Convegno Una nuova geologia per la Lombardia · Assetto tettonico ed evoluzione strutturale delle...

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ISTITUTO LOMBARDO Accademia di Scienze e Lettere Convegno Una nuova geologia per la Lombardia in onore di Maria Bianca Cita Milano, 6-7 novembre 2008 6 novembre 2008 Milano, Istituto Lombardo Palazzo Brera, Via Brera 28 7 novembre 2008 Milano, Regione Lombardia Auditorium Giorgio Gaber, Piazza Duca D'Aosta 3

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ISTITUTO LOMBARDOAccademia di Scienze e Lettere

Convegno

Una nuova geologia per la Lombardiain onore di Maria Bianca Cita

Milano, 6-7 novembre 2008

6 novembre 2008Milano, Istituto LombardoPalazzo Brera, Via Brera 28

7 novembre 2008Milano, Regione LombardiaAuditorium Giorgio Gaber, Piazza Duca D'Aosta 3

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Comitato Scientifico:Giuseppe OrombelliGiuseppe CassinisMaurizio GaetaniAndrea Piccin Gian Bartolomeo SilettoCarlo Maria Marino

Segreteria organizzativaAdele Robbiati BianchiIstituto Lombardo Accademia di Scienze e LettereVia Borgonuovo, 25 - 20121 MilanoTel. 02.864087 (ore 8.30-16.30) - Fax 02.86461388e-mail: [email protected]

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UNIVERSITÀDEGLI STUDI DI PAVIA

UNIVERSITÀDEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA

Redazione a cura di Ernestina Pellegrini

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ISTITUTO LOMBARDOAccademia di Scienze e Lettere

Convegno

Una nuova geologia per la Lombardiain onore di Maria Bianca Cita

Milano, 6-7 novembre 2008

6 novembre 2008Milano, Istituto LombardoPalazzo Brera, Via Brera 28

7 novembre 2008Milano, Regione LombardiaAuditorium Giorgio Gaber, Piazza Duca D'Aosta 3

Riassunti

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PROGRAMMA 6 novembre 2008 - Istituto Lombardo – Via Brera 28, Milano 9,00 : Saluto del Presidente dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere: Antonio Padoa Schioppa

Giuseppe Orombelli (Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere – Università di Milano Bicocca)

Introduzione al Convegno.

Geologia: le nuove conoscenze

Presiede: Giuseppe Orombelli 9,30 : Maria Iole Spalla (Università di Milano) e Gian Bartolomeo Siletto (Regione Piemonte) - L'evoluzione tettonica del Basamento Sudalpino Orobico dalla convergenza Varisica a quella Alpina.

10,00 : Maurizio Gaetani (Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere – Università di Milano)

Evoluzione del Sudalpino lombardo tra le orogenesi varisica ed alpina. 10,30 : Elisabetta Erba (Università di Milano) Paleoceanografia del Giurassico nella Tetide occidentale. 10,45 : Andrea Di Giulio (Università di Pavia)

Dalla sedimentazione all’orogenesi e viceversa: analisi di bacino applicata al bacino di foreland sudalpino.

11,0 – 11,30: Pausa caffè

Presiede: Fiorenza De Bernardi 11,30 : Cesare Ravazzi (CNR-IDPA)

Processi geologici, clima e paleoambienti registrati negli archivi lacustri delle Prealpi Lombarde tra l'inizio del Quaternario e le glaciazioni maggiori.

11,45 : Giancarlo Scardia (INGV) e Giovanni Muttoni (Università di Milano)

Il contributo dei pozzi perforati dalla regione Lombardia alla conoscenza del Pleistocene lombardo.

12,00 : Roberta Pini e Cesare Ravazzi (CNR-IDPA)

Trasformazioni del paesaggio lombardo negli ultimi 16.000 anni: approccio paleobotanico e vincoli cronologici.

12,15: Carlo Baroni (Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere – Università di Pisa)

Paleolivelli tardoglaciali e olocenici del Lago di Garda. 12,30: Claudio Smiraglia e Guglielmina Diolaiuti (Università di Milano)

Dalla crisi al collasso: l'evoluzione in atto dei ghiacciai lombardi.

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12,45: Mauro Guglielmin (Università dell’Insubria, Varese) Il Permafrost in Lombardia: oggi e domani?

13,00 – 14,30: pausa pranzo

Presiede: Maurizio Gaetani 14,30 : Andrea Zanchi (Università di Milano Bicocca)

La deformazione alpina nelle coperture del Sudalpino Orobico: cronologia relativa e assoluta.

14,50 : Cesare Perotti (Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere - Università di Pavia)

Assetto tettonico ed evoluzione strutturale delle Prealpi bresciane dalla fine dell’orogenesi varisica ad oggi.

15,10 : Cipriano Carcano e Sergio Rogledi (ENI)

“Il contributo dell’esplorazione petrolifera alla conoscenza geologica della Lombardia”.

15,30 : Andrea Tintori e Cristina Lombardo (Università di Milano)

Il Triassico lombardo nel contesto tetidiano e il recupero della biodiversità dei vertebrati marini dopo la crisi P/T. 16,00: Isabella Premoli Silva (Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere – Università di

Milano) - Biostratigrafia e ciclostratigrafia del Paleocene-Eocene lombardo. 16,15– 16,40 : Pausa caffè

Presiede: Giuseppe Cassinis 16,40 : Stefano Poli (Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere – Università di Milano)

L'evoluzione del mantello terrestre racchiuso nelle Alpi Centrali: il contributo della petrologia sperimentale.

17,10 : Attilio Boriani (Università di Milano)

Protoliti sedimentari e magmatici del basamento orobico e di quello austroalpino del foglio Sondrio e loro ruolo nel quadro della genesi della crosta continentale pre-alpina.

17,30: Massimo Tiepolo (C.N.R. – Istituto di Geoscienze e Georisorse, U.O. di Pavia) e Riccardo

Tribuzio (Università di Pavia) – Nuovi vincoli sull’origine ed età dei cumulati ricchi in anfibolo dell’Adamello meridionale: implicazioni per l’evoluzione dell’Orogene Alpino.

17,50: Maria Bergomi e Annalisa Tunesi (Università di Milano Bicocca)

Shrimp telematico.

Negli intervalli visita all’esposizione di poster

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Poster Cristiano Ballabio, Enrico Casati, Roberto Comolli, Michele D’Amico, Chiara Ferré e Franco Previtali (Università di Milano Bicocca)

Una testimonianza paleoambientale nella pianura lombarda: la petroplintite e il fragipan del pianalto di Romanengo (Cremona).

Cristiano Ballabio, Roberto Comolli, Giulio Curioni, Franco Previtali (Università di Milano Bicocca)

Modellizzazione dei processi di formazione del suolo in ambito alpino.

Fabrizio Berra, Valeria Caironi (Università di Milano), Gian Bartolomeo Siletto, (Regione Piemonte) e Massimo Tiepolo ( CNR- Istituto di Geoscienze e Georisorse U.O Pavia)

Vincoli cronostratigrafici sull’attività vulcanica del Permiano inferiore nei bacini permiani delle Prealpi Orobie (Lombardia): significato delle datazioni su zirconi con laser ablation ICPMS.

Fabio Bona e Andrea Tintori (Università di Milano)

Mammalofaune Pleistoceniche in Lombardia.

Massimiliano Deaddis (C.N.R – IDPA Milano), Mattia De Amicis (Università di Milano Bicocca), Cesare Ravazzi (C.N.R - IDPA Milano), Mauro Marchetti (Università di Modena e Reggio Emilia) e Giovanni Vezzoli (Università di Milano Bicocca)

Approccio multidisciplinare allo studio dell’evoluzione geologica e paleoambientale della Pianura Padana tra Adda ed Oglio dall’Ultimo Massimo Glaciale: primi risultati.

Valter Maggi (Università di Milano Bicocca), Stefano Turri e Alfredo Bini (Università di Milano)

Il ghiaccio in grotta della Grigna Settentrionale: un nuovo archivio di informazioni climatiche ed ambientali.

Manuela Pelfini e Giovanni Leonelli (Università di Milano)

Variazioni climatiche recenti, ritiro glaciale e risposta della vegetazione arborea

Silvio Renesto (Università dell’Insubria , Varese )

Nuovi dati sulla diversità e significato paleobiogeografico dei Rettili del Calcare di Zorzino (Norico, Triassico Superiore).

Giovanni Toscani e Silvio Seno (Università di Pavia)

Cinematica recente ed attuale dei fronti nord-appenninici e dell’avampaese padano.

Andrea Zanchi, Paolo D’Adda, Stefano Zanchetta, Federico Agliardi (Università di Milano-Bicocca), Fabrizio Berra (Università di Milano), Roberto De Franco (CNR-IDPA, Milano), Claudia Farruggia, Francesco Galbiati, Massimiliano Grassi (Università di Milano-Bicocca), Cesare Ravazzi (CNR-IDPA, Milano), Francesca Salvi (Università di Milano) e Simone Sironi (Università di Milano-Bicocca)

Modellazione 3D: esempi dal Sudalpino Orobico.

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7 novembre 2008 – Palazzo della Regione Lombardia - Auditorium “Giorgio Gaber”

Geologia e Società

9,30 Saluti dell'Assessore al Territorio e Urbanistica, Regione Lombardia : Davide Boni Presiede: Dario Fossati, Dirigente U.O. Tutela e Valorizzazione del Territorio, Regione Lombardia

9,40 Intervento dell’Ordine dei Geologi della Lombardia. 9,50 Andrea Piccin (Regione Lombardia – DG Territorio):

La conoscenza del territorio. 10,05 Massimo Ceriani (Regione Lombardia – DG Protezione Civile) La prevenzione del rischio idrogeologico e sismico. 10,20 Gregorio Mannucci, Roberto Serra, Mauro Valentini e Enrico Zini (Arpa

Lombardia) ARPA Lombardia: il monitoraggio geologico e idrometeorologico. 10,35 Fabrizio Galadini, Paola Albini, Paolo Augliera, Lucia Luzi, Mariano

Maistrello, Fabrizio Meroni, Francesca Pacor e Massimiliano Stucchi (INGV), La difesa dai terremoti in Lombardia: stato dell’arte e prospettive. 10,55 Floriana Pergalani, Massimo Compagnoni e Maria Pia Boni (Politecnico di

Milano) Nuova zonazione sismica e procedure per la valutazione degli effetti

sismici di sito nel territorio lombardo. 11,10 – 11,30: Pausa caffè 11,30 Angelo Cavallin (Università di Milano Bicocca)

Le risorse idriche lombarde. 11,40 Vincenzo Francani (Politecnico di Milano)

Idrogeologia urbana. 11,55 Tullia Bonomi (Università di Milano Bicocca)

Parametrizzazione 3D e modelli idrogeologici del sottosuolo della Pianura Lombarda.

12,10 Giorgio Pilla e Gianfranco Ciancetti (Università di Pavia) Caratteristiche idrogeologiche ed idrochimiche del Trias lombardo: le ricerche

condotte nelle Alpi Meridionali tra la Val Seriana, le anticlinali Orobie e la Val Camonica.

12,25 Giovanni Battista Crosta, Federico Agliardi e Paolo Frattini (Università di Milano

Bicocca) Grandi fenomeni di instabilità nelle Alpi lombarde: caratteristiche e

distribuzione nel contesto dell'evoluzione recente dell'orogene alpino.

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12,45 Claudia Meisina (Università di Pavia)

Metodologie innovative di identificazione e di monitoraggio di terreni soggetti a variazioni di volume connesse a fenomeni di siccità.

13,00 Franco Rodeghiero (Università di Milano Bicocca)

Miniere e cave non più attive: problema o risorsa? 13,15 – 14,30: Pausa pranzo - buffet

Negli intervalli visita all’esposizione di poster

Geologia, scuola, informazione 14,30 Elisabetta Nigris (Università di Milano Bicocca) L'insegnamento delle scienze: passione, processi e metodi

Presiede: Elisabetta Nigris - Scienze della Formazione, Università Milano-Bicocca 14,45 Marina Credali (Regione Lombardia)

La Lombardia sul WEB. 15,00 Paolo Gallese (Coop. Verdeacqua)

L’allegra regione di acquaterra. 15,15 Lisa Garbellini (IREALP)

Rischi naturali, conoscerli giocando – Un frutto del progetto Rinamed. 15,30 Maria Iole Spalla e Guido Gosso (Università di Milano)

Cosa ci raccontano le rocce della storia della Terra? 15,45 Bruno Messiga e Maria Pia Riccardi (Università di Pavia):

La Scienza dei Materiali Antichi: vedere l’arte attraverso le Geoscienze

16,00 – 16,45 Spazio domande 16,45 Dario Sciunnach (Regione Lombardia)

Geositi e sentieri geologici di Lombardia. 17,00 Anna Paganoni (Museo E. Caffi – Bergamo)

Musei e geoparchi in Lombardia. 17,15 Daniela Fanetti e Sabina Rossi (Università dell’ Insubria, Como)

Un tuffo nei laghi lombardi. 17,30 Alessandro Michetti (Università dell’ Insubria, Como)

Come crescono le montagne: terremoti ed evoluzione del paesaggio in Lombardia.

17,45 – 18,00 Spazio domande e conclusioni

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Poster

Barbara Aldighieri (CNR-IDPA), Alessio Conforto, Guido Mazzoleni, Giorgio Pasquaré e Giuseppe Sfondrini (Università degli Studi di Milano)

Valchiavenna: Un esempio di cartografia geologico tecnica.

Marica Bersan, Giorgio Pilla, Gabriele Dolza, Claudia Meisina e Gianfranco Ciancetti (Università di Pavia)

Le acque solforose nel contesto geologico-strutturale dell’appennino Pavese: caratteristiche idrochimiche e isotopiche

Jan Blahut (CNR-IDPA - Università di Milano Bicocca), Mattia De Amicis (Università di Milano Bicocca), Simone Frigerio (CNR-IDPA - Università di Milano Bicocca), Ilaria Poretti, Simone Sironi (Università di Milano Bicocca) e Simone Sterlacchini (CNR-IDPA )

Rischio idrogeologico: valutazione della pericolosità e della vulnerabilità per la stima economica dei danni e per la gestione in tempo reale delle emergenze.

Silvia Guffanti, Giorgio Pilla (Università di Pavia) Elisa Sacchi (Università di Pavia e CNR-IGG, Sezione di Pavia) e Gianfranco Ciancetti (Università di Pavia)

Gli acquiferi profondi della Lombardia sud-occidentale: indagini idrochimiche e geochimiche isotopiche a supporto della corretta gestione di una risorsa strategica

Claudia Meisina, Achille Piccio e Davide Notti (Università degli Studi di Pavia)

Problematiche geologico-tecniche connesse al recupero ambientale di cave cessate: l’esempio della Provincia di Pavia.

Manuela Pelfini e Valentina Garavaglia - (Università di Milano)

I sentieri escursionistici come strumemto didattico per la lettura del paesaggio e per la comprensione dei processi geomorfologici.

Andrea Rossetti, Roberto Comolli, Michele D’Amico, Chiara Ferrè, Fabio Moia e Franco Previtali - (Università di Milano Bicocca)

Metodi qualitativi di valutazione dell’erosione idrica nei suoli di montagna Simone Sterlacchini, Mario Canziani (CNR-IDPA ), Simone Frigerio, Simone Poli (CNR-IDPA - Università di Milano Bicocca) Simone Sironi e Mattia de Amicis (Università degli Studi di Milano Bicocca) La gestione in tempo reale delle emergenze idrogeologiche in contesto urbano

Simone Sterlacchini (CNR-IDPA ), Jan Blahut (CNR-IDPA - Università di Milano Bicocca), Cristiano Ballabio (Università di Milano Bicocca), Marco Masetti e Alessandro Sorichetta (Università di Milano) Approccio metodologico per il confronto di mappe di previsione derivate da modelli statistici

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Introduzione al Convegno

Giuseppe Orombelli

Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio,Università degli Studi di Milano - Bicocca

“Una nuova geologia per la Lombardia”: il tema di questo convegno, organizzato dall’Istituto

Lombardo e dalla Regione Lombardia – Direzione Generale Territorio e Urbanistica, è stato scelto per far conoscere e porre a confronto le novità emerse nell’ultimo decennio sulla geologia della nostra regione, anche a seguito dei rilevamenti condotti per la nuova carta geologica alla scala 1:50.000. Oltre ai nuovi dati raccolti, elementi di novità provengono dalle nuove idee, nuovi temi di ricerca, nuove tecniche di indagine applicati al territorio lombardo, come pure dai nuovi problemi ed esigenze posti dalla società, dalle nuove normative e dai nuovi attori (università, enti e agenzie) che operano in questo settore.

Il convegno si inserisce nelle attività dell’Anno Internazionale del Pianeta Terra (Planet Earth – Earth Sciences for Society), voluto dalle Nazioni Unite allo scopo di promuovere una maggiore diffusione ed un più efficace utilizzo delle conoscenze geologiche a vantaggio dell’umanità. Tra gli obiettivi più specifici di questa iniziativa internazionale, applicabili alla realtà lombarda, vi sono la riduzione dei rischi geologici naturali e indotti dall’uomo, la valorizzazione e il corretto impiego delle risorse naturali, in primo luogo l’acqua, la gestione dei problemi geologici del territorio e delle aree intensamente urbanizzate, lo studio dei cambiamenti climatici e del loro impatto sul territorio, la conservazione dei beni geologici. Un obiettivo a livello più generale è poi quello di stimolare l’interesse del grande pubblico verso le Scienze della Terra, per richiamare maggiori risorse umane ed economiche in questo settore, per potere fare fronte alle responsabilità che gli competono (De Mulder, Nield & Derbyshire, 2006).

L’Istituto Lombardo, fin dalle sue origini napoleoniche, ha perseguito da un lato lo sviluppo delle conoscenze, dall’altro la loro applicazione ai problemi di interesse economico e sociale; le discipline geologiche, poi, hanno sempre mantenuto un saldo contatto con il territorio lombardo, le sue potenzialità ed i suoi problemi.

La prima giornata del convegno è dedicata alle nuove conoscenze di base, con relazioni di sintesi e con interventi più mirati su singoli argomenti; il mattino della seconda giornata è dedicato a “Geologia e Società”, a tutti quegli aspetti, cioè, che hanno rilevanza sociale ed economica. La sessione pomeridiana dell’ultimo giorno (Geologia, Scuola, Informazione) ha invece scopo di diffusione della cultura e dell’informazione scientifica. Il convegno è quindi rivolto a tutti quanti, per motivi professionali o culturali, desiderano avvicinarsi ad una conoscenza aggiornata della geologia della nostra regione, studenti universitari, professionisti e tecnici degli Enti Pubblici, insegnanti di Scienze, studenti delle Scuole di specializzazione per l’insegnamento nella Scuola, ma pure, nell’ultima sessione, agli studenti delle scuole superiori.

Con questo convegno si intende, infine, onorare la Prof.a Maria Bianca Cita, figura eminente della geologia italiana, che nei campi della micropaleontologia, della stratigrafia e della geologia marina, in una lunga, brillante e ancora attivissima carriera, ha raggiunto eccellenza internazionale di primo piano. Sebbena la sua attività da tempo sia rivolta alla Geologia marina del Mediterraneo, i suoi iniziali legami con la geologia della Lombardia sono rimasti sempre vivi, come testimoniano i due volumi delle Guide Geologiche Regionali d’Italia (da lei promosse) dedicati alla Lombardia, usatissimi manuali di geologia regionale. Così pure nell’Istituto Lombardo M.B. Cita è stata sempre molto attiva, presentando numerose note scientifiche sue, dei suoi collaboratori e laureati ed organizzando cicli di lezioni.

E’ intenzione del comitato scientifico di pubblicare gli atti del convegno, con l’ambizione di produrre un volume che possa servire come aggiornamento sulla geologia del territorio lombardo, sia nell’ ambito degli studi universitari, sia per un più ampio pubblico interessato alle Scienze della Terra.

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Presentazioni orali

Geologia: le nuove conoscenze

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L’evoluzione tettonica del Basamento Sudalpino Orobico: dalla convergenza Varisica a quella Alpina

Maria Iole Spalla1 e Gian Bartolomeo Siletto2

1Dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”, Università di Milano e C.N.R.-I.D.P.A., 2Regione Piemonte-Direzione Programmazione Strategica, Politiche Territoriali ed Edilizia-

Settore Cartografico Il dominio Sudalpino, che si estende dalle Dinaridi alle Alpi Occidentali a Sud del Lineamento

Periadriatico, rappresenta una parte della placca Adria che costituì la sovrastruttura crostale (lid orogenico) della catena Alpina durante la sua evoluzione Mesozoico-Terziaria (ad es. Laubscher, 1983). Le Alpi Orobiche comprendono la parte centrale del dominio Sudalpino che si estende dal Lago di Como al plutone dell’Adamello e tra la Linea Insubrica e la pianura padana e che è costituita da un basamento metamorfico pre-Alpino e da coperture Permo-Mesozoiche. Le rocce che costituiscono il basamento metamorfico sono prevalentemente gneiss e micascisti con intercalati metagranitoidi, metabasiti, marmi e quarziti. Per i protoliti sedimentari è stato possibile dedurre localmente un’età eo-Paleozoica (Mottana et alii, 1985; Gansser & Pantic, 1988) mentre per molti protoliti intrusivi è stata suggerita un’età Ordoviciana (Beltrami et alii, 1971; Bonsignore et alii, 1971; Siletto et alii, 1993; Colombo et alii, 1994; Bergomi, 2004). L’affinità litologica ha portato all’individuazione, nel settore orobico di questo basamento, di due grandi unità litostratigrafiche, considerate a lungo omogenee anche dal punto di vista della loro evoluzione metamorfica (Vai et alii, 1981): gli Scisti di Edolo e gli Gneiss di Morbegno (Salomon, 1901; Cornelius, 1916). A partire dalla fine degli anni ’80, l’applicazione del rilevamento geologico-strutturale delle traiettorie delle foliazioni sovrapposte e l’analisi delle loro relazioni con le differenti paragenesi diagnostiche ha permesso di individuare, in questo basamento apparentemente omogeneo, sostanziali differenze d’evoluzione strutturale e metamorfica con la conseguente individuazione di unità tettoniche caratterizzate da differente evoluzione geodinamica: le unità tettono-metamorfiche (UTM). Questo nuovo strumento, espressamente sviluppato proprio per lo studio del basamento orobico, oltre a cambiare l’interpretazione tettonica di questa porzione della catena Alpina (ad es. Spalla & Gosso, 1999), caratterizzata da un’evoluzione strutturale polifasica ma dominata da un singolo ciclo metamorfico, è stato poi applicato con fruttuosi e innovativi risultati anche a porzioni della catena caratterizzate da metamorfismo policiclico (Spalla et alii, 2005 e rif. inclusi). Con questo metodo analitico sono stati riconosciuti cinque tipi di UTM pre-Alpine nel basamento Sudalpino delle Alpi Orobiche (Spalla et alii, 2007 e rif. inclusi): il tipo I, che comprende crosta continentale esumata dopo la collisione e l’ispessimento alla fine della convergenza Varisica; (Diella et alii, 1992; Gosso et alii, 1997); il tipo II, che preserva parte della traiettoria P-T prograda, interpretata come l’effetto della subduzione Paleozoica (Spalla et alii, 1999), seguita da un’evoluzione simile a quella che caratterizza il tipo I; il tipo III, che rappresenta le unità Varisiche sopracrostali, accoppiate tettonicamente in ambiente di facies scisti verdi alle unità di tipo I e II; il tipo IV, considerato come conseguente all’esumazione di crosta profonda Varisica durante il rifting Permo-Mesozoico (ad es. Spalla et alii, 2000); il tipo V, che consiste di crosta continentale che ha registrato il segnale termico della subduzione, ma è sfuggito all’impronta metamorfica barroviana Varisica sin-collisionale (ad es. Giobbi Origoni & Gregnanin 1983; Spalla et alii, 2007). Le unità tettoniche che si sviluppano durante la convergenza Alpina spesso non coincidono con le unità tettoniche pre-Alpine (ad es. Schumacher & Laubscher, 1996; Carminati et alii, 1997), mostrando chiaramente che contorni e dimensioni delle UTM evolvono nel tempo.

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Evoluzione del Sudalpino lombardo tra le orogenesi varisica ed alpina

Maurizio Gaetani Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”, Università di Milano Il Sudalpino lombardo è costituito da una piccola porzione di litosfera continentale della placca

africana, il promontorio di Adria. Ne seguì tutta l’ evoluzione, dalle fasi finali dell’orogenesi varisica sino alle collisioni che diedero origine alla catena alpina. La sedimentazione fu pertanto largamente controllata dagli eventi geodinamici, che ne scandirono i tratti salienti.

La storia inizia circa 300 Ma or sono nel Carbonifero sup., quando si depositarono in Lombardia occidentale e Ticino sottili conoidi alluvionali ai margini dell’orogene ercinico. Il contesto geodinamico divenne assai vivace nel successivo Permiano inferiore, quando connessi al megashear destro tra Laurussia e Gondwana si formarono bacini stretti ed allungati, molto subsidenti, in cui si accumulavano conoidi alluvionali, sedimenti lacustri e vulcaniti. Conclusi gli eventi varisici, dal Permiano superiore al Cretaceo inferiore, per oltre 100 Ma, il contesto fu quello di un margine continentale passivo. Inizialmente, la vasta piana alluvionale del Verrucano Lombardo sfumava ad oriente in una baia marina poco profonda connessa con l’Oceano della Paleo-Tetide. Gradualmente, nel Triassico basale si ebbero le prime timide ingressioni marine, che giunsero sino al Lario o anche più a ovest. Questa tendenza si consolidò con il Triassico medio, per cui durante l’Anisico tutto l’attuale Sudalpino divenne una baia marina poco profonda. La ripresa degli organismi biocalcificanti, unitamente all’accentuarsi della subsidenza e la bassa paleolatitudine, portarono alla formazione di estese e potenti masse carbonatiche, che oggi formano gruppi montuosi come Grigne, Presolana e Concarena. Una certa vivacità geodinamica, testimoniata da manifestazioni vulcaniche, causò anche l’instaurarsi di bacini marini abbastanza profondi, su cui si affacciavano piattaforme carbonatiche simili alle attuali Bahamas. Questo ciclo sedimentario si andò attenuando nel successivo Carnico, quando a S del Sudalpino emersero isole con archi vulcanici. Il successivo ciclo portò alla formazione di un’estesa piana peritidale carbonatica, simile all’attuale Golfo Persico, i cui resti ammiriamo oggi nel Moregallo, Resegone, Alben e intorno al Lago d’Idro. Durante il Triassico sup. un nuovo scenario: iniziò ad aprirsi l’Atlantico centrale e l’estensione si propagò verso oriente, insinuando bacini di rifting tra il promontorio di Adria e l’Europa. La risposta sedimentaria è registrata nelle imponenti masse argillose e carbonatiche del Norico-Retico, sigillate a tetto da un altro litosoma carbonatico. Al primo impulso estensionale, che compensato dalla produttività, non raggiunse profondità marine elevate, ne seguì uno maggiore, decisivo. A partire dall’Hettangiano sup., il margine passivo verso l’Oceano Ligure-Piemontese in via di formazione si strutturò in fosse e paleoalti, a formare il Bacino Lombardo, delimitato a E dalla Scarpata del Garda. Sugli alti poco o punto sedimenti, nelle fosse anche migliaia di metri di spessore, come nel Triangolo Lariano. A metà Liassico si attenuarono la subsidenza tettonica ed i grandi apporti di sedimenti, per cui la subsidenza termica portò il bacino a profondità sempre maggiori, anche sotto la profondità di compensazione dei carbonati. Mare aperto, upwelling e bassa latitudine favorirono la fioritura dei Radiolari, con accumulo di silice. Intorno al limite Giurassico/Cretaceo, con l’esplosione del nannoplancton e con la rotazione antioraria dell’Africa, Adria si mosse verso N. Iniziò la convergenza con l’Europa, che portò poi all’emersione di primi rilievi alpini, la cui erosione si tradusse in potenti masse terrigene deposte secondo correnti di torbida durante il Cretaceo sup.. Una pausa di circa 15 Ma con ancora sedimentazione pelagica, e poi la definitiva collisione con l’Europa e la formazione della catena alpina durante l’Eocene superiore -Oligocene inferiore.

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Paleoceanografia del Giurassico nella Tetide occidentale

Elisabetta Erba Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano

La successione giurassica del Bacino Lombardo costituisce un record geologico impareggiabile

per ricostruire la paleoceanografia della Tetide occidentale: decenni di studi stratigrafici, sedimentologici, paleontologici, paleomagnetici e geochimici costituiscono un archivio dettagliato di eventi locali, regionali e globali.

All’inizio del Giurassico si instaurò un regime pelagico a sedimentazione biogenica carbonatica che perdurò fino al Cretacico Inferiore, interrotta durante l’intervallo Baiociano-Kimmeridgiano dalla deposizione di sedimenti silicei a radiolari. La frammentazione di Pangea ed in particolare l’apertura degli oceani Atlantico e Ligure-Piemontese ha controllato la sedimentazione giurassica nel Bacino Lombardo, influenzandone la subsidenza e la migrazione relativamente alle placche Europea ed Africana. Contemporaneamente cambiamenti paleoclimatico-oceanografici globali inducevano variazioni nella struttura e composizione degli oceani nonché nel livello trofico e di conseguenza nel biota marino. Il Giurassico è stato anche un periodo-chiave per la comparsa ed evoluzione di molti gruppi planctonici che diversificandosi ed espandendosi sono diventati cruciali per la biomineralizzazione. In particolare, la storia giurassica del nannoplancton calcareo ha, di fatto, determinato il tipo e la quantità dei sedimenti marini, divenendo nel Giurassico Superiore i più efficienti produttori di calcite del pianeta.

Nell’ultimo decennio studi multidisciplinari hanno permesso di reinterpretare la successione giurassica carbonatico-radiolaritico-carbonatica del Bacino Lombardo come il risultato dell’evoluzione geodinamica della Tetide occidentale. Studi di paleomagnetismo sono stati essenziali per ricostruire la posizione del bacino: a partire dal Toarciano si è instaurata una migrazione verso basse paleolatitudini, indotta dall’apertura dell’Oceano Atlantico Centrale, che ha causato la sedimentazione di fanghi biogenici silicei (Radiolariti) nella fascia di upwelling equatoriale tetideo. In seguito, l’apertura dell’Oceano Atlantico Meridionale ha innescato il movimento antiorario della Placca Africana e lo spostamento del Bacino Lombardo verso paleolatitudini tropicali. In accordo con la sedimentazione oceanica attuale, la ripresa della sedimentazione carbonatica (Rosso ad Aptici) non sarebbe dunque il risultato di oscillazioni verticali della CCD e/o del fondo marino legate rispettivamente al chimismo oceanico e alla subsidenza, bensì rispecchierebbe i movimenti di Adria rispetto alle fasce latitudinali con specifiche caratteristiche trofiche. Anche la tradizionale spiegazione della ripresa dei carbonati grazie alla comparsa di nannoplancton altamente calcificante è smentita da dettagliati studi biostratigrafici che datano con precisione le tappe evolutive di questo gruppo e la sua importanza litogenetica.

Il Giurassico del Bacino Lombardo è anche prezioso per investigare uno degli episodi più eclatanti di anossia oceanica, il cosiddetto Evento Anossico Oceanico del Toarciano rappresentato da black shales, con elevato contenuto di materia organica. Le anomalie geochimiche e le profonde modificazioni nelle associazioni (micro)paleontologiche hanno permesso di comprendere cause e conseguenze di questo sconvolgimento ambientale. La messa in posto della provincia magmatica del Karoo-Ferrar ha introdotto nel sistema oceano-atmosfera enormi quantità di CO2 causando uno straordinario riscaldamento globale e probabilmente destabilizzazione di enormi quantità di clatrati oltre che acidificazione degli oceani. Il biota marino ha subito estinzioni ed una crisi della biocalcificazione, ma ha anche saputo adattarsi con nuove forme di vita effimere e permanenti.

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Dall’orogenesi alla sedimentazione e viceversa: analisi di bacino applicata al bacino di foreland Sudalpino

Andrea Di Giulio

Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Pavia

Le relazioni tra tettonica e sedimentazione sono un tema classico della geologia del sedimentario, in particolare in contesti tettonicamente attivi quali le catene orogeniche. Nell’ultimo decennio questo tema tradizionale ha avuto un nuovo, notevolissimo, impulso grazie allo sviluppo degli studi da un lato sui processi che governano la crescita delle catene ed il loro smantellamento, con particolare riferimento all’interazione tra tettonica e cambiamenti climatici, e, dall’altro lato, sulle relazioni tra la tettonica attiva in catena e la storia sedimentaria, diagenetica e termica delle unità di catena e dei bacini di foreland. Quest’ultimo aspetto in particolare riveste un’importanza particolare per l’esplorazione petrolifera che trova nei bacini di foreland uno degli obiettivi esplorativi più importanti.

In quest’ambito si inseriscono la maggior parte delle ricerche sviluppate negli ultimi anni dal Gruppo di Geologia del Sedimentario e Paleontologia del Dipartimento Scienze della Terra dell’Università di Pavia (SedGeo Group; http://manhattan,unipv.it/sedgeo/Homepage.htm ) in collaborazione con diverse altre università e con ENI.

Vengono in quest’occasione presentati, a nome del gruppo ed a titolo d’esempio, i risultati ottenuti negli ultimi anni su due temi riguardanti rispettivamente: 1) l’influenza dell’evoluzione morfologica della catena sulla storia diagenetica delle successioni carbonatiche coinvolte nell’edificio orogenico o nel suo immediato avampaese; 2) i fattori di controllo sulla subsidenza e sui flussi sedimentari nel foreland sudalpino orientale durante il Cenozoico, con particolare riferimento all’interazione tra tettonica e clima.

Il primo tema è stato sviluppato in collaborazione con ENI nell’ambito di un progetto di ricerca sulla storia diagenetica e termica, con particolare riferimento ai processi di dolomitizzazione, subita da unità di piattaforma carbonatica coinvolte in catene collisionali o nel loro immediato avampaese. A questo scopo viene analizzata l’evoluzione post-deposizionale della piattaforma liassica (Conchodon) coinvolta nella catena Sudalpina Centrale, e comparata con la storia della coeva piattaforma (Calcare Massiccio) coinvolta nella catena dell’Appennino Centrale. I risultati di questo studio comparato indicano come le fasi tardive della dolomitizzazione e in particolare il chimismo dei fluidi dolomitizzanti risulti differente nei due casi e controllato dal diverso circuito idrogeologico a grande scala che si instaura in una catena ad alto rilievo e forte effetto orografico sulle precipitazioni (Alpi centrali nel Terziario) rispetto ad una catena a basso rilievo e basso effetto orografico sulle precipitazioni (Appennino mio-pliocenico).

Il secondo tema è stato oggetto di un Progetto di ricerca interuniversitario cofinanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica focalizzato sull’evoluzione sedimentaria terziaria del Bacino di retroforeland del Sudalpino orientale (Bacino Veneto Friulano) e in particolare sull’interazione tra tettonica e clima come fattori di controllo sull’evoluzione del bacino in termini di subsidenza, flusso detritico e loro distribuzione spazio-temporale. I risultati di questo lavoro dimostrano che, anche in un bacino a fortissimo controllo tettonico, l’evoluzione climatica lascia un’impronta riconoscibile nel record sedimentario e soprattutto che il controllo climatico diventa predominante nel corso del Plio-Pleistocene, consentendo anche di discutere quali processi climatici (frequenza e ampiezza delle variazioni globali di temperatura, cicli glaciali) abbiano maggior impatto sul sistema erosione-deposizione che governa il flusso di massa dalla catena al bacino di foreland.

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Processi geologici, clima e paleoambienti registrati negli archivi lacustri delle Prealpi Lombarde tra l'inizio del Quaternario e le glaciazioni maggiori

Cesare Ravazzi

Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali

Il territorio lombardo conserva numerose successioni sedimentarie di ambiente lacustre di età tardo Cenozoica, una notevole particolarità che condivide, nelle Alpi, con alcuni settori del versante francese e delle Prealpi Settentrionali. Questi bacini circumalpini, assieme ai bacini intermontani sviluppati negli orogeni appenninici e dinarici, e alle successioni marine espanse di alcuni settori del Mediterraneo (con particolare riguardo all’Adriatico, al Crotonese, alla fossa Bradanica e al mare di Alboran), offrono importanti opportunità di correlazione, che evidenziano il ruolo dei fattori regionali nella storia del clima e degli ecosistemi terrestri della regione mediterraneo-alpina.

Indipendentemente dai problemi connessi con l’evoluzione geologica locale, le successioni lacustri hanno registrato la documentazione stratigrafica - spesso con continuità di sedimentazione e alta risoluzione - di intervalli della storia degli ecosistemi terrestri e del clima, quindi anche di eventi regionali e globali: cicli climatici della banda delle oscillazioni orbitali e della banda delle oscillazioni millenarie. Infatti, alle scarse opportunità di correlazione diretta dei corpi sedimentari - ovvero i criteri geometrici, peraltro di difficile applicazione anche a scala locale per via delle variazioni laterali di facies e di alterazione proprie dei depositi continentali - fanno riscontro elementi di correlazione stratigrafica (bio, magneto, tefrostratigrafica e geocronologica) che si avvantaggiano di continui aggiornamenti tecnologici e dello studio di nuove sequenze. Questi progressi si devono alla collaborazione di numerosi specialisti: paleomagnetisti, tefrostratigrafi, geocronologi, paleobotanici, paleontologi dei vertebrati e di invertebrati, paleoclimatologi.

Dal quadro dei siti studiati sono state scelte due finestre temporali: - il Pleistocene Inferiore della successione di Leffe e dei siti finora correlati in ambito lombardo (Ranica) e mediterraneo (Tenaghi Philippon), per la valutazione dei cicli climatici ad alta frequenza, e delle relazioni con le variazioni di insolazione; inoltre per documentare l’inizio delle glaciazioni alpine di maggiore ampiezza in corrispondenza della “transizione medio-pleistocenica”. A scala regionale, sono interconnesse le relazioni con l’uplift del margine alpino nell’ultimo milione di anni; - la terminazione del MIS 20, l’evoluzione climatica e gli eventi millenari bruschi nel successivo interglaciale nella successione varvata di Pianico-Sèllere

Infine viene proposto un quadro aggiornato dell’evoluzione degli ecosistemi terrestri nelle Alpi durante il Quaternario, e ne viene illustrata l’importanza biostratigrafica: estinzioni e successioni forestali caratteristiche offrono potenzialità di calibrazione di unità geologiche continentali, transizionali e marine nell’area circumalpina.

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Il contributo dei pozzi perforati dalla Regione Lombardia alla conoscenza del Pleistocene lombardo

Giancarlo Scardia1 e Giovanni Muttoni2

1Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia 2Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano

Il record sedimentario pleistocenico continentale è generalmente frammentario e discontinuo,

soprattutto in quelle regioni, come la Lombardia, che hanno subìto in passato l’azione di ripetute glaciazioni. L’assenza in affioramento di successioni stratigrafiche continue ha ostacolato lo sforzo compiuto negli ultimi anni da molti ricercatori di inquadrare efficacemente in senso cronologico i molteplici dati raccolti sull’evoluzione del territorio padano durante il Pleistocene.

A supporto e completamento dell’attività scientifica svolta in passato, si è aggiunto il contributo della Regione Lombardia ed ENI, che verso la fine degli anni ’90 hanno dato inizio ad un importante programma di ricerche sul sottosuolo, portato poi avanti dalla Regione Lombardia fino al 2006. Nell’ambito di questo programma sono stati perforati 12 sondaggi a carotaggio continuo, con il recupero di circa 1800 m di sedimenti. Tali carote sono state quindi oggetto di uno studio interdisciplinare con analisi palinologiche, micropaleontologiche, petrografiche e paleomagnetiche.

Il supporto cronostratigrafico fornito dalla magnetostratigrafia e l’osservazione di importanti variazioni di facies, di petrografia e contenuto pollinico nelle carote hanno permesso di riconoscere nel sottosuolo lombardo eventi globali e regionali avvenuti durante il Pleistocene. Il più importante di questi eventi stratigrafici marca l’inizio delle grandi glaciazioni pleistoceniche attraverso un drammatico cambio nell’architettura deposizionale della Pianura Padana. Questo evento, datato con la magnetostratigrafia a circa 870.000 anni dal presente, è correlabile a scala globale con la Mid-Pleistocene Revolution, che segna il passaggio tra il Pleistocene inferiore, più caldo dell’attuale e con ridotte oscillazioni climatiche con frequenza di circa 40.000 anni, ed il Pleistocene medio-superiore, caratterizzato dall’alternanza di glaciazioni e periodi interglaciali con frequenza di circa 100.000 anni.

Un secondo evento stratigrafico, riconosciuto nel sottosuolo grazie allo studio dei sondaggi, riguarda il sollevamento della media e alta pianura lombarda. Sono stati infatti osservati in alcune carote depositi marini posti ad una quota superiore a quella del livello del mare di età corrispondente. Questo fatto, riscontrato a scala regionale, ha suggerito l’esistenza di una fase di sollevamento dell’edificio alpino durante il Pleistocene medio con tassi minimi valutati nell’ordine di 0,1 mm all’anno. La natura di questo sollevamento non è univocamente interpretabile. Tuttavia, la scarsa sismicità del territorio lombardo, con l’eccezione dell’area gardesana, e l’attuale assetto strutturale alpino portano a ritenere il sollevamento del Pleistocene medio come un prodotto dell’interazione tra clima e tettonica. Constatando infatti che l’evento di sollevamento è di poco successivo all’inizio delle glaciazioni e considerando l’erosione che ogni glaciazione esercita sul territorio interessato, l’ipotesi formulata è che la costante rimozione di massa dalla catena alpina verso i bacini sedimentari periferici abbia innescato a lungo termine un bilanciamento isostatico delle Alpi, con conseguente movimento verso l’alto dei volumi di roccia e sedimento che costituiscono il sistema Alpi e alta-media pianura lombarda.

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Trasformazioni del paesaggio lombardo negli ultimi 16.000 anni: approccio paleobotanico e vincoli cronologici

Roberta Pini e Cesare Ravazzi

Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali

I depositi conservati sul fondo di laghi, torbiere e paludi sono considerati archivi naturali delle trasformazioni ambientali e climatiche avvenute durante la sedimentazione. In questi ambienti si conservano spesso successioni continue ed espanse e si verificano condizioni ideali per la conservazione di polline, macroresti vegetali, alghe e resti animali che, attraverso opportuni procedimenti, possono essere estratti dal sedimento e studiati. L’interpretazione dei dati paleobotanici e la loro età radiometrica permettono di ricostruire, talora con elevata risoluzione temporale, la storia dell’ambiente e delle sue modificazioni, naturali o antropiche.

Importanti informazioni per la ricostruzione della storia del paesaggio lombardo durante il Tardoglaciale e l’Olocene derivano dallo studio paleobotanico di successioni lacustri e di torbiera, reperibili in contesti di alta quota (Passo Gavia: Aceti, 2005), in aree di media montagna (torbiera del Pian di Gembro: Pini, 2002), di collina e anfiteatro (lago di Annone: Wick, 1996; Lavagnone di Desenzano del Garda: Arpenti et al., 2004) e di pianura (Moso di Crema: Deaddis et al.). I record pollinici ottenuti da questi siti sono corredati da datazioni 14C AMS di resti di piante terrestri che forniscono vincoli cronologici utili per la sincronizzazione e il confronto con altri record continentali e marini.

I diagrammi pollinici mostrano che al ritiro dei ghiacciai al termine dell’Ultimo Massimo Glaciale ampie aree vennero colonizzate da vegetazioni pioniere di ambiente freddo e arido dominate da piante erbacee (Gramineae, Artemisia, Chenopodiaceae). Formazioni legnose a pino cembro, ginepro, olivello spinoso, ontano verde e salice colonizzarono gli anfiteatri liberati dai ghiacciai tra > 18 e 16 mila anni fa. Una prima, brusca trasformazione della vegetazione si verificò all’inizio dell’interstadiale del Tardoglaciale, tra 14,7 – 14,3 mila anni cal BP, corrispondente all’inizio del GI-1 nel record isotopico dei ghiacci GRIP. L’innalzamento del limite degli alberi fino a circa 1700 m slm coincide con un aumento della densità forestale lungo un gradiente altitudinale compreso tra la pianura e la media montagna. A partire da circa 13,5 mila anni cal BP si diffusero boschi misti con conifere e alcune latifoglie termofile (Quercus sp. caducifoglie, Tilia, Ulmus). Tra 12,7 e 11,5 mila anni cal BP, una parziale ma evidente contrazione delle foreste, con abbassamento del limite degli alberi di circa 200 m ed espansione di vegetazioni di prateria e steppa, rimarca gli effetti del Dryas Recente (GS-1 nel record GRIP) a sud delle Alpi, con diminuzione delle temperature e soprattutto delle precipitazioni. L’inizio dell’Olocene è contraddistinto dalla massiccia e brusca espansione delle latifoglie termofile fino a oltre 1300 m di quota, in risposta ad aumenti della temperatura media di circa 4-6°C. L’immigrazione e la diffusione di varie specie legnose scandisce la storia forestale degli ultimi 11,5 mila anni. L’optimum climatico olocenico è evidenziato da un limite degli alberi molto elevato nell’area del Passo Gavia tra 9 e 6,5 mila anni cal BP.

A partire dal Neolitico e con impatto più marcato durante l’Età del Bronzo e del Ferro, gli effetti delle attività antropiche si sovrimpongono alle dinamiche naturali nel definire l’assetto del paesaggio vegetale, dei suoli e del reticolo idrografico. All’inizio dell’Età del Bronzo (2100 a.C.) ampie porzioni del territorio lombardo padano e pedecollinare vengono deforestate per dare spazio a colture cerealicole e pascoli. La mobilità su distanze via via maggiori favorisce gli scambi di materie prime, la conoscenza e lo sfruttamento di nuove essenze per l’alimentazione umana. Il confronto tra dati pollinici e macroresti vegetali da contesti archeologici fornisce interessanti informazioni circa l’uso e la provenienza di specie utilizzate per il sostentamento delle comunità umane ed animali.

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Paleolivelli tardoglaciali e olocenici del Lago di Garda

Carlo Baroni Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere

Dipartimento Scienze della Terra, Università degli Studi di Pisa

In seguito al definitivo ritiro dei ghiacciai pleistocenici, che occupavano il bacino gardesano, si sono create le condizioni per lo sviluppo di un paleo Lago di Garda che stazionava a quote più elevate rispetto al livello attuale. Il grande volume d’acqua rilasciato dalla fusione dei ghiacciai in ritiro, l’azione di sbarramento esercitata dalle morene deposte nell’ultima fase di massima espansione glaciale e la soglia lacustre solo parzialmente erosa dal F. Mincio, hanno determinato la formazione di un paleo invaso che, inizialmente, si spingeva oltre 30 m al di sopra del livello medio del lago attuale, posto circa 65 m s.l.m. Lungo la costa del Benàco sono diffusamente preservate evidenze geomorfologiche e sedimentologiche, riferibili a paleoinvasi tardoglaciali e olocenici, posti a quote comprese tra il livello medio del lago attuale e il massimo invaso individuato. Molte evidenze sono osservabili lungo le falesie rocciose, per ampi tratti ancora attive, altri dati provengono da scassi artificiali e, infine, importanti informazioni provengono da scavi stratigrafici condotti in siti archeologici perilacustri.

I principali corsi d’acqua che si riversano nel Benàco hanno costruito ampi delta, particolarmente evidenti lungo la sponda occidentale, nell’alto lago. Nel basso lago, invece, si sono sviluppati numerosi piccoli delta-conoidi, originati dallo smantellamento del margine interno delle morene deposte nell’ultima fase glaciale. Il progressivo abbassamento del livello del lago, principalmente dovuto all’approfondimento dell’incile ad opera del F. Mincio, ha indotto il terrazzamento dei numerosi delta lacustri, con conseguente formazione di delta inscatolati. Le più diffuse evidenze di paleolivelli lacustri sono comprese in una fascia costiera che si eleva non più di 15 m sul livello del lago attuale. Gran parte delle evidenze sono associate alle coste rocciose più estese, che conservano traccia di solchi di battente relitti, lembi di piattaforme di abrasione, paleospiagge, livelli concrezionari, forme di dissoluzione e altre forme di erosione lacustre. Le più estese piattaforme di abrasione, ad esempio, sia attuali sia relitte, coronano le principali isole e penisole. Degne di nota sono le piattaforme poste 3.5 m sul livello del lago attuale nella zona di Manerba del Garda. Paleospiagge costituite da più o meno estesi accumuli di ciottoli ben arrotondati si trovano su terrazzi lacustri e piattaforme di abrasione, ma anche sotto forma di plaghe cementate addossate a paleofalesie. In alcuni tratti delle coste rocciose si osservano livelli concrezionari carbonatici orizzontali, localmente aggettanti, sospesi sul livello del lago da 1 a 5,7 m, noti come calcareous rims; sono costituiti da alghe e altri organismi, tra i quali anche gasteropodi d’acqua dolce (Bithynia tentaculata e Theodoxus fluviatilis) che hanno fornito età comprese tra 10.070 ± 70 e 6140 ± 60 anni C-14 BP.

Numerosi siti archeologici perilacustri documentano che, almeno a partire da circa 6000 anni BP, la quota massima dell’invaso lacustre non ha mai superato 3 m al di sopra del livello medio attuale. Variazioni di livello inferiori al metro sono peraltro avvenute nell’Età del Bronzo antico e medio (4100-3500 BP), come rilevato grazie a scavi archeologici di insediamenti palafitticoli.

Datazioni radiocarboniche e rilievi topografici di dettaglio hanno permesso di riconoscere che nella regione benacense si individuano aree caratterizzate da sollevamenti e abbassamenti relativi avvenuti negli ultimi 10.000 anni circa. La porzione settentrionale della costa lombarda, a N di Salò, ad esempio, si sarebbe innalzata di circa 1 m rispetto alla porzione meridionale della stessa costa, con un tasso di sollevamento medio di 10-12,5 cm/1000 anni.

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Dalla crisi al collasso: l'evoluzione in atto dei ghiacciai lombardi.

Claudio Smiraglia e Guglielmina Diolaiuti Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano

Le variazioni dei ghiacciai sono considerate una delle più indiscutibili e chiare evidenze del

Cambiamento Climatico in atto, il cui impatto è osservabile su gran parte della criosfera del nostro pianeta. Sulle Alpi il regresso è iniziato verso la metà del XIX secolo con la conclusione della Piccola Età Glaciale che, pur con brevi e limitate fasi di espansione, ha portato i ghiacciai alpini a perdere nell’arco di un secolo e mezzo circa la metà della loro superficie. Questa tendenza sembra accelerare negli ultimi decenni su tutta la catena alpina. La Lombardia vanta un’antica tradizione in questo genere di ricerche, che ha visto studiosi come Desio, Nangeroni, Belloni dedicarsi nell’ambito del Comitato Glaciologico Italiano ad approfondite analisi delle variazioni del glacialismo e delle loro cause, cogliendo anche l’importanza pratica, a livello idrologico, energetico, turistico, delle masse glaciali. Sulle Alpi Lombarde sono localizzati gli apparati glaciali di maggiori dimensioni del versante meridionale della catena, in particolare nei massicci del Cevedale e dell’Adamello, insieme ad una tipologia varia e completa: ghiacciai vallivi a bacini composti, come i Forni; ghiacciai di altopiano con lingue radiali, come l’Adamello; ghiacciai “neri”, come il Venerocolo, oltre ad un elevato numero di ghiacciai di limitate dimensioni, la cui tipologia è condizionata dalla morfologia (di vallone, di pendio, di canalone, di conoide, etc.). La disponibilità di materiale storico (serie di misure di variazioni frontali e di bilanci di massa, carte, iconografia) unita a materiali più recenti (ortofoto, immagini satellitari, rilievi GPS, stazioni meteo epiglaciali) permette di quantificare l’evoluzione del glacialismo lombardo e soprattutto di delineare il recente incremento del regresso. In particolare il confronto del catasto realizzato dal Servizio Glaciologico Lombardo con dati 1992 con i nuovi catasti regionali compilati a partire da ortofoto del 1999 e del 2003, unito a rilievi GPS di terreno evidenzia una netta e continua riduzione delle superfici glaciali con un accelerazione del fenomeno negli anni più recenti. Fra il 1992 e il 2003, considerando un campione di 249 ghiacciai comuni ai tre catasti, si è infatti avuta una riduzione delle superfici di circa il 21% passando da circa 117 km2 nel 1992 a 104 km2 nel 1999 e a circa 92 km2 nel 2003. Sono stati soprattutto i ghiacciai di minori dimensioni (più piccoli di 1 km2) a contribuire a questa riduzione, perdendo circa 13 km2 (53%). Il tasso di riduzione passa da 1,6 km2 all’anno fra il 1992 e il 1999 a 2,6 km2 all’anno fra il 1999 e il 2003. In alcuni gruppi montuosi come il Piazzi-Campo, caratterizzati dalla presenza di ghiacciai di medio piccole dimensioni, il ritiro è stato anche più intenso e la percentuale di riduzione totale nel decennio in esame ha raggiunto il 28%. Questo fenomeno sta comportando notevoli trasformazioni a livello paesaggistico generale e a livello morfologico e morfodinamico locale. In particolare si osservano incrementi numerici e dimensionali degli affioramenti rocciosi sulle superfici glaciali, formazione di laghi proglaciali, incremento della copertura detritica, accelerazione delle fasi di sviluppo delle forme epiglaciali, formazione di crepacci circolari con pseudodoline e successivi collassi, crolli di seracchi e falesie, frammentazione in più corpi glaciali (da segnalare a proposito di quest’ultimo processo la separazione avvenuta nel 2007 della lingua del Ghiacciaio di Fellaria Orientale – nel gruppo del Bernina - dal bacino superiore). Questa serie di eventi conferma che l’evoluzione dei ghiacciai lombardi ha superato la fase del “regresso attivo”, determinato dai bilanci di massa e dalle dinamiche di breve termine dell’atmosfera per trasformarsi in un vero e proprio “downwasting” e in un generalizzato collasso.

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Il Permafrost in Lombardia: oggi e domani

Mauro Guglielmin Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università degli Studi dell’Insubria

Il permafrost è un qualsiasi materiale lapideo o sciolto che per più di due anni consecutivi

rimane a ad una temperatura inferiore a 0°C. Tale stato fisico dei materiali è quindi comune laddove il bilancio energetico della superficie è negativo e quindi la presenza del permafrost è intimimamente legata al clima e alla natura della superficie interessata. Il cambiamento climatico quindi, direttamente e indirettamente (mutando le caratteristiche della superficie) può modificare profondamente la distribuzione areale del permafrost e contemporaneamente l’estensione del permafrost può dare utili indicazioni per ricostruire e comprendere il cambiamento climatico.

In profondità lo spessore del permafrost invece dipende anche dall’assetto geologico strutturale presente che condiziona le caratteristiche termiche dei materiali criotici.

Lo studio del permafrost oggi nel nostro territorio lombardo è ancora agli inizi, per quanto riguarda la definizione della sua distribuzione areale e verticale anche se, limitatamente ad una porzione dell’Alta Valtellina, molti studi anche di elevato livello e di innovazione sono stati effettuati.

In Alta Valtellina esistono attualmente 3 pozzi di monitoraggio del permafrost (di cui 1 di 100 m di profondità) di cui uno ha una serie ormai decennale di dati. Inoltre nella stessa area un sito di monitoraggio dello strato attivo (con 3 pozzi superficiali di 3 m di profondità) registra le temperatura dal 1996. Oltre un centinaio di sondaggi geofisici e più di 200 indagini BTS (Bottom Temperature of winter Snow cover) eseguite dal 1990 ad oggi, caratterizzano piuttosto approfonditamente la distribuzione areale e verticale ed il contenuto di ghiaccio nel Livignese e in alcune valli dell’Alta Valtellina. In questo settore, inoltre, 3 carotaggi hanno consentito di analizzare il ghiaccio contenuto nel rock glacier Foscagno, che si è rivelato un lembo di ghiaccio sedimentario relitto formatosi nel periodo medioevale. Le condizioni di temperatura erano simili a quelle attuali ma, evidentemente, l’accumulo nevoso era assai superiore, tanto da consentire la formazione di un ghiacciaio a circa 2500-2600 m di quota, dove oggi non esistono neppure più nevai semipermanenti, anche a quote superiori.

L’importanza paleoclimatica del ghiaccio contenuto nel permafrost alpino è certamente una delle sfide per la ricerca futura in quanto certamente lembi di ghiaccio molto più antichi possono essersi conservati. Le sfide del futuro però sono certamente costituite da altri 3 punti principali:

1) costituzione di una rete di monitoraggio del permafrost e dello strato attivo secondo i protocolli internazionali;

2) studio delle relazioni tra permafrost e idrologia per una ottimizzazione e conservazione delle risorse idriche in ambiente di alta montagna;

3) studio delle relazioni tra permafrost e vegetazione in un quadro di cambiamento climatico e dei possibili feedback correlati

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La deformazione alpina nelle coperture del Sudalpino Orobico: cronologia relativa e assoluta

Andrea Zanchi

Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli Studi di Milano-Bicocca

Uno dei principali problemi relativi all’evoluzione strutturale del settore Orobico delle Alpi Meridionali riguarda il riconoscimento e la datazione delle differenti fasi che hanno caratterizzato l’orogenesi alpina. Numerosi studi effettuati sul basamento cristallino indicano la presenza di almeno due eventi deformativi principali di età Alpina (Albini et al., 1994; Blom & Passchier, 1997; Carminati & Siletto, 2005). Considerando l’intera catena, Laubscher (1985) e Schönborn (1992) propongono un numero più elevato di fasi, due delle quali precedenti alla messa in posto dell’Adamello. Secondo questi autori, le prime due fasi risultano intervallate da fenomeni di tipo distensivo, seguiti poi dalla propagazione della deformazione nei settori meridionali della catena e dalla formazione di una profonda avanfossa di età Oligo-Miocenica, la cui attività cessa con la messa in posto della “Milano Belt” nel Miocene Superiore (Bersezio et al., 1993; Fantoni et al., 2004). Secondo le interpretazioni più “classiche” (Pieri & Groppi, 1981), dalla fine del Miocene l’intero settore Sudalpino Orobico risulta caratterizzato soprattutto da fenomeni di sollevamento e basculamento. Al contrario, indizi di attività compressiva recente sono stati osservati in vari settori del Sudalpino centrale , mentre le maggiori evidenze sono concentrate più a est nel Bresciano (Michetti, questo congresso). Tale attività è testimoniata anche da eventi sismici ricorrenti di piccola intensità.

L’analisi strutturale di dettaglio condotta in alcuni settori chiave delle Orobie centro-settentrionali ha permesso di riconoscere la sovrapposizione geometrica di differenti eventi tettonici, nonché di identificare i rapporti con elementi geologici potenzialmente utili per fornire vincoli cronologici alle varie ipotesi formulate in precedenza. Tali elementi sono rappresentati dai numerosi dicchi andesitici (1) presenti nella catena e dalle pseudotachiliti (2) formatesi lungo i sovrascorrimenti sviluppati nel basamento cristallino al contatto con la copertura sedimentaria. La datazione radiometrica dei filoni e delle pseudotachiliti è infatti potenzialmente in grado di fornire una datazione diretta degli eventi tettonici, anche nell’ambito della porzione più antica della catena, dove non sono presenti rocce di età più recente del Giurassico. 1) Filoni andesitici: in numerosi settori delle Orobie sono presenti sciami di dicchi verticali orientati circa E-O, che attraversano sovrascorrimenti regionali nelle unità Triassiche (Presolana: Zanchi et al., 1990; Fantoni et al., 1999), nonché pieghe di età alpina presenti nella parte più settentrionale della copertura Permiana e nel basamento cristallino. Nuovi dati raccolti nella zona di Leffe indicano che i filoni sono associati a strutture distensive che dislocano i precedenti sovrascorrimenti presenti all’interno delle unità del Triassico Superiore, indicando una complessa evoluzione polifasica anche nel settore centro-meridionale della catena. L’ampia variazione delle età radiometriche fino ad oggi ottenute su anfibolo (K/Ar: Zanchi et al., 1990; Ar/Ar: Fantoni et al., 1999) ha suggerito di datare minerali più stabili come lo zircone (U/Pb), attraverso l’utilizzo di particolari strumenti (Tunesi, questo congresso; D’Adda, in prog.). 2) Pseudotachiliti: la presenza di queste particolari rocce, formatesi per attrito in seguito a fusione localizzata prodottasi durante movimenti “rapidi” connessi a forte attività paleosismica lungo i principali piani di sovrascorrimento presenti nel basamento Orobico, è stata già riconosciuta in passato (Siletto, 1991). Questi materiali, oggi databili con vari metodi, hanno fornito importantissimi nuovi dati ancora inediti sull’età dell’attività di queste strutture. In particolare, lungo la Linea del Porcile e il Sovrascorrimento Orobico, sono state ottenute età che indicherebbero la presenza di eventi compressivi pre-Terziari, avvenuti alla fine del Cretacico Superiore, come già sostenuto da altri autori sulla base di differenti evidenze (Zanchi et alii, 1990). Lo studio e la datazione sistematica di queste particolari rocce, tutt’ora in corso (D’Adda et al., in prog.), consentirà di fornire un nuovo quadro relativo all’evoluzione della catena.

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Assetto tettonico ed evoluzione strutturale delle Prealpi bresciane dalla fine dell’orogenesi varisica ad oggi

Cesare R. Perotti

Dipartimento di Scienze della Terra – Università degli Studi di Pavia

Le Prealpi bresciane rientrano nella porzione centrale del Sudalpino e sono delimitate a sud dalla Pianura Padana, ad ovest dalla Val Camonica, mentre a nord e a est sono marginate da due importanti linee tettoniche costituite rispettivamente dalla linea Insubrica e dalla linea delle Giudicarie sud. La successione che affiora nell’area, compresa tra il Basamento Cristallino metamorfico pre-Carbonifero superiore ed i depositi più recenti di età quaternaria affioranti nella Pianura Padana e nelle principali vallate, ha registrato una serie di eventi deformativi compresi tra l’orogenesi varisica e le ultime fasi compressive di quella alpina.

Nel Permiano inferiore, l’assetto tettonico post-collisionale era caratterizzato dall’attività di una serie di faglie trascorrenti destre, espressione di un regime geodinamico transtensionale di significato regionale che interessò tutto il settore centrale dell’orogene varisico europeo. La principale di queste faglie trascorrenti è la linea delle Giudicarie, ai margini della quale si svilupparono una serie di coevi bacini di pull-apart o di strike-slip, i principali dei quali sono il bacino di Collio, il bacino di Tione e quello di Tregiovo. Tale regime geodinamico favorì una sostanziale lacerazione della catena ed un assottigliamento crostale accompagnato da intense manifestazioni magmatiche e vulcaniche.

Durante il Permiano superiore, dopo un limitato impulso compressivo (il cosiddetto mid Permian episode), si assistette ad un sostanziale cambiamento dello scenario tettonico con l’inizio di un nuovo ciclo tettono-sedimentario, segnalato dalla discordanza angolare dei sedimenti clastici del Verrucano Lombardo sui depositi precedenti e sul Basamento Cristallino, che vede l’instaurarsi di condizioni più chiaramente estensionali, con il progressivo smantella- mento della catena varisica e la peneplanazione della regione.

Nel Triassico inferiore e medio perdurò nella regione un regime tettonico essenzialmente estensionale, intervallato però da episodi trascorrenti, che produsse frammentazione crostale e fu accompagnato da una significativa attività vulcanica ladino-carnica di probabile ambiente di retroarco.

Nel Carnico superiore iniziò il rifting intracontinentale che condurrà, verso la fine del Giurassico, alla formazione dell’oceano ligure-piemontese, compreso tra la placca euro-asiatica e quella dell’Adria. Il rifting si manifestò attraverso un complesso sistema di faglie normali e di trasferimento che produssero una serie di bacini e di alti strutturali.

A partire dal Cretacico superiore fino al Miocene ed oltre un regime geodinamico compressivo, connesso alla collisione fra la placca europea e quella Adria, dominò in tutta la regione, con lo sviluppo di sovrascorrimenti e pieghe di importanza regionale indicanti nel complesso una direzione di trasporto tettonico da nord verso sud. La messa in posto del plutone dell’Adamello (42-30 Ma) costituisce un’importante elemento di datazione delle deformazioni e segnala la ripresa di una complessa attività di trascorrenza oligocenica lungo la linea Insubrica e quella delle Giudicarie. E’ comunque da ritenere che la principale fase di compressione che ha strutturato la regione in esame e provocato i principali sovrascorrimenti sia post-Adamello e quindi post-Oligocene medio (fase neoalpina). Infatti, anche le linee sismiche e i pozzi esplorativi eseguiti nell’antistante Pianura Padana evidenziano un chiaro e rilevante coinvolgimento dei depositi pre-Messiniani nei sovrascorrimenti alpini

In generale, comunque, l’architettura tettonica complessiva attuale di questo settore della catena sudalpina risente sensibilmente dell’evoluzione geodinamica pre-terziaria e segnatamente dell’eredità morfo-strutturale permiana e mesozoica.

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Il contributo dell’esplorazione petrolifera alla conoscenza geologica della Lombardia.

Cipriano Carcano e Sergio Rogledi Esplorazione nord Italia - Eni E & P - 20097 S.Donato Milanese (Milano)

Il Duca di Milano chiede: “…what seest you else in the dark backward and abysm of time ?”

W. Shakespeare. The Tempest La stessa richiesta ci viene ripetutamente proposta da parecchi anni. Perché abbiamo la

possibilità di “vedere“ che cosa c’è al di sotto della superficie della Pianura Lombarda e correlarlo con gli affioramenti delle Alpi Meridionali. Si è andato creando in 60 anni di ricerca petrolifera un data base di linee di sismica a riflessione, che per la sola Lombardia è oggi di 30000 km e 932 pozzi esplorativi e di sviluppo. Nel 1959 AGIP pubblicava una relazione sull’attività della ricerca mineraria in pianura Padana arricchita dalla riproduzione dei campi gassiferi. Desio (1965), aggiorna il suo lavoro del 1952 con i dati AGIP, tema del lavoro: i movimenti tettonici del Quaternario. Una pietra miliare è il Pieri-Groppi (1981), dove sono riprodotte delle sezioni geologiche, basate su prospezioni sismiche attraverso la pianura Padana, lavori più recenti sono di Fantoni, dal 1999 al 2004. Nel complesso, i contributi fin qui riportati possono essere visti come studi isolati, dove lo studioso o il tecnico pubblica una propria interpretazione o un modello, senza una vera interazione culturale tra industria ed enti di ricerca. Dal 1998 si è aperta una convenzione con D.G. Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia, basata sulla condivisione di conoscenze e dati. Hanno fatto poi seguito l’accordo con APAT e l’Università dell’Insubria di Como, e più recentemente con la sede di Milano e Pavia dell’INGV. La convenzione con la Regione Lombardia ha portato alla realizzazione della cartografia degli acquiferi della pianura lombarda. La metodologia messa a punto dall’industria petrolifera per lo studio dei bacini sedimentari è stata impiegata, per la prima volta a scala regionale, per ottenere un modello degli acquiferi. Le finalità è di ricostruire, attraverso l’interpretazione integrata di dati sismici e stratigrafici, un modello tridimensionale a scala regionale del sottosuolo della pianura, limitatamente alle successioni plio-pleistoceniche; riconoscendo in sottosuolo, su sezione sismica, le superfici che delimitano i principali corpi geologici e gli acquiferi in essi ospitati. Sono stati così individuati acquiferi, profondi e protetti, che possono costituire riserve idriche strategiche, e le aree di ricarica degli acquiferi profondi. La Regione Lombardia ha così a disposizione uno strumento di base per il calcolo delle riserve idriche sotterranee e del bilancio idrico. Una delle superfici evidenziate è l’ormai nota “superficie rossa” che segna l’inizio delle grandi glaciazioni pleistoceniche. L’identificazione di questa superficie come limite di sequenza è stata operata attraverso l’interpretazione della sismica e dei dati di pozzo, ma la sua attribuzione temporale è stata effettuata con analisi dei pollini e paleomagnetismo, fornite da CNR e Università di Milano. Un risultato notevole è stato raggiunto con una forte sinergia. L’attività con APAT e INGV è simile, cioè interpretazione del sottosuolo della pianura unilizzanto dati sismici e di pozzo, per identificare strutture potenzialmente sismogenetiche e la loro posizione lungo il margine sud-alpino. L’interazione si attiva con lo scambio di dati e conoscenze di sottosuolo e superficie. Noi “siamo forti” con i dati di sottuolo mentre APAT e INGV “sono forti” con conoscenze strutturali e di superficie. Ancora sinergia, sempre con la Regione Lombardia nell’ambito CARG, per la realizzazione dei fogli Seregno e Milano. Soprattutto per il foglio Seregno si è avuto e prosegue un ricco interscambio che sta portando alla revisione delle sequenze deposizionali dell’Oligo–Miocene con novità in termini di attribuzione temporale, ambienti di deposizione e di riflesso l’assetto strutturale del versante meridionale della catena alpina. La sinergia ha contribuito a un riassetto stratigrafico e strutturale con l’attribuzione al Cattiano-Langhiano della serie affiorante nell’area di Como. La revisione è stata stimolata dal modello di sottosuolo, ma confermata da dati di superficie raccolti nell’ambito CARG.

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Il Triassico lombardo nel contesto tetidiano e il recupero della biodiversità dei vertebrati marini dopo la crisi P/T

Andrea Tintori e Cristina Lombardo

Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano A partire dagli anni ‘70 dello scorso secolo, la paleontologia dei vertebrati in Lombardia

ha visto una rinascita, dopo un sonno che praticamente durava dai tempi di Stoppani. La scoperta dei giacimenti Norici del Calcare di Zorzino hanno messo queste faune al centro dell’attenzione mondiale per l’ottima conservazione e per la varietà di taxa tra i pesci e i rettili. La scoperta dei più antichi rettili volanti, che anticipavano la comparsa del gruppo di 20 Ma, contribuì a rendere famosa questa associazione. Poco dopo si riaccese l’interesse anche per il Triassico Medio del Monte San Giorgio, sito invece dalle antiche tradizioni paleontologiche, tanto che Stoppani nel 1862 vi diresse la prima campagna di scavi paleontologici in Italia. Il nostro interesse si concentrò sul più recente livello fossilifero del MSG, risalente alla fine del Ladinico, livello trascurato da tempo e che invece ha fornito molti nuovi taxa (tra i quali i primi insetti fossili del MSG) ma soprattutto chiarendo che la fauna del MSG in realtà è costituita da diverse associazioni che coprono un intervallo temporale di più di 10 Ma. Questo risultato ha poi costituito la base sia per ricostruire la possibile posizione stratigrafica delle diverse specie che provengono da un altro sito storico lombardo, Perledo, ma soprattutto per valorizzare il MSG come unicità a scala globale per questa sua concentrazione di livelli a vertebrati marini. Ciò è valso tra l’altro il riconoscimento quale Patrimonio Mondiale dell’Umanità per il lato svizzero nel 2003, ma soprattutto ha promosso il MSG come successione di riferimento per i vertebrati marini triassici, ora che sempre più livelli fossiliferi vengono alla luce nella Cina meridionale. Il confronto tra le due estremità della Tetide si sta rivelando di grande interesse soprattutto per quanto riguarda i pesci, che essendo più piccoli e comuni possono fornire associazioni più ricche e complete. Le faune triassiche stanno assumendo una grandissima importanza come testimonianza della ripresa dalla terribile crisi di fine Permiano: tale ripresa fu molto lenta e problematica ma le varie tappe, almeno in ambiente marino, si stanno chiarendo proprio grazie alla combinazione delle faune tedidiane. Infatti, oltre ad una comune base sia per i pesci che per i rettili, alle estremità della Tetide le diverse fasi di ripresa interessano gruppi differenti che ebbero radiazioni evolutive apparentemente in parallelo. Tuttavia qualsiasi modello viene messo continuamente alla prova (ciò è normale in ambito scientifico!) proprio dai nuovi ritrovamenti cinesi che si susseguono a ritmo incalzante: una nuova associazione anisica ricchissima di pesci è stata scoperta lo scorso anno e le prime indagini hanno già portato alla individuazine di molti nuovi taxa. Certamente da noi si procede a ritmo più blando per la carenza di mezzi finanziari. Siamo tuttavia certi che anche in Lombardia le nuove scoperte siano ancora possibili, prova ne sono i recenti ritrovamenti di importanti livelli a pesci del ladinico inferiore in Valtravaglia e sul Grignone.

Non sono ugualmente da trascurare altri recenti progressi paleontologici. Per gli invertebrati, gli avanzamenti più significativi sono avvenuti nel Triassico medio, con il ritrovamento e descrizione di ammonoidi in località classiche o nuove, come la Val di Scalve o la Val Brembana: Ugualmente significativo il rinvenimento di conodonti nel Norico-Retico della Val Imagna.

Infine, come illustrato nel relativo poster, scavi in grotta e rinvenimenti nelle alluvioni del Po hanno sensibilmente aumentato informazioni sulle faune a mammiferi del Pleistocene lombardo.

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Biostratigrafia e ciclostratigrafia del Paleocene-Eocene lombardo.

Isabella Premoli Silva Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano

Le successioni sedimentarie del Paleocene ed Eocene lombarde sono state oggetto di nuove

ricerche in supporto alla stesura della Nuova Carta Geologica al 50.000 della Regione Lombardia. I nuovi studi hanno permesso di individuare e formalizzare alcune formazioni e di inquadrarle negli schemi biostratigrafici recenti basati sul plancton calcareo (foraminiferi e nannofossili). In particolare, la Formazione di Tabiago, costituita da marne e calcari pelagici con alcune intercalazioni di livelli torbiditici a grandi foraminiferi di mare basso nella parte superiore, si estende dal limite Cretacico/Paleocene all’Eocene Medio (Zona a foraminiferi P12; Zona a nannofossili NP15), mentre la sovrastante Formazione di Cibrone, poco affiorante, è costituita da marne e subordinate marne calcaree ed areniti, ed è attribuibile interamente all’Eocene Medio (Zona a foraminiferi P12; Zone a nannofossili NP15-NP16).

Parte della successione paleocenica della Formazione di Tabiago mostra in affioramento alternanze ritmiche di marne più erodibili e di calcari più resistenti all’erosione. Al fine di comprendere la natura di queste alternanze (o coppie) si è proceduto a uno studio multidisciplinare: per ogni semicoppia si sono analizzati quantitativamente a) l’abbondanza e composizione dell’associazione a foraminiferi planctonici, b) il grando di bioturbazione e c) il contenuto in carbonato di calcio.

Nella semicoppia marnosa la fauna a foraminiferi è povera ma arricchita in specie del genere Subbotina, indicatore di acque mediamente ricche in nutrienti e di temperature medio fredde. Nella semicoppia calcarea la fauna a foraminiferi è dominata da taxa del genere Morozovella, un indicatore caldo tipico delle acque tropicali con bassi tassi di nutrienti. Una possibile interpretazione dei ritmi litologici suggerisce che le semicoppie marnose si siano depositate in periodi di alta stagionalità: una accentuata stagionalità porta a una vigorosa circolazione delle masse d’acqua inducendo un arricchimento in nutrienti nelle acque superficiali e buona ossigenazione al fondo. I dati, quindi, indicano acque superficiali fertili per le semicoppie marnose, mentre condizioni opposte caratterizzano le semicoppie calcaree: bassa stagionalità, lenta circolazione e depauperamento di nutrienti nelle acque superficiali.

Inoltre, al fine di valutare le possibili periodicità che hanno causato le ciclicità osservate è stata condotta un’analisi spettrale sulla distribuzione delle faune a foraminiferi planctonici e del contenuto percentuale del carbonato di calcio. Le periodicità sono risultate in accordo con le frequenze di Milankovitch per i cicli di precessione (21 ky), obliquità (41 ky) ed eccentricità (100 ky), seppure il segnale più forte sia associato all’obliquità.

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L'evoluzione del mantello terrestre racchiuso nelle Alpi Centrali: il contributo della petrologia sperimentale

Stefano Poli

Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano

Le rocce di mantello hanno da sempre attirato l’attenzione dei petrologi, sia perchè costituiscono un insostituibile vincolo sul comportamento fisico dell’interno del nostro pianeta sia in quanto il loro coinvolgimento nei processi orogenici rivela la storia più profonda delle fasi pre e sin-collisionali delle placche terrestri.

Frammenti di mantello litosferico subcontinentale sono conservati nelle falde pennidiche delle Alpi Centrali. Corpi peridotitici variamente serpentinizzati sono rinvenibili nel complesso Val Malenco-Chiavenna (Sondrio) e negli affioramenti di Alpe Arami e Cima di Ganone (Svizzera) e al Monte Duria (Como).

I corpi ultrafemici della Val Malenco mostrano un’evoluzione prevalentemente in facies a spinello e conservano traccia degli stadi di accoppiamento con la crosta inferiore e della messa in posto di intrusioni gabbroidi. Al contrario, i corpi di Alpe Arami, Cima di Ganone e Monte Duria presentano litologie in facies a granato, con sviluppo di una notevole varietà di associazioni mineralogiche peculiari, tra cui smistamenti topotattici di FeTiO3 nell’olivina messi in luce sin da Möckel (1969). Sebbene sia unanime l’accordo circa il coinvolgimento di questi corpi in un processo subduttivo con l’influsso di agenti metasomatici dallo slab in subduzione, l’interpretazione di questi smistamenti, il significato della presenza di fasi idrate come anfibolo e clorite, e la comparsa di carbonati, dolomite o magnesite, sono ampiamente dibattuti in letteratura. In particolare la proposta provocativa che la peridotite di Alpe Arami possa aver registrato un stadio evolutivo presso la zona di transizione tra mantello superiore e inferiore, a oltre 400 km (Dobrzhinetskaya et al., 1996), ha innescato un dibattito scientifico tuttora aperto circa l’interpretazione dei relitti di altissima pressione e circa i meccanismi geodinamici che possono spiegare la veloce esumazione di rocce provenienti dal mantello profondo. Recenti determinazioni delle condizioni registrate nelle peridotiti di Alpe Arami hanno infatti comunque suggerito pressioni dell’ordine di oltre 5 GPa (> 160 km).

In questo quadro una corretta e dettagliata ricostruzione sperimentale della cristallochimica, degli equilibri di fase, nonchè dell’evoluzione tessiturale in alta pressione è di fondamentale importanza per l’interpretazione dei records naturali. Il laboratorio di petrologia sperimentale del Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio” dell’Università di Milano (http://users.unimi.it/~spoli/thelab.html) è il primo laboratorio italiano attrezzato per sintetizzare associazioni di fase caratteristiche di tutto l’intervallo di pressioni interessanti il mantello superiore, sino a 23 GPa. Studi sistematici dedicati alla ricostruzione dei diagrammi di fase di peridotiti variamente arricchite in specie volatili C-O-H e in elementi mobili, come il potassio, permettono la rilettura dei processi che hanno interessato la struttura profonda delle Alpi.

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Protoliti sedimentari e magmatici del basamento orobico e di quello austroalpino del foglio Sondrio e loro ruolo nel quadro della genesi della crosta continentale pre-alpina.

Attilio Boriani

Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano Il basamento della crosta continentale italiana (BORIANI et al., 2004) ha acquisito i suoi caratteri attuali a causa di eventi pre-varisici, varisici e alpini come risultato di processi continui di drifting e amalgamazione di placche. L’accrezione della crosta italiana avvenne in tempi diversi (STAMPFLI et al., 2002) al margine delle microplacche originate dallo spezzettamento del Gondwana. Tutti i terreni sud-europei hanno una storia paleozoica comune, ma anche peculiarità, a seconda della loro evoluzione individuale. Il nostro basamento è costituito da rocce sedimentarie silicoclastiche da tardo- proterozoiche a eo-paleozoiche, con granitoidi e vulcaniti di età ordoviciana. Queste rocce hanno subito un metamorfismo varisico di varia intensità; sono poi coperte da rocce sedimentarie per lo più post-carbonifere. Lenti di rocce ultramafiche e mafiche, talora con relitti eclogitici sono presenti in alcune unità. L’orogenesi varisica, seguita da un’intensa attività magmatica ha stratificato e consolidato questa nuova crosta. Basamento e copertura subirono poi l’orogenesi alpina con varia intensità. Con il progetto CARG si è resa disponibile una grande quantità di dati di campagna, di laboratorio e di età radiometriche sulle rocce pre-carbonifere del basamento della Lombardia. Nuovi dati sull’età dei protoliti sono stati presentati da VECOLI et al. (2008) che ha datato le metapeliti nere in facies degli scisti verdi di Col di Foglia (Sudalpino orientale) al Cambriano superiore. I protoliti dei metasedimenti del basamento orobico sono costituiti di rocce silicoclastiche pelitiche (Scisti di Edolo) e psammitiche (Gneiss di Morbegno) che derivano da rocce sorgenti crostali da intermedie a acide del tardo-Neoproterozoico. Il loro pattern delle Terre Rare è uniforme con arricchimento in Terre Rare leggere. Presentano affinità geochimiche con sedimenti di un margine trailing-edge recente (BORIANI et al., 2007); un’età modello TDM (Nd) tra 1.7-2.0 Ga suggerisce una roccia sorgente proterozoica. I protoliti di alcuni metasedimenti dell’area del Lago Maggiore (Serie dei Laghi) sono simili a sabbie torbiditiche di arco insulare continentale, derivate dall’erosione di rocce di varia natura ed età. Contengono popolazioni di zirconi detritici con età U-Pb che vanno da circa 638 a 2040 Ma. Le metabasiti della Serie dei Laghi (GIOBBI ORIGONI et al., 1997) sono associate a lenti peridotitiche con flaser gabbro e anfiboliti con relitti eclogitici. Le anfiboliti hanno pattern geochimici che richiamano alcune toleiti di retro-arco. Le loro intercalazioni felsiche (leptiniti) danno età magmatiche di zircone di circa 555 Ma. Rappresentano vulcaniti bimodali di arco/retro-arco da una comune sorgente mantellica messesi in posto nell’Ediacarano. Tutti i metasedimenti, con la sola eccezione delle kinzigiti dell’Ivrea-Verbano e della Serie del Tonale, contengono lenti di meta-granitoidi ordoviciani. Secondo PINARELLI et al. (2008), i protoliti sedimentari dei paraderivati non erano metamorfici al momento dell’intrusione dei granitoidi ordoviciani. L’età di sedimentazione deve perciò essere più vecchia della loro messa in posto (478 + 6.0 Ma nella Serie dei Laghi); tale vincolo non si applica però alle kinzigiti dell’Ivrea-Verbano e della Serie del Tonale. Il magmatismo ordoviciano è diffuso in tutte le unità meno che nella Serie del Tonale. L’ambiente geodinamico sarebbe quello di un evento collisionale cambro-ordoviciano. Gli ortogneiss del basamento orobico richiamano quelli del Lago Maggiore, ma i loro contenuti più elevati in Y, Nb and Terre Rare suggerisco il coinvolgimento di un componente mafico di tipo OIB. Gli Gneiss Chiari del Corno Stella rappresentano la sola eccezione: sono compatibili con una derivazione per fusione parziale di meta-peliti in condizioni di assenza di fluidi con dehydration melting di muscovite. Il magmatismo ordoviciano fu diacrono nelle Alpi Centrali: le età dei protoliti vanno da circa 478 nella Serie dei Laghi, a 462 nelle Alpi Orobie, fino a 448 Ma nelle falde austroalpine. Furono messi in posto in ambienti geodinamici diversi.

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Nuovi vincoli sull’origine ed età dei cumulati ricchi in anfibolo dell’Adamello meridionale: implicazioni per l’evoluzione dell’Orogene Alpino

Massimo Tiepolo1 e Riccardo Tribuzio1,2

1C.N.R. - Istituto di Geoscienze e Georisorse, U.O. Pavia 2Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia

Studi recenti sulla distribuzione degli elementi in tracce nei magmi prodotti in ambiente

subduttivo suggeriscono un carattere residuale di questi fusi per cristallizzazione di anfibolo. Tuttavia, essendo questo minerale solo raramente presente nei prodotti effusivi di arco, si sta valutando la possibilità di un suo frazionamento criptico nelle porzioni medio-basso crostali. Motivo dell’assenza nei prodotti superficiali sarebbe il suo campo termico di stabilità relativamente ristretto ed incompatibile con la maggior parte delle temperature di effusione dei magmi di arco.

A supporto dell’ipotesi di un frazionamento criptico di anfibolo nelle porzioni di crosta al di sotto degli archi magmatici è il ritrovamento in alcune catene orogeniche di rocce di cumulo a composizione femica ed ultrafemica (da orneblenditi a dioriti) in cui l’anfibolo è la fase mineralogica predominante. Rocce ricche in anfibolo e con caratteristiche eccezionalmente simili sono state segnalate nell’arco giapponese, nell’Orogene di Ross, nell’Orogene Delameriano e nell’Orogene Alpino. In quest’ultimo sono ben note le rocce ricche in anfibolo affioranti nell’intrusione dell’Adamello meridionale (es. Mt. Mattoni) e del Valmasino Bregaglia (es. Val Sissone).

Caratteristica comune di questi cumulati ad anfibolo è la presenza anche di disequilibri chimici riconducibili al riciclaggio di corpi intrusivi precedenti, appartenenti allo stesso evento orogenico. Questo è evidente sia dai caratteri tessiturali di alcuni litotipi che da zonature composizionali in elementi maggiori e in tracce dei singoli minerali che non sono riconducibili a semplici processi d’evoluzione magmatica (tipo cristallizzazione frazionata o assimilazione e concomitante cristallizzazione frazionata). Si presuppone pertanto che nella petrogenesi di questi cumulati ad anfibolo siano coinvolti fusi magmatici a diversa composizione. Come mostrato dalle rocce femiche dell’Adamello meridionale, tali disequilibri sono evidenti anche a livello di quei minerali accessori, come lo zircone, che avendo un elevato campo di stabilità riescono a preservare traccia della storia geologica precedente. In particolare, all’interno degli zirconi di alcune rocce gabbriche ricche in anfibolo è stata riscontrata una componente ereditata appartenente a eventi magmatici di poco precedenti, ma sempre riconducibili all’orogenesi Alpina. Questa evidenza è in accordo con i più recenti studi e modelli petrogenetici sulla genesi dei magmi di arco, secondo cui la notevole variabilità composizionale è riconducibile all’ibridizzazione dei magmi primari a seguito di riciclaggio nei livelli crostali più profondi di corpi intrusivi precedenti.

Si comprende quindi come l’importanza delle rocce gabbriche ricche in anfibolo non sia solo limitata alla possibilità di avere informazioni sull’evoluzione crostale dei magmi di ambiente subduttivo ma come queste rocce racchiudano anche importanti “record” sulla storia petrologica precedente e come quindi possano rappresentare una finestra per decifrare gli stadi iniziali di un processo di subduzione.

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SHRIMP telematico

Maria Aldina Bergomi, Annalisa Tunesi Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli Studi di Milano-Bicocca

Nel 2004, l’Università degli Studi di Milano-Bicocca ha stipulato un accordo di cooperazione

con lo SHRIMP Center di Beijing per ricerche congiunte in ambito alpino. Presso lo SHRIMP Center è in funzione dal 2001 una strumentazione altamente tecnologica e

costosa (SHRIMP- Sensitive High Resolution Ion MicroProbe) che consente analisi isotopiche e chimiche “in situ” di materiali solidi attraverso il bombardamento del campione con un fascio ionico del diametro di qualche micron. In campo geologico il suo utilizzo principale è la datazione di rocce attraverso il metodo uranio/piombo (U/Pb).

La strumentazione è stata acquisita attraverso fondi del Ministry of Land and Resources , Ministry of Science and Technology , Chinese Academy of Sciences ed è in funzione 24 ore al giorno per 7 giorni a settimana.

Nell’ottobre del 2007 presso il Rettorato dell’Università è stato firmato un importante accordo con l’ Institute of Geology, Chinese Academy of Geological Sciences (CAGS) per l’utilizzo del sistema operativo denominato SROS (SHRIMP Remote Operation System), che attraverso una connessione Internet consente di utilizzare in remoto lo strumento SHRIMP II fisicamente allocato a Pechino.

Il sistema è stato sviluppato congiuntamente da • Beijing SHRIMP Center • National Institute of Metrology, P.R. China • Jilin University A tale scopo, con il prezioso supporto tecnico e finanziario dell’Università di Milano-Bicocca,

è stato allestito un Laboratorio SROS presso il Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie a disposizione di studiosi italiani e stranieri. In questi primi mesi di attività, il Laboratorio SROS ha già lavorato sia per studiosi interni di Bicocca che per ricercatori esterni con ottimi risultati.

Le ragioni per cui utilizzare lo SROS sono molteplici: • la strumentazione SHRIMP è molto costosa (€ 2.000.000,00) • la strumentazione SHRIMP è rara (solo 9 SHRIMP al mondo sono attualmente operativi) • c’è un’alta richiesta di tempo-macchina • le richieste di utilizzo della macchina provengono da scienziati di tutto il mondo VANTAGGI • Gli studiosi possono osservare il campione da analizzare direttamente da monitor

scegliendo il punto analisi e ottenere il dato analitico in tempo reale • Il sistema supporta la co-partecipazione all’analisi da parte di più studiosi dislocati in

qualsiasi parte del mondo che possono dialogare tra loro in tempo reale attraverso web-cam.

• Risparmio sui costi di missione dei ricercatori. Con la stipula dell’ accordo, l’Università degli Studi di Milano-Bicocca avrà l’esclusiva per tre

anni dell’utilizzo del sistema SROS in Europa. In questo modo, il laboratorio SROS allocato presso il Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie (UNIMIB) sarà un punto di riferimento per tutti gli studiosi sia italiani che europei. Per concludere Internet ha “stravolto” il nostro stile di vita ed anche il nostro modo di fare ricerca.

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Presentazioni orali

Geologia e Società

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La conoscenza del territorio

Andrea Piccin Regione Lombardia – Infrastruttura per l’Informazione Territoriale

Conoscere il territorio, in tutti i suoi aspetti, è indispensabile per governarlo, nel senso più

ampio di questo termine. E’ per questo che Regione Lombardia, e in particolare la Direzione Generale Territorio e Urbanistica, ha avviato e realizzato negli ultimi 10 anni numerosi progetti e iniziative per acquisire, approfondire e aggiornare le informazioni sul proprio territorio, con diverse sfaccettature disciplinari e in collaborazione con diversi Enti di Ricerca ed Università. Il Progetto di Cartografia Geologica (CARG), avviato nel 1996, in circa 10 anni ha realizzato il rilevamento geologico di più di 8.000 km2, ripartiti in 14 Fogli IGM, che interessano circa un terzo del territorio lombardo. Dalla Valtellina alle Valli Bergamasche e Bresciane, teatro della grande alluvione del 1987, alle aree di alta pianura tra Como e Brescia, nevralgiche per le nuove infrastrutture e per l’alimentazione delle falde idriche, fino alle grandi conurbazioni urbane del Milanese e alle fragili valli dell’Oltrepò Pavese: un’enorme patrimonio di conoscenza geologica moderna, di grande dettaglio, frutto del lavoro a tappeto sul terreno di una schiera di giovani geologi, che si sono formati e sono cresciuti in questo progetto. Informazioni preziose per la pianificazione territoriale, dalla scala comunale a quella provinciale (molti Comuni hanno beneficiato di questi dati per definire la componente geologica dei loro piani). Per la progettazione preliminare di infrastrutture c’è la imponente Banca Dati Pedologica di ERSAF, che ha cartografato e descritto i suoli lombardi, non solo per il loro utilizzo agricolo e forestale, ma anche per capire l’evoluzione del territorio. Questi dati, uniti alla mappatura completa dell’uso del suolo (DUSAF), costituiscono una fonte di informazione primaria sul territorio Lombardo. C’è stato poi un affondo nel sottosuolo della Pianura, con un approccio innovativo finalizzato a mappare i grandi corpi geologici che ospitano le principali riserve idriche: il lavoro “Geologia degli Acquiferi Padani della Regione Lombardia”, realizzato con ENI-Agip nel 2002, ha rivoluzionato la conoscenza del sottosuolo della Pianura Lombarda, applicando allo studio degli acquiferi le tecniche e le metodologie proprie della ricerca petrolifera. La notevole quantità di analisi condotte sui sondaggi profondi realizzati, anche in sinergia con il Progetto CARG, ha dato un notevole contributo alla conoscenza dell’evoluzione quaternaria del bacino padano. Ma la Lombardia è anche terra di laghi: sempre in sinergia con il Progetto CARG sono stati realizzati rilievi batimetrici e geofisici dei più importanti laghi alpini (Sebino, Lario, Maggiore), accompagnati da rilievi altimetrici di grande dettaglio (LIDAR aereo) per le aree spondali. E in montagna, dopo aver completato il censimento delle frane (poi confluito nel Progetto Nazionale IFFI), mappando e schedando oltre 130.000 fenomeni franosi, è stata realizzata la Carta di Localizzazione Probabile delle Valanghe: entrambi rappresentano fondamentali strumenti di orientamento per la gestione territoriale. Ancora, sono stati organizzati i dati di monitoraggio dei ghiacciai alpini nella Banca Dati “Ghiacciai di Lombardia”, per poterne seguire l’evoluzione in questi anni di rapido cambiamento climatico, per poter definire scenari di disponibilità di risorse idriche e di instabilità idrogeologica, legati alla veloce riduzione degli apparati glaciali e del suolo ghiacciato (Carta della Criosfera). Sono state mappate e descritte decine di migliaia di opere di difesa del suolo (Banca Dati ODS), spesso realizzate a seguito dei grandi eventi calamitosi. E’ stato infine realizzato l’atlante dei movimenti verticali del suolo, con tecniche di rilevamento radar satellitare (Interferometria SAR).

Tutte queste informazioni, organizzate e rese disponibili nel Sistema Informativo Territoriale regionale e integrate dalle informazioni prodotte dagli altri Enti del Sistema Lombardia (www.cartografia.regione.lombardia.it), costituiscono un potente “cannocchiale” puntato sul territorio, disponibile per chiunque sia interessato a guardarci dentro.

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La prevenzione del rischio idrogeologico e sismico

Massimo Ceriani Regione Lombardia – Protezione Civile

Regione Lombardia negli ultimi anni ha prodotto numerose banche dati che interessano tutto il

territorio regionale. Al fine di effettuare una sintesi ed una integrazione di tutti i dati esistenti è stato recentemente approvato il PRIM 2007 – 2010 (Programma Regionale Integrato di Mitigazione dei rischi) che ha il merito di analizzare sia i singoli rischi, ed in particolare il rischio idrogeologico vista la sua rilevanza in Lombardia, sia gli stessi integrati fra loro al fine di individuare le aree a maggior rischio integrato.

Per la prevenzione del rischio idrogeologico è stata dapprima realizzata una multi hazard map che utilizzando tutti i dati disponibili (frane, valanghe, alluvioni, uso del suolo, DTM, permafrost e ghiacciai, reticolo idrografico ecc.) ha consentito di ottenere per ogni cella di 20 x 20 m un valore di pericolosità relativa derivante dalla opportuna pesatura di tutti i dati analizzati. Incrociando la pericolosità con 23 classi di bersagli (case, scuole, ospedali, strade e infrastrutture in genere) si è ottenuta la prima cartografia del rischio idrogeologico regionale con celle della dimensione di un chilometro quadro.

Infine per verificare quanto il sistema regione sta investendo per la prevenzione del rischio idrogeologico, è stato condotto un censimento di tutti gli interventi di difesa del suolo che saranno completati o iniziati fra il 2007 e il 2010 e che comporteranno un investimento complessivo di oltre 500 milioni di euro.

Per la prevenzione del rischio sismico Regione Lombardia, in ottemperanza all’Ordinanza 3362/04, ha definito un articolato piano per la verifica della vulnerabilità degli edifici strategici e rilevanti ai fini sismici e dettato i criteri (legge regionale 12/05) per lo studio geologico del territorio.

Il lavoro di censimento, tutt’ora in corso, ha avuto inizio nel 2004 e riguarda sia i 41 i Comuni in zona sismica 2 che i 238 Comuni in zona sismica 3 con la raccolta dei dati riguardanti gli edifici e le opere strategiche e rilevanti appartenenti alle categorie indicate nel decreto regionale “Approvazione elenco tipologie degli edifici e opere infrastrutturali”.

Sono stati dapprima raccolti i dati essenziali (tipologia edilizia, anno di costruzione, eventuali interventi di adeguamento/miglioramento antisismico, cubatura) che hanno poi costituito il livello di partenza per le cosiddette verifiche speditive. Tali verifiche, ottenute con la compilazione delle schede di vulnerabilità sismica degli edifici in muratura ed in cemento armato, consentono di ottenere, in maniera qualitativa, un indicatore sulla bontà costruttiva dell’edificio.

Ad oggi, nei comuni classificati in zona 2 e zona 3, sono stati analizzati oltre 2700 edifici rilevanti e strategici. In particolare per 81 edifici in muratura o misti è stato valutato un indice di vulnerabilità elevato e pertanto saranno necessari ulteriori approfondimenti.

Nel corso del 2006 è stato inoltre avviata una verifica di dettaglio su alcuni edifici appartenenti ad aziende ospedaliere poste nei comuni a più alta sismicità.

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ARPA Lombardia: il monitoraggio geologico e idrometeorologico

Gregorio Mannucci, Roberto Serra, Mauro Valentini e Enrico Zini ARPA Lombardia

Arpa è la struttura tecnica regionale che ha per specifico compito la protezione dell’ambiente. Nel campo della geologia e dell’idrogeologia applicata si sono sviluppate attività diversificate nella comune volontà di fornire dati ed informazioni a un “pubblico” ampio, sia pubblico che privato. Il riscontro sociale è quindi intrinseco nelle attività di Arpa che ha come scopo primario la creazione di basi dati validate, mentre l’attività di ricerca, è limitata all’analisi e risoluzioni di specifiche problematiche. Viene illustrata, a titolo esemplificativo, una serie di progetti, descrivendo per ciascuno il contesto in cui sono sviluppati, le metodiche applicate, i risultati raggiunti e/o previsti.

Progetto “shake up”sviluppato per la definizione, sulla base di dati quali-quantitativi delle “curve di possibilità pluviometrica”, indispensabili per la valutazione delle portate di piena negli alvei considerati. Tali informazioni sono di pronta applicabilità per il corretto dimensionamento di opere idrauliche, ma anche per la previsione e stima probabilistica di eventi di piena e dell’eventuale interazione con la stabilità dei versanti. Progetto Ruinon. La frana del Ruinon (Valfurva, Provincia di Sondrio), una delle maggiori delle Alpi, determina condizioni di rischio molto elevate, principalmente sulla viabilità di fondovalle. Il dissesto è monitorato in continuo a partire dal 1997. Data la vastità dell’area e le forti deformazioni di alcune zone (dell’ordine dei m/anno) nel 2000 si è sperimentato l’impiego di un sistema radar ad apertura sintetica. Dal 2006 un sistema radar permanente è attivo per il controllo della frana, rendendo possibile l’attivazione di un piano di emergenza sviluppato in funzione del grado di criticità rilevato in tempo reale.

Progetto Marco e Rosa. Grazie a finanziamenti regionali nel 2002 si è completato il rifacimento della nuova capanna “Marco e Rosa”, sul versante sud del Pizzo Bernina, a quota 3.610 m. Nell’agosto del 2003 un crollo di alcune migliaia di m3 di roccia si è verificato in prossimità del rifugio. In accordo con il CAI si sono sviluppati approfondimenti sulla scarpata rocciosa e si è installato un sistema di monitoraggio geotecnico e meteo-climatico, per evidenziare eventuali deformazioni nell’ammasso roccioso su cui è fondato il rifugio.

Progetto “Idro”. In comune di Idro (Brescia) è presente una vasta “paleofrana” che incide sull’alveo del fiume Chiese. Tale frana, la cui caratterizzazione geotecnica e cinematica ha richiesto l’esecuzione di indagini geofisiche e geognostiche e l’installazione di un sistema di monitoraggio, potenzialmente può interessare l’alveo del Chiese, determinandone lo sbarramento con rischio di tracimazione incontrollata. Il sistema di monitoraggio ha reso possibile la definizione di scenari di rischio e relativi precursori e quindi la redazione di un piano di Protezione Civile a cura della Provincia di Brescia.

La Valtorreggio (Valmalenco, Sondrio) è caratterizzata dalla presenza di grandi aree franose, soprattutto a seguito degli eventi alluvionali dell’estate 1987. Per migliorare le condizioni di stabilità dei dissesti, monitorati in continuo tramite una rete geotecnica, e regimare il corso d’acqua è in corso di redazione un progetto per il consolidamento dei versanti e la stabilizzazione dell’alveo. Il progetto ha richiesto una capillare campagna geognostica, geofisica e l’installazione di un sistema di monitoraggio integrativo. La presenza di rocce serpentinose ha consigliato di verificare il contenuto di “amianto”, in previsione dei lavori che verranno realizzati nei prossimi.

Sperimentazione inerente la risposta sismica locale nell’area della Piana di Bormio, Sondrio. Per una verifica “sul campo” delle prescrizioni tecniche inserite nelle “Nuove norme sulle costruzioni” (D. M. 14 gennaio 2008) si è installata una stazione sismica permanente e verificata la risposta sismica locale, tramite registrazioni periodiche utilizzando stazioni sismiche mobili. Incrociando i dati sismici così acquisiti con le conoscenze geologiche, stratigrafiche, morfologiche e geotecniche disponibili, si è proposto un quadro della situazione riscontrata. Il lavoro, che ha evidenti ricadute locali per una corretta pianificazione urbanistica, vuole però essere un contributo sperimentale in termini metodologici, da applicare eventualmente su altre aree

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La difesa dai terremoti in Lombardia: stato dell’arte e prospettive

Fabrizio Galadini, Paola Albini, Paolo Augliera, Lucia Luzi, Mariano Maistrello, Fabrizio Meroni, Francesca Pacor, Massimiliano Stucchi

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Sezione di Milano-Pavia

L’INGV (http://www.mi.ingv.it/) svolge in Lombardia ricerche nel campo della mitigazione del rischio sismico, mediante studi mirati al miglioramento delle conoscenze sulla storia sismica, sul modello strutturale legato al regime tettonico in atto e alla definizione del moto del suolo atteso. Accanto alle indagini necessarie alla caratterizzazione sismogenetica e dei possibili effetti dello scuotimento sismico, si pone l’attività di monitoraggio sismico, che la Sezione di Milano-Pavia espleta mediante la rete accelerometrica (RAIS, http://rais.mi.ingv.it/) che consta di 20 postazioni distribuite in prevalenza sul territorio regionale.

In un recente lavoro di sintesi - di studi pluriennali su fonti storiche e di revisioni critiche di materiali pubblicati - si è tentato di colmare l’evidente carenza conoscitiva sulle caratteristiche della sismicità storica dell’area lombarda. Tale carenza è particolarmente evidente se si rapportano le informazioni oggi disponibili sui terremoti del passato in quest’area con quelle relative al settore veneto-friulano. La regione analizzata, compresa tra il bacino del fiume Adda e il Lago di Garda, è stata caratterizzata da alcuni terremoti con Mw>5.5 (es., 1117, Veronese; 1222, Brescia; 1901, Salò) e vari eventi con Mw compresa fra 4.8 e 5.5 (es., 1065, Brescia; 1396, Monza; 1642, Bergamo). Per molti degli eventi sismici fino al 1700 le informazioni sono desumibili soltanto da scarse fonti storiche. La determinazione epicentrale e l’attribuzione della magnitudo per tali eventi sono da considerarsi, pertanto, con una certa cautela al fine di definire le caratteristiche sismiche del territorio. I terremoti del 1117 e del 1222, in tale contesto, rappresentano un’eccezione rispetto ai dati generalmente disponibili. E tuttavia vari problemi tuttora aperti rendono assai difficile l’utilizzo della distribuzione del danno attribuibile a questi eventi nella prospettiva di un’affidabile parametrizzazione.

Le indagini geologico-strutturali e di geologia del Quaternario, finalizzate a definire un quadro strutturale compatibile con il regime tettonico in atto, sono necessarie per giustificare la storia sismica e, in sostanza, per definire il comportamento sismogenetico della regione. Le geometrie dei sistemi di faglia attivi alpini sono ora sufficientemente noti. Le conoscenze permettono di formulare ipotesi sismotettoniche relative all’origine dei terremoti dell’area gardesana e del Bresciano. In via di definizione sono invece le geometrie dei fronti appenninici, cui sono attribuibili i terremoti al di sopra della soglia nel settore padano. Le ricerche attuali sono altresì indirizzate ad una migliore caratterizzazione del complesso settore compreso tra la parte meridionale del Lago di Garda (area di Sirmione), Verona e Mantova, all’interno del quale potrebbe collocarsi l’area epicentrale del terremoto del 1117 (o una delle aree epicentrali, qualora si considerasse questo evento come rappresentato da una sequenza sismica).

Uno dei settori regionali con maggiore frequenza di eventi sismici è l’area gardesana occidentale; per questo motivo la rete di monitoraggio presenta una notevole densità di postazioni nel Bresciano e se ne è pianificato l’addensamento nel Veronese. Nel corso del 2007, la rete ha consentito la registrazione di 516 forme d’onda relative a 28 eventi locali e regionali (di cui una decina localizzati nell’area citata) con magnitudo da 1.3 a 4.2, di cui sono stati calcolati i parametri di interesse ingegneristico. L’analisi delle registrazioni ha permesso di ricavare informazioni utili per il calcolo di scenari di scuotimento. Un esempio di tali applicazioni è rappresentato dallo scenario realizzato utilizzando come terremoto di riferimento l'evento del 24 Novembre 2004 (M 5.2).

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Nuova zonazione sismica e procedure per la valutazione degli effetti sismici di sito nel territorio lombardo

Floriana Pergalani, Massimo Compagnoni, Maria Pia Boni

Politecnico di Milano-Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Milano Il governo del territorio, considerando la problematica del rischio sismico, necessita di

approfondimenti a scale diverse: nazionali/regionali, comunali e di sito. A questi tre livelli competono rispettivamente, in successione, i dati di pericolosità sismica e la zonazione sismica, la conoscenza degli effetti sismici locali e la progettazione antisismica della singola struttura.

A seguito della redazione della pericolosità sismica predisposta dal Gruppo di Lavoro, 2004 e dell’emanazione delle nuove Norme Tecniche per le Costruzioni, 2008, il panorama tecnico-normativo, in campo sismico, è profondamente mutato. Si può evidenziare come, ad esempio, le Norme Tecniche abbiano stabilito che la zonazione sismica non sia più determinante ai fini strettamente progettuali, ma rimanga finalizzata alla gestione ed alla pianificazione territoriale. Di conseguenza risulta necessario un aggiornamento tecnico-applicativo in materia sismica, alle diverse scale citate.

Nel presente lavoro vengono descritte alcune proposte di aggiornamento della zonazione sismica del territorio lombardo. Le mappe illustrate sono ottenute applicando un’ipotesi di criteri per la definizione delle zone, che utilizza come parametri sia l’accelerazione massima attesa, sia il valore del danno atteso medio annuo per un edificio standard. Quest’ultimo parametro consente, essendo una misura integrale, di rilevare le differenti tipologie di sismicità che viceversa non possono essere pienamente colte solo dall’accelerazione, che si riferisce ad un unico periodo di ritorno.

Nel lavoro è anche descritta la messa a punto e l’applicazione di una procedura proposta per la valutazione degli effetti locali che potesse essere facilmente ripetibile, da utilizzare all’interno degli strumenti urbanistici. A seguito dell’emanazione della Legge Regionale n. 12 del 11 marzo 2005 per il governo del territorio e in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 57 della stessa legge sono stati emanati con DGR n. 8/1566 e successiva DGR n. 8/7374 i relativi criteri ed indirizzi per la definizione della componente geologica, idrogeologica e sismica del Piano di Governo del Territorio. Nell’allegato 5 delle DGR è illustrata la procedura per la valutazione della componente sismica ed in particolare per gli effetti di sito.

La procedura prevede tre livelli di approfondimento: § 1° livello, che consiste in un’analisi qualitativa, permette di individuare e delimitare le aree

soggette ad effetti sismici locali, sulla base dei principali scenari di pericolosità sismica locale; a tal fine è stata messa a punto una tabella riassuntiva che raccoglie le principali situazioni che possono dar luogo ad effetti di amplificazione litologica e morfologica, instabilità, cedimenti e liquefazioni;

§ 2° livello, che consiste in un’analisi semiquantitativa, permette di determinare il valore del Fattore di amplificazione tramite l’uso di curve di correlazione che richiedono la conoscenza delle caratteristiche morfologiche, della caratteristiche stratigrafiche e dei valori della velocità delle onde trasversali dei diversi orizzonti;

§ 3° livello, necessario nel caso in cui l’applicazione del 2° livello dimostri che la normativa vigente non sia in grado di essere cautelativa, consiste in un’analisi quantitativa, condotta con approccio numerico e/o sperimentale, permette di definire gli spettri di risposta del sito da utilizzarsi in fase di progettazione. La procedura proposta, inoltre, è caratterizzata dalla sua modularità che si presta ad una

continua e graduale implementazione ed aggiornamento.

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Le risorse idriche lombarde

Angelo Cavallin Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano - Bicocca

L’acqua è l’elemento che garantisce la vita nella sua complessità a livello planetario; è essenziale per soddisfare le necessità umane fondamentali, come la salute, la produzione alimentare, l’energia ed il mantenimento degli ecosistemi regionali e globali.

L'acqua è anche il costituente principale di tutti gli organismi viventi. Senz'acqua non ci sarebbe vita, poiché la vita dipende dall'acqua. L'importanza dell'acqua non è limitata alle funzioni vitali di sostentamento degli organismi e alla determinazione della morfologia terreste. L'acqua è un fattore chiave nel condizionamento climatico della Terra, per l'esistenza dell'uomo, e per lo sviluppo della civiltà. Oggi si considera spesso l'acqua alla stregua di un bene di consumo che possiede un suo valore economico ed è oggetto di dispute legali, sociali e politiche. Con l'espansione della popolazione del globo e col miglioramento delle condizioni di vita, la domanda di acqua va rapidamente aumentando e la sua disponibilità sta diventando sempre più problematica. L'uomo, in definitiva, dovrà fare sempre miglior uso dell'acqua a sua disposizione.

In Lombardia le acque hanno rappresentato e rappresentano una straordinaria opportunità: l’utilizzo irriguo è stato e continua ad essere il motore principale dello sviluppo agricolo della pianura; l’utilizzo per la produzione di energia ha permesso un elevato sviluppo industriale e continua a fornire un notevole contributo in termini di apporti energetici da fonti rinnovabili; la diffusa disponibilità di acque ha costituito una risorsa essenziale per l’insediamento industriale e continua ad alimentare i processi produttivi insediati in Lombardia; grande rilievo assumono sul territorio gli aspetti ricreativi delle acque, con la presenza di laghi ad elevata attrattiva turistica e di ambienti naturali di pregio.

La domanda di risorse idriche per i vari usi, con concessioni per 130 miliardi di m3/anno, supera di molto la disponibilità, con precipitazioni per 27 miliardi di m3/anno, per cui si viene a creare una condizione di grave carenza idrica. Anche tenendo conto che le concessioni di acque per uso idroelettrico non portano a un reale consumo delle risorse idriche, ma ad un utilizzo dilazionato, che le riserve regionali rappresentate dalle acque immagazzinate nei laghi per 120 miliardi di metri cubi, nei ghiacciai per 4 miliardi e nelle falde sotterranee con oltre 100 miliardi di metri cubi possono far fronte a particolari situazioni di emergenza, esiste un reale problema di gestione delle risorse idriche regionali, anche a livello di bacino padano.

Per affrontare tali criticità legate alle carenze idriche si deve prevedere pertanto un utilizzo razionale, consapevole e sostenibile di tale risorsa. Sicuramente le acque sotterranee rappresentano una grande disponibilità per le sempre maggiori esigenze delle attività antropiche. Quindi una corretta conoscenza della struttura del sottosuolo, delle sue caratteristiche idrogeologiche, della quantità di acque che si infiltra e che viene prelevata e una corretta valutazione del flusso, con l’uso di modelli tridimensionali, può permettere una corretta gestione di tale risorsa soprattutto per il futuro in quanto è possibile simulare l’effetto sulla falda di situazioni critiche.

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Idrogeologia urbana

Vincenzo Francani Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano

La necessità di mantenere l’equilibrio delle risorse naturali che vengono sottoposte a

sfruttamento è particolarmente sentita nelle aree urbane, dove lo sviluppo edilizio e delle infrastrutture ha su di esse un impatto particolarmente intenso, così da rendere indispensabile una loro gestione particolarmente attenta ed una accurata programmazione della loro gestione. Dal momento che l’adempimento di questo compito richiede non solamente la razionale descrizione degli eventi naturali, ma anche una dettagliata ricostruzione del modello fisico del sottosuolo e delle interazioni con l’ambiente circostante, gli studi geologici concorrono a definire l’entità dei parametri fisici che caratterizzano il sottosuolo e dei meccanismi con i quali si sviluppano i fenomeni che lo interessano.

Tale compito presenta aspetti di rilevante novità e richiede alla geologia, in particolare alle discipline geologico- applicative, l’approfondimento di tematiche in cui finiscono con l’assumere un importanza determinante, come ad esempio nella modellazione della circolazione idrica sotterranea, tanto da renderle indispensabili nella progettazione di opere e nella gestione ambientale delle aree urbane.

Nel corso dell’intervento saranno esaminati alcuni esempi della nuova impostazione degli studi geologici e dei compiti assunti nella progettazione di interventi di controllo e riequilibrio delle risorse.

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Parametrizzazione 3D e modelli idrogeologici del sottosuolo della Pianura Lombarda

Tullia Bonomi Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano - Bicocca

La necessità di una adeguata gestione delle risorse idriche, superficiali e sotterranee, al fine di garantirne un uso e uno sfruttamento corretto, richiede una conoscenza completa del sistema idrogeologico e idrologico in esame. A tal fine sono in corso da anni studi per integrare tra loro adeguate e continue raccolte dati in situ con l’uso di strumenti innovativi che consentano di utilizzare al meglio i dati raccolti e di produrre elaborazioni temporali e spaziali significative. I modelli matematici applicati all’idrogeologia costituiscono un potente mezzo, ancora limitatamente diffuso in Italia ma molto diffuso all’estero, per sintetizzare in un’unica struttura tutte le informazioni ricavate sul campo, per testare le ipotesi circa il funzionamento del sistema reale, per coadiuvare nello studio di un sistema e per predire scenari futuri. I dati idrogeologici derivati da reti di monitoraggio però sono una informazione fondamentale per validare i modelli e renderli quindi strumenti previsionali affidabili e vanno gestiti in idonee banche dati integrate.

Le acque sotterranee rappresentano, in particolare, una grande disponibilità di risorse idriche per le sempre maggiori esigenze delle attività antropiche. Per una stima sulla disponibilità idrica sotterranea è fondamentale conoscere la risposta del sistema sotterraneo a tutte le sollecitazioni esterne. Tale risposta è rappresentata dalle misure del livello della falda, senza le quali qualunque interpretazione sulla reale disponibilità idrica diventa vana e tramite le quali è possibile capire quali sono i fattori che influenzano maggiormente il bilancio sotterraneo. Nel ciclo idrogeologico della Lombardia e nelle relative voci di bilancio si possono individuare aree in cui si riscontrano andamenti della falda molto differenti tra loro in funzione delle diverse voci di bilancio prevalenti in ogni settore. Per effettuare valutazioni quantitative sugli apporti al sistema sotterraneo, è però necessario avere sequenze storiche molto ampie per cogliere non solo i trend stagionali ma anche quelli pluriannuali e relazionarli con eventi meteorici significativi.

L’andamento della falda deve poi essere tradotto in reale disponibilità idrica, in quanto all’interno del sottosuolo, l’acqua si muove tra i pori intercomunicanti presenti all’interno della matrice solida. Quindi ad elevati volumi di terreno saturo, corrispondono volumi estremamente ridotti di acqua disponibile. Per sviluppare queste valutazioni quantitative è necessario parametrizzare tridimensionalmente il sottosuolo, cercando di stimare in dettaglio la distribuzione della conducibilità idraulica e della porosità efficace per mezzo della quale l’acqua transita, e conoscere la risposta del sistema, cioè l’andamento della falda, nello spazio e nel tempo. Il primo aspetto si traduce nella ricostruzione della struttura idrogeologica, il secondo nella valutazione del sistema di deflusso.

Il sottosuolo di una zona di pianura rappresenta l’infinita e complessa storia geologica alla quale è stato sottoposto (fiumi, ghiacciai, laghi, etc.) e presenta quindi molte eterogeneità sia laterali che verticali. Solamente con una buona ricostruzione delle reali eterogeneità degli acquiferi è infatti possibile, per esempio, una modellizzazione dei pennacchi di contaminazione più aderenti ai fenomeni reali. E’ qui presentata una metodologia per la ricostruzione di queste potenziali eterogeneità che prevede un uso integrato di banche dati per pozzi e modelli di interpolazione tridimensionali. Il nodo centrale del percorso è quello di integrare le classiche descrizioni idrogeologiche con elaborazioni tridimensionali delle caratteristiche tessiturali ed idrogeologiche dell’acquifero. Le aree di applicazioni interessano alcune province della Pianura Lombarda, nelle quali è da tempo in corso una dettagliata raccolta di dati stratigrafici relativi a pozzi per acqua, punto di partenza per le elaborazioni modellistiche tridimensionali.

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Caratteristiche idrogeologiche ed idrochimiche del Trias lombardo: le ricerche condotte nelle Alpi Meridionali tra la Val Seriana, le Anticlinali Orobie e la Val Camonica

Giorgio Pilla e Gianfranco Ciancetti

Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia Il presente studio, intrapreso da alcuni anni, è stato realizzato in un ampio settore del Sudalpino

Orobico (350 km2 circa) contraddistinto dalla presenza di alcuni dei più importanti massicci carbonatici delle Orobie (M. Vigna Vaga, Presolana, Pizzo Camino).

Da un punto di vista geologico la zona è contraddistinta dall’affioramento della successione permo-triassica del Bacino Lombardo. Al basamento cristallino affiorante al limite settentrionale e sud-orientale della zona, seguono terreni di natura vulcanica e silico-clastica di età permiana. Su questi terreni si rinvengono le coperture carbonatiche e carbonatico-terrigene. Lungo la successione triassica si ritrovano localmente orizzonti di carniole e di gessi e/o anidriti (Carniola di Bovegno e Formazione di San Giovanni Bianco).

Da un punto di vista strutturale l’area è molto complessa per la presenza di più unità tettoniche sovrapposte. I principali livelli di scollamento si localizzano alla base e nella porzione medio-alta della successione carbonatica triassica, in corrispondenza dei litosomi evaporitici e di carniole.

Per quanto riguarda l’assetto idrogeologico dell’area l’evoluzione paleogeografica durante il Trias ha avuto un riflesso notevole sulle caratteristiche idrogeologiche e sulle connotazioni idrochimiche delle acque circolanti all’interno delle varie unità litostratigrafiche. Il modello idrogeologico applicabile a tutta la fascia triassica delle Orobie centro orientali vede la presenza di potenti unità carbonatiche fessurate e carsificate (Dolomia Principale-Formazione di Castro, Formazione di Breno e Calcare di Esino) che rappresentano i più importanti acquiferi della zona, delimitati alla base da unità idrogeologiche a bassa conducibilità idraulica.

L’enorme potenzialità idrica dei principali acquiferi carbonatici trova riscontro nelle numerose sorgenti individuabili principalmente lungo i margini dei massicci stessi o lungo le incisioni dei principali corsi d’acqua.

Per poter delineare l’assetto idrochimico dei circuiti idrici sotterranei, sono state analizzate in laboratorio circa 200 acque sorgive delle oltre 900 sorgenti individuate nella zona. Su molte acque emergenti nel settore orientale della zona (Pizzo Camino – M. Altissimo) è stato realizzato anche uno studio isotopico per valutare l’origine delle acque sotterranee e la quota media del loro bacino di alimentazione.

L’impronta chimica delle acque sotterranee studiate, riflette chiaramente le facies mineralogiche degli acquiferi che le hanno veicolate: acque bicarbonato-calciche (magnesiache) dalle sequenze carbonatiche triassiche ed acque solfato-calciche dai depositi evaporitici della Carniola di Bovegno e della Formazione di San Giovanni Bianco.

In generale si osserva che le acque circolanti nei serbatoi carbonatici più elevati in quota mostrano basse mineralizzazioni; al contrario nelle acque emergenti alla base dei massicci o in prossimità dei principali corsi d’acqua, la mineralizzazione aumenta. In molti settori dell’area studiata sono presenti anche acque derivate dal mescolamento dei due poli idrochimici principali.

Le acque studiate mostrano generalmente alti standards qualitativi, ad eccezione di locali contaminazione riconducibili ad attività antropiche, come evidenziato dalle concentrazioni in nitrati relativamente elevate riscontrate in alcune zone.

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Grandi fenomeni di instabilità nelle Alpi lombarde: caratteristiche e distribuzione nel contesto dell'evoluzione recente dell'orogene alpino

Giovanni B. Crosta, Federico Agliardi e Paolo Frattini

Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli Studi di Milano-Bicocca

Le deformazioni gravitative profonde di versante sono state oggetto di studio ormai per svariati decenni, tuttavia la loro esatta definizione e caratterizzazione sfugge ancora. Il riconoscimento e la mappatura di questi fenomeni è incompleta e risente ancora molto dell’assenza di criteri precisi e condivisi, nonché della comprensione dei meccanismi di innesco e del tipo di attività. Tutto ciò ha portato al riconoscimento e classificazione di forme e processi molto diversi entro una stessa categoria di fenomeni di instabilità di versante. Allo stesso tempo, la rilevanza di tali fenomeni è stata spesso sottostimata sia in termini di frequenza che di attività e di eventuale influenza sull’evoluzione geomorfologica delle aree alpine e sulle attività antropiche.

In questo contributo si esaminano i caratteri fondamentali per il riconoscimento e la distribuzione dei fenomeni a scala dell’intero arco alpino, il grado di attività, i meccanismi di controllo dell’instabilizzazione e del movimento, i possibili effetti sulla morfologia e sull’erosione. L’esame della distribuzione dei fenomeni a scala dell’intero orogene alpino viene confrontata con quella nelle Alpi lombarde e alcuni siti in particolare vengono esaminati per analizzare lo stato e stile di attività.

L’inventario dei fenomeni a scala alpina è stato realizzato con tecniche innovative e fa uso di semplici soluzioni che sono divenute disponibili solo negli ultimi anni. I fenomeni sono classificati in base alla dimensione, le evidenze geomorfologiche, il grado di evoluzione, i rapporti con lineamenti strutturali, con il reticolo idrografico e con i depositi superficiali.

Lo studio dello stato di attività sfrutta la disponibilità di serie storiche di dati di spostamento da misure a terra, realizzate con tecniche topografiche classiche, e da misure in remoto tramite tecnica PS-InSAR (TRE Tele-rilevamento Europa).

La distribuzione spaziale è analizzata in relazione alle caratteristiche morfologiche e geologiche s.l. (posizione nella catena, elementi tettonici, sismicità, sollevamento).

Infine, l’evoluzione è studiata tramite l’analisi dei volumi coinvolti, sia in termini di ammassi rocciosi dislocati che di detrito prodotto, e tramite l’applicazione di modellazione numerica di alcuni fenomeni per cui risultano disponibili sufficienti dati.

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Metodologie innovative di identificazione e di monitoraggio di terreni soggetti a variazioni di volume connesse a fenomeni di siccità

Claudia Meisina

Dipartimento di Scienze della Terra – Università degli Studi di Pavia

I cambiamenti climatici globali hanno portato alla ricorrenza sempre più frequente di periodi caratterizzati da scarse precipitazioni quali gli anni 1989-1993, 1997-2000 e 2003. Gli effetti di tali periodi siccitosi sono evidenti in corrispondenza dei terreni di fondazione di edifici e infrastrutture, tanto da dar luogo al termine di “siccità geotecnica”. Tale terminologia è riferita al fenomeno di ritiro dei terreni costituiti prevalentemente da argilla e che comporta lesioni agli edifici con fondazioni superficiali.

Il fenomeno, pur non rientrando nell’ambito dei cosiddetti “rischi maggiori”, ha provocato danni economici notevoli in Europa e in Italia; solo nell’Oltrepo Pavese il costo di ripristino degli edifici lesionati ha avuto un’incidenza stimabile tra il 15% e il 25% in rapporto al valore commerciale dei fabbricati. Emerge di conseguenza la necessità di un’attività di prevenzione finalizzate all’identificazione, mappatura e monitoraggio di tali terreni nell’ottica di un’adeguata pianificazione territoriale, sia a scala regionale che comunale (Piani di Governo del Territorio).

A tale scopo viene presentata una metodologia di identificazione dei terreni soggetti a variazioni di volume e di valutazione della suscettibilità al ritiro-rigonfiamento messa a punto e validata in regione Lombardia dove il fenomeno interessa principalmente i terreni alluvionali della Pianura e le coltri eluvio-colluviali dell’Appennino Pavese. La metodologia si articola in diversi livelli corrispondenti a diverse scale di lavoro (regionale, comunale).

A scala regionale la metodologia si basa sull’integrazione di approcci pedologici e geologico-applicati. Essa consiste in un’analisi a criteri multipli e tiene conto dei principali fattori che condizionano il fenomeno nei vari contesti geologici della regione.

A scala comunale è stato utilizzato un approccio geotecnico basato sulla previsione dei parametri di ritiro-rigonfiamento (pressione e variazione percentuale di volume) mediante l’utilizzo di reti neurali artificiali. A questa scala è stato anche determinato lo spessore della zona attiva (terreno interessato dalle variazioni del contenuto d’acqua in risposta al clima) mediante il confronto di prove penetrometriche statiche CPT eseguite in diversi periodi dell’anno.

Sono stati inoltre analizzati i limiti e le potenzialità dell’utilizzo dell’interferometria radar differenziale da satellite (tecnica PSInSAR™) nell’identificazione e monitoraggio dei terreni soggetti a variazioni di volume. A questo scopo i dati interferometrici sono stati integrati con dati geognostici (sondaggi, trincee, ecc.), geotecnici (prove penetrometriche, prove di laboratorio) e idrogeologici in aree campioni caratterizzate da terreni argillosi, da un’elevata densità di bersagli radar e di edifici lesionati.

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Miniere e cave non più attive: problema o risorsa?

Franco Rodeghiero Dipartimento Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli Studi di Milano–Bicocca

La Legge Mineraria Italiana (R. D. 29 luglio 1927, n. 1443 – tuttora in vigore) divide le risorse

naturali minerarie in due categorie (prima categoria miniere, seconda categoria cave) essenzialmente su base merceologica. Nel 1977 furono delegate alle Regioni funzioni amministrative, legislative e di controllo sulle attività estrattive di IIa Categoria. Fecero seguito quindi Leggi Minerarie Regionali con norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava. Con la Riforma Bassanini le Regioni assumono le competenze relative alle miniere (Ia categoria), le Provincie (con poche eccezioni) le funzioni relative a tutte le altre cave. Dal secondo dopoguerra fino circa agli anni ‘80, prima che questo controllo legislativo da parte della Regione Lombardia cominciasse a essere effettivo, per quanto riguarda le cave, lo sfruttamento è stato abbastanza incontrollato. Nel 1982, con l’emanazione della prima legge regionale sulle norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava, molte cave sono state abbandonate, senza che venisse effettuata alcuna opera di ripristino o di messa in sicurezza. Per quanto riguarda le sostanze minerali di Ia categoria l’abbandono di importanti complessi minerari, attivi fino agli anni ’70, nelle Alpi Lombarde – ma anche in altre regioni limitrofe alpine – ha lasciato sul territorio pesanti eredità, sia di aspetto socio–economico, sia di natura ambientale, quali infrastrutture ed impianti, discariche e talora imponenti vuoti di coltivazione mineraria. Questi fattori condizionano oggi di fatto una conveniente fruizione territoriale e possono localmente anche costituire un serio vincolo che non può essere ignorato dalla pianificazione, sia dal punto di vista urbanistico, ma anche per motivi di sicurezza del soprasuolo e non ultimo per la protezione civile. Le problematiche maggiori sono legate all’impatto visivo di scavi abbandonati a cielo aperto, soprattutto in areee montuose, al collasso del tetto di vuoti di coltivazione mineraria che si sono spinti vicino alla superficie, senza rispettare distanze di sicurezza da zone antropizzate, alla presenza di ingenti cumuli di discariche che, anche se rappresentate nella maggior parte dei casi da materiale sterile di risulta (quindi roccia), possono dare luogo a locali instabilità dei versanti, all’accumulo non controllato di fanghi di lavorazione (fini di laveria) che, oltre a rilasciare elementi indesiderati nell’ambiente, se imbibiti d’acqua, possono innescare pericolose colate di fango. Dal punto di vista della protezione civile il rischio maggiore è la presenza, sovente non segnalata, di pozzi, gallerie, voragini, impianti in fatiscente abbandono vicini ad aree urbanizzate. Per una Regione così densamente popolata come la Lombardia un passo preliminare da intraprendere, in maniera responsabile e moderna, sarebbe un censimento di tutti questi siti con una loro precisa georeferenziazione. D’altro canto, riferendosi solo all’area alpina, numerosi tra i siti minerari dismessi costituiscono anche un prezioso patrimonio storico-culturale e geologico-scientifico del nostro territorio. Poiché solo la conoscenza e lo studio del loro profilo tecnologico di archeologia industriale e delle loro peculiarità geologiche e giacimentologiche ne può permettere una adeguata e selezionata riqualificazione in base alla loro specifica identità, il passo successivo potrebbe essere, in linea con azioni di recupero e valorizzazione di siti meritevoli, avviate già da qualche anno in ambito di paesi europei, un loro inserimento in progetti di riqualificazione e valorizzazione. Né si dimentichi che nuove situazioni di mercato dei metalli e dei minerali, tecnologie innovative di prospezione e coltivazione, rinnovate volontà di investimento nel settore possono portare a riavvii produttivi di attività estrattive cessate sovente non per esaurimento del giacimento ma per motivi di economicità. Il mantenimento quindi non solo della memoria storica ma anche della documentazione tecnica e geo-giacimentologica, è quindi più che mai una opportunità scientifica, segno di responsabilità sociale e una convenienza economica per il nostro Paese.

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Presentazioni orali

Geologia, Scuola, Informazione

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L'insegnamento delle scienze: passione, processi e metodi

Elisabetta Nigris Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione, Università di Milano Bicocca

In questi anni è in corso un acceso dibattito sull’insegnamento delle scienze, sul perché

dell’allontanamento dei giovani da queste discipline, sui modi per appassionarli e sulle strategie più efficaci per promuovere l’apprendimento scientifico. Sicuramente le rappresentazioni sociali e, dunque, i mezzi di comunicazione giocano un ruolo importante nell’incentivare o scoraggiare i giovani nei confronti delle scienze, ma altrettanto decisivo risulta il ruolo della scuola, come anche delle diverse esperienze educative di carattere divulgativo (musei, materiali video in commercio, ecc.).

In questi anni molte sono state le esperienze nella nostra regione che sono andate in questa direzione, da “Scienze under 18” al percorso di formazione degli insegnanti ISS; dal “Progetto est” alle numerose iniziative dei musei milanesi e del territorio. E’ importante dunque raccogliere il patrimonio accumulato negli anni dagli insegnanti, dagli operatori dei musei e dei Science center, da un lato per sistematizzarle e diffonderle, dall’altro lato per promuovere maggiore ricerca sia nel campo della didattica della scienze in generale che delle specifiche didattiche disciplinari.

Alla scuola e a chi conduce ricerche in campo della didattica delle scienze e delle didattiche delle singole discipline spetta il compito di individuare alcune linee di intervento che, se non possono rappresentare ricette magiche o prescrizioni coercitive, forniscano a chi insegna queste discipline indicazioni chiare, semplici ed efficaci relative a:

v modalità capaci di dare senso alle attività didattiche in ambito scientifico, collegando i saperi epistemologicamente corretti con le esperienze quotidiane dei ragazzi e con le loro conoscenze ingenue (quelle che Bachelard chiama “saperi ignoranti”); v modelli didattici in grado di superare un approccio preminente formale di insegnamento della lingua che si riagganci alle conoscenze di tipo informale che caratterizzano la maggior parte delle esperienze di apprendimento dei ragazzi; v metodologie didattiche al tempo stesso motivanti ed efficaci dal punto di vista dell’insegnamento concettuale; v criteri per valutare i processi cognitivi e/o meta-cognitivi messi in atto con una certa attività, lezione, metodologia didattica,… (processi convergenti o divergenti).

Al rigore della ricerca scientifica è dunque fondamentale che si affianchi la capacità di delineare proposte didattiche realistiche e realizzabili nella scuola, in questo periodo di grandi cambiamenti e disagi.

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Lombardia sul Web

Marina Credali Regione Lombardia – Infrastruttura per l’informazione territoriale

Il primo sito istituzionale di Regione Lombardia nasce negli anni 1997-2000 ed “esplode” negli

anni 2002-2003; attualmente è un sistema complesso costituito da più di 70 siti/portali ai quali si accede attraverso il portale ufficiale www.regione.lombardia.it, visitato ad oggi da quasi 2 milioni di persone all’anno. E’ un sistema in evoluzione che a breve vedrà un’ulteriore trasformazione verso un nuovo portale, che supererà le attuali “disomogeneità”.

Regione Lombardia vuol dire molte competenze in diverse aree tematiche, tanto lavoro… tanti dati prodotti. In particolare nel settore della Infrastruttura Territoriale, a partire dall’anno 2001, viene messo a disposizione dell’utenza esterna un “patrimonio geografico” tramite un portale cartografico trasversale alle direzioni generali e quindi alle competenze tematiche. L’ultima evoluzione in corso di attuazione, a partire dal rinnovato GEOPORTALE (2007), è verso un’Infrastruttura per l’Informazione territoriale lombarda che prevede la partecipazione degli altri Enti lombardi alla produzione, condivisione, gestione e diffusione dell’Informazione territoriale.

Attraverso il GEOPORTALE (www.cartografia.regione.lombardia.it) è possibile effettuare ricerche di dati tramite il catalogo (utilizzando criteri geografici, tematici, temporali ed altri), visualizzare mappe (senza disporre di particolari software) scaricare i dati in formati raster e vettoriale e stampare.

Molte sono le basi dati disponibili di tipo raster: la Carta Tecnica Regionale alla scala 1:10.000 e alla scala 1:50.000 (derivata dalla precedente), le ortofoto digitali a colori (anno 1998-2000, 2003 e 2007 in corso di predisposizione), i modelli digitali del terreno, la carta fisica e la carta politica alla scala 1:300.000).

Tra la basi dati vettoriali, che riguardano diverse aree tematiche con diversa copertura territoriale, sono presenti:

− la cartografia geologica alla scala 1:50.000 (progetto CARG); − il modello geologico del sottosuolo della pianura padana alla scala 1:250.000; − il sistema informativo regionale delle valanghe alla scala 1:25.000; − l’inventario delle frane e dei dissesti idrogeologici alla scala 1:10.000; − i ghiacciai della lombardia (stato anni 1992, 1999 e 2003); − i 10 tematismi della Cartografia geoambientale alla scala 1:10.000 (litologia, geomorfologia,

uso del suolo, idrologia/permeabilità, dissesto idrogeologico e pericolosità, capacità d’uso del suolo, attitudini all’uso produttivo del suolo, degrado ambientale, rilevanze naturalistiche e paesaggistiche, unità geoambientali);

− i 6 tematismi alla scala 1:25.000 delle basi informative ambientali della pianura (uso del suolo, attività di sfruttamento del suolo, idrologia superficiale con reticolo attuale e storico, rilevanze naturalistiche e paesaggistiche, litologia di superficie, geomorfologia);

− la cartografia pedologica (alle scale 1:50.000 e 1:250.000); − la cartografia dell’uso e copertura del suolo (scala 1:100.000 - Corine Land Cover 90); − lo strato informativo relativo ai bacini idrografici del territorio collinare-montano; − i vincoli derivanti dalla pianificazione di bacino (fasce fluviali, aree a rischio idrogeologico

molto elevato, aree in dissesto) e dai relativi aggiornamenti formulati dai comuni; − la carta di fattibilità geologica delle azioni di piano alla scala 1:10.000.

Di notevole utilità applicativa sono inoltre le monografie dei punti di raffittimento della rete planoaltimetrica IGM95 (i capisaldi della rete topografica) ed i dati morfologici ed idraulici ricavati sui bacini idrografici alpini messi a disposizione dall’applicativo SIBCA (accessibile sempre dal geoportale).

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L’allegra regione di acquaterra

Paolo Gallese Cooperativa Verdeacqua

“L’allegra regione di Acquaterra" è un role play che unisce un software ludico di grande effetto

grafico, all’attività pratica e diretta dei bambini, che si cimentano nell’inventare e “costruire” una regione geografica ideale e immaginaria: tramite l’attenta mediazione degli insegnanti, i bambini avvicinano concetti fondamentali quali ambiente, territorio, sviluppo sostenibile. “L’allegra regione di Acquaterra” è una attività nata grazie a una stretta collaborazione tra la Cooperativa Verdeacqua e il Settore Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia, con il sostegno di IREALP. L’iniziativa, partita da un progetto pilota di 4 classi, ha visto la partecipazione complessiva di 18 classi, che quest’anno saliranno a 27, per un totale di circa 600 bambini, all’interno della rete di 27 scuole “Il bambino autore”.

Obiettivi generali • Analizzare un sistema territoriale e antropico riconoscendo le trasformazioni apportate

dall’uomo, analizzare i problemi ambientali di un territorio, le diverse forme di inquinamento, di dissesto, le possibili alternative sostenibili.

• Imparare che da "scelta" si genera sempre "conseguenza" e come questo, su scala sociale, produca diversi livelli di responsabilità.

• Valutare problemi collettivi, presentare e difendere istanze, raggiungere compromessi, valutare l’accettabilità, prendere decisioni insieme, assumersi responsabilità.

• Acquisire un metodo e una esperienza che consentano non tanto di risolvere, quanto di percepire chiaramente i problemi della realtà.

Modalità di lavoro

E’ previsto il coinvolgimento di quattro classi per volta: compito dei bambini sarà quello di creare una regione e svilupparla. Dovranno creare i territori poi farli prosperare, discutendo le strategie da adottare. Grazie alla grafica digitale gli sviluppi delle loro decisioni saranno immediatamente visibili su schermo e le conseguenze potranno essere positive o negative, confermando la correttezza delle scelte effettuate, o la loro superficialità.

Fase 1: I bambini creano i territori dando libero sfogo alla loro fantasia; provvedono a disegnare le mappe e i particolari della loro regione, ne scrivono la storia, le leggende, si divertono a dare nomi alle varie località.

Fase 2: I disegni vengono riprodotti mediante gli strumenti grafici di SimCity 4, con i quali si potranno plasmare il territorio e gli ambienti immaginati dai bambini. Le classi cominceranno quindi a interrogarsi su come dotare i loro territori di servizi pubblici, di energia, acqua, case, industrie. Lo scopo del gioco è quello di creare una comunità in grado di prosperare, nel pieno rispetto delle esigenze di salvaguardia ambientale.

Fase 3: Grazie ad appositi comandi virtuali, i bambini cercano di tenere sotto controllo lo sviluppo sostenibile della loro regione. Sotto i loro occhi, la piccola regione risulterà animata in maniera complessa e sarà possibile vedere i propri cittadini passeggiare, recarsi in macchina nei luoghi di lavoro o da un paese all’altro, e addirittura organizzare manifestazioni di protesta; si potrà analizzare la politica energetica, la regolazione del traffico, il miglioramento o peggioramento dell’inquinamento, tutto in tempo reale. In SimCity 4 può succedere virtualmente di tutto, trasformando la regione in un territorio prosperoso, oppure in una specie di inferno inquinato e stravolto dall’antropizzazione e dal degrado.

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Rischi naturali: conoscerli giocando – Un frutto del progetto Rinamed

Lisa Garbellini IREALP – Istituto di Ricerca per l’Ecologia e l’Economia Applicate alle Aree Alpine

Regione Lombardia, in particolare la DG Territorio, avvalendosi della collaborazione di Irealp,

ha partecipato nell’ambito della scorsa programmazione comunitaria (2000-2006) ad un progetto, finanziato dal Programma di Iniziativa Comunitaria “Interreg III B – Spazio MedOcc”, intitolato “Rinamed - Rischi Naturali dell’Arco Mediterraneo Occidentale”. Il progetto, di durata triennale, si è concluso nell’ottobre del 2004. L’obiettivo generale del progetto è quello di definire un quadro di prevenzione e di informazione comune allo spazio mediterraneo europeo sui rischi naturali che possa adattarsi a ciascuna delle zone coinvolte. Nello specifico il progetto ha l’obiettivo di portare il cittadino a conoscere e capire meglio i rischi naturali con i quali può venire a contatto.

A questo scopo, sono stati predisposti strumenti adattati al differente pubblico a seconda del contesto locale, dell’età e del settore di attività. In particolare grazie al progetto Rinamed sono stati creati alcuni strumenti formativi molto efficaci rivolti specialmente ai ragazzi:

• Gioco di ruolo Rinamed • Video Rinamed • Cd-rom Rinamed • Mostra “Convivere con i rischi naturali” Irealp, avendo sperimentato la validità di questi strumenti, ha ritenuto di individuare un modo

per valorizzarli in un’attività di educazione ambientale rivolta agli studenti della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, cogliendo l’opportunità offerta dal bando di Fondazione Cariplo intitolato “Promuovere l’educazione ambientale”.

Nasce in questo modo, cofinanziato quindi dalla Fondazione Cariplo, il progetto “Rischi naturali: conoscerli giocando” che si è articolato su due anni scolastici: nell’anno 2006-2007 si è rivolto alle scuole primarie e secondarie di primo grado e nell’anno 2007-2008 alle scuole secondarie di secondo grado. In totale sono state coinvolte 21 scuole, 40 classi e 730 studenti con i propri insegnanti. Il territorio interessato è stato la provincia di Sondrio.

Gli incontri formativi nelle scuole sono stati l’occasione per far sperimentare ai ragazzi il gioco di ruolo Rinamed e per farli riflettere, guidati dal personale di Irealp, sulla tematica del rischio naturale, sulle attività di prevenzione, sui comportamenti da tenere in caso di calamità.

A conclusione di questo percorso, in entrambi gli anni scolastici, è stato organizzato un evento finale cui sono state invitate le scuole aderenti all’iniziativa. In quest’occasione gli studenti hanno potuto incontrare i volontari di Protezione Civile e Antincendio Boschivo che hanno svolto esercitazioni e dimostrazioni.

La scelta della provincia di Sondrio come area di sperimentazione di questa iniziativa è legata in particolare al fatto che, essendo l’unica provincia lombarda interamente montana, essa è fortemente esposta ai rischi naturali, in particolare ai rischi di tipo idrogeologico. Inoltre proprio nel 2007 ricorreva il ventennale della tragica alluvione che ha colpito la Valtellina nell’estate del 1987.

Il bilancio dell’iniziativa è positivo, confermato dall’apprezzamento degli studenti, ma soprattutto degli insegnanti che hanno trovato questa modalità innovativa particolarmente coinvolgente ed efficace.

Un altro aspetto significativo è dato dal coinvolgimento di più attori che, con ruoli diversi, hanno concorso per la realizzazione di queste finalità di educazione al rischio naturale. Infatti, con Irealp hanno collaborato alcuni Enti territoriali, l’Ufficio Scolastico Provinciale, gli Istituti Scolastici e i gruppi di volontari della Protezione Civile.

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Cosa ci raccontano le rocce della storia della Terra?

Maria Iole Spalla e Guido Gosso Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano

Secondo varie antiche saggezze e la prosa letteraria, nulla appare più immutabile di una roccia.

La Geologia, al contrario, va sempre meglio dimostrando quanto e come le rocce siano parte di un grande ciclo, universale e terrestre. Esse cedono continuamente parti ad altre rocce e ciò accade sotto il nostro sguardo, come, e più efficacemente, in profondità nella crosta, nella litosfera, nel mantello e nucleo della Terra; le rocce scambiano anche parti con le altre sfere terrestri, non formate da rocce. Sono allora la parte costitutiva importante del mondo minerale e le madri di tutto quanto esiste sul pianeta. I percorsi dei costituenti delle rocce, i minerali e i loro elementi chimici, sono spesso tracciabili e i Geologi hanno messo in opera percorsi analitici e linee di sintesi che manifestano come da pochi granuletti di minerale compresi in una roccia si possa tracciare gran parte della sua storia. Come si genera una catena di montagne, fenomeno attraente per la fantasia di tutti, è racchiuso nei messaggi di scambio chimico che le rocce si sono inviate in diversi ambienti. I Geologi usano dire paradigmaticamente che “ogni roccia è la testimonianza del suo ambiente”, segnala il luogo terrestre, anche profondamente sotterraneo, in cui è nata! E qui le cose si complicano, quanto all’apparente astrusità dei messaggi, ma in realtà, come per ogni investigazione, più messaggi raccogliamo, meglio individueremo il loro mondo di provenienza (proprio così come ricostruiamo le tracce lasciate dagli autori di un misfatto). Ad esempio i granuli delle rocce sono capaci di cambiare forma, come i metalli che siamo abituati a forgiare, e più sono scesi in profondità, meglio hanno cambiato foggia, laminandosi, torcendosi e filandosi, come sotto le presse di un’officina. La lettura scientifica di una combinazione sufficientemente convincente di marcature naturali ci porta a solide convinzioni sul percorso di formazione di molte rocce, che spiegano avvenimenti terrestri importanti come i moti dei continenti, sino a ieri fatto confinante col fantastico.

Ora un vantaggio, che libera la scienza dal suo alone austero: guardare le rocce in laboratorio è assolutamente avvincente, almeno quanto andare a raccoglierle nei grandi panorami terrestri, le catene montuose, i deserti, gli abissi oceanici. E’ fortemente coinvolgente dal punto di vista estetico: un mondo colorato degno di un critico d’arte moderna! Senza questa fascinazione, nessun geologo abituato ai grandi spazi passerebbe volentieri notti e notti d’inverno chiuso in un bunker-laboratorio scientifico.

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La Scienza dei Materiali Antichi: vedere l’Arte attraverso le Geoscienze

Bruno Messiga e Maria Pia Riccardi Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Pavia (www.smalab.org)

Uno degli ambiti nei quali le Geoscienze hanno prodotto innovazione, in questo decennio, nasce dall’intersezione con le Scienze Archeologiche e Storico-Artistiche. Questa ibridizzazione dei Saperi produce innovazione metodologica e di processo, traendo criteri di interpretazione dei processi pre-industriali dalla visione oolistica, propria delle nostre discipline.

L’esempio che si propone parte dalla considerazione che esistono vetri naturali e vetri artificiali e che entrambi, dopo la loro formazione percorrono, nel tempo, strade diverse caratterizzate, comunque da processi di alterazione. Sorprendentemente esiste una profonda similitudine nei processi di alterazione dei vetri naturali e quelli artificiali: i pattern di alterazione dei vetri naturali sono simili a quelli che si sviluppano in vetri artificiali.

Il primo studio sul processo di alterazione del vetro risale al 1922 quando Mellor descrisse il processo di attacco di licheni sui vetri di una vetrata istoriata. Il confronto tra la ricerca condotta sull’alterazione dei vetri vulcanici dei centri di emissione oceanici e su quelli ritrovati in sedimenti archeologi o su quelli delle vetrate istoriate, mostra pattern di alterazione sorprendentemente simili che sono indicativi di analoghi processi che avvengono in Natura, sebbene in ambienti completamente differenti.

Lo studio dei materiali antichi si interessa dei numerosi fattori che hanno concorso a dotare i manufatti di caratteristiche intrinseche di estrema complessità. Per questa ragione gli studi devono ricorrere a svariate tecniche di indagine che, solo integrandosi, consentono di studiare i processi di produzione dei manufatti e di trasformazione delle materie prime, queste ultime, in genere, di origine”geologica”.

Nello studio di una produzione storica, le domande alle quali occorre fornire una risposta sono del tipo: - quali sono gli attributi di provenienza dell’oggetto e delle materie prime che lo costituiscono? - quale effetto hanno le caratteristiche fisico-chimiche dei materiali e l’abilità dell’artigiano specializzato sugli attributi materiali e funzionali dei manufatti?

Questa dimensione intangibile del Bene Culturale completa la sua fruizione sociale, quindi lo valorizza. Un manufatto, oggetto tangibile, può essere compreso ed interpretato attraverso la sua dimensione intangibile. Le ricerche infatti sono rivolte, non solo alla caratterizzazione degli attributi chimico-fisici dei prodotti, ma anche alla definizione della sequenza di produzione e alla sua organizzazione.

Lo studio dell’alterazione delle vetrate della Certosa di Pavia attraverso la scoperta delle antiche tecniche di produzione e di lavorazione non rappresenta solo un elegante esercizio di ricerca ma fornisce informazioni essenziali alla progettazione di un restauro sostenibile e alla scelta dei materiali compatibili. Le forme e gli agenti dei processi di alterazione sono uno strumento per comprendere la cinetica dell’avanzamento del degrado e forniscono quindi elementi essenziali per predisporre i piani di manutenzione programmata, per conservare dopo il restauro. In tale ambito l’acquisizione del massimo delle conoscenze è lo strumento indispensabile a supporto delle decisioni operative. Al tempo stesso la ricerca deve fornire strumenti diagnostici che siano praticabili.

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Geositi e sentieri geologici di Lombardia

Dario Sciunnach Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica

Nel 1982, la Lombardia è stata la prima regione italiana a elaborare un elenco (che è andato

ampliandosi negli ultimi 15 anni grazie all’attività della Direzione Generale regionale Qualità dell’Ambiente) di siti di interesse geologico e naturalistico per i quali avviare azioni di tutela specifica. Oltre 50 siti caratterizzati da un interesse abiotico prevalente o parziale sono stati assoggettati a una normativa di tutela cogente tramite l’istituzione di riserve e monumenti naturali (L.R. 86/83), sicché oggi risultano ben noti sia alle popolazioni locali, sia agli addetti ai lavori.

I geositi trovano una posizione definita nella normativa comunitaria, in particolare nella Raccomandazione del Consiglio d’Europa Rec(2004)3 sulla conservazione del patrimonio geologico e delle aree di particolare interesse geologico, adottata dal Comitato dei Ministri il 5 maggio 2004: sono inoltre oggetto di un censimento nazionale, coordinato da IRPA – già APAT (Progetto “Conservazione del Patrimonio Geologico Italiano” - CPGI).

Dal 2004, nel quadro delle attività di attuazione del Progetto CARG, la Direzione Generale Territorio e Urbanistica ha aderito al Progetto CPGI. In tale contesto è stata avviata un’indagine che ha tenuto conto di diverse tipologie di fonti (siti precedentemente vincolati in quanto riserve o monumenti naturali; località-tipo o stratotipi di unità litostratigrafiche validate nell’ambito del Catalogo delle Formazioni Geologiche Italiane; siti di rilevanza geologica mondiale, es. siti UNESCO definiti per caratteristiche naturali e GSSP; geoparchi e sentieri geologici già istituiti; schede inventario compilate da soggetti individuati come referenti; situazioni ampiamente consolidate nella conoscenza diffusa del territorio e nella letteratura, note alla Direzione Generale o segnalate per iniziativa autonoma di specialisti ed esperti; siti individuati ex novo nel corso dei rilevamenti CARG; studi e pubblicazioni di settore), ma anche di criteri che garantissero una correlazione con il grado di geodiversità del territorio. A questo scopo si è contingentato, almeno in via orientativa, il numero di geositi da istituire in ciascuna provincia valutandone il grado di correlazione con il grado di geodiversità del territorio: quest’ultimo quantificato calcolando, per ciascuna provincia, l’indice di diversità di Shannon-Weaver su base litostratigrafica.

Sempre nel 2004, il D.Lgs. 42 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”, meglio noto come “Codice Urbani”) ha stabilito la necessità di adeguare entro Maggio 2008 i Piani Paesistici Regionali vigenti, riconoscendo, tra l’altro, le “singolarità geologiche” di cui alla storica Legge 1497/39 come beni paesaggistici da assoggettare a norme di tutela e valorizzazione.

Regione Lombardia ha adempiuto al compito presentando l’integrazione e aggiornamento del Piano Territoriale Paesistico Regionale, vigente dal 2001 (D.G.R. n. VIII/6447 del 16 Gennaio 2008). Un forte elemento di novità del nuovo articolato normativo, che sarà efficace dopo l’approvazione in Consiglio Regionale, sta nell’aver incorporato i geositi come nuova categoria di tutela e valorizzazione del territorio. L’art. 22 della normativa di Piano definisce i geositi, ne stabilisce una classificazione secondo i motivi di interesse scientifico prevalente (mutuati dalla Scheda Inventario APAT) e, in base alla classificazione, li assoggetta a tre tipologie di tutela distinte e specifiche. Attribuisce inoltre alle province (alcune delle quali avevano già istituito geositi attraverso i propri PTCP) e ai parchi l’onere di perimetrare i siti individuati puntualmente nel Piano Paesaggistico Regionale, nonché la facoltà di individuare ulteriori geositi di rilevanza locale. Nei collegati repertori e nella cartografia di Piano, immediatamente vigenti, si individuando in totale 264 geositi, 34 dei quali di livello locale

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Musei e geoparchi in Lombardia.

Anna Paganoni Museo Civico di Scienze Naturali “E. Caffi”, Istituto di Geologia e Paleontologia – Bergamo

Associazione Italiana di Geologia &Turismo -

Il 2008 è stato proclamato l’Anno Internazionale del Pianeta Terra dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed è stato rivolto un appello per la diffusione delle Scienze della Terra nella società.

Tra i protagonisti di questo percorso culturale i musei svolgono un ruolo di primo piano; sono infatti istituti per vocazione attenti alla conservazione della natura e dei suoi tesori, promotori di iniziative di tutela, conservazione e valorizzazione.

I musei naturalistici in primo luogo ma anche gli ecomusei, i monumenti naturali, i parchi ed i geoparchi sono impegnati nella conservazione dei beni geologici in senso lato e nella contestuale valorizzazione in senso turistico ed educativo (vedi ad es. www.museoscienzebergamo.it - www.triassico.it - www.geologiaeturismo.it). Ne è un esempio la recente realizzazione del progetto EST: educare alla Scienza ed alla Tecnologia che ha visto protagonisti musei e raccolte museali lombardi.

Nella nostra regione i musei hanno difficoltà a svolgere un ruolo di primo piano in questo campo, confrontandosi troppo spesso con forti pressioni antropiche, scarsa inclinazione verso la conservazione del territorio e sensibilità generalmente rivolta verso il patrimonio culturale non naturalistico.

La recentissima istituzione nel giugno 2008 del primo geoparco alpino italiano nell’area Adamello-Brenta potrebbe essere uno stimolo per un suo ampliamento in territorio lombardo.

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Un tuffo nei laghi lombardi

Daniela Fanetti e Sabina Rossi Dipartimento Scienze Chimiche ed Ambientali, Università degli Studi dell’Insubria, Como

I bacini lacustri, oltre ad essere un elemento che caratterizza in modo rilevante il paesaggio

della nostra regione, rappresentano una preziosa fonte di dati per gli scienziati che si occupano dello studio della storia geologica del territorio. I laghi infatti possono essere considerati dei contenitori di informazioni che permettono di ricostruire i processi geologico-ambientali avvenuti all’interno dello specchio d’acqua a livello locale, ma anche per studiare a più ampia scala le trasformazioni dell’ambiente e del clima nel passato. Al pari di altri archivi naturali, i bacini lacustri contengono una serie di indicatori ambientali (ad es. gli elementi chimici, i sedimenti, i fossili animali e vegetali) che possono essere analizzati e misurati: essi hanno registrato la storia del clima e dell’ambiente, talvolta con estremo dettaglio. Questi indicatori ci raccontano, come le pagine di un libro, cosa è avvenuto nel territorio circostante nel passato e ci permettono di ipotizzarne l’evoluzione futura.

Negli ultimi anni importanti spunti di ricerca sono venuti dallo studio dei laghi situati nelle Prealpi Lombarde, che sono stati investigati grazie alla collaborazione di numerosi istituti scientifici europei. Tra i grandi bacini lombardi il Lago di Como, che è il più profondo lago sud-alpino (425 m), è stato oggetto di uno studio morfobatimetrico completo ed i suoi sedimenti sono stati investigati con una strumentazione sismica ad alto dettaglio che ha consentito di definire la loro struttura interna, grazie alle sezioni in 2D prodotte, e di ottimizzare l’ubicazione di campionamenti diretti di materiale. Dallo studio della morfologia del fondo si è potuto suddividere un lago così esteso e complesso come il Lario in diversi sottobacini, accumunati dalle stesse caratteristiche idrologiche e limnogeologiche. Dalle indagini sismiche e dalle analisi dei sedimenti si è definito: il tipo di sedimentazione che ha caratterizzato il lago nel recente passato; quali sono le sorgenti dei sedimenti presenti; qual è il tasso di sedimentazione nei vari sottobacini lacuali; quali eventi straordinari sono stati registrati nel record sedimentario (alluvioni, frane, terremoti) e quali eventi registrati nel Lario sono comuni ad altri laghi (es. Lago d’Iseo) e hanno pertanto valenza regionale.

I depositi lacustri sono stati inoltre oggetto di analisi palinologiche: lo studio del polline fossile è una delle tecniche più precise e versatili per la ricostruzione del paesaggio e delle sue modificazioni, attraverso lo studio dei resti vegetali che vengono intrappolati all’interno dei depositi. Le carote prelevate dal fondo del lago hanno fornito dei profili pollinici poco definiti, ma maggiori informazioni sono venute dall’analisi di lunghe perforazioni nel settore perilacustre, che descrivono l’evoluzione della vegetazione dalla fine dell’ultima glaciazione all’interglaciale attuale. La storia della vegetazione trova conferma anche dai numerosi profili pollinici dei laghi lombardi noti in letteratura ed in corso di studio (ad es. il Lago d’Iseo). Uno degli aspetti più interessanti emersi è come la vegetazione a latifoglie abbia subito una repentina e significativa diffusione a livello regionale non appena le condizioni climatiche migliorarono al termine dell’ultimo periodo glaciale. La rapidità della risposta della vegetazione ai mutamenti climatici è confermata da studi ad alto dettaglio su sedimenti di cui si conosce una precisa scansione temporale, come ad es. i depositi lacustri del paleolago di Pianico-Sellere (BG). Questi depositi documentano un periodo interglaciale del Pleistocene medio in cui le foreste di latifoglie scomparvero talvolta in meno di un secolo a seguito di un peggioramento climatico.

Da questi studi emerge l’importanza sia delle analisi multidisciplinari, per ottenere una più precisa ricostruzione delle dinamiche ambientali, che degli archivi lacustri, in quanto continui e poco disturbati, molto sensibili alle variazioni in atto in un intorno che coinvolge l’intero bacino idrografico e patrimonio comune da preservare e proteggere.

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Come crescono le montagne: terremoti ed evoluzione del paesaggio in Lombardia

Alessandro Maria Michetti Dip. di Scienze Chimiche ed Ambientali, Università dell'Insubria, Como

Perché la Lombardia è una regione sismica, anche se i terremoti forti vi avvengono raramente? Come crescono le Alpi? Come i terremoti possono influenzare l’evoluzione del paesaggio lombardo? Quali contributi offre la geologia alla mitigazione del rischio sismico? Le risposte a queste domande sono strettamente connesse fra loro e sono l’oggetto di una disciplina, la Paleosismologia, che negli ultimi decenni ha avuto grande svilupp ed è stata recentemente applicata anche nel territorio lombardo. Grazie a una collaborazione fra varie Università ed Enti di Ricerca (Insubria, Milano, UCL London, Innsbruck, Brescia, Boulder, Servizio Geologico d’Italia, ISPRA, Regione Lombardia) e con il contributo di ENI, negli ultimi anni è stato possibile raccogliere dati sull’attività tettonica recente e sul potenziale sismico dell’Avanfossa Padana, con particolare riferimento al fronte strutturale sudalpino lombardo. Ed è proprio nelle avanfosse, i grandi bacini sedimentari allungati ai fianchi delle catene montuose, che nascono le strutture tettoniche che porteranno alla nascita di nuove montagne. Non deve quindi stupire che lungo le Prealpi Lombarde e nella fascia pedemontana antistante si localizzino le sorgenti sismiche più significative, dal punto di vista della pericolosità, di tutta la Regione.Tale attività sismica, e quindi tettonica, è dovuta ai fronti appenninici ed alpini che, al di sotto della pianura, entrano in collisione generando un complesso sistema di pieghe e sovrascorrimenti. Già in passato diversi Autori avevano evidenziato l’attivazione di tali strutture anche in tempi recenti (Desio, 1965; Bini et al., 1992; Serva, 1990; Zanchi et al., 1997), ma solo negli ultimi anni la tematica è stata affrontata con un approccio moderno (Burrato et al., 2003; Chunga et al., 2007; Sileo et al., 2007; Livio et al., 2008). Il quadro strutturale emerso, anche attraverso la raccolta di nuovi dati sul terreno, è diverso da quello comunemente accettato, ed ha permesso di chiarire come la tettonica compressiva del settore pedemontano lombardo sia stata attiva durante tutto il Quaternario. Inoltre, è stato evidenziato come i terremoti della Pianura Padana non possano essere considerati solamente come un fenomeno “secondario” dello sviluppo dell’Avanfossa Appenninica, e quindi essenzialmente dell’attività legata alla fascia di svincolo giudicariense (Galadini e Galli, 2001; Guidoboni et al, 2005). Resta aperto il problema legato ai forti terremoti medievali, come l’evento del 25/12/1222 (Io = IX-X MCS, Magri e Molin, 1986; Guidoboni, 1986; Serva, 1990; Guidoboni, 2002), localizzato nell’area meridionale della diocesi di Brescia, oppure quello del 03/01/1117 nel veronese (Io = IX-X MCS; Guidoboni e Valensise, 2005; Galli, 2006), ancora orfani di una propria struttura sorgente. L’intensità epicentrale evidenziata dalle fonti storiche, implica necessariamente lo sviluppo di fenomeni di deformazione e dislocazione superficiale, oltre che di altri effetti secondari sul terreno. Infatti, gli effetti descritti si riferiscono a rilasci di energia sismica legati a terremoti con ipocentro poco profondo, che nelle scale di intensità (Michetti et al., 2004; 2007) risultano tipicamente accompagnati da fagliazione superficiale. Nell’area epicentrale di tali terremoti, quindi, doveva essere possibile osservare effetti tettonici ambientali cosismici e, con la ripetizione di tali eventi, osservare depositi e morfologie che fossero il risultato della sommatoria nel tempo di tali eventi sul paesaggio (concetto di paesaggio sismico; Serva et al., 1988; Michetti et al 2005).

La ricerca sul terreno di tali evidenze, ha consentito l’individuazione nell’area epicentrale del terremoto del Bresciano del 25/12/1222 di una località passibile di indagini paleosismiche, ubicata sulla sommità di uno dei cosiddetti “rilievi isolati” della Pianura Lombarda (piccoli colli sollevati nel Quaternario per cause tettoniche; Desio, 1965). Sul Monte Netto di Capriano del Colle (Bs) recenti lavori di cava, hanno infatti messo in luce una sequenza fluviale o fluvioglaciale ricoperta da coltri loessiche che presenta chiare tracce di deformazioni tettoniche recenti. Di particolare rilievo la presenza di fenomeni di fagliazione superficiale cosismica, che vengono documentati per la prima volta con tale evidenza stratigrafica nell’ambito dell’intera Avanfossa Padana.

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Valchiavenna: Un esempio di cartografia geologico tecnica

Barbara Aldighieri1, Alessio Conforto2, Guido Mazzoleni 2, Giorgio Pasquaré 2 e Giuseppe Sfondrini 2

1 CNR-IDPA, 2 Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano

Nell’ambito del “Progetto Valchiavenna” è’ stata realizzata una cartografia geologico-tecnica

alla scala 1:10.000, sulla base CTR della Regione Lombardia, estesa su 548 km² di territorio, comprendente tutto il bacino italiano del Fiume Mera. Questa deriva direttamente dai rilievi di terreno, non è ricavata a posteriori da una cartografia geologica di tipo tradizionale e costituisce un prototipo che viene qui proposto. Si compone di:

Carta litotecnica: sono state riconosciute 40 unità litologiche informali (25 per i depositi quaternari, 15 per il substrato). I depositi sono stati distinti in funzione dei processi che li hanno generati, evidenziando le caratteristiche litologiche e tessiturali che ne definiscono le proprietà di maggior interesse pratico come permeabilità, propensione alla rimobilizzazione ecc. Il substrato, distinto in affiorante e subaffiorante, è stato classificato mediante l’incrocio della tipologia litologica con gli effetti della deformazione duttile subita, individuando sette gruppi principali (1: rocce intrusive; 2: metagraniti ed ultramafiti compatte; 3: ortogneiss e gneiss migmatitici; 4: paragneiss; 5: metavulcaniti; 6: metasedimenti carbonatici; 7: metapeliti e miloniti). Le caratteristiche primarie di compattezza (determinate dalla storia geologica precedente l’ultima fase di deformazione fragile e corrispondenti solo in pochi casi alla miglior qualità teorica della “matrice roccia”) peggiorano dal gruppo 1 al gruppo 7.

Carte dei lineamenti fragili: si è quindi realizzata una carta dei lineamenti (i cui dati derivano dalla combinazione di cartografia diretta sul terreno e fotointerpretazione di dettaglio) che definisce tipologia ed estensione del reticolo di fessurazione.

L’incrocio dei dati delle due carte permette di individuare, su scala regionale, corpi di roccia omogenei dei quali si possano definire, in primo approccio ed in modo semiquantitativo, le caratteristiche che determinano il comportamento meccanico in condizioni di deformazione fragile.

Come è noto la qualità dell’ammasso dipende non tanto dalla matrice roccia quanto dal reticolo di fessurazione; in questa ottica sono state realizzate le varie “Classificazioni geomeccaniche” in uso per la progettazione delle opere di ingegneria. In questo lavoro si è tenuto presente questa scelta in modo da poter passare agevolmente dai dati cartografici rilevati alle varie classificazioni geomeccaniche.

Parallelamente all’acquisizione dei dati sul terreno si è elaborato un modello concettuale, per costruire una banca dati che ben interpretasse le relazioni esistenti tra le informazioni, per poi definire dei prodotti di output finalizzati alla realizzazione di una cartografia originale, mirata, come detto, alla rappresentazione degli aspetti applicativi.

La banca dati geografica è stata realizzata in ambiente ESRI, utilizzando ArcGis 8.x e poi ArcGis9.x. Come cartografia di base per la rappresentazione delle mappe è stata scelta la cartografia C.T.R. a scala 1:10.000 della Regione Lombardia.

Si è scelto di assegnare ad ogni tipo di informazione uno strato informativo (layer) con una propria struttura relazionale interna. La banca dati risulta così composta da una serie di layer, la cui aggregazione e combinazione permette la realizzazione di carte tematiche mirate per la descrizione e la rappresentazione degli aspetti litologici, morfologici, strutturali, geomeccanici, ecc. del territorio.

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Una testimonianza paleoambientale nella pianura lombarda: la petroplintite e il fragipan del pianalto di Romanengo (Cremona)

Cristiano Ballabio, Enrico Casati, Roberto Comolli, Michele D’Amico, Chiara Ferré e Franco Previtali

Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano Bicocca

Il pianalto (terrazzo) di Romanengo (Cremona) si compone principalmente di alternanze piuttosto regolari di sabbie e argille fluviali del Pleistocene Medio, presenti fino alla profondità di 200 m circa. L’antico terrazzo è stato interessato da un sollevamento tettonico connesso ad una struttura anticlinale profonda, ancora attiva nel Pleistocene (Desio, 1965). Tale movimento doveva già essersi concluso o attenuato nel Pleistocene Superiore (Cremaschi, 1987), quando iniziavano a depositarsi, attorno al pianalto i sedimenti sabbioso-ghiaiosi costituenti il cosiddetto “Livello Fondamentale della Pianura”. Contestualmente al sollevamento, l’alterazione atmosferica e i processi pedogenetici portavano alla formazione di suoli lisciviati (Luvisols, Alfisols, Sols Lessivés), interessati, tra l’altro, da fenomeni di gleyzzazione (idromorfia). Le oscillazioni di livello di una falda freatica presente nel substrato sabbioso-argilloso determinavano cicli alterni di saturazione idrica e di disseccamento dei suoli. Le condizioni climatiche dovevano presumibilmente essere poco più calde e umide delle attuali (e.g., un interglaciale), capaci cioè, di sviluppare una plintite. Tale particolare orizzonte pedologico si sviluppa per segregazione di ferro e manganese nel suolo, indotta da intensi fenomeni di ossido-riduzione provocati dalle oscillazioni della falda. In condizioni di saturazione idrica la maggior parte del ferro si trova allo stato ferroso e mobile, ma esso precipita in forma di ossido quando le condizioni del mezzo divengono più secche, e non si discioglie nuovamente, o solo in parte, quando le condizioni ritornano ad essere umide. La plintite presenta una struttura reticolare o poligonale a screziature rosse e brune, con zone grigie di deplezione. Il ferro è accompagnato da significative quantità di alluminio e manganese, in presenza di silice e minerali minori. L’esposizione agli agenti atmosferici, con abbassamento di livello o sparizione della falda, il diradamento della vegetazione, un cambio climatico, favoriscono la trasformazione della plintite in petroplintite, con indurimento irreversibile e acquisizione di consistenza litoide e impermeabilità. Numerosi termini sono stati impiegati in letteratura per designare tale corpo pedogenetico: ironstone, corazza ferruginosa, laterite pisolitica, duricrust, ferricrete/silcrete crust. Nel pianalto di Romanengo, ad una profondità oscillante fra 150 e 200 cm., è stato rinvenuto un orizzonte petroplintico. Quest’ultimo è coperto da oltre un metro di loess, a spese del quale si sono sviluppati dei Luvisols, racchiudenti un orizzonte a fragipan. Questo orizzonte possiede tessitura limoso-sabbiosa, elevata densità apparente, durezza e coesività allo stato secco, friabilità allo stato umido, struttura prismatica o colonnare. Nell’area la formazione del fragipan può attribuirsi a fenomeni di gelivazione, avvenuti nelle fasi fredde, tardo-pleistoceniche.

Attualmente, le petroplintiti si rinvengono in regioni tropicali e subtropicali e pertanto la loro presenza all’interno della serie stratigrafica sopradescritta, costituisce un testimone di condizioni paleoclimatiche più calde delle attuali, esistite nel Pleistocene in tale zona della pianura padana.

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Modellizzazione dei processi di formazione del suolo in ambito alpino

Cristiano Ballabio, Roberto Comolli, Giulio Curioni e Franco Previtali Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano Bicocca.

L’utilizzo delle reti neurali (ANN: Artificial Neural Network) nelle scienze del suolo è

relativamente recente, come la loro applicazione nella cartografia dei suoli. Un uso più rilevante delle reti neurali avviene nel telerilevamento, dove la capacità di questi algoritmi di classificare e modellizzare sistemi complessi assume un ruolo di particolare utilità. Questa capacità di sintesi può essere sfruttata per simulare la complessità spaziale e la variabilità del suolo, permettendo un approccio sintetico, basato sull’esperienza, non diverso da quello umano.

L’area di studio presa in considerazione è la porzione italiana della Val Bregaglia: situata nella parte occidentale delle Alpi Retiche, la valle presenta un andamento est-ovest con quote variabili tra i 200 e i 3000 m s.l.m.; l’energia del rilievo è molto accentuata e la presenza di estese DGPV interessa in particolare il versante sud.

Nell’area sono stati aperti, descritti, campionati, analizzati e classificati 80 profili pedologici. Poiché la variabilità spaziale dei suoli in un ambiente così eterogeneo non consente un

approccio classificativo automatico, è stato necessario ridurre la complessità dei parametri da tenere in considerazione; per questo si è scelto di operare sui processi pedogenetici attivi in quest’area di montagna, creando una serie di indici che esprimessero, in modo lineare, il grado del processo di pedogenesi; sono stati presi in esame i processi di podzolizzazione, brunificazione, acidificazione, melanizzazione e lettieramento.

L’approccio qui presentato si basa sulla capacità di particolari tipi di rete neurale di approssimare una funzione di qualsivoglia complessità, non necessariamente lineare. In particolare, il modello di rete utilizzato appartiene alla famiglia dei “multi layer perceptron” (MLP): questa tipologia di reti è in grado di agire come classificatore puro, ma anche di approssimare funzioni. Per addestrare la rete sono stati utilizzati gli indici dei diversi processi di pedogenesi, mentre come input sono state considerate unità geologiche, tipologie vegetazionali, uso del suolo e variabili topografiche (esposizione, quota e pendenza).

Sul totale dei profili pedologici disponibili, 50 sono stati utilizzati per la fase di addestramento, mentre i restanti 30 sono stati usati per la validazione.

La rete è stata addestrata mediante un apprendimento supervisionato (supervised learning), comprendente esempi tipici di ingressi (le variabili ambientali), con le relative uscite loro corrispondenti (gli indici calcolati per i 50 profili): in tal modo la rete può imparare ad inferire la relazione che li lega. Successivamente, la rete è addestrata mediante un opportuno algoritmo (tipicamente, la backpropagation, algoritmo d'apprendimento supervisionato), il quale usa tali dati allo scopo di modificare i pesi ed altri parametri della rete stessa, in modo da minimizzare l'errore di previsione relativo all'insieme d'addestramento. Se l'addestramento ha successo, la rete impara a riconoscere la relazione incognita che lega le variabili d'ingresso a quelle d'uscita, ed è in grado di fare previsioni anche laddove l'uscita non è nota a priori.

Per il processo di podzolizzazione, il campione di validazione mostra valori di R2 pari a 0,68: la metodologia utilizzata sembra dunque essere molto promettente per lo studio della distribuzione spaziale dei suoli negli ambienti alpini.

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Vincoli cronostratigrafici sull’attività vulcanica del Permiano inferiore nei bacini permiani delle Prealpi Orobie (Lombardia): significato delle datazioni su zirconi con laser ablation

ICPMS

Fabrizio Berra1, Valeria Caironi1, Gian Bartolomeo Siletto2 e Massimo Tiepolo3

1Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano 2Regione Piemonte Dir. Program.Strategica, Politiche Territoriali ed Edilizia Sett.Cartografico

3CNR- Istituto di Geoscienze e Georisorse U.O Pavia

Datazioni radiometriche sulla durata del vulcanismo effusivo del Permiano inferiore delle Alpi Meridionali sono disponibili in bibliografia sulla successione della Formazione di Collio del Bacino Trumplino (BS) e sul settore atesino. Nella successione permiana delle Prealpi Orobiche non sono disponibili datazioni affidabili e questo non consente di avere vincoli sulla durata dell’evento vulcanico che caratterizza buona parte della successione del Permiano Inferiore. La realizzazione dei fogli geologici nell’ambito del Progetto CARG della Regione Lombardia ha fornito l’opportunità di effettuare, oltre ad una revisione stratigrafica della successione, datazioni radiometriche sui depositi effusivi su una sezione della successione vulcanitica del Permiano inferiore (Vulcanite del Monte Cabianca, “Collio vulcanico” Auct.) potente circa 700 metri nel settore studiato (alta Val Seriana). In questa successione, stratigraficamente compresa, con limiti netti, tra il Conglomerato Basale e la Formazione del Pizzo del Diavolo (“Collio sedimentario” Auct.) sono stati raccolti e separati meccanicamente zirconi da un totale di cinque campioni della parte basale e della parte sommitale della Vulcanite del Monte Cabianca, al fine di eseguire analisi radiometriche U-Pb. Dopo l’analisi morfologica e della struttura interna, mediante catodoluminescenza, sono stati determinati i rapporti 206Pb/238U e 207Pb/235U mediante laser ablation ICPMS.

I risultati ottenuti indicano una complessità maggiore nell’interpretazione delle datazioni nella parte sommitale dell’unità rispetto alla parte inferiore. Il campione basale (raccolto nel primo flusso piroclastico al di sopra del Conglomerato Basale) presenta una distribuzione unimodale delle età ed è possibile definire una età concordia media a circa 279 Ma. Fa eccezione in questo campione un‘analisi che risulta leggermente più giovane a circa 245 Ma. Alcune analisi più vecchie (attorno a 290-320 Ma) sono state rinvenute in campioni sovrastanti stratigraficamente pochi metri e sono riferite a zirconi ereditati.

Anche gli zirconi estratti dai campioni provenienti dalla parte sommitale della Vulcanite del Monte Cabianca appartengono morfologicamente ad una sola popolazione, con caratteristiche analoghe a quelli presenti nei campioni raccolti alla base dell’unità. Tuttavia le età ottenute da questi zirconi presentano una distribuzione marcatamente bimodale che evidenzia due picchi: uno antico attorno ai 280 Ma ed uno più giovane attorno ai 270 Ma. È verosimile interpretare questa distribuzione bimodale delle età con la presenza nelle vulcaniti dell’ultima fase di zirconi appartenenti alla fase precedente che risultano indistinguibili su base morfologica per le similitudini composizionali dei due eventi magmatici. Si ritiene affidabile quindi l’età data dal picco più giovane a circa 270 Ma per la fine dell’attività vulcanica responsabile della deposizione della Vulcanite del Monte Cabianca.

I dati preliminari raccolti indicano una durata di circa 10 Ma per la fase vulcanica nel bacino permiano delle Prealpi Orobiche. Tale durata risulta maggiore di quella documentata nel Bacino Trumplino e soprattutto risulta leggermente più giovane l’inizio dell’attività effusiva, suggerendo una migrazione nel tempo dell’attività vulcanica del Permiano inferiore nelle Alpi Meridionali.

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Le acque solforose nel contesto geologico-strutturale dell’appennino Pavese: caratteristiche idrochimiche e isotopiche

Marica Bersan, Giorgio Pilla, Gabriele Dolza, Claudia Meisina e Gianfranco Ciancetti

Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia

Il presente lavoro ha previsto lo studio delle acque contraddistinte da idrogeno solforato emergenti in un area piuttosto ampia, che si colloca alle propaggini settentrionali della catena appenninica centrata sull’Appennino Pavese, tra la Val Trebbia, la Val Staffora e l’antistante Pianura Padana, fino al Colle di San Colombano.

Le acque studiate emergono pertanto in contesti geologici e tettonico-strutturali piuttosto differenti; settori interni della catena appenninica (finestra di Bobbio), fronte sepolto dell’Appennino settentrionale (arco emiliano), sovrascorrimenti ed importanti strutture tettoniche di questo settore dell’Appennino, che condizionano e controllano la circolazione idrica sotterranea superficiale e profonda e il chimismo delle acque studiate.

Lo studio ha previsto inizialmente, il censimento delle acque contraddistinte da idrogeno solforato. Ad eccezione di alcune acque (Salice Terme, Rivanazzano, Miradolo Terme, San Colombano al Lambro, Bobbio), molte delle quali note già dal periodo romano, le rimanenti erano conosciute solamente a livello locale.

In totale sono state studiate circa 30 acque sotterranee acquisendo sul terreno i valori della portata delle sorgenti, i principali parametri chimico-fisici (temperatura, conducibilità elettrica, pH, potenziale redox) e la concentrazione in idrogeno solforato. Le analisi chimiche sono state realizzate presso il Laboratorio di Idrologia, Idrogeologia e Idrochimica del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Pavia.

Sulle stesse acque sono state effettuate anche analisi isotopiche relative agli isotopi stabili della molecola dell’acqua (Ossigeno-18 e Deuterio) e dei dei solfati e solfuri disciolti (d34S e d18O).

Dallo studio idrochimico è emerso che le acque campionate possiedono idrofacies chimiche molto differenziate (Na-Cl, Na-HCO3, Ca-SO4, Na-SO4, Ca-HCO3 e Ca, Mg-HCO3), con una grande variazione nel loro grado di mineralizzazione (TDS variabile circa tra 500 mg/l e 40000 mg/l). Le medesime presentano concentrazioni significative in H2S o HS-, comprese tra pochi mg/l e 17 mg/l circa.

Le indagini condotte hanno permesso di formulare alcune ipotesi circa l’origine delle acque e della loro mineralizzazione, evidenziando, grazie all’indagine isotopica dei solfati e dei solfuri disciolti, significative differenze relative alla provenienza dei composti dello zolfo e dei processi ossido-riduttivi che li vede coinvolti.

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Rischio idrogeologico: valutazione della pericolosità e della vulnerabilità per la stima economica dei danni e per la gestione in tempo reale delle emergenze

Jan Blahut12, Mattia De Amicis1, Simone Frigerio12 , Ilaria Poretti1 ,

Simone Sironi 1e Simone Sterlacchini 2

1Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio,Università degli Studi di Milano - Bicocca 2CNR-IDPA

Nell’ambito del progetto europeo “Mountain Risks: from prediction to management and governance”, è stato messo a punto uno schema metodologico finalizzato alla gestione di eventi idrogeologici “critici” attraverso l’utilizzo di Geographical Information Systems (GIS), Sistemi di Supporto alle Decisioni (DSS - Decision Support Systems), e tecnologie mobili. La metodologia è stata messa a punto e testata nell’ambito della Comunità Montana Valtellina di Tirano (Regione Lombardia, Alpi Centrali), un’area complessa dal punto di vista socio-economico e caratterizzata da un elevato livello di pericolosità e rischio idrogeologico. Innanzitutto è stata eseguita un’analisi relativamente alle condizioni di pericolosità effettivamente esistenti sul territorio montano al fine di identificare geograficamente e mappare specifici scenari di pericolosità, sulla base dei risultati ottenuti attraverso l’applicazione di modelli statistici, l’analisi di record storici, la disponibilità di conoscenze pregresse, e la legislazione vigente a livello nazionale, regionale e locale. Il passo successivo ha riguardato l’analisi dettagliata (1:2.000) degli elementi vulnerabili presenti nell’ambito del territorio montano oggetto di studio (popolazione, infrastrutture, attività, servizi pubblici e privati, ecc.) al fine di definirne le principali caratteristiche. Ulteriori studi hanno riguardato la comprensione dei possibili effetti fisici sugli elementi esposti, causati dall’impatto di eventi potenzialmente distruttivi. È inoltre in corso di realizzazione la caratterizzazione dei trend e dei driver socio-economici attualmente agenti nell’area di studio. Al termine, sono stati derivati alcuni scenari potenziali di rischio, caratterizzati dalla concomitante presenza di alti valori di pericolosità e di elementi vulnerabili con differente importanza dal punto di vista sociale, economico e strategico. A livello di ogni scenario di rischio identificato, è stata quindi eseguita una stima del danno diretto potenziale. Al tempo stesso, sono stati definiti piani di protezione civile al fine di gestire gli eventi idrogeologici “critici” previsti negli scenari predefiniti. In tal caso, è stato messo a punto un flusso di operazioni, gestito mediante un Sistema di Supporto alle Decisioni (implementato in un GIS), per una gestione in tempo reale delle situazioni di emergenza.

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Mammalofaune Pleistoceniche in Lombardia

Fabio Bona e Andrea Tintori Dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”- Università degli Studi di Milano

Le ricerche sui mammiferi Pleistocenici in Lombardia non hanno mai avuto un grande

seguito, benchè fin dalla metà del XIX secolo Cornalia e Stoppani se ne fossero interessati. Fin a pochi anni fa la Lombardia costituiva in realtà un buco nero soprattutto rispetto alla grande attività che si svolgeva ad Est, soprattutto in Veneto

Nel 1991 hanno avuto inizio gli scavi paleontologici presso la Caverna Generosa, una cavità, posta sul confine Italo-svizzero a 1450 m. s.l.m., scoperta nel 1988. La grotta era costituita, prima degli interventi per facilitarne l’accesso, da uno stretto cunicolo iniziale, lungo circa 25 metri, per mezzo del quale si accedeva ad una prima sala, (“saletta”), dalla quale, attraverso uno stretto sifone, si arrivava in una sala più ampia (“Sala Terminale”) dove furono trovati i primi reperti che hanno dato il via agli scavi paleontologici. Nel 1998, in collaborazione con la Ferrovia Monte Generoso SA (con sede in Svizzera), gestore di una struttura recettiva a 1600 metri di quota poco sotto la vetta del Generoso e del trenino a cremagliera che la raggiunge, si è ampliato l’angusto cunicolo d’accesso per facilitare il passaggio dei turisti. Nella primavera del 1999 la grotta stata aperta ai turisti.

La visita ha inizio, per chi arriva dalla Svizzera, presso la stazione d’arrivo del trenino (che parte da Capolago), dove è stata allestita una piccola mostra costituita da poster che illustrano lo scavo in grotta e i principali taxa di mammiferi rinvenuti. Visitata la mostra, una piacevole passeggiata di circa trenta minuti porta all’imbocco della grotta. Per chi giunge dall’Italia, la visita ha inizio dalla Baita di Orimento (raggiungibile con l’auto via San Fedele Intelvi) con una serie di pannelli esplicativi sui vari aspetti geo-paleontologici del Monte Generoso che conducono il turista direttamente davanti all’ingresso della cavità (finanziati dalla CMLario Intelvese nell’ambito di un progetto InterregIIIa ‘Un percorso di 350 milioni di anni’).

Giunti nei pressi della grotta s’incontra la guida, che illustra al turista le principali scoperte fatte in questi anni di lavoro e soddisfa le prime curiosità del visitatore. Dopo l’introduzione ha inizio la vera e propria visita alla grotta (il settore visitabile si estende per circa settanta metri su un percorso sub-orizzontale). All’interno della cavità si osservano i fenomeni carsici che l’hanno generata e le modalità di formazione del deposito paleontologico. Giunti nella “Sala Terminale” si osserva l’ampia area di scavo. Sono visionabili anche riproduzioni delle principali ossa, con anche crani e mandibole, d’Ursus spelaeus. Inoltre per circa tre-quattro settimane l’anno è possibile osservare le attività di scavo.

Il successo di questa iniziativa sta nei numeri: da meno di mille visitatori del 1999 si è passati agli oltre 5000 del 2003, con una media frequenza che si è stabilizzata sulle 4000 unità annue. La grotta è aperta da Giugno fino alla fine di Settembre tutti i giorni, mentre dalla fine d’Aprile e per tutto il mese di Maggio e a Ottobre solo su prenotazione di gruppi e scolaresche.

Questa prolungata attività di ricerca e valorizzazione sul Monte Generoso rappresenta il seguito di altre ricerche svolte in grotte lombarde a partire dalla fine degli anni 80, in particolare nella Grotta Sopra Fontana Marella al Campo dei Fiori sopra Varese, dove, in collaborazione con il Civico Museo Insubrico di Induno Olona, furono eseguiti scavi per diversi anni, ottenendo la miglior sequenza medio-tardo pleistocenica della Lombardia per quanto riguarda i micromammiferi.

Più recentemente sono iniziate anche ricerche atte a definire con maggior precisione la composizione e la distribuzione delle faune pleistoceniche delle alluvioni del Po. Tali faune, sebbene conosciute da tempo, non sono mai state affrontate nel loro insieme, sia per comprendene la tafonomia sia per risalire ai depositi primari che vengono via via smantellati durante le piene del Po e dei suoi affluenti lombardi, principalmente il Ticino e l’Adda.

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Approccio multidisciplinare allo studio dell’evoluzione geologica e paleombientale della Pianura Padana tra Adda ed Oglio dall’Ultimo Massimo Glaciale: primi risultati

Massimiliano Deaddis 1, Mattia De Amicis2, Mauro Marchetti 3,

Cesare Ravazzi1, Giovanni Vezzoli 4

1C.N.R - IDPA, Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali, Milano 2Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano Bicocca

3Dipartimento Scienze della Terra, Università di Modena e Reggio Emilia 4Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli studi di Milano-Bicocca;

Il lavoro si prefigge di ricostruire l’evoluzione geologica e paleoambientale nell'area della

Pianura Padana compresa tra Adda e Oglio a partire dalle fasi di aggradazione dell'Ultimo Massimo Glaciale (LGM).

L’approccio utilizzato prevede l’applicazione di tecniche di indagine diverse ma complementari, rivolte a inquadrare l'area oggetto di studio nel contesto della pianura alluvionale lombarda sotto vari aspetti: geocronologia, paleoecologia, meccanismi evolutivi e fattori forzanti di natura climatica.

Per l'indagine morfometrica è stato realizzato un DTM di grande dettaglio, rendendo possibile anche l'applicazione delle tecniche dei processi di segmentazione che non considerano solo le celle vicine, ma classificano le forme in base ad una serie differente di permutazioni e combinazioni.

La ricostruzione paleoambientale prende inizio dall'interpretazione delle forme di erosione e di aggradazione fluviale che si possono rinvenire sia sulla odierna superficie sia in sezioni esposte o evidenziate da perforazioni a carotaggio continuo, e prosegue con lo studio petrografico, palinologico e radiometrico di successioni stratigrafiche scelte.

Sono state condotte analisi petrografiche quantitative per individuare la provenienza dei sedimenti e caratterizzare il paleodrenaggio dell'area di studio. Le analisi hanno permesso di identificare e delimitare parzialmente i margini di contatto tra il conoide alluvionale del paleo-Adda e quello del paleo-Oglio.

L’analisi palinologica delle principali sezioni stratigrafiche ha permesso di individuare unità biostratigrafiche che forniscono informazioni paleovegetazionali e biocronologiche, nonché la caratterizzazione delle relazioni tra processi di sedimentazione, erosione, contesto climatico regionale ed eventi globali.

L’integrazione delle informazioni raccolte tramite morfometria, morfologia e stratigrafia ha permesso di individuare una serie di unità stratigrafiche di carattere informale e di forme, che compongono la nuova carta geologica dell’area studiata. Sono state inoltre riconosciute le principali trasformazioni geologiche e paleoambientali avvenute in questo tratto di pianura padana tra la parte media dell’ultima glaciazione (Würm medio), l’inizio dell’LGM (30 mila anni cal BP; Lambeck et. al., 2002) e il Tardoglaciale (19 – 11,5 mila anni cal BP).

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Gli acquiferi profondi della Lombardia sud-occidentale: indagini idrochimiche e geochimiche isotopiche a supporto della corretta gestione di una risorsa strategica

Silvia Guffanti1, Giorgio Pilla1, Elisa Sacchi 12, Gianfranco Ciancetti 1 1Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia

2CNR-IGG, Sezione di Pavia

La presente ricerca ha avuto come obiettivo lo studio degli acquiferi del sottosuolo della Lombardia sud-occidentale che si sviluppano a nord del F. Po (territori compresi nell’ambito delle Province di Pavia e di Lodi), con particolare riferimento a quelli che si sviluppano a maggiori profondità. Lo studio è stato condotto sia con le tecniche proprie dell’idrogeologia classica sia con tecniche idrochimiche e geochimiche isotopiche.

Da un punto di vista idrogeologico, il sottosuolo dell’area lombarda investigata, a nord del F. Po, è contraddistinto da un acquifero compartimentato multifalda, a falda superiore libera. Lo spessore dell’acquifero freatico è di circa 60-80 m, mentre i sottostanti acquiferi confinati, che si sviluppano anche fino a profondità superiori a 200 m, mostrano nei settori meridionali, spessori inferiori, a causa della presenza di morfostrutture sepolte modellate nei terreni marini. Localmente il substrato di origine marina tende ad innalzarsi a livelli prossimi al piano di campagna o ad innalzarsi al di sopra del piano generale della pianura (bassa pianura pavese - lodigiana).

Da un punto di vista idrochimico le acque mostrano un’idrofacies di tipo bicarbonato-calcica, con un grado di mineralizzazione generalmente medio-basso, che tende ulteriormente a diminuire all’aumentare della profondità dei circuiti. Le acque degli acquiferi freatici mostrano chiari indizi di inquinamento di origine superficiale; al contrario le acque contenute negli acquiferi più profondi, idraulicamente isolati da quelli più superficiali da orizzonti impermeabili a sviluppo regionale, mostrano standards qualitativi decisamente elevati.

L’utilizzo degli isotopi stabili della molecola dell’acqua, ha permesso di evidenziare le diversità esistenti tra le falde studiate, permettendo di identificare anche le loro aree di alimentazione. Per gli acquiferi più superficiali, lo studio isotopico ha permesso di evidenziare il contributo alla ricarica apportato dalle acque di precipitazione e dalle acque di irrigazione, mentre, per le falde profonde, caratterizzate da valori del segnale isotopico molto più omogenei, si apprezza essenzialmente il contributo apportato dalla falda di monte, a confermare l’isolamento di queste ultime da quelle soprastanti. L’omogeneità del segnale dell’ossigeno-18 e del deuterio a livello regionale, evidenzia come le falde profonde abbiano continuità e una notevole estensione areale. Tali acquiferi ospitano acque contraddistinte da tempi di permanenza nel sottosuolo, calcolati attraverso l’utilizzo del carbonio-14, di alcuni migliaia di anni. Siffatti tempi trovano giustificazione dalla lontananza della loro area di ricarica (fascia pedemontana alpina) e dall’innalzamento verso meridione dei sottostanti terreni mio-pliocenici marini a bassa permeabilità, che ostacolano il loro naturale percorso verso i quadranti sud-orientali. Alcuni pozzi attingenti a falde più profonde (Lomellina) mostrano tempi di soggiorno maggiori (superiori a 10000 anni) e rapporti isotopici più negativi, evidenziando condizioni climatiche al momento della ricarica, molto differenti da quelle attuali.

Lo studio evidenzia come l’idrochimica e la geochimica isotopica siano strumenti di grande efficacia per acquisire informazioni significative in merito alla circolazione idrica sotterranea. Gli elevati tempi di residenza delle acque negli acquiferi profondi sottolineano, infine, come tale risorsa non sia rinnovabile in tempi brevi. Questa particolarità, insieme alle elevate caratteristiche qualitative di queste acque inducono ad una profonda riflessione sul loro sfruttamento per fini che non siano esclusivamente idropotabili.

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Il ghiaccio in grotta della Grigna Settentrionale: un nuovo archivio di informazioni climatiche ed ambientali

Valter Maggi1, Stefano Turri2, Alfredo Bini2

1Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio,Università degli Studi di Milano - Bicocca 2Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano

Il ghiaccio in grotta, così come i ghiacciai, sembra essere uno degli archivi di informazioni climatiche ed ambientali più promettenti, con la differenza che questi depositi si trovano spesso ben al disotto della linea delle nevi permanenti, coprendo quindi una fascia altitudinale più bassa. In Italia le principali manifestazioni si trovano sulle Alpi, comprendendo quindi anche la Lombardia.

L’area del Moncodeno, così come l’intera Grigna Settentionale (LC), rappresenta un settore intensamente carsificato dove sono presenti numerose grotte a prevalente sviluppo verticale. In alcune di queste grotte è stata osservata l’esistenza di depositi di neve e ghiaccio che possono essere in alcuni casi ricondotti a depositi di precipitazione diretta delle nevicate. Altre grotte invece presentano depositi di ghiaccio a profondità molto elevate, in cavità che non presentano contatto con l’esterno. La grotta LOCO1650 “Abisso al Margine dell’Alto Bregai” (Moncodeno, imbocco a 1800 m a.s.l.) è rappresentata da un pozzo di oltre 80 m di profondità separato dalla superficie da un meandro che non permette l’ingresso diretto di neve o valanghe. A circa 50 m di profondità in posizione mediana, il pozzo è quasi. completamente ostruito da un deposito di ghiaccio di circa 20 m di spessore, che presenta una stratificazione evidente, senza però raggiungerne la base. Questo ghiaccio, originato da acqua di stillicidio percolante dalla roccia, rappresenta un’interessante oggetto di studio della formazione ed evoluzione di ghiaccio in profondità.

A partire dal 2001 la grotta ed il deposito sono soggetti di studi di carattere topografico, glaciologico e microclimatico. Inoltre, a partire dal 2005 è stata installata una stazione micro-climatica nel suo interno con termometri, igrometri ed anemometri per studiare i fenomeni di circolazione dell’aria, confrontati con dati esterni provenienti da una stazione meteorologica posizionata all’ingresso della grotta. Inoltre è stata effettuata una perforazione nel ghiaccio per determinarne la composizione chimica e confrontare i dati con altri depositi di ghiaccio in grotta (italiani e stranieri) e dei ghiacciai alpini studiati.

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Problematiche geologico-tecniche connesse al recupero ambientale di cave cessate: l’esempio della Provincia di Pavia.

Claudia Meisina, Achille Piccio, Davide Notti

Dipartimento di Scienze della Terra – Università degli Studi di Pavia

Le risorse estrattive della Provincia di Pavia sono costituite da sabbie e, in misura minore, da ghiaie nella zona di pianura alluvionale a Nord del F. Po (Lomellina e Pavese), coltivate per arretramento di terrazzo o in cave a fossa spesso con lago. La fascia di pianura dell’Oltrepo Pavese, caratterizzata da sedimenti alluvionali limosi e limoso-argillosi coltivati a fossa, costituisce un bacino di rilevanza regionale per la fabbricazione dei laterizi. La zona collinare e montana dell’Oltrepo rappresenta un bacino produttivo di rocce silicee, impiegate come correttivi nella fabbricazione del cemento; altre risorse presenti, non più sfruttate allo stato attuale, sono costituite da pietre da taglio, marne da cemento e gessi. Circa 1000 cave sono ormai dismesse e sono state recuperate ad uso agricolo, o avviate a recupero spontaneo.

Gli scopi della ricerca, che si inserisce nell’ambito di un progetto della Provincia di Pavia riguardante la “Definizione di linee guida per recupero ambientale delle aree di cava in Provincia di Pavia” sono stati: 1) la messa a punto di una metodologia per la selezione delle cave cessate da sottoporre a recupero ambientale nell’ambito del territorio provinciale, 2) lo studio dei problemi di stabilità di fronti di scavo in relazione alla tipologia dei materiali estratti anche al fine di definire le migliori pratiche per il recupero ambientale delle aree di cava.

La metodologia proposta per la selezione delle cave cessate da sottoporre a recupero ambientale si articola in quattro livelli, caratterizzati da un grado di approfondimento crescente. Il grado di vocazione al recupero ambientale delle cave cessate, viene determinato tenendo conto di una serie di obiettivi (dimensionale, ambientale, economico, geologico-geometrico). Ogni obiettivo è caratterizzato da indicatori puntuali da applicare alle singole situazioni rilevate; in loro funzione sono definite le migliori pratiche per l’attuazione dei progetti di recupero/reinserimento ambientale delle aree di cava cessate.

In una seconda fase la ricerca ha comportato, in alcuni siti selezionati mediante la metodologia sopra esposta, la caratterizzazione geotecnica dei materiali estratti attraverso prove di laboratorio, la valutazione, attraverso indagini in sito, dei cinematismi di potenziale rottura delle scarpate a fine scavo nelle principali tipologie di attività estrattiva in Provincia di Pavia.

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I sentieri escursionistici come strumento didattico per la lettura del paesaggio e per la comprensione dei processi geomorfologici

Manuela Pelfini e Valentina Garavaglia

Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio” – Università di Milano

L’elevato numero di sentieri turistici presenti sul territorio lombardo rappresenta un potenziale

prezioso per l’organizzazione di percorsi didattici. Molti sentieri sono già stati proposti come itinerari mono e pluritematici per la conoscenza dei siti di interesse geologico e geomorfologico. Ancora poco sperimentato è il loro utilizzo didattico. Proposte in tal senso consentono la trasmissione delle conoscenze di base, la diffusione dei risultati della ricerca scientifica ed offrono sputi agli enti locali per un’ulteriore valorizzazione del territorio.

Il presente lavoro mostra i risultati di una prima esperienza realizzata nel Parco Nazionale dello Stelvio. Dopo aver identificato un sentiero idoneo ad un utenza scolastica per facilità di accesso e ricchezza di spunti di lavoro (osservazione dei geomorfositi, analisi dei processi di versante e delle opere di difesa) è stato proposto un itinerario didattico articolato in stop proponenti attività ed approfondimenti. Tale itinerario è stato inserito in un progetto realizzato in collaborazione con una scuola secondaria di primo grado della provincia di Milano. L’utilizzo di lezioni frontali che introducono ai temi delle Scienze della Terra, seguite da escursioni, attività pratiche sul terreno ed in laboratorio si è rivelata una buona metodologia di divulgazione. La presenza di forme di deposito glaciale e di depositi di frana databili con tecniche dendrocronologiche si è dimostrata una strategia vincente per mantenere alto il livello di interesse e per raggiungere gli obiettivi. L’utilizzo di metodi di indagine riproponibili sul campo e utilizzabili per ricostruire l’evoluzione recente del territorio alpino permette di accedere con maggior facilità ad una lettura integrata del paesaggio. In particolare, l’uso degli anelli di accrescimento delle piante (dendrocronologia) come metodo di datazione e come strumento per la lettura del segnale climatico ha permesso di affrontare in modo indiretto sia i concetti di scala temporale degli eventi sia quelli di cambiamento climatico e delle conseguenti risposte dei sistemi biologico ed abiologico.

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Variazioni climatiche recenti, ritiro glaciale e risposta della vegetazione arborea

Manuela Pelfini e Giovanni Leonelli Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio” – Università di Milano

Piante arboree e ghiacciai sono elementi cardine per la lettura dell’evoluzione del paesaggio e

del clima di una regione. Gli studi sulle serie di accrescimento anulare e sull’età delle piante arboree rinvenute nelle aree proglaciali e sui versanti possono fornire preziose informazioni per analizzare la risposta dei sistemi fisici e biologici alle variazioni climatiche ed ambientali. Il ritiro delle fronti glaciali ha messo in luce resti lignei sepolti il cui studio in territorio lombardo ha consentito di ampliare le conoscenze sulle fluttuazioni glaciali oloceniche, evidenziando sia fasi precedenti il culmine della Piccola Età Glaciale (Gruppo del Bernina-Disgrazia) sia fasi precoci della stessa. Alla contrazione attuale delle masse glaciali segue l’ampliamento delle aree proglaciali, ricolonizzate dalla vegetazione arborea. Ricerche recenti nella Valle dei Forni mostrano come le piante arboree ormai si spingano sino in prossimità della fronte (un esemplare di Picea abies di 7 anni a 2435 m slm); la vegetazione a conifere mostra una generale progressiva riduzione del tempo di insediamento nelle aree neodeglaciate, ridottosi di circa 1/4 per la Valle dei Forni rispetto alle fasi immediatamente successive alla Piccola Età Glaciale. Lungo i versanti è possibile osservare una progressiva “risalita” dei limiti altitudinali della vegetazione arborea. Un recente studio ha rivelato come la struttura della treeline e la sua dinamica siano intensamente influenzate non solo dalla variabilità climatica ma anche dagli indici di continentalità idrica e termica nonché da limiti imposti alla vegetazione dalla morfologia del territorio e dall’attività antropica; la Valfurva (nel settore lombardo del Gruppo Ortles-Cevedale) mostra limiti più elevati sia per la treeline (2400 m) sia per le singole specie, rispetto alle Alpi Orobie (treeline intorno ai 2250 m di quota in Val Brembana).

La rete di cronologie costruite per il gruppo Ortles-Cevedale mostra un segnale climatico ad andamento concorde sebbene con intensità differenti; sono particolarmente evidenti l’intervallo a crescita limitata intorno agli anni ’20 del 19° secolo, che corrisponde al culmine della Piccola Età Glaciale (PEG) e la pulsazione fredda degli anni ’80 del 20° secolo. Meno evidente è invece la risposta al riscaldamento in atto, filtrata da situazioni locali, anche nel caso di eventi estremi, quali l’estate calda del 2003 che ha avuto invece conseguenze ben più significative per i ghiacciai. Il confronto tra i dati di bilancio di massa di alcuni ghiacciai campione e le cronologie di pino cembro mostra una buona correlazione, sebbene variabile nel tempo; la correlazione tra dati climatici e serie dendrocronologiche e tra dati climatici e bilanci di massa ha mostrato invece andamenti divergenti documentando una progressiva differenziazione nelle risposte dei sistemi biologici ed abiologici all’input climatico.

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Nuovi dati sulla diversità e significato paleobiogeografico dei Rettili del Calcare di Zorzino (Norico, Triassico Superiore)

Silvio Renesto

Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università degli Studi dell’Insubria - Varese

Nuovi ritrovamenti e revisioni degli esemplari già noti hanno consentito di incrementare considerevolmente le conoscenze sulla diversità e le relazioni paleobiogeografiche dei Rettili Norici dell’Italia Settentrionale, in particolare di quelli ritrovati nel Calcare di Zorzino, che rappresenta una delle principali unità fossilifere del nostro Paese per i vertebrati di quel periodo.

Dagli affioramenti del Calcare di Zorzino provengono sia rettili acquatici che terrestri e proprio in un giacimento vicino a Cene (BG) è stato trovato per la prima volta un rettile volante Triassico.

Nonostante il calcare di Zorzino si sia depositato al fondo di bacini intrapiattaforma, i rettili acquatici non presentano grande diversità. I più abbondanti sono i Placodonti, rettili specializzati per un regime alimentare durofago; sono poi presenti dei Talattosauri semidurofagi e fitosauri piscivori, questi ultimi con un adattamento alla vita acquatica molto più spinto che nelle forme continentali.

I ritrovamenti di rettili terrestri sono più frequenti di quelli di rettili francamente acquatici e gli scheletri sono molto spesso completi e articolati, testimoniando un brevissimo trasporto “post-mortem”. Questi rettili dovevano vivere su piccole isole derivate dall’emersione di porzioni della piattaforma, immediatamente adiacenti ai margini dei bacini. La comunità dei rettili terrestri del Calcare di Zorzino è caratterizzata da una elevata varietà di rettili di medie o piccole dimensioni, soprattutto predatori di invertebrati, spesso altamente specializzati per la vita arboricola. Sono presenti anche pochi resti isolati di Arcosauri, sia vegetariani che predatori, di dimensioni medio grandi. Per questi ultimi tuttavia, data l’estrema frammentarietà dei resti, non è possibile escludere che derivino da carcasse galleggianti provenienti da aree emerse più distanti.

Inizialmente si pensava che, a parte i frammenti attribuibili a carcasse galleggianti trasportate da aree continentali più distanti, i Rettili del Calcare di Zorzino rappresentassero degli endemismi, solo lontanamente correlabili sistematicamente con i gruppi coevi ritrovati in depositi continentali.Più recentemente invece si è potuto osservare come i rettili del Calcare di Zorzino siano strettamente correlati, in un caso addirittura a livello di genere, con taxa rinvenuti in giacimenti continentali di età coeve o leggermente più antiche, soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti., Molte di queste forme erano considerate problematiche e di attribuzione incerta, in quanto per lo più costituite da resti isolati di difficile interpretazione. Solamente tramite il confronto con i rettili del Calcare di Zorzino, molto meglio conservati, è stato possibile chiarire la loro posizione sistematica. Per alcuni gruppi l’ anatomia e la distribuzione stratigrafica delle forme continentali ha consentito inoltre di ipotizzare che esse rappresentino le forme ancestrali da cui hanno avuto origine, per rapida diversificazione in ambiente insulare, le specie che si ritrovano nel Calcare di Zorzino.

La fauna a Rettili del Calcare di Zorzino riveste quindi una notevole importanza per la comprensione della diversità e delle relazioni paleobiogeografiche dei Rettili Norici.

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Metodi qualitativi di valutazione dell’erosione idrica nei suoli di montagna

Andrea Rossetti, Roberto Comolli, Michele D’Amico, Chiara Ferrè, Fabio Moia e Franco Previtali

Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano - Bicocca

La valutazione dell’erosione idrica, in aree di montagna, fa spesso ricorso a stime modellistiche, le quali però vengono raramente verificate, anche per le difficoltà frapposte dall’ambiente. Nell’area di studio della Val Bregaglia (settore italiano), allo scopo di approfondire la conoscenza dei fenomeni di erosione idrica, è stata pianificata una campagna di rilevamento, nell’ambito della quale sono state descritte e caratterizzate 80 stazioni, scelte come rappresentative dei pedoambienti tipici della valle. Esse sono state distribuite spazialmente lungo i versanti, in punti la cui precisa localizzazione ha tenuto conto dei fattori correlati all’erosione idrica in ambienti montani: esposizione, pendenza, vegetazione e quota; tali fattori sono stati incrociati fra loro per ottenere una significativa casistica degli ambienti della valle, anche dal punto di vista distributivo. In ogni stazione sono stati individuati quadrati di 10 m di lato, al cui interno si sono eseguite osservazioni pedologiche speditive (minipit sottili) per studiare la tipologia degli orizzonti organici, la struttura e il contenuto di sostanza organica. Sono stati misurati gli spessori degli orizzonti organici e degli orizzonti minerali prossimi alla superficie, fino a circa 30 cm di profondità. Per ogni stazione si sono inoltre valutate alcune caratteristiche ambientali, quantificando secondo opportuni descrittori empirici i segni visibili dei fenomeni erosivi in corso o pregressi. Ognuno di questi indicatori di erosione è stato classificato secondo una scala di intensità con valori da 0 a 3. Gli indicatori utilizzati sono stati suddivisi in due gruppi: quelli correlati all’erosione (percentuale di suolo nudo, affioramento di radici, scollamento del suolo, evidenze di scorrimento idrico preferenziale) e quelli correlati alla protezione del suolo (percentuale di pietrosità superficiale, spessore degli orizzonti organici, presenza di macroresti vegetali).

Una volta portata a termine la fase di rilevamento di campagna, è stata effettuata l’interpretazione e riclassificazione dei dati raccolti. Trattandosi di indicatori di tipo qualitativo, è stato necessario effettuare un pre-trattamento del dato, al fine di giungere alla creazione di un indice empirico di erosione. Ad ogni descrittore pedologico o indicatore di erosione è stato attribuito un peso, stimato in base alla valutazione della sua importanza nei confronti del processo erosivo. I risultati restituiti dall’elaborazione hanno permesso di associare un valore numerico ad ogni stazione, espressione del predominio di processi erosivi o conservativi. Sono state successivamente definite alcune classi di erosione a copertura dell’intero range di valori restituito dall’indice empirico, dalla classe 0 (erosione nulla) alla classe 4 (erosione molto forte).

Secondo questo indice empirico, le zone della Val Bregaglia soggette ad erosione maggiore sono risultate quelle dei pascoli di alta quota, dei lariceti ed in minor misura del bosco di latifoglie, quando in presenza di pendenze elevate.

L’indice empirico definito come sopra sembra in grado di descrivere adeguatamente e di sintetizzare l’insieme dei dati raccolti in campo. Ulteriori applicazioni dovranno valutare l’adeguatezza della metodologia all’interno di processi di validazione di modelli di erosione applicati ad aree montane. A tal fine, si ritiene necessario un approfondimento nelle fasi di pre-trattamento e pesatura del dato.

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Proposta di una metodologia per il confronto dei risultati previsionali derivati da modelli statistici per la valutazione della predisposizione dei versanti agli eventi franosi

Simone Sterlacchini 1Jan Blahut 12 , Cristiano Ballabio2 ,

Marco Masetti 3 e Alessandro Sorichetta3

1CNR-IDPA 2Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio,Università degli Studi di Milano - Bicocca

3Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano La valutazione della predisposizione dei versanti all’innesco di fenomeni franosi ha conosciuto

significativi progressi negli ultimi anni anche attraverso l’utilizzo di metodologie statistico- probabilistiche implementate nell’ambito di Sistemi Informativi Territoriali. Sebbene tali tecniche di analisi dei dati spaziali siano ormai ampiamente adottate e riconosciute come strumenti utili per una efficace gestione del territorio a grande scala e sebbene a tutt’oggi esistono in letteratura numerosi procedure per la valutazione dei risultati predetti (attraverso l’analisi delle curve relative al tasso di successo ed al tasso previsionale), scarsa attenzione viene spesso prestata alla valutazione della variabilità spaziale dei risultati predetti.

L’analisi statistica delle relazioni esistenti tra gli eventi franosi passati ed i fattori predisponenti permette la costruzione di carte recanti la distribuzione spaziale delle probabilità di accadimento di eventi futuri. Attraverso la realizzazione di un consistente numero di esperimenti è stato possibile constatare come la qualità dei risultati ottenuti non aumenti progressivamente ed automaticamente con il numero dei fattori predisponenti utilizzati nella procedura di modellizzazione, nonostante che il significato di questi fattori sia stato preventivamente e profondamente analizzato.

Pertanto, questo studio è finalizzato alla valutazione delle correlazione esistente tra differenti pattern spaziali dei valori di probabilità predetti nell’ambito di differenti mappe di suscettibilità da frana, calcolate e caratterizzate da curve relative al tasso di successo e al tasso previsionale molto simili. L’approccio proposto viene applicato in un ambiente alpino (Comunità Montana Valtellina di Tirano, Alpi Centrali) in cui i fenomeni franosi in generale ed i debris flows in particolare rappresentano i processi a maggior grado di pericolosità. La metodologia ha fatto ricorso ad una modellazione statistico-probabilistica delle relazioni esistenti tra gli eventi franosi passati (debris flows, nel caso specifico) ed i fattori predisponenti, utilizzando il Weights of Evidence modeling technique tramite l’applicativo ArcSDM (Arc Spatial Data Modeler). Le mappe predittive così ottenute sono state classificate in 10 classi, ognuna delle quali contenente il 10% dell’area di studio a più elevato valore di predisposizione al dissesto, secondo una scala decrescente dal valore più alto a quello più basso. In modo tale è stato possibile effettuare una comparazione oggettiva dei risultati predetti in mappe differenti ma caratterizzate da curve del tasso di successo e del tasso previsionale molto simili. Le varie mappe di predisposizione così classificate sono state confrontate tra loro attraverso applicazione di alcune tecniche statistiche ( Kappa Statistic, Cluster Analysis e Principal Component Analysis) al fine di analizzare la variabilità spaziale dei risultati predetti. I risultati hanno mostrato un’importante variabilità a livello dei risultati predittivi ottenuti e ciò si è verificato anche in corrispondenza delle classi a maggior predisposizione al dissesto.

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La gestione in tempo reale delle emergenze idrogeologiche in contesto urbano

Simone Sterlacchini1, Simone Frigerio1,2,Mario Canziani1, Simone Poli1,2, Simone Sironi2 e Mattia de Amicis2

1 CNR-IDPA 2Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio,Università degli Studi di Milano - Bicocca

Nell’ambito della Convenzione tra la Comunità Montana Valtellina di Tirano (Sondrio, Italia) e l’Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali (IDPA, sezione di Milano) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR, 2004), ha preso l’avvio uno studio finalizzato allo sviluppo di metodologie informatiche atte alla gestione di rischi idrogeologici (a livello degli effetti fisici attesi, conseguenti a fenomeni potenzialmente pericolosi) e finalizzate, in ultima analisi, alla definizione di un Piano di Protezione Civile. Tale piano è stato inizialmente definito, in via del tutto sperimentale, in una porzione del comune di Grosotto (Sondrio), identificata come possibile scenario di rischio, sulla base delle informazioni a disposizione; si è inoltre tenuta in considerazione la reale struttura organizzativa delle squadre di Protezione Civile, attualmente operanti a livello comunale.

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Cinematica recente ed attuale dei fronti nord-appenninici e dell’avampaese padano

Giovanni Toscani e Silvio Seno. Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia

Con questo lavoro si intende presentare un progetto di ricerca di durata biennale che ha avuto

inizio nel maggio 2007 e si concluderà nel maggio 2009 ricadente nell’ambito dei progetti sismologici finanziati dalla “Convenzione INGV-DPC 2007-2009”.

La ricerca, iniziata con uno studio sull’assetto tettonico della zona degli archi ferraresi e che si intende ora trasferire ad un settore lombardo della Pianura Padana, ha come obbiettivo generale quello di fornire contributi alla conoscenza dell’assetto sismotettonico dei fronti Nord-Appenninici e in subordine Sudalpini e del loro avampaese integrando dati di sottosuolo (indagini sismiche), dati di superficie (geomorfologici e morfotettonici) e di laboratorio (modelli analogici). In particolare verrà analizzato come la deformazione risulta suddivisa e ripartita sui diversi fronti dei thrust Nord-Appenninici lungo diversi transetti (alcuni ricavati da dati di letteratura, altri appositamente interpretati) e quale dei thrust attualmente attivi può essere sorgente di terremoti potenzialmente pericolosi (soprattutto in considerazione dell’alta vulnerabilità della Pianura Padana). I fronti più esterni della catena Nord-Appenninica sono sepolti sotto una spessa coltre di sedimenti prevalentemente clastici che riempiono il bacino Padano. Essi sono costituiti da un sistema di thrust ciechi Nord-Est vergenti associati ad anticlinali che controllarono la deposizione dei potenti cunei clastici sintettonici, dove i sedimenti di età Plio-Quaternaria raggiungono potenze dell’ordine dei 7-8 km. La rapida sedimentazione nascose e tuttora nasconde le strutture in crescita e di conseguenza le evidenze dirette di superficie di possibili attività tettoniche recenti ed attuali dei thrust sepolti sono molto scarse. Tuttavia, evidenze di attività recente ed attuale (seppur debole) sono fornite dalla sismicità registrata e dalle anomalie nel drenaggio superficiale (deviazioni fluviali e repentini cambi nella prevalente attività dei corsi d’acqua, elementi la cui posizione verrà confrontata con quella delle maggiori strutture sepolte e con le deformazioni dei depositi più recenti).

Verranno interpretati, convertiti in profondità e retrodeformati due transetti (sismica a riflessione) a scala regionale, con prevalente andamento Nord-Sud (dall’Appennino affiorante nella zona di Stradella (PV) fino alle valli bergamasche). Lo studio della ripartizione della deformazione e la retrodeformazione delle sezioni geologiche aiuterà nella comprensione dell’evoluzione temporale della deformazione con particolare riferimento alla sua storia recente (Plio-Quaternaria) ed attuale.

La comprensione dell’evoluzione dei fronti esterni sepolti è di fondamentale importanza per mettere in luce quali fronti (o tratti di fronti) siano ancora attivi e, di conseguenza, nel predire quali delle sorgenti sismogenetiche attualmente conosciute e mappate potrebbero essere coinvolte in attività tettoniche attuali.

Al termine del progetto, si auspica di poter presentare una ricostruzione dettagliata dell’evoluzione tettonica Plio-Quaternaria dei fronti Appenninici sepolti lungo i transetti che verranno presi in considerazione, ottenuta integrando i dati ed i risultati provenienti dai diversi approcci proposti. Nei casi in cui i dati di sismica a riflessione lo consentiranno, si tenterà di chiarire le interazioni possibili tra i fronti sepolti ad opposta vergenza della catene Nord-Appenninica e Sud-Alpina, principalmente riproducendo l’assetto tettonico osservato con esperimenti analogici realizzati in una scatola di taglio che consenta la riproduzione contemporanea di due catene ad opposta vergenza

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Modellazione 3D: esempi dal Sudalpino Orobico.

Andrea Zanchi1, Paolo D’Adda1,Stefano Zanchetta1, Federico Agliardi1, Fabrizio Berra2 Roberto

De Franco3, Claudia Farruggia1, Francesco Galbiati1, Massimiliano Grassi1, Cesare Ravazzi3, Francesca Salvi2e Simone Sironi4.

1Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli studi di Milano-Bicocca; 2Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano

3CNR-IDPA, Milano; 4Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio,Università degli Studi di Milano - Bicocca

La sperimentazione di una serie di procedure, messe a punto e testate da un ampio gruppo di

lavoro, ha reso possibile la ricostruzione 3d di elementi geologici di ogni tipo a partire da informazioni cartografiche a carattere geologico-strutturale. Le ricostruzioni così ottenute possono poi essere successivamente implementate attraverso dati provenienti da indagini di altro tipo (pozzi, sondaggi, sezioni sismiche, ecc.).

In questo poster vengono presentati tre esempi significativi tratti da ricostruzioni effettuate nell’ambito di strutture presenti in provincia di Bergamo nella copertura del Sudalpino delle Alpi Meridionali. Le ricostruzioni sono basate essenzialmente sull’utilizzo di differenti software: ArcGis per l’archiviazione dei dati geologici di terreno, gOcad e MOve 2008 per la modellazione 2d, 3d e 4d (retrodeformazione).

Il primo esempio riguarda la deformazione gravitativa profonda di versante di Fuipiano in Val Imagna, per la quale sono state realizzate sezioni bilanciate bidimensionali e una ricostruzione 3d relativa alle principali superfici di scivolamento.

Il secondo esempio riguarda la ricostruzione 3d della geometria del bacino Plio-Quaternario di Leffe, ottenuta con gOcad attraverso la combinazione di dati di terreno, le stratigrafie di pozzi e sondaggi e una sezione sismica.

Il terzo esempio è riferito al settore centrale delle Unità Autoctone Carbonatiche e al loro contatto con l’Anticlinale Orobica. In questo caso la modellazione riguarda la ricostruzione della complessa zona di trasferimento della Val Vedra, che separa settori della catena caratterizzati da un differente assetto dei sistemi di sovrascorrimento. In questo caso la ricostruzione è stata effettuata con 2d e 3d move, attraverso la realizzazione di una ventina di sezioni geologiche basate su dati di superficie.

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AUTORI

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Federico Agliardi Università degli Studi di Milano-Bicocca Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Jan Blahut C.N.R – IDPA – Università Milano - Bicocca Dip. Scienze Ambiente e Territorio Piazza della Scienza 1– 20126 Milano E mail: [email protected]

Paola Albini INGV, Sezione MI-PV Via Bassini, 15 - 20133 Milano E mail: [email protected]

Fabio Bona Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Barbara Aldighieri CNR IDPA Via Mario Bianco 6 - 20131 Milano E mail: [email protected]

Maria Pia Boni Politecnico di Milano Dipartimento di Ingegneria Strutturale Piazza Leonardo da Vinci, 32 - 20133 Milano E mail: [email protected]

Paolo Augliera INGV, Sezione MI-PV Via Bassini, 15 - 20133 Milano E mail: [email protected]

Tullia Bonomi Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Cristiano Ballabio Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Attilio Boriani Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Carlo Baroni Università degli Studi di Pisa Dipartimento Scienze della Terra Via S. Maria, 53 - 56100 Pisa E mail : [email protected]

Valeria Caironi Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail : [email protected]

Maria Aldina Bergomi Università degli Studi di Milano-Bicocca Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Mario Canziani C.N.R – IDPA Piazza della Scienza 1– 20126 Milano E mail: [email protected]

Fabrizio Berra Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail : [email protected]

Cipriano Carcano Esplorazione nord Italia - Eni E & P 20097 S.Donato Milanese (Milano) E mail: [email protected]

Marica Bersan Università degli Studi di Pavia, Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail:

Enrico Casati Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Alfredo Bini

Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail. [email protected]

Angelo Cavallin Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

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Massimo Ceriani Regione Lombardia D.G. Protezione Civile Via Rosellini 17 - 20124 Milano E mail: [email protected]

Michele D’Amico Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Gianfranco Ciancetti Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

Massimiliano Deaddis C.N.R – IDPA Laboratorio di Palinologia e Paleoecologia Piazza della Scienza 1– 20126 Milano E mail: [email protected]

Roberto Comolli Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Mattia De Amicis Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Massimo Compagnoni Politecnico di Milano Dipartimento di Ingegneria Strutturale Piazza Leonardo da Vinci, 32 - 20133 Milano E mail: [email protected]

Roberto De Franco C.N.R – IDPA Piazza della Scienza 4– 20126 Milano E mail: [email protected]

Alessio Conforto Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Andrea Di Giulio Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

Marina Credali Regione Lombardia Infrastruttura per l’informazione Territoriale Via Sassetti, 32/A - 20124 Milano E mail: [email protected]

Guglielmina Diolaiuti Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Giovanni B. Crosta Università degli Studi di Milano-Bicocca Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie Piazza della scienza 4 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Gabriele Dolza Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

Giulio Curioni Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Elisabetta Erba Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Paolo D’Adda Università degli Studi di Milano-Bicocca Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie Piazza della scienza 4 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Daniela Fanetti Università degli Studi dell’Insubria, Como Dipartimento Scienze Chimiche ed Ambientali Via Valleggio, 11 – 22100 Como E mail

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Chiara Ferré Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Silvia Guffanti Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail:

Vincenzo Francani Politecnico di Milano Dipartimento Ingegneria Idraulica e Ambientale Piazza Leonardo da Vinci, 32 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Mauro Guglielmin Università degli Studi dell’Insubria Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale Via H.J. Dunant 3 – 21100 Varese E mail: [email protected]

Paolo Frattini Università degli Studi di Milano-Bicocca Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Giovanni Leonelli Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Simone Frigerio C.N.R – IDPA – Università Milano - Bicocca Dip. Scienze Ambiente e Territorio Piazza della Scienza 1– 20126 Milano E mail: [email protected]

Cristina Lombardo Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Maurizio Gaetani Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Lucia Luzi INGV, Sezione MI-PV Via Bassini, 15 - 20133 Milano E mail: [email protected]

Fabrizio Galadini INGV, Sezione MI-PV Via Bassini, 15 - 20133 Milano E mail: [email protected]

Valter Maggi Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Paolo Gallese Cooperativa Verdeacqua Viale Gadio 2 20121 Milano E mail: [email protected]

Mariano Maistrello INGV, Sezione MI-PV Via Bassini, 15 - 20133 Milano E mail: [email protected]

Valentina Garavaglia Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Gregorio Mannucci Arpa Lombardia Via F. Restelli 3/1 – 20124 Milano E mail: [email protected]

Lisa Garbellini IREALP Area Progetti Europei e Regionali Via Melchiorre Gioia, 72 - 20125 Milano E mail: [email protected]

Mauro Marchetti Università di Modena e Reggio Emilia Dip. Scienze della Terra Largo Sant’Eufemia,19 41100 Modena E mail: [email protected]

Guido Gosso Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Marco Masetti Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail. [email protected]

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Guido Mazzoleni Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Francesca Pacor, INGV, Sezione MI-PV Via Bassini, 15 - 20133 Milano E mail: [email protected]

Claudia Meisina Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

Anna Paganoni Museo Civico Scienze Naturali “E.Caffi” Istituto di Geologia e Paleontologia Piazza Cittadella, 10 - 24129 Bergamo E mail: [email protected]

Fabrizio Meroni INGV, Sezione MI-PV – Via Bassini, 15 20133 Milano E mail: [email protected]

Giorgio Pasquaré Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Bruno Messiga Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

Manuela Pelfini Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Alessandro Maria Michetti Università dell'Insubria Dip. di Scienze Chimiche ed Ambientali Via Valleggio, 11 - 22100 Como E mail: [email protected]

Floriana Pergalani Politecnico di Milano Dipartimento di Ingegneria Strutturale Piazza Leonardo da Vinci, 32 - 20133 Milano E mail: [email protected]

Fabio Moia Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Cesare R. Perotti Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

Giovanni Muttoni Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Andrea Piccin Regione Lombardia Infrastruttura per l’informazione Territoriale Via Sassetti, 32/A - 20124 Milano E mail: [email protected] Via

Elisabetta Nigris Università Milano Bicocca Dipartimento di Scienze della Formazione Via Thomas Mann, 8 20162 Milano E mail [email protected]

Achille Piccio Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

Davide Notti Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail:

Giorgio Pilla Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

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Roberta Pini C.N.R – IDPA Laboratorio di Palinologia e Paleoecologia Piazza della Scienza 1– 20126 Milano E mail: [email protected]

Sergio Rogledi Esplorazione nord Italia - Eni E & P 20097 S.Donato Milanese (Milano) E mail: [email protected]

Simone Poli C.N.R – IDPA – Università Milano - Bicocca Dip. Scienze Ambiente e Territorio Piazza della Scienza 1– 20126 Milano E mail: [email protected]

Andrea Rossetti Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Stefano Poli Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Sabina Rossi Università degli Studi dell’Insubria, Como Dipartimento Scienze Chimiche ed Ambientali Via Valleggio, 11 – 22100 Como E mail: [email protected]

Ilaria Poretti Università Milano - Bicocca Dip. Scienze Ambiente e Territorio Piazza della Scienza 1– 20126 Milano E mail: [email protected]

Elisa Sacchi CNR-IGG, Sezione di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

Isabella Premoli Silva Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Francesca Salvi Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Franco Previtali Università degli Studi di Milano – Bicocca Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Giancarlo Scardia INGV, Sezione MI-PV Via Bassini, 15 - 20133 Milano E mail: [email protected]

Cesare Ravazzi C.N.R – IDPA Laboratorio di Palinologia e Paleoecologia Piazza della Scienza 1– 20126 Milano E mail: [email protected]

Dario Sciunnach Regione Lombardia Direzione Generale Territorio e Urbanistica Sassetti, 32/A - 20124 Milano E mail: [email protected]

Silvio Renesto Università degli Studi dell’Insubria Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale Via H.J. Dunant 3 – 21100 Varese E mail: [email protected]

Silvio Seno Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

Maria Pia Riccardi Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

Roberto Serra Arpa Lombardia Via F. Restelli 3/1 – 20124 Milano E. mail: [email protected]

Franco Rodeghiero Università degli Studi di Milano-Bicocca Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Giuseppe Sfondrini Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

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Gian Bartolomeo Siletto Regione Piemonte Dir. Program.Strategica, Politiche Territoriali ed Edilizia Sett.Cartografico Corso Bolzano, 44 - 10121 TORINO E mail: [email protected]

Giovanni Toscani Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E.mail: [email protected]

Simone Sironi Università Milano - Bicocca Dip. Scienze Ambiente e Territorio Piazza della Scienza 1– 20126 Milano E mail: [email protected]

Riccardo Tribuzio C.N.R. – I.G.G.- U.O. Pavia Università degli Studi di Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

Claudio Smiraglia Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Annalisa Tunesi Università degli Studi di Milano-Bicocca Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Alessandro Sorichetta Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Stefano Turri Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Maria Iole Spalla Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail [email protected]

Mauro Valentini Arpa Lombardia Via F. Restelli 3/1 – 20124 Milano E mail: [email protected]

Simone Sterlacchini C.N.R – IDPA Piazza della Scienza 1– 20126 Milano E mail: [email protected]

Giovanni Vezzoli Università degli Studi di Milano-Bicocca Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Massimiliano Stucchi INGV, Sezione MI-PV Via Bassini, 15 - 20133 Milano E mail: [email protected]

Stefano Zanchetta Università degli Studi di Milano-Bicocca Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Massimo Tiepolo CNR- I.G.G. - U.O Pavia Dipartimento Scienze della Terra Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia E mail: [email protected]

Andrea Zanchi Università degli Studi di Milano-Bicocca Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano E mail: [email protected]

Andrea Tintori Università degli Studi di Milano Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio” Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano E mail: [email protected]

Enrico Zini Arpa Lombardia Via F. Restelli 3/1 – 20124 Milano E mail: [email protected]

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