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MINISTERO DELL’INTERNO DIPARTIMENTO DEI VIGILI DEL FUOCO DEL SOCCORSO PUBBLICO E DELLA DIFESA CIVILE COOPERAZIONE COMUNITARIA : L’IMPORTANZA DELLA QUALITA’ DELLA FORMAZIONE PER I COORDINATORI DEL SOCCORSO TECNICO URGENTE Studio normativo e ipotesi di formazione tecnica per rispondere alle peculiari esigenze che scaturiscono da un intervento congiunto Gruppo di lavoro Ciro BOLOGNESE Francesco BONAVITA Raffaele CIMMINO Piergiorgio D’ELIA Massimo FRATTI Saverio LAURENZA Mirko MATTIACCI Alessandro SPOLITI

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DEL SOCCORSO PUBBLICO E DELLA DIFESA CIVILE

COOPERAZIONE COMUNITARIA : L’IMPORTANZA DELLA

QUALITA’ DELLA FORMAZIONE PER I COORDINATORI DEL

SOCCORSO TECNICO URGENTE

Studio normativo e ipotesi di formazione tecnica per rispondere alle peculiari

esigenze che scaturiscono da un intervento congiunto

Gruppo di lavoro Ciro BOLOGNESE Francesco BONAVITA Raffaele CIMMINO Piergiorgio D’ELIA Massimo FRATTI Saverio LAURENZA Mirko MATTIACCI Alessandro SPOLITI

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DEL SOCCORSO PUBBLICO E DELLA DIFESA CIVILE

INDICE

Capitolo 1

Ipotesi di intervento congiunto

Capitolo 2

Gli accordi transfrontalieri per il soccorso tecnico urgente.

Capitolo 3

Importanza degl’interscambi culturali tra le nazioni

Capitolo 4

Principali contenuti formativi dei corsi per funzionari e gestione della

formazione in qualità

Conclusioni

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Capitolo 1

Ipotesi di intervento congiunto L’Europa viene regolarmente colpita da gravi catastrofi naturali, quali inondazioni e incendi boschivi,

nonché da incidenti tecnologici, come esplosioni in impianti industriali e fuoriuscite di sostanze

chimiche. Tra gli eventi verificatisi di recente: ricordiamo l’esplosione nell’impianto chimico AZF

della città francese di Tolosa nel settembre 2001, che ha causato 29 vittime e gravi danni materiali; la

fuoriuscita di cianuro da una miniera a Baia Mare in Romania nel 2000, che ha contaminato un ampio

tratto del Danubio; i terremoti che hanno colpito la Grecia a la Turchia nel 1999 provocando oltre

17000 vittime; le inondazioni che hanno colpito i paesi europei Germania, Francia, Regno Unito,

Repubblica Ceca e Ungheria nel 2002.

In alcuni casi, i paesi colpiti riescono ad

affrontare autonomamente catastrofi di simili

proporzioni. Spesso però necessitano l’invio

di soccorsi dall’estero in tempi brevi ed è in

questi casi che interviene la strategia di

cooperazione comunitaria nel settore della

protezione civile.

Il tipo di disastri che i paesi europei devono

affrontare dipende in una certa misura dalla

loro collocazione geografica e dal clima.

Per esempio, molti Stati meridionali membri dell’Unione europea sono particolarmente soggetti a

terremoti e incendi boschivi, mentre negli Stati settentrionali è maggiore la probabilità di incidenti

tecnologici minori come esplosioni in impianti industriali o sinistri marittimi. Tutti gli stati risultano

soggetti a dissesti idrogeologici. Di conseguenza, i vari Stati membri hanno sviluppato competenze

specifiche di intervento in caso di calamità in settori diversi, un aspetto che rende la cooperazione a

livello comunitario particolarmente importante. Tramite lo scambio di opinioni e di esperienze, gli

esperti della protezione civile di tutta l’Unione possono trarre insegnamenti dalle rispettive migliori

pratiche e potenziare la capacità complessiva dell’Europa di far fronte alle catastrofi.

Alluvione in Sud Asia, 2004

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La protezione civile italiana, in collaborazione con il ministero dell’Interno, dipartimento dei Vigili del

Fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, è stata sempre in prima linea fra i soccorritori

stranieri coinvolti sullo scenario incidentale, non solo in Europa ma anche in ambito internazionale. È

stato questo il caso del terremoto in Algeria del 2003, o ancora del più recente maremoto in Sud Asia.

ALCUNI GRAVI DISASTRI AVVENUTI IN EUROPA

Terremoti

1999 Grecia e Turchia Oltre 17.000 vittime

1980 Italia 2.739 vittime

1976 Italia 977 vittime

Inondazioni

2002 Francia, Germania, Regno Unito, Repubblica ceca, Ungheria

2001 Polonia, Regno Unito, Romania, Ungheria

2000 Francia, Italia, Regno Unito, Spagna

Frane

1998 Italia 159 vittime

1976 Regno Unito 144 vittime

1963 Italia 1759 vittime

Incidenti forestali Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia: ogni anno

Incidenti tecnologici

2001 Francia Esplosione nella fabbrica AZF (29 vittime)

2000 Romania, Ungheria Fuoriuscita di sostanze chimiche a Baia Mare

2000 Paesi Bassi Esplosione in una fabbrica di fuochi artificiali (20 vittime)

Inquinamento marino dovuto a cause accidentali

1999 Francia Incidente dell’Erika con fuoriuscita di petrolio

1996 Costa del Galles Sea Express

1993 Shetland Braer

1992 La Coruna Aegean Sea

Si è sempre trattato di eventi di vaste proporzioni che hanno fatto registrare sia un numero elevato di

vittime e feriti, sia ingenti danni economici.

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È probabilmente legata ad una prima, quanto rapida valutazione dei danni, la necessità di un intervento

congiunto che veda la presenza di soccorritori internazionali.

L’invio di contingenti italiani del C.N.VV.F. è stato inserito in programmi straordinari di cooperazione

internazionale ed ha avuto come primo obiettivo l’affiancamento ai colleghi locali al fine di riattivare a

regime l’operatività delle strutture di soccorso ai livelli esistenti prima dell’evento ed addirittura di

portarla a livelli rafforzati rispetto alla situazione ante-evento.

Le esigenze locali sono state diverse a seconda dei casi:

In Algeria ad esempio, veniva richiesto agli italiani un forte contributo in termini di

coordinamento e di apporto tecnico (strumenti e operatori specializzati) in considerazione

dell’ampia disponibilità di personale locale (compresi i volontari).

In Sud Asia invece l’emergenza ha riguardato sin dai primi giorni l’allestimento di strutture

logistiche adatte ad ospitare centri di primo soccorso sanitario per poter scongiurare i pericoli di

epidemie.

Da quanto esposto si evince la diversità

degli interventi, caratteristica in verità

dell’attività di soccorso tecnico svolta dal

Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, ma

appare forse poco evidente la difficoltà

dell’organizzazione e soprattutto del

coordinamento dei soccorsi.

Dall’esperienza degli operatori italiani

discende che i migliori risultati sono stati

ottenuti mediante il processo di “supporto

per affiancamento” con il metodo del

rincalzo che permette:

- di allineare fin da subito alle esigenze locali il tipo di risposta di supporto;

- di usufruire di basi comuni tecnico/scientifiche ed operative che consentono di rendere

esecutive fin da subito le scelte condivise che vengono determinate;

Terremoto Sud Est asiatico, 2004

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- di inserire il supporto su un sistema già pre-esistente e quindi di per sé in grado di

funzionare ovviando o riducendo i rischi di “rodaggio”;

- attivare immediati canali di comunicazione…

Il supporto per affiancamento si inserisce in ogni caso in un’organizzazione più ampia delle operazioni

di soccorso che necessita di una formazione adeguata soprattutto del personale direttivo impegnato

nella difficile opera di coordinamento con le strutture locali.

Nasce quindi l’esigenza di formare adeguatamente i funzionari affinché possano svolgere il loro

“normale” compito di responsabili delle operazioni di soccorso al di fuori dei confini nazionali,

integrando le loro conoscenze e le loro procedure di intervento con quelle dei soccorritori provenienti

da altri Paesi.

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Capitolo 2

Gli accordi transfrontalieri per il soccorso tecnico urgente.

Panorama degli accordi di cooperazione.

Il panorama degli accordi internazionali per la cooperazione per gli interventi per il soccorso tecnico

urgente si è strutturato con il susseguirsi degli eventi calamitosi e incidenti disastrosi. I primi accordi

sono nati per soddisfare l’esigenza di affrontare grandi scenari di incidenti coinvolgenti più territori

appartenenti a paesi confinanti. Le singole strutture governative hanno organizzato le proprie risorse

umane e logistiche per il soccorso, al fine di poter affrontare in modo efficace ed efficiente le

emergenze accadute al di fuori dei confini nazionali, o in casi specifici (V. incidente del Frejus) in casi

di coterritorialità.

Il primo accordo in materia di cooperazione transfrontaliera tra Italia e Francia risale all’11 ottobre

1963 e riguarda i controlli nazionali abbinati ed i controlli in corso di viaggio alle frontiere comuni

[EU-ET-PC].

L’accordo quadro che regola i rapporti tra la protezione e la difesa civile italiana e francese è la

Convenzione tra l’Italia e la Francia approvata il 16 settembre 1992, ratificata in Italia con legge

578/1994 e in Francia con decreto 923/1995, titolata «Prévision et prévention des risques majeurs et

de l'assistance mutuelle en cas de catastrophes naturelles ou dues à l'activité de l'homme ». Il testo

della Convenzione è disponibile in Appendice nella conversione in decreto francese, non essendo

reperibile il testo italiano.

Tale accordo non si limita al caso della cooperazione transfrontaliera, ma approccia la problematica da

un punto di vista più generale, in attesa di una politica comunitaria più incisiva. Resta comunque un

testo fondamentale, dal quale discendono poi i successivi accordi.

Per quanto riguarda la cooperazione transfrontaliera tra Polizie, l’accordo principale tra Italia e Francia

è quello sottoscritto a Chambèry il 3 ottobre 1997, che prevede anche l’istituzione di pattuglie di

polizia miste.

Italia e Francia aderiscono entrambe all’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 ed alla successiva

Convenzione di Applicazione del 19 giugno 1990. L’atto più recente, firmato ad Imperia dal Ministro

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dell’Interno italiano On. Scajola ed il suo omologo francese M. Sarkozy il 1° luglio 2002, prevede

specificamente l’intensificazione della collaborazione transfrontaliera.

Si tratta di un atto innovativo, perché prevede al suo interno “l’intento di incrementare la

collaborazione per quanto concerne il soccorso tecnico urgente assicurato dai Vigili del Fuoco e le

attività di difesa contro possibili minacce di natura chimica, biologica, radiologica o nucleare (CBRN)

ivi comprese le ipotesi di attacchi terroristici”.

La dichiarazione resta comunque generica, riaffermando tra gli sviluppi concreti la volontà “di dare

impulso allo sviluppo della collaborazione tra i Corpi dei Vigili del Fuoco dei due Paesi e gli Uffici

preposti alle attività di difesa “Chimica Biologica Radiologica e Nucleare” (CBRN) con l’intento di

pervenire ad un Protocollo che, anche recependo precedenti accordi già condivisi, disciplini le forme

di una concreta collaborazione nelle attività di previsione, prevenzione e intervento tecnico-operativo

di soccorso per gli indicati ambiti di competenza dei rispettivi Ministeri dell’Interno.”

Occorre altresì segnalare una bozza di accordo transfrontaliero tra le Prefetture di Torino e delle Hautes

Alpes per la cooperazione operativa nel settore del servizio antincendio e del soccorso. Il progetto

descrive in modo generale la procedura schematica di intervento congiunto sul confine tra Provincia di

Torino e Regione francese Hautes Alpes [PROG-TO].

Gli scenari di riferimento descritti sono i seguenti:

1. incidenti stradali, incendi, rilasci di sostanze pericolose sulla viabilità di confine;

2. mezzi in avaria per guasto tecnico o avverse condizioni meteo;

3. blocco del traffico;

4. alluvioni, frane, smottamenti;

5. soccorso a persona, specialmente a coloro che praticano gli sports alpini;

6. incendio boschivo;

7. incendi, soccorsi tecnici o ambientali urgenti nei centri abitati frontalieri.

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La procedura prevista è molto semplice:

1. la centrale operativa riceve la chiamata di soccorso

2. la centrale operativa valuta quali siano le risorse più appropriate da adoperare, per la minor

percorrenza, per le condizioni meteo ed ambientali:

a. decide di impiegare mezzi propri per l’intervento:

i. se sul territorio di propria competenza, allora intervento ordinario;

ii. se sul territorio dell’altro paese, allora:

1. invia i mezzi propri, informa la centrale operativa dell’altro paese,

informa la propria Prefettura;

2. la Prefettura provvede ad informare la Prefettura dell’altro paese,

competente territorialmente per l’intervento, che esercita la funzione di

coordinamento delle operazioni;

3. la centrale operativa dell’altro paese decide se mandare rinforzi con

propri mezzi o addirittura sostituire le forze dell’altro paese già

intervenute.

b. decide di non impiegare mezzi propri:

i. informa la centrale operativa dell’altro paese.

Lo studio si occupa anche delle risorse necessarie a garantire adeguata copertura del territorio in

termini di mezzi e personale.

Il progetto è tuttora in fase di bozza e non ha ancora trovato neanche parziale applicazione.

Il 26 marzo 1995 sette stati europei aprono lo spazio Schengen applicando gli omonimi accordi:

l’accordo del 1985, completato della Convenzione di applicazione del 1990. Dal 2000 lo spazio

Schengen conta dieci paesi, tra cui l’Italia. L’accordo di Schengen prevedeva la soppressione graduale

dei controlli alle frontiere comuni, seguendo l’esempio del trattato Benelux del 1962.

Nell’accordo di Schengen si bilanciano le nozioni classiche e delicate di libertà e sicurezza dei

cittadini, cioè come ottenere una libertà di movimento dei cittadini più grande nello spazio considerato,

senza d’altronde compromettere il livello di sicurezza a causa della criminalità transfrontaliera

[SCHENGEN-INTRO]. La Convenzione di applicazione fu elaborata in un quadro di rapporti

puramente inter-governativi, suscitando le critiche del Parlamento europeo.

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La parte del trattato di nostro interesse riguarda la cooperazione transfrontaliera tra le Polizie dei vari

paesi, regolamentando ad esempio l’inseguimento transfrontaliero.

I principi fondamentali previsti sono essenzialmente due:

a) le forze di pubblica sicurezza e doganali che attraversano la frontiera devono avvisare

immediatamente le autorità competenti dello stato attraversato, affinché queste possano decidere

autonomamente e tempestivamente sul prosieguo della missione;

b) il personale che attraversa il confine deve conformarsi strettamente al diritto dello stato nel quale si

trova ad intervenire, limitando l’uso delle armi di servizio al solo caso di legittima difesa e ferma

restando l’interdizione di arrestare persone.

Uno dei primi problemi apparsi durante la prima applicazione del Trattato di Schengen è stato quello

relativo alla formazione al diritto esterno al personale interessato dallo sconfinamento; tale problema si

acuiva inoltre laddove i confini erano multipli. Tale è il caso evidentemente del Lussemburgo che

confina con tre stati.

Tra i problemi operativi, quello che ha destato maggiori preoccupazioni è sicuramente la difficoltà di

comunicazione dovuta ad incompatibilità tecnica, culturale, linguistica ed organizzativa. Tale problema

ha potuto trovare parziale soluzione per mezzo di accordi bilaterali locali.

Nel tentativo di generare una maggiore efficacia del servizio transfrontaliero di polizia e per garantire

la necessaria copertura giuridica al personale nell’esercizio delle sue funzioni, si sono tenute regolari

concertazioni tra i paesi aderenti per discutere delle esperienze concrete e dei problemi pratici

riscontrati.

Un esempio può essere utile a questo punto per illustrare le tipologie di difficoltà pratiche riscontrate.

L’articolo 45 della Convenzione di Schengen conferisce agli agenti il diritto di utilizzare le

segnalazioni di urgenza acustiche e luminose durante gli inseguimenti transfrontalieri per poter essere

facilmente identificati. D’altra parte l’uso di tali accessori deve essere fatto nel rispetto delle

prescrizioni del codice della strada e delle specifiche tecniche nazionali. Queste specifiche non

risultano uniformi tra i vari stati appartenenti allo spazio Schengen. Se dal punto di vista pratico ed

operativo ciò è di fatto senza conseguenze, c’è il rischio di contenziosi assicurativi laddove si verifichi

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un incidente implicante un veicolo di polizia straniero che avesse utilizzato i segnali acustici e luminosi

che non corrispondessero alle tipologie autorizzate nel paese straniero.

Occorre dunque constatare come gli agenti di polizia che prendono parte a missioni transfrontaliere, lo

facciano tuttora in una condizione di relativa insicurezza giuridica dovuta ai numerosi riferimenti della

Convenzione di Schengen alle legislazioni nazionali.

La Convenzione di Schengen si pone dunque come un laboratorio destinato ad essere testato a lungo

prima di una eventuale integrazione nei trattati dell’Unione Europea.

I futuri negoziatori delle modifiche della Convenzione dovranno optare per la via dell’armonizzazione

o per quella del riconoscimento mutuo delle normative nazionali: la

prima opzione presenta un lavoro maggiore di negoziazione che spesso risulta nel riconoscimento di

una regolamentazione minima consensualmente accettata, la seconda sfocia in una negoziazione più

rapida senza però risolvere il problema della molteplicità ed eterogeneicità delle normative nazionali.

Per un nuovo progetto transfrontaliero di cooperazione sul soccorso tecnico urgente

Cos’è un progetto transfrontaliero

Un progetto transfrontaliero è un progetto condotto da partners provenienti da due o più paesi contigui,

per la realizzazione di obiettivi comuni e, se necessario e possibile, per mezzo di una struttura di

gestione comune [ESPA-TR].

L’elaborazione e l’implementazione di ciascun progetto transfrontaliero segue delle fasi progressive. I

contatti e la concertazione tra gli attori locali, la definizione degli scopi, gli studi preliminari di

fattibilità, non comportano necessariamente la creazione di una struttura organizzativa pesante.

Il progetto europeo Interreg e lo Spazio Alpino

INTERREG III è un'iniziativa comunitaria che mira a stimolare la cooperazione inter-regionale

nell'Unione Europea, per la fase 2000-2006. E' finanziata nell'ambito del Fondo Europeo di Sviluppo

Regionale (FESR) [ESPA-ALP]. Questa nuova fase dell'Iniziativa INTERREG è rivolta al

rafforzamento della coesione economica e sociale all'interno della UE che si realizza

nell'incoraggiamento di uno sviluppo equilibrato del territorio attraverso la cooperazione

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transfrontaliera, transnazionale e interregionale. Un accento speciale viene dato all'integrazione delle

regioni marginali e di quelle confinanti con i Paesi in Pre-adesione.

Lo "Spazio Alpino", in quanto area di cooperazione transnazionale strategica per l'Europa, comprende

l'area montana in senso stretto, l'area pedemontana e le pianure circostanti, una piccola porzione

dell'area costiera mediterranea compreso l’Adriatico, parti dei bacini fluviali di Danubio, Po, Adige,

Rodano e Reno.

Il "cuore" montano è dal punto di vista spaziale strettamente legato con la "cintura peri-alpina"

circostante e contiene alcune delle più attrattive aree metropolitane in Europa.

Il Programma INTERREG III B Spazio Alpino copre tutto il territorio delle Alpi, includendo l´area

pedemontana, i bassipiani e le coste a contatto con le Alpi.

Gli Stati Membri e le Regioni che partecipano sono:

1) Austria (l'intero territorio): Vorarlberg, Tyrol, Salzburg, Carinthia, Styria, Alta Austria,

Bassa Austria, Vienna, Burgenland.

2) Francia: Rhône-Alpes, Provence-Alpes-Côte d'Azur, Franche-Comté, Alsace.

3) Germania: distretti dell'Alta Baviera e della Swabia (in Baviera), Tübingen e Friburgo (in Baden-

Württemberg).

4) Italia: Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Province autonome di Bolzano e Trento, Valle

d'Aosta, Piemonte, Liguria.

Allo scopo di aumentare il valore aggiunto del Programma, gli Stati Membri cooperano con gli Stati

non Membri - i quali sono in ogni caso partner a pieno titolo – di seguito elencati:

1) Liechtenstein (l'intero territorio)

2) Slovenia (l'intero territorio)

3) Svizzera (l'intero territorio)

Il Programma "Spazio Alpino" presenta quattro obiettivi principali:

1) Rafforzare l'immagine dello Spazio Alpino come un'area strategica nel contesto delle aree europee

da sviluppare: ciò richiede la costruzione di un comune sentire riguardo al ruolo dello Spazio Alpino in

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termini di sviluppo spaziale sostenibile e la conseguente azione per promuovere ciò, attraverso varie

attività e misure.

2) Attivazione e sostegno delle iniziative di sviluppo sostenibile nello Spazio Alpino, tenendo in

considerazione la relazione esistente tra il "cuore" della regione alpina e le aree di transizione. Ciò

dovrebbe implicare una serie di attività transnazionali in diversi settori, dal livello Comunitario fino a

quello locale, che pongano attenzione sulle questioni più importanti concernenti lo sviluppo del

territorio alpino.

3) Risoluzione delle questioni riguardanti l'accessibilità e i trasporti, promovendo le modalità di

trasporto e comunicazione maggiormente sostenibili.

4) Protezione della diversità del patrimonio naturale e culturale, protezione della popolazione e delle

infrastrutture dai rischi naturali grazie allo sviluppo di strumenti comuni, scambio di informazioni e di

metodologie di intervento.

E' previsto un bando aperto per presentare progetti almeno una volta l'anno. Il Programma può

accettare progetti che soddisfino i seguenti criteri:

1) essere basato su un partenariato transnazionale,

2) dimostrare un carattere transnazionale (ciò esclude progetti che sono eleggibili nell'INTERREG III

A, cioè progetti di cooperazione transfrontaliera), che significa avere almeno due partner di progetto

provenienti da differenti Paesi e che assicurano il co-finanziamento nazionale;

3) ogni partner UE deve contribuire finanziariamente al progetto. Il contributo dei Paesi Non-Membri

può essere sia in denaro che in natura;

4) deve esserci un Partner capofila, che assicuri un'organizzazione dell'attuazione del progetto

affidabile ed una gestione del progetto competente. La forma della cooperazione, il contenuto del

progetto e la distribuzione del lavoro devono essere soggetto di un accordo scritto tra i partner;

5) complementarità rispetto alle politiche nazionali e comunitarie riguardanti i Fondi Strutturali, la

legislazione ambientale, ecc;

6) essere in accordo con le politiche nazionali ed europee di sviluppo spaziale e le strategie nazionali di

sviluppo spaziale. I progetti devono dimostrare un impatto positivo verso lo sviluppo equilibrato ed

armonioso del territorio;

7) concentrarsi su problemi di natura transnazionale che richiedono soluzioni transnazionali;

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8) includere una descrizione dei risultati Sin dal 1997 lo Stato francese si pone il problema della

cooperazione transfrontaliera. Resosi conto dell’inadeguato sfruttamento dei fondi Interreg, il Comité

interministériel d’aménagement et de développement du territoire (CIADT) crea la Mission

Opérationnelle Transfrontalière (MOT).

L’obiettivo della MOT è di facilitare operativamente l’ideazione e la realizzazione di progetti

transfrontalieri da parte dello Stato o delle Collettività Locali.

9) essere completato entro la fine del programma (settembre 2008);

10) non essere finanziato da altri programmi comunitari (eccetto i finanziamenti PHARE, ISPA e

SAPARD per gli Stati non membri) ma sinergie con altri programmi comunitari sono accettate; il

Partner capofila deve confermare che il progetto non è finanziato da altri programmi comunitari;

11) non duplicare progetti già esistenti;

12) essere complementare al programma. Gli obiettivi e le metodologie del progetto devono rientrare

nelle strategie, priorità, e misure definite nel programma;

13) pari opportunità tra uomini e donne;

14) dimostrare la loro sostenibilità ambientale;

Alcuni dei criteri obbligatori di selezione dei progetti sono anche usati per l'accertamento della qualità

dei progetti se l'application form rispetta i criteri meglio del livello minimo domandato.

Come si è premesso, le frontiere nazionali rappresentavano una barriera allo spostamento delle persone

e dei beni costituendo un evidente elemento di discontinuità tra le prassi ed i modelli organizzativi delle

società civili che abitano i territori limitrofi. Oggi questo elemento di discontinuità non è più

accettabile, soprattutto per la somministrazione dei servizi pubblici essenziali quali il soccorso tecnico

urgente; infatti tale discontinuità può significare inadeguato livello qualitativo e servizi non all’altezza

degli standard nazionali ed europei.

Nella realtà attuale gli accordi di collaborazione e coordinamento transfrontaliero per il soccorso

tecnico urgente in corso di validità sono limitati negli effetti tecnici e nella vastità geografica.

Nella presente ricerca viene descritta sinteticamente questa realtà, giungendo alle seguenti

considerazioni:

1. Esistono accordi locali per le grandi opere transfrontaliere quali i trafori stradali e ferroviari. Tali

accordi in particolare sono molto dettagliati e, sviluppati in occasione di incidenti rilevanti, hanno

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potuto in seguito dimostrare tutta la loro efficacia applicativa, come nel caso del traforo stradale del

Frejus. Si limitano però alle grandi opere in questione.

2. Si reperiscono anche delle bozze di accordi di maggior respiro, ancora allo stato embrionale: sono

progetti di collaborazione tra le Prefetture che hanno in comune vasti tratti di frontiera nazionale.

Prevedono collaborazioni sui territori impervi delle frontiere e coordinamento nelle disponibilità di

mezzi e logistica. Sulla frontiera italofrancese nessuno di questi accordi è già entrato in vigore. Si tratta

comunque di buoni spunti, che cominciano ad affrontare i problemi concreti di determinazione delle

catene di comando per ciascuno scenario ed i problemi di ordine legale.

3. A livello nazionale esistono accordi quadro di massima tra i Governi: in genere viene prospettata una

maggiore collaborazione transfrontaliera per il soccorso tecnico urgente, come nella dichiarazione

congiunta Scajola-Sarkozy firmata il 1 luglio 2002 ad Imperia. Si tratta però di semplici dichiarazioni

di intenti, che non sembrano aver determinato finora effetti concreti. Potranno però essere utilizzate in

futuro come background su cui intessere nuove relazioni di alto livello.

4. La politica dell’Unione Europea sull’argomento non si limita più, ad inquadrare il problema in via

del tutto generale, tralasciando gli aspetti concreti e specifici che devono essere dettagliati nei progetti

locali. Un merito dell’Unione Europea è stato quello di fornire il supporto finanziario, ad esempio

nell’ambito del progetto INTERREG, per la sperimentazione di accordi locali di collaborazione

transfrontaliera.

La ricerca si è poi soffermata ad analizzare comparativamente il caso di accordi transfrontalieri tra

Polizie: la collaborazione tra Polizie è sicuramente in fase più avanzata, arrivando a prevedere

addirittura pattuglie binazionali. L’impulso principale a tale attività è venuto sicuramente dall’Accordo

internazionale di Schengen.

Non bisogna però dimenticare che molti dei problemi legali sollevati dall’attività comune attendono

ancora soluzione e lasciano l’operatività degli agenti in un quadro giuridico piuttosto nebuloso.

L’appropriatezza e l’efficacia degli accordi locali, nel quadro degli impegni internazionali alla

collaborazione già stipulati dai Governi, è assicurata dalla leggerezza del modello e dalla contiguità con

le differenziate realtà locali. In questo senso la via degli accordi internazionali o comunitari sembra

infatti poco percorribile: soprattutto se si accetta la validità del principio di sussidiarietà.

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Eventuali accordi internazionali potranno solo seguire cronologicamente e causalmente la messa in

esercizio di accordi locali sperimentali che dimostrino l’efficacia del modello, come è già successo per

le Polizie nel caso dell’Accordo di Schengen. Attualmente i soggetti maggiormente titolati a concludere

accordi nel settore del soccorso tecnico urgente sembrano essere le Regioni in collaborazione con le

Prefetture, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e le omologhe organizzazioni estere. Infatti le

Regioni godono sempre più di indipendenza nell’azione, anche nelle relazioni con l’estero, e rivestono

il ruolo di interlocutori privilegiati nel rapporto con l’Unione Europea.

Le Regioni a Statuto autonomo hanno accumulato una pluriennale esperienza nel settore, che è

patrimonio comune e che potrà essere utilizzata proficuamente per lo sviluppo di progetti locali di

collaborazione transfrontaliera per il soccorso tecnico urgente.

Le varie strategie dell’Unione europea per la cooperazione nel settore della protezione civile non

intendono sostituire i sistemi nazionali. Tutte le iniziative sono saldamente basate sul principio di

sussidiarietà, l’elemento guida della legislazione comunitaria in base al quale le azioni nell’Unione

devono essere sempre intraprese a un livello quanto più possibile locale. Le competenze nazionali,

regionali e locali costituiscono e sempre costituiranno il nucleo di tutte le iniziative europee di

intervento in caso di calamità. La Comunità intende svolgere un ruolo di coordinamento tra gli esperti

della protezione civile nei 15 Stati membri dell’Unione, nei 13 paesi candidati che hanno chiesto di

aderire all’Unione (1) e nei paesi dello Spazio economico europeo (SEE) (2). Numerose iniziative in

questo settore sono state estese ai paesi dell’Africa settentrionale e in parte al Medio Oriente nel quadro

del progetto Euromed.

In situazioni di emergenza, l’approccio comunitario assicura con la massima rapidità l’invio del

personale più qualificato nelle aree colpite dal disastro. In altre circostanze, grazie alla cooperazione,

gli esperti della protezione civile di tutta Europa possono incontrarsi a scadenze regolari per scambiarsi

opinioni e imparare dalle rispettive migliori pratiche. Questo metodo ha consentito alla Comunità di

sviluppare in caso di disastro alcune delle migliori strategie di intervento nel mondo.

In particolare, gli obiettivi della cooperazione comunitaria nel settore della protezione civile sono i

seguenti:

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• .sostenere e integrare gli sforzi compiuti a livello nazionale, regionale e locale per prevenire i disastri

e contribuire a potenziare il livello di preparazione dei responsabili della protezione civile e dei

soccorsi in caso di emergenza;

• .contribuire a informare il pubblico per consentire ai cittadini europei di meglio proteggersi;

• .istituire un quadro operativo per favorire la rapidità e l’efficienza della cooperazione tra i servizi

nazionali della protezione civile quando occorre un’assistenza reciproca;

• .promuovere la coerenza delle azioni intraprese a livello internazionale nel settore della protezione

civile, soprattutto nel contesto della cooperazione con i paesi candidati dell’Europa centrale e orientale

nonché con Malta, Cipro e la Turchia, in vista dell’allargamento.

La Commissione europea ha presentato nel novembre 2001 una relazione dettagliata che conteneva

suggerimenti per una serie di iniziative concrete (1). Il documento delineava le possibili misure per

prevenire attacchi contro siti sensibili quali impianti chimici o centrali nucleari e suggeriva modalità

per coordinare l’intervento dell’Europa in caso di un simile attacco. La comunicazione proponeva

inoltre misure per affrontare l’ipotetica minaccia di attacchi terroristici con armi biologiche, chimiche o

nucleari.

I provvedimenti della Comunità Europea

I governi dell’Unione europea hanno concordato formalmente per la prima volta di coordinare le

strategie di protezione civile in una riunione ministeriale svoltasi a Roma nel 1985. Tra il 1985 e il

2005 hanno approvato varie iniziative preliminari che hanno gettato le basi di quello che è oggi un

approccio coordinato di ampia portata per affrontare gravi disastri e pianificare i soccorsi. Tutte le

iniziative di protezione civile a livello comunitario sono attuate sulla base del principio di sussidiarietà

e la Commissione europea ha sempre perseguito l’obiettivo di sostenere e incoraggiare gli sforzi

compiuti a livello nazionale, regionale e locale.

• Resolution Council 25/06/1987;

• Resolution Council 13/02/1989;

• Resolution Council 23/11/1990;

• Resolution Council 8/07/1991;

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• 1999/847/CE Decisione del Consiglio del 9/12/1999 che istituisce un programma d’azione

comunitario a favore della Protezione Civile;

• 2001/792/CE Decisione del Consiglio del 9/12/1999 establishing a Community

mechanism to facilitate reinforced cooperation in civil protection

assistance interventions;

• 2004/277/CE Euratom, Decisione del consiglio, Community mechanism

to facilitate reinforced cooperation in civil protection assistance

interventions;

• 2005/12/CE Decisione del consiglio, of 20 December 2004 amending

Decision 1999/847/EC as regards the extension of the Community action

programme inthe field of civil protection

I programmi di azione migliorano l’efficienza

Nel 1997 il Consiglio dell’Unione europea ha compiuto un importante passo avanti con l’approvazione

di un vasto programma di azione per la protezione civile valido dal 1° gennaio 1998 al 31 dicembre

1999.

Questo primo programma di azione è stato seguito da un secondo programma nel 1999, basato su uno

schema più ampio, entrato in vigore il 1o gennaio 2000 e valido fino al 31 dicembre 2004.

Il nuovo programma è finalizzato a sostenere e integrare gli sforzi degli Stati membri dell’UE nel

settore della protezione civile a livello nazionale, regionale e locale, oltre che ad agevolare gli scambi

tra gli specialisti europei del settore. I progetti sostenuti dal programma, finanziati congiuntamente

dalla Comunità e da almeno uno Stato membro, coprono le seguenti aree:

• valutazione, prevenzione e attenuazione del rischio,

• informazione del pubblico,

• preparazione e intervento,

• analisi post-catastrofe,

• azioni orizzontali.

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Valutazione, prevenzione e attenuazione del rischio

I progetti sono rivolti a ridurre al minimo il rischio di numerose catastrofi naturali e tecnologiche e a

contenerne l’impatto qualora esse si verifichino.

La loro finalità è tra l’altro l’elaborazione di principi e orientamenti chiari per la prevenzione di

catastrofi naturali e gravi incidenti tecnologici. Oltre ad affrontare questioni generali connesse alla

prevenzione dei disastri, questi progetti si concentrano in particolare sui rischi rappresentati da

inondazioni, cedimenti di dighe e incendi.

Preparazione e intervento

Sebbene tutti i cittadini dell’UE abbiano diritto a protezione e assistenza di buona qualità, attualmente

tra i vari Stati membri esistono differenze notevoli in termini di rischi, fattori geografici e demografici.

Questi progetti puntano a eliminare le differenze esistenti e a garantire che i cittadini possano fare

affidamento sullo stesso livello elevato di preparazione in caso di emergenza, in qualsiasi parte

dell’Unione essi si trovino. Tra le iniziative specifiche rientrano progetti sulla medicina in caso di

catastrofi e programmi per potenziare l’assistenza psicologica alle vittime di calamità. Altri progetti

sono finalizzati a migliorare le condizioni di formazione e addestramento per i professionisti del

settore, tra cui i vigili del fuoco e altro personale di pronto intervento.

Analisi post-catastrofe

Con questi progetti si intende assicurare agli esperti europei della protezione civile l’opportunità di

trarre tutti gli insegnamenti possibili dai disastri avvenuti in passato

affinché possano affrontare le catastrofi del futuro con maggiore efficienza. Tra i progetti specifici

finanziati sotto questa voce figurano un programma per preparare gli Stati membri vulnerabili a far

fronte ai terremoti e un’analisi approfondita degli aspetti socioeconomici connessi ai disastri.

Azioni orizzontali

Questi progetti sono rivolti ai professionisti che operano in tutti i settori della protezione civile. I

programmi finora sostenuti includono uno studio sull’uso delle nuove tecnologie dell’informazione

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negli interventi di soccorso, una relazione sul ruolo delle organizzazioni non governative (ONG) in

caso di catastrofi e un vasto scambio di opinioni con i paesi candidati all’adesione sui problemi della

protezione civile.

12

Un nuovo meccanismo per coordinare i soccorsi in caso di calamità

Nell’ottobre 2001 i governi dell’UE, con la decisione 2001/792/CE del Consiglio, hanno concordato di

istituire un nuovo «meccanismo» per agevolare la cooperazione negli interventi di protezione civile.

Il meccanismo si basa su un piano di ampia portata proposto dalla Commissione europea nel settembre

2000 e illustra strategie dettagliate per far fronte a tutte le principali emergenze che possono richiedere

un intervento rapido, da catastrofi in tempo di pace, come possono essere i terremoti, a minacce o

attacchi di tipo terroristico. Il nuovo piano è stato adottato in un contesto caratterizzato da una serie di

gravi disastri che hanno colpito l’UE e il resto del mondo negli ultimi anni. Soltanto nel 1999 si sono

avuti terremoti in Grecia e Turchia, tempeste che hanno provocato gravi danni in molti paesi europei e

il naufragio dell’Erika che ha inquinato 400 km di costa francese. Nel 2000 la fuoriuscita di sostanze

chimiche a Baia Mare ha avvelenato il Danubio in Romania e Ungheria, mentre nei Paesi Bassi è

esplosa una fabbrica di fuochi artificiali causando la morte di 20 persone. Il 2001 passerà alla storia

come l’anno dell’attacco terroristico dell’11 settembre negli Stati Uniti, ma sempre nello stesso anno si

è verificata anche l’esplosione nell’impianto AZF a Tolosa che ha provocato 29 vittime. Il nuovo

meccanismo intende agevolare la cooperazione tra gli Stati membri in modo che le autorità di una

regione colpita da una calamità possano fare ricorso a un’ampia rete comunitaria di esperti di

protezione civile in brevissimo tempo. Il meccanismo viene attivato quando un paese richiede

l’assistenza dei partner UE a seguito di una catastrofe. In origine il piano è stato elaborato per gli Stati

membri, i paesi SEE e i paesi candidati, ma sarà esteso anche a paesi terzi che richiederanno la

collaborazione dell’Unione per affrontare i disastri.

Il fulcro del nuovo meccanismo è un nuovo centro comunitario più efficiente di monitoraggio e di

informazione per la protezione civile. Questa nuova infrastruttura sarà gestita dalla Commissione

europea a Bruxelles e, come l’unità operativa già esistente della Commissione «Protezione civile», sarà

attiva 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno.

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Il centro può fare riferimento in qualsiasi momento a una rete di esperti e in genere riesce a formare

una squadra di intervento ad hoc e ad assicurarne l’invio sul luogo del

disastro in qualsiasi parte del mondo entro 12 ore. Per esempio, già poche ore dopo gli attacchi dell’11

settembre la Commissione aveva contribuito a formare una squadra di

oltre 1 000 addetti ai soccorsi pronti a recarsi a New York e Washington in qualsiasi istante.

La rete permanente dei corrispondenti nazionali e il comitato per il programma di azione e per il

meccanismo nel settore della protezione civile

La rete permanente dei corrispondenti nazionali (Permanent Network of National Correpondents —

PNNC) è costituita da rappresentanti di alto livello appartenenti alle amministrazioni nazionali

responsabili della protezione civile ed è la prima rete coordinata della protezione civile istituita

nell’Unione europea. Questa struttura svolge la funzione di strumento per lo scambio di informazioni

ed esamina diverse iniziative nell’ambito della protezione civile. Per l’attuazione del programma di

azione e del meccanismo comunitario a favore di una cooperazione rafforzata negli interventi di

protezione civile, la Commissione è assistita dal Comitato per il programma di azione e per il

meccanismo nel settore della protezione civile, composto da rappresentanti degli Stati membri e

presieduto dalla Commissione stessa.

Il vademecum, una guida per la protezione civile

La Commissione europea aggiorna a scadenze regolari un vademecum per la protezione civile che

fornisce una panoramica delle misure adottate dagli Stati membri dell’UE, dai paesi SEE e dai paesi

candidati all’adesione per affrontare le catastrofi. Si tratta di un documento dettagliato, destinato ai

funzionari con posizioni di responsabilità nel settore della protezione civile a livello nazionale,

regionale e locale, alle associazioni di volontariato, alle ONG nonché a tutti i cittadini interessati.

La guida contiene descrizioni degli interventi effettuati in occasione di disastri avvenuti in passato,

delinea i piani di azione per future emergenze e spiega chiaramente le

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competenze di tutti i soggetti interessati a livello locale, regionale, nazionale ed europeo in caso di

catastrofe. Il vademecum illustra inoltre i progressi compiuti dalla Commissione, insieme ai servizi

nazionali, nel favorire la cooperazione nel settore della protezione civile.

http://europa.eu.int/comm/environment/civil/pdfdocs/vademec.pdf

La Commissione partecipa attivamente a una serie di accordi di cooperazione internazionale in materia

di protezione civile e di intervento in caso di disastro. Queste attività rientrano nel quadro delle

politiche comunitarie oppure si concretizzano in iniziative separate.

Attività nel quadro delle politiche comunitarie

Nel bacino del Mediterraneo, l’Unione sta finanziando un progetto pilota Euromed nel settore della

protezione civile attraverso il programma MEDA. L’obiettivo generale è

contribuire a rafforzare la fiducia sul piano politico e della sicurezza nell’area euromediterranea. Il

progetto è in corso di svolgimento sotto la direzione di esperti italiani ed egiziani, secondo i quali

questa iniziativa rappresenta una prima

componente essenziale per la creazione di un sistema euromediterraneo di protezione civile. Sono in

programma attività in materia di formazione e addestramento, scambio di

esperti e creazione di una rete di contatti tra le scuole della protezione civile.

Altre attività

L’UE partecipa attivamente anche a una serie di accordi e strutture internazionali per la protezione

civile, riportate qui di seguito.

L’accordo parziale aperto del Consiglio d’Europa

(EUR-OPA Major Hazards Agreement — Grandi rischi)

L’accordo, adottato nel marzo 1987 dal Consiglio d’Europa, intende promuovere una più stretta

cooperazione tra gli Stati membri in materia di prevenzione e intervento in caso di disastri naturali e

tecnologici.

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Cooperazione internazionale

Le attività concernono il processo decisionale e il coordinamento scientifico e tecnico, inclusi lo

sviluppo di sistemi di preallarme e l’istituzione di numerosi centri di ricerca. Non tutti gli Stati membri

dell’UE sono parti contraenti di questo accordo.

La convenzione sugli effetti transfrontalieri degli incidenti industriali

L’UE è una parte contraente di questo accordo internazionale, coordinato dalla Commissione

economica per l’Europa delle Nazioni Unite (ECE). La convenzione affronta i temi della prevenzione,

della preparazione e dell’intervento in caso di incidenti industriali suscettibili di causare effetti

transfrontalieri. Tra gli obiettivi perseguiti rientrano la cooperazione internazionale in un contesto

transfrontaliero in materia di assistenza reciproca, ricerca e sviluppo e scambio di informazioni e

tecnologie.

L’Iniziativa centrale europea (CEI — Central European Iniziative)

Questo accordo di cooperazione sulla previsione, la prevenzione e l’attenuazione delle catastrofi

naturali e tecnologiche, concluso nel 1996 tra Austria, Croazia, Ungheria, Italia, Polonia e Slovenia (la

Commissione europea ha lo status di osservatore), comporta lo scambio periodico di informazioni

scientifiche e tecnologiche e di dati rilevanti, l’elaborazione di programmi comuni di ricerca,

l’istituzione di corsi di formazione e addestramento destinati agli esperti del settore per creare

programmi comuni in materia di protezione civile e gestione delle catastrofi. A tal fine è stato elaborato

un manuale operativo comprendente una serie di dati per le parti aderenti. Inoltre, sono stati migliorati

gli strumenti di comunicazione tra le istituzioni nazionali responsabili in materia di terremoti.

Come per tutti i settori delle politiche comunitarie, anche le iniziative dell’Unione europea per

coordinare gli sforzi in materia di protezione civile non sono a sé stanti. Spesso gli interventi in caso di

gravi catastrofi coinvolgono altri settori di competenza dell’UE, per esempio la giustizia e gli affari

interni quando è richiesta la cooperazione tra forze di polizia oppure la legislazione in materia di

ambiente se un

determinato disastro può avere gravi conseguenze per l’ambiente. Questo vale soprattutto in caso di

catastrofi quali esplosioni in impianti industriali o fuoriuscite di sostanze chimiche.

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Quando siti «a rischio» di questo tipo sono colpiti da un disastro, gli esperti della protezione civile

devono avere una perfetta conoscenza della direttiva Seveso che stabilisce le norme per la gestione di

impianti potenzialmente pericolosi.

Coordinamento con altre politiche comunitarie

La direttiva Seveso

Nel 1976 una parte dell’impianto chimico di Severo (Italia settentrionale) esplose rilasciando

nell’atmosfera una nube contenente tetraclorodibenzoparadiossina (TCDD), una sostanza altamente

pericolosa comunemente nota come diossina. Oltre 600 persone furono evacuate e 2 000 furono

sottoposte a trattamento per contaminazione da diossina.

Sei anni più tardi i governi dell’UE approvarono la cosiddetta direttiva Seveso, finalizzata alla

prevenzione di gravi incidenti industriali e alla limitazione delle loro

conseguenze. La direttiva stabiliva severe procedure di sicurezza e di protezione da attuare in tutti i siti

considerati a rischio di incidente paragonabile a quello verificatosi a Seveso.

La direttiva è stata aggiornata in diverse occasioni e nel 1996 è stata completamente riveduta e

sostituita da un direttiva molto più rigorosa, la Seveso II. Dal 3 febbraio 1999 gli obblighi della

direttiva sono diventati vincolanti per l’industria e per le autorità pubbliche degli Stati membri

responsabili dell’attuazione e dell’esecuzione della legislazione.

La direttiva Seveso II non copre la sicurezza nucleare o il trasporto di sostanze pericolose, oggetto di

una normativa a parte.

Nei prossimi anni l’importanza della cooperazione a livello comunitario nel settore della protezione

civile è destinata a diventare sempre più preponderante. Dopo la piena applicazione del meccanismo

concordato nell’ottobre 2001, l’approccio dell’Unione nei confronti degli interventi in caso di disastro,

già oggi rigoroso, sarà ancora più efficace.

In futuro, gli Stati membri e la Commissione europea intendono porre l’accento in particolare sulla

necessità di cercare di prevenire i disastri. È certamente essenziale essere in grado di intervenire con

rapidità ed efficienza in caso di catastrofe, ma è ancora più importante cercare di evitare per quanto

possibile che simili emergenze si verifichino.

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A tal fine sarà necessario instaurare legami ancora più stretti tra gli esperti locali, regionali e nazionali

che formano la spina dorsale delle strategie europee di intervento in caso di disastro. È inoltre

importante che i comuni cittadini siano a conoscenza di potenziali rischi e sappiano come reagire con

calma e rapidità in situazioni di emergenza.

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Capitolo 3

Importanza degl’interscambi culturali tra le nazioni

Stabilito quale possa essere il modello organizzativo più rispondente alle esigenze di semplicità,

efficienza e gestione, è indubbio che una pre-pianificazione fatta in “tempo di pace” secondo i principi

dettati dalle scelte della Comunità Europea, possa accrescere l’efficienza di un siffatto “meccanismo”

di soccorso sia in termini di tempestività di risposta sia in termini di efficienza efficacia della stessa.

Tra i principali obbiettivi della pre-pianificazione troviamo:

- stabilire la struttura del comando;

- stabilire i nuclei operativi speciali, esistenti a livello europeo, che possano essere impiegati;

- assegnare ad ogni paese, in via preliminare, l’invio di “sezioni operative” e la predisposizione di

nuclei operativi speciali.

Questo esercizio dovrebbe essere fatto per ognuna delle emergenze ipotizzabili, o meglio per quelle

calamità per le quali si rende necessario l’intervento congiunto di più paesi europei.

Stabiliti la struttura e gli elementi costituenti necessari a fronteggiare le calamità ipotizzabili, risulterà

semplice adeguarsi, o meglio estendere il modello organizzativo e di risposta pre-costituito, ad eventi

non ipotizzati. Infatti, la conoscenza reciproca, che deriva dalla fase di pre-pianificazione, e la

coscienza dell’organizzazione, rende possibile l’estrapolazione del modello, ed il suo adeguamento a

tutte le situazioni in tempi più brevi; non di meno ciò garantisce una risposta più efficace già dalle

prime fasi dell’intervento.

Ma come costruire un siffatto modello tenendo conto delle diversità organizzative dei vari paesi in

termini di soccorso?

La risposta è semplice: creare momenti formativi di scambio tra le varie nazioni che permettano

l’integrazione delle conoscenze e la formazione di una coscienza unitaria prima ancora di sedersi su un

tavolo dove estendere le conoscenze e l’unità di intenti così formate verso un progetto unitario di

soccorso.

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Gli accordi tra nazioni, fatti a livello politico, indicano chi è a capo della struttura organizzativa cui è

affidata la gestione del soccorso, gestione che sicuramente risponderà alla struttura organizzativa locale

già rodata. Tali accordi indicheranno anche le cariche dei vari stati deputate all’invio delle sezioni

operative e con chi tali cariche dovranno interfacciarsi a livello europeo.

A livello operativo le cose non sono così semplici, nel senso che bisognerà valutare prima di tutto:

- chi sa fare cosa;

- chi sa fare meglio cosa;

- chi può arrivare prima.

Fatto ciò sarà poi possibile stabilire:

- chi può fare cosa;

- chi deve fare cosa.

In questo processo, la fase di scambio culturale tra le nazioni è centrale e di importanza fondamentale

per giungere alla conoscenza delle specialità operative presenti a livello europeo e di come queste

potrebbero essere impiegate nell’ottica

dell’intervento congiunto.

La stessa coscienza, acquisita da parte dei

coordinatori sulle specialità disponibili in campo e

delle loro prerogative e peculiarità, potrebbe

accrescere la simbiosi tra i settori operativi e

rendere il soccorso più duttile e funzionale di un

semplice “io mi occupo di questa zona con i mezzi

di cui dispongo”.

Per meglio comprendere questo concetto

fondamentale si potrebbe portare un esempio:

durante le operazioni di soccorso in area

terremotata, il salvataggio di alcune persone

intrappolate in una zona bassa di un edificio

crollato, difficilmente raggiungibili, potrebbe essere

fatto sfruttando le tecniche SAF.

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Il coordinatore degli interventi del paese X deputato a quell’area, se non sa che il settore coordinato dal

paese Y dispone di tali nuclei operativi speciali, o meglio che tali nuclei sono presenti in campo e

usufruibili per certe attività specifiche, non ne richiederà l’intervento, ma cercherà, con enorme spreco

di tempo ed energie, e magari anche a rischio dei soccorritori e dei soccorsi, di arrangiarsi con i mezzi

di cui dispone.

Solo la conoscenza reciproca derivante da momenti di scambio formativo può quindi assicurare

l’integrazione delle forze in campo pur rimanendo nell’ambito delle competenze specifiche di settore

affidate a ciascun coordinatore.

In ogni paese europeo la struttura del soccorso è mirata alla soluzione di problemi locali dovuti ad

esempio alle caratteristiche geografiche del paese e ai diversi fattori di pericolo antropico esistenti sul

territorio. Ciò fa sì che diversi paesi abbiano sviluppato tecniche più o meno sofisticate per rispondere

in termini di tempestività ed efficienza ai rischi cui possono andare incontro.

Gli scambi formativi devono avere come obbiettivo quello di far emergere tali tecniche e di

raffrontarle, laddove comuni, onde stabilire i pregi ed i difetti, ciò che può essere migliorato, ciò che

funziona bene, quali rischi non erano stati considerati e come possono essere ridotti, eventuali ambiti di

impiego diversi da quelli standard, e così via.

Uno scambio culturale formativo, quindi, che può ancor prima migliorare i servizi locali esistenti e poi

far prendere coscienza delle potenzialità comuni per la gestione di situazioni di emergenza a livello

europeo.

Uno scambio formativo che fa crescere la coscienza di unità di intenti nel portare soccorso nel miglior

modo possibile sia in ambito locale che europeo che internazionale.

Uno scambio culturale formativo che mantiene un unico obbiettivo: la protezione delle popolazioni

colpite da calamità ed il miglior soccorso tecnico in termini di efficacia, efficienza e tempestività.

Naturalmente tali scambi non devono perdere di mira l’obbiettivo che ci si era prefissati, e cioè:

stabilite le forze in campo e le loro caratteristiche peculiari, poter determinare una suddivisione dei

compiti per rispondere alle emergenze ipotizzabili e non ipotizzabili onde ottimizzare il soccorso

rendendolo quanto più efficiente ed efficace e nel contempo tempestivo.

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Se può risultare semplice la fase di descrizione delle proprie caratteristiche e dei propri nuclei operativi

speciali e i loro ambiti di intervento, non è altrettanto semplice gestire e integrare le conoscenze

acquisite per convogliarle verso l’obbiettivo che ci si propone.

Pertanto da una fase possiamo dire “conoscitiva” si deve poi passare ad una fase di “integrazione” delle

conoscenze in un dibattito continuo dove possibilmente tutti devono entrare in gioco.

Sostanzialmente questa fase di integrazione è quella da cui dovrebbero nascere i frutti della

collaborazione e degli interscambi formativi, pertanto è quella da cui ci si aspetta la stesura di

documenti omogenei, chiari a tutti e soprattutto utilizzabili per la formazione interna ai vari stati del

personale che dovrebbe essere poi impiegato durante le emergenze trattate.

Gli obbiettivi di questo documento devono essere in linea con i principi indicati dalle decisioni, in

materia di Protezione Civile, del Consiglio delle Comunità Europee.

Il contenuto di questo documento comune dovrebbe in pratica rappresentare il contenuto principale di

un corso di formazione per coordinatori di settore durante gli interventi di protezione civile a livello

comunitario.

Il contenuto di questo documento è la naturale sintesi di un processo di costruzione unitaria e di

arricchimento delle conoscenze, che in sè definisce e concretizza le capacità operative non più di ogni

singolo paese ma di un insieme di paesi nella ricerca continua di una integrazione professionale tesa ad

offrire alle popolazioni colpite se non altro la coscienza che c’è qualcuno che si sta occupando di loro

con professionalità, organizzazione, tempismo, efficacia ed efficienza.

È importante che il processo di cui sopra non sia statico ma bensì dinamico. Sarà quindi importante

mantenere viva una fase di interscambio tesa non solo ad utilizzare le varie esperienze locali ma anche

le eventuali esperienze comuni per capire in maniera critica ciò che potrebbe non funzionare e ciò che

va migliorato.

A questa fase è importante che partecipino anche i discenti dei corsi di formazione locali. Essi

rappresentano il primo banco di prova dei contenuti del documento comune di intervento e pertanto

rappresentano i primi soggetti attivi, in quanto personale che domani si troverà ad applicarne i

contenuti sul campo, che in base alla loro esperienza maturata in interventi locali possano procedere ad

una critica costruttiva tesa al miglioramento dei contenuti del documento stesso in un processo

continuo, appunto dinamico, di costruzione del soccorso.

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Capitolo 4

Principali contenuti formativi dei corsi per funzionari e gestione

della formazione in qualità

Contenuti formativi dei corsi per funzionari Il funzionario che deve operare nel soccorso tecnico urgente in caso, ad esempio, di calamità naturali a

carattere internazionale è spesso chiamato ad interagire con tutte le forze in campo e deve essere in

grado di prendere le giuste decisioni per far funzionare al meglio la macchina del soccorso.

In questa ottica è molto importante che egli sia adeguatamente formato e percepisca l’importanza della

collaborazione internazionale e sia a conoscenza di quale possa essere il suo campo d’azione ed i suoi

interlocutori.

È, dunque, fondamentale inserire un modulo formativo, che si occupi di queste tematiche, all’interno

del percorso iniziale di formazione dei funzionari del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, del

Soccorso Pubblico e della Difesa Civile, oppure come corso d’aggiornamento successivo.

Le tematiche da sviluppare in questi corsi sono:

Studio approfondito della lingua inglese;

Analisi degli accordi internazionali di Protezione Civile;

Comunicazione;

Utilizzo di risorse logistiche e strumentale;

Scambi culturali con strutture di altri paesi della Comunità Europea;

Coordinamento di nuclei operativi specializzati (SAF, NBCR,….).

Studio approfondito della lingua inglese

Partendo dal presupposto che ci sia un livello base di conoscenza, da parte dei funzionari del

C.N.VV.F, della lingua inglese, con questa sezione si vuole fornire delle capacità più approfondite per

consentire un dialogo tecnico con le altre forze in campo. Si porrà l’attenzione sull’inglese tecnico

facendo affidamento su strutture specializzate in questo settore.

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Analisi degli accordi internazionali di Protezione Civile

Con questa sezione si intende dare al funzionario i riferimenti normativi che regolano la cooperazione

internazionale della protezione civile e quindi gli strumenti per poter operare in uno scenario complesso

quale quello di una calamità naturale o di altra natura.

Avere un quadro chiaro sulla legislazione nazionale e comunitaria è necessario perché si comprenda

quali sono i “confini” entro cui muoversi e si capisca fin dall’inizio “chi” deve fare “che cosa”.

In particolare si fa riferimento alle linee guida espresse dal Consiglio della Comunità Europea e agli

accordi transfrontalieri esistenti tra i vari paesi della CE che sono:

• Convenzione Italia – Francia approvata il 16 febbraio 1992 ratificata in Italia co n la legge

578/1994 e in Francia con decreto 923/1995, titolata “prèvisione et prévention des risques

majeurs et de l’assistance mutuelle en cas de catastrophes naturalles ou dues à l’activitéde

l’homme”;

• 1999/847/CE Decisione del Consiglio del 9/12/1999 che istituisce un programma d’azione

comunitario a favore della Protezione Civile;

• 2001/792/CE Decisione del Consiglio del 9/12/1999 establishing a Community mechanism to

facilitate reinforced cooperation in civil protection assistance interventions;

• 2004/277/CE Euratom, Decisione del consiglio, Community mechanism to facilitate reinforced

cooperation in civil protection assistance interventions;

• 2005/12/CE Decisione del consiglio, of 20 December 2004 amending Decision 1999/847/EC as

regards the extension of the Community action programme inthe field of civil protection

• Risoluzione del 28/1/2002 del consiglio intesa a rafforzare la cooperazione in materia di

formazione nel settore della protezione civile;

• Accordo Italia – Francia 1 luglio 2002 firmato ad Imperia dall’allora Ministro degli Interni On.

Scajola ed il suo omologo francese M. Sarkozy che prevede “l’intensificazione dei rapporti di

collaborazione transfrontaliera per le attività di difesa contro possibili minacce di natura

chimica, biologica, radiologica o nucleare (NBCR) ivi comprese le ipotesi di attacchi

terroristici”.

Si rimanda al capitolo 2 per eventuali approfondimenti su questi riferimenti normativi.

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Comunicazione

Molto importante in situazioni di emergenza è la comunicazione tra gli attori coinvolti per poter

pianificare, attuare e controllare i soccorsi e il coordinamento tra le forze in gioco.

Ancora più importante è la comunicazione e il dialogo con la popolazione colpita dalla catastrofe,

infatti è necessario, in questi casi, dare le giuste informazioni alla gente per ridurre al minimo le

situazioni di panico e di disagio, senza mai dimenticare che chi è rimasto coinvolto nell’evento è

emotivamente molto fragile e reagisce in maniera imprevedibile alle circostanze che gli si presentano.

In questa sezione del corso si cercherà di fornire ai partecipanti i principi fondamentali della

comunicazione di “crisi” con l’obiettivo di creare i presupposti per una corretta gestione dell’intero

scenario dell’intervento.

Utilizzo di risorse logistiche e strumentali

Scopo di questa sezione del percorso formativo è quello di fornire indicazioni ai funzionari del

C.N.VV.F riguardo la gestione e il coordinamento delle varie risorse logistiche e strumentali sia in

riferimento alla dotazione del Corpo Nazionale sia, eventualmente, per risorse esterne.

Molto spesso in fase di pianificazione dei vari interventi in riferimento ai possibili scenari che si

possono presentare, si stabilisce quali siano le risorse necessarie per far fronte a tali eventi.

I vari accordi internazionali, richiamati in precedenza, prevedono quali siano i compiti e le

responsabilità dei vari componenti della macchina del soccorso, per cui si vuole ancora una volta porre

una grande attenzione alla fase di pianificazione del soccorso.

Scambi culturali con strutture di atri paesi della Comunità Europea

Come richiamato nei paragrafi precedenti questa fase deve avvenire in due momenti successivi:

Momento di conoscenza, durante il quale si apprende come sono organizzate le strutture del

soccorso dei vari paesi e soprattutto quali sono le principali specializzazioni di ognuno in

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modo da fornire la migliore efficienza possibile nel soccorso alla popolazione con il minor

rischio possibile;

Momento di integrazione, durante il quale si devono diffondere le conoscenze acquisite in

modo da condividerle durante la fase di soccorso.

Ovviamente questa sezione deve essere condotta nella consapevolezza che il funzionario del Corpo

Nazionale deve poter coordinare le fasi del soccorso sapendo cosa faranno le altre organizzazioni

presenti sullo scenario dell’intervento.

Gestione dei corsi nell’ottica della qualità

L’Istituito Superiore Antincendi gestisce l’erogazione dei corsi e seminari interni ed esterni secondo

procedure standardizzate pianificate secondo il Sistema di Gestione della Qualità che di recente ha

implementato, in attesa di una futura certificazione secondo le norme UNI EN ISO 9001:2000.

La gestione dell’Istituto viene effettuata seguendo un approccio per processi, seguendo il ciclo P-D-C-

A, e attribuendo enorme importanza ai:

Processi di pianificazione;

Processi legati al cliente;

Processi di progettazione;

Processi di approvvigionamento;

Processi di erogazione;

Tale gestione si applica a tutto l’ISA e fa riferimento al capitolo 7 della norma UNI EN ISO

9001:2000.

Di seguito si riporta l’intero processo di pianificazione, realizzazione e controllo di un corso di

formazione nell’Istituto Superiore Antincendi con i riferimenti al Manuale della Qualità dell’Istituto e

alle relative procedure e documentazioni.

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REALIZZAZIONE DEI SERVIZI FORMATIVI

L’ISA ha identificato i processi interni necessari per la realizzazione del servizio, e ne ha individuato la

sequenza e le relazioni reciproche attraverso il seguente diagramma:

Processo Principale

CS

INDIVIDUAZIONE REQUISITI DI MASSIMA

INTERVENTI PRECEDENTI INTERVENTI SIMILARI

PROGETTAZIONE INTERVENTO

INDIVIDUAZIONE DOCENTI COLLABORAZIONI PROFESSIONALI

SERVIZI TECNICI DI SUPPORTO

LOGISTICA

QUALIFICAZIONE FORNITORI

CONTRATTO/ ACQUISTO

EROGAZIONE CORSO

MISURA DELLA CS

VERIFICA PRODOTTO / SERVIZIO ACQUISTATO

CS

CS

CS

INDIVIDUAZIONE DIREZIONE DEL CORSO E TUTOR

CS

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Le attività sono pianificate secondo quanto indicato nelle procedure applicabili.

Fondamentale per la pianificazione dell’intero Sistema Qualità è quanto viene stabilito, anche in

termini di indicatori da monitorare, nel corso del Riesame della Direzione.

PROCESSI RELATIVI AL CLIENTE Il processo di identificazione dei requisiti del Cliente precede la fase di definizione del progetto di

corso/seminario.

Nella definizione dei requisiti dell’attività di formazione da erogare, si tiene conto:

del profilo di competenze in entrata del Cliente/Utente;

del profilo di competenze in uscita del Cliente/Utente;

delle esperienze maturate in precedenti attività di formazione;

del quadro normativo di riferimento;

dei vincoli presenti (logistici, finanziari);

dei risultati della CS (customer satisfaction) e dei reclami sollevati.

I contenuti dei corsi e seminari interni sono fortemente condizionati dai CCNL relativi al personale del

CNVVF che definiscono le competenze professionali dei vari ruoli, mentre i contenuti dei corsi e

seminari esterni sono fondamentalmente definiti da specifiche disposizioni normative in materia di

sicurezza (es. D.Lgs. 626/94 – Legge 818/84).

RIESAME DEI REQUISITI RELATIVI AL PRODOTTO A seguito della dell’attività di progettazione di un Corso/Seminario, l’ISA ne comunica i contenuti alla

Direzione Centrale per la Formazione.

Prima di detto inoltro, DC (direzione del corso) insieme a RCSI (responsabile dei corsi e seminari

interni) coordina il riesame dell'offerta formativa con la collaborazione degli uffici interessati allo

scopo di verificare la fattibilità finanziaria, tecnica e temporale del contenuto della stessa.

La firma di RCSI sul piano del programma del Corso/Seminario e la sigla degli altri uffici

eventualmente coinvolti danno l’evidenza dell’avvenuto riesame.

In tale fase si assume che l’Istituto abbia già valutato

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i requisiti tecnici, finanziari e temporali del corso;

l’adeguatezza delle competenze tecniche ed organizzative dell’Istituto e soprattutto dei

relatori del Corso/Seminario in oggetto;

tutte le indicazioni di carattere procedurale, logistico e organizzativo (tempi di esecuzione e

ipotesi organizzative , etc. -).

PROGETTAZIONE E/O SVILUPPO L’attività di progettazione è essenziale per la realizzazione del servizio dell’ISA.

E’ definita e mantenuta attiva la Procedura PG 7.0 “Progettazione e gestione dei corsi” in cui vengono

dettagliate le operazioni descritte in questo paragrafo.

Pianificazione della progettazione I processi di progettazione, realizzazione ed erogazione del Corso/Seminario possono essere

schematizzati secondo il diagramma di flusso riportato nel precedente paragrafo.

La Pianificazione delle attività di realizzazione viene effettuata, ove applicabile, attraverso il Piano del

Corso/Seminario (MOD.07.01.PIANO).

Nel Piano della Realizzazione sono definiti:

L’oggetto del Corso/Seminario;

Lo staff didattico;

Il profilo di competenze in entrata;

Il profilo di competenze in uscita;

L’analisi di interventi precedenti e/o similari;

I moduli didattici e la durata;

Le risorse di docenza e le collaborazioni professionali necessarie;

Le risorse logistiche e strumentali necessarie.

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Dati e documenti in ingresso I Corsi/ Seminari Interni sono organizzati dall’ISA su incarico della Direzione Centrale per la

Formazione e da questa riceve la copertura finanziaria.

I requisiti di ingresso del corso sono stabiliti da DC che li formalizza, con la collaborazione dei tutor in

un Calendario preliminare del Corso al quale vengono allegate le specifiche relative ai contenuti, in

formato libero.

Nel Calendario del Corso/Seminario devono essere comunque riportate le seguenti informazioni:

Titolo del Corso/Seminario;

Ente/Associazione richiedente l’intervento formativo;

Destinatari del corso;

Numero di discenti;

Data di inizio/durata del periodo formativo;

La necessità o meno di utilizzo di alloggi all’interno dell’ISA;

Sintesi della figura professionale da formare.

Dati e documenti in uscita Il Corso/Seminario viene descritto con i seguenti documenti:

“Piano del Corso/Seminario” aggiornato;

Slides, story board, filmati o equivalenti documenti in formato cartaceo o multimediale

riguardanti gli argomenti presentati e le eventuali esercitazioni;

copia cartacea/informatica delle relazioni presentate e delle esercitazioni (con le soluzioni a

parte);

questionari di valutazione del Corso e di soddisfazione del Cliente;

Per tutti questi documenti, ove applicabile, deve valere l’uso riservato.

Il Piano del Corso/Seminario, come sopra indicato deve riportare almeno:

L’oggetto del Corso/Seminario;

Gli obiettivi;

La definizione dello staff didattico;

Il profilo di competenze in entrata;

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Il profilo di competenze in uscita;

L’analisi di interventi precedenti e/o similari;

I moduli didattici e la durata;

Le risorse di docenza e le collaborazioni professionali necessarie;

Le risorse logistiche e strumentali necessarie.

Riesame della progettazione del corso

E’ previsto di norma un riesame della progettazione del corso:

MOMENTO DI RIESAME EVIDENZA al termine della fase di raccolta dati al fine di valutare la completezza delle informazioni raccolte/ analizzate

Piano di realizzazione

al termine della raccolta del materiale didattico per valutarne la completezza e la rispondenza agli obiettivi didattici

Riscontro documentale sezione riesami e verifiche del MOD.07.01.PIANO

La responsabilità dei riesami è di DC con la collaborazione della Consulenza esterna (docenti e tutor).

Verifica della progettazione Ogni relatore/docente provvede autonomamente alla verifica dell’intervento di sua pertinenza, dandone

evidenza con la trasmissione del materiale didattico approntato.

Una verifica globale può essere predisposta da DC, in fase di pianificazione, in particolari momenti del

progetto del Corso/Seminario.

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Validazione e metodi di validazione

Possono essere applicati due “metodi” di validazione da applicare uno alla fine della realizzazione,

l’altro ad ogni erogazione del corso:

OPERAZIONE RESPONSABILITÀ il primo consiste in una verifica del materiale didattico

prodotto (slides, story board, esercitazioni ecc …), e dei

risultati delle attività tecniche di supporto e logistiche,

utilizzando il MOD.07.03.RISCONTRO

DC/RCSI/RCSE con la

collaborazione della

Consulenza esterna

(docenti e tutor)

il secondo consiste in un questionario di valutazione del

Corso/Seminario e di soddisfazione del Cliente

MOD.08.02.VALCS da far compilare ai partecipanti.

RGQ con la

collaborazione della

Consulenza esterna

(docenti e tutor)

Ove necessario il questionario può essere utilizzato in un “Corso zero” al fine di validare il Corso al

termine della realizzazione. Al Corso zero partecipano “clienti amici”, ovvero personale interno, di

aziende fornitrici, consulenti ecc…

In alternativa si può utilizzare il questionario sottoponendolo all’attenzione dei partecipanti a corsi in

fase di svolgimento e non ancora condotti in qualità.

APPROVVIGIONAMENTO

Acquisti

Gli approvvigionamenti effettuati dall’ISA riguardano:

Consulenze tecniche;

Consulenze specialistiche;

Materiale logistico e di supporto per la didattica;

Macchine e apparecchiature per la didattica;

Strumenti, hardware e software;

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Tali servizi e prodotti vengono inglobati all’interno della attività sviluppata dall’ISA, dopo averne

attentamente valutato e controllato la congruità e la adeguatezza alle esigenze del Cliente espresse dal

contratto.

Valutazione dei fornitori

L’ISA ha stabilito di classificare i fornitori in tre classi, a partire dalle esperienze maturate nel corso

della propria attività:

relatori tecnico scientifici: l’insieme dei relatori è documentato in un apposito

elenco relatori, separato da quello dei fornitori, corredato

dei curriculum vitae

direzione dei corsi e tutor: l’insieme dei direttori dei corsi e dei tutor è documentato

in un apposito elenco, corredato da schede di

valutazione personali;

fornitori storici e/o abituali l’insieme dei fornitori esistente prima dell’entrata in

vigore del SGQ, con i quali l’Istituto ha maturato

significativi rapporti. Al momento dell’iscrizione

all’AFQ, sulla base delle esperienze pregresse, ACQ

esprime un giudizio sintetico di valutazione;

fornitori nuovi e/o

occasionali:

l’insieme dei fornitori di cui non si è avuto modo di

valutare nel tempo la capacità di soddisfare i requisiti.

L’inclusione nell’Albo Fornitori Qualificati (AFQ) deve

seguire la valutazione.

L’insieme di tutti i fornitori qualificati del secondo gruppo costituisce l’AFQ (albo fornitori qualificati)

che è strutturato per schede compilate. Le schede di qualificazione dei fornitori di prodotti e servizi

possono essere emendate e aggiornate su approvazione del RGQ (responsabile gestione qualità) in

collaborazione con DAFC (direzione area amministrazione finanza e controllo).

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La responsabilità di mantenere aggiornato e sotto controllo l’AFQ, di verificare l’adeguatezza della

metodologia di qualificazione e di apportarvi modifiche, compete al RGQ in collaborazione con

DAFC.

I parametri di qualificazione per i nuovi fornitori sono:

Referenze commerciali e precedenti esperienze;

Capacità tecnico-professionali e patrimoniali dimostrate;

Puntualità nelle consegne;

Rispetto delle clausole contrattuali (prezzi, garanzie);

Capacità/disponibilità al coordinamento con la struttura tecnica e operativa dell’ISA;

Stato dei prodotti al ricevimento / adeguatezza del servizio fornito ai requisiti di base;

Assistenza prima, durante e dopo il rapporto professionale / commerciale;

Un fornitore viene escluso dall’AFQ dell’ISA quando, in presenza di non conformità, non si dimostra

in grado di risolvere le non conformità generate e dimostra spiccata attitudine al loro ripetersi.

I fornitori iscritti nell’AFQ dell’ISA sono mantenuti sotto un continuo monitoraggio basato sull’esito

delle successive forniture. Le non conformità generate registrate sono considerate per valutare

l’affidabilità del fornitore.

Quanto riportato è dettagliato nella Procedura PG 7.4.1 “Valutazione dei fornitori”.

Dati d’acquisto

I dati di acquisto del prodotto o servizio oggetto del contratto di fornitura sono contenuti nell’Ordine di

Acquisto/Contratto/Lettera d’incarico.

Tali dati sono tutti quelli necessari a descrivere in modo compiuto e certo le caratteristiche del prodotto

o servizio richiesto e debbono definirne gli aspetti tipologici, tecnici, quantitativi, economici e

temporali. L’ordine, si considera emesso se controfirmato da persona autorizzata alla firma. Inoltre i

dati tipologici, tecnici, quantitativi e temporali saranno stati verificati da ACQ (ufficio acquisti) e

saranno stati trasmessi al fornitore in forma di nell’Ordine/Contratto/Lettera d’incarico.

Gli Ordini d’Acquisto sono emessi, di norma, ai fornitori qualificati. Si deroga da tale condizione

quando:

l’ordine è funzionale al processo di qualificazione del fornitore;

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sussistono motivi d’urgenza e piccole quantità d’acquistare;

il fornitore sia espressamente indicato dal Cliente in quanto unico specializzato (titolare

unico di brevetto/privativa industriale).

In quest’ultimo caso, ACQ può valutare se avviare il processo di qualificazione, in previsione di un

prosieguo del rapporto.

Verifica del prodotto acquistato

La verifica del prodotto acquistato è parte integrante del contratto di fornitura e costituisce, se conclusa

con esito positivo, il momento di accettazione del prodotto/ servizio fornito.

I servizi di consulenza e logistici sono verificati al momento della loro erogazione secondo le modalità

previste dal processo/sottoprocesso in cui vengono integrati.

Eventuali prove di verifica possono precedere l’erogazione effettiva del servizio/prodotto, ma sono in

genere funzionali alla realizzazione del servizio.

La verifica è comunque fase fondamentale per la successiva liquidazione dell’Ordine/Contratto/Lettera

d’incarico.

PROCESSI DI PRODUZIONE ED EROGAZIONE DI SERVIZI

Tenuta sotto controllo delle attività di erogazione del servizio Il processo di erogazione di servizi formativi prodotti dall’ISA è strettamente integrato con la

progettazione, per cui si può fare riferimento al diagramma di flusso riportato in § 7.1 per avere un

riferimento schematico per la sua pianificazione e controllo.

Logistica

RCSI/RCSE provvede, di concerto con DC, ad individuare i supporti logistici necessari per

l’erogazione dell’intervento formativo (aule, supporti didattici, materiali ecc ..).

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Una volta individuati tali supporti, viene data comunicazione a DTL che avvia le procedure di impegno

delle risorse interne all’ISA oppure provvede a delegare ACQ sulla base di quanto previsto per

l’approvvigionamento di beni/servizi.

Erogazione

DC insieme ai tutor ,quando previsti, provvede all’assistenza dei docenti e della struttura aziendale

durante l’erogazione del Corso,/ Seminario, mantenendo stretti contatti con i fornitori di logistica e

servizi.

DC cura la distribuzione dei materiali didattici (dispense, esercitazioni) prima e durante l’attività, di

concerto con i docenti.

DC cura la distribuzione e la raccolta dei questionari di valutazione e soddisfazione del Cliente, la cui

elaborazione viene effettuata da RGQ con la collaborazione dei docenti e dei tutor.

Identificazione e rintracciabilità

L’ISA pone la massima attenzione affinché siano facilmente identificabili e rintracciabili i documenti

di processo con particolare riferimento ai documenti di progetto.

Nelle procedure PG 4.2 “Gestione della documentazione” e PG 7.0 “Progettazione e gestione dei

Corsi” sono descritte le modalità utilizzate per l’identificazione e la rintracciabilità dei documenti, sia

cartacei che informatici.

Proprietà del cliente

Nell’attività dell’ISA il Cliente può fornire informazioni riservate che l’Istituto acquisisce e gestisce

secondo quanto previsto dal D.Lgs. 196/2003.

Per tutte le informazioni confidenziali del Cliente è garantita la riservatezza come previsto per legge. I

dati e i documenti forniti dal Cliente sono tenuti riservati a meno di autorizzazione esplicita del Cliente

stesso.

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Conservazione del prodotto

La documentazione progettuale viene conservata con estrema cura per poter essere riutilizzata nel

corso del successivo intervento formativo.

Le apparecchiature di supporto sono conservate con la massima cura in appositi locali.

Particolare attenzione è rivolta ai sussidi didattici da destinare alle esercitazioni pratiche.

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Conclusioni

Gli sforzi degli Stati prima e della Comunità Europea dopo hanno portato all’instaurarsi di una

coscienza comune in materia di Protezione Civile. I documenti ufficiali prodotti dettano le linee guida

per poter affrontare interventi di soccorso tecnico urgente a carattere comunitario. Il coordinamento tra

i singoli stati è l’obbiettivo principale della politica comunitaria in materia. Esso si basa sulle

conoscenze di eccellenza delle già esistenti strutture di soccorso che operano in ogni singolo paese le

quali vengono integrate secondo il principio di sussidiarietà da strutture operative provenienti da altri

stati.

La naturale linea di sviluppo risiede quindi nella conoscenza reciproca delle specializzazioni operative

che possono essere messe in campo da ogni singolo stato e nella loro integrazione onde favorire un

soccorso efficace, efficiente, tempestivo, in sicurezza.

Per conseguire il su detto obbiettivo è necessario ed auspicabile il rafforzamento degli scambi culturali

tra i paesi interessati, in modo da accrescere quel processo di integrazione culturale che permetta nel

momento del bisogno di affrontare i problemi più rapidamente e con un miglior spirito di gruppo.

Il tutto può essere concretizzato ispirati dai principi della standardizzazione e dell’uniformità.

La comunicazione riveste un ruolo importante e fondamentale, sarà per tanto necessario utilizzare una

lingua comune che faciliti gli scambi tecnico-culturali. E’ auspicabile che lo strumento linguistico

utilizzabile continui ad essere la lingua Inglese, vista la sua diffusione soprattutto nell’ambito della

letteratura tecnica.

Il fine degli scambi culturali dovrà essere quello di preparare un documento comune utilizzabile per i

corsi di formazione dei funzionari che saranno chiamati ad intervenire e coordinare le proprie squadre

operative.

Le principali tematiche da sviluppare in questi corsi sono:

Studio approfondito della lingua inglese;

Analisi degli accordi internazionali di Protezione Civile;

Comunicazione;

Utilizzo di risorse logistiche e strumentali;

Scambi culturali con strutture di altri paesi della Comunità Europea;

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Coordinamento di nuclei operativi specializzati (SAF, NBCR,….).

Lo sviluppo di tali corsi secondo i criteri della qualità permetterà di raggiungere l’obbiettivo principale

degli stessi: la completa preparazione del funzionario, conseguibile attraverso un continuo

monitoraggio del processo formativo.

Convinti che solo con il fornire un servizio frutto di un miglioramento continuo delle competenze

tecniche specifiche si possa cooperare in un intervento di interesse comunitario, ci si auspica un

intensificarsi di relazioni di interscambio come questa tra CNVVF e FD.