni che «se mia moglie mi lascia ammazzo lei poi anche me». Il che sarebbe compatibile con la successione degli eventi ricavabile dalla sequenza degli spari descritta ieri da una vicina: in base alla quale l' uomo, magari al culmine di un diverbio, avrebbe fatto fuoco dapprima su sua moglie Helietta Scalori, morta con undici colpi addosso, per poi scendere le scale ammazzando a bruciapelo Stefania Guaraldi Vinassa de Regny, sul pianerottolo del primo piano, tornando infine in casa sua, al terzo, per mettersi a sparare dal balcone sui passanti, ferendone tre prima di uccidersi a sua volta. Quale che sia stata la dinamica dei fatti, però, a non spostarsi di un millimetro è la polemica sulla circostanza che in fin dei conti li ha consentiti: il «regolare» possesso di quella calibro 45 (più altre pistole e una quantità di fucili, fino a poche settimane fa) da parte di un uomo d' indole almeno sopra le righe. «È scandaloso - ha ripetuto ieri Ilaria Guaraldi, la figlia della vittima - che uno così avesse un' arma». Autorizzata solo per il tiro a segno, d' accordo. E Guido Carrer, il presidente del poligono in cui Calderini era andato a esercitarsi una decina di volte negli ultimi tre mesi, ci tiene a precisare: «Qui nessuno se lo ricorda, non si era mai fatto notare. D' altronde, i nostri controlli sono severi, se avesse avuto un comportamento anomalo sarebbe stato allontanato». «La verità - conclude il pm Marco Ghezzi, titolare delle indagini - è che, purtroppo, i casi simili sono forse centinaia: persone che di fatto hanno un sacco di problemi ma sul conto delle quali, da un punto di vista formale, non "risultano" motivi per revocar loro il porto d' armi». Dunque? «Nel caso specifico io credo - conclude il magistrato - che i genitori di Calderini, pur avendolo già convinto a vendere quasi tutte le armi che aveva, avrebbero potuto fare di più: per esempio, segnalando che aveva ancora una pistola e i suoi problemi di carattere. Più in generale, dico che il porto d' armi, nel nostro Paese, andrebbe drasticamente limitato. Anche quello per l' autodifesa». Alberto Berticelli Paolo Foschini LE FASI della tragedia LA SPARATORIA Le vittime Alle 15,10 di lunedì Andrea Calderini, 31 anni, preme il grilletto della sua calibro 45. Spara dal balcone al terzo piano di via Carcano 19, zona Fiera. Esplode 43 colpi in più riprese. La prima vittima è la moglie, poi Calderini uccide una vicina di casa, Stefania Vinassa de Regny, 65 anni. Le autopsie saranno effettuate domani mattina I FERITI Ancora gravi Sono tre: il più grave è Piero

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Toso, 70 anni, manager in pensione, colpito a una spalla e alla testa, le cui condizioni sono stabili; poi Daniela Zaniboni, 41 anni, logopedista, centrata alla spalla e alla schiena; e l' avvocato Giovanni Maurizio Litta Modignani, 53 anni, ferito a una gamba L' ASSEDIO Irruzione notturna Dopo la sparatoria, le forze dell' ordine accorrono in via Carcano. Il questore Enzo Boncoraglio tenta di stabilire una trattativa con Calderini. Alle 20,20, dalla sede di Roma arrivano a Milano i Nocs. Quando fanno irruzione, trovano i corpi senza vita di Calderini e della moglie 43 Il totale dei colpi sparati in tre riprese da Calderini che ha ucciso due persone e ferite tre prima di ammazzarsi Berticelli Alberto

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Corriere della Sera - e-dicola giovedì, 8 maggio, 2003 REATI OMICIDI 015

L' ultima confessione: se mi lascia la uccido e mi ammazzo «Spendeva molto, la colpa è di chi gli ha lasciato l' arsenale» Gianni, 29 anni: aveva già messo in cantiere quel delitto A UN AMICO MILANO - «Se mia moglie mi lascia, la uccido e dopo mi ammazzo». Solo una frase, di quelle che si sentono spesso quando si parla di donne e tradimenti. Ma nel caso di Andrea Calderini «niente può accadere per caso o per pura follia». Ne è convinto Gianni, 29 anni, un amico milanese con il quale nell' ultimo anno l' omicida ha diviso la passione per moto, auto sportive e serate in discoteca. «Ricordo che era venuto a parlare di auto, ma poi abbiamo cominciato a discutere di corna; Andrea si era sposato da poco, ma continuava a fare la vita di prima: usciva con gli amici, frequentava prostitute di lusso, lasciava a casa la moglie Helietta. Gli feci notare che lei poteva stancarsi e mollarlo. E lui pronto: "Se mi lascia, la uccido e dopo mi ammazzo». Una frase banale, ma per Gianni è la chiave di lettura della tragedia di via Carcano. «Andrea è sempre stato coerente, preciso, quello che diceva faceva, non parlava mai a caso. Cosa è successo lunedì? Per me ha litigato con Helietta, che forse non sopportava più le sue uscite notturne, lei gli ha detto che non ne voleva più sapere, così Andrea l' ha ammazzata, come probabilmente aveva già messo in cantiere». Undici colpi alla schiena e al torace per la moglie sposata a Las Vegas nel mese di marzo: un matrimonio d' amore, ma non di ostacolo agli svaghi di Andrea. «Prima di partire mi ha inviato un messaggino dall' aeroporto: "Riuscirò a essere fedele? non credo", io ho riso, ma sapevo che non era solo una battuta». Intanto sul monitor del computer Gianni mostra le immagini delle nozze americane: pantaloni e camicetta bianca per Helietta, completo scuro alla moda per Andrea, ravvivato da scarpe «pezzate» di vari colori. Oltre una decina di scatti, dalla camminata per arrivare all' altare, fino allo scambio degli anelli, poi il bacio e l' abbraccio finale. Gianni osserva in silenzio, lo sguardo incollato allo schermo, poi riprende a voce bassa: «Era felice, mi ha inviato anche le foto della Viper rossa che aveva noleggiato, era felice...». Dieci giorni

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di vacanza, poi il ritorno a Milano. «Andrea è passato di qua, tranquillo, sereno, siamo stati a cena insieme, l' ho presentato ad altre persone, non ci sono stati problemi come sempre da quando lo conosco». Niente scatti d' ira, episodi di violenza, manifestazioni di insofferenza o frustrazione. Per Gianni e il suo giro legato al mondo dei raduni e dei Forum sulle auto sportive, Andrea Calderini è una persona «originale, eccentrica, dai gusti raffinati e colti, amante delle belle cose, pronto alla battuta, mai aggressivo o arrogante». La sua passione per le armi, la collezione di coltelli e pistole custodita nel suo appartamento non sono un mistero, ma neppure un dramma. Tra le conoscenze di Gianni, Andrea non è il solo ad avere questi interessi. Ma a legarli sono soprattutto le auto. E in particolare le Ferrari. «Da poco si era convertito alle Ferrari, due settimane fa ne aveva ritirato un nuovo modello, era subito corso qui per farmela vedere. Mi si è presentato in tuta rossa, era contentissimo della scelta e quasi rinnegava l' amore per le Porsche». Auto costose, ma anche abiti di lusso, orologi da collezione, sigari pregiati, grandi etichette. Lo stile di vita di Andrea è al di sopra delle righe, ma gli amici non si meravigliano. «Era benestante, spendeva quello che aveva - sottolinea Gianni - diceva di attingere da una consistente eredità oltre al risarcimento ottenuto dopo un gravissimo incidente stradale per il quale era rimasto in coma due mesi». Andrea spende e spande; agli amici, vecchi e nuovi, ostenta viaggi, vestiti all' ultimo grido, monili preziosi. «Sono un miracolato - ama ripetere -, ho rischiato di morire, e ora io mi godo la vita». Una vita senza risparmiare né soldi né energie. Fino a lunedì. E Gianni non si rassegna: «Andrea ha agito secondo coerenza, ma non era un mostro, né aveva colpe: ha sbagliato chi gli ha lasciato le armi. Senza le pistole in casa, sarebbe andata diversamente». Incredulità fra gli amici del Forum su Internet. Ma non vale per tutti. Mette da parte la solidarietà un appassionato di auto che chiede l' anonimato: «L' ho conosciuto a un raduno a dicembre, era educato, ma con una pistola nella giacca e un fucile in auto. Poi ho saputo che era stato espulso dal Forum sulle Porsche per aver minacciato di morte i gestori». Grazia Maria Mottola [email protected] Mottola Grazia Maria

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Corriere della Sera - e-dicola domenica, 11 maggio, 2003 REATI OMICIDI 050

«Andrea era armato perché aveva paura» Gli inquirenti sentiranno i medici che hanno firmato i certificati di buona salute LA TRAGEDIA «Quel giorno mi aveva chiamato, era appena tornato da Montecarlo, lo sentivo tranquillo, contento». Poche ore prima di uccidere la moglie Helietta, la vicina di casa e se stesso, Andrea Calderini telefona al suo migliore amico, Fabrizio C., 28 anni, commercialista. «Non riesco a credere a quello che è successo, sento ancora la sua voce che mi chiede se ho ricevuto le foto delle macchine, che mi spiega un nuovo programma informatico, che mi racconta quanto si era divertito». Quattro giorni in Costa Azzurra, fra ristoranti e vetture di lusso, in compagnia della moglie Helietta: il massimo che Andrea può desiderare nel «paradiso degli amanti delle auto», come lui stesso definiva Montecarlo. Poi l' ultima telefonata all' amico del cuore, che Andrea chiamava «fratello». «Era il mio punto di riferimento e io per lui, anche se ci siamo conosciuti meno di un anno fa». Una frequentazione intensa, fatta di telefonate giornaliere, incontri settimanali, uscite con le rispettive donne. Una conoscenza iniziata via Internet, grazie all' iniziativa di Fabrizio. A unirli ancora affinità di tipo automobilistico. «Come Andrea, anch' io ho una Porsche, un giorno ho organizzato una gita in auto, lanciando l' idea nel forum, lui accettò e così ci incontrammo». Una domenica insieme, alla quale seguono altri appuntamenti, serate nei locali, fino a incontri più confidenziali. «Siamo diventati amici, mi ha fatto conoscere il suo mondo ricco di passioni, come storia, politica, collezionismo». Andrea sfoggia una cultura poliedrica che spazia dalla filosofia (grazie alla laurea) a nozioni su orologi, sigari, grandi vini, viaggi. E armi. «Me le aveva mostrate, ma io gli dissi che mi facevano paura. Ma anche lui aveva paura, diceva che Milano non era sicura». Andrea va a sparare al poligono, rinnova il porto d' armi, ma non mostra atteggiamenti strani. Poi arriva il matrimonio. «Lo aveva organizzato alla perfezione, insieme a Heli, avevano scelto di andare a Las Vegas, per avere un matrimonio solo per loro due: non erano cattolici e

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odiavano le formalità». Nozze sincere, un rapporto profondo che apparentemente non rivela problemi. «Lui era legatissimo a Helietta, quando lei andava a trovare i familiari, Andrea ne sentiva la mancanza, e mi chiedeva di uscire». Intanto, Andrea pensa al futuro e chiede a Fabrizio di aiutarlo ad avviare un' attività. Il suo sogno: aprire un locale, con bar e ristorante. «Gli avevo trovato un socio, ma non si erano ancora incontrati». Progetti alimentati anche dalle pressioni paterne che Andrea condivideva. «Amava suo padre, me ne parlava con grande rispetto». L' ultimo ricordo insieme risale a Pasqua, nella casa di campagna di Fabrizio. Con pranzo in famiglia, nuove conoscenze, battute. Una domenica felice. Nei prossimi giorni, gli investigatori sentiranno i medici che hanno rilasciato ad Andrea i certificati di buona salute per il rinnovo del porto d' armi. Grazia Maria Mottola [email protected] La scheda LE VITTIME Lunedì scorso verso le 15.10 Andrea Calderini uccide la moglie, una vicina di casa, poi ferisce tre persone, infine si suicida GLI AMICI Secondo gli amici, Andrea non ha mai avuto comportamenti violenti, ed era un «tipo colto, eccentrico, amante delle belle cose» IL PM E LE ARMI Per il pm Ghezzi (nella foto), psicologi e psichiatri dovrebbero segnalare i pazienti con comportamenti aggressivi Mottola Grazia Maria

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Corriere della Sera - e-dicola lunedì, 12 maggio, 2003 REATI OMICIDI 015

«Helietta aveva trovato la pistola Andrea l' ha uccisa per questo» Parlano i genitori dell' omicida di Milano: «Aveva giurato di aver restituito l' arsenale La licenza per le armi? Ci disse che era stato il suo psichiatra a firmare il certificato» la sparatoria di Milano. l' intervista MILANO - «Helietta ha trovato la pistola, così hanno litigato e Andrea l' ha uccisa». Un' ipotesi, «l' unica plausibile», sostenuta dai genitori del trentunenne milanese che lunedì 5 maggio ha ucciso la moglie Helietta, una vicina di casa e ha ferito tre persone, prima di togliersi la vita. Occhi lucidi, sguardo fermo, parole misurate: un dolore discreto, ma implacabile, per Sergio e Sandra Calderini, 64 e 58 anni. Lui è un importante manager della Zurigo Assicurazioni. Nel salotto al quarto piano nel palazzo in zona Fiera, a poche centinaia di metri dal luogo della tragedia, fanno affiorare storie e dettagli «perché non si infierisca sul passato di chi ha tanto sofferto e ha fatto soffrire: perché Andrea stesso è una vittima». Che cosa avrebbe scatenato il raptus di Andrea? «Sicuramente un litigio, ma dubitiamo che la moglie volesse lasciarlo. Erano appena tornati da Montecarlo, avevamo sentito Andrea: era felice, diceva che gli sarebbe piaciuta una casa in Costa Azzurra. Quel giorno alle 14.30 aveva portato la Ferrari in garage: il titolare ci ha detto che stava bene». E dopo? «Andrea ci aveva promesso che avrebbe restituito le armi, 5 o 6 fra pistole e fucili. Eravamo spaventati dalla sua nuova passione: in passato aveva tentato più volte il suicidio con i farmaci. Gli dicevamo "Andrea lascia perdere, cosa te ne fai?". Verso metà aprile disse che le aveva riconsegnate. E ci diede la licenza che gli permetteva di comprarle. L' abbiamo subito distrutta. Ma di nascosto Andrea si era tenuto una pistola e due caricatori, quelli della strage. Forse Helietta quel giorno ha trovato l' arma e si è arrabbiata. Forse ne è scaturito un diverbio, e da lì il raptus. Perché abbia sparato agli altri, non ce lo spieghiamo»». Signor Calderini, lei si fidava di Andrea? «Sì. Mi mandò una email per dirmi che anche Helietta era contenta che si fosse disfatto delle armi». Perché avrebbe mentito sulla pistola? «Forse aveva paura: possedeva una Ferrari e temeva i

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furti in casa. Pochi mesi fa nel suo palazzo ce ne erano stati due. Lui aveva fatto potenziare l' allarme, ma forse non gli era bastato». E lei, signora, sapeva del porto d' armi? «Sì, ed ero disperata. Insieme a mio marito ho cercato di farlo ragionare e per due mesi siamo riusciti non fargli la licenza. Fino a marzo scorso. Poi ho chiamato il suo psichiatra, Massimiliano Dieci, perché Andrea mi aveva riferito che era stato lui a fargli il certificato medico. Volevo saperne di più, ma non l' ho trovato. Intanto cercavamo di convincere Andrea a liberarsi delle armi». Non avete rimorsi? «No. Solo quando siamo stati sentiti in questura, abbiamo saputo che avremmo potuto verificare, tramite una scheda che si trova al commissariato, se Andrea effettivamente avesse mantenuto la parola. Purtroppo era troppo tardi». «Per quale malattia era in cura? «Soffriva di Doc, disturbo ossessivo compulsivo, il dottor Dieci lo seguiva sin dal ' 97, ora era in terapia di mantenimento. Nostro figlio, però, si era ammalato molto tempo prima, ma nessun medico se ne era accorto». Cioè? «Andrea aveva lasciato la scuola dopo il primo anno di liceo, non riusciva a fare niente. All' epoca il disturbo era ancora allo stato latente. Lo facemmo visitare da molti medici, ma nessuno ci indirizzò a uno psichiatra». Come è finita? «Andrea entrò in analisi, ma senza risultati. A un certo punto cominciò a peggiorare. Non riusciva ad attraversare la strada, perché i pensieri negativi provocati dalla malattia gli impedivano di farlo, così doveva provarci tante volte. Lo stesso accadeva per le telefonate: una volta è arrivato a far squillare il telefono per due ore di fila. Ci sembrava di impazzire. Intanto leggeva e si informava, finché un giorno ci mostrò un trattato di psichiatria e disse: "Qui c' è scritto che cosa ho". Senza dirci niente, fissò un appuntamento con uno psichiatra». Fu l' inizio della guarigione? «No. Fu il calvario delle medicine. Cambiammo diversi specialisti alla ricerca del farmaco adatto. Nel ' 97 conoscemmo Massimiliano Dieci, che trovò la cura. Gliene siamo molto grati». Si poteva fare di più per aiutare Andrea? «Come genitori no, gli siamo sempre stati vicini, soprattutto nella cura della malattia. Abbiamo cercato di dargli il massimo, ma non sempre abbiamo incontrato medici all' altezza». I vicini hanno descritto Andrea come un violento: è mai stato querelato? «Solo in un caso. Nel ' 99 era scoppiata una rissa con i custodi del condominio dove avevamo un box in affitto, la donna si era fratturata un mignolo. Abbiamo risarcito le parti civili, che così si sono ritirate dal processo penale, senza che questo implicasse riconoscimento di colpa. Poi, dopo la condanna di Andrea a un' ammenda di tre milioni di lire per lesioni personali, abbiamo fatto appello. Eravamo fiduciosi che ce l' avrebbe fatta».

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Signor Calderini, lei ha mai pagato per il ritiro di querele? «No, anche perché non ce ne sono state altre dopo quelle legate al processo. Si faccia avanti chi dice di aver preso soldi da me». Andrea comprava auto e orologi di lusso. Chi glieli dava i soldi? «Non certo noi genitori. Disponeva di 500 mila euro provenienti da un risarcimento per un incidente avvenuto nel luglio 2000 e da una polizza privata. Poi è arrivata l' eredità del nonno». Vi ha sorpresi il matrimonio con Helietta? «All' inizio eravamo titubanti, si conoscevano da poco. Poi abbiamo capito che facevano sul serio. Lei era deliziosa, sapeva come prenderlo. Andrea desiderava un figlio, ma Helietta voleva finire prima gli studi. Insieme erano felici». E' stato detto che senza le armi in casa, la strage si sarebbe evitata ... «E' così, ma non facciamo commenti. Sarà il dottor Dieci a dare delle spiegazioni. Gli abbiamo firmato la liberatoria dal segreto istruttorio». Risentimento verso di lui? «No. Quando ha firmato quel certificato, sicuramente era in buona fede». Grazia Maria Mottola [email protected] Gli spari nel palazzo LA TRAGEDIA Nel primo pomeriggio di lunedì scorso, a Milano, Andrea Calderini, 31 anni, ha ucciso a colpi di pistola la moglie, Helietta Scalori, 22 anni, e una vicina di casa, Stefania Guaraldi Vinassa de Regny, 65 anni. Quindi ha cominciato a sparare ai passanti per la strada: tre i feriti, due in modo grave L' IRRUZIONE Dopo ore di terrore i Nocs, corpi speciali della polizia, hanno fatto irruzione nell' appartamento sfondando la porta di casa: l' uomo si era tolto la vita con un colpo di pistola in bocca. In bagno il corpo della moglie Il ritratto e i precedenti CHI ERA Andrea Calderini, 31 anni, abitava al terzo piano di una palazzina della zona Fiera di Milano con Helietta Scalori, 22 anni. La coppia si era sposata pochi mesi fa a Las Vegas, ma la loro unione non era riconosciuta in Italia LE DENUNCE Calderini era noto nel quartiere come «il matto». Secondo i racconti dei vicini, li terrorizzava il vicinato con minacce ed episodi di violenza. Tra il ' 99 e il 2000 sarebbero state presentate contro di lui tre denunce e un esposto. Ma non era stata revocata la licenza di tiro sportivo che gli permetteva di detenere armi SU INTERNET Il messaggio sul Web: vedevo la morte ovunque, ma adesso non me ne importa più Andrea Calderini, nel giugno del 2001, partecipò ad un forum in Internet sui disturbi psichici. E' una sorta di auto diagnosi, un resoconto delle ossessioni e delle crisi che lo accompagnavano da anni. «Il disturbo ossessivo compulsivo mi ha rovinato un terzo della mia vita - ammette Calderini - ad ogni azione corrispondeva un pensiero, se il pensiero era di quelli "negativi" dovevo rifare l' azione fino a che fosse "fatta bene". Toccavo per la prima volta una cosa in un

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negozio e se mi veniva un' immagine negativa dovevo toccarne un' altra uguale se volevo comprarla, perché la prima mi sembrava "contaminata". Entravo in un negozio anche dieci volte finché non arrivava l' immagine giusta. A volte ci impiegavo ore. Lo stesso accadeva quando dovevo telefonare». Nel cervello, racconta Calderini, si accumulavano «immagini di morte, morte che adesso non mi terrorizza più e ho acquisito consapevolezza che da un momento all' altro potremmo non esserci più...». Poi il racconto dell' incidente, del periodo all' ospedale. E la sensazione di esserne uscito più forte. Di aver capito che «bisogna fottere le paure, fare le cose anche se fanno paura. Con una buona cura con psicofarmaci si può riuscirci». Infine l' invito a «scrivermi se posso aiutare. Non demordete, queste malattie si possono curare, soprattutto andate dalle persone giuste. Durante la mia odissea solo poche persone hanno capito che soffrivo di disturbo ossessivo compulsivo, almeno dieci medici consultati non sapevano neanche cosa fosse il Doc». Mottola Grazia Maria

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Corriere della Sera - e-dicola martedì, 13 maggio, 2003 REATI OMICIDI 020

Interrogato lo psichiatra dell' assassino di Milano Celebrati i funerali di Andrea Calderini Il padre: «Anche mio figlio è una vittima»

MILANO - E' stato interrogato come testimone lo psichiatra di Andrea Calderini, il trentunenne milanese che lunedì 5 maggio ha ucciso la moglie e la vicina di casa, e ha ferito tre persone prima di togliersi la vita. Ieri Massimiliano Dieci, lo specialista che curava Andrea nel ' 97 e che lo seguiva nella terapia di mantenimento, ha parlato al pubblico ministero Marco Ghezzi della malattia che affliggeva il ragazzo, un disturbo ossessivo compulsivo. Il pubblico ministro ha chiesto allo psichiatra anche chiarimenti sulla questione del certificato medico di buona salute, che sarebbe stato firmato dal professionista (ma sul documento sono in corso accertamenti) e che ha permesso ad Andrea di ottenere la licenza di tiro sportivo e di acquistare fucili e pistole. A marzo il ragazzo ne aveva comprate cinque o sei, ma, su pressione della famiglia, si era convinto a restituire le armi. Aveva tenuto però, di nascosto, una pistola con due caricatori, quelli utilizzati per la strage. Per risolvere il problema del segreto professionale che avrebbe potuto limitarlo nelle risposte, il dottor Dieci si è fatto assistere da un amico avvocato, Luigi Isolabella. Che lo ha anche accompagnato in questura. «Sono intervenuto solo per questioni tecniche legate alla sua professione - spiega il legale -: ora, grazie alla liberatoria firmata dai genitori, Massimiliano Dieci può parlare del suo rapporto con Andrea, ma solo con gli investigatori». Intanto le indagini vanno avanti. Nei prossimi giorni gli investigatori sentiranno altri testimoni: i vicini di casa di Andrea e i familiari delle vittime. Potrebbe essere interrogato anche Fortunato Calabrò, il medico militare che ha rilasciato il secondo certificato necessario per ottenere la licenza per il possesso delle armi. Il magistrato, inoltre, ha dato il via libera per i funerali di Andrea. Si sono svolti ieri: la famiglia Calderini, mamma, papà e sorella, insieme con un gruppo di amici, si sono ritrovati all' obitorio di piazzale Gorini a Milano. Poche parole per ricordarlo al

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cimitero di Lambrate. Della malattia di Andrea e delle sue sofferenze ha parlato il padre, Sergio Calderini, che è intervenuto ieri sera alla trasmissione Porta a porta: «Anche Andrea è una vittima - ha detto -, abbiamo fatto il possibile per aiutarlo, ma le cure sono state sempre private, perché le istituzioni ci hanno lasciati soli». Poi un cenno al porto d' armi: «E' troppo facile ottenerlo, le istituzioni devono intervenire». Grazia Maria Mottola [email protected] Mottola Grazia Maria

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Corriere della Sera - e-dicola mercoledì, 14 maggio, 2003 REATI OMICIDI 016

Lo psichiatra dell' omicida: non è mia la firma per il porto d' armi «Sono addolorato per quello che è accaduto, ma ho la coscienza a posto» Milano, Massimiliano Dieci aveva in cura Andrea Calderini. Presto una perizia calligrafica MILANO - «Quella firma non è mia». Massimiliano Dieci, lo psichiatra che aveva in cura il trentunenne milanese che lunedì 5 maggio ha ucciso la moglie e una vicina di casa, e ha ferito tre passanti prima di togliersi la vita, non avrebbe riconosciuto la firma che appare sul certificato medico con il quale Andrea Calderini ha ottenuto la licenza di tiro sportivo. Nei prossimi giorni gli investigatori dovrebbero disporre una perizia calligrafica per accertare o escludere la falsità della firma. Nessuna conferma da parte dell' avvocato Luigi Isolabella, che assiste il professionista: «La questione è coperta dal segreto istruttorio. Le indagini andranno avanti anche sulla base delle dichiarazioni del mio cliente - ha spiegato il legale -, lui stesso, inoltre, è stato liberato dal segreto professionale dai genitori di Andrea, ma può raccontare il rapporto con il ragazzo e parlare delle situazioni che lo coinvolgono solo per rispondere alle domande degli investigatori». Il problema della firma è emerso l' altro giorno, quando il pubblico ministero Marco Ghezzi, titolare dell' inchiesta sulla strage, ha interrogato lo psichiatra come testimone. Due ore di colloquio, alla presenza del legale. Lo specialista (che seguiva Andrea dal ' 97) ha parlato al magistrato della malattia che tormentava il ragazzo (un disturbo ossessivo compulsivo), delle cure alle quali veniva sottoposto, di quali erano le sue attuali condizioni. Non ultima la questione della firma: il certificato medico presentato da Andrea per il rilascio della licenza di tiro (che esclude che sia affetto da disturbi psichici, della personalità e del comportamento, oltre all' assunzione di psicofarmaci), riporta il suo autografo. Grazie a quel documento Andrea Calderini è riuscito ad ottenere il permesso di sparare al poligono, ma anche di acquistare armi. Compresi la pistola e i due caricatori che ha usato per la strage. Ma lo psichiatra avrebbe dichiarato di non aver mai

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rilasciato alcun certificato. Secondo indiscrezioni, un' eventuale contraffazione potrebbe essere stata facilitata dal fatto che la firma del dottor Dieci sarebbe facilmente riproducibile: il medico, infatti, si limiterebbe a scrivere solo il cognome. Il dottor Dieci, però, si sente tranquillo: grazie a una serie di elementi pare che sarebbe in grado di dimostrare che la firma sul certificato di buona salute presentato da Calderini non è la sua. «Sono addolorato per la morte di Andrea e per quanto è accaduto - ha spiegato Massimiliano Dieci -, ma sono sicuro della mia attività professionale: credo di non aver commesso errori». Non si pronuncia la famiglia Calderini, che aspetta i risultati delle indagini. Si schiera subito a favore dell' amico suicida, Fabrizio C., 28 anni, che ha frequentato Andrea nell' ultimo anno. «Mi sembra strano che sia arrivato al punto di falsificare una firma - sottolinea -, che bisogno aveva di fare una cosa del genere? Andrea era preciso: era sempre attento ai documenti perché non voleva fastidi». Grazia Maria Mottola [email protected] Mottola Grazia Maria

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Corriere della Sera - e-dicola lunedì, 7 luglio, 2003 REATI OMICIDI 016

Porto d' armi all' uomo della sparatoria Medici indagati per omicidio colposo La vicenda

MILANO - Il 5 maggio scorso Andrea Calderini, un milanese di 31 anni con problemi psichici, impugnò una pistola e uccise la moglie e la vicina di casa. Prima di suicidarsi, ferì altre tre persone sparando dal balcone del suo appartamento a Milano. Ora i due medici che permisero a Calderini di ottenere la licenza per la pistola sono ritenuti responsabili indiretti di quelle morti e, per questo, sono accusati di concorso in omicidio colposo. Secondo l' accusa del sostituto procuratore milanese Marco Ghezzi, i due professionisti avevano a disposizione tutti gli elementi diagnostici per capire che ad uno come Calderini non si poteva concedere di avere armi. Per questo motivo il magistrato ha iscritto sul registro degli indagati lo psichiatra Massimo Dieci e Fortunato Calabrò, un medico che lavora nell' ospedale militare di Baggio. Una contestazione «ardita», notano gli investigatori, che però ha un precedente in una vicenda giuridicamente simile che ha superato il vaglio della Cassazione. Andrea Calderini soffriva per un disturbo psichico ossessivo compulsivo. Dal 1997 era seguito dal dottor Massimiliano Dieci che lo trattava con una terapia di mantenimento. Il giovane amava le armi e le auto veloci. In casa aveva tre pistole, le sole rimaste di una collezione della quale si era sbarazzato per le insistenze dei genitori. Deteneva le armi con una licenza per il tiro sportivo che aveva ottenuto grazie ad un certificato medico nel quale il dottor Dieci lo dichiarava in buona salute. La firma su quel documento, sulla cui totale autenticità sono in corso accertamenti, è costata a Dieci anche l' accusa di falso ideologico. Con il certificato, Calderini potè poi presentarsi al medico militare ottenendo il permesso per tenere le armi ed allenarsi nel poligono di tiro. Dopo la strage, il dottor Dieci aveva dichiarato che la firma su quel certificato non era la sua. «Sono addolorato per la morte di Andrea e per quello che è accaduto, ma sono sicuro della mia attività professionale, credo di non aver commesso

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errori», aveva aggiunto. Evidentemente non la pensa così il pm Ghezzi, che nei prossimi giorni interrogherà i due medici indagati. Giuseppe Guastella [email protected] LA STRAGE Il 5 maggio scorso Andrea Calderini, 31 anni, uccide a colpi di pistola la moglie e una vicina di casa. Dalla finestra spara ai passanti, ferendo 3 persone L' OMICIDA Calderini era noto come il «matto». Terrorizzava il vicinato. Già denunciato era in cura da un neurologo. Nonostante tutto questo era in possesso di un regolare porto d' armi Guastella Giuseppe

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Corriere della Sera - e-dicola venerdì, 11 luglio, 2003 REATI OMICIDI 049

«Calderini sparava sui muri della camera» Rapporto ai pm: il padre gli offrì 50 mila euro per distruggere il porto d' armi L' inchiesta rileva i tanti allarmi sottovalutati prima del raptus di follia omicida Sarebbe arrivato a compilare di suo pugno un certificato medico per avere il porto d' armi. E per usare pistole e fucili, avrebbe ingannato il padre, arrivato a dargli 50 mila euro per indurlo a disfarsi di quella licenza. La Procura di Milano sta per chiudere l' indagine sulla tragedia provocata, il 4 maggio scorso in via Carcano, da Andrea Calderini. Che quel giorno uccise una vicina di casa, la moglie, ferì tre passanti e poi si suicidò. Dalle indagini emergono particolari e retroscena che fanno pensare a quel pomeriggio come a una tragedia annunciata. L' elenco dei segnali ignorati o coperti da chi conosceva Calderini è lungo: liti con il portinaio, con i vicini e con passanti, almeno un tentativo di suicidio, un disturbo ossessivo compulsivo conclamato, un fucile provato contro i muri di casa. Dalle indagini emerge anche la possibile scintilla della strage: il matrimonio in Usa tra Calderini e Helietta Scalori, non riconosciuto in Italia, che la mattina della strage il ragazzo registrò in tribunale. Forse senza dirlo ad Helietta, e da qui una discussione, un litigio che forse fa scattare la strage. Gli unici due indagati nell' inchiesta sono i due medici che, con i loro certificati, hanno consentito a Calderini di armarsi. I due sono accusati di concorso in omicidio colposo, uno anche di falso. Mentre i genitori di Calderini dicono: «Vorremmo parlare con le persone ferite da nostro figlio». SERVIZI a pagina 53

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Corriere della Sera - e-dicola venerdì, 11 luglio, 2003 REATI OMICIDI 053

«Abbandona le armi, ti darò 50 mila euro» Il padre di Calderini tentò di convincere il figlio a non usare più le pistole, ma l' appello restò inascoltato Un idraulico rivelò che un tubo di casa era stato forato da un proiettile: l' autore della strage aveva sparato contro il muro. Il certificato negato dal medico di famiglia

Nessuno potrà mai spiegare perché il 5 maggio Andrea Calderini uccise a colpi di pistola la moglie e una vicina e, sparando in via Carcano a Milano, ferì tre passanti prima di suicidarsi. Ma, a due mesi da quella tragedia, le indagini praticamente chiuse tracciano un quadro agghiacciante: troppi segnali, ignorati o coperti da chi conosceva Calderini, avrebbero dovuto far scattare l' allarme ed evitare che al giovane fosse rilasciato un porto d' armi. ALLARMI - Liti con portinaio, vicini e passanti, almeno un tentativo di suicidio: tutto per un disturbo ossessivo compulsivo della personalità che, abbassando la soglia di sopportazione delle frustrazioni, porta Calderini a comportamenti aggressivi. Sintomi schizoidi emersero addirittura già dalla visita militare (fu riformato). SPARI IN CASA - Quando il padre viene a sapere che Andrea vuole il porto d' armi, offre al figlio 5.000 euro per rinunciare. Il giovane prende il denaro, ma ottiene lo stesso quell' autorizzazione. Acquista 4 pistole e due fucili. Dopo che con un' arma spara in casa contro un muro, forando un tubo del riscaldamento, il padre chiama un idraulico il quale, fatta la riparazione, gli rivela il perché di quelle falle. Per convincere il figlio a disfarsi delle pistole e dei fucili gli promette 50mila euro. Andrea prende i soldi, vende i fucili e una sola pistola e distrugge il porto d' armi davanti al genitore. Poi, di nascosto, chiede un duplicato. MATRIMONIO USA - Potrebbe essere la scintilla della strage, ma è solo un' ipotesi investigativa. Tre mesi prima, Andrea Calderini e Helietta Scalori, 22 anni, si sposano a Las Vegas. Un matrimonio che non vale in Italia e per questo la mattina del 5 maggio Calderini va a registrarlo in tribunale. Tornato a casa, ne parla con la ragazza. Una discussione potrebbe aver fatto

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scattare la strage. INDAGATI - Calderini ottiene il porto armi per tiro sportivo consegnando in Questura un documento rilasciato da Fortunato Calabrò, medico dell' ospedale militare. Calabrò, a sua volta, riceve da Calderini due certificati firmati dallo psichiatra Massimiliano Dieci. Per questi documenti, i due medici sono ora accusati di concorso in omicidio colposo e, Dieci, anche di falso. CERTIFICATI - Il primo firmato da Dieci, per l' accusa è palesemente irregolare. Solo la firma è di Dieci, il resto è stato compilato da Calderini. Esso esclude che il giovane sia affetto da turbe psichiche, ma precisa che usa «ansiolitici una volta al giorno», dove la parola «ansiolitici» è stata scritta da una terza mano. Dieci nega di averlo mai firmato (il sospetto del pm è che l' abbia firmato in bianco), ma ne riconosce un secondo di «sana e robusta costituzione fisica», inutile per la pratica amministrativa. Per l' accusa, Calabrò non doveva accettare un certificato «Anamnestico» che provenisse da un medico che non fosse, come previsto dalla legge, quello di fiducia e si sarebbe dovuto accorgere delle irregolarità che conteneva. Calabrò ha dichiarato di aver fatto i controlli necessari. Gli investigatori sono convinti che Andrea Calderini non avrebbe mai acquistato armi senza autorizzazione. MEDICO FAMIGLIA DICE NO - È stato il solo a negare un certificato a Calderini. Interrogato, ha detto di averlo fatto perché conosceva poco il suo paziente e solo per avergli prescritto degli ansiolitici. CAMBIARE LEGGI - Da questa storia il pm Ghezzi trae la convinzione che sia necessario «migliorare le leggi sulla materia, mettendo a disposizione di chi deve valutare, ogni elemento sulla personalità di chi si trova di fronte». Sarà ciò che chiederanno oggi in Comune i feriti di quella strage. Giuseppe Guastella [email protected] «Adesso vogliamo parlare con le persone ferite da Andrea» «Vorremmo fare avere una lettera a Daniela Zaniboni, non ci siamo riusciti» «Il dolore per la morte di Andrea è immenso, ma altrettanta è la sofferenza verso chi è sopravvissuto e porterà per sempre i segni della tragedia». Un carico non indifferente sulle spalle dei genitori di Andrea Calderini. Un figlio che si è tolto la vita, dopo aver ucciso la moglie Helietta e una vicina di casa, Stefania Guaraldi. Una strage con tre superstiti, di cui due con lesioni permanenti. In poco più di sessanta giorni dalla sparatoria di via Carcano, mamma e papà Calderini hanno avuto la forza di scrivere alle famiglie delle vittime e agli stessi feriti: l' avvocato Giovanni Litta Modignani e l' ex manager Piero Toso. Per tutti parole di conforto e condivisione del dolore. «Abbiamo cercato di esprimere i nostri sentimenti, senza giustificare quello che è successo e tantomeno

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difendere la memoria di Andrea» spiega la signora Sandra. Una lettera, però, è ancora nel cassetto. «Avremmo voluto farla avere a Daniela Zaniboni, ancora in ospedale - sottolinea -, ma ci siamo trovati di fronte a un muro insormontabile». Diversi in tentativi di avvicinare la logopedista quarantenne, costretta su una sedia a rotelle per una lesione alla spina dorsale. In una lettera consegnata al «Corriere» i Calderini le rivolgono un appello. «Avremmo voluto esprimerle di persona la nostra partecipazione alle sue sofferenze - scrivono - ma non siamo riusciti ad avere neanche notizie sulle sue condizioni di salute». Una preoccupazione quotidiana come il tormento di sapere che «non ci sono parole sufficienti per riparare a quanto è successo e che non esiste una ragione per tanto strazio». Non da meno la difficoltà di «guardare negli occhi chi ha sofferto e soffre per mano di una persona da noi tanto amata». Difficoltà che, però, non impedirà loro di incontrarla: «Faremo di tutto pur di riuscirci». Gra. Mot. «Dovrò vivere su una carrozzella Non è il momento degli incontri» La logopedista rimasta paralizzata nella sparatoria: pago errori commessi da altri «Incontrare i Calderini? Un' emozione troppo forte. Ora mi devo concentrare per imparare a vivere su una sedia a rotelle». Niguarda, reparto riabilitazione. Daniela Zaniboni, 41 anni, logopedista, rischia di restare per sempre su una carrozzella. Il 5 maggio scorso un colpo di pistola l' ha ferita a un braccio, un secondo le ha attraversato un polmone, scheggiato la spina dorsale, e si è fermato dall' altra parte del busto: è il proiettile che l' ha condannata alla paralisi. Almeno per il momento. «In questi due mesi sono migliorata - spiega -, ma finora nessun medico mi ha assicurato che recupererò l' uso delle gambe». Si sente la più penalizzata delle vittime della strage di via Carcano. «Sono quella che sta peggio di tutti, la mia prospettiva di vita è cambiata, pago per errori commessi da altri, gente che non conosco, gente che non ha mai saputo niente di me». Due mesi fa, per caso, la sua esistenza rimane impigliata nella rete di una sparatoria. Il tempo si ferma e si ritrova in ospedale. «Dovrò restarci ancora parecchi mesi, ma non so bene quanto. I progressi sono lenti: ho trascorso un lungo periodo a letto, ora mi posso spostare sulla sedia a rotelle. Purtroppo devo essere accudita per il 60 per cento. E faccio riabilitazione: mi sta insegnando a diventare autonoma». E' l' impegno prioritario. Poi c' è quello sul fronte della prevenzione. «Oggi a Palazzo Marino partecipo alla presentazione di un disegno di legge per rendere più restrittive le norme sul porto d' armi - sottolinea Daniela -, lo portano avanti i Verdi, ma l' avrei fatto per chiunque: la mia speranza è che nessun altro finisca sulla

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carrozzella». Così l' incontro con i Calderini resta l' ultima delle sue preoccupazioni. «So che hanno cercato di vedermi, ma adesso vorrei pensare solo a me». Grazia Maria Mottola [email protected] LA TRAGEDIA Il 5 maggio scorso Andrea Calderini uccise a colpi di pistola la moglie Helietta Scalori e una vicina di casa I FERITI Dopo l' omicidio, Calderini continuò a sparare sui passanti, ferendo tre persone di cui due in maniera grave L' IRRUZIONE Dopo ore, i Nocs riuscirono ad entrare nell' appartamento di via Carcano: l' uomo si era sparato un colpo in bocca PROBLEMI PSICHICI Calderini era conosciuto come «il matto». Da tempo terrorizzava il vicinato con il suo comportamento violento LE ARMI Nonostante fosse in cura da un neurologo, Calderini era in possesso di un regolare porto d' armi Mottola Grazia Maria, Guastella Giuseppe

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Corriere della Sera - e-dicola lunedì, 15 dicembre, 2003 VARIE 029

«Processate i due medici dello sparatore di Milano»

MILANO - Chiesto il rinvio a giudizio per i due medici che permisero di detenere una pistola ad Andrea Calderini, che prima di suicidarsi uccise la moglie, una vicina e ferì gravemente tre passanti. Mercoledì, davanti al gip Guido Salvini, sarà affrontata l' udienza preliminare. Calderini aveva già dato dimostrazione di notevole aggressività e di squilibrio mentale. Lo psichiatra Massimiliano Dieci è accusato per aver sottoscritto il certificato, attestando falsamente di essere medico di fiducia e escludendo che Calderini soffrisse di turbe psichiche e facesse uso di psicofarmaci. Il medico militare Fortunato Calabrò, invece, avrebbe rilasciato la licenza per il porto d' armi basandosi su quel certificato inadeguato e in buona parte falso perché compilato dallo stesso Calderini.

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Corriere della Sera - e-dicola giovedì, 13 maggio, 2004 MEDICINA HANDICAPPATI 024

«Io, paralizzata dal cecchino, senza più lavoro per le barriere»

Milano: ferita nella sparatoria del folle, con la carrozzella non può tornare nel suo ufficio di logopedista MILANO - I primi due proiettili, un anno fa, glieli sparò giù dal balcone un pazzo cui la burocrazia aveva assegnato senza problemi un porto d' armi: e quelli sono i proiettili che l' hanno paralizzata dal torace in giù. Dopodiché, per continuare a spararle addosso, è scesa in campo la burocrazia in persona. Pallottole fatte di carte, inerzie, impedimenti «di cui al comma» e così via. Ma precise quanto basta per far sì che Daniela Zaniboni, 42 anni, a sei mesi dal giorno in cui ha lasciato l' ospedale sulla sedia a rotelle che l' accompagnerà tutta la vita si trovi nella seguente situazione: a) è tuttora prigioniera delle barriere architettoniche dell' appartamento in cui abita, con un contratto d' affitto ormai scaduto, senza che né il Comune né altri siano riusciti a trovargliene un altro adeguato; b) giusto questa mattina dovrebbe tornare al suo lavoro di logopedista, alle dipendenze del medesimo ospedale dove è stata ricoverata per mesi, ma il suo stesso ambulatorio le resta di fatto inaccessibile; c) non ha ancora visto un soldo di risarcimento da nessuno. Così come le altre vittime del famoso pazzo con la pistola. Il pazzo si chiamava Andrea Calderini: giovane rampollo di ricca famiglia il quale, con la pistola regolarmente concessagli malgrado una fila di violenze pregresse, il 5 maggio dell' anno scorso fa fuori una vicina, la moglie, spara dal balcone a tre passanti poi si ammazza. Il più grave tra i feriti - paralizzata per sempre - è appunto lei, Daniela Zaniboni. Che è quel che si dice una «donna di carattere». Solo una volta, lo scorso novembre, ha espresso pubblicamente la sua ansia. Quando fu dimessa dall' ospedale Niguarda per tornare nella suo appartamento al terzo piano in via Zuccoli, dietro i binari della stazione Centrale: «In carrozzella non riesco a entrarci...». «Troveremo una soluzione», si impegnò il Comune. Un gradino fra la strada e il portone, altri quattro per arrivare all' ascensore: l' Inail ci ha messo un marchingegno che però richiede una seconda persona ad azionarlo. Per

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entrare e uscire dall' ascensore è la stessa cosa. Il bagno di casa è un percorso a ostacoli. Posizione in graduatoria per avere un alloggio, fino allo scorso novembre: duecentocinquantesima. «Il Comune però - riconosce oggi Daniela - in effetti si è mosso: purtroppo in modo non risolutivo». Nel senso che una casa senza barriere gliela aveva trovata: in pieno centro, corso Garibaldi. Il problema è che Daniela, per l' anagrafe, è una single: e «per regolamento» non può avere più di un bilocale. Peccato che per vivere, a causa della sua invalidità, abbia invece bisogno come l' aria delle due amiche che vivono con lei e che da un anno l' assistono in tutto: «Non voglio passare per ingrata - si scusa quasi - ma in quella casa proprio non ci stiamo... ho dovuto rinunciarvi». Non solo il Comune ma anche alcuni privati, il mese scorso, si erano messi attorno a un tavolo in cerca di una soluzione: che però, finora, non è ancora saltata fuori. Giusto oggi, nel frattempo, Daniela dovrebbe rientrare al suo lavoro di logopedista per l' ospedale Niguarda. Dovrebbe. Perché anche l' ambulatorio di otofoniatria infantile, al primo piano di via Ragusa, ora le è sostanzialmente precluso. È vero, le hanno predisposto un lungo percorso che, da un edificio adiacente, le consente fisicamente di arrivarci: ma, una volta lì, la sua stanza degli esami audiometrici è incompatibile con la sua carrozzella. «L' ufficio tecnico del Niguarda - dice - ha sintetizzato da mesi in poche cartelle le modifiche che basterebbero a risolvere il problema. Anche il mio legale ha sollecitato la direzione a provvedere: finora però senza risposta». Il risultato è che Daniela al lavoro può anche «andarci»: peccato solo che non possa svolgerlo. La domanda ulteriore è: chi paga per una vita ridotta così? La risposta è in due parole: finora nessuno. La famiglia di Andrea Calderini ha formalmente «rinunciato a ereditare» qualsiasi cosa lasciata da lui: chiamandosi così fuori, per legge, anche da ogni obbligo di risarcimento. Un curatore ha venduto la Porsche, la Ferrari, la casa, nonché una collezione di orologi da centomila euro dell' omicida: ma il gruzzolo messo insieme, per varie ragioni burocratiche, non può essere ancora toccato. A giugno inizierà il processo ai due medici che «autorizzarono» Calderini al porto d' armi: che purtroppo non sono comunque assicurati. L' unica cosa sicura allo stato è la polizza attivata tempo fa dalla Regione Lombardia per le «vittime di fatti criminali», e che riconosce a Daniela il diritto a 80 mila euro: ma anche questa pratica, come tutte, ha un suo iter. Che in un anno non si è ancora compiuto. Paolo Foschini 5 MAGGIO LA STRAGE Andrea Calderini, 31 anni, in preda ad una crisi uccide la moglie e spara sui passanti, a Milano, in zona Fiera: una vicina resta uccisa, tre

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i feriti 6 MAGGIO LA DIAGNOSI Tra i feriti c' è Daniela Zaniboni, 42 anni, logopedista, colpita a una spalla e alla schiena. Si profila subito la possibilità di una gravissima paralisi 11 LUGLIO IN CARROZZINA La donna esce per la prima volta dall' ospedale: è in carrozzina. Partecipa alla presentazione di un disegno di legge sul porto d' armi 9 OTTOBRE LA CASA Il Comune le assegna una casa popolare senza barriere architettoniche, dove muoversi in carrozzina. Ma l' assegnazione resta sulla carta 13 MAGGIO IL LAVORO A un anno dalla tragedia, la donna riprende il suo posto all' ospedale Niguarda: ma le barriere architettoniche le impediscono di lavorare I REGOLAMENTI LA CASA L' ampiezza della casa comunale da assegnare ai disabili viene definita a partire dallo stato di famiglia: i single hanno diritto a 40 metri quadrati. I problemi nascono quando i disabili non sono autosufficienti e debbono vivere con qualcuno accanto: l' alloggio da «single» risulta allora troppo piccolo, ma il regolamento non prevede eccezioni IL LAVORO Spesso vengono realizzate quelle strutture minime che consentono al disabile di arrivare fino al suo posto di lavoro, ma che non lo mettono nelle condizioni di svolgere appieno la sua professione Foschini Paolo

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Corriere della Sera - e-dicola sabato, 9 aprile, 2005 VARIE 020

Sparatoria di Milano Medici condannati

I CERTIFICATI PER LE ARMI MILANO - Condannati i due medici che fornirono i certificati per la licenza d' armi ad Andrea Calderini, nel 2003 che uccise due persone e ferì tre passanti prima di suicidarsi. Lo psichiatra Massimiliano Dieci e il tenente colonnello medico Fortunato Calabrò sono stati ritenuti responsabili di avere firmato i nulla-osta senza rispettare i criteri previsti. Hanno ottenuto la condizionale a patto di pagare 750 mila euro alle parti civili.

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