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Sonetti di Giuseppe Gioachino Belli Scelta e presentazione di Eugenio Ragni Biblioteca Italiana Zanichelli

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Ciano Magenta Giallo Nero

http://dizionari.zanichelli.it

Sonetti

di Giuseppe Gioachino Belli

Scelta e presentazionedi Eugenio Ragni

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Scelta e presentazionedi Eugenio Ragni

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Biblioteca Italiana ZanichelliBiblioteca Italiana Zanichelli

Sonetti La Biblioteca Italiana Zanichelli racchiude i grandi classici della letteratura italiana in un formato piccolo e maneggevole.

Uno dei maggiori capolavori della letteratura italiana dell’Ottocento, nel quale il dialetto si eleva a strumento sapidissimo per raccontare la commedia umana di personaggi di ogni estrazione sociale nella Roma dell’età della Restaurazione.

Collana diretta daPasquale Stoppelli

In copertina: Pagine© Graeme Dawes/Shutterstock

Al pubblico € 7,00•••

BIBL IT MINI"BELLI*SONETTI

ISBN 978-88-08-11851-6

9 788808 1185169 0 1 2 3 4 5 6 7 (10W)

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Sonettidi Giuseppe Gioachino Belli

Scelta e presentazione di Eugenio Ragni

Biblioteca Italiana Zanichelli

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Copyright © 2009 Zanichelli editore s.p.a., Bologna[6641]

I diritti di elaborazione in qualsiasi forma o opera, di memorizzazione anche digitale su supporti di qualsiasi tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), i diritti di noleggio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i paesi.L’acquisto della presente copia dell’opera non implica il trasferimento dei suddetti diritti né li esaurisce.

Redazione: Marina StoppelliRealizzazione editoriale: Exegi s.n.c., BolognaCopertina: Miguel Sal (progetto grafico e ideazione); Exegi s.n.c. (realizzazione); Veronica Vannini (redazione)Supporto al rinnovamento delle soluzioni grafiche: Progetti Nuovi – Milano: Annamaria Testa, Paolo Rossetti, Bianca Maria BiscioneCoordinamento di montaggi, stampa e confezione: Stefano Bulzoni, Massimo RangoniChiusura redazionale: gennaio 2009

Ristampe:6 5 4 3 2 1 2009 2010 2011 2012 2013 2014

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Presentazione

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PRESENTAZIONE

22 agosto 1827: Belli si trova da qualche giornoa Milano e annota sul suo Journal de voyage dal fran-cese non sempre impeccabile: «A 8 heures levée,toelette, lecture de poésies milanaises de feuCharles Porta». È il punto di partenza della sua“discesa agli inferi dialettali”, che durerà esatta-mente vent’anni: al gennaio-marzo del ’47 risaleinfatti l’ultimo mannello di 83 sonetti al quale siaggiungerà, il 21 febbraio ’49, un solo componi-mento, il 2279°, a segnare l’ultima tappa del sor-prendente viaggio dialettale, concluso da un inter-rogativo che suona come una dichiarazione di re-sa passiva: «E a cche sservono poi tante parole?».

I trentaduemila versi del «monumento di quel-lo che è oggi la plebe di Roma» introducono perla prima volta in letteratura una fascia sociale cheper «la sua lingua, i suoi concetti, l’indole, il co-stume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, ipregiudizi, le superstizioni […] assai per avven-tura si distingue da qualunque altro carattere dipopolo»: Roma è infatti storicamente e politica-

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mente diversa da qualunque altra città del mon-do; e l’opera di Belli vuol essere dunque un moni-mentum: una testimonianza documentata, un’«im-magine fedele di cosa già esistente e, più, abban-donata senza miglioramento», di una dimensioneumana unica, del tutto ignota e ignorata, benchésia «parte di un gran tutto, di una città cioè disempre solenne ricordanza». L’originalità delsoggetto trattato è il primo contrassegno del«monumento», che non trova infatti «lavoro daconfronto che lo abbia preceduto»: nessuno, inlingua o in dialetto, aveva mai rappresentato conaltrettanta verità una dimensione popolare cosìdiversa da ogni altra, anomala, doppiamente se-gregata com’era nella gabbia della propria igno-ranza e in quella ancor più imprigionante di unregime assoluto che ne sorvegliava esistenza edanima.

Novità di soggetto, certo, ma anche assolutanovità di rappresentazione: Belli infatti non rac-conta questa plebe, ma le presta solo voce escrittura, nel senso letterale della parola: lasciache sia lei a presentarsi “in diretta”, per non in-quinare la “verità” dei fatti e delle fenomenolo-gie sovrapponendovi i propri giudizi morali, lapropria cultura, la propria mentalità: «Così […]facendo dire a ciascun popolano quanto sa,

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Presentazione

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quanto pensa e quanto opera, ho io compendia-to il cumulo del costume e delle opinioni di que-sto volgo, presso il quale spiccano le più stranecontraddizioni». Con buon anticipo rispetto aVerga, e più rigorosamente di lui, Belli ha dun-que realizzato e applicato alla rappresentazionedel mondo “romanesco” il criterio dell’imperso-nalità, abolendo del tutto il cosiddetto “punto divista”, rinunciando dunque al ruolo di narratoreonnisciente; a raccontare e raccontarsi sono quiduemiladuecentosettantanove personaggi diver-si per attività, mestiere, ideologia, tutti però affe-ribili all’ambito sociale che va «dal ceto medio ingiù», nel quale convivono «sì il bottegaio che ilservo, e il nudo pitocco […] la credula femmi-netta e il fiero guidatore di carra», e servi, dipen-denti, massaie, piccoli artigiani, mercanti, prosti-tute, vetturini di piazza: il ceto, insomma, sulquale grava in sostanza la maggior parte delle at-tività minori, che costituiscono però il gangliovitale della città.

La rappresentazione, precisa l’autore, non silimita a ritrarre «questo piuttosto che quel rione,ed anzi una che un’altra special condizione d’uo-mini della nostra città. Ogni quartiere di Roma,ogni individuo fra’ suoi cittadini […] mi ha som-ministrato episodii pel mio dramma»: il quadro

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della città è infatti completo, in quanto anche iceti superiori – nobili, ecclesiastici, gestori delpotere – occupano nel «dramma» notevole spa-zio, ma sono totalmente mediati, “raccontati”dalle voci soggettive di chi, traguardandoli dalbasso di una condizione gravosamente subalter-na, o li ammira o li invidia o ne subisce le preva-ricazioni, e di conseguenza li elogia o li insulta.Questi atteggiamenti contraddittori, sia dettouna volta per tutte, non appartengono però al-l’autore, ed è quindi errato imputare al Belli unacongenita doppiezza nell’arte e nella vita, comeancora oggi qualcuno ripete. Il monumento bellia-no è infatti una summa di pareri individuali chesi accavallano, si contrappongono, si sommano,approdando alla definizione di un compositocampione di umanità oppressa e ribelle, rasse-gnata e reattiva, schiacciata dall’ignoranza e dalpotere, i cui singoli componenti esprimono libe-ramente il proprio pensiero, sfogando risenti-menti, gioie, paure esistenziali con la bestemmiae, più spesso, attivando la naturale predisposi-zione del romano al sarcasmo, alla satira, alla de-formazione ironica.

Una struttura frantumata in migliaia di piccoliracconti come questa annulla ovviamente qualsia-si principio di unità, spezza ogni coerenza narrati-

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NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

Giuseppe Gioachino Belli nasce il 7 settembre1791 a Roma, dove il padre, Gaudenzio, è compu-tista presso i principi Rospigliosi. Involontariamen-te coinvolta nelle alterne vicende della RepubblicaRomana del 1798-99, la famiglia, di cui vengonoconfiscati i beni, è costretta a rifugiarsi a Napoli; al-la caduta della Repubblica Gaudenzio verrà risarci-to dal governo pontificio solo con un incarico alladogana di Civitavecchia, dove due anni dopo con-trae il colera e muore. Con i tre figlioli la vedovarientra a Roma (1803) e poco dopo si risposa.

Giuseppe studia con buon profitto presso ilCollegio Romano, formandosi inoltre da autodi-datta una cultura eclettica in vari ambiti. Ma il 5ottobre 1807 la madre muore e gli orfani vengonoaccolti prima in casa di uno zio paterno, Vincen-zo, poi in quella di una zia, che fanno però pesareil gesto generoso, tanto che per rendersi indipen-dente il giovanissimo Giuseppe interrompe glistudi e accetta un’offerta di lavoro prima presso iRospigliosi e poco dopo (1809) un impiego al De-manio. Appena un anno dopo, però, a seguitodelle innovazioni in campo giudiziario e ammini-strativo, è messo in quiescenza con una miserapensione; ma per sua fortuna di lì a poco (1811)

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ottiene l’incarico di segretario presso il principepolacco Poniatowski, dove resterà fino al 1813,quando sarà costretto a lasciare l’impiego, pareper un contrasto con la compagna del principe.Per qualche tempo si mantiene dando lezioni pri-vate e con un incarico di copista presso la biblio-teca del cardinale Albani.

Fin dal tempo degli studi ha coltivato la poesia,componendo varie liriche: oltre ad alcuni sonettid’occasione, i polimetri Lamentazioni e Battaglia cel-tica (1807), le ottave bernesche La morte della Morte(1810); iniziando inoltre alcuni poemetti d’argo-mento biblico, traducendo i Salmi e portandoavanti la stesura dei tre canti in terzine di La pesti-lenza stata in Firenze l’anno di nostra salute MCCCXL-VII, opera che sarà pubblicata nel 1816.

Nell’aprile 1813 fonda l’Accademia Tiberina,cui aderiranno anche personaggi di spicco qualiGiacomo Ferretti, suo futuro consuocero, GiulioPerticari, Gabriele Rossetti. Oltre ad altri testi distampo arcadico o di soggetto religioso, Bellicompone fra il 1813 e il ’15 la Proverbiade, una co-rona di sonetti dal tono decisamente colloquiale.

Svolta decisiva è il matrimonio con Maria Contivedova Pichi (12 settembre 1816): unione chiac-chierata, dal momento che la donna è benestantee ha tredici anni più di lui, ma che nel tempo di-

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mostrerà di essere invece improntata a reciprocastima e assoluto rispetto. Poco prima del matri-monio Belli era stato assunto nell’Amministrazio-ne generale del Bollo e del Registro, sicché sia illavoro non eccessivamente impegnativo, sia so-prattutto la situazione di relativa agiatezza gli per-mettono una certa libertà, di cui approfitta in par-ticolare per compiere alcuni viaggi (Venezia, Fer-rara, Napoli; più frequentemente Marche e Um-bria, dove lo chiamano le necessità di gestione delpatrimonio della famiglia acquisita).

Continua a scrivere prose e rime diverse, fra cui(1822) un canzoniere di 52 sonetti per la marchesi-na Vincenza Roberti (Cencia), con la quale intrat-terrà fino al ’57 un fitto e interessante carteggio.

Il 24 aprile 1824 nasce Ciro, l’amatissimo, uni-co figlio (la primogenita, Felice Luisa, era morta adue anni nel ’19): sarà il fulcro della sua vita e, conaltri amici, il curatore della discutibile ma beneme-rita prima edizione del suo capolavoro dialettale,la Salviucci del 1865-66.

I frequenti viaggi sono anche occasione per co-noscere e praticare alcuni esponenti di spicco dellacultura italiana, come Pietro Giordani, che lo intro-duce nel Gabinetto Viesseux, e forse Giacomo Leo-pardi. Risale a questo periodo l’abitudine di racco-gliere la serie di materiali eterogenei – ritagli di gior-

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nale, appunti, aneddoti, citazioni di classici, schedebibliografiche e altro – che nell’arco di quarant’anniandrà a formare il corposo Zibaldone belliano, nelleintenzioni dell’autore raccolta enciclopedica di lettu-re d’ogni tipo «per uso futuro del suo Ciro».

Di straordinaria importanza saranno per il Bellii tre soggiorni a Milano, fra il ’27 e il ’29, di cui halasciato memoria nei quattro fascicoli del Journaldu voyage; nel corso del primo (agosto 1827), ospitedell’architetto Giacomo Moraglia, che gli fa cono-scere le poesie di Carlo Porta, che lo colpisconoprofondamente.

Rientrato a Roma, dal 1° gennaio 1828 lascial’impiego e alla fine dello stesso mese si dimetteanche dall’Accademia Tiberina in séguito a con-trasti d’ordine procedurale e personale.

Ha intanto iniziato a comporre con frequenzasempre crescente un certo numero di sonetti indialetto che, ispirati dapprima a pure occasioni,approdano quasi subito alla forma monologantecon la quale, lasciando la parola ai personaggi e al-le loro svariatissime opinioni, Belli costruirà il rea-listico «monumento di quella che è oggi la plebedi Roma», com’egli definisce la propria operanell’Introduzione alla più volte progettata e mai rea-lizzata edizione a stampa dei 2279 sonetti in ver-nacolo romanesco.

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Dal 1834 al ’36 collabora con discreta frequenza aun bimensile diretto da Giacomo Ferretti, «Lo Spi-golatore», continuando ad accumulare sonetti, cheha anche iniziato a recitare in riunioni conviviali, co-me i ricevimenti della principessa polacca ZenaidaVolkonskij, cui in più di un’occasione dovette pre-senziare Nicolaj Gogol’, che apprezzò talmente testie dicitore da scriverne, unico contemporaneo, unfolgorante giudizio in una lettera a un’amica russa.

Nel settembre 1835 Belli conosce e si lega in«affettuosa amicizia» (ma da parte del poeta fu unrapporto molto più intenso e coinvolgente) conl’attrice Amalia Bettini, per la quale raccoglieràlettere e componimenti anche dialettali in un li-bro-dono manoscritto.

L’estate 1836 porta a Roma il colera che toc-cherà l’acme nel trimestre agosto-ottobre; Belli netraccia una sorta di cronaca nella serie di sonettiintitolati Er còllera-moribbus.

Una grave tragedia familiare sopraggiunge il 2luglio 1837: mentre il marito è a Perugia, Mariucciamuore. L’amministrazione dei beni di città che siera riservata di curare risulta fallimentare, tantoche i creditori pretendono l’immediata vendita diquanto si trova in casa. Affranto, il poeta deve la-sciare l’ormai costosa abitazione, e va «a dozzina»presso i cugini Mazio, dove resterà per dodici anni.

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L’infierire del colera lo induce a redigere un te-stamento (poi riaggiornato nel ’49) nel quale fraaltre clausole include quella di bruciare i mano-scritti dei sonetti, custoditi dall’amico DomenicoBiagini in una cassetta, che di lì a poco passeràsotto la protezione di monsignor Vincenzo Tizza-ni, futuro vescovo di Terni, amico e socio dellaTiberina, dove Belli è frattanto rientrato.

Un deciso rallentamento della produzionevernacola lascia spazio a liriche in lingua, moltedelle quali confluiscono nella silloge di compo-nimenti spesso briosamente moralistici Versi diG. G. Belli Romano (1839). Nel luglio 1841, Belliottiene finalmente il più volte richiesto reintegronell’impiego e poco dopo viene promosso capodella sezione corrispondenza alla Direzione ge-nerale del Debito pubblico. Ma la montante ipo-condria, l’insofferenza per le coercizioni d’ora-rio e per il pesante carico di lavoro, ma soprat-tutto una forte, persistente emicrania che lo in-valida lo inducono a richiedere la quiescenza de-finitiva: beneficio che otterrà il 3 gennaio 1845.Intanto ha pubblicato (1844) un secondo volu-me di liriche, Versi inediti di Giuseppe GioachinoBelli romano.

Dopo quindici anni di pontificato, il 1° giugno1846 muore Gregorio XVI, il sanguigno bersaglio

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di tanti sonetti, il papa cui il poeta “voleva bene”perché gli «dava er gusto de potenne dì male»; glisuccede Pio IX, il papa «pascioccone» che «Pebbono è bbono assai; ma er troppo è ttroppo».

Rallentata nell’ultimo triennio e già interrottanel marzo del ’47, la produzione in dialetto è chiu-sa da un unico sonetto datato 21 febbraio 1849,Sora Crestina mia, forse indirizzato a Cristina Fer-retti, che Ciro sposerà due mesi dopo.

I moti del ’48, l’uccisione di Pellegrino Rossi, lafuga del papa a Gaeta e la costituzione dell’effi-mera Repubblica romana (febbraio-luglio 1849)turbano profondamente Belli, che si chiude sem-pre più nell’ipocondria, intensificando comunquela produzione in lingua (La età dell’oro, Il XV novem-bre, Il XVI novembre, 1851;Il Comunismo, 1852; Lita-nie della Beata Vergine, 1853; Inni ecclesiastici, 1855;L’uomo antico e il moderno, 1854).

Nell’ultimo decennio che gli resta da vivereBelli sembra ripiegare sempre più verso un con-servatorismo a tratti sconcertante: significative ri-sultano, oltre a numerose liriche in lingua, alcuneproposizioni formulate nel ’52-’53 su richiesta deldirettore generale di polizia in merito ad undiciopere teatrali, fra cui Rigoletto.

Cristianamente rassegnato, muore di apoplessiala sera del 21 dicembre 1863.

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Il testo dei sonetti e delle note d’autore sono ri-presi da Giuseppe Gioachino Belli, Tutti i sonetti ro-maneschi, a cura di Marcello Teodonio (Roma,Newton & Compton editori, 1998), cui si rimandaper la consistente bibliografia; alla numerazione diquesta edizione fanno riferimento i numeri fra pa-rentesi quadra riportati nel volume prima del titolo.A Teodonio si deve fra l’altro anche la biografiabelliana più esauriente: Vita di Belli, Roma-Bari, La-terza, 1993. Fra i numerosi contributi critici, tuttoraimprescindibili restano: Giorgio Vigolo, Il genio delBelli, Milano, Il Saggiatore, 1963; Carlo Muscetta,Cultura e poesia di G. G. Belli, Milano, Feltrinelli,1961 (n. ed., Roma, Bonacci, 1981); Riccardo Me-rolla, Il laboratorio di Belli, Roma, Bulzoni, 1984; gliotto volumetti di Letture belliane, a c. di Bruno Cagli,Lucio Felici, Nicola Merola, Eugenio Ragni, Roma,Bulzoni, 1981-1990.Fra le edizioni commentate delcorpus completo dei sonetti, oltre a quelle ormai sto-riche curate da Luigi Morandi (Città di Castello, La-pi, 1906) e da Giorgio Vigolo (Milano, Mondadori,1952), è doveroso citare quelle curate da Maria Te-resa Lanza (Milano, Feltrinelli, 1963), Bruno Cagli(Roma, Newton Compton, 1975) e la sopracitata diMarcello Teodonio (1998). Di prossima pubblica-zione nella collana mondadoriana “I Meridiani”quella a cura di Lucio Felici e Pietro Gibellini.

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SONETTI

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Introduzione

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Introduzionedi Giuseppe Gioachino Belli

Io ho deliberato di lasciare un monumento diquello che oggi è la plebe di Roma. In lei sta certoun tipo di originalità: e la sua lingua, i suoi concet-ti, l’indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, lacredenza, i pregiudizi, le superstizioni, tuttociò in-somma che la riguarda, ritiene una impronta cheassai per avventura si distingue da qualunque altrocarattere di popolo. Né Roma è tale, che la plebedi lei non faccia parte di un gran tutto, di una cittàcioè di sempre solenne ricordanza. Oltre a ciò, misembra la mia idea non iscompagnarsi da novità.Questo disegno così colorito, checché ne sia delsoggetto, non trova lavoro da confronto che loabbia preceduto.

I nostri popolani non hanno arte alcuna: non dioratoria, non di poetica: come niuna plebe n’ebbemai. Tutto esce spontaneo dalla natura loro, vivasempre ed energica perché lasciata libera nello svi-luppo di qualità non fattizie. Direi delle loro ideeed abitudini, direi del parlar loro ciò che può ve-dersi delle fisionomie. Perché tanto queste diversenel volgo di una città da quelle degl’individui diordini superiori? Perché non frenati i muscoli del

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Giuseppe Gioachino Belli

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volto alla immobilità comandata dalla civile edu-cazione, si lasciano alle contrazioni della passioneche domina e dell’affetto che stimola; e prendonoquindi un diverso sviluppo, corrispondente persolito alla natura dello spirito che que’ corpi infor-ma e determina. Così i volti divengono specchiodell’anima. Che se fra i cittadini, subordinati a po-sitive discipline, non risulta una completa unifor-mità di fisionomia, ciò dipende da differenze es-senzialmente organiche e fondamentali, e dal nonaver mai la natura formato due oggetti di matema-tica identità.

Vero però sempre mi par rimanere che la edu-cazione che accompagna la parte dell’incivilimen-to, fa ogni sforzo per ridurre gli uomini alla uni-formità: e se non vi riesce quanto vorrebbe, è for-se questo uno de’ beneficii della creazione. Il po-polo quindi, mancante di arte, manca di poesia. Semai cedendo all’impeto della rozza e potente suafantasia, una pure ne cerca, lo fa sforzandosid’imitare la illustre. Allora il plebeo non è più lui,ma un fantoccio male e goffamente ricoperto divesti non attagliate al suo dosso. Poesia proprianon ha: e in ciò errarono quanti il dir romanescovollero sin qui presentare in versi che tutta palesa-no la lotta dell’arte colla natura e la vittoria dellanatura sull’arte.

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Sonetti

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1 [11] - Pio Ottavo

Che ffior de Papa creeno! Accidenti! 1

Co rrispetto de lui pare er Cacamme.1 2

Bbella galanteria da tate e mmamme 3

pe ffà bbobo a li fijji impertinenti! 4

Ha un erpeto pe ttutto, nun tiè ddenti, 5

è gguercio, je strascineno le gamme, 6

spènnola2 da una parte, e bbuggiaramme37

si4 arriva a ffà la pacchia5 a li parenti. 8

Guarda llì cche ffigura da vienicce69

a ffà da Crist’in terra! Cazzo matto 10

imbottito de carne de sarcicce!7 11

Disse bbene la serva de l’Orefisce 12

quanno lo vedde8 in chiesa: «Uhm! cianno9 fatto 13

un gran brutto strucchione10 de Pontefisce». 14

1° aprile 1829

0

1 Autorità ebraica in Ghetto. 2 Pende. 3 Buggerarmi. 4 Se. 5 Stato comodoe ricco senza pensieri. 6 Venirci. 7 Salsicce. 8 Vide. 9 Ci hanno.10 Uomaccione mal tagliato. 0

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Biblioteca Italiana Zanichelli

Dante Alighieri, Commedia

Giuseppe Gioachino Belli, Sonetti

Gabriele d’Annunzio, Il Piacere

Giacomo Leopardi, Canti - Operette morali - Pensieri

Francesco Petrarca, Canzoniere

Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal - L’umorismo

Italo Svevo, La coscienza di Zeno

Torquato Tasso, Gerusalemme liberata

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Uno dei maggiori capolavori della letteratura italiana dell’Ottocento, nel quale il dialetto si eleva a strumento sapidissimo per raccontare la commedia umana di personaggi di ogni estrazione sociale nella Roma dell’età della Restaurazione.

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