Convegno Agricoltura e paesaggio nell’arco alpino

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Agricoltura e paesaggio nell’arco alpino A cura di Gabriella De Fino

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Autore: (a cura di) Gabriella De Fino Editore: tsm - Step Luogo di edizione: Trento Anno edizione: 2012 Stampa: Litografia Stampalith

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Agricoltura e paesaggio nell’arco alpino

A cura diGabriella De Fino

L’Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte,nel caso non si fosse riusciti a reperirli per chiedere la debita autorizzazione.

La collana Materiali di Lavoro|tsm si propone di raccogliere alcuni contributi prodotti da tsm-Trentino School of Management nelle sue attività di ricerca e formazione.

I prodotti, che riguarderanno le aree della pubblica amministrazione e del comparto privato, si propongono di alimentare la riflessione sulle problematiche del management dell’alta formazione e dell’aggiornamento del personale.

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Sommario

Introduzione 7di Mauro Gilmozzi, Assessore all’Urbanistica, Enti Locali e Personale della Provincia autonoma di Trento

Apertura dei lavori 9di Ugo Grisenti, Sindaco di Baselga di Pinédi Mauro Dellapiccola, Anita Briani e Fabio Recchia, Comunità Alta Valsugana e Bersntoldi Claudio Maurina, Presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Provincia autonoma di Trento

PRIMA SESSIONE Agricoltura, paesaggio e governo del territorio 15

Introduzione 17di Bruno Grisenti, Assessore all’Agricoltura, Foreste e Ambiente del Comune di Baselga di Piné

Agricoltura per il paesaggio e paesaggio per l’agricoltura: una coppia sinergica per le dinamiche territoriali 19di Paolo Castelnovi, Politecnico di Torino

L’agricoltura di montagna nella tradizione alpina 31di Annibale Salsa, Antropologo

Agricoltura e paesaggi dolomitici 37di Viviana Ferrario, IUAV Venezia

SECONDA SESSIONE Paesaggi rurali nell’arco alpino 57

Urbanizzazione, agricoltura e paesaggio alpino 59di Barbara Stoinschek, EURAC Bolzano

Paesaggio ed economia delle zone rurali 71di Tiziano Tempesta, Università di Padova

I paesaggi dell’agricoltura, tra turismo e sostenibilità 89di Luca Baroni, Studio “INSITU, progetti per il paesaggio”, agronomo e socio AIAPP

Pianificazione economica delle aree rurali e filiera corta: l’esempio del Comune di Ayas in Valle d’Aosta 109di Stefano Lunardi, Dottore forestale, Atelier Projet Studio Associato

La pianificazione territoriale e lo sviluppo rurale in Trentino 115di Furio Sembianti, Architetto del paesaggio

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Introduzionedi Mauro Gilmozzi

La montagna alpina è una straordinaria testimonianza delle differenze che caratterizzano territori diversi in termini sociali, culturali, istituzionali e ambientali ma che sono accomunati nello stesso tempo da molte analogie di fondo. Tra queste il paesaggio occupa un posto centrale. Siamo oggi chia-mati a compiere uno sforzo comune in termini di responsabilità individuale e collettiva per riconoscere i valori fondativi e le strategie per governare le trasformazioni del paesaggio e in questo l’agricoltura è chiamata a svolgere un importante ruolo da protagonista.

Il convegno Agricoltura e paesaggio nell’arco alpino (Baselga di Piné, 15/05/2012) ha previsto due sessioni. Nella prima sono state esplorate le relazioni tra agricoltura, paesaggio e governo del territorio con particolare riferimento al contesto alpino. Nella seconda vi è stata la presentazione di testimonianze utili per riflettere su strategie e approcci che possono per-mettere lo sviluppo di una prospettiva nella quale l’agricoltura si rivela una ricchezza per il paesaggio. Le testimonianze rappresentano singole tessere di un mosaico che acquista significato nella ricerca di possibili strade che conducono oltre la semplice compatibilità e verso una più ampia integra-zione tra pianificazione delle attività, paesaggio e governo del territorio. Si è cercato, quindi, di tracciare un filo di discussione e di riflessione sulle relazioni tra produzione agricola e consumo, tra aree urbane e rurali, tra paesaggio e turismo.

Il convegno è stato organizzato dalla Provincia autonoma di Trento at-traverso step-Scuola per il governo del territorio e del paesaggio e in colla-borazione con l’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali di Trento, il Comune di Baselga di Piné e la Comunità Alta Valsugana e Bersntol. L’iniziativa ha avuto, inoltre, il patrocinio della Fondazione Dolomiti –

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Dolomiten – Dolomites – Dolomitis UNESCO a testimoniare che il conve-gno è un tassello di un lavoro più ampio che ha previsto negli ultimi tre anni più occasioni pubbliche di incontro finalizzate a costruire una visione nuova attorno al tema del paesaggio.

Un ringraziamento va a tutti coloro che hanno lavorato con impegno all’organizzazione di questa iniziativa1 e ai numerosi partecipanti che ci incoraggiano nel continuare a lavorare attraverso iniziative formative e edu-cative per promuovere un’idea condivisa di paesaggio come risorsa e come investimento per il nostro futuro.

1 All’organizzazione del convegno hanno lavorato per la step Gianluca Cepollaro, Gabriella De Fino, Paola Flor, Stefania Grandi e Paola Matonti. Le relazioni con la stampa sono state tenute da Fausta Slanzi dell’Ufficio Stampa della Provincia autonoma di Trento, mentre l’organizzazione della logistica è stata curata dal Comune di Piné.

Gli atti sono curati da Gabriella De Fino.

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Apertura dei lavori

La situazione economica che stiamo attraversando impone agli Amministratori di garantire, oltre all’adeguato funzionamento della macchi-na amministrativa, occasioni pubbliche di confronto e di crescita culturale.

Stimolare la comunità su temi che hanno una valenza specifica, ma con ricadute generali, rappresenta sicuramente un momento di analisi e di cre-scita collettiva, che garantirà l’affermazione di una consapevolezza comune della tematica e delle potenzialità e criticità ad essa connesse.

L’organizzazione dell’evento Agricoltura e paesaggio nell’Arco Alpino e la sua localizzazione a Baselga di Piné, territorio di montagna dalle spiccate qualità paesaggistiche, che vede la coesistenza di pratiche agricole esten-sive e intensive che sanno dialogare con un tessuto economico sfaccettato, è l’espressione della maturità di una comunità che vuole interrogarsi sulle dinamiche in atto e guarda criticamente al suo futuro e agli indirizzi che saprà prendere.

La presenza di autorevoli esponenti del mondo accademico, che sanno approfondire ma allo stesso tempo portare respiro alla trattazione, affiancata a quella di tecnici che operano nel settore traducendo sapientemente la vi-sione dei primi, ha garantito lo svolgimento dei lavori in complementarietà e aderenza alle attese di una comunità.

Ugo Grisenti, Sindaco di Baselga di Piné

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È con immenso piacere che ci accingiamo a porgere i saluti della Comunità Alta Valsugana e Bersntol a quanti hanno voluto raccoglie l’invito a parteci-pare al convegno Agricoltura e paesaggio nell’Arco Alpino.

Un appuntamento molto più importante di quanto all’apparenza potrebbe sembrare a chi è intervenuto a vario titolo, cogliendo lo spessore dei relatori e il valore dei contenuti delle due sessioni proposte.

Per la Comunità di Valle è stato un onore collaborare con gli amministra-tori del Comune di Baselga di Piné, attenti alle problematiche del proprio territorio, sensibili alla necessità di confronto e di partecipazione della pro-pria, della nostra gente, con tsm|step che ha saputo organizzare un evento al di sopra di ogni nostra aspettativa e con l’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali, presenza importante in questa e nelle prossime fasi che andremo a programmare.

È un onore e un dovere ottemperare al compito di costruire un processo che parte principalmente dalle realtà comunali, dalle loro voci e dalle loro proposte per impostare la pianificazione territoriale di comunità sulle esigen-ze di sviluppo socio-economico legate al concetto di paesaggio.

“La tutela e la valorizzazione del paesaggio è strettamente connessa ai sistemi e alle pratiche agricole” recita giustamente la premessa al convegno, e molto di questo si è parlato nei primi momenti di confronto con gli ammi-nistratori, con gli operatori di settore, di questo si parlerà ancora nei prossimi appuntamenti di lavoro del Tavolo di Confronto e del progetto “Sviluppo montano sostenibile – agricoltura di montagna‏”, di questo si deve continuare a parlare in una realtà agricola come la nostra, realtà agricola anche e soprat-tutto dal punto di vista paesaggistico.

Doveroso, infine, ringraziare a nome di tutta la comunità quanti si sono adoperati per il successo di questo evento: gli insigni relatori, il Comune di Baselga di Piné, tsm|step, l’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali, Strade del vino e dei sapori della Valle di Cembra, ma anche quanti hanno collabo-rato per la logistica.

Complimenti vivissimi a tutti.Mauro Dellapiccola, Anita Briani e Fabio Recchia

Comunità Alta Valsugana e Bersntol

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Il paesaggio è una risorsa la cui valorizzazione rappresenta una delle sfide più attuali che si pongono all’attenzione delle politiche nazionali e comunitarie.

Molte sono le definizioni usate per definire il “paesaggio”, quella che più si addice è quella che identifica parte del territorio naturale colonizzato e abitato permanentemente dall’uomo, il quale lo localizza come proprio territorio.

Il paesaggio non è, infatti, solo l’ambiente naturale, ma anche il luogo dove la storia umana si è sviluppata ed ha lasciato la sua impronta; in questo senso il paesaggio può essere definito come territorio a cui si è aggiunto il lavoro dell’uomo, natura a cui si è aggiunta cultura.

La Convenzione Europea del Paesaggio definisce il concetto di Paesaggio e lo interpreta come “una porzione del territorio, così come percepita dalla popolazione, i cui caratteri sono il risultato dell’azione e dell’interazione di fattori naturali e/o antropici”.

Nel tempo, quindi, sono cambiati sia il ruolo del paesaggio che la sua percezione; il paesaggio non è più visto come un aspetto “estetico-culturale”, ma si configura come elemento essenziale nella definizione di un modello organizzativo e produttivo in cui il nostro territorio può giocare un ruolo di primo piano.

Tutte le risorse paesaggistiche rappresentano un elemento di primaria importanza in materia di sostenibilità e sviluppo.

Un paesaggio di qualità – perfetta integrazione tra fattori sociali, eco-nomici e ambientali – influenza tutti gli aspetti dello sviluppo, imponendo scelte di programmazione adeguate.

Il principale problema per lo sviluppo di iniziative efficaci in difesa del paesaggio non può prescindere dal chiarire quale sia il suo contributo allo sviluppo economico.

I regimi contributivi delle politiche agricole comunitarie favoriscono quei paesi dove i costi di produzione sono nettamente inferiori per alcuni prodotti tipici fondamentali quali vino, olio e formaggi.

Per controbilanciare questi aspetti per noi è importante la valorizzazione del potenziale offerto dal valore aggiunto “paesaggio”, che è il vero elemento competitivo non riproducibile del sistema italiano.

La valorizzazione dei sistemi produttivi tradizionali su piccola scala, le

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produzioni a “chilometro zero”, sono tutti fattori che contribuiscono alla conservazione, riqualificazione e valorizzazione delle risorse paesaggistiche che sono un punto fondamentale di nuova visione dello sviluppo rurale.

Molte attività economiche (settore dell’edilizia, industriale, ma anche quello rurale) vedono un limite o un danno alla loro attività le regolamenta-zioni sul paesaggio.

Questo è soprattutto un problema di sensibilità culturale sia da parte degli Amministratori sia del pubblico che descrivono il paesaggio come una categoria percettiva di per sé non oggettivabile, come se fosse immateriale e non potesse invece trovare una felice rappresentazione nella struttura del territorio.

Facendo un paragone con il settore urbanistico, fino a non molti anni fa non era data per scontata la conservazione architettonica di un centro storico: il mantenimento di un edificio storico non aveva carattere prioritario.

La maturazione culturale avvenuta in questi ultimi anni ha individuato nella struttura storica di un edificio un valore da preservare; facendo un pa-rallelo con il mondo rurale, il mantenimento di un terrazzamento, un filare di aceri e viti o un castagneto da frutto.

L’unica differenza è che il paesaggio rurale è dotato di una grande dina-micità, essendo formato da elementi viventi come boschi e campi per il cui controllo sono necessari interventi più frequenti ma certamente meno onerosi rispetto al restauro di un edificio storico.

Sicuramente ambedue sono sfruttabili da un punto di vista economico. Al mantenimento di questi fattori hanno contribuito in maniera deter-

minante le politiche in campo agricolo e forestale e alcuni orientamenti nel campo dello sviluppo sostenibile e della conservazione della natura.

L’aumento della superficie forestale avvenuto in seguito a processi natu-rali o attività pianificate, favorito dalle direttive comunitarie, sono in realtà il risultato diretto o indiretto dell’abbandono delle attività agricole pastorali soprattutto nelle aree marginali di collina e montagna.

Il raddoppio della superficie forestale avvenuto nel secolo scorso nel no-stro paese ha avuto ricadute negative sulla qualità del paesaggio con riduzio-ne della biodiversità e la scomparsa di ambienti caratterizzati dall’alternanza di spazi aperti e chiusi.

Mantenere la diversità del paesaggio in termini di spazi e di specie colti-vate offre la possibilità di conservare elementi fondamentali della biodiver-sità complessiva.

Per contrastare la degradazione del paesaggio è fondamentale coinvol-

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gere tutti gli attori coinvolti, fornendo gli strumenti adeguati e trattando il paesaggio con un approccio adeguato.

Solo con un attento governo delle singole componenti ambientali e antropiche all’interno di una pianificazione del territorio può conseguire l’obiettivo di conservare e valorizzare il paesaggio.

Il Piano Urbanistico Provinciale ha avuto il grande merito di indicare le strutture dei paesaggi locali degne di conservazione. Ci sarebbe anche biso-gno, tuttavia, di un approccio multi temporale per evidenziare le dinamiche storiche e le persistenze appunto perché il paesaggio è dinamico e andreb-bero valutate le criticità, i degradi e i punti di forza.

Ormai per molti comparti economici prevale la consapevolezza che il pa-esaggio sia una risorsa territoriale essenziale che, se opportunamente tutelata e valorizzata, costituisce un enorme valore aggiunto (si pensi al comparto agroalimentare o al turismo ecosostenibile e di qualità).

Salvaguardare, gestire e progettare il paesaggio diventa un obiettivo prioritario per “integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agri-colo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un’incidenza diretta ed indiretta sul paesaggio” (art. 5 d).

In questo periodo si parla sempre più spesso di consumo di suoli agricoli e forestali, di organizzazione del territorio e, quindi, di paesaggio.

Il territorio della nostra provincia per la maggior parte è rappresentato da territorio rurale e agro-forestale. I dottori agronomi e i dottori forestali, con il contributo delle altre categorie professionali, devono pensare a un modo di pianificare e progettare attraverso una logica integrata dove non solo il rispetto dell’ambiente rappresenta una condizione, ma soprattutto il contesto paesaggistico determinato rappresenterà un indicatore di valore.

Le pratiche agricole e selvicolturali esercitate dalle popolazioni locali, in tempi e modalità diversi modellano e continuano a plasmare il paesaggio rurale di un territorio; la tutela e la valorizzazione del paesaggio sono stret-tamente connesse a queste azioni antropiche.

Claudio MaurinaPresidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi

e Dottori Forestali della Provincia autonoma di Trento

PRIMA SESSIONE Agricoltura, paesaggio e governo del territorio

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Introduzionedi Bruno Grisenti

Organizzare e ospitare a Baselga di Piné un convegno della durata di una giornata, che ha visto alternarsi al tavolo autorevoli esponenti provenienti dall’intero arco alpino, principalmente composta da rappresentanti accade-mici e tecnici del mondo agricolo e forestale, affiancati da altri autorevoli soggetti con percorsi formativi all’apparenza distanti, ha garantito l’instau-rarsi di una trattazione ricca e complementare.

Parlare, infatti, di agricoltura nell’arco alpino non significa soffermarsi esclusivamente alle bontà o criticità del settore primario, ma analizzare anche il contesto sociale ed economico di una comunità. Il titolo stesso del convegno, che lega la coltivazione dei campi alla formazione e gestione del paesaggio, esprime fin da subito l’implicazione che la pratica ha a differenti livelli.

Parlare di agricoltura significa, infatti, parlare al tempo stesso di or-ganizzazione del settore, economia, presidio del territorio, ma soprattutto della gestione di aree che implicitamente sono allo stesso tempo elemento produttivo – l’agricoltura si basa, infatti, solo su tre elementi: suolo, acqua e luce; processo in quanto sede delle attività aziendali; e prodotto in quanto le aree coltivate rappresentano da sempre il giardino della comunità ovvero la manifestazione esteriore della gestione comune del territorio abitato, ele-mento d’attrazione rappresentativo del legame inscindibile di una comunità. L’importanza di questo bene comune, espressione dell’azione congiunta di una comunità, un tempo sapientemente tutelato per evidenti necessità da una popolazione che dipendeva strettamente dalla bontà del bene stesso, ora va scemando o peggio ancora, vede altri portatori d’interesse indicare le strategie per un suo sviluppo. Una comunità attenta e matura questo non può accettarlo. Da qui si vuole ripartire, sperando che le trattazioni proposte sappiano indirizzare la collettività verso una nuova consapevolezza dell’im-portanza di un settore per la propria comunità.

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Agricoltura per il paesaggio e paesaggio per l’agricoltura: una coppia sinergica per le dinamiche territorialidi Paolo Castelnovi

Le regole della fatica nell’agricoltura tradizionale in montagna

Le pratiche rurali impongono una considerazione del tempo diversa da quella che negli ultimi anni sta diventando dominante nelle nostre procedure decisionali, pubbliche e private.

L’ossessione della velocità dalla mobilità e dalle comunicazioni ha con-tagiato i processi economici e amministrativi: nessuna azienda industriale fa piani a cinque o dieci anni, i mutui ventennali prendono l’aspetto di trappole che fanno paura sia alle banche che ai contraenti, i sindaci prendono decisio-ni solo se certamente spendibili elettoralmente nell’arco del loro mandato. D’altra parte la memoria storica dei fatti si perde nell’arco di pochi mesi (Chi sa quando e perché è cominciata la crisi? Chi si ricorda ciò che si è detto e fatto per la crisi nell’arco dei primi due anni?). La cultura del continuo pre-sente, senza considerazione per gli eventi passati e senza forza per strategie di medio lungo periodo futuro, è probabilmente l’effetto più difficile da affrontare delle trasformazioni socio-economiche in corso.

Al contrario la cultura rurale, almeno in buona parte, continua a fondarsi su strategie lente e di lunga portata, su progetti che prendono riferimento come unità di misura temporale l’arco di vita degli alberi e la naturale stabi-lità dei mercati primari, legati all’alimentazione e alla costruzione delle case.

Il fondamentale tempo lungo del sistema rurale ha consentito programmi potenti fatti propri da intere generazioni, capaci di strutturare interi territori, come è testimoniato dal ruolo che tuttora svolgono gli usi civici (l’esempio più conosciuto è la Magnifica comunità della Val di Fiemme).

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Per sottolineare l’importanza di questa diversità storica della cultura ru-rale, due notazioni sulla locuzione “usi civici”: – si parla di usi e non di beni, cioè c’è un implicito riconoscimento del

lavoro: il bene comune non è la proprietà della terra, ma l’uso che della terra si è fatto, che ora produce perché è stata curata: perché c’è il lavoro di generazioni che l’ha resa utile. Questo aspetto di diritto fondato su una capacità d’uso e non su un’astratta proprietà è da tenere come bussola per orientarsi in dibattiti come quello che si agita oggi sull’acqua, in cui si distingue speciosamente l’uso dal bene;

– si definiscono civici, con una apparente contraddizione, visto che sono attività tipicamente rurali, frutto del lavoro contadino. Ma si deve tener conto che l’etimo di civico non si riferisce a una parte derivata dalla (recente) separazione tra città e campagna, ma deriva da civitas, civiltà: quel patto che unisce i singoli non in legami di sangue ma in accordi di cultura e pratiche comuni. L’aggettivazione civico connessa ad un uso connota una gestione del lavoro produttivo codificata, regolata, oggetto di decisioni imprenditoriali controllate dalla comunità.

Il mondo rurale si dota di civitas con gli usi comuni, fa patti e definisce regole dello stesso tipo di quelle che sono state alla base della formazione delle città medioevali, fondate sul Comune, aggettivo sostantivato che usia-mo ancora oggi, senza rendercene conto, per identificare l’unica istituzione territoriale che nessuno mette in discussione. La città medioevale è fondata su un patto di usi civici, che formano il Comune.

Degli usi civici, che hanno tanta parte dell’identità storica italiana, oggi residuano quelli delle comunità rurali, come relitti galleggianti lungo un flusso di valori del tutto nuovo. Sono ancora intatti, non trasformati, so-prattutto in montagna, dove l’opportunità di organizzarsi insieme di fronte all’avventura della produzione agricola è stato più forte e duratura: sono le gestioni dei pascoli in quota, dei boschi, delle acque canalizzate che deriva-no dai ghiacciai (quelle che a valle sono gestite dai consorzi, enti autonomi, staccati dalle comunità).

Dunque gli usi civici sono l’icona “magnifica” della cura della montagna che è implicita nelle pratiche rurali, quelle che hanno nel proprio DNA la sostenibilità dell’uso della risorsa, che curano l’equilibrio tra processi natu-rali e loro derivati utili per la comunità (presente e futura) e in questa cura rallentano o accelerano cicli, sfruttano microclimi, mantengono condizioni senza mai stravolgere i processi.

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Quest’attenzione storicamente si attua non perché il contadino sia buono o ecologo, ma per un sano principio di economia dettato dalla fatica, che è massima in montagna. Quando hai compiuto l’impresa di terrazzare, scava-re un canale per irrigare, e far fruttare un campo su un versante semiarido, cerchi di far rendere per molti anni quell’immane fatica collettiva; quando costruisci un ricovero per il bestiame al pascolo in quota, lo fai in modo che sia protetto dalla valanga e che lo si ritrovi utilizzabile le prossime estati.

La fatica è un’ottima consigliera del fare e del mantenere (letteralmente: conservare con l’azione manuale), induce un rispetto implicito per il frutto del lavoro, proprio e di chi ci ha preceduto, e quindi per i criteri base dell’e-conomia reale, cioè (etimologicamente) delle leggi che regolano la vita. Non solo, ma la fatica ha indotto a perseguire, nell’agricoltura tradizionale, regole il più possibile aderenti alle leggi cicliche della natura, che, adottate e indirizzate a fini produttivi, permettono sfruttamenti con il minimo di la-voro, come nel judo si fa cadere l’avversario accelerando appena un po’ il suo stesso slancio.

Da questa “economica” pratica dell’agricoltura tradizionale emerge una regola che non dovremmo mai dimenticare, nelle scelte di gestione comples-siva del territorio: il grosso della fatica deve essere concentrato sull’impian-to, sull’impresa iniziale che richiede investimenti straordinari e competenze eccezionali, con uno sforzo particolare dedicato però a minimizzare e ren-dere sostenibili i costi della gestione successiva.

La drastica riduzione del tasso di fatica nelle opere rurali, peraltro be-nemerito frutto delle tecnologie moderne, riduce tuttavia il senso implicito di sostenibilità e di accordo con la natura nella conduzione agricola; d’altra parte il dominio crescente dell’ideologia progressista, che ci spinge ad ot-tenere sempre di più dalle nostre attività, rompe l’adesione al tempo ciclico delle stagioni, alla ripetizione delle condizioni, e quindi demolisce l’utilizzo regolativo della memoria. L’agricoltura diventa una tecnica separata dalla regola insediativa su cui è fondato il sistema rurale, che invece è fatto di radicamento, di adesione alle condizioni locali, di accordi intergenerazionali per assicurarsi i frutti di progetti su tempi lunghissimi, in cui i padri lavorano per i figli dei figli e le madri generano il più possibile per assicurare chances per il futuro dell’impresa famigliare e della comunità.

Non sembra servire più, nel lavoro rurale attuale, chiedersi perché i no-stri nonni svolgevano una certa pratica in un certo periodo, oppure perché astenersi dal costruire in certi luoghi, oppure attendere il compimento di cicli vitali di piante e animali prima di sfruttarli.

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Risultato: i costi (sia monetari che ambientali: dell’energia, dei consumi idrici e chimici, della distribuzione e della conservazione dei prodotti) sono fuori controllo; la sostenibilità non è più un ingrediente implicito nel pro-cesso produttivo, ma solo un fastidioso criterio di rispetto di regole ammi-nistrative (vale per l’ambiente, ma anche per l’economia, essendo il reddito ormai largamente assegnato ai contributi comunitari). E tutto ciò a fronte di un’ideologia della produttività, che ormai divora se stessa. Infatti le quantità prodotte non sono più correlate con il reddito: la produzione dell’azienda agricola alimentare, decuplicata rispetto a cinquanta anni fa, non mantiene più chi in azienda lavora, che ha bisogno del sostegno pubblico, ormai as-sistenziale.

La multifunzionalità come primo passo per un nuovo ruolo dell’agricoltura

L’apparente paradosso sopra tratteggiato, per cui nei tempi della crisi un intero settore produttivo viene sostenuto dalla mano pubblica senza pro-spettive di futura autonomia, si spiega solo con una strategia territoriale e di lungo periodo, non dichiarata ma profondamente coerente con il nuovo quadro generale di governo europeo: si scopre e si potenzia un ruolo dell’a-gricoltura, non solo e non tanto per la produzione alimentare, quanto per altre produzioni e servizi, a partire dal mantenere il territorio in efficienza.

Tuttavia il braccio operativo della strategia agricola europea, la PAC, non modifica radicalmente la struttura organizzativa delle direttive, che continuano a essere incardinate solo su incentivi alle aziende agricole, senza coinvolgimento dei soggetti pubblici se non nella parte organizzativa e di controllo. La novità di questa nuova strategia si manifesta timidamente, con misure (alcune tra le tante) volte a favorire la multifunzionalità delle aziende e la disponibilità a investire per la qualificazione ambientale delle loro mo-dalità produttive. L’accento, nelle misure dei PSR e nei “lanci” pubblicistici, punta prevalentemente sugli aspetti economici della multifunzionalità: le prospettive di integrazione di reddito, la risposta alla richiesta delle nuove generazioni di lavoro non solo contadino ma esteso alla ricettività e alla for-nitura di servizi, l’adeguamento progressivo ad una domanda di prestazioni non più solo legata a quantità ma anche a qualità e sostenibilità.

Gli incentivi alla multifunzionalità delle aziende sono solo un primo segnale, che emerge nel mare magnum delle direttive PAC. L’obiettivo stra-tegico di tenere insieme la sicurezza, la fruibilità, l’identità del territorio al

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tempo in cui i processi urbanizzativi non sono in grado di produrre altro che impronte insostenibili, rischi catastrofici, scempi dell’immagine paesistica, è ancora mescolato e contradditorio rispetto a quello sinora proclamato di massimizzazione e di specializzazione regionale delle produzioni alimentari. Ma nel momento in cui fosse dichiarata la priorità di una linea che promuove la più complessiva e strutturale funzionalità globale dell’agricoltura (come sembra stia per avvenire con il nuovo programma 2013-2020), si deve rior-ganizzare completamente il quadro dei valori in gioco.

Si deve arrivare ad azioni strategiche coordinate, nelle quali l’azienda agricola è incentivata non tanto a produrre di più, quanto invece a produrre migliorando al contempo le condizioni ambientali e paesistiche del conte-sto. Se si confermano gli indirizzi annunciati, nella fase iniziale si dovrebbe promuovere il nuovo ruolo dell’agricoltura in particolare nelle tipologie di ambiti territoriali che maggiormente risentono della crisi: nell’hinterland delle città, per contrastare l’incidenza dell’”impronta” ambientale urbana; in montagna e in generale nei contesti in via di abbandono, per contrastare il rischio per la sicurezza idrogeologica e il degrado paesistico.

È evidente che i nuovi indirizzi daranno luogo a linee d’azione che non possono essere confinate strettamente nelle politiche agricole strictu sensu, e che richiedono una complessa interazione tra incentivi per diversi settori produttivi: i servizi ambientali e di loisirs (in particolare nell’ambito peri-urbano), il turismo e i beni culturali (in particolare per i territori dotati di risorse paesistiche ma decentrati e poco industrializzati), e, in generale, la sicurezza idrogeologica.

Dunque necessariamente, con questi indirizzi, volge al termine il lungo periodo dell’isolazionismo della politica agricola europea, attuata in Italia in separatezza totale rispetto alle strategie di qualificazione ambientale e paesistica e di sviluppo locale, diversamente dalle modalità di attuazione adottate dai francesi o dai tedeschi. In Italia questo periodo trentennale ha prodotto gravi effetti indesiderati nella macchina gestionale: la sedimenta-zione di procedure per la concessione di incentivi senza verifica degli effetti, un allentamento del ruolo dirigente e di monitoraggio nei funzionari, una cultura aziendale priva di sperimentazioni e di attenzione alle innovazioni, e soprattutto una separazione, nella gestione della cosa pubblica, di tutto ciò che riguarda l’agricoltura, finanziata e amministrata da uffici praticamente indipendenti dalle strategie più complessive di governo del territorio.

Insomma sembra finalmente terminare, per l’agricoltura italiana, una stagione che sta dando risultati opposti a quelli, più remoti ma più esaltanti,

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degli usi civici, almeno per quanto riguarda lo sforzo comune di gestione della res publica. La prossima fase sarà cruciale per favorire la sperimenta-zione di procedure, pratiche e monitoraggi che rimettano al centro il ruolo e la responsabilità nella gestione del territorio che gli operatori in agricoltura, sia pubblici che privati, possono assumere, per la qualificazione dei rapporti con la natura, con il paesaggio, con lo sviluppo locale e il turismo.

Sarà importante aiutare i funzionari dei servizi per l’agricoltura, a gestire i fondi europei attraverso progetti integrati tra le proprie competenze e le altre di interesse territoriale. Sarà un processo lungo e complesso ma fonda-mentale, che si può attivare se si promuove, accanto alla multifunzionalità aziendale, l’intersettorialità nella programmazione e l’utilizzo multi-tasking degli incentivi per lo sviluppo locale.

Le potenzialità dell’agricoltura per il governo del territorio e lo sviluppo locale

D’altra parte l’agricoltura è strutturalmente connaturata alla cura del territorio, purché non diventi oggetto esclusivamente di processi di standar-dizzazione che rendono l’attività produttiva estranea alle specificità locali, come in una fabbrica. In quella dimensione, se incontrollata, l’agricoltura può generare impronte negative sul territorio addirittura peggiori di quelle dell’industria, perché diffuse e più difficilmente controllabili negli impatti, nella chimizzazione omogeneizzante dei prodotti e del suolo, nel consumo di risorse primarie, come l’acqua o lo strato fertile.

Al contrario è insostituibile il ruolo dell’agricoltura che mette a frutto l’attenzione alle particolarità dei luoghi, in cui l’adeguamento alle condizioni ambientali è scelto e non più imposto dal criterio di minimizzazione della fatica. Si tratta di un processo basilare di valorizzazione paesistica, che oggi trova sponda nella crescente domanda di produzioni microregionali, anche di nicchia, nell’apprezzamento dei paesaggi tradizionali e delle identità locali. A rendere più facile il riconoscimento delle identità locali danno un contributo sostanziale sia le modalità di coltivazione che danno forma e riconoscibilità ai paesaggi agrari, (in sé o di contesto ai nuclei storici, beni culturali e alle emergenze naturalistiche) le produzioni enogastronomiche, caratterizzando nell’insieme brani territoriali spesso trascurati e inserendoli nel mercato fiorente del tempo libero, del loisir e del gusto.

Dunque l’agricoltura ha avuto e ha un ruolo strutturale nello sviluppo locale di ambiti, a centinaia in Italia, molto articolati per storia e geografia,

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dove tradizionalmente la diversità paesistica è stata croce e delizia delle identità locali, spesso così frazionate da essere ai margini dei processi di crescita degli ultimi due secoli, ma oggi deposito immenso di risorse e di attrattività per il nuovo turismo culturale.

Certo si tratta di processi lenti ad attivarsi, bisognosi di incentivi nella fase di avvio, quando mancano gli operatori innovativi e gli ambiti locali non hanno ancora raggiunto la visibilità e la notorietà che portano a flussi signi-ficativi di fruitori. Si tratta di dinamiche socioculturali che si svolgono con modalità simili, in buona parte, sia nell’hinterland periurbano delle grandi città sia nelle aree più periferiche delle province montane: in entrambi i casi esiste una domanda potenziale vastissima, e una base di risorse naturalisti-che, paesistiche e culturali che è trascurata non solo per la banalizzazione dei processi urbanizzativi e per l’abbandono delle aree marginali (anche ai bordi delle città), ma anche per la standardizzazione dell’agricoltura, l’estra-neità delle produzioni ai fruitori dei luoghi, l’oblio delle tradizionali culture dell’ospitalità e dell’integrazione che hanno caratterizzato il mondo rurale sino a 50 anni fa.

Per questo gap da colmare, e per le potenzialità operative che struttural-mente hanno a disposizione, le aziende agricole sono oggi l’unico soggetto diffuso che possa contribuire ad una gestione qualitativa del territorio econo-micamente in modo sostenibile (cioè non a totale carico della mano pubblica, che non avrà fondi sufficienti, almeno nel prossimo decennio).

Per cogliere le opportunità che possono emergere per lo sviluppo locale sfruttando la nuova domanda potenziale non basta, tuttavia, una generica disponibilità degli operatori agricoli ad impegnarsi nei settori della qualifica-zione ambientale e paesistica come nuova frontiera della multifunzionalità: occorre un soggetto di coordinamento intersettoriale che possa calibrare gli aspetti specifici, i luoghi, le modalità dove applicare queste energie e questi investimenti, in modo che risultino efficaci per i processi di valorizzazione, entrino in sinergia con le altre azioni di governo del territorio (le infrastruttu-re, la tutela ambientale, i servizi per il turismo e il tempo libero, ad esempio). Dunque occorrono due strumentazioni e soggetti complementari per avviare

l’asse strategico della qualificazione territoriale attraverso l’agricoltura:– incentivi a buone pratiche gestionali, che possono derivare da una buona

applicazione della PAC ed essere affidati in larga misura alle aziende agri-cole che mostrano la capacità di attivarsi per gli obiettivi di qualificazione paesistica sopra tratteggiati, e di durare nel tempo in quella prospettiva, fino a smuovere l’inerzia iniziale di territori “addormentati”;

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– piani strategici e di programmi integrati, assunti da enti territoriali ani-mati da un quadro di obiettivi strategici condiviso dagli operatori, con capacità di gestione nel tempo della attuazione dei piani, di monitoraggio dei loro effetti, di adeguamento alle nuove esigenze o opportunità che vanno emergendo.

Se è pensabile un’applicazione innovativa della PAC nei prossimi PSR, che tenga conto del nuovo ruolo territoriale assegnato all’agricoltura, per il versante dei piani territoriali siamo in gravi difficoltà. La pianificazione territoriale soffre in Italia una situazione di contraddizione paralizzante: ci si è preoccupati di regolare ogni intervento trasformativo ma non si è mai curata l’effettiva gestione dei processi d’uso e di degrado ordinario. Oggi, in una crisi che riduce all’osso gli interventi ma aumenta gli usi impropri e il degrado, ci si trova consegnati ad un complesso disciplinare normativo pletorico e inefficace, come le grida seicentesche di manzoniana memoria, e per contro ad una poverissima strumentazione programmatoria, di incentivo e promozione della razionalità gestionale, l’unica in grado di contrastare il degrado: i rari casi di qualche efficienza sono settoriali ma privi di coordi-namento e poco integrati per l’applicazione alla complessità del territorio.

La carenza di strumentazione emerge palesemente dove e quando i motori economici di sviluppo si imballano o entrano in crisi, per cui non bastano più le regole a frenare la pressione trasformatrice spontanea, come accade di fronte ai processi di abbandono, o nelle città in crisi, dove bisognerebbe disporre di incentivi per promuovere razionalizzazioni ed esperimenti in-novativi per indicare le vie virtuose di sviluppo locale e le buone pratiche gestionali.

Solo recentemente alcuni piani territoriali (e il PUP trentino tra questi) hanno inserito qualche modalità per l’attuazione degli indirizzi secondo assi strategici e qualche attenzione ai processi gestionali, ma sempre in modo troppo timido rispetto ai due nodi principali: la programmazione di settore e i piani urbanistici locali.

Il nodo della programmazione di settore è paradossale: più un ufficio di settore è efficiente e maggiore è l’autonomia acquisita nel tempo, tanto da dover difendere, “contro” gli altri servizi, le prestazioni del “proprio”, rag-giunte con equilibri gestionali e di ripartizione dei fondi in una spietata lotta concorrenziale dentro lo stesso ente. Questo accade sistematicamente nelle amministrazioni più grandi e complesse, e a cascata si ripercuote verso le periferie. Quindi è minima la disponibilità reale (non quella a parole) dei ser-vizi più efficienti a porsi in sinergia e collaborazione in programmi integrati

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territoriali, dove le competenze di ciascuno dovrebbero confluire in strategie complessive dell’amministrazione.

D’altra parte teoricamente il piano locale è il luogo della pianificazione dedicato alle interazioni tra le varie competenze di settore, che, funzional-mente divise alla scala d’area vasta, si devono necessariamente integrare nei siti dove per prossimità e interferenza le varie funzioni possono risultare si-nergiche o al contrario contrastanti. Come sappiamo i piani locali non rispon-dono a questo ruolo, ma si occupano solo marginalmente del coordinamento funzionale e dello sviluppo locale, disciplinando di fatto solo gli interventi edilizi e i processi urbanizzativi del costruito, trascurando quasi del tutto gli spazi aperti, in particolare quelli destinati all’agricoltura. Il piano locale finisce per essere uno dei tanti piani di settore, dedicato solo alle procedure urbanistiche e non all’attuazione coordinata del piano territoriale.

Per le situazioni sopra tratteggiate proprio chi si occupa di pianificazio-ne negli ambiti periurbani o della montagna riconosce per primo l’urgenza di inserire le attività agricole tra gli strumenti di gestione complessiva del territorio, data l’importanza delle aree libere e dei paesaggi agrari in quei contesti. Ma questa necessità si scontra con una carenza degli strumenti a di-sposizione in Italia: solo in pochissime regioni o province i piani d’area vasta hanno inserito qualche indicazione sulle “vocazioni” del territorio destinato all’agricoltura, indirizzando così l’applicazione delle misure dei PSR; solo pochissimi piani regionali hanno individuato una dimensione intermedia, intercomunale, in cui porre operativamente le tematiche dello sviluppo lo-cale, degli equilibri città-campagna, della sostenibilità dell’impronta urbana nell’ambiente e nel paesaggio.

Ben diversamente in altri paesi europei. In Francia ad esempio, i comuni aggregati in accordi di programma hanno redatto Plan de Pays: programmi strategici orientati allo sviluppo locale con particolare riguardo agli aspetti del paesaggio agrario, che costituiscono titolo prioritario per i finanziamenti statali o comunitari purché rappresentino un punto di convergenza concor-dato delle programmazioni dei diversi settori che si interessano di territorio: infrastrutture, turismo, agricoltura, tutela ambientale, costruzione urbanizza-tiva, distribuzione dei servizi, valorizzazione dei beni culturali etc.

Per quanto riguarda la strumentazione gestionale operativa, in Francia i comuni associati su base volontaria redigono i Gerplan, piani condivisi di gestione delle aree non urbanizzate, complementari ai piani urbanistici, che indicano le migliori localizzazioni e i termini per le qualificazioni paesisti-che, per la mitigazione degli impatti dei bordi urbani e industriali o delle

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infrastrutture, per la bonifica di suoli esausti o maltrattati, per le parti da tutelare per la rete ambientale. Nei Gerplan le azioni disciplinari sono molto inferiori a quelle di promozione, concordando con gli operatori e i proprietari la localizzazione degli incentivi, delle perequazioni e dei progetti integrati che coinvolgono le attività agricole.

Insomma, se si capisce l’importanza dell’agricoltura per la gestione del territorio, si devono attivare due processi di riforma dell’amministrazione pubblica, alla scala territoriale e a quella locale, rendendola capace di piani-ficazione integrata alla scala intermedia (ad esempio quella delle Comunità di valle, utilizzata come riferimento per l’attuazione del PUP), dove il ruolo dell’agricoltura si attesti fra le altre attività gestionali per il bene comune, poste al centro del piano, ben al di là dell’urbanistica e delle normative per costruire.

L’agricoltura per la diversità paesistica in montagna: il caso del PUP trentino

Da quanto detto in precedenza risulta evidente la necessità di invertire gli obiettivi della programmazione in agricoltura: dalla promozione di pro-duzioni standardizzate all’incentivo per i contributi del settore alla diversità paesistica e produttiva. È necessaria ora una fase sperimentale, del tutto innovativa anche dal punto di vista tecnico e procedurale, per porre in pra-tica indirizzi per la qualificazione ambientale e paesistica diversificata, con monitoraggi e controlli, che consentano di evitare sprechi ed abusi e di misu-rare l’efficacia degli investimenti. Sarà il compito del nuovo PSR, ma la spe-rimentazione deve anche trovare riscontro nella pianificazione territoriale.

In Trentino l’occasione dei Piani di comunità di valle è assolutamente tempestiva in questa prospettiva: la legge e il PUP prevedono che una aggre-gazione di comuni (geograficamente e paesisticamente ben assortita) si doti di un piano strategico integrato, che dialoga con i diversi settori dell’ammi-nistrazione provinciale, ponendo sul banco le specificità del proprio territo-rio, le fragilità ambientali, le identità paesistiche, le prospettive di sviluppo locale sostenibile.

Nei Piani di comunità la diversità territoriale e paesistica è struttural-mente al centro dell’attenzione, e questo nuovo orizzonte è fondamentale per esplorare, a partire dal PUP, nella capacità dei vari settori operativi dell’amministrazione provinciale a fornire indicazioni e indirizzi “dedica-

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ti”. In particolare ci si può giovare di un apparato tecnico-amministrativo per la gestione delle produzioni rurali (agricoltura e foreste, comprendendo ovviamente l’allevamento) che in Trentino, forse sul solco della tradizione degli usi civici, ha mostrato una particolare attenzione per le grandi questioni territoriali che distinguono i vari ambiti provinciali. In particolare sarà utile approfondire localmente le dinamiche e le relazioni (interne ed esterne) dei due grandi sistemi rurali riconosciuti come caratterizzanti: quelli di monta-gna (forestale e di allevamento) e quelli dei fondovalle specializzati (legnose da frutto e da vite).

Il tema delle produzioni rurali montane è affrontato dalla Provincia di Trento con un approccio integrato che dovrebbe essere preso ad esempio per l’intero arco alpino: la tutela ambientale e la produttività del bosco sono da sempre parte di un’unica strategia di gestione che assicura la sicurezza del territorio, la qualità delle acque ma anche la capacità produttiva per l’edilizia e la produzione energetica. Non solo, ma il Settore Foreste si fa carico delle problematiche gestionali dei pascoli in quota e quindi partecipa con un ruolo importante alle strategie della filiera dell’allevamento. La ricerca di equilibri ecologico-produttivi della montagna è quindi al centro delle attenzioni di un ufficio provinciale unificato, e questo ha facilitato molto la gestione delle problematiche ambientali e per la sicurezza, e ugualmente potrebbe facilitare la nuova prospettiva di valorizzazione paesistica, promossa dal PUP ma tutta da costruire operativamente.

È chiaro che quaranta anni di strategie agroforestali coerenti e inserite nel quadro di riferimento dei PUP 1967 e 1987 partecipano a determinare esse stesse un paesaggio che ha mantenuto i caratteri della tradizione e della sostenibilità più di quanto sarebbe avvenuto spontaneamente, in presenza di interessi individuali o di piccoli gruppi, che avessero trascurato l’effetto di insieme. Ciò che si può chiedere oggi a chi gestisce il sistema rurale mon-tano, tuttavia, è una nuova frontiera del rapporto con le attrezzature turisti-che, della formazione più spinta di un sistema ibrido rurale e turistico, che assuma senza pudori inutili gli aspetti della modernità e dell’innovazione, dove opportuni, mantenendo però i caratteri identitari delle singole valli ed evolvendo con una propria specificità il paesaggio montano di ciascun sito, senza cedere a soluzioni prefabbricate nelle costruzioni e nelle modalità di conduzione delle aziende.

In questa ricerca di equilibri dinamici può essere preziosa l’esperienza che si va accumulando sull’altro fronte: quello dell’agricoltura specializzata della frutta e della vite. In quei contesti l’innovazione e la ricerca hanno dominato negli ultimi decenni generando non solo un’alta qualità di prodotti

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ma un vero e proprio nuovo paesaggio produttivo, con le sue luci e le sue ombre, che andrà valutato seriamente anche dal punto di vista ambientale, fruitivo e identitario e non solo produttivistico.

La gestione dell’agricoltura di fondovalle ha certo il merito di aver va-lorizzato le produzioni rurali al punto da competere con gli usi urbani, di fatto partecipando a disegnare il nuovo paesaggio periurbano del fondovalle Adige, premendo perché fossero definiti in modo concluso i bordi delle aree urbanizzate e in qualche caso studiando opportuni criteri di inserimento pa-esistico delle nuove tipologie di edifici produttivi.

Proprio questi esperimenti, che hanno raggiunto in qualche caso il livel-lo di buona pratica esemplare, dimostrano la potenzialità dell’agricoltura a partecipare da protagonista all’attuazione dei piani territoriali, soprattutto per gli aspetti paesistici. Ma tutto può rimanere senza esito in assenza di una procedura intersettoriale e condivisa di valutazione degli obiettivi di medio-lungo periodo e degli effetti attesi da ogni incentivo o promozione di intervento, che metta insieme i requisiti paesistici, di fruibilità turistica, di qualità ambientale con quelli produttivi, di efficienza aziendale e di sosteni-bilità economica delle pratiche agrarie.

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L’agricoltura di montagna nella tradizione alpinadi Annibale Salsa

Nella fase critica che la montagna sta vivendo, alla ricerca di nuove strade che ne rilancino il ruolo nell’attuale società globalizzata, l’agricoltura riveste ancora una funzione importante ed identificativa del “pianeta Alpi”. La mon-tagna alpina di oggi non può certamente ispirarsi a una ruralità intesa quale fonte primaria di sussistenza né può essere pensata in termini meramente economicistici secondo logiche di scala valide per le aree di pianura domina-te dall’agroindustria. Nonostante tutto la montagna può trovare ampie giusti-ficazioni di rilancio in una prospettiva che sia in grado di legare l’agricoltura al mantenimento della biodiversità ambientale e del paesaggio culturale.

Senza inoltrarci nella preistorica rivoluzione del Neolitico, che pone le premesse per l’addomesticamento della natura selvaggia e della sedentariz-zazione agricola, il dissodamento delle terre alte delle Alpi va letto attraverso filtri interpretativi di natura economica contrassegnati dal prevalere di speci-fici modelli colturali e culturali. Nei territori di antico insediamento – prero-mano, poi romanizzato – le aree soggette alle attività agricole erano scarse e legate in prevalenza alla cerealicoltura, alla caseificazione acida e alla viti-coltura. Le terre incolte, soprattutto nei fondovalle poco abitati, costituivano l’orizzonte predominante. Le popolazioni di antico insediamento non spinge-vano molto in quota le loro residenze stabili. La stabilizzazione residenziale delle popolazioni rurali è, infatti, legata prevalentemente all’agricoltura.

Le attività di allevamento semi brado e quelle nomadiche, proprie del pascolo vagante o transumante, privilegiavano lo sfruttamento stagionale estivo della montagna e non davano luogo ad insediamenti abitati tutto l’anno. I versanti della montagna vocati per queste attività erano soprattutto quelli esposti a «solatìo», all’«indritto», come si evince dall’istruttiva lettura dei toponimi sopravvissuti nelle diverse aree alpine. L’adrech delle valli di

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parlata occitano/provenzale o l’adret di parlata franco-provenzale, i suliv delle Alpi centrali lombarde, i sorìo o surìu di alcune valli romance svizzere, il Sonnenberg della Val Venosta, i solaioli della Val di Fiemme, sono chiari esempi di utilizzazione agricola della montagna sottratta alla natura selvag-gia al solo scopo di creare spazi utilizzabili per la vita umana.

La storia economica e sociale delle diverse regioni alpine ha contribuito a produrre paesaggi in continua evoluzione, favorendo la costruzione di micro-identità locali in continua trasformazione. Fulcro del paesaggio rurale alpino è, in particolare, l’Alpwirtschaft, l’agricoltura mista di montagna. Si tratta, nella fattispecie, di quella pratica dell’alpicoltura descritta e portata alla ribalta degli studi alpini dal geografo svedese John Frödin (Frödin 1940). La conformazione delle valli secondo forme di verticalità variabili da zona a zona, la necessità di addolcirne le pendenze con manufatti a elevata artifi-cialità, costringe l’agricoltore di montagna ad intervenire sulla morfologia dei terreni per trasformare le variazioni altitudinali in opportunità produttive. L’agricoltura di montagna ha, quindi, il suo fulcro nelle curve di livello (isoi-pse) che rappresentano il segno visibile delle costrizioni ambientali (penden-za dei terreni) cui l’uomo ha dovuto adattarsi. Questa particolare condizione ha connotato da sempre le attività legate alle pratiche agro-silvo-pastorali, imprimendo il sigillo inconfondibile della “alpinità”.

L’economia del maggengo e quella dell’alpeggio risultano perfettamente integrate e dimostrano come sulle Alpi, soprattutto le “Alpi umide” dei ver-santi settentrionali, l’allevamento del bestiame costituisca l’attività prevalen-te rispetto alla cerealicoltura, prevalente nelle Alpi latine, e al nomadismo ovino delle cosiddette “Alpi secche” (Alpi di Provenza, Queyras, Valle della Durence, Vallese, Sonnenberg venostano). I paesaggi delle “Alpi secche” differiscono, quindi, da quelli delle “Alpi umide”. Alle costrittive ragioni climatiche, l’uomo si è adattato assecondando la natura e trasformandola secondo le proprie esigenze.

La variabilità dei paesaggi si lega, pertanto, alla stretta interazione fra ambiente naturale ed attività umane. L’allevamento bovino, che si afferma sulle Alpi in misura preponderante su quello ovi-caprino a partire dal XVI secolo (Mathieu 1998), va di pari passo con l’agricoltura e conferma l’ap-partenenza di allevatori bovini e agricoltori a una medesima tipologia socio-antropologica. Viceversa la pastorizia ovina rimanda a una categorizzazione affatto diversa nella quale il pastore vagante, alla ricerca di erba nell’arco dell’intero anno, si muove senza stabili legami territoriali (negoziazione in itinere dei pascoli) secondo uno schema comportamentale nomadico de-territorializzato.

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I grandi itinerari di transumanza nelle Alpi sono quelli che mettono in relazione, ancora oggi, le “marine” o le “piane” con le “montagne”, si pensi ad esempio agli itinerari che dalla Camargue salgono sulle Alpi francesi o dalle coste venete vanno verso il Primiero e il Vanoi, o dalla pianura padana risalgono le Alpi bergamasche e bresciane fino alla Valtellina ed all’Engadi-na (Salsa 2007). Per chiarezza di lessico va precisato che i termini “monte” e “montagna”, a differenza dei significati odierni, si riferiscono rispettivamen-te ai maggenghi monticati a fine primavera e agli alpeggi caricati in piena estate. In tutte le Alpi ricorre, infatti, tale distinzione semantica. In Valle d’Aosta è netta la distinzione fra mayen e alpage (remues, tramail, tsa), in Trentino fra mont (ca’ da mont) e malga, in Lombardia fra Mut/Munt e Alp.

La separazione fra agricoltura/allevamento di montagna da un lato e pa-storizia vagante dall’altro costituisce un importante elemento di decifrazione identitaria dei territori alpini. Altra importante variabile per la comprensione delle trasformazioni intervenute nella storia dell’agricoltura alpina è costitui-ta dai cambiamenti climatici. La diffusione capillare degli insediamenti nelle Alpi ha raggiunto il suo acme nel XII e XIII secolo, allorquando la pratica dei grandi dissodamenti agrari è stata incoraggiata dalle circostanze storiche e da scelte politiche mirate.

Ampi spazi ricoperti da selve impenetrabili sono stati trasformati in prati, prati-pascoli alberati, campi e boschi coltivati. La biodiversità ne ha tratto giovamento e così pure la progressiva formazione di paesaggi culturali. La fase termofila del clima (optimum climatico) ha favorito l’agricoltura di montagna (Le Roy Ladurie 1967) spingendo la cerealicoltura (orzo, segale e grano saraceno) a quote assai elevate. Villaggi come Saint-Véran nel Queyras, Juf nei Grigioni o masi, abitati fino a pochi anni fa in tutte le stagioni, come Kurzras in Val Senales o Eishof in Val di Fosse, testimoniano la presenza di un’agricoltura eroica sopra i duemila metri di altitudine. Così come esempi di viticoltura altrettanto eroica, presente sopra i mille metri, sono riscontrabili nel Vallese (Visperterminen), in Valle d’Aosta (sopra Morgex), in Val di Susa (Ramat di Chiomonte) e, a quote leggermente più basse, sui terrazzamenti retici valtellinesi o trentini della Val Cembra. Anche l’olivo fa la sua comparsa nelle valli alpine: nelle Alpi Liguri fino ai 900 metri di Bajardo, nelle valli saluzzesi e pinerolesi, nella media Valle di Susa, sulle Prealpi che circondano i laghi insubrici dal lecchese alla trentina Valle dei Laghi. L’agricoltura di montagna sulle Alpi segnerà quindi, a fasi alterne legate al clima, il paesaggio nella sua complessità.

L’avvento della fase fredda nota come «Piccola età glaciale», che inte-resserà l’arco alpino nei secoli XVI – XVII – XVIII, farà arretrare le colture

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cerealicole a vantaggio di quelle foraggere. È in questo periodo che i pascoli più alti, di tipo arido a vocazione ovina, verranno progressivamente abban-donati e si assisterà ad un maggiore utilizzo dei prati pingui della media montagna. L’allevamento avrà la meglio sulla pastorizia, soprattutto nei versanti freschi umidi delle Alpi della Savoia (Beaufortin, Abondance), della Svizzera interna (Simmenthal, Pays d’Enhaut, Gruyère), dell’altipiano cen-trale elvetico (Allmende dell’Emmenthal), dell’Appenzell, del Vorarlberg, dei territori bavaro-tirolesi e salisburghesi.

Altri paesaggi verranno a delinearsi disegnando nuove configurazioni rurali del territorio alpino e favorendo il sorgere di mappe identitarie dai risvolti anche folcloristici. Con l’avvento del turismo elitario del secolo XIX su queste mappe territoriali si costruiranno mappe mentali incentrate su rap-presentazioni forti di sapore oleografico, veicolate dalla nascente letteratura romantica di matrice prevalentemente elvetica. Oggi ci troviamo a registrare forti arretramenti dell’agricoltura di montagna con effetti preoccupanti sul paesaggio, che corre il rischio dell’omologazione banalizzante. I fenomeni di re-inselvatichimento delle aree prative non più sfalciate o l’abbandono di molte malghe pascolive favorisce la veloce rinaturalizzazione del territorio precedentemente adibito alle attività agricole. Se non si interviene in tempo, la montagna alpina rischia di perdere biodiversità e appeal turistico.

L’agricoltura di montagna va vista, pertanto, non già attraverso la ri-duttiva lente di una mera logica produttivistica legata al mercato agricolo (per quanto ne rappresenti una nicchia qualitativa da promuovere), bensì per gli effetti indotti sul turismo dalla elevata qualità paesaggistica e per i benefici sulla tenuta idrogeologica del territorio. La nozione di “giardinieri della montagna” attribuita ai contadini-allevatori che praticano un’agricol-tura di tipo non intensivo e non industriale si adatta benissimo alla odierna situazione. Etica ed estetica del paesaggio non sono soltanto enunciazioni metafisiche, ma hanno un valore intrinseco misurabile attraverso il prezzo che la comunità nazionale, regionale e provinciale deve pagare per la loro conservazione. Se la nostra cultura egemone di tipo calcolante ci ha inse-gnato a conoscere il prezzo di tutto e il valore di niente, è ora che s’inverta il paradigma e si riparta dal valore.

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Riferimenti bibliografici

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Agricoltura e paesaggi dolomiticidi Viviana Ferrario

Premessa

Il 5 maggio 2012 lo Stato Italiano ha ratificato i protocolli della Convenzione delle Alpi e tra essi il protocollo “agricoltura di montagna”2. Il protocollo riconosce che, “in particolare nelle zone montane, l’agricoltura ha segnato nel corso dei secoli il paesaggio, caratterizzandolo storicamente e conferendogli valore culturale. Gli agricoltori vanno pertanto riconosciuti anche in futuro, per i loro compiti multifunzionali, come protagonisti essen-ziali del mantenimento del paesaggio naturale e rurale, e resi partecipi delle decisioni e delle misure per le zone montane” (art.4).

La Convenzione Europea del Paesaggio, ratificata dall’Italia nel 2006, sottolinea a sua volta il ruolo delle popolazioni e l’importanza di tenerne conto nelle azioni di salvaguardia, gestione e pianificazione di tutti i paesaggi europei3. Queste indicazioni richiamano con forza l’attenzione sul rapporto tra il paesaggio e il ruolo degli attori territoriali sulle Alpi, un territorio in cui la dimensione paesaggistica delle trasformazioni territoriali è estremamente

2 Come è noto, la Convenzione delle Alpi è un accordo internazionale per la protezione e la promo-zione dello sviluppo sostenibile delle Alpi volta a “salvaguardare l’ecosistema naturale (…) tutelando al tempo stesso gli interessi economici e culturali delle popolazioni residenti nei Paesi aderenti”. Firmata a Salisburgo il 7 novembre 1991, la Convenzione delle Alpi si articola in protocolli, che devono essere ratificati dagli Stati coinvolti per poter entrare in vigore. L’Italia ha ratificato i protocolli (eccetto il pro-tocollo trasporti) con la legge 5 maggio 2012, n. 50.

3 Si tratta di un altra convenzione internazionale che vincola gli stati che l’hanno ratificata a co-ordinare le loro politiche sul paesaggio. Provare a incrociare sistematicamente le indicazioni delle due Convenzioni relativamente al paesaggio delle Alpi potrebbe essere un esercizio assai interessante, che in questa sede è solo accennato.

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rilevante e che risente in modo particolare delle dinamiche a cui sono sog-gette le attività agricole e forestali. Per la regione dolomitica in particolare, a questo quadro si aggiunge il recente inserimento dei massicci delle Dolomiti nel patrimonio mondiale UNESCO, in ragione del loro straordinario valore geologico e paesaggistico. Nella conservazione di questo valore le attività agricole e forestali hanno un ruolo rilevante e estremamente delicato.

Nel prepararsi a rispondere alle sollecitazioni che provengono da questo nuovo quadro mi sembra che, in particolare nel territorio delle Dolomiti, alcune riflessioni sul rapporto tra agricoltura, agricoltori, paesaggio alpino e governo del territorio siano necessarie.

Due trasformazioni del paesaggio dolomitico: l’avanzamento del bosco e il declino dei seminativi di versante

Quando si parla di agricoltura e paesaggio sulle Alpi, non è superfluo ricordare come i paesaggi alpini siano mutati radicalmente negli ultimi cento anni. La trasformazione più nota e documentata è probabilmente il rimboschimento dei versanti, che prende avvio quando il lungo processo

Figura 1a

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di riduzione della superficie forestale a scopo di sfruttamento del legname o di recupero di terreni all’agricoltura, condotte dalle popolazioni locali a dispetto delle numerose misure di conservazione messe in campo dai poteri centrali, si inverte in concomitanza con i fenomeni di spopolamento e con le trasformazioni subite dall’economia montana tradizionale nel Novecento. Il bosco prende a espandersi, sia come effetto di specifiche politiche di rim-boschimento, sia come fenomeno spontaneo, occupando terreni marginali abbandonati dall’agricoltura e dall’allevamento, non più sfalciati e non più pascolati. Il rimboschimento spontaneo è stato documentato da numerosi studi, che ne hanno messo in evidenza le dimensioni ragguardevoli, l’impatto sul paesaggio montano, la correlazione con l’abbandono (ad esempio Walter, 1986; Varotto, 1999; Tasser et. al, 2007).

Meno studiata, ma altrettanto radicale, è la scomparsa dei seminativi di versante che ha contribuito anch’essa a mutare radicalmente i paesaggi dell’area dolomitica negli ultimi cento anni4. Le valli dolomitiche, come altre aree delle Alpi, erano caratterizzate dalla presenza diffusa di campi coltivati disposti sui versanti soleggiati attorno ai villaggi, che creavano un paesaggio assai diverso da quello dei prati stabili oggi prevalente. Degli antichi piccoli campi di orzo, segale, lino, fave, patate si è perduta quasi la memoria: siamo anzi abituati a considerare “tradizionale” un paesaggio che invece è esito di una trasformazione relativamente recente (Ferrario, 2007).

Nelle tre immagini seguenti (1a, 1b, 1c) è possibile osservare il paesaggio dei seminativi di versante in alcune diverse valli del territorio dolomitico nel primo Novecento. Dall’alto al basso: Val di Fassa, Fodom, Comelico.

Vorrei soffermarmi sulla sparizione dei seminativi di versante perché, grazie a una testimonianza di prima mano, ci offre lo spunto per mettere in relazione tra loro le trasformazioni del paesaggio e gli attori coinvolti, con le loro scelte e i loro immaginari. La testimonianza ci viene da alcune note presenti in un lavoro del geografo Olinto Marinelli, che, impegnato nello studio dei limiti altimetrici, osserva questa trasformazione nelle sue prime

4 Tra i seminativi di versante si possono annoverare anche i coltivi realizzati su terrazzamenti, molto diffusi su tutte le Alpi e in generale sulle montagne europee (Blanchemenche, 1990; Scaramellini e Varotto, 2006). Qui mi riferisco in specifico però alla presenza di seminativi (in termini tecnici anche “zappativi”, in quanto venivano lavorati con la zappa a causa della pendenza che impediva l’uso dell’a-ratro) su versanti non terrazzati, tipici del territorio alpino dolomitico (Bätzing, 2005).

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Figura 1b

Figura 1c

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fasi in una valle delle dolomiti nord-orientali nei primi anni del Novecento. Scrive Marinelli:

«Queste piccole campagne presentano in autunno un aspetto caratte-ristico che richiamò anche ad altri l’immagine di una scacchiera. Sono divise in campicelli quasi sempre di piccola e poco variata estensione e di forma rettangolare, separati tra di loro da un semplice solco o stretto orlo di zolle (non da muriccioli o steccati); dei campi stessi una parte è coltivata l’altra lasciata a prato. Onde il colore diverso degli appezzamenti ed il ca-ratteristico aspetto complessivo. Domina il sistema che i tedeschi chiamano Egartenwirtschaft, cioè non si coltivano ogni anno gli stessi campi, ma si lasciano alternativamente in riposo per un periodo abbastanza lungo»5.

Nella descrizione appare nitidamente il legame profondo che intercorre tra pratiche agricole e forma del paesaggio agrario6. Il paesaggio “a scacchie-ra” documentato da Marinelli è prodotto di una forma di agricoltura praticata da una certa società in un determinato territorio, in un dato momento storico. È logico aspettarsi che al mutare di questi fattori i paesaggi si trasformino. Continua, infatti, Marinelli:

«[…] l’agricoltura tende piuttosto a perdere che a guadagnare terreno; alcuni spazi, ove si seminava anni sono, vengono tenuti sempre a prato».

E prosegue:«I tecnici insistono poi da alcuni decenni nel consigliare gli abitanti della

regione a sostituire sempre più all’agricoltura la praticoltura».

Cosa sta succedendo? Anche in questa valle si sta diffondendo l’alleva-mento bovino specializzato, destinato a soppiantare, nel corso del Novecento, quelle forme di piccolo allevamento misto che avevano caratterizzato le so-cietà alpine fino ad allora (Coppola 1992, Bätzing, 2005). La descrizione del geografo friulano coglie questa trasformazione nel suo divenire e ne mette in luce le dinamiche sottese e gli attori coinvolti, ciascuno con il proprio ruolo. La complessa relazione che lega il ruolo dei tecnici e quello degli agricoltori, così come emerge dalle pur concise descrizioni di Marinelli, mi sembra degna di nota in quanto confronto tra conoscenza esperta e sapere comune. L’opinione dei tecnici, accompagnata e sostenuta dallo specifico sguardo “esperto” che essi depositano sul paesaggio, è destinata, anche gra-

5 Si tratta della valle del Comelico, nella quale Marinelli soggiornò a più riprese tra il 1903 e il 1904. Marinelli, 1907, p. 18.

6 Quello stesso legame che sarà poi oggetto degli studi del Sereni, in particolare della “Storia del paesaggio agrario Italiano” pubblicata nel 1961.

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zie al loro crescente peso sociale, a influenzarne la percezione collettiva e i comportamenti della popolazione. Gli agricoltori da parte loro giocano un ruolo duplice: da un lato come gruppo sociale offrono una certa resistenza alla trasformazione stessa, dall’altro alcuni di loro invece la assecondano, diventandone gli artefici materiali. Questo breve racconto racchiude gli in-gredienti principali che entrano in gioco in una trasformazione paesaggistica: la presenza di diverse percezioni del paesaggio, la presenza di attori che mettono in campo diverse expertise, il paesaggio che cambia. Da qui vorrei partire per il breve ragionamento che farò su agricoltura e paesaggio nella montagna dolomitica.

Il paesaggio non è (solo) un oggetto

Il breve racconto di Marinelli conferma una dinamica che le discipline che si occupano di trasformazioni territoriali hanno da tempo messo in luce: perché si verifichi una trasformazione del paesaggio come questa, cioè a dire realizzata dall’uomo e non da eventi naturali e condotta da un attore collettivo, è necessario che prima si modifichi la percezione collettiva di quel paesaggio. Agli occhi dei tecnici citati da Marinelli, educati dalla loro preparazione specifica, il paesaggio dei seminativi di versante, che per secoli aveva garantito la vita in quelle valli, risultava ormai irrimediabilmente ir-razionale. Nel momento in cui il loro sguardo verrà condiviso dalla maggior parte degli attori territoriali (gli agricoltori in questo caso) allora la trasfor-mazione prenderà piede.

Una lettura di questo tipo fa riferimento al fatto che il paesaggio non è solo quella particolare configurazione di boschi e seminativi (la “determinata parte di territorio” della Convenzione Europea del Paesaggio), ma incorpora anche l’idea che le popolazioni ne hanno (con le parole della CEP: “così come percepita dalle popolazioni”)7. Non si tratta di una questione seconda-ria: la percezione, infatti, incorpora un giudizio di valore e orienta le azioni. Il giudizio di valore non può che essere diverso a seconda della cultura e de-gli interessi di chi lo concepisce. Si può ipotizzare dunque che quando questi interessi e questi riferimenti culturali sono condivisi il paesaggio affronterà

7 Non è forse inutile richiamare in questa sede la pure molto nota definizione della Convenzione Europea del Paesaggio per la quale ‘Paesaggio’ designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.

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una fase di relativa stabilità o comunque di cambiamento lento e incremen-tale; se invece interessi e riferimenti culturali dei diversi attori territoriali si trovano a divergere – per i più svariati motivi sociali, economici o politici – e una nuova percezione del paesaggio riesce a prendere il sopravvento, allora il paesaggio può andare incontro a trasformazioni rapide e radicali.

Questa dinamica può spiegare le trasformazioni dei paesaggi dolomitici sopra descritte: una volta che è stato riconosciuto collettivamente come irrazionale, il paesaggio dei seminativi lascia spazio al nuovo paesaggio della praticoltura; una volta che il valore ambientale e di mercato del bosco supera nella percezione collettiva, quello d’uso delle comunità locali, poli-tiche specifiche a livello nazionale lo mettono sotto tutela e ne promuovono l’espansione.

Se accettiamo le ipotesi sopra descritte, stiamo concependo un paesaggio che non è più un oggetto da tutelare, da pianificare, da valorizzare: è piutto-sto il prodotto dell’interazione di idee, di azioni, di interessi, di pratiche, di fenomeni, di politiche. Il prodotto di un percorso di costruzione complesso e multiattoriale.

L’accezione del termine paesaggio si allarga dalla dimensione estetica a quella economica, sociale e politica: il paesaggio è prodotto dell’interazione tra una società e un territorio e assume le forme che quella interazione è in grado di produrre.

Per molti decenni gli abitanti della montagna, e i contadini in particolare, sono stati considerati dalla cultura dominante non solo come incapaci di ge-stire il loro stesso territorio, ma addirittura come i principali artefici del suo degrado. I loro comportamenti erano bollati come irrazionali e dannosi: lo sfruttamento pastorale, il disboscamento volto a guadagnare nuovi coltivi per una popolazione in crescita, erano percepiti dagli outsider come un attacco alla integrità della montagna, causa di riduzione della fauna selvatica, di in-stabilità dei versanti e del manifestarsi di fenomeni di erosione, responsabili di catastrofi che si ripercuotevano sulle pianure circostanti8. Questa lettura, espressione di élite detentrici dei poteri decisionali, provenienti soprattutto dall’esterno del mondo montano, ha ispirato a lungo anche le politiche rela-tive al paesaggio, inteso qui come puro oggetto. Oggetto di attenzione e cura, oggetto di politiche, oggetto di progetti. In questa concezione la dimensione estetica prevaleva su quella sociale e politica. Questo modo di concepire il

8 Per una raccolta di studi geograficamente ampia sui complessi rapporti tra uomini e boschi si veda Lazzarini 2002.

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paesaggio e la sua tutela si è generalmente espresso attraverso l’apposizione di vincoli e la creazione di territori protetti e riserve. Delimitando l’oggetto, appunto, della tutela.

Grazie anche all’internazionalizzazione del dibattito e alle istanze pro-mosse dalla Convenzione Europea del Paesaggio, oggi il paesaggio ha as-sunto un significato più complesso, più inclusivo rispetto alla sfera sociale ed economica e soprattutto più attento alle percezioni delle popolazioni. Per questo motivo sarebbe anacronistico concepire politiche per il paesaggio che non si confrontassero con le “immagini” che ne orientano le trasforma-zioni. Si tratta di un esercizio con il quale le discipline territoriali riflettono da tempo (Pasqui, 2004), ma che solo negli ultimi anni si sta saldando con la nuova idea di paesaggio che la Convenzione Europea del Paesaggio ci propone. Siamo oggi in attesa di vedere gli effetti di questa saldatura per esempio nei nuovi strumenti di pianificazione territoriale e paesaggistica sulle Alpi (Ferrario, 2012). Un’analoga saldatura dovrebbe interessare le attività agricole e forestali e le politiche che le regolano.

Agricoltori, politiche settoriali e paesaggi alpini conflittuali

Come giustamente sottolinea il testo del protocollo “agricoltura di mon-tagna” della Convenzione Alpina, agli agricoltori va riconosciuto il ruolo di attori delle trasformazioni del paesaggio. Tuttavia è opportuno domandarsi in quali direzioni, con quale livello di consapevolezza e con quale supporto da parte del resto della società. Al riconoscimento del ruolo determinante delle attività agricole e degli agricoltori e dei processi socio-economici che li coinvolgono nella costruzione del paesaggio alpino dovrebbe corrispon-dere un preciso impegno da parte delle società locali, delle amministrazioni regionali e della comunità internazionale perché la costruzione del paesaggio alpino diventi un processo condiviso. Mi sembra, infatti, che oggi la que-stione dell’integrazione dell’attività agricola e l’apporto degli agricoltori alla costruzione del paesaggio alpino, in un quadro unitario e condiviso, alla nuova “immagine” delle Alpi9, sia del tutto aperta.

9 Negli ultimi dieci anni si è molto parlato di una “nuova immagine” delle Alpi, che si è giustapposta e in parte sovrapposta alla classica visione della regione alpina come territorio marginale, immobile, intrappolato in un ritardo difficilmente colmabile rispetto alle pianure metropolitane circonvicine, luogo di abbandono o di sfruttamento esogeno concentrato in pochi luoghi puntiformi: poco alla volta le Alpi hanno cominciato a essere guardate come risorsa, luogo di potenzialità inespresse ma promettenti (De Vecchis, 1996), modello di riferimento (Camanni, 2002) o laboratorio (Franceschetti, Argenta, 2002) di sviluppo sostenibile. Nuove attività e nuovi abitanti hanno messo in discussione l’“inappetibilità” di que-

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Le percezioni, i giudizi di valore e conseguentemente i comportamenti degli agricoltori non sono necessariamente omogenei tra loro, né coinciden-ti con le percezioni, i valori, gli interessi delle altre categorie di attori che intervengono sul paesaggio alpino. Questo genera una sorta di scontro tra idee di paesaggio diverse e conseguentemente tra comportamenti e modi di costruzione del paesaggio.

Il protocollo Agricoltura ci mette in guardia in particolare sul possibile conflitto tra pratiche agricole e conservazione ambientale. Si tratta di una questione assai controversa che non è limitata al territorio alpino, ma riguar-da l’attività agricola in generale e solo negli ultimi decenni è stata oggetto di maggiore attenzione con la “svolta” ambientale delle ultime revisioni della Politica Agricola Comunitaria. La specificità del conflitto sul territo-rio alpino è dovuta soprattutto alla scarsità e alla particolarità del territorio agricolo, alla sua maggior fragilità, alle dinamiche controverse ed estreme che la interessano. In molte aree delle Alpi questo conflitto si legge dal vivo, nei paesaggi dell’agricoltura intensiva dei vigneti e dei frutteti di certe valli delle Alpi centrali, intensivi ed estremamente semplificati. Anche l’eccesso di sfruttamento dei pascoli più prossimi alle malghe e l’abbandono di quelli meno comodi trasformano molti paesaggi pastorali in modo conflittuale rispetto alla conservazione del loro valore ambientale.

Esistono poi altre forme di conflitto in cui la componente sociale e cultura-le prevale, come ad esempio la difficile convivenza tra le aziende agricole e la presenza di turisti e ospiti che non condividono i codici di comportamento de-gli agricoltori, assumendo così inconsapevolmente comportamenti dannosi10.

Ognuno di questi conflitti corrisponde ed è espressione della coesistenza di percezioni del paesaggio diverse e di diverse scale di valori attribuite – e socialmente accettate – alle sue diverse componenti. Ciascuno di quei pae-

sto territorio come luogo di vita (Camanni, 2002; CIPRA, 2007; Dematteis, 2011). È emersa con sempre maggior precisione una immagine delle Alpi come territorio unitario, spazio di identificazione comune di abitanti peraltro portatori di identità assai complesse e diversificate (Debarbieux, 2008). L’importanza di riflettere operativamente sul futuro del territorio alpino è stata messa in luce da numerosi studi, conve-gni, progetti europei. A titolo di esempio si vedano Diamantini, Zanon 1998; Massarutto, 2006; De Fino, Morelli, 2011.

10 Un esempio molto comune è quello dei prati da sfalcio, tradizionalmente non recintati, letti come luogo di produzione da parte degli agricoltori, ma come luogo di svago (e dunque calpestabili) dagli ospiti meno avvertiti. Anche i rumori e gli odori prodotti dagli allevamenti entrano spesso in conflitto con la presenza turistica. Negli ultimi anni mi sembra peraltro che stia crescendo anche tra il pubblico più ampio un maggior rispetto per le attività agricole, il loro ruolo sociale e le loro esigenze e parallelamente una maggior consapevolezza tra gli agricoltori sulla necessità di una miglior convivenza con il resto della società.

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saggi racconta quelle scale di valori e delle scelte che nel loro insieme sono espressione del rapporto che quelle società stabiliscono con il loro territorio, ivi comprese le forme di sfruttamento o di cura e rispetto che le caratterizza-no. Come ai tempi di Marinelli diverse forme di incontro/scontro tra saperi esperti e locali fanno ancora fatica a ritrovarsi su un cammino comune. Qual è il paesaggio alpino che vogliamo per il futuro?

In questo quadro s’inseriscono le politiche settoriali agricole e forestali, che influenzano in modo determinante le scelte e i comportamenti degli agricoltori (e dunque il paesaggio che essi costruiscono) in direzioni a volte del tutto contraddittorie. A loro volta esse sono espressione di percezioni e opinioni controverse, spesso anche esterne al mondo alpino e non del tutto consapevoli delle sue specificità. Insomma in un quadro così plurale la com-presenza delle molte e diverse percezioni del paesaggio che abbiamo cercato di evidenziare rendono le trasformazioni difficili da governare dentro un qua-dro territoriale che sia integrato e comune. A questo punto ci domandiamo: il paesaggio è solo forma di conflitto o può diventare esso stesso strumento di governo e composizione di quei conflitti?

Il paesaggio come strumento: conoscenza e mediazione paesaggistica

In quanto prodotto dell’interazione tra una società e un territorio il pae-saggio può essere osservato per comprendere le dinamiche che lo generano e lo trasformano, contribuendo così a costruire una adeguata conoscenza del territorio stesso, necessario supporto alle attività di governo. Entro conte-sti complessi e plurali, infatti, la conoscenza è ancora largamente carente, condizionata com’è dalla mancanza di dati di dettaglio su larga scala11, dalla difficoltà di ricostruire gli andamenti delle trasformazioni in fieri, dalla pressoché totale assenza di informazioni strutturate sulle percezioni, sui valori e sulle motivazioni delle scelte degli attori territoriali. In questo quadro il paesaggio può svolgere un ruolo significativo nella lettura sia dei processi di trasformazione sul piano fisico sia delle trasformazioni dell’idea di territorio. Attribuire al paesaggio un tale ruolo può sembrare eccessivo: è

11 Questo problema si osserva per esempio proprio in quelle ricerche sui cluster nella regione alpina già citate (Bätzing et al. 1996; Tappeiner, Borsdorf, Tasser, 2008) che, obbligate ad usare il Comune come scala minima di osservazione, rischiano di non riuscire a restituire completamente la complessità del territorio alpino, visto che, per la modalità con la quale sono perimetrati, i comuni includono aree interessate da fenomeni di segno opposto, come ad esempio l’abbandono dei versanti e l’urbanizzazione del fondovalle.

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bene infatti tener presente quello che sottolinea Lucio Gambi in un celebre scritto a proposito di quei:

«[…] fenomeni umani che non lasciano riflessi nella topografia e sono conseguenza di accadimenti o di istituzioni o di strutture umane che sono in minima parte riescono a colpire i sensi. Manifestazioni accadimenti ecc. la cui opera nella determinazione del paesaggio è più saliente e dinamica di quanto lo sia l’opera dei fenomeni fisici. Fra il denso novero di tali ma-nifestazioni potrei indicare una sequenza di fatti […] che in più di un caso figurano all’origine del paesaggio ma la cui riduzione a termini di paesag-gio è impossibile»12.

Queste parole da un lato mettono in guardia rispetto al rischio di affidarsi all’osservazione del paesaggio in modo esclusivo e dall’altra dichiarano l’importanza di affrontarne lo studio in modo più avvertito, non limitandosi a registrare “[…] quello che ha forma visibile o cartografabile”13.

In quanto mezzo di indagine sulle dinamiche il paesaggio assume dunque un ruolo “strumentale”, diventa un outil (Luginbuhl, 2004), un attrezzo di lavoro14.

Il paesaggio si presta a svolgere anche una seconda e forse ancora più significativa funzione. Spostandosi dal piano delle trasformazioni fisiche a quello delle idee (dunque delle rappresentazioni collettive del territorio), l’utilizzo della nozione “paesaggio” permette di osservare e mettere a fuoco l’inevitabile compresenza di quelle rappresentazioni collettive del territorio non coincidenti che abbiamo osservato più sopra. Essere in grado di indivi-duare ed esplicitare i conflitti, reali e potenziali, che si innescano tra diverse rappresentazioni dello stesso territorio può essere cosa assai importante per il suo governo.

Al paesaggio possiamo, cioè, attribuire un uso strumentale anche nel pro-cesso di costruzione collettiva della “rappresentazione sociale” del territorio stesso, che orienta indirettamente le scelte e le azioni individuali e collettive che sono all’origine delle trasformazioni territoriali (Ferrario, 2011). Se una

12 Gambi, 1973, p. 161. Nel sottoporre a critica il paesaggio così come veniva trattato negli studi ge-ografici dell’epoca (prendendo in particolare le distanze dalle forme catalogatorie che li caratterizzavano) Gambi sottolinea più volte il carattere di prodotto che deve essere attribuito al paesaggio, in quanto esito di dinamiche economiche, sociali, culturali, di potere, ecc.

13 Ivi, p. 168.14 In area dolomitica un tentativo in questo senso mi sembra una recente ricerca condotta presso l’Ac-

cademia Europea di Bolzano, “Paesaggio (agri)culturale - Strategie per il paesaggio culturale del futuro”, che comprende un sondaggio intitolato “Il paesaggio nelle Alpi. Che cosa Vi aspettate?”. Si veda https://webapp.uibk.ac.at/kulawi/eurac/it/ (ultima consultazione luglio 2012).

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possibilità di comporre i conflitti territoriali esiste, forse la si dovrebbe cer-care prima di tutto proprio nella costruzione collettiva di rappresentazioni condivise del territorio. Non sto ovviamente parlando della costruzione di un consenso attorno alle trasformazioni richieste dagli attori territoriali più forti: al contrario, si tratta di sollecitare il dialogo e il confronto tra le diverse idee di territorio portate dai diversi attori sulla base di una loro “esplicitazione organizzata”. In questa direzione si stanno muovendo alcune recenti rifles-sioni in ambito internazionale, che stanno indagando sulle possibilità offerte dalla “mediation paysagère” come strumento di governance dei conflitti15. In questo senso il paesaggio può rappresentare uno strumento di costruzione di obiettivi condivisi estremamente sofisticato e complesso, che siamo ancora lontani dal saper padroneggiare e che meriterebbe adeguate sperimentazioni. Il territorio dolomitico sarebbe un ottimo terreno di sperimentazione.

Agricoltura e paesaggio rurale nell’area dolomitica: il paesaggio come politica comune per un territorio plurale?

Pur unito da un’identità geologica spettacolare, il territorio delle Dolomiti è però radicalmente plurale. Lo hanno reso plurale le vicende storiche e politiche che hanno interessato queste valli, divise a lungo da un confine di stato e tormentate da epurazioni, irredentismi e nazionalismi, teatro di op-poste rivendicazioni; le differenze linguistiche - pur innestate sulla comune base ladina - determinate dall’influenza delle lingue germaniche da un lato e dall’influenza veneta dall’altro; le diverse organizzazioni storiche della società, con la presenza dei grandi monasteri a nord ovest (La Badia), e delle “magnifiche comunità” a sud (Fiemme, il Cadore); il regime di proprietà della terra - un tema cruciale per l’agricoltura - che vede la conservazione del “maso chiuso” in alcune valli, un estremo frazionamento fondiario in altre. A queste ragioni storiche si aggiunge una radicale pluralità amministrativa: basti pensare al fatto che le Dolomiti sono divise tra cinque province, due delle quali sono a statuto speciale e le altre tre appartengono a due diverse regioni di cui una a statuto speciale (v. fig. 2).

È chiaro che a fronte di una tale disomogeneità storico-amministrativa che

15 Si veda per esempio il progetto di ricerca “Ressources paysagères et ressources énergétiques dans les montagnes sud-européennes. Histoire, comparaison, expérimentation“ coordinato da S. Briffaud, che ha come obiettivo, tra gli altri, quello di indagare le possibilità offerte dalla mediation paysagere nella gestione dei conflitti sull’uso idroelettrico delle acque montane, mettendo confronto Alpi e Pirenei. Chi scrive è coinvolta come coordinatrice del gruppo di lavoro che si occupa delle Dolomiti Nord-Orientali.

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si perpetua a dispetto delle analogie tra i caratteri fisici del paesaggio, anche le politiche che vengono messe in campo sono naturalmente diverse. Anzi le politiche stesse nel tempo hanno contributo ad accentuare le differenze socia-li ed economiche tra le vallate dolomitiche. Questo fatto è molto evidente se noi osserviamo i risultati delle diverse cluster analysis che si sono susseguite sul territorio alpino a partire da Bätzing, Messerli, Perlik (1995). Anche ri-spetto alla più recente tra queste ricerche (Tappeiner e Tappeiner, 2009), l’a-rea dolomitica comprende sostanzialmente tutta la gamma di possibili “tipi” di situazioni locali che si possono riconoscere sulle Alpi, dalle “forgotten rural areas” (Carnia, Agordino) fino alle “dynamic rural areas”(bassa Badia, Pusteria), dagli “employment hubs” (Bolzano, Belluno, Agordo, Ponte nelle Alpi), agli “important tourist center” (Alta Badia, Fassa).

Tutto questo si riflette sul paesaggio. È esperienza comune per esempio il contrasto nel livello di attenzione alla cura degli edifici e degli spazi pubblici che si nota attraversando certi confini amministrativi interni al territorio dolomitico. Anche il paesaggio agrario riflette diversi livelli di investimento, diverse politiche agricole, diverse tendenze e diversi rischi, che non si possono certo ricondurre alla sola diversità climatica e morfolo-gica delle valli: se alcune valli sono caratterizzate soprattutto da pascoli e prati abbandonati, altre sono soggette ad usi intensi, sia agricoli che urbani;

Figura 2: Complessità amministrativa del territorio delle Dolomiti: confini regionali, provinciali, comunali e delle comunità montane, messi a confronto con la perimetrazione di otto delle nove aree UNESCO.

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i prati di versante qui sono trasformati dall’eccesso di sostanza organica proveniente dagli allevamenti intensivi, là obliterati dall’espansione del bosco che avanza, altrove invasi dall’urbanizzazione; a luoghi e società locali dove gli agricoltori sono emarginati, si contrappongono altri luoghi in cui l’agricoltura è addirittura messa in scena ad uso turistico. Tutto questo avviene in un ambito territoriale ridotto e, appunto, relativamente omogeneo dal punto di vista geografico.

Il territorio dolomitico può, dunque, essere considerato quasi un com-pendio di quella estrema differenziazione interna del mondo alpino messa in luce da tempo dagli studiosi. Si tratta di un territorio nel quale, nonostante le analogie di fondo, le differenze tendono a prevalere, sia nella percezione pubblica del territorio che, appunto, nelle politiche messe in atto: al di là di quella stereotipata offerta al turista globale, non è disponibile un’immagine comune e soprattutto politicamente attiva del territorio dolomitico, capace, come si diceva più sopra di mobilitare comportamenti condivisi.

In questo quadro s’innesta l’operazione Dolomiti UNESCO. Come è noto, a partire dal 2009 le Dolomiti sono state inserite nella World Heritage List sotto forma di sito seriale, composto, cioè, di diverse aree omogenee ma separate tra loro. Ciascun sito comprende un’area core e un’area buffer (cuore e tampone) e individua uno dei principali gruppi rocciosi del territorio dolomitico. Due criteri hanno determinato la scelta internazionale: l’uno è relativo alla particolarità geologica delle Dolomiti, l’altro invece si concentra sugli aspetti estetici del paesaggio dolomitico: sulle “grandi masse rocciose perfettamente verticali, bianche e di forma molto varia, che si elevano im-provvisamente dal suolo (energia del rilievo)”; sugli “elementi strutturali orizzontali che interrompono le pareti rocciose, creando vaste balconate e forti contasti di colore”; sugli “imponenti mantelli detritici che avvolgono la base degli edifici carbonatici”; sugli “ampi basamenti dolcemente ondulati, di origine poligenetica”, che lo caratterizzano. Ecco l’immagine universalmente nota delle Dolomiti. Al di là delle facili critiche possibili16 mi sembra che il riconoscimento globale di una unità, sia pure nelle diversità, sia una chiave, un’opportunità, che spinge a rileggere in modo unitario questo territorio

16 Le critiche, che hanno caratterizzato il dibattito soprattutto nel tempo intercorso tra la presentazione della prima e della seconda candidatura (2007-2009) si possono riassumere in due punti principali: 1. l’immagine veicolata dall’UNESCO è un’immagine stereotipata, legata ad un concetto di paesaggio de-cisamente estetizzante 2. Le Dolomiti non sono solo rocce, sono anche un paesaggio umano, quello delle valli, che proprio per la sua diversità interna meritava di essere letto nella sua interezza e complessità, come paesaggio culturale.

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Figura 3: Un paesaggio “dolomitico” tipico messo in relazione con il criterio UNESCO che ne decreta il valore internazionale (rielaborazione da Micheletti, 2010, p. 18): il paesaggio naturale riconosciuto dall’UNESCO “appoggia” su un paesaggio abitato, di cui non possiamo rinunciare a governare le trasformazioni in modo condiviso. L’iscrizione delle Dolomiti nel patrimonio mondiale rappresenta in questo senso un’occasione straordinaria.

diversificato. Mi sembra che un’immagine comune rappresenti una grande, forse irripetibile, occasione per migliorare la governance di questo territorio.

Questo cambiamento di prospettiva può rimettere, infatti, in gioco molte cose. Può, per esempio, essere un’occasione per avviare un ragionamento sull’agricoltura di montagna nell’area dolomitica e del suo ruolo rispetto al paesaggio, così come ci raccomanda il protocollo della Convenzione delle Alpi. Quei paesaggi universalmente noti, rocciosi e disabitati, “appoggiano”

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proprio sopra valli caratterizzate da un paesaggio umano che è in gran parte effetto delle attività agricole che in quelle valli si svolgono (v. fig. 3). I pae-saggi rocciosi delle Dolomiti non si possono guardare, percorrere, visitare, senza attraversare, con i piedi o con lo sguardo, gli ampi pascoli sommitali, le valli boscate, i prati di versante e i fondovalle urbanizzati e coltivati.

Come sappiamo, l’agricoltura europea è fortemente sostenuta e diretta dalle politiche settoriali dell’Unione, che vengono declinate alla scala regio-nale con una certa autonomia, del tutto legittima – e anzi auspicabile – per poter rispondere localmente nel modo più preciso possibile alle diverse realtà locali. Quest’autonomia nel territorio dolomitico andrebbe riletta alla luce di una maggiore attenzione al paesaggio comune e alla parità delle opportunità offerte ai soggetti che praticano l’agricoltura in queste aree.

Un semplice esempio può chiarire cosa intendo. L’agricoltura di monta-gna, come è noto, e come anche il protocollo della Convenzione delle Alpi sottolinea, si svolge in condizioni sfavorevoli rispetto alle aree pianeggianti, in quanto afflitta da svantaggi strutturali come la brevità della stagione ve-getativa, la pendenza, la minore insolazione, e accidentali come la minore infrastrutturazione del territorio, il maggior costo del carburante, ecc. Questo svantaggio è riconosciuto e compensato dalle diverse amministrazioni che si dividono il territorio dolomitico tramite una specifica indennità. Ciascuna di esse ha il proprio modo di calcolare quantitativamente lo svantaggio e di identificare il giusto indennizzo17. Questo genera trattamenti impari tra si-tuazioni di svantaggio oggettivamente simili e fa sì che si creino delle palesi difformità nella situazione degli agricoltori, sia all’interno della stessa cir-coscrizione amministrativa18, sia tra un territorio amministrativo e l’altro19.

Le conseguenze non sono solo finanziarie: diverse politiche settoriali

17 La Direttiva CE 75/268 l’erogazione di indennità specifiche per le aziende che operano in aree svantaggiate. Facendo riferimento al Piano di Sviluppo Rurale che definisce le modalità di erogazione dei fondi comunitari, si tratta della misura 211, la cosiddetta «Indennità a favore degli agricoltori delle zone montane».

18 Nel Veneto il metodo di calcolo della pendenza, uno dei principali fattori di svantaggio per le attivi-tà agricole che sta alla base del calcolo degli indennizzi, non è basato sulla situazione reale dell’azienda, ma sulla pendenza media del territorio comunale nel quale l’azienda ha sede. Questo porta una ipotetica azienda di fondovalle che lavora terreni poco pendenti in un comune ad elevata pendenza media (ad esempio in Val Belluna) ad essere considerata potenzialmente più svantaggiata di aziende che lavorano terreni in forte pendenza sui versanti di valli scoscese ma situate in comuni con pendenza media inferiore (ad esempio nel Livinallongo o in Comelico).

19 Ad esempio nel Veneto non è disponibile un servizio di consulenza gratuita agli agricoltori come quello che hanno a disposizione la provincia autonoma di Bolzano o la Regione Friuli.

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costruiscono diversi paesaggi, attraverso diverse politiche settoriali si vei-colano diverse immagini della montagna e del ruolo che l’agricoltura riveste nella società. Come è stato notato, infatti, ben diverso è il riconoscimento sociale del bauern nelle valli altoatesine, proprietario del suo maso, rispet-tato, depositario della tradizione, rispetto al contadino del versante sud delle Alpi, vittima di un’immagine sociale irrilevante, quando non palesemente osteggiato per una attività poco redditizia e spesso considerata anacronistica (Bätzing, 2005).

Insomma un’immagine condivisa del paesaggio rurale delle Dolomiti capace di influenzare le politiche e i comportamenti individuali e collettivi sarebbe tanto auspicabile quanto è lontana dall’esistere oggi. Per cominciare, anche alla luce delle indicazioni che ci provengono dagli strumenti inter-nazionali che abbiamo citato, sarebbe interessante avviare un percorso di sperimentazione per testare la possibilità di coordinare le politiche agricole nella regione dolomitica.

Il paesaggio potrebbe costituire il fulcro e lo strumento di questo esperi-mento: un ruolo diverso, ma non incompatibile e anzi integrativo dell’acce-zione più patrimoniale usata nell’ambito del “mondo” UNESCO. Mi sembra anzi che l’occasione UNESCO andrebbe sfruttata proprio in questa direzio-ne: sarebbe un modo per cominciare a sperimentare la possibilità di costruire, attraverso il paesaggio come strumento di mediazione, una rappresentazione collettiva del territorio dolomitico capace di mediare tra culture, interessi, discipline ed expertise e orientare le politiche nel rispetto delle differenze lo-cali entro un quadro territoriale coordinato e condiviso. Una occasione come questa ci sollecita ad uno sforzo comune in termini di responsabilità indivi-duale e collettiva per riconoscere i valori e stabilire insieme le regole della governance delle trasformazioni del paesaggio. Quale migliore occasione per rendere gli agricoltori delle Dolomiti, in quanto costruttori di paesaggio, “partecipi delle decisioni” prese per le loro montagne?

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Riferimenti bibliografici

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SECONDA SESSIONE Paesaggi rurali nell’arco alpino

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Urbanizzazione, agricoltura e paesaggio alpinodi Barbara Stoinschek20

Introduzione

Il paesaggio non si compone di elementi casuali; esso è modellato dalle forze della natura e dalle attività dell’uomo nel corso degli anni. Così il paesaggio è sempre anche lo specchio della società!

Senza l’influenza dell’uomo, il nostro paesaggio attuale potrebbe essere parzialmente monotono. La figura 1 mostra Lasa, in Val Venosta, Alto Adige. Nell’immagine (modificata) di sinistra si possono vedere densi boschi e una bassa diversità degli habitat. Nell’immagine di destra è invece evidente l’influenza dell’uomo. La valle è stata trasformata; sono presenti numerosi frutteti e nell’altopiano si vedono prati a pascolo e terreni coltivati (campi arativi). L’uomo ha creato un paesaggio con una grande varietà di habitat.

L’influsso dell’uomo è sempre un elemento chiave nello sviluppo di un territorio nel corso degli anni. “Neustift”, nella Valle Stubai (Innsbruck), può essere considerato un valido esempio. Nel 1907 “Neustift” era un piccolo villaggio. Nel corso del tempo si è trasformato in un centro turistico sia d’in-verno che d’estate. E non si sa come si svilupperà ancora nei prossimi anni.

20 Il presente contributo è stato realizzato in collaborazione con Maria Bacher (Institute of Ecology, University of Innsbruck), Ulrike Tappeiner [European Academy Bozen/Bolzano (EURAC) e Institute of Ecology, University of Innsbruck] ed Erich Tasser [European Academy Bozen/Bolzano (EURAC)].

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L’aspetto del paesaggio è influenzato da diversi fattori naturali e antro-pici. Fino a qualche migliaia di anni fa la natura con cambiamenti spontanei (come per esempio caduta massi), anche per lungo periodo, era la sola re-sponsabile per l’aspetto della superficie terrestre. Per migliaia di anni l’uomo ha influenzato il paesaggio malapena visibile. Dal 10.000 a.C. (Neolitico) fino al 1200 a.C. (Età del ferro) l’attività dell’uomo ha riguardato in primo luogo interventi connessi con la sua stessa sopravvivenza: costruzioni di “rifugi”, siti di culto e sepoltura. Successivamente, a seguito del suo inse-diamento, l’uomo ha iniziato ad operare interventi necessari per gestire e migliorare l’allevamento degli animali e la coltivazione di alimenti deperibili come i cereali.

Figura 1: Lasa, Val Venosta, Alto Adige. L’immagine (modificata) di sinistra mostra l’assenza dell’in-flusso dell’uomo; l’immagine a destra mostra Lasa nel suo stato attuale (© Tasser Erich).

Figura 2: Neustift nella valle dello Stubai nel 1907 e nel 2002 (Neustift_1909:_ © Müller Josef, 2002: © EURAC).

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Lo sviluppo del paesaggio culturale

Il paesaggio naturale si è trasformato nel corso del tempo in un paesaggio culturale, raggiungendo il culmine, per la prima volta nel Medioevo. Nel corso dei secoli a seguire, infatti, si registrano cambiamenti minimi. Nel 1900 l’agricoltura aveva un ruolo molto più importante di adesso, l’agri-coltura è sempre stata un elemento condizionato nei confronti dell’aspetto e dello sviluppo economico e sociale delle Alpi. Fino a pochi decenni forniva non solo cibo ma anche occupazione, ed era una fonte di reddito importante per la popolazione (Bätzing 2003). La gente produceva principalmente solo per il proprio fabbisogno. Si lavoravano anche terreni sfavorevoli anche in alta montagna con pendii ripidi, con periodi vegetativi molto corti e quindi con bassa produttività. Anche il bosco veniva utilizzato come pascolo e così i boschi non erano così fitti (densi). Questa forma d’utilizzo del suolo ha creato – specialmente con l’agricoltura di montagna – una varietà di habitat con una certa ricchezza di specie di animali e piante. Peraltro, ambienti vitali preziosi si sono venuti a creare esclusivamente grazie all’utilizzo agricolo: praterie oligotrofiche, aride, frutteti discenti e lariceti, per citarne solo alcuni. Questa situazione è mutata drasticamente della metà del XX secolo. Solo a partire dal 1950 il paesaggio viene nuovamente modificato in modo radicale: la meccanizzazione, le conquiste scientifiche e tecnologiche e la conseguente perdita di valore dei prodotti agricoli producono una costante diminuzione dell’impiego in ambito agricolo. Finì l’uso di suolo in modo tradizionale. Le forme d’agricoltura tradizionale venivano rapidamente sostituite da forme di sfruttamento del terreno più industrializzato. Incominciava un nuovo periodo con l’agricoltura intensiva a causa di meccanizzazione dell’agricoltura e nuovi metodi di concimazione, per spiegare due esempi.

Nell’ambito di vari progetti (per esempio DIAMONT) dell’EURAC e dell’Università di Innsbruck sono stati esaminati i cambiamenti dell’uso del suolo in varie regioni dell’arco alpino negli ultimi 150 anni (figura 3). Nel 1850 si utilizzavano due sistemi agricoli: praterie e campi-arativi. Come si vede nella figura 3, si sono sviluppate varie tendenze nell’uso di suolo. Nelle zone di prato pascolo (praterie) si possono notare fra l’altro l’aumento di terreni abbandonati e di boschi. Nelle zone occupate da praterie si verifica progressivamente un fenomeno di cementificazione. Le valli sono sempre più occupate da agglomerati urbani. Inoltre si osserva una tendenza a una specializzazione con monoculture, come per esempio frutti e viticulture molto presente nell’Alto Adige, che consentono una produzione a prezzi concorrenziali sul mercato nazionale e internazionale.

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Figura 3: tendenze che si sono sviluppate nell’uso di suolo negli ultimi 150 anni (Zimmermann et al. 2010).

Figura 4: la variazione nelle superfici utilizzate per scopi agricoli tra il 1860 e il 2000 (Tasser 2007).

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La figura 4 mostra la variazione nelle superfici utilizzate per scopi agrico-li tra il 1860 e il 2000 nell’arco alpino. Le aree abbandonate sono raffigurate in arancione e le aree utilizzate per l’agricoltura in verde. In molte parti dello spazio alpino questo periodo ha visto un’ulteriore riduzione delle aree agri-cole, anche se molti appezzamenti marginali erano già abbandonati, tempo addietro (Mc Donald 2000).

Quando si esamina il fenomeno dell’abbandono dei terreni dell’Alto Adige (figura 5), si nota che quest’ultimo non riguarda quasi per niente le zone di bassa altitudine, quindi le valli, dove si sviluppavano le monoculture. L’abbandono aumenta progressivamente con l’aumento dell’altitudine.

Figura 5: l’abbandono dei terreni dell’Alto Adige (Tasser et al. 2009).

Negli ultimi decenni l’agricoltura di montagna ha perso molta della sua importanza (Tappeiner et al. 2003, Streifeneder et al. 2003). Nel progetto DIAMONT dell’EURAC e dell’Università di Innsbruck sono state esami-nate alcune cause per la perdita d’importanza accusata dall’agricoltura di montagna: condizioni sfavorevoli, la breve stagione vegetativa e le difficili condizioni del terreno con pendenze elevate e solo piccole estensioni colti-vabili. Tutto questo comporta costi di produzione più elevati (Tappeiner et al. 2008). L’agricoltura di montagna non è quindi in grado di competere sui mercati nazionali e internazionali.

Fino a ché l’agricoltura rimarrà intatta, potrà garantire la sopravvivenza

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di un paesaggio agrario e contemporaneamente svolgere una funzione di prevenzione contro i rischi naturali (Tasser et al. 2003, Leitinger et al. 2008), oltre a contribuire a limitare l’estensione degli insediamenti (Borsdorf 2006). Queste e molte altre funzioni non potrebbero essere svolte senza l’agricoltura di montagna.

Servizi ecosistemici: quale “utilità” traiamo dal paesaggio?

Oltre ad avere un valore estetico e culturale un paesaggio integro fornisce anche una serie di servizi ecologici importanti per la società. Questi bene-fici sono chiamati servizi ecosistemici (in inglese: ecosystem services); essi provengono dalla natura e possono essere utilizzati dall’uomo a garanzia del proprio benessere. Ne sono un esempio la produzione di alimenti, la di-sponibilità di acqua pulita e terreno fertile, o la protezione contro i pericoli naturali.

Indicatori ecologici che spiegano l’influsso umano ad un ecosistemaCi sono vari tipi di indicatori che spiegano l’impatto antropico su un eco-

sistema. Il primo è la varietà degli habitat. Se per esempio in una regione sono presenti condizioni socioeconomiche favorevoli (ossia sono presenti sostegni/incentivi per gli agricoltori di montagna e per i loro prodotti) e l’a-rea è caratterizzata da terreni a bassa pendenza e di facile accesso, la varietà dei habitat non presenta cambiamenti rilevanti (figura 7).

Un altro utile indicatore è la densità delle unità di paesaggio. La con-figurazione di un paesaggio è di fondamentale importanza per la diversità delle specie animali e vegetali. Solitamente un paesaggio molto strutturato con una grande diversità nella copertura del suolo e con zone strettamente collegate fra loro ha un effetto positivo sulla biodiversità (Tasser et al. 2007; Rüdisser et al. 2011). Alcune qualità paesaggistiche possono, tuttavia, esclu-dersi a vicenda; ad esempio proprio lo stretto collegamento fra zone e la forte strutturazione del paesaggio. D’altro canto è bene ricordare che gli effetti di tali caratteristiche non possono essere generalizzate per tutte le specie ani-mali e vegetali, dal momento che le esigenze di questi ultimi possono variare notevolmente. Non è quindi possibile affermare che un paesaggio molto strutturato o una grande diversità strutturata siano di per sé positive (Tasser et al. 2007; Rüdisser et al. 2011). L’indicatore della “diversità strutturale” va considerato qui come un aspetto parziale della configurazione del paesaggio

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Figura 7: la varietà degli habitat è un indicatore che spiega l’influsso umano ad un ecosistema (Tasser et al., in corso di pubblicazione).

Figura 8: L’indicatore della “diversità strutturale” va considerato come un aspetto parziale della configurazione del paesaggio dell’arco alpino.

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dell’arco alpino. Esso rappresenta il numero d’unità territoriali individuabili in una zona per unità di misurazione (es. km² o ha; Mc Garigal & Marks 1995) e non va confuso con la diversità di coperture del suolo.

Il futuro del paesaggio: quale paesaggio vogliamo? (KuLaWi)

Nel prossimo capitolo viene presentato il progetto KuLaWi (“Kulturlandschaft im Wandel”/ “Paesaggio (agri)culturale – Strategie per il paesaggio culturale del futuro“21;con alcuni risultati che viene fatto dall’EU-RAC e dell’Università di Innsbruck.

Un punto chiave della ricerca sarà la valutazione delle conseguenze di sviluppi del paesaggio rispetto ai servizi ecologici (ad esempio conservazio-ne del paesaggio culturale o difesa dall’erosione). Un servizio ecosistemico indica un’attività fornita dalla natura e che può essere sfruttata dall’uomo. L’attenzione del progetto si rivolge quindi a un assetto sostenibile futuro. Il progetto si occupa allo stesso modo di servizi somministrati (alimenti, acqua, legno), di servizi regolabili (difesa dall’erosione e dalle alluvioni) e di servizi culturali (varietà del paesaggio, effetto ricreativo)22. I risultati acquisiti ven-gono introdotti principalmente negli strumenti didattici e nel lavoro rivolto al pubblico, al fine di trasmettere le conoscenze all’intera società.

Quali sono esattamente i bisogni, i desideri e le aspettative rispetto al nostro paesaggio (del futuro)?

Per la biodiversità e la vita sono importanti soprattutto i cosiddetti “ser-vizi ecosistemici del paesaggio”: la tutela della natura e la protezione delle specie, la fornitura di acqua potabile pulita, la protezione contro piene, inon-dazioni, valanghe e l’erosione, gli effetti positivi sul clima e la qualità dell’a-ria. Rispondere a queste domande è di cruciale importanza, da un lato per armonizzare maggiormente le aspettative dei vari “utenti alpini”, dall’altro per utilizzare in modo efficace e sostenibile l’importante risorsa “paesaggio” (Bacher et al. 2012; in press).

In questo progetto da maggio a dicembre 2011, sono state intervistate oltre 6100 persone contando insieme residenti e turisti (Tabella 1).

21 http://kulawi.eurac.edu/index_IT.22 http://kulawi.eurac.edu/Frage2/index_it.htm.

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Tabella 1: riepilogo del numero di intervistati

Residenti TuristiTotaleLingua madre tedesco italiano tedesco italiano

Tirolo settentrionale e orientale 759 - 1.122 32 1.913Alto Adige 871 185 894 2.291 4.241

6.154

S’immaginava che residenti e turisti avessero istanze diverse rispetto al paesaggio, era importante intervistare entrambi i gruppi in modo appropria-to. Così, nel caso della popolazione locale, è stato attentamente selezionato un campione rappresentativo per sesso, età, distribuzione città/campagna e appartenenza linguistica (Alto Adige). Per avere un campione egualmente rappresentativo nel sondaggio rivolto ai turisti è stato sviluppato un program-ma di interviste dettagliato che ha coinvolto vari siti di rilevamento (pascoli, piscine e centri termali, laghi e stazioni di funivie, centri culturali), così da raggiungere una vasta gamma di ospiti diversi.

Figura 9: la serie di immagini mostra un tipico paesaggio dei fondi valle alpini. I possibili scenari comprendono: coltura in pieno campo, riforestazione, praticoltura intensiva e abbandono delle terre (© Tasser Erich).

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Per studiare come vengono valutati i diversi possibili volti di un paesaggio sono state utilizzate cinque serie fotografiche, ciascuna di quattro immagini. Sono state scelte cinque fotografie con tipici scorci di paesaggio culturale alpino (ad esempio: alpeggi, prati, frutteti e vigneti) e sono state modificate in modo tale da rappresentare possibili sviluppi futuri del territorio alpino. Le tendenze scelte spaziano dall’estensivizzazione delle colture, all’avanzata di cespugli e del bosco, fino all’intensivizzazione delle produzioni e alla proli-ferazione urbana incontrollata. È stato chiesto agli intervistati di valutare le singole immagini usando una scala a 5 punti, dove 1 = “Non mi piace affatto” e 5 = “Mi piace molto” (Tasser et al. 2012, in press).

Figura 10: 1) attuale, 2) la coltivazione intensiva, 3) la coltivazione estensiva e 4) l’abbandono (© Tasser Erich).

Quanto sono importanti i diversi servizi ecosistemici?

Se si osservano gli sviluppi nell’area alpina, e in particolare le richieste mutevoli che la società del benessere rivolge al paesaggio, risulta evidente – come ben evidenziato tramite il progetto KuLaWi – che saranno inevitabili dei cambiamenti nel modo in cui vengono organizzati i diversi servizi ecosistemici (Tasser et al. 2012, in press).

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Paesaggio ed economia delle zone ruralidi Tiziano Tempesta

Introduzione

Molte ricerche svolte negli ultimi anni hanno posto in evidenza che le caratteristiche del paesaggio possono influenzare il benessere delle persone. Si è visto ad esempio che la qualità del paesaggio interagisce con numerosi parametri fisiologici e cognitivi di un individuo e che paesaggi più grade-voli tendono in generale a migliorare la salute delle persone. (Berto 2005; Hartig et al. 2003; Munoz 2009; Ulrich 1984; Ulrich et al. 1991; Velaverde et al. 2007; Wells 2000). Come affermato dalla Sustainable Development Commission (2008, p.3): “The knowledge base shows that exposure to natural spaces – everything from parks and countryside to gardens and other green spaces – is good for health”. Altri studi hanno evidenziato che i pae-saggi più gradevoli hanno un effetto ristorativo sulle persone (Kaplan 1995; van den Berg 2003) e la ricerca di paesaggi gradevoli è spesso alla base della scelta delle aree dove svolgere attività ricreative o delle destinazioni turistiche.

D’altro canto si deve considerare che il paesaggio rurale è sempre il risultato del sovrapporsi nello spazio degli interventi di trasformazione del territorio realizzati in passato. In molte aree, nonostante le notevoli trasfor-mazioni dell’assetto territoriale intervenute dopo la seconda guerra mondia-le, è ancora possibile trovare tracce molto significative dei paesaggi storici. Questi paesaggi sono parte del patrimonio storico e culturale e dovranno pertanto essere preservati per le generazioni future (Antrop 2005). Poiché la cultura ha svolto e svolge tuttora un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’uomo, in un’ottica di sviluppo sostenibile, la conservazione del patri-monio culturale risponde a un bisogno primario dell’uomo.

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La domanda di paesaggio ha, pertanto, almeno due componenti parzial-mente distinte: la prima fa riferimento alla ricerca di paesaggi che migliorano lo stato psico-fisico delle persone; la seconda alla necessità di conservare il patrimonio culturale e identitario di cui il paesaggio, specialmente in un paese come l’Italia, è un elemento di primaria importanza.

Poiché il paesaggio può soddisfare dei bisogni dell’uomo, si può afferma-re che esso ha un valore economico. La domanda di qualità del paesaggio è andata assumendo una crescente importanza a seguito dei progressivi feno-meni d’inurbamento della popolazione dovuti all’industrializzazione che ha determinato un progressivo distacco dell’uomo dall’ambiente naturale e da quello coltivato. Ne è conseguito un crescente flusso di turisti ed escursioni-sti che ha interessato le aree naturali o semi-naturali in tutti i paesi sviluppati.

Come vedremo, però, la domanda di qualità paesaggistica non può essere ricondotta unicamente alle problematiche di carattere turistico e ricreativo, poiché può interagire sia con il mercato degli immobili residenziali, sia, più in generale, con il mercato di alcuni prodotti alimentari.

Preferenze paesaggistiche

I fattori che influenzano la percezione del paesaggio sono stati oggetto di molte ricerche nel corso degli ultimi quarant’anni che hanno consentito di evidenziare quali sono i principali elementi che influenzano le preferen-ze visive. In generale, i paesaggi naturali sono preferiti a quelli urbani (R. Kaplan e S. Kaplan 1989). Nelle aree urbane gli elementi naturali tendono a migliorare la qualità del paesaggio (Matsuoka e Kaplan 2008). Nelle zone rurali tutti gli elementi che sono percepiti come naturali (boschi, siepi e prati) migliorano il paesaggio, mentre gli elementi di origine antropica peggiorano la qualità visiva (Arriaza et al 2004;. Cook and Cable 1994; Palmer 2008; Rogge et al. 2007; Tempesta e Thiene 2007b).

Al fine di interpretare correttamente tali evidenze sperimentali è neces-sario ricordare preliminarmente che, nel corso dell’evoluzione dell’uomo, la percezione visiva ha svolto una funzione fondamentale dal punto di vista ecologico: nell’ambiente in cui l’uomo ha trascorso la maggior parte della sua fase evolutiva, la savana africana, solo una precisa percezione dell’am-biente esterno poteva consentire all’individuo di sopravvivere. Ne consegue che le modalità di percepire visivamente l’ambiente, e quindi il paesaggio, sono una parte essenziale del patrimonio genetico così com’è stato selezio-nato nel corso di milioni di anni. Al riguardo Appleton (1975) indicò che

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gli elementi che rendono piacevole un paesaggio sono quelli che rendono un dato ambiente favorevole alla sopravvivenza. Da tale punto di vista il comportamento umano è da considerare simile a quello di tutti gli animali.

Non va, però, trascurato che la strategia ecologica dell’uomo si è modi-ficata radicalmente a partire dal neolitico. Con l’invenzione dell’agricoltura l’uomo si è trasformato in un costruttore attivo del paesaggio e ogni comuni-tà locale ha iniziato a produrre paesaggi i cui contenuti identitari sono in gra-do di rafforzare la coesione sociale del gruppo di appartenenza. Il paesaggio è divenuto quindi uno strumento essenziale dei processi di identificazione dei singoli membri della comunità.

Ne deriva quindi che una seconda componente essenziale della percezio-ne del paesaggio ha una base essenzialmente culturale e si fonda sui processi di apprendimento del singolo individuo.

Secondo Bourassa (1990) possiamo, perciò, distinguere tre componenti della percezione dell’ambiente: innata (o istintiva), sociale e individuale. La componente innata è legata al nostro patrimonio genetico ed è comune a tutti gli individui. La componente sociale e quella individuale derivano invece dall’apprendimento e sono da porre in relazione alle diverse fasi del-lo sviluppo di una persona. Nel primo periodo, che corrisponde alla prima infanzia, il rapporto con l’ambiente è mediato dagli adulti che trasmettono la cultura (anche ambientale e paesaggistica) del gruppo sociale d’apparte-nenza. Successivamente il rapporto con l’ambiente ed il territorio assumerà una dimensione totalmente personale e dipenderà essenzialmente dai pro-cessi cognitivi individuali. Per quanto riguarda la percezione istintiva, come testimoniato da numerose ricerche (Kaplan R. e Kaplan S. 1989; Parsons e Daniel 2002) sono in genere preferiti tutti gli elementi che richiamano in qualche modo il paesaggio della savana (l’ambiente in cui l’uomo ha trascor-so la maggior parte della sua fase evolutiva), paesaggi, quindi, caratterizzati da alberi sparsi, boschi, praterie, piccoli corsi d’acqua e profili curvilinei del suolo. All’opposto i fattori sociali che determinano il valore percettivo sono assai più variabili, poiché sono in stretta relazione al gruppo di appartenen-za e ai cambiamenti che la cultura subisce nel tempo. La trasformazione dell’ambiente è, come osservato, uno dei processi attraverso i quali un grup-po sociale cerca di affermare la propria identità. Secondo Costonis (1982) ogni paesaggio antropico contiene al suo interno elementi identitari che hanno la funzione di favorire la stabilità culturale e sociale della collettività o del gruppo che l’ha realizzato e, a livello individuale, vi è la tendenza a preferire il paesaggio che riporta al suo interno i segni (simboli) del gruppo stesso. La trasmissione dei valori identitari del paesaggio avviene durante la

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prima infanzia ed è profondamente radicata nell’individuo, operando preva-lentemente a livello inconscio ed emotivo.

Da ultimo, la componente più strettamente individuale, dipende da una pluralità di fattori quali l’istruzione ricevuta, il lavoro svolto, lo status socia-le, ecc. In generale, comunque, essa è riconducibile ad alcuni elementi tipici della cultura occidentale che sono trasmessi tramite l’educazione superiore. I canoni del “bello” in questo caso sono il frutto delle elaborazioni concettuali delle élite più colte e, benché mutevoli nel tempo, hanno mantenuto al loro interno alcuni punti fermi, per molti versi riconducibili alla cultura classica. In estrema sintesi si può affermare che vi sono due componenti di base di tale sistema di preferenze. La prima tende a privilegiare i paesaggi naturali che, in qualche modo, sono riconducibili a quello della savana (ad esempio il paesaggio dell’Arcadia, il giardino all’inglese, ecc.) (Appleton 1975). La seconda, al contrario, privilegia elementi quali l’armonia, il rapporto tra le proporzioni, o, più in generale, la capacità dell’uomo di modificare l’ambien-te naturale in modo equilibrato. Questo secondo elemento tende perciò a fa-vorire l’apprezzamento dei paesaggi culturali, la loro peculiarità e integrità.

Mentre i benefici delle prime due componenti (istintiva e sociale) sono riconducibili al senso di sicurezza che deriva dal trovarsi in un ambiente conosciuto, la terza può essere ricondotta al bisogno di bello che l’uomo ha manifestato da una certa fase del suo sviluppo in avanti, testimoniata dall’emergere delle prime forme artistiche e dall’attenzione posta non solo alla funzione, ma anche alla forma dei manufatti realizzati fin dalle epoche più antiche.

I benefici economici della conservazione del miglioramento del paesaggio

Le interazioni tra paesaggio ed economia, come vedremo, sono nume-rose, ma esse dipendono essenzialmente da due esigenze in parte distinte: la domanda di ristoro psico-fisico; la domanda di conservazione del patri-monio culturale. Vi sono prove sperimentali sempre più numerose che il paesaggio può interagire con numerosi aspetti del comportamento econo-mico delle persone che vanno dalla scelta delle aree ove svolgere attività turistiche e ricreative (specie per quanto attiene l’agriturismo e il turismo enogastronomico) alla scelta del luogo di residenza e all’acquisto di prodotti agro-alimetari. Molti studi hanno anche posto in evidenza che le persone sono spesso disposte a rinunciare a parte del proprio reddito per garantire la

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conservazione dei paesaggi rurali tradizionali. È comunque importante sot-tolineare preliminarmente che l’individuazione del contributo del paesaggio al soddisfacimento dei suddetti bisogni è piuttosto complessa a causa della difficoltà di distinguere il suo ruolo da quello di altri fattori.

A questo proposito si deve ricordare che secondo la Convenzione Europea del Paesaggio il “paesaggio designa una determinata parte di territorio, così com’è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Paesaggio è quindi prevalentemente percezione visiva dell’ambiente. Si consideri ad esempio il caso di un paesaggio fluviale. Le motivazioni che supportano la scelta di visitare il fiume dipendono essenzialmente dal tipo di attività ricreativa verrà effettuata. Un pescatore sarà interessato principalmente al numero di pesci che potrà catturare, mentre la piacevolezza del paesaggio sarà meno importante. Al contrario per chi intende solo fare una passeggiata sarà molto importante l’estetica delle rive, la pulizia delle acque, la presenza di boschi e filari di alberi, ecc. Un cambiamento drastico dell’aspetto del corso d’acqua dovuto, ad esempio, all’eliminazione delle alberature o alla realizzazione di insediamenti produttivi o residenziali, influenzerà i passeggiatori, ma non i pescatori che probabilmente continueranno a frequentare il fiume. Parimenti, l’acquisto di un’abitazione vicino a un parco urbano potrà essere motivata dalla possibilità di godere della vista del parco stando a casa oppure dalla possibilità di fare jogging o da entrambe le cose. Vi sono pertanto delle attività ricreative che si possono considerare landscape based e altre che lo sono meno o parzialmente.

Nell’analizzare gli studi fatti dagli economisti in questo campo bisogna perciò considerare che spesso essi utilizzano una definizione spuria di pae-saggio definendolo di volta in volta come amenity, open space, land use, ecc. e pertanto i risultati a cui pervengono possono non essere del tutto univoci e affidabili.

La valutazione economica dei benefici del paesaggioNegli ultimi tre decenni gli economisti hanno cercato di stimare in ter-

mini monetari il valore dei benefici che derivano dalla conservazione o dal miglioramento della qualità del paesaggio. Lo scopo principale delle loro indagini era quello di verificare se i contributi erogati agli agricoltori tramite la politica agraria fossero bilanciati dai benefici che da tali interventi deri-vavano alla popolazione.

Il metodo ampiamente più utilizzato è stata la valutazione contingente (o Contingent Valuation Method – CVM) anche se più di recente si è fatto

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ricorso ad approcci più complessi dal punto di vista analitico ed econome-trico quali gli esperimenti di scelta discreta (o Discrete Choice Experiments – DCE). Con questi metodi, analizzando la disponibilità a pagare delle persone (o Willingness to Pay – WTP) per sostenere determinate azioni di politica paesaggistica, si cerca di stimare il surplus del consumatore, cioè la misura monetaria dei benefici sociali di tali interventi. È da notare prelimi-narmente che i DCE, almeno da un punto di vista teorico, costituiscono un miglioramento delle procedure di stima rispetto alla CVM, poiché consen-tono di valutare simultaneamente più caratteristiche del paesaggio. Non va però sottaciuto che comportano una notevole complicazione delle procedure analitiche ed econometriche.

Bergstrom and Ready (2008) hanno fatto una rassegna degli studi effet-tuati negli U.S.A. negli ultimi anni volti a stimare la disponibilità a pagare delle persone per preservare i terreni coltivati e gli spazi aperti. Hanno potuto analizzare i risultati di undici ricerche svolte con la CVM e 10 svolte con i DCE. La WTP per famiglia e per anno stimata con la CVM variava da 0,0002 $/ha a 0,197 $/ha (valore medio = 0,0281 $/ha).

Le stime ottenute con i DCE erano decisamente superiori variando da 0,0005 $/ha a 4,6218 $/ha (valore medio = 0.8559 $/ha).

In una rassegna effettuata nel 2006 (Tempesta 2006) sono stati trovate 30 ricerche di cui 10 fatte nel Regno Unito e 11 in Italia. Per quanto riguarda il Regno Unito, Hanely et al. (1998) hanno confrontato la WTP per conservazio-ne di sei aree ambientalmente sensibili (Environmental Sensitive Areas). I va-lori ottenuti variavano da 13 a 37 sterline per famiglia per anno per i residenti e da 12 a 73 sterline per famiglia per anno per i turisti. Anche in questo caso le stime ottenute con la CVM erano più basse di quelle ottenute con i DCE.

Numerosi studi svolti in Italia a partire dagli anni Novanta hanno con-sentito di avere quanto meno un ordine di grandezza del valore economico che la popolazione attribuisce alla conservazione del paesaggio agrario storico. Dal 1997 al 2007 sono state realizzate in Italia sedici valutazioni del paesaggio utilizzando il metodo della valutazione contingente (Marangon e Tempesta 2008). In undici di queste ricerche lo scopo dell’indagine era la valutazione dei benefici attribuiti dalla popolazione residente o dai turisti alla conservazione dei paesaggi agrari storici (Tempesta 2006). Pur considerando la disomogeneità degli approcci utilizzati, si può stimare che la disponibilità media a pagare sia pari a 60 euro per famiglia per anno, cioè un importo di circa 1 miliardo e 290 milioni di euro per anno.

Si tratta di un importo che è superiore al totale dei contributi erogati annualmente a favore dell’agricoltura tramite le cosiddette misure agro-

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ambientali previste dalla politica agricola comunitaria. Ciò pone chiaramente in evidenza che la conservazione dei paesaggi tradizionali è in grado di pro-durre dei benefici per la popolazione che vanno ben al di là di quanto viene erogato per tali finalità dalle varie misure di politica agraria. Ne consegue, per molti versi, la necessità di una revisione dell’intervento pubblico in agricoltura che sia sempre più orientato alla conservazione e, ove possibile, al ripristino dei paesaggi agrari storici, superando l’ottica produttivistica che ancora pervade la politica agricola comunitaria.

Per quanto riguarda i DCE, in Italia fino ad oggi le ricerche non sono state molto numerose. Il primo studio è stato svolto da Bottazzi e Mondini (2006). I risultati conseguiti sono stati però contraddittori il che è probabilmente da ricondurre al modo in cui è stato realizzato il disegno sperimentale. È, infatti, emerso che la WTP per la conservazione del paesaggio vitivinicolo tradizio-nale del parco nazionale delle Cinque Terre in Liguria è negativa perché i turisti stranieri tendono a preferire paesaggi più naturalizzati.

Madau & Pulina (2011) hanno analizzato le preferenze dei turisti con riferimento al paesaggio rurale della Gallura in Sardegna. Gli autori hanno trovato che la caratteristica più apprezzata è la presenza di foreste (WTP = 49,50 € pro capite), seguita da quella di vigneti (16,50 € pro capite) e dal pascolo (6,65 € pro capite).

Anche in questo caso i turisti sembrano preferire i paesaggi più naturali rispetto a quelli coltivati.

Analizzando l’impatto paesaggistico di scenari alternativi di gestione delle acque, e in particolare del deflusso minimo, Tempesta e Vecchiato (2011) hanno posto in evidenza che gli abitanti sono disposti a pagare 82,50 € per famiglia per anno al fine di garantire un deflusso minimo del 10% del fiume Serio (Lombardia) e 26,70 € per famiglia per anno per incrementare la presenza di boschi e siepi lungo il corso del fiume. L’utilizzo di un mo-dello a classi latenti ha consentito di evidenziare la presenza di un discreto grado di eterogeneità nelle preferenze dei residenti nei comuni posti lungo il fiume. Circa un terzo degli intervistati non ha attribuito alcun valore alla realizzazione di boschi e siepi mentre per la rimanente frazione questa azione produrrebbe benefici maggiori rispetto alla garanzia del deflusso minimo.

In uno studio da poco svolto nella Regione Veneto sono stati valutati i benefici connessi ad alcune azioni di rilevanza paesaggistica previste dal Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013 della Regione Veneto. Le azioni oggetto di valutazione sono state la conservazione dei prati e dei pascoli montani, la realizzazione di nuovi boschi in pianura, la realizzazione di nuovi prati in pianura, la conservazione delle siepi attualmente presenti.

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La WTP più elevata è stata espressa per la conservazione di tutti prati e i pascoli montani (57 € per famiglia per anno), seguita da quella per la rea-lizzazione di 1.600 ha di boschi in pianura (48,50 € per famiglia per anno) e di 6.000 ha di prati in pianura (43,20 € per famiglia per anno) mentre molto più bassa è risultata essere la WTP per la conservazione delle siepi esistenti (22 € per famiglia per anno). È interessante notare che la WTP per ettaro di prato o pascolo conservato è stata in media di 1.452 € a ettaro, un importo notevolmente superiore ai contributi attualmente erogati agli agricoltori. Anche in questo, attraverso l’analisi a classi latenti, è comunque emersa una discreta eterogeneità delle preferenze tra gli intervistati.

Valori immobiliariIl paesaggio può esercitare un non trascurabile effetto sui valori immobi-

liari. A parità di altri fattori, in genere le persone sono disposte a spendere un importo maggiore per acquistare abitazioni che sono circondate da paesaggi gradevoli rispetto ad altre che si trovano in contesti degradati. Comunque dalle ricerche che hanno cercato di indagare il fenomeno sono emersi tal-volta risultati contraddittori (Waltert and Scläpfer, 2010). Questo dipende essenzialmente dalla difficoltà di quantificare in modo adeguato la qualità del paesaggio nelle aree che circondano gli immobili. Infatti, per analizzare l’effetto esercitato sui valori delle abitazioni dalla qualità del paesaggio gli studiosi hanno fatto ricorso in genere al metodo del prezzo edonico (Hedonic Pricing Method – HPM) la cui implementazione rende necessario porre in relazione i prezzi alla qualità dell’ambiente circostante sintetizzata in genere tramite indicatori di qualità ambientale. Con riferimento al paesaggio gli economisti raramente hanno fatto riferimento a indici di qualità estetico-visiva rilevati in loco. Molto più spesso hanno fatto riferimento a indicatori di uso del suolo (ad esempio percentuale di spazio aperto, di terreni agrari, di foreste o di zone umide). L’uso del suolo può tuttavia essere considerato solo un’approssimazione della qualità del paesaggio. Ad esempio molte ricerche hanno posto in evidenza che le zone rurali hanno un’elevata qualità del pa-esaggio se vi sono molti prati, pascoli, siepi, boschi o altro; tale qualità può ridursi drasticamente se invece vi sono solo seminativi (Tempesta, 2006). D’altro canto, a parità di uso del suolo, la visibilità di alcuni elementi de-trattori quali tralicci dell’alta tensione o fabbriche moderne, possono ridurre drasticamente il valore estetico del paesaggio e delle proprietà immobiliari (Tempesta and Thiene, 2007a; Tempesta and Thiene, 2007b).

In generale la qualità del paesaggio esercita un effetto positivo maggiore

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sul prezzo nelle aree urbane e periurbane rispetto a quelle rurali (Waltert and Scläpfer, 2010).

Con riferimento a questi territori, in una recente meta-analisi, che ha confrontato i risultati di vari studi condotti nel mondo, è stato confermato che i parchi e gli altri spazi verdi possono influenzare i valori immobiliari (Salanié et al., 2011). Tale effetto tende però a diminuire rapidamente con la distanza per cui si può ipotizzare che sia la visibilità delle aree verdi (e quindi il paesaggio) ad incidere sui prezzi e non il verde in sé.

Nella rassegna svolta da Waltert e Scläpfer (2010) si è visto che solo in uno studio su nove la prossimità alle aree coltivate incide sui prezzi. Al contrario l’effetto dei boschi, delle zone umide e delle aree protette è posi-tivo e significativo. Molte ricerche hanno evidenziato che i boschi hanno normalmente un effetto positivo che è particolarmente rilevante se gli al-beri sono visibili o in prossimità delle abitazioni (Georghegan et al.,1997; Tyrväinen and Miettinen, 2000; Ready and Abdalla, 2003; Garrod e Willis, 1991; Nelson 2004).

In definitiva, nonostante la presenza di alcune incongruenze dovute al tipo di modelli econometrici impiegati e al tipo di variabili indipendenti inserite nei modelli stessi, le evidenze sperimentali sembrano suggerire che i fattori che migliorano la qualità estetico-visiva del paesaggio sono tenden-zialmente gli stessi che influenzano i valori degli immobili.

Attività ricreative Quando le persone decidono dove andare in vacanza o dove fare una

gita, generalmente considerano numerosi fattori. Tra di essi la presenza di strutture turistiche, la qualità del paesaggio, la distanza da casa e i costi da sostenere sono quelli che probabilmente hanno l’importanza maggiore. Nonostante la difficoltà di isolare il ruolo svolto dal paesaggio, alcuni dati sperimentali sembrano indicare che, almeno per certe attività ricreative il paesaggio è l’elemento più importante. Per esempio nell’ambito di vari studi svolti nel Veneto alle persone è stato chiesto di indicare il fattore più impor-tante che prendono in considerazione quando svolgono una gita giornaliera. Ne è emerso che il paesaggio è il fattore più importante seguito dalla tran-quillità. All’opposto il meno considerato era la distanza da casa seguita dalla presenza di strutture per lo sport. L’importanza del paesaggio è anche posta in evidenza dal fatto che le gite sono fatte principalmente per passeggiare o fare escursioni, o, semplicemente passare del tempo all’aria aperta. Per avere una misura dell’importanza di questo dato si consideri che i residenti nel

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Veneto svolgono in media ogni anno circa 20 milioni di visite in giornata in montagna, collina e campagna, spendendo non meno di 500 milioni di euro.

Altre indagini hanno analizzato in modo più diretto quali siano gli ele-menti dell’uso del suolo che influenzano maggiormente la destinazione del viaggio. Uno studio effettuato in Friuli Venezia Giulia utilizzando il metodo del travel cost multi sito ha consentito di evidenziare il valore ricreativo delle undici principali aree forestali dipende anche dalle caratteristiche floristiche dei boschi della regione (Tempesta et al., 2002). In un’indagine successiva effettuata nel Veneto si sono ottenuti risultati per certi versi analoghi (Thiene et al., 2005).

Agriturismo e turismo enogastronomico La domanda agrituristica e del turismo enogastronomico sta crescendo

rapidamente in Europa e negli USA. Per avere un’idea dell’importanza del fenomeno in Italia si consideri che, secondo l’ISTAT, nei circa 15.800 agri-turismi che offrono ospitalità, sono stati registrati nel 2009 circa 2,7 milioni di ospiti per un totale di 12,25 milioni di pernottamenti. Sempre secondo l’ISTAT dal 2000 al 2009 gli agriturismi che offrono ospitalità sarebbero aumentati di circa il 90% tanto che nel 2009 circa il 2,4% dei pernottamenti italiani sarebbero avvenuti negli agriturismi in cui del resto si trova attual-mente circa il 4% del totale dei posti letti italiani.

Secondo il IX Rapporto sul turismo enogastronomico compilato da Città del Vino in collaborazione con il Censis nel 2010 gli enoturisti in Italia sareb-bero stati 4-5 milioni con una spesa procapite di 193 € di cui 33 € per il solo acquisto di vino e il resto per il pernottamento, la ristorazione e l’acquisto di prodotti tipici.

Il turismo enogastronomico pone il consumatore in diretto contatto con il luogo dove gli alimenti che consuma sono prodotti. La qualità del paesaggio può perciò divenire un fattore strategico per la promozione delle produzioni agro-alimentari tipiche di un’area e fungere da motore del turismo rurale. Se da un lato è vero che oggi molti prodotti tipici sono ottenuti utilizzando tecniche produttive e di trasformazione moderne che spesso poco hanno a che vedere con le modalità di produzione tradizionale (si pensi, ad esempio, alla viticoltura di pianura basata su vigneti specializzati che un tempo erano totalmente assenti), è però altrettanto vero che trascurare di caratterizzare dal punto di vista paesaggistico e culturale una produzione significa rinun-ciare a priori alla possibilità di creare un’immagine e una reputazione che potrebbero rivelarsi strategiche sia dal punto di vista turistico sia da quello del marketing.

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Quanto importante è la qualità del paesaggio nella promozione dell’agri-turismo e del turismo rurale? Purtroppo allo stato attuale sono disponibili solo poche informazioni e mancano ancora ricerche di carattere sistematico sufficientemente supportate sul piano scientifico e metodologico. Le poche indagini svolte paiono comunque indicare che la qualità del paesaggio esercita un effetto di un certo rilievo sulla domanda e sull’offerta di servizi agrituristici. Da una ricerca svolta dall’ISMEA (2009) è risultato che per il 46,9% dei turisti la caratteristica maggiormente gradita di un agriturismo è che sia immerso nel verde, seguita, in ordine di importanza, dall’uso di pro-dotti sani e genuini (30,7%), dalla buona cucina (22,3%) e dal trovarsi in una zona tranquilla (22,2%). È interessante notare che una ricerca effettuata dal MIPAF (2010) anche per gli operatori del settore la qualità del paesaggio è l’elemento che può contribuire maggiormente alla soddisfazione del cliente. Alla richiesta di indicare quali siano gli aspetti prioritari per la soddisfazione del visitatore il 74,1% degli imprenditori ha indicato l’inserimento in un contesto paesaggistico tipicamente rurale, seguito in ordine di importanza dalla qualificazione professionale del titolare e del personale (61,2%). È singolare che nell’opinione degli operatori il paesaggio sia da considerarsi addirittura più importante della professionalità o del comfort delle strutture edilizie.

Come detto poche sono comunque le ricerche che hanno cercato si analiz-zare la relazione tra domanda agrituristica e paesaggio. Due ricerche svolte in Francia e nelle Fiandre hanno analizzato la relazione tra uso del suolo e prezzo pagato l’affitto di appartamenti in agriturismo utilizzando il metodo del prezzo edonico (Le Goffe, 2000; Vanslembrouk et al., 2005). Tutte e due le ricerche hanno posto in evidenza che le attività agricole intensive riducono l’affitto mentre la presenza di pascoli e prati aumenta la disponibilità a pa-gare delle persone per trascorrere una vacanza in campagna. Da una ricerca simile svolta di recente nelle provincie di Padova, Treviso e Venezia non è peraltro emersa alcuna relazione significativa tra prezzo di una camera in agriturismo e caratteristiche dell’uso del suolo. Si è però potuto constare che esiste una relazione l’offerta di posti letto in agriturismo a livello comunale aumenta all’aumentare della percentuale di superficie vitata e boscata e degli attivi in agricoltura che, alla data del censimento dell’agricoltura del 2000, avevano seguito corsi di aggiornamento professionale.

MarketingÈ possibile “vendere” la qualità del paesaggio o, in altri termini, è possi-

bile che i consumatori siano disposti a pagare un premium price per i prodotti

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ottenuti in paesaggi più piacevoli dal punto di vista estetico più importanti dal punto di vista storico e culturale?

Questo campo di ricerca è al momento largamente inesplorato, ma in futuro dovrebbe attirare maggiormente l’attenzione sia dei decisori politici che degli agricoltori e, in generale, del settore agro-industriale. Tale necessità deriva dal fatto che i prodotti alimentari sono generalmente degli experience good, cioè dei beni per i quali il consumatore non può conoscere la qualità se non a seguito del loro consumo. Per questo tipo di prodotto il consumatore cerca spesso di inferire la qualità osservando alcune caratteristiche esteriori quali il packaging, il colore, il luogo di produzione, la marca, ecc. Considerando che la percezione del paesaggio ha una forte componente emozionale si può sup-porre che le persone possano considerare il suo aspetto come un segnale della qualità dei beni alimentari. Per verificare questa ipotesi presso l’Università di Padova è stato realizzato un esperimento di blind tasting del vino utilizzando il metodo della conjoint analysis (Tempesta, 2010). Agli intervistati venivano fatti assaggiare 4 tipi di vini chiedendo di indicare quale era il migliore. Di ogni vino veniva indicato il prezzo e veniva indicato tramite una diapositiva il vigneto in cui era stata ottenuta l’uva. I vini erano di tre tipi: bassa, media e elevata qualità. I vigneti, da un punto di vista paesaggistico appartenevano a quattro categorie: degradato (in cui era presente un fabbricato moderno sullo sfondo), moderno (in cui era presente solo un vigneto di ampie dimensioni), tradizionale (con appezzamenti vitati più piccoli inframmezzati a siepi e prati) ed evocativo (in cui compariva una villa veneta o un altro fabbricato storico). Sono state proposte cinque serie di assaggi a 224 persone. Abbastanza sor-prendentemente il fattore che ha maggiormente influito sul giudizio espres-so sui vini assaggiati e sulla propensione all’acquisto è stata la qualità del paesaggio (specialmente quelli in cui vi erano elementi di interesse storico e culturale) e solo in misura minore quella del vino. L’effetto del paesaggio sulla percezione della qualità del vino è stato particolarmente rilevante per i più giovani, cioè per i consumatori del futuro.

In uno studio successivo svolto presso il dipartimento TESAF dell’Uni-versità di Padova, tramite un Discrete Choice Experiment è stata analizzata la propensione all’acquisto di vino Prosecco. In questo caso gli attributi che caratterizzavano i diversi tipi di vino erano la zona di produzione (area DOCG del Prosecco, area DOC del Prosecco, altro territorio non specifica-to), tracciabilità (garantita o no garantita), uso di uve provenienti da biotopi locali (assente, media o prevalente), conservazione dei paesaggi viticoli tradizionali. Anche in questo caso è emerso che le persone sono disposte a pagare un premium price per conservare i paesaggi storici.

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Se nel caso del vino i risultati paiono essere abbastanza incoraggianti, in due ulteriori ricerche in corso relative alla produzione di olio d’oliva nel Veneto e nel parco dei Colli Euganei (Padova) è emerso che i consumatori attribuiscono una discreta importanza al fatto che l’olio sia prodotto nella regione o nel parco, ma non sono disposti a pagare maggiormente l’olio d’oliva qualora le olive siano ottenute in oliveti tradizionali o storici. Ciò è probabilmente da attribuire al fatto che la coltivazione dell’olio è associata alle regioni centrali e meridionali del paese e quindi i benefici attesi dai re-sidenti nella regione sono sicuramente minori quando non del tutto assenti. Sulla base di questi primi studi si può ritenere che la qualità del paesaggio possa avere importanti effetti sulle vendite di un prodotto agro-alimentare qualora il consumatore entri direttamente in contatto con il paesaggio dove è ottenuto. Da questo punto di vista si può supporre che sia importante favorire la diffusione del turismo enogastronomico in aree paesaggisticamente inte-gre e ricche di valori culturali. Si dovrà però evitare al contempo che le strade dei prodotti tipici attraversino aree paesaggisticamente degradate o poco at-traenti. Per quanto riguarda la domanda dei prodotti sembra di poter dedurre che le popolazioni residenti nei pressi delle aree produttive manifestano una preferenza per i prodotti ottenuti in paesaggi ricchi di valori tradizionali. Ciò è presumibilmente da ascrivere alla possibilità che in questo caso vi possano essere dei contatti diretti con le zone produttive o che esistano dei processi di identificazione tra i residenti e il paesaggio stesso. Più complesso appare invece poter stabilire se il paesaggio possa essere uno strumento di marke-ting nel caso della domanda dei residenti in aree lontane che non hanno mai avuto un rapporto diretto con le zone produttive.

Conclusioni

Le ricerche realizzate negli ultimi decenni hanno evidenziato che il paesaggio può influenzare il comportamento dell’uomo e il suo benessere in vari modi. Partendo dalla constatazione dell’esistenza di tali benefici gli economisti hanno cercato di stimarne il valore monetario al fine di stabilire se i costi derivanti dall’erogazione di contributi o dall’imposizione di vincoli siano bilanciati dai benefici sociali che tali azioni sono in grado di produr-re. Ricorrendo a metodi quali la Contingent Valuation o i Discrete Choice Experiments si è potuto verificare che la gente è disposta a rinunciare a parte del proprio reddito per contribuire alla conservazione dei paesaggi tradizio-nali o per migliorare la qualità del paesaggio nei luoghi di residenza.

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Ne consegue pertanto che i cittadini assegnano un’importanza non trascurabile alle politiche volte a conservare o a migliorare la qualità del paesaggio. Risultati simili sono stati ottenuti anche ricorrendo ad altre me-todologie quali l’Hedonic Pricing: le persone sono disposte a spendere di più per acquistare abitazioni circondate da paesaggi più gradevoli. Questi risultati sono sicuramente molto importanti, ma non va trascurato che i me-todi di valutazione impiegati possono condurre facilmente a stime errate e in particolare a una sovrastima dei benefici monetari. Va anche richiamato che la valutazione monetaria di beni di merito, quale il paesaggio, può assumere in certi contesti scarso significato.

La valutazione monetaria del paesaggio è utile per definire l’entità dei benefici da erogare agli agricoltori al fine di remunerare le esternalità pae-saggistiche positive che essi producono. L’idea che sottostà questo approccio è che solo l’intervento pubblico diretto potrà indurre l’agricoltore a produrre l’ammontare di esternalità positive corretto dal punto di vista sociale.

Si è però dell’opinione che a causa dell’attuale crisi economica e per ragioni di equità sociale sia necessario cercare il più possibile di remunerare le esternalità positive internalizzando il loro valore nei beni e servizi che le aziende agricole possono vendere. Questo settore della ricerca è allo stato attuale ancora largamente inesplorato sia dai ricercatori che dai decisori pub-blici. Ad esempio, il concetto di Payment for Environmental Services, nel caso del paesaggio, non ha ancora ricevuto l’attenzione che probabilmente meriterebbe. In futuro sarà quindi necessario impiegare maggiori risorse per cercare di comprendere se e fino a che punto paesaggio e prodotti agricoli (o servizi agrituristici) siano beni complementari e per individuare le strategie di marketing da adottare per assicurare che il premium price che le persone sembrano disposte a pagare per alcuni prodotti agricoli realizzati in paesaggi con particolari caratteristiche possa essere effettivamente incorporato nel loro prezzo.

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Riferimenti bibliografici

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I paesaggi dell’agricoltura, tra turismo e sostenibilità di Luca Baroni

Inquadramento

L’agricoltura, in tutto il mondo, è da sempre il principale “generatore” di paesaggi. L’uomo ha plasmato i territori in cui vive al fine principale di produrre alimenti, coltivando i terreni, piantando alberi e allevando animali. Attraverso le attività agricole l’uomo ha da sempre utilizzato le risorse natu-rali del suo territorio ai propri fini, realizzando in ogni luogo le coltivazioni più “produttive” relativamente alle condizioni ambientali ed alle proprie possibilità di “condizionarle”. In questo modo si sono modificate le morfo-logie di interi territori: terrazzamenti in collina e montagna, ciglionamenti e gradonamenti in collina, sistemazioni per la raccolta delle acque in eccesso nelle pianure alluvionali, sistemazioni per ragioni irrigue o altro.

L’uso dei suoli è quindi stato finalizzato, dove possibile e necessario, alle produzioni agricole: habitat naturali quali boschi, praterie e altri, sono diventati coltivi. Questo processo millenario è stato da sempre caratterizzato da un equilibrio tra pratiche agricole e ambiente. Le aziende agricole erano degli agro-ecosistemi, ossia dei “sistemi ecologici chiusi”, in cui l’unica energia immessa dall’esterno era l’energia del sole e tutto, a parte alcune produzioni, veniva riutilizzato nel sistema stesso. Anche la “forza motrice” fornita dell’uomo e dagli animali veniva dall’interno.

Le cose si sono radicalmente modificate con l’avvento della meccanizza-zione e dell’industrializzazione dell’agricoltura; con le monocolture, l’uso di fertilizzanti e diserbanti chimici. Tutto ciò ha radicalmente modificato i paesaggi dell’agricoltura, soprattutto nei territori più adatti alle nuove tecni-che di coltivazione, mentre negli ambiti difficilmente meccanizzabili si sono sviluppati fenomeni di “marginalizzazione” economica delle attività agricole

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o di abbandono. Il “limite” del “coltivabile” non viene più posto dalle ca-pacità di lavoro del’uomo e degli animali, ma dalla convenienza economica dell’uso delle macchine e delle nuove tecniche. Contemporaneamente si è avuto un grande impulso allo sviluppo urbano e i paesaggi agricoli hanno subito la forte pressione dell’attività edilizia e industriale, con un enorme riduzione del suolo agricolo a favore di quello urbanizzato.

A partire dalla seconda metà del diciassettesimo secolo i paesaggi ita-liani avevano cominciato ad essere scoperti – assieme a quelle che ora chia-miamo “città d’arte” ed ai siti archeologici – dai viaggiatori europei prima, e americani poi. Con quello che venne definito Grand Tour il nostro paese viene conosciuto in tutti i suoi aspetti – arte, musica, politica, cultura, eco-nomia, costumi, cibo – e i paesaggi cominciano ad assume un grande valore per i viaggiatori. I paesaggi rurali alpini, quelli della Toscana, della Liguria, della Campania e della Sicilia sono ampiamente apprezzati e descritti dai grandtourists.

Turismo e paesaggio

Con l’avvento del “turismo di massa” e soprattutto, successivamente, con la crescente consapevolezza dell’importanza della qualità dell’ambien-te, i paesaggi sono diventanti – assieme alle città – il motore principale del turismo nel nostro paese.

Paesaggi in cui la componente antropica – quasi sempre legata all’agri-coltura (con la produzione di prodotti “tipici”) od alla selvicoltura – si lega perfettamente agli aspetti “naturali” e geografici, come per gli alpeggi, i bo-schi e le cime alpine; le spiagge, le coste rocciose ed i terrazzamenti liguri; le coste, il mare, i resti archeologici e le coltivazioni di ulivi e limoni della Costiera Amalfitana e della Penisola Sorrentina.

Turismo, paesaggi e agricoltura, in Italia, sono ormai inscindibilmente legati:

“Il vero viaggio in quanto introiezione di un “fuori” diverso dal nostro abituale, implica un cambiamento totale dell’alimentazione, un inghiottire il paese visitato, nella sua fauna e flora e nella sua cultura […], facendolo passare per le labbra e l’esofago. Questo è il solo modo di viaggiare che abbia senso oggigiorno, quando tutto ciò che è visibile lo puoi vedere anche alla televisione senza muoverti dalla tua poltrona…”

(Italo Calvino, Sotto il sole giaguaro, 1986)

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Alcuni numeri del turismo in Italia

È evidente come nel nostro paese l’economia turistica si giovi della qua-lità dei paesaggi prodotti dall’agricoltura, soprattutto quella “marginale”, di qualità, ed effettuata in ambiti territoriali di difficile meccanizzazione e di antica tradizione produttiva.

Il turismo in Italia, secondo il Rapporto Eurispes 2011, occupa poco meno di 2.500.000 addetti, l’incidenza sul PIL è del 9,5% (agricoltura, pesca e fo-reste sono attorno al 2,5%) e la sua quota mondiale si attesta al 4,1% (quinta dopo USA, Spagna, Francia e Cina; nel 1997 era al 6,8%, seconda al mondo dopo gli USA).

In Trentino l’incidenza sul PIL si aggira attorno al 15%.Nel 2010 i turisti stranieri in Italia sono stati 43,6 milioni (in crescita

dell’1,2% e dello 0,9% rispetto ai due anni precedenti).Secondo l’Organizzazione mondiale del turismo delle Nazioni Unite, la

spesa turistica internazionale negli ultimi due decenni è triplicata in termini correnti, mentre l’Italia ha perso notevoli quote di mercato.

Figura 1: Andamento delle entrate, delle uscite e del saldo turistico con l’estero dal 2007 al 2011 (cifre espresse in milioni di euro). Fonte: elaborazione ONT su dati Banca d’Italia

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Agricoltura, paesaggi e turismo

Di seguito s’illustrano sinteticamente tre casi “esemplari” del connubio agricoltura-paesaggio-turismo: Provincia di Lecco, Penisola Sorrentina e Ponente Ligure.

Si tratta di interventi di natura urbanistica e progettuale in cui la valoriz-zazione della multifunzionalità della moderna agricoltura, può consentire la salvaguardia del paesaggio attraverso un uso oculato delle risorse turistiche. Si cercheranno di individuare le principali criticità riscontrate e si tenterà di ragionare su eventuali possibili soluzioni.

Si cercherà, infine, di rimarcare l’importanza che possono avere gli in-terventi di progettazione del paesaggio nel consentire la salvaguardia e la valorizzazione degli antichi paesaggi dell’agricoltura, mettendo in sinergia la valorizzazione turistica con le potenzialità produttive agricole.

1. Provincia di Lecco Progetto di sviluppo e valorizzazione del paesaggio agrario lecchese“L’AGRICOLTURA, I SEGNI, LE FORME”23

La forte semplificazione ecologica dei paesaggi dell’agricoltura mec-canizzata, unita all’erosione continua di suoli destinati all’agricoltura, ha portato negli ultimi decenni a una forte marginalizzazione delle pratiche agricole, associata all’impoverimento ecologico del paesaggio rurale sia da un punto di vista estetico che storico-culturale.

Vi sono, tuttavia, ancora situazioni in cui gli antichi ed efficienti paesaggi culturali/colturali permangono spesso a caratterizzare e valorizzare interi territori – o anche solo porzioni territoriali marginali e frammentate – che comunque mantengono l’elevato valore culturale, paesaggistico ed ecolo-gico di questi sistemi tradizionali di utilizzazione dei suoli ai fini agricoli.

La ricerca, promossa nel 2001 dalla Provincia di Lecco, si proponeva di evidenziare le risorse territoriali riconducibili alla sfera di attività dell’agri-coltura nella prospettiva di internalizzare nel settore i benefici derivanti dal loro uso, integrando nei processi di sviluppo aziendale la fruizione turistico-ricreativa del paesaggio agrario.

Nel 2003 si è pervenuti a una prima acquisizione di conoscenze delle

23 Questo progetto è di Luca Baroni.

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risorse, evidenziate da 14 tipologie agropaesistiche e 24 “ambiti di pregio per il paesaggio agrario” e alla formulazione di linee guida per la loro va-lorizzazione, mediante azioni orientate al recupero e alla salvaguardia della funzionalità degli elementi costitutivi e degli insiemi agropaesistici.

I “tipi paesistici” che caratterizzano il paesaggio agrario lecchese

PAESAGGI DI PIANURAPaesaggio dei seminativi arborati residuali di pianuraPaesaggio delle sistemazioni agrarie parcellizzate a seminativo di pianuraPaesaggio delle ampie sistemazioni agrarie a seminativo di pianura

PAESAGGI DI COLLINAPaesaggio dei terrazzamenti collinari con coltivazione della vite e delle piante aromatiche in consociazione permanente.Paesaggio dei terrazzamenti collinari a vigneto specializzato.Paesaggio dei terrazzamenti collinari a prato permanentePaesaggio dei seminativi arborati periurbani collinari.Paesaggio dei seminativi arborati residuali collinariPaesaggio degli orti collinari ad olivoPaesaggio degli orti collinari a vignetoPaesaggio delle sistemazioni agrarie parcellizzate a seminativo di conoide

PAESAGGI DI MONTAGNA E DI FONDOVALLEPaesaggio delle praterie naturali di altitudinePaesaggio dei prati e pascoli di fondovallePaesaggi dei castagneti

Ambiti di pregio e tipi paesistici

Gli ambiti di pregio dell’agrario lecchese, individuati partendo dalla “Carta delle trasformazioni del paesaggio agrario” e tenendo in considerazione le dinamiche in atto di consolidamento dei centri urbani, sono stati riportati sulla relativa tavola secondo le seguenti localizzazioni:

1. Casatenovo_Paesaggio delle ampie sistemazioni agrarie a seminativo di pianura

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2. Missaglia_Paesaggio delle sistemazioni agrarie parcellizzate a semina-tivo di pianura

3. Cernusco Lombardone_Paesaggio delle ampie sistemazioni agrarie a seminativo di pianura

4. Osnago_Paesaggio delle ampie sistemazioni agrarie a seminativo di pianura

5. Verderio/Robbiate_Paesaggio delle ampie sistemazioni agrarie a semi-nativo di pianura

6. Barzanò_Paesaggio delle sistemazioni agrarie parcellizzate a seminativo di pianura

7. Sirtori/Viganò_Paesaggio dei seminativi arborati periurbani collinari8. Montevecchia/Rovagnate/Perego_Paesaggi dei terrazzamenti collinari

vocati alla coltivazione delle vite e delle piante aromatiche o a prato permanente

9. Castello Brianza_Paesaggio delle sistemazioni agrarie parcellizzate a seminativo di pianura

10. Olgiate Molgora_Paesaggio dei seminativi arborati periurbani collinari11. Brivio/Airuno_Paesaggio delle sistemazioni agrarie delle bonifiche12. Oggiono/Annone_Paesaggio delle ampie sistemazioni agrarie a semina-

tivo di pianura13. Valgreghentino/Olginate_Paesaggio dei seminativi arborati periurbani

collinari14. Civate_Paesaggi dei terrazzamenti del Lario a prato permanente o in

stato di abbandono15. Valmadrera_Paesaggi dei terrazzamenti del Lario (a prato permanente,

a seminativo arborato, a orti di vite e/o ulivo in stato di abbandono)16. Onno_Paesaggi dei terrazzamenti del Lario (a prato permanente, a se-

minativo arborato, a orti di vite e/o ulivo in stato di abbandono)17. Vassena_Paesaggi dei terrazzamenti del Lario (a prato permanente, a

seminativo arborato, a orti di vite e/o ulivo in stato di abbandono)18. Limonta_Paesaggi dei terrazzamenti del Lario (a prato permanente, a

seminativo arborato, a orti di vite e/o ulivo in stato di abbandono)19. Mandello Lario/Abbadia Lariana/Crebbio_Paesaggi dei terrazzamenti

del Lario (a prato permanente, a seminativo arborato, a orti di vite e/o ulivo in stato di abbandono)

20. Lierna_Paesaggi dei terrazzamenti del Lario (a prato permanente, a seminativo arborato, a orti di vite e/o ulivo in stato di abbandono)

21. Parledo_Paesaggi dei terrazzamenti del Lario (a prato permanente, a seminativo arborato, a orti di vite e/o ulivo in stato di abbandono)

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22. Bellano_Paesaggi dei terrazzamenti del Lario (a prato permanente, a seminativo arborato, a orti di vite e/o ulivo in stato di abbandono)

23. Valsassina_Paesaggio dei prati/pascoli di fondovalle24. Colico_Paesaggio delle sistemazioni agrarie parcellizzate a seminativo

di conoide.I tipi paesistici del “Paesaggio dei seminativi arborati residuali collina-

ri” e del “Paesaggio dei seminativi arborati residuali di pianura”, proprio in quanto residuali, non presentano situazioni tali da delimitare un ambito di pregio, ma si riscontrano in situazioni piuttosto frammentate all’interno del territorio provinciale.

Risultati

Sulla base di una prima griglia di valutazione dei diversi ambiti, in fun-zione della loro “vocazionalità” (didattica, ricreativa, escursionistica, muse-ale, di valorizzazione di prodotti tipici, ecc) è stata formulata una proposta, ipotizzando la costituzione di una “rete” comprendente i “luoghi esemplari dei paesaggi agrari lecchesi”.

Con una seconda fase di indagine, nel 2006, sono stati identificati 18 percorsi all’interno dei diversi ambiti di pregio, che interessano 31 comuni in cui sono presenti 245 aziende agricole con sede a meno di 500 metri dal percorso e fra queste 16 agriturismi, 8 fattorie didattiche e 20 aziende con vendita diretta dei prodotti.

L’intero lavoro di ricerca è stato reso disponibile alle imprese agricole attraverso incontri e la redazione di un volume24 con l’intento di stimolare il loro interesse a integrare il paesaggio agrario nelle strategie di sviluppo aziendale e sfruttare le potenzialità offerte da un territorio a forte urbanizza-zione e domanda di servizi.

24 Il volume è reperibile all’indirizzo http://www.provincia.lecco.it/Pagine/pubblicazioni/pagineagri/segnieforme.htm.

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2. Penisola Sorrentina e Costiera Amalfitana – Napoli/Salerno ULIVI LIMONI E TERRAZZI

Esiste un intrinseco e strutturato rapporto tra la produzione agricola italiana e i paesaggi delle sue regioni di origine, la cui vita dipende proprio dal delicato equilibrio tra mantenimento della loro struttura e sostenibilità economica della produzione.

Con l’insieme delle solide relazioni sociali instaurate da generazioni e con la storia della cultura materiale locale, la potenzialità di un’agricoltura multifunzionale, in grado di offrire beni e servizi integrati all’attività produt-tiva, concorrono alla tutela e alla creazione di paesaggi unici, che rappresen-tano per il nostro paese un vero e proprio giacimento, una risorsa economica da spendere in grado di promuovere lo sviluppo di turismo di qualità e di forme di produzione sostenibili.

Come possono il diffondersi di nuovi modelli culturali che privilegiano la produzione agricola tradizionale, le filiere corte e il turismo consapevole tradursi in approcci politici e soprattutto in temi concreti di progetti per la tutela e la valorizzazione di paesaggi?

Le tematiche proposte sono strettamente relazionate ai paesaggi della Penisola Sorrentina. Esiste, infatti, un intrinseco e strutturato rapporto tra i prodotti alimentari italiani più apprezzati e i paesaggi delle loro regioni di origine, di cui i prodotti stessi rappresentano il migliore veicolo di promo-zione internazionale. È, dunque, fondamentale indagare come il diffondersi di nuovi modelli culturali che privilegiano le filiere corte e il turismo con-sapevole, che apprezzano qualità e gusto nel cibo, che valorizzano il lavoro manuale delle collettività locali nelle campagne in risposta al dispiegarsi degli interessi dell’industria alimentare globale, possa tradursi in approcci politici e soprattutto in temi concreti di progetti per la tutela e la valorizza-zione dei paesaggi agrari.

La penisola Sorrentina si protende tra il Golfo di Napoli e quello di Salerno. É ricca di zone famose per le loro bellezze storiche e naturali. Tutte le località della penisola hanno un’antica e consolidata vocazione turistica e sono conosciute in tutto il mondo. I suoi rilievi costieri ospitano estesi sistemi di terrazzamenti realizzati nei secoli – dal Medioevo all’inizio del ‘900 – per consentire la coltivazione di suoli dalle elevatissime pendenze. I terrazzamenti e i ciglionamenti, nelle aree meno ripide, sono da sempre utilizzati per la coltivazione della vite, degli agrumi e dell’olivo; oltre che di vari ortaggi.

La coltivazione dell’olivo raggiunge qui livelli di notevole qualità che

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hanno portato all’ottenimento del marchio DOP per l’olio extravergine di oliva della Penisola Sorrentina. La superficie interessata è di circa 1.500 et-tari. Coltivare l’olivo sui terrazzamenti che si affacciano sul mare comporta notevoli costi, dovuti soprattutto alla ridottissima possibilità di meccanizza-re le pratiche colturali (potatura e raccolta in primis). Il prezzo dell’olio al consumo è quindi proporzionale alla sua qualità ed hai costi di produzione e ciò purtroppo ne ha fin qui depresso la vendita. Conseguente è quindi la riduzione della produzione, che dal 2003 al 2006 si è più che dimezzata, andando da 56.100 a 22.500 litri.

La riduzione di produzione denota il forte rischio che corrono gli uliveti Sorrentini: un abbandono che mette a repentaglio il paesaggio e la struttura di controllo idrogeologico costituita dal sistema dei terrazzamenti e dalla copertura arborea.

Problemi simili si presentano per la coltivazione dei limoni e degli agrumi in genere. In Penisola si è sviluppato nei secoli un sistema di coltivazione che prevede una struttura in legno castagno realizzata per sostenere le “pa-gliarelle” che nella stagione invernale proteggono le piante dai venti freddi di tramontana. Tali strutture sono molto costose da realizzare e mantenere e rischiano anch’esse di essere abbandonate; sono state ormai quasi ovunque sostituite da teli in materiale plastico. Anche questo paesaggio dell’agricol-tura della penisola vede pertanto la sua sopravvivenza a forte rischio.

Problemi analoghi si riscontrano per i terrazzamenti della Costiera Amalfitana: gli elevati costi produttivi non consentono più produzioni soste-nibili dal punto di vista economico.

È possibile che l’economia turistica che, assieme alle comunità locali be-neficia grandemente dei paesaggi creati dall’agricoltura, non sia chiamata a sostenere in modo virtuoso l’economia agricola locale e, con essa, i paesaggi della Penisola Sorrentina?

Basterebbe forse che si facesse un piccolo sforzo – promozionale, di marketing, distributivo, ecc. – per consumare in loco, con le oltre tre milioni di presenze di turisti all’anno, i prodotti agricoli della Penisola Sorrentina, per garantire un futuro più sereno al paesaggio e all’economia agricola loca-le. A questo riguardo i comuni della Penisola Sorrentina hanno sottoscritto – con il contributo delle associazioni di categoria agricole e turistiche – il “Codice morale per lo sviluppo dell’economia e della cultura della penisola Sorrentina nel rispetto dell’ambiente e della vivibilità dei cittadini e degli ospiti”, di cui si presentano alcuni stralci essenziali.

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“Codice Morale per il Territorio”

“Codice morale per lo sviluppo dell’economia e della cultura della pe-nisola Sorrentina nel rispetto dell’ambiente e della vivibilità dei cittadini e degli ospiti” (sottoscritto dai sondaci dei comuni di Vico Equense, Meta di Sorrento, Piano di Sorrento, Sant’Agnello, Sorrento, Massalubrense):

“L’ambiente, non è una parola vuota, ma contiene in sé ciò che di prezio-so abbiamo la fortuna di “possedere”, ereditato dalla nostra antica storia: il paesaggio, la cultura materiale e gli stessi uomini che ancora conservano e mettono in atto antiche tradizioni produttive, come la coltivazione degli agrumi, delle noci, degli oliveti, dei vigneti, dell’artigianato ecc. In una parola, l’ambiente è il volano per una forte e sana economia. Riteniamo indispensabile lavorare per la valorizzazione e il recupero dell’identità del-la penisola Sorrentina che si va perdendo nel dedalo della globalizzazione mondiale. Tutto ciò che ha contribuito alla fama della Penisola e alla sua fortuna economica e sociale si dissolve o tende a ridursi ai minimi termini nell’indifferenza generale”.

“Il Paesaggio, che tanto l’ha resa celebre, va mantenuto, tutelato e valorizzato, rispondendo allo stesso tempo alla domanda posta dai nuovi andamenti turistici e commerciali che cercano e chiedono territori con forti e autentiche caratterizzazioni locali, che sappiano offrire prodotti unici e di qualità eccellente, da acquistare e portare a casa.

Si vuole scongiurare la possibilità che le aree agricole siano abbandonate dagli agricoltori perché non producono reddito ma solo spese, che i fondi agricoli anche piccoli (i cui proprietari in genere non sono agricoltori) siano trasformati in spazi urbanizzati, che le colture autoctone o tradizionali non siano conservate e curate, si vogliono attuare azioni volte alla sensibilizza-zione e all’educazione di “un consumo sostenibile”, incentivando la produ-zione e l’uso, per quanto possibile, di prodotti cosiddetti a chilometri zero e in genere a diminuire gli sprechi, invitando al “non consumo insostenibile”.

FINALITÀ“Ciascun firmatario del Codice si impegna, per quanto di propria com-

petenza e nell’ambito delle proprie funzioni, a sostenere l’agricoltura intesa come attività di pubblico interesse a tutela del territorio, del suolo e delle acque. Si impegna ad orientare il proprio operato perseguendo l’obiettivo di contrastare il progressivo abbandono delle attività agricole che si registra in penisola Sorrentina.

Va riconosciuta la stretta connessione tra paesaggio e attività agricola e

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dunque l’importanza di valorizzare e tutelare le risorse rurali e in partico-lare le aree dedicate alle produzioni di qualità, in specie agrumeti, uliveti, vigneti e castagneti”.

AZIONIArt.7

Impegno di ristoranti, alberghi, mense scolastiche e aziendali, case di riposo e ospedali pubblici e/o privati, a programmare l’acquisto, il consu-mo e la promozione dei prodotti locali coltivati dalle aziende agricole della Penisola Sorrentina che a loro volta si impegnano a garantirne la fornitura stagionale. In particolare è richiesto l’impegno dei più prestigiosi chef ope-ranti in penisola Sorrentina a farsi promotori della cultura del territorio at-traverso le proprie ricette, l’esaltazione delle caratteristiche e delle qualità peculiari dei nostri prodotti di eccellenza”.

3. Capo Cervo Studio di fattibilità per complesso alberghiero-residenziale Cervo (Imperia) “PARCO DELLA MUSICA“25

In queste zone del ponente ligure in provincia di Imperia il tradizionale paesaggio agrario dei terrazzamenti ad ulivo è in stato di forte e progressivo abbandono. Prima l’impianto di serre per la floricoltura – ora in buona parte abbandonate e fatiscenti – poi l’abbandono della coltivazione dell’ulivo, stanno portando alla progressiva scomparsa di un paesaggio che ha fatto anche la fortuna turistica di questi luoghi.

Lo studio in oggetto intende mostrare come anche mirati interventi in-sediativi a scopo turistico, alberghi e in parte seconde case, possano essere un’occasione di salvaguardia e valorizzazione degli antichi paesaggi dell’a-gricoltura. Ciò è, tuttavia, possibile solo se la progettazione architettonica viene affiancata e supportata dalla progettazione del paesaggio.

L’opportunità che in questo intervento si presenta è quella di recuperare un sistema paesaggistico-ambientale di grande valore, capace di mettere a sistema le risorse esistenti, riqualificandone e valorizzandone gli aspetti naturalistici, paesaggistici e fruitivi, dal mare alla collina. Interventi sulla

25 Il progetto paesaggistico è di Luca Baroni.

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natura e sul paesaggio, un sistema di percorsi tra valle e monte, potranno costituire l’ossatura dei nuovi paesaggi del Capo.

Consolidamento della spontanea rinaturalizzazione in atto Per gli antichi terrazzamenti abbandonati si prevede il consolidamento

della spontanea rinaturalizzazione in atto verso le forme della macchia me-diterranea o del querceto termofilo tipiche dell’area.

Il resto dell’area è stata invece progettata come un grande parco territo-riale, in cui a paesaggi differenti sono affidate diverse funzioni.

Parco degli uliviSi tratta di brani di paesaggio agrario tradizionale in stato di progressivo

abbandono che scendono lungo i terrazzamenti fino a incontrare le prime aree insediate. Il progetto prevede la ricostituzione di tradizionali uliveti; la realizzazione di “uliveti-giardino”, in cui sostare ammirando il mare dall’al-to, passeggiare e leggere e la sistemazione a “giardino mediterraneo” di alcuni dei terrazzi, mettendo a dimora carrubi, olivi selvatici, alaterni, lecci, corbezzoli, ginestre, cisti, biancospini, euforbie, filliree, lentischi e rose.

Inserimento paesaggistico dell’intervento turisticoL’uso della vegetazione contribuirà poi a migliorare l’inserimento pa-

esaggistico degli edifici ed a favorire l’uso degli spazi aperti (terrazzi, giardini, strade), con spazi caratterizzati da elementi di “intimità” per l’area residenziale, ed aree connotate da maggiore scenograficità e capacità di ca-rico antropico per l’area turistica.

Parco della musicaUn grande parco pubblico andrà dalla collina al mare attraverso il Capo,

collegando il futuro percorso ciclo-pedonale lungo costa alla via Aurelia e ai percorsi pedonali collinari verso Cervo, Capo Mimosa e il Parco Ciapà. Il parco potrà occupare i terrazzamenti abbandonati, facendone dei terrazzi/giardino affacciati sul mare. Questo grande spazio verde potrà essere il nuo-vo “Parco della musica” di Cervo.

Gli ampi terrazzi verdi del Capo, aperti sul Mar Ligure e caratterizzati dalle presenza dell’antica torre e delle mura, potranno ospitare eventi mu-sicali all’aperto, in uno scenario mozzafiato. Salendo, oltre l’Aurelia, ogni terrazzo potrà essere un giardino da scoprire, ogni affaccio un nuovo punto di vista su questo meraviglioso tratto di costa: le Stanze della musica, il

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Giardino Ligure, il Giardino degli agrumi, il Giardino esotico, il Giardino dei fiori, l’Arena della musica, ecc.

Consolidamento e rinaturalizzazione del sistema costieroAmpi tratti del sistema costiero, infine, si presentano come scoscese e

inaccessibili scogliere, a volte anche soggette a fenomeni franosi ed erosivi. Mirati interventi di naturalizzazione e di consolidamento, attraverso l’uso di tecniche di ingegneria naturalistica, potranno rendere più stabile ed ecologi-camente più ricca l’intera fascia costiera tra Cervo e Capo Mimosa.

Di seguito alcune immagini e disegni illustrano i dati salienti del progetto.

Figura 2: uliveti terrazzati in stato di progressivo abbandono.

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Figura 3: serre abbandonate su terrazzamenti.

Figura 4: stato di fatto.

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Figura 5: ipotesi progettuale.

Figura 6: planimetria generale e ambiti approfonditi.

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Figura 7 parco degli ulivi: sezioni.

Figura 8 inserimento paesaggistico degli interventi residenziali e turistico: sezioni.

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Figura 9: parco della musica.

Figura 10: parco della musica: giardino dei profumi.

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Figura 11: parco della musica: frutteto esotico.

Figura 12: percorso ciclo-pedonale, consolidamento e rinaturalizzazione del sistema costiero.

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Figura 13: parco della musica: arena della musica.

Figura 14: parco della musica: arena della musica.

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Pianificazione economica delle aree rurali e filiera corta: l’esempio del Comune di Ayas in Valle d’Aostadi Stefano Lunardi

Introduzione

L’agricoltura in Val d’Ayas, come in molte realtà dell’arco alpino, ha subi-to negli ultimi cinquant’anni una profonda trasformazione. Dall’agricoltura di sussistenza strettamente collegata alle risorse del territorio a quella dei giorni nostri, caratterizzata da un esiguo nucleo di aziende, ciascuna con un numero importante di capi allevati. Lo sviluppo turistico dell’area ai piedi del Monte Rosa ha fatto inoltre assumere un ruolo secondario all’agricoltura che si è vista accostare, nelle zone dei pascoli di quota, impianti di risalita e numerosi punti ristoro. Queste trasformazioni del modello agricolo tradizio-nale hanno portato con sé un impoverimento della ricchezza paesaggistica, con fenomeni di banalizzazione della vegetazione su ampie superfici. I ricchi e diversificati prato-pascoli di un tempo si stanno riducendo in superficie anno dopo anno a favore di zone incolte e abbandonate.

Questo fenomeno ha preoccupato gli amministratori del Comune di Ayas che, nel 2008, si sono chiesti come intervenire per proteggere e valorizzare il proprio territorio di pregio: solo un’attenta valutazione di tutte le componenti socio-economiche caratterizzanti Ayas ha permesso negli anni successivi di formulare ipotesi di sviluppo del settore agricolo e di quelli ad esso collegati, con particolare attenzione alla valorizzazione delle produzioni locali.

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I primi passi del progetto, l’analisi del territorio

Formulare ipotesi di sviluppo del territorio richiedeva una conoscenza approfondita dello stesso. L’analisi del contesto agricolo, richiesta dall’ade-guamento del Piano Regolatore Comunale al Piano Territoriale Paesistico Regionale, ha rappresentato un primo importante momento di confronto, in seno all’Amministrazione Comunale di Ayas, sul tema dell’abbandono delle buone terre coltivabili. Sono estese le superfici comunali che, per ragioni di-verse, dalla difficoltà di utilizzo degli appezzamenti marginali meno “como-di” dal punto di vista gestionale alla parcellizzazione spinta, sono allo stato attuale incolte. Le ripercussioni di tale stato d’abbandono sulla comunità sono molteplici: aumento del rischio incendi, deterioramento del paesaggio e perdita di risorsa agricola.

Vista la necessità di approfondire la conoscenza del territorio e creare una base scientifica per affrontare il problema degli incolti, nel 2008 il Comune di Ayas ha stipulato con la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Torino una convenzione per lo svolgimento di attività di formazione per i laureandi della facoltà. Le attività hanno avuto la durata di tre anni e sono state dirette dal Prof. Andrea Cavallero, ordinario di Alpicoltura 1 nel corso triennale in “Scienze forestali e ambientali”.

Il corso ha visto succedersi sul territorio circa trenta studenti per nove giornate di attività per anno, distribuite nei mesi di giugno e luglio. Il lavoro degli studenti consisteva nell’analisi delle superfici prato-pascolive e delle aziende zootecniche locali, dalla gestione delle superfici alle produzioni casearie ed è stato articolato nelle seguenti fasi:• analisi delle superfici prato-pascolive del comprensorio comunale tramite

la delimitazione delle superfici pastorali• rilievo della vegetazione mediante metodo lineare• redazione di una cartografia tematica della vegetazione• produzione di cartografie secondarie a supporto delle ipotesi gestionali:

viabilità, sentieristica ed uso delle superfici• analisi delle aziende zootecniche locali, della gestione attuale delle super-

fici prato-pascolive e delle produzioni casearie• determinazione dei carichi animali mantenibili sulle superfici analizzate• confronto tra situazione attuale e potenziale delle aree oggetto di studio• acquisizione di conoscenze geografiche, climatiche, geologiche, pedolo-

giche, vegetazionali, faunistiche, storiche, sociali ed economiche della zona, finalizzate alla fruizione turistico-culturale dell’area

• formulazione di proposte gestionali per le superfici del comprensorio

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• formulazione di proposte per la valorizzazione delle produzioni casearie locali

• individuazione di itinerari turistico-ambientali di particolar pregio pae-saggistico e redazione di un modello a supporto della fruizione turistica.

Le analisi vegetazionali e gestionali

L’indagine sulle principali formazioni pastorali presenti nel comune di Ayas è stata condotta attraverso il metodo proposto da Daget e Poissonet (1969 e 1971). La localizzazione dei rilievi è stata determinata orientativa-mente da un’analisi cartografica preparatoria, poi confermata e/o modificata dai sopralluoghi sul campo. L’elaborazione dei dati riguardanti la vegeta-zione è stata effettuata attraverso analisi statistica (Cluster Analysis). Le informazioni sull’organizzazione del sistema foraggero e sulla gestione delle aree a pascolo necessarie alla realizzazione del progetto sono state raccolte attraverso apposite schede nel corso di sopralluoghi in campo e tramite in-terviste con i singoli allevatori.

Seguendo le indicazioni che il Prof. Cavallero ha esposto nel corso di una serata finale di presentazione dei risultati, alcune aziende zootecniche locali potranno pensare alla possibilità di valorizzare la produzione in alpeggio, con l’ambizione di produrre in futuro i primi prodotti caseari qualificati e certificati da erba, espressione di una ritrovata consapevolezza delle qualità del prodotto di montagna.

L’iniziativa “Ayas a km 0”

A seguire le indagini sul territorio, è stata promossa dal Comune di Ayas l’iniziativa a chilometri zero per contrastare l’espandersi delle zone incolte e valorizzare il paesaggio rurale. Il progetto mira a creare una filiera corta che stabilisca un rapporto diretto tra produttore e consumatore, sia esso privato o azienda, accorciando così il percorso dei prodotti dal luogo di produzione a quello di consumo. In questo delicatissimo momento economico questa strategia si sta rivelando importante per le aziende agricole già presenti sul territorio come per le nuove aziende, che potranno insediarsi in un contesto di rete tra gli operatori già pronto ad assorbire la loro produzione.

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La partecipazione

Per creare una filiera corta, la grande sfida è quella mettere in rete il maggior numero di agricoltori, commercianti e operatori del settore turisti-co. Negli ultimi anni sono stati organizzati incontri tra le diverse categorie, durante i quali sono emersi interessanti suggerimenti e osservazioni. Sono state così poste le basi per lo sviluppo della filiera, condividendo dubbi e proponendo azioni concrete per far conoscere ai consumatori e visitatori della valle l’origine e la qualità dei prodotti che potevano trovare in Ayas.

Iniziative del recente passato

Negli ultimi anni durante l’estate sono stati proposti dal gruppo di opera-tori aderenti al progetto (coordinati da Atelier Projet Studio Associato e con il sostegno del Comune di Ayas) molti appuntamenti a tema. Ai turisti è stata così offerta l’occasione di visitare le aziende agricole (dagli alpeggi ai campi di erbe officinali) e passeggiare osservando le fioriture dei prati a margine degli splendidi villaggi rurali. Non solo, anche nel corso dell’inverno una serie di aperitivi e cene dedicati alla filiera corta hanno incuriosito i molti sciatori, invitandoli a conoscere Ayas senza il manto nevoso, ma con i colori vivacissimi dell’estate.

L’associazione di promozione sociale ”Ayas a km zero”

Nel mese di marzo 2012 è stata costituita l’associazione di Promozione Sociale “Ayas a km zero”, che riunisce una ventina di operatori: dalle azien-de agricole al settore turistico, insieme con l’obiettivo ben stabilito nello statuto di organizzare attività didattiche per l’avvio, il perfezionamento e l’aggiornamento di operatori sul territorio.

L’Associazione potrà inoltre organizzare manifestazioni, ritrovi, incontri, momenti di aggregazione e coinvolgimento fra i soci perseguendo i seguenti scopi:• la valorizzazione e la promozione del territorio di Ayas, con particolare

riguardo ai prodotti agricoli, ai prodotti tipici e della tradizione locale e al mondo rurale con la sua storia, cultura, tradizione e architettura;

• la promozione di uno sviluppo etico e sostenibile dell’economia locale oltre che di un “incoming” consapevole.

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Estate 2012

“Ayas a km zero” prosegue nella sua missione nell’estate 2012 con molte delle attività che già si sono affermate negli anni scorsi. A comple-tare il programma della prossima stagione estiva però, alcune novità molto interessanti, sia dal punto di vista dell’offerta turistica che per il loro valore sociale e educativo.

La prima prevede ateliers tematici per adulti e piccini per imparare a fare il pane (Mani in pasta), per comprendere il processo della produzione di formaggi (Freschi si nasce), per scoprire le erbe aromatiche e utilizzarle per la preparazione di alcuni prodotti tipici (Infusi di natura). Gli ateliers si svolgeranno nei mesi di luglio e agosto ogni mercoledì e venerdì mattina. Nel pomeriggio di venerdì, dalle ore 14, sarà possibile partecipare alle escur-sioni guidate con visite presso alcuni alpeggi e aziende agricole di Ayas, per assistere alla mungitura o osservare da vicino i campi delle erbe officinali, degli ortaggi e dei piccoli frutti.

A completare la stagione l’appuntamento della “Notte Bianca” del 10 agosto, per il primo anno dedicata all’agricoltura! Tanti gli appuntamenti che si svolgeranno nel corso di una serata speciale per l’associazione che si occuperà dell’organizzazione.

La seconda novità riguarda le modalità di promozione del progetto, che ha deciso di puntare sui social media. “Ayas a km zero” ha lanciato una pagina su Facebook all’indirizzo www.facebook.com/ayasakmzero e una su Twitter www.twitter.com/ayasakmzero, attraverso cui rimanere sempre aggiornati su iniziative ed eventi in programma. La scelta è in linea con lo spirito del progetto, dove il concetto di rete e condivisione fa rima con la valorizzazione della tradizione e il sostegno al territorio.

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La pianificazione territoriale e lo sviluppo rurale in Trentino di Furio Sembianti

Il Piano Urbanistico Provinciale (PUP) costituisce ormai da 45 anni il principale strumento territoriale di bilanciamento dei diversi settori econo-mici, spesso in conflitto fra loro per l’uso delle risorse ambientali e princi-palmente delle disponibilità di suolo.

Pur non essendo il PUP al vertice di una catena di governo top down del territorio, il suo ruolo è basilare nell’individuare il sistema delle “invarianti territoriali”, componenti strategiche nel disegno di evoluzione territoriale, e centrali nel quadro dei principi generali ai quali a partire dal livello provin-ciale, l’intera pianificazione trentina si ispira.

I principi guida in grado di implementare la “Vision” del PUP sono quelli che interpretano per il Trentino, la logica d’uso delle risorse, l’adatta strut-tura gestionale e la capacità di affrontare utilmente il mercato; si possono così riassumere:

sostenibilità: si traduce nella ricerca e nella costruzione di sinergie tra il sistema ambientale, quello socio-culturale e quello economico-produttivo e si concretizza nella ricerca e nell’integrazione delle esternalità positive tra tali sistemi. In particolare, lo sviluppo economico deve migliorare l’ambiente e concorrere al progredire dell’equilibrio e della coesione sociale;

sussidiarietà responsabile: con essa pianificazione e gestione del territo-rio si collocano volta per volta al livello istituzionale più efficiente rispetto alle responsabilità ed alle problematiche coinvolte e comunque al più diretto contatto possibile con le esigenze locali;

competitività: richiede che il Piano Urbanistico Provinciale predisponga

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strumenti di gestione territoriali utili anche ad attuare strategie di rafforza-mento del sistema economico e produttivo. In questo senso il quadro piani-ficatorio promosso dal PUP, attento a promuovere l’attrattività del territorio anche per gli operatori economici, concorre ad assicurare la competitività del Trentino secondo un modello di sviluppo sostenibile.

Si vuole quindi favorire il radicamento nel territorio provinciale di quei soggetti economici che sono motore della sua crescita equilibrata, con atten-zione alla piena occupazione e al riconoscimento della dignità del lavoro. Si orientano le scelte urbanistiche perché il territorio sia fattore determinante per realizzare le attività produttive e, possa beneficiare delle esternalità po-sitive che queste possono generare.

Qualità del territorio e individuazione delle sue invarianti

Le risorse territoriali che non si rigenerano facilmente, e che fanno parte di fondamentali assetti naturali e culturali, richiedono procedure di sostegno e controllo per garantirne il mantenimento integrale. Nel PUP quindi sono considerati “invarianti” gli elementi, i connotati, gli aspetti del territorio dei quali mantenere l’entità e tutelare, arricchire le caratteristiche distintive e la stabile configurazione o quanto meno permetterne una modificazione molto lenta. Sono invarianti allora nel PUP gli elementi strettamente relazionati con l’ambiente e con il territorio che li esprime e da considerare categorie di “beni” in cui le comunità si riconoscono e si identificano. Alcune invarianti sono veri e propri sistemi produttivi sostenuti dalla società, tendenzialmente stabili nell’ambiente, come le aree agricole e quelle boscate, altre invarianti sono preziosi sistemi ambientali a supporto della biodiversità, oppure ele-menti della cultura che nel, tempo, sono diventi cardini del sistema territo-riale, e riferimenti simbolici della storia dei luoghi e della gente.

Fra le aree agricole, quelle di pregio sono state definite invarianti dal PUP e la loro tutela è uno dei suoi obiettivi fondamentali. Sono individuate, non solo come risorse, ma anche come valori identitari del territorio. Con l’obiettivo strategico di salvaguardare il terreno agricolo rafforzando la cor-rispondente disciplina, il PUP persegue l’integrità colturale e paesaggistica delle aree agricole di pregio e stabilisce in particolare, che la loro eventuale riduzione vada in anticipo compensata, trasformando ad agricoltura pregiata altre aree, ora non agricole, senza ridurre l’entità di altre invarianti.

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Figura 1: le aree agricole di pregio

L’assetto attuale delle aree agricole in Trentino è descritto nella cartografia del PUP che è sintetizzata nella tavola dove sono campite le aree agricole di pregio. In complesso circa 9000 aziende agricole si estendono su un totale di 92000 ha; di questi, 33000 ha costituiscono alpeggi così i fondovalle gli altipiani e le costiere, che costituiscono le aree coltivate, sono circa il 10 % della superficie totale della provincia.

Figura 2: l’uso del suolo nelle valli trentine.

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Lo schema con cui si descrive sinteticamente la divisione in categorie dell’uso del suolo, fa comprendere come, pur essendo apparentemente li-mitato lo spazio destinato ad usi specificatamente insediativi, questo abbia occupato nelle epoche recenti porzioni molto ampie dello spazio agricolo un tempo disponibile. Va osservato che il fenomeno non è distribuito omogene-amente e che in molti luoghi, il rapporto che mediamente è di 1 a 4, vede la porzione insediativa superare, per dimensione, quella agricola.

Strategie fondamentali del PUP che riguardano direttamente i territori agro-forestali

Con gli indirizzi strategici il nuovo PUP richiede l’elaborazione di spe-cifiche strategie di sviluppo, da parte delle diverse Comunità, secondo gli obiettivi vocazionali dei loro territori per affrontare le specifiche criticità in prospettive di lungo periodo.

I. Promuovere l’identità territoriale e la gestione innovativa e responsa-bile del paesaggio

II. Favorire uno sviluppo turistico basato sul principio di sostenibilità che valorizzi le risorse culturali, ambientali e paesaggistiche

III. Garantire la sicurezza del territorio e degli insediamentiIV. Perseguire uno sviluppo equilibrato degli insediamentiV. Perseguire un uso sostenibile delle risorse forestali, montane e ambien-

taliVI. Perseguire la permanenza e sviluppo delle aree agricole di pregio e

promuovere l’agricoltura di montagnaVII. Perseguire un uso responsabile delle risorse ambientali non rinnova-

bili ed energetiche promuovendo il risparmio delle risorse e le energie alternative

VIII. Organizzare la gerarchia delle reti infrastrutturali garantendo i benefici sia a livello locale che provinciale

IX. Perseguire interventi sul territorio finalizzati a migliorare l’attrattività del Trentino per lo sviluppo delle attività produttive di origine endo-gena ed esogena

X. Favorire il manifestarsi di condizioni materiali e immateriali che age-volano l’integrazione tra gli attori economici, le istituzioni e il sistema della ricerca

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Risulta allora evidente come, in sintesi, il mantenimento del territorio agricolo e delle sue qualità dipenda da come sono collegati in un quadro sinergico i seguenti obiettivi:• presidiare il territorio a fini di sostenibilità;• produrre merci agricole di grande qualità;• integrare agricoltura turismo ed altri settori;• valorizzare il paesaggio per rendere appetibile il territorio.

Con quest’ultimo obiettivo si intende prendere atto che la qualità del paesaggio è una misura intuitiva dell’equilibrio territoriale, nel senso che consente la globale percezione dei livelli di coerenza interna nell’uso dell’ambiente. Ne discende la necessità che il paesaggio venga posto al cen-tro del processo di pianificazione, come parte essenziale del grande progetto di territorio.

La Carta del Paesaggio del PUP e i suoi sistemi

È così necessario definire, alle diverse scale i valori e gli assetti del paesaggio; nel PUP la carta del paesaggio individua i sistemi elementari: alpino, forestale, rurale insediativo tradizionale, fluviale che, diffusi sul Trentino, ne manifestano a larghe maglie l’identità.

Variando per dimensione, distribuzione e qualità a seconda dell’area e dell’ambiente, ogni sistema può essere riletto in sottosistemi che ne rappresentano la ricchezza e le diversità.

Per conservare l’identità del paesaggio, fatta di rapporti fra territorio aperto e costruito, la Carta del Paesaggio ha dedicato attenzione particolare agli ambienti ancora liberi attorno ai centri, soggetti a espansioni edilizie ingiustificate. Nei casi più delicati sono stati introdotti limiti per evitare che le trasformazioni insediative deformino irreversibilmente il paesaggio tradizionale con costruzioni indifferenti ai caratteri del territorio, assiepate lungo direttrici esterne, modalità che ha favorito anche l’abbandono dei centri e dei nuclei storici. La pianificazione urbanistica, è orientata a un nuovo disegno insediativo che eviti le gravi conseguenze della sparizione di aree agricole, o la perdita di un paesaggio tradizionale e sappia valorizzare e consolidare i valori ambientali non rinnovabili che sono importanti risorse del Trentino. Ogni sistema complesso di paesaggio va trattato secondo principi di: equilibrio urbanistico, qualità dei centri, sostenibilità ambientale, armonia paesaggistica, integrità, continuità, tradizione, equilibrio territoriale, continuità ecologica, omogeneità.

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Figura 3: porzione della Carta del Paesaggio del PUP relativa alla Piana Rotaliana che descrive i rapporti fra sistemi di paesaggio ed indicati limiti di espansione degli abitati.

In sintesi i pregi paesistici legati all’agricoltura si possono riassumere in:– valori figurativi riconoscibili nell’edilizia agricola tradizionale e nelle

connesse modifiche dei suoli, perché conservano tratti della storia della cultura materiale locale, la espressività di talune significative strutture moderne a supporto dell’agricoltura;

– valori scenografici di distese a vigneto, frutteto, olivaia o altro che di-segnano l’immagine e marcano i limiti dei sistemi di paesaggio, e che

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costruiscono il territorio sottolineando con terrazzamenti ed insiemi monumentali di muri l’orografia;

– valori simbolici, affettivi che legano la popolazione a particolari luoghi agro forestali, come i boschi di castagno, o malghe e pascoli.

Necessità di precisare il paesaggio nel piano territoriale della Comunità

Operazione necessaria per la corretta redazione del PTC è riportare alla scala del territorio locale, le osservazioni, le indicazioni e le regole adatte a mantenere e migliorare la qualità ed i valori del paesaggio, e le sue relazioni con la popolazione. Ciò non è codificato in procedure particolari, e natural-mente, per l’attenzione che va riservata alle diversità locali, riconosciute come ricchezza identitaria, sarà invece inquadrato metodologicamente, ma non definito rigidamente a priori. Per facilitare una aperta discussione sul metodo si è proceduto in termini sperimentali, scegliendo un’area che presentasse una sufficiente varietà di situazioni paesistiche, territoriali ed ambientali.

La sperimentazione nella zona campione Pergine Bersntol

Nel seguito dell’illustrazione si fa specifico riferimento alla fase speri-mentale con cui si individuano le modalità per inserire le logiche di soste-gno al paesaggio nel PTC. Il lavoro di ricerca pluridisciplinare, svolto nella zona campione della Comunità Pergine Bersntol, coordinato dall’architetto Furio Sembianti, e curato negli aspetti socio-antropologici dalla dottoressa Cristina Orsatti, ha visto il coinvolgimento dei volontari del servizio civile impegnati nel progetto “Qualità dell’ambiente, tutela del paesaggio e iden-tità collettive“. L’architetto Giuseppe Altieri, la geografa Martina Calovi, la sociologa Laura Degiorgi, la naturalista Daniela Ferretti, la sociologa Tania Giovannini, l’architetto Francesca Postal e la sociologa Manola Travaglia hanno seguito la simulazione di diverse fasi della pianificazione relative al paesaggio, approfondendo elementi cruciali che possono offrire utilità tec-nica e disciplinare, ai punti nodali del complessivo “progetto di Paesaggio”.

Sono riportati di seguito alcuni elementi, approfonditi in questo studio, che toccano da vicino la problematica delle aree agricole e forestali.

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Redazione della “Carta del paesaggio della Comunità”

La Carta del Paesaggio della Comunità interpreta i sistemi di paesaggio indicati nel PUP per comprenderne le dinamiche e mettere in luce i loro valori paesaggistici e il loro possibile ruolo per sostenere uno sviluppo di lunga durata.

Segnando le “invarianti del PUP” sul territorio viene inventariato il pa-trimonio culturale, ambientale e anche quello legato alla civiltà materiale, come si è sedimentato, interpretando le complesse relazioni storiche fra economia e cultura, società ed ambiente. La finalità è di istituire le reti gene-rali di questi elementi, e facendo leva sulle sinergie individuate, impostare le linee di evoluzione del territorio, valorizzando caratteri che lo rendono appetibile, vivibile, e così in grado di rigenerare, l’identità materiale e sim-bolica del paesaggio.

Riconoscendo assetto e dinamiche dei sistemi di paesaggio, la forma dell’insediamento, e le problematiche dell’evoluzione storica, si definisce l’insieme degli elementi ambientali e culturali da valorizzare, e delle risorse di cui è opportuno garantire la disponibilità, in funzione delle scelte di desti-nazione urbanistica nel PTC. Si individuano fattori ambientali decisivi per l’armonico inserimento paesistico, ed indicano, tramite l’analisi antropolo-gica, come valorizzare il capitale sociale e territoriale con le adeguate forme di aggregazione insediativa. Per mettere in evidenza gli elementi su cui si basa l’identità del territorio sono inseriti gli elementi sostanziali, riportati dal PUP nelle cartografie “Carta del Paesaggio”, “Carta delle Tutele paesistiche” e “Inquadramento Strutturale” precisati anche tramite la ricerca storica che descrive e motiva gli effetti dello sviluppo sulla struttura insediativa, con sezioni storiche adeguate a definire le trasformazioni territoriali che per convenzione si possono definire preindustriale (1850), postbellica (1950) moderna (1970), contemporanea (2000). L’identità del territorio si basa principalmente su valori e simboli trasmessi storicamente, ma il paesaggio si lega culturalmente alle aspettative, desideri, orientamenti, volontà relative al futuro, intenzioni attraverso cui gli abitanti situano se stessi in relazione al loro territorio, il quale, anche con le sue immagini, esprime le linee condivise a suo tempo dalla collettività per lo sviluppo socio-economico. Comprendere tali connessioni è basilare per definire “la Carta del Paesaggio”, e così è es-senziale individuare i tradizionali utilizzi delle risorse che hanno particolare valore per l’identità del territorio. Emergono in tal modo logiche che hanno orientato le “buone pratiche”, che hanno permesso di produrre le qualità dei paesaggi e potrebbero essere determinanti per garantire la loro permanenza.

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La “Carta del Paesaggio della Comunità”, riporta dinamiche e fenomeni evolutivi che interessano i sistemi di paesaggio e quindi le loro tendenze di trasformazione.

La Carta del Paesaggio non registra semplicemente i fattori fondamentali della struttura territoriale esistente, ma legge anche i fenomeni, in atto, che modificano l’assetto delle risorse territoriali, la forma dell’insediamento. Questo tipo di analisi, richiede, ove necessario di aggiornare i confini fra i sistemi. Si tratta di leggere la dinamica di fenomeni legati all’espansione urbana, all’avanzamento ed arretramento dell’area agricola, del bosco e del pascolo, ma anche di valutare ampie tendenze demografiche e la relazione fra rete stradale ed il traffico. Con ciò si pone il PTC nella condizione di in-dividuare fenomeni di grande peso anche nella loro gestione paesaggistica, che viene definita dalla “Carta di regola del territorio” dove l’interpretazione della Carta del Paesaggio del PUP, diventa progetto del nuovo paesaggio della Comunità.

La Carta del Paesaggio della Comunità, qui esemplificata sperimental-mente, riporta in sintesi l’analisi storica, indicando le tendenze di espansio-ne degli abitati, con i fronti e gli assi di sviluppo, ma anche le fluttuazioni storiche del manto forestale, segnalando pure i pregi individuati nelle aree agricole.

Figura 4: Carta del Paesaggio della Comunità di Pergine Bersntol.

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Figura 5: in cartografia di base Ortofoto (le parti scure rappresentano l’avanzamento del bosco negli ultimi decenni nei pressi di Viarago).

Una delle problematiche più sentite relativa alla gestione delle risorse fo-restali riguarda il progressivo avanzamento del bosco. Si diffonde spesso in seguito alla mancata cura del territorio, all’abbandono delle attività tradizio-nali o alla difficoltà di gestione connesse all’eccessiva frammentazione delle proprietà. Diretta conseguenza è la perdita delle zone a prato e dei pascoli. Il reale pericolo è legato alla mancata manutenzione del bosco, ed è da con-servare proprio la “cultura del bosco”, nel quale la popolazione si identifica. Secondo molti esperti locali intervistati, occorrerebbe un sistema normativo più elastico e una gestione più condivisa della risorsa (le Asuc vengono apprezzate per la loro gestione, ma spesso non si relazionano con gli altri soggetti del territorio). Dato che il bosco subentrato in seguito all’abbandono risulta meno pregiato per la qualità del legname, sarebbero necessari criteri e regole in grado di facilitare il taglio degli alberi. Bisognerebbe distinguere tra bosco subentrato e non, conservando il bosco di pregio e tendenzialmente quello storico quale fondamentale risorsa naturale, culturale e ricreativa e per la sicurezza idrogeologica. Seguendo questo ragionamento molti auspicano il ritorno a situazioni di “50-60 anni fa”, ma la corretta individuazione delle linee di demarcazione tra i diversi sistemi, forestale, agricolo, abitato, lungo le quali prevedere fasce cuscinetto (ecotoni) va effettuata.

Va compiuta una verifica sulla loro opportunità e stabilità, con l’atten-zione a non ratificare operazioni a suo tempo errate di spogliazione del ter-

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ritorio. Per rendere il bosco più fruibile ne va migliorata l’accessibilità con sentieri, percorsi riferendosi anche ai pascoli e ai prati. Per quanto riguarda i pascoli vanno integrati se sono insufficienti per lo sviluppo nel settore zo-otecnico. Molti prati attorno agli abitati sono scomparsi e data la difficoltà che i proprietari manifestano nel concedere terreni agli allevatori, nonostante alcune buone pratiche di consorzi che riescono a riqualificare intere aree, vanno individuate sinergie apposite, legando per esempio i pascoli al turi-smo, favorendo la nascita di fattorie didattiche, dare premi a chi recupera i pascoli tramite la zootecnia.

Pregi dell’area agricola e Carta del Paesaggio

L’area agricola di pregio va riconosciuta e individuata con i valori che possiede, quindi anche per l’effetto panoramico delle infrastrutturazioni, che può provenire da suggestivi disegni del suolo come quelli regolari delle centuriazioni romane, oppure dalla realizzazione di sistemi importanti di murature a sostegno dei versanti.

Figura 6: l’Identità del territorio in gran parte discende da come le aree agricole, quali prodotto storico della cultura materiale locale, hanno mantenuto integralmente o meno, la struttura fisica e funzionale degli assetti tradizionali, o da come hanno potuto assorbire organicamente, il portato delle nuove tecnologie agricole, meccanizzazione, riorganizzazione fondiaria, nuove tecniche di coltivazione e irrigazione.

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Figure 7 e 8: le murature oggi possono essere individuate e misurate anche sotto la vegetazione, usando il rilievo al suolo della carta Lidar, evidenziando e misurando le ombre virtuali, come si è fatto per quelle cartografate.

Non va ignorato d’altra parte il valore e l’effetto paesistico specifico delle coltivazioni, che spesso è legato a un considerevole valore economico I terrazzamenti in Valle di Cembra sono un esempio di gigantesca trasforma-zione omogenea che definisce l’identità del territorio con ampie opportunità di sostenerne il futuro.

La carta di regola del territorio per pianificare l’evoluzione del paesaggio.

È necessario proporre un quadro coordinato di misure a respiro territoria-le, che nel loro complesso, inserite nei piani, disegnino la futura immagine del territorio. È fondamentale interpretare adeguatamente i valori del pae-saggio percepiti dalla popolazione, proponendo nell’ambiente l’equilibrata evoluzione sostenibile dell’identità del territorio della comunità. I valori e gli assetti da conservare e perseguire, descritti nella “Carta del Paesaggio della Comunità” trovano diretta corrispondenza nella “Carta di Regola del territo-rio” che inquadra, come regola generale, le buone pratiche paesaggistiche e, a complemento, propone azioni di evoluzione paesistica del territorio come forme di tutela attiva del territorio.

Si usano ragioni paesistiche per concatenare gli elementi delle reti cul-turali e naturali, rafforzandole e riorganizzandole. Si elaborano logiche di contesto in cui sia sensato consolidare anche in norma le buone pratiche di gestione ed utilizzare indirizzi e criteri per garantire nella pianificazione l’integrità figurativa dei sistemi di paesaggio, dei quali la carta definisce e riqualifica i bordi. L’introduzione dei programmi di coordinamento paesisti-

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co costituisce il meccanismo più palese di tutela attiva contenuto nella carta di regola, mentre la ricerca del carattere dei luoghi integra le strategie per consolidare l’identità del territorio e i suoi legami con la popolazione. Va anche ricondotta per prassi a compatibilità paesistica la eventuale presenza di elementi incoerenti perché le loro tipologia, immagine o funzione sono contraddittorie con le qualità del paesaggio.

Figura 9: obiettivi generali della carta di regola del territorio sono il contenimento del “consumo di suolo”, rendere compatibili gli elementi con caratteri diversi, integrando gli elementi del paesaggio, definendo i limiti dell’insediamento edilizio, valorizzandone l’identità storica del territorio.

Criteri generali per i sistemi di paesaggio alpino, boscato, agricolo.

A titolo di promemoria è opportuno riportare i criteri confermati anche nel corso della ricerca sperimentale territoriale e antropologica nell’area campione. È fondamentale tenere presente che le aree alpine devono man-tenere elevati indici di naturalità. Per risparmiare equilibri che comportano qualità paesistica e integrità territoriale è, inoltre, necessario raccordare ac-curatamente boschi, boschi alberati e pascoli anche allo scopo di raggiungere la massa critica sufficiente a sostenere un sistema ambientale molto fragile.

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Attraverso l’attenzione all’inserimento paesistico va mantenuta e migliorata la qualità tipologica degli elementi e manufatti presenti e controllata la tra-sformazione in atto nel sistema complesso di paesaggio alpino. Limitando anche l’introduzione di elementi estranei.

È essenziale il rispetto tipologico e panoramico di:– elementi di pregio di natura geologica;– tipologie dei suoli;– percorsi alpini;– strutture di servizio principali, come malghe e rifugi anche per il loro

valore identitario.

Criteri per l’area boscata:può mantenere equilibrio, continuità e integrità territoriale, se articola

sapienti raccordi fra foresta, radure, enclave di particolare valore ecologico, boschi di pregio ecc. Sono da valutare con molta attenzione le loro fasce di confine e il disegno del loro limite, specie verso le aree agricole, per con-trollare eventuali conflitti, e curare che rientrino nell’area forestale stabile, boschi che nell’ultimo secolo si siano estesi nuovamente su suoli marginali per l’agricoltura. Va invece offerta l’opzione agricola per terreni che hanno subito il semplice abbandono, con recupero secondo logiche suggerite dal corpo forestale. Sono pure da recuperare, rispettandone le qualità, i manufatti e le conformazioni del sistema complesso di paesaggio forestale e quindi vanno valorizzati e regolati:– qualità della relazione del bosco con abitati, aree umide, infrastrutture,

pascoli, e coerenza dei confini;– limite dei boschi di pregio privilegiando: “Protezione del territorio, ra-

rità delle essenze, capacità produttiva, biodiversità, età delle foreste, e utilizzando criteri di carattere paesaggistico per garantire la continuità del disegno complessivo delle aree boscate. Va comunque considerata, almeno indicativamente, ma potrà variare in base alle caratteristiche delle singole aree montane, la quota 1600 mslm come linea sopra la quale va mantenuta la massima attenzione naturalistica;

– radure, ed estensioni agricole, di recente riforestate, valutandone anche il ripristino funzionale e paesistico;

– fasce con ecotoni di contatto fra aree boscate e le confinanti unità paesag-gistiche;

– mitigazioni paesistiche di elementi le cui tipologie, immagini o funzioni siano contraddittore con le qualità del paesaggio di interesse forestale.Il bosco dovrà essere conservato anche come patrimonio della memoria e

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della tradizione. Con le “buone pratiche tradizionali” di gestione e riscopren-do il suo valore, non solo economico, ma culturale e simbolico È opportuno riadattare tali pratiche per renderle compatibili con il mutevole quadro socio-economico e sostenibili ecologicamente. Ciò rafforzerebbe l’attaccamento della popolazione al proprio patrimonio naturale e al paesaggio alpino in genere.

Gli esperti, gli amministratori locali e la popolazione riconoscendo l’im-portante ruolo di protezione del bosco, concorreranno a decidere se contra-stare o assecondare il suo avanzamento o arretramento nell’area agricola o nel pascolo alpino.

Viene ricalibrato il ruolo nel paesaggio dell’area boscata, dove si rico-noscono formazioni vegetali di interesse panoramico e strutture, manufatti ed eventi di grande qualità. Si può sottolineare il rapporto con i pascoli, gli abitati, la rete idrica e le infrastrutture e localizzare le radure, ma anche aggiungere boschi con elevato effetto di continuità panoramica lungo le sponde dei laghi, sui fianchi di rilievi, a corollario di strutture monumentali come castelli, torri, pievi, conventi o altro. Si può anche incoraggiare la fre-quentazione del bosco usando come leva qualità pregiate come il castagno, oppure l’interesse verso i monumenti forestali che, per età, carattere, forma, collocazione, hanno grande interesse botanico, ma sono anche segni molto importanti nel paesaggio locale.

Criteri per l’area agricola:è soggetta a trasformazioni sostanzialmente irreversibili con un processo

di consunzione da considerarsi negativo. La regola principale è quindi evi-tarne la diminuzione in particolare per quelle di pregio, che nel piano non possono essere ridotte per dimensioni e qualità tutt’al più compensate. Si devono individuare i caratteri specifici del loro pregio riportandoli in car-tografia, verificando anche se esistano i presupposti dell’ampliamento. Per valorizzarle è essenziale favorire tipologie aziendali e attività colturali che risultino favorevoli alla sostenibilità ambientale. Per sottolinearne il valore paesistico è importante mantenere l’impronta dell’agricoltura sul paesaggio prodotta da:– aziende unitarie, con logiche localizzative non invasive e aggregazione

degli elementi accessori, specie se la produzione agricola preveda strut-ture e volumi;

– colture tipiche con caratteristiche trasformazioni del suolo e assetti di bonifica antichi o recenti, su conoide o in piano e, soprattutto, opere di sostegno e rimodellamento delle terre con sistemi di murature o rampe

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da riconoscere come strutture che aggiungono valore paesistico e tecno-logico.

Rafforzare le reti a valore “identitario”:la natura di beni culturali, artistici, storici, archeologici e antropografici

di questi elementi, di cui buona parte sono vincolati per il loro intrinseco valore, non è sufficiente, nella maggioranza dei casi, a conferire loro quella rilevanza in base alla quale potranno assumere una funzione trainante per l’identità dei luoghi e la qualità dell’immagine insediativa e territoriale. Per dare loro il rilievo urbanistico che meritano si suggerisce quindi di garantire nel piano luoghi urbani e insediativi corrispondenti ai principi di:– continuità con spazi pedonali oppure viabilità tradizionali dedicate che li

colleghino;– funzionalità, puntando a mantenerne la funzione: fontana, ponte, giardino

storico;– riqualificazione per garantire la complessiva cura del sistema;– sinergia interattiva di elementi in più reti, edicola storica, mulino, seghe-

ria, stagno.

Rafforzare reti di elementi naturalistici:Beni “Natura2000”, parchi naturali, riserve, parchi fluviali e biotopi costi-

tuiscono un insieme di tutto rilievo in Trentino, ma vanno aiutati a mantenere la “massa critica” e a sviluppare una presenza meno provvisoria e fragile. È necessario promuovere corridoi ecologici per lo sviluppo e la diffusione di molte specie, istituire reti solide di elementi naturali e, al fine di rispettare e valorizzare il patrimonio naturale, incorporare, anche nei PRG, i criteri di:– compatibilità esterna, evitando realtà inquinanti o di disturbo vicine ai

beni naturali;– corridoi ecologici fra diversi elementi per la biodiversità, in particolare

lungo le vie d’acqua;– riqualificazione ambientale ecocompatibile delle aree circostanti;– sostenere le buone pratiche per sistemi ed elementi del paesaggio.

Caratteri, identità, potenzialità entro il rinnovamento paesistico

Parte fondamentale delle regole che la Comunità deve necessariamente darsi per valorizzare il paesaggio è rivolta alla identità dei luoghi e alle attività, abitudini e aspirazioni della gente che li abita. Per facilitarne la

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formulazione è utile la lettura paesaggistica delle risorse del territorio già riconosciute nella “Carta del Paesaggio”, garantendo il trattamento appro-priato agli elementi e alle aree di interesse paesaggistico sia per gli aspetti panoramici che per la loro proficua gestione e, nella logica di sostenibilità, il loro mantenimento e miglioramento complessivo.

Su queste basi potrà essere confrontato lo stato del paesaggio, misurando-ne ex ante, in itinere ed ex post, la rispondenza a quanto previsto nel progetto di paesaggio, che porrà specifici obiettivi di tutela attiva.

Si tratta quindi di contrassegnare gli elementi che presentano riconosciu-te qualità paesaggistiche e ambientali, individuarne l’importanza e il ruolo anche nell’assetto panoramico, ma soprattutto sia nella rete specifica a cui appartengono sia nel complesso delle reti ambientali culturali, storiche e antropografiche che sono l’ossatura paesistica dell’insediamento e che sono determinanti nella lettura della sua forma.

La parte più insediata del territorio va studiata per individuare quali criteri paesaggistici guideranno le rielaborazioni del tessuto urbano nel comples-sivo ciclo edilizio e infrastrutturale. Sarà, inoltre, fondamentale studiarla altresì per indicare dove sia opportuno accentuare il ruolo del complesso si-stema del verde urbano che, con le sue sottoclassi, costituisce un’opportunità di integrazione ambientale da non trascurare per la gradevolezza paesistica e la qualità ambientale dei luoghi.

La ricerca antropologica e la partecipazione degli abitanti in relazione al paesaggio

Molti argomenti trattati fino a questo punto presuppongono l’affianca-mento di tecniche di analisi socio–antropologiche, come per esempio la messa a punto della ricerca SWOT, oppure l’individuazione delle buone pratiche. Uno dei punti centrali dell’apporto dell’antropologia è, tuttavia, la lettura delle relazioni specifiche fra la popolazione con gli interessi diversi a cui per gruppi si indirizza e i luoghi in cui il territorio si articola.

Vanno riconosciute le relazioni positive che la popolazione ha elaborato con i luoghi della memoria, della cultura, dell’aggregazione sociale, del lavoro e dell’innovazione. Per i contenuti a valenza antropologica vanno sondate consapevolezza e sensibilità della popolazione e va ascoltata l’opi-nione delle categorie, sulle misure proposte nelle fasi preliminari del piano. Questa operazione di partecipazione e ascolto riguarda l’assetto generale del progetto anche ai fini paesistici, verificando però anche la percezione

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della qualità di progetti relativi ad arredo urbano, e territoriale. L’indagine riguarda l’intero territorio perché, anche nell’ambiente aperto, devono essere calibrati e caratterizzati gli interventi, adeguandoli ai contenuti identitari del processo locale che trasforma la cultura materiale.

Introdurre il paesaggio al centro della pianificazione territoriale

Sono state individuate due procedure, complementari entrambe in una logica qualitativa:1. la prima, comunque necessaria sulla generalità del territorio, è la messa a

registro, area per area, dell’insieme di criteri e raccomandazioni generali che, per quanto riguarda le aree agricole, forestali e montane sono state accennate e costituisce un faticoso confronto fra regole proposte, risultati attesi e tempi concreti di risposta;

2. la seconda è basata sulla realizzazione del progetto di un nuovo paesaggio socialmente condiviso, quando l’assetto finale a cui si tende preveda, al-meno in parte, azioni che richiedano adeguato incanalamento e opportuno coordinamento sia per l’ampiezza degli obiettivi posti che per la com-plessità organizzativa, giuridica e logistico–temporale che prospettano. Di fatto si tratta di proporre programmi di coordinamento paesistico con obiettivi strategici da attuare a medio lungo termine.Si può esemplificare la seconda procedura utilizzando parzialmente

quanto emerso nella sperimentazione in cui i programmi di coordinamento proposti sono basati anche su attente ricerche antropologiche che interpreta-no interviste incontri e focus groups.

Definizione dei confini del territorio costruito

La definizione dei confini del territorio costruito costituisce una proble-matica generale, fortemente legata alle qualità figurative e ambientali del territorio e del tessuto insediativo. Essa è nel suo complesso molto articolata e richiede, pertanto, l’attuazione di un programma di coordinamento paesi-stico.

Nella carta di regola si definiscono il carattere e la dimensione dei confini entro cui si sviluppano gli abitati. Solo dove il processo di crescita rende provvisori questi limiti si può evitare di pensarli come la pelle esterna di un organismo. Negli altri casi devono possedere permeabilità ai flussi fi-

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siologici e la capacità di bloccare gli influssi tendenzialmente patologici, come l’inquinamento. Devono garantire opportuni scorci visuali, ma non prevalere sulle qualità degli spazi esterni, agricoli o naturali. In generale vi si valorizzano i fronti di pregio, elementi architettonici e paesistici gradevoli e principalmente va innalzata la qualità urbana migliorando il microclima delle singole porzioni dell’abitato.

Figura 10: cintura verde attrezzata e stabile di protezione attorno agli abitati, ma anche di raccordo con gli spazi aperti.

L’esempio riguarda la tipologia di “cintura verde” per attrezzare con percorsi alternativi, ed affiancare con un parco lineare aree periferiche sog-gette ad inquinamento acustico e chimico, proveniente da viabilità esterna di grande comunicazione in aperta campagna.

Programma di coordinamento paesistico per la riorganizzazione delle serre a Baselga di Piné

La ricerca antropologica ha rivelato e circostanziato un crescente conflitto fra la presenza di serre lungo il perimetro del lago presso l’abitato e l’attività turistica per motivi di inquinamento, sottrazione di spazi utili, interferenza nelle visuali panoramiche determinanti. Gli esperti intervistati hanno sugge-rito di trovare soluzioni alternative di localizzazione, facendo riferimento ad un accordo già avvenuto e giunto a buon fine, relativo allo spostamento di

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una serra che aveva determinato analoghe problematiche presso la frazione di Sternigo.

Si è quindi impostato un programma di coordinamento con lo scopo di ri-qualificare quel territorio a fini paesistici, individuando tre distinte soluzioni che comportano impegni territoriali e temporali molto diversi, in modo che la partecipazione alle scelte, non avesse ruoli marginali. Prima di ciò è stata fatta un’analisi critica-territoriale del problema, con un censimento globale delle serre nel comune, e con la lettura dell’impatto visuale che quelle par-ticolarmente esposte comportavano. Poi sono state prodotte tre planimetrie con cui si è in grado di testare la volontà, al riguardo, della popolazione. Fase da affrontare durante la messa a punto del Piano Territoriale della Comunità.

Figura 11: nella planimetria sono individuate le serre che a Miola occupano completamente l’area prativa sulla testata del lungolago a Baselga di Pinè. Il problema è concreto in quanto quell’uso dello spazio confligge con le necessità di destinare quel tratto della riva del lago ad attività più legate alla presenza delle attività sportive, lacustri e turistiche.

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Studio della visibilità dei sistemi di serre

Figura 12: lo studio cartografico computerizzato ha dimostrato che sostanzialmente tutta l’area lacustre e ampie porzioni delle aree più frequentate del territorio di Baselga di Pinésono interessate dall’interferenza panoramica prodotta dalla presenza delle serre.

Soluzione di minimo intervento territoriale

Figura 13: la proposta di minima prevede il semplice allontanamento delle serre più prossime alla riva, la schermatura vegetale delle rimanenti, la disposizione delle serre spostate, a ventaglio lungo conoide di deiezione, e la schermatura del piccolo nucleo al vertice del conoide.

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Soluzione di media dimensione territoriale

Figura 14: la proposta di medio impatto prevede il complessivo spostamento delle serre esposte, concentrandole in un’area dove la loro presenza è frequente, si provvede a schermare l’area con una consistente fascia ecotonale che permetterebbe di incrementare le superfici utili, entro margini di compatibilità paesaggistica.

Soluzione di ampia dimensione territoriale

Figura 15: la proposta di ampia dimensione territoriale prevede lo spostamento di tutte le serre pro-blematiche in area predisposta anche per funzioni connesse e con la previsione di utilizzare l’area delle cave di porfido, una volta dismesse per ampliare la disponibilità e sviluppare il comparto e le filiere collegate.

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Programma di coordinamento paesistico per la riapertura dei terreni agricoli attorno a Vignola Falesina. Ricostruire il limite dell’area boscata

L’analisi territoriale e la ricerca antropologica hanno evidenziato come gli abitati di Vignola e Falesina fossero penalizzati dall’eccessivo avanza-mento del bosco verso le strutture abitate; sono pertanto state predisposte tre soluzioni di diversa dimensione, evidenziando ambiti di programma che potessero essere o di nucleo o di comune oppure intercomunali in base alla dimensione territoriale che sarebbe risultata preferibile nel piano dopo una specifica partecipazione della popolazione alle scelte.

È stata, così, individuata una tipologia di riferimento per la ricostruzione del confine del bosco, tenendo conto del tipo di vegetazione da utilizzare.

Figure 16 e 17: la fascia ecotonale al bordo dell’area boscata è un tessuto ampio che migliora la biodiversità e fornisce all’ambiente locale, ampie disponibilità d’uso e funge da cuscinetto ecologico verso il bosco incorporando anche funzioni agricole tradizionali ora abbandonate.

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Programmi di coordinamento paesistico per le frazioni di Vignola e Falesina

Figura 18: il confine dei piani di coordinamento paesistico ne contermina l’operatività progettuale nel diretto intorno dei nuclei prefigurando procedure snelle ed a tempi brevi.

Programma di coordinamento paesistico per il comune di Vignola - Falesina

Figura 19: il confine del piano di coordinamento paesistico ne contermina l’operatività progettuale nella fascia territoriale che comprende entrambi i nuclei abitati, dando spazio anche a progettazioni di integrazione urbanistica sostanzialmente non edilizia fra gli abitati.

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Programma di coordinamento paesistico intercomunale a Vignola - Falesina

Figura 20: il confine del piano di coordinamento paesistico ne contermina l’operatività progettuale nella fascia territoriale che comprende sia i nuclei abitati di Vignola – Falesina sia territorio di un ulteriore comune dando spazio anche a progettazioni di integrazione urbanistica sostanzialmente non edilizia, fra gli abitati, ma anche ad una eventuale organizzazione agricola con riflessi territoriali ampi, anche sotto il profilo economico.

Programma di coordinamento paesistico di “recupero area agricola colle di Tenna ”

L’analisi territoriale e la ricerca antropologica hanno evidenziato come il colle di Tenna fosse in uno stato di progressivo abbandono relativamente ai tradizionali usi agricoli. Sono stati segnalati elementi che avrebbero potuto sostenere adeguatamente delle sinergie per il recupero di quella fascia di territorio. Dopo un’analisi dei manufatti presenti, quali un forte della prima guerra mondiale e una chiesetta in ottima posizione panoramica, si è verifi-cata l’interesse relativo al rifacimento di sentieri tematici. Dopo un controllo degli strumenti di pianificazione si è così avviato un sistema di ambiti di progetto di dimensione variabile e incrementale. Una “mappa di comunità” sarebbe lo strumento adatto di partecipazione per aprire la procedura di in-serimento nel PTC.

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Figura 21: il colle di Tenna; è visibile l’interferenza dell’area boscata rispetto alla regolarità delle coltivazioni storiche.

Figura 22: assetto del territorio in base alla cartografia: “uso del suolo urbanizzato”.

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Figura 23: percorsi tematici potenziali sul colle.

Figura 24: individuazione delle colture storiche più rilevanti e degli elementi monumentali.

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Figura 25: esempio di valutazione relativa alle esposizioni panoramiche per gli elementi territoriale di interesse paesistico, come sono il forte Werk e la chiesa sul colle di Tenna.

In sintesi, dunque, con questo tipo di valutazione degli aspetti panoramici, collegati con la presenza di manufatti o luoghi particolari nell’ambiente aperto, cosa che riguarda prioritariamente le aree agricole e montane, si cerca di definire una rete di relazioni visuali, attraverso cui si possono mettere a fuoco criteri per la riconoscibilità dei luoghi. In questi grafici è possibile leggere i tratti di strada panoramica interessati e le potenzialità di visuale offerti da costruzioni a carattere monumentale, come chiese, castelli, ponti, masi malghe o altro; si tratta di elementi paesaggistici di cui può essere sottolineata l’immagine, ripristinandone la visibilità, ove occorra. Occorre far riemergere, per quanto ragionevolmente possibile, il disegno di relazioni visuali identitarie che governa la logica delle immagini panoramiche del territorio.

finito di stampare nel mese di novembre 2012da litografia Stampalith