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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2052 del 2012, proposto dalla società Novasol Calabria s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Elisa Saldutti e Sergio Starace, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via XX Settembre n. 5; contro Regione Calabria, in persona del presidente pro tempore, non costituita; per la riforma della sentenza del T.a.r. per la Calabria – Catanzaro - Sezione I, n. 1083 del 27 luglio 2011. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa;

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R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2052 del 2012, proposto dalla società Novasol Calabria s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Elisa Saldutti e Sergio Starace, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via XX Settembre n. 5;

controRegione Calabria, in persona del presidente pro tempore, non costituita; 

per la riformadella sentenza del T.a.r. per la Calabria – Catanzaro - Sezione I, n. 1083 del 27 luglio 2011.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 giugno 2013 il consigliere Vito Poli e udito per la parte appellante l’avvocato Sticchi Damiani su delega dell’avvocato Starace;

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Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO1. La società Novasol Calabria s.r.l. (in prosieguo Novasol) nell’aprile del 2010 ha presentato alla regione Calabria, a mente dell’art. 12, d.lgs. n. 387 del 2003, una istanza di autorizzazione unica per l’installazione, nel comune di Cassano allo Ionio, di un impianto energetico da fonti rinnovabili denominato “Piantata 1/a”.1.1. Nella perdurante inerzia della regione, la società Novasol ha adito il T.a.r. per la Calabria chiedendo:a) l’accertamento della illegittimità del silenzio serbato dalla regione;b) la condanna della regione al rilascio dell’autorizzazione, previa convocazione di apposita conferenza di servizi;c) la nomina del commissario ad acta;d) la condanna della regione al risarcimento dei seguenti danni, con riserva di quantificarne gli importi in corso di causa anche mediante c.t.u.: danno da “rischio amministrativo”; danni derivanti dai costi connessi alla progettazione ed all’attivazione delle procedure amministrative; danno derivante dalle risorse finanziarie immobilizzate in vista della realizzazione della infrastruttura energetica; aggravamento delle condizioni di esercizio dell’impianto energetico, dovute al sopraggiungere di nuove normative e disposizioni dell’Autorità regolatoria; danno da perdita di chance consistente nella impossibilità di beneficiare dei migliori incentivi erogati dalla

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mano pubblica per lo sviluppo delle energie rinnovabili; danno da mancata produzione del reddito di impresa.Giova fin da ora precisare che al ricorso di primo grado non è stato allegato alcun documento attestante, in tutto o in parte, quanto affermato in punto di danno nel ricorso medesimo (essendosi limitata l’impresa a depositare copia dell’istanza di autorizzazione); né sono state indicate circostanze di fatto specifiche, corroborate da conteggi analitici o perizie estimative di parte.2. L’impugnata sentenza - T.a.r. per la Calabria – Catanzaro - Sezione I, n. 1083 del 27 luglio 2011 -:a) ha accertato l’illegittimità del silenzio serbato dalla regione;b) ha ordinato all’amministrazione di adottare tutti i provvedimenti necessari per concludere il procedimento nel termine di 180 giorni decorrente dalla comunicazione o notificazione della sentenza;c) ha riservato la nomina del commissario ad acta;d) ha escluso di poter condannare l’amministrazione al rilascio del provvedimento agognato;e) ha respinto la domanda risarcitoria stante la sua genericità e la mancata dimostrazione della colpa dell’amministrazione;f) ha compensato fra le parti le spese di lite.3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la società Novasol ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, di cui ha chiesto l’annullamento con rinvio al T.a.r., lamentando:

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a) con il primo motivo (pagine 2 – 5 dell’atto di gravame), l’erroneità della statuizione di rigetto della domanda risarcitoria, in relazione agli artt. 117, 30 e 31 c.p.a.; si sostiene di aver soddisfatto l’onere minimo allegatorio sia in ordine alla sussistenza dei danni che in relazione alla colpa dell’amministrazione; si deduce, nella sostanza, da un lato che il danno da ritardo è in re ipsa (e come tale deve essere liquidato dal giudice), dall’altro, l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha pronunciato sulla domanda di risarcimento del danno secondo il rito della camera di consiglio;b) con il secondo motivo (pagina 5 dell’atto di gravame), l’errore del giudice di primo grado nell’aver concesso all’amministrazione un termine di 180 giorni per provvedere.4. Con sentenza non definitiva n. 3844 del 2 luglio 2012, la Sezione:a) ha respinto il mezzo di gravame incentrato sulla contestazione del termine di 180 giorni concesso dal T.a.r.;b) ha disposto, ai sensi dell’art. 117, co. 6, c.p.a., la trattazione della domanda risarcitoria con il rito ordinario rinviando all’uopo all’udienza pubblica del 14 dicembre 2012, con ciò implicitamente ricusando la richiesta di annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza non sussistendo i presupposti di cui al combinato disposto degli artt. 105, co. 1, e 117, co. 6, c.p.a..5. Con ordinanza istruttoria n. 6522 del 19 dicembre 2012 è stata disposta l’acquisizione, a cura della regione appellata, di

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una documentata relazione concernente gli esiti della procedura autorizzatoria per cui è causa.6. All’udienza pubblica dell’11 giugno 2013 la causa è stata assunta in decisione.7. L’appello è infondato e deve essere respinto.8. Residua, in questa sede, l’esame del mezzo di gravame che ha riproposto la domanda risarcitoria articolata in primo grado.8.1. Circa la consistenza dell’onere probatorio che incombe sulla parte che propone domanda di risarcimento del danno davanti al giudice amministrativo, nonché in ordine alla natura giuridica ed agli elementi costitutivi della responsabilità dell’amministrazione per la lesione di interessi procedimentali, incluso il ritardo nell’attivazione e conclusione del procedimento amministrativo, il collegio non intende decampare dai principi elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio e della Corte di cassazione cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. (cfr. ex plurimis e da ultimo, Cass., sez. un., 23 marzo 2011, n. 6594; Cons. Stato, ad. plen., 19 aprile 2013, n. 7; sez. V, 12 giugno 2012, n. 1441; sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2974; sez. IV, 2 aprile 2012, n. 1957; sez. III, 30 maggio 2012, n. 3245; sez. V, 21 marzo 2011, n. 1739; sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271; Cons. giust. amm., 24 ottobre 2011, n. 684; sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8291), in forza dei quali:a) nel giudizio risarcitorio che si svolge davanti al giudice amministrativo, nel rispetto del principio

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generale sancito dal combinato disposto degli artt. 2697 c.c. (secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda) e 63, co. 1 e 64, co. 1, c.p.a. (secondo cui l’onere della prova grava sulle parti che devono fornire i relativi elementi di fatto di cui hanno la piena disponibilità), non può avere ingresso il c.d. metodo acquisitivo tipico del processo impugnatorio; pertanto, il ricorrente che chiede il risarcimento del danno da cattivo (o omesso) esercizio della funzione pubblica, deve fornire la prova dei fatti base costitutivi della domanda;b) la qualificazione del danno da illecito provvedimentale rientra nello schema della responsabilità extra contrattuale disciplinata dall’art. 2043 c.c.; conseguentemente, per accedere alla tutela è indispensabile, ancorché non sufficiente, che l’interesse legittimo sia stato leso da un provvedimento (o da comportamento) illegittimo dell’amministrazione reso nell’esplicazione (o nell’inerzia) di una funzione pubblica e la lesione deve incidere sul bene della vita finale, che funge da sostrato materiale dell’interesse legittimo e che non consente di configurare la tutela degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative o dei ritardi procedimentali, salvo quanto si dirà in prosieguo in ordine alla norma sancita dall’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 (secondo cui le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al

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risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento);c) la prova dell’esistenza del danno deve intervenire all’esito di una verifica del caso concreto che faccia concludere per la sua certezza la quale a sua volta presuppone: l’esistenza di una posizione giuridica sostanziale; l’esistenza di una lesione che è configurabile (oltre ché nell’ovvia evidenza fattuale) anche allorquando vi sia una rilevante probabilità di risultato utile frustrata dall’agire (o dall’inerzia) illegittima della p.a.;d) i doveri di solidarietà sociale che traggono fondamento dall’art. 2 Cost., impongono di valutare complessivamente la condotta tenuta dalle parti private nei confronti della p.a. in funzione dell’obbligo di prevenire o attenuare quanto più possibile le conseguenze negative scaturenti dall’esercizio della funzione pubblica o da condotte ad essa ricollegabili in via immediata e diretta; questo vaglio ridonda anche in relazione all’individuazione, in concreto, dei presupposti per l’esercizio dell’azione risarcitoria, onde evitare che situazioni pregiudizievoli prevenibili o evitabili con l’esercizio della normale diligenza si scarichino in modo improprio sulla collettività in generale e sulla finanza pubblica in particolare;e) la norma sancita dall’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 richiama (ed è sussumibile nello) schema fondamentale

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dell’art. 2043 c.c.; tale norma riconosce che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e rafforza la tutela risarcitoria nei confronti dei ritardi della p.a., stabilendo che le p.a. siano tenute al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento; si riconosce che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica; in questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell’aumento del c.d. «rischio amministrativo» e, quindi, spetta il risarcimento del danno da ritardo a condizione ovviamente che tale danno sussista, sia ingiusto (ovvero incida su un interesse materiale sottostante), venga provato e sia escluso che vi sia stato il concorso del fatto colposo del creditore ex art. 1227 c.c.;f) conseguentemente, in relazione ai danni da mancato tempestivo esercizio dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del pregiudizio, specie perché ha natura patrimoniale, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo in quanto surroga l’onere di allegazione dei fatti; e se anche può ammettersi il ricorso alle

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presunzioni semplici per fornire la prova dell’esistenza del danno e della sua entità, è comunque ineludibile l’obbligo di allegare circostanze di fatto precise e, quando il soggetto onerato di tale allegazione non vi adempie, non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno a norma dell’art. 1226 c.c. perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito, né può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato.8.2. Facendo applicazione dei su esposti principi al caso di specie, è sufficiente osservare che la società ricorrente non ha soddisfatto l’onere di allegare in primo grado (ma neppure in appello, ancorché sarebbe incorsa nella violazione del divieto dei nova sancito dall’art. 104, co. 1, c.p.a., la cui portata si estende anche ai motivi di fatto nuovi, cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 17 settembre 2012, n. 4911; Sez. V, 30 giugno 2011, n. 3913) adeguati e puntuali elementi di fatto idonei a sostenere quantomeno la prova presuntiva in ordine alla esistenza del danno e, tantomeno, ne ha provato l’entità.9. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni è giocoforza respingere integralmente l’appello proposto dalla società Novasol e confermare l’impugnata sentenza.10. Nulla sulle spese di giudizio non essendosi costituita l’intimata regione.

P.Q.M.

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Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.Nulla sulle spese del presente grado di giudizio.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, PresidenteVito Poli, Consigliere, EstensoreFrancesco Caringella, ConsigliereCarlo Saltelli, ConsigliereLuigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

  

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE     

DEPOSITATA IN SEGRETERIAIl 21/06/2013

IL SEGRETARIO(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)