COP marzo aprile 2010 ESEC v7:Layout 1...è facile: circolano certo ancora, in Italia e in Eu-ropa,...

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  • 1L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010Sommario

    Editoriale di F. Panellapag. 2

    Agricoltura e AmbienteAnche dai fiori di tiglio:morte per le api!

    di M. Re Cecconipag. 7

    pag. 49 La posta dei lettori di U. Grassone

    pag. 24

    pag. 53 Notizie in breve

    pag. 37

    Visto per VoiI neonicotinoidi sono sinergici all’insorgenza di Nosema di M. Gotti

    pag. 27

    EUROPEAN DOCUMENTATION

    IN APICULTUREFOR PRESS AND INFORMATION

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    ProprietàASPROMIELE, C.so Francia 9, Torino

    Direttore ResponsabileM. Carpinteri

    RedazioneF. Panella, R. Barbero, C. Olivero,S. Curti, M. Gotti, L. Allais, A. Raffinetti,U. Grassone, A. Fissore, P. Faccioli, A. Lazzati, L. Piana, R. Polide, G. Guido

    ImpaginazioneS. Curti

    StampaTipografia Canepa, Via Perfumo 40/a, Spinetta M.go (AL)

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    Questo numero è stato chiuso in redazione lunedì 15 febbraio 2010

    ANNO XVIII - NUMERO 3MARZO/APRILE 2010sommarioIn copertina - Nell’ambito delle visiteaziendali del Convegno AAPI 2010,

    presso l’azienda di Hubert Ciacci, ab-biamo potuto apprezzare il connubiodi due allevamenti. Prossimamentesu L’Apis, le cronache di questo im-portante momento di confronto e dilavoro. (Foto di R. Barbero)Ci scusiamo con l’autore e con i lettori pernon aver riportato che la foto di copertinadel precedente numero di L’Apis 2-2010è di Carlo Gentilini di Pellizzano (TN)

    pag. 19

    pag. 45

    pag. 33

    Lavori in apiarioAprile/Maggio

    di U. Grassone e A. Fissore D. Greco

    pag. 11

    Documento e Commento di U.N.A.API.pag. 5

    Apicolture possibiliIl riscatto delle “Terre Dei Vinti” di P. Faccioli

    MieleIn arrivo i mieli Uni-florali di L. Persano Oddo

    Storia e TradizioniDal passato e dalla “tradizione”: miele o mieli?

    di F. Ridolfi e F. Panella

    Le api e i Medici (1° parte) di M. Accorti

    Politica apisticaAssociazionismo ed Enti Pubblici di R. Barbero

  • L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010 Editoriale

    Editorialea cura di F. Panella

    Sintetizzo di seguito le informazioni lanciate davarie agenzia di stampa e riprese in articoli di te-state di rilievo nazionale quali La Stampa o IlResto del Carlino:“Bloccate dalla Forestale in provincia di Torinoaltre 11 mila confezioni di propoli contaminate,dopo le 2 mila scoperte alcuni giorni fa a Forlì. Leconfezioni contenevano 450 mila pastiglie al pro-poli, contaminate con antiparassitari gravementenocivi per la salute umana, utilizzati nella lotta alVarroa. E’ il primo risultato di una complessa in-dagine della Procura di Ascoli Piceno. Nell’ambitodell’operazione battezzata “Ape Maia” sono stateemesse le prime otto segnalazioni all’autorità giu-diziaria per il reato di contaminazione di sostanzealimentari. Uno degli antiparassitari utilizzato nellalotta al Varroa è stato ritirato dal commercio allafine del 2003. E’ stata avviata la procedura comu-nitaria di allerta alimentare e i prodotti contaminatisono già stati ritirati dal mercato. Con tale attivitàil Corpo forestale dello Stato intende bloccarel`uso negli alveari degli antiparassitari banditidall`Unione Europea, accertare nei prodotti api-stici, miele, cera e propoli le irregolari quantitàdegli antiparassitari consentiti e verificare la trac-ciabilità della propoli se di provenienza nazionale oestera.”La notifica comunitaria n° 0145 chiarisce che sitratta di perle gelatinose da masticare, contami-nate da coumaphos (0.90 mg/kg) e chlorfenvin-phos (0.03 mg/kg); prodotte in Italia, conl’utilizzazione di parte delle materie prime prove-nienti dalla Bulgaria. Non credo che sia il caso disoffermare più di tanto la nostra preoccupata ri-flessione sull’incerta origine geografica della con-taminazione.Anni or sono, lo ricordano tutti gli apicoltori, scop-piò analogo scandalo, quando furono diffusi, nel-

    l’ambito della nota tra-smissione televisiva di Rai3, i risultati

    delle analisi, commissionate da Altroconsumo,che accertavano una diffusa contaminazione daantibiotici in mieli di varia origine, Italia inclusa.Da allora si è fatta molta strada, sono state av-viate, e sono ora pratica obbligata e diffusa, one-rose e impegnative attività di autocontrollo.L’acceso dibattito ci ha, in più di un caso, visti(“senza se e senza ma”) contrapposti a sosteni-tori, sia apicoltori e sia importanti referenti dellepolitiche veterinarie, della somministrabilità di que-sti farmaci agli alveari. E’ in fase avanzata la mo-dificazione radicale del mercato del miele, conl’effettuazione di analisi di routine e controlli accu-rati per ogni partita di miele immessa al consumo.Procedura che comporta, tra l’altro, un aggravio dicosto analitico per ogni transazione all’ingrossocon una penalizzazione proporzionale alla dimen-sione della partita di miele scambiata e un’obiet-tiva difficoltà alla commercializzazione associataall’ingrosso tra apicoltori di medio/piccole dimen-sioni. Di fatto è oggi “di qualità commerciale” soloil miele che risponde al prerequisito: “esente daantibiotici di sorta”.L’U.N.A.API. si è distinta e ha proposto, sovente indesolante solitudine, la considerazione delle spe-cificità dell’animale in questione, l’alveare, con so-

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    E’ SCOPPIATA LA BUGNA DEL… PROPOLI

  • 3L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010Editoriale

    stanziale assenza di metabolismo che trasformi oespella le sostanze con cui entra in contatto.L’U.N.A.API. ha indicato conseguentemente l’usoprioritario di procedure gestionali apistiche sanita-rie e di molecole, quando necessarie, di certa in-nocuità per l’uomo, tali da garantire scarsa o nullaresidualità. La netta proposta per la lotta alla pesteamericana è stata fatta propria, alla fine, anchedall’insieme della filiera del miele europea cheesclude, oggi, qualsiasi possibile utilizzo di anti-biotici. Viviamo quindi una crescente e radicale di-varicazione nel mercato mondiale del miele, tral’Europa e gran parte del resto del pianeta che nonsolo consuma miele con antibiotici, ma anzi con-tinua a proporne la somministrazione agli alveari.Ottenere che tutti marcino al passo dei tempi nonè facile: circolano certo ancora, in Italia e in Eu-ropa, partite di miele contaminato, ma è semprepiù difficile che siano irresponsabilmente proposteai consumatori europei e tantomeno sul mercatoitaliano. Il miglioramento, sotto questo profilo, delmercato sia europeo e soprattutto nazionale è te-stimoniato da precisi segnali che monitoriamo co-stantemente e su cui L’Apis proporrà prestoun’analisi dettagliata. L’accertamento della contaminazione di formulatial propoli segnala un ritardo inaccettabile dell’in-sieme della filiera specializzata nella produzionee commercializzazione (con lauti margini econo-mici!) di preparati consumati principalmente dal-l’infanzia, da soggetti debilitati e per l’attivitàbenefica e salutare.Segnala però anche un pesante ritardo nostro, deiproduttori apistici associati e quindi dell’U.N.A.API.in primo luogo. E’ risaputo, infatti, che alcune mo-lecole sono, come quelle in questione, lipofile (bensi legano e accumulano progressivamente in cerae propoli e “passano” con più difficoltà nel miele)mentre altre (amitraz e soprattutto suoi metaboliti)più accentuatamente sono idrofile (trasmigrano esi conservano più facilmente nel miele). Ogni so-stanza e/o somministrazione lascia un’impronta in-cancellabile nell’alveare; il segno di una molecolalipofila sarà certo più importante, indelebile e cre-scente in una matrice stabile come il propoli com-posto di resine e che l’alveare non “consuma” eanzi riutilizza e ricicla nel suo ciclo vitale “infinito”.Qual è l’apicoltore che non ha osservato le api re-cuperare il propoli nelle cassette vuote accatastatepresso la sede aziendale? “Avremmo dovuto oc-cuparcene, prima che scoppiasse la bugna!” mi harampognato un collega e amico. Ho risposto: “hairagione siamo in colpevole e grave ritardo,avremmo dovuto, pur con le nostre scarse se nonnulle risorse umane ed economiche, farci caricoper tempo anche di questo…” Oggi “chiudere lastalla quando i buoi…” non serve, serve invece “fartesoro degli sbagli”. D’ora in avanti siamo tenuti a ricordare che per glialveari ogni contatto e/o somministrazione di prin-

    cipi attivi stabili e contaminanti, inclusi alcuni legal-mente utilizzabili, può comportare il degrado delpropoli derivatone. D’ora in avanti la cessione e so-prattutto la proposta ai consumatori di questa me-ravigliosa sostanza (impropriamente ancora pertroppi apicoltori: “sottoprodotto”) non potrà più es-sere fatta a cuor leggero, ma solo dopo aver ac-certato, con ancor più attenzione e garanzie diquanto non si faccia oggi per il miele, che siaesente da ogni inquinante tossico e se ne possanovantare solo i plurimi e sempre più apprezzati ef-fetti benefici. Dobbiamo promuovere e attuare, abreve anche per il propoli, una “rivoluzione” com-merciale: se oggi all’ingrosso un generico propolipulito da impurità, quali sporcizia e schegge, vale alkg intorno ai 50/60 euro, quale deve essere invecela quotazione equa del propoli pulito da molecoleresiduali? Quanto e come questo primo allarme co-munitario si ripercuoterà nel mercato mondiale?Quali saranno al mondo gli apicoltori e le apicolturein grado di soddisfare la crescente domanda dipropoli “pulito”? L’apicoltura italiana è capace, l’hadimostrato, di accollarsi e vincere sfide complessee “impossibili” pur di sopravvivere: i monoflora, ilRegolamento U.E. per l’apicoltura (oggi 1234), l’as-sistenza apistica professionale, la riformulazione ra-dicale della Direttiva CE sul miele, le vere proceduredi lotta alla peste americana, l’aggiornamento e lacondivisione culturale e tecnologica, il riconosci-mento istituzionale del valore ambientale delle api,gli effettivi criteri distintivi per il bio, il continuo ag-giornamento e aggiustamento nella lotta alla var-roa, la compatibilità dei pesticidi... L’apicoltura italiana è una delle poche, se nonl’unica, che può dare nuovo impulso alla produ-zione di propoli solo benefico e trasformare l’at-tuale difficoltà in opportunità. Facciamoci sotto!

    Novi Ligure, 13 febbraio 2010

    I consumi di preparati a base di propoli sono innetto rialzo non solo in Italia ma nel Mondo intero.

    Tale fenomeno si inquadra nell’ambito di un crescente e rinnovato interesse per l’insieme

    delle sostanze e/o integratori scelti e assunti non in quanto farmaci, ma quali benefici

    apporti alla salubrità della vita.

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    IL DOCUMENTODISARMANTE!IL MINISTERO DELLA SALUTE RISPONDE PICCHE ALL’APICOLTURA ITALIANA...

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    Ad un nostro collega in Toscana è stata elevata una sanzione di oltre 20.000 € per detenzione e sommini-strazione di acido ossalico alle api. L’U.N.A.API. ha immediatamente sviluppato una serie di iniziative localie nazionali fra cui, il 13 di gennaio, una specifica missiva con richieste urgenti al Ministero della Salute.Il Ministero della Salute ha risposto. Questo è l’unico aspetto positivo! Qualcuno finalmente risponde…Nel merito di quanto affermato nella risposta constatiamo, con stupore, che:

    Il Ministero della Salute, rispetto alle richieste dell’U.N.A.API. e dell’intero comparto apistico in merito allalotta alla varroasi, ritiene pertinente, ed evidentemente esaustivo delle sue prerogative e responsabilità,l’ autorizzazione d’uso di alcuni farmaci antivarroa (se ne indica, tra l’altro, la disponibilità di cinque quandoinvece oggi ne sono disponibili quattro). Per lo stesso Ministero è irrilevante verificare l’effettiva efficacia dei prodotti autorizzati, a utilizzabilità con-dizionata e stagionale, e conseguentemente, è irrilevante verificare le reali condizioni sanitarie degli alle-vamenti apistici nazionali. Al contrario si giunge a dichiarare di ignorare le molteplici e reiterate segnalazionidi riduzione di efficacia dei prodotti autorizzati.Lo stato di salute degli alveari italiani non è aspetto evidentemente su cui si possano in alcun modo sof-fermare i Servizi cui è deputato il ruolo di predisposizione e indicazione della migliore difesa sanitariadelle api: hanno valore soltanto gli aspetti formali e burocratici! E’ evidente che non esiste collegamento di sorta tra il Ministero e i Servizi Veterinari operanti sul territo-rio, fra questi lo specifico “Centro di referenza nazionale per l’apicoltura”, che, a fronte delle crescenti,reiterate falcidie di alveari hanno da tempo preso atto dell’inefficacia dei presidi autorizzati, ne hannodato debita comunicazione al Ministero, e hanno predisposto piani di lotta e/o indicazioni di utilizzo di altremolecole o metodiche e procedure di lottaIl Ministero non ha alcuna conoscenza e interesse per le denunce, analisi e constatazioni, non solo delleassociazioni apistiche, ma anche della ricerca scientifica apistica tutta, degli Istituti Zooprofilattici, delleRegioni, del Ministero dell’Agricoltura e di quello dell’Ambiente, del Parlamento Europeo e della Com-missione Europea, come dell’EFSA, di tutti i soggetti, pubblici e privati, che hanno dato conto dellostato di crescente crisi sanitaria delle api in Italia e nel Mondo. Né tanto meno v’è alcuna conoscenza diquanto riportato sui media nazionali e internazionali, da anni, sulla crisi sanitaria delle api e crisi dell’api-coltura.

    Nonostante tutto ciò lasci profondamente esterrefatti e rattristati non abbiamo alcuna intenzione di demor-dere: senza farci trascinare in stravaganti, burocratiche e capziose discussioni, ribadiamo la necessità di tro-vare soluzioni concrete perché sia diversamente affrontata e risolta la difesa degli allevamenti apistici nazionali.L’U.N.A.API. e l’intero mondo apistico pertanto continueranno a proporre, che venga attivato un confrontocostruttivo per condividere con le autorità veterinarie a ben altre responsabili scelte, sia nazionali che euro-pee, per la difesa sanitaria degli allevamenti apistici!Nell’attesa delle conclusioni ufficiali dell’EMEA del workshop di Londra del dicembre 2009, ci limitiamo a ri-badire al Ministero della Salute, che gli apicoltori europei, e noi eravamo tra coloro che hanno formulato le ri-chieste del Gruppo Miele del Copa-Cogeca, non hanno avanzato la richiesta di essere educati, bensì che:

    sia dichiarata l’emergenza sanitaria per le api in tutto il territorio dell’Unione Europea.Sia costruita una procedura specifica di omologazione dei medicinali per uso veterinario apistico, facili-tando, anche provvisoriamente vista l’emergenza comune a tutta l’Europa, grazie alla possibile reci-procità delle autorizzazioni, l’accessibilità e l’utilizzazione dei presidi sanitari tra gli Stati membri, nelrispetto della salubrità dell’alveare, del prodotto e della sicurezza del consumatoreSiano prioritariamente ricercati nuovi farmaci contro la varroasi.Non sia consentito l’utilizzo di antibiotici contro la peste americana delle api.

    Il Consiglio di Amministrazione dell’U.N.A.API, 11 febbraio 2010, Novi Ligure.

    ...MA L’APICOLTURA ITALIANA NON DEMORDE!

    IL COMMENTO

  • 6 L’Apis | N. 2 FEBBRAIO 2010 Commissione Sanitaria U.N.A.API.

  • 7Agricoltura e Ambiente L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010

    ono un apicoltore di me-stiere di Legnano, vivo con edelle mie api. Da tempo ot-

    tengo un’ottima produzione dimiele di tiglio con un apiario posi-zionato nel comune di Rescaldina.Da alcuni anni a questa parte hodovuto prendere atto di un’eca-tombe della popolazione di api diquell’apiario proprio in occasionedella magnifica fioritura dei tigli. Ho condotto un’inchiesta, nonsemplice, e ho accertato che il Co-mune aveva affidato a una dittal’incarico di effettuare un tratta-mento endoterapico con un pre-parato neurotossico per gli insettia base di Abamectina. Una sem-plice ricerca in internet e la con-sultazione degli esperti sono statesufficienti per accertare che taleprincipio attivo è per le api alta-mente tossico per ingestione emoderatamente tossico per con-tatto. Ho pensato che questa si-tuazione non possa e non debbaessere accettata passivamente eho scritto il 30/03/09 una lettera alComune, che riassumo persommi capi:

    “Mi chiamo Re CecconiMarco, sono apicoltore pro-fessionista da diversi anni efaccio dell’ape oltre che unlavoro, la mia più grande pas-sione.Negli ultimi anni uno dei mieiapiari, posto in prossimità delvostro Comune, ha subitoseri e consistenti danni inconcomitanza con la fiorituradei tigli, verso la metà delmese di giugno. Le api deimiei alveari non tornavanodopo aver bottinato e quelle

    che arrivavano spesso mori-vano avvelenate. Dopo lun-ghe indagini ho scoperto confatica che nel vostro Comunevengono effettuati trattamentiai tigli dei viali per endoterapiacon un prodotto di nomeVERTIMEC, il cui principio at-tivo è l’Abamectina, la cuischeda tecnica riporta esserealtamente tossico per le api. Fatte le dovute ricercheespongo quanto segue.La SYNGENTA (produttricedel prodotto) riporta che ilprodotto è tossico solo per ir-rorazione durante la fioritura;chiaramente una sostanzatossica che rimane due anninella linfa della pianta tra-smette inequivocabilmente lasua tossicità al nettare che isuoi fiori producono e chevengono regolarmente visitatidalle api e da altri insetti im-pollinatori.Se, come mi insegnate, gliafidi pungono la corteccia e sinutrono della linfa rimanendoavvelenati, si può fondata-mente ritenere che le api sug-gendo le stesse sostanzezuccherine particolarmentericche di sali minerali (classi-ficate poi come miele di me-lata) rimangano anch’esseavvelenate nel medesimomodo.I sintomi riportati nella schedatecnica di questo prodotto,che annunciano la morte de-gli afidi, sono gli stessi ri-scontrabili e facilmente verifi-cabili nel mio apiario dagliufficiali delle A.S.L. durante il

    periodo di fioritura dei tigli e,se necessita, le analisi di la-boratorio della prossimaestate daranno la confermadel tipo di avvelenamento.L’Abamectina è stata oggettodi studi insieme all’Imidaclo-prid per decidere quale prin-cipio attivo sia più efficaceper l’endoterapia sulle pianteurbane. Quest’ultimo, moltopiù diffuso in agricoltura e an-che per la concia delle se-menti del mais è stato so-speso per decreto leggeanche in Italia proprio per idanni incalcolabili causati al-l’apicoltura e di conseguenzaall’ambiente e all’impollina-zione. Preciso che entrambi iprincipi attivi sono neurotos-sici.Nessuna pianta è mai statadanneggiata dalla melataprodotta; nelle grandi cittàd’Europa non si usa più farealcun trattamento, in quantoqueste sostanze appiccicosetrattengono le polveri sottili edi conseguenza contribui-scono significatamente a mi-gliorare la qualità dell’aria.Aggiungo, a mio personalegiudizio, che le schede tecni-che di questi nuovi insetticidi-acaricidi non contengonoqueste informazioni.Al momento non esistono pro-dotti biologici o comunque

    ANCHE DAI FIORI DI TIGLIO: MORTE PER LE API!

    Sdi Marco Re Cecconi

    La “difesa” delle alberate di tiglio dai fitomizi per evitare la secrezione di melata provoca effetti disastrosi su api e insetti utili. La battaglia di un apicoltore ottiene soddisfazione!

  • Agricoltura e AmbienteL’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 20108

    senza gravi impatti ambientaliper questo tipo di impiego.Chiedo pertanto che si so-spenda da subito ogni tipo ditrattamento sui viali alberati delvostro comune al fine di difen-dere gli insetti pronubi, l’am-biente e la salute umana, per iquali non ne sono ancora statisufficientemente studiati gli ef-fetti nocivi.Mi permetto di suggerire, qua-lora vogliate un parere al ri-guardo più autorevole del mio,di contattare il dottor PorriniClaudio della Facoltà di Agra-ria dell’Università degli Studi diBologna che ha condotto ri-cerche proprio sulla tossicità diquesto prodotto sulle api.Resto personalmente a di-sposizione per chiarire le mieposizioni, discutere con i vo-stri agronomi e per avvalerci,a mie spese qualora ne fac-ciate richiesta, di tecnici qua-lificati delle associazioni api-stiche e delle A.S.L. per avereun riscontro su quanto da medichiarato; tutto ciò ancheper dare una risposta aquanti, ignorando le graviconseguenze dei trattamentiendoterapici, preferisconoper i loro figli le macchine pu-lite e l’ambiente inquinato. Vichiedo gentilmente di essereinformato sulle future deci-sioni prese in merito dal vo-stro Comune per potermieventualmente difenderenelle sedi opportune e contutti i mezzi a mia disposi-zione e, se del caso, rivalermi,dati alla mano, di altri even-tuali apicidi con richiesta dirisarcimento del danno e permancata produzione”.

    Lunedì 9 novembre 2009, nonavendo ricevuto risposta alla mialettera di marzo, mi sono presen-tato negli uffici per prendere ap-puntamento con l’assessore espiegare la situazione. Mentre lasegretaria mi fissava l’incontroper sabato 14 novembre, un fun-zionario mi diceva che l’agro-nomo del comune, da loro inter-pellato, avrebbe garantito che itrattamenti con VERTIMEC nonnuociono assolutamente alle apie quindi il comune era orientato a

    Gli alberi di città in ItaliaSono almeno un milione gli alberi che adornano le nostrecittà: 170.000 solo a Torino, 180.000 a Milano, 40.000 aNapoli, 30.000 a Palermo e ben 340.000 a Roma. Non procurano solo problemi di pulizia di strade e gron-daie, non sono solo un rischio per gli schianti improvvisi,non hanno solo una funzione estetica e riposante. Temperano gli eccessi climatici estivi, spandono ombra ela loro traspirazione abbassa la temperatura anche di al-cuni gradi, assorbono biossido di carbonio, ospitano uc-celli e uccellini che a loro volta si nutrono di zanzare e dialtri insetti.Sono sovente mal accuditi, potati e curati. In media in Ita-lia 10.000 alberi l’anno vengono classificati, sulla base deicriteri della relativa valutazione internazionale, Vta, per es-sere abbattuti con la motosega.(per saperne di più www.ipla.org e www.legambiente.it)

  • Agricoltura e Ambiente L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010 9

    ripeterli. Ho ringraziato e sonotornato il sabato mattina. Dopouna lunga attesa e un’altra chiac-chierata con l’architetto respon-sabile dell’ufficio, mi hanno co-municato che l’assessore non sisarebbe presentato in tempo, permotivi familiari. Nel corso dellachiacchierata l’architetto mi ha ri-badito che l’agronomo (chissàpoi chi è) aveva fornito una rela-zione scritta in cui si sostiene cheper le api non esisterebbero pro-blemi, aggiungendo però cheprobabilmente il comune nonavrebbe più avuto i fondi per ef-fettuare il trattamento e chequindi sarebbe forse stato “ta-gliato”, precisando più volte:“Non per le api, solo per man-canza di fondi”.Ho preso un altro appuntamentoper sabato 21 novembre ed hocosì avuto modo d’incontrare, fi-nalmente, l’attuale assessore ailavori pubblici del comune di Re-scaldina. Sapeva della situazione,della mia documentata protesta emi ha rassicurato: l’anno pros-simo i trattamenti endoterapici suiviali di tiglio non verranno effet-tuati. Per mancanza di fondi?Perché ha capito il problema?

    Cosa importa: per ora battagliavinta! Tornerò a farmi vivo l’annoprossimo. Se qualcuno pensache sia possibile stancarci persfinimento non sa che la nostracategoria, quando fiuta la preda,diventa instancabile (qualcosa dibuono dal nostro insetto do-vremo pur impararlo). P.S. Ho chiesto di avere la rela-zione dell’agronomo scritta per ilcomune… Non esiste!Grazie all’U.N.A.API. tutta per il

    sostegno che ha voluto espri-mere: è stato unico ed utile. Vo-lentieri aggiungo che a Legnano,il mio comune di residenza, l’uffi-cio lavori pubblici, applicando lalegge sull’apicoltura, ha invecemesso a mia disposizione gratui-tamente una piccola porzione diparco dove ho posizionato unapiario. Di questo mi rallegro e virendo partecipi.

  • PubblicitàL’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 201010

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    APICOLTURA

    CAUDA F.LLI

  • La tradizione

    Gabbiette per regine, trappolesfucatrici, arnie d’osservazione,collezioni di riviste come “l’Api-coltore Moderno” di don Angelerio “l’Apicoltore d’Italia”, oggetti inparte visibili al Museo etnologicodi Casteldelfino, mostrano chein Valle Varaita i valligiani eranoapicoltori molto meno rozzi,molto più evoluti di quanto fos-sero propensi a pensare i pro-fessionisti cuneesi. Una tradi-zione assai diffusa e assai antica,testimoniata anche dalla pre-senza nella valle di numerose tet-toie espressamente costruite peril riparo di alveari, come già rivela

    una mappa di Casteldelfino del1895. Sotto di esse potevanoconvivere bugni rustici (brüsc) earnie razionali. E’ su questa tra-dizione che Gian Luca Garnero,rappresentante di una passionedi famiglia per l’apicoltura giuntacon lui alla quarta generazione,ha voluto orgogliosamentecreare un piccolo mito: il mieleda lui prodotto a Frassino, paesedella media valle, si fregia delnome e dell’immagine di PascalFelix, emigrante in America e inFrancia, che tornato a Frassinoiniziò il bisnonno di Gian Luca al-l’uso dell’arnia a favo mobile, inun’epoca in cui nella pianura delcuneese dominavano ancora i

    11L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010Apicolture Possibili

    IL RISCATTO DELLE“TERRE DEI VINTI”Il contributo di una giovane azienda, la Mieleria Garnero, perché si riallacciil filo spezzato con una montagna abbandonata o sfruttata.

    di Paolo Faccioli

    In alto il Colle dell’Agnello, dove la Valle Varaita confina con la Francia, storico passaggio di emigranti e di contrabbandieri.

    Apicolture Possibili

    Dall’Emilia alla Toscana, al Trentino, alla Campania, al Piemonte, questa serie di articoli continua a esplorare lavarietà di stili con cui è possibile fare apicoltura. Apicolture “possibili” anche nel senso di accessibili, facilmente concepibili, che non richiedono necessariamentegrandi capitali iniziali,finanziamenti, mezzi, manodopera, complessità di organizzazione. Cercando di mostrare quanto, acaratterizzare un’azienda, sia meno determinante il tipo dimezzi o di tecniche usate, chenon il sapersi inventare l’aziendacome risposta all’unicità e alla specificità dei propri sogni e bisogni. Cercando di capire la particolarità di ogni aziendacollegandola al maggiornumero possibile di fattori di interdipendenza.

  • bugni rustici. E’ con un epigonodi questa tradizione valligiana,Bartolomeo Giusiano detto Tum-linòt, di Frassino, che Gian Lucaha fatto il suo apprendistato,dopo che suo padre era man-cato. Un’apicoltura per certiversi molto tradizionalista, stan-ziale e di prudente manipola-zione del nido, ma da cui Gian

    Luca ha imparato l’intero ciclodegli interventi in apiario dallaprimavera all’invernamento, leprime nozioni di selezione, l’ideadel rinnovo sistematico delle re-gine, una formula (“massimoquattro favi di covata a metàaprile”) per calibrare le famiglie invista della fioritura principale (iltiglio-castagno), l’uso di unsemplice telaio maschile piaz-zato nel centro della covata pervalutare l’avanzamento dellafebbre sciamatoria, oltre a prati-che discutibili come l’orfanizza-zione delle famiglie con l’ideache possano così produrre dipiù. Il severo Tumlinot, facen-dogli annotare scrupolosa-

    mente gli interventi e le osser-vazioni, gli ha anche trasmessoil concetto di come in un postole api, il clima e i fiori si intrec-cino in ritmi e variabili la cui co-noscenza crea l’apicoltore. Piùtardi, Gian Luca, ha imparatoun’apicoltura di tipo più dina-mico attingendo a un’altra“scuola”, quella dei tecnici diAspromiele, dapprima lavorandonegli apiari di Carlo Olivero, ac-compagnato in seguito dalla fra-terna amorevolezza di RiccardoPolide.

    Il territorioLa Valle Varaita, dove si parlal’occitano, è una di quelle vallidel cuneese da cui Nuto Revelliha attinto la materia che com-pone il suo drammatico affrescodi vita contadina “Il mondo deivinti”. Moltissime pagine di que-sto libro sono dedicate al tra-gico abbandono della monta-gna. Un abbandono di cui pochinumeri bastano a dare l’idea: lapopolazione della parte alta dellaValle Varaita (Bellino, Pontechia-nale e Casteldelfino), toccò il suomassimo storico nel 1774 (4.547abitanti) per andare incontro aun regolare declino nel corso deisecoli. Dopo un “picco” demo-

    Apicolture Possibili12

    Riparo per alveari nellatradizione della Valle Varaita con tettoia e muro di cinta.

    Pascal Felix, l’emigrante che portò in Valle Varaita una delle prime arnie a favo mobile.

    L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010

    Il “territorio apistico” di Gian Luca Garnero.

  • grafico (3.532 abitanti nel 1911),il declino proseguì costante.Oggi gli abitanti dei tre comunidell’alta valle sono in tutto 614.Uno degli aspetti particolar-mente drammatici di questo fe-nomeno, che continua tuttora,è dato dall’emorragia di giovaniintelligenze, coloro che dovreb-bero poter costituire la classe di-rigente del futuro. Dare vita a unprogetto in Valle Varaita è in con-trotendenza, è vero, ma scom-mette su una ricchezza naturaleche non è mai venuta meno.La Valle Varaita fa parte di quelgruppo di valli che, fin da primadella guerra, è stato il “Far West”degli apicoltori nomadi del Roero,alla ricerca di mieli chiari e delicatidi alta montagna e in fuga dallafioritura del castagno sulle lorocolline, il cui prodotto, scuro eamaro, non era ancora apprez-zato. Questi primi pionieri ritene-vano essenziale avere spazio in-torno ai propri apiari, einizialmente ognuno aveva occu-pato una valle. Era stato soprat-tutto Nicola Cauda a esplorare lepossibilità dell’alta Valle Varaita,con apiari a Bellino, Pontechia-nale e Casteldelfino.L’alta valle, che confina con laFrancia tramite il passo del-l’Agnello, permette tuttora buoniraccolti estivi di una miscela dirododendro, lampone, lupinellaoltre a una varietà di specie mi-nori come acero, salice, timo,cardo, tarassaco, ginestrino,stoppione. Nella media valle(Frassino) sono possibili raccoltiabbondanti di tiglio e castagno,l’obiettivo finale di una sequenzache Gian Luca sintetizza così:“sul nocciolo iniziano a trovare,sul salice iniziano lo sviluppo, sulciliegio scoppiano, sul tarassacosciamano, sul tiglio e castagnoriempiono i melari”. Più in basso(Brossasco) sono possibili rac-colti, irregolari da un anno all’al-tro, di almeno un melario di ci-liegio selvatico e di millelfiori. E’solo negli ultimi anni che l’acaciasta diventando una fioritura im-portante nella valle, comin-ciando, a Brossasco, a garantireun raccolto autonomo chel’anno passato si è rivelato equi-parabile a quello di apiari tenutisulle colline monregalesi. L’aca-

    cia sta risalendo fino a Frassino,nella media valle. Secondoun’espansione opposta a quelladei “pionieri”del Roero, GianLuca, dalla Valle, ha esteso il suoterritorio di produzione fino acomprendere le colline del mon-regalese, del Roero e dell’asti-giano per i raccolti rispettiva-mente di tarassaco, seguitodall’acacia, e di colza, seguitadall’acacia. Ma rimanendo radi-cato in montagna.

    L’apicoltoreE’ intorno a come è fatto l’uomoche ogni azienda prende la suaforma peculiare. Gian Luca hafrequentato la scuola professio-nale agraria di Verzuolo, doveera stato incoraggiato a seguirel’insolita, ma ostinata, passioneper l’apicoltura: un’inedita con-venzione col tecnico di Aspro-miele, Carlo Olivero, venne isti-tuita apposta perché Gian Lucapotesse effettuare uno stage nelsuo ramo preferito. Lui stesso ri-cevette l’incarico di tenere uncorso di apicoltura per i suoicompagni di scuola. Alla scuolagli venivano facilmente perdo-nate le sue bizzarrie, come ilfatto che si divertisse a parlarein occitano durante l’ora di lin-gua francese o a provocare pic-cole esplosioni durante l’ora dichimica. Iscrittosi all’università

    a Torino per una laurea breve inveterinaria, Gian Luca non riuscìa ritrovarci lo stesso caloreumano, né riuscì ad adattarsialla città, e si ritirò. Per un breveperiodo lavorò come impiegatoalla Coldiretti di Fossano, anchelì con un buon rapporto umanocon i colleghi, ma insofferentealle regole e alla logica burocra-tica. “Se tu esci oggi da questoufficio, ricordati che non ci rien-trerai mai più” si sentì dire, manon fu questo a fermarlo. Co-minciò così a realizzare un pro-getto che prese forma un pezzoalla volta, poco a poco, ma chelui aveva già concepito nella suainterezza: un numero gestibiledi alveari per produrre il suomiele e il negozio per venderlo.Questa determinazione a per-seguire un progetto in modo to-tale, con ostinazione perfezioni-sta, Gian Luca la riconoscecome un’eredità del padre. Al-fredo Garnero, mi racconta ilsindaco di Frassino, il suopaese, fu un “genio della mec-canica”, e anche il creatore diuno dei più rinomati alberghi eristoranti della valle. Con lastessa determinazione GianLuca si è gettato a studiare ilsemitoun, un organetto a bot-toni tipico della tradizione musi-cale cuneese, riuscendo a farsiaccettare come allievo dal mi-gliore esperto di questo stru-

    Apicolture Possibili L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010 13

    Gian Luca al semitoun mentre suona musica tradizionaleoccitana all’inaugurazione del negozio.

  • 14 L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010 Apicolture Possibili

    mento, e persino a suonare conlui, dedicandosi attivamente perdiversi anni alla musica di tradi-zione occitana. Gian Luca è an-che un buon falegname, che si ècostruito da solo la maggiorparte del materiale, nonché imobili in stile alpino del negozio.Nel 2003 conobbe Laura San-drone, che faceva volontariato aCasteldelfino con la CroceRossa, e veniva da Ceresoled’Alba, dove la famiglia haun’azienda agricola. Da allora èstata al suo fianco nella vita e nelprogetto.

    La gestione degli alvearie le sequenze del nomadismo

    La scacchiera, su cui Gian Lucamuove le pedine dei suoi apiari(per un totale di 200 alveari) e sigioca la stagione, è rappresen-tata nella figura a pagina 12 inbasso a destra. La maggiorparte degli apiari svernano in po-stazioni della valle bene espo-ste, in modo da essere più con-trollabili e accessibili pereventuali interventi con candito e

    acido ossalico sublimato. Lavalle fornisce una varietà di si-tuazioni climatiche che consenteuna minima, ma sufficiente sca-larità nello sviluppo. In stagioneproduttiva vengono in partemantenuti in valle per la fiorituradel ciliegio e un raccolto di mil-lefiori, e spostati nel Monrega-lese a 450 metri slm (tarassaco-acacia), nel Roero a 350 metrislm (colza-acacia) e nell’asti-giano. Anche lì una minima sca-larità nei raccolti (di una setti-mana) consente un certo respironella successione delle opera-zioni. A ogni famiglia, alla finedell’acacia, vengono tolti due te-lai di covata opercolata, un’ope-razione che non pregiudica i rac-colti successivi, ma consente dicominciare a togliere varroa fa-cendo sciami. Sciami fatti condue telaini di covata dopo l’aca-cia arrivano a completarne 5-6sul tiglio-castagno e, quandonon ci arrivano, rimane la risorsadella melata a Cherasco e Fos-sano.Dalle colline tutte le famiglie inproduzione vengono riportate invalle per la produzione di tiglio-castagno e quella di alta monta-

    gna, a 1300 o a 1700 metri. Gliapiari destinati alla montagnavengono spolpati un po’ meno,perché la montagna presenta al-cuni problemi: il primo è che lefamiglie si indeboliscono, dopoquella che per loro è una se-conda primavera con tanto diseconda febbre sciamatoria, ilsecondo è che le regine vannocambiate a tappeto, perché se-condo Gian Luca tendono a ri-partire male l’anno dopo. In altamontagna non è però possibileaspettarsi una buona feconda-zione delle regine nel corso diun’operazione che Gian Lucacompie a tappeto a metà luglio,su tutti gli alveari: quella di to-gliere tutte le regine sostituen-dole con celle, ricavando altempo stesso telai di covata concui formare sciami già forti inpartenza, anch’essi forniti di unacella reale. La sparizione della covata, in at-tesa che la regina uscita dallacella si fecondi, permette untrattamento in quasi totale as-senza di covata con acido ossa-lico. Le regine tolte vengonomesse in una “banca”, per es-sere riutilizzate nei casi di man-

    Apiario sulla fioritura del tiglio a Frassino, in media Valle Varaita.

    Apiario nella neve, sullo sfondo il monte Birrone.

  • 15L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010Apicolture Possibili

    cata fecondazione o perdita diquelle nuove; le peggiori, a giu-dizio di Gian Luca, vengono eli-minate subito. Conoscendo ilsuo perfezionismo, è immagina-bile un bel mucchietto di reginemorte! Negli apiari di alta mon-tagna, a causa di una difficile fe-condazione, la reintroduzionedelle regine ingabbiate è inveceuna necessità. Un secondo girodi ossalico gocciolato a settem-bre rivela eventuali reinfestazioni,permettendo a Gian Luca di in-tervenire eventualmente con al-cune somministrazioni di ossa-lico sublimato. Le arnie vengono invernate invalle. In attesa del blocco di co-vata naturale, che in genere siverifica ai primi di novembre,Gian Luca ne approfitta perstringere le famiglie sui soli telaioccupati dalle api e per trattare.L’invernamento segue il tradizio-nale principio che le api “devonoavere la testa calda” con unacoibentazione tra coprifavo etetto. A primavera le famiglie ver-ranno prima strette di nuovo perriscaldare la covata e ottimizzareil lavoro delle api su uno spaziominimo, e poi riallargate gra-dualmente.Il controllo della sciamatura èforse uno dei punti deboli, per-ché Gian Luca tende a lasciarele famiglie svilupparsi al limitedella sciamatura, per averle piùproduttive, ed è costretto a la-vorare molto con uno strettoritmo di eliminazione delle cellereali.Gian Luca dà molta importanzaalla genetica; attualmente sta la-vorando con api ligustiche, car-niche e buckfast, cercando dicapire quale razza sia la miglioreper il suo tipo di apicoltura.

    L’azienda, la sua filosofia, la sua economia

    “Il miele, a chi lo compra, vogliodarlo io, voglio potergli dire chequesto è il miele che ho fatto io,vendere io tutta la produzione,non darlo a qualcun altro che loetichetta e lo vende per suo”. L’idea portante è stata fin dal-l’inizio di attestarsi su un numero

    di alveari da riuscire a gestire, luie Laura, senza problemi, e di ot-tenere una produzione di mieleda riuscire a vendere intera-mente, sempre lui e Laura, man-tenendo un rapporto col pro-dotto. La “Mieleria Garnero” èun’altra, tra le “apicolture possi-bili” che abbiamo esaminatosulle pagine di questa rivista,che tende a togliere il miele dallasua genericità, persino dalla suagenericità monofloreale, per va-lorizzarlo in quanto prodottospecifico, specifico di un posto,di un momento della stagione opersino di una tradizione.E’ il caso di “Pascal Felix”, ilmiele di tiglio e castagno delpaese di Frassino che prende ilnome dall’emigrante che tornòda terre straniere con la primaarnia razionale. L’acacia è “aca-cia del Roero”, il millefiori dimontagna è “raccolto sui pratidi Casteldelfino”, il millefiori èquello “prodotto a Borgata Ra-dice”, il castagno a Brossasco e

    così via. Il primo millefiori pro-dotto in collina si chiama “Primobacio”. Considerando che ilgrosso dei suoi acquirenti lo rag-giunge con la vendita diretta nelsuo negozio di Sampeyre, que-sti nomi non possono non rin-forzare un rapporto di affezionee di conoscenza col territorio. Ilriscatto della “terra dei vinti”,prima gradualmente abbando-nata, poi sfruttata da un’ediliziadi speculazione, fatta di secondecase mentre si svuotavano leborgate marginali, si manifestaquindi non solo in forma pura-mente economica, ma di rico-struzione di una cultura, di unrapporto.A fianco del miele, Gian Luca eLaura vendono anche pochi altriprodotti, cercando di aumentarela parte proveniente da attivitàproprie, come una linea di con-fetture di frutta a base di mieled’acacia preparate nell’aziendadi famiglia di Laura.Oltre alla scacchiera degli apiari,

    Apiari sul ciliegio selvatico a Brossasco, in bassa Valle Varaita.

  • l’azienda si concretizza in alcunirustici in due paesi diversi dellavalle, un furgone Ducato di se-condissima mano per il trasportodegli alveari (40-45 alla volta) euna autovettura modello RenaultKangoo per spostare melari ecarichi di miele e, soprattutto, nelnegozio a Sampeyre, affiancatodal locale per la smielatura, unascelta cruciale per riuscire a otti-mizzare il lavoro: così è possibileche lui e Laura smielino conti-nuando a presidiare il punto ven-dita, trovando modo, d’estate,anche di gestire gli apiari prima edopo l’orario di chiusura del ne-gozio, secondo il principio che“bisogna dare priorità assoluta atutte e due le cose”. Il corollario di questo principio è

    che “così non ti annoi mai”. “Miannoierei” spiega Gian Luca” sedovessi scaricare il miele nei fu-sti per l’ingrosso e avere migliaiadi alveari”. Sia i trasporti che lasmielatura vengono effettuati amano da lui e Laura.Il funzionamento economicodell’azienda viene valutato,molto semplicemente, dal fattoche, a partire dalla sola liquida-zione ricevuta dalla fine del la-voro dipendente presso la Col-diretti, con cui ha acquistato leprime api, ed escludendo il lo-cale del negozio, di proprietàdella madre, ma ristrutturato earredato da lui, ha potuto inquesti anni continuare a reinve-stire: nell’auto, nel furgone, inun nuovo smelatore da 25 te-

    laini, in maturatori, nell’affitto diuna nuova casa…Gian Luca non è l’unico apicol-tore professionista della Valle Va-raita. Ci sono altre due aziende,una a Piasco e l’altra a Brossa-sco. La Valle Varaita, in generale,dal 1999 al 2008 ha visto i suoialveari aumentare da 586 a1.082, oltre ai numerosi apiarinomadi che arrivano in stagione.Al calo della demografia umanafa dunque da contraltare un au-mento della demografia apisticache potrà contribuire a rigene-rare la vita della montagna.

    Apicolture PossibiliL’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 201016

    Gian Luca e Laura al banco del negozio.(Le foto a corredo dell’articolo sono di L. Sandrone)

    La “Mieleria Garnero”, a Sampeyre. Accanto al negozio, la stanza di smielatura.

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  • 19L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010Miele

    IN ARRIVO I MIELI UNI-FLORALI!

    La “modernità” pare tradursi per alcuni nell’applicazione agli altri, e solo agli altri, delle regole e del loro rispetto e nella contemporanea teorizzazione delle “mani libere” per quanti vogliono esanno darsi al fare, schiacciati dall’invasiva presenza di uno Stato e di una collettività che solo sa opprimere. L’U.N.A.API. non si è mai attardata in tale lamentosa e spregiudicata attitudine e ha invece sempre vissuto la norma quale momento imprescindibile del vivere comune;si è da sempre impegnata per la costruzione di regole più sensate e condivisibili possibilee quindi per la loro equa applicazione. L’insieme della ricerca italiana a partire dagli anni 80, grazie in particolare all’instancabile lavoro dell’ISZA di Roma, ora drammaticamente sciolto, ha sviluppato una ricerca scientifica unica al mondo sulle caratteristiche distintive dei mieli e deiprodotti apistici. Tali acquisizioni sono quindi state formalizzate in un primo momento nelle schededi caratterizzazione dei principali mieli italiani. Ciò ha contribuito non poco al miglioramento qualitativo del mercato del miele ma a oggi l’utilizzazione di tali parametri rischia di esserefunzionale solo al controllo e non alla promozione dei migliori mieli italiani. L’U.N.A.API. si è fattaquindi co-promotrice di un’impegnativa attività di attualizzazione e di condivisione con tutti i soggetti operanti nella filiera miele per pervenire a regole e “paletti” volontari, nel contesto della normativa UNI, che possano anche essere concepite e utilizzate a fini di promozione e qualificazione dei caratteri e pregi dei mieli monofloreali. Un ringraziamento è d’obbligo a tutti coloro, come ad esempio Paola Visintin e Lucia Piana, che hanno contribuitoal raggiungimento di tale primo risultato e un grazie particolare, assai sentito e di cuore, alla pluriennale e instancabile attività della dott.ssa Persano Oddo. (Francesco Panella)

    IntroduzioneNell’ambito dei Regolamenti co-munitari per il miglioramento dellaproduzione e commercializza-zione dei prodotti dell’alveare(Reg. Ce 1221/97, poi Reg. Ce797/04, infine reg. Ce 1234/07) ilMIPAAF attua annualmente unsuo programma nazionale, cheaffianca i programmi portati avantidalle singole Regioni affrontandotematiche di interesse e utilità piùtrasversali.

    Dal 1998 al 2008 (anno della suasoppressione per decisione delCRA), la Sezione di Apicoltura diRoma dell’Istituto Sperimentaleper la Zoologia Agraria (ISZA), harealizzato, su incarico del MIPAAF,una parte del programma nazio-nale, conducendo una serie di im-portanti indagini finalizzate al mi-glioramento della conoscenza delmiele, con particolare riguardoalla definizione di criteri di qualitàe autenticità del miele e alla ca-

    ratterizzazione dei mieli uniflorali.Si è trattato di lunghe e impegna-tive ricerche che hanno portatonel corso degli anni alla compila-zione delle schede descrittive deiprincipali mieli uniflorali italiani(Persano Oddo et al., 2000) edeuropei (Persano Oddo e Piro,2004). I mieli uniflorali consentono di of-frire al consumatore una gammadi prodotti differenziati, dalle ca-ratteristiche peculiari e riconosci-

    di Livia Persano Oddo

  • MieleL’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 201020

    Comunicato sulla conclusione dei lavori del Gruppo di lavoro “Miele” dell’UNI

    Sono recentemente giunte a conclusione le attività del Gruppo di lavoro “Miele” del-l’UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione) per la redazione di 5 norme tecniche diprodotto relative ai principali mieli uniflorali italiani. L’UNI è l’ente di normazione ita-liano, corrispondente agli organismi internazionali ISO (mondiale) e CEN (europeo),costituiti per rispondere all’esigenza di adottare un linguaggio comune e condiviso,definendo standard, armonizzando metodi di misura e normando le diverse denomi-nazioni merceologiche, al fine di promuovere e agevolare gli scambi di prodotti e ser-vizi. Si tratta di norme volontarie, ma che rappresentano un riferimento estremamenteautorevole e condiviso, proprio in virtù delle modalità di redazione da parte di un or-gano tecnico cui partecipano esperti che rappresentano tutte le parti economiche esociali interessate, assicurando in tal modo il carattere di trasparenza, democraticitàe condivisione.

    In ambito apistico già dal 1999 l’UNI aveva costituito un gruppo di lavoro “Miele”, cheha portato alla pubblicazione delle principali metodiche analitiche concernenti il miele(è su questa base che il MIPAAF ha elaborato il decreto 25.07.03 sui metodi ufficialidi analisi del miele). Nel 2007, il gruppo ha riorientato la propria attività finalizzan-dola all’elaborazione di norme di prodotto per i principali mieli uniflorali italiani og-getto di transazioni commerciali. L’esigenza di un tale riferimento normativoproveniva direttamente dal settore produttivo: infatti, se le prescrizioni sull’etichet-tatura del miele consentono un’indicazione relativa all’origine botanica e tale stru-mento di differenziazione è largamente utilizzato a livello commerciale, queste nonforniscono informazioni per accertarne l’autenticità e il corretto uso. Nel contempo,l’I.C.Q. (ex Repressione Frodi) utilizza per le sue attività di ispezione gli studi di ca-ratterizzazione dei mieli uniflorali prodotti dalla ricerca (Persano Oddo et al., 2000)che, pur avendo una sicura validità scientifica, non costituiscono un riferimento con-diviso, né hanno un valore di ufficialità. Questa situazione porta ad una scarsa tuteladel consumatore e una penalizzazione dei produttori più coscienziosi e corretti.Al gruppo di lavoro, che si è avvalso del coordinamento della d.ssa Livia Persano Oddoe della segreteria tecnica della d.ssa Paola Visintin dell’UNI, hanno partecipato asso-ciazioni di produttori apistici (Agripiemonte Miele, ANAI, CONAPI, FAI, U.N.A.API.), lacomponente industriale (AIIPA), il Ministero delle Attività Produttive e diversi labora-tori e istituzioni scientifiche pubbliche (CRA-Apicoltura, ISZA, Izs Venezie, Universitàdi Tor Vergata) e private (Apishare, Chelab, Floramo Corp.). Le informazioni scientifiche di base, necessarie alla redazione delle norme, sono statetratte dagli stessi studi di caratterizzazione che hanno portato, nel corso degli anni,alla compilazione delle schede descrittive dei principali mieli uniflorali italiani (PersanoOddo et al., 2000) ed europei (Persano Oddo e Piro, 2004). Il lavoro del gruppo è statoquello di apportare le informazioni necessarie al fine di confrontare la realtà produt-tiva e commerciale con l’immagine che le schede di caratterizzazione scientifiche pre-sentavano, nonché di redigere documenti che fornissero tutte le informazioni, anchedi tipo operativo, necessarie alla loro applicazione. Per esempio, sono stati raccoltinuovi dati e si sono messi a punto o perfezionati metodi di analisi per la misura delcolore, del potere rotatorio specifico e del contenuto in metilantranilato. Il lavoro delgruppo ha riguardato i mieli uniflorali di acacia (Robinia pseudacacia), castagno (Ca-stanea sp.), eucalipto (Eucalyptus spp.), agrumi (Citrus spp.) e melata o bosco. Perogni miele è stato delineato un quadro descrittivo semplificato, scegliendo come re-quisiti caratterizzanti obbligatori solo i parametri più diagnostici per quella specificatipologia, e inserendo fra i “requisiti aggiuntivi”, non obbligatori, altri parametri, utilia completare il quadro in eventuali casi dubbi.Attualmente il lavoro del gruppo Miele è giunto al termine per questi cinque mieli. Le5 norme nella loro stesura definitiva saranno ora sottoposte al vaglio della commis-sione agroalimentare dell’UNI e, successivamente, dell’inchiesta pubblica, che con-sentirà anche ai soggetti che non hanno partecipato direttamente ai lavori di

  • Miele L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010 21

    bili, e costituiscono pertanto unavalida opportunità di valorizza-zione del miele. È però impor-tante che la loro effettiva originebotanica sia identificabile e chesiano definiti con precisione glielementi utili per il loro controllo.L’uso di denominazioni relativeall’origine botanica del miele èconsentito dalle norme interna-zionali e nazionale sul miele (Co-dex Alimentarius, 2001; Com-missione Europea, 2002; G.U.Rep. Italiana, 2004), le quali tut-tavia non forniscono indicazioniper accertare il corretto uso di talidenominazioni. L’assenza diadeguati parametri di controllorisulta particolarmente grave inItalia, dove oltre il 50% del mieleè commercializzato con una de-nominazione botanica, e com-porta una scarsa tutela sia delconsumatore sia dei produttoripiù coscienziosi e corretti. Difatto laboratori italiani per il con-trollo degli alimenti (ex Ispetto-rato Repressione Frodi oggi“Ispettorato centrale per il con-trollo della qualità dei prodottiagroalimentari”) hanno acquisitoi risultati degli studi di caratteriz-zazione sopra menzionati che,pur non avendo validità legale,ma solo scientifica, sono ormairegolarmente utilizzati come rife-rimento per verificare la corret-tezza delle denominazioni di ven-dita del miele e raggiungonoquindi l’obiettivo di offrire mag-giori garanzie al consumatore. Al contrario il mondo della pro-duzione non ha finora “scoperto”le potenzialità di tali studi ai finidella valorizzazione del prodottoe del miglioramento della com-mercializzazione dei mieli attra-verso forme di certificazione chene garantiscano la rispondenza.In altri termini, i risultati delle ri-cerche sono impiegati per pena-lizzare i mieli commercializzaticon una denominazione bota-nica non rispondente, ma nonper selezionare e valorizzare imieli migliori in sede di autocon-trollo o autocertificazione.Ciò deriva principalmente dalfatto che i dati scientifici pubbli-cati sulle riviste specialistichenon sono facilmente accessibili efruibili dai produttori apistici, ameno di non organizzarli in forma

    di quadro normativo che possaservire di base per una regola-mentazione, obbligatoria o vo-lontaria, cui ci si possa riferireper attestare che il prodotto ri-sponde a quanto previsto per lasua tipologia.Sulla base di queste considera-zioni si è ritenuto opportuno,d’accordo con le principali com-ponenti del mondo apistico ita-liano, scientifico, produttivo e as-sociativo, provvedere altrasferimento dei risultati deglistudi di caratterizzazione deimieli dal mondo della ricerca aquello della produzione e com-mercializzazione, attraverso lostrumento della norma volontariadi prodotto, che consente di at-testare la rispondenza a deter-minati requisiti, conferendo cosìal miele un valore aggiunto ai finidel mercato. Il tramite per ope-rare adeguatamente questo tra-sferimento è stato individuato nel“Gruppo Miele” dell’UNI.

    Cosa è l’UNIL’UNI (Ente Nazionale Italiano diUnificazione) è un’associazioneprivata senza scopo di lucro, cor-rispondente italiano dell’ente dinormazione mondiale (ISO - In-ternational Organization for Stan-dardization) ed di quello europeo(CEN - Comitato Europeo diStandardizzazione), organismi co-stituiti per rispondere all’esigenza

    dei diversi paesi, conseguentealla globalizzazione dei mercati,di adottare un linguaggio comunee condiviso, definendo standard,armonizzando metodi di misurae normando le diverse denomi-nazioni merceologiche attraversola definizione di precise caratteri-stiche e procedure di controllo, alfine di promuovere ed agevolaregli scambi di prodotti e servizi.L’UNI svolge attività normativa intutti i settori industriali, commer-ciali e del terziario.Le norme UNI nascono su inputdel mercato, quando si avvertel’esigenza di un riferimento uffi-ciale che regolamenti un pro-dotto, processo o servizio defi-nendone le caratteristiche(dimensionali, prestazionali, am-bientali, di sicurezza, di organiz-zazione, ecc.). Si mette allora allostudio un progetto di norma, svi-luppato da un organo tecnico, aicui lavori partecipano esperti cherappresentano tutte le parti eco-nomiche e sociali interessate, as-sicurando in tal modo il caratteredi trasparenza, democraticità econdivisione. L’UNI svolge unafunzione di coordinamento dei la-vori, mettendo a disposizione lapropria struttura organizzativa,cura la pubblicazione e la diffu-sione delle norme. L’UNI rappre-senta inoltre l’Italia nelle attività dinormazione a livello mondiale edeuropeo (ISO, CEN).

  • L’UNI e il mielePresso l’UNI, già dal 1999, la Se-zione di Apicoltura dell’ISZA avevapromosso la costituzione delgruppo di lavoro “Miele” (coordi-nato dalla sottoscritta), che ha por-tato avanti e concluso un’impor-tante attività di armonizzazione,validazione e stesura delle princi-pali metodiche analitiche concer-nenti il miele. (Tabella 1) Di questo lavoro si è avvalsa la“Commissione per l’aggiorna-mento periodico dei metodi uffi-ciali di analisi” del MIPAF, che nel2003, sulla base delle norme UNI,

    ha elaborato il decreto contenentei metodi ufficiali di analisi per la va-lutazione delle caratteristiche dicomposizione del miele previstedalla direttiva europea sul miele(MIPAF, 2003). Nel 2007, per ri-spondere all’esigenza di tradurrein norme condivise gli studi di ca-ratterizzazione sviluppati a livelloscientifico, il gruppo ha indirizzatola propria attività all’elaborazionedi norme di prodotto per i principalimieli uniflorali italiani. Al gruppo di lavoro hanno parteci-pato i produttori apistici (Agripie-monte Miele, ANAI, CONAPI, FAI,U.N.A.API.) la componente indu-striale (AIIPA) e diversi laboratori eistituzioni scientifiche pubbliche(ISZA, CRA-Api, Izs Venezie, Uni-versità di Tor Vergata) e private (Api-share, Floramo Corp., Chelab). Ilgruppo è stato da me coordinato esi è avvalso della d.ssa Paola Vi-sintin dell’UNI, nell’indispensabile epaziente ruolo di segreteria tecnica.I tipi di miele che si è scelto di nor-mare, in base all’importanza pro-duttiva e commerciale, sono: aca-cia (Robinia pseudacacia),castagno (Castanea sp.), eucalipto(Eucalyptus spp.), agrumi (Citrusspp.) e melata/miele di bosco.

    Cosa è un miele unifloraleNon è semplice definire con esat-tezza un miele uniflorale: non esi-stono mieli strettamente mono-specifici, in quanto le api bottinanosempre su varie specie di piante,anche se una di esse è predomi-nante, e fra miele multiflorale e uni-florale vi è un gradiente continuo alcui interno è difficile stabilire unpunto di discriminazione. Inoltrenessuna analisi permette di quan-tificare l’esatta percentuale in cui idiversi tipi di nettare partecipanoalla composizione di un miele. D’al-tra parte per un miele uniflorale, lacosa più importante da accertarenon è tanto la precisa percentualedi nettare di quella specie bota-nica, quanto la rispondenza “glo-bale” del miele a quel tipo uniflo-rale, e quindi alle aspettative delconsumatore. Lo studio per giun-gere alla caratterizzazione dei mieliuniflorali è stato condotto sullabase di tre approcci analitici com-plementari: melissopalinologico,organolettico e chimico-fisico.

    Contrariamente a quanto si ritieneabitualmente, il polline non è unbuon marcatore dell’origine bota-nica, in quanto la proporzionalitàfra la quantità di nettare che parte-cipa alla composizione di un mielee la percentuale del relativo pollineè altamente variabile e molto di-versa da specie a specie. L’analisisensoriale è quella che più si avvi-cina alla percezione del consuma-tore, ma i costi per una correttastandardizzazione della metodolo-gia non sono facilmente affrontabiliper un piccolo settore di mercatocome quello del miele. L’approcciochimico-fisico è il più semplice, manon può prescindere dalle altre duevalutazioni: è stato dimostrato chela presenza di una piccola compo-nente di un nettare dalle caratteri-stiche organolettiche forti puòcompromettere la rispondenza diun miele uniflorale, senza che ilquadro analitico risulti significativa-mente alterato. In definitiva nes-suno dei tre approcci è sufficienteda solo a definire il livello di uniflo-ralità di un miele, ma è necessariointegrare tutti i risultati analitici in unquadro interpretativo per il cuicompletamento non è priva di im-portanza anche l’esperienza del-l’analista. La flessibilità descrittivacui si può fare ricorso in uno studiodi caratterizzazione, va tuttavia tra-dotta in limiti precisi quando sitratta di definire una norma di pro-dotto. Il lavoro del gruppo UNI èstato quindi di delineare per ognimiele un quadro descrittivo sem-plificato, scegliendo come requisiticaratterizzanti obbligatori solo i pa-rametri più diagnostici per quellaspecifica tipologia, e inserendo frai “requisiti aggiuntivi”, non obbliga-tori, altri parametri, utili a comple-

    MieleL’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 201022

    UNI 10934:2001 Miele - Determinazione dell’idrossimetilfurfurale.

    UNI 10935:2001 Miele - Determinazione del contenuto di acqua - Metodo rifrattometrico.

    UNI 10936:2001 Miele - Procedimento per la preparazione del campione da sottoporread analisi chimica, chimico-fisica e melissopalinologica.

    UNI 11026:2003 Miele - Determinazione della conducibilità elettrica.

    UNI 11027:2003 Miele - Determinazione degli zuccheri.

    UNI 11028:2003 Miele - Determinazionedell’attività diastasica.

    UNI 11029:2003 Miele - Determinazione di pH, acidità libera, acidità combinata (lattoni) e acidità totale.

    UNI 11030:2003 Miele - Determinazione del contenuto di sostanze insolubili in acqua.

    UNI 11273:2008 Miele - Determinazione dell’etanolo.

    UNI 11274:2008 Miele - Determinazione del glicerolo.

    UNI 11299:2008 Miele - Analisi microscopicao melissopalinologica.

    TABELLA 1

  • 23L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010Miele

    tare il quadro in eventuali casidubbi. La definizione di limiti rigidiper un prodotto variabile come ilmiele espone sempre al rischio diescludere qualche miele “buono” oincluderne qualcuno non del tuttorispondente. Tuttavia la condivi-sione dei criteri da parte delle di-verse componenti del gruppo di la-voro, pur non eliminando questorischio, è la migliore approssima-zione di “giustizia” ottenibile. Inoltre,il valore aggiunto delle norme UNIrispetto all’indagine scientifica, èconsistito nella possibilità di veri-fica, da parte dei produttori parte-cipanti al gruppo di lavoro, dellavalidità dei valori indicati nelle

    norme. Il compito del gruppoMiele, dopo due anni d’intenso la-voro, si è ora concluso. L’UNI do-vrà provvedere alla stesura defini-tiva delle 5 norme e sottoporle alvaglio della commissione agroali-mentare dell’UNI e, successiva-mente, dell’inchiesta pubblica. Il superamento di queste ulteriorifasi consentirà l’immissione sulmercato dei mieli UNI-florali: saràquindi compito del settore produt-tivo portare a conoscenza del con-sumatore la nuova indicazione epromuoverla adeguatamente, per-ché possa rappresentare un va-lore aggiunto per il nostro miele eper l’apicoltura italiana.

    BibliografiaCodex Alimentarius Commission(2001) - Codex standard 12, RevisedCodex Standard for Honey. Stan-dards and Standard Methods, Vol 11.Commissione Europea (2002) - Coun-cil Directive 2001/110/EC of 20 De-cember 2001 relating to honey. OfficialJournal of the European CommunitiesL10: 47-52.Repubblica Italiana (2004) - D.L. 21maggio 2004 n. 179. Attuazione delladirettiva 2001/110/CE concernentela produzione e la commercializza-zione del miele. Gazzetta Ufficialedella Repubblica Italiana n. 168 del20/07/2004: 29.Persano Oddo L., Piro R. (2004) -Main European unifloral honeys: de-scriptive sheets. Apidologie 35(Suppl. 1): S38-S81.Persano Oddo L., Sabatini A.G., Ac-corti M., Colombo R., MarcazzanG.L., Piana M.L., Piazza M.G., PulciniP. (2000) I mieli uniflorali italiani. Nuoveschede di caratterizzazione. Ministerodelle Politiche Agricole e Forestali, Isti-tuto Sperimentale per la ZoologiaAgraria, Roma, 108 pp.MIPAF (2003) - Decreto 25 luglio2003 Approvazione dei metodi ufficialidi analisi per la valutazione delle ca-ratteristiche di composizione delmiele. Gazzetta Ufficiale della Repub-blica Italiana serie generale n. 185 del11/8/03.

    • materiale e attrezzature apistiche

    • pacchi d’api e nuclei con regine selezionate

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  • 24 L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010 Storia e Tradizioni

    stimolante voltarsi indietronel tempo, ricercare origine ediffusione di conoscenze, di

    tradizioni, in particolare rispetto allanecessità alimentare, sulla qualel’uomo ha investito più energie,sperimentazione e capacità crea-tiva. Purtroppo sul miele, che purenei millenni ha accompagnatol’uomo, così come sulle sue originie caratteristiche, dobbiamo pren-dere atto, nel corso dei secoli, diuna certa staticità delle cono-scenze, se non addirittura della dif-fusione di pregiudizi senza fonda-mento di sorta.Non solo sovente non si distin-gueva tra miele delle api e altre so-stanze zuccherine (da uva, fichi…),ma addirittura la stessa consape-volezza dell’origine floreale del “cibodegli Dei” è acquisizione molto re-cente. Non deve quindi stupire chela quasi totalità delle fonti dell’anti-

    chità non distinguesse i vari mieliper l’origine floreale.E’ vero che venivano indicate e ap-prezzate alcune zone di produ-zione: ad esempio il miele del-l’Imetto (Grecia) o il miele Ibleo(Sicilia), da cui si originavano mielicon forte personalità e notevolipregi proprio perché naturalmentequasi monoflora di timo, ma non nederivò mai l’intuizione di connet-tere quei territori con la loro pecu-liare copertura botanica.Il Sommo Virgilio nel IV libro delleGeorgiche, parla di “rugiadosomiele”, riferendosi al miele di melatache le api raccoglievano sulle fogliequando la rugiada le inumidisce, orifacendosi invece alla “essuda-zione delle stelle” descritta da Ga-leno? Certo già dai tempi dei ro-mani si trova testimonianza di unaclassificazione del miele: “di primaqualità” ottenuto per colatura deifavi, chiaro, dolce, solido e “di se-conda qualità” torbido e denso, ot-tenuto per torchiatura, sovente de-stinato alla fermentazione perottenere idromele, con quotazioni avolte superiori a quelle del miele diprima qualità.D’altra parte neppure le stesseforme di conduzione dell’“alleva-mento” apistico, con bugni rustici divaria foggia e materiale, fondatesull’abituale pratica dell’apicidio ge-neralmente a cadenza biennale,potevano in alcun modo favorire ladifferenziazione dei mieli per originefloreale. Considerata l’importanza eil largo impiego del miele e soprat-tutto della cera, quale primaria

    fonte d’illuminazione, è assai inte-ressante verificare come e in chemodo miele e cera fossero soventeparte obbligata di tassazioni e de-cime di varia natura e destinazione,e anche come leggi e regolamentine regolassero la produzione e ilcommercio secondo usi e costumilocali. Sotto il profilo di questo no-stro piccolo contributo è assai in-teressante constatare come adesempio le Grida del Ducato diParma del 1600 stabilissero che lafesta della nascita della Vergine, ri-corrente l’8 settembre, fosse fis-sata quale data tassativa primadella quale era fatto assoluto di-vieto di iniziare l’apicidio delle api al-levate per ottenere il pistume: favi dimiele e cera tritati pronti per la co-latura e la spremitura con il torchio.Solo a partire da tale data vi era ga-ranzia che il miele ricavato fossematuro e tale da non fermentare,senza quindi danno di sorta perl’uso che se ne sarebbe fatto, inprimis da parte degli speziali. Con-travvenire a tale scadenza tempo-rale configurava un reato (addirit-tura la truffa) con conseguenti peneassai pesanti; ammenda di 25 du-cati d’oro, 3 tratti di corda (consi-steva nel legare le mani di chi do-veva essere sottoposto al tormentodietro alla schiena con una funepassante per una carrucola fissataal soffitto; tirando la fune si libravail torturato per un certo tempo so-speso a mezz’aria oppure venivalasciato cadere giù di colpo piùvolte consecutive, infliggendogli itratti di corda o giri o dolorosissimi

    Da un po’ di tempo a questa parte è invalsa l’attitudine generalizzata di attribuire alle tradizioni alimentari una valenza qualitativa che, invece, non trova sempre effettivo riscontro e fondamento. La differenziazione qualitativa dei mieli è, infatti, frutto principalmente di recente, creativa capacità di innovazione.

    di Fausto Ridolfi e Francesco Panella

    DAL PASSATO E DALLA “TRADIZIONE”:MIELE O MIELI?

    E’

  • 25L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010Storia e Tradizioni

    scossoni, ndr), sequestro di tutto:miele, cera, api e attrezzature. Ilconsolidarsi e il perdurare neltempo di tali consuetudini fossiliz-zate, a volte addirittura in normativecogenti, non ha certo facilitato ilmiglioramento delle tecniche api-stiche e di lavorazione delle relativeproduzioni, che non a caso si sonosviluppate in modo impetuoso soloa partire dall’epoca dei lumi e dallaprima comprensione della biologiadelle api. Certo con l’invenzione ediffusione dello smielatore è statopossibile “scoprire” la varietà dellediverse produzioni apistiche. Pocoa poco il mercato ha iniziato a dif-ferenziare il miele “Centrifugato” o“Sopraffino” o “Finissimo” da quellodella tradizione, con relativo “or-rore” dei tradizionalisti che ostina-tamente continuavano a richiederesui mercati miele ottenuto con gliantichi sistemi. Laddove la ric-chezza botanica lo consentiva, gra-zie anche a volte alle difficili condi-zioni ambientali/apistiche, gliapicoltori locali hanno iniziato a di-stinguere prima il miele primaverileda quello estivo, per giungere poialla differenziazione d’origine flo-reale; in un primo tempo per il mieledi acacia e poi per quello di agrumi.Tale innovazione, non a caso rea-

    lizzatasi e diffusasi principalmente apartire dall’Italia e dalla Francia, si èpoi riversata nel tempo su altre piùparticolari e specifiche grandi e pic-cole produzioni peculiari. Oggi quellavoro, nato dal campo e dal favorecrescente del mercato, trova anchedignitosa classificazione con la co-struzione addirittura di una sche-datura identitaria, attestata scienti-ficamente, grazie all’impegno diquei ricercatori che hanno saputocogliere l’importante novità e inda-garla a fondo per meglio consoli-

    darla, proporla e diffonderla. Sap-piamo, infatti, quanto siano im-portanti “paletti” certi che con-sentono di realizzare unamoderna conquista, di particolarerilievo nel campo della produzionee consumo alimentare: l’attività dicontrollo e autocontrollo. Peccatoche una parte dei soggetti ope-ranti sui vari fronti sembri a volte ri-masta ancora legata alla culturadell’epoca dei tratti corda e simi-lari torture.

  • 26 PubblicitàL’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010

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  • 27L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010Storia e Tradizioni

    di Marco Accorti

    Le api e i Medici (I PARTE)

    1 - In realtà non è mai stata trovata alcuna fonte che comprovasse Einstein come autore di questo discusso slogan, mentre èverificato che nel 1994, durante una manifestazione a Brussels, gli apicolori francesi distribuirono un pamphlet che riportavala frase desunta da un’ipotetica enunciazione di Einstein secondo cui «Non più api, non più impollinazione, non più umanità».Ovviamente niente di vero. (www.snopes.com/quotes/einstein/bees.asp)

    2 - Antonio Berlese, Notizie sugli esperimenti attuali per combattere la mosca delle olive, ‘Boll. Soc. Agr. It.’, 1906, 5, pp. 3-2.Fu in seguito a questo articolo che cominciò ad affacciarsi l’idea che le api potessero rappresentare un indicatore biologico.Purtroppo la cosa non fu compresa e solo oggi, anche se con difficoltà, l’ape è considerata l’insetto test per eccellenza pervalutare la sanità ambientale.

    3 - Si definisce ‘Sindrome della scomparsa degli alveari’ (CCD: Colony Collapsed Disorder) il fenomeno che sta accadendo intutto il mondo e che anche in Italia registra perdite fino del 50% delle colonie.

    4 - Anna Maria Esposito (a cura), Principi guerrieri. La necropoli etrusca di Casale Marittimo, Electa, Milano 2001, 103 p.; p. 56.

    e l’ape scomparisse dallafaccia della terra all’uomonon rimarrebbero che 4

    anni di vita. Più o meno questa èla sentenza, perché così suona,attribuita ad Einstein. Attribuitaperché in realtà nessuno ha maitrovato la fonte da cui è tratta,ma è ragionevole pensare chequel genio, anche se non l’ha maiproclamata, possa averla pensatavisto il suo occhio lungo sempreproiettato al futuro. Comunque al-meno in questo non fu originale,perché una sentenza non menoinquietante era già stata proferita,questa volta però ben documen-tata e ben datata: era il 1906 incoincidenza dell’intensa campa-gna contro il Dacus oleae, la mo-sca delle olive, per mezzo diesche avvelenate a base di arse-niati. Così scriveva da Firenze An-tonio Berlese, uno dei maggiorientomologi italiani: «Perché, oltrealla distruzione od almeno alla in-gente ecatombe di api, che av-verrà senza dubbio nelle localitàdove gli olivi saranno trattati colmetodo ora ricordato [l’esca av-velenata, n.d.r.], si affaccia an-cora un grave quesito. [...] Questelarghe irrorazioni venefiche inter-verranno certo come un coeffi-ciente nuovo e per plaghe moltoestese nel complesso dei rapportifra endofagi e forme ospiti, tra lequali molte nocive. Non è possi-

    bile misurare a priori l’influenza diun fatto così rilevante, ma è certoche una perturbazione profondanel vigente equilibrio deve acca-dere senza dubbio». Preveggenza? No, solo buonsenso che tuttavia non bastò ametterci in guardia contro ciò cheproprio ora sta accadendo, in unmomento in cui siamo più omeno tutti distratti dalla grave epreoccupante crisi finanziaria chesembra non avere frontiere: laprogressiva e non completa-mente spiegata scomparsa delleapi che si sta verificando in quasitutto il mondo3. Ma se le economie, nonostante iderivati ‘avvelenati’ e le finanzedisastrate, pur con sudore e san-gue prima o poi riprenderannoinevitabilmente il volo, qualora in-vece a non volare più fossero leapi, pronubi per eccellenza senon gli unici artefici della nostraalimentazione, si andrebbe vera-mente incontro ad una catastrofeirreversibile per l’umanità. Questo incipit può apparire in-congruente, ma caso vuole che inun viaggio fra la miriade di cita-zioni sulle api, notizie e cennisparsi ovunque, quasi frammentidi un puzzle da ricomporre percercare di ricostruire i rapporti frale api e la Toscana, siano venuti agalla certi “indizi” che invitano apartire proprio dal monito di Ber-

    lese per raccontare una storia incui anche i Medici hanno avutoun ruolo certamente simbolico senon addirittura anticipatore. Tanto per cominciare è utile ricor-dare che la Toscana si distingueda sempre per produrre un’ec-cezionale varietà di mieli graziealla variabilità vegetazionale delsuo territorio che non ha riscontrinel resto del paese. Non è se-condario il fatto che il più anticoreperto italiano che documentauna relazione diretta fra l’uomo ele api sia stato rinvenuto in unatomba etrusca della necropoli diCasa Nocera a Casale Marittimo,collocabile fra la fine dell’VIII e l’ini-zio del VI sec a.c. A occhi “apisti-camente” interessati non sfugge,fra gli arredi del corredo funebrepiù antico, un «curioso recipientecilindrico con coperchio a sbalzo,ornato da una frangia di penda-glietti in bronzo e accuratamentefermato da una verghetta tra-sversale, al cui interno era conte-nuto un favo d’api»4. Il favo ac-compagna uva, mele, unamelagrana e delle nocciole, restidi alimenti previsti per il pasto fu-nebre. E’ pur vero che in altri casierano stati rinvenuti elementi chepotevano collegare l’uomo alleapi, ma mai uno così certo come

    Fig.

    1 -

    Tra

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    Le api non “si parlano” solo fra loro: se sappiamoascoltarle raccontano, raccontano, raccontano... e seguendo il loro volo nel tempo possiamo anche ritrovare molti tasselli perduti della nostra storia.

  • 28 L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010 Storia e Tradizioni

    una porzione di favo ben conser-vata. Sulla presenza di favi nellesepolture ci sono testimonianze siain ambito greco che punico, e perla Roma imperiale si conosconostele funerarie con favi raffigurati(in Algeria, III sec.). In Italia, a Gru-mento nuova, sono state rinvenuteriproduzioni di favi in terracotta -anche in questo caso assieme amelagrane, uva, fichi, mandorle,oltre a focacce e formaggi - nellesepolture di una piccola necropoli(IV-III sec.) tra Viggiano e Monte-murro (valle dell’Agri) riferibile a unaricca fattoria5. Del resto a Mondeval de Sora (SanVito di Cadore - Belluno), in una se-poltura vecchia di 8000 anni, fu-rono trovati «due agglomerati sfe-rici di colore nero composti daterra e da sostanze organiche (re-sina e propoli)»6, rinvenimento deltutto analogo a quello del Riparo diVillabruna (Alpi Feltrine) in una se-poltura risalente almeno a 12.000anni fa.7 Tuttavia, pur essendo notoche le api raccolgono il propoli daalcune piante, in questi specificicasi non si hanno i risultati diun’analisi mirata che ne comprovil’origine, e non si può escludere

    che l’uomo se ne sia approvvigio-nato direttamente da una fonte ve-getale. Comunque è almeno ra-gionevole ritenere che l’uso nonfosse di tipo alimentare, cosa in-vece inequivocabile nella sepolturadi Casale Marittimo. Se dunque la storia dell’apicolturacomincia altrove e molto prima, èperò un fatto che, fra le altre prio-rità, la Toscana può rivendicarneanche una di tipo documentalecon il primo manoscritto apistico. IlTrattatello di Apicoltura.Trattato volgare della me-ravigliosa generazionedelle pecchie di Ano-nimo, databile fra il 1469e il 1473, è il più anticotesto di apicoltura in vol-gare finora conosciuto. Ècontenuto in una rac-colta senza data inte-stata a Marco AntonioMarino nella sua Agricol-tura e segreti d’Agricol-tura e d’incesto e dellatrasmutazione de’ me-talli8 e trascritto a manodal mugellano AgnoloDella Casa fra il 1592 e il1618. [fig. 1]

    Dal contesto si deduce che l’Ano-nimo tratta dell’apicoltura in To-scana, ma la cosa più interessantederiva dal fatto che tracce dellasua originaria schedatura lo ve-dono presente nella Libreria Stroz-ziana: era quindi appartenuto aquella nobile famiglia che stabiliràun lungo rapporto, finora sotta-ciuto, col mondo delle api. E pro-prio questa che sembra un’altrastoria9, fra l’altro anche un po’ bef-farda visti i rapporti non sempre‘cordiali’ fra gli Strozzi e i Medici, cioffre quel filo rosso che forse pro-ietta casa Medici fino ai giorni no-stri. Andiamo però con ordine, vi-sto che si tratta essenzialmente di‘indizi’, per di più incontrati quasiper caso in un viaggio estempora-neo e senza tappe prefissate. Cer-cando documentazione sull’usodel miele nelle nostre tavole nonsono passati inosservati gli am-miccanti berricuocoli, confortini,cialdoni, berlingozzi, zuccherini, ca-liconcini, bracciatelli e gnocchi10delle Canzoni di Lorenzo il Magni-fico, il «… più dolce che il mel de lapecchia» della Nencia ed altri versidi maniera11, ma soprattutto nelloscorrere i vari sonetti dei Canti Car-nascialeschi ne sono comparsi al-cuni rivelatori12:

    5 - Raffaella Bortolin, Archeologia del miele. SAP, Società Archeologica s.r.l., Mantova 2008, 188 p. 6 - Alciati G., Cattani L., Fontana F., Gerhardinger E., Guerreschi A., Milliken S., Mozzi P., Rowley-Conwy P., Mondeval de Sora: a high

    altitude Mesolithic campsite in the Italian Dolomites, ‘Preistoria Alpina’, 1994, 28, pp. 351-366. 7 - Alberto Broglio, La sepoltura del riparo di Villabruna. Introduzione al Paleolitico . Laterza, Milano 2002, 293 p.; p. 241. 8 - Baccio Baccetti, Trattatello di Apicoltura del porre i mori e del porre i bigatt, ‘Atti Acc. Naz. it. Entom.’, Memorie, 1965, s. I, n. 1, pp. 5-34. 9 - I rapporti fra la famiglia Strozzi e le api, oggetto di una specifica indagine, meritano per la loro importanza uno spazio autonomo. 10 - Per la cronaca i bericuocoli e i cialdoni, almeno in origine, erano sicuramente impastati col miele che poi fu sostituito dallo zuc-

    chero, probabile destino anche per i confortini in quanto originariamente erano anche detti melatelli. 11 - Lorenzo il Magnifico, Comento de’ miei sonetti, sonetto 34, versi 9-10. 12 - Ivi, canzone 165, versi 1-17.

    Fig. 2 - Villa diPoggio a Caiano,

    frontone e particolari del fregio.

    Quando raggio di sole per picciola fessura dell’ape entrando nella casa oscura, al dolce tempo le riscalda e desta,escono accese di novella cura per la vaga foresta, predando disiose or quella or questa spezie di fior’, di che la terra è adorna. Qual esce fuor, qual torna carca di bella ed odorata preda;qual sollecita e strigne,se avvien che alcuna oziosa all’opra veda;altra il vil fuco spigne,che ‘nvan l’altrui fatica goder vuole.Così, di varii fior’, di fronde e d’erbasaggia e parca fa il mèl, qual dipoi serba,quando il mondo non ha rose o viole.

  • 29L’Apis | N. 3 MARZO/APRILE 2010Storia e Tradizioni

    Niente dimostra che Lorenzo si siamai dilettato direttamente con glialveari, ma tutto fa pensare che leapi non gli fossero per niente estra-nee dal momento che manifestauna particolare attrazione dandoprova di conoscere la loro vita, iloro costumi nonché le loro esi-genze. Ma dove aveva potuto ma-turare questa esperienza? Casovuole che in occasione della retro-spettiva del ’94 dedicata a ArdengoSoffici nel 35° della morte, mentreero in coda in attesa di entrare, misoffermai ad osservare il gran fregiosmaltato del frontone della villa diPoggio a Caiano. Più volte l’avevoguardato frettolosamente senza de-dicargli la giusta considerazione,ma in quel momento, insieme allameraviglia di vedere per la primavolta quel che avevo già avuto sot-t’occhio senza porvi attenzione,provai la viva emozione di scoprireun altro “indizio”. Sarà un caso ma

    la più evidente conferma di un le-game di Lorenzo con le api era pro-prio lì, nella villa di Poggio a Caianodove sicuramente gli alveari ebberoun luogo di elezione diventando an-che un tema presente nelle com-posizioni poetiche di Agnolo Poli-ziano dedicate a Lorenzo per la suacapacità di essere riuscito a nobili-tare l’agricoltura. Aveva infatti tra-sformato un tradizionale podere inun giardino ricco di allevamenti dellespecie più svariate, di una vegeta-zione esotica e lussureggiante e poidi vivai, di orti, completandolo conl’allevamento del baco da seta einfine anche con gli alveari 13. Ebbene, l’importanza di questi ul-timi è dimostrata proprio dal granfregio dove, in posizione centralequasi sotto lo stemma mediceo, èposta una formella policroma dacui «occhieggiano le sei bianche ar-nie, attorniate da gialle api ron-zanti»14. [fig. 2] Il Vasari ci fa sapere

    che Lorenzo fu direttamente coin-volto nella costruzione della villaeretta su progetto del Sangallo apartire da un manufatto che dal ca-tasto del 1480 risulta «un casa-mento, che era rovinato, al Poggioa Caiano, detto l’Ambra»15, guardacaso appartenuto proprio a quelPalla Strozzi16 morto durante l’esiliodecretato da Cosimo de’ Medici.La proprietà passò alla figlia Jacopasposata a Giovanni Rucellai «dai dicui eredi sembra»17 Lorenzo l’abbiaacquistata. E qui è gioco forza sof-fermarsi, perché un Giovanni Ru-cellai, omonimo nipote dell’anticoproprietario dell’Ambra, sarà persecoli, anche se non sempre a ra-gione, il più noto promotore del-l’apicoltura in quanto autore delprimo testo a stampa su questo ar-gomento18. Le Api per lungo tempoè stata considerata la prima mono-grafia apistica italiana e ha attraver-sato i secoli in un felice connubio

    13 - Agnolo Poliziano, Sylva cui titulus Ambra, vv. 603-625; risalente agli anni 1485-8614 - Maria Medri Litta, Il mito di Lorenzo il Magnifico nelle decorazioni della villa di Poggio a Caiano. Edizioni Medicea, Firenze 1992,

    100 p.; p. 52 15 - Isidoro Del Lungo, Angelo Poliziano, Le Selve e la Strega. Prolusioni nello studio fiorentino, Sansoni, Firenze 1925, 241 p.; p.

    106 in nota. 16 - Emanuele Repetti, – Dizionario corografico-universale dell’Italia. Volume terzo, parte seconda, Granducato di Toscana, Civelli,

    Milano 1855, 1578 p.; p. 1006. Palla di Onofrio Strozzi aveva acquistato nel 1420 per 7390 fiorini «una tenuta con palazzo si-gnorile, la quale aveva un’estensione di 180 staja a seme, posta in un luogo detto Ambra, in sul Poggio a Caiano, nel popolo diS. Maria a Buonistallo [...] si fa menzione di una casa per ospizio, e di altra abitazione con terra vignata e lavorativa ...»

    17 - Ivi, p. 1007. In realtà il ‘Chasamento rovinato chiamato Lambra’ risulta acquistato fra il 1470 e il 1474 direttamente daGiovanni Rucellai (Vittorio Franchetti Pardo e Giovanna Casali, I medici nel contado Fiorentino: Ville e possedimenti traQuattrocentoe Cinquecento, CLUSEF, Firenze 1978, 144 p.; pag. 119).

    18 - Giovanni Rucellai, Le Api .Opera composta nel 1524 e pubblicata postuma nel 1530 da suo fratello Palla in 8° senzapaese né tipografia.

    Fig. 3In alto a sinistra - Antonio di Niccolò di Domenico, Orso presso le arnie delle api, in Fior di Virtù, Ricc. 1711, c. 17r, XV sec. (1487)

    In alto a destra - Antonio di Niccolò di Domenico, Orso presso le arnie delle api, in Fior di Virtù,

    Ricc. 1711, c. 17r, XV sec. (1487)

    A fianco - Mariano del Buono, L'orso e le api, in Fior di Virtù, Ricc. 1774, c. 18r, XV sec. (1470-1480 circa)

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    editoriale assieme a La Coltivazionedi Luigi Alamanni tanto da compa-rire ancora oggi nei soggettari di al-cune biblioteche alla voce ‘apicol-tura’ nonostante sia di improntaessenzialmente letteraria non es-sendo altro che una trasposizionedel IV libro delle Georgiche di Virgi-lio. Ma torniamo all’Ambra. Il desi-derio di Lorenzo era di farne unpuerto escondido dove ritirarsi adoziare filosofeggiando in compa-gnia di Pico della Mirandola e diMarsilio Ficino. Purtroppo morìsenza vederla finita e senza realiz-zare questo sogno portato però acompimento dai figli Piero e in par-ticolare da Giovanni secondo il pro-getto originale. Qui non interessa indagare i signifi-cati simbolici attribuibili alla rappre-sentazione riprodotta nel fregio interracotta invetriata né di discuternel’attribuzione19, quanto rimarcare lacentralità delle api e degli alveari,evidente riferi