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CONVEGNO Assisi 10, 11 e 12 Ottobre 2008

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CONVEGNO

Assisi 10, 11 e 12 Ottobre 2008

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Copyright ® 2009Proprietà letterarie riservate

Collana: Cattolici Democratici/18

Editore:Cooperativa Culturale RTSArco della Madonna, 170038 Terlizzi (Ba)

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Prefazione

La pubblicazione degli atti del II Convegno di QUARTA FASE, tenutosiad Assisi il 10, 11 e 12 ottobre 2008, ha l’obiettivo di continuare a far discu-tere ma anche quello di far riflettere su una società pluriforme e su un parti-to, il PD, che necessita ancora di costruzione fisica e morale.

Prima del Convegno c’era scetticismo. Le condizioni erano completa-mente diverse rispetto al 2007. Invece è andata benissimo sia per la qualitàdegli interventi che per la quantità degli intervenuti.

Il Convegno si è aperto con la relazione di Beppe Fioroni e si è conclu-so con quella di Dario Franceschini, entrambi oggi al vertice del PD e impe-gnati, insieme a tutti gli altri, affinché il PD sia il partito del presente e delfuturo e non quello del passato.

Noi vogliamo costruire un partito aperto, plurale, diverso. Un partito chesia la proiezione della nostra speranza e della nostra volontà di tornare alGoverno per ridare fiducia ai cittadini. Auspichiamo che il PD sia il partitodella partecipazione, della condivisione. Ma anche il partito in grado di darerisposte chiare su alcuni problemi tragici che il Paese vive, uno su tutti la soli-tudine.

La politica non è solitudine e nel mondo attuale dobbiamo impararesempre più a combattere la solitudine, perchè insieme si può fare politica.

Abbiamo pubblicato integralmente gli interventi. Tutti. E senza alterar-ne minimamente i contenuti. Lo abbiamo fatto correndo il rischio di qualche

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imprecisione e di qualche ripetizione perchè leggendo e rileggendo gli atti cisiamo accorti che tutti gli interventi hanno una nota comune: sono dettati dalcuore e dalla certezza che il domani sarà migliore nella misura in cui ognu-no di noi si impegnerà. Costruire il PD è esaltante.

Dobbiamo farlo perchè ci crediamo, perchè lo chiedono i cittadini, per-chè lo dobbiamo a quanti verranno dopo di noi.

La politica non può essere arida gestione del presente, ma organizza-zione e programmazione del futuro.

Grazie a quanti seguono noi di QUARTA FASE con la speranza cheinsieme si può.

Roma, dicembre 2008

On. Luciana PedotoOn. Gero Grassi

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Venerdì 10 Ottobre 2008

Maria Pia Bruscolotti

Buona sera. Accomodiamoci e disponiamoci ad ascoltare. Benvenuti adAssisi. Sono il Segretario del Partito Democratico dell’Umbria e do a tutti voiil benvenuto nella nostra città più universalmente conosciuta. È il secondoappuntamento che QUARTA FASE organizza qui ad Assisi, una città, che oltread essere famosa per il Santo Poverello, è divenuta città del dialogo, maanche città di riferimento per la elaborazione culturale, soprattutto di chi sisente impegnato in politica perché vuole rispondere con coerenza al propriocredo, al proprio sentire. Ad Assisi QUARTA FASE organizza questa iniziati-va nazionale dopo un anno in cui veramente sono successe molte cose. Siamoalla vigilia del primo anniversario delle primarie del 14 ottobre. In un annoabbiamo scelto la nuova leadership del Partito. Abbiamo messo mano allacostruzione del Partito Democratico in tutti i nostri territori, abbiamo affron-tato anche la difficile battaglia elettorale.

In un anno molte cose sono cambiate. La politica italiana è cambiata, masoprattutto stiamo vivendo una stagione molto critica, una stagione in cuivengono rimessi in discussione tutti quegli aspetti che prima sembravanoessere consolidati, soprattutto frutto di quel pensiero unico che aveva cele-brato il liberismo. I problemi sono ormai evidenti a tutti e allora ecco chetorna centrale fermarsi a riflettere, a rielaborare una linea. Ed è quanto maiattuale tornare a riflettere sul tema della democrazia e della qualità dellademocrazia come il tema del quale noi parleremo in questi giorni. Noi ripar-tiamo proprio dalla riflessione su una democrazia che non può essere solopolitica, cioè regola o istituzione, ma che per essere integrale deve essereanche sociale. E allora avete visto il programma che è stato composto.

Non voglio togliere spazio agli interventi programmati. Tra poco darò laparola, per la relazione introduttiva, all’Onorevole Beppe Fioroni. Intanto

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invito le persone che intendono prendere parte al dibattito che ci sarà questopomeriggio di iscriversi. Noi prevediamo interventi fra i sei e i sette minutiperché vogliamo dare la possibilità a più persone di parlare. E allora perentrare subito nel merito del tema di questa grande iniziativa che vede unalarghissima partecipazione proprio a testimonianza della grande necessità diriflettere su questo tema importante, do subito la parola all’on. Beppe Fioroni.(Applausi)

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a sinistra Maria Pia Bruscolotti

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On. Beppe Fioroni

Cari amici, grazie intanto per essere qui, anche quest’anno così nume-rosi. Torniamo ad Assisi più consapevoli delle nostre responsabilità e piùimpegnati a fornire risposte adeguate e coerenti con le nostre ragioni politi-che. Permettetemi di dire che sarebbe incomprensibile che proprio all’iniziodei nostri lavori non riconoscessi io per primo la generosità e l’abnegazionedei tanti amici che hanno reso possibile questo incontro di riflessione e diapprofondimento, dando ad ognuno di noi l’opportunità di sentirsi parte diuna famiglia più grande. A tutti rivolgo un saluto particolare, ma ancora piùsentito e cordiale è il saluto che voglio dare, dandolo a lui e a tutti gli altriamici, a chi ci ha seguito in questo tempo con tutta l’attenzione possibile e lafiducia necessaria, l’amico Senatore Franco Marini che sarà con noi domani.(Applausi)

Spero, anzi, ne sono convinto, che Assisi potrà far sentire a casa propriatutte le democratiche e tutti i democratici, iniziando dal nostro Segretario,Walter Veltroni, con il quale, insieme a Dario Franceschini, fin dall’inizioabbiamo avuto una piena e leale condivisione per le scelte fondamentali(Applausi) portate avanti dal 14 ottobre ad oggi. È questo il nostro costume,che speriamo diventi presto il costume di tutti: amiamo costruire e nondistruggere. Siamo leali alleati di Veltroni, con lui condividiamo la costruzio-ne del Partito e in questa alleanza abbiamo portato i nostri principi.

E proprio per questo abbiamo una sola tessera, una sola identità, una solaappartenenza, che è quella al Partito Democratico (Applausi) e un solo riferi-mento culturale, che è quello del cattolicesimo democratico e del popolarismodi questo Paese. Non voglio sfuggire ad una doverosa precisazione: non siamoqui a celebrare i riti di una corrente, magari nello stile di vecchio stampo.

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Siamo qui per spogliarci delle nostre ambizioni ristrette e per mostrareal contrario la volontà di poter contribuire, con la passione delle idee e la vocedella speranza, alla formazione di quell’unica ambizione importante che siincarna per tutti noi nei destini di un Partito in cui si collocano e si rinnova-no lo spirito, la cultura, la tensione dei riformisti italiani di matrice democra-tica e popolare. È un convegno che non parlerà di noi, ma di quello che noipossiamo mettere al servizio della battaglia dei Democratici e soprattutto alservizio dell’interesse generale del nostro Paese, tra cui il proposito che amal-gama tutti noi, la ferma intenzione di compiere soltanto il nostro dovere.Provo a dirlo con semplicità: ci muove la convinzione che in un momentocome quello attuale, segnato da gravi difficoltà, non serve coltivare al chiusoed in silenzio le proprie certezze. È meglio, perché più onesto e fecondo,rompere gli schemi e alimentare forme nuove di coinvolgimento e di dialogo.

Cari amici, una volta era d’obbligo iniziare un discorso con l’immedia-to ancoraggio alla propria identità: oggi pensiamo di poterne fare a menoaccettando in questo modo l’azzardo del nostro tempo post-ideologico. Peròniente ci esime dall’essere fedeli anche ora ai principi e ai valori fondativi delnostro percorso politico.

In questo senso riteniamo che non possa e non debba esistere alcunadistinzione all’interno del Partito Democratico. Tutti abbiamo la necessità difondere nel crogiolo della competizione politica le peculiarità interessanti evitali per il disegno di una politica nuova.

Noi abbiamo aperto una fase diversa quando, a conclusione di un lungociclo, ci siamo trovati di fronte all’esigenza di abbandonare l’involucro dellacosiddetta politica di ispirazione cristiana. Forti dell’insegnamento delConcilio Vaticano II e ben saldi nel perimetro della migliore tradizione delcattolicesimo democratico, ci siamo disposti a intrecciare i fili della nostrasensibilità e vocazione con quelli di altri soggetti, eredi insieme a noi dellacomplessa e spesso complicata realtà storica del riformismo democratico ita-liano. Non ci ha guidato l’astuzia e il desiderio di avere qualche forma disopravvivenza. Per questo avremmo potuto acconsentire ad una delle tanteespressioni del trasformismo che da quindici anni segnano il panorama dellapolitica italiana. Sapevamo di pagare un prezzo alto, ma al tempo stesso sape-vamo di avere una sola incombenza, quella di essere protagonisti del cam-biamento da democratici e da cristiani, nel solco di una visione di progressoe di libertà.

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Potremmo citare i nostri maestri, sicuramente potremmo spiegare leragioni della loro attualità e in questa contingenza politica soprattutto essitestimoniano la forza di una originalissima e ancora integra posizione ideale.Preferiamo tuttavia che le citazioni non svolgano una funzione contraria, sfi-brando le potenzialità dei tanti nostri mondi vitali.

Quel che ci compete è di promuovere il contenuto di una grande lezio-ne politica e culturale come quella ereditata, e ne cito soltanto due perchéscomparsi recentemente, da Achille Ardigò e Leopoldo Elia. (Applausi) Verràpoi anche il tempo, ne sono sicuro, in cui si presenterà l’urgenza di ripropor-re nel Partito Democratico connessioni e referenze assai più stringenti. Anzi,se faremo bene ciò che dobbiamo, quel tempo non tarderà a venire.

Intanto riprende corpo la discussione sui rapporti tra religione e politi-ca. C’è quasi una rincorsa a prendere posto, o meglio, ad occupare la casellagiusta in questo contesto che implica e stabilisce una speciale considerazionesul ruolo della Chiesa in Italia. Gran parte del confronto sembra comunqueviziato da una preoccupazione di ordine tattico, come se il problema princi-pale fosse quello di rintracciare il filo di Arianna nel labirinto delle tanteistanze che affollano separatamente e congiuntamente l’universo della gerar-chia ecclesiale e del laicato. Il risultato per ora è scarso, avendo sempre più,a mio avviso, la Chiesa una chiara percezione dell’indebolimento dei variinterlocutori istituzionali e dunque avvertendo la responsabilità pastorale diessere presente in forma diretta. Ed è qui, credo, che si registra lo stallo. Alprotagonismo dei Vescovi non corrisponde il protagonismo dei laici. Essesono figure di una scena che spesso assume da altri il dinamismo necessarioperfino la legittimazione del caso per caso.

Non possiamo nasconderci che dietro le più recenti manifestazioni diinteresse per il ruolo pubblico della religione, agisca un’intelligenza di tipomachiavellico, tutta rinchiusa nell’alfa e nell’omega della convenienza, degliequilibri e delle compatibilità dell’ordinamento politico. Anche noi, intendodire il centrosinistra e il Partito Democratico, pecchiamo spesso di riduzioni-smo. Quando il Papa annuncia una parola di pace e sollecita un di più di soli-darietà e di rispetto per i poveri di questa Terra, ci predisponiamo spontanea-mente a fare gli elogi più convinti e appassionati.

Diversamente, quando lo stesso Pontefice richiama la comunità civile ele istituzioni a prevenire lo spettro di un freddo dominio della tecnica e dellascienza, vuoi perché si discute del testamento di fine vita o vuoi perché ci siinterroga sulle possibilità di manipolare l’embrione, ecco che insorge una rea-

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zione pregiudiziale e a suo modo ideologica contro le presunte ingerenzedella Chiesa. È del tutto evidente che in questo squilibrio di atteggiamenti,ora entusiastici, ora ipercritici, si annida la debolezza di una linea che restacomunque a mio avviso da rendere sempre più espressiva di un umanesimoimpregnato di solide motivazioni etiche e religiose.

Non possiamo lasciare tutto lo spazio al disinvolto apostolato dei nostriavversari di centrodestra, più che altro interessati a surrogare la speranza cri-stiana con uno scampolo di religione civile e a ricercare in alcuni casi unatutela anche vagamente sacrale alla domanda oggi cruciale di sicurezza e sta-bilità.

Limitarsi ad estrarre dai sondaggi la formale aderenza del voto dei cat-tolici agli orientamenti di massima dell’elettorato, è una maniera angusta evecchia di affrontare il tema della nuova stagione cattolica. Significa, in altritermini, assuefarsi all’idea che la seduzione rappresentata dalla proposta diBerlusconi, un mix di modernizzazione e populismo, non debba scontare maila riluttanza della coscienza cristiana contemporanea.

Noi dobbiamo guardare alle tendenze di fondo perché sarebbe poco lun-gimirante ignorare l’accumulo di esperienze e convincimenti ideali che fa delpopolo credente una realtà in marcia verso una meta di maggiore giustizia. Èun popolo che di fronte alle spinte egoistiche si pone per larga parte in posi-zione di limpido distacco critico. In sostanza, mentre si accresce il pericolo didisunione, i cattolici danno dimostrazione di volere un’Italia più solidale ecoesa. Grazie anche alla loro resistenza, la coscienza profonda del Paese puòancora far fronte alle tante minacce di disgregazione interna.

Tutt’altro approccio troviamo da parte del Governo rispetto ad alcunitemi drammatici con il quale il Paese si sta confrontando, uno fra tutti quellodell’intolleranza e del riemergere di rigurgiti di razzismo. Per far fronte a que-sta emergenza l’Esecutivo ha scelto solo la strada muscolare e decisionistache trova nella paura dei cittadini l’humus perfetto, scambiando gli effetti conle cause e sostituendo la scelta di pochi capri espiatori all’individuazionedelle molte e più complesse cause, salvo poi scoprire che quando la realtà sivendica sull’illusione le conseguenze sono fatali. E si tratta di risvegli bru-schi, come quello avvenuto sull’immigrazione a Castel Volturno, ma anchemostrandoci un’altra faccia inedita della medaglia a Milano, dove ragazziimmigrati di seconda generazione, di colore ma italiani, sono scesi in piazzaa manifestare dopo l’uccisione a sprangate di Abdul, ma hanno anche grida-to: bianchi, vi odiamo.

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Lo stesso potremmo dire per il tema della sicurezza. Nessun esercitopotrà mai da solo combattere la perdita della bussola dei valori condivisi.Nessuno spiegamento di forze potrà mai ricomporre il filo del tessuto socia-le lacerato. Ripeteva spesso Giovanni Falcone che per sconfiggere la mafia ela criminalità organizzata sarebbe stato necessario un esercito, sì, ma di mae-stri delle scuole elementari. (Applausi) Eppure si continua a raddoppiare l’e-sercito in strada e a dimezzare i maestri nelle aule.

Il Partito Democratico ha l’onere e l’onore di rendere visibile il valore eil senso di questa enorme riserva morale della quale, più o meno consapevol-mente, la nazione continua a valersi. Ecco perciò che interpretare questa dina-mica vuol dire anche sottoporre alla pubblica opinione la necessità di tornaread avere un’etica nell’agire quotidiano per ciascuno di noi, una proposta eticache più di quanto pensiamo di fatto nel sentire comune della nostra gente èper fortuna a forte valenza cristiana.

La politica non è la semplice continuità di un bisogno o di un interessesociale, così come non è la proiezione immediata di un sentimento che attin-ge alla fonte della religiosità umana; è un salto, come diceva Zaccagnini, èuna dimensione diversa, uno spazio autonomo. Per questo evocare una poli-tica cristiana è intrinsecamente sbagliato.

La laicità non è un costo, ma un valore del nostro essere cristiani in poli-tica, e come tutte le cose importanti va rispettata. Il fatto stesso di viverla conossessione è sbagliato: non è un’arma da brandire contro la Chiesa, ma la giu-sta divisa per assumerci quelle responsabilità in assenza delle quali esserischiano di finire impropriamente sulle spalle della gerarchia ecclesiastica.

L’invito peraltro è anche rivolto a chi sfugge alla presa d’atto di unaverità incontrovertibile, quella legata al ruolo di demistificazione degli asso-luti ideologici, sia a destra che a sinistra, che nel Novecento si è tradotta eincarnata nella presenza politica dei cattolici dopo quasi mezzo secolo diastensionismo in presenza del non expedit vaticano. Allora la laicizzazionedella politica è passata attraverso il riconoscimento della sua autonomia e delsuo limite. Da qui la necessità oggi di perseguire quella stessa autonomia equello stesso limite, ma con forza, anche dai poteri forti e soprattutto dai corpiintermedi del nostro Paese. Allo stesso tempo appare necessario accettare ilimiti di qualsiasi azione politica, a cui non va attribuito un valore intrinseca-mente salvifico. Occorre infatti collocare l’agire politico nel giusto ambito,riconoscendo la sua necessità ma senza attribuirgli un carattere totalizzante.Non solo al doveroso riconoscimento dei limiti della politica si accompagna

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oggi l’esigenza forte di una politica del limite: soprattutto in riferimento aivertiginosi sviluppi della scienza e della tecnologia la politica deve saperintervenire realizzando i suoi compiti specifici di guidare, di regolamentare, diindirizzare in questi ambiti spesso conflittuali. Come i processi avviati dallaglobalizzazione anche quelli della modernizzazione devono essere governati.

L’antifascismo è alla base della Carta Costituzionale. Quindi non sipossono coltivare equivoci su un punto che segna storicamente il passaggiodalla dittatura alla democrazia, dal regime mussoliniano alle libertà repubbli-cane. Questo è l’orizzonte che abbraccia il nostro pluralismo sociale e politi-co. E spiace constatare che nel centrodestra permangano aree di sofferenza edi dubbio. Sostiene Berlusconi che non c’è nulla da chiarire e da aggiungere.E invece no. In ogni parte d’Europa i partiti di destra moderati e costituzio-nali non inglobano nelle loro maggioranze settori e personalità politichedichiaratamente ambigue proprio sulla questione dell’antifascismo. Da noi èancora più diverso. L’ambiguità sottile e concreta incide spesso sull’autoi-dentificazione della destra italiana. Non dobbiamo farci caso? Sono polemi-che oziose mentre urgono altri e più seri problemi? No. Si tratta di ciò che puògarantire la tenuta del sistema democratico, specie in una fase complicata edifficile come quella attuale.

Nei giorni scorsi un dirigente di grande esperienza della CDU tedesca,il Ministro dell’Interno Wolfgang Schäuble, ha messo in guardia l’Europa dairischi che possono discendere da una crisi economica finanziaria molto insi-diosa. Dice Schäuble: “La crisi del 1929 suscitò paure e reazioni tali da por-tare Hitler al potere. Oggi dovremmo stare attenti affinché non si profili all’o-rizzonte un’analoga deriva anti istituzionale: anche se confidiamo nellacapacità di governo delle autorità monetarie, il controllo sulla spirale di fal-limenti bancari e recessione appare ogni giorno che passa un’impresa titani-ca”. Forse i tedeschi saranno troppo sensibili, ma se invocano prevenzionedovremmo almeno prestargli attenzione, soprattutto dopo il voto in Austria edin Baviera.

La tempesta finanziaria che viene dall’America si abbatte sul mondo inte-ro. In questo contesto l’Europa sta dimostrando di essere munita di buone dife-se, avendo mantenuto più severi dispositivi di sorveglianza sulle operazioni dicredito ad alto rischio. Ciò che svanisce in questo frangente è l’illusione che l’e-conomia di carta possa sopravanzare l’economia reale, come pure svanisce lafede assoluta nel mercato, l’idea che il capitalismo senza regole e senza vinco-li possieda al proprio interno la forza di respingere gli eccessi e correggere le

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distorsioni emergenti. Alla resa dei conti invece scopriamo di essere sommersida titoli spazzatura, affidamenti arbitrari, sovraesposizioni bancarie.

Sotto accusa, nessuno può far finta di niente, è il dogma del liberismo edella deregulation. Le ragioni di questa crisi dei mercati finanziari mondialinon vanno ricercate solo nelle passività creditizie e nello stato di salute del-l’economia reale. Io credo che vadano ricercate anche in una società che haperso la bussola etica e rimosso valori. Anni di liberismo hanno issato il totemdell’avere, hanno fatto sostituire l’individuo alla persona, l’egoismo alla soli-darietà, bandito dal lessico delle famiglie termini come sobrietà e rigore, eistigato a vivere sopra le righe e sopra le proprie possibilità. Basta vederel’impennata delle rateizzazioni scelte dalle famiglie italiane per averne unquadro chiaro. Negli ultimi mesi c’è stata una grandissima richiesta di ces-sione del quinto, complici ovviamente i redditi sempre più bassi delle fami-glie in difficoltà. Il 2007 si è concluso con un incremento dell’11,6%, mentrenei primi tre mesi del 2008 la cifra erogata tramite cessione del quinto ha toc-cato circa 1 miliardo di euro. Siamo stati noi ad educare le giovani genera-zioni non a cercare ciò di cui avevano bisogno, ma alla spasmodica ricercadel superfluo.

Per uscirne non bastano conversioni improvvise, alla Tremonti, sulla viadi Damasco. Occorre prima analizzare gli errori, ammettere le colpe e riaf-fermare un concetto, che anche la politica non è riuscita a fare affermare inpieno: il desiderio non è di per sé un diritto. Occorre una generale rieduca-zione al bene comune e una riconversione della politica da erogatrice di desi-deri a garante di diritti.

La politica è infatti diventata strumento del perseguimento del desiderioe degli egoismi personali, una deriva alla quale dobbiamo avere sempre piùla forza e il coraggio di opporci. La politica, quando è seria, riesce a ricollo-care la soluzione dei bisogni particolari in una visione più ampia ed equa pertutti. Berlusconi ha accelerato la deriva degli appagamenti opportunistici enella difesa della società non dei liberi e forti, ma dei furbi e dei potenti.

Il Ministro Tremonti confessa il suo amore per il ritorno allo stato inter-ventista, quasi non avesse contribuito nel recente passato alla nascita di quel-la nuova destra garante degli spiriti più animali dell’imprenditoria e dellafinanza, nonché delle speciali aspirazioni liberiste di un certo popolo dellepartite IVA a muoversi tendenzialmente fuori dai confini, dalle norme e dagliobblighi tributari. Ciò nondimeno, all’aggiornata visione del MinistroTremonti, fa seguito l’incoerenza dei provvedimenti governativi: è saltata ad

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esempio la divisione tra banche e imprese, come pure la separazione tra cre-dito ordinario e a lungo termine. Le lancette dell’orologio si spostano all’in-dietro. Qualcosa evidentemente non quadra. E da qui il nostro giudizio sull’i-nadeguatezza dell’Esecutivo. Che una forza di opposizione critichi il gover-no è normale. Noi tuttavia lo critichiamo, questo governo, anzitutto per letroppe anomalie e le troppe bugie. Abbiamo fatto bene in campagna elettora-le a incentrare il nostro messaggio sulla forza e la qualità del programma,accantonando la superficiale formula dell’antiberlusconismo. Dopo il votosiamo stati aperti al confronto e per qualche verso alla collaborazione nel casofosse emersa una linea di comune preoccupazione per le sorti dell’Italia.

A questa apertura ha corrisposto una disinvoltura nella maggioranza,uno sfoggio di padronanza e di arroganza e soprattutto di irritualità nell’azio-ne del suo leader indiscusso. Se qualcuno non vuol sentirsi dire che è un attac-co alla democrazia, a dir poco è sicuramente un declassamento a formularesiduale e noiosa nell’esercizio del potere secondo Berlusconi. Sembra unapolitica, quella attuale del governo, studiata come un format televisivo: nelpalinsesto va in onda la sequenza delle emergenze in una spirale crescente diallarmi che aiutano l’audience. Tutto è emergenza: rifiuti, immigrazione, rom,prostituzione. Ma più che risolvere le cause si additano i presunti capri espia-tori. La decisione salvifica, a prescindere dal merito, viene invocata a granvoce da cittadini impauriti e insicuri. Ed il confronto con l’opposizione appa-re un lusso. Come tale appare talvolta anche il rispetto delle leggi e dei dirit-ti umani e civili. Il clima emergenziale fa sparire tutto il resto e contempora-neamente fa scadere progressivamente e silenziosamente la qualità dellanostra democrazia. Su questo punto la pubblica opinione è distratta, apparen-temente insensibile. Non per questo il Partito Democratico deve abbandona-re questa necessaria e indispensabile critica.

Ricordiamoci che nella storia ogniqualvolta che l’autoritarismo si èaffacciato sulla scena politica italiana, esso si è fatto precedere sempre dallapolemica sull’anti parlamentarismo. Oggi si respira un po’ la stessa atmosfe-ra. Da quando si è insediato il governo, ha disconnesso la funzione di indi-rizzo e controllo del Parlamento. Si procede a colpi di decretazione d’urgen-za e voti di fiducia. Le Camere costituiscono in pratica la sede a cui ilGabinetto trasmette disposizioni normative con l’obbligo di ratifica per giun-ta nei tempi prestabiliti. In nome della democrazia governante si arriva dun-que a governanti senza più freni, limiti e contrappesi della democrazia costi-tuzionale. Questa è un po’ la nuova governance berlusconiana.

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Non è solo in gioco il prestigio, però, e le funzioni del Parlamento. Lademocrazia ha perso anche un po’ di sostanza laddove si è persa la voce delleComunità Locali. In quest’anno, con responsabilità diffuse, anche nostre,sono state introdotte varie riforme nell’ordinamento degli Enti Locali e deimeccanismi di scelta dei vertici amministrativi che hanno annichilito il ruolodelle assemblee elettive. Ciò vale sia per i grandi che i piccoli Comuni,entrambi surrettiziamente dominati dalla logica degli esecutivi. Possiamoignorare che si è andati ben al di là della lodevole preoccupazione per la sta-bilità e la funzionalità dei poteri locali? Anche in questo caso il PartitoDemocratico deve riaprire un dibattito serio, ricordando alla classe dirigentedel Paese che secondo la legge sono le comunità, ordinate in Comuni eProvince, ad essere autonome. E lo sono prima dello Stato e anche primadelle stesse istituzioni locali. Sicché nessuna volontà di razionalizzazione puòspingersi fino al punto di azzerare le procedure che stanno a presidio dell’au-tonomia e alla tutela della primigenia convinzione di libertà e democrazia.

Devo dire che sento nel federalismo di questo governo qualcosa diastratto e anche di azzardato. Non c’è quel respiro che vive e si avverte nellaprevisione costituzionale di una Repubblica delle autonomie, in cui nessunlivello di governo spezza o deforma la linea della sussidiarietà e della coope-razione. Invece il federalismo fiscale si innesca in una dinamica di subordi-nazione dei Comuni, posto che la perequazione delle risorse dovrebbe avve-nire nella combinazione degli indirizzi dello Stato e delle Regioni. Eppure ilTitolo Quinto riserva questa espressione direttamente allo Stato, non solo invirtù di un principio di pari ordinazione, ma soprattutto come garante dellatutela dei diritti universali di cittadinanza. Quello che approda in Parlamentoè un testo non condivisibile. L’oggetto della delega è vago essendo vaghe leprevisioni sui tributi da istituire come fonte di finanziamento delle diverseautonomie. Nel frattempo si destabilizza la finanza locale smantellando l’ICIe restaurando la centralità dei trasferimenti erariali. E ancora una volta siimmagina di dar vita a questo gigantesco processo di riordino finanziarioesautorando il Parlamento e le autonomie. Partendo dal fisco, mi viene faciledire, si arriva a una forma di confisca della funzione parlamentare. C’è dachiarire un aspetto essenziale della linea del nostro Partito, e lo dico senzaalcuna polemica: come nel caso appena accennato, servono chiarezza diimpostazione e rigore. C’è invece ancora un piccolo retaggio di cultura poli-tica fatta di generosità e radicalismo che portano sovente a criticare le sceltedella maggioranza non per l’errore che esse contengono, ma per il deficit di

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efficacia da cui sarebbero afflitti. L’alternativa pertanto non può ridursi mai,anche con il nostro sforzo, ad una intensificazione delle proposte altrui. Seloro sono liberisti, noi lo dobbiamo essere di più; se predicano il federalismo,noi dobbiamo portare alle estreme conseguenze questo loro indirizzo; se dise-gnano la modernizzazione dello Stato e della democrazia, così come se par-lano della sicurezza, noi dobbiamo giocare con le stesse carte e con gli stessiconcetti, magari tentando di conquistare la palma dei migliori. Faccio unesempio per capirci, non se ne abbiano a male gli amici lombardi con cuitante volte abbiamo discusso del tema della sicurezza, ma discutere di sicu-rezza in Lombardia non può ridursi ad una disquisizione se le ronde padanevadano fatte con il manganello o con la mitraglietta. Noi su questo temasaremo sempre perdenti, perché il manganello (Applausi) c’è chi ce l’ha nor-malmente nel proprio DNA. A me, come a gran parte del Partito Democratico,questo approccio non convince.

Essendo l’opposizione libera di rimarcare il suo autonomo punto divista, ciò non significa, come spesso ci viene fatto pesare, respingere il dia-logo ad esempio sulle prospettive delle riforme istituzionali. Benché i margi-ni siano molto stretti, una forza politica responsabile come la nostra deveporsi in atteggiamento di disponibilità nell’interesse del Paese. I dossier sonoaperti da anni, un grande lavoro è stato svolto, in teoria si potrebbe riprende-re il cammino interrotto, ma il realismo e la responsabilità ci impongono dinon sottovalutare quanti e quali ostacoli si frappongono lungo questa via.Primo fra tutti, compreso oggi, il forte impegno di Berlusconi per impedireogni forma di dialogo. Anche io voglio dire una cosa, comunque, con grandenettezza sulle riforme istituzionali: se il nostro dialogo dovesse comportare ilpassaggio ad una prospettiva di presidenzialismo e bipartitismo, allora sareb-be meglio per noi non iniziarlo mai questo dialogo.

Una legge (Applausi) elettorale per le elezioni europee con una sogliadi sbarramento al 5% senza preferenze, diciamolo con forza, è una vergogna.(Applausi) E il problema non è risolvibile, come pensa qualche mio collegadi partito, facendo le primarie per scegliere i nominati. L’unico modo di risol-vere questo problema è ridare agli elettori la possibilità di scegliere gli elettie di sentirsi determinanti (Applausi) nella vita democratica del Paese.

Da parte della maggioranza si tende a cogliere fior da fiore senza espli-citare gli obiettivi di una strategia possibile, anche negli ipotetici confronti.

Intanto però, mischiando le carte, si procede con le riforme che stannomaggiormente a cuore a Berlusconi. Gli esempi non mancano. Sulla giustizia

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abbiamo assistito ad uno strappo violento. E dopo il lodo Alfano si prosegue,da parte dell’Esecutivo, con altre iniziative legislative su cui è lecito e dove-roso esporre numerose riserve. Peraltro il Partito Democratico ha preso ledistanze dal giustizialismo dell’insulto di Di Pietro. E il nostro distinguo daDi Pietro non è solo sul metodo ma spesso, direi molto spesso, è anche suicontenuti. Però, confermando una posizione antica, giudichiamo con severitàl’attacco all’indipendenza della Magistratura, il tentativo di mettere ilPubblico Ministero sotto il controllo diretto del governo sconvolge il nostroordinamento giudiziario e getta un’ombra sulla politica della giustizia di que-sta maggioranza, in particolare sulla maniacale battaglia del suo leader.

Noi siamo interessati a migliorare i rapporti del cittadino italiano con lagiustizia, e non i rapporti di un cittadino con la giustizia, sia pure esso il cit-tadino Berlusconi. (Applausi) Ho paura che l’attuale maggioranza non siaaffatto interessata alla riforma della giustizia ma fin troppo interessata allagestione dei magistrati e alla scrittura delle sentenze. Io resto di un anticopensiero, quello che da parte mia preferirei comunque essere giudicato dalpeggiore dei giudici, piuttosto che essere sottoposto al giudizio del miglioredei miei avversari politici. (Applausi)

Sulla scuola invece, per la prima volta in sessant’anni di Repubblica siè messo in campo un progetto fatto solo con la calcolatrice e la mannaia, solocon cifre di bilancio e taglio sul futuro dei nostri figli. È la prima volta che ilMinistro del Tesoro decide quale scuola occorra per i ragazzi e che senza unprogetto educativo di alcun tipo, proprio mentre è sotto gli occhi di tutti l’e-mergenza educativa che vive l’Italia, si fa passare dalle discutibili ma comun-que altisonanti tre “i” della Moratti alle più modeste tre I di una scuola ina-deguata, impoverita, invecchiata. (Applausi) Con il maestro unico nella scuo-la primaria il taglio degli insegnanti a regime sarà di cinquantatremila unità.Vedete, sono sedici volte gli esuberi di Alitalia. Più che una riforma, questo èun pignoramento della scuola e la scuola è la loro vera “bad company”.(Applausi) Nessuno nega, e lo voglio dire con chiarezza al Ministro Tremontie al Ministro della Pubblica Istruzione, nessuno nega la necessità di interven-ti per migliorare la scuola: siamo stati i primi a presentarli, abbiamo lasciatoa questo governo in eredità un Quaderno bianco, fatto da tecnici, che bandi-va dalla scuola l’estemporaneità e l’improvvisazione e affidava, facendoincrociare l’offerta e la domanda, l’offerta dei docenti e la domanda di istru-zione dei nostri studenti. Una programmazione che ci portava ad un organicopluriennale dei docenti a cinque, dieci, quindici anni, superando la distinzio-

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ne tra organico di diritto e organico di fatto e arrivando ad un organico fun-zionale dell’autonoma istituzione scolastica.

In cinque anni, quel Quaderno dimostrava che si sarebbe potuto estin-guere il precariato in questo Paese e lavorando - invece che nel chiuso diViale Trastevere - insieme con chi ha le competenze. Altro che federalismo,mai più nulla di centralista così forte è stato fatto: c’era la possibilità di lavo-rare insieme con Comuni, Province e Regioni per razionalizzare, togliere fur-bizie, togliere sprechi e riuscire in cinque anni ad abbattere di mezzo punto ilrapporto docente-alunni e aumentare, davvero, del 25% il tempo pieno. Gliabbiamo lasciato anche una bozza d’intesa, fatta non con una Regione gover-nata da pericolosi comunisti, ma con la Regione Lombardia, governata daFormigoni, che applicava il Titolo Quinto previsto dalla Costituzione, mette-va in rete in maniera più avanzata il rapporto scuola - formazione professio-nale - istituti tecnici e professionali. Tutto questo è stato buttato alle ortiche,è diventata carta straccia. Ma io mi ostino a pensare, prima della conversionedel decreto al Senato, come diceva il maestro Manzi, che non è mai troppotardi, e spero ancora che su questa base del Quaderno bianco e dell’intesa conla Regione Lombardia si possono trovare le ragioni per cambiare il testo diquesto decreto perché la scuola non è né di destra, né di sinistra, né di centro:la scuola è dei nostri figli ed è il futuro del nostro Paese. (Applausi)

Berlusconi non cambia. Da quando è sceso in campo nell’ormai lontano1994 continua a recitare la parte dell’uomo nuovo. È sempre l’imprenditore cheall’occorrenza mette sotto tiro il teatrino della politica. È vero. Ha costruitoun’alleanza capace di vincere. Però a quale prezzo. Vorrei fare un’annotazione.Se il PD apre o stringe sulle primarie, ma il tesseramento non lo fa, nasce subi-to un caso. Nessuno invece si interroga sulla eccezionalità del centrodestra cheha derubricato la questione della democrazia interna. Forza Italia non ha maifatto un congresso. Alleanza Nazionale e Lega hanno compiuto atti di merasimulazione. Leader e gruppi dirigenti sono intoccabili se non fosse per i riti dicooptazione. Il crisma di questa magniloquenza e anomalia di assenza totale didemocrazia interna è dentro il mito dell’investitura diretta da parte del popolo.E per Berlusconi tutto il resto è solo un rigurgito di vecchia politica.

Si dice che il centrodestra vince perché c’è Berlusconi. Io vorrei portar-vi a fare oggi una riflessione diversa. Forse esiste anche un’altra verità: vinceper certi aspetti nonostante Berlusconi. Possiamo credere infatti che tutti glielettori che scelgono di votare per il Popolo delle Libertà, siano insensibilialla questione del conflitto di interessi? Ai problemi della nostra scuola e

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dell’Università? Che trascurino i vizi della demagogia e del populismo insitinel modo d’essere del berlusconismo? Che ignorino il carattere di improvvi-sazione ad esempio in politica estera di questo premier? E potremmo diretante altre cose. Non credo. Non posso crederci. È invece probabile che insor-ga nella parte più moderata della società la convinzione che sia in qualchemisura da preferire l’irregolarità di Berlusconi alla indeterminatezza del cen-trosinistra. Se vogliamo, la nascita del Partito Democratico ha molto a chevedere con il riconoscimento di questa diffidenza dell’area intermedia dell’e-lettorato, quella, per intenderci, capace di far pendere da una parte o dall’al-tra l’ago della bilancia. Per questo, diciamocelo con forza, abbiamo dato vitaal Partito Democratico.

Il problema è che la novità del Partito Democratico è giunta troppo aridosso della competizione elettorale. In sostanza abbiamo pagato la precipi-tazione con la quale si è interrotta in anticipo sulla scadenza naturale la vitadella legislatura. Abbiamo perso, ma la democrazia si è irrobustita per effet-to della semplificazione. Ora l’alternativa, da un lato e dall’altro, può con-templare un grado più alto di coerenza e di autenticità. Nessuno può negareche questo miglioramento nella qualità della democrazia è stato un obiettivoraggiunto prima di tutto per merito delle scelte coraggiose del PartitoDemocratico. La proposta che abbiamo avanzato non è riuscita dunque a cat-turare i consensi necessari sul versante centrale dello schieramento politico.In questo segmento dell’elettorato ha prevalso l’idea appunto che nonostanteBerlusconi il centrodestra fosse più adatto a governare l’Italia. Finché dureràquesta convinzione il Partito Democratico stenterà a modificare gli equilibricosì come oggi si sono sedimentati.

In realtà dobbiamo capire che un partito che rompe con la sinistra radi-cale non guadagna automaticamente il favore degli elettori moderati, ne gua-dagna l’attenzione ma non il voto. Il PD è un partito che accoglie le forzeriformatrici del Paese. Il suo compito è quello dunque di collocarsi in modounitario, e non solamente la nostra storia culturale, al centro degli interessipopolari e degli equilibri sociali e politici dell’Italia. È qui che si vince o siperde nel nostro Paese. (Applausi) Un’altra ipotesi di lavoro consiste in effet-ti nel ribadire la fine delle vecchie distinzioni tra destra e sinistra, con ciòminando le basi di ogni ragionamento sul centro. Si tratta però di un’ipotesiche non tiene conto della resistenza degli aggregati elettorali. È vero che sonofinite le ideologie, ma sopravvivono ancora nel nostro Paese comportamentiche risentono delle divisioni per blocchi ed appartenenze e non è razionale

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quindi che nelle nostre scelte e nelle nostre strategie oscuriamo la realtà difatti o realizziamo congetture e prospettive infondate.

Un partito che interpreta come ho detto sopra quel significato di centro,conserva la sua originalità e la sua sostanza politica. È un partito che scom-mette fondamentalmente sulla possibilità di trasformare e adeguare le istanzedi cambiamento in una strategia vincente. Per questo non possiamo limitarcia prospettare l’alleanza con i centristi, i nostri amici dell’UDC che, vogliodirlo con chiarezza, è un’alleanza che peraltro per noi è irrinunciabile.(Applausi) La diffidenza che è valsa finora potrebbe valere anche dopo, allor-ché gli elettori dovessero percepire l’ambiguità e l’insufficienza del PartitoDemocratico nel garantire una politica di equilibrio e ragionevolezza rivoltaalla complessità e alla totalità della società italiana. Va detto in altre paroleche un’alleanza con l’UDC, di cui si intravedono fortunatamente segnali pro-mettenti a livello regionale e locale, è importante, ma non è di per sé stessarisolutiva. Può darsi benissimo che in assenza di motivazioni ideali e politi-che apparirebbe ancora inadeguata. Non dobbiamo rischiare cioè di fare l’en-nesimo superficiale rimescolamento di carte, bensì proseguire contempora-neamente nello sforzo di costruzione del nuovo soggetto politico, il nostro, ingrado di generare una profonda riarticolazione del sistema politico nazionale,la più utile, la più adatta potenzialmente a sviluppare le condizioni per gover-nare bene l’Italia negli anni a venire.

Cari amici, noi siamo dentro una scommessa importante: questo Partito,che nessuno ci ha obbligato a fare, lo abbiamo fatto con entusiasmo e fiducia.Pensiamo che debba rappresentare il luogo in cui si realizza una partecipa-zione vera, come quella di stasera, con uomini e donne, giovani e anziani. Perquesto stiamo lavorando, per evitare che si inquinino le acque del nostrodibattito, invocando sempre e comunque procedure nella vita interna straor-dinarie. Il Partito che noi vogliamo non è né lieve, né pesante, è semplice-mente un Partito, è lo strumento per decidere insieme, con il dibattito e conla critica, in spirito di servizio verso la comunità civile. Questa è l’idea che ciportiamo dietro e siamo certi che non debba essere abbandonata.

Siamo nati con le primarie, ma le primarie sono uno strumento. Guai sediventassero un luogo comune o un contificio per il nostro Partito. Le prima-rie sono lo strumento offerto al Partito Democratico per ampliare la proprialibertà di proposta, di iniziativa e di progetto politico condividendolo con cit-tadini elettori, ma guai se lo strumento delle primarie diventa il fine e guai sei nostri dirigenti sostituiscono la politica con i regolamenti e i regolamenti di

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conti. (Applausi) Così non andremo da nessuna parte! Il PD ha un tasso diautocritica altissimo. Bene, la critica è il sale della politica. Purché si abbiaben chiaro però qual è l’oggetto della critica. Guardando la nostra storia esoprattutto le pagine dei giornali della nostra storia recente, ho però la sensa-zione che nel pacchetto ereditario del Partito Democratico ci stiamo tirandodietro anche le categorie di critiche precedenti. Nel PCI D’Alema criticavaVeltroni, nella Margherita i Popolari criticavano o venivano criticati daRutelli: questo è un lusso che non possiamo e non dobbiamo più permetterci.(Applausi)

Il Partito Democratico deve avere una classe dirigente plurale, ricono-sciuta per capacità e meriti, che di volta in volta sceglie il miglior candidatoper guidarlo e per vincere le elezioni. Da luglio ad oggi ho girato più di cin-quanta province. Non ho trovato una base spaesata come scrivono i giornali.L’ho trovata invece combattiva e determinata, determinata a fare e a lavora-re. Spaesata lo è semmai da taluni atteggiamenti di un gruppo dirigente nazio-nale che ancora sconta il sentirsi orfano di funzioni e ruoli anche quando nonoccorrono per esercitare la loro guida. (Applausi) Il termine più usato, e siachiaro che parlo più per me stesso, il termine più usato da tutti noi è quello dirinnovamento. Allora facciamo uno sforzo: evitiamo di pensare che quandoparliamo di rinnovamento da un podio io penso sempre di rinnovare la plateache mi sta davanti o penso sempre che rinnovare sia un verbo transitivo percui si rinnovano gli altri e non (Applausi) si prende mai la responsabilità dirinnovare noi stessi. E credo che fino in fondo noi dobbiamo su questo argo-mento fare la nostra parte dando tanto buon esempio.

La ricchezza di questo Partito sta anche nella capacità di tenere insiemeesperienze politiche e culture diverse, che necessitano del rispetto della pluralitànei programmi, nei progetti e nella rappresentanza. Ledere questo principio in unPartito che è nato ma che non è ancora cresciuto, significa far venir meno lastraordinaria capacità del nostro progetto politico e farci ricadere nella riedizio-ne di esperienze già viste e vissute, è appena il caso di ricordare, tutte perdenti.

È vero poi che non se ne può più di riconoscersi solo per il ricordo diciò che siamo stati, ma se vogliamo evitare che un Partito che ha già un annoviva ancora di ricordi occorre costruire insieme l’orgoglio di essere democra-tici e democratiche. Occorre costruire un comune sentire sui contenuti, avereuna bussola condivisa di valori e di riferimenti che facciano finalmente decli-nare la nostra appartenenza al Partito Democratico non col “voto PartitoDemocratico”, ma con “sono democratica, sono democratico”.

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Un Partito post ideologico non può certo abiurare a valori e neanche èpensabile che rinunci alla condivisione di ciò che genera appartenenza esoprattutto quella insostituibile e straordinaria risorsa che è la militanza. Maper realizzare questo obiettivo occorre la fatica della politica che in questoanno vissuto di corsa qualcuno ha pensato di poter evitare ma con il tessera-mento e con la conferenza programmatica questa lacuna dovremo colmarla.

Avremo, cari amici, una tornata di elezioni amministrative ed europee.Tutte e due cruciali. Speriamo che almeno una volta, che almeno questa volta,nessuno dei dirigenti del Partito si eserciti nello sport di fissare asticelle sotto lequali decapitare o decapitarsi. Ma sappiamo bene che sono le elezioni ammini-strative quelle in cui vedremo la nostra capacità di mantenere la maggioranzanelle autonomie locali. Lì non si gioca solo il radicamento sul territorio, maquella è anche la cartina al tornasole dell’inizio della nostra riscossa. Attenzione.Se andiamo sui territori in ordine sparso, se diamo ancora la tentazione di unesercito disordinato, allora il rischio diventa grande. Non si può dare un’azionedi unità al centro e di divisione in periferia, recitando una parte a Roma e un’al-tra, ben diversa, nelle cento realtà territoriali. Troppo spesso mi accorgo chescattano a livello locale, da parte di tutti, atteggiamenti capziosi, irrispettosi dellanatura complessa e plurale del nostro Partito. Questo è un punto molto delicato,anzi, sensibilissimo, perché a seconda di come procederemo l’impresa comuneavrà successo o rischierà di declinare. Io sono ottimista e credo che le nostreclassi dirigenti locali ce la faranno. E mi auguro che in questo la DirezioneNazionale sappia dare un contributo di pluralità e soprattutto di stabilità.

Nelle amministrative le alleanze si faranno con tutti coloro che nellareciproca libertà ci rendono possibile realizzare il bene comune degli Enti chesiamo chiamati a governare, rammentando che ci si allea per vincere e nonper realizzare gioiose macchine da guerra che poi, come spesso è accaduto,anzi, direi sempre, terminano con una splendida ma funerea marcia.

E c’è un messaggio che dobbiamo indirizzare ai dirigenti e ai militantidelle vecchie formazioni alla nostra sinistra: il culto della semplificazionenon ci appartiene e quindi consideriamo un impoverimento della democraziail fatto che in Parlamento sia assente la voce di quanti con noi hanno colla-borato. Ma cosa ci riserva il futuro? In via di principio dovremmo sperare inuna ripresa del confronto e della collaborazione. Tuttavia sentiamo il doveredi precisare che senza un rinnovamento profondo di linea politica, ogni pro-getto volto a ricostruire le condizioni di un’alleanza col Partito Democraticoè destinato a naufragare nel nulla.

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Finora in questo senso sono venuti segnali deboli, non sufficienti a rige-nerare un clima di apertura e di consenso. Quanto all’analisi del voto dellasinistra radicale, dovremmo evitare tutti facili assoluzioni ed autoassoluzionisull’altare del voto utile delle ultime elezioni. Quando tre partiti di Governo,più la sinistra democratica, passano dagli oltre quattro milioni di voti ottenu-ti nel 2006, a poco più di un milione di voti ottenuti nel 2008, e quando con-temporaneamente due liste fai da te di Ferrando e Cannavò ottengono circaquattrocentotrentamila voti, significa che quell’offerta politica non ha incro-ciato più neanche gli interessi dei parenti e degli affini dell’intero gruppo diri-gente di quelle forze politiche. (Applausi) E non ci si venga a dire che tuttoquesto è causato dall’incapacità di rappresentare i ceti disagiati. Vedete, hofatto monitorare i seggi dove si hanno a riferimento sociale la FIAT Mirafiori,e lì ci siamo accorti che dal’96 ad oggi la sinistra radicale, comunque si è pre-sentata, è passata dal’96 che aveva 5687 voti, a 1087, 1037 del 2008. Maquello che è peggio è che in quel posto la Lega è diventato il primo Partito. Equando in fabbrica si è rappresentati dalla FIOM di Cremaschi, e in politicasi è rappresentati da Bossi, c’è da fare una riflessione profonda su come inquesto Paese si può intercettare quella domanda di proposta politica che quel-le forze politiche non sono state più in grado di rappresentare.

Avremo pazienza, ma non al punto di ricadere negli errori del passato.Evidentemente ci sta molto a cuore la credibilità e la coerenza del PartitoDemocratico, oltre ad essere rispettosi delle libertà altrui. Molto si è discussoin questi giorni, anche al nostro interno: ma cosa volete, un Partito onnipre-sente, un Partito burocratico? No. Noi vogliamo semmai fare politica in unastruttura che non sia evanescente ed effimera. La vogliamo al di fuori di unoschema pervasivo, convinti della necessità di salvaguardare l’autonomia e ilpluralismo sociale. È la ragione per la quale restiamo sul giusto confine osser-vando il confronto tra Confindustria e organizzazioni sindacali.

È importante che le parti sociali discutano, negozino e, vivaddio, siaccordino. Sicuramente l’Italia ha bisogno più che mai oggi di sperimentareciò che potremmo definire il coraggio della collaborazione. Agli imprendito-ri chiediamo di concentrarsi sulla ricerca di nuove occasioni di sviluppo, airappresentanti dei lavoratori di muoversi con più flessibilità e intraprenden-za. Come partito riformista non immaginiamo mai un sindacato subalternoalla politica, anzi ne difendiamo convintamente l’autonomia anche quandocontrasta con le esigenze imposte dalla dialettica tra Governo e opposizione.E tuttavia il rinnovamento non si arresta sul portone della politica. Un certo

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conservatorismo, frutto di ritardi ideologici, continua purtroppo a pesare susettori sindacali importanti del nostro Paese. Per quanto ci riguarda preferia-mo essere sfidati dal Sindacato piuttosto che averlo amico e alla resa dei contiaverlo debole e impreparato di fronte agli attuali processi di cambiamento.(Applausi)

In piazza il 25 ottobre parleremo al Paese. A chi non sopporta la nostrapresenza e ci vorrebbe in disarmo, dimostreremo la forza del nostro radica-mento popolare. (Applausi) Di fronte all’ennesima provocazione irresponsa-bile del Presidente Berlusconi, unico Premier dei Paesi Occidentali a rifiutarela collaborazione ed il confronto con l’opposizione su una crisi così grave, ilPartito Democratico ribadisce che è pronto a fare la propria parte come forzaresponsabile, lontana anni luce dalla politica del tanto peggio, tanto meglio. Il25 dimostreremo la nostra responsabilità e la nostra determinazione nel volersalvare l’Italia in maniera trasparente, chiara, con poche parole e molti fatti.Ribadiremo che in questa situazione non basta solo risolvere il problemafinanziario, pur importante, per gli Istituti di credito e soprattutto per i rispar-miatori, ma occorre, di fronte ad una previsione per il 2009 di recessione,intervenire subito sull’economia reale per fare in modo che le famiglie e leimprese aumentino la ricchezza e i consumi e il ricorso al debito sia solo pergli investimenti e non più con i consumi come è avvenuto oggi.

Si dirà che così rispolveriamo una forma keynesiana emettendo debitopubblico. Io credo che così si potrà dare ossigeno alle famiglie, alle impresein difficoltà. Si potrà dare sicurezza e tranquillità in un periodo in cui i soldinon possono non essere portati prioritariamente nei portafogli delle famiglie,dei piccoli risparmiatori e dei lavoratori italiani.

In un momento buio della nostra storia i cattolici si riunirono aCamaldoli per tracciare, settanta anni fa, le linee su cui poggiò la ricostruzio-ne dell’Italia Repubblicana. Oggi abbiamo bisogno di idee nuove per parlarea un’Italia impaurita e disillusa, in un deficit di nascite, di servizi, di infra-strutture, bloccata nel dualismo tra nord e sud, preda di troppi egoismi, confamiglie deboli e tutele insufficienti, desiderosa di promuovere una nuovasolidarietà e un nuovo stato sociale, ma frenata nelle sue capacità creative dalsovraccarico di timori e sfiducia. Ecco, dal momento che occorre ordinarequest’insieme di suggestioni, dovremmo tutti contribuire, ed è una propostache semmai raccolgo, rilanciandola su un piano diverso anche politico, dainostri amici del movimento ecclesiale di impegno culturale, il MEIC, a met-tere mano a un nuovo codice di Camaldoli.

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Intanto l’emergenza ci morde ai polpacci. A nostro avviso si deve tro-vare la soluzione per invertire la rotta della sfiducia e del pessimismo.Abbiamo lanciato la proposta in questi mesi, e già lo avevamo fatto durantela campagna elettorale, per ridurre l’incidenza del fisco sui salari e sugli sti-pendi. È indispensabile che la domanda riprenda vigore, analogamente vannoaiutate le imprese, specie quelle capaci di investire sull’innovazione. Masoprattutto occorre aiutare le famiglie concependo una tassazione più equili-brata a misura del reddito e dei componenti. Può essere questa la soluzioneper inventare un nuovo dinamismo della famiglia. Discutiamone subito, senzafrapporre indugi. Vediamo se riusciamo a dare una scossa al Paese parlandoalle famiglie, sostenendole completamente e aiutandole a svolgere la loroinsostituibile funzione sociale. Ignorare queste nostre proposte da parte dellamaggioranza sarebbe a nostro avviso un atto irresponsabile.

Ci verrà incontro sicuramente il cambiamento che si annuncia inAmerica: il mondo è in attesa del 4 novembre, intanto la tempesta non accen-na a placarsi, l’Europa si muove ma non con quella coesione da tanti auspi-cata. La crisi si avvita su sé stessa a causa soprattutto di un sentimento col-lettivo di sfiducia. C’è una caduta di credibilità che impressione tanto da get-tare benzina sul fuoco della minaccia di recessione. Come si fa a restituire lafiducia che manca? Fino a pochi mesi fa gli esperti ipotizzavano il petrolio a200 dollari al barile, oggi sfiora appena i 90. Ancora un istante prima di fal-lire la banca d’affari Lehman Brothers esibiva un rating nettamente superio-re a quello dello Stato Italiano. Si proclama nelle sedi ufficiali che la situa-zione è sotto controllo, e poi a distanza di poche ore capita di tutto. Questo indefinitiva è una spirale perversa, molto insidiosa, che può essere bloccata soloattraverso la riaffermazione, come più volte detto in questa sede, di una poli-tica forte e autorevole. A chiusura di un memorabile discorso del 1951 aiGiuristi Cattolici, Giuseppe Dossetti citava un passo dell’Epistola ai Romanidi San Paolo. Lo faceva per sottolineare con le parole dell’Apostolo quantofosse necessario garantire il ruolo di quelli che definiva gli operatori liturgi-ci, e cioè uomini dotati di assoluta credibilità agli occhi della società per fon-dare la fiducia nei poteri e nell’azione dello Stato. Noi non sappiamo se avre-mo la forza di attingere a questa enorme sollecitazione, ma oggi qui ad Assisiprendiamo un impegno tutti a muoverci insieme nel segno di una volontà cosìforte ed esigente. Siamo orgogliosi di farlo e lo faremo da Democratici e daPopolari. Grazie. (Applausi)

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On. Beppe Fioroni

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Sen. Mauro Ceruti

Per comprendere i processi politici e sociali in atto nel mondo contem-poraneo occorre in primo luogo riferirsi alla globalizzazione, che rimanda adinamiche di straordinaria portata che vedono uno scambio più intenso e libe-ro di beni, idee, conoscenze e hanno modificato la vita del nostro pianetasotto l’aspetto politico, economico, demografico, sociale, culturale.

Alcuni decisivi elementi ci interrogano sul senso e la direzione di que-sto grandioso processo planetario che, da un lato moltiplica le risorse e leopportunità di vita per l’umanità, ma dall’altro mantiene ed esaspera disu-guaglianze, ingiustizie, sofferenze. Un processo che ha modificato irreversi-bilmente la funzione e la rilevanza degli stati nazionali e che, per certi versi,ha allentato il legame degli stessi contesti locali con la propria storia econo-mica e culturale.

Nella storia moderna del nostro continente, gli sviluppi dell’idea e dellapratica della solidarietà sono strettamente intrecciati agli sviluppi dell’idea edella pratica delle cittadinanze nazionali. Fino a tempi assai recenti, è sembra-to naturale che le relazioni di solidarietà dovessero intercorrere in primo luogo(e, agli occhi di molti, quasi esclusivamente) fra i cittadini di una medesimanazione, legati insieme da un comune sentire e da un comune destino, fra icontraenti del “plebiscito di tutti i giorni”, secondo l’efficace espressione concui Ernest Renan aveva definito la capacità mobilitatrice e mitopoietica delleappartenenze nazionali. Tale idea di cittadinanza era fondamentalmente esclu-siva: nello stesso processo con cui un individuo accedeva ai diritti, ai doveri eai legami di una particolare comunità nazionale, egli diventava un estraneo,uno straniero per le altre comunità nazionali. L’estensione dell’idea e della pra-tica di solidarietà oltre i confini della nazione era quanto mai problematica.

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Oggi le cose sono cambiate. Gli sviluppi dell’Unione Europea, dallafine della seconda guerra mondiale ad oggi, e ancor più in generale i molte-plici processi di interdipendenza planetaria, rendono concreta la possibilità,anzi la necessità, di estendere i legami di solidarietà ai cittadini di altre comu-nità nazionali, fino a raggiungere i confini dell’area continentale o addirittu-ra del pianeta. Ma questo significa reinterpretare relazioni che in passatoerano percepite come oppositive nei termini di complementarità e di gerar-chie più ampie. Sempre di più, essere cittadini di una particolare comunitànazionale implica condividere aspetti di un comune sentire e di un comunedestino, e nei più felici dei casi (come l’Unione Europea) anche regole del-l’opportuna generalità, con i cittadini di altre comunità nazionali.

Questo spiega perché i nostri giorni, soprattutto nel continente europeo,siano caratterizzati da una fluidità delle forme istituzionali e da forti oscilla-zioni della presa che queste forme istituzionali hanno sull’immaginario deicittadini. Il potere assoluto e sovrano degli stati nazionali si sta relativizzan-do e stanno emergendo nuove regole e nuove istituzioni sovrannazionali. Mail processo non è per nulla rapido e lineare: segue traiettorie a zig-zag, è pienodi finte e scarti laterali, assomiglia in definitiva a una corsa ad ostacoli. Cisembra che questo dipenda in maniera essenziale dall’importanza della postain gioco. Stiamo assistendo a un capovolgimento di prospettiva spettacolare:si tratta di definire anche come unito (e quindi, come unito e distinto nellostesso tempo) ciò che in passato era soltanto distinto.

Una prospettiva storica può aiutarci a comprendere ciò che abbiamolasciato dietro di noi e, al contrario, ciò che iniziamo a intravvedere comenuovi punti di riferimento. Dobbiamo anzitutto ricordare come, fino a tempiassai recenti, il primato del locale sia stato una costante della storia europea,e più in generale della storia dell’intero pianeta. Sarà soltanto la rivoluzioneindustriale, con le instabilità socio-economiche che ne conseguiranno comepure con le rivoluzioni dei trasporti e delle comunicazioni ad essa conse-guente, a strappare il cittadino medio europeo da una condizione locale lega-ta ai prodotti della terra e ai ritmi delle stagioni, una condizione di eterno pre-sente in cui il futuro era la ripetizione ciclica del passato e in cui l’irruzionedell’altro (fosse il sovrano in cerca di tasse o il guerriero in cerca di bottino)veniva percepita alla stessa stregua di una calamità naturale. Ma, molto primadella rivoluzione industriale, l’Europa aveva visto il sorgere di compaginipolitiche e di forme di civiltà più o meno coese che aspirarono a definirsicome universaliste. Soprattutto, le prospettive universaliste stanno alla radice

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stessa dell’attuale spazio culturale europeo, nato attorno al 1000 in seguito auna rapida e vincente estensione (e metamorfosi) dello spazio della civiltàclassica alle stirpi germaniche, slave, baltiche, finniche, magiare, tutte prota-goniste dei secoli della grande migrazione dei popoli. Il tratto interessante è,che da allora in poi, non si trattò tanto di universalismo, bensì di universali-smi europei, polarizzati attorno a due assi oppositivi. Il primo è quello cheriguarda il centro e la lingua di civiltà: quella latina centrata su Roma e,rispettivamente, quella greca centrata su Bisanzio. Il secondo concerne inve-ce le relazioni fra autorità religiosa e autorità politica: meno problematiche inoriente, al contrario esse condussero in occidente a una vera e propria divari-cazione, a sua volta, delle forme del potere e delle aree di civiltà. Così il SacroRomano Impero Germanico, che con Carlo Magno nacque traendo la sualegittimazione dal centro religioso di Roma, ben presto si autonomizzò ediventò un’istanza concorrente piuttosto che complementare al potere reli-gioso. In questo gioco degli universalismi bisogna naturalmente includereanche la presenza dell’universalismo islamico, che ha modellato sin dal suosorgere le identità di vari spazi del continente europeo.

Questi universalismi erano certo appannaggio di ristrette élites, spessoerano indicazioni di orizzonti ideali più che espressione di culture condivise.Tuttavia, hanno esercitato per secoli una funzione decisiva nell’arricchire enel mettere in relazione le varie identità locali del nostro continente.

Agli inizi dell’età moderna, il declino degli antichi universalismi e ilsorgere della nuova forma istituzionale degli stati nazionali trasforma profon-damente il quadro identitario europeo. Ad un’Europa fondata essenzialmentesu un dualismo identitario (il locale e l’universale), il progetto di stato nazio-nale propone infatti di sostituire un’Europa dalle identità compresse ad ununico livello prevalente: quello di un stato che si costituisce per così dire amezza strada, quale unico garante dei processi che coinvolgono individui ecollettività in una rete sempre più globale. Vista dal basso, la funzione dellostato nazionale moderno è coesiva e aggregativa: anzi, lo stato nazionalemoderno è il costruttore di solidarietà per eccellenza. Ma, contemporanea-mente, dal punto di vista degli antichi universalismi lo stato nazionale moder-no esercita una funzione di rottura e di dissoluzione di antichi legami, di anti-che solidarietà. Ciò che si situa al di fuori di confini nazionali in via di irrigi-dimento viene percepito sempre meno come un membro di una civiltà comu-ne, e sempre di più come un concorrente da controbilanciare o da confinarecon opportune strategie diplomatiche o belliche.

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Nell’ambito di questo processo plurisecolare, il periodo che va dal 1789al 1815 costituisce un vero e proprio punto di svolta, perché in esso si fissa-rono molte caratteristiche della forma istituzionale dello stato nazionale cheavrebbe senz’altro dominato la scena continentale e, in buona parte, mondia-le nei due secoli successivi. Questo periodo vide anzitutto l’elaborazione, nelcorso della Rivoluzione francese, di un’idea di sovranità popolare che di fattocomportò il coinvolgimento di masse sempre più ampie (e, al limite, di tuttigli abitanti di uno stato) nei processi di costruzione identitaria dello statonazionale. Con un effetto cascata di vaste proporzioni, nel giro di pochi anniebbero luogo la reazione e il risveglio nazionale tedeschi, che dall’antagoni-sta Francia mutuarono molti concetti e progetti decisivi per la successiva uni-ficazione della Germania, e contemporaneamente la presa di coscienza, daparte delle élites dei popoli balcanici, che la prospettiva dello stato nazionaleavrebbe consentito la mobilitazione necessaria per riacquistare l’indipenden-za dall’Impero Ottomano in fase di declino.

In questi decenni cruciali assistiamo dunque:A un irrigidimento generalizzato dei confini europei, che diventano

linee nette che separano sovranità nazionali vicendevolmente esclusive.Un’illustrazione chiara di questo cambiamento è il confine fra la Francia e ilmondo germanico, che nel 1789 vedeva ancora la presenza di molte zonetampone e stati cuscinetto (legati da accordi e da rapporti di subordinazionesia allo stato francese che all’impero tedesco) e nel 1815 venne ripristinatocome demarcazione univoca e continua.

Alla diffusione della teoria e della pratica che una legge debba valereuniformemente in tutto il territorio nazionale, indipendentemente dagli indi-vidui, dalle collettività, dai territori. Ancora nel 1789 persino in Francia, cheera di gran lunga lo stato più centralizzato d’Europa, il valore universale dellalegge era fortemente condizionato dalle contrattazione e dai diritti storici diparticolari città, territori, regioni (quando non risentiva ancora di relazioni adpersonam, retaggio delle età storiche antecedenti).

Una tendenza all’abolizione delle identità storiche tradizionali, a tuttoprivilegio dell’autorità dello stato nazionale, che non sarebbe più stata condi-visa con autorità di minore generalità. Uno degli atti più significativi dei rivo-luzionari francesi è stato lo scioglimento delle assemblee delle regioni stori-che, che da allora iniziarono quasi a svanire dall’immaginario collettivo.

Un tentativo di fondare l’identità nazionale su processi di omologazio-ne linguistica assai spinti. Ancora i rivoluzionari francesi combatterono la dif-

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fusione delle lingue regionali (dal basco all’occitano, dal bretone all’alsazia-no) che nel 1789 coinvolgevano molti milioni di persone, e posero le basi perun sistema educativo nazionale fondato sulla generalizzazione della varietàparigina del francese, che fino allora era parlato da un’assoluta minoranza deicittadini.

Un’intensificazione delle fondazioni simboliche e immaginarie dell’i-dentità nazionale, collocate in miti, riti, santuari, eroi, poemi epici, tradizionida condividere e da diffondere attraverso il sistema educativo nazionale.Anche in questo caso la Francia è all’avanguardia, con una valorizzazione (inparte contradditoria) delle sue duplici radici identitarie latine e celtiche. Agliinizi dell’ottocento, questo processo si diffuse poi in tutta Europa attraversoil tramite decisivo di un’analoga ricerca tedesca, in particolare dovuta all’o-pera di Herder e dei fratelli Grimm.

Come conseguenza di tutto ciò, emerge per la prima volta in manieraconsistente un’idea di cittadinanza esclusiva ed esclusionista. A grandi linee:un cittadino può godere di diritti sempre più spinti all’interno di uno stato per-ché contemporaneamente è privato di un gran numero di diritti al di fuori diesso. Ancora nel settecento le cose erano più sfumate, i diritti politici e di pro-prietà si intersecavano variamente con i confini degli stati.

Una conseguenza ancora più generale è l’assoluto privilegio della geo-metria rispetto alla storia, della trasparenza del progetto astratto e a tavolinorispetto alla varietà e al disordine delle esperienze individuali e collettive.Nasce la prospettiva di poter azzerare il tempo della storia, in vista della rea-lizzazione di decisivi progressi umani o più semplicemente della messa inatto di assetti istituzionali considerati più funzionali e razionali.

Dal punto di vista della storia europea, l’ottocento e lo stesso novecen-to possono essere definiti i secoli del “contagio nazionale”. Come abbiamodetto, molti processi che avevano preso il via sul suolo francese divenneromodello per gli assetti istituzionali di popoli che miravano all’unificazionenazionale, al recupero o alla realizzazione della loro indipendenza. Applicatoin contesti storici, geografici ed etnici del tutto differenti, il modello dellostato centralizzato francese andò tuttavia incontro a pericolose derive, gene-rando spesso conflitti con la varietà e la particolarità delle esperienze indivi-duali e collettive.

Tanto per fare alcuni esempi tratti da vari spazi e da vari tempi di que-sto processo di “contagio nazionale”, citeremo soltanto: i tentativi fatti a piùriprese dei governi e dei regimi spagnoli di limitare e quasi di dissolvere le

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tradizionali autonomie basca e catalana, che hanno provocato vigorose rea-zioni, ma anche forti indurimenti identitari, da parte di queste nazionalità; lascelta del nascente stato nazionale italiano di sciogliere gli stati preesistenti edi annetterli senz’altro allo stato sabaudo, sottovalutando la possibilità di rea-lizzare un assetto federale; la politica linguistica greca, che arrivò a procla-mare nella Costituzione il greco come unica lingua ammessa e a negare l’esi-stenza stessa di molte minoranze linguistiche ed etniche; le operazioni diingegneria territoriale dei paesi del socialismo reale che arrivarono a dissol-vere le identità storiche tradizionali in distretti amministrativi deboli e senzapotere (come nel caso della DDR), o a costruire confini amministrativi in con-traddizione con le identità etniche, linguistiche e storiche per poter megliocontrollare dal centro le spinte della periferia (come nel caso dell’UnioneSovietica). Anche il processo di unificazione tedesca, che apparerebbe in con-trotendenza giacché sfociò in un progetto federale, fu a lungo guidato da unaprospettiva di “prussianizzazione” (e quindi centralizzazione) dell’interostato e solo dopo la seconda guerra mondiale diede il via a una relazione piùequilibrata fra autorità regionali e autorità nazionale.

Come motore ed esito nello stesso tempo di questo processo così varie-gato, eppure in un certo senso anche così coerente, vi è una visione del tuttoparticolare, e certamente non necessaria, della solidarietà nazionale. Da unlato si mira esplicitamente ad estendere il senso di appartenenza comune,espresso dalla condivisione di diritti e di doveri, ma anche di culture e dimemorie, a tutti gli abitanti dello stato che non sono più sudditi ma cittadini,laddove in passato questo senso di appartenenza era riservato soltanto a élitespiù o meno estese. In maniera ancora più forte, almeno nel modello di citta-dinanza originato sul suolo francese, si sottolinea il potere integratore dellostato, si sviluppa un’idea di cittadinanza elettiva, aperta ad apporti esterni e aprocessi migratori anche di notevole rilevanza numerica. Ma d’altro lato que-sta appartenenza comune, questo potere integratore vengono percepiti informe omologanti: si è cittadini perché si è omogenei per identità e cultura,perché la coesione interna del gruppo è garantita da una forte discontinuitàche separa dalle altre nazioni, dalle altre identità, culture e cittadinanze, per-cepite come senz’altro diverse e problematiche. Non è un caso che la coesio-ne interna così raggiunta dagli stati nazionali è stata pagata, se non addirittu-ra alimentata, con un’età di guerre civili europee che ha quasi portato laciviltà europea stessa sull’orlo dell’autodistruzione.

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In questa prospettiva le solidarietà interne sono garantite al prezzo dellarottura delle solidarietà esterne. Sono inoltre fondate su un patto, tacito macostitutivo, fra lo stato e gli individui: gli individui accedono ad una comu-nità nazionale di grande estensione e di grande prestigio a patto di una rinun-cia a molte delle loro particolarità storiche, siano essi di origine interna allacomunità nazionale o di immigrazione recente. C’è poco spazio per le diver-sità linguistiche, etniche e regionali, e c’è anche poco spazio per il manteni-mento dei legami fra i nuovi cittadini e le loro identità di origine.

Come è noto, il progetto d’Europa nato dalle macerie della secondaguerra mondiale è fondato su una radicale ristrutturazione di questo quadro,dall’idea che le solidarietà interne possono funzionare, e al limite sussistere,solo a patto di riannodare antiche solidarietà esterne e soprattutto di costituir-ne delle nuove. Con tutti i limiti presenti, l’attuale Unione Europea già costi-tuisce una forma istituzionale nuova e originale, in cui l’autorità degli statinazionali, pur rimanendo centrale, viene sempre più condivisa sia con quel-l’autorità di livello gerarchico superiore che è data dalle istituzioni comunita-rie, sia con le autorità di livello gerarchico inferiore che hanno sempre sedenelle regioni, nelle unità federate o in altre forme di governo locale.

In effetti, agli inizi del nuovo secolo l’Europa presenta un quadro istitu-zionale che per molti versi ha già infranto gli equilibri consolidatisi nel corsodell’ottocento e del novecento. In particolare, possiamo dire che l’attuale qua-dro istituzionale dell’Unione Europea, anche se in forma ancora confusa emacchinosa, costituisce l’embrione di un “federalismo a tre livelli”, nel qualel’autorità viene variamente condivisa e ripartita a seconda dei problemi ingioco. In questo quadro assistiamo inoltre a: una perdita del valore simbolicoe della funzione separatrice di molti confini interni all’Unione Europea, cheal contrario diventano sede di intensi scambi di persone, di culture e di eco-nomie propri e originali (Euroregioni). In questo senso, il nuovo mosaico deiconfini europei richiama in qualche modo l’antica configurazione di fasce incui le autorità e le culture si sovrappongono, piuttosto che le linee nette e uni-voche degli assetti posteriori al 1815.

Una popolarità del concetto e della pratica della “geometria variabile”,per cui, all’interno di una comunità, l’adesione a regole comuni viene diffe-renziata a seconda dei problemi in gioco e delle specificità storiche e politi-che di ogni parte contraente. In particolare, la geometria variabile è diventa-ta rilevante sia nelle relazioni fra i paesi dell’Unione Europea (di volta involta taluni paesi rivendicano le loro specificità negli ambiti delle politiche

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internazionale, sociale o monetaria) sia nelle relazioni fra le regioni di talunistati (il mosaico delle Comunità Autonome spagnole è una sorta di federali-smo a geometria variabile, in cui talune comunità hanno autonomie più spin-te di altre). Una forte vitalità, o una rinascita vera e propria, di molte identitàstoriche tradizionali, dalla Catalogna alla Scozia, dalla Corsica all’AltoAdige, che in vario modo trovano nel quadro istituzionale europeo l’opportu-nità di reinterpretare il loro rapporto con gli stati nazionali di cui fanno parte,definendosi come “regioni d’Europa” dalla forte autonomia politica e simbo-lica.

Un tentativo di difendere e nei casi più fortunati di promuovere la dif-fusione delle lingue minoritarie, considerate portatrici di valori culturaliunici, singolari e irripetibili e in quanto tali patrimonio comune di tutta quan-ta l’Europa. La stessa Unione Europea ha sposato questa causa, spesso inmaniera più coerente di quanto non avvenga nelle politiche oscillanti dei sin-goli stati nazionali.

Una tendenza da parte di molti individui a optare, ove possibile, per unacondizione di doppia cittadinanza e una tendenza ancora più spinta, da partedegli immigrati, di non rinunciare affatto alle loro culture di origine. Spessosi generano così situazioni di ibridazione e di sovrapposizione di culture, checostituiscono senz’altro un apporto originale alla varietà culturale del nostrocontinente.

A tutti questi processi bisogna aggiungere un fatto del tutto nuovo. I pro-cessi oggi in atto su scala globale, da quelli ambientali a quelli culturali, daquelli tecnologici a quelli economici, stanno generando un tessuto di interdi-pendenze planetarie che rende necessaria la costituzione di nuove solidarietàplanetarie, e soprattutto di nuovi simboli in grado di incarnarle e di renderlepopolari. La prospettiva di una “Terra patria”, visualizzata dall’immagine delnostro pianeta fotografata dal satellite, non è una semplice figura retorica,bensì la sedimentazione della consapevolezza che ogni giorno si danno sem-pre più rischi e sempre più opportunità comuni, e che ogni azione innesca ungioco di retroazioni che si estende per tutto il pianeta. Tuttavia questa esi-genza di solidarietà planetaria, e anche di regole planetarie comuni, non com-porta necessariamente un’omologazione delle culture e delle identità, cheanzi tendono a proporsi come irriducibili e irrinunciabili. Nei casi migliori siproducono dialoghi, contaminazioni, coevoluzioni reciproche, nei casi peg-giori irrigidimenti, scontri, conflitti.

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In definitiva, il patto tacito fra stato e individui appare sempre menoattraente agli occhi di molti. Al contrario, diventa più frequente la volontàesplicita di individui e di collettività di non rinunciare affatto alle proprieradici e anzi di valorizzarle, nel momento che entrano a far parte di reti piùampie o addirittura globali. Questo processo è quanto mai ambivalente: leradici e le particolarità possono infatti diventare un elemento creativo dinuovi giochi collettivi, ma anche una zavorra che impone visioni miopi elimitate.

In ogni caso, se in passato il concetto di cultura definiva collettivitàampie, al loro interno relativamente omogenee, oggi un numero crescente diindividui si trova all’intersezione di più culture differenti. Forzando un po’ i ter-mini, possiamo dire che ogni individuo diventa una cultura a se stante, o perlo-meno mostra delle specificità culturali irriducibili e meritevoli di sviluppo.

Ma tutto questo non annulla, anzi intensifica l’urgenza di regole comu-ni e anche e soprattutto di quel sentire comune che è essenziale all’idea disolidarietà. Da qui il cambiamento di prospettiva radicale, necessario e diffi-cile a un tempo, dei nostri giorni. Gli stati nazionali, fino a tempi assai recen-ti, sono stati strumenti assai efficaci per coniugare solidarietà e omogeneità.Oggi, al contrario, andiamo in cerca di strumenti per coniugare in formafeconda solidarietà e diversità.

È evidente come un’esigenza di questo genere orienti in forma del tuttonuova un dibattito che oggi ha grandi implicazioni non solo scientifiche e cul-turali, ma anche direttamente politiche: quello della natura delle identitànazionali e delle loro relazione all’interno della “comunità di destino” euro-pea. Se il tessuto della convivenza civile mostra segni di lacerazione, apparenecessario contribuire allo sviluppo di un ethos condiviso. La politica hainfatti la responsabilità cruciale di favorire la coesione sociale, l’aiuto reci-proco, l’interscambio, il mutuo riconoscimento in una società in costante espesso disordinato divenire. Ma soprattutto di fronte a cambiamenti globalicosì rapidi e strutturali, qual è la funzione della politica? Che spazi d’azionele rimangono?

La domanda rimanda innanzitutto ai problemi e alla crisi della politicabasata sulla vecchia struttura del governo, nazionale e internazionale, cheoggi ha poco a che fare con la natura integrata e transnazionale dei flussi del-l’economia globale, e con uno spazio pubblico che assume forme nuove e chemette in discussione ogni forma di governo locale. Ma quali modalità di eser-cizio del potere, quali linguaggi, quali nuove forme di partecipazione e di

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democrazia individuare per una politica così profondamente indotta a ripen-sarsi nella molteplicità delle sue dimensioni?

Nell’Europa e nel mondo d’oggi, in effetti, le identità nazionali fannoproblema. Oggi che i vincoli imposti agli stati nazionali dalle esigenze eco-nomiche, ecologiche, sociali, tecnologiche, persino spirituali del pianeta (vin-coli che è invalso comprimere in modo forse semplificato ma comodo sottol’etichetta di globalizzazione) stanno relativizzando le loro funzioni, non dob-biamo credere che questa relativizzazione equivalga necessariamente a undepotenziamento del loro potere identitario. Soltanto che, osservando più davicino questo potere identitario, esso si rivela quanto mai ricco, molteplice,duttile, ambivalente, ambiguo, pronto a essere utilizzato per il peggio o per ilmeglio. E oggi, evidentemente, la ricchezza delle matrici, delle radici e deisimboli identitari del nostro continente promette di generare una fitta rete dinuove narrazioni, a seconda delle connessioni attuate con la ri-emergenzadelle comunità locali, con l’emergenza di un nuovo universalismo europeo econ l’emergenza di un nuovo universalismo planetario.

In particolare, quanto mai ambivalente e ambigua - e quindi pronta amolteplici usi, verso il meglio come verso il peggio - risulta essere la rappre-sentazione che del territorio e dei confini di una nazione si fanno i moltepli-ci attori in gioco, politici, storici o semplici cittadini che siano. Solo superfi-cialmente potremmo dire che il territorio di una nazione sia, univocamente,quello racchiuso nei confini di un determinato stato nazionale, precisamentedi quello stato in cui la nazionalità in questione è predominante o addiritturaunica. Certo, la storia europea recente sembra essere approdata proprio a unasemplificazione di questo genere. Le disgregazioni, più o meno drammatiche,della Iugoslavia, dell’Unione Sovietica e della Cecoslovacchia alla fine delventesimo secolo appaiono come tappa conclusiva di un processo che ha este-so anche all’Europa centro-orientale l’equivalenza generalizzata fra stato enazione che già nei secoli antecedenti si era imposta nella parte occidentaledel continente. Oggi, la quasi totalità degli stati europei è centrata attorno auna nazione dominante, con una serie più o meno cospicua e localizzata dialtre nazioni o nazionalità che vengono dette minoritarie.

Ma un esame dettagliato del popolamento delle varie aree d’Europamostra che quasi tutti i suoi stati nazionali lasciano al di fuori dei propri con-fini una frazione anche rilevante di individui della stessa nazione, e che tuttigli spostamenti dei confini del passato hanno mantenuto o addirittura incre-mentato situazioni di questo genere. Una nazione, dunque, non può che per-

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cepire come inerente al proprio territorio, in senso allargato, tutte le zone abi-tate dagli individui che ad essa appartengono, siano dentro o fuori i confinidal proprio stato. Inevitabilmente, le aree situate fuori dai confini del propriostato appartengono anche al territorio di un altro stato nazionale. Così, neicasi di mescolanze etniche ancora assai frequenti, i territori delle nazioni sisovrappongono esplicitamente.

Il territorio di una nazione può essere però definito anche secondo unaterza accezione, più ampia ancora e forse ancora più significativa dal puntodi vista degli attuali problemi geopolitici del continente europeo. Le nazioni,infatti, non si definiscono soltanto (e non sempre) sulla base della condivi-sione di una medesima lingua, di una medesima religione, di medesimi usi.Talvolta alcune di queste condizioni non sono soddisfatte, e talvolta non èsufficiente nemmeno la loro congiunzione. Molto importante per l’individuodi una data nazione è, in ogni caso, il sentimento di condividere con altri indi-vidui una medesima comunità di destino, di far parte di una storia ininterrot-ta che lo connette con radici comuni nel passato prossimo e remoto.

Ognuna di queste comunità di destino ha i propri miti, i propri eventi, ipropri eroi fondatori: e, nella gran parte dei casi, questi miti, questi eventi,questi eroi fondatori sono connessi a tempi e a spazi particolari. Si dà il casoche, per molte nazioni, alcuni di questi miti, di questi eventi, di questi eroisiano connessi a luoghi che attualmente stanno al di fuori del territorio dellanazione nel primo o anche nel secondo senso del termine. Possono cioèsituarsi in luoghi che oggi cadono al di fuori dei confini del proprio statonazionale, o addirittura che non sono più abitati da individui della proprianazionalità. Tuttavia, questi luoghi continuano a far parte del territorio dellanazione in un’accezione assai ampia del termine, che coinvolge storia, cultu-ra, radici e immaginario di un popolo.

Per tutto il corso del ventesimo secolo, la storia dell’Europa centrale eorientale - così ricca di conflitti locali e globali - ha prodotto e quasi sempreimposto grandi spostamenti di popoli. Talvolta le migrazioni sono state decisedai vinti, per timore dei nuovi ordini e per il desiderio di non arrendersi ai nuovipoteri: per le etnie perseguitate sono state l’unica via per salvaguardare la pro-pria identità minacciata o per recuperare un’identità perduta. Talvolta sono stateimposte dagli stessi vincitori, siano essi uno stato nazionale di nuova forma-zione oppure le grandi potenze di volta in volta egemoni. Talvolta sono statestabilite nei trattati di pace, con la convinzione o il pretesto che gli ordini inter-nazionali così “purificati” sarebbero stati più vivibili dei precedenti.

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L’obiettivo dichiarato della gran parte di questi spostamenti - semprefavoriti, ripetiamolo, da chi è emerso di volta in volta vincente o egemone daiconflitti, caldi o freddi - era quello di ottenere una maggiore omogeneitànazionale, di ridurre le minoranze etniche, al limite a far sì che ogni indivi-duo venisse collocato entro i confini del proprio stato nazionale.

In altre parole, la mappa degli stati europei alla fine del ventesimo seco-lo deriva da uno sforzo più che secolare di far coincidere le due prime acce-zioni del “territorio di una nazione”, di eliminare cioè la seconda accezione(“allargata”) a tutto vantaggio della prima (“letterale”), di ridurre il più pos-sibile le sovrapposizioni fra territori differenti.

Ma questi spostamenti di popoli non sono stati completi: le antichemescolanze etniche non sono scomparse e, talvolta, nuovi spostamenti di con-fine hanno prodotto nuove minoranze, nuove forme di mescolanza etnica. E,soprattutto, qualunque modifica possa essere stata apportata ai territori dellenazioni interpretati nei primi due sensi (“ristretti”) del termine, nessuna modi-fica ha mai potuto conseguentemente agire sul legame di una nazionalità conil suo territorio interpretato nel terzo, e più ampio, senso del termine. Gli indi-vidui di una data nazione possono essere spostati, ma non possono dimenti-care le proprie radici e i propri miti fondatori. Al contrario, il legame con que-ste radici e con questi miti fondatori diventa talvolta ancora più saldo quandoil territorio ancestrale si svuota degli abitanti della nazionalità originaria. Atutto ciò si aggiunge naturalmente il fatto che in molte aree d’Europa appaio-no nuove minoranze e si producono nuove mescolanze etniche, in seguito agliattuali fenomeni di portata globale: migrazioni economiche, richieste di asilo,moltiplicazione dei flussi fra l’oriente e l’occidente d’Europa in seguito alcrollo dei blocchi, nonché gli stessi processi di integrazione dell’UnioneEuropea.

Da qualunque punto di vista si guardi questo intreccio, appare in primopiano la multidimensionalità delle nazioni, dei loro territori e dei loro confi-ni, l’inevitabilità di sovrapposizioni a tutti i livelli, l’intrecciata coesistenza didifferenze all’interno di gruppi e di collettività che ambiscono a definire unapropria identità unitaria.

Nel ventesimo secolo, uno dei drammi peggiori provocati dalle visionitotalitarie o comunque autoritarie della storia è stato segnato proprio dall’il-lusione che fosse agevole intervenire sull’immaginario dei popoli, che sipotesse decidere per decreto sui destini della memoria storica, che si potesseriuscire a estendere o a contrarre a piacimento i territori delle nazioni, igno-

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rando le loro ambivalenze e le loro molteplici stratificazioni. Il fallimento diqueste illusioni è una delle ragioni principali delle ricorrenti esplosioni nazio-naliste, che a loro volta sono state e sono accomunate dalla stessa volontà disemplificare a proprio esclusivo vantaggio ciò che è inevitabilmente sovrap-posto e multidimensionale.

Soprattutto, gli assetti politici europei del ventesimo secolo hanno sem-pre dato in gran parte per scontata la possibilità di comprimere su un unicopiano i sensi e le dimensioni molteplici del “territorio di una nazione”. Oggiscopriamo l’irriducibilità e la complessità degli intrecci fra Stati, nazioni,etnie, e ci chiediamo se la comprensione di questi intrecci non possa consen-tire l’edificazione di nuovi meccanismi politici e istituzionali più adeguatialle identità dei cittadini e delle collettività. L’Unione Europea, in effetti, si èrivelata capace di disinnescare molte conflittualità storiche e dalle radici lon-tane (pensiamo a quella fra Germania e Francia all’indomani della secondaguerra mondiale, e a quella fra Germania e Polonia dopo il crollo dei blocchi)proprio perché in parte le sue istituzioni, forse in forma non del tutto consa-pevole, sono state modellate da un ripensamento della natura delle identità edei territori nazionali. Da questo punto di vista il principio di sussidiarietà,l’embrione di federalismo a tre livelli, la politica linguistica assai attenta aidiritti delle lingue meno diffuse, le euroregioni, la stessa idea di geometriavariabile non sono meccanismi istituzionali faute de mieux, meno potenti diquelli interni ai singoli stati nazionali, ma il primo passo in una direzione chepuò fare delle diversità identitarie una grande risorsa dell’Unione Europea.

Vista rispetto a questa sfida di tempi lunghi, la storia delle istituzionicomunitarie europee negli ultimi decenni ci appare meno burocratica e piùcreativa di quanto non si intenda comunemente. La loro stessa origine, neglianni cinquanta del ventesimo secolo, è stata accompagnata non soltanto dallaminaccia sovietica o dall’interessata assistenza statunitense, ma anche dallaconsapevolezza che il lungo conflitto nazionale e nazionalistico franco-tede-sco aveva creato un vicolo cieco e che era necessario spostare i problemi,invece di riproporli inalterati, all’infinito. In particolare, la prima istituzionecomunitaria, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) fu unaproposta per risolvere per via inclusiva un problema che era stato postocostantemente solo per via esclusiva: una proposta per condividere le risorsedi quei luoghi - Alsazia, Lorena, Saar, Belgio, Lussemburgo, Ruhr, ecc... - peril possesso unilaterale dei quali si era tanto combattuto, senza mai trovarenessun assetto stabile ed equilibrato.

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Se la seconda metà del ventesimo secolo, per il nostro continente, è statapiù positiva di quanto lo sconcerto e le distruzioni del 1945 non avessero fattointendere, lo dobbiamo anche alla nascita (e non, ancora, al compimento) diprospettive volte alla riedificazione dei progetti nazionali e del progettod’Europa sulla base non più dell’omologazione ma delle diversità, non piùdelle semplificazioni forzate ma del rispetto della complessità dei mosaici edegli intrecci etnici, linguistici, culturali e religiosi, non più dell’indebitacompressione delle molteplici identità degli individui e delle collettività madella loro esplicitazione e della loro valorizzazione.

A tutt’oggi, è ancora sottovalutato quello che è uno degli aspetti piùpromettenti non soltanto dell’Unione ma anche di altre istituzioni europee:quello di laboratorio di nuove forme istituzionali e di nuove idee di cittadi-nanza che siano più adeguate alle culture e alle identità delle collettività edegli individui dei nostri giorni. Certamente, la possibilità che l’UnioneEuropea possa raggiungere gli altri suoi obiettivi di tipo politico ed economi-co è strettamente collegata alla valorizzazione e al buon funzionamento diquesto laboratorio.

Di fatto, oggi le varie istituzioni politiche europee, siano esse le tradizio-nali istituzioni nazionali o le più recenti istituzioni sovrannazionali, sono acco-munate dalla necessità di operare un radicale mutamento di rotta rispetto alleloro “missioni” di un passato anche recente. Oggi non si tratta più di prosciu-gare le identità locali e concrete dei singoli individui e delle singole colletti-vità, per creare individui e collettività dalle identità più generali e più astratte.Si tratta, al contrario, di creare le migliori condizioni per cui l’identità unica esingolare di ogni individuo e di ogni collettività possa esporsi alla comunica-zione e alla contaminazione reciproca con quelle identità altrettanto uniche esingolari che caratterizzano gli altri individui e le altre collettività.

Le istituzioni politiche, in sostanza, cominciano a percepire come pro-pria risorsa uno dei problemi cruciali delle presenti transizioni epocali: il fattoche sempre meno le relazioni e le interazioni fra individui e collettività sonodisciplinate da relazioni di vicinanza spaziale; il fatto che essere vicini (o lon-tani) spazialmente non dà garanzia immediata di essere vicini (o lontani) cul-turalmente, emotivamente, progettualmente.

Soprattutto, sono le forme stesse assunte dalla comunicazione e dall’in-novazione tecnologica a far sì che la contiguità spaziale non sia più condi-zione necessaria per garantire continuità e intensità alle relazioni fra indivi-dui (soprattutto negli ambiti culturali, intellettuali e professionali, e qualche

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volta persino negli ambiti emotivi e affettivi). Vale anche l’inverso: oggi laprossimità spaziale è sempre meno una garanzia che gli individui “vicini”abbiano veramente qualcosa in comune (come era insito nell’idea moderna,“esclusiva”, di cittadinanza). Nascono nuovi tipi di comunità, spesso riassu-mibili sotto l’idea di comunità virtuali. E, nello stesso tempo, entrano in crisiantiche comunità, fondate sul privilegio delle relazioni di contiguità spaziale.

Questi processi fanno sì che il singolo individuo spesso faccia partesimultaneamente di comunità differenti, e che assuma su di sé identità diffe-renti. L’individuo scopre in se stesso identità diversificate e stratificate, edeve mediare fra le tensioni e i conflitti che intercorrono fra tali identità. Inquesto modo, un problema di importanza cruciale diventa quello di aiutarel’individuo a integrare e a connettere identità di tipo spaziale (quali sono l’ap-partenenza a uno stato, a una regione, a un continente, a una città) e identitàdi tipo non spaziale, identità puramente individuali e identità collettive, iden-tità antiche e identità nuove.

In definitiva, il compito urgente è di aiutare un individuo o una colletti-vità a percepirsi come un’identità multipla, aiutandoli nel contempo a perce-pire gli altri individui o le altre collettività come identità altrettanto multiple.

Solo questo gioco di riconoscimenti reciproci, in se stesso e negli altri,della natura complessa dell’identità può fare emergere una nuova idea di soli-darietà che non sia basata sulla rinuncia a ciò che rende differenti gli indivi-dui e le collettività, bensì sulla consapevolezza che l’interazione e la coevo-luzione delle differenze sia oggi la condizione necessaria per il mantenimen-to e la crescita di ogni patrimonio comune. (Applausi)

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Sen. Mauro Ceruti

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Franco Pasquali

Grazie. Innanzitutto due secondi per dire Reti in Opera. Reti in Opera èformata da diciotto associazioni del mondo cattolico che fanno riferimentoforte alla dottrina sociale della Chiesa. Nell’insieme sono un associazionismopopolare perché rappresentano più di sei milioni di persone nel nostro Paese,impegnate a rileggere e a riproporre come momento fondante la dottrina socia-le della Chiesa. Posso dire anzitutto che c’è una forte vivacità nel mondo del-l’associazionismo cattolico. È una vivacità positiva anche di fronte a quelloche oggi abbiamo. Vorrei sottolineare, per dire quello che abbiamo oggi, checredo che il 2008 lo ritroveremo tutti scritto nei libri di storia. Io mi auguro conaccenti positivi, ma sicuramente è un anno che sta cambiando quello che noieravamo abituati a vedere. Quello che questi giorni, oggi, ieri, ieri l’altro, cioèla discussione che oggi è in atto di una riscrittura del capitalismo, non è robache riguarda l’elite di Wall Street o quant’altro. Cambierà la nostra vita quoti-diana. Di questo credo dobbiamo rendercene conto. Capisco che è difficilissi-mo abbandonare quello che già conosciamo, ma noi dobbiamo prepararci afarlo. Dico questo perché chi è impegnato come cattolico, come laico nelsociale e nella rappresentanza, oggi di fronte ad un mondo che sta ricambian-do le coordinate deve avere la consapevolezza che può partecipare a riscrive-re quelle coordinate nuove che ci aspettavamo domani. Noi abbiamo questaresponsabilità. Tutti noi. Si tratta di vedere se raccoglierla o meno. Qua non èsolo una questione di elite. Io vorrei risottolinearlo in modo forte. Quindidiscontinuità, rigenerazione, ritornano ad essere termini molto attuali e attua-lizzabili. È chiaro che bisogna partire dai fondamentali. Qua prima di fare iprogetti occorre fare un momento di riferimento forte ai fondamentali. Noi cre-diamo che i fondamentali: quali l’obiettivo di un nuovo umanesimo, di unapersona al centro delle regole del gioco, di una nuova coesione, di una nuova

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inclusione, non siano termini vuoti. Sono termini che ci mettono alla provaseriamente. Quindi anche come descrivere il nuovo modello di economia, incui lo Stato avrà un ruolo diverso da quello che aveva ieri. È inutile che qua cichiudiamo di fronte a degli slogan, no? Non vogliamo più quello di ieri,vogliamo qualcosa di nuovo. Ma certamente vedrà degli impegni diversi.Allora l’associazionismo cattolico in questa riflessione che ha fatto anche ottogiorni fa, qua ad Assisi, è emerso chiaro che vuole partecipare a costruire que-sto nuovo, a riproporre alcuni elementi forti. Un titolo era provocatorio, cioèPovertà emergenti, bene comune e ricchezze negate. Io proprio per essere bre-vissimo,parlerò delle ricchezze negate. Le ricchezze negate per costruire ildomani sono certamente il discorso di una famiglia che abbia un ruolo diver-so rispetto a quello che anche oggi abbiamo visto, che si cerca di vedere nellasua diciamo cultura comune, ma il ruolo degli immigrati, che è un grande valo-re, rischia di essere penalizzato per una cultura dominante di chiusura forte cheil nostro Paese non riesce a digerire. Quindi la nuova coesione sociale, l’altroelemento della povertà che facciamo fatica, della ricchezza negata. Abbiamodetto che occorre guardare in modo diverso la sussidiarietà, il corpo interme-dio e quant’altro. Dobbiamo riscrivere, metterci un attimo in gioco su questo.I territori sono fondamentali nell’era globale. Ho l’impressione che spesso nonli stiamo presidiando più bene. Bisogna ripresidiarli in modo forte, con unacultura nuova, i territori. I territori non sono e non debbono essere sedi di egoi-smi. Debbono essere una sede che ci può permettere di creare un respiro diver-so per affrontare il futuro. Ma questo noi lo riusciamo a fare se creiamo unacultura condivisa comune di un livello diverso. Cioè non dobbiamo far preva-lere la cultura della paura che oggi rischia di diventare uno slogan alla rincor-sa. Prima nei due interventi è emerso abbastanza chiaro. Quindi in conclusio-ne il mondo di Reti in Opera è un mondo, è una sfida molto bella, a mio avvi-so, di diciotto associazioni che vogliono anche allargarsi oltre e con questovuole essere una ricchezza per il Paese. Noi crediamo nel fatto che l’Italiapossa avere un suo ruolo anche internazionale molto forte proprio per ilmodello che gli apparteneva, no? Di una forte coesione sociale. Non solo il belPaese perché ha dei bei prodotti, ma bel Paese perché ha un bel modello dicoesione, ha un modello di accoglienza molto forte. Quindi questa sfida appar-tiene al mondo cattolico, appartiene all’associazionismo cattolico e con questovi ringrazio per l’invito che avete fatto a Reti in Opera, perché per noi è impor-tante anche tessere reti nuove e diverse. Grazie ancora e buon lavoro.

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Franco Pasquali

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Sen. Alfonso Andria

Grazie. Vorrei subito cogliere qualcuno soltanto degli stimoli che sonoemersi dall’intervento di apertura di Beppe Fioroni e dalla relazione di MauroCeruti. In particolare mi soffermo su quest’ultimo. Su un aspetto, diciamo, unquesito che Mauro Ceruti ha posto alla nostra attenzione. Se in un tempo nelquale si parla di fine della società abbia ancora senso richiamare l’attenzionesul territorio. E la mia risposta, credo come quella di tanti o di tutti, è natu-ralmente affermativa. C’è una necessità avvertita nei territori, una necessitàdi riprendere le iniziative e di fare in modo che quell’iniziativa non si risolvasoltanto in un momento di adesione, in una campagna di comunicazione o dianimazione di circoli o di un tesseramento qualche volta retto su regole incer-te e che andrebbero rivedute e ispirate a criteri e a principi di massima tra-sparenza. Perché l’adesione sia consapevole, perché sia un momento respon-sabile, perché sia una fase della costruzione del Partito Democratico e nonsoltanto un fatto di quantità. Ma perché appunto sulla qualità che caratterizzianche l’impegno di alcuni di noi che sono fortemente ispirati nella loro azio-ne. Ed allora rispetto a quel vuoto che corrisponde ad una grande esigenza dipartecipazione che si registra anche nelle periferie, noi con questa iniziativadi QUARTA FASE intendiamo qualificare il nostro ruolo. Intendiamo colma-re quel vuoto, non soltanto con un modello organizzativo, ma anche con unanuova spinta di elaborazione, di proposta, di progetto, di riflessione culturaleper l’appunto incentrata su quelle sollecitazioni che dai due interventi intro-duttivi sono pervenute. E su un tema in particolare Beppe Fioroni e Ceruti sisono soffermati. Un tema estremamente complesso che non si può certamen-te liquidare in poche battute, che è quello del ruolo dei cristiani nell’attualestagione politica, nell’odierna fase delle democrazie occidentali, di quella ita-liana in modo particolare. È ovvio che la difficoltà è accresciuta anche dai

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cambiamenti profondi sopravvenuti negli ultimi anni con riguardo alle moda-lità di presenza dei cattolici italiani in politica. A questi cambiamenti non hacorrisposto un adeguato sforzo di elaborazione culturale sulle novità, spessoassunte come occasione di diretta presa in carico della questione cattolica daparte delle gerarchie ecclesiastiche e specularmente di una progressiva este-nuazione della rilevanza sociale e dell’esperienza religiosa e della capacità diuna ispirazione cristiana vissuta in politica con l’accettazione dello stile e delrischio della laicità. A me sembra quindi che l’iniziativa di QUARTA FASEdeve essere salutata come un nuovo inizio che può contribuire utilmente acolmare quel deficit di riflessione che per l’appunto segnalavo. Questo labo-ratorio permanente funzionerà però ad alcune condizioni. La prima, credo didire una cosa naturalmente ovvia e abbastanza condivisa, credo che Fioronil’abbiamo molto ben sottolineata nel suo intervento,deve essere chiaro chenon si tratta di costituire la corrente cattolica dentro il Partito Democratico,ma di candidarci per fatti, per proposte, per impegno concludente a fare lanostra parte per dare a questo Partito un’anima vera e propria che deve irro-bustirsi sempre più, perché questo è un Partito giovane, perché nasce in unacongiuntura in cui la politica per effetto della caduta delle ideologie è semprepiù povera di idee forti e i valori strumentali rischiano di essere valori finali.La seconda considerazione: questa operazione, che è dunque primariamenteuna operazione culturale, non può essere rinchiusa in un gruppo, non puòessere finalizzata soltanto ad avere maggior peso, nemmeno esaurirsi negliapparati di un Partito, ma deve essere una grande occasione che coinvolgaintellettuali, educatori, imprenditori, operatori sociali, gente del volontariato,quelli cioè che danno ad un Paese l’autocoscienza ma anche il senso del suomovimento evolutivo. Insomma, questa è un’occasione per andare, partendodalla politica, oltre la politica, riconoscendone ed affermandone i limiti. Lagrande tradizione cattolico democratica è uno straordinario patrimonio che vareiterato nei mutati contesti di questa fase storica. E l’ispirazione religiosa,l’ispirazione cristiana in specie, va vissuta e spesa in politica come lievitodella vita sociale, come animazione della democrazia, come riserva straordi-nariamente feconda di permanente ulteriorità. Il terzo punto, che vorrei sotto-lineare è che l’esercizio della laicità in politica, nella linea dell’insegnamen-to di De Gasperi e Moro e dei grandi maestri che ci hanno lasciato in doloro-sa e rapida sequenza nei tempi e nei giorni ultimi, Andreatta, Scoppola,Ardigò, Elia, implica quell’esercizio di laicità nella politica. Un’assunzionedi responsabilità da parte nostra. Questa responsabilità va giocata con grande

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attenzione all’insegnamento della Chiesa, ma anche con la capacità di media-zione e di traduzione di quegli insegnamenti nelle condizioni date in unasocietà pluralistica e complessa. Tanto più quando, come avvertiva Scoppola:nel suo ultimo scritto, “Un cattolico a modo suo”, queste esigenze e questivalori sono stati variamente interpretati ed espressi in diverse epoche storichee in diverse civiltà, sicché è impossibile tradurli in un codice definito e per-manente di comportamenti. Un banco di prova a questo riguardo sono certa-mente le questioni che investono la vita dell’uomo, la vita al suo inizio, la vitanella sua fase terminale ma anche, come diceva il Professor Zamagni tempoaddietro, la vita durante. Tutte questioni relativamente alle quali, cito testual-mente Scoppola: “la Chiesa nel suo magistero più che entrare in manieraanalitica su singoli argomenti, lasciandosi coinvolgere in questioni scientifi-che, spesso incerte e comunque estranee alla sua competenza, dovrebberichiamare con forza i valori in gioco e ammonire sui limiti della scienza, suirischi di una tecnologia che si sottrae ormai al controllo della scienza stes-sa”. Non è che vogliamo insegnare il mestiere a qualcuno, meno che mai allegerarchie ecclesiastiche, ma per parte nostra, come laici credenti impegnati inpolitica, questo spazio di autonomia più che rivendicarlo dobbiamo essere ingrado di esercitarlo concretamente, a partire da una ispirazione alta e vissutacon tutti i rischi, con tutte le possibili contraddizioni, le incompiutezze che lamediazione storica comporta immancabilmente. E questo ininterrotto eserci-zio sarà un grande servizio, certo al nostro Partito, ma attraverso il nostroPartito, sarà un grande servizio al Paese, a una democrazia stanca che rischiadi chiudersi nella pura logica della rappresentanza degli interessi costituiti,per citare ancora una volta Scoppola. Questo esercizio sarà una grande risor-sa di animazione sociale, di rivitalizzazione del tessuto sociale. E a partire daquesta ispirazione ritrovata e da una laicità che sia stile, che sia atteggiamen-to interiore, direi una sorta di attitudine statutaria del nostro modo di stare inpolitica da cristiani, è possibile una grande ricchezza propositiva che incidasulla vita concreta delle persone, la vita durante, innanzitutto. E promuovaaggregazione soprattutto per quel mondo che condivide quell’ispirazione, manon soltanto per quel mondo. Grazie. (Applausi)

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Sen. Alfonso Andria

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Carmelo Triglia

Buona sera a tutti. Sono Carmelo Triglia, sono Presidente di QUARTAFASE di Livorno. Noi ci siamo già organizzati per luglio, abbiamo fatto unconvegno e ci siamo dati un po’ un’organizzazione. Devo dire che c’era giàmolta gente a quella riunione, segno di una vitalità e di un’attenzione a que-sta associazione. QUARTA FASE è un’associazione che si rivolge a tutte ledonne e a tutti gli uomini che fra loro condividono la fedeltà democratica, laconcezione del valore della persona, della società, dello Stato e dell’ordineinternazionale. Bisogna dire con forza che quello che noi vogliamo è unPartito Democratico che abbia una sua specifica identità politica, quale ilsenso delle istituzioni, la difesa della famiglia, l’impegno per la libertà e ilrispetto per le idee altrui, il rifiuto del totalitarismo e del liberismo, la difesadell’ambiente, la valorizzazione del ruolo femminile, il sentimento della soli-darietà con le categorie più deboli come bambini e anziani e con le aree piùsvantaggiate del Paese. Ma soprattutto vogliamo mettere al centro il valoredella famiglia per noi punto di riferimento da sempre per la formazione socia-le e culturale del Paese. L’intento di QUARTA FASE è quello di contribuireaffinché il Partito Democratico diventi una grande formazione riformatricecon tradizione e cultura democratica e solidaristica. E soprattutto che al suointerno si svolga una discussione politica approfondita che interessi la basecon le sue diverse anime, segno di grande vitalità, di un grande Partito che staalla fine del percorso. La gravissima situazione finanziaria che sta attraver-sando praticamente tutto il Paese pone a noi stessi un maggior senso diresponsabilità nell’affrontare i problemi di casa nostra, affrontando il ruolodell’opposizione con estremo rigore e senza sconti, ma nell’ottica di concre-tizzare le riforme istituzionali occorrerà guardare alle esigenze dei suoi citta-dini. C’è un compito e una responsabilità di ogni cittadino per la vita pubbli-

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ca della propria nazione che non possono mai essere derogati e che devonopotersi esprimere, specialmente per chi si richiama ad una coscienza cristia-na, almeno in quella forma minimale, ma essenziale, di partecipazione diret-ta della vita pubblica che è data dal momento elettorale. L’indifferenza e l’e-quidistanza non giovano alla crescita della convivenza democratica ma sonoforme di deresponsabilizzazione che di fatto lasciano a chi capita la gestionedella cosa pubblica nell’illusione che la democrazia possa funzionare da solae possa continuare ad esistere senza il contributo della propria personale par-tecipazione. Si tratta oggi di muoversi all’interno di uno strumento politicoche presuppone ancora di più il confronto, un dialogo e una necessaria media-zione fra i componenti di diversa ispirazione ma in grado di costruire un’al-leanza che può essere realizzata solo su obiettivi parziali rispetto al valorepreciso di cui ciascuno si sente portatore. Per potersi orientare nella scelta ilproblema per il cristiano, come per ogni cittadino, è quello di esigere un’e-sposizione corretta e articolata dei programmi e degli obiettivi per uscire dallademagogia ed affrontare i problemi ed esporre le soluzioni. Per questi motiviil cristiano deve impegnarsi in politica e legittimamente è chiamato ad indi-care i valori e i criteri che sottostanno a tali scelte: la crescita civile, etica,umana delle comunità locali e nazionali, nella corretta integrazione europea emondiale, nel giusto sviluppo politico, economico e sociale, nel rispetto dellapromozione delle autonomie, nella salvaguardia dell’equilibrio ecologico delpianeta, il perseguimento del carattere popolare della partecipazione dellapolitica, il superamento delle situazioni di ingiustizia e della sperequatadistribuzione delle risorse, la solidarietà non come termine generico ma comeattuazione di concreti progetti che sappiano coniugare la difesa dei più debo-li con i sicuri progressi economici e sociali. Il diritto al lavoro deve essereinteso come possibilità di esercizio pieno della propria cittadinanza e comeaffermazione della dignità della persona - provengo dal cantiere navale diLivorno, perciò sono vicino ai problemi del lavoro - mentre la politica e lagestione dell’immigrazione devono saper coniugare certezza delle regole conl’accoglienza solidale. Occorre promuovere il ruolo della famiglia sia nelmomento della sua formazione che in quello del suo percorso quale nucleofondante della società. A Livorno e provincia il 15 luglio scorso, come dice-vo prima, abbiamo costituito l’associazione QUARTA FASE, con una grandepartecipazione di pubblico nonostante il periodo particolarmente afoso, segnoinequivocabile del desiderio di riunirsi e confrontarsi per poter esprimere inostri valori di cattolici impegnati in politica e per contribuire alla crescita di

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un grande partito quale il Partito Democratico. Noi abbiamo elaborato un pro-getto che vorrei esporre nelle parti più salienti nella speranza che possanoessere di aiuto per l’associazione stessa. Nella realtà occorrerà istituire unincontro periodico determinato, informando gli aderenti e i simpatizzanti cer-cando di formare così un gruppo di discussione politica culturale. Occorreràmettere in risalto i problemi politici, sociali e culturali del luogo per poi scri-vere le nostre valutazioni come QUARTA FASE su possibili soluzioni, coninterventi pubblici sulla stampa cittadina che siano di aiuto, di stimolo o dicritica costruttiva al governo della città. Importante sarà l’utilizzo dei sistemiinformatici e costruire un sito con posta elettronica per coinvolgere più per-sone o semplicemente informando della nostra attività. Occorrerà formarequello che noi chiamiamo Progetto AIP, Area ad Impegno Politico, indivi-duare i rappresentanti di QUARTA FASE nei luoghi di lavoro, nel commercio,nell’artigianato, eccetera, nell’ottica della partecipazione e della crescita perla formazione di punti di riferimento e di coordinamento importanti per lacomprensione delle problematiche delle aziende di appartenenza. Occorreràinoltre, a nostro avviso, promuovere all’interno dell’Associazione un settoreche segue i problemi animalisti e ambientali per la promozione del rispetto afavore degli animali e della tutela dell’ambiente in ogni sua forma. Si ricordache questo tipo di sensibilità è molto forte, è sentita dai cittadini. Dovrannoessere favoriti e ideati incontri e dibattiti politici, sociali e culturali aperti atutti, presentazioni di libri di personaggi di spicco, mostre, eccetera, da piani-ficare caso per caso. Potrà essere compito della nostra associazione organiz-zare corsi di formazione politica aperti agli iscritti e ai simpatizzanti per pro-vare a formare una nuova classe dirigente ed un tavolo di discussione conti-nua. L’organizzazione di questa importante attività potrà avere il supporto didocenza dei nostri politici locali. Si potrebbe aprire uno sportello all’internodella sede di un osservatorio del lavoro allo scopo di monitorare tutti gli even-tuali concorsi che si venissero a creare nella nostra provincia raccogliendosegnalazioni sia da privati che dalle amministrazioni pubbliche, con lo scopodi favorire ed informare e assistere eventuali possibilità di lavoro. Infine,un’altra attività di servizio agli associati e alle loro famiglie potrebbe esserequella di istituire uno sportello legale, da aprire anche questo periodicamentein base alle esigenze, con l’aiuto di un legale amico che in questo modopotrebbe, aiutando noi, farsi un po’ di pubblicità. Lo scopo di questo servizioè quello di dare risposte brevi e concise sui temi legali agli associati che sirivolgono a noi. Spero che questo nostro contributo livornese possa essere

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utile alla causa di QUARTA FASE per la costruzione di una casa comune deicattolici democratici italiani inseriti a pieno titolo nel Partito Democratico.Grazie.

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Carmelo Triglia

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Giorgio Russo

Buona sera a tutti. Io mi sono iscritto sulla scheda come Consigliere delDistretto degli Ardesiaci, della Val Fontanabuona della Provincia di Genova.Un breve cenno, il settore ha avuto una fortissima riduzione, prima si espor-tavano lastre da Bigliardo per rivestimenti degli esterni in tutto il mondo, conaziende con una certa ricchezza, poi - qualcuno ha parlato di globalizzazione- le lastre che provengono dal Brasile e dalla Cina, nonché quelle di materia-li sintetici, hanno ridotto la produzione quasi dell’80%, va già bene che eranotutti genovesi e quindi un po’ di soldi da parte ce l’avevano e quindi…Qualche azienda è stata chiusa senza far mancare lavoro a nessuno. Questo èun fatto di stile imprenditoriale da tener ben presente in questi giorni. (applau-so) Invece il richiamo, così, dal mondo della partecipazione politica cristianosociale, non dovrei aggiungere altro perché l’Onorevole Fioroni ha toccatopunti veramente interessanti e devo dire che è valso il viaggio venirlo a sen-tire. Allora il richiamo è anche a Franceschini. Diteci cosa dobbiamo fare,diamo una mano, sicuramente, perché ci vuole uno scrollone deciso allaforma organizzativa, alla struttura piramidale delle sezioni, dei circoli, chia-mateli un po’ come volete, perché c’è una base sicuramente in attesa di indi-cazioni che vorrebbe vedere un po’ di più i generali mangiare con la truppa eportare avanti non nella grande politica, ma sicuramente nei valori condivisi,alcuni valori come quello di portare i principi del centro-sinistra che sonosostanzialmente quelli di restituire qualcosa nella società a qualcuno che è piùsfortunato ma anche che non merita la sua sfortuna. Questa secondo me è lagrande differenza con la destra. Cioè portare avanti il principio di politiche direstituzione che poi possono passare attraverso scelte molto concrete quandosi parla di occupazione. Io ho conosciuto, ho avuto la fortuna da giovanottodi mangiare la pastasciutta con Don Ciotti, coi carcerati. Da allora fino ades-

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so credo quel filo non si sia mai interrotto. C’è gente che preferirebbe averemezzo lavoro piuttosto che non avere nulla. Queste sono le scelte politicheche si attendono queste persone, che non sanno neanche che esiste l’alta poli-tica e che, come ha detto il professore Ceruti che ha parlato prima, sono com-pletamente presi dai loro problemi individuali, tanto che non hanno sicura-mente nessuna fiducia nella classe dirigente. E un augurio di sentirvi presto,che arrivino presto iniziative, programmi. Buon lavoro.

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Giorgio Russo

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Giovanni Ruvolo

Buona sera. Anche io porto un po’ l’esperienza dal territorio, dal sud,dalla provincia di Caltanissetta. Due settimane fa abbiamo organizzato unconvegno per la presentazione di QUARTA FASE. Quello che vi porto adessoè il feedback, cioè un po’ la riflessione su questo tema che viene dal gruppo,che rappresenta un modesto contributo a questo incontro. In uno dei suoi ulti-mi interventi pubblici Pietro Scoppola, che voglio ricordare a quasi un annodalla sua scomparsa, ha detto: “la democrazia presuppone una fondamentaleconcezione dell’uomo, un tessuto etico, ma non può garantire la verità.Esprime quello che la società è, consente una mediazione al più alto livellopossibile. L’alternativa alla democrazia è il sovrano, chiunque esso sia, chegarantisca la sua verità”. Oggi l’Italia ci appare un Paese inerte. Il fatto cheda quindici anni non cresca il reddito reale medio è in un certo senso la con-seguenza ultima di qualcosa di più profondo. L’inerzia italiana non è nellasostanza economica, ma piuttosto il venir meno di una forza, di un’energiainteriore, il perdersi del sentimento del nostro stare insieme come popolo. Èla sensazione che il Paese non abbia più il baricentro, né una meta. È la per-cezione che le differenze sociali, culturali e quindi geografiche tra le varieparti della penisola si stanno approfondendo; che tutti i legami fra le persone,come all’interno della famiglia e con le istituzioni, vanno allentandosi. Oggicome si può parlare di democrazia sociale, il cui presupposto è il concetto dieguaglianza o, come lo ha indicato Tocqueville, l’ethos egualitario? In unasituazione generale nella quale le leggi non sembrano più essere uguali pertutti, la flessibilità e la mobilità sociale potenziale, ossia la possibilità offertaa tutti di potersi migliorare socialmente è una condizione incerta, se nonanche improbabile? Alla luce di ciò per noi non è marginale chiedersi in qualivalori crediamo, quale identità riusciamo a veicolare nel nostro agire politi-

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co, quale condivisione ricerchiamo nella proposta programmatica, che tipo diclasse dirigente stiamo formando. Analoghe domande dobbiamo porci quan-do pensiamo al PD e cosa intende rappresentare per i tanti, democratici, cat-tolici, riformatori, che hanno inteso partecipare alla scommessa di un tal sitoaperto, plurale, solidale, nella ricerca di valori condivisi e nella difesa di prin-cipi essenziali, interessato alla promozione e allo sviluppo di una nuova visio-ne dei diritti della persona, come pure dei doveri individuali e collettivi. Dopoil troppo decantato successo delle primarie, il PD oggi sembra non suscitareparticolari entusiasmi, soprattutto in Sicilia, dove questo nuovo soggetto poli-tico veniva speso come componente capace di valorizzare tutte le energiepositive che hanno cercato negli anni di emergere in contrapposizione all’e-stablishment consolidato dei poteri più o meno occulti. Innanzitutto la novitàche il PD introduceva era rappresentata dalla volontà di fondere insieme cul-ture diverse che portavano ciascuna ricchezze diverse. Invece ancora sembrarimanere irrisolta la questione interna fondamentale che riguarda la valoriz-zazione delle identità presenti. E quindi, per quel che ci riguarda, come i cat-tolici democratici possono stare in questo nuovo soggetto politico, senza iat-tanza e senza subordinazione, come indicava il titolo di un convegno orga-nizzato nel settembre del 2006 dall’associazione I Focolari. In questa disor-dinata fase di incertezza, con l’evidente difficoltà di una composizione unita-ria della nostra area politica il futuro del pensiero cattolico democratico sem-bra appiattirsi su incomprensibili posizioni di arrendevolezza, forse accen-tuato dal tatticismo e dal pragmatismo di taluni personaggi ai quali sembraestraneo l’insegnamento di uomini come La Pira, Moro, Bachelet, Elia, iquali ci hanno lasciato in eredità non solo la responsabilità di portare avantiun progetto ed una tradizione politica, ma anche e soprattutto il compito diessere noi per primi fedeli testimoni dell’idea alta della politica. Le questionisu cui ci interroghiamo sono: il cattolicesimo democratico ha ancora qualco-sa da dire nel futuro della politica italiana, o è in via di estinzione? E se haqualcosa da dire, in quale forme organizzata potrà dirlo e con quale colloca-zione? Certo, è indubitabile che chi si ispira autenticamente alla tradizionecattolica democratica non è un nostalgico, né si può considerare preponde-rante la schiera di chi vuole semplicemente creare correnti con pacchetti ditessere e per meri rapporti di forza. Siamo consapevoli che questo pensiero èancora capace di proposte e di trasfondere nella politica italiana una fortedose di laicità, di etica e valori e, nell’agire politico, senso della legalità econcretezza. La cultura della leadership solitaria, decisionista e mediatica,

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risulta lontana dalla più autentica cultura cattolico democratica della parteci-pazione e della corresponsabilità comunitaria. Comunque ci sembra che dallafondazione del PD non si sia riusciti ancora a dissolvere, anche dall’immagi-nario degli stessi militanti, il dubbio se si è veramente trattato di una fusionea freddo, voluta da apparati, oppure se siamo di fronte a un Partito che vuoledisegnare una base comune di identità culturale, capace di fare formazionecivica e democratica permanente, di risvegliare passioni, sentimenti collettivie appartenenze, in un processo che esalti il pluralismo come ricchezza.Bisogna liberarsi dalle tentazioni dell’individualismo e dalla subalternitàdalle posizioni diversificate, aprendo spazi reali di partecipazione, avendofiducia nell’azione comunitaria per uscire dalla condizione di difficoltà e perguardare al futuro con coraggio, attraverso gli occhi delle nuove generazioni.Faccio parte di un’associazione intitolata a Giorgio La Pira con la qualeabbiamo inteso dare reale compimento al principio della partecipazione. Cisiamo costituiti in Circolo in concomitanza con la fondazione dellaMargherita dopo aver fatto l’esperienza di un corso di formazione politicaorganizzato da alcuni di noi in collaborazione con la Diocesi di Caltanissetta.Potendoci autodeterminare nel prosieguo abbiamo sviluppato un’attività for-mativa ma continua avendo lo sguardo puntato ai bisogni dei nostri territori ecercando di testimoniare che l’impegno politico non può prescindere dall’ac-quisizione di competenze e dal raffronto con diversi attori sociali. Per noi ilrinnovamento della classe dirigente si realizza attraverso la maturazione delleproprie idealità con un cambiamento di mentalità, metodo e prassi politica.Con il passaggio al PD abbiamo voluto specificare la nostra appartenenza cul-turale e politica per meglio compararci con i movimenti laici e le associazio-ni di area cattolica che con interesse avevano recepito ciò che il PD intenderappresentare. Infatti si è verificata la generale convinzione che avendo chia-ri gli elementi specifici della propria identità si può trovare una sintesi condi-visa con altre culture politiche. Però dopo l’entusiasmo iniziale abbiamo regi-strato che molte realtà associative stanno rivalutando il proprio giudizio posi-tivo. Forse, e non è esagerata la convinzione, perché hanno avuto prova chedalle nostre parti il motto gattopardesco ha trovato l’ennesima conferma,determinando conseguentemente un’evidente difficoltà di radicamento delPartito. Bisogna avere il coraggio della coerenza e per noi cattolici è impre-scindibile una chiara testimonianza di fedeltà ai principi di libertà, di legalità,di trasparenza e di solidarietà che invece contrastano con l’atteggiamento inpositivo di chi ha utilizzato il metodo della cooptazione solo per favorire gli

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interessi di una parte. Per contrastare le forze occulte che come metastasihanno devastato il tessuto sociale ed economico della Sicilia è necessario cre-dere nella partecipazione democratica, realizzando percorsi di coinvolgimen-to sempre più ampi che sappiano definire concreti programmi per la prepara-zione e la valorizzazione delle giovani generazioni. Vorrei concludere con unpensiero di Pietro Scoppola: “le occasioni perdute rimangono tali anchequando si sono capite e studiate. Ignorarle o rimuoverle è sempre la premes-sa di un’irresistibile coazione a ripeterle”. Grazie per la vostra attenzione.

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Giovanni Ruvolo

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On. Mario Pepe

Un saluto alla presidenza autorevole e prestigiosa. “Il Manifesto dellacura” dell’anno scorso ha fatto bene ai convegnisti di questa nostra manife-stazione. Un saluto al Vice coordinatore nazionale, al vicepresidente,Onorevole Franceschini e un saluto all’amico Giuseppe Fioroni che ha svol-to una brillante relazione. Questa oggi molto più robusta rispetto alla relazio-ne di ieri, quando si è parlato, all’interno del Parlamento, della pubblica istru-zione, della riforma, di cui avete sentito parlare, della scuola italiana. Il gravenon è il provvedimento votato ieri, il grave è il provvedimento enucleato dalGoverno l’8 di agosto, provvedimento che ha in una parte normativa definitauna scuola del futuro, ma non la scuola del futuro dal punto di vista contenu-tistico, la scuola del futuro che deve essere tutta organizzata dal decisionismodel Ministro della Pubblica Istruzione, bypassando il Parlamento italiano. Ioho sentito la relazione e ho apprezzato anche l’analisi sociologica, non mera-mente nazionalistica, del Senatore Ceruti, il quale sociologicamente si pone-va la domanda e si meravigliava come oggi le banalità comportamentalidanno senso al nostro essere, per cui le battute e gli accenni e le gestualità diBerlusconi talvolta riempiono di senso e di significato la vita politica talvol-ta. Perché ci troviamo di fronte ad una società in profonda mutazione. Lo hadetto il Ceruti. E c’è un testo che oggi è ritornato centrale nella sociologia onella narrativa, perché oggi bisogna raccontare la politica narrandola.Secondo il “Corriere della Sera”, oggi c’è una profonda incomprensione, lodiceva lo scrittore Baricco nel tema: “Sono tornati, vengono i barbari”. Che èun neologismo tutto risuonante di concettualità inespresse. Che significa? Citroviamo di fronte a un mondo rispetto al quale non valgono le categorie dellacircostanza, le categorie del comportamento definito dalla cultura togata.Quindi la lettura che noi dobbiamo fare di questa società deve essere com-

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plessa. L’anno scorso Assisi ha elaborato il “Manifesto della cura”, una riso-nanza molto esistenzialistica. Perché, diciamo la verità, anche il Papa losostiene, c’è questa forte istanza individualistica, se volete neoilluministica,rispetto alla quale noi dobbiamo organizzarci fortemente per tentare di esse-re la risposta politica alle esigenze della moderna società. Le risposte ce le hadate Fioroni: dobbiamo ritornare a fare politica nella partecipazione e nellasocialità. Sono due connotazioni denotative della politica intesa come gover-no degli interessi delle nostre comunità. La territorialità che viene invocatanon viene dispersa, deve essere recuperata. Noi del Partito Democratico, omeglio, la classe dirigente del Partito Democratico, che talvolta viene messain forse da associazionismi catacombali, è venuta fuori attraverso le primarie!Non dimentichiamolo. O vogliamo banalizzare la partecipazione dei cittadiniinvocando talvolta la democrazia vissuta e partecipata? Quando la invochia-mo, diciamo, beh, è passata. Io ho preoccupazione, caro OnorevoleFranceschini, di questo agitarsi di alcuni nel Partito Democratico. Non lavo-rano per il Partito, lavorano per Cesare, lavorano per il campo di Agramantee non fanno un lavoro utile al radicamento del nostro Partito. Cosa che inve-ce dobbiamo fare. Io ritengo, cari amici convegnisti, che il PartitoDemocratico non è solo una speranza. Giorgio Merlo ha scritto un libro inte-ressante, “Il Partito Democratico”, l’utopia possibile. Io dico, è qualcosa dipiù dell’utopia! Perché l’utopia non c’è, dobbiamo costruirla. È una speranzavera. Dipenderà da noi, dal realizzare nei nostri territori, nelle nostre comu-nità, nelle nostre prossimità, un concetto di democrazia forte all’interno dellequestioni che interessano le nostre comunità. Un autore americano, RobertKagan, in un saggio molto interessante, “La fine dei sogni e il ritorno dellastoria”, non è una lezione di carattere crociano o storicistico, ci fa capire chedobbiamo ritornare alla concretezza della vita quotidiana, non possiamo piùaccarezzare sogni illusionistici che ci portano fuori dalla realtà. Caro BeppeFioroni il tema del federalismo noi non dobbiamo vederlo nella negatività.Chi l’ha posto lo ha posto per compensare una lettura e una forte presenza sulterritorio. Teniamo presente la tipologia e l’analisi di una posizione politica,di una norma che deve essere tradotta nella pratica e che è difficile attuare. Ilfederalismo per noi deve essere una modalità nuova per rendere protagonistele autonomie territoriali e per renderle anche le responsabili, per farle gover-nare bene, perché se siamo forti nei governi locali e nelle municipalità, neicontatti con i nostri concittadini, io ritengo che possiamo effettivamenterafforzare il nostro Partito. Qual è la risorsa? Non esiste una risorsa magica

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per noi cattolici democratici, che non siamo un peso, né un contrappeso, néun pregiudizio nel Partito Democratico. Siamo quelli che si devono sacrifica-re di più se vogliamo realizzare la forza del rinnovamento di questo Partito,perché il cattolicesimo democratico è effettivamente una risorsa che può cam-biare la storia delle nostre comunità.

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Pio Cerocchi

Sento profondamente i rischi della deriva autoritaria, qui l’hanno senti-to in molti. Sta trascinando il Paese verso approdi imprevisti e di cui si intui-sce solo la crescente distanza tra i ricchi e i poveri, tra chi può esercitare aproprio piacimento i diritti che in teoria sarebbero di tutti e chi invece ne èapertamente privato. Da tempo, prima di quest’ultimo Governo, siamo menoliberi. Adesso però questa discesa nell’inferno democratico sembra addirittu-ra un precipizio. Ed è giusto averne timore e organizzare una difesa civile edemocratica attiva. Molti di noi immagino, forse la totalità, ci definiamo, eforse siamo, cattolici democratici. Nessun problema. Anzi, il fatto di essere,come dire, correligionari, sia pure, come diceva il mio amico Paolo Giuntella,diversamente credenti, arricchisce e semplifica il dibattito e le sue forme dicomunicazione. Il problema non risiede nella nostra identità, ma sulla qualitàgenerale della proposta di cui ci vorremmo fare portatori e protagonisti, cosache l’emergenza della situazione rende comunque indifferibile. Del resto chevolete che conti davanti a un baratro di ingiustizia nel quale la Destra sta perprecipitare il Paese, sapere quale sia la mia parrocchia oppure a quale asso-ciazione o comunità io appartenga? Conta invece, ed il fatto di essere qui inqualche modo lo dimostra, che anche dalla nostra esperienza di fede noi sap-piamo trarre il vigore morale e civile per organizzare una proposta politica,non solo per evitare a questo Paese altre sventure, ma soprattutto per traccia-re un realistico programma di evoluzione e di sviluppo nonostante le diffi-coltà del quadro internazionale e della generale crisi. In questo scenario iolancio una prima forte provocazione per il Partito Democratico, che secondome deve fare visibilmente una scelta pacifista proponendo il ritiro delle forzeimpegnate nelle missioni all’estero e soprattutto in Afghanistan, e contempo-raneamente deve provvedere all’invio di missioni civili per fare fronte alle

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emergenze sociali delle popolazioni colpite dalle guerre e dalle loro conse-guenze. Del resto, considerato quanto pesano sul Bilancio dello Stato le spesemilitari, penso che con questa inversione della spesa si potrà avviare unnuovo corso sul terreno degli aiuti allo sviluppo e per la pace nel mondo. Sulpiano interno è giunto il momento di fare poi chiarezza su alcuni punti essen-ziali dell’economia, prima che sia davvero troppo tardi. Avere da parte nostralargamente accondisceso, forse per un eccessivo e scolastico rispetto delleleggi economiche e del mercato, più che per convinzione, in favore delledismissioni dell’intervento pubblico nell’economia, oggi lo vediamo, haaperto di fatto un’autostrada al Governo attuale, come si è visto con l’Alitalia,che si appresta a distribuire ai capitalisti i ghiotti bocconi delle gestioni pri-vatizzate di ciò che originariamente era pubblico. E c’è l’impressione chequesto non sia un atteggiamento episodico, ma un fatto strategico. Per questooccorrerà ricordare a tutti noi che la linea del pubblico corrisponde inequivo-cabilmente a quella di un’equilibrata e democratica modernità, e non vice-versa. Per il partito dell’opposizione ovviamente il no in Parlamento è scon-tato, ma evidentemente, lo hanno detto tutti, non basta. Occorre però orga-nizzare un no di popolo, partecipato, e non da passivi teleutenti. Per cuidovremo fare nostra l’affermazione generale che se la destra ha l’etere e imedia, noi abbiamo il territorio. Ma in realtà non abbiamo né l’uno, né l’al-tro, o per lo meno è questa l’impressione di un quidam de populo come me eche ha dunque una visione di un’opposizione che finora è apparsa struttural-mente debole, se non controproducente. In questo senso la parola territorio,più volte richiamata oggi pomeriggio, sostanzialmente lasciata al suo destinodalle nuove procedure elettorali, dovrebbe interpellare la politica a ricostitui-re in esso il luogo privilegiato per la formulazione di un patto nuovo di citta-dinanza. Non è facile, ma una prima indicazione in questo senso può esserequella di riscoprire il gusto della compagnia e dell’amicizia, nelle dinamichedi un Partito costituito da persone solidali e portatrici di valore sociale, diver-so da quel Partito virtuale che senza problemi etici e di rappresentanza puòfacilmente essere usato, come ben vediamo, al servizio di pochi. Di fronteall’enormità dello svuotamento del ruolo del Parlamento e di fronte ancheallo stravolgimento delle relazioni sindacali, oltre allo smantellamento siste-matico dello Stato Sociale, la sinistra, cioè noi, scontiamo drammaticamentel’approssimazione di un’analisi sociale. E suona come un campanello d’al-larme quello che ha scritto recentemente Gad Lerner, che c’è ormai un’as-suefazione per le diseguaglianze sociali. Le forzature parlamentari per la

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restaurazione scolastica dettata dalle esigenze dei tagli, come è stato detto, enon dalla mission della scuola, ma anche la bufala della riduzione delle tasse,che ci fa chiedere perché la sinistra a suo tempo non ebbe il coraggio di fareesplodere nella fiscalità la bomba, tra virgolette, del quoziente familiare, e ciinterrogano con forza. E se questi temi, insieme agli altri che Fioroni ha benillustrato, e se questi temi sono decisivi per organizzare finalmente un dialo-go con la gente sul territorio, mi chiedo perché non fare di questi temi allorala linea di azione politica. Manca, mi pare, il coraggio di idee forti e di sini-stra, specifico di sinistra, perché secondo me dobbiamo recuperare i votianche alla sinistra, non solo al centro. Anche perché il centro dovrà chiarireprima o poi perché a Roma governa con la destra e poi vorrebbe qualche cosada noi. Ne accennerò una per tutte: l’esigenza civile e di pace di prevedere untermine, una seconda provocazione, alla pratica del mestiere delle armi, del-l’esercito professionale, per tornare invece a quella più prossima a un’idealedemocratico, cioè la leva obbligatoria, per un esercito leggero e di popolo,certamente più coerente con la scelta costituzionale di un Paese che ripudia laguerra. C’è poi un antemurale da difendere, con coerenza, la libertà costitu-zionale di espressione dei fatti e delle idee, il Governo si appresta a tagliare ifondi per i giornali con la peggiore delle ingiustizie, l’uguaglianza propor-zionale delle decurtazioni dei finanziamenti, gli annunciati tagli all’editoriacostringeranno molti giornali a difficoltà oppure a chiudere. In questa batta-glia di libertà noi della sinistra abbiamo delle responsabilità, perché andiamodivisi ma dobbiamo tenere conto che da molti anni ormai è proprio la sinistraad avere la rappresentanza delle categorie professionali dell’informazione equindi dovremo anche qui vedere in che modo agire. Noi scontiamo qui deiritardi e delle incomprensioni, tra una difesa corporativa di alcune posizioniprivilegiate, non faccio i nomi, tutti li conosciamo, e una grande maggioran-za, specie di giovani, precaria e priva di garanzie, che però è la protagonistadella nuova comunicazione, di nuovi media. Di fronte a questa, ad un’indif-ferenza etica della maggioranza sui temi della giustizia sociale e dell’equitànoi dovremo avviare, come ha fatto in Francia Sarkozy, forse anche per altrimotivi, lo ha scritto il giornale Europa, una sorta di stati generali dell’infor-mazione in modo da ristabilire le proporzioni etiche e produttive di un setto-re che è decisivo per la nostra libertà. Sono soltanto alcune prime indicazio-ni che offro come spunti utili a sbozzare qualche primo tratto di percorso.Questo dovrà nascere non solamente da un rinnovato confronto con i cittadi-ni sul territorio, ma anche da una matura riflessione interna che il Partito

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potrebbe benissimo avviare già adesso con i suoi strumenti di partecipazionee di cultura politica. L’emergenza democratica che esiste si supera con lacostruzione di un partito nuovo, per il quale ci sono già molti cantieri apertie sporcarci le mani per faticare insieme mettendo anche in discussione dovefosse necessario i ruoli e gli assetti interni su cui consolidarli. Penso ancorauna volta soprattutto alle nuove generazioni che si affacciano nel mondo dellavoro e che sono impantanate nelle vischiosità del precariato e in altre formedi emarginazione. Questa è l’impresa. Su questo si deve costruire una propo-sta spendibile e condivisa realmente da tutte le nervature centrali e periferi-che di un Partito che scommette sul valore della spesa sociale, sull’equilibra-to intervento dello Stato teso a ricomporre gli scompensi del mercato globa-le e che sappia proporre un sistema di percorsi scolastici alternativi capaci divalorizzare il merito e l’eccellenza al servizio del Paese. Io non so se il miointervento possa essere catalogato come quello di un cattolico democraticooppure no, solo perché non ho citato la parola laicità, ritenendola implicitacome però mi sembra che il magistero esorti a fare. Confesso che un’obbe-dienza che per quieto vivere o codardia non si assume il rischio della storianon mi sembrerebbe adeguata alla drammaticità della congiuntura che ilnostro Paese sta vivendo, per questo ho cercato di offrire semplicemente, esenza neologismi, alla vostra attenzione la mia piccola pietra per il benecomune di un’Italia giusta, più civile, più pacifica, più democratica.

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Sen. Maria Pia Garavaglia

Qui mi verrebbe voglia di dire: bambini e ragazzi del mondo, gioite, chela settimana di Lucignolo è fatta. Da questo Governo. Poi in compenso, hovisto i nostri giovani che sono venuti qui con interventi scritti. Vuol dire chenoi stiamo vivendo in questa schizofrenia incredibile di chi vuole seriamentededicarsi a costruire il futuro che è già il nostro presente, e chi invece vive divanità. Tutto è vanità. La comunicazione ha un grande strumento per comu-nicare per l’appunto anche senza parlare. E mi pare che siamo arrivati in que-sto tempo. Non ci sono parole che fanno pensare a che cosa è servita la paro-la. Invece viviamo delle immagini che vanno dal grembiulino fino ad imma-gini più forti che usa addirittura il Presidente del Consiglio per parlare dellasua capacità e vitalità maschile. Allora forse noi usando parole normali nonriusciamo ad arrivare all’emozione delle persone. Non oso pensare che nonriusciamo ad arrivare all’intelligenza delle persone. In un incontro come ilnostro, che si è caratterizzato anche, consentitemelo, dal vedere questo tavo-lo, Dario e Beppe, con tante donne, di aver visto quei giovani con un inter-vento pensato, significa che noi abbiamo un futuro. Dobbiamo coltivarlomolto. La mia esperienza qui per concludere un pomeriggio molto importan-te, mi fa parlare per tre minuti esatti, perché non si può trattenervi più a lungo,ma deduco anche dall’organizzazione del nostro convegno di come dobbia-mo diventare capaci di dimostrare serietà. Ci sono delle situazioni o eventi neiquali mi trovo a pensare al giudizio che suscitiamo in coloro che ci vedono.Perché se non c’è la coerenza con ciò che diciamo e ciò che facciamo, lagente è autorizzata a credere che c’è uno santo subito che fa i miracoli, per-ché se vede che anche noi siamo schizofrenici pensano che tutta la politica ècosì e quindi Berlusconi è come noi e noi come Berlusconi. Non è vero! Seno non saremmo qui di venerdì pomeriggio e di sabato, in un posto in cui nes-

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suno ci obbliga a venire e veniamo a causa anche del titolo, oltre che dellanostra storia alle spalle. Ma questi giovani non hanno per fortuna la mia sto-ria alle spalle, quasi vecchia, e quindi son qui per pensare, lavorare per il futu-ro, loro e nostro. Son qui per garantire che questa società può essere seria efare in modo che la meritocrazia non sia la selezione di coloro che dobbiamotenere in vista perché gli altri non possono neanche essere mandati avanti nondico all’Università, ma neanche agli Istituti Tecnici Professionali. Noi siamoqui oggi per fare un grande servizio, per primi a noi stessi. Val la pena che lodiciamo, per primo a noi stessi. Abbiamo bisogno di guardarci in faccia e diriconoscersi esattamente perché anche sui territori la politica ci ha preso ilposto, perché i leghisti che conosco io e che i miei colleghi veneti conosconobene sono persone che non stanno facendo nemmeno nulla sul piano ammi-nistrativo. Il Sindaco di Verona non ha fatto nulla, nemmeno del suo pro-gramma elettorale, se non parlare contro l’immigrazione, contro gli abusivi,che sono ancora tutti là. La gente si è fidata delle parole. Se noi alle nostreparole facciamo corrispondere i nostri fatti, si vede che alle parole non corri-spondono i fatti, ma se siamo uguali alla fine funziona chi è sul territorio fisi-camente. Il territorio è il luogo della riconoscibilità della nostra coerenza, fraciò che diciamo e ciò che facciamo. Un giovane ha parlato della trasparenzadei programmi. Giusto. E non nell’andare soltanto da Vespa con in mano icontratti. La politica, care amiche ed amici, è fatta di uomini e donne in carneed ossa. E quindi si deve capire che siccome è fatta da uomini per altri comeloro, deve essere qualche cosa che non esclude ma include. Vedete che nonsto parlando della scuola inclusiva, sto parlando della politica, della faticadell’inclusione, perché il rischio è, penso ai giovani, che magari non sianotanto graditi. Allora, primo, la trasparenza anche negli accessi alla nostra sto-ria, perché se facciamo far fatica ad entrare nel nostro recinto dimostriamo diessere come quelli che non vogliono né i congressi, né le tessere. Noi faremoi congressi, abbiamo le tessere, ma ci comportiamo alla stessa maniera, noncon la democrazia vissuta, ma con la democrazia predicata. E quindi anchenoi avremo non il sovrano, ma l’oligarchia. Quindi il primo tema all’internodel Partito Democratico è quello di far capire con i fatti che non c’è l’oligar-chia. Secondo, sempre pensando a Lucignolo, mi viene in mente che noisiamo il popolo del sì, sì, no, no. E anche la politica allora, per chi viene daquella storia, deve essere il sì, sì, no, no. Non si deve ritenere che la politicapossa usare i linguaggi trasversali, ambigui, ambivalenti. Non ci capiscono.Non ci capiscono gli elettori. Voi sapete che proprio sul tema che ha trattato

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poco fa Beppe Fioroni con tanto calore, tutti noi dopo che abbiamo smesso difare i Ministri ci siamo innamorati di ciò che abbiamo fatto quotidianamentecome Ministri. La scuola sta facendo dire e fare cose che non corrispondonoal vero in nessuna maniera. Se noi diciamo al Governo che è bugiardo, loroci rispondono che siamo bugiardi. E dopo che ci siamo insultati a vicenda ilDecreto passa com’è, pieno di bugie, però intanto il Decreto diventa Legge enoi diciamo che non siamo capaci di fare l’opposizione. La mortificazione diquesti miei giri per l’Italia in cui arrivo nelle assemblee e mi dicono, voi cosastate facendo?, vi assicuro che è un bell’esercizio di umiltà. (Applausi)Stiamo facendo di tutto. Ma abbiamo bisogno della partecipazione. Quindi lapolitica carne e ossa è anche sacrificio, nel senso che oramai lo sanno tutti, ioparlo a una, a due, a tre persone, non ho bisogno delle assemblee, eppure sullascuola abbiamo le assemblee perché se non c’è la possibilità di comunicarecon Vespa, con i giornali, con la televisione, abbiamo il nostro modo aulico,il migliore che c’è, la relazione interpersonale. Noi rispetto a loro crediamonel rapporto personale. Nel 1976, quando era il bicentenario degli Stati Uniti,ero là e mi stupiva questo formicolio serale. Ognuno usciva dalla sua yard eandava a cena dall’altro. Dopo un po’ di anni Kagan ha scritto un libro,“Bowling alone”, giocare a bowling da soli. Era incominciata la paura del-l’uscire alla sera. E quando inculchi la paura nella gente, la rendi fragile edebole, la rendi incapace persino di essere sé stessa, a scegliere perfino diandare a giocare a carte o a bowling con gli altri. Noi siamo in questa condi-zione. Ed è l’ultimo pensiero. E mi ricordo la mia città negli anni Settanta,quando alla sera non c’era in giro nessuno. La politica esige questa fatica.L’umiltà, la chiarezza, il sì, sì, no, no, e anche questo fatto di riconquistare glispazi. La chiamavamo partecipazione una volta. Cambiamo nome se è desue-to, se non ci piace più, se ci sembra che è di un periodo diverso da quello chestiamo vivendo. Ma noi dobbiamo occupare tutti gli spazi possibili. E lacomunicazione sia interpersonale, sia quella telematica, sia quella sofistica-tissima, hanno bisogno della nostra presenza e della nostra partecipazionecompetente. Due giorni fa voi avete visto che in una fabbrica del crotonesec’erano morti per avvelenamento. Siccome lo scoop interessa di più delladignità della persona, nonostante la persona che stesse facendo la denuncianon volesse essere riconosciuta, e a Crotone credo avesse ragione, l’operato-re ha fatto di tutto per fare che si capisse chi era. Ci mancava solo che dessel’indirizzo di casa. Allora, la comunicazione deve essere al servizio della per-sona. E anche sulle esercitazioni perciò dovremo essere severi, perché c’è in

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gioco davvero la dignità della persona. Ma noi dobbiamo assolutamente nellaCommissione di Vigilanza fare in modo che da lì, dal Parlamento, incominciuna risalita rispetto a una eticità della comunicazione, soprattutto la televi-sione che è vista da tutti. Quindi noi abbiamo degli strumenti nei quali ilParlamento sta contando poco, però dobbiamo utilizzare quelli che abbiamoper fare in modo che là dove ci saremo si capisce che noi ci siamo. E la miapreoccupazione, stranamente è l’unica che ho, è questa, che senza gli slogandei coraggiosi, che siamo davvero convinti di noi stessi, non occorre essercoraggiosi, rispettare la propria dignità. Comincia da noi il rispetto delladignità. Se noi riteniamo che non ce la facciamo, non possiamo, non contia-mo, loro hanno i numeri, loro hanno i mezzi di comunicazione, e va bene, cifacciamo fuori con le nostre mani. Prima di tacere, prima di farci giudicarecome non coerenti, noi dobbiamo sperimentare tutte le carte che abbiamo.Noi non possiamo accettare il come viene resa insignificante e irrilevantel’opposizione nel nostro Paese. Se non avremo strumenti diversi, abbiamonoi, la nostra intelligenza, il nostro cuore, la storia che abbiamo alle spalle ei valori che siccome sono da duemila anni viventi ed esistenti non basterà nes-suno di questa maggioranza a farli fuori. Potremo farli fuori solo noi. E credoche non sia questa la sfida che vogliamo.

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Sen. Maria Pia Garavaglia

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Da sinistra Maria Pia Bruscolotti, Beppe Fioroni,Annarita Fioroni, Agostino Giovagnoli

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Sabato 11 Ottobre 2008

Sen. Annarita Fioroni

Apriamo i lavori di questa tre giorni sui temi della democrazia politicae democrazia sociale. Saluto gli Onorevoli Dario Franceschini e GiuseppeFioroni e la nostra Segretaria Regionale Maria Pia Bruscolotti, che siedonoqui al nostro tavolo. Do il benvenuto al Professor Agostino Giovagnolidell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Questa mattina, dopo la relazione del professor Giovagnoli apriremo unbreve spazio dedicato al dibattito. Verso le 11.00 attendiamo il confronto traEmma Marcegaglia che è la Presidente di Confindustria e Raffaele Bonanni,Segretario Nazionale CISL, confronto che sarà animato da RobertoNapolitano, Direttore del “Messaggero”.

Do immediatamente la parola al professor Giovagnoli, che è ProfessoreOrdinario di Storia Contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuoredi Milano, che si è sempre occupato dei temi della Storia Contemporanea,soprattutto del secondo dopoguerra della nostra storia italiana e della storiadella Democrazia Cristiana, come partito che appunto seppe fondere al suointerno la tradizione cattolica e l’italianità. Ascoltiamo la sua relazione intema di ispirazione cristiana e laicità della politica. Grazie.

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Agostino Giovagnoli

Grazie di questa presentazione. Grazie di questo invito a riflettere quiassieme su temi che sono certamente di grande rilievo. Credo che sono digrande rilievo non solo per chi si riconosce in questi temi. Parlare di ispira-zione cristiana e laicità della politica significa, non c’è bisogno, credo, dispiegarlo, parlare tout court della tradizione cattolico democratica. Parlaredella tradizione cattolico democratica significa parlare di una tradizione cheha avuto un ruolo nella storia italiana particolarmente rilevante, e dunque èquestione che interessa non solo chi si riconosce in questa tradizione maovviamente tutti, o dovrebbe interessare tutti.

Il futuro della tradizione cattolico democratica, che in passato è statamolto importante, credo non ci sia bisogno di sottolinearlo, ma forse nonsempre siamo pienamente consapevoli del fatto che nessuna altra tradizionepolitica in Italia ha avuto il ruolo che ha avuto questa tradizione. Ecco, parla-re della tradizione cattolico democratica significa però anche affrontare i pro-blemi che oggi questa incontra, problemi che non sono sottolineati da altri masono sottolineati anzitutto da chi si riconosce in essa.

Pochi mesi fa si è discusso molto della afasia di questa tradizione poli-tica. Quello che io vorrei dire è che la difficoltà ad esprimersi di questa cul-tura politica è condivisa da molte altre culture politiche, forse da tutte le altreculture politiche. Oggi viviamo una crisi della cultura politica complessiva-mente presa, cioè di una cultura capace di elaborare i problemi dell’oggi,capace di affrontarli, capace di dare delle risposte in termini che hanno a chefare con le istituzioni della convivenza civile.

Credo che questo sia in qualche modo il punto cruciale da affrontareoggi. Cercherò di farlo rapidamente, con una riflessione molto schematica sevolete, nel senso che è articolata intorno a tre punti che sono quelli a cui ho

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già accennato: l’ispirazione cristiana, la laicità della politica e il tema dellademocrazia.

Comincerò però dalla laicità della politica, anche se in un certo senso inordine logico dovrebbe seguire il tema dell’ispirazione cristiana.

Laicità della politica. Si è scritto e si è detto tantissimo su questo temanegli ultimi anni, negli ultimi mesi, negli ultimi giorni. Temo che si conti-nuerà a parlare di laicità della politica, di laicità tout court anche nei giorni avenire, insomma una certa inflazione di questo dibattito.

Allora mi permetto di fare una riflessione molto semplice. Se si parlatanto della laicità è perché non sappiamo più bene a che cosa ci stiamo rife-rendo. Soltanto nel 2007 sono stati scritti più di 30 libri in Italia che hannonel titolo la parola laicità. Tutti si affannano a definirla. Questo significamolto semplicemente che ci troviamo di fronte a una crisi della laicità.

Allora, osservazione credo inevitabile, dopo questa premessa, è che seesiste una crisi della laicità, non basta ripetere questa parola appellandosi intutte le sedi, in tutti i momenti, in tutte le occasioni al valore della laicità.Bisogna riscoprire che cos’è e soprattutto che cosa può essere nell’oggi delcontesto in cui viviamo, perché per quanto riguarda il passato credo, non c’èbisogno di sottolineare l’importanza del tema della laicità, e direi l’importan-za della tradizione cattolico democratica in Italia sul tema della laicità. Pensoalle tante battaglie di Pietro Scoppola, per fare un esempio, per distinguere trala laicità come ideologia e la laicità invece come istituzioni, come norme,come confronto civile e politico. Questa distinzione fondamentale ha laiciz-zato la laicità, se posso usare questa espressione, ha laicizzato la laicità, depu-randola diciamo così delle scorie ideologiche.

Ecco oggi abbiamo un’impressione stranissima, l’impressione invece èche siamo tornati indietro, che siamo tornati a prima, a prima di questa distin-zione fondamentale tra la laicità come ideologia e la laicità come norme,come istituzioni, come procedure, anche come moralità se vogliamo, siamotornati indietro.

Naturalmente è una impressione ingannevole, la storia non torna indie-tro, si va sempre avanti, ma dunque qualche cosa è successo, qualche cosa èentrata in crisi, anche per quanto riguarda il rapporto fra credenti e non cre-denti. Assistiamo a forme di conflittualità che credevamo ormai sepolte in unlontano Ottocento, eppure il clima di 30 anni fa, il clima in cui i cattolicierano laici, il clima in cui i comunisti cercavano nella laicità una scusa peruscire dalla ideologia, un clima in cui nella laicità insomma tutti si riusciva-

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no a ritrovare, quel clima è ormai lontano. Ed è lontano perché il mondo ècambiato. Siamo in un mondo diverso, non ho la pretesa di spiegare in pochiminuti come è cambiato il mondo, ognuno lo vede e lo sa. Voglio solo sotto-lineare un aspetto di questo cambiamento. Da un lato è cambiato, il nostromondo italiano, europeo, occidentale. Quell’orizzonte, come dire, di unasecolarizzazione equilibrata, se così posso dire, si è come rotto per dare vitaa forme di iper secolarizzazione. Oggi molti laici sono in conflitto con i cre-denti, perché essi non sono più laici. La crisi della laicità non riguarda i cre-denti, ma riguarda in primo luogo i laici. Sono i laici oggi contro la laicità,perché oggi sono laici che in realtà portano avanti delle tematiche che sono,potremmo dire, iper secolarizzate. Non c’è tempo qui di entrare nel dettaglio,ma se pensiamo a tutto il dibattito sulla bioetica, se pensiamo a tutto il dibat-tito sui temi appunto delicati, anche dal punto di vista della produzione nor-mativa, che riguardano la bioetica, ci accorgiamo che in effetti in molte posi-zioni i laici hanno un forte contenuto ideologico, ed è quello che corrispondealla iper secolarizzazione del posto moderno come si usa dire oggi, e con fon-damento.

Dall’altra questo nostro mondo non è più solo, o meglio è meno solo diun tempo, il mondo in cui viviamo, credo che non ci sia bisogno di sottoli-nearlo particolarmente. È un mondo multi culturale, multi religioso, multietnico, dunque è un mondo plurale in cui non sono più scontati i valori con-divisi e via dicendo. E allora io credo che la crisi della laicità sia proprio qui,perché la laicità è nata in Europa, dopo le guerre di religione, per contrastarel’uso della violenza, per combattere il nesso fra violenza e politica, battagliafondamentale, ma in un contesto relativamente omogeneo, pur nella diversitàdelle opinioni. La diversità delle confessioni religiose, protestanti, cattolici evia dicendo, che convivono, mentre lo Stato è neutro su queste questioni, sap-piamo è stato anche il fondamento dello Stato liberale, il fondamento cioè diuno Stato che ha riconosciuto, oltre alla pluralità delle confessioni religiose,la pluralità delle opinioni.

Ma oggi non sono in gioco solo le opinioni diverse. Oggi è in gioco unpluralismo molto più radicale di queste coalizioni da una parte e multi cultu-ralismo dall’altra, provocano un pluralismo antropologico molto forte.

E allora io credo che il cuore del problema, almeno io lo vedo così, ènella capacità di pensare delle istituzioni; e quindi una politica in grado dicrearle, o comunque di farle evolvere in questa direzione, istituzioni adegua-te, non al pluralismo delle opinioni, ma al pluralismo antropologico, molto

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più ampio e molto più radicale in cui viviamo. C’è una crisi della tradizioneliberale, c’è una crisi che è ancora più profonda in un certo senso, che è lacausa ultima della crisi della laicità, crisi della tradizione liberale, che non èstata pensata per un mondo multi etnico, multi culturale, multi religioso dauna parte o iper secolarizzato dall’altra, e qui c’è un ritardo culturale. C’è unritardo della cultura politica che diventa anche un ritardo della politica. Noncredo che sia astratto ricordare tutto ciò. Io credo che la politica, per ritorna-re ad essere utile, ad essere efficace, a dare un orientamento a come deve farela politica, debba affrontare appunto i nodi di fondo del nostro tempo.

Ho parlato di laicità. Secondo punto: l’ispirazione cristiana. È una paro-la carica di significato, una parola cara ad Aldo Moro. Credo che anche qui lanostra storia alle nostre spalle sia nota in questo senso. Anche qui una osser-vazione sola. Io credo che ispirazione cristiana non significhi richiamo aivalori cristiani, significa molto di più. Che cosa hanno fatto Sturzo e DeGasperi, e poi Moro e tanti altri? Io credo che hanno avuto la capacità di com-prendere la collocazione della Chiesa nel loro tempo, le sfide che il lorotempo ponevano alla Chiesa. Hanno saputo pensare storicamente il cattolice-simo nel suo complesso. Hanno saputo prospettare al cattolicesimo del lorotempo delle strade che poi, rifiutate in un primo momento, pensiamo a quan-to il loro orientamento antifascista sia stato rifiutato a lungo dagli uomini diChiesa, dalla maggior parte del mondo cattolico italiano, rifiutato a lungosono state poi invece assunte e sono diventate vincenti.

Sturzo e De Gasperi, per dirla in modo molto sintetico, hanno fatto gio-care il peso del cattolicesimo per la costruzione della democrazia in Italia, elo hanno saputo fare, perché hanno saputo interpretare la realtà della Chiesanel proprio tempo. Hanno saputo prospettare delle strade più efficaci di quel-le prospettate da altri, anche a costo di profondi sacrifici personali, di tantevicende amare che hanno segnato la vita di queste due grandi figure e, inmodo diverso, anche di coloro che sono venuti in seguito.

Allora, se questo esempio merita di essere seguito ancora oggi, io credodi sì, bisogna porsi il problema di che cos’è, che ruolo ha la Chiesa nel nostrotempo, che cos’è il cattolicesimo nell’Italia e nel mondo nel nostro tempo?Come storicamente può spendersi? Per questo dico molto di più di un richia-mo ai valori cristiani, una capacità di analisi, riflessione storica nella concre-tezza dei problemi, e qui io credo bisogna avere il coraggio di andare al cuoredegli ultimi Pontificati. Io credo, e lo dico anche personalmente, spesso siamoattraversati da una sorta di nostalgia per gli anni Settanta, per il Pontificato di

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Paolo VI, per un certo tipo di mediazione tra cattolicesimo e politica, tuttecose molto belle e molto importanti, ma cose di 30 anni fa.

Gli ultimi due Pontificati sono Pontificati che, nel bene o nel male, inmodo giusto o sbagliato che sia, hanno comunque guidato la Chiesa cattolicanel post moderno, la Chiesa cattolica nell’iper secolarizzazione, la Chiesa cat-tolica nel multi culturalismo, nella multi religiosità e via dicendo.

Da questo punto di vista io credo che il Pontificato di Giovanni Paolo IIè un Pontificato storicamente molto significativo e, non solo perché haaccompagnato o anche favorito la fine del blocco comunista sovietico, maanche perché, soprattutto dopo il 1989, ha indicato delle strade importanti.Siamo ad Assisi. Nel 1986, qui Giovanni Paolo II ha convocato i leader ditutte le religioni mondiali, il tema delle altre culture, delle altre religioni, iltema appunto del mondo non europeo, del mondo non occidentale. GiovanniPaolo II ha guidato una Chiesa che cerca di stare nel mondo senza appiattirsisull’Occidente, ma senza perdere i suoi legami con l’Europa, un equilibrionon facile naturalmente, eppure un nodo storicamente decisivo.

Per quanto si possano sottolineare le differenze, che ci sono indubbia-mente, non le voglio assolutamente ignorare, il Pontificato di Benedetto XVIè un Pontificato che si colloca in continuità con quello di Giovanni Paolo IIsu questo punto: guidare una Chiesa che è ormai, per numero di fedeli, laChiesa cattolica, più radicata fuori dall’Europa che dentro l’Europa. UnaChiesa dunque che conosce le sfide, e spesso Benedetto XVI è molto severosulle difficoltà che la Chiesa cattolica incontra, e tuttavia non si ripiega su sestesso.

Allora io credo che qui ci sia una lezione importante per chi vuole farepolitica, per dei cattolici che vogliono fare politica. La lezione cioè di un cat-tolicesimo che non si ripiega, perché in realtà il problema è questo, perché inrealtà noi viviamo dentro un’Europa che si sta ripiegando su se stessa. Unafrase molto felice di Benedetto XVI è questa: l’Europa sta prendendo conge-do dalla storia. Questo è il rischio europeo, questo è il nostro rischio.

Noi in questi giorni assistiamo ad uno sconvolgimento drammatico, losconvolgimento dei mercati finanziari, una crisi che ha il suo epicentro negliStati Uniti, nazione leader del mondo occidentale. Quale sarà la conseguenzadi questa crisi? Nessuno lo può prevedere naturalmente, saranno molte le con-seguenze, però una si può intuire. Lo scrivono gli osservatori in questi gior-ni; il baricentro delle dinamiche economiche si sta spostando e questa crisiprobabilmente l’accelera di molto. Si sta spostando dagli Stati Uniti, si sta

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spostando dal mondo occidentale verso il mondo asiatico, verso la Cina,verso l’India. C’è molta Cina, c’è molta India, c’è molta Asia nel futuro delmondo, ci piaccia o non ci piaccia. Ecco perché allora bisogna guardare aquesti problemi anzitutto e in questo guardare a quello internazionale, che èla Chiesa cattolica. Si possono anche non condividere le scelte fatte dagliuomini di chiesa, dagli ecclesiastici, ma il corpo complessivo della Chiesacattolica è indubbiamente un osservatorio interessante per comprendere lesollecitazioni del mondo in cui viviamo, le domande, le sfide del mondo incui viviamo.

E allora guardare una Chiesa che, come la Chiesa cattolica, non si ripie-ga su se stessa, ma comunque cerca di guardare al futuro, è fondamentale perun’Europa che in questo momento sta rischiando sempre più di ripiegarsi suse stessa e di uscire dalla scena mondiale, perlomeno come protagonista. Loavvertiamo in queste ore io credo, quanti appelli perché l’Europa prenda delleiniziative di fronte alla crisi finanziaria, di fronte alla crisi economica, giu-stissimo importantissimo, avremo le elezioni europee l’anno prossimo, qualeprogetto, quale prospettiva? C’è una disaffezione verso l’Europa, è inutilelamentarsi, occorre, come dire, dare all’Europa un progetto, dare all’Europaun senso del proprio ruolo. E io credo che i cattolici democratici in Italia, eanche altrove, ma cominciamo da qui, possono sicuramente dare un indirizzoe una prospettiva.

Infine, arrivo al terzo punto che volevo trattare: laicità, ispirazione cri-stiana, democrazia. Crisi della laicità ho detto, ispirazione cristiana da risco-prire, democrazia.

Democrazia malata. Credo che questo aggettivo sia, come dire, quasiovvio, quasi scontato oggi. Avvertiamo tutti con grande inquietudine l’evolu-zione della democrazia, delle forme della democrazia, in un senso che sfug-ge francamente, almeno a me. Dove stiamo andando non lo sappiamo. Certoci sono dei segnali che fanno pensare a possibili sbocchi in senso autoritario,a una deriva di tipo autoritario, in Italia ci sembra di vederli, e ogni giorno,come dire, la cronaca ci lancia degli allarmi in questa direzione.

Certo non è facile dare una risposta a queste domande, perché ancorauna volta non è facile mettere a fuoco il problema. Perché la democrazia èmalata? Le cause non sono vicine soltanto, vengono abbastanza da lontano.La grande rivoluzione consumista degli ultimi decenni certamente ha avutomolto a che fare con questa democrazia malata. Io credo che i nostri strumentisi siano rivelati molto deboli, molto inadeguati. Quando tanti anni fa si è fatto

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anche il referendum sulle televisioni commerciali, valori, motivazioni forti,serie non sono riuscite a prevalere su un mutamento, che è anche un grandemutamento antropologico, oltre che essere culturale, sociale, politico e viadicendo. In fondo, credo che proprio la tradizione cattolica democratica hasperimentato lì i propri limiti. È quella che Pietro Scoppola chiamava la seco-larizzazione di basso profilo. Questo è il male della società italiana, ma per laverità non solo della società italiana.

La secolarizzazione di basso profilo e qui l’intuizione di Scoppola: pas-siamo dal progetto politico ai comportamenti politici ispirati eticamente. Peròquesta battaglia ha bisogno di essere, come dire, ripresa, di essere ripensata,di essere rinnovata, di essere rilanciata. Forse non basta parlare di comporta-menti politici eticamente ispirati, perché il fatto che la democrazia si sia comesvuotata della sua interiorità, questo è il male che denunciava Scoppola. Nonè un fatto da poco. In un certo senso è un momento di crisi di quello che è ilpercorso della civiltà europea e moderna degli ultimi cinque secoli. Penso aun libro recente di Charles Taylor, grande filosofo canadese, il quale ci haspiegato sull’età secolare, come l’Occidente ha costruito l’uomo interiore el’uomo capace di controllare se stesso, di auto controllarsi. Questa è unachiave antropologica fondamentale per capire anche una democrazia comecapacità, di sostituire il controllo del potere politico con l’auto controllo deicittadini dal basso. La democrazia ha bisogno, ha avuto bisogno di questo.Ogg questa premessa antropologica è una premessa che è in crisi. Oggi si vaa cercare di nuovo dei controlli esterni, quasi il bisogno di affidarsi a formeautoritarie imposte da qualcuno. I meccanismi del controllo, io dico il con-trollo interiore dell’uomo occidentale, però anche il controllo democratico,hanno subito la crisi propria della democrazia anche come crisi però delle isti-tuzioni liberali che sostengono la democrazia, come crisi cioè di quegli stru-menti di controllo, senza i quali come può vivere un mondo ossessionato,come oggi, dalla libertà, dalla fretta della decisione. Il mito della decisione,mito consumista in realtà. Questo risponde ad una logica appunto di unalibertà schiacciata sull’immediato e sul presente.

Ecco, qualcosa da ripensare profondamente, istituzioni liberali da salva-re, perché è venuto meno, come dire, il mondo che sosteneva queste istitu-zioni. Lo stato liberale ha avuto molte crisi, i cattolici sono stati fondamenta-li per superare le crisi passate dello stato liberale. Pensiamo alla crisi delprimo dopoguerra, pensiamo a come nel secondo dopoguerra i cattolici sonostati fondamentali nel far vincere definitivamente la democrazia in Italia.

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Ecco, queste premesse sono premesse importanti ma occorre ripensare oggiin che modo possa la tradizione cattolico democratica ancora una volta con-tribuire a salvare quelle istituzioni liberali che sono garanzia di libertà, didemocrazia e di tante altre cose.

E qui mi avvio davvero a concludere, provando a mettere un po’ assie-me questi tre punti con un esempio. L’esempio sono le recenti prese di posi-zione della Chiesa, di tanti cattolici sul tema del razzismo. In modo sorpren-dente abbiamo scoperto anche questo, che l’Italia negli ultimi mesi è attra-versata da pulsioni difficilmente decifrabili ma di chiaro segno xenofobooppure esplicitamente razziste.

La condanna del razzismo non è una posizione politica, l’ha scritto“Europa” ed è perfettamente giusto. È una posizione morale, è una posizione,direi di più, anche storicamente importante, ma che attiene appunto alla col-locazione della Chiesa cattolica nel mondo di oggi. Eppure rappresentasecondo me un esempio, un modello di come sia possibile raccogliere le ener-gie della tradizione cattolica nelle sue espressioni migliori per giocarle poli-ticamente a favore del cambiamento e dello sviluppo del paese in sensodemocratico. Lotta contro il razzismo vuol dire proporre una politica, perchéquesta poi è la questione. Il razzismo è una non politica. Dietro le manifesta-zioni di razzismo e soprattutto, ancora più grave, dietro quelle posizioni poli-tiche che implicitamente o addirittura esplicitamente, permettono al razzismodi emergere, cioè lo avallano in qualche modo, c’è una non politica, c’è unnon progetto, in particolare c’è il progetto di fermare l’immigrazione. Questoè un non progetto, perché l’immigrazione è quello che è, è una realtà epoca-le, è una vicenda che fa parte della globalizzazione, è una realtà del nostromondo, che vuol dire chiudere gli occhi e respingerla? Occorre invece anco-ra una volta controllarla, ma controllarla non è una vicenda, da affidare allapolitica. Controllarla vuol dire molto di più, vuol dire lavorare per l’integra-zione di coloro che sono ormai parte del nostro mondo, come avviene poinegli altri paesi europei, non è poi una cosa così strana in definitiva.

Qualche giorno fa Giuseppe De Rita sul “Corriere della Sera” ci diceva:“Sì, sì va bene, ci sono dei fenomeni eclatanti di razzismo ecc., ma guardia-mo che cosa accade nel quotidiano”. Parlava di questo complesso processo,che è il processo dell’integrazione.

Io credo che questo non sia solo, come dire, un fatto importante dalpunto di vista etico o religioso, gli interventi di condanna del razzismo, siaqualche cosa di politicamente importante e sia anche, come dire, un esempio

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di come si possa fare una progettazione politico istituzionale, cioè come sipossa ripensare lo Stato nella sua piena esplicazione democratica nel conte-sto di oggi, perché lo Stato sarà democratico se sarà capace di integrare lediversità culturali, non parlo solo degli immigrati, ma anche delle diversitàculturali che sono sempre più frequenti anche fra di noi. Il mondo iper seco-larizzato è un mondo pluralista, antropologicamente pluralista, in un modoche non è mai accaduto in passato. Se allora dunque si sarà capaci di averedei progetti politici e culturali naturalmente, da cui poi desumere anche unaprogettazione dello Stato, delle istituzioni, io credo che si potrà dare un con-tributo importante non solo al futuro politico del cattolicesimo democratico,ma anche al nostro paese e spero anche all’Europa. Grazie.

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Agostino Giovagnoli

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Sen. Roberto Di Giovanni Paolo

Care amiche e cari amici, io ringrazio intanto e condivido le riflessionifatte ieri da Fioroni e Ceruti ed ovviamente oggi dal professor Giovagnoli.

È un po’ difficile stare in una riflessione che tiene insieme le necessitàdella politica di tutti i giorni e la necessaria capacità di approfondire i temi.

Cercherò, per quello che mi è possibile, di tenermi su tre questioni, checredo siano necessarie, nel momento in cui riflettiamo su democrazia socialee democrazia politica, che è uno degli elementi di base del nostro impegnocome cattolici democratici. Credo che sia importante, perché dobbiamorispondere alla domanda qual è il nostro ruolo rispetto al Partito Democratico,qual è l’originalità del pensiero dei cattolici democratici. Ma dobbiamo ancheparlare del futuro, perché abbiamo necessità non solo di commemorare, ma difare memoria.

Allora dico, intanto per quello che riguarda il Partito Democratico, inparte una risposta l’abbiamo data già l’altro anno, quando qui con Veltroni econ la sua candidatura, con il ticket Veltroni-Franceschini, Dario disse che lanostra presenza nel Partito Democratico non è transeunte, ma è il nostroapprodo. Non ci sono altri cammini possibili. È qui dentro che noi dobbiamocostruire il nostro futuro e anche il futuro del paese. Credo sia giusto dircianche qui, perché c’è una sorta di dannazione della memoria rispetto a que-sto, che noi siamo orgogliosi di costruire questo futuro, tenendo presente,dalla scelta di Beniamino Andreatta in poi, del fatto che abbiamo avuto unPresidente del Consiglio come Romano Prodi, ed un leader politico comeRomano Prodi, che ha avuto il coraggio di dire una cosa molto chiara, che sei cattolici democratici hanno idee, non sono solamente a difendere il loro20%, ma sono in grado anche di guidare i cambiamenti. Tutto ciò vale anco-ra di più nel Partito Democratico. La riflessione competition is competition è

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sempre attuale. L’originalità del pensiero cattolico democratico, mi permettodi accostare la riflessione al ricordo che ieri ha fatto Fioroni, di Ardigò e diLeopoldo Elia, anche la capacità di lettura di costruzione di una condizionedi eguaglianza nella vita democratica per i cattolici democratici che hannofatto Pietro Scoppola e il valore profetico di un amico, di un fratello maggio-re come Paolo Giuntella.

Io credo che questa nostra originalità i cattolici democratici non debba-no farla vivere come una difesa della cittadella dei cattolici democratici, macome uno stimolo, per fare memoria più che commemorazione, perché esse-re cattolici democratici significa porre la questione di democrazia sociale edemocrazia politica, ovvero come si passa da una democrazia formale a unademocrazia sostanziale, partecipata, dove il secondo comma dell’articolo 3della nostra Costituzione, che il centro destra ignora probabilmente, sia allabase delle scelte del nostro paese.

Allora io credo che valga la pena di dire qui oggi tra noi, lo facciamomagari in forma tattica all’interno del Parlamento in questo periodo, cherispetto a chi propone il restringimento dei poteri dell’informazione libera, ilrestringimento dei poteri dei sindacati, delle autonomie locali e sociali, deipoteri della società civile, dei poteri dell’amministrazione della giustizia eanche dei poteri del Parlamento, ed auspica una militarizzazione del paese,che è ancor prima culturale, che sociale e visiva nelle nostre città. Io credoche noi dobbiamo rispondere a questa sfida a viso aperto e, in tutta amicizia,quando mi sono interrogato per capire da dove nasca questa lettura delladestra, della nostra destra non normale, che non è conservatrice e che è unadestra strana anche per l’Europa, alla fine mi è tornato alla mente uno scritto,anche di una cattolico democratico che mi piace ricordare, rispetto a questitemi del restringimento delle libertà. Quello scritto si chiama: CommissioneParlamentare di Inchiesta di Indagine sulla Loggia Massonica P2. Quello acui stiamo assistendo è la realizzazione del piano di rinascita nazionale, e noiquesto dobbiamo dirlo con chiarezza, perché è come per la questione dellaRepubblica di Salò: se è cosciente è criminale. Se è incosciente forse è anchepeggio.

Allora noi a questo dobbiamo porre culturalmente la risposta ferma,democratica e popolare. Ferma nella difesa della carta costituzionale, in spe-cie della parte prima, e non a caso con alcuni colleghi Senatori abbiamo deci-so di proporre un disegno di legge costituzionale per rinforzare le misure diapprovazione degli eventuali emendamenti alla prima parte della

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Costituzione, democratica e popolare, perché dobbiamo fare in modo di coin-volgere la società in questa uscita dal torpore in cui siamo caduti negli ultimi15 o 20 anni rispetto alle proposte della destra.

Io credo che dobbiamo dire con chiarezza che noi non siamo disponibi-li a ruoli subalterni, non siamo disponibili ai ruoli subalterni anche all’inter-no del nostro schieramento. Non possiamo accettare un ruolo pre assegnato-ci e subalterno di meri custodi dei temi etici o bioetici, come se i cattolicidemocratici non possano parlare di politica estera, di economia o di questio-ni sociali. Non siamo e non vogliamo essere né la guardia rossa né la guardiabianca della rivoluzione, né laica né clericale. Io credo che per noi sia essen-ziale vivere nella democrazia partecipativa e ricordare, come ci insegnavaMaritain ne “L’uomo e lo Stato”, che minoranze profetiche sono essenzialinei momenti di cambiamento della democrazia, che diceva Maritain?Minoranze che sappiano esistere con il popolo, non solo lavorare per esso.Esistere con il popolo significa suscitare quella democrazia partecipativa chefaccia leggere la scelta e il disegno che oggi viene proposto dalla destra diquesto paese.

Allora in questo senso credo che da fedeli laici abbiamo tre fronti su cuinoi dobbiamo muoverci e che sono non solamente l’orizzonte della politica.Qui da cattolici democratici dobbiamo dirlo: il primo è la riforma dello Stato,secondo il segno di quel secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione; ilsecondo è un innovamento della cultura cattolica e delle soluzioni pratiche,politiche, delle nuove sintesi che dobbiamo fare sulle questioni di tutti i gior-ni; il terzo è anche un cambiamento delle strutture stesse della nostra Chiesa,vale a dire impegnarci anche per la realizzazione del Concilio Vaticano II, checi dà un ruolo come laici, fondamentale all’interno della Chiesa. Se rinuncia-mo a questo non cambiamo neanche le prime due realtà.

Allora sarebbero molti i temi su cui bisognerebbe intervenire. Lo fare-mo certamente, perché alla luce di questo è per noi importante la difesa inquesta crisi economica della copertura delle banche, ma prima di tutto vieneun sistema che ragioni su come è stato organizzato, perché non tutti i capita-lismi sono uguali. L’economia sociale di mercato non è il capitalismo consu-mista per esempio, è una cosa differente per noi giudicare le persone sullabase del loro lavoro o sulla base del lavoro che crea la condizione di avereuna carta di credito per consumare. Questo noi dobbiamo avere il coraggio didirlo anche dentro al Partito Democratico, dove certe volte sembra che l’uni-ca differenza dal centro destra, da parte di chi ha desideri anche di legittima-

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zione, sia quella di dimostrare che il capitalismo noi sapremo gestirlo sola-mente in maniera più moderna della destra. Per noi questo capitalismo con-sumista non è il caso di gestirlo. Noi pensiamo a un’economia sociale di mer-cato, è differente.

Allora io credo che rispetto a questi temi, il papà di Paolo Giuntella hascritto un bellissimo libro che parlava dei cattolici e la loro fede nella libertà,riferendosi alla possibilità che non fossimo esclusi da quel trinomio: libertà,eguaglianza, fraternità, ma quel libertà, eguaglianza, fraternità è il secondocomma dell’articolo 3 della nostra Costituzione, e per questo va difeso.Voglio dire anche qui che il motivo per cui Leopoldo Elia è stato grande inquesto paese, non è perché ha difeso la nostra carta costituzionale, ma perchéha difeso i valori di democrazia progressiva che sono nella nostra carta costi-tuzionale. Quella carta è la garanzia che la nostra democrazia possa passaredalla democrazia sociale alla democrazia politica, non solamente la difesadegli articoli così come sono. Questa è l’originalità del pensiero cattolicodemocratico. La costituzione noi non la difendiamo solo perché siamo diver-si dal centro destra, ma perché è la garanzia anche per chi vota centro destradi cambiare questo paese.

Noi vogliamo un mondo nuovo, andare verso un ordine nuovo e versonuovi rapporti sociali, perché soltanto in questo modo si potrà rispondere aquel desiderio di ascesa verso una più compiuta giustizia, desiderio che siarmonizza molto bene con i postulati cristiani che sono alla base della nostraazione politica. È un giovane parlamentare che parla, molto più lucido e sin-tetico di me. Il suo nome è Giuseppe Dossettio siamo nel 1947, ma io ci credoancora oggi, nel 2008, che questo valga e che è per questo che noi non com-memoriamo Ardigò, Elia, Scoppola e Giuntella, ma facciamo memoria. È perquesto che il Partito Democratico ha bisogno di noi. È per questo che ancoraquesto paese ha bisogno di noi. Grazie.

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Sen. Roberto Di Giovanni Paolo

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On. Salvatore Margiotta

La buona relazione di Beppe Fioroni di ieri ci consente di incanalare ildibattito di questi giorni nella direzione giusta. Il contributo che in tale dire-zione è venuto dalla riflessione del professor Giovagnoli assolutamente aiuta.

Il senso di questa tre giorni di Assisi dal mio punto di vista è quello dicomprendere come QUARTA FASE, non da posizioni minoritarie, ma daguida, certo insieme ad altri, ma da guida del partito, contribuisce a determi-nare il progetto politico del Partito Democratico, a svilupparlo e a concretiz-zarlo. Questo alla fine è il senso vero dell’operazione del ticket Veltroni-Franceschini, che abbiamo battezzato qui l’anno scorso. L’abbiamo battezza-to per dire che guidiamo il partito insieme a Veltroni. Di questo dobbiamoessere consapevoli, orgogliosi e anche all’altezza della sfida che ciò richiede.

Così come ho trovato molto buona la relazione che Dario Franceschiniha svolto nella Direzione Nazionale della scorsa settimana, e che credo inner-verà le conclusioni che domani egli trarrà. Una relazione ampia, chiara, nettache indica come vogliamo in questo momento affrontare l’emergenza politi-ca nella quale siamo cascati avendo perso le elezioni.

Si è molto parlato in tutti gli interventi, è inevitabile che così sia, dellacrisi economica internazionale. A me ha molto colpito, 15 giorni fa, vedere leimmagini dei dipendenti della Lehman Brothers che uscivano dai loro ufficicon le scatole di cartone contenenti i loro effetti personali, e l’intervento, chepoi non ha dato ancora gli effetti sperati, di Bush e del Congresso americano,con 700 miliardi di dollari immessi nel mercato. Pensavo come con le cate-gorie del secolo scorso, il liberalismo, il socialismo, per certi versi anche conil cattolicesimo democratico tradizionale, non sia possibile interpretare itempi nuovi che vediamo. Chi avrebbe mai pensato che il paese che ha fattodel liberismo, dell’iniziativa privata un feticcio, una religione, desse vita al

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più massiccio intervento pubblico in economia mai visto. Questo è il sensodel Partito Democratico. Questa è la sfida che noi di QUARTA FASE accet-tiamo e giochiamo fino in fondo. Diverse culture, tra cui la nostra, ciascunadi per sé è insufficiente, ciascuna di per sé è politicamente insufficiente, e cheperò messe insieme, mescolate, contaminate, possono dar luogo a quel pen-siero democratico, riformista, riformatore, come più amiamo dire, all’altezzadei tempi.

Quale opposizione dobbiamo fare? Come dovremmo caratterizzare ilpartito su un’opposizione a un Berlusconi che appare vincente in questomomento? Questa è l’area che respiriamo. Appare vincente sostanzialmenteperché dà il senso di uno che decide. Gli italiani forse avevano bisogno diquesto e lui gliel’ha dato, al di là del merito di cosa decide, dà l’impressioneche c’è uno che guida. Come si fa l’opposizione? A mio parere l’opposizionedeve essere assolutamente radicale sul piano sociale, deve essere una opposi-zione radicale, come stiamo provando a fare in Parlamento e finalmente nellepiazze, nelle sezioni, ad Assisi, su temi come i salari, i prezzi, la chiusuradelle scuole, l’insufficiente politica sui temi ambientali, la totale disattenzio-ne sul protocollo di Kyoto, l’inesistenza di una politica delle infrastrutture,l’inesistenza di un piano serio per la ricerca, misure assolutamente anti uni-versità. Su questi temi dobbiamo essere inflessibili, radicali, forti, come fare-mo il 25 ottobre a Roma.

Al contempo bisogna essere riformisti, dialoganti sui temi istituzionali:la sicurezza, la giustizia. Non si può, su queste questioni, su questioni cherichiedono, come anche la crisi economica, dialogo, collaborazione, richie-dono che una grande forza politica, come il Partito Democratico, abbia ricet-te e contribuisca anche con la maggioranza a trovare soluzioni. Bisogna esse-re sul campo con quest’altro atteggiamento. Ecco perché pensavo alla diffe-renza tra la nostra opposizione e quella di Di Pietro nei giorni del clou dellacrisi di Alitalia, quando Veltroni riceveva a casa sua Epifani e Colaninno percercare una soluzioni e, nelle stesse ore Di Pietro arringava hostess, piloti,assistenti di volo, incitandoli ancora di più alla rottura.

Così come ho molto apprezzato l’idea di firmare i referendum, di accet-tare le proposte dell’UDC, l’ho molto accettato sul piano del merito, perchéè assolutamente fondamentale che sia chiaro che il Partito Democratico ècontro una legge che non consente di scegliere i propri rappresentanti inEuropa come in Italia. L’ho molto apprezzato sul piano della scelta politica,

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perché in questo momento allacciare un dialogo con l’UDC è fondamentaleper noi, è fondamentale per il Partito Democratico.

Concludo, cosa deve essere allora QUARTA FASE dal mio punto divista? Non mera organizzazione, non solo grande sforzo, come quello cheabbiamo messo peraltro a punto in questa tre giorni, e neanche passione eneanche, perché i cattolici democratici non sono nati per questo, neanchetestimonianza e azione e progetto politico solo sui temi eticamente sensibili.Noi siamo diversi dai teodem. La Democrazia Cristiana aveva una ricetta disocietà. Noi di QUARTA FASE questo dobbiamo avere, dobbiamo essere unluogo di tensione ideale sui problemi della vita quotidiana di tutti i giorni,dobbiamo essere coloro i quali siano attenti agli ultimi e contemporaneamen-te aprano spazi nuovi al mondo del commercio, delle professioni, dell’arti-gianato alla piccola e media impresa. Siamo in un partito nel quale alcunevolte i nostri amici, colleghi di partito che vengono nella tradizione diessina,davvero hanno paura a dire qualcosa di sinistra. Sembrano neofiti del liberi-smo e, come tutti i neofiti, come quelli che convertiti per esempio alla reli-gione, pensano che bisogna per forza andare tutti i giorni in Chiesa a fare laComunione per essere rispettabili cristiani, questi neofiti del liberismo sifanno scavalcare da Tremonti a sinistra e ci dicono tutti i giorni che l’unicoapproccio giusto è quello del liberalismo. Noi no, noi non abbiamo comples-si, la nostra ricetta, anche nella economia, nella società, è una ricetta che nonè stata sconfitta dalla storia, però bisogna riattualizzarla, bisogna avere l’or-goglio di farlo, bisogna sapere che questo partito ha bisogno, che questa asso-ciazione, che noi di QUARTA FASE ne siamo lievito. Ci vuole un nuovo pen-siero, un nuovo pensiero innervato nella nostra tradizione, ma calato neitempi nuovi.

Questa è la mia ambizione, questa è la nostra ambizione. Non esserefazione del partito. Serve a noi. Serve al partito. Serve al paese, una grandeforza di intelligente progetto culturale. Grazie.

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On. Salvatore Margiotta

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Sen. Daniele Bosone

Grazie. Cari amici l’introduzione ieri di Beppe Fioroni, la lettura diCeruti ci pongono il problema di come il Partito Democratico, che abbiamoinsieme fondato sia uno strumento probabilmente molto potente per affronta-re la complessità della società che ci sta davanti.

Il problema è che dobbiamo anche incominciare a dirci con chiarezza,fra di noi, e io colgo l’invito di Giovagnoli a dire qual è il contributo chiarodei cattolici impegnati in politica, impegnati nel Pd a questa grande scom-messa del Partito Democratico. Quindi penso che le giornate di oggi, di ieri,di domani, queste giornate di Assisi debbano servire anche a dare un senso alnostro posizionamento, alla nostra presenza dentro il Partito Democratico.

Se non uscissimo da qui con l’idea di che cosa domani andiamo a farenelle nostre terre, nelle nostre sezioni, in Parlamento, io penso che sarebbeuna grandissima occasione persa per noi e anche per il Partito Democratico.Lo sforzo, la politica che in questo momento richiede uno sforzo di pensieroin più ci interroga fortemente.

Io penso che la situazione di un anno fa è profondamente diversa daquella di oggi. La crisi di un anno fa ci vedeva in una condizione. C’eranoancora le feste della Margherita in giro per il paese, stavamo cominciando apensare come fare il Partito Democratico, eravamo in maggioranza.Guardate, in un anno è cambiato tutto. La politica procede a una velocitàincredibile, io che sono un po’ un cultore della politica lenta, cioè della poli-tica che è anche riflessione, elaborazione, talvolta effettivamente mi sentospiazzato da questa velocità con cui procedono i tempi.

È chiaro che noi abbiamo scelto un percorso di realtà anche rispetto aVeltroni. Noi siamo qui oggi per confermare questo percorso di realtà, ma èanche chiaro che noi in questo percorso di realtà dobbiamo trovare una nostra

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identità, una nostra differenziazione, un nostro messaggio chiaro che lancia-mo alla società. Questo penso sia il compito storico che come cattolici demo-cratici noi abbiamo in questa fase politica.

Fare quel progetto a cui si riferiva appunto Giovagnoli. Abbiamo il com-pito di fare questo progetto e, io penso che se siamo stati qui 15 anni, comedice talvolta Dario Franceschini, cioè ci siamo ancora, è perché tutti noiabbiamo lavorato fortemente sulle nostre terre in questi anni. Io ho l’avven-tura di fare il parlamentare da due anni e mezzo, gli anni scorsi abbiamo lavo-rato fortemente per tenere insieme gli amici, per tenere un’idea, per tenereuna storia in piedi e continuare a cercare di rinnovarla dentro questo movi-mento così frenetico della politica.

Poi io penso che oggi sia importante che questa rete ci sia ancora, iopenso che sia importante questo posizionamento che in questo anno di evolu-zione del partito abbiamo ottenuto, non solo i vertici del partito ma tutti noi.In Parlamento, sul territorio, c’è un posizionamento forte, una rete forte, maquesto io penso che non basti più. Noi dobbiamo mettere a frutto questo posi-zionamento, dobbiamo dargli un senso profondo, dobbiamo dargli un sensovero, altrimenti il rischio è che nella dialettica che c’è dentro il PartitoDemocratico, forte dentro l’ex Ds e gli argomenti di tutti i giorni, Veltroni, laLega ecc., la nostra posizione politica, non posizionamento, la posizione poli-tica rischia di non essere compresa, rischia di non essere vista.

E allora in tutto questo io penso che dobbiamo essere, meno timidi.Dobbiamo davvero avere il coraggio di dire che noi siamo forse l’elemento dimaggiore innovazione e novità dentro il Partito Democratico. Se mi guardo ingiro nel Partito Democratico noto che siamo i più rivoluzionari. Si parla diriformismo fuori dal Partito Democratico, un partito riformista, ma riformismoè una categoria della politica oramai un po’ superata. Io quando mi dicono chesiamo un partito riformista mi chiedo: va bene, facciamo le riforme, ma perandare dove? Qual è la nostra idea di società? Come ci poniamo? Il nostroorizzonte di bene comune qual è? E quali sono le riforme che scriviamo den-tro questo orizzonte dei beni comuni? Questo è il compito che abbiamo.

Noi dobbiamo in qualche modo cercare di scaldare il cuore della gente.Non lo scaldiamo parlando. Io vedo nel Partito Democratico una forte cultu-ra liberale, una forte cultura ancora socialista. Sono culture anche queste pas-sate, sono culture vecchie, non parlano più al cuore della gente. Allora noiforse a queste culture oramai superate che non debbono essere il cuore, l’in-nervazione fondamentale del Partito Democratico, noi dobbiamo cercare di

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fare sintesi dentro un cuore nuovo, dentro una passione nuova che riusciamoa trasmettere alla gente, dentro un progetto nuovo.

Io potrei riassumere così quello del solidarismo. Qual è il progetto deicattolici impegnati in politica? Probabilmente noi abbiamo davvero l’idea diuna certa via Vàclav Havel diceva che se il socialismo ha perso nel mondo, ilcapitalismo non ha vinto. Questo significa che in qualche modo c’è una certavia che noi dobbiamo ricercare, che abbiamo il dovere di ricercare e cheabbiamo il dovere non solo di ricercare ma anche di proporre alla gente. Equesta terza via non è quella di Blair. Io ho l’impressione che Blair in qual-che modo abbia lasciato un Labour Party un po’ distrutto, perché ha cercatodi reinterpretare da sinistra un po’ i valori della destra, cioè di un liberismo edi un mercatismo.

Io penso che noi dobbiamo fare qualcosa di profondamente diverso e ilprincipio di ispirazione ce l’abbiamo, non dimentichiamoci che noi come retedel cattolicesimo democratico abbiamo un punto di riferimento che è la fun-zione sociale della Chiesa. Lì sta la risposta molte volte a questa famosa terzavia. È quello che io riassumerei come solidarismo. E allora forse bisogna fareuna contrapposizione fra quello che è il solidarismo e il liberismo che c’èstato. Questo liberismo che si è visto ha lasciato e sta lasciando anche neimercati internazionali morti e feriti. Speriamo che questa crisi finanziaria nonsi ripercuota così fortemente sulle nostre famiglie.

Allora noi dobbiamo assolutamente declinare questi valori del solidari-smo dentro la società, dentro l’economia, lo diceva bene Di Giovan Paolo.Qual è il mercato che noi vogliamo? Forse dobbiamo davvero riscoprire l’e-conomia sociale di mercato? Ci sta un’attenzione ai poveri, alla gente, si devedare risposte a tutta la società e non solo a pochi dentro la società. Per farcapire che, voglio dire, a un euro corrisponde un tondino, comunque un pro-dotto. Per far capire agli industriali, che la massimizzazione del profitto nonserve se questa ricchezza poi non aiuta a crescere tutta la società, se non ciaiuta a stare in un ambiente sostenibile, se non aiuta in qualche modo a cre-scere le famiglie italiane. Sulle famiglie italiane una riflessione la dobbiamofare, lo diceva ieri Fioroni. Se dobbiamo aiutare le famiglie italiane nel modoche vogliamo, nella gradualità che vogliamo, però un riferimento e un pen-siero forse sul quoziente familiare, probabilmente dobbiamo incominciare afarlo.

Infatti penso che dobbiamo dire cose rivoluzionarie, anche scontando ilfatto magari di scontri dentro il Partito Democratico, ma di scontri sulle idee

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viva Iddio, di scontri sulle posizioni. Noi siamo leali a Veltroni, ma conVeltroni dobbiamo discutere sulla idea che abbiamo della società, sulla ideache abbiamo di enti locali, sulle idee che abbiamo di economia di mercato. Iopenso che questo dobbiamo farlo nella massima lealtà, perché questo è il plu-ralismo del Partito Democratico. Non ci sono altre cose, questa è la laicità checi poniamo.

Come cattolico impegnato in politica, mi sembra dentro il Senato diintegrarmi solo sui temi etici. C’è qui Manuela Baio. È vero, stiamo discu-tendo sul testamento biologico, ma io non vorrei esaurire il mio tempo e lamia passione politica a trovare una mediazione infinita su questi temi, chesono importanti, sono fondamentali, ma abbiamo tutta la società davanti, dav-vero dobbiamo riprendere e ridare speranza alla gente. Su tanti temi io pensoche come cattolici su questo possiamo aiutarci.

Guardate, il cattolicesimo democratico, non so se qui siamo tutti catto-lici democratici, non so se il cattolicesimo democratico è una categoria dellapolitica che forse era più legato alla fase della Democrazia Cristiana.Sicuramente i valori del cattolicesimo democratico rimangono e ci alimenta-no. Sicuramente noi che siamo qua, in questa fase così diversa dalla politicada quella di soli 16 anni fa, in questa fase così diversa della Chiesa, come èstato ricordato, rispetto a più di 15 anni fa, della società, noi siamo qui tuttilaici ma tutti impegnati però a costruire, come si diceva prima, una laicitànuova. Veniamo da storie personali diverse, culturali differenti, ma siamoconvinti comunque che questi valori e il cattolicesimo siano ancora fonda-mentali per costruire una società più giusta, più moderna, più equa e devo direanche più umana. Io penso che senza questi valori il Partito Democraticorischia di essere una bella pianta ma che non produce frutti. E in questo mipare che la sinistra in Italia abbia già dato.Ccerchiamo di evitare che l’erroresi ripeta. Grazie.

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Sen. Daniele Bosone

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On. Francesco Garofani

Vorrei svolgere una riflessione a partire dalle cose che abbiamo discusso,preparando questo incontro di Assisi (questo secondo appuntamento del catto-licesimo democratico popolare, come l’ha definito Beppe Fioroni ieri nella suarelazione di apertura), perché voglio porre a me stesso, a noi, una provocazio-ne che non aggiri una domanda che abbiamo di fronte, che talvolta ci viene sca-gliata addosso con una qualche aggressività: quella, cioè, che riguarda una pos-sibile inattualità del cattolicesimo democratico oggi in questo paese.

Ci dicono spesso: vi siete specializzati nelle commemorazioni, siete icustodi del museo, conservate una grande memoria che riguarda il passato,ma non siete in grado di interpretare la modernità, di dare le risposte ai pro-blemi nuovi del tempo che dobbiamo vivere.

È davvero così? Le parole per noi decisive, così, dell’autonomia dellapolitica, della laicità, del bene comune come bene di tutti, credenti e non cre-denti, della mediazione, conservano una loro attualità, una loro praticabilità osono destinate piuttosto all’archivio della storia? Hanno un senso nella poli-tica di oggi o sono sostituite da altre più efficaci, incisive, moderne? Più rico-noscibili?

Sono domande concrete che ci dobbiamo porre con grande onestà intel-lettuale, con grande coraggio. Io credo che il cattolicesimo democratico siauna tradizione viva, una cultura politica che abbia da dare ancora molto a que-sto paese, ma credo anche che sia impossibile affermare le ragioni della vita-lità e potenzialità del cattolicesimo democratico, guardando soltanto alla sto-ria, replicando i meriti del passato, affermando retoricamente principi astrat-ti, di cui non sia più visibile bene il valore.

In altre parole credo che sia necessaria una vera rigenerazione, anche intermini di ricambio di personale politico, che partendo da una memoria con-

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divisa guardi al futuro cercando una nuova legittimazione, riconnettendo i filidi quel rapporto ostruito con il nostro retroterra, che ha determinato unaoggettiva carenza di rappresentatività, per chi in questi anni è rimasto nellatrincea della politica.

La quarta fase dei cattolici democratici per me è questa, quella chesegue il tempo della transizione, per colmare il vuoto di oggi, ed è segnatadalla faticosa ricerca di una nuova rilevanza, per una cultura politica che èindispensabile per la difesa non scontata dell’idea stessa di democrazia.

Del resto è questa la motivazione più profonda che ci ha spinto a impe-gnarci per far nascere il Partito Democratico. E questa motivazione non dob-biamo dimenticarla: parlo della grave crisi che oggi corrode l’idea stessa didemocrazia nello scenario nazionale, più in generale nello scenario globale,ne ha trattato bene il professor Giovagnoli. Di quella democrazia che è sem-pre più evidentemente svuotata del suo contenuto politico, di potere del popo-lo e per il popolo, dall’emergere di altri poteri al di fuori di ogni controllo,siano essi quelli dell’economia, della scienza o della tecnica. La crisi dellademocrazia in questo senso è anche crisi della politica come capacità digoverno dei processi e degli interessi, e la crisi della politica è anche la con-seguenza della perdita di appartenenze e identità, memoria, storia, legamisociali, in un tempo dominato dalla frammentazione e dalla crescente solitu-dine negli individui, nelle società.

Ricostruire una politica democratica vuol dire per noi ripartire dal valo-re della comunità, non c’è democrazia senza popolo, e non c’è popolo senzariscoprire la dimensione dell’altro, che è insieme, limite alla nostra indivi-dualità ma anche condizione imprescindibile per l’affermarsi in modo pienodella nostra umanità.

In questo senso il personalismo comunitario dei cristiani rappresentauna pietra angolare della democrazia a cui è impossibile rinunciare. Essere edefinirsi cattolici democratici nella politica di oggi comporta l’esercizio diquesta responsabilità difficile, investire la nostra ispirazione cristiana, lanostra laicità come risorse per governare una società sempre più complessa emulticulturale.

In questo senso credo sia giusto parlare della mediazione come l’azionepolitica che declina l’assoluto nelle forme possibili e relative dell’esperienzaumana, attraverso un forte impegno di apertura, ascolto, confronto, dialogo,sintesi, ed è qui probabilmente che si pone la domanda più scandalosa appun-to, quella sulla possibile inattualità della nostra cultura, perché per essere dav-

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vero laici, cattolici democratici occorre una dote per molti versi inattuale: lacapacità di riconoscere, assieme alla forza dei propri convincimenti, il valoredel dubbio. La necessità di aprirsi ad altre esperienze, ad altre culture: Lacapacità di convivere con le diversità nel senso più vero del termine. Non èsemplice, in un tempo dominato dalla cultura, che sempre più spesso fa coin-cidere il potere con la forza, e sempre meno con la capacità di persuadere,convincere, costruire pazientemente il consenso, non è qui in fondo la crisidella politica e non è significativo che questa crisi coincida con un possibiletramonto della laicità, dell’idea del bene comune, della faticosa via dellamediazione e più in generale di una dispersione di tutto ciò che segna la scel-ta di essere una comunità, mentre si afferma quello che Benedetto XVIdenuncia come rischio dell’arbitrio soggettivo?

Certo in questa crisi si sommano fattori diversi, molto diversi, gli effet-ti di una progressiva secolarizzazione, il predominio dell’economia neimodelli culturali di sviluppo. Possiamo dire che il nostro tempo appare carat-terizzato dall’instaurarsi di un nuovo fenomeno, quello che Aldo Schiavonepochi giorni fa a Cortona in una bella iniziativa del Partito Democratico hadefinito il debordare onnivoro dell’intreccio tra potenza tecnologica e globa-lizzazione capitalistica, e che ha conseguenze che solo il tempo ci svelerà neiloro effetti dirompenti, anche in campi che pensavamo messi al riparo diun’etica condivisa, come quelli della vita e della morte.

Pensiamo ancora ad altri esiti di questo processo, la trasformazione del-l’economia, che è diventata sempre più invisibile e potente, i suoi processi difinanziarizzazione che hanno travolto il mercato, lo vediamo, scardinato leregole che tenevano ancorato ai meccanismi della produzione di beni, al lavo-ro, ai fattori umani che insieme hanno travolto tutte le regole della trasparen-za, favorendo l’accumulazione di enormi ricchezze e generando nello stessotempo incredibili e inaccettabili diseguaglianze. Questi processi che appaio-no inarrestabili, anche di fronte alle drammatiche crisi, destinate a sconvol-gere la vita di milioni di persone, hanno imposto profondi stravolgimenti alletradizionali dimensioni dello spazio, del tempo, del potere. Hanno cambiato icomportamenti, i modelli culturali, gli stili di vita.

Concludo. Proprio da questo scenario di crisi può riemergere la forza diun pensiero alternativo come quello di cui ci sentiamo eredi. Alternativa cul-turale e politica, rispetto al clamoroso fallimento della cultura e della politicadella destra. Qui, su questo piano, c’è il riscatto di quella possibile inattualitàdi cui parlavo.

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Perché la crisi in cui siamo immersi ha bisogno di risposte forti, incisi-ve, ha bisogno di principi, di valori, ha bisogno di etica, ha bisogno di unnuovo umanesimo, ha bisogno di democrazia. Di una democrazia integrale,come dice lo scritto di Aldo Moro che abbiamo preso come punto di riferi-mento e titolo di questo nostro incontro ad Assisi, riprendendo un articolocomparso su Studium nel’47 e per molti versi profetico. Ma l’alternativa chepossiamo mettere in campo ha anche bisogno, io credo, della nostra testimo-nianza personale, della nostra coerenza, dei comportamenti. Ha bisogno diciò che Pietro Scoppola ci ha lasciato come una eredità impegnativa, facendoriferimento alle due bussole che ha richiamato in quel libretto che è il suotestamento politico anche, ma spirituale soprattutto. La bussola della libertà.La libertà dei figli di Dio nel camminare nella storia, che ricercano insieme ilmodo di sperimentare e costruire la loro presenza nella città terrena. E la bus-sola della fedeltà; la fedeltà dell’appartenenza a una Chiesa, a un popolo, auna fede. Ma io dico anche a una grande storia, ad una tradizione viva: la sto-ria e la tradizione del cattolicesimo democratico.

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On. Francesco Garofani

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Confronto tra:

Roberto NapolitanoRaffaele Bonanni

Emma Marcegaglia

Roberto Napolitano

Do inizio ai lavori del confronto tra il Presidente di Confindustria EmmaMarcegaglia e il Segretario della CISL Raffaele Bonanni. La notizia positivadi oggi è che le Borse sono chiuse, almeno per oggi evitiam fino a lunedì.Quindi questa è la notizia positiva.

Volevo dire che però ho fatto questa battuta semplicemente perché iocredo che la situazione attuale che stiamo vivendo è una situazione realmen-te complicata, dove penso che sia realmente imperativo, come ha detto ieri ilPresidente della Repubblica, evitare inutili allarmismi. Però bisogna avereanche la consapevolezza della difficoltà del quadro.

Io ricordo sempre una cosa che cito, che c’entra poco la finanza, però èindicativo di che cos’è l’Italia di che cos’è la situazione mondiale. L’anno scor-so, ci fu una conferenza a Roma sul clima Mi ricordo che il Ministro dell’epo-ca, Pecoraro Scanio, sostenne che l’Italia si surriscaldava quattro volte più delresto del mondo, cosa su cui il dibattito è molto aperto, ma sostenne, cioè nelsenso che non è vero, però quello che è ancora più imbarazzante è che sulla basedi quel ragionamento si sostenne che l’Italia era un allarme per il mondo.

Ora io penso che noi possiamo avere anche un grande concetto di noi edè sempre giusto averlo, però rappresentando lo 0,3 di terra emersa è difficileche lo 0,3 di terra emersa, cioè l’Italia, possa influenzare i destini dello 0,97.Perché ho detto questa cosa? Lì fu detta una grande fesseria. Oggi qual è lasituazione che abbiamo noi? È che la crisi finanziaria americana, cioè la crisiglobale è quella su cui noi dobbiamo fare i conti. Quindi non siamo per unavolta noi l’origine dei nostri mali, che pure abbiamo, ma siamo, come dire,

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Roberto Napolitano

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terminali di una crisi che viene da lontano e rispetto alla quale dobbiamo,come dire, veramente recuperare uno spirito serio, perché io credo che in tuttele famiglie, in tutte le case c’è una discussione molto forte, perché si avverteil problema del lavoro, si avverte il problema della quarta settimana, cioè siavvertono una serie di problemi che diventano sempre più stringenti. Quinditutto ci possiamo consentire, meno che una spirale, come dire, da panico.

Solo all’inizio parlerò un po’ di più, poi non parlo così a lungo, farò par-lare loro.

Volevo dire che se per tanto tempo ci siamo fatti del male, ci siamo riu-sciti benissimo. Ormai io credo che non ci sia nessuno in Italia che non sap-pia che abbiamo il più grande debito pubblico, il terzo debito pubblico almondo, non abbiamo la terza economia e via cantando. Però ad esempioricordiamoci alcune cose, che io sto cercando per esempio di segnalare comegiornale da un po’ di tempo, che quanti sanno che per esempio le famiglie ita-liane, le imprese italiane sono indebitate un terzo di quelle tedesche? Oppureche l’industria italiana vale il doppio, come abbiamo raccontato oggi, dellebanche inglesi? Noi con tanti difetti, con tanti errori che abbiamo commesso,veri, in realtà abbiamo un capitale, un valore che ci deve consentire in questomomento di fare delle scelte, come dire, prima di tutto di non farci prenderedal panico, e secondo di fare delle scelte che ci permettano di tutelare questopatrimonio, perché poi sarebbe veramente assurdo che dopo esserci sentitidire per una vita che abbiamo il più grande debito pubblico del mondo, einvece come imprese e come famiglia abbiamo risparmiato, dobbiamo poipagare il debito privato degli altri con altro debito pubblico. Veramente que-sto, debbo dire, ci vuole un po’ di attenzione alle cose nostre.

In questo quadro e finisco, una divagazione, credo che il senso diresponsabilità sia veramente importante. Allora io voglio chiedere agli inter-vistati due cose inizialmente: quanto può valere in questo caso, in questasituazione un accordo serio sulla produttività? E secondo: quanto vi impe-gnerete tutti e due, perché questo accordo si raggiunga e si raggiunga dicia-mo con il massimo di consenso possibile.

Raffaele Bonanni

Credo che sia davvero importante perché, lo dicevi tu, c’è una sfiduciae una preoccupazione in giro che secondo me deve essere al centro dell’at-

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tenzione di tutti coloro che hanno delle responsabilità. Bisogna contrastarequesta sfiducia, contrastare questo atteggiamento che può perfino essereun’energia negativa a che si possa invece liberare le energie e quelle che ser-vono per contrastare questa condizione.

D’altronde sia il Sindacato sia la Confindustria da diversi anni sosten-gono che l’economia di carta è una economia effimera e, l’abbiamo detto piùvolte, eravamo derisi ma avrebbero, queste economie fatte di carta, avrebbe-ro distrutto qualsiasi possibilità di costruire sul solido appunto le nostre eco-nomie e il nostro futuro.

È inevitabile, che si torni per costruire una nuova economia, amica del-l’uomo e amica anche della democrazia, perché c’è anche questo problema.È bene che si ritorni a poggiare sulla economia reale. Si tratterà di chiedereall’Europa per esempio di fare delle scelte concrete. Per esempio fino adessomolti vincoli nella spesa pubblica, molti vincoli per esempio all’inflazione,molti vincoli su tutto, nessun vincolo sulla legge della finanza, tanto è veroche ci troviamo in questo modo. Però si tratta anche, se vogliamo riprendere,che lo stesso problema che abbiamo in Italia, perché anche l’ultima finanzia-ria non ha fatto politiche che tutti hanno riconosciuto essere necessarie, anticicliche. L’intervento forte su due fattori che penalizzano moltissimo la nostraeconomia, l’hanno penalizzata negli ultimi anni, la scarsità di infrastrutture,la scarsità e il costo enorme appunto dell’energia e tanti altri fattori.

A livello europeo i Governi è vero, speriamo, decidono appunto dellesoluzioni forti in quel senso. La Banca Europea di Investimenti per esempiopuò emettere delle condizioni favorevoli per sostenere politiche anti cicli pertutta Europa. È un modo per far risalire la economia. Lo stesso problema hal’Italia dobbiamo insistere tutti. Allora che valore ha un accordo? Questo èbene che deve inquadrarsi in un quadro, quale valore ha un accordo tra di noisul fatto che guadagneremo di più se lavoreremo meglio e anche di più? Hala forza intanto di mettere i piedi nel piatto e di svelare una verità banale, chele economie vanno bene se si lavora bene e se si lavora anche di più e la redi-stribuzione del reddito può avvenire in una economia sana e in aziende sane.

Ma questo è importante perché dà una risposta alle esigenze collettive eimpone anche, alla classe dirigente, un ritmo diverso, un taglio diverso sullequestioni che abbiamo di fronte. La mia opinione è che subito si debba arri-vare a un summit tra tutte le realtà: le parti sociali, il governo, l’opposizione.Tutti devono poter discutere di come affrontare i temi che abbiamo di fronte,attraverso delle politiche, sì che devono proteggere il risparmiatore, sì che

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Raffaele Bonanni

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devono sostenere le banche, però di come la sorgente venga custodita e altrevenature che riescono a portare energia vengono disseppellite e vengono cap-tate e utilizzate. E questo dipende appunto dall’accordo che faremo tra di noi.

Io sono rimasto molto contento ieri sera quando ho sentito la relazionedi Beppe Fioroni. Sono rimasto molto contento, perché ha incitato il sindaca-lismo, credo anche gli imprenditori, a guardare più al concreto le questioni ead avere un approccio più moderno e anche più responsabile.

Io mi ritrovo pienamente in questo modo di vedere. Mi ci ritrovo dav-vero pienamente, perché ognuno deve mettere a punto alcune opinioni, anchealcuni atteggiamenti. Io non voglio fare la rampogna a nessuno, perché se c’èuna cosa che fa la mia organizzazione da secoli, si fa per dire, da decenni edecenni è quella di avere la pazienza, pazienza, pazienza, di riuscire a porta-re tutti dentro un alveo di gestione appunto della composizione delle idee maanche dei comportamenti. Cioè noi abbiamo una attitudine a fare questo, peròin questa vicenda che io ritengo molto interessante, che stiamo costruendocon Confindustria, ci sono tutti gli elementi necessari per rafforzare una con-dizione che dicevo poc’anzi. Certezze nei comportamenti tra di noi.

Alcuni sostengono che addirittura si tratti di un sistema sovietico, maquale sistema sovietico. Il ricorso alla bilateralità che è lo strumento sussi-diario, che è quello che ci serve per rendere responsabile ciascuno nel campoche lui stesso deve custodire, nel perimetro in cui lui stesso deve esserepadrone di ogni comportamento, oppure è sovietico il fatto che gli accordi chesi fanno vengono custoditi non solo da norme, ma anche da sanzioni, allor-quando, io vi faccio un esempio, faccio un accordo, l’accordo è di guadagna-re 80 euro, e il giorno appresso riapro un’altra vertenza ancora.

È chiaro che ci vogliono delle sanzioni contro di me, ma anche controla Confindustria, allor quando ha dei comportamenti trasgressivi, è sovieticoquesto?

Oppure per esempio se ci sono contenziosi prima di arrivare allo scio-pero, di arrivare appunto a tentare con norme di raffreddamento, con organi-smi paritetici, lo diciamo noi e gli imprenditori, e riescono a trovare la solu-zione. Oppure ancora, per esempio tutto ciò che può portare a non arrivare alconflitto, per esempio anticipare di sei mesi la scadenza la discussione con-trattuale, o addirittura di iniziare a retribuire, al di là di quando si fa l’accor-do, dal primo giorno, la scadenza del contratto. Sono tutti meccanismi cheservono a non arrivare a tutti i costi ad uno sciopero. Perché se un contratto,

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penso a quello dei meccanici l’altra volta, per farsi a un centinaio di euro hodovuto fare otto scioperi, questo l’hanno detto i lavoratori e anche l’azienda.

Ecco perché e, potrei continuare all’infinito, ma continueremo, per direche quello che stiamo discutendo, ma non è una cosa qualsiasi che banal-mente si può dire: è una sorta di irrigidimento. No, dietro questo c’è una filo-sofia oggi ancora più importante a fronte di una crisi così grave che abbiamodavanti e che deve vedere più responsabilità da parte di ciascuno.

Poi è chiaro che la Marcegaglia tutelerà gli interessi delle imprese, e losta facendo benissimo, e noi abbiamo da tutelare l’interesse dei lavoratori.Però non ci può essere una sorta di teoria delle mani libere, perché ogni voltadobbiamo fare un braccio di ferro per chi deve fare soccombere l’altro, per-ché è una teoria ottocentesca, nemica oggi di una economia nuova che verràfatta se il clima stesso che creiamo è un clima positivo, un clima che tira dauna parte. Questa è la mia opinione.

Emma Marcegaglia

Buongiorno a tutti. Ringrazio molto per l’invito e mi fa piacere esserequa. Dichiaro già che fare un contraddittorio con Raffaele Bonanni per menon sarà facilissimo, perché devo dire che moltissimi sono i punti in comunee anche la condivisione di una visione di ciò che abbiamo davanti.

Ma anch’io voglio partire molto brevemente dalla situazione che abbia-mo davanti. Abbiamo davanti una crisi enorme. Sono d’accordo con quelloche diceva il moderatore. Non dobbiamo diffondere il panico, però dobbiamoanche essere realisti, perché se non comprendiamo la gravità dei problemi,non siamo nemmeno in grado di capire come affrontarli per risolverli.

Ovviamente questa non è la fine del mondo, usciremo certamente daquesta situazione, però proprio dobbiamo comprenderne la portata per fare lescelte giuste. Questa è una crisi finanziaria globale, partita dagli Stati Unitima che si sta diffondendo, anzi è già diffusa in Europa. Probabilmente sidiffonderà in altre parti del mondo. Anche questo è un processo già in corso.E adesso il vero tema è capire come affrontare l’impatto sull’economia reale,l’impatto sull’economia di tutti i giorni; quindi sulle imprese, sui lavoratori esui cittadini.

Abbiamo già alcuni segnali che l’impatto è in arrivo, che l’impatto saràsignificativo. È evidente che quando una crisi finanziaria ha questa portata,

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Emma Marcegaglia

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non possiamo essere così ingenui nel pensare che non ci sia poi una conse-guenza sull’economia reale.

Io penso che adesso sia il momento di smetterla, l’ho fatto anch’io, l’ab-biamo fatto tutti, nel dire: i colpevoli sono gli uomini della finanza di WallStreet, è vero che è così, è vero che sono stati costruiti dei castelli di carta paz-zeschi, sotto i quali non c’era niente e che adesso stiamo pagando una conse-guenza forte. Ma adesso è terminata secondo me questa fase, per avviareinvece una fase in cui tutti insieme, con grande senso di responsabilità cer-chiamo proprio di avere dei comportamenti, fare delle scelte che ci permetta-no di uscire da questa situazione.

Allora io mi aspetto e spero che in queste riunioni, il G7, il G20, doma-ni la riunione dei capi di Governo europeo, escano finalmente delle situazio-ni e delle scelte condivise. La logica di affrontare questa crisi finanziaria glo-bale, ognuno per conto suo, l’America col piano Polson, la Germania, l’Italiaecc., ha dimostrato che non è sufficiente, tutto quello che è stato fatto finoadesso non ha calmato i mercati, non ha calmato il panico. Quindi io credoveramente che in queste ore ci deve essere una grande assunzione di respon-sabilità, un abbandono degli egoismi nazionali e il varo di un grande piano,quanto meno europeo, ma sarebbe meglio forse ancora più allargato, in cuitutti i capi di Governo e tutte le banche centrali decidono di andare in unacerta direzione, di tutelare i risparmi, forse anche di agire sull’iter bancario,perché qui il vero tema è che le banche non si fidano più l’una dell’altra, nonsi prestano più soldi, e questo sta creando un corto circuito appunto di credi-to a tutto il sistema.

Quindi mi aspetto che vengano messi da parte gli egoismi nazionali eche si facciano le scelte forti. Devo dire che anche il G4 di qualche giorno fa,quando si sono incontrati Capi di Governo di Inghilterra, Francia, Italia eGermania, dove alla fine oltre a qualche dichiarazione di principio non si èandati, mi auguro che la gravità della crisi faccia sì che questi comportamen-ti a cui abbiamo assistito per tanto tempo vengano finalmente messi da partee si vada avanti.

Quindi per prima cosa noi dobbiamo dare una risposta ferma alla crisifinanziaria Dobbiamo bloccare questo panico. I dati sono evidenti, in questoanno, è un dato di oggi, si sono bruciati ricchezze pari al Pil americano, siamodavanti a un fenomeno di portata enorme; quindi la prima cosa è bloccarequesta crisi finanziaria.

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La seconda cosa è quella che diceva prima Raffaele Bonanni, bisognapoi immediatamente, una volta bloccato questo, pensare all’economia reale eanche qui io credo che ci debba essere una risposta almeno europea, di ungrande rilancio di investimenti pubblici, soprattutto in infrastrutture materia-li e immateriali che vanno rilanciate in modo forte. Se noi anche blocchiamola crisi finanziaria ma non immettiamo un po’ di crescita, non immettiamo unpo’ di risorse che possano rimettere in funzione il circuito appunto della cre-scita, noi rischiamo di avere conseguenze molto pesanti sull’economia reale.

Quindi anche su questo io penso che l’Europa molto velocemente, noncon i tempi tipici dei consensi europei, debba varare un grande piano di inve-stimenti pubblici in infrastrutture, in ricerca e innovazione a supporto dell’e-conomia. Poi, poi immagino appunto parleremo ancora di questo tema. Poipenso che anche a livello nazionale, come diceva prima Bonanni, bisognafare in modo che il focus non sia solo sulle banche, ma sia fortemente sullaeconomia reale, perché alcuni segnali preoccupanti che gli ordini stannocalando, il dato di ieri sulla produzione di agosto è molto brutto, -14,3%, seanche lo leviamo dai due giorni, siamo a un -5,3% e, io non voglio fare delpessimismo, ma noi domani o dopodomani come Confindustria annunceremole nostre nuove previsioni per il Pil 2009. Eravamo stati un po’ più ottimistidicendo che probabilmente si poteva, se la crisi finanziaria non fosse statacosì pesante, crescere di uno 0,4. Noi faremo una nuova previsione purtrop-po a -0,5 per quanto riguarda il 2009.

Quindi abbiamo davanti un periodo difficile. A maggior ragione dob-biamo fare delle scelte forti. E una delle scelte forti è proprio quella di cam-biare il modo in cui noi abbiamo le relazioni industriali tra datori, associa-zioni di categoria che rappresentano le imprese e i sindacati.

Io penso davvero che in un momento come questo, ma in generale,davanti a un’economia globale, complessa, difficile, che cambia continua-mente, noi dobbiamo proprio avere e portare avanti un cambiamento cultura-le. Non è più il momento del conflitto, è il momento della condivisione. Lesorti delle imprese, degli imprenditori e dei lavoratori sono assolutamenteunite. Questo deve essere chiaro. Anoi è già chiaro, ad altri forse lo è un po’meno, ma noi se andiamo avanti con la logica del conflitto ovunque, dapper-tutto, dei rapporti di forza, vinca il migliore, non il migliore, vinca quello cheha più forza in quel momento, noi facciamo un danno alla nostra economia.

Noi dobbiamo varare una logica, un nuovo assetto che va davvero versola condivisione delle responsabilità. Ovviamente poi gli imprenditori devono

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fare gli imprenditori, i collaboratori delle imprese devono fare il loro mestie-re. non deve esserci una cogestione che non funziona, ma ci deve essere unacondivisione di alcune logiche, di alcuni obiettivi che sono gli unici che pos-sono portarci fuori da questa crisi.

E io l’ho detto più volte, lo voglio ripetere anche qui. in un momentocome questo, così difficile, se non vogliamo dire cose false, ma vogliamoessere concreti, l’unico modo per aumentare il salario dei lavoratori, cosa acui anche noi teniamo, è assolutamente quello di legare l’aumento dei salariall’aumento della produttività. Dire cose diverse vuol dire vendere illusionipericolose ai lavoratori. Noi questo non lo vogliamo fare, noi vogliamo fareun piano serio, vogliamo andare in quella direzione, vogliamo lavorare pro-prio per aumentare la produzione delle imprese e, attraverso questo aumenta-re i salari dei lavoratori.

Quello che abbiamo messo in queste linee guida che ieri abbiamo con-diviso con Confindustria, CISL, UIL va proprio in quella direzione: quindipiù produttività per aumentare i salari, regole condivise per far sì che i rap-porti sindacali, i rapporti di lavoro siano rapporti più ordinati, più di condivi-sione e meno conflittuali.

Quindi noi auspichiamo, ma penso che lo faccia assolutamente ancheRaffaele Bonanni, che a questo primo step segua uno step di apertura con lealtre, in cui metteremo al tavolo le altre associazioni di categoria.Auspichiamo e speriamo davvero, perché in un momento di questo tipo nonfarlo sarebbe veramente un atto di irresponsabilità, che anche la CGIL com-prenda questo tema, capisca che qui siamo davanti a una situazione moltocomplicata, lasci da parte alcune sue resistenze interne e arrivi poi a condivi-dere, insieme a noi, questo disegno, che se è un disegno che se portiamo avan-ti tutti insieme, io sono sicura potrà dare dei vantaggi ai lavoratori e alleimprese.

Roberto Napolitano

Ringrazio il Presidente di Confindustria. Devo dire che io insisto anco-ra un attimo, perché il capitale più importante che si può avere in un momen-to come questo è quello della credibilità e, legato al capitale della credibilità,c’è la fiducia. Questi sono due dati strategici. Io condivido molto i riferimen-ti che avete fatto all’ultima vicenda europea, alla fine si sono riuniti. Non si è

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voluto fare il fondo unico. La Germania probabilmente caccerà più soldi perle sue banche, di quanti ne avrebbe cacciati nel fondo unico europeo, però perla Germania è importante dire che i tedeschi quei soldi che tirano fuori li tira-no fuori per le sue banche, non per gli altri. E questo, in una crisi globale cosìpesante, è un ritardo, se vogliamo dire culturale, ma è qualcosa anche di più,molto molto grave.

Quindi questo è il senso. Allora tornando alle cose nostre, io quandoparlo di credibilità, di fiducia. Mi viene sempre in mente l’accordo sulla poli-tica dei redditi del 1993, firmato da Ciampi che è una persona a cui diciamonaturalmente do credibilità, e penso anche molti degli italiani. Allora pensateAl 1993, siamo nel 2008. Sono passati 15 anni e non si è potuta attuare laseconda parte di quell’accordo sulla politica dei redditi. Quindi le cose di cuiparlavano prima tutti e due, cioè i salari legati alla produttività, erano giàscritti lì, in quella parte che scrisse Gino Giugni.

Allora, visto che abbiamo aspettato 15 anni, sono successe tante cose eviviamo una congiuntura così complicata, poi parliamo del resto, volevo farvispingere un po’, c’è un tempo? ecco diciamo si può fissare una scadenza, percui dice: continueremo a ragionare, vogliamo l’accordo di tutti, ma fino aquando?

Raffaele Bonanni

Per quel che mi riguarda, Marcegaglia lo sa, la CISL ha lavorato e stalavorando per riuscire a conciliare quello che vogliamo fare, anche con chi haun’opinione, almeno per adesso, diversa.

Ieri, se avete notato, non c’è stato lo strappo, c’è stata la segnalazione diuna opinione diversa, che peraltro non si asciuga in 48 ore. Però devo dire, equesto è incoraggiante. Non si è arrivati ad uno strappo vero e proprio, uffi-ciale, un po’ per nostro merito e un po’ anche per il merito di chi non coinci-de ancora con le proprie opinioni o le opinioni di tutti.

Roberto Napolitano

Visto che sono 15 anni che vi occupate di queste cose, la CISL ha la sen-sazione che questa volta la CGIL firmerà questo accordo o no?

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Raffaele Bonanni

La CISL ha questa opinione perché? Perché tutto spinge davvero, dopotanto tempo, verso questa soluzione. Poi uno ci può arrivare in un modo o in unaltro, e io questo lo so per esperienza. D’altronde prima abbiamo parlato dialcune regole. Tu hai parlato di politica dei redditi. La prima questione che havisto in questo spirito che ripeteva il Presidente di Confindustria poc’anzi: col-laborare a prescindere da ciò che perfino i governanti per esempio hanno com-messo, secondo me, un qualcosa di sbagliato nei confronti dei lavoratori e pen-sionati, quando ci hanno rifilato l’indice truffa all’1,7%, che è davvero moltodistante. Voi sapete la nostra opinione, noi in questo siamo stati sempre fedelialla impostazione di Tarantelli, e cioè che bisogna stare sempre sotto l’inflazio-ne reale e poi la recuperiamo dopo, per non suscitare fiammate inflattive, tant’è,solo Dio sa quant’è importante oggi di nuovo, con questa situazione che c’è difronte a noi, anche la ripresa di una camminata inflattiva. Nonostante ci hannorifilato un indice truffa. Io do atto alla Confindustria di una grande buonavolontà. Noi attraverso un meccanismo che non lasceremo più in mano aigoverni e al proprio arbitrio, abbiamo stabilito, attraverso meccanismi nuovi,riferiti anche a criteri che gestiscono a livello europeo, perché già sette-ottopaesi aderiscono a quel criterio. In ogni caso si decide in Parlamento Europeoformalmente ogni volta. Abbiamo deciso di ancorarci lì e di privare, anche per-ché la tormenta di energia è quella che è, di privare solamente, di sterilizzare glieffetti per esempio inflattivi determinati e portati dentro dall’energia, che gra-zie a Dio nelle ultime ore ha abbassato molto molto il proprio costo.

Confindustria attraverso questo ci ha tolto dall’equivoco. Siamo moltoal di là del dato truffa che il Governo ha. Lo ha fatto certamente, non perchésono, scusami Emma, filantropi, ma perché capiscono che non vogliono lorostessi sfidare quel braccio di ferro che ci fa perdere tempo, attraverso un mec-canismo ragionevole.

Io sono contento di questo, perché non solo salutiamo in questo modo enel modo migliore questa operazione sbagliata del Governo contro di noi perfar tornare i conti dalla propria carta di bilancio con l’Europa. Ma anche per-ché attraverso questo noi arriviamo anche alle altre associazioni di fatto, per-ché è chiaro che la motrice è quel tavolo dei patti. Poi si apre una discussio-ne sui pubblici, e poi si apre una discussione, anche più seria, sulle vicendedei pensionati. Quindi ha un valore forte. Ma come si fa a disconoscere l’im-portanza di un elemento del genere? È come se fossimo blindati, sordi e cie-

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chi di fronte a ogni novità, a ogni buona volontà, che invece va coltivata,soprattutto in questo momento.

Quindi io ritengo che questo aspetto sia davvero, molto importante, eanche un segno, non a caso, di molta coerenza con le discussioni che si face-vano poc’anzi, e che dobbiamo insieme toglierci dai guai creando una condi-zione di fiducia ed evitando che tutto venga lasciato a quel braccio di ferro oa quelle teorie che non servono. Non servivano già nei decenni passati, figu-riamoci in questa situazione così complicata come quella di oggi!

Ritengo però che la politica dei redditi si faccia in questo modo, si fac-cia producendo attraverso un lavoro migliore e un lavoro, diciamo così, piùforte e più sostanzioso, ma si faccia anche mettendo le briglie ai prezzi e alletariffe. E lì credo che tutti quanti dobbiamo svelare l’arcano. Da molti annic’è chi ci frega, attraverso meccanismi non di concorrenza, soprattutto nel-l’ambito di servizi ci sono nuovi monopoli coperti, che permettono ad alcunidi guadagnare moltissimo e alle famiglie di pagare molto di più di quello chedovrebbero pagare, e che non solo danneggia le famiglie, ma danneggiaanche l’impresa, perché poi la produttività di sistema è talmente bassa perqueste ragioni, che danneggia anche l’impresa.

Io credo che uno squarcio davvero forte lì bisogna farlo, e la classe diri-gente tutta, al posto di litigare su mille chiacchiere, su mille cose inconsistenti,deve concentrarsi su questo. Le lobby fanno ciò che vogliono e non in sintoniacon i talenti nazionali. Quindi c’è un legame forte tra produttività di sistema cheinteressa le imprese e protezione degli interessi delle famiglie italiane.

Ecco perché io ritengo che quella intuizione che ci portò già dai primianni’90 a mettere sotto controllo tutto, dandoci delle garanzie, la fiducia. Cioèio non porto avanti iniziative sballate salarialiste.

Roberto Napolitano

Entro Natale ce la facciamo?

Raffaele Bonanni

Io sono convinto che ce la facciamo. Abbiamo un incontro con le altreassociazioni. Non mi pare che siano lontane dal nostro modo di vedere. Se noi

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rinnoviamo fortemente ma centrando tutto sui luoghi di produzione, dove sidecide la qualità e la quantità che si è prodotto nel secondo livello, dove nonsolo questi, ma anche una nuova filosofia che è quella della cooperazione franoi e l’impresa, ognuno naturalmente con la sua responsabilità, solo in que-sto modo noi, ripeto, daremo un contributo forte.

Io sono convinto che ce la faremo, ne sono convinto. Io ho trovato anchenella discussione di ieri e di questa mattina, punti notevoli anche in questasala. Ce la faremo, perché non solo questa battaglia sarà fatta dal cuneo socia-le, sarà fatto anche nell’ambito politico, viva Dio, speriamo che si riapre unadiscussione positiva di politica in questo paese, fuori da beghe, da bracci diferro mai terminati in questo bipolarismo bislacco, perché affida solo allecontumelie, solo alle discussioni che, come si vede, alla fine sono baricentra-ti da interessi del paese, interessi generali.

Io spero che in questa discussione, spero in una sinergia forte tra socia-le e politica, di quella politica che affonda le proprie radici storiche, cultura-li, morali io direi, nel popolarismo, che è energia potentissima oggi più chemai, perché sa distribuire responsabilità e sa mettere insieme quelle respon-sabilità oggi tanto necessarie.

Roberto Napolitano

Vediamo se anche il Presidente di Confindustria condivide un po’ diquesto ottimismo.

Emma Marcegaglia

Sì, lo condivido. Vorrei sottolineare questo aspetto e ringrazio Bonanniper averlo detto. Però quando noi abbiamo incominciato questa trattativa, noipartiamo dall’accordo di luglio 1993 che è vigente, che secondo me è stato unbuon accordo, perché in quel momento è stato un accordo che ha permesso alpaese di salvarsi da un baratro. Lì era una crisi tutta interna. Però quell’ac-cordo ha permesso, grazie alla responsabilità di tutti, di bloccare il paesedavanti a un baratro, di combattere l’inflazione e di far riprendere un percor-so di crescita.

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Oggi siamo a 15 anni da quella data e oggi secondo me gli obiettivi e iproblemi sono completamente diversi. Oggi il tema non è più l’inflazione,anche se certamente dobbiamo fare grande attenzione a non rimetterla nelsistema. La proposta che fa la CGIL di una sorta di ritorno alla scala mobileè un fatto negativo, drammatico. Un paese che l’ha già vissuta la scala mobi-le sa quello che vuol dire. Ma in questo momento appunto i veri temi sono laproduttività e il livello dei salari; quindi noi stiamo cercando di dare unarisposta a questi temi, ed è un momento completamente diverso dal 1993.C’era la lira, non c’era la globalizzazione, era un mondo molto diverso.

Quindi io penso che l’obiettivo di cambiare modo in cui noi dobbiamorinnovare insieme i contratti, dopo 15 anni, con i cambiamenti che ci sonostati in mezzo, è un fatto assolutamente positivo.

Dicevo però, oggi noi abbiamo l’inflazione programmata e, insomma ioringrazio Bonanni, perché noi abbiamo fatto uno sforzo importante, accettarele richieste del sindacato di cambiare tipologia di indice e passare ad un indi-ce previsionale depurato significa, tanto per essere concreti, sul 2008 un puntoper cento in più. L’inflazione programmata oggi è l’1,7%, il calcolo che noiabbiamo fatto lo porta a circa il 2,7%; quindi non sono noccioline, è una cosavera, concreta, che noi facciamo, perché riteniamo poi appunto che i nostridestini delle imprese e quelle dei lavoratori sono in qualche modo legati.

Secondo aspetto che voglio dire molto importante, del perché questoaccordo ha senso, cioè spostare più avanti, dare più spazio al secondo livelloè particolarmente importante e, come dicevo prima, è l’unico modo per darepiù soldi ai lavoratori. Primo perché lo leghiamo alla dinamica della produt-tività, secondo, perché noi oggi abbiamo evidente la detassazione deglistraordinari e dei premi variabili, che è un fatto molto importante. Ogni 100euro dati a livello nazionale valgono dati a livello aziendale valgono 120, per-ché c’è una detassazione che vale circa 20%, che permette quindi ai lavora-tori di prendere più soldi a livello aziendale. E anche questo non sono noc-cioline, è una cosa concreta, non è una affermazione ideologica. Siamo con-tro questo o quell’altro, ma è un modo vero per poter dare più soldi.

Allora sui tempi, io credo che è giusto, come ho detto prima, lasciare iltempo a una revisione e a una preparazione di un certo processo da parte dellaCGIL. Nello stesso momento noi dobbiamo allargare il tavolo alle altre asso-ciazioni di categoria che probabilmente dovranno fare le loro riflessioni. Nonè che faranno i notai e firmeranno il nostro accordo, ma certamente vorrannodire la loro, vorranno discutere, però proprio perché, come abbiamo fatto

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prima, abbiamo criticato le istituzioni europee che non prendono decisioni,che si fermano, che hanno paura, beh noi non possiamo fare altrimenti, nonpossiamo fare la stessa cosa. Quindi io penso che noi ci dobbiamo dare untempo, un mese, quello che è, anche perché poi insieme noi dobbiamo otte-nere il fatto che la detassazione dei premi variabili e straordinari diventa unarealtà e viene portata avanti anche nel 2009. Quindi non sarà più solo speri-mentale per il 2008, ma diventerà stabile anche per il 2009. E qui ci sono deitempi tecnici, cioè probabilmente la lettura della finanziaria quasi diciamo intermini finali, probabilmente prenderà un mese e mezzo. Oltre quella datanon possiamo andare in termini tecnici, e secondo me non possiamo neancheandare, proprio perché non possiamo continuare ad andare avanti con tempiestenuanti, in un momento in cui la crisi è talmente forte che richiede rispo-ste precise, concrete, forti, e anche il coraggio di superare certe resistenze chetutti noi al nostro interno abbiamo, ma se noi abbiamo una visione, capiamo,comprendiamo che quella è la direzione, che così noi dimostriamo unaresponsabilità verso le imprese, verso i lavoratori, verso i cittadini, dobbiamoavere anche la capacità di prendere le responsabilità, di avere coraggio e divarare quella iniziativa in quella direzione.

Quindi un mese, un mese e mezzo, dopo di che io mi auguro, anch’iospero e penso che arriveremo a un conclusione positiva, però noi non possia-mo rimanere indietro, non possiamo bloccarci davanti ai veti, dobbiamo,almeno io penso, io sento la responsabilità di prendere anche le decisioni percambiare il paese e dargli la possibilità di riprendere la strada della crescita.

Roberto Napolitano

Grazie. Devo dire che effettivamente, visto che è un po’ di anni che ioseguo queste cose, e se può dire anche il moderatore qualcosa. Io ho semprecreduto profondamente alla concertazione, perché credo che sia come meto-do una cosa fondamentale, però io faccio spesso questa battuta: cosa signifi-ca concertare. Discutere, ragionare, discutere, approfondire, e poi ancoradiscutere, e poi ancora ragionare, e poi ancora approfondire. Poi siccome cisiamo stancati, magari ci prendiamo una pausa, poi ritorniamo a discutere, poiritorniamo a ragionare. Però scusatemi ma tutte queste discussioni dovrannoportare a una decisione? Se no veramente è una cosa che è fuori da ognidimensione, ma non c’entra niente l’economia, proprio è il buon senso.

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Quindi voglio dire se questo buon senso non scatta nemmeno in un momen-to di crisi così profonda, veramente c’è da interrogarsi sulla capacità di inter-pretare l’interesse generale che in questo caso diventa veramente una colpagrave. E voglio anche dire un’ultima cosa, poi voglio passare sul versantedelle tasse, che secondo me si lega benissimo al versante della produttività. Eriflettete una cosa, perché c’è stato il riferimento sempre all’accordo Ciampi,noi arrivammo a 17-15 17 punti di differenziale di inflazione dalla Germania,cioè noi nessuno si ricorda che il debito pubblico…

Adesso vi racconto questo aneddoto, vi faccio perdere un secondo, ioero proprio ragazzo, lavoravo in un giornale che si chiamava Il Mattino aNapoli, che era un giornale importante e lo è tuttora, mi mandò due mesi inAmerica, io intervistai tutti i Premi Nobel e tutti. Facevo il confronto tra ildebito pubblico italiano e il debito pubblico americano, perché adessol’America ci supererà, però fino allora ogni tanto il debito pubblico saliva, poiabbassavano le tasse, l’economia correva e il debito scendeva, invece ilnostro saliva sempre.

Allora l’ultima sera, un po’ facevo Nord e Sud, perché il Suddell’America è diventato Nord, senza una lira di incentivo, il Nord Carolinahanno fatto i BOT tra di loro, che si sono pagati i cittadini, quindi anche que-sto è un discorso che ha una sua serietà. Comunque alla fine, dopo che avevoinserito Lucas, Tobin, tutti li avevo fatti, l’ultima sera capito con un ristora-tore italo americano a Washington, che era di Ischia, veramente sparì, andò incucina e portò Il Mattino, lui andava ogni giorno alla libreria Rizzoli aWashington a comprare Il Mattino, perché come ristoratore voleva sapere imorti suoi, chi si era sparato, chi non si era sparato. Allora quando mi chiese,io gli dissi: ma lei perché sta qua? Perché ho fatto questa inchiesta sul debitopubblico, dice: ma quant’è questo debito pubblico italiano? Beh all’epoca,sarà stato la metà degli anni Ottanta, non voglio sbagliarmi, mi pare che dissi:1 milione e mezzo di miliardi di vecchie lire - sì ho capito, ma c’è qualcunoche vi chiede i sord arret? - C’è qualcuno che vi chiede i soldi indietro? No,intanto voi campate, prima casa, seconda casa, terza casa, prima macchina,seconda casa, motorino, ringraziate Andreotti e la Cassa perlomeno questo midisse il ristoratore.

In realtà poi qualcuno che ci ha chiesto i soldi indietro c’è stato, questoè il punto. Dopo quella fase dove tutti avevano avuto il potere di acquisto, èarrivata la fase in cui avevamo i tre punti di differenziale sul deficit, nonabbiamo avuto i soldi per spenderli per gli investimenti, la spesa corrente ha

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assorbito tutto. Quindi noni non possiamo, secondo me, tornare indietro a faredelle stagioni che sono realmente pazzesche. Quando si arrivò a legare l’in-flazione a tutti i pensionati ma anche i baby pensionati e, ogni tre mesi, percui diciamo, anche in riferimento a qualunque forma di responsabilità salta-va, perché se il contratto si fa ogni tre anni, l’inflazione scatta ogni tre mesi,insomma voglio dire c’è un meccanismo…

Allora se queste sono le condizioni, mi sembra che i tempi siano effet-tivamente maturi per una scelta, ma questo fa parte delle mie valutazioni.

Io volevo chiedere a Bonanni, come sindacalista, questo accordo chia-miamolo sulla produttività, se è in una fase finalmente che mi sembra realmen-te finale, e questo è veramente, con questo passato, un dato importante. Però c’èl’altro corno della medaglia, che io ho visto che già aveva accennato ilPresidente Marcegaglia, dicendo: è ovviamente importante che diventi stabilela detassazione degli straordinari per consentire realmente di dare qualcosa inpiù ai lavoratori e creare più ricchezza.

Ecco, secondo Bonanni si può fare qualche passo in più, ulteriore dalpunto di vista della detassazione? Ci sono le condizioni? Vi batterete perchéciò avvenga?

Raffaele Bonanni

Sì intanto voglio anch’io dire qualcosa sulla concertazione di cui parla-vi. Non è solo discutere, discutere, discutere, e comunque avere un tempo incui si finisce di discutere. No, è importante avere la stessa opinione e averegli stessi obiettivi, perché la concertazione è fatta da soggetti che, come ades-so, abbiamo una economia che è sballata, abbiamo un tifone che addiritturala rende ancora più debole, e alcuni soggetti si mettono insieme, imprendito-ri che siano, sindacalisti che siano, governanti che siano, opposizione chesiano, si mettono insieme con lo stesso obiettivo, unico obiettivo di toglieredi mezzo tutti questi inconvenienti.

E questo è importante, se non c’è questa idea, ma è chiaro che la con-certazione, non solo diventa improduttiva, ma addirittura nessun governantela porterà avanti, perché se è l’occasione solo per fare casino e non mettersid’accordo, i governanti, voi lo sapete, hanno il vizio di escludere gli altri e dipoter decidere da soli, perché si sentono immortali e anche infallibili, anchein situazioni un po’ complicate. E voi sapete che questo è molto, molto impor-

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tante. Perché dico questo? Per ricordare un concetto importante, ma anche,parliamoci chiaro, ognuno che fedeltà ha, essendo realtà che organizza 100mila, 1 milione, 10 milioni di persone, che fedeltà ha verso la propria comu-nità? Se ha fedeltà verso la comunità, è chiaro che si concilia con le altrerealtà, pur di ottenere un risultato che collettivamente… Questo è un proble-ma non di poco conto, e chi ha buone orecchie intenda, questo è un puntoimportante di come si sta in comunità, e come in comunione, in comunità silavora e si spinge dalla parte quando si ritiene che ci sono le occasioni per…e ci debbono essere le occasioni per risolvere questi problemi.

Vicenda delle tasse, che poi si collega anche con questo problema, ioritengo che la vicenda delle tasse in Italia ha raggiunto livelli davvero di guar-dia, perché lavoratori e pensionati portano davvero un fardello troppo pesan-te i pochi redditi che gestiscono, solamente perché con la ritenuta alla fonte èmolto facile prelevare dalle loro tasche. E io spero che la battaglia sia davve-ro di tutti, perché vedo che a chi arriva lì, chi è un po’ timido e chi addirittu-ra è sfacciato completamente, si arrivi alla chiarezza. Noi, la CISL è per laopinione, la più secca dell’onorevole Visco, di perseguire attraverso l’ana-grafe tributaria un obiettivo di giustizia, tre caselle: quanto denunci tu che nonhai la ritenuta alla fonte quest’anno? Quanto hai speso quell’anno, quantopossiedi? In America, che è il paese più liberista, è normale, voi lo sapete que-sto. In Italia no, perché il grande fratello, tutte queste cose, e il Governo perònello stesso tempo rimanda a 12.500 la tracciabilità; e quindi la rimuove, per-ché dice che non tutti hanno assegni, hanno bancomat e così via, però ai pen-sionati dà la carta elettronica.

La verità vera è che non si vuole incidere su questo, e finché non si fachiarezza su questo, noi non ci saremo. Io spero che le realtà più progressivedi questo paese facciano la prima delle battaglie, quella della equità fiscale,anche perché se dobbiamo portare avanti iniziative anti cicliche, voglio vede-re dove li prenderemo i soldi, se non appunto dalle tasse. E siccome le tassealcuni le pagano molto di più degli altri, voglio sapere dove si fanno a pren-dere i soldi per fare infrastrutture e per intervenire sulla energia e sulla istru-zione e tanto ancora.

Quindi questo è un punto molto importante. Per quello che ci riguarda,siccome noi abbiamo bisogno di un sollievo, perché davvero come lavorato-ri dipendenti e pensionati, siamo sconocchiati da quattro livelli di tasse, oraci stanno promettendo e noi non siamo manco contrari. Il federalismo fisca-le, ma il federalismo fiscale sia se ritira a Roma e sia se ritira a Treviso, deve

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avere sempre quel criterio. Tremonti dice che è più facile a livello comunale,perché ci si conosce tutti, però ci devono essere due o tre cartelle, perché altri-menti ritorniamo punto e a capo. Noi abbiamo bisogno di un sollievo, nonstiamo chiedendo un sollievo su qualsiasi… Io vedo che anche dal Sindacatoc’è chi chiede un sollievo generalizzato, io ritengo che siccome non si puòottenere tutto ciò che vogliamo e che bisogna essere ragionevoli, dobbiamoconcentrare le nostre forze nell’ottenere, proprio dove più ci serve, ci servepiù produttività? È sul salario innanzi tutto di produttività, che ci devonotagliare le tasse.

Il Governo ha fatto un provvedimento provvisorio, specchietto delleallodole, noi vogliamo che quello specchio sia non per le allodole, sia per ilpaese e per i cittadini. Deve essere strutturale, tre volte in meno, proprio peril salario di produttività, perché l’indicazione deve essere proprio: si lavorimeglio e si lavori di più e ti facciamo pagare molto, molto e molto menotasse, è una indicazione che oggi, la CISL persegue questo obiettivo da 15anni almeno, oggi vale ancora di più per le cose che stiamo dicendo.

Il Governo ha fatto sapere così, informalmente, che se facciamo l’ac-cordo possiamo aspirare ad avere. L’accordo lo dobbiamo fare molto prima didicembre, perché? Perché dobbiamo andare da Tremonti e dire di aprire labozza, e di mettere nel provvedimento finanziario la bozza per il 2009, altri-menti noi perdiamo molto salario e quell’energia così potente, lo vogliamoper i lavoratori dipendenti e per i pensionati.

La mia organizzazione chiederà interventi tecnici, lavoratori in quelmodo e pensionati. Si potrebbe chiedere molto di più, però si presume che ichiari di luna che abbiamo di fronte non ci devono spingere a fare i velleita-ri, perché l’unico obiettivo che coltiveremo è quello di mettere il Governo adecidere da solo e noi andare appresso a manifestazioni, che sono pure impor-tanti talvolta, ma che non possono diventare lobby delle realtà responsabili,anche perché in un paese come il nostro che, secondo me giustamente è moltomoderato, ha bisogno di forze tranquille e forze che mettono il dito nelle que-stioni più salienti della vita delle persone. È in questo modo che si raggiungeil consenso secondo me, non alzando il cappello in aria.

Quindi queste sono le proposte che noi faremo, anzi prima arriviamo emeglio andiamo da Tremonti, perché non mi voglio trovare di fronte unTremonti che dice, con la erre moscia, che siccome le parti sociali non hannoraggiunto l’accordo, non si può fare niente. Anzi, se c’è qualche soldo lo dàlui, nel modo che dice lui, e questo credo non sia conveniente per patti socia-

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li o almeno parlo del sindacato, che del consenso e della armonia da raggiun-gere attraverso il ruolo da svolgere e così via, fa il suo punto di forza. Grazie.

Raffaele Bonanni

La domanda vale anche per il Presidente di Confindustria, però in partemi pare che aveva già risposto, nel senso che diciamo che, come potete nota-re, c’è una certa sintonia tra le due parti; quindi mi pare che dal punto di vistadella pressione fiscale, l’obiettivo sia quello di rendere permanente questoprovvedimento e di farlo, nell’economia il tempo conta, e di farlo in questafinanziaria; quindi subito.

Allora vorrei, diciamo, aprire un versante nuovo. La produttività abbia-mo detto è molto importante, diciamo fare in modo di poter dare qualcosaanche in busta paga, legarlo al lavoro, legarlo alla produzione di reddito èimportantissimo. C’è un’emergenza che viene anche questa dai ritardi delpassato, un’emergenza che riguarda l’energia, di cui il Presidente diConfindustria se ne è occupato ieri in Germania, e che è sul tappeto, perchénoi ci troviamo qui nel paradosso che questo paese pur inquinando menodegli altri, per il fatto che non ha fatto nulla, non ha fatto le centrali nucleari,non ha fatto quelle a carbone, non ha fatto nemmeno quelle eoliche, ha pochicrediti da scalare; quindi si trova a pagare un conto enorme.

Ecco, allora volevo chiedere al Presidente di Confindustria se diciamo,ritiene di fare un appello al Governo in questa direzione, se Berlusconi puòprendere un impegno, far valere la sua posizione in sede comunitaria. E poivolevo anche chiedere come giudicava, diciamo, perché qui, voglio dire, noipossiamo fermare un’emergenza, però poi bisogna recuperare, perché l’ener-gia costa di più in Italia? Perché c’è stato un peso fiscale enorme che nonabbiamo potuto investire. Ci sono le condizioni, perché questa capacità diinvestire in Italia riparta? A quale condizioni?

Emma Marcegaglia

Grazie. Volevo solo fare una battuta sulle tasse, al di là che ha appuntodetto che anche noi da sempre riteniamo che la detassazione degli straordina-ri e dei premi variabili sia un fatto estremamente positivo, che tra l’altro giu-

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stamente sono soldi che vanno in tasca ai lavoratori, non alle imprese, ma cheaumentano la produttività delle imprese; e quindi di conseguenza è assoluta-mente positivo anche per gli imprenditori.

Voglio dire una cosa molto chiaramente, noi come Confindustria siamoassolutamente a favore di una lotta all’evasione fiscale, fatta seriamente econcretamente a un patto però molto chiaro, che i proventi che vengono dallaevasione fiscale, non vadano ad aumentare la spesa pubblica ulteriormente, inun paese che ha già una spesa pubblica che continua a crescere, ma vadanoprima di tutto a ridurre le tasse a lavoratori, cittadini e imprese, permettetemi,un pochettino anche a noi, o eventualmente agli investimenti.

Quindi benissimo la lotta all’evasione fiscale, noi la sosteniamo da sem-pre, purché però, ripeto, questo non vada ad alimentare ulteriore spesa pub-blica improduttiva, cosa che invece spesso succede in questo paese.

E anche rispetto al federalismo fiscale voglio dire un’altra cosa. Noi cisiamo dichiarati complessivamente favorevoli a un principio in base al qualepiù tu avvicini e responsabilizzi chi governa e più l’avvicini a chi è governa-to, più questo può innescare un meccanismo virtuoso di, come dire, pago,controllo e attraverso il voto poi ti premio o ti punisco.

Quindi noi pensiamo che questo sia un fenomeno corretto, pensiamoche appunto l’autonomia finanziaria sia giusta, pensiamo anche che sia giu-sto premiare gli amministratori capaci, sia giusto punire gli amministratorinon capaci. Su questo disegno però noi vogliamo dire una cosa altrettantochiara del federalismo fiscale, cioè che i principi sono condivisibili, che peril momento non ci sono ancora i numeri all’interno di questo disegno; quindiandremo a vederli, ma ancora qui una volta voglio ripetere una cosa moltochiara, che se però il federalismo fiscale diventa un ulteriore elemento peraumentare la spesa pubblica e poi di conseguenza la pressione fiscale percoprirla, Confindustria sarà nettamente contraria, perché non è possibile inquesto paese aumentare ulteriormente la spesa pubblica.

Un’altra cosa voglio dire, poi passo a parlare dell’energia, e qui faccioanche una proposta a Bonanni. Io sono d’accordo con quello che lui ha dettoprima, questo paese ha tanti vizi, ne ha uno molto importante, che cioè in tantisettori non c’è un sufficiente grado di concorrenza. È evidente, dall’energia aitrasporti, le farmacie, abbiamo un sacco di elementi, i servizi pubblici locali,questo è un altro tema molto importante dove noi abbiamo visto che cosa èsuccesso nell’acqua, le tariffe dell’acqua sono aumentate del 32% in pochianni. È incredibile, lì ci sono tante società che nulla hanno a che fare col ser-

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vizio pubblico, che creano concorrenza sleale alle imprese, che aumentano letariffe in modo incredibile; quindi creano problemi al potere di acquisto deilavoratori. Ecco, questo è un meccanismo che va spezzato.

Allora io propongo a Bonanni che noi, magari poi tutte anche le altreassociazioni di categoria e i sindacati, ma si faccia un appello serio e forte,affinché in questo paese ci sia una scelta chiara e forte di maggiore concor-renza, proprio in quei settori che potrebbero alleviare molto il problema ai cit-tadini, ai lavoratori.

Noi su questo siamo disponibili, pensiamo che sia un fatto molto impor-tante, però bisogna lavorare seriamente, perché è… sapete in questi tempi incui il mercato sembra il diavolo, io penso invece che il mercato vada mante-nuto, che è evidente che ci sono delle emergenze, in cui magari lo Stato deveavere maggiore presenza, ma che in un obiettivo di medio termine, più mer-cato, più concorrenza vuol dire più ricchezza per i cittadini, per i lavoratori eper le imprese. Quindi su questo, ti chiedo, se sei d’accordo, potremmo fareun appello forte a lavorare in quella direzione.

Vengo brevemente a parlare di energia. Noi, ecco questo è un altro temamolto importante, noi abbiamo un gap enorme sull’energia, noi abbiamo uncosto dell’energia che è dal 30 al 50% superiore a quello della media euro-pea, abbiamo un problema di sicurezza energetica molto serio, perché noi,unico caso al mondo, produciamo l’energia elettrica da gas e importiamo il90% dei gas, non da paesi tranquilli, ma dalla Russia, dall’Algeria, paesi chefanno un uso politico delle loro fonti primarie; quindi è molto pericoloso e,come ricordava il nostro moderatore, noi per queste scelte non fatte in passa-to, abbiamo un problema molto serio in questo tema, che ormai è un tema fon-damentale, della riduzione delle emissioni di CO2 inquinanti.

Allora in questo momento l’Europa ha deciso di varare un obiettivo diriduzione del 20% dell’emissione di CO2 da qui al 2020, di aumentare laquota di risparmio energetico, e noi questo lo condividiamo, di aumentare laquota di produzione di energia attraverso fonte rinnovabile e noi anche que-sto obiettivo lo condividiamo, anche se bisogna fare molta attenzione, perchétroppe rinnovabili vuol dire ulteriori costi che poi vanno a gravare la bollettaenergetica dei lavoratori.

Ma su questo tema della riduzione del 20% della emissione di CO2, èun tema che sembra tecnico, ma in realtà lo voglio spiegare in qualche minu-to, perché è un tema importantissimo, che rischia di creare un sacco di pro-blemi alle imprese e ai cittadini.

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Allora c’è questo obiettivo, che è un obiettivo che l’Europa si è posta inmodo unilaterale, cioè che la Russia, la Cina e gli Stati Uniti decidano, comehanno fatto, di non condividere questi obiettivi, all’Europa non importa nulla,l’Europa vuole andare avanti con obiettivi unilaterali. Già questo è sbagliato,e voglio dirvi, e questo è molto importante, che questa riduzione di emissio-ne di CO2, perché c’è un meccanismo attraverso il quale attraverso aste biso-gna comprare la possibilità di emettere; per farvela breve, questo significa perl’Italia che nei prossimi anni noi dovremo sopportare un costo dai 20 ai 27miliardi di euro all’anno per ottenere questo obiettivo. Con quale scopo? Conlo scopo che se anche noi facciamo questo, noi riduciamo le emissioni a livel-lo mondiale dello 0,2%, mentre dall’altra parte la Cina ogni anno mette su 30mila megawatt nuovi di centrali al carbone che inquinano in modo pesante.

Allora noi ieri abbiamo fatto un appello molto importante insieme allaConfindustria tedesca, perché i tedeschi insieme a noi sono il vero cuoremanifatturiero d’Europa, ormai gli altri paesi europei non hanno più una verabase manifatturiera, noi grazie al cielo ce l’abbiamo e la vogliamo preserva-re, affinché in un momento di crisi drammatica come questa, non si faccianoa livello europeo delle scelte sbagliate, ideologiche, che non hanno senso eche rischiano di creare ulteriori problemi alle imprese, ulteriore perdita diposti di lavoro, e questo è inaccettabile in un momento come questo.

Quindi noi su questo tema siamo molto attenti, chiediamo anche qui alsindacato e in particolare alla CISL, che sappiamo estremamente sensibile suquesti temi, di aiutarci in questa battaglia, che non è una battaglia per noi, maè una battaglia proprio per l’Europa e per l’Italia.

Ultimo aspetto, e chiudo. È evidente che in questo momento parlare diinvestimenti è difficile, perché qualsiasi impresa in questo momento dirischio di non avere più il credito bancario, deve fare molta attenzione e devestare molto attenta a non fare passi che poi non riesce a sostenere. Però iocredo, come dicevo prima, che servano due cose: la prima, io penso che servaun grande piano di investimenti, di infrastruttura a livello europeo, da rilan-ciare, un po’ perché a noi servono le infrastrutture, questo è un paese che haun gap di infrastrutture molto pesante, e perché in un momento come questol’investimento in infrastrutture è anzi congiunturale e può immettere crescita.

La seconda cosa che secondo me in questo momento bisogna fare, sevolete è banale ma è fondamentale, è, e anche su questo chiedo un aiuto aBonanni, dobbiamo insieme lavorare per evitare che investimenti che posso-no partire, che già sono finanziati e che sono bloccati per veti, per la politica

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dei no, che ha messo veramente in ginocchio il nostro paese, smetta e si fini-sca; quindi andiamo avanti, facciamo le infrastrutture, facciamo gli investi-menti, ovviamente col massimo rispetto delle regole, con la massima traspa-renza, ma facciamo una battaglia seria ai no, ai veti ideologici, ai veti dei falsiambientalisti che bloccano il paese.

Termino, io penso che se facciamo alcune di queste cose, non è cherisolviamo il problema della crisi finanziaria mondiale, ma forse rimettiamoun po’ di crescita nel sistema, un po’ di fiducia, e la fiducia poi a sua voltagenera crescita; e quindi possiamo andare magari verso un lento ma gradua-le percorso di maggiore crescita.

Roberto Napolitano

Ringrazio davvero il Presidente. Io vorrei andare verso la conclusione;quindi chiederei al volo, c’è un doppio appello che ha fatto il Presidente diConfindustria, credo che vogliamo rispondere Raffaele Bonanni.

Raffaele Bonanni

Come ha detto Marcegaglia rappresento appunto una opinione moltoattenta alle vicende dello sviluppo e a una discussione più trasparente, perchégli eccessi poi, anche sulla vicenda ambientale, che è una risorsa per le nostrecomunità, non è un peso la vicenda ambientale. Però il limite ogni volta è cheè abbandonata troppo alle posizioni esasperate di tutti e due i lati, e non sisceglie mai la soluzione migliore.

È importante che si recuperi alla responsabilità ogni decisione, non pos-siamo essere nemici senz’altro dell’ambiente, ma non possiamo essere anchenemici di ciò che dà sostentamento a noi stessi e alle nostre famiglie, e soprat-tutto in alcuni momenti di molta difficoltà.

Questo equilibrio da tenere, è importante che riusciamo appunto a deter-minarlo; quindi noi siamo a fianco degli interessi appunto, degli interessi piùimportanti per noi, del nostro paese.

Per quanto riguarda l’altro aspetto sui servizi pubblici locali, questo è untema molto, molto delicato, se ne discute molto, ma si fa davvero molto poco.Di che cosa ha bisogno un cittadino? Ha bisogno di prezzi più bassi di quelli

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di oggi. Perché i prezzi sono alti oggi? Perché non si fa economia di scala, ilsistema è troppo polverizzato.

E poi, ce lo dobbiamo dire con chiarezza, una gestione eccessivamentepubblica è fortemente appesantita anche da troppi passaggi politici, probabil-mente da troppo personale politico dentro i Consigli, costosissimi. Però c’èun interesse pure generale, che non possiamo lasciare solo al mercato, perchéil mercato dove va? Va in città, e in montagna chi ci va? In comunità comequella mia, dove sono tutti paesi di 500-800-1000 abitanti, questo è il dilem-ma che abbiamo.

Allora qual è la scelta migliore da fare? È senz’altro garantire al priva-to di gestire efficientemente questi servizi, certamente è quella di agire in areavasta, però certamente è quella anche di sottoporre in qualche modo, nullatogliendo all’agibilità dell’azione appunto dell’impresa, di garantire anche unminimo di vincolo e, la universalità del servizio, ogni cittadino deve avere lostesso servizio. E anche però un controllo.

Io mi chiedo, se una delle proposte più importanti della mia organizza-zione, storicamente, che è quella di partecipare alle scelte aziendali, mi chie-do se non possa essere un soccorso importante a che si realizzi questo equili-brio così tanto importante, e cioè le imprese che hanno il loro capitale priva-to, le imprese che hanno il loro amministratore delegato, le imprese che agi-scono esclusivamente come deve agire un’impresa, ma che nel sistema peresempio duale, del Consiglio di sorveglianza e di indirizzo, si possano avereper esempio rappresentanti di comunità, rappresentanti di lavoratori, non perdirigere l’impresa ma per avere contezza di come efficientemente si gestiscel’impresa. Massima agibilità da parte delle imprese, imprese, ripeto, chedevono agire in termini molto larghi, in termini di area vasta proprio, proprioperché l’economia di scala deve garantirci appunto il basso costo e la espres-sività dello sfruttamento intensivo, di ciò che solo un’azienda nel liberto mer-cato ci può garantire. Però dobbiamo avere anche delle garanzie, perché i ser-vizi pubblici sono quei servizi che devono essere non solo incaricati di garan-tirci prezzi equi, ma devono essere anche quei servizi, ah la Rai, la Rai! Chedevono garantirci anche il controllo sulla universalità.

Vi faccio un esempio, ultimamente ne abbiamo parlato con il predeces-sore di Marcegaglia, lui adesso è impegnato sui treni, è importante che daRoma si vada a Milano con circa tre ore, è importante per la nostra economia,per l’agibilità appunto dei trasporti, per i singoli e così via, è importante

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appunto che si dia la possibilità a queste imprese di guadagnare e nello stes-so tempo di dare i servizi.

Ma è importante poi che la tratta Milano-Sondrio abbia la possibilità difar viaggiare, dico non proprio velocemente, come avviene, ma di viaggiarecomodamente a prezzi equi, perché se in quella comunità, in quella realtà ilnumero delle persone è un numero scarso, a quel punto va a finire che pro-prio dove ci deve essere un maggior soccorso, perché non è un valore solomorale, stare in montagna, stare in campagna peraltro, il Presidente dellaConfindustria lo sa, che la stragrande maggioranza delle imprese italiane delmanifatturiero sono tra la montagna e la campagna, nelle aree urbane difficil-mente, le realtà produttive cambiano.

Allora è un valore conservare il nostro patrimonio abitativo, il nostropatrimonio monumentale, artistico, la natura e così via. Quindi è importanteche le persone abbiano gli stessi servizi, dobbiamo agire…

Ecco allora la proposta io l’accetto, però tu devi andare predisporre peraccettare la mia, che è una sensazione ed è un’esigenza che hanno davveromolti per esempio, ossia quella di avere quei marchingegni che ci permetto-no di costruire quell’equilibrio tanto necessario per far funzionare cose deli-cate, importanti come quelle di cui tu parlavi. Grazie.

Roberto Napolitano

Allora ringrazio Raffaele Bonanni, ringrazio Emma Marcegaglia, credoche sia stato, rubo proprio un secondo per concludere, tirare un attimo le con-clusioni, credo che sia stato un dibattito veramente molto interessante, in cuisi sono affrontati quasi tutti i temi e, a me sono rimaste due o tre riflessioniche vi esterno rapidamente per concludere questo dibattito. Credo che, dicia-mo intanto che il senso di responsabilità che emerge in chi rappresenta delleparti sociali così rilevanti è un senso che ci conforta. Io credo che, l’abbiamovista questa, ne abbiamo parlato, come era ovvio, dall’inizio alla fine di que-sta crisi globale, a me ha sempre colpito molto non tanto il fatto che ad esem-pio non abbiano fatto il fondo unico europeo, che è grave, ma il fatto che nonsi sia potuto accettare il metodo che era implicito nel fondo unico europeo.Questa piccola Italia, a metà degli anni’70, aveva fatto il suo /ponte/ banca-rio, c’erano persone credibili che avevano affrontato Banca Privata Italiana,Nuovo Banco Ambrosiano e sono stati capaci di risolverlo. È un po’ lo stes-

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so tema che si è visto anche con l’America, cioè quando tu dici: subito 700miliardi, dici subito la cifra, voglio dire, è chiaro che questo… tutto il mondoè paese; quindi devi trattare anche con i politici che devono essere rieletti inAmerica; quindi c’è bisogno di una grande operazione di credibilità e unagrande operazione di recupero di senso di responsabilità e di fiducia.

Però al di là di questi due temi, che avranno una verifica immediata incasa nostra, perché come entrambi hanno detto, i tempi sono stretti, io mi per-metto solo di sottolineare, e velocissimamente concludo, due aspetti che a mehanno sempre colpito molto, sia quello dell’ambiente, cioè della questioneenergetica italiana, e sia quello delle infrastrutture.

Voglio concludere con un aneddoto, un po’ di anni fa, comunque ioandai, stavo ancora al Sole, e mi ricordo che mi fecero assistere, ero l’unicogiornalista, a una riunione che aveva fatto al Dipartimento del TesoroFabrizio Barca, che aveva riunito tutti gli amministratori d’Italia, c’eranoSindaci, mi ricordo Illy, Poli Bortone ecc., io lì vidi che c’era Remo Gaspari,che non conoscevo. Sono andato a sedermi vicino a Remo Gaspari, perché miaveva colpito.

Allora fecero, no, perché questo è importante, perché poi non sviluppaun paese, tutti parlarono, arrivammo all’una e mezza due, finì la riunione e iochiesi a lui: ma che le sembra? Lui disse: no guardi questo Barca è veramen-te molto bravo, disse, qui erano tutti molto bravi, questo è un grande lavoro,è importante. Sa qual è il problema? Che qui sono tutti impegnati a fare perconoscere, ma il problema di questo paese è conoscere per fare e, se voglia-mo, è conoscere per deliberare, è conoscere per deliberare di Einaudi.

E lui mi disse: sa, e qui finisco veramente, si ricorda in Valtellina quan-to…? Ho speso, non mi ricordo, 1.100 miliardi, è franato tutto meno laValtellina, ma sa, ce ne erano altri 50, non sono stati più capaci di spenderli.

Quindi forse adesso l’Abruzzo vive un brutto momento, perché la vicen-da sanitaria è brutta, però ricordatevi che l’Abruzzo è l’unica regione del sudche è diventata nord, perché qualcuno ha rotto l’isolamento e ha collegato conun’autostrada, diciamo, a una possibilità di sviluppo un territorio.

Quindi questo, quando passerà questa bolla di carta, che è di finanza,non tanto degli immobili, forse potremo recuperare questa cultura del fare eandare avanti. Grazie. (Applausi)

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Sen. Franco Marini

Care amiche, cari amici,grazie per l’accoglienza calorosa, ma ora basta. Sono nella riserva, non

me ne sto andando! Un applauso così prolungato potrebbe essere interpretatomale. (Applausi)

Dopo un periodo di servizio permanente effettivo tanto lungo, ho sceltola riserva. E mi ci trovo molto bene. Come mi sento bene oggi in mezzo a voi,si respira una vivacità e una voglia di partecipare che può sorprendere solochi non viene dalla nostra storia.

Voglio ringraziare Dario Franceschini e Giuseppe Fioroni per la granderiuscita della manifestazione. Un quotidiano, nei giorni scorsi, parlando diquesto convegno, ha scritto: “Marini sta riorganizzando i Popolari”. A parte ilfatto che, come ho appena ricordato, faccio parte della riserva, vedo che pro-prio non ce ne sarebbe assolutamente bisogno perché i Popolari sono in gradodi riorganizzarsi da soli. (Applausi)

Mi soffermerò su tre questioni.Primo, il partito. Rinnegherei me stesso se parlassi di politica trala-

sciando il partito, io che sono sempre stato e l’ho rivendicato con orgogliouomo profondamente legato all’importanza del partito.

Secondo, i cattolici e la politica. Sollecitato da Bosone che, per la veritàlo fa tutti i giorni al Senato, dirò due parole su questa questione, perché leritengo necessarie.

Terzo: la situazione politica. Mi stanno a cuore le cose che stiamo viven-do e intendo offrire un contributo al nostro dibattito.

Il partito, allora. Il giudizio comune sul nostro partito è quello di una costruzione che sten-

ta, che fatica, che ha difficoltà. Poco fa una persona mi ha detto: il partito deve

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essere più presente, più chiaro. Penso che dobbiamo raccogliere la sostanza diquesto invito, perché i tempi corrono e la realtà dell’Italia e dell’Europa ciinterpella, il contributo del Pd, come abbiamo appena sentito dalla voce deirappresentanti delle forze sociali, viene considerato indispensabile nell’affron-tare i problemi di oggi. Siamo sulla buona strada ma qualche bullone va stret-to meglio. Sulle difficoltà del Pd c’è tutta una letteratura che, piano piano, siaffievolirà. Sono difficoltà naturali per un partito che, l’ho detto in una dellepoche sortite sulla stampa che in questo periodo faccio, è ancora in fasce: haun anno, capite bene cos’è un anno in queste cose. Voglio però sottolineare unaspetto che non può essere trascurato: ricordo che anche quando costruimmol’alleanza di centro sinistra, a partire dalle regionali del’95, i nostri militanti cichiedevano il perché, ci chiedevano come fosse possibile che l’alleanza reg-gesse con la storia tanto diverse che avevamo alle spalle. Quindi non mi sor-prendo se, ora che facciamo un partito, serva un periodo di rodaggio.

Rispetto ad allora forse c’è anche una ragione in più: il nostro schiera-mento è stato abituato per molti anni ad individuare un obiettivo, SilvioBerlusconi. Si diceva: lo schieramento di centrodestra non esiste, esiste sololui. Se penso alle esperienze, al loro governo del’94, e in parte, anche quan-do sono ripartiti nel 2001, questo è stato l’atteggiamento. Sono convinto chei militanti ed i nostri elettori oggi avvertano quello anche io avverto come unapreoccupazione: quello schieramento non è più solo Berlusconi. Certo è luiche attrae l’attenzione generale, è sempre la figura centrale. Ma sta nascendouno schieramento di destra in Italia attorno a una ideologia che usa la paura,frutto dell’insicurezza di questa nostra modernità. Non è solo l’Italia insicu-ra, è il mondo che viviamo, e quello che sta succedendo in questi giorni conla crisi internazionale delle borse è un elemento che acuisce, ma il problemaè più generale. Questa incertezza delle nostre società diventa un collanteforte, raggiunge il sentimento dei popoli. E attorno alla paura, a questa incer-tezza che tocca 4 milioni di giovani precari, che tocca la vita degli anziani,che tocca i lavoratori dipendenti con salari e stipendi che non hanno più ilpotere d’acquisto che avevano 15 anni fa, la capacità di semplificazione delladestra è un collante capace di fare breccia nella testa di giovani e anziani. Èun problema da affrontare con serietà perché prima, concentrando suBerlusconi la polemica, la risposta era più facile, anche se con le urla non sirisolve nulla. Ora la situazione, con la destra che si sta cementando, diventapiù complessa, e questo è un elemento della difficoltà del Pd.

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Ho detto una cosa all’ultima Assemblea federale, che ripeto qui. Tuttinoi, a partire da quelli che hanno le maggiori responsabilità dentro il PartitoDemocratico, abbiamo avversato un’idea di partito leggero, il partito “frufru”, per capirci. Lo abbiamo contrastato e abbiamo avuto ragione, quelmodello non è passato. Abbiamo difeso la insostituibilità dei rapporti tra gliuomini, della collaborazione e della fiducia che nessuno strumento di comu-nicazione potrà mai cancellare perchè è qualcosa che resta. Mettere una gio-vane a guidare la lista di una grande regione è stato un errore, perché la gentecapisce che rischia di essere una presa in giro. Non è un errore favorire l’e-mergere di nuove classi dirigenti, è stato un errore quella scelta. L’ho detto aVeltroni, perciò lo dico a voi. Nel Lazio capolista alla Camera era una bra-vissima ragazza, che io invitai alla grande manifestazione che ho fatto perchése c’era il capolista del Senato ci doveva essere anche quello della Camera.Deve essere eletta? Bene, è giusto. Ma si può usare il quarto, quinto posto checon questa legge è garanzia assoluta. A guidare la lista ci vuole però chi tra-sferisce all’elettore il senso della sicurezza, della forza, della rappresentati-vità. In questo non ci possono essere scorciatoie o furberie mediatiche perchéciò che conta è il rapporto, è la serietà, è la continuità nell’azione. Anche perquesto sono orgoglioso che Fioroni faccia il coordinatore organizzativo delpartito, che svolga questo ruolo nel momento più delicato della vita del par-tito. Quando mi occupavo dell’organizzazione c’era uno dei nostri vecchi chemi diceva sempre: guarda Franco che prima viene la politica. Io che cono-scevo un po’ la politica e conoscevo pure l’altra cosa rispondevo: guarda cheil problema aperto è l’organizzazione. Nel Pd oggi, pur se stiamo assieme dapochi mesi e veniamo da culture diverse, andiamo largamente d’accordo sulpiano politico mentre abbiamo problemi sull’organizzazione del partito tant’èche spesso siamo sui giornali per le litigiosità e le difficoltà legate a questosettore. Alcune vicende di queste settimane, alcuni contrasti a livello localesono naturali, quasi tutti perché a Torino, per dire, non è proprio naturale…Comunque sono cose che accadono. Per gestirle ci vuole una unità di coman-do, che risponde al segretario, ovviamente. Questa struttura deve avere l’au-torevolezza necessaria, fare le mediazioni o imporre qualche volta, qualchevolta dico, le soluzioni. C’è una frammentazione in questo campo che creaproblemi anche al lavoro di uno come Fioroni, che si dedica, che notte e gior-no sta in giro per l’Italia e sempre con telefono acceso… Insomma ci deveessere coordinamento reale ed effettivo. Non ci possono essere tre, quattro,cinque che si occupano di organizzazione: Bettini che coordina la segreteria

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e si occupa di organizzazione, un altro che fa altre cose e si occupa di orga-nizzazione, un altro ancora … Per il coordinamento Fioroni, che rappresentail nostro mondo, avrebbe bisogno di un personaggio forte e autorevole comelui che rappresenti l’altro pezzo del partito, più grande del nostro, ed insiemeavrebbero la forza, la riconoscibilità di andare ad affrontare le questioni chesi pongono. So che si guarda molto all’immagine del partito. Bene, questoriguarda pure l’immagine, cioè una buona immagine del partito.

Voglio aggiungere qualche parola sul nostro approdo al Pd. Noi ci siamotrovati, con il crollo del Muro, con le difficoltà della politica italiana nei primianni’90, con la crisi della Democrazia Cristiana, in una condizione in cuiall’unità politica dei cattolici veniva a mancare il proprio collante. Non erapiù in campo la necessità di difendere la libertà, da noi come in Europa. Inquesta nuova situazione non mi sono mai scandalizzato che ci sia stata ladispersione. Era naturale. Un partito non può sempre tenere assieme FrancoMarini e Vittorio Merloni, ovvero il segretario della Cisl ed il presidente diConfindustria. Allora c’erano anche i conservatori dentro il nostro partito maaccadeva perché c’era una battaglia fondamentale di difesa della strutturademocratica del nostro paese e dell’Europa che lo imponeva. È stata un’altracosa, un altro periodo. Noi abbiamo avuto una linearità di percorso e ne siamoorgogliosi perché fin dall’inizio, fin da quando abbiamo scelto il centrosini-stra, il nostro obiettivo era tenere insieme libertà e giustizia sociale. Ricordoche nel’94, quando la destra vinse le elezioni, mi capitò di partecipare ad undibattito televisivo e in collegamento c’era anche il Presidente del ConsiglioBerlusconi oltre alle teste d’uovo del suo schieramento. Loro parlavano diReagan e della Tatcher, evocavano il mercato e la sua capacità - dicevano - digarantire con lo sviluppo anche il benessere e la sicurezza per tutti i cittadini.Io risposi loro con le considerazioni che ho appena fatto: senza libertà e senzagiustizia sociale andava in crisi anche la possibilità dello sviluppo - ora è fintroppo facile dirlo, ma allora lo era un po’ meno - ed era per questo che ave-vamo scelto la strada di un partito riformista. Me le ricordo le critiche aiPopolari in quegli anni! Noi perdemmo le elezioni europee, nel’99. Le per-demmo per l’entrata in campo del somaro, scusate dell’asinello, mentre l’interpretazione fu che le avevamo perse perché avevamo idee che ormaierano superate dalla storia, idee che non avevano più niente da dire. Lo sape-vo bene che l’analisi era sbagliata, non era per questo che avevamo perso.Oggi a destra riscoprono il ruolo dello Stato nell’economia e lo fanno esage-rando, senza freni. Noi, credo con più ragionevolezza, non diciamo che il

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capitalismo è defunto perché crediamo che con dei correttivi quel modo diprodurre e di organizzare l’economia è ancora valido. Questo è l’impegno chedobbiamo chiedere anche al nostro governo, perché quello che sta accadendomostra che la via dell’arricchimento delle nazioni e dei cittadini passa dall’u-tilizzo razionale e serio delle risorse gestite dal sistema creditizio, fuori daquello non c’è nulla, si arriva anzi alla beffa dei 400 maggiori dirigenti delcolosso americano delle assicurazioni, l’AIG, che al fallimento dell’aziendasi sono ritrovati in un campo di golf in California, dove non mancavano ostri-che e champagne. Ritorniamo alla serietà nei rapporti di vita e nei rapportidell’economia. Questa è la nostra convinzione da sempre. Noi sappiamo beneche questo intreccio di interessi va gestito non nel modo semplicistico, comela maggior parte della cultura anche economica italiana, i mezzi di comuni-cazione, le televisioni, propongono. Le televisioni in particolare ci offronomodelli di vita che poi all’impatto con i fatti si dimostrano effimeri e sba-gliati, specialmente per il futuro dei nostri ragazzi.

Voglio qui rammentare una frase del Pontefice che ha fatto storcere ilnaso a qualche nostro collega. Essa è molto importante. Papa Ratzinger l’hapronunciata come fa un pastore, un leader religioso: guardate che i soldi nonsono tutto. E io aggiungo: bisogna combinare, con la crescita, anche un prin-cipio di giustizia sociale, e su questo è nato il Partito Democratico, su questosiamo d’accordo.

Voglio ricordare che in un momento di grandissima, drammatica diffi-coltà un gruppo di intellettuali cattolici che si riunivano a Camaldoli elaboròun documento, che fu chiamato “codice”, che ha ispirato gli articoli dellaCostituzione dedicati all’economia: questi giovani intellettuali parlavano dieconomia mista, rifiutando lo statalismo ed il mercatismo scatenato. Chevoleva dire l’economia mista? Voleva dire cose semplici e su quello si costruìla grande ripresa italiana dopo lo sconquasso della Seconda Guerra Mondiale.La dottrina sociale della Chiesa ci ha insegnato, dalla Rerum Novarum in poi,che lo Stato non è tutto e non tutto dipende dallo Stato ma che esso, interve-nendo nel nome della difesa dell’interesse generale, non può essere messo daparte, cancellato. Ed allora va bene la libertà di impresa ma anche l’interessegenerale che riguarda tutta la società e che passa spesso da una correzione chespetta alla politica fare. E questa idea di quadro, di definizione delle regoledentro cui si muove l’economia è garanzia del rispetto della persona e deigruppi sociali che si organizzano nella società per dare forza alla democrazia.

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Questo è quanto noi abbiamo portato nel Pd. Guardando al futuro,abbiamo il dovere di capire come cambierà il nostro Paese per assicurare con-tinuità ai principi ed ai valori a cui ci siamo sempre ispirati. Perciò sarà cen-trale il lavoro della Fondazione di cui sicuramente parlerà più tardi PierluigiCastagnetti. La nostra è una cultura forte, moderna, che non è stata sconfittadalla storia e, come si osserva proprio in queste settimane, punto di riferi-mento a cui finiranno per arrivare anche gli altri, anche quelli che oggiabbandonano il mercatismo e sostengono che senza l’intervento dello Statonon si restituisce fiducia al cittadino e possibilità all’economia di riprendersi.Questo siamo noi, siamo le idee innanzi tutto, la cultura, una presenza chedeve svilupparsi all’interno del nostro partito, attraverso una coltivazione,certo dei nostri maggiori, dei nostri avi, della nostra storia perchè nessuno almondo, nessun movimento abbandona la propria storia: chi la cancella, sba-glia. Noi possiamo avere anche la tentazione, almeno noi, di essere legati eguardare più alla storia che al futuro. Ma sbaglieremmo. Sapendo cosa por-tiamo con noi grazie alla nostra storia - i valori fondamentali per l’organizza-zione della società da cui non si può prescindere in democrazia - dobbiamopuntare tutto su una innovazione culturale che attualizzi queste esperienze equesti valori dentro la realtà economica e sociale del nostro paese. Quella sto-ria va riscoperta, riapprofondita, perché è ridiventata molto, molto attuale.

Passo al secondo punto. Sui cattolici, sarebbe ridicolo, caro Bosone,pensare di liquidare con poche battute questo enorme argomento che ci impe-gna e qualche volta ci tormenta. Voglio dire due o tre cose semplici, che homaturato negli anni di responsabilità dentro questo nostro movimento.Bisogna capire, e non tutti lo abbiamo capito né tra noi né tanto meno tra glialtri, che c’è stata una svolta profonda in Italia. Non c’è più delega, rappre-sentanza esclusiva, non esiste nemmeno il partito più amato dalle gerarchiecome paiono credere nell’altro schieramento. È che la Chiesa, nel tormentodella modernità, nell’incertezza del mondo contemporaneo è diventata un’at-trice diretta, e io cosa vi debbo dire? Praticate di più di quanto riesco a prati-care io, che pure sono un cattolico praticante; sentite di più l’assistente spiri-tuale, ma mettetevi in testa, da cattolici devoti a quella storia e attenti alla dot-trina sociale che le scelte della politica sono affidate a voi, alla vostra respon-sabilità, alla vostra cultura, alla vostra serietà. Questo dobbiamo dire, siamonoi, non possiamo correre alla ricerca di sicurezze che, con la fatica, il sacri-ficio, lo studio, dobbiamo trovarci da noi. E noi abbiamo una fortuna in piùperché naturalmente ci siamo raccordati all’esperienza e all’insegnamento di

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Sturzo, alla capacità di coniugare un principio di laicità e di responsabilitànelle scelte per le cose terrene per rispondere alle esigenze che i nostri citta-dini ci pongono; fuori da questa impostazione non c’è risposta, ci sono solodelusioni. Certo qualche sollecitazione ci può giungere ma se un vescovo mifa una sollecitazione su una cosa, per me è gradita, è ascoltata e dopo quellasollecitazione approfondisco di più se ho qualche responsabilità decisionalema la politica mi impone una assunzione di responsabilità che fa i conti solocon la mia coscienza. Anche perché i cattolici italiani, come hanno dimostra-to fino alla noia sondaggi e rilevazioni di ogni tipo, si comportano sul pianopolitico come tutti gli italiani, sono cattolici ma sono italiani, e rispetto ai pro-blemi del paese, che riguardano il lavoro giovanile, che riguardano i servizi,che riguardano la famiglia, hanno le stesse preoccupazioni, non hanno micacomportamenti dissimili dagli altri. Nel partito democratico sulle grandi que-stioni economico sociali, sulla politica estera, sui temi istituzionali abbiamoidee condivise, andiamo d’accordo, con i nostri alleati, come tra noi qui den-tro. Esiste solo un terreno che, semplificando, chiamo “questioni eticamentesensibili”, su cui le posizioni divergono. In questi campo bisogna avere lapazienza di ascoltarci e trovare una sintesi ma quando capita - e non capitasolo da noi - di non essere d’accordo allora c’è il principio della libertà dicoscienza. Nessuno ci può obbligare a scelte in contrasto con la nostracoscienza. Mi è capitato, al tempo del referendum sulla legge che regola lafecondazione assistita, di essere intervistato da un Tg della Rai: Marini ma leiche fa? mi chiesero. Sono d’accordo con il Cardinale Ruini - risposi - seguiròla linea della Chiesa perché è più prudente in un mondo dove non sappiamoquello che sta accadendo nel mondo della ricerca. Insomma, mai un partitopuò venirmi a dire: su questo si fa così. È sbagliato.

In conclusione solo due o tre cose su alcune questioni dell’attualità poli-tica. Questa crisi di una finanza impazzita è il frutto di tante scelte compiutenegli anni passati. Il Governo la sta affrontando, è stato approvato un decre-to recentemente. Penso che di più avrebbe dovuto fare l’Europa ma, anchequesta vicenda, ha dimostrato che l’Europa non c’è politicamente. El’Europa, se non cambia - ed il trattato di Lisbona offre questa opportunità, dalì occorre ripartire - è destinata ad essere indebolita economicamente neiprossimi anni e cancellata dalla politica. Comunque, da singolo parlamenta-re, dico che il provvedimento del governo va votato, sarebbe sbagliata l’a-stensione, la gente - che è preoccupata per la crisi economica che si avvicina- non capirebbe. Il rischio di una difficoltà nell’economia reale è dietro la

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porta. Si comincia già ad avvertire. Le piccole imprese che non fanno notizia,quelle con otto/dieci dipendenti stanno già in difficoltà. Il ministro Tremontici ha detto che le imprese italiane sono più solide, più sane, che sono menoindebitate. Ma le imprese italiane sono anche più piccole e meno capitalizza-te delle grandi, vivono col credito veloce, nel nord-est come nel resto delPaese. Tengono sul mercato ma hanno bisogno del ricambio continuo e dellapossibilità di attingere al credito. Come fa a darlo l’Italia con crescita 0, que-st’anno è meno 0,5, se tutto va bene, nel 2009? L’Italia è ferma da dieci anni.E la ragione per cui non cresce è il fatto che mentre ha tenuto l’esportazione- in qualche caso anche in maniera straordinaria - la domanda interna rista-gna. Uno delle ragioni per chiedere che il credito venga assicurato è la ripre-sa della domanda interna. Ora è vero, questa è stata la motivazione diTremonti, noi abbiamo un debito pubblico elevato come una montagna e cheil piano di rientro dal deficit deve per questo essere pienamente rispettato ma,secondo questo piano, è nel 2011 che il deficit deve essere azzerato, que-st’anno stiamo al 2,5, possiamo arrivare mezzo punto in più: ne ha parlatoanche il presidente francese Sarkozy. Tremonti ha chiuso su questo punto.Quindi abbiamo detto parole chiare, le ha dette Bersani qualche giorno fa, leripeto ora io: noi abbiamo un forte dissenso sulla politica economica colgoverno. C’è un contrasto forte. Mezzo punto di Pil sono più o meno 6-7miliardi di euro: questi debbono andare subito a sospingere in avanti ladomanda interna, attribuendoli ai salari più bassi attraverso la leva fiscale, edandoli alle pensioni, sono 6-7 miliardi che immediatamente vanno a doman-da, vengono spesi, perché vanno a persone che non ce la fanno per lo più adarrivare alla fine del mese, è un atto di politica economica prima ancora cheun patto sociale.

Non è questa una buona motivazione per la manifestazione che abbia-mo indetto per il 25? Non basta? È poco? O non abbiamo il coraggio di distin-guere le due cose? Noi la facciamo per questo, perché sulla linea di politicaeconomica pretendiamo una cosa che stiamo dicendo e che è ragionevole, cheprobabilmente farà la Francia e il governo continua a dire di no mentre si dicepreoccupato per l’economia reale. Questo è il punto. Il governo è in contrad-dizione.

Ed io credo che in questo modo affrontiamo pure questa storia un po’stucchevole del dialogo: il dialogo esiste in tutte le democrazie occidentali.Se andate in Inghilterra o in America o altrove, o anche in Spagna, e dite: maquando c’è un problema che preoccupa il cittadino di straordinario rilievo

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economico, oppure quando si deve affrontare la questione delle riforme,anche cambiare la legge elettorale, anche innovare sulla struttura del nostroStato è un dovere o no assumersi la responsabilità di dare una mano, se si può,dal versante dell’opposizione? La risposta che avrete sarà positiva. Non pensinessuno che facciamo questo discorso perché vogliamo entrare al governo. Siconsumino anche loro al governo, non è questo il punto. C’è una maggioran-za che può governare, governi. Che succede da noi? Che Berlusconi dice: lanostra linea è questa e non cambia, poi si vedrà. Noi dobbiamo rispondere chela responsabilità di dare una mano ce la assumiamo per i cittadini italiani, perquelli che hanno votato per noi e per quelli che hanno votato il centrodestra.Dobbiamo essere chiari su questo punto anche in prospettiva del 25 ottobre.

Capisco che la comunicazione è importante ma, consentitemi, su questopunto darei un consiglio che dò spesso. Abbiamo un rapporto con i mezzi dicomunicazione demoniaco, sbagliato. Ma è mai possibile che dalle tre dipomeriggio fino alla sera tardi siamo impegnati a vedere cosa scrive domaniil Corriere, la Repubblica, il Messaggero? E ogni mezz’ora dobbiamo tentaredi rispondere alla battuta, alla cosa seria, ma anche alla cazzata che può averdetto un avversario in politica? Questo è sbagliato. Attenti, se uno deve par-lare, parli una volta alla settimana, una volta alla settimana fa il punto dellenostre scelte politiche e del rapporto con i cittadini, non ogni mezz’ora, per-ché si accumulano le parole inutili,, sono i “derivati” della comunicazione, i“subprime” della comunicazione, che prima o poi esploderanno, come nellafinanza. E che succede se domani c’è l’articolo a cui non rispondiamo?Rispondi una volta alla settimana. Questa è una cosa che ci riguarda tutti è ungrande limite della politica italiana.

Mi avvio davvero a chiudere. Libertà, solidarietà, anche il recupero deivalori liberali della migliore storia europea stanno dentro quello che abbiamocostruito assieme: la libertà del cittadino, il valore fondante della nostrademocrazia, e poi la storia delle grandi social democrazie europee che parla-rono di uguaglianza tra gli uomini, lo stato sociale nacque lì, l’esperienzadelle leghe bianche, dei primi sindacati. Questi, se ci pensate bene, conten-gono parti fondamentali dei valori cristiani perché partono dal rispetto dellapersona: le strutture politiche democratiche cosa sono se non il rispetto dellapersona? Più giustizia nei rapporti tra gli uomini, cosa sono? Queste istitu-zioni liberali e rappresentative cosa sono se non il rispetto della centralità del-l’uomo? E se poi penso al dramma dell’immigrazione, dove giustamente laChiesa fa sentire una voce antica, quella che cancellò dai dossier politici della

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decadenza dell’Impero Romano la parola schiavitù. Oggi la Chiesa forte-mente batte lì e questi nostri avversari dimenticano che alla finedell’Ottocento, ai primi del Novecento, quelli lì, gli extracomunitari, erava-mo noi; dimenticano che oggi abbiamo bisogno di manodopera, di uomini,donne che lavorino nelle nostre famiglie, nelle nostre fabbriche. Ho sentitofare dire una battuta giusta: nella pianura Padana non esiste più un mungito-re che non abbia il turbante in testa, pakistani e indiani. Di che parliamo allo-ra? Di rispetto delle regole? Sì, anche con più forza di come facciamo. Chiviene qui le regole le deve rispettare, questo è il prezzo alla convivenza. Mala speranza di gente spesso scacciata dall’ingiustizia, dalla fame e dalla per-secuzione, come possiamo cancellarla? Qualche amico del Nord qualchevolta mi dice: però Marini se tu stessi qui… Queste cose, rispondo, dille puretu lì, le dobbiamo dire dappertutto, perché sono giuste. Andate, andate nellabassa bresciana a vedere chi lavora nell’agricoltura, chi c’è rimasto, andate aVicenza e vedete chi lavora nei pellami o nelle rubinetterie. Questo bisognadire, non lassismo, perché c’è un punto di sintesi fra il lassismo e il menefre-ghismo, cerchiamolo e su quello facciamo le battaglie più determinate.

Care amiche e cari amici, una delle difficoltà della politica di questi anniè la litigiosità da cui non siamo esenti nemmeno noi, da cui non siete esentivoi, meglio, perché io ormai nella squadra di riserva sono toccato meno.Allora la fatica di Franceschini, di Fioroni e di tutti gli altri, non ne cito nem-meno uno, perché sono tutti amici, è forte, è dura. Bene, se volete esserci inquesto partito, che il futuro lo avrà perché ha i fondamentali solidi, non esa-geriamo nella dialettica politica che a volte è naturale ma qualche volta no.Se facciamo questo noi ci saremo sicuramente e il Partito Democratico avràsuccesso. Grazie. (Applausi)

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Sen. Franco Marini

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Contributo consegnatoa cura dei Giovani Cattolici veronesi: Alessandro Onagro, Marco Taietta,Giacomo Angelici, Roderich Blattner, Alberto Gozzo, Gianluca Lazzarin,Alessandro Mainente, Massimo Mainente, Giacomo Marani, StefanoVallani, Federico Vantini, Francesca Zambelli, Sebastiano Zambelli.

L’Italia in cui viviamo oggi è un paese complesso e multidimensionale.All’Italia faticosamente unificata nel 1861 e che solo da soli 50 anni parla unalingua comune in tutte le sua regioni, si aggiungono le molteplici influenzederivanti dalle culture che le globalizzazioni distribuiscono nel mondo intero.La situazione sociale, pertanto, risulta articolata e complessa.

Le rapide trasformazioni portate dal susseguirsi di innovazioni tecnolo-giche e la rapidità con cui oggi vengono divulgate le informazioni, hannoindotto profondi mutamenti nel modo di vivere e di gestire i rapporti inter-personali tra i cittadini.

I continui cambiamenti a cui è sottoposto ogni individuo hanno portatoad un progressivo disorientamento dell’uomo rispetto alla propria vita e alproprio essere: chi sono? qual è il fine del mio vivere? Come posso raggiun-gere questo fine? Cosa mi serve per raggiungerlo? Gli altri sono un mezzo oun fine? Se ponessimo queste domande in un qualsiasi lunedì mattina a 100persone in una qualunque città d’Italia, e del mondo occidentale, non credoche ci si possa attendere da tutti e 100 risposte molto decise e chiare. Temoche molti entennerebbero, rispondendo in modo effimero e a breve termine.

L’Italia di oggi non permette ai suoi cittadini di costruire una identitàcomune fondata su valori comuni ed orientata ad obiettivi comuni. Ognunocoltiva il proprio campo, ed ognuno si preoccupa per i propri affari. Senzaunità di intenti non ci può essere una società unita che si muove in una unicadirezione per il bene di tutti. Così ogni gruppo sociale all’interno di un terri-torio si muove come meglio crede infrangendo le leggi che di volta in voltaimpediscono il raggiungimento dei propri obiettivi e salvaguardando i valoridi immagine e di facciata che fanno comodo.

Naturalmente non tutta l’Italia e non tutti gli italiani sono così e lenumerose organizzazioni che operano nel terzo settore sono nicchie di attività

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sociale orientate al bene comune e al costruire una rete solida di relazioniinterpersonali in netta contrapposizione con quanto appena affermato, tutta-via la tendenza generale è proprio quella appena descritta, e proprio per que-sto è necessario intervenire in modo determinato.

La politica deve prendere atto di questa crisi sociale ed identitaria, chelei stessa negli anni ha alimentato, e deve agire di conseguenza. Alla base diquesta presa di coscienza deve esserci una risposta ai seguenti interrogativiper poter delineare il punto di partenza di questa risoluzione: quali sono i trat-ti di questa crisi? Quale identità per il popolo italiano oggi? Vale ancora l’i-dea di unità nazionale da costruire e difendere sopra ogni cosa? Come collo-care gli italiani nella comunità internazionale? Come accogliere le influenzedi altre culture? Qual è il bene per tutti e per ognuno? Lo stato deve assecon-dare le richieste dei cittadini o deve guardare al loro futuro e assumere deci-sioni che non porteranno benefici oggi ma domani? La risposta a questedomande oggi è inderogabile, perché la situazione attuale non permette altritentennamenti, ma chiede posizioni chiare, determinate e coerenti con la lineadi intervento decisa. Le difficoltà sociali chiedo una politica in grado dicostruire un progetto, di attuarlo e di portarlo avanti nel tempo senza conti-nue revisioni e con forte responsabilità.

Tuttavia, la politica di oggi ed i suoi attori sono figli di quella tendenzasociale descritta sopra, pertanto anche nel sistema politico si può osservarequella crisi di identità, quell’assenza di obiettivi condivisi, quella difficoltà aporre nuovi traguardi da raggiungere e a costruire nuovi percorsi e progetti, esoprattutto quella difficoltà nel perseguire gli obiettivi in modo determinato ecoerente al progetto stesso. Non bisogna dimenticare, però, di aggiungere aciò la crisi finanziaria che ha colpito le banche in queste settimane, e chepreannuncia effetti anche sull’economia.

A questo punto, viene da chiedersi chi può aver titolo di intervenire inquesta situazione per invertire la tendenza. Un noto sociologo italiano sostie-ne che sarà proprio dalla nicchia di attività in fermento del terzo settore chenascerà l’input con il quale si aprirà il nuovo ciclo di sviluppo economico-sociale. Ma se questi fermenti non sono sostenuti da iniziative politiche diffi-cilmente saranno un volano di sviluppo generale. Riteniamo, invece, che pro-prio nella politica di oggi ci siano elementi che possono sostenere ed alimen-tare la sinergia tra terzo settore e politica. E questi elementi sono costituitiproprio dai cattolici impegnati in politica. Infatti, come sosteneva ancheGiorgio La Pira, la cultura cattolica, proprio perché basata sulla fede in

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Cristo, è l’unica in grado di alimentare speranza nel futuro e di avere quelforte radicamento valoriale e morale che permette di non essere in balia deglieventi sociali ed economici, e pertanto riesce ad essere sempre, in ognimomento punto di riferimento per tutti, anche per chi non riconosce aperta-mente questo ruolo della cultura cattolica. Nel documento conciliare “LumenGentium” viene ben evidenziato la missione dei laici per il secolo: Vivono nelsecolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordi-narie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è comeintessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasidall’interno a modo difermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto laguida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altriprincipalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore dellaloro fede, della loro speranza e carità. A loro quindi particolarmente spetta diilluminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente lega-ti, in modo che siano fatte e crescano costantemente secondo il Cristo.(Lumen Gentium, 31). Oggi però, a differenza dei tempi in cui La Pira futestimone eccellente dell’agire politico dei cattolici, non esiste più un partitoin cui chi crede in Cristo Salvatore si riunisce. Oggi ci sono buoni cattolici inmolti partiti, ma ci sono anche molti politici che dichiarano spudoratamentedi essere credenti quando invece lo stile di vita afferma il contrario, e quindiè difficile per gli elettori individuare quale schieramento rappresenti mag-giormente la cultura cattolica. L’analisi del voto operata recentemente dal-l’on. Bobba conferma questa difficoltà evidenziando una distribuzione delvoto cattolico su molti schieramenti.

Di fronte a questa situazione qualcuno pensa che si possa ricostruire unpartito unico dei cattolici, qualcun altro pensa che non ci siano più le condi-zioni. Noi pensiamo che sia bene prima di tutto iniziare a far convergere ipolitici cattolici di ogni schieramento sui singoli argomenti prima che sueventuali progetti di nuovi partiti. Questa nostra posizione si fonda anzituttosulla parola di Dio, precisamente in Matteo 25,35-46 dove Gesù dice “hoavuto fame e mi avete dato da mangiare…”. Se si crede veramente in questonon si può esitare a ricercare assieme ai fratelli, al di là delle appartenenze, ilmodo con cui la politica può “dar da mangiare agli affamati”, perché la prio-rità diventa questa e null’altro.

Ricercare l’unità di obiettivi e di intenti dei cattolici che oggi sonoimpegnati in politica, oltre che essere missione di ogni credente nella Chiesauniversale, è anche il primo passo da fare per ridonare alla politica il ruolo di

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guida della società verso un futuro sostenibile ed accogliente per i nostri figli.Se non siamo noi, che crediamo in chi ha sconfitto la morte, a rilanciare ilruolo della politica chi può farlo? Chi ha una fonte di speranza più grandedella nostra? E se noi cattolici non siamo uniti tra noi possiamo pensare disvolgere in modo determinante questo ruolo di guida nella politica?

Chi partecipa all’attività politica da qualche anno conosce bene, però, ilclima che caratterizza l’attuale sistema politico: clima di scontro, di chiusura,talvolta di intolleranza, assenza di dialogo,denigrazione dell’avversario, scel-te effettuare più per presa di posizione che per reale utilità. In questo clima èdifficile pensare di proporre ai fratelli cattolici di altri schieramenti collabo-razioni o alleanze perché è elevato il rischio di essere fraintesi e respinti. Èbene pertanto avviare un dialogo pacifico basato sul confronto su temi con-creti e tangibili nella vita di tutti i giorni. A nostro avviso su tre temi dovrem-mo impegnarci particolarmente per elaborare proposte chiare ed innovative,in grado di rispondere alla complessità della società attuale. Questi temisono:- educazione; - lavoro. Spesso i politici cattolici sono alla ribalta deimass media quando l’agenda politica tratta temi etici o morali, come se fossecompito solo nostro stabilire ciò che per la società è bene e ciò che è male.Certamente noi rappresentiamo una cultura fondamentale per l’occidente edabbiamo chiaro ciò che è bene e ciò che è male, ma dobbiamo tener contoanche di chi ancora la pensa diversamente da noi. Inoltre, dobbiamo con forzauscire da questo ruolo per iniziare a “pesare” anche e soprattutto sui temidella quotidianità dei cittadini. In ogni ambito della vita di una persona noidobbiamo vivere la nostra fede, quindi ogni provvedimento ed ogni azionepolitica deve essere rispecchiare questo modo di vivere, in ogni ambito dellapolitica dobbiamo intervenire con nostre proposte, o almeno dobbiamo pro-vare a farlo. Il cristiano cattolico che conosce e vive nell’amore del Padre, eche è consapevole di essere stato salvato dalla morte e resurrezione di Gesù,non può non annunciare al mondo che la pace e la salvezza sono doni delPadre. Per un cattolico che si impegna in politica questo annuncio si traduceprima di ogni altra cosa in azioni che vanno a costruire un sistema educativoe scolastico in grado di formare persone capaci di determinare la propria vitatenendo conto di valori personali e sociali. Infatti, se per educazione si inten-de quel processo di azioni che permette ad una persona di realizzare il pro-prio miglior essere possibile, è necessario creare strutture adeguate dove taliazioni vengano agite in modo adeguato ai giovani educandi ed in modo armo-nioso con i tempi in cui il giovane si trova a vivere. L’educazione delle nuove

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generazioni è da sempre un compito fondamentale per ogni società, ed è fon-damentale per l’umanità stessa, perché essa fornisce gli strumenti cognitivi,affettivi, morali e pratici di cui una persona ha bisogno per poter vivere lapropria vita in modo pieno e felice. Dobbiamo elaborare proposte educative,e scolastiche, che permettano ai giovani di avere gli strumenti per poter gesti-re la complessità della società, che permettano di poter continuare a spender-si nel mondo del lavoro che oggi è sempre più dinamico ed in cambiamento.Non possiamo più pensare ad una scuola che fornisce solo nozioni statiche,ma dobbiamo pensare ad una scuola che insegna a pensare in modo critico, inmodo tale che ogni persona possa poi capire come procurarsi le nozioni di cuinecessita per seguire le dinamiche della società. Non si può più pensare aduna scuola che ha come obiettivo la formazione del cittadino italiano, ma sideve pensare a nuovi obiettivi che orientano la scuola ne suo agire. La politi-ca deve rinnovare il sistema educativo-scolastico, senza dimenticare gli altriagenti educativi come la famiglia, ed è nostro dovere essere i protagonisti diquesto rinnovamento, per salvaguardare la dignità della vita futura dei nostrigiovani. Il lavoro è un elemento fondamentale della vita di una persona per-ché con esso diamo valore alla nostra presenza nella società, contribuiamo albene comune, costruiamo la nostra persona, diamo una vita dignitosa allenostre famiglie. Lo sviluppo tecnologico con l’avvento del computer ha rivo-luzionato il sistema del lavoro, al punto tale che si sta parlano di “terza rivo-luzione industriale” o “rivoluzione informatica”. Le macchine guidate dalcomputer hanno eliminato una serie di lavori ed hanno sostituito l’uomo nel-l’esecuzione di altri. Inoltre hanno modificato anche i rapporti di lavoro tra lepersone. La dinamicità dell’economia, influenzata dalle economie mondiali,ha reso flessibile il posto di lavoro richiedendo ai lavoratori di essere prontiai cambiamenti anche dopo molti anni di lavoro per la stessa azienda, o maga-ri a pochi anni dalla pensione. Da un lato questa flessibilità è necessaria alleaziende che oggi con le loro attività creano i posti di lavoro, ma dall’altro latorende più instabile il processo per cui il lavoratore si colloca come soggettoattivo nella società e rende più precaria la propria situazione economica, met-tendo a rischio tutta la famiglia. Sono in aumento in questi ultimi anni i feno-meni che mettono in pericolo alcuni diritti dei lavoratori acquisiti con anni dilotte come ad esempio l’abuso dei contratti di collaborazione, e la situazionesalariale non è più all’altezza dell’aumento del costo della vita. A fronte di ciòassistiamo a compensi fuori misura di manager e dirigenti e all’erogazionedal parte dello stato di aiuto ed incentivi anche alle aziende che non ne hanno

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effettivo bisogno. La politica deve intervenire per ristabilire un equilibriosostenibile tra gli interessi dell’azienda e quelli del lavoratore, in modo taleche si torni a riconoscere che l’uno senza l’altro non ci possono stare. Per sal-vaguardare la dignità del lavoratore e della sua famiglia, ma anche per garan-tire all’azienda la produttività, si deve ritrovare in modo sistematico dapper-tutto il rispetto reciproco tra lavoratore e datore di lavoro. Ognuno deverispettare gli accordi presi, e lo Stato deve vigilare perché ciò avvenga, maanche perché gli accordi siano rispettosi della dignità umana. Educazione elavoro sono i due temi indicati per iniziare ad elaborare proposte da porre aifratelli cattolici che militano in partiti diversi dal nostro. Sono stati scelti per-chè sono temi cruciali per la vita di una società, e perché l’attuale governo datroppo tempo gli interventi a riguardo si sono sempre dimostrati non all’al-tezza della situazione. Sappiamo che questa non è una strada semplice, e cheè in apparente contraddizione con il progetto di partito unico del centro sini-stra. Ma, a nostro avviso, tale contraddizione è, appunto, solo apparente pertre motivi: 1. dal momento che siamo cattolici dobbiamo tendere all’unità tranoi; 2. l’unico spazio possibile per aumentare i consensi è di trovare spazi alcentro del panorama politico italiano; 3. nonostante le attuali difficoltà pre-senti nel Partito Democratico, che spesso ci fanno sentire il peso dell’unionecon una cultura che talvolta ancora manifesta apertamente la propria intolle-ranza nei confronti di chi crede in Dio, ci sentiamo di poter contribuire allacrescita di questo partito. Le difficoltà non ci spaventano, perché crediamoprofondamente che la politica, come disse il Santo Padre Paolo VI°, sia un’al-ta forma di carità, e perché siamo convinti che se questa è la strada giusta ilPadre provvederà perché noi la percorriamo, ma è certo che per disporre deisuoi doni dobbiamo rimanere aderenti al suo volere, tra cui c’è anche la ricer-ca di unità tra i cristiani.

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Alain Touraine

E’ un po’ paradossale parlare di democrazia in termini generali e diavvenimenti a lungo termine, mentre viviamo un periodo di crisi terribile daqualche tempo e ancora non si sa del tutto quale sarà il prezzo da pagare perquesta crisi che è un po’ più di una crisi.

Ringrazio tutte le personalità, gli organizzatori di questa iniziativa e inparticolare tengo a ringraziare tutti coloro che hanno avuto la gentilezza diinvitarmi. In primo luogo vorrei, e quasi chiedo scusa per questo, vorrei direche ho bisogno di definire ciò di cui parlerò qui. Sembra esagerato definire lademocrazia, però credo che in realtà sia molto facile per me far capire il tipodi ragionamento che dirò, ed è questo che è importante. Nelle circostanzeattuali bisogna veramente scartare alcune definizioni accettabili, interessanti,certo, ma che non sono all’altezza della situazione. Non è possibile esseresoddisfatti attualmente con una definizione, come potrei dire, una definizioneall’inglese di democrazia procedurale e allo stesso modo non è possibile sod-disfarsi con una definizione all’americana che è essenzialmente unademocrazia istituzionale. Quindi vorrei esporre la mia linea di analisi edefinire la democrazia come un processo, cioè come vengono prese e ven-gono applicate le decisioni in un paese democratico. E’ molto semplice dadefinire. In primo luogo democrazia significa che le richieste e le decisionivengono dal basso, come dicono gli inglesi e gli americani, from bottom up,non top down, non dall’alto verso il basso, ma il contrario, poi queste richi-este, queste domande vengono trasformate in programmi politici a livello deipartiti politici, delle istituzioni politiche ma prima di andare oltre questo pre-suppone due condizioni che sono molto difficili da riunire. La prima con-dizione è che le domande sociali siano rappresentabili e che i partiti politicisiano rappresentativi. Non è possibile separare queste due cose in quanto con-

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dizioni. Oggi, se si dice, voglio creare un partito di classi, non è rappre-sentabile oggi come oggi, perché non si sa a quale categoria si fa appello, poi,supponendo che vengano riunite queste due condizioni, è necessario che ledecisioni e la politica portata avanti dallo Stato, in senso lato, corrispondanopoi a questo movimento di salita. C’è un limite che deve rimanere semprerispettato. Per tornare agli inglesi essi parlano molto bene di una democrazianegativa, il che significa impedire che il potere politico possa ledere la libertàdei cittadini. Il migliore esempio è stato dato dagli inglesi stessi con la difesada parte dell’individuo contro le decisioni dello Stato. Quindi, come vedete,il problema sarà quello di cercare di capire nei nostri tempi come da unadomanda sociale, passando poi attraverso istituzioni politiche, si riesce agiungere al potere dello Stato e poi ai limiti che vengono posti loro e poi allafine fa rispettare il potere giudiziario.

Io non definirò la democrazia attraverso forme di governo, ma quelloche dimentichiamo quasi sempre oggi, la definirò attraverso la possibilità didefinire delle domande popolari, cioè da parte del popolo e di trasformare iprogrammi politici in azioni politiche verificate poi dal potere giudiziario.Questo diventa subito molto complicato. Vorrei indicare, a partire da questadefinizione concreta, pratica, vorrei un attimo ricollegare a questo unadefinizione più teorica. La definizione teorica è la seguente: la democrazia èla forma politica per eccellenza della modernità. La modernità ha un sensoben preciso e questo certo senso è il fatto di riconoscere l’esistenza per ogniindividuo dei suoi diritti di natura universale e questo concretamente signifi-ca che io riconosco ad ogni essere umano la capacità di ragionare in modorazionale e allo stesso tempo riconosco che a questo individuo, qualunqueesso sia, gli riconosco i suoi diritti universali, i diritti che si possono chiamarei diritti fondamentali, i diritti umani, poco importa il termine che si usa.Questa è una cosa essenziale. E’ un’esperienza che risale al XVIII secolo,nella società industriale ci si è concentrati sui problemi del lavoro, con la pos-sibilità di andare verso l’antidemocrazia che rappresenta una dittatura porta-ta avanti in nome dei lavoratori, ma che in realtà è una dittatura addosso ailavoratori e contro i lavoratori. Dopo il fallimento dei totalitarismi ritroviamospontaneamente l’idea dei diritti sociali, dei diritti fondamentali, ed è propriodi questo che vorrei parlarvi. Questo significa che, senza tornare di nuovo allastoria, vorrei ricordarvi i dibattiti sulla politica cambiano a seconda dellevarie epoche e in particolare all’inizio della modernità, quando il primogrande passo è stato quella della formazione dello Stato moderno. Tutti i paesi

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hanno un termine molto forte per difendere questo concetto e dopo laRivoluzione Francese e l’Indipendenza Americana è stato il tema di moltelotte politiche e lotte sociali. Quando dal XVIII secolo in poi in Inghilterra enel Belgio, e poi in altri paesi nel XIX secolo, siamo entrati nella societàindustriale è ovvio che la battaglia politica si è fatta intorno al tema propriodei diritti, non diritti che sostituissero i diritti politici, ma diritti oltre quelli,che sono i diritti sociali e prima di tutto i diritti dei lavoratori. Bisogna direche sono stati degli inglesi che alla fine del XIX secolo, un piccolo gruppo didirigenti sindacali e di intellettuali che hanno formato un gruppo che è statochiamato i fabiani, (fabians in inglese) e che hanno sviluppato questa idea chenon bisogna opporre il sociale al politico, ma che invece occorreva estendere,ampliare l’idea di democrazia al mondo del lavoro. Ecco perché tra l’altrohanno cominciato a parlare di industrial democracy, cioè democrazia indus-triale e poi, visto che era un campo più ampio, si è parlato di democraziasociale. Sono stati concessi termini che per tutta la seconda metà del XX sec-olo ci hanno portati, sostenuti in questa parte del mondo, dove viviamo anco-ra grazie appunto alla protezione di questa democrazia sociale.

Sarà una delle grandi domande che vorrei. Se stiamo uscendo in un certomodo da questa società industriale, come dobbiamo definire quei diritti, idiritti che dobbiamo difendere in priorità, poiché sono quei diritti che cor-rispondono agli attacchi più forti o sui quali gravano i pericoli più forti.Parliamo della nostra società come di una società di comunicazione, come diuna società di conoscenza e anche come una società di tecnologia, di con-sumo e di massa, essenzialmente per quanto riguarda la formazione dellospirito umano.

Vorrei dire che senza mai abbandonare l’importanza essenziale dellalotta per i diritti civici e dei diritti sociali, o perlomeno i diritti del lavoro, noidobbiamo fare in modo di definire le lotte che caratterizzano una società che,se posso dire, attacca da tutte le parti gli individui e i gruppi. Non solo inquanto produttori, ma anche in quanto consumatori, come comunicatori. Daquel momento in poi io sono costretto a cercare un nuovo approccio. Inquesto mondo in cui viene manipolato il mercato, globalizzato, eccetera, a mesembra che ci sia una sola risposta possibile, cioè in questa società di massasempre in movimento, globalizzata, quello che per ognuno di noi è l’essen-ziale, è prendere il nostro diritto di essere degli individui e cioè delle persone- uomini, donne o gruppi - che abbiano il controllo della propria vita. Almenoperché vi sia un elemento di scelta e cioè non soltanto la flessibilità dell’oc-

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cupazione, ma anche la prevedibilità dell’occupazione. Quindi noi dobbiamocercare di capire come e perché questo fatto di difendere l’individuo è diven-tato l’obiettivo politico più importante. Ovviamente l’individuo è una cosa unpo’ vaga. Certo non significa il diritto di andare in un supermercato e ordinareun tipo di pasta o una macchina o un’altra, eccetera. No, non si tratta dell’in-dividuo in quanto individuo e ancor meno dell’individuo in quanto membrodi una comunità poiché le comunità tendono ad essere chiuse e a cercare l’o-mogeneità e ad eliminare le minoranze. Quello di cui si tratta è quell’indi-viduo in quanto egli abbia la coscienza di essere in grado di poter difendere ipropri diritti. Quindi userò un’espressione che è stata creata da una personacelebre, Hannah Arendt, che ha detto che si tratta di avere il diritto di averedei diritti. Questa è una cosa fondamentale. Voglio dire che noi individuiumani ci definiamo perché abbiamo una capacità creativa simbolica, prima ditutto il linguaggio, ma vi sono altre forme, il disegno, certi canti, certi riti checompaiono in tutte le società, di conseguenza siamo costantemente, oggi-giorno, definiti dalla nostra relazione a noi stessi. Abbiamo non soltanto ildiritto, ma abbiamo la possibilità di difendere il nostro diritto ad essere citta-dini, lavoratori, ma oltre a tutto questo una persona umana, come dico io,cioè un soggetto umano, questo è essenziale, per mezzo secolo il mondo delleidee, quasi tutto il mondo, ma soprattutto l’ Europa, è stato dominato dall’ideache non ci sono più attori, ci sono soltanto dei determinanti, dei determinan-ti tecnici, economici, etnici, culturali, nazionali, eccetera. Di conseguenza,l’idea di libertà e di democrazia non ha senso poiché se di fatto il mondo èuna dominazione politica, economica o quello che si vuole, che impedisceagli attori di esprimersi, gli attori altro non possono che avere una falsacoscienza che di fatto è indicata dalla dominazione delle elite dirigenti.

Ecco perché oggi, in questa situazione di crisi estrema che stiamo viven-do, sul piano intellettuale la grande priorità è quella di affermare nuovamenteche noi siamo gli attori possibili e che abbiamo il diritto di essere degli attori.Abbiamo il diritto di parlare, di decidere e di fare in particolare quello che hodefinito come il circuito della democrazia che viene dal basso, sale verso l’al-to e poi riscende verso il basso.

Credo che questo sia quello che caratterizza non la nostra epoca, ma l’e-poca, il tipo di società che noi dobbiamo riuscire a creare se vogliamo evitareuna catastrofe totale. Quindi bisogna affermare che è possibile cambiare lasituazione, che è possibile creare delle leggi, cambiare l’edit e che la societàpuò e deve controllare le varie attività economiche, perché in fondo qual è la

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nostra situazione oggi? In una parola potrei dire che siamo giunti alla formaestrema del capitalismo. Il capitalismo è l’autonomia degli attori economicinei confronti di tutti gli attori sociali e altri, dunque nessun controllo e nellarealtà una libertà totale. Noi sappiamo benissimo che quando c’è un capital-ismo totalmente libero ci sono crisi economiche e quindi bisogna ricreare,come ha fatto la democrazia sociale e come hanno fatto i sindacati, bisognaricreare delle forme di controllo. Oggi abbiamo un doppio capitalismoestremo, perché non è soltanto l’economia che è separata dalla società o dallapolitica, è il capitale finanziario che si trova separato dal capitale economicoe da quello che viene chiamata l’economia reale. Dunque, quello che dobbi-amo cercare di fare è, come obiettivo materiale, se posso esprimermi così, èricreare delle forme di controllo sull’economia finanziaria da parte dell’e-conomia reale e sull’economia reale da parte di tutti gli attori sociali e in par-ticolare gli attori che fanno funzionare la democrazia. Va benissimo dire tuttequeste cose, ma la vera domanda qual è? La vera domanda è: come si puòfare? E lo dico in modo molto pratico, poiché quello che caratterizza una crisio un crack o una guerra è il fatto che gli attori sociali, politici e culturali,scompaiono, vengono ridotti al silenzio, talvolta vengono addirittura fucilatio mandati in campi di concentramento. Bisogna sapere come noi possiamogiungere a far sì che si formi una coscienza di sé, una coscienza attraverso noistessi dei nostri diritti, non i nostri diritti individuali, ma quelli universali cheveramente tutti gli individui devono possedere. Ecco che allora le cose diven-tano complicate e voglio dire con questo che ci troviamo in un momento incui non mi è possibile dare la risposta dimostrabile e dimostrata di quantodico, visto che ci troviamo nel pieno periodo di silenzio, di scomparsa. I par-titi politici sono relativamente indeboliti dappertutto, ancor di più i sindacatisono indeboliti, In Italia avete la fortuna di avere ancora dei sindacati forti, separagonati per esempio con la Francia, con la Spagna, eccetera, c’è unanotevole differenza, con conseguenze molto favorevoli per gli italiani.

E vorrei qui aprire una parentesi, poiché non è possibile affrontarequesti problemi senza evocare il nome di un vecchio amico mio, un’amiciziache è durata cinquant’anni, che conoscete almeno quanto me. Parlo di BrunoTrentin, scomparso poco tempo fa (Applausi). E’ uno degli uomini che hannoriflettuto più profondamente, da intellettuali e da militanti sindacali, sui prob-lemi della formazione di un’azione libera e di un’azione di liberazione. Forseadesso sarò un po’ pessimista, ma vorrei dire che la risposta classica, larisposta del XVIII e anche del XIX secolo, è consistita nel dire che questa

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presa di coscienza era compito degli intellettuali. E’ una situazione che inEuropa è del tutto nuova, in particolare nel paese di cui parlo adesso la lin-gua, e cioè la Francia, dove gli intellettuali, da Voltaire, fino a Sartre, hannosvolto un ruolo fondamentale. Ebbene, questi intellettuali, francesi o italianiche siano, o anche americani o tedeschi, questi intellettuali sono stati affasci-nati dal serpente di un marxismo costituito o mantenuto dopo la scomparsarelativa del movimento operaio che è stato divorato dall’orco sovietico, quin-di quando non ci sono più pratiche politiche della libertà, vengono fatte delleteorie sulla coscienza e sulla presa di coscienza e sui movimenti sociali, peròin fondo si parla di cose che non esistono e quindi credo che oggi noi dobbi-amo riflettere. Questo è difficile, dobbiamo riflettere sulla sostanza a partireda cui può farsi la formazione di un movimento sociale e di una domandasociale politica.

Ritengo, ascoltando quello che succede nel mondo, leggendo i libri,ascoltando la radio e la televisione, o i discorsi politici credo che quello cheè veramente nuovo è la parola che ho usato prima, cioè quello che è essen-ziale è l’individuo e lo ripeto, non l’individuo in quanto tale, quello egoista.Cerco di individuare sempre gruppi e gli interessi collettivi. Quello che vogliodire è che ci sia la possibilità per ognuno di noi di definire quello che i soci-ologi chiamano la propria differenza, oppure le minoranze di fronte alle mag-gioranze e noi tutti viviamo l’esperienza della nostra domanda per difenderela nostra cultura, il nostro cibo, la nostra lingua, la nostra religione e questotalvolta contro altre lingue, altre religioni. quindi noi siamo persone che oggisono ridotte in apparenza alla domanda più elementare, mentre di fatto è quel-la più completa, meno elementare, perché in passato questa difesa di noi stes-si in quanto soggetti umani l’abbiamo espressa in modo indiretto, dicendo chela creatività non era soltanto dell’uomo, era anche fuori dell’uomo e che laricevevamo da altrove. Per molti era qualcosa che ricevevamo da Dio, peraltri la ricevevamo dalla ragione e dalla storia, o da qualunque altra forma diideologia o da qualunque paese, mentre oggi la nostra ultima, unica possibil-ità è che non c’è più un Dio né nella storia né in cielo, anche se ognuno di voicrede in qualcosa, rimane il fatto che nessuno può dire che oggi riceve la pro-pria forza d’azione da un Dio, da un’ideologia, da un partito o da una lingua.Di conseguenza ci troviamo di fronte a noi stessi. Noi ci definiamo e ci pos-siamo appoggiare soltanto sulla coscienza di noi stessi ed è proprio così chele cose si svolgono. Se dovessi prendere un esempio di questa nuova formadi azione, prima difensiva ma che si può trasformare poi in una forma offen-

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siva, parlerei di coloro che hanno combattuto contro i totalitarismi e in parti-colare durante il periodo hitleriano, coloro che hanno combattuto contro il sis-tema nazista. Quelle persone che vengono chiamate resistenti o partigiani eche spesso scientemente hanno sacrificato la propria vita per difendere i dirit-ti fondamentali di tutti, il diritto fondamentale alla libertà.

Ed è questo che noi dobbiamo fare. Quello che voglio dire è che noidobbiamo, soprattutto se abbiamo un’attività e delle convinzioni politiche,dobbiamo farle scendere e cioè dobbiamo fare in modo che scendano e siavvicinino. Noi dobbiamo riuscire a trovare la fonte dei nostri diritti nell’im-magine di noi stessi riflessa in uno specchio, nell’immagine di noi stessi nellanostra coscienza, nella nostra parola e nella nostra arte, nelle nostre inven-zioni culturali. Più saremo concreti, più faremo ricorso all’individuo comple-to, più saremo capaci, fortemente capaci di raddrizzare la situazione tragicanella quale ci troviamo adesso.

Per non rimanere in un ambito di dichiarazioni generiche, vorrei direche dal mio punto di vista già nel nostro mondo, tra di noi, e in noi esistonogià degli elementi importanti, probabilmente gli elementi più importanti diquesta nuova concezione della democrazia e della politica e che, tengo aripeterlo, si vanno ad aggiungere alla difesa dei diritti civici, dei diritti sociali,e che in effetti è il fatto di riconoscere in ogni individuo una persona, unsoggetto umano.

Adesso vorrei le cose un po’ diversamente. Il mondo in cui siamo vis-suti e in cui viviamo, e che in un certo qual modo è in crisi profonda, piùancora di questo e forse sta morendo sotto certi aspetti, può andare verso unacatastrofe oppure progredire. Non si sa. La cosa importante è andare nel sensoopposto a quello che abbiamo seguito fin qui. I nostri paesi d’Europa o paesieuropeizzati, come sapete erano paesi relativamente sottosviluppati fino a500-800 anni fa, in ogni caso meno sviluppati del mondo arabo o cinese, oanche giapponese. Ora sta il fatto che in modo abbastanza strano due secolipiù tardi il nostro mondo si è trovato molto più ricco, attivo e potente di tuttele altre parti del mondo. Ma perché questo? Ebbene, perché la nostra societàha preso una decisione straordinaria non di mantenere il circolo e la cultura,ma hanno scelto invece di concentrare le risorse su un’elite dirigente cheavesse il potere di dominare, di sfruttare, di distruggere tutte le altre categoriedella popolazione, così abbiamo vissuto in questo sistema di conquista delmondo da parte della scienza, dell’amministrazione, della ragione, della guer-ra e attraverso anche la produzione industriale. Nello stesso tempo il nostro

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tipo di società ha atteso le società e le relazioni sociali, ha creato dei conflit-ti molto profondi che talvolta sono sbocciati su rivolte o rivoluzioni, ma chehanno sempre creato una distanza di cui tutti parlano quando si va altrove.Non ci sono più relazioni di prossimità, di parola, di linguaggio, di amicizia,di gioco. Noi siamo dominati dalla nostra dominazione del mondo, di con-seguenza questa formazione di un nuovo soggetto sociale e politico cercheràprima di tutto di riunificare quello che è stato scisso. Si può dire che c’è unrischio grande, che sarebbe quello di perdere il nostro dinamismo e diricadere in una situazione come quella della Cina o del mondo arabo nel XIIsecolo, che è più o meno l’inizio dello sviluppo occidentale, ma in realtà giàpossiamo osservare che siamo entrati in un mondo che non sopporta più tuttiquei conflitti estremi, questa ingiustizia e questa disuguaglianza estrema eche invece cerca di riavvicinare quello che è stato separato. Ve ne darò dueesempi, che sono quelli più importanti nel mondo attuale. Il primo ovvia-mente è il rapporto fra cultura e natura. Noi in questo ruolo da cavalierimedievali o da industriali del XIX secolo, abbiamo opposto questi due ele-menti, la cultura e la natura, abbiamo detto che bisognava distruggere la natu-ra nell’educazione e nella produzione industriale in modo da creare un mondorazionale, potente, armato per vincere tutte le battaglie. Oggi invece in modonotevole ci accorgiamo che molte menti in varie parti del mondo ci dicono,attenzione, se opponete la natura e la cultura distruggerete sia l’una che l’al-tra, di conseguenza, secondo un ragionamento non solo economico, ma ancheecologico, dovete riavvicinare la natura e la cultura e avere una visione piùglobale di questi due aspetti della realtà e qui, sapete bene che parliamo diproblemi assolutamente immediati e urgenti poiché stiamo entrando, siamogià entrati nella crisi idrica, una crisi d’atmosfera o una crisi dei cambiamen-ti climatici, la temperatura dell’aria, i livelli del mare, eccetera. Tutto questoè noto, ma non è soltanto un problema, tutto questo costituisce una delle basifondamentali per un nuovo programma di azione politica e sociale.

Vorrei fornire un secondo elemento, che mi sembra ancora più notevole,più attinente. Sicuramente ricorderete, per quanto riguarda la nostra vita, dalXII secolo ad oggi c’è stata una concentrazione del potere che non è statasoltanto quella dei ricchi contro i poveri, i potenti contro gli indifesi, è stataanche la dominazione degli uomini sulle donne. Poiché le donne vengonoidentificate alla natura, venivano anche esse colonizzate e gli uomini veni-vano identificati con la ragione, la conquista e la potenza. Io credo, perché hofatto delle ricerche personali su questi problemi, credo che le donne, nella

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situazione in cui si trovano, in cui siamo tutti in realtà, non possono chiederel’uguaglianza, ma chiedono molto di più di fatto, chiedono che venga riunifi-cato questo mondo degli uomini e delle donne perché sono le donne cui èstato negato, rifiutato questo potere, questa possibilità di avere tutto. Sonoinfatti le donne che hanno preso l’iniziativa di riunire l’unità dell’essereumano, il corpo e la mente e che hanno dato quel significato intellettuale, cul-turale e sociale alla sessualità e a tutti gli aspetti affettivi e interattivi nonchétecnici della vita umana. Nella ricerca che ho fatto sulle donne di ogni cate-goria, in Francia - e vorrei aggiungere che ho fatto anche una ricerca sulledonne musulmane in Francia - ma c’è stato un periodo in cui chiedevamo aqueste donne, le donne sono superiori agli uomini? No, no, le donne pensanodi sì. Ma perché questo? Perché voi donne credete di essere superiori agliuomini? Utilizzavano tutte la stessa formula che è stata usata in modo ridico-lo negli Stati Uniti dove si diceva, il Presidente Ford non può allo stessotempo camminare e masticare la gomma. Le donne dicono, la nostra dif-ferenza, rispetto agli uomini è che loro sono capaci di fare una sola cosa pervolta, lavorare, mentre noi sappiamo fare entrambe le cose, riflettere e amare,dunque la mente e l’affettività. (Applausi)

Era una ricerca italiana all’inizio, nella quale si chiedeva alle donne,almeno 15 anni fa, era una ricerca milanese. Si diceva in questa ricerca chequando si chiede alle donne, alle donne giovani, durante la sua vita lei vuoledare la precedenza alla vita professionale o a quella affettiva personale. Larisposta di queste donne è stata, primo, signore - o signora - può ripetere ladomanda? Perché noi non l’abbiamo capita. Poi dicevano: è una domanda chenon ha senso. Non bisogna assolutamente scegliere, bisogna riuscire a com-binare il meglio possibile ed è probabile che invece che siano le donne che siavvicinino agli uomini, saranno gli uomini che si avvicineranno alle donnevia via che diminuiranno gli orari di lavoro e finalmente gli uomini potrannopartecipare a tutti gli altri aspetti della vita, ivi compresa la crescita dei figliper esempio.

Dunque, vediamo oggi questa immensa preoccupazione di ricreare quel-l’ansia di ricreare un mondo dove ci siano certo uomini e donne ma dove ledonne rifiutano e dove gli uomini accettano che si rifiuti di contrapporre i duegeneri, i due sessi, come se uno fosse superiore all’altro. Bisogna colmare ildivario, bisogna far sparire queste fratture che ci sono state nelle nostre soci-età, classi sociali, colonizzazioni oppure e soprattutto l’opposizione deigeneri. Se vado più rapidamente negli altri campi posso dire comunque che

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tutte le grandi lotte attuali consistono nel rifiutare queste dicotomie, questepolarizzazioni. Noi non vogliamo più contrapporre questa categoria culturalea quell’altra, o questa categoria professionale a un’altra. Stiamo parlando didiversità. In un certo qual modo possiamo parlare di comunicazione intercul-turale, ma non di multi-culturalismo, perché questo significherebbe cheognuno è chiuso nella propria cultura. Invece è importante che ci sia comu-nicazione tra le culture, tra lo Stato e la società, tra le varie fasce d’età. Lagrande questione del nostro periodo è di ricreare comunicazione e fondamen-talmente unità, unità universalista, unità dei diritti umani in queste società chesono state così a lungo lacerate e sul sangue delle quali abbiamo fatto la nos-tra ricchezza.

Vorrei concludere ricordando il fatto più importante che stiamo vivendoadesso, che è naturalmente il trasferimento dei centri della ricchezza e delpotere della produzione da ovest verso est. Abbiamo la quasi certezza che senon ci sarà una guerra entro vent’anni, cinquant’anni o cent’anni il mondosarà piuttosto centrato sull’Asia, la Cina, la Corea, il Giappone e probabil-mente anche l’India, mentre i nostri paesi rischiano di diventare dei luoghi divilleggiatura, tempo libero. Alcuni anni fa ci veniva detto che dovevamoimportare informatici, ingegneri, come immigranti, ma è un sogno superatoormai, perché gli indiani e gli indonesiani sono richiedenti di informatici equindi ne sfornano sempre di più, ma ne hanno sempre di più bisogno, quin-di oggi noi pensiamo che cosa possiamo fare, su che cosa possiamo appog-giarci per avere un polso, per essere protetti, per sopravvivere in questomondo totalmente trasformato. Ovviamente non ci possiamo trasformare inun continente di villeggiatura, perché sappiamo benissimo che se c’è una dif-ficoltà economica, prima di tutto sarà la villeggiatura che verrà sacrificata equindi non sono i cinesi fra cent’anni che potranno salvare la vita deglieuropei e dei loro figli e nipoti. Quello che direi invece è che la funzione disopravvivenza per noi consiste nell’essere avanti a tutti, non più nella polar-izzazione ma nella riunificazione delle società. Non dobbiamo essere soltan-to il mondo dell’uguaglianza, dobbiamo essere il mondo della gestione delladifferenza e dell’interesse che dobbiamo rivolgere all’utilizzo di tutte le dif-ferenze di ogni tipo perché questo ci dà e ci darà, e ci darebbe un’efficaciaallo stesso tempo che una forma di felicità o perlomeno una gioia di vivere dacui ci stiamo allontanando ogni giorno di più.

Vorrei concludere dicendo, proprio perché ci troviamo in mezzo ad unacatastrofe di cui forse non abbiamo neanche vissuto i giorni più oscuri, è ora,

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senza avere l’impressione di andare in un futuro vago, è ora che dobbiamodefinire quello che avremmo dovuto fare cinquant’anni fa, cioè definire il tipodi società, di cultura, di istituzione e di istruzione dei mezzi istituzionali, psi-cologici e sociali attraverso i quali saremo capaci di reintegrare tutti gli ele-menti della vita personale e collettiva, la vita sociale. Dopo tanti anni, qui, dauna parte c’è stata tanta polarizzazione e dall’altra, e sempre di più, dove cisono stati totalitarismi, dittature comunitarie, per me il pericolo più grandedel mondo attuale è un comunitarismo che in nome di un’identità comuneelimina tutto quanto è diverso e quindi possiamo immaginare un mondo divi-so in varie chiese, varie lingue, tutto quello che è e senza comunicazione tradi loro. A questo punto l’unica soluzione è la guerra, mentre se si vuoleadottare la soluzione della guerra bisogna che sviluppiamo il più possibile lanostra capacità di integrare nella nostra individualità e nella nostra collettiv-ità allo stesso tempo più elementi possibili diversi. Solo allora avremo anchela capacità di utilizzare le nostre risorse in modo molto migliore di prima,potremo utilizzare le differenze e non soltanto il modello unico. Basta pen-sare al problema dell’istruzione con le nostre scuole che generalmente hannouna certa immagine del bambino che è stata imposta e per certi periodi anda-va bene, per certe persone andava bene mentre per altre no, mentre abbiamobisogno di scuole e di famiglie che sappiano combinare elementi diversi, chesiano multi-metodologiche, se posso dire, o che comunque stabiliscano dellerelazioni varie a seconda degli individui e dei gruppi fra gli insegnanti e col-oro che beneficiano di quell’insegnamento.

Forse alcuni di noi pensano che vado troppo avanti, che mi spingo trop-po oltre, e che mi perdo un po’ nelle nuvole, ma devo dire che io penso chenoi siamo in un pericolo mortale, come nel 1929. Ricordiamo che dopo il1929 c’è stato il 1933, quando è arrivato Hitler e dopo il 2008, nel 2012, 13o 15 che cosa ci sarà? Ci sarà di nuovo un dittatore in questa Europa dove sivede salire la xenofobia? Dove si vedono crescere i conflitti sociali e cultur-ali? Quindi io penso che la responsabilità dei partiti politici e degli attivipolitici che prima di tutto vogliono far rispettare o vogliono ripristinare lademocrazia, sia il fatto di dare di questa democrazia un senso nuovo e piùampio di prima, di ricomposizione dell’individuo e delle totalità, così da poterutilizzare tutte le possibilità, tutta la diversità esistente invece di rimanerelegati, come faceva Taylor nel XIX secolo nelle fabbriche. Taylor che diceva,c’è una sola maniera giusta di produrre. No, non è vero, d’altronde non lo hamai dimostrato ma poi, lo dico io, non c’è un solo modo di apprendere, di

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comunicare, di esprimere una cultura laddove vi sono altre forme di vita cul-turale e, se posso permettermi di dire questo, di dire questo a voialtri che sietein un processo di costruzione di un grande partito politico, è una responsabil-ità enorme scegliere tra questi obiettivi che ho appena presentato molto sin-teticamente e gli obiettivi più comodi, più facili, che sono quelli della tattica,delle alleanze. Sapere dove andrà la sinistra, dove va la destra… tutto questonon ha nessuna importanza, non ha nessuna efficacia. Quello che invece èessenziale è ricreare delle speranze fondamentali, ricreare grandi obiettivi dinatura che potrei chiamare morale, culturale, sociale e allo stesso tempopolitico. In tal modo che sia possibile mobilitare le nostre forze, le nostresperanze, le nostre rabbie, le nostre sofferenze in modo da opporci a questoprocesso che continua e che si sta aggravando continuamente, che consistenel disfare, nel lacerare il tessuto umano individuale e collettivo che tende acreare una disuguaglianza crescente ed un’esclusione crescente. Noi paesiricchi industriali abbiamo tutti fra il 12 e il 20% della popolazione che èesclusa. Probabilmente tra di noi, il paese che ha meno esclusi è il Canada etra coloro che ne hanno di più ci sono veramente gli Stati Uniti. Quello chepossiamo conoscere della situazione francese ci fa pensare che siamo sul 13,forse 15% di persone che sono out, escluse. Io non potrei dare le cifre perl’Italia, ma sicuramente molta gente qui conosce queste cifre. Quindi vorreifarvi un appello perché, in quanto politici, siate convinti che questi grandiobiettivi che ho elencato, che ho definito in modo intellettuale, sono gli obi-ettivi che ci spetta realizzare attraverso l’azione politica e anche attraverso lariflessione intellettuale. (Applausi) Grazie.

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Alain Touraine

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Enrico Farinone

Siamo eredi di una grande storia e cultura. Dobbiamo declinarle al futu-ro ma non possiamo lasciarle cadere nell’oblio. Il nostro compito è quindidare un futuro al cattolicesimo democratico in Italia. Abbiamo scelto di farlonel Partito democratico e con un impegno massimo, assunto proprio qui adAssisi un anno fa, con la vicesegreteria di Dario.

Adesso stiamo valutando come perfezionare quell’impegno. Vi sonoalcune osservazioni da fare al Pd. Si oscilla da grandi momenti di entusiasmoe fiducia a comprensibili periodi di sconforto. Talvolta si dà l’idea di nonessere pienamente determinati. Allora, per non scadere nella cronaca e perconfrontarci su un livello più alto, è bene porre questioni che sono fondanti ilpartito, che sono di lungo periodo e pertanto decisive.

La prima battaglia è quella costituzionale e a salvaguardia della demo-crazia parlamentare. L’attacco in corso al potere legislativo nel nome deldecisionismo e dell’efficientismo nei tempi che corriamo è una mossa chepuò far piacere alla gente (“più fatti, meno parole”). Ma noi che abbiamo unaprofonda cultura democratica sappiamo che il Parlamento, che pure necessi-ta di riforme che ne favoriscano l’efficacia del lavoro, non può essere rifor-mato e umiliato dal capo dell’Esecutivo a forza di voti di fiducia e di decretilegge. La revisione dei regolamenti parlamentari è necessaria. Ma va seguitol’iter previsto non per caso dalla Costituzione al fine di garantire il rispetto ditutti e delle minoranze in particolare. A chi pensa, e comincia a dire, che ilParlamento dovrebbe ridursi a luogo di mera ratifica delle decisioni delGoverno nel quale la minoranza si limita a una semplice e sussidiaria azionedi controllo, dobbiamo ribattere che mai, MAI, potremo accettare un similesfregio alla Costituzione e al sistema democratico. Il potere legislativo è unpotere altro da quello esecutivo. Che si debba rimarcarlo è un segno dei tempi

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grami che attraversiamo sotto questo punto di vista, a trent’anni dalla mortedi Moro e il giorno dopo la scomparsa del prof. Elia!

Io credo che nel Pd questi argomenti, così delicati, ma così decisivi peril nostro modo di credere nella democrazia, non li possa trattare il solo on.prof. Vassallo, né il solo sen. Prof. Ceccanti. Occorre un concerto più ampiodi intelligenze esperte di diritto costituzionale. È un preciso invito a Veltroni,questo. Perché sul futuro della democrazia e delle istituzioni non facciamosconti a nessuno!

La seconda questione è quella culturale. Il Pd non può ridursi all’eternoe stancante scontro D’Alema-Veltroni perché il Pd NON È il Pds e non devenemmeno dare l’idea d’esserlo, o di assomigliarci! E invece è troppo facileper gli osservatori esterni, spesso strumentali perché interessati, presentare ilPd in questo modo.

Devo dire che non può nemmeno ridursi ad essere un partito solo nuo-vista, immaginifico, leggero nel senso di “troppo” leggero. Fortunatamente itempi del “loft” (parola radicalchic non esattamente popolare) - che io non homai apprezzato - sono finiti e lo sforzo organizzativo oggi in atto pur nonessendo sufficiente senza una parallela azione politico-sociale è indispensa-bile per costruire un partito vero, radicato e quindi popolare. Dico questo per-ché dal punto di vista culturale non può essere un partito indefinito, inclusi-vo di tutto. Deve garantire pluralismo culturale, questo sì. Ma non indetermi-natezza. È l’aspetto decisivo. Più importante. Più serio. Si può mediare ediscutere su tutto. Ma sul punto no. Ne va di noi, del nostro futuro, dellanostra rappresentatività culturale.

Il Pd nasce come incrocio di culture politiche. E in particolare di due, chehanno fatto la storia dei partiti popolari del secolo scorso. L’incrocio che pre-clude ad un futuro amalgama non può essere eluso con la falsa affermazioneche esso deriva da un passato ormai superato. Ogni nuova costruzione umanatiene conto delle esperienza precedenti e, se sono positive, le valorizza.

Parlare di culture politiche non è parlare un linguaggio vecchio, è unargomentare antico che dà fondamenta solide alla nuova costruzione. Sono leculture che danno profondità, respiro, solidità ad un partito politico. Senza diesse resta solo l’anonima gestione del quotidiano, del giorno per giorno.

Cito il prof. Scoppola: “il problema di fondo è quello di come le diver-se identità culturali e politiche contribuiranno a definire la fisionomia delcostituendo soggetto politico (era il 2006) il tema della partecipazione catto-lica è di importanza strategica”.

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Purtroppo dobbiamo confrontarci - e qui dobbiamo dircelo - con un’i-dea diffusa che la nostra cultura è largamente minoritaria nel Pd. Un proble-ma serio, perché un po’ è argomentato ad arte da chi vuol far fallire il Partitodemocratico ma un po’ perché qualcuno immagina che la nostra cultura debbaessere marginale nel Pd.

Cito il prof. Ignazi, studioso dei partiti politici: “la premessa del Pd erala contaminazione delle culture rappresentate dai partiti che si fondeva-no…ma il cattolicesimo democratico è in ritirata, richiamato all’ordine dauna gerarchia ecclesiastica che non fa sconti”.

C’è un grande spazio, naturalmente, per esercitare la nostra laicità e lanostra autonomia. Ma combattendo nel Pd per assicurare la presenza incisivadella nostra cultura. Un problema non di poco conto che il prof. Salvati (lapersona che forse dal punto di vista intellettuale più e meglio si è spesa e haanalizzato il nascente Partito democratico) aveva per tempo affrontato, a leg-gerlo bene. E lui ha sempre parlato del Pd come dell’incontro fra socialismoe liberalismo, con il cattolicesimo democratico importante come presenza ini-ziale e sostanzialmente accessoria, volta a svanire con l’inevitabile ricambiogenerazionale.

Il tema è spesso. Andrebbe declinato meglio. Ma insisto su questo puntonell’interesse del Partito democratico, non solo del nostro. Non c’è Pd senzaun nostro ruolo culturale significativo. Rivendicare un ruolo, però, non vuoldire ipso facto ricoprirlo. Bisogna avere idee e proposte. Ecco perché saràdecisivo il lavoro della Fondazione: aggiornare il nostro patrimonio culturalealla società odierna. Non facendoci confinare ai soli temi della bioetica, unerrore dei Teodem che stiamo pagando noi. Al contrario, dal punto di vistadella attualizzazione del nostro pensiero noi non siamo così “superati”, fuoritempo come taluno pretenderebbe. Anzi, ed è la terza questione: ovvero lacrisi finanziaria che ci impoverisce tutti.

Insieme alle banche d’affari salta un modo di pensare l’economia data-to anni ottanta per il quale la finanza, sempre più oscura e indecifrabile, sosti-tuisce il lavoro, il territorio, la comunità, l’industria. Un tempo nel quale dere-gulation e liberalizzazioni sono le parole magiche e impongono il liberismoeconomico quale unico credo dell’occidente capitalistico che ha vinto la suasfida al comunismo collettivista. La globalizzazione computerizzata cheannulla spazio e tempo finisce con l’annullare l’economia reale e, con essa,l’uomo. La distanza fra economia finanziaria e economia reale sta qui, nel-l’assenza della dimensione fisica, carnale dell’essere umano. E così si è allar-

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gato il divario fra una ricchezza esorbitante di alcuni e una povertà crescentedi molti, che tende a estendersi ai ceti medi.

Ora che salta tutto e che i cantori del liberismo chiedono allo Stato diintervenire chi come noi non ha mai ceduto a quelle sirene ha tutto il dirittodi rialzare la voce. E rilanciare l’idea di una politica economica che sia piùattenta alla dimensione della persona umana, della famiglia, della solidarietà.Un’idea che deve farsi strada anche nel Pd, il cui programma economico elet-torale era troppo acriticamente impostato su una linea filo liberista perché gliex ds sono privi di bussola e molti di loro si sono gettati con l’entusiasmo delneofita a glorificare il mercato.

Lo spazio e il ruolo adesso è per noi, che siamo contro il pensiero unicoliberista pur senza essere contro il mercato. Per noi che diamo alla Politica ilrilievo che merita sin dal nome (QUARTA FASE è la quarta fase politica delcattolicesimo democratico). Una politica che orienta una politica economicache cerca di rinsaldare la vecchia alleanza fra economia di mercato e statosociale. È la storia di un successo che ha governato l’Europa per cinquantaanni di pace e di crescita. Va ripresa e rilanciata con fierezza, è il nostro ter-reno, è coerente con l’insegnamento sociale cristiano, è visibile perché sioccupa di tutti, singoli e famiglie.

Allora, amici, abbiamo un grande spazio e molte cose da dire. Nonsiamo superati. Non viviamo di commemorazioni anche se ci piace ricordarel’insegnamento dei nostri grandi maestri. Siamo più attuali che mai.Mettiamo quindi in campo tutta questa nostra forza nel Partito democratico.Altro che marginali. Noi lo vogliamo guidare, il Pd! (Applausi)

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On. Enrico Farinone

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Giorgio Merlo

Il titolo di questo convegno e il dibattito che c’è stato stamattina e oggipomeriggio, dice a mio parere una cosa sola, e cioè - è stato detto ieri daBeppe, stamattina da Marini, probabilmente sarà detto con maggior vigoreancora domani da Dario - che la nostra cultura, la nostra tradizione, la nostrapresenza politica oggi nel Partito Democratico non è un ornamento, non è unsuppellettile e credo che la manifestazione di oggi, le presenze qualificate quiad Assisi, confermano questo aspetto, che non è un elemento secondario néburocratico. Lo dico perché la nostra, a differenza forse di come qualcunopenserebbe, non vuol essere e non è una nicchia clericale o confessionale nelPartito Democratico, né può limitarsi a trattare solo alcuni temi. Scoppola lidefiniva nella nuova cristianità perduta, un’eco di tanti anni. C’era una ten-denza della cultura laicista nell’individuare i cattolici come gli spazzini dellasocietà industriale, molto importanti ma comunque destinati a svolgere unruolo marginale. Io credo di no, proprio perché la tradizione cattolico-demo-cratica non si caratterizza sul fronte confessionale, credo che noi non possia-mo essere protagonisti, non possiamo essere consultati o giornalisticamenteappetibili solo sui temi eticamente sensibili che sono e restano importanti, mache non sono esaurienti per la nostra presenza politica.

I cattolici democratici hanno un’ambizione e un ruolo politico moltoforte, non sono soltanto il prolungamento di una identità religiosa, una pre-senza quindi politica e culturale e non una testimonianza religiosa o una sem-plice corrente di potere o di testa. Ecco, crediamo nel PD, lo vogliamo così,cioè come un soggetto plurale. Ma un soggetto plurale ha senso nella misurain cui il pluralismo culturale al suo interno si organizza e il pluralismo cultu-rale ha un senso se non si riduce ad un pensiero unico. Ecco perché - lo debbodire qui in termini un po’ franchi - trovo un po’ estemporanea, un po’ strava-

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gante la polemica estiva che si è fatta e che ogni c’è all’interno del nostro par-tito, se è un partito deve essere articolato per componenti o meno. Lo trovoun tema un po’ stravagante perché è ovvio che nel momento in cui noi abbia-mo accettato, e l’abbiamo scritto nel nostro statuto, che il PD è un soggettoplurale, accettiamo che il PD è un partito pluralista e, come dicevo poc’anzi,il pluralismo ha un senso se si organizza. Questo pluralismo, e lo dico a tuttiquegli amici che hanno fondato le correnti under 30, over 40, over 50, legge-vo l’altro giorno una raffigurazione sulla stampa che la mia amica GiovannaMelandri ha fondato la corrente della non corrente… Ora, diciamocela tutta.Noi siamo un partito plurale nella misura in cui le grandi correnti culturali, igrandi filoni culturali che si riconoscono nel Partito Democratico, riescono adorganizzarsi, ma non sono, vivaddio, 17 o 18. Noi non possiamo replicare alivello locale o a livello periferico un’articolazione fondata su 15, 16, 17 o 18gruppi, sottogruppi, correnti o componenti. Io credo che questo pluralismo èserio, questo pluralismo ha un valore, ha un significato nella misura in cui rie-sce ad esprimere in tutta la sua completezza le grandi correnti culturali. Sottoquesto aspetto credo che la tradizione cattolico-democratica e popolare siauna dimensione costitutiva del Partito Democratico. Ecco perché allora, senzaevocare il termine corrente, il termine componente, termini per carità antichied antiquati, io credo che attorno alla organizzazione culturale della nostrapresenza nel partito si gioca anche il futuro, credibile, di un soggetto pluralequal è il Partito Democratico.

La seconda considerazione. Accanto al riconoscimento del pluralismoculturale, io credo che dobbiamo prestare attenzione - e la relazione ieri diFioroni su questo si è soffermata - alla concreta organizzazione del partito nelnostro territorio. Io so molto bene, lo sappiamo tutti molto bene, che il pro-blema politico non si può ridurre in termini organizzativi. L’organizzativismoè fine a sé stesso, dobbiamo però cancellare l’idea se c’è, dico che in perife-ria a volte circola, di un partito piramidale, di un partito troppo verticale, frut-to e prodotto di un ceto autoreferenziale e chiuso, a Roma come in periferia.Credo che questo non corrisponda al vero, le stesse feste del PartitoDemocratico che si sono susseguite in queste ultime settimane, confermanoche questa accusa è destituita di ogni fondamento. Questo partito è vivo equesto partito credo che sia, già dopo un anno dalla sua costituzione, forte-mente radicato. Credo che se c’è una cosa a cui dobbiamo dare forza, se c’èun’evidenza, una domanda a cui dobbiamo dare una risposta oggi, noi credoche la stiamo dando, sia pur con mille limiti, è quella di trasformare questo

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Partito Democratico in un vero Partito Democratico anche al suo interno. Noilo diciamo da tempo, le liste bloccate non ci appartengono, né con le prima-rie, né come sistema elettorale. Credo che su questo siamo tutti d’accordo,però visto che arriviamo da una scuola che dice - lo sanno bene i miei amicia quel tempo del Movimento Giovanile della DC, che aveva già in Dario unodei suoi punti di riferimento - che la credibilità di una classe dirigente derivasempre e c’è nella misura in cui la legittimità democratica dal basso precedesempre l’investitura dall’alto. Ebbene, sulla base di questo assunto vi debbodire che a Torino, non so se ho fatto bene o male, ma ci credevo, ho firmatol’appello dell’UDC per il reintegro delle preferenze, sapendo molto bene chela proposta del Partito Democratico per le politiche nazionali è un’altra.Condivido, il doppio turno alla francese, il ritorno ai collegi uninominali, macredo che in questa fase sia molto importante anche al nostro interno, e nonmi rivolgo soltanto alla base cattolico-democratico-popolare, trasmettere unmessaggio preciso e cioè, se la classe dirigente è credibile, è seria, può riscuo-tere anche un successo ed è capace di legare le istituzioni al paese reale, diridurre la distanza tra politica e paese reale nel momento in cui ritorna il cit-tadino protagonista nella scelta dei suoi rappresentanti. Tutto questo aspetto,il ritorno alle preferenze, non è il vangelo, ma è una linea attorno alla qualenoi dobbiamo muoverci. Questo lo dico anche perché la direzione regionale,e permettetemi questa citazione piemontese di qualche settimana fa, ho sen-tito l’amico Stefano Ceccanti, che è un autorevole consigliere del nostrosegretario sui temi istituzionali ed elettorali, farci una lezione sulla degenera-zione della preferenza sia singola che multipla. Ha avuto qualche reazionenegativa, vista la sua esperienza politica, ma al di là delle questioni persona-li, lo dico perché troppi nel nostro partito, non certamente nell’area popolaree cattolico-democratica, sono tiepidi, se non pregiudizialmente contrari a que-sto assunto, che resta uno degli assunti centrali della nostra presenza in poli-tica, e cioè il radicamento territoriale, il radicamento sociale, la categoriadella militanza. Un partito popolare aperto ma fortemente integrato nellasocietà, restano i capisaldi essenziali attorno ai quali si legittima e si giustifi-ca anche la nostra presenza in politica.

Ecco perché il tema delle preferenze, il tema della selezione della clas-se dirigente che parte dal basso è un tema strettamente intrecciato anche alnostro modo d’essere in politica e credo che sia un tema intorno al quale noidobbiamo condurre una battaglia. Lo diceva bene ieri Beppe: politico e cul-

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turale fino in fondo, perché non è un elemento ornamentale, ma è un elemen-to costitutivo della nostra stessa presenza politica.

Terza ed ultima considerazione. Io credo che, e questo lo voglio diresoprattutto a Castagnetti, quando nella vita, poi sentiremo cosa ci dirà su que-sta fondazione a cui io attribuisco molta importanza, ma questa presenza deicattolici democratici, questa cultura popolare credo che oggi come non maisia molto importante nella definizione del profilo e del progetto politico delPartito Democratico. Io credo che il PD oggi debba esprimere, e questo mipare che Veltroni lo stia facendo bene, una linea di opposizione chiara ed effi-cace. Ho sentito molti commenti in questi ultimi tempi, anche di amici dellaperiferia, che mi dicono, ma com’è questa storia che un giorno c’è la derivaputiniana, poi apriamo La Stampa di Torino, tre giorni dopo e leggiamo chel’autore della deriva putiniana potrebbe diventare Capo dello Stato. Un gior-no leggiamo che il dialogo ormai è rotto definitivamente, tre giorni dopo leg-giamo che ci sono dei giudizi diametralmente opposti e qualcuno dice che sipotrebbe pensare ad un governo di solidarietà nazionale. Ora, dico, su questotema io credo che sia importante che anche la linea, il profilo politico del-l’opposizione sia chiaro, sia trasparente, bando a qualunque pendolarismo, noa qualunque sbandamento strategico sulla linea politica, ma sotto questoaspetto - ecco perché il richiamo della fondazione culturale - io credo chegente come noi, che bene o male tutti arriviamo dall’esperienza popolare cat-tolico-democratica, se vogliamo far sì che anche in questa fase difficile dicostruzione di un profilo politico credibile di opposizione, di non cedere… sevogliamo far sì che il nostro ruolo, la nostra funzione, la nostra prospettivanon sia legata ad una riedizione della radicalizzazione dello scontro politicoda un lato o ad una riedizione di un consociativismo fuori luogo dall’altro, iocredo che sia molto importante recuperare il patrimonio storico svolto inEuropa dalle democrazie cristiane, cioè da una tradizione culturale che hasempre anteposto l’interesse generale sull’interesse particolare, che ha sem-pre coltivato la ricerca del bene comune sul bene particolare, che non ha maiceduto ad ogni forma di radicalizzazione dello scontro politico. Credo chesotto questo aspetto, il recupero di quella cultura che ha ispirato quella formadi esperienza politica della Democrazia Cristiana in Europa e anche in Italia,possa essere oggi uno degli aspetti decisivi anche nella costruzione del profi-lo politico del partito, del Partito Democratico.

Un post scriptum finale. Lo voglio dire questo non solo per le parole cheha detto ieri Beppe e per quello che diceva stamattina Franco Marini, ma io

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credo che da questa platea, questa tribuna autorevole, può e deve partireanche un messaggio in questo senso: noi sappiamo di non svolgere un ruolomarginale, lo diceva adesso Farinone, ornamentale o puramente irrilevantenel partito. Sappiamo che questo è possibile farlo nella misura in cui questatradizione ha non soltanto piena cittadinanza nel partito, ma riesce, come rie-sce oggi con Dario e Beppe, cito loro due che sono i vertici del partito, a con-dizionare e ad orientare la linea del PD. Io però mi chiedo, e mi rivolgo all’a-mica Letta, che rispetto per l’attività politica, culturale ed organizzativa, mache senso ha nel momento in cui prendiamo atto che non ci sono 18 tradizio-ni culturali nel Partito Democratico, ma sono tre, quattro, cinque quelle costi-tutive, che senso ha continuare un’azione che rischia non dico di indebolire,perché questa platea conferma il contrario, ma di frammentare e di continua-re a dividere l’area popolare cattolico-democratica. Io credo che se c’è unimpegno che questi amici si devono assumere anche oggi mettendo certa-mente tutto in discussione, sia questo, se il tempo dopo le primarie è il tempodelle piccole convenienze personali, dobbiamo mettercelo alle nostre spalle,è la nostra forza, la nostra tradizione, il nostro futuro (Applausi) è importan-te nella misura in cui l’area popolare e cattolico-democratica riuscirà ad esse-re totalmente unita, e io credo - e voglio dar atto di questo a Dario e Beppe -che una iniziativa come questa sia importante non soltanto per il partito e perquello che potrà diventare domani il Partito Democratico, ma che sia impor-tante anche e soprattutto per ridare freschezza, snellezza, vivacità alla tradi-zione cattolico-democratica e alla presenza dei Popolari nella società italianae nel PD. (Applausi)

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On. Giorgio Merlo

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On. Lapo Pistelli

Se non si fa politica per navigare da un’elezione a un’altra o per asse-condare i sondaggi, questo è un tempo straordinariamente bello ma credoveramente difficile.

QUARTA FASE nasce con un obiettivo molto ambizioso: raccordare sulpiano politico-organizzativo e sul piano politico-culturale una tradizioneimportante che però non deve soltanto rimanere una tradizione. Io penso aimaestri che abbiamo perso nell’arco di pochissimi anni, che sono stati capa-ci di declinare questa tradizione nei loro campi di intervento: Leopoldo Eliae il rigore costituzionale, Pietro Scoppola e le forme della politica, AchilleArdigò e l’evoluzione della società contemporanea, fino a Nino Andreatta eil mercato dell’economia, e tanti altri amici.

Fatemi iniziare questo breve intervento con una citazione che mi serveper lo sviluppo del mio ragionamento. Paolo Giuntella, un altro grandeamico, nel suo libro il cui sottotitolo è “Il diario laico di un cristiano”, scri-ve: “Il cristianesimo non genera identità, almeno non nel senso comune, nondivide, non separa, non permette che in suo nome si possano erigere barrie-re, confini, dogane, espulsioni, identità geopolitiche o culturali. Il Cristo uni-versale non appartiene al suo popolo, appartiene a tutti e tutti trascende, siidentifica in ciascuno e perciò è universale, ha condiviso la condizioneumana, non l’identità di un gruppo, di una civiltà o di una setta”. È compli-cato perché questo punto di partenza ci sfida tutti: essere portatori di un valo-re universale, saperlo declinare in modo universale in un tempo globale e nondiventare qualcosa che si rinchiude. È sempre stata questa la sfida del catto-licesimo democratico da quando siamo nati.

Perché questo tempo è difficile? Perché siamo orfani di padri. È untempo difficile perché, in questa società, corriamo il rischio di fare la parte

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delle cassandre che raccontano perché il mondo non deve andare nella dire-zione in cui va: così finiremmo per essere travolti da un senso comune che vanella direzione opposta. È la ragione per cui io ringrazio molto chi ha orga-nizzato il convegno di aver chiamato come ospiti internazionali - l’anno scor-so e quest’anno - due grandi interpreti del mondo contemporaneo: ZygmundBauman l’anno scorso e Alain Touraine quest’anno. È importante riafferma-re la centralità di un messaggio di Touraine: l’idea che la politica oggi possaavere, al di là delle singole battaglie, un grande obiettivo morale che le con-tiene tutte insieme.

Al Parlamento europeo facevo parte della Commissione economico-finanziaria, dove ho cercato - invano - di raccontare che alcune forme dellafinanza contemporanea avevano bisogno di una forma regolamentare, che glihedge fund erano diventati ormai delle formule algoritmiche che vendevanoscommesse su scommesse, che il castello di carte poteva cadere da unmomento all’altro, e mi sono sentito ripetere per tre anni It’s the economy, stu-pid!, tu non capisci ma questo è il tempo moderno. Oggi non soltanto siamoalla caduta del castello di carte, ma siamo oltre: gli effetti sono tangibili nel-l’economia reale, i produttori di beni e servizi reali sono in ginocchio.

Noi definiamo le istituzioni con la prima persona plurale, con il noi,però siamo in un tempo in cui la narrazione politica istituzionale si declinacon la prima persona singolare, con l’io. Sembra che noi siamo fuori daltempo della storia, ma io penso che non sia un caso che le istituzioni sianopercepite sempre più lontane dai cittadini.

E allora, siamo cassandre o anticipatori di qualcosa che deve venire?Noi siamo quelli che abbiamo raccontato e interpretato una grande visione diun mondo possibile, scommettendo sull’integrazione regionale, sull’Europa.Ma se fallisce questo progetto europeo, cosa resta dopo? Il ritorno delle pic-cole patrie? È di moda essere euroscettici o stiamo anticipando anche qui unrischio di implosione di un grande sogno continentale? Allora, rivendicarequesto tipo di affermazione, anche con il rischio di essere controcorrente,secondo me è particolarmente importante perché la politica - invece del gior-no per giorno, del pezzo per pezzo - dovrebbe offrire una grande struttura nar-rativa del mondo e una grande visione del mondo, in realtà ci sta consegnan-do una politica straordinariamente atomizzata.

Io condivido con Touraine l’idea che non si deve giocare a chi è piùscettico o più pessimista, e che davanti a noi non c’è soltanto il rischio di unapeggiore performance del sistema politico istituzionale mondiale, ma c’è il

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rischio di una implosione di questo sistema e di un’onda di rabbia inconteni-bile che potrebbe travolgere le comode certezze alle quali ci siamo abituati.Se poi pensiamo che negli ultimi quindici anni è entrato sulla scena dei con-sumi e nella sfera della competizione per il potere il 40% della popolazionemondiale che prima non c’era, anche il nostro conto sui rapporti di forzapotrebbe essere quanto meno sbagliato da qui a poco tempo.

Sono d’accordo con chi ha detto che i cattolici democratici non sono icustodi della morale sessuale familiare del paese, che abbiamo qualche ambi-zione di più, ma è anche vero che allora dobbiamo vivere questo tipo di impe-gno con quel grande obiettivo morale al quale Touraine ci richiamava, cioèessere quelli che scommettono sul valore della persona e delle sue relazioniovunque essi si estendano, nel rapporto con le istituzioni, nel rapporto conl’economia, in un tempo in cui sembra che la prima persona singolare sia l’u-nica che conta, in cui la concentrazione è una perdita di tempo e non è più unvalore, in cui l’assunzione del valore di comunità sembra qualcosa attiratosoltanto dai buoni sentimenti. È una sfida impegnativa, perché io non credoche questo sia un tema di moda. Anni fa citavamo nei nostri convegni il socio-logo tedesco Peter Glotz e il modello che lui descriveva, della democrazia deidue terzi, cioè una democrazia che aveva perso il suo valore primigenio per-ché, in società dell’opulenza, la regola della democrazia coincideva con laregola della maggioranza e quindi scandiva una crescente separazione fra chiha e chi non ha. Credo che oggi siamo andati ben oltre perché il tema non èla percentuale, due terzi o quattro quinti, il tema è che oggi siamo davanti auno svuotamento sostanziale e formale dell’istituto democratico, tramite leregole che ci diamo, tramite le prassi delle nostre istituzioni, quindi siamoandati molto oltre, molto avanti.

Prima che arriviamo a un punto di non ritorno, io sono convinto che l’o-biettivo che ci siamo dati, di riorganizzare questa presenza, sia un obiettivoimportante, non per noi, non per traghettarci fino alle prossime elezioni, maper la qualità democratica di questo paese e del mondo in cui viviamo.

L’ultima considerazione che voglio fare è molto molto rapida. Noiabbiamo vari appuntamenti l’anno prossimo. So che tante volte anche il lavo-ro che fa QUARTA FASE è un lavoro traguardato alle scadenze interne delpartito, ai congressi ad esempio e anche molte delle considerazioni che fac-ciamo sono spesso legate alla qualità e allo spessore della nostra presenzadentro al partito. Io mi permetto di richiamare l’attenzione sulle due scaden-ze elettorali che abbiamo l’anno prossimo, europee e amministrative, e per

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una ragione coerente con quello che ho detto: nell’Europa, nel primo tentati-vo di dare sostanza a quel modello della pace perpetua kantiana che vivevadella costruzione di una sovranità superiore, di un sistema di regole capace diimbrigliare le volontà di potenza nazionale, sta un dna formidabile dellanostra storia politica. È qualcosa che non regalerei a nessuno, perché è lì den-tro che vive una delle anime più feconde, più calde, più vere dell’essere cat-tolici democratici, dell’esserlo stati e dell’esserlo ancora. E la seconda conte-sa è quella amministrativa: penso che sia tempo perso dover spiegare quiquanto, nell’idea di comunità, nell’idea di città, nell’idea di relazioni umaneche stanno dentro un contesto di comunità c’è della nostra matrice di riferi-mento culturale. Allora, mi piacerebbe che organizzassimo, certo, la presen-za all’interno del partito, per dire che nel PD c’è casa per i cattolici demo-cratici, a parte il fatto che gli alberi si vedono dai frutti e non dalle radici. Maio penso che la nostra principale fonte di preoccupazione nei prossimi mesisia invece avere una presenza forte, robusta, organizzata, visibile in questecontese nelle quali far vivere, attraverso le nostre esperienze, questi valorinelle competizioni che affronteremo a livello sia locale che europeo.

Molti amici saranno impegnati in queste competizioni, e io credo che sianaturale e ragionevole attendersi che ci sia un sostegno convinto e solidale ditutti noi con tutti quelli che parteciperanno, perché sarà un modo per far rivi-vere fuori dalle aule dei convegni, nella contesa politica, il valore delle nostreradici e la qualità dei nostri frutti. (Applausi).

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On. Lapo Pistelli

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Sen. Emanuela Baio

Credo che si stia sviluppando un buon dibattito, un ottimo dibattito, incui ci troviamo davvero a casa nostra. Stiamo cercando anche di definireancora meglio, come se fossimo un bambino di un anno, perché siamo nati unanno fa, però abbiamo imparato, a camminare, a parlare, quindi a muovercianche dentro questo nuovo partito. Mi sembra che questo passo in avanti siasignificativo, perché raccogliamo anche tutta quella dimensione di disagioche ognuno di noi, soprattutto chi vive sul territorio, raccoglie e cerca anchedi portare qui, ma anche perché mi sembra che dagli interventi, siano emersielementi aggiuntivi che ci permettono di continuare questo percorso. Lo pos-siamo fare anche con una consapevolezza aggiuntiva. Non stiamo più ragio-nando e definendo il nostro essere perché portatori di una radice culturale peraffermare la nostra presenza. Mi sembra che uno dei messaggi che stiamofacendo emergere da questi tre giorni di dibattito, sia quello che noi siamo evogliamo sempre più essere un tutt’uno dentro il Partito Democratico, e que-sto è il passaggio successivo. Allora credo positiva la provocazione che cihanno dato ieri prima Beppe Fioroni e poi Mauro Ceruti, Beppe lanciandoquesta idea di un nuovo Codice di Camaldoli, ripresa anche questa mattina daFranco Marini. Io credo che possiamo, dal punto di vista comunicativo e percreare anche nell’immaginario comunitario nostro l’obiettivo verso il qualevogliamo lavorare, credo che questa possa e debba essere la fotografia che noiabbiamo della realtà, un obiettivo sul quale vogliamo e ci impegniamo a lavo-rare, perché accanto all’evocazione di un nuovo Codice di Camaldoli, ieriemergeva secondo me in modo molto lucido dalle parole di Mauro Ceruti, unconcetto che voglio riprendere perché secondo me ci permette di capiremeglio l’obiettivo verso il quale noi vogliamo essere, stare e creare dentro ilPartito Democratico. Lui diceva che questa nostra società è fatta di quei par-

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ticolari e noi, i nostri partiti, vivono come particolari mentre le grandi sfidedella società avanzano. Ha evocato la crisi finanziaria di questi giorni e hadetto che è una sfida globale.

Allora io credo che dentro questo obiettivo che noi ci diamo, e che evo-cativamente chiamiamo Nuovo Codice di Camaldoli, ci sta proprio questasfida, che noi come partito sappiamo in questo momento essere ancora suffi-cientemente inadeguati per affrontare le sfide che ci attendono, perché la veragrande sfida è proprio quella di saper dare una risposta globale. Lo ricordavaprima Pistelli, anche se con parole diverse da quelle che sto dando io, e lui lofaceva soprattutto in una chiave europea.

Secondo me dentro questo discorso, cioè essere con la nostra identità etradizione, ma essere profondamente riformatori, noi dobbiamo affrontare lanuova sfida antropologica che il mondo ci pone. E allora, guardate, dagliinterventi degli amici che mi hanno preceduto, il continuare ad evocare –lovoglio dire in profonda anche comunione, ma come precisazione per dare uncontributo anch’io - che noi non dobbiamo limitare il nostro essere e la nostrapresenza e la nostra voce sui temi eticamente sensibili, io credo che sia pleo-nastico e superfluo. È logico, è scontato, perché altrimenti non vorremmoessere dentro il partito politico e soggetto politico. La sfida dentro questanuova questione antropologica è la nostra cultura. La cultura che noi portia-mo dentro il Partito Democratico ci chiede di dire la nostra su questi temi pro-prio perché il nostro parere è determinante per la concezione che abbiamodella vita. E allora, anche tutto questo dibattito sul tema della laicità, se guar-diamo solo i testi, i libri che escono su questo tema, sono un’infinità, proprioperché si avverte che oggi la politica è inadeguata ed incapace di raccoglierela nuova sfida antropologica che abbiamo davanti a noi. Quello che un tempoera il momento iniziale e finale della vita, era un momento proprio, propriodella persona e proprio della famiglia. Oggi invece l’aspetto tecnologico escientifico impone purtroppo, mi permetto di dire, purtroppo impone allapolitica di saper dare una risposta. Allora la nostra cultura diventa una cultu-ra che arricchisce. Ciò che secondo me dentro il partito deve essere più chia-ro e più armonico è questo. Sembra che questo pezzo di cultura nostra sia unacultura che si aggiunge e in alcuni momenti diventa qualcosa che disturba.

Io credo che invece la sfida di fronte alla pluralità della nostra società ealla complessità della nostra società sta nel far sì che la nostra cultura, insie-me alle altre culture, deve cercare di trovare una sintesi ma in questa sintesi,quello che noi portiamo, è alla pari degli altri. Quello che manca oggi, che è

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sbilanciato dentro il nostro partito, è che quello che noi siamo e vogliamo por-tare, sembra essere non alla pari. Se noi sulle questioni antropologiche essen-ziali, che è il momento iniziale e finale, sappiamo giocare in modo collabo-rativo e integrandoci al massimo in questa sfida, sicuramente la nostra vocesarà presente sulle altre grandi attese della società. Cito solo i titoli, pensateal confronto inter-religioso, agli aspetti che riguardano il tema della integra-zione, dell’accoglienza e dell’integrazione di persone che vengono da paesi,da culture, da religioni diverse. Pensate all’interrogativo delle nuove povertàche emergono. Se noi siamo capaci di far sì che il nostro contributo culturalesia alla pari con gli altri contributi culturali e quindi diventa integrante sullequestioni a cui facevo riferimento prima, allora anche la sfida su questi altritemi credo che diventi ancora più incisiva e più determinante per il partito.

Se noi non siamo capaci di rendere la nostra cultura alla pari e se nonviene considerata alla pari da chi viene da culture diverse, noi non siamocapaci di vincere la nostra sfida per la costruzione del Partito Democratico.Credo che invece questo sia uno degli elementi, non l’unico chiaramente, maè uno degli elementi determinanti per trovarci qui l’anno prossimo e dev’es-sere uno degli obiettivi della costruzione di questo prossimo anno. Oltretuttoa livello parlamentare ci sono dei temi da affrontare non indifferenti da que-sto punto di vista. Al Senato stiamo affrontando proprio le dichiarazioni sulfine vita, ma stiamo affrontando il tema della riforma elettorale europea, stia-mo affrontando anche il tema della risposta ai bisogni della famiglia, quindipossiamo mettere insieme. Io credo che il prossimo anno potremo fare unulteriore passo in avanti, se saremo stati capaci di costruire, così come que-st’anno, pure in mezzo a molte difficoltà, però abbiamo costruito la nostrapresenza, ormai ci sentiamo un tutt’uno all’interno del partito, a differenza diun anno fa. Io credo che il prossimo anno potremo ridarci appuntamento esapere che abbiamo contribuito davvero a costruire un soggetto politico cheè uno strumento, ma che ci permette di costruire un bene comune migliore,diverso, globale all’interno della società. Grazie. (Applausi)

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Sen. Emanuela Baio

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Sen. Tiziano Treu

Credo che abbiamo fatto bene a dare questo titolo e ad affrontare questiproblemi di fondo nel dibattito, perché sono temi di fondo, come ha già dettobene Touraine. Qui non sono in gioco questioni di dettaglio, anche gravi,come la turbolenza finanziaria, sono cambiate le basi materiali, come si usavadire, cioè le basi sociali e le basi economiche su cui si era costruita la demo-crazia storica. Anche per chi non concepisce la democrazia come procedura,questo richiama la necessità di un ripensamento a fondo che stiamo appenacominciando a fare. Io credo che un partito che voglia essere nuovo, come ilPartito Democratico e che voglia dare risposte alle paure, alle inquietudini,deve appunto andare al di là delle tattiche o delle questioni pure importantiinterne, per affrontare questi temi di fondo. C’e bisogno ovviamente pescan-do nelle identità. Qui ci sono la nostra tradizione e io non ho una storia poli-tica popolare ma sono vicino alla tradizione cattolico-democratica e se vole-te anche cristiano-sociale. Qui ci sono radici forti. Naturalmente lo dico per-ché ogni tanto ho sentito qualche accenno un po’ nostalgico ovviamente, equesta valorizzazione è per evolvere, per confrontarsi con gli altri, perchénessuno ha la risposta in tasca, senza complessi di inferiorità. Non vedo per-ché dovremmo avere complessi di inferiorità. Oltretutto, su molti di questitemi la tradizione socialdemocratica è molto più spiazzata di tante altre, matant’è vero che ogni tanto fa degli sbarellamenti verso un liberismo un tanti-no ingenuo.

Comunque io su questi punti voglio fare due osservazioni di fondo, poibisognerà svilupparle e un po’ l’abbiamo fatto con Ceruti nel contributo cheha scritto. Uno: le basi sociali, questa disgregazione, la rottura dei legamisociali tradizionali, non parliamo del concetto di classe, come reagire per nonandare nell’individualismo disperato che si vede in giro? Touraine dice che

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bisogna recuperare e ricomporre addirittura l’individuo in tutte le sue dimen-sioni, che è un obiettivo, come dire, assolutamente difficile, complicato. Quic’è da interrogarsi, perché noi abbiamo una tradizione culturale e politica cheera molto apertA. Quella della sinistra, molto schiacciata sul collettivismo,sull’eguaglianza in senso statico, quindi l’idea della gestione delle differenzeproprio assolutamente estranea. Da un’altra parte, siamo abbastanza preoccu-pati di questo individualismo che poi porta alla paura, alle reazioni. Data lanostra sensibilità, direi, attenzione a non buttarsi nel comunitarismo chiuso, equi Touraine, essendo francese, ha fatto più facilmente di noi un caveat sulpunto. Quindi noi dobbiamo vedere di trovare un punto solido per fare que-sta ricostruzione. La politica ha un compito di aiutare, non è che lo può fare,ma aiutare la ricomposizione dei legami sociali. Insomma, scaviamo in alcunifiloni che esistono, i filoni solidaristici, oppure gestione moderna della sussi-diarietà. Ma della sussidiarietà, attenzione non nella capacità totale dellasocietà di autogovernarsi, perché anche la società è andata un po’ fuori con-trollo. Il problema infatti è di vedere di rimetterla insieme. Io credo che que-sto sia un punto su cui noi possiamo dire qualcosa. Dovremmo lavorare sulleaggregazioni sociali vecchie, che non sono perdute, il sindacato, quelle nuoveche sono un po’ fragili. Innestare la valorizzazione dei corpi intermedi con lapartecipazione istituzionale, perché infatti noi dovremmo prestare molta piùattenzione al rapporto tra istituzioni locali e welfare territoriale. Queste azioniche danno concretezza a questa società che cerca di trovare la bussola, e poil’individuo si ricompone, non da solo, si ricompone dentro il tessuto sociale.Questo è un accenno, ma io credo che questa sia una pista molto importante.

Anche la nostra idea del welfare, tra l’altro a chi già in passato aveva par-lato delle società di cura, di come questo può essere un terreno in cui si prati-ca questa ricomposizione sociale e anche diventa un terreno di valore politico,sia pure indiretto, quindi su questo punto credo che dovremmo approfondireper non cadere appunto, per non oscillare fra un ritorno alla vecchia ugua-glianza, oppure a un disperato individualismo o comunitarismo chiuso.

Sul versante economico, ma qui secondo me non ne abbiamo parlatomolto, ma guardate che in questo periodo dove abbiamo questa perturbazio-ne finanziaria terribile, c’è il rischio non solo di farsi prendere dal panico,oppure di pensare che basti metterci una pezza, stabilizzare i subprime piut-tosto che gli hedge fund, no, perché le radici - e anche qui bisogna andare infondo - le radici della crisi finanziaria stanno nella mancanza di regole sullafinanza, certo, ma stanno in un’alterazione della struttura economica. È cam-

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biato inavvertitamente un modello equilibrato in fondo del capitalismo di unpo’ di anni fa, leggete Krugman, che parla del capitalismo americano che nonè certo sospetto e dice, ma in fondo, venti o trent’anni fa, c’era un equilibriotra esigenza e solidarietà, in America. Non c’era una ripartizione delle quotedel reddito equilibrato tra lavoro e capitale. In questo è saltato, la quota e ilvalore del lavoro. Il valore ideale ma anche il valore materiale ha perso ter-reno, si sono esaltati i profitti facili, ancora di più i profitti nelle aree volatilidella finanza. Questo cambia strutturalmente le basi economiche del nostromodello. Noi non ce ne siamo molto accorti perché in Italia, ma anche inEuropa, questo slittamento è stato più lento, però guardate che anche noiabbiamo cambiato e alterato le quote di reddito e quindi anche di peso nellasocietà, e su questo come intervenire?

Stamattina abbiamo sentito Marcegaglia e Bonanni fare un discorso sulnuovo modello contrattuale che c’entra con questo, perché uno dei motivi percui si è perso terreno da parte del lavoro è che non avendo una dinamica retri-butiva legata alla produttività, diventa meno conveniente in fondo, per l’im-presa e al limite si rassegnano i lavoratori a stimolare questa partecipazione.Quindi abbiamo favorito una perdita di potere di senso del lavoro. Quindidobbiamo intervenire lì, ma - l’ultima cosa che voglio dire - qui in realtà è ingioco il modello di sviluppo, il ruolo che dobbiamo dare allo Stato nel cor-reggere questi difetti, nell’indirizzare.

Vedete, anche qui, se c’è questo dibattito della terza via che noi ognitanto abbiamo, possiamo liquidare Blair però tutto il tentativo del new labourera un tentativo di trovare un modello di sviluppo economico più attento allaqualità, più equilibrato tra i valori dell’efficienza e i valori di un welfaremoderno, Tremonti è uscito con l’economia sociale di mercato. Mi sonoandato a vedere la nostra tradizione dell’economia sociale di mercato e anchequello era un tentativo, l’ha detto Tremonti, che ha risvegliato il campanello.Anche quella era allora una strada che voleva conciliare e cambiare unmodello di sviluppo più attento sia al mercato, ma anche non succube dell’e-conomia, capace di regolarla, non mescolandosi in modo collusivo ma inter-loquendo, eccetera, eccetera, quindi noi dobbiamo riprendere queste cose evedere se in questo contesto così perturbato noi possiamo approfondire undiverso modello di sviluppo, ossia più attento non solo alla qualità, ma ai benipubblici in cui lo Stato abbia un ruolo significativo senza tornare al vecchiodirigismo. Io proporrei che una volta o l’altra, non so dove, se lo facciamo quio se lo facciamo magari nel partito, io devo dire che sento molto il bisogno di

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fare dei dibattiti nel partito, e anzi, ringrazio anche per questo perché è unadelle poche volte che mi trovo a sentire un discorso di fondo, quindi mi famolto piacere (Applausi) Sapete che io sono sensibile a questo, perché nonfacciamo una volta una discussione a porte chiuse su questo tema, che ne èdel modello sociale di mercato? che ne è della terza via di Blair? E chi più neha più ne metta. Non so: il zapaterismo ammesso che sia una terza via anchequella, insomma, per vedere qual è il mercato politico intellettuale su questopunto, che è un punto fondamentale, se vogliamo ricostruire i fondamentieconomici in questo caso della democrazia. A proposito, lì forse bisognavamettere democrazia sociale, democrazia economica, democrazia politica, per-ché insomma, l’individuo si nutre anche di economia.

L’ultimissima cosa che voglio dire, noi qui abbiamo parlato molto deifatti nostri, cioè non solo dei fatti del partito, ma anche dei fatti nostri. È chia-ro che l’economia e i problemi nazionali sono fondamentali anche in unmondo globale. C’era quel tale che diceva, se vogliamo fare una cosa globa-le, che sia fatta bene, non solo ci vorrà tanto tempo, ma dovrà poggiare sugoverni nazionali stabili che vadano nella stessa direzione, altrimenti noncostruiamo nessuna governance globale e neppure a livello d’Europa. Peròanche il discorso sull’Europa andrebbe fatto meglio perché noi siamo statitroppo rassegnati a che l’Europa fosse prima un grande mercato, tra l’altroneanche equilibrato perché i mercati protetti hanno continuato, secondo unagrande moneta, mentre adesso scopriamo il bisogno enorme di un governodell’economia che però non sappiamo bene come farlo, perché non è cheadesso il governo dell’economia europeo si interessa solo per metterci unapezza sui buchi delle banche. A noi l’idea che il governo dell’economia inEuropa sia un modello sociale europeo dovrebbe servire ad aiutarci a trovareuna strada comune e non solamente a mettere le pezze sulle crisi. Io mi augu-ro che questi discorsi vadano avanti nel partito, perché tutti noi qui abbiamomolte energie per contribuire, ma io penso che dobbiamo contribuire al parti-to e a una crescita di questa creatura di un anno che, come diceva Marini sta-mattina, fa fatica a crescere, ma io penso che crescerà. (Applausi)

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Sen. Tiziano Treu

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Sen. Lucio D’Ubaldo

Noi un primo dovere, fra i tanti che abbiamo, lo dobbiamo qui in parti-colare all’esame che facciamo, che stiamo portando avanti da stamattina sullacrisi che tormenta le famiglie, una crisi spaventosa. Una forza politica nonpuò essere la cassa di risonanza di tutti i timori, non può limitarsi a fotogra-fare l’angoscia collettiva, altrimenti perde il suo ruolo, la sua funzione, la suaresponsabilità. Innanzi tutto credo che, se non vogliamo sostituirci agli anali-sti finanziari, noi dobbiamo trarre da queste vicende che sono apparse inmaniera così minacciosa in questi ultimi giorni, in queste ultime settimane,con un primo rendiconto che sarà probabilmente destinato ad incidere neiprossimi mesi e nei prossimi anni, il fatto cioè che l’America perde la suacentralità. Lo vedremo all’indomani del 4 novembre. Sarà importante capirechi vince, ma certo l’America non è più quella verso la quale noi abbiamoguardato in questi decenni, perché, certo, è complicato capire quello che stasuccedendo, ma anche un osservatore sprovveduto può capire che quando ilmitico piano Paulson che immette o dovrebbe immettere sul mercato 700miliardi di dollari e in realtà se non interamente, in gran parte è costituito danuove obbligazioni che qualcuno deve acquistare sui mercati internazionali,la domanda più semplice è, chi l’acquista questo nuovo debito che è in capoall’America? Chi finanzia l’innalzamento del deficit corrente che secondo glianalisti si sposterà dal 3% al 6%? Qui la domanda non corre lontano. Gli unicigrandi paesi che hanno risorse sufficienti per venire incontro all’America inprimo luogo e poi a tutto intero l’Occidente sono i paesi asiatici, e la Cina inmodo particolare. Ma fino ad oggi i governanti cinesi non hanno pronuncia-to nessuna parola, quindi noi facciamo anche bene a dire che i mercati sonoimpazziti, ma se noi fossimo tutti quanti degli operatori di borsa, credo che ciconforteremmo con la stessa logica, perché in assenza dell’unica risposta fon-

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damentale che conta, cioè chi mette liquidità nel sistema internazionale, chi èdisposto a muoversi, e in che misura e in che modo, è evidente che gli opera-tori non possono che comportarsi in questa maniera, basta a questo puntorilanciare l’asse atlantico, l’asse tra America ed Europa? No, non basta piùneppure quello. Ecco perché la nostra analisi va aggiornata e lo possiamo farenoi che storicamente siamo stati sempre leali, rispettosi, amici dell’America,ma dobbiamo essere anche capaci di vedere qual è lo scenario futuro.

Di fronte alla crisi ci sono atteggiamenti diversi. Questo va colto subitoe bene, perché anche nei comportamenti delle autorità politiche si vede la dif-ferenza. Quando il Presidente degli Stati Uniti invita a non avere paura, lo fada Presidente degli Stati Uniti. Quando Berlusconi dice agli italiani non vipreoccupate, la sensazione che trasmette è che lo dica non come Capo delGoverno, fa di tutto per apparire come un politico non politico che, trovan-dosi casualmente nelle stanze di Governo, dà qualche consiglio come se fosseun abile operatore. Ma questo svilisce le Istituzioni. Noi dobbiamo colmarequesto vuoto. Dall’opposizione dobbiamo svolgere questa funzione criticaperché qui non è gioco il fatto che spostiamo in avanti o indietro il confine trala credibilità nostra e quella della maggioranza. Qui è in discussione la credi-bilità, agli occhi degli italiani, delle istituzioni e del Governo dellaRepubblica. È tutto un procedere così. Come ha vinto Berlusconi, per esem-pio? Ha vinto mandando un messaggio subliminale, poi subliminale fino a uncerto punto, perché la polemica contro Visco è stata una polemica serrata,continua, durissima. Noi siamo stati accusati in campagna elettorale di esse-re quelli che avremmo continuato a dissanguare gli italiani mettendo più tassee soprattutto strozzando l’economia reale con atteggiamenti vessatori sulpiano del fisco. Dopo pochi giorni dalle elezioni, il Governo prepara unafinanziaria - lasciamo perdere se la presenta e l’approva in nove minuti oundici minuti, questo non conta molto - però fa un’operazione che in praticadice che la pressione fiscale come tutti ben sappiamo non muterà, e oggi ilPremier dice anche che dobbiamo rilanciare l’economia e le risorse per rilan-ciare l’economia dobbiamo prenderle da una maggiore, più alta e più intensalotta all’evasione tributaria. Quindi vuol dire delle due l’una: o avevamoragione noi in campagna elettorale, e allora vogliamo restituito il nostro onore(Applausi) oppure aveva ragione Berlusconi in campagna elettorale e ha tortooggi il Premier a fare queste proposte che sono nettamente in contraddizione.

Noi continuiamo a vivere di suggestioni estemporanee, anche sul fede-ralismo siamo nel mare delle nebbie, perché non sappiamo che cosa il

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Governo chiede al Parlamento, voi sapete bene che si tratta di una delega.Quando nel’92 il Governo Amato chiese la delega per istituire quella chesarebbe diventata l’imposta immobiliare destinata al finanziamento dei comu-ni, era ben definito l’ambito, e difatti nasce in quel momento un’imposta chia-mata ICI. Oggi siamo di fronte ad una evanescente prospettazione. Si dice:dobbiamo attribuire agli organi di governo territoriale e regionale, tributi pro-pri. Quali sono, su chi incideranno, come verranno concepiti? Non si dice. Equindi il Parlamento dovrebbe espropriarsi della sua propria funzione legisla-tiva delegandola al Governo, non sapendo esattamente di che cosa stiamo par-lando.

Ma questo non è sufficiente, cari amici. Perché poi in fondo, ancheall’interno nostro, non tanto qui in questa sala tra di noi, ma all’interno delPartito Democratico, c’è chi dice, che il federalismo è necessario. Non dob-biamo essere una ruota di scorta. Dobbiamo essere anche propositivi.Attenzione chi si mantiene lungo questa linea evocativa, suggestiva, un prin-cipio che per quanto corretto, fortunatamente un po’ è corretto in questi ulti-mi mesi, lascia sempre intendere che le regioni dove si produce più ricchez-za dovrebbero essere autorizzare in qualche misura a trattenere quote aggiun-tive di ricchezza. Perché questo disegno non può andar bene? Perché se noiabbiamo a cuore un disegno politico lungimirante, noi dobbiamo capire checosa stiamo proponendo al paese. Non c’è solo la questione che stamattinaevocava Franco Marini, e cioè che l’economia del nostro settentrione va via,avanza, si rafforza per il contributo importante degli immigrati, ma il rappor-to dello SVIMEZ recentemente ha detto che se non si corregge la ripresa innegativo del nostro fortissimo dualismo nord-sud, nei prossimi anni avremolo spopolamento progressivo del sud, 3 milioni di abitanti in meno, e avremo5 milioni di abitanti in più nel settentrione, cioè nelle aree dove noi abbiamopiù carenze oggi di infrastrutture, di mobilità, eccetera. Se non correggiamola nostra linea di sviluppo andremo a caricare con l’immissione di 5 milionidi cittadini in più altri pesi e altre incombenze.

Ecco perché noi dobbiamo riprendere una linea responsabile ma inten-sa di dialogo sì, ma anche di confronto serrato, e chiarirci bene sulla lineapolitica.

Il Partito Democratico è un partito nuovo, ma non basta dire che è unpartito nuovo, altrimenti noi che veniamo dalla Margherita sappiamo che conquesto slogan siamo destinati a logorarci, dobbiamo anche capire che è unpartito nel quale la storia della sinistra si riassume per larga parte ed è una sto-

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ria che vive anche di immagini, di ideali, di modelli operativi. Pensiamo ades-so alla manifestazione del 25 ottobre. Per noi è una manifestazione, ma se voileggete, Bettini, sembra, in una prosa dannunziana, di essere di fronte ad unevento epocale, qualcosa che appunto è nel codice genetico di una storiaanche ideologica forte della sinistra italiana. Possiamo immaginare che que-sto partito che non scioglie questi nodi diventi un partito non di centro, vabene, ma centrale, cioè capace di affidare nuovi consensi, di vincere dove sivince in una democrazia dell’alternanza, cioè al centro, nell’area intermediadell’elettorato. Questa è una domanda che dobbiamo farci con molta serietà.

Io penso - e mi avvio alla conclusione - che è finita con questa crisi eco-nomico-finanziaria una stagione nella quale i nostri valori potevano essere sìricompresi nello scenario del centrosinistra, certamente nel centrosinistra quiin Italia, ma in un certo senso nella logica di quello che a un certo punto èstato chiamato l’Ulivo mondiale. Li ricomprendevamo, però a fatica. Perché?Perché l’asse, chiamiamolo così, egemonico, era dato da quel rapporto lib-labin cui un certo liberalismo avanzato si coniugava con un certo ammodernatolaburismo e in questa combinazione, certo, entravano anche i valori della soli-darietà, dell’equità, quindi valori genericamente ascrivibili alle nostre moti-vazioni politiche, ma certo queste motivazioni non erano centrali.

Oggi, la crisi a cui perviene il capitalismo senza regole, indebolisce que-sto asse lib-lab e restituisce - ecco l’occasione storica che abbiamo, non solodentro il Partito Democratico, ma attraverso il Partito Democratico anche neicontesti politici internazionali e in primo luogo in Europa - restituisce a noi,a noi che abbiamo sempre avuto una motivazione più ampia di quella cheparte dall’economia e torna all’economia, per essere, se non egemoni, deter-minanti. Ma allora dobbiamo trasformarlo questo partito. Trasformarlo nonsemplicemente accettando l’idea che qualcuno è un po’ di più, qualcuno è unpo’ di meno, che noi dobbiamo essere - ho sentito la Baio - alla pari, ma iopenso che dobbiamo introdurre l’idea che chi ha più filo da tessere lo devetessere questo filo e vedere fino in fondo dove può andare un grande partitopopolare, nel senso di un grande partito che ha a cuore la capacità di rappre-sentanza degli interessi popolari, un grande partito che sappia parlare al cuoreprofondo del paese, un grande partito che trovi l’equilibrio al suo interno, chenon è fatto di composizioni tra classi dirigenti. L’impressione che abbiamo, alcentro come in periferia, è che nello stare insieme noi mettiamo una caricaideale di passione politica e anche di contenuti che sono più o meno definibi-li secondo categorie vecchie o nuove, non ha importanza, ma sono esistenti,

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sono ancora vivi. Se noi parliamo di europeismo, di solidarietà, di sussidia-rietà, se parliamo di economia mista in un senso nuovo, sono tutti valori cheappartengono al nostro codice genetico e noi non abbiamo fatica, non faccia-mo fatica a rinnovarli e a riproporli.

Ebbene, il problema nello stare insieme, anche questo oscillare per cuila sinistra diventa improvvisamente iper-liberista, è perché c’è uno svuota-mento ideale, c’è uno spaesamento.

Ecco, vorrei concludere Dario Franceschini lo ricorderà bene e credoche una volta lo abbia anche detto in un’assemblea - in altri momenti, in altreepoche noi abbiamo ascoltato un grande segretario D.C. Benigno Zaccagnini,dire di fronte a Berlinguer che proponeva per il suo Partito Comunista unadefinizione inedita, “Il Partito Comunista è un partito di lotte di governo”;Zaccagnini disse, “Attenzione, anche la Democrazia Cristiana è un partitogradatamente rivoluzionario”. Cioè significava addirittura la DemocraziaCristiana, un partito complesso, dentro vi erano spinte, motivazioni e scelteche non andavano in direzione della conservazione, ma in direzione del cam-biamento. Però quella forza la Democrazia Cristiana sapeva coniugarla conun disegno di governabilità e quindi con un progetto di stabilità e quindi conuna proposta suadente soprattutto per una borghesia che fino a ieri è statapresa dalla smania di concepire la modernizzazione come una modernizza-zione di costumi.

Oggi, di fronte a questa crisi, il sentimento collettivo cambia. Lo dico-no bene i francesi, i bo-bo, i bourgeois bohèmien. Oggi questi borghesi bohè-mien, che stanno a sinistra non perché immaginano una diversa distribuzionedella ricchezza, ma perché sono magari a favore di sempre più estesi diritticivili, io non credo che costituiscano l’asse portante di una nuova propostapolitica. È tempo che noi ragioniamo su questa nuova grande proposta politi-ca, ce ne facciamo promotori e senza falsi orgogli, ma senza neanche averetroppi timori, la proponiamo con coscienza e con consapevolezza al paese.(Applausi)

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Sen. Lucio D’Ubaldo

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Edo Patriarca

Grazie a voi e grazie per l’invito. Io, vi porto un punto di vista forsediverso, forse utile per la discussione che da questa mattina, da quando alme-no sono qui presente, ho seguito con grande interesse. Tante le condivisioni,tante le convergenze. Trasferisco il punto di vista di quelli come me, e tanticome me, in questi anni, in questo lungo decennio hanno lavorato nell’asso-ciazionismo, sia laico che cattolico, hanno costruito reti, hanno costruito spe-rimentazioni, hanno fatto politica, hanno fatto welfare, hanno fatto sussidia-rietà. Vi porto questo punto di vista perché è quella parte di società cosiddet-ta civile che è buona, che magari non sposta milioni di voti, che però produ-ce sapere sociale, produce politica, produce nuove cose, nuove parole, ed èutile farci attenti a questo sentire.

E allora, rispetto alla vicenda del Partito Democratico - tra l’altro iosono stato uno dei fondatori, dei tremila e passa fondatori - qual è la perce-zione che si ha? Alcuni lo hanno già detto questa mattina. A me preme riba-dirlo non tanto per fare un po’ di pessimismo, fare il Pierino della mattina, odel pomeriggio, ma per farvi attenti anche a questo sentire e il sentire di que-sto mondo molto cattolico e non solo, e che ancora oggi è un partito giovane,lo si è detto tante volte, manchi un centro di gravità permanente, per dirla allaBattiato, cioè che sia sempre più urgente far capire alle persone, alle comu-nità quale sia la visione, il punto di vista del Partito Democratico rispetto alfuturo del paese. Questa è una situazione molto sentita e molto condivisa. Èun disagio che non si manifesta pubblicamente, ma che viene in qualchemodo incontrato, quando ti incontri nelle parrocchie, quando vai magariall’assemblea diocesana, quando partecipi a qualche convegno associativo. Eallora è questo desiderio, questa aspettativa di far capire qual è il centro digravità permanente. È un’esigenza improrogabile, un anno è poco, ma biso-

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gna fare presto. Allora capite che non fa bene quando tu per un’estate interati leggi sui giornali il dibattito tra Veltroni e D’Alema, perché molti di noidicono, ma che c’entra? Eppure io tutta l’estate ho letto questo dibattito. E lagente non capisce, perché o discutiamo del paese, del suo futuro, e anchedelle diverse opinioni, oppure, perché questo dibattito che sa che di antico?Tra l’altro un dibattito tra persone che non fanno parte per esempio della miastoria politica.

Io credo che il PD, all’inizio lo ha ribadito Fioroni e oggi anche FrancoMarini mi pare che abbia fatto un intervento che ho condiviso grandemente,debba ribadire questa sua funzione repubblicana, passatemi questo termine,cioè di un partito che è nato per il paese, non è nato per sé stesso. Non è natoper conquistare qualche posto in più. Non è nato neanche per contrastareBerlusconi. È nato perché è un partito che ha a cuore il paese, è repubblica-no, cioè ha l’ambizione di disegnare un nuovo spazio pubblico, ha l’ambizio-ne di disegnare un futuro, ha l’ambizione di immaginare più libertà e più giu-stizia per questo paese. Credo che questo vada detto, anche nei comporta-menti quotidiani. Ci siamo solo e soltanto per il bene di questo paese. Sediamo impressioni, a volte anche in buonissima fede, di altro tipo, veniamorappresentati come antichi, vecchi, antiquati, inutili. Ma per fare questo credoci voglia - è stato ribadito più volte - una solidità culturale. Non dobbiamo piùdare l’impressione che il Partito Democratico sia nato sul vuoto, sia una sortadi frullato insipido delle culture che lo hanno originato. A me piace molto ilminestrone con i pezzi di verdura ancora intatti, mi piace sentirlo quandomangio il minestrone. La mia mamma mi ha fatto sempre questa proposta, dabrava abruzzese, poi i frullati della consorte mi piacciono un po’ meno, mipiace sentire la carota, mi piace sentire il sedano… è questa la metafora chedobbiamo usare. Poi questo dà un sapore, ma non dimentico i sapori chefanno di un minestrone il buon minestrone. Ho avuto la sensazione in questoavvio, anche con questi giochi, questi passi avanti e poi ritorni indietro, chefosse più vincente, dominante la metafora del passato di verdure.Riproponiamo invece il minestrone, fatto di pezzi, buoni, che sanno poi com-penetrarsi, sanno costruire poi cultura nuova, cultura per il futuro.

Quindi occorre solidità, fermezza. Allora propongo quattro esempi e duevirtù che dobbiamo praticare, che si cerca di praticare: una è la fedeltà. Le perso-ne che Beppe Fioroni ieri, ha ricordato, noi le ricordiamo perché hanno costruitoil futuro nel loro tempo presente, non sono santini. La fedeltà a quelle persone, aquella storia è solo e soltanto se siamo capaci di giocarla nel creare cose nuove.

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Andreatta va ricordato perché nel suo tempo ha dato tanto, altrimenti non loricorderemmo, lo diceva Lapo Pistelli. Allora la fedeltà va giocata non come san-tini da dichiarare, ma una fedeltà che sa giorno dopo giorno creare nuovo.

L’altra virtù, che è la virtù dell’inizio dovrebbe essere la nostra virtù, lavirtù del Partito Democratico, quella del coraggio, è di stare su questioni chenel breve tempo non hanno grande riscontro nell’opinione pubblica, ma chesono, sappiamo, buone, sono cose buone perché sono state praticate, le abbia-mo sperimentate negli anni. Qualcuno diceva: la storia viene da lontano. Acosto di apparire inizialmente un po’ desueti e un po’ antichi, e provo a direquattro punti su cui esercitare il coraggio, e la solidità, e la fermezza di chi sisente di avere un po’ di ragione rispetto al bene comune e una a me pare que-sta follia che ci propone la cultura di oggi e molta politica, l’elemento dellasocietà chiusa, è questo il modello che ci si sta proponendo, facciamo i muri,l’approccio identitario noi siamo per la società aperta, bisogna dirlo, siamoper la società aperta. Certo, rischiosa, ma è quella la prospettiva. Il cattolice-simo politico democratico è nato per questo. Non possiamo acconsentire amodelli che ci ripropongono un percorso identitario chiuso, fondato sullapaura e sulla sicurezza. Non sta né in cielo e né in terra, ma guardate, non stané in cielo e né in terra, ma non perché siamo bravi e buoni, e magari boy-scout, ma perché non funziona, non è questo il futuro. I poveri saranno tute-lati in una società aperta, le società chiuse sono corporative, penalizzano lecategorie sociali più deboli. È questo che va detto. Se vogliamo avere a cuoregli ultimi: l’unico modello proponibile sono le società aperte. Certo, dagovernare, certo. È questa la storia, credo anche del cattolicesimo democrati-co. De Gasperi, dopo la fine della guerra, con l’Italia distrutta, poteva farealtre scelte. Poteva immaginare l’Italia rinchiusa a difesa del suo cortile,eppure fondò l’Europa, aprì, non si rinchiuse, non propose un’Italia, ahimè,che si leccava le ferite, rilanciò, ed insieme ad altri fondò l’Europa. Questovuol dire ragionare al futuro e proporre un modello di società aperta.Coraggiosamente. Sono temi scomodi oggi, lo so bene. Vince il pensiero diTremonti: Dio, padre, famiglia, società chiusa, eccetera, eccetera. Noi dobbia-mo dire chiaramente che non è questo il modello, ma non per noi perché siamobuoni, lo ribadisco, perché è più ragionevole, perché è questo il futuro.

Vi pregherei di stare attenti a quello che accade nella società civile,cosiddetta civile. Cioè, la democrazia non è solo quella del PartitoDemocratico o quella che si sta maturando, o si modificherà dentro leIstituzioni, nel Parlamento. La democrazia continuerà a crescere soltanto se

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noi ci facciamo attenti a quello che accade nella cosiddetta società civile. Sucome si sta strutturando. Su come si sta infrastrutturando. Il tema di comeoggi si stanno articolando le rappresentanze sociali, è un tema strategico perun partito che vuol essere democratico. La democrazia la si sperimenta quo-tidianamente, non soltanto nei Consigli comunali. È un’esperienza di vitaquotidiana. Allora, avere questo punto di osservazione, che mi sembra oggiun po’ trascurato e andrebbe approfondito, di come oggi si pratica la demo-crazia nelle realtà associative, è una questione strategica per il PartitoDemocratico. Non è una questione soltanto legata alle riforme istituzionali.Ce lo ha insegnato Maritain. La democrazia è una virtù, è un abito personale,è un modo di essere. Allora, attenzione a quello che accade attorno a noi,attorno a voi, a livello locale, attenzione a coltivare e sostenere la buona infra-strutturazione sociale, le nuove esperienze associative. Se non c’è questo,cosa sarà questo paese? Davvero crediamo che il baluardo saranno i Consiglicomunali, regionali e il Parlamento? Davvero questo sarà l’unico baluardoche potremo attivare? Oppure è necessario appunto rimotivare la partecipa-zione democratica? Sapendo che la democrazia costa fatica.

Giovagnoli diceva stamattina, “Contro il mito del decisionismo, che è unmito consumista”. Ha ragione, questo mito che bisogna decidere, certo, avolte bisogna decidere in fretta, a volte bisogna anche accettare il tempolungo della fatica. La democrazia è questa. Rispetto a chi oggi ci propone ildecisionismo continuamente, non è così la democrazia. La democrazia habisogno dei suoi tempi. È molto molto faticosa e la storia del cattolicesimodemocratico è una storia che ha costruito questa democrazia.

Terzo punto, a mio parere, dove si gioca il coraggio, è il tema oggi dellademocrazia economica, lo diceva anche Treu. Non sono un economista. Oggimi fa effetto che chi ha difeso questi modelli anche su noti giornali naziona-li continuia scrivere, io dico che ogni tanto ci vorrebbe anche il pudore dichiedere scusa. Non faccio i nomi di questi autorevoli editorialisti, qualcunoun pochino dovrebbe chiedere scusa di come stanno andando le cose, di chiha proposto modelli liberisti che non avevano nulla a che fare appunto con latradizione del mercato, il libero mercato sociale, che hanno dimenticato illavoro, la produzione a vantaggio del capitale, qualcuno dovrebbe chiederescusa. Allora, su questo tema vi pregherei di farvi attenti anche alle nuoveforme di imprenditoria sociale. Voi direte, ma non si può, è chiaro chePatriarca non può che parlare in questo settore. Però state attenti, noi dobbia-mo contrapporre anzi dobbiamo proporre anche una pluralità delle imprese.

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Non c’è solo l’impresa capitalistica. Dobbiamo anche parlare di nuove istitu-zioni imprenditoriali, non dobbiamo sottovalutarle e pensare che siano dellenicchie irrilevanti. C’è l’impresa cooperativa, si sta sul mercato non solo conl’impresa capitalistica. C’è l’impresa cooperativa che produce ricchezza, c’èl’impresa sociale appena nata che gestirà, guardate, tutto il welfare, il futurosarà questo, che imprenditori sociali gestiranno le cosiddette politiche di wel-fare, e allora un focus del Partito Democratico su questa vicenda è questionestrategica. Parliamo sempre di mercato. Non parliamo di assistenzialismo,parliamo di una pluralità di istituzioni, di imprese. Questa è la democraziaeconomica. Mettiamoci la testa un po’ dentro, sosteniamo questi percorsi.Oggi, chi produce ricchezza non è solo affidata all’imprenditore, tra virgolet-te, lo uso in termini positivi, capitalistico. Oggi, il cosiddetto terzo settoreproduce 75 miliardi di euro di fatturato. Non è robetta. Allora, nella strategiadi ripensare, di rinsaldare il tema del mercato, facciamoci attenzione a questenuove dimensioni che sono il futuro. Gli Stati Uniti l’Inghilterra, e la stessaFrancia stanno viaggiando in questa direzione.

E ultima nota - poi davvero finisco - su cui vi inviterei a farvi attentivisto che c’è anche questa diatriba, questa polemica con il Ministro Gelmini,vi pregherei, sull’istruzione, sul tema dell’istruzione e della formazione, dimettere al centro i nostri bambini. Cioè, il metro di misura per un partitodemocratico e riformatore non è, anche se è legittimo, la difesa dei posti degliinsegnanti - e io sono un insegnante - legittima, ci mancherebbe. Questo è unmestiere da sindacato, benissimo, ma è quella di batterci per una migliorequalità del sistema istruzione del nostro paese, che non è tanto così eccellen-te. È una battaglia di retroguardia se noi non perdiamo come punto di vista inostri bambini e le famiglie, che si attendono qualità. È questa la battaglia cheio mi sento di portare avanti, anche contro il Ministro, che non mi pare preoc-cupato di questo, ma non tanto neppure con il sindacato che si preoccupa soloe soltanto della difesa dei posti di lavoro. Ci mancherebbe altro, difendiamo-li pure. Ma io voglio difendere la qualità. Questo vuol dire farci attenti allepolitiche di guerra. Dove non c’è qualità chi ne subisce il danno maggiore?Sono i figli delle categorie sociali più deboli, perché il figlio del professioni-sta la carriera sua se la farà in questo paese. I dati ce lo dicono, il figlio di unavvocato probabilmente farà l’avvocato, il figlio di notaio probabilmente faràil notaio, eccetera, eccetera. Difficilmente in questo paese un figlio di operaidiventerà avvocato o notaio o magari bravo professionista.

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Allora, qual è il discrimine? È che io fornisco un’istruzione di qualità atutti, e le medesime opportunità a tutti, soprattutto a coloro che hanno appun-to una posizione sociale debole. È questo un servizio agli ultimi, paradossal-mente. E dico soltanto facendo guerra, ma creando qualità.

Concludo. Io non faccio mai citazioni, però stavolta me la sono ritrova-ta e volevo leggervela, perché ci dice di questa storia grande che direi ciconforta nel praticare il coraggio, non vi dico, ma lo capirete subito “ad unoStato accentratore, tendente a regolare ogni potere e ogni attività civica eindividuale, vogliamo uno Stato veramente popolare, che riconosca i limitidella sua attività, che rispetti gli organismi naturali, che rispetti la persona-lità individuale e incoraggi le iniziative private. Vogliamo la riforma dellaburocrazia e degli ordinamenti giudiziari, e la semplificazione della legisla-zione, vogliamo l’autonomia comunale, la riforma degli enti provinciali e unpiù largo decentramento regionale. Ho stralciato, poi dice ancora… masarebbero vane queste riforme se non reclamassimo il vero senso dellalibertà, libertà religiosa, libertà di insegnamento senza monopoli statali,libertà delle classi - oggi diremmo della società civile - libertà comunali”.Questo è Il Manifesto. È l’appello Liberi e Forti, 1919, scritto da Sturzo.

Questo per dirvi come la storia viene da lontano ed è questa che ci per-mette di essere coraggiosi. Grazie. (Applausi)

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Edo Patriarca

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Emma Fattorini

È con molta soddisfazione che ho assistito a questo dibattito, con unasintonia che non mi aspettavo, riguardo alla consapevolezza del ruolo impor-tante che enfatizza l’autonomia di queste componenti culturali. Volevo parla-re di questo. Credevo di trovarmi un po’ isolata e in minoranza, e invece giàla citazione sul Codice di Camaldoli e il senso degli interventi che mi hannopreceduto è stato di grande entusiasmo. Io penso che la consapevolezza dellaforza di questa tradizione, della cultura politica del Movimento Cattolico, senon è solo evocata e se non è solamente ricostruita come passato, come futu-ro auspicabile, si può radicare solo su una grande, grandissima attenzione allapriorità di costruire le categorie della cultura politica nel cattolicesimo demo-cratico, perché queste sono state troppo schiacciate dall’immediatismo dellefasi politiche.

Io sono stata molto legata a Pietro Scoppola. Noi citiamo tutte le nostrerecenti perdite. Negli ultimi due o tre anni lui era ossessionato, anche nell’e-state in cui doveva collaborare alla formazione della carta d’identità delnuovo partito. Diceva sempre: noi non riusciamo a dar conto della nostra ori-ginalità, siamo troppo schiacciati sulla politica. È incredibile, perché nel disa-stro rovinoso della cultura dei partiti della Prima Repubblica, la nostra storiaè l’unica che ha dei valori assolutamente grandi e spendibili. Il personalismo,l’attenzione ai corpi intermedi nei fatti, come valore sociale ma anche mora-le, l’importanza stessa della religione nella nuova svolta epocale della civiltàe della crisi occidentale, tutto avrebbe concorso a far sì che noi avevamo dellecose, gli unici a poter dire delle cose. Invece è stato tutto giocato in terminidi politica immediata, forse anche per un limite della tradizione cattolica. Perla poca attenzione all’approfondimento culturale, una sorta di delega deldopoguerra su cui era la sinistra che tradizionalmente faceva crescere una

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classe di intellettuali, fatto sta che sia nella versione di destra, Ruini, il pattogentiloniano, cioè tutto un bisogno di schiacciare immediatamente la nostracultura, la tradizione della cultura del cattolicesimo politico italiano, tuttosolo sulla dimensione politica e nella sinistra la stessa cosa, sia nella versio-ne delle derive plebiscitarie l’omologazione delle derive individualistico-radicali, della cultura post-comunista e sia, dall’altra, quella dei kit dei valo-ri che invece dovevano essere ricatto o provocazione della sinistra.

Allora, se siamo d’accordo, e io ho trovato molta sintonia con questanecessità di dare questa priorità alle costruzioni di categorie culturali autono-me, quindi non ripropongono la suggestione di una storia ma su quali punti.Allora ne individuo quattro sostanziali: il primo, come sappiamo, è quellodella laicità. La laicità… perché il modello maritainiano che è e resta un faronella nostra storia della distinzione delle sfere temporale e spirituale è larga-mente esaurito? Proprio perché era la politica che ricomponeva il rapportofede e storia. Con la globalizzazione da una parte e con l’incremento dellascienza e della tecnica dall’altro, che ha spostato i confini tra vita e morte,cosa è successo? Che le tradizionali questioni inpolitiche, quelle del privato,quelle della vita, quelle della famiglia, sono diventate straordinariamenteiper-politiche e chi meglio della nostra tradizione non doveva e non potevacapire questo? Molto poco la tradizione marxista, per nulla direi. Perché nonl’abbiamo valorizzata? Perché l’abbiamo tutta assolutamente appiccicatatroppo alla dimensione politica.

In che modo? E quì siamo al solito discorso, nel modo primitivo conl’hanno fatto i teodem. Sono molto schematica perché sennò non finisco più.Molto schematica sarò, quindi anche un po’ offensiva. Il modo primitivo concui l’hanno fatto i teodem che hanno spostato questo kit di valori non nego-ziabili in forma di ricatto, senza tentarne una traduzione politica. In chesenso? Intendiamoci, anche qui, non si tratta di esorcizzare la questioneantropologica dicendo, come ho sentito e su questo non sono d’accordo, nonè che c’è solo la vita e la morte, c’è anche la vita, c’è anche la questione socia-le. Il problema è un altro, è come si intende la questione antropologica. Noinon dobbiamo ricadere nell’uso esasperatamente politico. È in gioco la qua-lità della Chiesa occidentale, nella visione antropologica individuata dal pon-tificato di Wojtyla per esempio, cioè il discorso che faceva Alain Tourainesull’integrità dell’individuo che diventa persona, sul discorso della donna, sulprivato che non può essere pubblico e viceversa, perché questo è realismo.Non è una scelta ideale, questa è l’antropologia, si intende la svolta antropo-

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logica, non è solo l’estremizzazione dei princìpi bioetici che non a casodiventa estremizzazione di princìpi astratti perché non tiene conto di questavisione vera del discorso antropologico. Ma questo non l’ha capito neanchela nostra cultura, quella del cattolicesimo democratico, è molto povera suquesta consapevolezza della nuova antropologia. Ci siamo limitati a nonrispondere, e in questo c’è stato un appiattimento sulle posizioni estremisteteodem, nel senso che c’è un grosso deficit nella cultura dei cattolici demo-cratici nel non capire proprio il significato per esempio nel pontificato diWojtyla o tutta un’elaborazione sulla critica della modernità.

In questo senso quindi io non sono invece d’accordo con le osservazio-ni di Alain Touraine quando parla del fatto che la crisi delle ideologie non èrimasto altro che la nostra coscienza nuda, di individui singoli, con la nostraresponsabilità morale kantiana. Questo è il problema che ha la cultura marxi-sta, il cascame di una cultura che non è stata la nostra. Allora, io ho cono-sciuto bene e per questo sono così convinta di quello che dico. La coscienza,la nostra coscienza soggettiva è la radice, prima e ultima delle nostre scelte,ma non è il punto di verità definitivo, noi dobbiamo legare questo a unadimensione comunitaria e trascendente. Questa è l’origine della nostra storia.Le conseguenze poi sono state da una parte - adesso per essere rozza - loscontro ricattatorio della Binetti, per dire, e dall’altra certe esternazionimodernizzatrici come i Di.Co., perché dovevano esser una priorità in quelcontesto? Perché non capire le implicazioni della Legge 40? lì c’è stata unasorta di riflesso condizionato per cui secondo me i cattolici in quella fase sonostati come i cattolici indipendenti nella vecchia cultura comunista del PartitoComunista Italiano, cioè una forma di pressione, di ricatto, ma di sostanzialisubalternità. Hanno chiesto più spazi come ceto politico, ma non c’è stato unvero confronto culturale, perché su queste cose, sulla sfida culturale, invecedi riproporre stanche riedizioni conciliari, dovevamo confrontarci con il pon-tificato di Wojtyla per intenderci, con i valori e con i contenuti della svoltaculturale. Si potrebbe in questo modo superare, nella costruzione culturale,una subalternità che c’è nella sostanza.

Secondo punto, come è cambiata la politica, cioè il discorso tra identitàe limite della politica. Noi continuiamo a constatare come la cultura del cat-tolicesimo democratico sia largamente esaurita, morta. Sono morte le perso-ne che l’hanno incarnata in senso fisico, letterale, e tra l’altro io ricordo cheho portato con me il testo dell’Omelia al funerale di Leopoldo Elia che si èsvolto l’altro ieri. È del Cardinal Silvestrini. È molto bella su questi punti e io

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magari la fotocopio e se volete domattina ve la distribuisco. Le ragioni diquesto esaurimento sono comuni a tante culture politiche, concessione orga-nicistica, statalismo, conservatorismo istituzionale, lo sappiamo, però perchénoi non elaboriamo un ragionamento puntuale su quali sono le specificheragioni nella nostra tradizione di questa crisi? Quali sono le ragioni comuni equali sono le ragioni specifiche dell’esaurimento della nostra tradizione?

Vedremmo allora, per esempio, la grande intuizione nostra che è quelladel limite della politica, che non abbiamo sviluppato. Se noi ripartiamo di lìallora siamo davanti a un bivio: o giochiamo questa risorsa, questa grandecarta culturale di aver capito il valore dei corpi intermedi, della famiglia, dellasocietà, della donna, dell’individuo, di avere nel nostro DNA quel senso del-l’integrazione della persona e dell’integralità dell’umano che non è solo homoeconomicus, che è post-moderna. È il problema della globalizzazione attualeche è nella nostra storia culturale e morale, allora se noi valorizziamo questopatrimonio nostro vediamo che le alternative sono due, o siamo uno dei tantirivoli dell’attuale partito liquido, dell’attuale liquidità politica in un conteni-tore neutro che si fa un po’ vigile e un po’, così, appunto divide il traffico esmista i rapporti di forza di volta in volta nei vari rapporti di forza, oppure siprotegge in un’identità compatta che dialoga con l’altro residuo rimasto esopravvissuto che è una forza più o meno social-democratica.

Di fronte a questa doppia scelta secca, io credo che ci sia una terza stra-da che è quella che con moltissima soddisfazione impensabile ho visto neivostri discorsi, e cioè l’idea di ricominciare da una cultura politica potenzial-mente egemone. Cioè, ci sono una serie di nodi irrisolti della cultura post-comunista che hanno, che possono trovare nella nostra storia una risposta rea-listica, non declamatoria, non moralistica, non esigistica, bisogna però dare lapriorità a scavare queste cose, a dargli tempo, a non spiaccicarle subito nelladimensione immediatamente politica e di schieramento. Era il dramma di DiPietro degli ultimi due anni, il fatto di non aver tempo di elaborare il perché,le motivazioni, il contenuto vero che desse respiro alla crisi della SecondaRepubblica, ma non solo perché il Partito Democratico è nato troppo a ridos-so delle elezioni e non c’è stato il tempo, ma perché doveva nascere a ridos-so del crollo del muro, doveva nascere quando è finita la DC. Cioè, se ragio-niamo sui tempi questo è un periodo veramente sfortunato, non so quantoquesto condizionerà il suo sviluppo e la sua vita, come nei bambini, manascere troppo prima o troppo dopo è un disastro. Comunque la realtà è que-

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sta, e sicuramente le condizioni sono ancora di più perché noi sviluppiamouna capacità di forza egemonica.

Scoppola ragionava nella sua storiografia sempre con l’idea che il rap-porto con la modernità non era un semplice adeguamento che i cattolici face-vano per traghettare i cattolici nello Stato laico. Abbiamo sentito Sturzo - otti-ma citazione - in Sturzo lì non c’è solamente il bisogno di necessità tattica, distare nella modernità perché sennò si spariva, questo è il vecchio discorso del-l’intransigentismo ottocentesco cattolico, cioè, quanto aderire alla modernità,no, lì c’è la scelta che la modernità era un’occasione vera, segno dei tempi insenso teologico, la kenosi, la sparizione, la radice della laicità adesso è tantocambiata, ma in questo rimane, è esattamente in questo, cioè la modernità,quelle sfide che allora erano modernità e che oggi sono tutte post-secolari,post-moderno. Sono sfide che ci danno un’occasione positiva in più, non èsolamente un adeguamento, un’opportunità e quindi la laicità in questo sensoha un gran valore, ben di più. Non è un moloch, e non è moloch per le ragio-ni che dicevo prima, perché la svolta antropologica fa sì che non sia più lapolitica il terreno, la politica tradizionale la sfida in cui si giocano quellesfide.

Bene, allora questa concezione tradizionale che è alla base della culturadel cattolicesimo politico democratico, cioè Maritain, laicità nel senso dikenosis, e il rapporto con la modernità come occasione, Sturzo, ecco, io pensoche in questi anni, nel totale cambiamento di categorie e nella mancata com-prensione della nostra cultura, del pontificato di Wojtyla ci hanno fatto diven-tare molto subalterni a una cultura radicale, a una cultura individualistica, auna cultura che aveva tutte le ragioni per consumare quei fallimenti, ma chenon era la nostra.

Ultimo punto, poi finisco. Secondo me anche all’interno delle gerarchieecclesiastiche nella chiesa ci sono dei segnali molto interessanti che vannonella direzione di aver capito che la priorità oggi è quella di una cultura poli-tica dei cattolici, che la Chiesa non vuole più gestirsi autonomamente da sola.Non vorrei enfatizzarli troppo questi segnali, però già dal cambio della con-ferenza episcopale sono diversi questi segnali, e c’è nella gerarchia la nostal-gia di una classe politica cattolica che veda le cose un po’ a tutto campo, chenon sia più concentrata solamente nella rivendicazione appunto del singoloproblema bioetico o al contrario di essere troppo omologata alla cultura disinistra. C’è la consapevolezza che c’è un vuoto delle culture laiche talmenteprofondo, talmente devastante e che il problema è talmente profondamente

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culturale e morale che anche le gerarchie si rendono conto secondo me, chesono sempre meno compiaciute di occupare loro da sole quello spazio e sonoconvinte che sia importante investire in un laicato nuovo, in una nuova cul-tura politica dei cattolici. Io credo che questa sia una grande occasione pernoi, e quindi non rientra solo nel gioco interno degli scontri tra il PartitoDemocratico, che a me personalmente, e ho visto con soddisfazione neanchea voi, interessano più. È proprio un’occasione.

Con Scoppola e con tanti altri storici si ragionava spesso delle somi-glianze con gli anni Trenta. Ora i giornali ne sono pieni. Noi abbiamo lavo-rato molto in questi anni nel vedere scorporare le categorie del perché ci sonotante cose che tragicamente ci avvicinano agli anni Trenta. La democrazia chegiustamente - è stato detto ieri da Fioroni, credo - non è sentita, non è maistata sentita in questo paese, e i cattolici hanno avuto un ruolo fondamentaleper cercare di prenderla sul serio per primi. Il bisogno di far politica in primapersona direttamente, della Chiesa… ebbene, ora c’è anche il crollo del’29,ora c’è anche il crollo delle borse. Già allora, nell’umanesimo integraledel’36, Maritain diceva che non era l’economia il problema del crollo del’29.Altra analogia è la fine di una generazione, dicevano Elia e Scoppola…Quindi già lì si capiva che la centralità era la costituzione di un nuovo uma-nesimo. Noi siamo nella stessa situazione, la gravità è di questa portata equindi la questione e le conseguenze di Wall Street come noi cristiani conPietro insegnavamo ai nostri studenti, non erano economiche di sovrappro-duzione, ma era poco realistico, ed è poco realistico fermarsi a quello. Neglianni Trenta gli intellettuali cattolici parlavano di una crisi di civiltà, non se l’èinventata Atkinson o i teocon. È una settimana sociale dei cattolici francesidegli anni Trenta che definiscono crisi di civiltà questo. Noi dobbiamoapprezzare molto la riscoperta che viene avanti timidamente, ma con since-rità secondo me nelle gerarchie, a riscoprire le radici spirituali della Chiesa,come anche una cosa che può servire molto a noi. E io interpreto così ildiscorso di Ratzinger all’inizio dell’apertura delle sedute sinodali. Non unospostamento politico, appunto. Ci piace quella ma non ci piace quando parladegli embrioni, no, è molto di più, è l’idea come embrionale ma molto seriaanche da altri punti che la Chiesa sembra riaprirsi a una lettura più spirituale,per trovare le radici che guardano in alto, le radici che sono attaccate all’altoe proprio guardando all’alto la Chiesa si pone il problema delle famiglie chenon arrivano a fine mese. E quindi c’è anche lì uno spostamento più justa pro-prio principio, più spirituale, più trascendente, meno politico. È finita anche

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la fase appunto dell’illuminismo, del bisogno di occupare gli spazi politicidirettamente come Chiesa.

Le conseguenze di questa radicalità e di radici spirituali, sono un van-taggio per tutti, in questo senso un nuovo umanesimo. Tanti esempi. Unesempio banale viene dal fronte proprio dell’educazione dei ragazzi, coeren-za dei comportamenti, stile di vita personale, collettivo, si dice improntatoalla stabilità e al rigore, in un inganno che si auto-alimenta come le cosefinanziarie per cui c’è un letterale danno materiale. L’idea di costruire le basidi un’etica comune, la vedo nella interiorizzazione che ormai hanno i ragaz-zi del fatto che è scontato che c’è una divaricazione oggi tra le proprie con-dizioni e il proprio agire. Cioè, questo fatto, che è banale, che è alla base dellaconvivenza e dell’etica comune occidentale, perché origine nelle radici cri-stiane, ma kantiane, ecco, oggi è completamente superato. Non si pone nean-che più e allora abbiamo il conservatorismo cattolico per cui c’è tutta la pro-mozione della famiglia. Abbiamo la sinistra che invece di concentrarsi sul-l’esito, sulla fine del problema della giustizia sociale, si incaponisce sull’i-dentità dei diritti individuali come fossero un fatto identitario della loro sto-ria. Una esasperazione della politica individuale solo per la conservazione delproprio posto, il leaderismo, questi personalismi, questo è… comunichiamo,questa cultura degli adulti comunica nel senso che non c’è più un rapporto trale convinzioni e il comportamento, e questo è l’inizio della fine. Così comin-ciarono i totalitarismi, poi si innescano le paure, certo, ma se non c’è unammortizzatore morale interiore, se queste cose non si interiorizzano, è lafine. La politica è lo sfascio che viviamo, noi dobbiamo ricostruire a partiredalla cultura e dalla morale, questa è la cosa.

Io l’ultimo discorso del Papa l’ho letto anche in questa direzione. È unacosa che noi dobbiamo rivalorizzare molto, con questo grande spirito però,ripeto, non solo perché è un po’ più di sinistra, un po’ più sociale, dobbiamolegare cioè - e qui è un limite del cattolicesimo democratico - la CentesimusAnnus di Giovanni Paolo II, che cosa diceva, a ridosso del crollo del comu-nismo, ora che è crollato il muro, e non è che abbia contribuito poco a farlo,lui, non crediate che il capitalismo risolverà il problema dei diritti umani, equindi integrazione totale della persona, cioè il discorso di Touraine, ma inquesta chiave qua noi dobbiamo legare la Centesimus Annus, all’umanesimointegrale.

Questo significa anche che se la Chiesa continua, noi dobbiamo esserecontenti, in questa dimensione più spirituale, si esaurisce anche questa stru-

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mentalità teocon, teo-conservatrice che ne ha avuto un uso solamente stru-mentali.

Ultima cosa, la bioetica. La bioetica è il cuore di tutto ciò, nel senso checomincia a vedersi finalmente l’ipotesi di una bioetica sociale, cioè i proble-mi veri, non quelli dei princìpi astratti, dell’eutanasia o dell’accanimento tera-peutico, che riguardano casi singoli e limitati, ma il grande numero vero, glianziani, i terminali, tutti gli abbandonati che sono soli e nei quali il disinte-resse totale culturale e morale è assoluto. Questi sono terreni in cui dobbiamoscavare in primo luogo sul piano culturale e morale. Nuovo umanesimo ecomune costituente democratica che abbia come fondamento forte una visio-ne antropologica diversa. Grazie (Applausi)

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Emma Fattorini

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On. Pierluigi Castagnetti

Comincio volentieri con un apprezzamento sul convegno. Ho ascoltatocon molto interesse la bella relazione di Fioroni e l’importante intervento diFranco Marini che hanno dato il tono a questi due giorni. Ma una novitàrispetto agli appuntamenti degli anni precedenti l’ho colta nella qualità diquasi tutti gli interventi dei colleghi parlamentari appartenenti alla cosiddettagenerazione dei quarantenni, che ha fatto dire a osservatori esterni comeEmma Fattorini, che me ne parlava proprio poco fa, di una felice sorpresa, peraver colto un notevole livello culturale oltre che politico che fa ben sperareper il futuro del Pd e per la possibilità che la cultura cattolico-democraticapossa esercitare un’influenza nella definizione dell’identità e della strategiadel partito assai maggiore di quanto osservatori superficiali siano disposti adaccreditarle.

Dopotutto la forza di questa area, oltreché nel largo consenso che riescea mobilitare nella periferia del partito, e questa platea lo conferma, consisteproprio nella solidità delle sue radici culturali e nella tradizione politica cheessa intende testimoniare.

Nel mio intervento cercherò di dare un contributo discutendo insieme avoi di tre interrogativi: “chi siamo e cosa vogliamo fare?, il Pd ha realmentenecessità di un nostro specifico apporto? In concreto come possiamo aiutareil partito a definire in modo meno vago e più percepibile la propria missio-ne?”

1) CHI SIAMO, COSA SIAMO, COME CI DEFINIAMO.Ho colto un certo imbarazzo, anche in Beppe Fioroni, nel definire il

senso del nostro ritrovarci senza destare allarmi: è stato molto netto nell’e-scludere che noi siamo una corrente, ma è giunto il momento di tentare didefinire il senso della nostra presenza dentro il partito non solo in termini

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negativi, cioè dicendo solo ciò che non siamo. Noi siamo gli esponenti di quelfilone culturale e politico che ha segnato la storia della nostra repubblica ed èconosciuto come cattolicesimo democratico. Come si fa ad essere cattolicidemocratici oggi? Risponderei con un esempio, un ricordo personale.Ricordo infatti una conferenza di molti anni fa del prof. Gesualdo Nosengo,fondatore dell’UCIIM, al termine della quale una giovane le ha posto questadomanda:

«Professore, io sono insegnate di matematica e invidio i colleghi cheinsegnano materie umanistiche perchè hanno la possibilità di rivelare nel-l’insegnamento la loro fede cristiana e di indurre interesse negli studentiattorno alle questioni di fondo per la vita dell’uomo. Ma io come faccio,attraverso i numeri a dimostrare che sono una insegnante cristiana?».

La replica fu netta: «Tu devi insegnare bene, ma molto bene, non so sehai capito, molto, molto bene la matematica e da questa tua qualità nell’in-segnare i tuoi allievi capiranno che sei una buona cristiana».

Gesualdo Nosengo era una personalità di punta fra i cattolici democra-tici impegnati nel sociale. Da quella sua riposta ho capito che così come laScrittura dice che “da come vi amerete capiranno che siete cristiani”, a noilaici credenti impegnati nella realtà temporale è chiesto di fare fino in fondoil nostro dovere: da come insegnerete bene capiranno che siete insegnanti cri-stiani, da come gestirete la politica con competenza, onestà e distacco perso-nale capiranno che siete politici cristiani, ecc. ecc.

Mi vengono alla mente in questo momento i nomi di quattro amici checi hanno lasciato nell’ultimo anno e che rappresentano per varie ragioni ilmeglio della seconda generazione dei cattolici democratici: BeniaminoAndreatta, Pietro Scoppola, Achille Ardigò e Leopoldo Elia: uno dei maggio-ri economisti del paese, uno degli storici più prestigiosi, un capo scuola dellasociologia italiana e un caposcuola riconosciuto da tutti (basterebbe osserva-re che è stato presidente della Corte costituzionale e dopo di lui lo sono statialtri suoi allievi) del costituzionalismo italiano.

Che cosa avevano di particolare questi personaggi? Avevano la lorostraordinaria capacità di penetrare le scienze a cui si sono dedicati per unavita intera, esaltandone la autonomia, non malgrado ma grazie alla fede. Eattraverso la loro esperienza scientifica hanno finito tutti quattro per incon-trare la politica ed influenzarla con una forza e un rigore che solo i cristianiche furono membri dell’Assemblea costituente erano riusciti a esprimere.Ecco la loro lezione: essere competenti, rigorosi, coltivare l’aspirazione a

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influenzare il corso della storia, cercando di immaginare come possano esse-re utili le scelte della politica per le esigenze vere degli uomini, perché soloin ciò i cristiani sanno che si realizza la volontà del Signore, così come conchiarezza è detto nel punto 31 della “Lumen gentium”: «È compito dei laicitrattare le cose temporali per ordinarle secondo i disegni di Dio».

Nelle settimane scorse la stampa si è occupata dell’importante discorsoche Benedetto XVI ha fatto a Cagliari e in particolare dell’esortazione rivoltaa “una nuova” generazione di laici moralmente rigorosi e competenti ad occu-parsi delle realtà terrene, fra cui la politica. Non so se con l’aggettivazione“nuova” il Papa intendesse dire “ulteriore” o “al posto di”, sicuramente inten-deva esprimere una valutazione di insufficienza della generazione attuale, eallora dobbiamo chiederci la ragione di tale valutazione. Cercherò di dare unamia spiegazione. Partecipando nei giorni scorsi insieme ad alcuni altri amici,che sono qui presenti, a una tavola rotonda di presentazione della nuova asso-ciazione “Per”, mi è capitato di interloquire con Ernesto Galli della Loggiache sosteneva che non si può parlare oggi di laicità se non si fanno i conti conil rapporto fra la Chiesa e la modernità, dicendogli che condividevo questa suaosservazione, poiché sono convinto che la Chiesa più ancora della politica daanni stia facendo questi conti. Aggiungerei che li sta facendo molto di piùanche della cosiddetta cultura laica, nel senso che il rigurgito di laicismo chesi è manifestato negli ultimi tempi ha a che fare, a mio avviso, con una sortadi preoccupazione o se volete di “invidia” del cosiddetto mondo laico incapa-ce di raccogliere la sfida della modernità e per questo preoccupato di eserci-tare più un’interdizione che un’interlocuzione con la Chiesa. Purtroppo nelnostro paese non abbiamo una vera tradizione laica, poiché in Italia non abbia-mo avuto un Kant, uno Spinosa, o un Heidegger, personaggi che sono appro-dati a un pensiero laico attraversando quello religioso e in particolare leScritture; da noi abbiamo avuto piuttosto un pensiero anticlericale, cioè dicontrapposizione ideologica nei confronti della Chiesa. E tutto ciò influenzaancora oggi il dibattito sulla laicità di questa fase. In questo spirito dobbiamoriflettere e riconoscere che ha ragione Emma Fattorini quando pochi minuti faci ha detto che il cattolicesimo democratico italiano non ha sinora fatto i conticon la nuova questione antropologica con cui si stanno misurando invece siala Chiesa che la scienza. Questa è la sfida e la scommessa che è sul tavolodella nostra generazione, perché è sul tavolo della politica. Non è che il pen-siero elaborato nelle stagioni precedenti dalla tradizione cattolico democrati-co abbia esaurito la sua forza (basti pensare alla perdurante attualità dell’eco-

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nomia sociale di mercato, del personalismo o della democrazia parlamentaree altri ancora) ma oggi, come dice la Fattorini, la questione antropologicainterpella direttamente la politica la quale non può cavarsela con escamotage,evitando la fatica di un proprio pensiero al riguardo. Lo dico soprattutto ai col-leghi parlamentari più giovani che sono qui presenti, a cui è chiesto un impe-gno davvero importante su temi che fortunatamente aiuteranno tra l’altro lapolitica a liberarsi dalla sua insostenibile leggerezza e a tornare alle sue ragio-ni più profonde. Dobbiamo tornare senza complessi e con convinzione adalcuni pensatori, anche viventi, della nostra area culturale, che possono esser-ci di prezioso aiuto. Penso al giurista tedesco Ernst–Wolfang Böckenförd (cheho tentato di far venire in Italia, ma mi ha detto di essere rammaricato di nonpoter aderire all’invito solo a causa dell’età) la cui tesi più suggestiva consi-ste - com’è noto - nel sostenere che lo Stato democratico vive di presuppostiche esso stesso non è in grado di garantire. Da qui l’importanza della religio-ne come fonte di legittimazione, seppure non unica ovviamente, poiché assi-cura l’ethos nei rapporti tra i cittadini, ethos in assenza del quale ogni formadi vita in comune sarebbe impossibile in un regime liberale.

Penso anche, ad esempio, al filosofo delle religioni Rémi Brague chepropone, in questo momento di spaesamento generale, il cristianesimo come“kit di sopravvivenza”. Sostiene infatti: «come vivere lo sanno tutti, o posso-no saperlo. Ma perché vivere, perché scegliere la vita e perché dare la vita,sono interrogativi più complessi. È a essi che il cristianesimo fornisce unarisposta». Capite allora, cari amici, qual è e quale può essere l’originalitàdella nostra elaborazione che senza complessi, lo ripeto, e con responsabilitàpossiamo offrire al partito vincendo e superando stucchevoli polemiche supresunte ingerenze ecclesiali nella sfera politica che finiscono solo per bloc-care e inaridire la nostra riflessione. Dovremmo e dovrebbe anzi la Chiesastare ad ascoltare alcune esortazioni “ad evangelizzare il futuro e non solo ilpresente” che vengono anche da pensatori laici, acuti e stimolanti, come AldoSchiavone, il quale coglie in questo tempo la domanda inevasa di una eticadella trasformazione senza della quale la politica stessa smarrisce il senso delproprio ruolo, divenendo marginale rispetto alla tecnica e al mercato.

Il campo della politica non è in alcun modo un campo precluso, cometaluno ritiene, dal magistero della Chiesa perché avrebbe requisito a sè tuttele risposte. Il magistero della Chiesa continua anzi a produrre pensieri e fon-damenti, e non è accettabile che venga rappresentato come una minaccia allalaicità e alla autonomia della politica. Vorrei citarvi al riguardo un pensiero

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piuttosto interessante del cardinale Joseph Ratzinger, la cui lotta al relativismoetico viene da lontano, eppure a proposito della politica dice (Fede, verità etolleranza. Il cristianesimo e le religioni nel mondo, Siena, Cantagalli, 2003):«………il relativismo appare così contemporaneamente come il fondamentodella democrazia la quale, secondo esso, poggia appunto sul fatto che nessu-no possa pretendere di conoscere la strada giusta, vive della condizione percui tutti i cammini si riconoscono reciprocamente come frammenti del tentati-vo indirizzato al meglio e nel dialogo ricercano la comunanza….Un sistemadella libertà per sua essenza, secondo questa filosofia, deve essere necessa-riamente un sistema di posizioni relative che dipendono da combinazioni sto-riche e che devono restare aperte a nuovi sviluppi. Una società liberale(freiheitlick) è una società relativista, solo per questo presupposto essa è ingrado di rimanere libera e aperta a un ulteriore cammino».

È evidente che non c’è nessuna concessione da parte del cardinaleRatzinger al relativismo etico, poiché sta parlando solo del ruolo della politi-ca, a proposito della quale peraltro e giustamente sente poi di dover comple-tare il discorso con una precisazione imprescindibile: «di conseguenza non sipuò disconoscere un certo diritto al relativismo nell’area politico sociale. Ilproblema sta nel suo concepire se stesso come illimitato».

Dunque, accettabile nella pratica politica, il relativismo non sarebbe accet-tabile ove pretendesse di sostenere che si può fare tutto, o meglio, che ciò che sisa fare si può anche fare (come precisò ulteriormente nel discorso di Subiaco del1 aprile 2004). Perciò in quel margine ristretto e significativo fra ciò che si safare e ciò che si può effettivamente fare è chiamata a esercitarsi l’intelligenzadella politica, se vogliamo che lo sviluppo della scienza si riveli, come quasisempre è accaduto nella storia dell’umanità, un’opportunità e non una sciagura.

2) IL PD HA REALMENTE NECESSITÀ DI UN NOSTRO SPECIFICO APPORTO?Io penso che sia incontestabile una risposta positiva a questo interroga-

tivo. Se è vero, come ha sostenuto oggi pomeriggio Alain Touraine che siamodi fronte a una sorte di fine del sociale perché sta imponendosi una domandadi attenzione alle problematiche, alle sensibilità e alla novità dei diritti dellepersone, se insomma dopo il paradigma politico e quello sociale siamo oggialla ricerca di un nuovo paradigma che ruoti attorno alle domande di sensodell’uomo–cittadino, allora credo che una cultura come la nostra che è costi-tutivamente umanistica e specificamente personalista rappresenti per il Pduna ricchezza preziosa, un punto solido attorno a cui costruire, seppur in con-corso con altre sensibilità culturali, risposte convincenti a tali nuove doman-

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de. Il tema, se vogliamo, è quello di un nuovo incontro fra la fede e la politi-ca, fra la religione e la politica, come ha ben in mente Barack Obama quan-do chiede ai liberal di non abbandonare il terreno del discorso religioso alledestre ma di farlo proprio, rinunciando a presentare la religione in una lucenegativa e cercando invece di riconciliare fede e democrazia sia nel linguag-gio che nella pratica della politica. Si inseriscono sulla stessa linea le rifles-sioni (apparse sull’ultimo numero di Reset) di Jurgen Habermas

«Bisogna distinguere tra laici e laicisti. I secondi continuano a pensareche la religione è una sopravvivenza premoderna del pensiero e che i contenu-ti di fede sono scientificamente screditati. Questo pregiudizio scientistico lispinge a polemizzare con vivacità contro le tradizioni religiose…. I laicistichiedono che la religione si ritiri dalla sfera pubblica e che non avanzi la pre-tesa di essere “presa sul serio” come risorsa. Ma i laici non devono escluderea priori la possibilità di scoprire, nei contenuti religiosi, dei contenuti suscetti-bili di essere utilmente tradotti sul piano dell’argomentazione pubblica»

È dunque necessario che il nostro partito nel suo insieme recuperi laconsapevolezza, nel momento in cui deve definire la sua mission, della pre-ziosità di un confronto senza pregiudizi con le tradizioni religiose e, nella fat-tispecie del nostro paese, in particolare con quella del cristianesimo. Non sitratta di una contrazione del suo orizzonte, ma di una chance di espansionedell’orizzonte. Si tratta di cogliere ciò che il cristianesimo ha depositato nel-l’anima di questo paese, a cui questo paese rivela di volere fare ricorso siapure in forme nuove, all’interno e all’esterno di quella che siamo soliti pen-sare come ortodossia ecclesiale. C’è infatti un cristianesimo vissuto con con-sapevolezza e responsabilità nella sua essenza di sequela rispetto al suoFondatore, e vi sono forme più leggere e persino inconsapevoli di accettazio-ne del suo messaggio che sembrano informare il sentimento della maggiorparte dei cittadini soprattutto nei momenti di grandi trasformazioni e smarri-menti come l’attuale. Una forza politica moderna non può chiudersi rispettoa questa realtà (che i sociologi definiscono il sentiment del paese), ma devein primo luogo conoscerla per accompagnarla e orientarla. Se ben ci pensia-mo, dentro il risultato del referendum sulla legge 40 e non di meno dentro ilrisultato delle elezioni politiche del 13 e 14 aprile scorso c’è iscritto proprioquesto nodo, cioè la nostra difficoltà a conoscere e a farci riconoscere comeinterpreti affidabili del sentiment della maggioranza del paese. Allora capite,cari amici, non solo l’utilità per il Pd della nostra presenza, ma la responsa-bilità che noi abbiamo di rendere attiva, cioè influente, tale presenza. Lo so

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che quando facciamo questi discorsi qualcuno dei nostri compagni di stradaci considera dei rompiscatole, ma i cattolici sono utili soprattutto quandorompono le scatole, cioè quando chiedono a tutto il partito di abbandonarepigrizie culturali e di accettare la fatica di aprirsi alla novità del propriotempo. Per questo rivendichiamo il pluralismo come un connotato irrinuncia-bile del partito, non perché abbiamo in mente di organizzare al suo internopercorsi paralleli che non si intrecciano mai, ma perché nel pluralismo sta lacertezza della possibilità che ognuno ha di mettere sul tavolo comune l’origi-nalità di se stesso, della propria ispirazione culturale, dei propri valori. Voicapite dunque per quale ragione io mi sia segnalato negli ultimi tempi tracoloro che si sono opposti all’ “ideologia delle primarie”, proprio perché die-tro di essa vedo nascere, se non al centro, sicuramente in alcune aree perife-riche del partito, la tentazione di risolvere il fastidio del pluralismo con laconta dei numeri, come se una scommessa così complicata e così suggestivacome è la costruzione del Partito democratico possa rischiare di sacrificareuna condizione veramente esistenziale per se stesso, qual è appunto il plura-lismo. Non sempre la logica dei numeri, che pure in democrazia vale, è ade-guata a risolvere le difficoltà culturali, anzi, l’esperienza ci dice il contrario.

3) IN CONCRETO COME POSSIAMO AIUTARE IL PARTITO A DEFINIRE IN MODO

MENO VAGO E PIÙ PERCEPIBILE LA PROPRIA MISSIONE?Abbiamo ascoltato in alcuni interventi la preoccupazione che il riemer-

gere di vecchie polemiche dentro vecchie storie che non ci appartengono, fradirigenti del livello di Veltroni e D’Alema, possa paralizzare il partito e ridur-lo a un contenitore di tifoserie dell’uno o dell’altro, una condizione veramen-te mortificante e incompatibile non foss’altro con la durezza dei tempi. Sonod’accordo con Reichlin e con Ruffolo quando sostengono che senza una con-vergenza su una missione che riguardi il futuro del paese non ci sarà mai ungruppo dirigente e non ci sarà mai un gruppo dirigente unito. La mission delPd dunque: questo il nostro problema più urgente e più difficile!

L’illusione di poter costruire una identità del partito intorno a temi isti-tuzionali come le primarie, il bipolarismo e (per taluni) il presidenzialismo,ha disvelato tutti i limiti di una stagione illusoria che è alle nostre spalle qualeè stato o è sembrato essere certo “ulivismo”.

L’identità di un partito non coincide con questi temi. Gli elettori giudi-cano un partito per l’idea di futuro che esso prospetta e per la credibilità cheesso mostra nell’accompagnare il presente verso tale prospettiva, e per que-sto diciamo che il lavoro di definizione della mission del Pd è solo agli inizi

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Ci sia consentito allora aggiungere che, senza sottovalutare l’apporto dichi proviene da altre storie non meno importanti, oggi è richiesto proprio anoi cattolici democratici, per la nostra specifica cultura di governo, consoli-data nei passaggi più delicati della ricostruzione del paese, aiutare il Pd non-dimeno a “tenere la barra”. Dobbiamo aiutarlo a costruirsi un’attitudine all’a-nalisi dei processi in corso, alla comprensione delle linee di fondo che li gui-dano e alla pre-visione delle conseguenze, cioè a strutturarsi come forza capa-ce di “vedere” e “produrre” la politica. Facciamo un esempio: in questi mesiabbiamo registrato, io penso con non sufficiente attenzione, alcune scelte dipolitica finanziaria del governo ispirate solo alla esigenza di mettere i contipubblici in sicurezza, perché così le hanno raccontate.

Sono stati fatti tagli indiscriminati agli enti locali e alle regioni, allascuola e alla università, alla sanità e alla spesa sociale. Sottolineo “indiscri-minati”, cioè tagli privi di ogni finalità di razionalizzazione della spesa e dicorrezione di distorsioni.

Le conseguenze saranno drammatiche, ma sbaglieremmo a pensare chenon siano volute. C’è sotto questa logica “tremontiana” dei tagli indiscrimi-nati l’ assunzione di una linea “mercatista” (come dice lui) dello stato socia-le, che deve inquietare. C’è insomma l’idea che si debbano creare le condi-zioni per una progressiva privatizzazione del sistema di stato sociale italiano.

Mentre negli USA i due candidati alla Casa Bianca si impegnano davan-ti ai loro elettori ad uscire dal loro sistema sociale selvaggio e distruttivo deidiritti delle persone per tentare di “europeizzarlo” seppure gradualmente, ilgoverno italiano sta portandoci verso “l’americanizzazione” del welfare.Tagliare indiscriminatamente fondi alla università, non la si induce a razio-nalizzare la propria spesa, ma semplicemente la si mette in ginocchio e la sicostringe a mettersi sul mercato e, dunque, a privatizzarsi. Cosicché, per limi-tarsi a questo tema, mandare un figlio all’università diventerà obiettivo sem-pre più difficile per i percettori di redditi medi. La stessa cosa per la sanità ei servizi sociali. Allora capite, cari amici, la necessità per noi non semplice-mente di alzare il tiro delle polemiche, ma di alzare lo sguardo per capire cosasta accadendo, per reagire e agire di conseguenza. Gli sbrigativi dibattiti gior-nalistici, fatti di interviste e battute, la scarsità di luoghi di serio approfondi-mento, non aiutano sicuramente a capire.

Ma vi sono oggi due temi soprattutto che ci obbligano a un impegnoprofondo e che, in una qualche misura, rappresentano una sfida per noi demo-cratici e - se è consentito - per verificare l’attualità di un pensiero cattoli-

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co–democratico: la crisi finanziaria mondiale e il progressivo logoramentodei modelli democratici tradizionali. Crisi spaventose che verificano proprioil significato greco della parola, che si può tradurre infatti come catastrofe ecome opportunità.

3.1 La crisi dei mercati finanziariA quanto si può vedere oggi (ma le settimane che ci attendono possono

illuminare altri aspetti ancora più drammatici) si sovrappongono, alimentan-dosi a vicenda, almeno tre crisi: a) la crisi del credito, che non è solo crisi difiducia dei depositanti e degli azionisti verso le banche, ma è anche crisi difiducia tra le banche; b) la crisi dell’economia reale, come conseguenza diquella finanziaria, destinata a stremare i paesi industriali; c) il tracollo delleborse. “La fine di un mondo non è la fine del mondo”, ci ha appena detto daquesta tribuna Alain Touraine.

Eppure è uno scenario inquietante, perché è la fine di un “inganno” cheha coinvolto e travolto tutti e dal quale non possiamo chiamarci fuori. Keynesdiceva ancora più di 70 anni fa che «quando la accumulazione di capitale diun paese diventa il sottoprodotto delle attività del casinò, è probabile che lecose vadano male» (Teoria generale dell’occupazione dell’interesse e dellamoneta, 1936).

Il casinò è impazzito, il banco è saltato. Non si tratta di demonizzare lafinanza, ma di mantenere il senso delle proporzioni e la barra delle regole,altrimenti il casinò prende il posto della vita reale. Lo si era già visto qualcheanno fa con la crisi dei mercati finanziari dell’estremo oriente, con la crisi deibond argentini e poi con la crisi dell’Enron e, qui da noi, con i crac Parmalate Cirio. La crisi questa volta è più grave ed estesa, al punto da far tornare inauge il tanto detestato keynesismo. Di più ancora: dopo la “finanziarizzazio-ne dell’economia” siamo ora (ben oltre il keynesismo) alla “socializzazionedella finanza”, cioè alla socializzazione dei costi dei fallimenti della finanza.

Non sorprendono le “facce di bronzo” di tanti governanti, a partire dainostri. I più accesi sostenitori dell’individualismo sfrenato anche sul pianodel diritto (ricordate?: “liberi di fare ciò che vogliamo”, “è etico non dare piùdel 30% dal proprio reddito allo stato, dunque è morale l’evasione” etc…)potremmo dire gli esaltatori dell’ “anomos” cioè dell’uomo senza diritto(quello che annuncia la catastrofe per citare San Paolo), oggi sono improvvi-samente diventati i sostenitori della necessità di porre al mercato limiti eregole. Gli inventori domestici delle “cartolarizzazioni” (quelle che “tutto ilmondo ci invidia e ci copia”) e di ogni forma di finanza creativa, oggi si pro-

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pongono come i moralizzatori del mercato. Coloro che hanno sempre “tenu-to a distanza” l’Europa e contestato l’euro (immaginiamo oggi che ne sareb-be del nostro paese senza quella scelta!) e la BCE oggi vantano di avere essiproposto un fondo europeo per intervenire nella crisi, dimenticando che l’UE,priva di quel “governo politico” che proprio le destre europee hanno semprevoluto negarle, non ha strumenti adeguati per intervenire.

Noi, cari amici, soprattutto e solo noi europeisti della prima ora abbia-mo titolo, credibilità e dovere di riparlare di Europa in termini seri.

Parliamo pure di nuove regole per il mercato. Ma quali? Ricordo un arti-colo di GiacomoVaciago di qualche anno fa che diceva: di regole per il mer-cato ne basterebbe una, il settimo comandamento. È necessario, cari amici,tornare a privilegiare le operazioni che finanziano la produzione di beni realie la capacità di acquisto delle famiglie. Ciò comporta la riduzione delle atti-vità a rischio, da banca di investimento, e il ridimensionamento dell’attualesproporzionato ruolo della finanza. Insomma è la finanza che deve tornare aservire lo sviluppo delle industrie. La finanza non è negativa in sé, ma lodiventa quando è fine a se stessa. Quando l’economia reale si sviluppa in fun-zione dei mercati finanziari e non viceversa, l’esplosione della crisi è inevi-tabile. Come i fatti dimostrano.

Ma c’è una ulteriore osservazione che vorrei fare evocando nuovamen-te un commento penetrante di Aldo Schiavone (La Repubblica, 7 ottobre) alrecente discorso di Benedetto XVI a proposito del valore del denaro che“scompare” ed è “niente” rispetto a ciò che è veramente duraturo, cioè laParola di Dio, “che cambia il nostro concetto di realismo”.

Una presa di posizione che lui giudica positivamente perché mai comein questo momento l’occidente ha bisogno di fare i conti con se stesso inmodo esigente e ha bisogno di una completa revisione dei propri punti di rife-rimento, a cominciare della sua etica pubblica.

Una posizione, quella del Papa, di cui Schiavone offre due interpreta-zioni. La prima di natura profetica: il denaro assunto come metafora dellamondanità.

La seconda di natura più storica e politica di critica delle distorsioni pro-dotte dall’economia capitalistica: un richiamo drammatico al rapporto tra pro-fitto e lavoro, fra denaro e lavoro «nell’ubriacatura da ipermodernizzazioneche abbiamo attraversato, sembrava che questa relazione fosse ormai soloqualcosa di arcaico, un paradigma senza più valore né economico né etico,che non misurasse insomma nulla di reale….» C’è dunque, secondo

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Schiavone, nel discorso del Papa, un richiamo etico e politico all’esigenza ditornare alla relazione “maestra” fra profitto e lavoro, di tornare al valore diquella che chiamiamo economia reale fatta cioè di capitale, di lavoro e di pro-duzione di beni, di cui la dimensione finanziaria come ho detto non può cheessere una dimensione complementare e ausiliaria. L’opportunità che dobbia-mo cogliere, dunque, in questa crisi, è l’opportunità di un ri-pensamento e unri-cominciamento. È qui, su questo snodo di fondo, che anche la cultura poli-tica del cattolicesimo–democratico è sfidata a dire pensieri e proposte nuove.

3.2. Il logoramento delle istituzioni democratiche L’altro tema su cui dobbiamo tornare a cimentarci è quello della demo-

crazia. È , per così dire, il tema principe su cui è nata la tradizione culturalee politica che, appunto, dal discorso di Caltagirone (1904) in poi siamo solitidefinire cattolicesimo democratico. Il dibattito attuale è purtroppo attraversa-to da tante suggestioni di modernariato istituzionale che, almeno in parte,sono complici della attuale crisi della democrazia. Che è crisi di rappresen-tanza e non solo come si tende a far credere di capacità di decisione. Ladistanza crescente dei cittadini dalle istituzioni e dalla politica ha proprio ache fare con questa difficoltà a sentirsi rappresentati e ascoltati. Al capezzaledi questo malato ci sono oggi molti studiosi che ci aiutano nella diagnosi: daRobert Dahl, a John Dunn, da Zakaria a Böckenforde, da Giovanni Sartori aLeopoldo Elia. La cosa che trovo insopportabile, oltre che grave in sé, è ladisinvoltura con cui taluni pensano di dare per scontato il divorzio fra il popo-lo - che è pur sempre il titolare della sovranità, soprattutto nel nostro conte-sto costituzionale - e il cosiddetto palazzo e che, dunque, la politica debbaessere sempre più questione di pochi, titolati a parlarne tra loro.

Debbo dirvi a tal proposito che mi sono trovato piuttosto a disagio quan-do mi sono sentito obbligato a intervenire polemicamente riguardo un artico-lo di Walter Veltroni sul tema della riforma dei regolamenti parlamentariapparso tre giorni fa sul “La Stampa”. Questa mattina mi risponde StefanoCeccanti su “Europa”, con un pizzico di provocazione avendo cercato di tra-scinare Leopoldo Elia a sostegno delle sue tesi. Non mi va di continuare unapolemica stucchevole, ma è molto grave che per inseguire un dibattito acca-demico astratto e anche controverso, si arrivi a sostenere che la tradizionaleseparazione dei poteri fra esecutivo e legislativo sia ormai superata e vadariperimetrata su una supposta nuova separazione fra il cosiddetto continuumgoverno–maggioranza cui compete fare le leggi da un lato, e l’opposizionecui compete controllare il prodotto legislativo dall’altro. Il parlamento ver-

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rebbe in tal modo spaccato in due parti, i parlamentari avrebbero uno statusdiverso a seconda se siano in maggioranza o all’opposizione. Chi vince le ele-zioni in virtù di una sacrale investitura popolare del suo leader avrebbe prati-camente tutti i poteri, tranne quello di “controllo” sulle leggi e sull’attività delgoverno che, peraltro, non si capisce bene come potrebbe essere esercitatodall’opposizione, poiché il controllo sulle leggi lo si fa concorrendo a fabbri-carle, non certo visionandole in modo esterno e di fatto ex post. L’opposizionein questa italica geometria bipolare, si godrebbe cinque anni di tranquillità perprepararsi al successivo passaggio elettorale. Vengono alla mente proprio leparole di Leopoldo scritte qualche anno fa per una pubblicazione di Astrid(lasciatemi dire un grazie a Franco Bassanini per tenere in vita questo labo-ratorio di seria cultura istituzionale e di contro informazione rispetto a talunedegenerazioni del dibattito accademico): «Nel lungo intervallo di legislaturasi realizzerebbe in pieno l’affermazione di Rosseau, secondo il quale il popo-lo (inglese) è libero solo il giorno in cui vota, mentre è schiavo negli altrigiorni. A quel punto la storia si ferma e ci si dà appuntamento dopo cinqueanni, mentre il tempo continua a scorrere utilmente solo per chi ha vinto leelezioni». E badate bene, cari amici, questa sorta di rivoluzione copernicanadovrebbe avvenire secondo l’attuale maggioranza, e forse secondo anchequalche complice che siede dalle nostre parti, semplicemente attraverso lamodifica dei Regolamenti della Camera e del Senato: nella relazione dellaproposta di revisione la maggioranza scrive infatti che i regolamenti «deter-minano la corretta configurazione della forma di governo in modo più sot-terraneo, ma oramai più penetrante delle stesse previsioni costituzionali».

Si andrebbe di fatto, senza aver scelto il sistema presidenziale (poichésarebbe più complicato e meno “penetrante” procedere a una revisione costi-tuzionale), verso una forma di “presidenza imperiale” senza il contrappeso diun parlamento forte e indipendente come è in tutti i sistemi presidenziali apartire da quello statunitense. Anche qui consiglio la lettura di uno scritto gio-vanile e assai penetrante sotto il profilo scientifico di Leopoldo Elia: “Formadi governo e procedimento legislativo negli Stati Uniti d’America” (1959).

Nella proposta della maggioranza, all’opposizione sarebbero riservati“visibili” diritti di tribuna, ma sfugge la ragione per cui l’opposizionedovrebbe accontentarsi di tali modesti diritti di visibilità a fronte della sottra-zione delle sostanziali prerogative legislative, poste come ho detto tutte incapo al continuum governo–maggioranza. Cari amici non stiamo discutendodi quisquiglie, ma della qualità della nostra democrazia, e se anche il paese

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fosse distratto e persino se fosse rapito dal magnetismo dell’ “uomo che deci-de”, noi avremmo come abbiamo il dovere di reagire, di resistere se volete, didifendere una democrazia che conservi un minimo di qualità. Per questo miattendo da Dario a conclusione del convegno, parole chiare in proposito circala posizione del partito. Ma non ne dubito

3.3. La Fondazione “Persona, Comunità, Democrazia”Beppe Fioroni e Franco Marini hanno già anticipato nel dibattito il

senso della decisione assunta dall’Associazione “I Popolari” di promuoverela nascita di una Fondazione. Se “QUARTA FASE” non è una corrente, a mag-gior ragione non può esserlo la Fondazione che nasce non per organizzare, néper associare alcunché, ma solo per favorire l’incontro di chi è interessato a“pensare pensieri nuovi” partendo dal nucleo e dalla tradizione del popolari-smo e del cattolicesimo democratico. Il compito che ci è assegnato oggi è,come ha scritto Pietro Scoppola, quello di passare dalla «democrazia cristia-na all’innervamento cristiano della democrazia», e per fare questo occorreun lavoro duro e di qualità. L’ambizione è tanta e le forze sono poche.Vorremmo che essa si costituisse come luogo aperto a quegli intellettuali chesi riconoscono in questo filone di pensiero e che sentono la responsabilità didare un contributo alla democrazia del paese e alla scommessa del Pd. Apertoa coloro che, a maggior ragione di fronte alla crisi attuale, sentono la sugge-stione di parole che vengono parlate sempre meno, come uguaglianza(l’OCSE dice che l’Italia è seconda, subito dopo gli USA, nella triste gradua-toria della disuguaglianza), giustizia, solidarietà, fraternità.

«Perché riformisti e rivoluzionari hanno interpretato in maniera diver-sa la fratellanza umana? In che modo il sentimento di comunità umana puòessere il cardine di una nuova sinistra riformista?» si è chiesto recentemen-te il filosofo israeliano Avishai Margalit. Perché, diversamente dalla sinistraradicale, legata al mito proletario, quella riformista «propugna una duplicefedeltà, verso i lavoratori e verso il paese». E aggiunge di guardare alla tria-de “libertà, uguaglianza e fraternità” cha ha dettato in gran parte il pensieropolitico nell’età moderna. Ne siamo convinti anche noi. Ma su questo terrenodi lavoro che attende il PD noi riteniamo di poter dare un contributo per moltiaspetti complementare e non meno utile, lavorando su un’altra triade:“Persona, Comunità, Democrazia”.

Così infatti si chiama la nostra Fondazione. (Applausi)

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On. Pierluigi Castagnetti

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On. Enrico Letta

In modo non rituale, ma in modo molto profondo ringrazio per l’invito.Sono molto contento di essere qui, non sono una pecorella smarrita, ancheperché siamo in Umbria (Applausi) e in Umbria ci sono i lupi e poi qui gira-no anche i lupi marsicani e quindi non è tempo di pecorelle. Sono uno che èalla ricerca, come credo tutti noi siamo alla ricerca, in una fase, in un tempodifficile, in un tempo in cui dobbiamo evitare il grande rischio che corriamo,ed è il rischio di considerare che i tempi che abbiamo vissuto prima, che altriprima di noi o insieme a noi hanno vissuto prima di noi siano migliori deltempo che stiamo vivendo. Io credo che un politico debba evitare di aggetti-vare in positivo o in negativo il tempo che sta vivendo. Un politico deveporsi, nel momento nel quale è eletto dai cittadini e si candida a guidare lasocietà, in quel tempo, in quel periodo deve porsi il problema di come farloal meglio e non di giudicare quel tempo. Credo che oggi, soprattutto quelloche sta accadendo fuori da noi, e prendo il testimone idealmente dalle ultimecose che ha detto Pierluigi, che condivido profondamente, e si apre una fasecreativa, una fase costituente perché sono saltati gran parte dei pilastri e deiparadigmi su cui abbiamo costruito e su cui si sono costruite le scelte degliultimi tempi. Forse su cui si sono costruiti i 15 anni di politiche sociali, dipolitiche economiche e anche di politiche istituzionali. Non sto qui a faredescrizioni. Provo a dire alcune delle cose che dobbiamo fare. Le descrizionisono le macerie che vediamo quotidianamente attorno a noi. Stiamo attenti,perché se queste macerie non le vediamo ancora fisicamente, le ascoltiamosoltanto nei listini delle borse che crollano, noi sappiamo che la crisi finan-ziaria è come un terremoto nell’oceano che fa partire un’onda anomala, enor-me, grande. Per adesso l’onda anomala è in viaggio soltanto nell’Oceano, peradesso i banchieri centrali sono intervenuti, intervengono, le banche sono al

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sicuro, i risparmi sono al sicuro, ma l’onda anomala è partita e l’onda anoma-la a un certo punto arriverà a incontrare delle coste e quando le incontrerà econ quale intensità le incontrerà non siamo in grado di saperlo, ma le incon-trerà e queste cose sono i consumi delle famiglie, il credito al sistema dellepiccole e medie imprese che sono il cuore del nostro sistema produttivo e chein Italia derivano le loro risorse finanziarie dal sistema creditizio, non da altro.Se è vero che il ricorso alla cassa integrazione sta già crescendo, è già cre-sciuto, sappiamo tutti che cosa questo vorrà dire in prospettiva futuro. Non èqui il caso di tinte forti. Qui è il caso semplicemente di dire che o la politicaaffronta e mette in campo risposte, oppure tutto il resto è molto complicato.

Si è entrati in una fase nella quale la finanza privata e pubblica avevateorizzato che le passività potevano diventare attivi, pari pari e che tutto som-mato cambiava poco e se andate avanti così, si è fatta finanza, creativa e quisemplicemente c’è da tornare indietro. Il passivo è passivo, il debito va richia-mato e non può trasformarsi il debito in qualche cosa di attivo, così come laquestione dell’equità e della sobrietà degli stipendi dei manager. I tempi: nonpiù i tempi dei due anni, dei tre anni per valutare un risultato, ma anche noiin politica ci siamo fatti prendere tre mesi. Come si fa a dare un giudizio sullatrimestrale di cassa? Eppure le stock option e tutti gli stipendi dei manager diquesti anni sono organizzati attorno a quel risultato e con tutto quello cheabbiamo visto, e poi il rapporto tra reale e virtuale, stando attenti al fatto cheanche le risposte che si sono date in questi giorni, in queste settimane, sonorisposte più virtuali che reali e lo dico perché nel weekend in cui negli StatiUniti è saltata Lehman Brothers ed è entrato in crisi il sistema finanziarioamericano, in quel weekend non è che sono circolati soldi, non è che ci sonopezzi di sistema che hanno comprato altri pezzi di sistema tirando fuori soldi.No, si sono scambiati pezzi di carta. Punto. E pensare di risolvere una crisiche è legata proprio alla virtualità della finanza con lo stesso sistema, Bankof America che compra Merrill Lynch semplicemente con degli scambi dicarta, ci danno l’idea che non si è ancora capita la profondità della crisi. Iocredo che attorno a questo tema invece la nostra capacità di mettere in campoidee e proposte per rifondare sì un sistema di politica economica e un sistemadi politica tout-court che sia in grado di affrontare, intanto di attutire l’impat-to dell’onda anomala, quello che noi stiamo dicendo in questi giorni, conscelte a favore delle piccole e medie imprese e scelte a favore dei lavoratoriitaliani e delle famiglie italiane. Se non le si fanno l’impatto dell’onda ano-mala sarà devastante e a quel punto poi dopo non piangeremo i listini che

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scendono, ma piangeremo molto molto di peggio, e quindi gli interventi cheabbiamo proposto in questo periodo. Qui c’è altro. C’è molto altro, c’è lariflessione su che cosa vuol dire il sistema globale, la finanza globale, la crisiche attraversa l’oceano in un attimo e si abbatte su di noi e che cosa vuol direche Cina ed Euro, le parole d’ordine culturali sulle quali la destra ha vinto inquesti anni, contro la Cina e contro l’Euro e l’Europa, sono due parole d’or-dine profondamente sbagliate e che oggi dobbiamo ritorcere contro questadestra. Oggi tutti gli economisti ci raccontano e ci spiegano che siamoaggrappati alla Cina, siamo aggrappati alle performance di quella parte delmondo e tutti ci spiegano e tutti sappiamo che siamo aggrappati all’Euro eall’Europa. La colpa di questi giorni, di queste settimane, è la poca Europa,non è il fatto che l’Europa si sia divisa, perché è bene saperlo, lo diciamo tutti,facciamo il paragone più semplice e brutale, gli americani hanno preso deci-sioni, ma le hanno prese perché hanno delle regole con cui 27 Stati decidonoper uno, scusate, 50 Stati decidono per uno. Noi abbiamo regole per cui 27Stati non riescono a decidere per uno, ognuno va per conto suo. La crisi del1929, quand’è che è esplosa? Quando ogni pezzo del sistema ha immaginatodi risolvere un suo problema fregando il vicino.

La crisi di questi giorni si sta avvitando e non trova soluzioni perché,come per esempio ha fatto l’Irlanda, uno risolve il suo problema fregando ilvicino, in quel caso la Gran Bretagna, e se questo è il sistema, noi abbiamo difronte un potenziale avvitamento che cambierà e sta già cambiando i conno-tati della politica. Noi abbiamo bisogno di interventi concreti, di sostegnoall’economia reale. Abbiamo bisogno di affrontare il tema della produttivitàdella nostra economia con le modalità con cui stamattina Raffaele Bonanni viha parlato, attraverso l’arrivare tutti insieme a un accordo sul contratto di pro-duttività. Abbiamo bisogno di un nuovo welfare, che ci consenta di liberare italenti della nostra società. Attenzione, noi abbiamo un welfare costruitosull’Italia del passato, un’Italia del passato che considerava come meritevoledi attenzione da parte del suo welfare, per l’appunto, non i bambini e ledonne, ma l’uomo di mezza età, maschio, italiano di mezza età, che è il cen-tro del nostro sistema di stato sociale quando invece noi sappiamo oggi che ilproblema della nostra società è liberare talenti, far sì che le politiche a favo-re della famiglia riescano a rimettere in campo politiche di natalità, far sì cheil tema della longevità sia un tema che gestiamo in positivo. Perché dobbia-mo sempre parlare di invecchiamento della popolazione? È il ringiovanimen-to delle persone, mettiamola in altro modo, vuol dire che abbiamo tante per-

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sone che possono essere ancora utili alla nostra società. Se questi sono i temi,il nostro problema è che il Partito Democratico, diciamolo francamente, èuscito dal cuore degli italiani. Noi siamo usciti dal cuore degli italiani. Nonsiamo stati in grado di parlare la lingua che si parla nelle nostre case la sera acena, la lingua delle cose concrete di cui parlano gli italiani, che non sono ilchiacchiericcio del politichese che si rimbalza tra i dieci giornali che alla mat-tina ognuno di noi legge per sapere che cosa ha scritto quello in risposta aquell’altro. Finché noi non usciamo da quel chiacchiericcio e non parliamo intermini secchi la lingua che parlano gli italiani la sera a cena, non siamo ingrado nemmeno di affrontare la vera domanda alla quale il PartitoDemocratico non ha ancora dato una risposta, la missione - e riprendo quelloche abbiamo sentito prima così efficace - la missione, e io lo declino un pez-zettino più in là, un partito del 33% in Italia, un grande partito del 33% inItalia può avere due missioni, e sono entrambe degne e dignitose: può essereun partito che mette il suo essere opposizione al centro, che cerca di farlabene e cerca di rendere contenti, soddisfatti del compiere la propria missionedi opposizione i propri dirigenti e i propri militanti. Un’opposizione nellasocietà, profonda. E poi c’è un’altra missione di un partito del 33%, costrui-re mattone per mattone tutto ciò che è necessario per arrivare al 51% e sap-piamo che non sono le stesse missioni. Abbiamo l’impressione di vivere in unpartito che questo tema ancora non l’ha sciolto, cioè abbiamo l’impressionedi vivere in un partito in cui l’idea che si possa tutto sommato vivere beneperché stiamo al 33%, governiamo tante aree del nostro paese che tanto nes-suno ci toccherà e tutto sommato, questo governare tante aree del paese, esse-re all’opposizione e farla bene ha un unico problema, essere contenti di farebene l’opposizione, essere soddisfatti di farla.

Fatemi dire che questo non è il tema che abbiamo di fronte, il tema cheabbiamo di fronte è molto più complicato, è come arrivare al 51%, con qualialleanze sociali, con quali alleanze politiche, con quale cambiamento di lin-guaggio da parte nostra, con quale capacità di tornare al cuore degli italiani.Dobbiamo uscire da questa religione del bipartitismo che sembra aver presoanche parte del nostro paese, il nostro paese non sarà mai un paese che vivedi bipartitismo, il nostro paese non sarà mai un paese nel quale la democraziaè imposta dall’alto. Noi dobbiamo fare una lotta senza quartiere e in questoessere alleati profondamente, fino in fondo insieme ai nostri amici dell’UDCsulla lotta contro l’eliminazione delle preferenze delle prossime elezionieuropee (Applausi) Dobbiamo far sì che questo tema sia un tema che radi-

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chiamo culturalmente nel nostro partito, perché io non mi dimentico chevengo da una regione, la Toscana, che l’eliminazione delle preferenze se l’èinventata per il Consiglio Regionale, noi eravamo contro, altri purtroppoerano a favore, e che questo semplice argomento è l’argomento più forte pergli altri, quando ci dicono, ma che ci raccontate, la democrazia violata?Guardate dove è stato fatto per la prima volta! Qui c’è un altro tema fonda-mentale di qualità della nostra democrazia. Ci sono scelte, sfumature, percor-si diversi, io credo che conti la buona fede reciproca in questa ricerca che tutticompiamo, ricerca in cui la laicità vuol dire sapere che nessuno di noi ha laverità in tasca e io sono il primo a non averla e ne sono completamente con-vinto. Io credo e vedo le discussioni che attraversano i nostri incontri, daquello che ho capito anche l’incontro di questi giorni, i miei dubbi, sapete,sono sempre stati quelli sul fatto che metterci insieme sulla base del nostroDNA nel momento nel quale quelli con cui ci mettiamo insieme sono piùpesanti di noi ci inibisce automaticamente la possibilità di ambire nei fatti aguidare il Partito Democratico e il centrosinistra nel futuro. E sono dispostoovviamente a capire, ad ascoltare e a discutere, ma io penso che dentro il par-tito che abbiamo costruito, la richiesta del pluralismo non basti perché se - lodico francamente - ognuno di noi verificasse che il pluralismo nel nostro par-tito non è garantito, io credo che nessuno di noi ci rimarrebbe un giorno in piùin un partito nel quale il pluralismo non è la base centrale. Io penso che ilnostro problema sia un problema forse maggiore e molto complicato, il temadella subalternità che abbiamo discusso prima e che ognuno di noi vive, io perprimo, in tutte le sue azioni dentro il nostro partito. Allora noi dobbiamocostruire le condizioni e dobbiamo capire come farlo perché sia chiaro che nelnostro partito non è un problema di oggi, non è un problema di domani, per-ché la leadership del nostro partito non è in discussione, ma siccome abbia-mo detto che abbiamo fatto un partito per i nostri figli e per i nostri nipoti, ilproblema un giorno si porrà, e allora deve essere chiaro che siamo in un par-tito nel quale chi viene dalla nostra tradizione deve aver diritto ad ambire aguidare il Partito Democratico. (Applausi)

E fatemi concludere queste mie brevi riflessioni riprendendo anch’io, hacolpito tutti noi la sequenza di questo anno e mezzo, da marzo dell’anno scor-so, Andreatta, Scoppola, Ardigò, Elia. Ci sentiamo orfani, ma forse ci sentia-mo qualcosa di più che orfani, sentiamo sulle nostre spalle il peso di questeeredità, perché io credo che ognuno di noi, avvicinandosi a queste eredità hasemplicemente i brividi. Abbiamo secondo me avuto in più, ed è uno degli

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elementi che mi fa dire che noi dobbiamo guardare con coraggio e con sensodel positivo anche al tempo che stiamo vivendo, che in questa difficoltà è arri-vato un messaggio dal Papa a Cagliari, che io traduco. Non dovete chiedere ivoti perché avete il crocifisso alle spalle. Dovete chiedere i voti per le vostreidee nel merito, lo sviluppo sostenibile, la competenza, il rigore morale, lanuova generazione e quindi il rinnovamento. Io penso che sia un grande mes-saggio. È un messaggio che ci richiama al fatto che noi dobbiamo vivere ilnostro tempo, questo tempo così difficile, e se siamo orfani, se ci sentiamoorfani e se sentiamo il peso di questa eredità così dura, soprattutto per chi havissuto insieme a quei maestri, oggi si rende conto del peso di questa inade-guatezza e si rende conto di quanto e di cosa vuol dire non soltanto essereorfani, ma in fondo sapere che c’è una missione da compiere e quando ci sisente inadeguati per compiere una missione così difficile, le forze mancano,vengono meno. Bene, io credo che questo sia proprio il punto che noi abbia-mo di fronte, il peso di questa eredità, il senso profondo della nostra inade-guatezza rispetto ai maestri che hanno fatto la nostra storia deve essere pernoi il senso della consapevolezza del limite nostro e della politica, ma deveessere anche lo stimolo e il dovere di provarci. (Applausi)

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On. Enrico Letta

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On. Pier Paolo Baretta

Grazie. Mi inserisco su alcune riflessioni che ho sentito anche non solonel corso di questi due giorni, ma anche negli ultimi interventi, perché nonsfugge a nessuno ed è sotto gli occhi di tutti la gravità della situazione eco-nomica e sociale. È vero che il rischio è ancora di sottovalutarla. La legittimapreoccupazione di non diffondere allarmismo fa attenuare e sfumare la valu-tazione sul fatto che questa crisi non solo è profonda, ma è anche lunga neltempo. Abbiamo ancora un lungo tempo prima di intravedere qualche ipotesidi uscita. Sicuramente in questi giorni abbiamo assistito alla disinvoltura conla quale molti parlano di regole, di etica e di ruolo dello Stato, e si è guarda-to - hanno fatto bene a ricordarlo molti in queste due giornate - con suffi-cienza a chi in questi anni invece ha con coerenza e rigore tenuto presente ilpunto di equilibrio tra il mercato e il capitalismo, la giustizia sociale e regolepositive eppure voglio dire che il tempo per accorgersi della deriva c’erastato, perché oggi siamo tutti di fronte allo scoppio di questa situazione, manon è una situazione che è venuta in queste ore, in questi giorni, in queste set-timane.

Abbiamo alle spalle la Tainlandia, abbiamo alle spalle i bond argentini,abbiamo alle spalle la Enron, abbiamo alle spalle nel nostro piccolo laParmalat e la Cirio, abbiamo alle spalle il fatto che ogni venerdì, in manieraperaltro anche immorale, le borse bruciano miliardi e ieri, soltanto ieri, 450miliardi di euro. Insomma, sono anni che l’avvitamento di un sistema nelquale la questione di fondo non è la congiuntura, non è soltanto la specula-zione, ma l’obsolescenza di regole locali di fronte al mercato globale è venu-ta maturando, ed era alla coscienza di ciascuno.

Io sono molto d’accordo con coloro che hanno detto questa sera chedobbiamo uscire da questa crisi che sarà, ripeto, lunga e pesante, con una

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nuova stagione del capitalismo, più moderno, più efficiente, più equo.Trasformare in opportunità la crisi, dirlo in queste ore sembra paradossale,però ha ragione Castagnetti, questa crisi può anche essere un’opportunità enoi la dobbiamo vivere così, sapendo che l’immediatezza, adesso EnricoLetta diceva, arriverà alle coste, arriverà, e le imprese e i lavoratori sarannocoloro che sulle spiagge riceveranno l’ondata dello tsunami.

Sta aumentando la cassa integrazione, in maniera esponenziale, giornoper giorno, e io credo, approfitto con una parentesi che spero non sia fuori daltema, invito caldamente il partito a dare il via il più velocemente possibile aicircoli nei posti di lavoro, non soltanto nel territorio (Applausi) abbiamo biso-gno, proprio adesso, in questa situazione, che dentro i posti di lavoro, non sol-tanto ovviamente le fabbriche tradizionali, ma i grandi centri commerciali, legrandi stazioni, i servizi… l’insieme del mondo del lavoro si radichi ancheuna proposta. Le imprese avranno una crisi di liquidità, lo ha ricordato laMarcegaglia, i lavoratori hanno insieme dei problemi che abbiamo manife-stato in questi giorni.

Allora, il piano del Governo - Franco Marini questa mattina ci diceva,quei due punti sono importanti e possono essere approvati - ma dobbiamoanche dire subito che quei due punti non bastano. Al piano del Governo vannoaggiunti altri quattro punti e noi li dobbiamo dire. Due sono già stati detti inParlamento: il fondo per le piccole aziende e lo sgravio delle tasse sui redditie sulle pensioni. Ma ci sono altri due punti: un piano di investimenti che deveentrare subito in circuito e una discussione più esplicita sugli ammortizzatorisociali, perché questa crisi toccherà in maniera diretta il lavoro e abbiamobisogno di un ponte con gli ammortizzatori sociali. Queste cose non sono pre-senti nel piano del Governo, e allora io sono pronto, se l’indicazione del par-tito è quella che ha detto Marini questa mattina, cioè di approvare i due puntidel Governo, sono pronto a farlo, per quell’aspetto, ma dobbiamo ribadire chequesti altri punti vanno messi urgentemente all’ordine della discussione.

Mi ha fatto molto piacere sentire poco fa le tre parole a cui ha fatto rife-rimento Pierluigi Castagnetti, comunità, persona, democrazia, per una ragio-ne precisa, perché penso che siano alcuni aspetti - e concludo velocemente -che sono le caratteristiche all’interno di questa crisi, ed è il punto nel quale sipuò dimostrare anche il contributo culturale della nostra parte politica, dentroil Partito Democratico e come Partito Democratico dentro la politica italiana.E li cito velocemente, l’intreccio tra la crisi dei consumi, il potere d’acquistoe i mutui sta modificando la composizione sociale e la composizione della

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rappresentanza. Sì, da un lato si sta differenziando, le differenze tra chi ha dipiù e chi ha di meno si allargano, si sta realizzando un indistinto ceto popo-lare che sfuma le differenze sociali tradizionali. Ebbene, questo pone il tema,a chi ci rivolgiamo. Guardate, l’interlocutore è la famiglia perché - e lo dicocinicamente - l’individuo o affonda o se la cava, chi resta in zona di galleg-giamento e rischia di non farcela in questa situazione è la famiglia, il mes-saggio esplicito anche economico deve essere rivolto alla famiglia.

La seconda. Se la crisi finanziaria non è solo speculazione, allora, senzafarla lunga, la democrazia è il tema. Ma la democrazia economica è il tema.La democrazia politica, quella che abbiamo imparato a scuola, quella deidiritti e del voto, non basta più se non si invera in democrazia economicaimplode, se non è capace di raccogliere la sfida attuale.

E terza ed ultima considerazione, la crisi non è solo crisi materiale. C’èuna forte componente immateriale. La componente immateriale è la solitudi-ne. La gente è sempre più sola di fronte a problemi che sono più grandi diloro. Ebbene tessere una rete, lanciare un messaggio, non soltanto di soluzio-ni materiali ma anche di risposta a questo smarrimento, a questa solitudine èun compito che la nuova politica deve porsi e in questo senso io penso che larelazione di Beppe Fioroni e i contributi al dibattito hanno messo sul versogiusto quello che può essere il nostro contributo dentro il Partito Democraticoed il contributo che il Partito Democratico può dare a questa delicata fase delpaese. (Applausi)

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On. Pier Paolo Baretta

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Pietro Conenna

Nell’intervento di Giuseppe Fioroni di ieri si sono ricordati gli scontriche sono avvenuti nel Governo sul decreto Gelmini sul tema scuola, come sualtri temi. Secondo il mio punto di vista questo scontro dovrebbe essere menoideologico e più legato al merito dei problemi per trovare nell’elettore unamaggiore attenzione. E’ necessario che su problemi come la scuola e su altrinoi riusciamo ad opporre non tanto una nostra azione in contropiede, ma unprogetto politico organico e completo, costruito all’interno del partito.Soltanto in questo modo sarà possibile risalire quella china di consenso checi deve far raggiungere quel famoso 50% per ritornare quantomeno in futuroad avere un ruolo più significativo all’interno del paese.

Il progetto politico non può consistere nelle solite duecento pagine delprogramma dell’Unione di alcuni anni fa, ma deve essere in modo sinteticofatto su 10-25 punti, per ciascun argomento.. Nel progetto devono essereindicati gli obiettivi, i costi, i risparmi e i tempi, né possiamo portare avantinostre proposte politiche senza tenere conto della situazione economica delpaese, che non è solo legata al momento contingente, ma è il risultato di annie decenni di politiche sbagliate, che hanno portato il debito pubblico italianoad essere nella misura in cui oggi lo conosciamo.

Secondo il mio punto di vista c’è proprio questa carenza di elaborazioneche forse è dovuta anche al fatto che nel momento in cui noi ci avviassimo afarla, troveremmo all’interno del partito idee diverse e contrapposte. Questoè un problema, però questo punto secondo il mio punto di vista dobbiamoassolutamente affrontarlo altrimenti siamo legati all’immobilismo, all’impos-sibilità politica di avere un ruolo attivo nella politica italiana. Gli ultimi fatti,

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di fronte al decreto del governo di sostegno alle banche ci siamo trovati adover annunciare il nostro sostegno tanto per partecipare anche noi quando ilgoverno in due giorni era riuscito a impostare il decreto e non aveva certa-mente bisogno per la sua maggioranza del nostro contributo.

Noi dobbiamo arrivare prima, avere delle proposte, elaborate e costruitein modo intelligente avendo il coraggio di porle al paese, devono essereconosciute dagli elettori.

Uno dei grandi temi di questa crisi è stato il mondo dell’impresa. Si èsempre detto, ed è stato detto anche da Mauro Ceruti nell’intervento di ieri,che la globalizzazione ha fatto sì che gli stati nazionali perdessero importan-za, perdessero ruolo. Questa crisi invece ci insegna che non è così. Il sistemadelle imprese mondiale andrebbe in crisi nonostante siamo di fronte ad imp-rese multinazionali che hanno una potenza, o perlomeno che avevano unapotenza di assoluto rispetto. Quindi dobbiamo rivedere quello che è il sistemadi impresa, sia nella politica italiana, sia all’estero, tenendo conto che le imp-rese non sono soltanto imprese private o imprese pubbliche. Esiste - secondoil mio punto di vista - un nuovo tipo di impresa di cui dobbiamo tenere conto,alla quale dobbiamo assegnare dei vincoli, e cioè all’impresa assistita, perchéun’impresa può decidere liberamente quella che è la retribuzione dei propriamministratori, dei suoi quadri dirigenti quando opera in regime di liberomercato o comunque opera con capitali propri. Quando succede invece, perle imprese italiane ma non solo, negli Stati Uniti vediamo che la crisi ha evi-denziato che queste cose succedono anche là, quando le imprese invece oper-ano con capitali dello Stato, con aiuti significativi dello Stato, dati nei modipiù diversi, in forme di agevolazione al credito specifiche, non generalizzatea tutto il sistema ma specifiche, esse dovrebbero rispondere a determinateregole, ci dovrebbero essere per esempio dei tetti alle retribuzioni. Ma per-ché? Perché non si trasferiscono i soldi dati dallo Stato con motivazionidiverse all’incremento proprio delle retribuzioni. Quello che ci preoccupa,per esempio della Lehman Brothers, ma potremmo parlare anchedell’Unicredito, 9 milioni di euro, diciamo, l’amministratore delegato, per laLehman parlavamo di 100 milioni di euro l’anno. Non sono questi singolistipendi, ma sono la somma degli stipendi dati a pioggia a tutti i quadri diri-genti che vanno a intaccare quello che è la redditività reale di una società. Sela società è privata, non ha importanza, ma nel momento in cui questa soci-

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età, come succede in Italia per molte società, è in qualche modo finanziatanelle forme più strane, più diverse… ebbene, lì noi dobbiamo stabilire delleregole. Saranno nazionali oggi, saranno internazionali domani, ma questeregole devono far sì che il denaro pubblico venga speso in modo più accortoed intelligente. Termino qua perché è l’ora… Grazie ancora.

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Pietro Conenna

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On. Franco Laratta

Credo che non più di tre minuti, anzi, che tante cose sono state dette esono giusto una testimonianza. Dunque, io credo che stasera, in alcunimomenti è prevalso un senso di paura, come se noi fossimo spaventatiimprovvisamente del partito che stiamo costruendo, il Partito Democratico, unsenso di paura e di preoccupazione come se noi non ci ritrovassimo più, nonvedessimo più un futuro in questo partito, nel Partito Democratico, e questanon è una condizione ideale per la costruzione del partito e per la difesa diquelli che sono i nostri ideali, la nostra cultura, la nostra tradizione. E abbia-mo parlato molto di cattolicesimo democratico, abbiamo parlato dei cattolicisenza però, credo che sia a questo punto giusto dire - e qualcuno l’ha detto -che non basta essere cattolici, definirsi cattolici per poter dire di essere piùbravi, di avere diritto a più spazio, di poter meritare più consensi. Sono catto-lici anche molti del centrodestra, la cappella di Montecitorio è piena la matti-na di Forza Italia, di AN, di Lega, che fanno la comunione davanti al Vescovoe al Cardinale, e sono anche loro cattolici e noi non abbiamo diritto di dire chesiamo più cattolici di loro. Si distingue questo nostro impegno di cattolicidemocratici nella proposta, nel progetto che non può più mancare, e non dob-biamo neanche aver paura di difendere le nostre idee, le nostre tradizioni, lanostra cultura con la proposta che qualche volta può anche non convergere,non trovare molte convergenze nel partito, perché appunto è un partito plura-le, un partito che ha più voci. E diceva bene stamattina, oggi, Franco Marininel suo intervento quando dice, il partito è piccolo, ha solo un anno, deve cre-scere e noi dobbiamo aiutarlo a far crescere bene questo partito, però ripeto,senza quest’angoscia, senza questa paura, senza questo timore, ma con le pro-poste e con le idee, noi dobbiamo riappropriarci di temi importanti, caldi. Adesempio, faceva bene Castagnetti quando diceva, da tempo si parla di difesa

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della Costituzione, del Parlamento, della democrazia di questo paese e nonsembrino paure forti, parole grosse. Noi che viviamo dentro le aule parlamen-tari sappiamo bene quanto questo Parlamento è offeso, è oltraggiato, di quan-to la Costituzione sia stata già cambiata e aggredita, e queste cose noi non lepossiamo consentire, perché noi cattolici siamo tra coloro che hanno fatto que-sta democrazia e questo paese e questa Costituzione, però insieme a questodobbiamo affrontare altri ragionamenti, altri discorsi… Il federalismo fiscale,ce lo chiediamo che cosa possa comportare per il paese il federalismo fiscale?Il paese, l’unità di questo paese, che modello di federalismo sarà fatto, e qualè la nostra proposta di federalismo fiscale? Se guardate, lo sapete tutti, nontutti i modelli di federalismo fiscale possono garantire l’unità di questo paese.

È anche questo, l’unità della nazione non sembri un discorso troppoforte, non sembri anche questa una parola troppo grossa. Anche questo è unargomento che si farà sempre più forte, sempre più attuale, la difesa dell’u-nità del paese, il federalismo ci porterà dei rischi gravi. Noi vediamo bene irischi che si corrono se il modello di federalismo è quello che concepiscequalche forza politica.

Attenzione, perché ieri alla Camera la Lega non ha votato un Ordine delGiorno per distribuire nelle scuole italiane la Costituzione. Guardate, questecose… e che Calderoli tiene la foto di Bossi al posto di quella del Presidentedella Repubblica nel suo ufficio. Tutte cose che lasciamo passare, lasciamoandare, come se tutto fosse normale. Non è così. Tutto diventa un segnale,tutto diventa pericoloso, tutto parla di un paese che in questo momento è spa-ventato e che se non sente la voce di chi difende, anche nei simboli è l’unitàdel paese, significa che tutto è possibile, che tutto è permesso.

E vado velocemente, tanto le altre cose sul Partito Democratico… vedoanch’io qualche rischio, lo vediamo tutti, lo segnaliamo, però sperando che lasmettiamo di piangerci addosso, di angosciarci, di frustarci ogni volta, di…sembriamo tutti pronti al suicidio, ma è nato un grande partito, un partito cheha più voci, noi siamo forti dentro, noi conteremo sempre di più se avremoargomenti e tesi da proporre, e il rischio è di un partito nel territorio ancoratroppo frazionato, il rischio è che nascano venti partiti regionali, il rischio èche il partito torni ad essere o diventi la sommatoria di due partiti d’origineche messi insieme non fanno il Partito Democratico, cioè che si blocchi, sifermi quell’ansia di cambiamento, di rinnovamento che aveva caratterizzatola nascita di questo partito.

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Ieri Fioroni ci ha dato un bel programma, un bel percorso da tracciare inquesti due giorni. Ottimo, l’abbiamo seguito, dobbiamo portarlo avanti…Dario, io vorrei dirti una cosa, e concludo, domani nel tuo intervento tu deviparlare anche con la voce, gli argomenti, le idee del futuro. Noi non possia-mo guardarci sempre indietro, noi abbiamo bisogno di lanciare un progetto,un’idea, un percorso. Sì, la nostra tradizione e la nostra cultura in noi, tuttoquello che è stato il nostro patrimonio e che difenderemo sempre e che faran-no parte del nostro ideale politico, ma bisogna ritornare a parlare al paese cheguarda avanti, essere una forza moderna, democratica, che parli al futuro eparli con un linguaggio diverso. Grazie. (Applausi)

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On. Franco Laratta

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On. Ettore Rosato

Eccoci, per approfittare di questi ultimi minuti a disposizione e dellapazienza di chi è stato qui. Io devo dire che sono stato particolarmente conten-to quest’anno di essere qui, perché nel percorso che molti di noi hanno fatto,non tutti fortunatamente, tanti si sono aggiunti o in tanti hanno camminatoinsieme, dalle prime esperienze in cui da giovanissimo appartenente alla DC,poi al PPI, la Margherita, l’Ulivo… abbiamo fatto tanti passi avanti e devo direche gli ultimi, quelli decisivi, quelli importanti che hanno sancito e hanno carat-terizzato il nostro futuro, sono quelli del coraggio delle scelte che abbiamoassunto nell’ultimo periodo. Penso al coraggio della scelta di andare da soli alleultime elezioni, di andare da soli con la coerenza di una esperienza, anche conla consapevolezza di un’esperienza defaticante di un Ulivo incapace di gover-nare negli ultimi due anni. Franco Marini stamattina nella sua relazione lo haraccontato anche con un po’ di sofferenza rispetto alle cose che volevamo fare.

Ecco, questo nostro percorso ha segnato sicuramente il nostro futuro, eio credo che dobbiamo esserne coerenti, coerenti in quella domanda cheEnrico Letta faceva prima, e che io ho sempre in mente da tempo. Qual è lavocazione del nostro partito, se possiamo accontentarci di essere un partitodel 30%, del 35% che ambisce ad avere un ruolo nella nostra società, un po’con quella vocazione che era tipica del Partito Comunista degli anni Ottanta,in cui era la vocazione di essere un grande partito di massa, ma un partito diopposizione, o se dobbiamo avere quella coerenza con la nostra idea, cioèquella voglia di costruire un partito di governo che sappia avere un suo stiledi opposizione quando è chiamato a fare opposizione, ma sappia soprattuttoavere un progetto politico e culturale per il paese, perché ha l’ambizione diandare al governo del paese.

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Di questo volevo parlare con due osservazioni molto brevi. La prima,l’approccio che abbiamo dato in questo inizio di legislatura, che io credo siastato un approccio di grandissima responsabilità, anche con quella capacitàche abbiamo avuto e i nostri dirigenti Walter Veltroni e Dario Franceschinihanno avuto in qualche volta, in qualche occasione, molte occasioni di nondire neanche sempre quello che pensavamo da subito, ma cercando di far pas-sare il tempo, di capire, di aspettare, di dare un messaggio al paese, di sere-nità. Ecco, questo stile è stato completamente rifiutato da Berlusconi che hamesso avanti i suoi interessi, che sono spesso in contrasto con gli interessigenerali del paese. Ma a questa domanda dobbiamo rispondere anche con unaltro quesito, se la coerenza nel nostro stile di opposizione, che naturalmenteadesso è cambiata, ma è cambiata non per scelta nostra ma per scelta delnostro interlocutore, se la coerenza a questo nostro percorso deve esserci nonsolo come fare opposizione, ma anche con chi fare opposizione. Perché devodire che Berlusconi ha avuto un grande alleato in questo periodo, che è statoDi Pietro. Di Pietro è stato un grande alleato di Berlusconi nello stile di oppo-sizione, facilitando questo scontro duro in cui naturalmente lui riesce anascondere i veri problemi del paese, alzando il tiro e prendendosela invececon la sua incapacità di gestire le questioni con un’opposizione che in effettifa solo il suo dovere. E io credo che questa domanda sul con chi fare opposi-zione debba avere una risposta nel prossimo futuro, nelle alleanze che vannocostruite.

Sui contenuti, e vado verso la conclusione, non mi soffermerei. Moltecose mi piacerebbe anche approfondirle sulla crisi dei mercati finanziari, macredo che Beppe soprattutto sia stato, con la sua relazione introduttiva, moltoesaustivo. Volevo fare un’osservazione più sui contenuti, sul modello di par-tito e sul suo linguaggio.

Io credo che abbiamo bisogno di chiederci e soprattutto di applicare unmodello nuovo di linguaggio per il nostro partito, lo dico anche pensando eripensando all’esperienza di governo dove un dato che ha solcato il distaccocon il paese è stata la nostra incapacità di comunicare le cose buone che face-vamo. Naturalmente a questo bisogna dare drastiche risposte perché è cam-biato, un po’ sta cambiando il tessuto sociale del nostro paese anche nelleperiferie, nelle amministrazioni locali. Io vedo che sta passando anche unacerta capacità di aggregazione delle liste civiche che ha caratterizzato il movi-mento dei sindaci dal’93 in avanti, e vengo dall’esperienza della sconfitta diRiccardo Illy nella mia regione. Ma non è solo questo, ce ne sono tante di

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quelle esperienze. Dobbiamo stare attenti che questa esperienza non vengaraccolta dal centrodestra, dobbiamo ritrovare un linguaggio per parlare a queltipo di società, che si aspetta semplicità, che si aspetta quasi pragmatismo suicontenuti, senza perdere dei valori, ma pragmatismo sui contenuti e sempli-cità di linguaggio. Quella semplicità di linguaggio, scusatemi, che ha ancheBerlusconi quando va al Bagaglino e dice cose inopportune in luoghi inop-portuni, ma che la gente percepisce come la concretezza di un uomo diGoverno che noi sappiamo essere lontana dalla realtà, ma per alcuni, permolte persone che abitano nel mio condominio è la concretezza di un uomodi governo che sa dare risposte immediate. Ecco, noi dobbiamo ritornare aquesta semplicità del linguaggio, che naturalmente non è solo in carico a noi,e chiudo veramente, ma è in carico anche agli organi di informazione che inquesto paese, su molte di queste cose, non stanno facendo un lavoro positivo,stanno trasformando la politica in una rissa continua invece anche di un tra-sferimento di responsabilità e di cose che collettivamente si fanno.

Chiudo con una considerazione finale sul perché siamo qui. Io credo chenoi non abbiamo da conquistarci un posto nel Partito Democratico. Credo chenoi siamo il Partito Democratico, che abbiamo la consapevolezza che lanostra classe dirigente guidi il Partito Democratico oggi. Senza la nostra clas-se dirigente, senza il nostro ruolo, senza la nostra presenza qui il PartitoDemocratico così come lo abbiamo oggi non ci sarebbe e non esisterebbe.

Grazie. (Applausi)

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On. Ettore Rosato

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Giannuzzi Miraglia

Mi chiamo Giannuzzi Miraglia, vengo da Venezia dove facciol’Assessore alle Politiche Educative. Vivo una realtà di un’amministrazioneinteressante, il nostro Sindaco è il filosofo Cacciari, la città è una città parti-colare che ha una lunga storia di centrosinistra che ancora continua. Facendol’Assessore con lo spirito che è riferito alle cose che qui sono state dette, noiabbiamo un sensore profondo di quella che è la realtà sociale nella qualeviviamo, sentiamo cosa dice la gente, come parla la gente, cosa capisce, cosavuole, e ci accorgiamo che il nostro messaggio è difficilissimo da far transi-tare alla gente. Dice il Sindaco Cacciari, con una battuta: “tira vento didestra”. Ed è vero, tira vento di destra. Lui dice di più, dice addirittura che inquesto momento storico si verifica che il grande disegno che noi avevamo dicollocare un partito della tradizione e dei grandi movimenti politici in qual-che modo era una troppo grande ambizione che non siamo riusciti a realizza-re, dice, grazie a Dio, anche, che però non è una cosa da lasciar perdere.

Allora perché siamo tutti venuti qui oggi? Siamo venuti perché voglia-mo un grande approfondimento della nostra presenza in questo momento inun partito che è il nostro partito, e dobbiamo ancora avere la speranza che nonconsiderando il partito una cosa a due schemi noi faremo la nostra strada, maritenendo che avendo la cittadinanza in questo partito così come è scritto neimomenti della fondazione, dobbiamo essere capaci anche di quel tanto dimeticciato che è necessario. Questo non vuol dire lasciar perdere le cose allequali crediamo, anzi, vuol dire avere una capacità dentro di inserirle. Ma diinserirle non solo dentro il partito, perché questo è perfino relativo, è allagente che noi dobbiamo parlare, e se siamo qui oggi, le cose profonde che cisiamo detti, dobbiamo avere la capacità di tradurle in quel linguaggio sem-plice che arrivi alla gente, perché queste cose profonde possano essere capi-

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te. Per due motivi strani e contraddittori: che la gente è stufa dell’arroganza edella presunzione e della spocchia che molta sinistra ha sempre dimostrato. Ionon voglio dare un giudizio negativo su quello che è successo a Roma. Voiavete amici a Roma? Io sì, ne ho tanti. Allora, la spocchia e l’arroganza conla quale noi siamo andati nei salotti e non più nelle periferie, è una colpa, enon va bene, e forse dovevamo aspettarci di perdere Roma. Se qualcuno nonse n’è accorto, vuol dire che non ha il sensore della situazione. Allora, un lin-guaggio diverso e una capacità di avvicinare la gente.

La seconda cosa che invece è negativa, la nostra gente è abituato da annidi berlusconismo, e non avremo mai finito di dire male di questo, e dobbia-mo avere il coraggio di dire male, perché è un male per il paese, si è abitua-ta ad altre cose. Non ha più spirito critico, si affida al capo che dice le cose equalunque sciocchezza venga trasmessa - l’abbiamo sentito dai deputati -viene accolta più favorevolmente. E allora, quello che noi dobbiamo fare, ècambiare linguaggio, cambiare metodo, e dirci delle cose con grande onestà,e /…/ brevemente… chiedo agli amici che sono a Roma se siamo tutti con-vinti di aver giocato onestamente tutte le carte che portavano a cambiare ilmeccanismo delle preferenze. Io sono convinta che non è vero e che moltihanno preferito questa garanzia che permetteva di scegliere ad alcuni livellile persone senza bisogno di andarle a confrontare con le periferie. Questa èuna cosa che è avvenuta. E se non ce lo diciamo siamo ipocriti.

Ci dobbiamo dire una seconda cosa, ma pensate voi che un partito cheha 15, 20 riferimenti sia un partito serio? Vuol dire che oltre ad avere delleidee abbiamo anche degli interessi di singole persone che vogliono tutte illoro spazio. E questo non è positivo.

Allora, per chiudere, sui grandi temi che abbiamo sentito oggi, il pro-blema della crisi, io non sono mica tanto convinta che con un po’ di buonavolontà e le belle cose che ci siamo detti, e che hanno detto la Marcegaglia eBonanni, si viene fuori dalla crisi. Guardate che in un periodo così amaro èmolto più semplice e facile che ci siano delle derive, sono più semplici e piùfacili, quindi tanto lavoro noi dobbiamo fare, tanta fatica per vedere di con-trastare questo, sulle cose.

Io sono l’Assessore alle Politiche Educative e dico solo una cosa, sullascuola noi non abbiamo fatto come partito quello che dovevamo fare. È veroche dobbiamo interessarci dei bambini, anche degli insegnanti, ma prima deibambini! Ma lì dentro ci sono delle corporazioni difficili, Fioroni, non è micavero che la posizione di Fioroni era apprezzata da tutti. Dagli insegnanti no,

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perché io li conosco gli insegnanti, uno per uno e le battaglie che facciamooggi per la scuola sono sacrosante, perché la gente ancora non ha capito cosasono le proposte del governo, lo capiranno quando iscriveranno il prossimoanno i loro bambini a scuola e si troveranno con una scuola con meno soldi,meno insegnanti, meno ore… solo la povera nostra Ministra, che Ministranon è, tutti lo sappiamo, ritiene che questo sarà un passo per… Tutto questoci scoraggia, dobbiamo ritornare nei nostri territori e verificare non solo cheil Parlamento abbia il suo ruolo più forte, ma forse anche i nostri Consiglicomunali che soffrono del meccanismo del fare, che una volta era difficilerealizzare, ma che forse adesso abbiamo dimenticato non è un atto di demo-crazia, spesso ci rendiamo conto che è più facile scartare i passaggi duri dellademocrazia e per fare non basta, noi dobbiamo fare ma con metodi e sistemie anche, se mi permettete, con i valori etici della vera democrazia. (Applausi)

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Giannuzzi Miraglia

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Paolo Giacon

Io vi ruberò pochissimi minuti. Buonasera a tutti, sono Paolo Giacon. Citenevo ad intervenire perché ho visto pochi oratori under 30. Ora, non è unacolpa, ma non vorrei che qualcuno pensasse che essere cattolici democraticiimpegnati in politica sia esclusivamente un’attività che si fa da dopo i 30 anniin poi. C’è ancora qualcuno che deve ancora compierli questi 30 anni e chenelle proprie comunità cerca di fare un servizio e di impegnarsi attivamente.

Devo confessarvi che venendo qui e parlando con gli amici, lasciandoPadova, la città da cui provengo, molti mi hanno guardato sbalorditi quandohanno saputo della mia presenza a questo convegno, perché oggi appunto,essere impegnati nel centrosinistra come cattolici non va di moda. Non va dimoda molto il Partito Democratico perché nonostante ci sia e cresca, il perio-do è assolutamente difficile, per cui il primo messaggio che cercherei di lan-ciarvi un po’ anche sull’onda delle provocazioni e dei suggerimenti di FrancoMarini è questo: cerchiamo di non avere paura, di non avere perplessità. Pernoi si apre credo un tempo di crescita, un tempo di semina e mi piace ricor-dare queste parole, nella politica come in tutte le sfere dell’attività umana,occorre il tempo, la pazienza, l’attesa del sole e della pioggia, il lungo prepa-rare, il persistente lavoro per poi infine arrivare a raccogliere i frutti. I fruttiarriveranno, speriamo naturalmente il prima possibile, forse non con le spal-late di grandi manifestazioni, ma sono convinto che arriveranno.

Due sono le provocazioni che non ho sentito in questo lungo dibattito.La prima si riferisce ad un forte attacco che è stato fatto credo al mondo cat-tolico democratico del centrosinistra da parte della rivista dei Gesuiti italiani“Aggiornamenti Sociali”. Non so quanti l’abbiano letta, però l’ultimo edito-riale di Padre Bartolomeo Sorge recita più o meno così, “Tanti cattolici cheavevano creduto nel disegno ulivista di Prodi, non nascondono ora lo scon-

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tento per un Partito Democratico privo di una chiara identità e che stentaL’articolo si sofferma lungamente anche sui torti e le colpe del GovernoBerlusconi e della maggioranza del centrodestra, ma davvero non è tenerocon il nostro Partito Democratico. E dice ancora, “Se da un lato bene ha fattoa non aderire alla manifestazione di Di Pietro, dall’altro non riesce a emer-gere come forza politica alternativa e distintiva. Troppo litigioso, troppoabbandonato a critiche e personalismi interni e così via”. Questo credo siaun problema. La migliore, la prima risposta che possiamo dare credo sia que-sta nostra di una convention partecipata. D’altra parte credo che anche nei ter-ritori fioriscano l’impegno da parte dei cattolici. Io provengo da una zona, ilVeneto, dove tradizionalmente fioriscono le scuole di formazione socio-poli-tica, e vedo ancora una grande adesione nei confronti di questi strumenti.

La cosa che mi sento di dire e di aggiungere è, che i cattolici, anche igiovani cattolici impegnati in politica, non si rassegnano soltanto a svolgereun ruolo culturale, un ruolo di tipo pre-politico, vogliono pesare politicamen-te, far pesare il loro impegno. Non vogliono limitarsi ad una presenza esclu-sivamente profetica, ma vogliono essere veramente il sale del mondo, il fer-mento di questo Partito Democratico.

La seconda sfida a cui dovremo rispondere, sinora nessuno l’ha propostaa questa assemblea, è una provocazione illustre, e mi sento quasi un po’ inimbarazzo a presentarvela, perché mi tocca un po’ tirare per la tonaca addirit-tura il Santo Padre che ultimamente ha invitato il mondo cattolico a coltivare,a cercare di far crescere una nuova generazione di laici cristiani capaci di cer-care con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile. Ora, difronte a questa frase che ha fatto grande scalpore tra l’altro sulla stampa, laprima domanda che è emersa è stata questa, e ve lo dico con grande sincerità,ma forse il Santo Padre intendeva dire che l’attuale generazione dei cattoliciimpegnati in politica non è all’altezza delle nostre sfide? Guardando il centro-destra mi viene il dubbio di aver pensato forse un po’ male ma di non aver fattogrande peccato e guardando il centrosinistra, non ho grandi risposte, credo cheognuno in coscienza debba darsi una risposta. Io non ho sicuramente né l’au-torità e né la competenza. Dico solo che questo interrogativo forte che vienedalla Santa Sede, debba interrogare le coscienze di ciascuno di noi.

Concludo sulla scia sempre di questa pontificia provocazione, conun’ultima riflessione che riguarda appunto l’impegno dei giovani in politica.A noi, come cattolici democratici, a tutti i livelli, da chi si impegna nelle cir-coscrizioni, come il sottoscritto, fino a chi ha responsabilità di conduzione del

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partito, chi ha importanti responsabilità istituzionali, viene chiesto prima ditutto di essere modello. E anche questa è una parola che ho poco sentito que-sta sera e ci tengo a ribadirla. Qual è il modello che presenta il centrodestra?Il modello di un premier che passa le sue nottate fino alle cinque di mattinain discoteca, quando noi invece abbiamo tutti i nostri Assessori che ci inse-gnano a fare campagna per un uso intelligente del divertimento tra i giovani.Il nostro grande premier, nel momento in cui crollano le borse mondiali, tra-scorre cinque ore in discoteca, esce dalla discoteca e parla della sua grandearte amatoria. Questo purtroppo è il modello che propone la destra. Noi, comecattolici democratici siamo chiamati a costruire un modello alternativo.

Chiudo ancora sulla domanda fondamentale, come stimolare questanuova generazione di cattolici impegnati in politica? Credo che questa sia unadelle questioni più urgenti che la nostra dirigenza, che le future fondazionidovranno porsi. Innanzi tutto io credo, essendo molto schietti, molto onesti ericordando che la politica è responsabilità,, la politica è studio, è passione, èimpegno, è farsi carico delle proprie comunità. Diceva La Pira, mi piacericordarlo, “politica è una responsabilità immensa, un severissimo servizioche ogni persona si assume”. La via della politica è dunque lastricata con lepietre della responsabilità, del servizio, dell’umiltà, del coraggio e davverocredo ce ne voglia di coraggio per andare controcorrente in questa nostrasocietà. Andremo via credo tutti noi da Assisi questa sera più ricchi, non soloper la rete di relazioni che abbiamo consolidato, che abbiamo costruito insie-me, ma anche perché ritroviamo ancora le nostre radici cristiane nell’impe-gno politico. Il cattolicesimo democratico che mi piace ricordare, non voglia-mo utilizzare come vessillo, come bandiera, ma come fonte di ogni piccologesto quotidiano. che come piccoli e grandi amministratori delle nostrecomunità o del nostro Stato portiamo avanti.

Direi che i giovani sono pronti a fare la loro parte. Io non sono un gran-de portavoce della mia generazione, però sono l’unico che in questi due gior-ni finora ha preso la parola per cui devo farmi carico di questo ruolo. Siamopronti a fare la nostra parte, a mollare gli ormeggi, sicuramente a fare riferi-mento alla tradizione, al pantheon, ai grandi maestri, ma credo siamo anchepronti a costruire sulla grande lezione del passato, sui grandi maestri del pas-sato una nuova identità democratica e popolare. Noi siamo per il nuovo,anche nel popolarismo, anche nell’impegno dei cattolici democratici in poli-tica. Grazie. (Applausi)

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Paolo Giacon

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Patrizia Minardi

Buonasera. Anch’io prenderò solo tre minuti, però ci tenevo ad interve-nire perché anch’io, come l’intervento precedente, sono una giovane cheviene dal sud e sono donna. Mi sentivo in dovere di intervenire perché ilPartito Democratico rappresenta anche, questa categoria di persone anche sesaremo sempre più… tenderemo sempre più a unirci.

Ecco, vorrei riprendere un aspetto specifico richiamato in maniera quan-to mai opportuna dal Professor Ceruti e poi anche da Treu, al modo di pensa-re la democrazia sociale ed economica e l’agire più propriamente politico nel-l’orizzonte europeo. Cosa può fare la politica, il Partito Democratico in par-ticolare nello spazio culturale, giuridico e anche economico-finanziariodell’Europa che oggi viviamo? E soprattutto, che cosa significa… questadomanda ce la siamo fatta un po’ in questi giorni, che cosa significa dotarsidi quelle conoscenze necessarie che ripudiano un po’ l’azione politica dellacomunicazione mediatica e sofistica a cui ogni giorno assistiamo e che inve-ce aprono ad un’azione politica che, abbiamo richiamato, deve essere semprepiù diffusamente responsabile. Allora, due brevissime osservazioni: la prima,secondo noi vuol dire conquistare quello spazio straordinario che l’Europa hacostruito per una vera e matura convivenza democratica nella quale i dirittisociali e civili che la cultura cattolica democratica ha consegnato alla tradi-zione politica più costruttiva del nostro paese sono riusciti… e sono ricono-sciuti e tutelati i diritti sociali e civili in virtù di quella politica europea con-divisa, quella che noi riconosciamo come inclusione sociale, inserimento dipolitiche e di welfare attivo, di conciliazione tra vita personale e professiona-le di uomini e donne che fanno dell’individuo una persona completa come èstato richiamato più volte in queste giornate, non di una persona ormai disa-giata nel proprio lavoro, disorientata, incapace di potersi integrare. Queste

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politiche appunto di inclusione, di inserimento, eccetera, l’Europa ce le con-segna nelle mani e io penso che il Partito Democratico debba fare uno sforzonell’interpretare quali sono le politiche di inclusione, di conciliazione e diinserimento lavorativo che naturalmente, attraverso sia i fondi strutturali chei fondi comunitari, noi mettiamo in campo, quindi un approfondimento delPartito Democratico anche in questi temi. E invece il nostro paese su questitemi sembra quasi assente e anche è il fanalino di coda, leggiamo in tutti glistudi su inclusione sociale, inserimento lavorativo, politiche di genere, comese l’Europa e Lisbona non riguardassero per niente appunto l’Italia e sembrache l’Italia faccia quasi fatica a costruire ogni giorno, sui nostri giornali, millemeccanismi tecnici, spesso strumentali di questi politiche, perdendo il sensoe l’orizzonte della costruzione di quella che anche da Fioroni è stata chiama-ta società plurale, cittadinanza attiva e aperta. E in questo senso penso chepiuttosto che limitarci a vedere meccanismi tecnici, meccanismi appunto ita-liani, dovremmo più avvicinarci a quelle che sono appunto le politiche chel’Europa ci indica e che, attraverso la Regione, gli enti locali e i territori,potremmo in un certo senso mettere in campo in maniera più forte non piùcasuale.

L’altro dato che voglio richiamare è alla domanda ancora, cosa può farela nostra politica e il Partito Democratico nello spazio europeo in cui vivia-mo, risponderemo con un altro suggerimento, vuol dire conquistare il sensosano del federalismo, ossia quello che è stato più volte detto il federalismodella vera sussidiarietà.

È vero, la differenza tra nord e sud c’è, l’abbiamo appunto evidenziata,sappiamo che anche in questo caso l’Europa dice che il sud è appunto nell’o-biettivo convergenza, il nord è nell’obiettivo competitività, ma questa diffe-renza ci dobbiamo impegnare a vederla in termini di crescita verso obiettivicomuni di innalzamento della qualità dell’istruzione, della formazione, dellaricerca e dell’innovazione. Temi sui quali ancora una volta l’Italia è il fanali-no di coda su queste tematiche. Tutti i dati ce lo dicono.

Allora, qual è il nostro contributo, come Partito Democratico, a questitemi? Cosa possiamo fare in maniera più forte e più stringente e più determi-nante su questi aspetti? Io penso che si tratti di impostare le politiche pubbli-che europee attraverso i territori, gli enti locali, non in un federalismo appun-to sterile, ma piuttosto in un federalismo cooperativo in cui appunto gli entilocali non sono schiacciati in compiti di tipo quotidiano, in cui c’è soprattut-to il contrasto tra il potere centrale e il potere dei territori, ma piuttosto biso-

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gna andare verso questi federalismo della cooperazione, della collaborazione,una cooperazione che porta queste politiche pubbliche seriamente ad essereimpegnate su questi temi a cui il paese non sembra rispondere. E allora sonopolitiche in cui naturalmente… sono politiche che guardano alla politica -scusate il bisticcio di parole - ma sono politiche pubbliche in cui si richiama-no alla politica come guida, come orientamento, di politiche pubbliche benorientate. Non possiamo più perdere le sfide di tanti anni, di tanti addiritturadecenni in cui appunto le Regioni sono state lasciate sole nell’orientamentodelle politiche pubbliche, sono state lasciate sole a risolvere le tematiche delsociale, le tematiche appunto della competitività, dell’impresa, dell’innova-zione, della ricerca e ancora oggi dell’istruzione e della formazione.

La politica, e in questo caso il Partito Democratico deve necessaria-mente guidare e orientare le politiche pubbliche affinché non si faccia solouna spesa appunto efficiente, ma una spesa soprattutto efficace. Allora ilrichiamo, secondo me, è a concentrarsi su un agire politico in linea con lepolitiche che l’Europa ci offre e a cui dobbiamo saper orientare per costruireun paese che sappia realmente stare con l’Europa e in Europa, e che sappiaorientare uomini e donne nell’esercizio della responsabilità e dei valori demo-cratici. Grazie. (Applausi)

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Patrizia Minardi

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Domenica 12 Ottobre 2008

Riccardo Corbucci

Oggi molti rappresentanti della politica sembrano più intenti a cercaretelecamere, titoli di giornale, piuttosto che dedicarsi ad affrontare quello cheè in qualche modo la questione del nostro tempo. Io credo che la nascita delPartito Democratico sia stata concepita in parte anche come antidoto a questostato di cose. Ma purtroppo anche alla crisi della politica si è aggiunto undeclino diciamo di un sistema economico basato su un mercato deregola-mentato che, devo dire, ha seguito a ruota il declino sociale e culturale delPaese. Sono entrati in crisi tutti i modelli, diciamo, come in un domino, delNovecento, tutti i modelli che hanno rappresentato, dai partiti politici, ovvia-mente i modelli solidali, a quelli culturali, addirittura quelli etici. E questodiciamo ha consentito ad alcuni personaggi di supplire a quello che dovrebbeessere la politica, cioè la risoluzione dei problemi del nostro tempo. Soltantoqualche mese fa sentivamo dire che l’economia mondiale era in buona salu-te, il candidato repubblicano Mc Cain poteva addirittura permettersi didichiarare che i fondamentali dell’economia erano a posto, che gli Stati Unitisoffrivano unicamente, virgolettato, di una recessione mentale. E invece lacrisi c’era, era evidente, aveva radici profonde, responsabilità chiare, che perònon possono continuare a pesare sui cittadini. E oggi sentivo nel dibattito suigiornali anche di ieri, ovviamente, che è necessario oggi l’unità per affronta-re la crisi. E certo delle volte però ci si domanda in nome di quale futuro, innome di quale modello di sviluppo alternativo, in nome anche di quale esem-pio un trentenne come posso essere io, che si trova diciamo ad andare in unabanca, a vedersi spesso rifiutato un mutuo, a vedersi spesso rifiutato un pre-stito per attivare un’impresa, in nome appunto di quale modello e di qualeesempio dovrebbe accettare di pagare i debiti di un mercato che ovviamenteha dimostrato la sua incapacità di produrre ricchezza reale per i Paesi e pre-

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carietà, dicevo all’inizio, una condizione che ormai è diventata di vita quoti-diana, che è diventata una sensazione globale, percepita dai lavoratori di tuttoil mondo e che sta divenendo drammatica anche per le generazioni, le giova-ni generazioni. E il Partito Democratico che stiamo costruendo, e più in gene-rale i cattolici in politica devono secondo me avere la forza di riportare al cen-tro reale della politica, e dunque anche della vita di questo Partito, la perso-na, la sua dignità, i suoi diritti, i suoi doveri. La politica credo esista in quan-to trae la propria origine d’ispirazione dall’uomo ed è finalizzata alla promo-zione della dignità e dei diritti degli uomini non in quanto dei singoli indivi-dui ma come membri di una società che deve essere giusta ed equa. E credoche valori quali la persona, il diritto ad un lavoro ed una casa, la famiglia, l’e-ducazione, che sono stati purtroppo accantonati a favore di modelli indivi-dualistici, spesso senza scrupoli, hanno oggi generato, lo dico con le parole diFioroni, una società senza dignità, senza solidarietà, senza rispetto per il pros-simo. A cambiare però debbo dire che è stata la politica, a mio avviso, perchénon sono cambiate le istanze dei cittadini. La richiesta che l’azione politicasia capace di incidere nella realtà quotidiana di ognuno di noi, cioè nell’e-sperienza degli amministratori eletti nelle istituzioni - io vengo da un muni-cipio romano - ma anche nelle Regioni, nei Comuni, ci racconta di come lacittadinanza si rivolga a questi front office con la stessa frequenza, con lestesse domande e con le stesse modalità di sempre. Ed aggiungerei anche conla stessa speranza che qualcuno voglia interpretare questi bisogni. E credo chela politica, e in qualche modo anche noi, negli ultimi anni abbiamo consenti-to troppo spesso che fosse qualcun altro ad interpretare questo ruolo e addi-rittura, lo dico anche vedendo le piazze di questi giorni, abbiamo permessoalle piazze di sostituirsi al ruolo invece che è quello centrale dei partiti poli-tici, in questo caso il nostro ruolo, lasciando spesso i cittadini, e l’opinionepubblica che si crea da questo dibattito, alla mercé di comici, qualunquisti o,peggio ancora, incantatori interessati. Io credo che il Partito Democraticodovrebbe invece fin dal principio rilanciare i concetti cardine della democraziache sono la rappresentatività e la partecipazione in primis, utilizzando una fraseche è celebre quanto però di difficile applicazione e cioè che si dovrebbe, quin-di in questo caso il PD dovrebbe cercare di pensare globalmente ed agire local-mente. Dovrebbe cioè comunicare con semplicità i propri principi, come sape-va fare, come ha saputo fare storicamente il Partito Popolare, e mi sia permes-so anche di dire di far funzionare con efficacia la propria macchina sui territo-ri, come sapeva fare la tradizione dei Democratici di Sinistra. Il Partito

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Democratico dovrebbe essere in grado quindi di scegliere anche una propriaclasse dirigente in base al merito e alla rappresentatività, dando dignità ai terri-tori e consentendo loro di valorizzare quelle migliaia di donne e di uomini chespesso si occupano della politica animati soltanto dalla passione e dedicanomagari intere giornate a questo nei propri territori. E così appare altrettantoimportante, lo dico ovviamente a chi ha incarichi di responsabilità inParlamento, dare la possibilità ai cittadini in ogni elezione di poter sceglieredirettamente con le preferenze i propri rappresentanti in tutte le competizionielettorali. Concludo facendo un’ultima riflessione sul ruolo dei cattolici in poli-tica, che è un dibattito che sento profondamente. Io credo che nella società del-l’incertezza e del rischio molte persone stanno riscoprendo la propria apparte-nenza al cattolicesimo al di là diciamo del coinvolgimento religioso e di quan-to ognuno di noi riesce diciamo ad esserlo nella vita quotidiana, al fine di poterritrovare un sentire comune ed un insieme di valori da condividere. In unmondo poi dove la parola democrazia, permettetemi, spesso si sta abusando esi sta anche pericolosamente svuotando di significato in molti Paesi, i valoricattolici dell’uguaglianza e della solidarietà trascendono e travalicano la stessadeclinazione del termine democrazia, sono in qualche modo più autorevoli inun mondo in cui la laicità intesa come neutralità assoluta sembra vacillare. Inun’epoca in cui la politica da sola non sembra più in grado di motivare lecoscienze e quindi di riaccendere la passione, i cattolici hanno secondo me ildovere di contribuire alla costruzione del Partito Democratico valorizzando lacultura della mediazione per la risoluzione dei conflitti, della formazione e del-l’educazione dei nostri giovani, della difesa della famiglia, della tutela dellavita, dell’attenzione verso gli ultimi. Potremmo ovviamente continuare, ma ciòche ritengo più importante, per riportare serietà e speranza nella nostra società,e in questo senso un forte richiamo ai doveri e non soltanto e sempre alla riven-dicazione dei diritti, tutti noi credo dobbiamo contribuire a buttare benzina neimotori del Partito Democratico per farlo camminare in mezzo alle persone, maper riuscire in questa impresa dobbiamo crederci e dobbiamo crederci tutti dav-vero. Grazie. (Applausi),

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Riccardo Corbucci

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On. Tino Iannuzzi

Io penso che innanzitutto l’idea di rivederci ad Assisi sia stata impor-tante e felice. Naturalmente non partiamo da zero perché abbiamo svolto ungrande lavoro nella costruzione del PD e nella guida del PD con Veltroni econ Dario Franceschini che sta esercitando il suo ruolo con grande passionee con grande capacità politica. Devo anche dire che dobbiamo procedere sullavia di Assisi con ancora maggior forza e maggiore determinazione, perché frale tante iniziative che sono state assunte nel Partito Democratico in questimesi, in verità non sempre felici, sicuramente la nostra non può essere consi-derata come un’iniziativa di corrente o di gruppo organizzato che si metteassieme per alimentare le condizioni, per partecipare alla divisione di ruoli, diorganigramma, di posti nella gestione del governo del partito delle istituzio-ni. Noi invece siamo espressione, lo dobbiamo dire ad alta voce ma soprat-tutto esserne profondamente consapevoli per la responsabilità che questoimplica, di una grande cultura politica, di una grande cultura democratica,quella del popolarismo e del cattolicesimo democratico che è profondamentenella storia e nella vita del nostro Paese e che ci deve quindi portare a decli-nare il nostro essere oggi cattolico democratico con modernità, dentro lanostra comunità, dentro i suoi problemi, le sue ansie e le sue contraddizioni,guardando alla dimensione non solo dei temi eticamente sensibili, ma ancheai problemi istituzionali e ai problemi sociali economici, giocando la nostrapartita e il nostro ruolo a tutto campo e a 360 gradi. Da questo punto di vistapenso che il nostro spirito deve essere molto determinato, anche perché lanostra posizione è quella, come ha detto Fioroni nella sua bella e ricca rela-zione, di lavorare per costruire, costruire assieme per tutto il Partito con unavisione generale del Paese, con una visione di respiro nazionale. Ed allora inquesta direzione a noi spetta di affermare una nuova e moderna laicità, nel

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Paese e nel PD. Una laicità che non può essere indifferenza o, peggio ancora,equidistanza o neutralità sui valori religiosi e visione della vita ispirata adaltre matrici culturali, magari mascherata con la possibilità di giustificarsil’anima dietro una non meglio intesa libertà di coscienza appena si pongonole questioni. No, noi dobbiamo riaffermare la laicità, la responsabilità, l’au-tonomia della politica e delle istituzioni ma anche la consapevolezza che ladimensione religiosa e la visione del sacro sono profondamente dentro il sen-timento del popolo italiano, sono dentro la storia e la dinamica delle nostreistituzioni democratiche e non possiamo accettare nel PD, come nel centrosi-nistra, un atteggiamento verso la Chiesa per cui la si osanna anche a dismi-sura quando si parla di pace, di rifiuto della guerra o di lotta alla povertà, lasi biasima o la si critica in maniera più strisciante quando si parla di famigliao di temi delicati come quelli della vita o del trattamento di fine vita. Su que-sti temi dobbiamo essere molto determinati. Come dobbiamo essere decisinella difesa dell’istituzione parlamentare, della democrazia parlamentare.Non possiamo da questo punto di vista accettare questa strisciante deforma-zione del nostro modello di governo si svilisce e si svuota il Parlamento. Ladinamica vorticosa dei processi economici e sociali, delle attività produttive,la dimensione del villaggio globale ci impone di considerare che i tempi delladecisione oggi debbono essere più rapidi, immediati ed integrali nella esecu-zione delle decisioni che si assumono, ma a noi spetta di difendere il grandevalore del parlamentarismo figlio di un’assemblea costituente in cui ci fuquella prima generazione di cattolici democratici indicata da Pierluigi ieri nelsuo bell’intervento. E allora a noi spetta in questa difesa del parlamentarismotrovare un nuovo equilibrio, tra decisione, che ci vuole e va accelerata, ediscussione e confronto fra autorità di Governo e ricerca delle sintesi piùampie possibili. Ma difesa della democrazia significa anche non snaturare ilruolo dell’opposizione. Noi non ci possiamo far dire a giorni alterni, un gior-no sì e un giorno no, come si fa opposizione. L’opposizione repubblicana gui-data da una grande motivazione pubblica e civica come la nostra significalavorare in spirito bipartisan sulla costruzione delle regole comuni e sui temidi interesse generale per la vita del Paese, come la drammatica crisi finanzia-ria; ma significa, sulle questioni di merito, fare un’opposizione netta, intran-sigente e determinata. Ma per noi, partito della democrazia, significa anchefar crescere la qualità della democrazia. E allora dobbiamo essere chiari.Come difendiamo il modello parlamentare, dobbiamo batterci contro l’esten-sione della pessima e disastrosa legge elettorale per il Parlamento nazionale,

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il “Porcellum”. Magari l’abbiamo biasimata tutti e la reintroduciamo ancheper le europee, blindando e bloccando le liste. Difendere la democrazia inquesto caso significa ridare ai cittadini la possibilità e il diritto della scelta dipoter eleggere non liste sorde e anonime di persone senza volti, ma di poterscegliere il proprio rappresentante con un volto, un nome e un cognome, per-sone in carne ed ossa. Su questo terreno a noi spetta di fare una battaglia a360 gradi nel Parlamento e nel Paese perché è un tutt’uno con la nostra visio-ne e la nostra concezione della democrazia. Devo anche dire, da ultimo, chenon possiamo come Partito Democratico, non possiamo come nostra sensibi-lità culturale e politica, caro Dario, rilanciare con grande determinazione,Beppe, il tema del Mezzogiorno. Sia ben chiaro, il tema del Mezzogiornooggi può essere rilanciato nella consapevolezza che il Mezzogiorno è tuttodentro la sfida della modernizzazione del Paese, del sistema economico, delsistema amministrativo, la sfida dell’innovazione e del rinnovamento dellapolitica, della vita pubblica e delle classi dirigenti. Ma in questa consapevo-lezza la questione del Mezzogiorno è questione vitale, è questione di interes-se nazionale, è questione che deve guidarci anche lungo il percorso cosìmisterioso e criptico del federalismo. Perché un Paese è e rimane unito nellasua unità profonda e sostanziale se la dignità della persona nelle prestazioni,dalla salute alla scuola, sono assicurati in maniera omogenea in tutto il terri-torio nazionale. Ecco allora io penso che su questa linea dobbiamo procede-re. E dobbiamo procedere, e ho concluso, verso anche la consapevolezza chedobbiamo vivere la nostra cultura e i nostri valori per dare al PD un grandeorizzonte ideale e culturale e politico. Quell’orizzonte lungo il quale dobbia-mo convincere il Paese che va condotta la sfida per battere Berlusconi, per faresplodere le sue contraddizioni e i suoi disvalori per affermare, perché noivinceremo questa battaglia se riusciremo a far passare nel Paese che occorreuna nuova etica, un’etica nella politica, nella vita pubblica, nell’economia,nella finanza, un’etica rispetto al quale il modello del berlusconismo è falla-ce e fallimentare. E in questo noi cattolici democratici dobbiamo vivere lanostra dimensione culturale con grande impegno, perché solo così possiamorespingere ed allontanare il pericolo di sudditanza, o di subalternità, o di posi-zione debole dentro il PD, che non c’è né ci deve essere. Per far questo a noicompete di essere convinti a 360 gradi del nostro ruolo, non per imporrevisioni chiuse o esclusive, autosufficienti o che non ci appartengono, ma perconcorrere a costruire davvero tutti insieme una grande cultura nuova, unagrande cultura democratica, aperta e più ampia, nel convincimento che senza

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di noi o contro di noi la cultura democratica, un vero grande PartitoDemocratico non ci può essere e non ci sarà, perché il Partito Democratico, ilsuo lievito, il suo sale essenziale, la sua grande spinta etica e culturale, l’ha ela deve avere in noi, Popolari e Democratici. Grazie. (Applausi),

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On. Tino Iannuzzi

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On. Patrizia Toia

Care amiche e cari amici, in questi giorni noi stiamo facendo un lavoroche io giudico essenziale nei due livelli lungo i quali si svolge, a volte anchecon qualche scatto un po’ brusco, quello culturale e quello politico. Quindi èimportante che alla relazione dotta di Touraine si alterni anche l’intervento diun militante. Penso che noi dobbiamo operare su questi due compiti, quellodella cultura, che è essenziale non solo perché noi sentiamo di avere un gran-de patrimonio, come è stato più volte detto, ma perché sentiamo anche l’an-sia, direi la responsabilità, di aggiornare questo patrimonio culturale, di met-terlo al servizio, di forgiarlo, di metterlo al servizio insomma delle nuovesfide, dei nuovi problemi. Una società che cambia in modo così sconvolgen-te ci interpella anche sotto questo profilo. Credo che sappiamo che non c’èpolitica o proposta politica senza un forte substrato culturale. Studiare, impa-rare, essere quei politici competenti, come autorevolmente è stato auspicato,credo che faccia parte del nostro modo di essere ed è il contributo essenzialee importante che dobbiamo portare nel PD. La relazione di Fioroni ieri, gliinterventi che si sono susseguiti, il richiamo anche di Castagnetti al plurali-smo culturale nel PD, l’istanza che è stata detta con molta forza da tutti icosiddetti giovani Deputati, si è detto, ma da tutti coloro che sono intervenu-ti, credo dimostrino come davvero noi vogliamo sottolineare la nostra origi-nalità, la nostra specificità, il profilo del nostro contributo per portarlo dentroil PD sapendo che solo così sarà quell’esperienza nuova, quella novità chevolevamo fosse. Solo col nostro contributo essenziale assieme agli altri. Unastoria importante, ho detto. Voglio dire che, guardate, dobbiamo essere moltoorgogliosi, senza arroganza e senza nostalgia del passato, ma senza questastoria, senza i cattolici democratici in politica nella Democrazia Cristiana,non solo non ci sarebbe stata questa Italia repubblicana e democratica che è

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così cresciuta, ma non ci sarebbe stata questa Europa che oggi tanto invo-chiamo. L’ha detto bene D’Ubaldo. La storia della Democrazia Cristiana deidiversi Paesi europei ha fatto questa Europa. Allora noi siamo proprio statiessenziali e centrali. Forse non saremo più così centrali nell’evoluzione delmondo, dell’Italia, dell’Europa, ma certamente c’è bisogno del nostro contri-buto. E io non mi rassegno che la parola democratici e popolari sia una spe-cie di aggettivo accanto al sostantivo liberali e democratici, socialisti demo-cratici, quasi per temperare, per completare queste culture. Credo che tutti noioggi abbiamo detto inequivocabilmente, e parlando di contenuti, non quindiauspicando, ma già mettendolo in pratica, che la responsabilità del nostrocontributo specifico è essenziale. E lo dico anche per l’Europa. Guardate, aifunerali di Elia, Franceschini mi faceva notare che non solo c’erano tantiuomini di una certa età, diciamo, e altri erano recentemente scomparsi, mac’erano anche giovani giuristi, almeno sette, lui diceva, ed erano molti, chepossono essere gli eredi, i testimoni, coloro che continuano questa storia.Quindi credo abbiamo questa speranza di sguardo sul futuro. Le parole di donPaglia credo che siano state molto efficaci al riguardo. Ho detto dell’Europae della storia dell’Europa. E voglio dire brevissimamente, che noi dobbiamodavvero abituarci, come siamo ritornati a fare dopo molto silenzio anchesull’Europa, come siamo ritornati a fare in questi giorni, e penso all’inter-vento di Marini che è stato a tutto campo ma su questo punto lo riprendo perla forza che vi ha impresso. Noi dobbiamo tornare a ragionare in terminimeno domestici con uno sguardo che si allarga e che parte propriodall’Europa per arrivare anche al mondo, per ricomprendere il nostro Paesecon tutta la forza dei nostri problemi. Perché sta lì gran parte della soluzione,o comunque sta in questa convergenza di problemi. C’è una, come dire, unaconsonanza. Quando si parla della democrazia in Italia, della crisi, è statodetto da molti, delle istituzioni, svuotamento del Parlamento, deriva plebisci-taria, della crisi della democrazia anche, non solo nelle istituzioni, ma nellamancanza di società, l’ha detto bene Ceruti, no? Non c’è più la società coisupporti vivi, con le sue aggregazioni, ci sono tanti rivoli, spesso in lotta fraloro. Sono gli stessi problemi dell’Europa. È il punto a cui siamo, sotto ilprimo degli impegni, il futuro politico dell’Europa, il suo profilo politico isti-tuzionale, creare davvero un’istituzione, perché non è un’organizzazionesovranazionale, è un’istituzione con poteri, rappresentanza. La crisi delTrattato di Lisbona, la difficoltà che lo accompagna, prima la Costituzione,sta a dimostrare come se vi è un problema di democrazia in Italia. È lo stes-

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so problema e insieme dobbiamo risolverlo in questa chiave anche in Europa.Anche sotto il profilo del distacco dei cittadini, un problema di cittadinanzaeuropea che non è sviluppato neanche in noi, in quelli che sono già cittadinieuropei e spesso non sentono questa dimensione. Ma vi è anche direi sottoaltri profili questa corrispondenza. Io vorrei, anche qui, molto brevemente,pensare al tema economico. Guardate, questa crisi ci rassegna un mondo del-l’economia dove la carenza di regole, l’insufficienza della vigilanza, la man-canza di forza delle organizzazioni che dovrebbero essere l’architrave dellestrutture finanziarie ed economiche, il mancato collegamento tra questi e ilmomento politico, il governo anche dell’economia, ci dicono quanto siamo indifficoltà e quanto siamo, sia sotto il profilo dei modelli, sia sotto il profilodella prassi, davvero in crisi. Devo dire, un po’ polemicamente, ci rassegnaanche una classe di banchieri e di uomini di finanza veramente sconcertante.Il re è nudo, altro che la politica! Ed è anche ricco, peraltro, oltre che nudo.Un gruppo di persone che non ha capito, o se ha capito ha speculato e cheoggi ci rassegna tutta la sua impotenza. Ma questa non è una consolazione,semmai un’aggravante di questa situazione. Allora io credo che anche qui noidobbiamo lavorare con molta consapevolezza che i problemi dell’Italia sonolì, sono i problemi dell’Europa e sono anche i problemi di una dimensione piùglobale. E rilanciare la nostra cultura, anche un nuovo modello, un diversomodello di economia. Si è detto qui del tema dell’economica sociale di mer-cato, guardate che intuizioni lungimiranti che oggi noi possiamo riapplicareal mondo del credito, al mondo della produzione, alle relazioni industriali, alruolo anche dei lavoratori che magari diventano partecipi delle imprese.Credo che ci sia moltissimo da investire in questa direzione. Oltre che mol-tissimo anche da costruire in termini di organizzazioni più forti anche sottoquesto profilo, dal ruolo della BCE a nuove strutture finanziarie, direi ancheuna capacità dell’Europa di essere più pronta a rispondere. Vedete, abbiamovisto che l’Italia, e per fortuna, ha chiesto con Sarkozy che ci sia questo fondoeuropeo che forse riprenderanno nonostante le resistenze che sappiamo.Guardate, anche qui, diciamo chiaramente e diciamo alla maggioranza di que-sto Paese e di questo Governo, che non si può essere un giorno europeisti eun giorno no. Non si può oggi invocare il Fondo Europeo e domani scredita-re l’Europa. Tremonti che oggi parla di BOND, parla di una visione dove c’èanche l’etica dentro la finanza, parla di cose che potrebbero essere condivisi-bili, è lo stesso Tremonti che ha parlato di dazi, che voleva erigere muri didifesa nazionale. E allora guardate, l’Europa, lo sanno bene gli amici che ci

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sono stati e quelli di voi che la frequentano, è un progetto che costruisce gior-no per giorno una credibilità che si va costruendo nella continuità, nella fidu-cia. Non può essere un progetto giornaliero di convenienze. E con quest’ulti-ma cosa vorrei dirvi, prepariamoci alle elezioni europee che saranno insiemeelezioni di vaglio politico per noi, molto severe e molto impegnative.Prepariamoci, perché l’Europa noi dovremo presentarla come un progettoconvincente sia sotto il profilo degli ideali, quindi appassionante, un profilodi un’istituzione che ci proietta verso il futuro, che dà speranza, che dà ancheuna missione, che dice che cosa è anche per i giovani e per la stabilità dellanostra società. Però deve essere anche un profilo di un’Europa conveniente,perché deve essere utile ai cittadini, vicina, deve incidere nella loro vita, nonpuò essere solo un sogno. Deve essere anche una convenienza diciamo che sirealizza nell’economia, nel welfare, nella convivenza civile più direi capacedi far vivere insieme le diversità, di lavorare per l’integrazione. E invece cipresenteranno un’Europa ostile, un’Europa dei vincoli, dei no, degli obblighiad accogliere gli immigrati, un’Europa delle convenienze per quella partepolitica. Quindi credo che c’è un lavoro impegnativo. Abbiamo cominciato afarlo, con Fassino, con Ranieri, vorrei che si facesse viva magari anche laMinistra che si occupa di questi problemi che per ora è rimasta così, nell’in-differenza e nel silenzio rispetto a noi. Questo per dire che c’è tanto da lavo-rare e c’è tanto da costruire. E un’ultima cosa, l’ho detto del profilo socialeche anche qui richiama immediatamente alle scelte che dovremmo fare nelnostro Paese per il welfare a quelle europee, ma anche sotto il profilo cultu-rale inteso come un vivere insieme. L’abbiamo sentito stamattina, l’abbiamosentito ieri, Ceruti, Giovagnoli, Touraine hanno continuato a richiamare que-sto compito di una ricomposizione. Dall’individuo alla persona, ha dettoTouraine. Giovagnoli ci ha riparlato proprio di questo pluralismo antropolo-gico. Il vivere insieme guardate che è davvero un qualche cosa in cui l’Europaci può aiutare, per questa capacità di far convivere le differenze, di mettereinsieme attorno a punti comuni i valori dei diritti umani, i punti essenziali,una convivenza più armonica. E noi queste cose le dovremo dire con la forzadell’idealità, ma anche con la concretezza delle risposte. A chi ha paura per-ché nel proprio quartiere, nella propria realtà vivono tensioni, non possiamodire: l’altro è una ricchezza. Perché sappiamo che per lui è un timore, è unapreoccupazione, è uno sconcerto. E allora dobbiamo accompagnare le rispo-ste concrete ma su una capacità di dire un po’ qual è la direzione di marcia,la direttrice di fondo, come ancora stamattina ci veniva detto. Allora io penso,

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per concludere, che parte da questa esperienza, diciamo che rafforza la nostrapresenza da un anno all’altro, che dà continuità, dà certezza a questa rete diQUARTA FASE, dentro il PD e per il PD, non fuori, non ostile, non correnti-zia o conventicola, ma forza che si autoalimenta per innervare questo Partito,parte un compito molto difficile e molto forte. Io credo che noi dobbiamoperò smetterla, anche io lo faccio, di chiedere ad altri questa forza. Spessodiciamo: dobbiamo, non possiamo essere marginali, dobbiamo contare, dob-biamo farlo. Io penso che se siamo orgogliosi di tutto questo, noi dovremmoquesta richiesta farla a nessun altro che a noi stessi. (Applausi),

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On. Patrizia Toia

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On. Enzo Carra

“Contra factum non valet argumentum.” Comincio, sì, con un latino.D’altra parte il latino sta ridiventando di moda, per nostra fortuna. I fatti prov-videnzialmente, questo significa, si incaricano di cambiare quello che noi nonsiamo capaci di cambiare. Abbiamo detto mille volte, per cose molto pocosignificative, nulla sarà come prima. E adesso sta arrivando quel momento.Questo fatto cambia la nostra vita, cambia la vita di tutti quanti, cambia la vitaanche della politica. Segna la fine dello strapotere dell’economia, quell’eco-nomia che aveva messo in difficoltà, che aveva messo in croce la politica e isuoi lacci, i suoi laccioli, le sue procedure democratiche, il suo indecisioni-smo. Ma scopriamo adesso, drammaticamente, che quell’economia era fatta,se non soprattutto, anche, se non soprattutto, da venditori di almanacchi. Eallora un’altra citazione latina, scusatemi, “vaticinium ex eventu”, cioè vedia-mo che cosa prevedere da questo evento, da questi fatti. Vuol dire innanzitut-to che oggi non ci sono più salvatori della Patria. Certo, non la salviamo noi,ma noi pensavamo, tutti pensavano che ci fosse sempre qualche cavalierebianco che venisse a risolvere i nostri problemi. In qualche momento è statoanche così. Ma oggi però quei cavalieri sono in difficoltà, con delle banca-rotte, con delle accuse. Il nuovo mondo che uscirà da questa crisi serve dun-que a rimettere forse ordine, a ridistribuire i ruoli, a restituire alla politicaquella che è la sua responsabilità primaria, con tutto il suo carico di respon-sabilità. La crisi impone un nuovo modello di società, su questo mi sembrache siamo tutti d’accordo, da Putin a Berlusconi. Anzi, Putin già ci ha pensa-to. E già tre anni fa, lo voglio ricordare perché ieri è stato citato da PierluigiCastagnetti e da tanti altri, quel meraviglioso sociologo e uomo buono che èstato Achille Ardigò, tre anni fa, nel 2005, aveva osservato che se non cam-biamo la città e la dimensione del quartiere, la vita delle nuove generazioni

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che vogliono far famiglia sarà sempre più faticosa. Questo vale per tutto ilmodello di società, che va assolutamente ripensato. Dovremo cambiare,anche qui c’è un’attesa popolare generale, dovremo ripensare anche le istitu-zioni internazionali a cominciare da Maastricht. È possibile che ci siaun’Europa le cui uniche preoccupazioni sono la stabilità dall’inflazione e illimite del 3% di deficit? È un po’ poco. Questo lo dicono tutti. Lo diconoanche quelli che, come noi, hanno pensato all’Europa prima di altri. Quindisarà inevitabile, immagino, una Maastricht 2, quindi un altro tipo di istituzio-ne europea. E sarà inevitabile anche pensare a che cosa è bene oggi perl’Italia, se sia abbastanza quel tipo di bipolarismo, barra, bipartitismo, imper-fetti e artificiosi, quando adesso, in questo momento, in questa situazionel’opposizione e la maggioranza almeno in questo devono avere un unicoobiettivo, quello dell’Italia. Non so se salvare l’Italia sia un po’ troppo enfa-tico, ma certamente mai come adesso, se è una democrazia, le due parti chela compongono, la maggioranza e l’opposizione, devono stare insieme. Se nonon è democrazia, è una lotta per che cosa non si capisce, neanche per il pote-re, è una cosa immaginaria di folli, di lemuri che si stanno spegnendo. Masperiamo che non sia così. Dunque anche questo tipo di bipolarismo va secon-do me ripensato. E poi nella redistribuzione dei ruoli della politica, dell’eco-nomia, anche quella dei giudici andrà ripensata. E vedete, anche qui, un fattodi ieri, l’accelerazione drammatica nella malattia di Eluana Englaro, e speria-mo che tolga ai giudici la necessità di intervenire con delle sentenze per giu-dicare della vita e della morte. Perché si incarica qualcun altro a intervenireal loro posto. E quindi ecco, anche qua, credo che un qualche ordine, dietro,dopo la crisi, si possa intravedere. La politica deve fare ovviamente la suaparte. La politica ha compiti diversi, lo sappiamo, non opposti, ma diversi daquelli della morale. Ho sentito ieri la Professoressa Fattorini che dava in testatanto agli ex TEO-DEM e a quelli che volevano i DICO. Ma la responsabi-lità, la domanda della politica non era sapere chi dei due, quale delle due partifosse migliore moralmente, ma la responsabilità della politica è chiedersi erispondere: in quel momento era bene fare i DICO, o no? Abbiamo detto, no.Forse è meglio così. Non lo so. Ma questo è il punto. Non è tanto decideresulla bontà, l’autorevolezza e la simpatia dei singoli attori. Riguardano unaltro ambito questi giudizi. Ho sentito giorni fa, alla conclusione della primafesta del Partito Democratico a Firenze, Walter Veltroni che ha lamentato l’at-tuale supremazia della Destra nella comunicazione e nella cultura. Ha detto:una volta si parlava dell’egemonia della Sinistra. Non c’è più, forse non c’era

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neanche allora, ma adesso certamente c’è l’egemonia della Destra. Però nonha detto che allora, quando si sospettava e c’era una qualche egemonia dellaSinistra, non soltanto della Sinistra, quella Sinistra insieme a noi era carica divalori, contestabili, contestati da noi, ma valori. Aveva dei contenuti. Eh,adesso ci si arrangia, si va avanti così, giorno per giorno, con delle invenzio-ni. E beh, allora la supremazia può anche essere di un altro, perché non è cheabbiamo il diritto al primo posto, questo non è stato mai dato a nessuno,soprattutto se uno ha le riserve scariche. E faccio un esempio piccolissimo.Abbiamo deciso, il Partito Democratico ha deciso di abbandonare, di trascu-rare quanto meno i giornali, forse non sono abbastanza autorevoli, non sonoi vettori di egemonia culturali, e allora ha deciso per le televisioni. E che cosaha fatto? Ha fatto due televisioni complessivamente nell’ambito del PartitoDemocratico. Ce n’è una, una WEB TV, come si dice, che è Youdem, quellaautorevole e ufficiale, diciamo, e poi ce n’è un’altra, generalista, di intratte-nimento, che è la RED, a cui credo che alcuni dei nostri amici daranno unamano perché vedo che nei RED sono entrati alcuni nostri amici. Un target altoquello della WEB TV, perché target alto è quello di chi ha una banda larga,cioè Internet - voi sapete che non tutti gli italiani ce l’hanno - e la televisioneper satellite. E poi, come fa questa Youdem, io ho letto scrupolosamente lapresentazione di questa televisione, chiede agli spettatori di questa televisio-ne, cioè della nostra televisione, della televisione del Partito Democratico, diproporre loro i contenuti. Questo in termini tecnici si chiama user generatedcontents. Cioè i contenuti sono quelli degli altri. Ma allora noi che cosa fac-ciamo, ci mettiamo lo spazio? Cioè, non siamo né un giornale, né un partito,siamo un non luogo, ci candidiamo ad essere un non luogo, uno spazio nelquale si va, si viene, ma nessuno si trova a casa sua. Si scaricano dei conte-nuti. Questo mi sembra un punto sul quale riflettere. Perché poi in questainsostenibile leggerezza dell’essere in un momento che invece richiede, nonessendo leggero, idee forti, anche questa vicenda che ormai è imminente, del25 ottobre, è stata, se permettete, è stata anche, almeno a leggere i giornali, èstata presa un po’ sottogamba. Perché prima è stata presentata in manieraalquanto enfatica, poi è stata presa come un fatto, beh, si può rinviare, oppu-re qualcun altro dice, si può ripensare. Ma non vorrei che qualcun altro poiscappasse fuori in questi giorni a dire che trattandosi di ottobre, si potrebbepensare a un’ottobrata romana con euforia da vino bianco. Questo non è unperiodo in cui si possono affrontare così i problemi. L’ultima cosa. Tuttiabbiamo elogiato, sentito molto attentamente Alain Touraine ieri. Alain

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Touraine dal mio punto di vista ha commesso un errore - forse ne avrà com-messi di più, come tutti noi, nella sua vita di sociologo e di scrittore - lui hascritto nel dopo Salvador Allende, lui ha scritto un Diario Cileno nel 1973. Inquesto Diario Cileno, di un altro 11 settembre, quello appunto della fine diSalvador Allende del Fronte Popolare Cileno, scrive che la DemocraziaCristiana Cilena avendo abbandonato Salvador Allende sarebbe scomparsadalla storia del Cile. Così non è stato, perché quella Democrazia Cristiana èstoria del Cile. Io dico una cosa, forse non c’entra niente con la DemocraziaCristiana, per carità, però le nostre idee sono la storia e sono anche il futurodi questo Paese. (Applausi),

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On. Enzo Carra

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On. Silvia Costa

Care amiche, cari amici, io sono venuta ad Assisi certamente per fedeltàad una ispirazione comune, a una storia, di un movimento che va al di là dellesingole persone, che andrà oltre le nostre singole persone, e anche in nome diqueste grandi personalità coerenti che sono stati maestri e fratelli, che cihanno lasciato e che lasciano un vuoto francamente credo proprio incolmabi-le. Sono stati richiamati, giustamente, Andreatta, Scoppola, Ardigò, Elia, ilmio coetaneo Paolo Giuntella. Però devo dire che sono venuta con un disa-gio. Con un disagio e con alcune difficoltà. Siccome qui mi pare che siamofra amici, oggi Monsignor Vincenzo Paglia, che è stato anche il mio grandeParroco, ci invitava alla sincerità fra di noi, dobbiamo dircelo. Questo primoanno di vita del PD è stato sicuramente difficile, segnato da una grave scon-fitta elettorale, da una sconfitta elettorale che a Roma si è fatta molto più tra-gica. Abbiamo vissuto momenti tutti insieme di grande preoccupazione.Capisco che siamo, come diceva qualcuno, ancora un soggetto troppo giova-ne, però si vede dall’inizio il tratto con cui vogliamo essere in questo Partito.E io credo che siamo, io mi sento un po’, come dire, in difficoltà, perché mipare che ci siamo occupati più di organigrammi che di elaborazione condivi-sa o di offrire questo lievito alla comune casa. Mi sembra che abbiamo taciu-to in momenti passati molto difficili, molte persone come me, penso comealtri, che forse sono un po’ più refrattarie ai vincoli troppo stretti di piccoligruppi locali si son sentiti un po’ quasi tollerati nella casa popolare. E si è gio-cato un po’ troppo su personalismi, su poteri da dividere, su garanzie da dare.Oggi nel Vangelo si diceva: molti sono i chiamati, pochi gli eletti. Non vorreiche anche qui, che questo diventasse evangelicamente un’interpretazione unpo’ banalizzata, la storia anche delle nostre preferenze. Ho sentito ieri conpiacere dire che si vuole per le prossime elezioni, da parte nostra detto con

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forza, da parte di Beppe Ceroni, che si vuole che le prossime elezioni euro-pee siano con le liste con le preferenze. Dovevamo dirlo prima. L’abbiamodetto dopo che è stata decisa, per iniziativa della maggioranza, una legge elet-torale che le elimina. Però non vorrei che ci fossero le persone che servonoquando c’è da avere la fiducia degli elettori e persone che servono quando c’èda avere persone fedeli e non necessariamente con capacità anche di pensarein proprio quando si tratta invece di fare delle liste chiuse. Questo credo chesia un tema che dobbiamo affrontare con sincerità, se no ci diciamo delle coseun po’ farisaiche. Però devo dire che nella relazione di Beppe Fioroni dell’al-tro ieri, e degli interventi che ho sentito ieri, molto profondo, molto sinceri econ molta fiducia, che da questa grande crisi noi non solo abbiamo l’oppor-tunità, ma abbiamo anche il dovere, come ci ha detto oggi Padre VincenzoPaglia, di sentirci una grande responsabilità sulle nostre spalle, di non potersfuggire, nei momenti più tragici della storia di questo Paese i cattolici demo-cratici hanno saputo assumersi la responsabilità. E quindi non posso che esse-re che qui. Devo dire che ho ragioni di andare avanti, di superare qualchedelusione e anche di credere di più che insieme possiamo farcela. Ma insie-me. O noi ritroviamo la forza di essere un soggetto collettivo, un soggettocomunitario, come abbiamo detto, un soggetto che ha bisogno di tutti, perchétutti possono portare qualcosa a questo processo, o noi ci illudiamo di salva-re un pezzetto di potere ma non andremo da nessuna parte. E questa deveessere la convinzione nuova che abbiamo maturato ad Assisi, a cui ci attenia-mo tutti, sono certa che Dario Franceschini e Giuseppe Fioroni saprannointerpretarla con generosità e guardando oltre noi stessi, oltre le nostre perso-ne, sapendo di costruire qualcosa per le nuove generazioni, di cui dovremmooccuparmi forse un po’ di più. Io ho apprezzato molto ieri alcuni interventi inparticolare, parlo di quello di Pierluigi Castagnetti, di Edo Patriarca e di altri.E anche alcune analisi non del tutto condivise, ma alcune sì, della EmmaFattorini che pure viene da una storia diversa dalla nostra. Però mi fa piacereche dica oggi, noi cattolici democratici. E io chiedo a Pierluigi Castagnettiche la Fondazione che a lui è affidata diventi davvero come lui ha detto, unluogo aperto, attiva da subito, che sappia chiamare le migliori energie, lemigliori teste. C’è tanta gente che vorrebbe essere iscritta a questo Partito, pernoi, e che non sa dove ritrovarci, che non sa dove essere spesi come capacitàdi elaborazione, di dare una mano, di essere fermento. Abbiamo delle que-stioni urgenti. La questione antropologica è una questione sulla quale dob-biamo interloquire con i Vescovi, con i laici, con il mondo anche che non è

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credente e che però è l’unica cifra che ci fa immaginare quella società diver-sa che dobbiamo costruire. Oggi la politica non ha soltanto il dovere dellarappresentanza, ha il dovere di utilizzare delle attitudini direi femminili, pren-dersi cura della società, creare relazioni nella società, promuovere l’autono-mia delle persone ed essere in qualche modo una politica di accompagna-mento, perché c’è anche da ricucire lacerazioni. C’è un’altra questione, quel-la economica e sociale, qui richiamata. Sommessamente dico che oggi tuttidicono quello che forse diceva un tempo Peguy: la rivoluzione o sarà mora-le, o non sarà. È importante. L’abbiamo detto in periodi in cui sembrava chequesto fosse una, come dire, una nostalgia di un passato tutto interno allanostra storia. E invece oggi ha bisogno di noi e di questa cultura politica. Peròmi chiedo, i nostri intellettuali, non i nostri, il nostro mondo, i nostri italiani,i grandi economisti, quelli che hanno sempre ragione, il giorno dopo, quelliche dicevano, che oggi dicono che l’economia è un’economia di carta, perchéfinanziarizzata, quelli che dicono che bisogna tornare ai soggetti veri dell’e-conomia, come ieri ci dicevano anche gli imprenditori, i sindacalisti, e cioè iprocessi reali dell’economia, quelli che producono ricchezza, quelli che ten-gono conto delle persone, che tengono conto di uno sviluppo sostenibile,bisogna tornare a questo; quelli che oggi dicono che chi ha sbagliato devepagare, perché hanno detto questo il giorno dopo? Non è bastata la crisi finan-ziarie avute in Italia? Non son bastate la Erron? Non abbiamo preso nessunamisura, praticamente, in questi anni. Allora io sono un po’ stufa di intellettualiche non sanno prevedere ma sanno solo commentare il giorno dopo e hannosempre ragione. Forse in questo dobbiamo avere più coraggio anche noi(Applausi) di stanarli! Oggi diciamo che c’è, che la politica non ha saputoanch’essa né prevenire, né guidare, né intervenire. Quindi è urgente, è urgen-te che questo recupero di consapevolezza culturale parta da noi. Mi ha colpi-to oggi, molto, penso anche a voi, Don Vincenzo quando ha detto: non ci sieteche voi. Insomma, detto da un Vescovo, di questi tempi, da un lato rincuora,dall’altro fa tremare i polsi. Però in questo momento è un riconoscimentoimportante, da cui deve uscire non un orgoglio, una superbia intellettuale, mauna consapevolezza più profonda forse di quella che noi stessi abbiamo avutoin questi ultimi tempi. (Applausi) Noi abbiamo la cultura costituzionale chenon a caso è stata anticipata da approfondimenti come Camaldoli. Mi piaceche sia stato richiamato. Non bastava, e diceva Don Vincenzo, leggete perfavore i Sacri Testi, che non si legge più, ha ragione. Questa Bibbia letta indiretta ha avuto un significato alla fine simbolico importante. Ma due cose

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velocemente, sì, lo so, vado… hai ragione. Noi abbiamo una cultura che dob-biamo soltanto, come dire, riammodernare, attrezzare. Non dobbiamo fareabiure. Non dobbiamo cambiare paradigmi, ma dobbiamo però studiare, ela-borare. Per esempio, cosa significa oggi, nella nostra cultura moderna, che èalle prese con queste sfide che sono internazionali, globali, che sovrastano lapolitica, dove i poteri finanziari sono gli unici internazionalizzati, o quellidella criminalità, diciamolo. Allora noi abbiamo tre problemi grossi: nonabbiamo una casa europea. Diciamocelo. Io ritengo che sia grave il silenziocon cui ancora oggi, l’ha detto anche ieri Pierluigi, da mesi, da anni noi ce lostiamo dicendo, non bastano le frattaglie di alcuni Paesi di cui vagamentediciamo che siamo in sintonia, questa casa che non si riesce a costruire. Maquesta era la sfida su cui doveva essere costruito il rapporto con gli ex DS inquesta casa politica. Era una delle condizioni, che insieme facessimo questosalto culturale e in Europa avere una casa comune. Qui nessuno vuole abban-donare le case di provenienza (Applausi) e noi siamo gli unici che rischiano.Questo è un rischio… Guardate, ma perché lo dico? Non solo perché è unanostra esigenza, ma perché è un’esigenza di quello che ho detto prima, di unacultura europea che si è rivelata insufficiente e inadatta. Non c’è una,l’Europa delle piccole patrie, l’Europa degli stati nazionali è stata oggettonegli ultimi dieci, quindi anni, non a caso gli anni in cui i cattolici democra-tici in Europa sono stati praticamente una minoranza assoluta. Allora noiabbiamo il dovere, per l’Europa, per costruire quell’idea di Europa che vole-vano i nostri padri fondatori, di pretendere che ci sia una casa comune nellaquale questa cultura possa avere luogo. Metà delle cose che volevo dire, mirendo conto, mi scuso, però una cosa ci tengo. La nostra cultura, cosa signi-fica oggi attualizzare la nostra cultura politica istituzionale con diciamo, per-ché non siamo né per uno Stato totale, né per uno Stato residuale. È stato teo-rizzato nel tempo, lo Stato totale e lo Stato residuale. Il mercato e poi, doveil mercato non è potuto andare. Ecco, noi siamo in uno Stato Istituzionale.Cosa significa? Significa ridare vigore alle istituzioni, parlamentari, alle isti-tuzioni locali. Io sono molto preoccupata. E vi dico gli ultimi due titoli senzasvilupparli per rispetto di chi deve parlare dopo di me, ma ci tengo. Ci sonodue questioni su cui il Partito Democratico non ha fatto sentire abbastanzauna sua elaborazione. Io sono Assessore Regionale all’Istruzione del Lazio,,come sa bene Beppe Fioroni con il quale ci siamo confrontati per un anno. Intre anni abbiamo avuto tre Ministri. Non è stato semplice. Una parola chiara,nostra, autentica, di riflessione, seria, sul federalismo fiscale non c’è stata.

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Noi siamo oggi, alle spalle abbiamo una intesa che è stata, che è nata fra leRegioni e il Governo, il Parlamento su questo deve dire una parola chiara, iomi sono battuta perché ritengo che già il Titolo Quinto che parla di trasferi-menti di competenze nell’ambito dell’istruzione, essendo l’istruzione unodegli elementi della costruzione della cittadinanza e dell’uguaglianza, nonandare oltre, andare a un federalismo sull’istruzione e fiscale senza averechiarito ancora ciò che è proprio dello Stato rispetto alla questione egua-glianza e ciò che invece attiene alle responsabilità territoriali in merito ancheal finanziamento dell’istruzione, è un tema gravissimo, delicato, su cui cisiamo trovati soli nel momento in cui dovevamo elaborare una posizione.Guardate che questo è un punto importante che io affido anche alla nostrariflessione. E c’è un altro tema, prima ha detto ieri giustamente Edo, il temadella città aperta. Io il 17 affronterò questo tema e lo propongo a tutti voi,invito tutti quelli che sono interessati, faremo un confronto aperto su un temastorico di questi tempi: essere stranieri nella scuola di tutti, nella nostra scuo-la italiana. Faremo un’iniziativa di un’intera giornata, di confronto fra leAmministrazioni che hanno fatto di più ma sapendo che oggi il tema dell’im-migrazione, dei nuovi cittadini è tornato ad essere un tema assolutamente diMinistero degli Interni, di emergenza, di sicurezza, mentre le pratiche del-l’integrazione, dell’accoglienza, di quella che era la cifra dei cattolici demo-cratici, la si fa a livello delle scuole, del territoriale, degli Enti Locali. Stiamocercando di mettere insieme le migliori esperienze, la migliore cultura del-l’integrazione. Ho finito. Dobbiamo affiancare questo processo con la nostracapacità di elaborazione. Io ho la sensazione che andiamo avanti nelleAmministrazioni con delle pratiche prese dall’affanno e, a livello nazionale,con una, diciamo, come dire, un tentativo di convivenza che non sempresignifica essere lievito di quella che è una cultura che deve diventare una cul-tura comune. Io penso che queste due sfide, a livello territoriale e a livellonazionale, devono essere raccolte con l’aiuto di una capacità di apertura.Siamo troppo chiusi, troppo autosufficienti e talvolta un po’ farisaici.(Applausi)

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On. Silvia Costa

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On. Gero Grassi

Io credo che da Assisi vengano alcuni messaggi. Messaggi molto posi-tivi. In questa città francescana noi dobbiamo lasciare quel residuo di pessi-mismo leopardiano che ci caratterizza da tempo per passare all’ottimismomanzoniano. Quindi basta a sottolineare e ad ampliare le cose che non fun-zionano e quelle che non siamo riusciti a fare. Cerchiamo di (Applausi) evi-denziare, invece, quello che abbiamo fatto. Io credo che la prima cosa cheabbiamo fatto è ripetere Assisi, e vi assicuro che non era facile. Ve lo assicu-ro io che ho curato tutta la fase organizzativa. Non era facile Assisi di que-st’anno. È un grande passo avanti rispetto all’Assisi dell’anno scorso. Io sobene che il prossimo anno faremo ancora meglio e per questo stiamo già lavo-rando. (Applausi),

Voglio ringraziare tutti gli amici Parlamentari che hanno contribuito,tutti i dirigenti regionali di Partito, gli amministratori e i collaboratori che sisono impegnati e hanno impegnato anche un pezzo delle loro ferie estive per-ché questa Assisi fosse un punto, un ulteriore punto di partenza per i cattoli-ci democratici che non sono una parte residuale del Partito Democratico, maambiscono ad essere il Partito Democratico e a dare al Partito Democratico(Applausi) quel tono, quella vitalità, quella cultura che è propria di unasocietà che non si piega, ma guarda avanti. Devo dire, e lo dico con moltoaffetto e con molta amicizia, svelando anche un particolare privato, lo dico aDario e a Beppe, a Beppe e a Dario: auguri, perché in questa settimana Darioe Beppe compiono cinquant’anni. (Applausi)

Applaudite, applaudite! Perché abbiamo bisogno anche di felicità e divolti sorridenti in un paese che con questo Governo mette tanta tristezza.

Quindi, auguri perché compiono cinquant’anni. Auguri perché mi rag-giungono avendo io fatto lo stesso percorso qualche mese fa, ma auguri per-

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ché oggi loro assumono un’ulteriore grande responsabilità, quella di far sì cheil nostro gruppo di amici, il nostro pensiero politico, la nostra cultura si sfor-zi sempre più di essere, all’interno del Partito Democratico, momento di unitàrispetto agli altri e non di divisione. Ne è passata di strada da quando io eDario a Palmanova, alla Festa Nazionale dell’Amicizia, nel 1977 cantavamoa squarciagola “Zac è qui, con tutta la DC”. Molta acqua è passata anche daquando io e Beppe, entrambi sindaci, lui di Viterbo, io della più piccolaTerlizzi, negli anni’90 lottavamo in Anci perché i Comuni fossero centralinelle politiche del Paese. (Applausi)

Voglio sottolineare due flash velocissimi anche perché è tardissimo. Il primo: abbiamo per nostra sfortuna un Governo che ci consegna una

autostrada di iniziativa in due campi: la scuola e la sanità. Nella nostra cultu-ra la scuola è stato un momento di unità nazionale. Nella nostra cultura lascuola è stato un momento di coniugazione di diversità geografiche, territo-riali, politiche, culturali, economiche. Questo Governo sulla scuola vuoleampliare le differenze e le discriminazioni. Nella scuola italiana si sono for-mate intere generazioni di studenti all’insegna della piena attuazione dell’ar-ticolo 3 della Costituzione.

Nella nostra cultura la sanità, e quindi il federalismo, perché il federali-smo riguarda tutta la spesa sanitaria, può essere una grande possibilità, unagrande risorsa. Ma perché questo sia, il federalismo deve ridurre le differen-ze, deve avvicinare parti che oggi sono distanti. Invece nella logica di questoGoverno il federalismo diventa un momento di ulteriore divisione e di ulte-riore accentuazione delle diversità. Io credo che il PD debba accompagnare eguidare la società nella comprensione delle difficoltà che il Governo stacreando andando a toccare diritti sacrosanti quale quello sulla salute. Credoche il PD debba farsi interprete anche di chi non ha voce per protestare oribellarsi. Il PD è proposta alternativa, prospettiva, lungimiranza politica. IlPD deve offrire speranza di un domani migliore.

Beppe Fioroni e Dario Franceschini alcuni anni fa, nel 2002, in un ago-sto infuocato per la mia Regione, la Puglia, quando l’attuale MinistroRaffaele Fitto voleva chiudere gli ospedali, sono venuti nella mia Regione atoccare con mano che cosa significa una sanità massacrata. Noi sulla sanitànon possiamo lasciare spazi a nessuno. Dobbiamo essere in piazza perché ilPartito Democratico secondo me non si costruisce sugli slogan o su interven-ti che guardano a ieri o avantieri, ma si costruisce sulle cose da fare. In que-sto momento la scuola e la sanità per il Partito Democratico, per QUARTA

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FASE, diventano un grande viatico di responsabilizzazione dei cittadini tutti,ma diventano anche un tema sul quale costruire un progetto politico futuro.

Concludo con un riferimento storico. Negli anni Sessanta Aldo Moro, Presidente del Consiglio, parlando con

l’allora Presidente degli Stati Uniti d’America Lyndon Johnson, si sentivadire che negli Stati Uniti stavano costituendo e costruendo la grande società.Moro a Johnson rispose: “Presidente, noi in Italia non abbiamo l’ambizionedi fare la grande società, vogliamo fare la giusta società”. (Applausi),

E lo diceva perché aveva detto qualche mese prima, in occasione delvaro del suo Governo, che desiderio e ambizione di ogni cittadino non è rea-lizzare pienamente la giustizia, ma avere della giustizia fame e sete.

Noi dobbiamo caratterizzare il nostro essere QUARTA FASE, il nostroessere Partito Democratico, sempre tenendo presente che da noi la gente siaspetta la costruzione e la realizzazione della giusta società.

Grazie e appuntamento ad Assisi 3 cui da domani iniziamo a lavorare.Lo facciamo per un grande Partito Democratico nel quale nessuno si sentaospite. (Applausi)

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On. Gero Grassi

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On. Antonello Giacomelli

Care amiche e cari amici di QUARTA FASE, io credo che questo nostroritrovarci abbia mostrato la sua utilità. Due giorni intensi di confronto, didibattito. Proviamo a cogliere l’invito che Silvia Costa ci ricordava, alla sin-cerità fra noi, alla franchezza, perché tutto questo sia utile. Credo che moltesono le ragioni emerse di una difficoltà che rende il nostro passo meno spe-dito che l’anno passato. Credo non sia venuta meno per nessuno di noi la con-vinzione e l’entusiasmo per la scelta fatta, ma certo molte ragioni, alcunedette qui, altre implicite, altre dentro ciascuno di noi, attendono nella conclu-sione, io credo, una risposta forte, una risposta che confermi la nostra scelta,ma che ribadisca bene il nostro ruolo e il nostro protagonismo. So che è dif-ficile parlare di alcune cose e sfuggire gli schematismi dei commentatori checi vorrebbero sempre, come in una sorta di moto perpetuo, un po’ indecisi seavvicinarsi a questa personalità o all’altra del mondo dei nostri compagni distrada, riducendo così il nostro essere a quello semplice di tifosi dell’unasquadra o dell’altra, quando noi abbiamo l’ambizione, e io credo la capacità,di essere protagonisti di questa storia. Eppure noi a questi schematismi dob-biamo sottrarci e dire una nostra parola forte, che riconfermi però il nostroruolo. Abbiamo scelto un tema impegnativo che fa riferimento a una rifles-sione di Aldo Moro. C’è una frase in quel testo che è stupenda e significati-va. Dice, se non diventa sociale, la democrazia non può essere neppureumana. È un concetto bello, impegnativo, che dice sostanzialmente che nonci possiamo fermare a declinare una democrazia che è un angusto ambitodelle regole formali, tralasciando invece l’idea che la democrazia sia il campoin cui una politica crea le condizioni per lo sviluppo, il benessere e per la rea-lizzazione di ogni uomo. E allora se è così, è evidente che tutto ci divide dachi ha pensato che si potesse addirittura esportare la democrazia con le armi,

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o imporla con la forza. Noi sappiamo quanto sia inscindibile l’affermarsi deidiritti di ogni uomo con il nascere e il progredire di una società. Ma questo,dobbiamo dircelo, ci distingue anche da quei riformisti da salotto che hannoimmaginato di essere quasi rivoluzionari solo perché hanno detto che nonoccorrevano i bersaglieri per le strade e pensano che questa sia l’unica paro-la da dire. E io penso invece che tocchi a noi, riformatori per antica vocazio-ne e non per recente e tardivo approdo, dire una parola di più di fronte aldramma dell’emigrazione di interi popoli che bussano alla nostra porta e chenoi trattiamo spesso (Applausi) come fastidiosi perturbatori del nostro ordinepubblico. Di fronte al dramma che ci interroga sul rapporto tra le risorse e ledomande tra popoli, tra nord e sud del mondo, io credo che dobbiamo averenoi, cattolici democratici, una parola più forte da dire. È molto bella l’e-spressione che Bernanos fa dire nel suo libro, Diario di un curato di campa-gna, a un vecchio prete che, al giovane curato turbato dai moti di piazza edalle proteste, dice: ma insomma, ma se quei poveri, se quella gente venissea bussare da noi e ci dicesse che la roba che noi abbiamo un po’ è anche loro,ma che cosa avremmo da dire? Cosa avremmo da obiettare! Allora noi dob-biamo sapere che questa parola che noi portiamo e che dobbiamo declinare inatti politici, viene dalla nostra storia, viene dalla nostra tradizione, viene dal-l’idea che la proprietà ha prima di tutto una destinazione universale, che senzala destinazione universale dei beni, la proprietà è un’ingiustizia! (Applausi)Dobbiamo dirlo noi, che non abbiamo un passato da farci perdonare, anche setemo che quel passato potrebbe anche tornare di moda. Perché ricordo chequalche anno fa a Firenze, nella manifestazione del Social Forum, tanti gio-vani, migliaia di giovani osarono sostenere una tesi, molti hanno anche dettodelle nostre associazioni cattoliche, che era l’idea che non si poteva privatiz-zare una cosa come l’acqua, che doveva esser pubblica l’acqua, perché appar-tiene allo sviluppo, al diritto di ogni uomo. Li trattammo come ingenui, nelmigliore dei casi. Oppure come estremisti, o come comunisti! E oggi abbia-mo visto i baluardi di questo sistema occidentale nazionalizzare interi gruppidi banche in poche ore, senza che nessuno avesse una parola da dire. Alloranoi dobbiamo sapere che abbiamo quella a cui ci ispiriamo che è la dottrinasociale della Chiesa, che ha una parola più chiara e più forte e che tocca a noitradurla in un’azione più incisiva e più coraggiosa, più profetica se vogliamousare un’espressione impegnativa per ciascuno di noi. E non basta un motodell’animo in un’intervista pubblica che ci fa definire fratello un extracomu-nitario. Occorrono gesti politici, occorre un progetto vero, occorre saper par-

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lare e saper scuotere un sistema che genera ingiustizia e che non è più tolle-rabile. Se noi siamo, ci ricordava ieri Francesco Garofani in un bell’interven-to, per il personalismo comunitario come stella polare del nostro orizzonte,allora i diritti della persona non hanno attenuazione a seconda della latitudi-ne a cui si vive. I diritti della persona sono declinabili in ogni parte delmondo. E i diritti di ogni popolo allo sviluppo. Ma per non parlare di casanostra! Noi che siamo per la politica della famiglia, come non ridefinire ancheun giusto rapporto tra la finanza, il lavoro e i diritti delle persone. Ma comepensiamo che possa vivere, uso volutamente un linguaggio forse desueto, unpadre di famiglia che con uno stipendio di 1.200 euro deve assicurare ai figlinon soltanto di vivere, mangiare senza vizi, e l’abitazione, ma deve garantir-gli tutto quello che noi sappiamo essere la modernità, dalle comunicazioni, aiviaggi, alla cultura? E che vede ogni giorno i furbetti della finanza che fannoe disfanno. E le risorse che non ci sono mai per le politiche familiari, checompaiono quando c’è da puntellare un sistema sbagliato. Chi lo deve dire,se non noi? Allora noi assumiamo la nostra storia per quello che è.Assumiamo anche le parole del Papa, che non fanno notizia perché non fapolemica con nessuno, quando dice che il denaro è nulla di fronte ai dirittidella persona. Dobbiamo sentirla noi, quella parola. E dirla prima che laChiesa ce lo ricordi, se la nostra laicità ha un senso. Finisco su questo perchéè giusto che il tempo sia accuratamente dosato. Io credo che ci sia anche unaltro punto, e su questo voglio concludere, su cui una riflessione è venuta esu cui una domanda forte è venuta. Quale partito, quale idea di politica in que-sto che è il nostro approdo e che noi oggi riconfermiamo essere il nostroapprodo. Il Partito Democratico e il progetto che in questo anno noi abbiamorappresentato. Ma questo non ci impedisce di vedere i limiti dell’azione, dienuclearli lucidamente, non per distruggere o per rimpiangere altro, ma persuperarli, perché questo è il nostro apporto. Non lo so se, come ha detto ieriPierluigi, siamo dei rompiscatole. Certo che noi siamo prima di tutto fedeli alnostro essere in politica. Abbiamo sempre discusso e detto le nostre ragioni,non siamo tra mammolette che si turbano al primo venticello, siamo tra per-sone adulte, responsabili. E sentiamo la responsabilità di quello che siamo.Non siamo majorettes a sgonnellare dietro un leader o l’altro. Siamo persone(Applausi) con una nostra responsabilità e abbiamo cose da dire. E insiemecostruire la risposta. Allora quale partito, quale idea di politica? Quella di chi,e penso non solo a Dario, a Beppe che, quotidianamente si sfiancano i rap-porti nel cercare la sintesi, nel costruire la solidarietà dei gruppi dirigenti

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emersi dalle primarie, non catapultati da chissà quale stanza di Partito, nelcercare di mettere insieme, di organizzare una responsabilità, nell’evitare gliscontri, nel provare a spostare l’attenzione in quello che abbiamo da direall’esterno e non nei conti che abbiamo da regolare all’interno. Questo è ilPartito, o quello di chi immagina di poter dire, con il magico slogan’primarielibere e aperte’, e avere esaurito la sua funzione. Quale partito? Perché insie-me non stanno! Noi siamo nati con le primarie. E le primarie, occasione diconfronto del gruppo dirigente con la realtà e la volontà dei cittadini e deglielettori, sono uno strumento benedetto! Ma se diventano lo schermo dietro cuisi immagina di nascondere l’incapacità di produrre gesti di politica, diventa-no qualcosa di pericoloso, di dannoso, di mortale per il Partito! (Applausi)Non possono essere lo strumento dietro cui nascondiamo, primarie sempre edovunque, come se in questo fosse una illusoria semplificazione della com-plessità. Quando le primarie diventano l’occasione per i confronti personalitra dirigenti ambiziosi, quando diventano lo sfogo degli individualismi, quan-do diventano una sorta di congresso mascherato, qual è il valore delle prima-rie? Noi snaturiamo uno strumento che per noi è prezioso. Io non lo so se,come ho letto ed è stato autorevolmente detto, il modello Firenze delle pri-marie è un modello da cui fuggire come la peste. So che quel modello non hasolo responsabilità locali. E se con una battuta si immagina di cancellare altreresponsabilità, si fa un errore. Perché non possiamo cambiare idea ogni gior-no e immaginare, come nel grande fratello, che il passato non esiste e lo siricostruisce. La nostra responsabilità ci segue. Allora, quale gruppo dirigentetiriamo su nei territori? Che cos’è la novità? Che cos’è l’innovazione? Io sonocontento, e penso che qui tutti siamo d’accordo, che le primarie abbiano fattoemergere anche gruppi nuovi, giovani nuovi, persone nuove alla politica, eche questo sia una ricchezza. Questa è una verità. Certo che accanto a questodobbiamo dire che non è una ricchezza, penso al Segretario Regionale di unagrande Regione del nord, che non è una ricchezza declinare la propria inno-vazione con il passare da funzionario nei DS a dipendente del PD e guardare(Applausi) dall’alto in basso le proposte dei popolari perché sanno di vecchio.Se il vecchio è che la politica è una passione, e noi non abbiamo mai vissutoalle spalle del Partito, ma del nostro lavoro, noi siamo per quel vecchio!(Applausi) E dobbiamo dirlo! Non c’è innovazione, in questo. (Applausi)Evitiamo di dare la sensazione - lo dico per il rispetto del lavoro grande, enor-me, che in questo anno Dario e Beppe e gli altri, ma prima di tutto loro, hannofatto - consolidando un progetto vero di Partito Democratico, che oggi è qual-

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cosa di più di quello che era ieri e che domani può essere ancora di più, evi-tiamo di dare la sensazione ogni giorno di essere alla ricerca dei titoli deigiornali, del colpo a effetto. Evitiamo di oscillare dal considerare un giornoBerlusconi un pericolo per la democrazia e l’altro l’interlocutore per chiude-re l’accordo sulla Rai. Noi non possiamo dare un messaggio contrastante agiorni alterni. Noi abbiamo da dire una nostra parola. Una nostra parola con-tro una Destra che governa e snatura il Paese! E crea nuovi privilegi! E nonha risposte da dare alla nostra gente! E ha tradito le attese dei cittadini! Anchedi quella parte di gente che, per sfiducia verso di noi, si è affidata al populi-smo della Lega o di Berlusconi. Noi abbiamo da dire queste parole. E noisiamo questo. Questa è la nostra lealtà. Io credo che noi non abbiamo da oscil-lare in moto perpetuo dall’uno o dall’altro, non abbiamo da rinnegare le scel-te fatte ma da confermarle. Noi siamo perché il PD sia il nostro approdo. Pergettare tutti noi stessi nel PD. Siamo per questa linea politica. Ma siamoanche per un nuovo protagonismo nostro. Io credo che questo sia emerso inquesti due giorni. E qui si attende una risposta. Un servizio meno silenzioso,più visibile, più forte delle nostre ragioni, più capace di portare il nostro appa-rato e i nostri valori. Perché il PD senza i cattolici democratici non esiste. Èla tentazione solo di ricostruire il passato con una patina nuova. E allora,ecco, la nostra lealtà è questa. Noi, l’ha detto Beppe Fioroni in una bella rela-zione che ha aperto i lavori, siamo leali. Non siamo tifosi, non siamo silen-ziosi osservanti, adoranti i leader, non lo siamo mai stati con nessuno nellanostra storia, anche con chi lo avrebbe meritato. Non lo saremo domani. Noisiamo leali. Ma la nostra lealtà è portare fino in fondo il contributo prima ditutto delle nostre idee, delle nostre ragioni, dei nostri valori. Rimanere anco-rati al progetto grande del Partito Democratico senza accontentarsi di surro-gati. E la nostra lealtà è esserci dentro, come ci siamo, fino in fondo, senzanascondersi. Però la nostra lealtà è anche attendere risposte grandi quanto lanostra speranza. (Applausi),

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On. Antonello Giacomelli

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On. Simonetta Rubinato

Buongiorno. Intanto per ringraziare di questo fine settimana di rifles-sione, delle cose significative e importanti che abbiamo detto e anche un’oc-casione per ringraziare Dario e Beppe per il lavoro che stanno facendo. Moltecose sono state dette, vorrei sottolinearne una e aggiungere un argomento allariflessione che, insomma, resterà aperta. Abbiamo di fronte uno scenariograndioso che ci ha tratteggiato, lo sintetizzo, il Professor Touraine. È quellodi un mondo complicatissimo, ai limiti del caos e che ha davanti un compito,incredibile, straordinario, al quale dobbiamo trovare una risposta, una pro-spettiva, insieme. Lui l’ha chiamata la missione del dare risposta come poli-tica alla gestione delle differenze, a tutti i livelli e da ogni parte del mondo,del globo, con punto di riferimento l’individuo in tutte le sue componenti, lapersona. Io credo che in questo progetto di gestione delle differenze a livelloglobale abbiamo da giocare una visione universale, che è una grande scorta,una grande riserva, quella appunto dei valori universali della Chiesa, dell’es-sere, prima di tutto di riconoscersi come fratelli della famiglia umana. Allora,dobbiamo metterla in gioco con profonda convinzione, anche in quello che ciesortava oggi, ci richiamava oggi il Cardinale Paglia durante la Santa Messa.Fare politica non è conservare, fare politica è innovare, è cercare il cambia-mento di cui c’è bisogno. Tanto più oggi. Ecco, su questa scia del cambia-mento, della proposta che dobbiamo fare, vorrei ricollegarmi ad alcuni pas-saggi che sono stati fatti ieri. Io credo che dobbiamo, dire qualcosa di nuovosul fronte del mercato. Noi non siamo qui oggi a celebrare il fatto che c’eraragione nel condannare tanto il comunismo, la gestione collettivistica deibeni, tanto il capitalismo, la gestione egoistica dei beni. Io credo che se ilnostro Partito, e molti l’hanno detto, deve dire ai cittadini italiani, agli eletto-ri, come essere più giusto, come rendere più giusto il Paese in cui viviamo,

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allora prima di tutto dobbiamo rassicurarli dicendo che abbiamo anche unpercorso per renderlo più ricco questo Paese. E per renderlo più ricco il dibat-tito che abbiamo visto ieri, tra Bonanni e Marcegaglia, e poi anche alcunispunti nella riflessione, che sono venuti in particolare da qualcuno, dobbiamoporci il problema della crescita economica. E se ci poniamo il problema dellacrescita economica dobbiamo coniugare i nostri valori con lo strumento delmercato. E qui abbiamo una sfida da raccogliere e in cui possiamo esseresecondo me originali e convincenti. Abbiamo nei nostri valori il riferimentoche lo Stato non è tutto, che la sussidiarietà è un valore fondamentale e sus-sidiarietà si declina anche in questo, che ha una funzione sociale anche tuttociò che non è pubblico, quindi anche il privato, quindi anche l’impresa, quin-di anche il non profit. E tutto questo può essere declinato al servizio della per-sona. Ultima battuta: il federalismo. Pierluigi Castagnetti ieri ha ricordato chea una professoressa di matematica, che chiedeva come faccio a testimoniaredi essere cristiana nell’insegnare i numeri, anziché la storia piuttosto che l’i-taliano, è stato risposto: devi insegnare bene, molto bene, la matematica. Sulfronte dell’amministrare la cosa pubblica, secondo me dobbiamo declinarequesta cosa. Essere in politica da cristiani, essere amministratori da cristiani,significa amministrare bene, molto bene, la cosa pubblica. E allora, federali-smo. Per me che vengo dal nord del Paese, dove abbiamo una sfida enormeda vincere, federalismo significa questo. E su questo dobbiamo avere ilcoraggio di dire qualcosa di nuovo. Federalismo significa prima di tuttoresponsabilità nell’amministrare la cosa pubblica. E allora finisco con unaprovocazione che non è una provocazione. Io credo che questo Paese, tuttoinsieme, oggi, debba giocare la sfida di superare le differenze. Ma noi venia-mo da un passato che non è stato un passato di federalismo fiscale, eppure ledifferenze sono aumentate in questo Paese, tra nord e sud. Bene, allora ilfederalismo va declinato, non mi piace neanche tanto come lo sta declinandol’opposizione, va declinato in questa chiave, di responsabilità e di autonomia.Mi è piaciuto nella relazione di Beppe il richiamo alle autonomie locali. Mase è vero, come è vero, che in alcune parti del Paese si spende molto e non sidanno diritti, non si garantiscono, io credo che su questo, anche per i princi-pi cristiani che rappresentiamo, dobbiamo poter dire qualcosa di forte, di veroe che dia risposte ai diritti in ogni parte di questo Paese senza per questoaumentare la spesa pubblica. E l’unico modo è aumentare l’efficienza di que-sta spesa pubblica. (Applausi),

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On. Simonetta Rubinato

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On. Antonello Soro

Innanzitutto per accorciare i tempi, mi sentirei di assumere l’interventosvolto ieri da Pierluigi Castagnetti come premessa condivisa circa i riferi-menti culturali, le ragioni, le radici del nostro impegno.

Intendo limitarmi quindi ad alcune brevi e schematiche considerazionisu cose che ci interrogano nel breve periodo.

Un anno fa ci siamo trovati qui ad Assisi alla vigilia di un passaggiostraordinario: la nascita del partito democratico. Ebbene, dopo un anno pensosempre che abbiamo fatto la cosa giusta perché abbiamo agito per convinzio-ne e non per necessità, non per una scelta obbligata: e oggi siamo consape-voli che non esiste la possibilità di tornare indietro.

Abbiamo percorso una lunga strada nella quale abbiamo speso moltenostre energie, molti sogni, molte idee. Sommessamente, senza arroganza,maavendo la consapevolezza delle cose che veramente contano, mi sentirei didire che dentro il partito democratico le nostre idee, le nostre tradizioni,la tra-dizione dei cattolici democratici, non solo le nostre persone-certo anche lenostre persone- ci sono e soprattutto non sono residuali.

La nostra cultura nel partito democratico conta molto.Anche se dobbiamo avere sempre il senso della natura complessa delle

culture politiche,dei limiti strutturali che regolano il rapporto tra i comporta-menti di un partito e il riferimento ai principi ispiratori.

D’altra parte la cultura,in qualunque accezione,non è mai definita da unrecinto,da una barriera invalicabile:è semmai il prodotto di lunga e ininter-rotta contaminazione con la storia.

E faremmo un errore imperdonabile se rinunciassimo all’ambizione diconsiderare le nostre idee,il nostro miglior passato,le esperienze politiche deicattolici democratici nel ventesimo secolo come una sorgente viva di ispira-zione per affrontare le sfide inedite di questo tempo politico.

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Noi sappiamo che le ragioni forti del partito democratico, quelle chesono destinate a durare nel tempo, non possono prescindere dalla tradizionedei cattolici democratici. Il PD nasce dalla consapevolezza generale,ricono-sciuta, che quella tradizione è parte costitutiva e ineludibile della sua identità.E tuttavia questa identità abbiamo deciso di declinarla al futuro,guardandoavanti,cercando risposte nuove e persuasive agli interrogativi esigenti e ine-diti della nuova stagione.

Io non riesco a immaginare il nostro tempo, questa straordinaria fasepolitica, le sfide che abbiamo davanti, senza la novità del nostro partito. Noncredo che qualcuno di noi riesca a pensare oggi di potersi ragionevolmentemuovere in questo scenario rimettendosi addosso le vecchie divise, ritrovan-dosi nei vecchi schieramenti. Siamo andati oltre quella storia: e dobbiamosapere che il rimpianto nostalgico che qualche volta sentiamo affiorare nellenostre riunioni appartiene più alla dimensione dei sentimenti personali, unpo’ meno a quella delle ragioni della politica.

Io non ignoro le difficoltà, credo che nessuno di noi abbia ignorato,anche in questi giorni di dibattito, le difficoltà nelle quali si trova il partito.

So che esistono elementi di criticità,questioni irrisolte di cui dobbiamoavere consapevolezza perché è dalla consapevolezza che parte la possibilitàdi rimediare, di correggere la rotta, di aggiustare il tiro, di andare avanti.

Credo quindi che sia un grave errore, lo hanno detto alcuni amici anchestamattina, dedicare troppo tempo, troppe energie, per dirci tutte le cose chenon vanno fra di noi, magari incoraggiati da media che sono molto generosiquando siamo critici verso noi stessi, ma sono anche molto severi e parchi dispazi quando volgiamo la nostra critica alla destra di governo.

Il rischio che corriamo a parlar molto di noi, è quello di perdere di vistale opportunità che abbiamo di dire ai cittadini qual è il nostro giudizio sulgoverno, sulla destra, su quello che sta accadendo in Italia e nel mondo: cheè invece ciò che abbiamo fatto, mi pare saggiamente, in questi due giorni.

È un tempo questo così difficile, così carico di inquietudine,di insicu-rezza,di conflitti inediti da sollecitare come un dovere da parte di tutti noi unsupplemento di generosità e di unità. È un tempo nel quale le difficoltà delmondo non ci consentono di avere troppo spazio per le nostre divisioni eoccorre invece un grande sforzo per essere più forti. Veniamo da sei mesi dif-ficili di inizio di legislatura nei quali abbiamo pagato lo scotto della sconfit-ta, anche dal punto di vista dei sentimenti personali, abbiamo scontato la dif-ficoltà di un sistema che ci ricorda sempre che l’Italia è il paese di

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Guicciardini e che quindi l’opportunismo è una delle realtà con le qualioccorre fare i conti e che forse avevamo rimosso.

Abbiamo sperimentato quanto sia diffuso il conformismo nel mondointellettuale italiano,la rapidità con la quale i grandi quotidiani si sono riposi-zionati: se non un nuovo pensiero unico certo una colpevole benevolenzarispetto alle forzature del governo Berlusconi che oggettivamente,con intensitàcrescente, mettono in discussione i fondamentali della nostra Costituzione.

E poi abbiamo pagato in questi sei mesi un tributo molto alto ad unacerta ansia di comunicazione,alla nevrosi da sondaggio: ci siamo fatti pren-dere tutti i giorni dall’idea che il bilancio dell’esperienza del partito demo-cratico dovesse consumarsi in pochi mesi.

Oggi invece noi abbiamo più chiaro che il campo politico nel quale simuove questa esperienza è un campo nuovo rispetto a quello delle passatelegislature: il cambio del sistema politico che abbiamo concorso a determina-re avrà conseguenze che saranno comprensibili in un periodo più lungorispetto all’orizzonte di qualche mese segnato dall’appuntamento elettoraledelle elezioni europee o delle prossime elezioni regionali. Il tempo del parti-to democratico deve essere un tempo assai più lungo. Io credo che noi dob-biamo coltivare l’ambizione di vincere, di ribaltare l’esito elettorale del 2008.Ma sappiamo che per fare questo occorre fare un lavoro in profondità.Sappiamo che ancora non è il tempo di discutere delle alleanze. Ho sentitoanche ieri riproporre con una certa insistenza il problema della scelta dellealleanze. Nessuno di noi pensa seriamente che alle prossime elezioni politi-che potremo andare senza alleati. Ma credo che oggi sia il tempo di lavorareper guadagnare il consenso non di questo o quel partito, ma dei cittadini edegli elettori che non ci hanno votato la volta scorsa, di conquistare quellaparte degli italiani che cambieranno la scelta sulla base della capacità che noiavremo di essere più persuasivi di quanto siamo stati finora.

Penso che questo valga anche per l’UDC di Casini: vorrei infatti che noinon ripetessimo l’errore di immaginare che le alleanze si fanno aggregandouna sigla piuttosto che un’altra. Guai a noi se pensassimo che l’alleanza conl’UDC possa essere la mossa decisiva,il rapporto che ci fa allargare l’area delconsenso. Io credo che gli elettori dell’UDC, e forse anche i dirigentidell’UDC, alla fine di questo ciclo possano ritrovarsi insieme a noi. Ma oggimi preoccupa di più guadagnare il consenso di tutti gli italiani: perché iopenso che la nostra idea del partito a vocazione maggioritaria non debba esse-re rimossa. Quell’idea infatti non faceva riferimento ad un sistema elettorale ma

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all’idea di Paese che noi abbiamo e quindi alla nostra capacità di espansioneelettorale, alla nostra capacità di offrire una risposta convincente all’interacomunità nazionale e non solo ad una parte di essa. È quindi un processo moltopiù lungo, molto più difficile di quanto non possa essere una semplice alleanzacon qualche leader politico. E allo stesso modo, guai a noi se immaginassimodi riprodurre ora l’alleanza confusa e disordinata dell’ultima Unione, quella chepoi ci ha fatto perdere le elezioni. Ma per converso,guai a noi se non avessimopresente che i partiti di opposizione devono collaborare, si devono coordinare,devono mettere insieme tutte le energie e tutte le volte che sia possibile.

Noi però, è bene che ce lo ricordiamo, non siamo uguali alle altre oppo-sizioni. L’UDC è il partito che si è astenuto sul lodo Alfano, l’UDC è il par-tito che si è astenuto su questa brutta legge sulla scuola! E anche Di Pietronon è uguale a noi: perché ripropone un modello di populismo rozzo e setta-rio che è estraneo alla nostra cultura. E non è un caso che si sia detto favore-vole a introdurre il reato di immigrazione clandestina. Quindi attenzione acostruire le alleanze solo per sigle.

Dentro l’opposizione dobbiamo parlare con tutti, dobbiamo ragionare,dobbiamo costruire e creare nuove occasioni di accordo: parlarci è indispensa-bile. Se lo facciamo col governo e con la maggioranza, figuriamoci se non hasenso farlo con le altre opposizioni. Ma noi dobbiamo avere chiaro, e io pensodebbono averlo chiaro anche gli illustri opinionisti che discettano sull’argo-mento, che l’alternativa al governo Berlusconi, al governo delle destre passa,inevitabilmente, per il partito democratico. Dobbiamo saperlo noi per primiperché siamo i protagonisti principali di questo nuovo scenario bipolare.

Io su questo la penso un po’ diversamente da chi ieri diceva che il bipo-larismo è un’acquisizione regalataci, in modo accidentale, da Arturo Parisi.Non è vero.

La democrazia dell’alternanza fonda le sue ragioni nel pensiero diRoberto Ruffilli, che vuole il cittadino arbitro e vuole che le alleanze sianostipulate prima del giorno delle elezioni, non il giorno dopo. E allora deveessere chiaro che in un regime bipolare il cambiamento passa attraverso unasola opzione: la crescita del Partito Democratico. Dentro e fuori delParlamento noi dovremo fare un’opposizione forte, propositiva, responsabile,senza sconti: perché questo governo non merita alcuno sconto e noi nonabbiamo mai avuto la tentazione di fargliene.

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Constatiamo piuttosto che è in corso nel nostro Paese un tentativo stri-sciante di cambiare il sistema: si vogliono alterare gli equilibri costituziona-li, spostando nei fatti il potere di fare leggi dal parlamento al governo.

Un sistema fondato sul ricorso abituale alla legislazione per decreto, coni decreti legge approvati con il voto di fiducia, in un’assemblea nella quale lamaggioranza per effetto della legge elettorale ha cento voti di margine, si con-figura come una vera e propria trasformazione, come una profonda mutazio-ne costituzionale. Noi nei primi mesi di questa legislatura abbiamo vissutouna mutazione costituzionale di fatto. In questo modo il parlamento assumeuna funzione residuale, un ruolo acritico, passivo. Neanche di controllo, chepure sarebbe assolutamente insufficiente. Lo sottolineo perché credo che nes-suno di noi abbia dubbi sul fatto che il Parlamento non può essere solo illuogo del controllo. La democrazia parlamentare si fonda sul principio chedentro il Parlamento si possono modificare le leggi, perché è la sede nellaquale si sviluppa il processo legislativo.

E invece è in corso un tentativo di cancellare la divisione e la pluralitàdei poteri inglobando il potere giudiziario dentro quello esecutivo; è in corsoil tentativo di abolire le autorità indipendenti, a partire da quella dell’energia;di cancellare senza pudore la concorrenza come fattore regolatore dello svi-luppo e della crescita, come è avvenuto con Alitalia, come è avvenuto con iconcessionari delle autostrade; è in corso il tentativo di spostare risorseimportanti dallo sviluppo in direzione delle rendite. Le operazioni in corso nelmondo dell’impresa,delle banche,dell’editoria tendono a spostare l’asse poli-tico e del potere nel nostro paese. Queste sono ragioni per un’ opposizionesenza sconto e questa noi stiamo facendo in Parlamento. Anche se di questaopposizione sui quotidiani non c’è traccia. Ci capita tutti i giorni di assisteread un oscuramento, ad una rimozione del nostro ruolo in parlamento. Lastampa quotidiana italiana sembra interessata solo a raccontare le nostre divi-sioni sotto forma di gossip:il retroscena è il genere letterario più diffuso inItalia. Il più importante tra i quotidiani oggi non ha dedicato una riga suldibattito politico di Assisi ma ha trovato il modo di raccontare che dentro ilpartito democratico in queste ore cresce una frattura intorno alla manifesta-zione del 25 ottobre, dando spazio a sparute posizioni individuali e ignoran-do l’orientamento largamente prevalente di questo Partito. Questo è il clima.

Noi abbiamo il dovere di non rinunciare,di continuare per la nostra stra-da: e vogliamo essere ancora di più un’opposizione dura, forte, ma anche pro-positiva. Perché ci candidiamo a vincere le prossime elezioni e coltiviamo

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l’intenzione di indicare agli italiani le nostre idee, di offrire un modello diver-so di crescita come quello che abbiamo illustrato in questi giorni, in occasio-ne della grande crisi dei mercati finanziari.

Ma ci candidiamo anche a costruire alleanze più solide e profonde nellasocietà italiana. Con quella parte dell’Italia dinamica e coraggiosa, quellafatta dai giovani che sono dentro la rete della conoscenza e che nutrono l’am-bizione di crescere, di cambiare, dentro le professioni, dentro gli studi, den-tro la ricerca, dentro le imprese. C’è infatti un mondo al quale abbiamo datola sensazione,con la nascita del partito democratico, di essere degli interlocu-tori affidabili:abbiamo il dovere di non deludere quanti ci hanno dato credito.Quell’alleanza nel tempo sarà l’alleanza che farà cambiare il risultato eletto-rale.

Abbiamo imparato a conoscere quei giovani,sappiamo che sono moltoesigenti nei confronti delle istituzioni. E sappiamo che sono tanti gli italianiche hanno condiviso il nostro progetto elettorale di una democrazia deciden-te,capace di rispondere in tempi certi e utili alle domande dei cittadini,allesfide del nostro tempo. Noi faremmo un errore grossolano a fermare un pro-cesso di cambiamento delle regole quando queste servissero a dare più effi-cienza: dobbiamo però essere altrettanto fermi nel difendere le prerogative diun sistema democratico che chiede anche la partecipazione. E abbiamo ildovere di ricordare agli italiani che non si deve mai accettare lo scambio dellacapacità di decidere con la democrazia.

Vogliamo essere un’opposizione forte,propositiva, un’opposizioneresponsabile. Lo abbiamo dimostrato in queste settimane: penso allo sforzofatto dal nostro partito per riportare a un qualche esito che non fosse lo sfa-scio la vicenda Alitalia; ma penso anche allo sforzo che si sta facendo in que-ste ore per evitare la rottura del sindacato, un’altra delle questioni aperte sucui i nostri grandi opinion leader sembrano distratti. Noi ci stiamo impe-gnando in queste ore perché questo non accada, così come siamo impegnati adire al Paese, a dire alle istituzioni governative italiane e non italiane qual èla nostra idea per uscire dalla crisi. Noi non possiamo rassegnarci all’idea chel’alternativa che ha di fronte a sé questo paese debba risolversi fra un’oppo-sizione servile e un’opposizione estremista. Esiste lo spazio, un grande spa-zio, per un’opposizione riformista, per un partito nazionale a vocazione mag-gioritaria con la capacità di offrire risposte ai problemi di tutto il Paese, peraffermare un’idea della politica che sappia coniugare, nelle grandi sfide diquesto tempo, governo e rappresentanza. Siamo, e concludo, un partito che

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crede nel dialogo. Nell’uso dei sinonimi e dei contrari qualche volta si fa con-fusione. Dialogo non vuol dire collaborazione,vuol dire confronto democrati-co. E confronto e dialogo sono il contrario di consociazione,di inciucio comesi usa dire. E il confronto è il sale della democrazia al quale noi faremmomale a rinunciare. Noi partiamo dall’assunto che chi si presenta alle elezioniper combattere democraticamente merita il riconoscimento degli avversari, aprescindere da chi vince e da chi perde e in un rapporto di pari dignità dalpunto di vista dell’organizzazione del sistema politico.

Noi questo facciamo nonostante la presenza di un avversario che haun’altra cultura, che considera eversiva l’opposizione, qualunque opposizio-ne, che ha un’idea debole della democrazia, che ha interesse ad alzare unmuro altissimo nel nostro Paese per evitare che si aprano le possibilità dicambiamento.

Il muro, la barriera, servono a cristallizzare i rapporti esistenti: noivogliamo il dialogo perché vogliamo che ci ascoltino anche quelli che stannoal di là del muro,perché coltiviamo l’ambizione di guadagnarne il consenso.Sta tutto qui il significato del 25 ottobre: una grande giornata di democraziaper l’Italia,nella quale sia possibile non solo esprimere le nostre idee, il nostrogiudizio su questo governo, ma dire anche che la crisi che attanaglia il mondoin queste ore è figlia del fallimento di un pensiero della destra che in ogniangolo del pianeta per vent’anni ha predicato e praticato la competizione sel-vaggia, senza regole e senza controlli, che ha elevato l’egoismo a religioneglobale. Noi abbiamo il dovere di andare in piazza, di andare in mezzo ai cit-tadini per dire qual è la nostra idea del futuro, per dire che esiste la possibi-lità di una stagione di crescita, che è indispensabile tutelare le parti più debo-li, quelle che sono più esposte agli effetti della crisi. Per rappresentare la pos-sibilità di una democrazia capace di coniugare governo e rappresentanza,capacità decidente e partecipazione, perché questa è l’idea del partito demo-cratico. Il 25 ottobre non sarà una parata per esibire muscoli, ma una bellagiornata di democrazia, serena e matura,per presentare ancora agli italiani ilnostro partito nuovo. (Applausi),

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On. Antonello Soro

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On. Dario Franceschini

Grazie davvero a tutti voi. Grazie innanzitutto a tutti quelli che hannolavorato per l’organizzazione di questo secondo incontro di Assisi, a Gero,Giampiero, Antonello e a tutti gli amici umbri che hanno organizzato conmolto volontariato, con molto impegno (Applausi) un incontro come questoche è il segno della nostra vitalità. Io devo dire, non sono arrivato qua con unarelazione preconfezionata. Ho interpretato il senso di concludere un semina-rio ascoltando i vostri interventi -forse ne ho persi un paio e me ne scuso- cer-cando di capire, raccogliendo le vostre sollecitazioni e gli spunti di riflessio-ne. E ho apprezzato veramente la ricchezza del nostro dibattito, la sintoniaanche delle cose dette. E anche la vivacità di una classe dirigente che, lo sivede, è fatta di persone non paracadutate, non chiamate dall’alto, ma che sonocresciute nella passione, nella fatica, nell’impegno, nella militanza. Personeche hanno cominciato dal basso, poi gradualmente sono cresciute, salendo suigradini dell’impegno politico. E poi non ho preparato una relazione scrittaperché Beppe ha fatto un’ottima apertura di questo convegno anche perché èriuscito, e non lo facciamo sempre, a parlare non soltanto di noi, della giustarivendicazione della nostra storia, ma anche di quello che avviene attorno anoi, a dire quello che vorremmo fare.

Ad indicare alcuni dei temi sui quali dobbiamo provare ad impegnarcisapendo che il tempo che siamo chiamati a vivere, come diceva Moro, ogginon è un tempo facile. È un tempo di grandi cambiamenti, di grandi trasfor-mazioni. Siamo dentro una bufera che è arrivata imprevista, che non cono-sciamo ancora nei suoi contorni e rispetto alla quale non riusciamo nemmenoa capire se è una crisi di questo sistema o se è la fine di questo sistema.

Sicuramente c’è una cosa indiscutibile, che abbiamo vissuto in questianni che abbiamo alle spalle e che forse non abbiamo capito nella sua forza

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dirompente. Cioè la velocità di questo mondo, l’accelerazione come cifradistintiva della nostra epoca. Molti hanno rievocato la crisi del 1929. Vedete,nel’29 i mercati mondiali erano fatti di persone che la mattina leggevano ilgiornale e la notizia successiva la leggeva nel giornale del giorno dopo. Lacomunicazione era affidata a dei mezzi molto limitati. Oggi siamo dentro aduna velocità straordinaria, furibonda, che travolge tutto. È la velocità dellacomunicazione, la rete, internet, le TV satellitari trasmettono in tempo realetutto. È la velocità con cui grazie ai cellulari, e ai i palmari si fanno le tran-sazioni di Borsa camminando per strada.

La velocità che è stata cavalcata dalla finanza con crescite impetuose,con le bolle e le ricchezze improvvise, ora rischia di caratterizzare anche ladiffusione delle paure. Il primo giorno in cui si vedesse una fila davanti aduna banca in un paese del mondo, dall’altro capo del pianeta scatterebbe ilpanico. Un minuto dopo. Quindi siamo dentro a questa velocità, l’abbiamovisto in questi anni, che ha fatto cambiare anche punti di riferimento che sem-bravano immutabili. Sono crollate le distanze, sono crollate le frontiere. Iconfini nazionali sono superati, non sono più i limes di questo nostro tempo.

Non lo sono più rispetto ai grandi temi globali, l’ambiente, il terrorismointernazionale, la criminalità stessa. Non lo sono rispetto all’economia, e lostiamo vedendo. Non lo sono nemmeno rispetto ai diritti umani, perché nonpiù di vent’anni fa, quando dentro un Paese c’era una violazione dei dirittiumani, comunque la si confinava nel problema di politica interna di quelPaese. Oggi no, reagisce l’opinione pubblica mondiale. Quindi questa velo-cità ha anche, ci mancherebbe altro, degli aspetti postivi. Senza che la politi-ca provasse a guidarne i processi, si sono riorganizzate le gerarchie dei valo-ri, si sono modificate le competenze sotto la spinta degli individui, del mer-cato, dei gruppi, delle imprese.

È ora che torni la politica. E questo shock così improvviso, così vio-lento, ha fatto capire a tutti noi che quel sistema che abbiamo visto in questiquindici anni, che veniva celebrato come vincente, come invincibile, inveceè un sistema che dentro a questa velocità può crollare di colpo. E deve spin-gerci a cercare dei modelli nuovi, perché il sistema l’abbiamo visto poiimpazzire e crollare con la stessa fretta con la quale è cresciuto, in poche ore.E oggi ci chiediamo, arriverà tutto questo all’economia reale? È la preoccu-pazione, è la domanda che si fanno in tutti i Paesi. Come arriverà, quandoarriverà? Io penso che sia già arrivato, che le conseguenze le stiamo giàvivendo. Quando le banche, lo ha ricordato ieri Emma Marcegaglia, non si

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prestano più i soldi fra di loro perché non si fidano, quando un piccoloimprenditore, come sta capitando, va in una banca e non gli viene concessoun prestito con il quale fa andare avanti l’azienda, è chiaro che la crisi è giànell’economia reale. Per questo credo che non si debba aspettare, al contrarioserva operare, prevenire. E il nostro Governo invece aspetta, inerte, di capireche cosa capita. Noi l’abbiamo detto: bisogna prevenire l’impatto soprattuttosui più deboli, perché nelle grandi crisi sono i più deboli che non ce la fanno,i meno protetti, che sono i risparmiatori, certo, di cui tutti ci stiamo preoccu-pando, ci mancherebbe altro, famiglie che faticosamente hanno risparmiatouna parte del loro reddito durante la vita e che oggi vivono con ansia questasituazione di instabilità finanziaria; ma ci sono, non dimentichiamolo, anchecentinaia di migliaia di italiani che i risparmi proprio non li hanno proprio.Che non ce la fanno ad arrivare a fine mese con i loro salari, che sono in cassaintegrazione, che cedono a migliaia (Applausi) il quinto del loro stipendioperché hanno bisogno di affrontare le spese a cui non possono rinunciare.Allora, in un momento di crisi chi governa ha il dovere di cominciare a preoc-cuparsi prima di tutto di chi è in difficoltà.

E prevenire significa più politiche sociali. L’abbiamo chiesto più volte econtinueremo a chiederlo. Bisogna aiutare il potere d’acquisto per i salari piùbassi finanziandoli con la lotta all’evasione fiscale che è la vera priorità cheè stata subito dimenticata e accantonata da questo Governo. Significa politi-che per la famiglia. La Famiglia non è un problema della nostra identità cul-turale, è che nella vita di ciascuno di noi ogni cosa è regolata rispetto al sog-getto familiare. Le difficoltà, gli stipendi, i bilanci, sono tutti fatti rispetto adun soggetto che si chiama famiglia. Poi quando si torna davanti al fisco, sitorna drammaticamente ad essere soltanto individui. E quindi su questo noidobbiamo portare tutto il Partito Democratico ad un’operazione coraggiosa,dobbiamo indirizzarlo verso la proposta del quoziente familiare.

Significa investire, perché in un momento di crisi il pubblico ha il dove-re di fare un piano di investimenti forti, di infrastrutture, che rimette in motol’economia, che non faccia chiudere le imprese, che dia lavoro, che dia svi-luppo. Significa puntare sulle aree di potenziale crescita. E non c’è dubbioche l’area di potenziale crescita del nostro Paese è il Mezzogiorno, il grandedimenticato di questo Governo. (Applausi) Perché lì ci sono le potenzialità dirisorse umane, di voglia di crescere, di territorio, mentre nel nord c’è un pro-blema sacrosanto ma che è il mantenimento di quel livello di sviluppo. Ma lepotenzialità di crescita per tutto il Paese, sono nel sud. Quindi delle scelte

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immediate per prevenire l’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale,ma anche cercare, e questo è un altro dovere della politica, di capire dove stia-mo andando, cioè se siamo, lo ripeto, di fronte ad una crisi del sistema, o sesiamo di fronte ad un cambio del sistema. Perché nulla è eterno, nemmeno lecose che sembrano immutabili sono eterne. Nemmeno questo modello dicapitalismo, così come lo abbiamo conosciuto, è eterno. Ma cambia, si tra-sforma. E allora noi dobbiamo farci delle domande, cercare di capire in fret-ta: si può stare in un mondo globalizzato sempre più interdipendente, senzache ci sia un ordine, delle regole, che ci sia un diritto internazionale più fortedelle sovranità degli Stati? Ci saranno incontri internazionali in questi giorni,speriamo che nasca la consapevolezza di questa necessità, qualcuno ha dettodi una nuova Brenton Woods.

Però credo che al fondo ci sia la considerazione che il mondo unipola-re, che molti immaginavano destinato a durare nel tempo, è già finito. La sta-gione che è cominciata dopo la caduta del muro e dopo la fine della divisio-ne del mondo in blocchi, con uno solo Paese ad esercitare egemonia e lea-dership, è già finita. È finita con otto anni drammatici di gestione di unavolontà unilaterale, da parte degli Stati Uniti guidati da Bush. E lo aveva dettoClinton diversi anni fa, rivolto proprio al Presidente Bush: attenzione, cheoggi siamo noi il Paese più potente del mondo, ma quello che facciamo noioggi in termini di cessione di sovranità e di riconoscimento di un livello supe-riore, è quello che servirà come punto di riferimento non modificabile ai Paesipiù potenti di noi che arriveranno dopo. Perché le economie nuove stannoentrando sempre più prepotentemente nell’equilibrio globale. E questa è infondo una straordinaria opportunità per Obama. Non è soltanto la rivoluzio-ne dentro a quel Paese. È, se vincerà, come noi speriamo, le elezioni ameri-cane tra pochi giorni, la possibilità di avviare una stagione nuova per tutto ilmondo, in cui gli Stati Uniti si mettano alla guida della costruzione di unmondo che ha delle regole sovranazionali. Per questo il 4 novembre potrebbeessere veramente l’inizio di una nuova fase della storia del mondo, in cuiritorni il diritto globale.

Poi dobbiamo porci altre domande. Si può stare dentro un progetto diintegrazione europea che è drammaticamente fermo a metà? L’Europa è neimomenti di crisi che ha sempre trovato la forza per fare un passo avanti.Rispetto alla nostra tradizione noi dobbiamo impegnarci con forza su questotema. Dobbiamo affrontare le prossime elezioni europee cercando di farriscoprire l’europeismo al nostro Paese. La nostra opinione pubblica ha sem-

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pre avuto un forte sentimento europeista prima che Tremonti, demagogica-mente, seminasse lo scetticismo utilizzando come uno spauracchio la monetaunica.

Guardate che adesso, di fronte alla crisi globale, può scattare un mecca-nismo rovesciato, cioè gli italiani capiscano che siamo più forti, che siamopiù protetti, che abbiamo più possibilità di difenderci e di crescere dentro unsistema europeo, che ormai è l’unità minima possibile per competere con legrandi economie. Per questo non dobbiamo stancarci di dire Europa, Europaed ancora Europa.

Un’altra domanda cruciale: siamo così sicuri che l’intervento del pub-blico sia solo uno strumento eccezionale per affrontare l’emergenza oppure,laicamente, possiamo tornare a prenderlo in considerazione, in forme nuovee inedite, come strumento necessario?

Non è un modo anche per difendere le economie nazionali e l’economiaeuropea? Noi su questo dobbiamo ragionare. Anche rispetto alla fine dell’u-briacatura delle privatizzazioni. Vedete, noi per la nostra storia, non abbiamoimbarazzo a parlare di Stato, a parlare di intervento pubblico in economia.Noi possiamo farlo. E credo che dovremo farlo ponendoci delle domande. Ègiusto avere privatizzato tutte le risorse, o invece una parte delle risorse, acominciare dall’energia, devono restare, in forme diverse, legate al pubblico?È stato giusto privatizzare le reti in modo indiscriminato? O non è più giustoforse privatizzare la concorrenza sulle reti, ma le reti tenerle pubbliche? Citosoltanto un esempio di privatizzazioni italiane, quando sembravano la pana-cea di tutti i mali: le Autostrade. Ma io vorrei che qualcuno mi spiegasse se,andando da Milano a Venezia, ci sono due autostrade sulle quali farsi con-correnza, o e ce n’è una sola? E se ce n’è una sola, è giusto che sia privatiz-zata? E così per i servizi pubblici locali. Anche qui, ci siamo tutti fatti travol-gere dall’idea che fosse la soluzione per tutti i mali, consegnarli al mercato.Ma oggi ci si può fare una domanda da brivido: ma se una di queste grandiaziende venisse travolta dalla crisi, un’azienda che eroga servizi fondamenta-li, l’acqua, il gas, che cosa succederebbe a quelle comunità locali? (Applausi)E allora noi, che non abbiamo scheletri nell’armadio della nostra storia, pos-siamo ridisegnare una presenza del pubblico in economia. Insomma abbiamodavanti a noi una fase creativa, qualcuno l’ha chiamata così ieri, in cui servemolto coraggio. E serve anche la consapevolezza che forse stanno tornandodi grande attualità quelle idee che erano rimaste schiacciate, quelle idee delcattolicesimo democratico, la terza via, tra liberismo e comunismo. E proba-

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bilmente capiremo con il tempo che come alla fine degli anni Ottanta è fini-to nel mondo il comunismo, alla fine di questo decennio è finito un altromodello di sviluppo e bisogna avere la capacità di costruirne uno nuovo.Entrare in una fase nuova della storia in cui, come dire, possiamo attingerefino in fondo alla forza, vorrei usare questo termine, rivoluzionaria delle ideedel cattolicesimo democratico. Vedete, il destino dei partiti di ispirazione cri-stiana, in particolare in Italia, è stato un destino strano, sono tutti partiti conuna capacità innovativa formidabile e poi le esigenze della storia, il tempo incui nascevano, le ha trasformate in forze costrette ad un prevalente ruolodifensivo. È stato così per i primi cattolici impegnati in politica, che doveva-no difendersi dallo stato liberale, dall’anticlericalismo. È stato così per ilPartito Popolare di Sturzo, quella capacità innovativa di grande cambiamen-to che c’era nell’appello a liberi e forti, nelle idee costituenti, e poi costretti adiventare un momento di difesa rispetto al fascismo che entrava prepotente-mente nel nostro Paese. Il patrimonio rivoluzionario, ripeto questo tema, chec’era nelle idee della prima Democrazia Cristiana. Io propongo delle iniziati-ve che dovrebbe fare la Fondazione, poi ne parlerò, una delle prime è andar-si a riprendere il discorso delle libertà che Gonella fece in preparazionedell’Assemblea Costituente al Congresso della Democrazia Cristiana. Lìc’era un patrimonio di cambiamento e di innovazione, la terza via teorizzata,scritta, senza timidezze. E poi la Democrazia Cristiana si è trovata a doversvolgere, e l’ha fatto bene per fortuna, un ruolo difensivo rispetto al rischioche ci fosse un cambio di sistema e il rischio del comunismo nel nostro Paese.Insomma oggi abbiamo per la prima volta nella nostra storia, dentro unPartito più grande, in cui non ci siamo solo noi, la possibilità di utilizzare finoin fondo la capacità innovativa del nostro patrimonio culturale perché nonabbiamo più un’esigenza difensiva. E allora recuperare il personalismocomunitario la lezione di Mounier, secondo interessante possibile argomentodel lavoro della nostra fondazione. L’economia sociale di mercato.Recuperare la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa. Io l’hogià detto a Bonanni in privato e glielo ripeto in pubblico, il fatto che lui siariuscito ad ottenere che nell’accordo Alitalia sia prevista una percentuale cheva a tutti i lavoratori, del 7% degli utili, nel caso che l’Azienda torni a fareutili, è un primo passo in quella direzione. È un altro articolo inattuato dellanostra Costituzione. Apro una parentesi sulla Cisl. Noi esprimiamo tutto l’ap-prezzamento per il lavoro che sta facendo pazientemente, per trovare una sin-tesi che non spacchi il sindacato sul modello contrattuale nelle trattative con

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Confindustria. È un lavoro importante, ma a Raffaele e a tutti gli amici dellaCISL noi chiediamo uno sforzo in più, lavorare testardamente con tenacia perla costruzione dell’unità sindacale. (Applausi) La divisione tra i sindacati ita-liani è nata in un altro Paese, in cui ognuno era vicino ad una forza politicadiversa. Poi ci sono stati i grandi cambiamenti, il Paese non è più lo stesso eoggi l’Italia ha bisogno di un unico, straordinariamente forte sindacato.Superando le differenze, superando le preoccupazioni, pagando forse anchequalche costo. Ma è quello di cui hanno bisogno i lavoratori e di cui ha biso-gno il Paese. Insomma, tante idee. La sussidiarietà, l’accoglienza, la solida-rietà, l’Europa. Tutte idee che tornano utili. La cultura delle autonomie. Loricordava adesso l’onorevole Rubinato. Beh, io credo che anche in questocaso, noi che abbiamo alle nostre spalle la cultura delle autonomie, che siamocresciuti a pane e regionalismo, che abbiamo letto Sturzo, noi che quella cul-tura la sentiamo nel nostro DNA possiamo forse cominciare a dire: basta conquesto imbroglio del federalismo della Lega. Il federalismo è un momentoche unisce Stati o comunque soggetti che hanno sovranità diverse e che deci-dono di federarsi in un livello superiore: non è uno strumento per dividere. Ela Lega l’ha immaginato, assecondata dai suoi alleati di Governo, come unostrumento per dividere il Paese. Questa è la stagione in cui noi dobbiamocostruire un Federalismo a livello europeo, unire gli Stati Nazionali, perchéquella, solo quella dimensione renderà competitive le nostre imprese e lanostra politica.

Insomma dobbiamo avere il coraggio di dire queste cose, sapendo chel’inseguimento in politica non paga mai. E quindi dobbiamo smettere di inse-guire. Siamo in un quadro di cambiamenti globali. Che è un quadro emozio-nante per la politica, è un quadro di straordinarie opportunità da sfruttare,altro che il tempo grigio che si immaginava arrivasse dopo la fine degli scon-tri fra ideologie. Si pensava che dopo l’89’, con il tramonto delle grandi con-trapposizioni, la politica sarebbe stata tutta più o meno uguale. Le differenzeci sono, emergono prepotentemente e ci chiamano, ci costringono a dellescelte, ci chiedono di schierarci, di essere parte. E lo faremo. Quindi è un per-corso in un momento difficile in cui siamo chiamati a fare due cose contem-poraneamente: fare opposizione, che è quello a cui sono chiamati normal-mente i partiti che perdono le elezioni in un Paese, organizzare la traversataper vincere, ma contemporaneamente - e questo negli altri Paesi possono evi-tare di farlo perché l’hanno fatto in passato - contemporaneamente costruireil Partito, consolidarlo, strutturarlo. Un lavoro che stiamo facendo ora. Lo sa

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bene Beppe che è stato chiamato, non solo per noi, per tutto il Partito, a svol-gere il ruolo di dirigente dell’organizzazione. Abbiamo cominciato dopo leelezioni, perché prima abbiamo fatto le primarie, e poi dopo pochi mesi cisiamo ritrovati in campagna elettorale. Allora serve fare opposizione ecostruire il Partito. Per fare opposizione serve tempo. Dobbiamo avere ilpasso necessario, sapendo che non è un lavoro di due mesi, che non lo simisura dal sondaggio del giorno dopo, dalle prime elezioni che arrivano.Perché sarebbe ipocrita. Questa legislatura, faremo di tutto perché non siacosì ma i numeri parlamentari ci dicono il contrario, durerà probabilmentefino alla sua scadenza naturale. Sono passati sei mesi e abbiamo quattro annie mezzo. Questo è il tempo che dobbiamo utilizzare per prepararci, fare que-sto lavoro profondo, entrare in sintonia con il Paese, capire dove abbiamosbagliato, capire quali sono i pezzi di società italiana che magari ci hannoguardato con attenzione in questa campagna elettorale per la prima volta, mache non se la sono sentita di votarci. Dobbiamo sapere che all’opposizionestiamo pagando, ma ne siamo contenti, le conseguenze costose della nostranascita, perché abbiamo deciso di chiudere con un certo passato, lasciandocialle spalle quella stagione delle alleanze costruite contro. E quando un’al-leanza, una presenza politica si organizza contro, è tutto abbastanza più faci-le, perché basta gridare, basta denunciare i limiti dell’avversario. Beh, iopenso che noi dobbiamo sapere che il collante dell’antiberlusconismo nonbasterà più. Non è che abbiamo cambiato idea. Anzi, ogni giorno Berlusconici dà un argomento per rafforzare l’opinione che abbiamo di lui. (Applausi)Non è che abbiamo cambiato idea, semplicemente l’antiberlusconismo non èpiù sufficiente per vincere. Serve metterci qualche cosa di più. Oggi sono tuttipiù esigenti. Quando noi abbiamo detto, facciamo un grande partito di pro-posta, intendevamo che ad ogni critica accompagniamo la nostra ricetta alter-nativa.

E il Governo Ombra- che molti in casa nostra hanno iniziato a criticareprima ancora di metterlo alla prova- nasce da questa esigenza. Il GovernoOmbra, poi il nome può non piacere, è nato esattamente con questa filosofia:su ogni argomento, su ogni politica del Governo ci sarà una persona che percompetenza, per preparazione, per il lavoro che è stato chiamato a fare, diràche cosa avrebbe fatto il Partito Democratico. Quindi questo siamo chiamatia fare, protesta e proposta. Andremo in piazza il 25 ottobre, lo ha ricordatoAntonello, in questa manifestazione che dovrà essere grande per dimostrare laforza non solo del Partito Democratico, anche dei mondi che ci sono vicini.

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Ma dovremo subito dopo, perché è l’altra faccia della stessa medaglia,metterci a lavorare per la conferenza programmatica di gennaio che dovràavere un percorso di preparazione nel territorio, non soltanto per i giorni didiscussione a Roma, chiamando migliaia di persone a Roma alla fine di que-sto percorso preparatorio. Quindi protesta e proposta, è quello che siamochiamati a fare e che dobbiamo fare. Sapendo che il Partito Democratico nonè uno dei tanti simboli che in passato sono nati per affrontare le elezioni suc-cessive. È un partito che è nato per qualche cosa di più, è nato per completa-re la transizione italiana, per completare il percorso dei riformismi italiani. Ènato per cambiare il sistema politico italiano. E l’errore più grande, e su que-sto noi dentro il Partito Democratico siamo chiamati a vigilare, l’errore piùgrande è pensare che questo cambiamento sia irreversibile. Ci vuole moltopoco a tornare indietro. Molto poco. Si può tornare molto in fretta alla fram-mentazione tra tante sigle, tanti partiti che sono lì, che aspettano l’occasioneper riemergere con il loro 0,8%. Per questo noi vogliamo la legge europea conlo sbarramento. Ma per questo vogliamo uno sbarramento che impedisca dientrare al Parlamento Europeo i partiti che hanno l’1%, ma che non tagli conun colpo ingiusto di accetta delle forze politiche intermedie che in questa sta-gione politica affiancano i due grandi partiti. (Applausi) Per questo abbiamodetto uno sbarramento al 3%. Mentre lo sbarramento al 5% che propone laDestra è uno sbarramento mirato a colpire le forze politiche intermedie. Perquesto abbiamo detto, ma è stato ricordato in questi giorni e lo ripeto, lovoglio ripetere con la stessa convinzione: non esiste, troveranno la nostrarisoluta contrarietà in Parlamento e nel Paese, che anche nella legge elettora-le per le europee si tolga il diritto agli italiani di scegliersi i loro eletti. E quin-di noi faremo una battaglia insieme (Applausi) alle altre forze politiche per ilmantenimento del sistema delle preferenze. Ma non è tutto irreversibile. Perpaura, per la fretta di pensare che è più comodo costruire l’alleanza il piùlarga possibile, si può tornare alle alleanze contro, anche a livello locale.Invece anche lì noi dovremo difendere il principio che le alleanze si fannosoltanto se c’è una reale condivisione programmatica, attorno ai programmiche presentano i candidati che vincono le primarie. Dovremo dire, questo èstato un tema che è riemerso nel dibattito e anche nella relazione di Beppe,chenon è che noi pensiamo di andar da soli per sempre. Abbiamo un punto fermo:non torneremo alle alleanze costruite esclusivamente contro e non per, malavoreremo in questi anni di opposizione per costruire un’alleanza che siaomogenea, vera. Capiremo col tempo, guardate, perché è tutto in movimento

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attorno a noi ed è assurdo ed autolesionista avviare un dibattito virtuale oggi,dividendoci magari dentro il Partito, sul tema con chi ci alleeremo nel 2013.C’è il tempo per farlo, dobbiamo vedere cosa capita nella sinistra radicale.Vedete quale dibattito, che arriva alle ragioni stesse della loro esistenza hannodentro quell’area. Dovremo capire che fine farà Di Pietro, o meglio, quantodurerà, perché è evidente che tutti i Partiti che vengono costruiti solo attornoad una persona, sono tutti progetti a termine. Dovremo capire cosa fa l’UDC.Guardando con attenzione. Qualcuno dice che noi siccome siamo cattoliciimpegnati nel Partito Democratico avremmo preoccupazione ad allearci conl’UDC perché vedremmo sminuito il nostro stato. Figuriamoci. Stiamo lavo-rando anche in questi giorni a livello locale, a livello regionale, per capiredove si possono costruire delle alleanze. Ci mancherebbe altro. Però una cosala dobbiamo dire e nel Partito Democratico tutti dobbiamo saperla, la sceltadi far nascere un grande partito riformista, che vuole vincere le elezioni pren-dendo voti dall’altra parte, lascia inevitabilmente aperto uno spazio a Sinistrama non ha e non deve avere uno spazio al Centro, perché il Centro lo dob-biamo occupare noi. (Applausi) Si può tornare indietro, non è irreversibile, sipuò tornare alla costruzione dell’identità contro, e anche questo vorrei che lodicessimo con molta determinazione: mai più l’unione, costruiremo le allean-ze ma saranno alleanze solo su un vero progetto comune di governo.Dobbiamo andare avanti e saremo sulla linea su cui è nato il PartitoDemocratico, dentro il Partito, insieme a chi vuole andare avanti su questalinea e non tornare indietro alla stagione delle alleanze contro. Poi c’è il mododi fare opposizione. Certo. Un tema che appassiona gli osservatori, per cuiprima avremmo fatto un’opposizione troppo morbida, poi è diventata troppodura, poi improvvisamente è diventata nuovamente troppo morbida, e infineaccusata di essere ondivaga. Ma io vorrei che qui dicessimo alcune cose pre-cise, non soltanto per il discorso che Berlusconi ha fatto quando si sono inse-diate le Camere, che si è dimenticato qualche giorno dopo, che noi alle paro-le continuiamo a dare un peso; ma cosa dovevamo fare? Il primo giorno dellaLegislatura cominciare a urlare contro il Governo? O invece, com’è dovero-so, lasciare il tempo a chi ha vinto le elezioni per cominciare a fare le coseche si è impegnato a fare con gli italiani e metterlo alla prova dei fatti?Francamente io immaginavo servisse più tempo. Invece hanno cominciatosubito con le scelte disastrose inducendo noi a indurire la nostra opposizione.

Hanno dimostrato presto di avere ancora tutti i difetti e i comportamen-ti delle precedenti volte che hanno governato. Hanno cominciato dal lodo

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Alfano, adesso dicono che stanno raccogliendo le firme per difendere il lodoAlfano, io sono curioso di vedere quante persone andranno in piazza per spie-gare che l’Articolo 3 della nostra Costituzione, l’uguaglianza dei cittadinidavanti alla legge, invece va riscritto spiegando che ci devono essere i citta-dini potenti con un certo livello di protezione e i cittadini normali con unlivello di protezione più basso. (Applausi) Ma poi hanno continuato in modopiù insidioso a utilizzare una voglia che c’è negli italiani, peraltro giusta, ecioè la voglia di vedere una politica che decide, invece che discutere all’infi-nito. Hanno cavalcato strumentalmente questa volontà, questa domandasacrosanta per calpestare di fatto il nostro sistema parlamentare. L’ha ricor-dato molto bene Pierluigi che mi chiedeva anche di dire come la penso suquesto, lo faccio volentieri, anche se lui lo sa già. Non ho dubbi che c’è untempo per la carità e c’è un tempo per la collera, c’è un tempo per ogni cosa.Sicuramente questo è il momento di alzare con forza, con determinazione lanostra voce nella difesa del sistema parlamentare. È il modo (Applausi) pro-babilmente più giusto col quale dobbiamo ricordare Leopoldo Elia, che era unuomo mite, (Applausi) che era uno studioso, che però alzava la sua voce, laalzava con vigore, con rabbia, quando vedeva calpestati gli elementi fondan-ti della nostra Costituzione. E oggi siamo di fronte ad un tentativo continuodi calpestare il Parlamento. Decreti legge che vengono portati al Parlamentoe sui quali subito, il primo giorno, si mette la fiducia, togliendo non all’op-posizione soltanto, ma anche alla maggioranza la possibilità di svolgere illavoro che i Parlamentari sono chiamati a fare in base alla Costituzione.Quindi è il momento di alzare la voce, e lo faremo. Ma dobbiamo, voglio direa Pierluigi, con la stessa convinzione ricordare che proprio i nostri padri cihanno detto che l’immobilismo non è sempre la strada giusta e che noi dob-biamo difendere il Parlamento, non il Parlamento così com’è. Dobbiamoavere il coraggio anche in questo caso di cambiare, di introdurre delle inno-vazioni, di non avere paura di guardare avanti purché tutto sia costruito in unequilibrio di poteri e non, come sta avvenendo, in un silenzioso cambiamen-to in negativo del nostro modello di democrazia. E poi il Governo- ora nonc’è il tempo di approfondire- sta smantellando il welfare, sta facendo macel-leria sociale.

Guardate i tagli indiscriminati nella scuola, operazione fatta guardandoai conti, fatta da Tremonti e non dalla Germini, che poi ha dovuto soltantogiustificarla, ma che è un vero e proprio attacco alle fasce più deboli. Vedete,provate a spiegare che non è così a due genitori che lavorano, che hanno due

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figli, che coi loro stipendi non ce la fanno ad arrivare a fine mese, che hannouna complicatissima gestione dei meccanismi familiari. Provate a spiegargliche in quella situazione di difficoltà, in cui arrancano per arrivare a fine mese,il Governo gli fa questo regalo: le scuole che chiudono a mezzogiorno emezzo e i bambini che escono a mezzogiorno e mezzo e si ritrovano a 40 kmdi distanza da casa perché la scuola nel paese di montagna è stata chiusa. Checos’è questa, se non macelleria sociale? (Applausi)

Insomma, dobbiamo essere consapevoli che una grande forza di oppo-sizione, moderna e riformista, sa essere dura e rigorosa ma allo stesso tempo,quando è per il bene del Paese, non ha paura di dire dei sì, e di fare la propriaparte.

Come è avvenuto sulla vicenda Alitalia, come è avvenuto sul sostegnoal modello contrattuale, come avverrà sul decreto delle misure urgenti per lacrisi finanziaria. Anche perché questo è il modo migliore, lo stiamo vedendo,per fare esplodere le contraddizioni dello schieramento che è di fronte a noi,che è stato costruito, loro sì, contro.

Berlusconi, al di là degli accorgimenti più o meno gentili e tattici chefanno alcune persone vicino a lui, ha ancora in testa quel modello lì, di demo-nizzazione dell’avversario.

Non può accettare un avversario moderno, che va in piazza quando c’èda andare in piazza ma che ha anche la forza politica di concorrere ad affron-tare le grandi emergenze del Paese quando è necessario. (Applausi) Questodobbiamo dirlo anche dentro il Partito. Se qualcuno vuole spingere il PartitoDemocratico verso un tradimento della sua impostazione riformista, troverànoi sulla sua strada. Abbiamo purtroppo visto in questi anni, fin troppo, comesi può stare al Governo con una mentalità da opposizione; noi dobbiamodimostrare che si può avere cultura di Governo anche stando all’opposizione.(Applausi)

E poi, ed è la seconda voce del nostro impegno, c’è da fare il Partito,sapendo che l’organizzazione di un Partito è anche costruzione di un tessutodi valori condiviso, e siamo appena all’inizio di questo percorso. Vuol direorganizzazione, vuol dire rivendicare le cose che sono state fatte in questimesi, le strutture provinciali, tutto molto in fretta, correndo, dentro una cam-pagna elettorale, con dei risultati positivi, ne cito uno, il mescolamento. Inmolte realtà in vista delle amministrative ci saranno le primarie: bene, nellevicende interne di Partito non c’è più un luogo in Italia in cui c’è tutta la exMargherita da una parte e tutti gli ex DS dall’altra.

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È tutto trasversale, nelle aggregazioni e nelle divisioni. Ed è un fattopositivo. C’è un punto invece su cui siamo molto indietro, su cui dobbiamoscuotere il Partito, che è l’apertura dei gruppi dirigenti. Al PartitoDemocratico hanno guardato con attenzione, con passione e con entusiasmocentinaia di migliaia di persone che sono venute prima a votare alle prima-rie,e poi hanno riempito le piazze in campagna elettorale. A queste personeche hanno creduto nel progetto, noi oggi non possiamo dire, grazie, vi chia-meremo alle prossime primarie o vi chiameremo alla prossima campagnaelettorale perché adesso (Applausi) la costruzione dei gruppi dirigenti è unproblema dei gruppi dirigenti dei due partiti precedenti. E siccome questoistinto c’è, c’è ed è anche naturale che i gruppi dirigenti locali tendano a pen-sare che più gente arriva e più insomma viene tutto messo in discussione.Invece deve essere tutto messo in discussione, c’è bisogno di aprire porte efinestre. E quindi l’impegno che noi dobbiamo prendere qua, ma ognuno divoi nel livello di responsabilità che ha, è quello di forzare l’apertura dei grup-pi dirigenti, che le adesioni e poi i congressi che faremo siano occasione incui ci sia una grande rappresentanza di quelle migliaia di persone che sonoarrivate qua senza avere una militanza organizzata in uno dei Partiti promo-tori. Deve essere un nostro impegno. (Applausi) Poi ci sono tante cose da fare.E dico soltanto i titoli. Le adesioni, che devono essere fatte con la trasparen-za, con tutte le garanzie possibili di trasparenza. Il radicamento, perché èimportante, al di là di quello sciocco dibattito che metteva in alternativa par-tito liquido e partito radicato, quando tutti vogliamo un partito radicato, mache sappia anche parlare alla grande opinione pubblica, perché non basta soloil messaggio all’opinione pubblica e non basta solo il radicamento. Mavogliamo costruire un partito che ci sia dappertutto, che abbia un circolo inogni paese, in ogni comunità.

Però, attenzione, quei circoli in ogni frazione o in ogni piccolo comunedel nostro Paese devono essere luoghi in cui si discute dei problemi locali,non strumenti del percorso congressuale. Sono due cose profondamentediverse. E anche qui serve un impegno determinato e convincente per evitareche i circoli poi si riuniscano soltanto per parlare dei problemi di vita internadel Partito e non arrivino a toccare i problemi della comunità in cui sono natie in cui devono lavorare. E poi ci sono tante altre cose, insomma, la forma-zione politica che sta tornando e che deve tornare, abbiamo visto qui tanti gio-vani di valore. c’è bisogno di far formazione politica.

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Un Partito che non essendo un partito identitario avrà dentro di sé gran-di culture politiche, ma un conto è avere delle aree culturali, un conto è averele correnti di Tizio e di Caio. Sono due cose profondamente diverse e antite-tiche tra di loro. Non dobbiamo temere un Partito in cui convivono posizioni,organizzazioni, aree culturali diverse, ma dobbiamo evitare la distorsione dallivello nazionale al livello locale che ci siano invece le correnti di proprietà.E poi costruzione di un tessuto di valori condiviso, perché serve la strutturama serve anche un tessuto di valori. Significa recuperare quella capacità dellapolitica smarrita negli ultimi vent’anni che deve sapere guardare ai problemidel giorno ma deve anche avere la capacità di guardare lontano, di dire qualesocietà vuole costruire, sapere che dentro la globalizzazione non basta piùfare la sintesi tra le culture riformiste del Novecento. Di fronte a probleminuovi serve affrontare riflessioni nuove, proporre ricette nuove, sapere chenon basta più la dimensione nazionale. Perché se è vero che la globalizzazio-ne ha travolto le frontiere per le economie, per i diritti umani, per la cultura,è difficile che forze politiche nazionali da sole possano affrontare problemiglobali. E quindi dobbiamo avere senza timidezze la volontà di creare dei luo-ghi comuni in cui siano tutte le forze riformiste socialiste e non socialiste chestanno da questa parte, in modo diverso nei diversi Paesi del mondo perchéognuno è arrivato qua con la sua storia nazionale, anche noi. Ma dobbiamosapere che dobbiamo costruire questo luogo. E noi non entreremo nel PSEsemplicemente perché non siamo socialisti. (Applausi) Ma che siamo prontiinsieme ai socialisti che in particolare nel nostro continente sono la forza lar-gamente più importante, insieme ai socialisti, ma insieme alle forze demo-cratiche e progressiste del mondo, a lavorare per costruire dei luoghi in cui sicostruiscano politiche comuni di fronte a problemi comuni. E la crisi finan-ziaria di queste settimane farà avere una forte accelerazione anche da questopunto di vista, perché non bastano gli incontri tra istituzioni, serve anche diavere dei luoghi di elaborazione che portino a decisioni condivise almeno daparte di tutti quelli che stanno da questa parte del campo. Insomma è un lavo-ro lungo, un lavoro duro per cui serve tempo, servono idee, serve la voglia difare squadra, serve molta generosità. Ed è il lavoro a cui siamo stati chiama-ti, a cui è stato chiamato Veltroni il 14 di ottobre dell’anno scorso. Io credoche su questo dobbiamo essere molto onesti con noi stessi. E pretendere chetutti siano molto onesti con loro stessi. A Veltroni e a tutti noi non è stato affi-dato il compito di vincere le elezioni successive, anche perché non sapevamoche erano lì. È stato affidato un compito più profondo, cioè costruire una

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forza riformista nuova e cambiare il sistema politico italiano. Ed è un lavoroche richiede del tempo, è un lavoro che richiede degli anni, un lavoro profon-do, è un lavoro che appunto richiede che ognuno faccia la propria parte e noifaremo la nostra parte insieme a Veltroni nello svolgere questo mandato. Poici sono certo dei limiti, ci mancherebbe altro. Serve più collegialità, non c’èdubbio, a tutti i livelli. Ci sono addirittura dei coordinatori provinciali, potreicitarli ma non li cito, che hanno interpretato la loro elezione come un man-dato personale, singolare, per cui non hanno nemmeno costituito gli organi.Dovrebbero spiegargli che serve la collegialità. Ricordarcelo a noi stessi. Madobbiamo eliminare quel virus pericolosissimo che ha fatto tanto male al cen-tro sinistra in questi quindici anni che si chiama logoramento del leader.Metto una persona e dal giorno dopo inizio a logorarla (Applausi), perché cosìnon si vince. E del resto di là da quindici anni c’è Berlusconi, con tutte le ano-malie, noi abbiamo sempre avuto e pagato questo meccanismo. Allora noidobbiamo reagire all’istinto del logoramento del leader perché non appartie-ne alla nostra cultura. Noi sappiamo che ci saranno delle sfide, saremo chia-mati a delle sfide, a delle scelte, ma noi quelle sfide le costruiremo e le vivre-mo sempre dentro il Partito e mai, mai contro il Partito. Perché questo è quel-lo che ci hanno insegnato i nostri padri, anche quando fra di loro non anda-vano d’accordo. E io sento dentro di me quella lezione. Voglio dirlo, sentoanche la responsabilità del mandato che mi avete affidato, a cominciare daAssisi l’anno scorso, difficile, perché sono due cose che non sempre vannod’accordo, fare il Partito Democratico insieme ad altri, prima di tutto insiemea Valter, e contemporaneamente rendere visibile la nostra cultura politica. Enon è sempre facile. Conosco anche, lo leggo negli occhi anche di quelli chenon me lo dicono esplicitamente, ma insomma, ci conosciamo troppo, il timo-re che la mia lealtà insomma porti come conseguenza inevitabile quella di uncono d’ombra. E allora vorrei dirvi, non sarà così. Ma se qualcuno mi chie-desse una distinzione da Veltroni non per un dissenso vero, ma soltanto perrendere più visibile la nostra presenza, io gli risponderei, liberiamoci da que-sta subalternità psicologica e culturale (Applausi) di definire la nostra identitànella distinzione da chi guida. Questo è il momento di costruire il Partito. Loha detto Castagnetti ieri, è il momento di unire, non è il momento di divide-re. E noi siamo in condizione di farlo, perché arriviamo qua in salute. È statoil tema dell’anno scorso, insomma, finalmente torniamo in un grande partito,con ancora tanta forza di persone, di valori. E molte volte in questi quindicianni abbiamo temuto che la nostra storia fosse finita, che non avesse più un

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futuro, mentre non era così. Siamo qui, siamo qui al lavoro, grazie al lavorodi tante persone, a cominciare da Pierluigi, da Franco Marini, li ringraziamotutti perché siamo arrivati qua insieme, con una storia collettiva, non con unastoria individuale. Ma oggi la nostra sfida è stare insieme non solo per lanostra storia comune, e non soltanto attorno a quel meccanismo che si chia-ma protezione dei quadri, protezione dei componenti dell’area. Dobbiamostare insieme non soltanto per quello che abbiamo fatto, ma su ciò chevogliamo fare per il futuro. Stare insieme e stare insieme uniti. Guardate chese c’è una cosa con la quale dobbiamo andar via tutti da Assisi, è una consa-pevolezza. Tra di noi ci sono state storie diverse, ci siamo divisi, nelle vicen-de del Partito Popolare, forse prima ancora della DC, poi della Margherita,ma insomma eravamo noi, eravamo in grande maggioranza noi. Qui non è piùcosì. Non è possibile che nelle vicende del Partito noi che abbiamo una sto-ria comune, che apparteniamo e ci sentiamo parte della stessa famiglia, nellevicende locali facciamo prevalere i vecchi rancori, le vecchie rivalità rispettoall’esigenza vitale di stare tutti insieme dalla stessa parte. (Applausi)Dobbiamo sostenerci a vicenda, sostenere quando uno dei nostri è candidatoa coprire un posto di responsabilità.

Dobbiamo dividerci il lavoro. È quello che abbiamo fatto con questoequilibrio, per cui QUARTA FASE sarà di tutti e non ci può essere un posto inItalia in cui qualcuno dice, QUARTA FASE è mia. QUARTA FASE è di tuttinoi, in ogni provincia, in ogni comune. Ed è lo strumento con cui affrontia-mo la vita del Partito. E contemporaneamente creare tutti insieme anche inquesto caso una Fondazione in cui ci sia il luogo della riflessione culturale, illuogo dei pensieri, il luogo delle elaborazioni. Stare uniti. Stare insieme.

Ed essere dei dirigenti politici cattolici che guardano con attenzione alleside della modernità. Anche ai temi più difficili, alle domande inedite che lavelocità dello sviluppo scientifico e della ricerca medica ci pone. Temi cheinterrogano egualmente la coscienza di laici e cattolici.

Siccome come Pd siamo un terzo di questo Paese, sarebbe prezioso seriuscissimo tra di noi -come si è provato positivamente a fare sul tema deltestamento biologico nei gruppi parlamentari nei giorni scorsi- invece chealzare barriere a dialogare e costruire delle intese. Poi certo c’è sempre lalibertà di coscienza, ma non come punto di partenza per cui ci si arrocca nelleproprie posizioni, ma alla fine del percorso, dopo che ci si è confrontati eascoltati reciprocamente. Se ci riuscissimo, avremo fatto un grande servizioal Paese.

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Essere persone, essere dirigenti politici cattolici, che conoscono, perchéce l’hanno insegnato con il loro esempio e con le loro parole tutti i nostripadri, il valore della laicità dello Stato, conoscono il valore dell’autonomiadelle scelte politiche dei cattolici, ma che ascoltano la Chiesa e che difendo-no il diritto della Chiesa di far sentire la voce su tutti i temi (Applausi), socia-li e politici. Soprattutto persone e dirigenti politici che sanno che il loro dove-re di cattolici in politica non è soltanto fare i guardiani su alcuni temi di eticao bioetica. Anche questo. Ma cattolici che vogliono essere immersi nelmondo, che vogliono essere immersi nei problemi, nelle contraddizioni, nellesperanze, nelle paure, nelle miserie del mondo. Dappertutto. Immersi dentroil nostro tempo, per viverlo fino in fondo. Se riusciremo a farlo, vincerà ilPartito Democratico. Perché avremo vinto dentro di noi quella sfida delladiscontinuità con la storia della sola Sinistra italiana, che noi rispettiamo, cheè importante, che è determinante, che forse è anche maggioritaria nella nostraesperienza, ma non è sufficiente. Se noi lavoreremo, vincerà questa sfidadella discontinuità, perché noi siamo fisicamente e culturalmente, noi e imondi a noi vicini, siamo la garanzia di quella discontinuità, che è la condi-zione per aprirci di più, per crescere, la condizione per vincere. Se riusciremoa farlo, avremo vinto anche la sfida dell’incontro tra le culture riformiste ita-liane, tra i diversi riformisti italiani, in un percorso che è appena iniziato. E ilPD potrà dimostrare insomma di vivere al proprio interno, questa sì vera-mente è una sfida virtuosa, una sfida in cui le nostre diversità diventano unterreno di confronto, giocarcela sulla qualità delle idee, sulla qualità delleproposte, al servizio di un disegno comune. Io ricordo sempre una frase bel-lissima di Zaccagnini quando eravamo giovani, quando eravamo felici deinostri entusiasmi, ma che è rimasta scolpita nelle nostre teste perché era uninsegnamento a rimboccarci le maniche e a lavorare, accettare una sfida inpositivo. Quando nel Congresso del’76 diceva, rivolto ai comunisti allora: seessi studiano, noi dobbiamo studiare di più, se essi lavorano, noi dobbiamolavorare di più, se essi sono seri, noi dobbiamo essere più seri, se essi hannofede, noi dobbiamo avere più fede e certezza nelle nostre idee di quanta neabbiano loro. Io credo che lo spirito di quella sfida, oggi che siamo tutti dallastessa parte, sia esattamente questa. E noi lavoreremo anche questa volta,faremo sentire dentro il Partito Democratico sempre più forte la nostra vocee questo sarà il nostro contributo, sarà il modo migliore per costruire la nostranuova casa. Grazie. (Applausi),

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On. Dario Franceschini

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INDICE

INTERVENTI VENERDÌ 10 OTTOBREPrefazione di Gero Grassi e Luciana Pedoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3Maria Pia Bruscolotti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5On. Giuseppe Fioroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 9Sen. Mauro Ceruti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 29Franco Pasquali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 45Sen. Alfonso Andria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 48Carmelo Triglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 52Giorgio Russo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 57Giovanni Ruvolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 60On. Mario Pepe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 65Pio Cerocchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 69Sen. Maria Pia Garavaglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 75

SABATO 11 OTTOBRESen. Annarita Fioroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 81Agostino Giovagnoli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 82Sen. Roberto Di Giovanni Paolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 92On. Salvatore Margiotta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 97Sen. Daniele Bosone. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 101On. Francesco Garofani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 106Confronto tra:

Roberto NapolitanoRaffaele BonanniEmma Marcegaglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 111

Sen. Franco Marini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 140Prof. Alaine Touraine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 157On. Enrico Farinone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 170On. Giorgio Merlo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 175On. Lapo Pistelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 181

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Sen. Emanuela Baio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 186Sen. Tiziano Treu. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 190Sen. Lucio D’Ubaldo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 195Edo Patriarca. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 201Emma Fattorini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 208On. Pierluigi Castagnetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 217On. Enrico Letta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 231On. Pier Paolo Baretta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 238Pietro Conenna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 242On. Franco Laratta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 246On. Ettore Rosato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 250Giannuzzi Miraglia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 254Paolo Giacon. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 258Patrizia Minardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 262

DOMENICA 12 OTTOBRERiccardo Corbucci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 266On. Tino Iannuzzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 270On. Patrizia Toia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 275On. Enzo Carra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 281On. Silvia Costa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 286On. Gero Grassi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 292On. Antonello Giacomelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 296On. Simonetta Rubinato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 302On. Antonello Soro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 305On. Dario Franceschini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 313

QUARTA FASE ringrazia per la preziosa collaborazione:Maria Antonietta Albanese (Bari)Angelo Cassano (Bari)Anna Di Canio (Bari)Paolo Martellini (Perugia)Silvia Momoli (Roma)Antonella Provvisionato (Bari)Monica Paris (Roma)

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Collana: Cattolici Democratici

1 - Peppino Colasanto: una vita al servizio della Terra di Pugliadi Pietro Petrarolo - Prefazione di Aldo Loiodice1993 - pag. 74

2 - Aldo Moro: non solo per ricordareInterventi di Gerardo Bianco, Maria Eletta Martini, Gero Grassi, Nicola Fusillo, TonioTondo, Giuseppe Pirro, Giusy Servodio 1998 - pag. 108 - I, II e III edizione - Titolo esaurito

3 - Aldo Moro: L’ultimo discorso del febbraio 19781998 - CD di 60 minuti - Titolo esaurito

4 - Alcide De Gasperi: La nostra Patria EuropaInterventi di Gerardo Bianco, Gero Grassi, Nicola Fusillo, Tonio Tondo, Giuseppe Pirro,Giusy Servodio1999 - pag. 150 - I e II edizione - Titolo esaurito

5 - Benigno Zaccagnini: Gli anni del ConfrontoInterventi di Dario Franceschini, Maria Eletta Martini, Gero Grassi, Giuseppe Pirro,Tonio Tondo1999 - pag. 130 - Titolo esaurito

6 - Luigi Sturzo: Il Prete scomodoInterventi di Pierluigi Castagnetti, Gero Grassi, Dario Franceschini,Nicola Fusillo, Pietro Pepe, Tonio Tondo, Giuseppe Pirro, Pasquale Massaro, NicolaStragapede, Giuseppe Grieco, Enzo Delvecchio2000 - pag. 184 - Titolo esaurito

7 - Crescita, Sviluppo, Solidarietà: E’ il progetto Popolare!Interventi di Nicola Fusillo, Giuseppe Giacovazzo, Gero Grassi, Giuseppe Pirro, GiusyServodio, Marcello Vernola2000 - pag. 104 - Titolo esaurito

8 - Piazza Moro, Piazza del Gesù e dintornidi Gero Grassi - Prefazione di Pietro Pepe2002 - pag. 136 - Titolo esaurito

9 - L’attualità di Aldo MoroPrefazione di Gero Grassi2003 - pag. 86 - Titolo esaurito

Page 336: CONVEGNO - Gero Grassiinteresse per il ruolo pubblico della religione, agisca un’intelligenza di tipo machiavellico, tutta rinchiusa nell’alfa e nell’omega della convenienza,

10 - Atti del I Congresso Provinciale della Margherita di BariPrefazione di Emanuele Sannicandro e Gero Grassi2003 - pag. 180 - Titolo esaurito

11 - Atti del I Congresso Regionale della Margherita di PugliaPrefazione di Gero Grassi2004 - pag. 146 - Titolo esaurito

12 - Ricordiamo Aldo MoroInterventi di Gero Grassi, Gerardo Bianco, Giuseppe Giacovazzo, Nicola Mancino, FrancoMarini, Giovanni Procacci, Romano Prodi, Oscar Scalfaro2004 - pag. 66 - Titolo esaurito

13 - Giorgio La Pira: Il profeta della paceInterventi di Maria Teresa De Scisciolo, Pietro Pepe, Giovanni Procacci e Gero Grassi2004 - pag. 56 - Titolo esaurito

14 - Cuore e Passionedi Gero Grassi - Prefazione di Maria Teresa De Scisciolo2004 - pag. 136 - Titolo esaurito

15 - Vittorio Bachelet: Fede e PoliticaInterventi di Maria Teresa De Scisciolo, Pietro Pepe, Fabiano Amati e Gero Grassi2004 - pag. 48 - Titolo esaurito

16 - Giuseppe Donati: Stampa e PoliticaInterventi di Pietro Pepe, Giovanni Procacci, Gero Grassi e Maria Teresa De Scisciolo2005 - pag. 70 - Titolo esaurito

17 - Aldo Moro: Scuola e cultura, Il Mezzogiorno nell’Italia unita, I giovani, I cattolici a cura di Gero Grassi - Prefazioni di Beppe Fioroni e Dario Franceschini2008 - pag. 102

18 - Atti Assisi 2. Democrazia sociale, democrazia politicaa cura di Luciana Pedoto e Gero Grassi2008 - pag. 336

finito di stampare nel mese di Dicembre 2008 nel

CENTRO STAMPA litograficadi PANSINI V. & C. s.n.c.

70038 TERLIZZI (Bari) - Via Sarcone, 67Te le fono e Fax 080 .35 .19 .627

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