Conservazione e fertilità del suolo, cambiamenti climatici...

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"Conservazione e fertilità del suolo, cambiamenti climatici e protezione del paesaggio" CRA-DAF, 10 e 11 dicembre 2008, Roma

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"Conservazione e fertilità del suolo, cambiamenti climatici e protezione del

paesaggio"

CRA-DAF, 10 e 11 dicembre 2008, Roma

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II

Indice Introduzione 1 Sessione I Conservazione del Suolo e Monitoraggio del Rischio di Erosione · La prevenzione della degradazione del suolo per una gestione sostenibile. 2 · Erosione del suolo in relazione alla redazione dei Piani di Gestione degli Invasi

(Decreto MATTM 30/6/04 in attuazione del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152). Il modello FLORENCE e l’Atlante Italiano della Produzione di Sedimenti dai Bacini Idrografici. Presentazione di nuove metodiche di rilievo dell’interrimento degli invasi. 3

· Tecnologie innovative per la gestione conservativa del terreno e dell’ambiente agrario. I 10

· Tecnologie innovative per la gestione conservativa del terreno e dell’ambiente agrario. II 10

· Verso un’agricoltura conservativa a tempo pieno: innovazioni agronomiche e loro gestione. 12

· Impiego di metodi micrometeorologici avanzati per lo studio dei flussi di vapor acqueo, anidride carbonica e ammoniaca nel sistema suolo-pianta-atmosfera 14

· La geomatica a supporto del monitoraggio e della pianificazione territoriale agro-forestale. 15

Posters · Le funzioni didattiche del suolo e l’importanza della divulgazione 18 · Spazializzazione dei dati pedologici: la stima del contenuto di sostanza

organica nei suoli. 19 · Applicazione della metodologia ARP (Automatic Resistivity Profiling) nella

viticoltura di precisione ai fini della caratterizzazione pedologica e qualitativa a scala aziendale 21

· Identificazione di aree a rischio di erosione a partire da evidenze di campo e con l’utilizzo di tecniche di interpolazione geostatistica 22

· La banca dati geografica dei sistemi pedologici d’Italia 23 · La suscettibilità del suolo al compattamento e alla formazione di superfici

sigillate 25 · Effetto di differenti tecniche di gestione sulle caratteristiche fisiche del suolo 25 · Contributo della coltivazione di specie arboree da biomassa in clima caldo

arido alla conservazione dei suoli nell’Italia centro-meridionale 26 · Relazioni tra sistemi di lavorazioni e suolo per un’agricoltura sostenibile 29

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Sessione II Sistemi agroforestali e pianificazione del territorio e del paesaggio · Le formazioni arboree “fuori foresta” nel paesaggio rurale 29 · Riqualificazione ambientale mediante l’impiego di pioppi spontanei. 30 · La gestione selvicolturale delle pinete mediterranee e montane da

rimboschimento. 32 · Il ruolo degli ecosistemi forestali per la qualificazione del paesaggio e la

protezione del suolo: un caso di studio. 33 · ProgettoBosco: un sistema informativo di supporto alla pianificazione forestale

per la gestione integrata del territorio 34 · Interpretazione del sistema naturale complesso multivariato Foreste-Suolo-

Territorio: dall’ approccio statistico classico all’Intelligenza Artificiale; le Reti Neurali. 36

Posters · Impatto dei cambiamenti climatici sulle proprietà chimiche e mineralogiche

dei suoli forestali. 37 · Valutazione delle proprietà idrauliche dei suoli forestali 39 · Vegetazione arborea e siti bioclimatici d’alta quota per lo studio di

cambiamenti climatici in atto di potenziale impatto su suolo e paesaggio. 40 · Ruolo delle rotazioni sulla fertilità dei suoli in sistemi cerealicoli del sud Italia 42 · Recupero paesaggistico e pabulare di due aree disturbate in ambiente

prealpino ed alpino con cultivar adatte e popolazioni autoctone della montagna 44

· Conservazione del suolo e valorizzazione agricola, ambientale e paesaggistica del territorio: il ruolo del Progetto “Inerbimenti e tappeti erbosi” 45

· Un modello di consociazione arborea-erbacea e zootecnia per l'aumento di sostenibilità economica ed ambientale: il caso olivo-asparago-pascolo. 47

Sessione III Fertilità e biodiversità del suolo · Ciclo e bilancio dell’azoto: le funzioni biologiche del suolo 50 · Inoculi di microrganismi rizosferici per l’ottimizzazione dell’utilizzo dei nutrienti

minerali e dell’acqua. 52 · Verso lo studio della metagenomica del suolo 53 · Cambiamenti della comunità batterica funzionale del suolo in sistemi gestionali

da fortemente antropici a naturali 54 · Gli indicatori microbici per lo studio dell’impatto delle azioni antropiche e

climatiche sui suoli agrari. I funghi del suolo. 55 · Un nuovo approccio alla valutazione della fertilità dei suoli: non più la quantità

ma la qualità delle produzioni 57

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IV

Posters · Relazioni suolo-pianta: la razionalizzazione delle pratiche di fertilizzazione 58 · La sostanza organica quale indicatore di qualità del suolo: contributo e

prospettive dell’uso di alcune tecniche chimiche e biochimiche 59 · Effetto sulle popolazioni microbiche rizosferiche di diverse modalità di

concimazione azotata. 62 · Biotecnologie del suolo: studio ed applicazioni della diversità microbica 63 · Influenza della tipologia e dell’utilizzo del suolo sulla biodiversità della comunità

batterica tellurica e sulla sua resilienza. 65 · Messa a punto di un metodo di estrazione e di analisi di mrna da suoli argillosi

per lo studio dell’espressione dei geni legati al processo di denitrificazione biologica. 66

Sessione IV Miglioramento della qualità del suolo · Compostaggio e riciclo di sottoprodotti agroindustriali per sostenere la

produttività agricola e ridurre i processi di desertificazione 68 · Gestione dei residui organici e del suolo: impatto sulle emissioni di gas ad

effetto serra e sul potenziale di sequestro del C 69 · Fattori di variazione del contenuto in carbonio organico dei suoli italiani

nell’ultimo cinquantennio 73 · Attività di ricerca e sperimentazione sulla gestione del suolo e dei reflui oleari 74 · Valutazione delle macchine impiegate nelle tecniche di lavorazione

conservativa dei terreni: richieste energetiche, qualità del lavoro svolto, impatto sulle colture e sulla qualità del suolo 76

· Gestione conservativa dei suoli in agrumeto e qualità delle produzioni 77 Posters · La politica ambientale dell’Unione europea e la strategia tematica del suolo: il

ruolo delle biomasse organiche 79 · Modificazioni nella composizione della sostanza organica in campioni di

terreno incubati a condizioni controllate. 80 · Bioremediation di suoli ed acque contaminati da xenobioti organici. 81 · Effetto di ammendanti organici sulla produzione di piante ornamentali. 82 · Effetti dell’ammendamento sulla sostanza organica di terreni in

avvicendamento colturale nell’area maceratese 83 · Il biocarbone da residui colturali per il sequestro permanente del carbonio e il

miglioramento del suolo 85 · Applicazione di ammendanti organici e strategie agronomiche per il

miglioramento delle funzioni nutritive del suolo 85 · Contributo alla fertilità del suolo dall’apporto di sovesci e farine ad azione

biocida 87 · Miglioramento della fertilità chimica e biologica di suoli agrari mediante la

coltivazione di leguminose da granella e l’inoculazione di rizobi più efficienti nell’ azotofissazione. 88

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V

· Ordinamenti colturali: effetti sulla fertilità agronomica e sostenibilità ambientale delle produzioni agricole 89

· Valutazione e selezione di specie erbacee per inerbimenti agricoli e di recupero ambientale 90

· La profondità dei prelievi di terreno nella concimazione azotata 91 Sessione V Suolo e qualità dei prodotti agroalimentari · Suolo e qualità dei prodotti agroalimentari studiati tramite Risonanza

Magnetica 93 · L’influenza delle caratteristiche fisiche ed idrologiche del suolo sulla qualita’ e

su alcune proprieta’ salutistiche dell’olio vergine di oliva e del vino rosso 94 · Influenza del funzionamento idrologico del pedopaesaggio sul risultato

produttivo e qualitativo della vite 95 · Gestione idrica di vigneti in ambiente vulcanico e valori enologici dell’uva

trasformata. 96 · Qualità del suolo e agricoltura biologica 97 · Contaminazione del suolo da sostanze organoclorurate e qualità delle

produzioni agricole: attività di sperimentazione condotta nel Lazio 97 Posters · Effetti della gestione viticola, sul suolo, sulla qualità dei vini e sul paesaggio 99 · Progetto VOCAVIT: strategie di rilevamento e analisi multivariate non-

parametriche per migliorare la delineazione e caratterizzazione quali-quantitativa di unità di suolo vocate alla vitivinicoltura. 99

· Suolo, biodiversità e prodotti di qualità: il caso del tartufo bianco pregiato (T. magnatum) 100

· Tutela dei prodotti tipici: i casi del pomodorino di Pachino e dell’oliva Itrana di Gaeta 101

· Agricoltura biologica e convenzionale: studio di rotazioni orticole ed evoluzione degli agro-ecosistemi. 103

· La risicoltura in Italia: produzione e territorio 105 · Effetto di trattamenti con compost sulle disponibilità idriche e nutritive dei suoli

vitati e sulla qualità dell’uva. 106 · Effetto dei suoli e della disponibilità idrica sulle risposte eco-fisiologiche e

produttive della vite. 106 · Valutazione agro-pedoclimatica ed economica della coltivazione di lino per la

produzione di seme ad elevato contenuto di acido α-linolenico (ALA), destinato all’alimentazione umana ed alla preparazione di mangimi per animali da alto reddito 107

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Sessione VI Cambiamenti climatici · Processi di land degradation e desertificazione in Italia: impatto del

cambiamento climatico e vulnerabilità del territorio. 108 · Cambiamenti Climatici e Sistemi Produttivi Agricoli e Forestali: Impatto sulle

Riserve di Carbonio e sulla Diversità Microbica del Suolo. Il progetto SOILSINK 109 · Cambiamenti climatici: il ruolo dei suoli forestali nel sequestro di carbonio 111 · Segnali recenti del cambiamento climatico sull’accrescimento del bosco:

risultati dal monitoraggio 113 · Caratterizzazione “geomatica” del continuum sottosuolo-falda-suolo-pianta-

atmosfera 114 · Vulnerabilità e adattamento agronomico dei sistemi colturali ai cambiamenti

climatici dell’Italia meridionale 116 · Applicazione di modelli di calcolo del fabbisogno irriguo sulla base del sistema

suolo-clima-coltura-tecnica e di valutazione del rischio di salinizzazione dei suoli nelle Regioni Meridionali 117

· Verifica della funzionalità di mezzi meccanici per la lotta alla desertificazione 121 Posters · Agroscenari – Scenari di adattamento dell’agricoltura italiana ai cambiamenti

climatici 122 · Utilizzo di EPIC per la simulazione degli effetti dei cambiamenti climatici in

sistemi colturali dell’Italia centrale e meridionale. 123 · Populus nigra L. come caso di studio per la valutazione degli effetti dei

cambiamenti climatici 125 · Cambiamento climatico e apicoltura: impatti sul benessere e sulla

sopravvivenza delle colonie di api 126 Foto di copertina: Lago di Bomba sul fiume Sangro in Abruzzo, foto del Dr. Paolo Bazzoffi CRA-ABP

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Introduzione La scienza della sostenibilità rappresenta la sfida del XXI secolo per la società umana, anche se il concetto di gestione sostenibile ha preso forma già a partire dagli anni ’80 allorché le ricerche bio-ecologiche hanno reso sempre più evidenti i complessi processi che sono alla base del funzionamento degli ecosistemi terrestri così come sempre più manifesto è risultato l’impatto della società umana sulla struttura e la funzionalità degli ecosistemi medesimi. Alla base dell’esigenza di una transizione verso un approccio sostenibile, o durevole, delle relazioni tra uomo e natura vi sono quindi gli avanzamenti delle conoscenze scientifiche che hanno dato forma e sostanza all’approccio ecosistemico per la gestione delle risorse naturali, ovvero del suolo, dell’acqua e della biodiversità; è stato così possibile definire, nell’ambito del Millennium Ecosystems Assessment delle Nazioni Unite, anche i fondamentali “servizi”, produttivi e ambientali “forniti” dagli ecosistemi del pianeta Terra. Si tratta di risorse rinnovabili quanto mai strategiche e interdipendenti tra loro com’è stato dimostrato a livello planetario dal forte incremento dei prezzi accusato, nei primi mesi del 2008, da tutte queste materie prime (fino al 40-50% in più) che ha innescato tensioni socio-economiche e allarme politico di cui ancora non si intravede con chiarezza la futura evoluzione. Fin da oggi è però chiaro che la domanda di alimentazione, legno e bio-combustibili sta per superare l’offerta e la situazione non potrà che peggiorare in futuro se si considera che il solo fabbisogno di legname di Cina e India raddoppierà nei prossimi venti anni determinando un aumento del 30-40% della richiesta mondiale di questa materia prima, senza considerare l’impatto che avrà il previsto, massiccio aumento di utilizzo delle biomasse ligno-cellulosiche, cioè dal legno, per bio-energia. Il problema fondamentale dello squilibrio tra domanda e offerta di bio-risorse è molto semplice: in breve tempo mancherà la base territoriale per aumentare la produzione! Da una stima recentemente condotta a livello europeo (International Institute for Applied Systems Analysis 2008) è emerso che la previsione di terreni ancora disponibili nel mondo fra 20 anni per forestazione, agricoltura e produzione di biomasse industriali e energetiche potrebbe essere pari a circa 250 Mha mentre il fabbisogno della popolazione umana ammonterebbe ad almeno 500 Mha. È evidente che nel futuro, in Italia, in Europa e nel mondo, le biorisorse diventeranno sempre più scarse e la base territoriale per la loro produzione sempre più preziosa tanto che, come ha recentemente affermato anche il Commissario Europeo alla Ricerca, Janez Potocnik, l’Unione Europea che ne è ormai pienamente cosciente sta elaborando una politica precisa di gestione integrata del territorio, di cui la Direttiva sulla protezione del suolo è solo una parte. Si aprono, dunque, prospettive enormi di sviluppo scientifico su cui basare gli interventi e le politiche per la conservazione della biosfera, le “tecnologie verdi” per il recupero di ambienti degradati, il disinquinamento, la mitigazione dei cambiamenti climatici, la sostenibilità dell’agro-ambiente, la produzione di materie prime biologiche, oltre alla produzione di alimenti per soddisfare i crescenti bisogni di una popolazione che aumenta non solo in numero ma anche, e fortunatamente, in ricchezza: solo così sarà possibile tradurre in realtà e gesti concreti l’obiettivo di una società sostenibile, eco-compatibile, ovvero fondata sulle risorse biologiche, e quindi rinnovabili e con un minore impatto sul nostro pianeta.

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È con l’attenzione indirizzata a questi obiettivi che il Consiglio per le Ricerche e la Sperimentazione in Agricoltura ha organizzato, nei giorni 10 e 11 dicembre 2008, un seminario di tutti i ricercatori del CRA interessati, per presentare, confrontare e valutare in modo congiunto le attività di ricerca e di trasferimento dei risultati sul tema della "Conservazione e fertilità del suolo, i cambiamenti climatici e la protezione del paesaggio". Nella speranza di rendere un servizio alla comunità scientifica del CRA, sono stati raccolti in questo documento i riassunti estesi delle diverse presentazioni che si sono succedute nell’arco delle due intense giornate di confronto scientifico. Giuseppe Scarascia-Mugnozza (DAF-CRA)

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Sessione I Conservazione del Suolo e Monitoraggio del Rischio di Erosione La prevenzione della degradazione del suolo per una gestione sostenibile M. Pagliai CRA – Centro di ricerca per l’agrobiologia e la pedologia, Firenze • Il 21,3% dei suoli del territorio nazionale è a rischio di desertificazione (41,1% nel

Centro e Sud Italia) • La degradazione del suolo avvenuta negli ultimi 40 anni ha provocato una

diminuzione di circa il 30% della capacità di ritenzione idrica dei suoli italiani, con un relativo accorciamento dei tempi di ritorno degli eventi meteorici in grado di provocare eventi calamitosi

Questi sono alcuni dati significativi e preoccupanti che devono far riflettere circa la situazione dei suoli e quindi dell’ambiente nel nostro Paese. Vengono, quindi, trattati i maggiori aspetti della degradazione ambientale che sono riconducibili al suolo (erosione, compattamento, formazione di croste superficiali, perdita di struttura, perdita di sostanza organica, salinizzazione, ecc.) e che sono in gran parte imputabili alle attività antropiche. Erosione del Suolo in relazione alla redazione dei Piani di Gestione degli Invasi. Il modello FLORENCE e l’Atlante Italiano della Produzione di Sedimenti dai bacini Idrografici P. Bazzoffi CRA – Centro di Ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze Gli invasi artificiali e il problema dell’interrimento Le “grandi dighe”, definite dalla legge 21 ottobre 1994, n.584 come opere di sbarramento di altezza maggiore di 15 metri o che determinano un volume di invaso superiore ad un milione di metri cubi, sono circa 555 di cui 494 in esercizio, con capacità potenziale di invaso di circa 10.854 106 m3. Il numero dei piccoli invasi, secondo differenti stime, è compreso fra 8.843 e 15.400, con capacità potenziale di invaso complessiva dell’ordine di 300 106 m3 (tabella 1)

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Regioni n. invasi

da telerilevamento

Grandi

invasi n.

S.N.D.

Piccoli invasi

n.

Abruzzo 631 15 616 Basilicata 146 16 130 Calabria 111 26 85 Campania 150 16 134 Emilia Romagna 1058 26 1032 Friuli Venezia Giulia 26 11 15 Lazio 266 21 245 Liguria 27 15 12 Lombardia 122 75 47 Marche 754 17 737 Molise 114 8 106 Piemonte 606 58 548 Puglia 60 8 52 Sardegna 392 56 336 Sicilia 1664 51 1613 Toscana 1741 58 1683 Trentino Alto Adige 49 36 13 Umbria 843 13 830 Valle d’Aosta 23 11 12 Veneto 60 18 42

n. tot. 8843 555 8288 Tabella 1 Numero di invasi in Italia, suddivisi per regione. La capacità totale di invaso è una risorsa scarsamente rinnovabile e le problematiche di impatto ambientale derivanti dalla realizzazione dei serbatoi riducono notevolmente il numero di aree idonee alla realizzazione di nuovi invasi (Penta, 1980). Ciò vale sia per i grandi invasi che per i laghi di medie e piccole dimensioni. Si stima che in Italia il tasso potenziale di interrimento nei grandi invasi sia compreso fra un valore minimo dello 0.1% ed un massimo del’ 1%, rispettivamente in condizioni di bacino idrografico boscato o ad agricoltura intensiva. Negli invasi di medie e piccole dimensioni questi valori variano fra 0,3% e 2%. Considerando ambedue le tipologie di invasi, la perdita di capacità di invaso annua media risulterebbe di circa l’1.59%. (Gazzolo e Bassi 1961, Chisci 1986, Bazzoffi et al. 1989, Bazzoffi e Chisci 1995, Chisci e Bazzoffi 1995). In una indagine condotta su 13 grandi serbatoi situati in Sicilia, è stata rilevata una notevole perdita di capacità di invaso a causa dei depositi sedimentari, che è passata da 489 . 106 m3 a 432 . 106 m3; pari a una perdita complessiva di circa il 12% del volume (Tamburino et al., 1989) In uno studio condotto su 268 grandi dighe costruite in Italia negli ultimi 50 anni è stato dimostrato che l’1,5% risultavano interrite completamente; il 17,5% erano interrite del 20% ed il 4,5% avevano perso il 50% della capacità d’invaso (Tomasi 1996). Nella Figura 1 è mostrato il danno causato ai grandi invasi causato dall’ interrimento nelle regioni ex obiettivo 1 ( milioni di euro/anno ). In totale il danno ammonta a 661 milioni di €/anno, da intendersi come valutazione dell’esternalità

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negativa dell’erosione, stimata in termini costo di rimozione del sedimento (Bazzoffi, 2005 OCSE). Oltre alla considerazione dei costi elevati di sfangamento, è necessario tenere presente che i sedimenti appena rimossi dal fondo dei laghi sono in larga misura anaerobici, con alte concentrazioni di ferro e manganese solubili (forme ridotte), di S--, S- e H2S (Pearsall 1920; Barko et al. 1986; Nichols 1992). Essi pertanto risultano fortemente tossici per le piante e possono causare problemi di impatto ambientale (Tomasi 1996); cosicché spesso si ricorre ad un rimedio temporaneo, spostandoli dalla zona prossima alla diga, ove creano i maggiori problemi alle opere idrauliche, a zone più lontane all’interno del medesimo invaso. Come mostrato in tabella 1, in Italia i laghetti collinari sono più di 8000, con una capacità di invaso complessiva di appena il 3% di acqua rispetto ai grandi serbatoi. Nonostante ciò, queste riserve d'acqua sono importanti per la loro polifunzionalità e per la dislocazione strategica sul territorio; essendo presenti in quelle zone della collina seccagna, ove l’acqua non è facilmente reperibile e l’adduzione da grandi invasi sarebbe troppo costosa. Oltre alla funzione originaria di riserva idrica per il sostegno della produzione agricola in collina, attribuita originariamente ai laghi di medie e piccole dimensioni, oggi a queste risorse vengono riconosciute altre funzioni ambientali, fra le quali prevalgono: la difesa antincendio, gli aspetti ricreativi e paesaggistici, l’incremento della biodiversità e l’eventuale regimazione delle piene in ambito locale. Queste componenti assumono una rilevanza tale da giustificare la conservazione e l’incremento del numero dei laghi nelle aree collinari del Paese. La realizzazione di nuovi laghetti collinari e la manutenzione di quelli esistenti è oggi incoraggiata da contributi pubblici. Infatti molti programmi regionali attuativi della PAC prevedono la tutela del patrimonio forestale, anche attraverso la disponibilità di invasi per l’approvvigionamento di acqua contro gli incendi. In relazione all'enorme importanza delle risorse idriche nel contesto delle attività umane, la sedimentazione negli invasi artificiali, quale fattore di depauperamento quantitativo e qualitativo di tali risorse, desta notevoli preoccupazioni. I sedimenti che vanno ad interrire gli invasi sono generati dall’erosione idrometeorica del suolo o da masse terrose che si originano nei movimenti franosi. Pertanto è necessario conoscere il tasso di produzione di sedimento bacinale al fine di programmare gli interventi di gestione e conservazione di queste risorse. Il modello FLORENCE nel contesto del progetto di gestione degli invasi L’art. 114 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 richiede che le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento degli invasi vengano effettuate sulla base di un Progetto Di Gestione (parte III- norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche) riguardo alle misure per assicurare il mantenimento della capacità di invaso delle dighe e la salvaguardia sia della qualità dell'acqua invasata sia del corpo ricettore). Il Decreto 30 giugno 2004, art. 3: “Criteri per la redazione del progetto di gestione degli invasi” richiede, fra le altre cose, che il progetto di gestione debba contenere le seguenti informazioni: a) il volume di materiale solido sedimentato nel serbatoio al momento della redazione del progetto ed il volume medio di materiale solido che sedimenta in un anno nel serbatoio;

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b) le caratteristiche qualitative dei sedimenti sia fisiche, ricavate da analisi di classificazione granulometrica, che chimiche, anche in termini di inquinanti presenti, necessarie per ottenere, fra l'altro, informazioni sulla provenienza del materiale solido sedimentato nel serbatoio, sulla erodibilità dei suoli del bacino idrografico sotteso dallo sbarramento e sulla influenza delle attività antropiche che gravitano sul medesimo bacino idrografico, nonché, ove necessario, il saggio biologico per evidenziare eventuali effetti tossici. Le informazioni di cui alla lettera a) e b) non sono di facile acquisizione da parte degli Enti gestori dei grandi invasi. Per questo motivo è stato messo a punto un modello che fornisce la stima della produzione di sedimento a scala di bacino idrografico (ossia, la quantità di sedimento convogliata verso una sezione del reticolo idrografico che sottende un determinato bacino, definito dall’utente). L’applicazione del modello FLORENCE, descritto più avanti in questo testo, consente di fornire risposte adeguate, sia per quanto riguarda la quantificazione del volume medio specifico di materiale solido prodotto dal bacino (m3 /km2/anno), sia per la definizione dei sottobacini che maggiormente contribuiscono all’apporto solido nel serbatoio. Per ottenere la produzione totale di sedimento è sufficiente moltiplicare il valore ottenuto per i km2 di bacino). È molto importante porre l’attenzione sul fatto che il modello FLORENCE è stato costruito mettendo in relazione il volume di sedimento depositatosi nei serbatoi artificiali con le variabili fisiografiche, climatiche e di uso del suolo dei bacini sottesi. Pertanto, il modello stima la produzione di sedimento al netto della rideposizione interna ai bacini idrografici. Inoltre, il modello tiene conto di tutte le componenti della produzione di sedimento: erosione superficiale del suolo, erosione per burronamento (gully erosion), movimenti di massa, erosione di sponda. Il valore stimato è quindi particolarmente mirato alla risposta da fornire alle domande poste dal Decreto MATTM del 30 giugno 2004. Descrizione del modello FLORENCE Dal 1979 il CRA-ABP ha svolto una serie di ricerche che hanno prodotto una serie di modelli denominati P.I.S.A. (Previsione Interrimento Serbatoi Artificiali) che sono andati affinandosi nel tempo, in relazione all’aumento del numero di osservazioni. Recentemente, a conclusione dell’attività del progetto INEA-MONIDRI, è stato messo a punto il modello FLORENCE per la stima della produzione potenziale media annua bacinale di sedimento sul lungo periodo (FLOw of wateRshed sedimENts Calculator based on geographic fEatures – Calcolatore del flusso di sedimenti dai bacini basato su caratteristiche geografiche ). Il modello FLORENCE, si colloca fra i modelli previsionali non distribuiti, finalizzati alla determinazione della produzione media annua pluriennale di sedimento a scala bacinale. La variabile stimata dal modello FLORENCE è il volume di sedimento umido medio annuo espresso in m3 per km2 di bacino imbrifero (m3 km-2 anno-1). Per stimare la quantità totale di sedimento deposto nel lago dopo un certo numero di anni, si dovrà moltiplicare il valore ottenuto per i km2 di superficie del bacino e per gli anni dall’entrata in esercizio. La natura della variabile dipendente (volume di sedimento in condizione umida) consente la stima della capacità di invaso effettivamente sottratta al lago. Il modello FLORENCE è utilizzabile sia in fase di progetto per la previsione della progressiva perdita di capacità d'invaso dovuta ai sedimenti sia per la pianificazione della corretta gestione degli invasi già esistenti, in quanto consente

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la stima dei volumi depositati dall’entrata in esercizio e la delimitazione dei sotto-bacini, all’interno dell’intero bacino imbrifero tributario del lago, che maggiomente sono responsabili della produzione di sedimento. Ciò al fine di concentrare in tali zone gli interventi tecnici (e con essi gli stanziamenti economici) atti a ridurre la produzione di sedimenti, quali: sistemazioni agrarie e idraulico forestali, consolidamento dei versanti, misure agroambientali PAC ecc. Il modello FLORENCE è stato formulato per rispondere alle seguenti finalità: 1) Disporre di uno strumento previsionale collaudato. 2) Fornire un dato previsionale sulla sedimentazione, in termini volumetrici, particolarmente utile nella fase pianificatoria e di gestione. 3) Essere facilmente e velocemente applicabile in ambiente GIS. 4) Poter utilizzare, per la determinazione delle caratteristiche fisiografiche e climatiche necessarie alla sua applicazione i layers informatici già disponibili. 5) Massimo grado di oggettività nell'attribuzione del valore alle variabili, attraverso una metodologia ben definita di determinazione dei valori che escluda il bias di misurazione. 6) Possibilità di identificare le aree, a monte della diga, ove concentrare gli interventi sistematori per ridurre l'erosione. 7) Fornire valori validi, sul lungo periodo, ad altri specialisti per calcoli di trasporto e rilascio di sostanze inquinanti di varia natura. Atlante Italiano della produzione dei sedimenti dai bacini idrografici Italiani Conoscere la potenzialità dei bacini idrografici italiani di produrre sedimenti e di trasferirli nel reticolo idrografico è importante sotto molteplici aspetti ambientali, economici e sociali. Il modello FLORENCE è stato applicato al territorio nazionale (con esclusione delle aree di pianura) suddividendolo in 27.826 bacini con area media pari a 7,83 km2 . Lo scontornamento dei bacini idrografici è stata fatto in ambienti ArcGIS ArcView con procedura semiautomatica, seguita da revisione a video. I raster relativi alle variabili del modello FLORENCE sono stati clippati sui poligoni bacinali. Successivamente, per ciascun bacino sono stati ricavati i valori delle variabili di input del modello. Infine, a ciascun bacino è stato assegnato il valore di produzione media di sedimento in m3km-2anno-1 . Nella figura 6 è riportato il valore di produzione di sedimento media pluriennale m3ha-2anno-1.

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Figura 6. Stima della produzione media pluriennale di sedimento dai bacini idrografici italiani in termini volumetrici ( m3ha-2anno-1 ).

Nel caso si voglia esprimere la produzione dei sedimenti in termini ponderali ( t km-2 anno-1, necessità che può sorgere per programmare le operazioni di sfangamento degli invasi) è necessaria la determinazione della massa volumica dei sedimenti (massa di sedimento secco su volume umido). Questa determinazione è possibile se si conosce la natura dei materiali. Come precedentemente detto, il Decreto 30 giugno 2004 richiede che il Progetto di gestione degli invasi fornisca indicazioni sul volume medio di materiale solido che sedimenta in un anno nel serbatoio e sulla provenienza del materiale solido sedimentato nel serbatoio. Il modello FLORENCE è in grado di fornire le risposte alle suddette domande ma, per renderlo fruibile agli Enti Gestori degli invasi, è stato necessario mettere a punto un’applicazione on-line utilizzabile tramite il sito web http://florence.homelinux.com/login.php .

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Tecnologie innovative per la gestione conservativa del terreno e dell’ambiente agrario Parte I M. Fedrizzi, P. Servadio CRA – Unità di Ricerca di Igegneria Agraria, Monterotondo I sistemi conservativi di lavorazione del terreno, definiti come un insieme di pratiche nelle quali una parte sostanziale (almeno il 30%) del suolo rimane coperta dai residui della precedente coltura, furono introdotti più di 70 anni fa negli Stati Uniti, principalmente per contrastare l’erosione del suolo. Essi sono: lavorazioni a due strati scarificatura + lavorazione superficiale fra cui: zappatura e vangatura, lavorazione minima effettuata solo per mezzo di erpicatura (minimum tillage) e completa eliminazione di ogni tipo di lavorazione primaria del suolo (no-tillage). Tali pratiche si caratterizzano per diversi effetti positivi sul suolo: incremento della sostanza organica, riduzione della perdita di suolo per erosione, minore evaporazione dell’acqua, incremento della conducibilità idraulica e miglioramento della struttura, riduzione del biossido di carbonio rilasciato dal suolo nell’atmosfera. La lavorazione a due strati, il ‘minimum tillage’ ed il no-tillage in alcune condizioni podologiche, in particolare suoli argillosi, argillo-limosi e limo-argillosi con contenuto di sabbia inferiore a 0.10, presentano una diminuzione della produttività (Classificazione dei suoli ISSS). Esperienze sia di lavorazione primaria del terreno finalizzate alla verifica delle prestazioni e della qualità del lavoro di macchine per interventi di rimboschimento che di tecnologiche finalizzate al controllo della qualità di lavoro di vangatrici e zappatrici sono state effettuate su suoli del centro Italia. Le prove sperimentali, oggetto di questa memoria, sono state effettuate con macchine operatrici portate o trainate, da trattrice tradizionale con cingoli in metallo, da trattrice a quattro ruote motrici tecnologicamente innovativa con variazione continua della velocità d’avanzamento e da trattrice sempre a quattro ruote motrici con trasmissione della potenza mediante ‘power shift’. L’obiettivo è stato oltre che di proporre agli operatori agricoli sistemi conservativi di lavorazione del terreno, di studiare tecnologie informatiche di monitoraggio dei parametri meccanici in tempo reale, basate su sensoristica ed applicazioni elettroniche caratterizzate da flessibilità applicativa. Lo sviluppo di tale tecnologia potrà contribuire al miglioramento qualitativo delle lavorazioni del terreno e contemporaneamente alla riduzione dei consumi energetici. Parte II Macchine per la lavorazione del terreno in zone marginali in accoppiamento con due diversi tipi di trattrice P. Servadio Introduzione Nella riconversione produttiva dei terreni agricoli marginali, la preparazione del terreno (decespugliamento, lavorazione del terreno e messa a dimora delle piante) assume una importanza fondamentale nell’ambito degli interventi di rimboschimento ai fini della produttività e della sua conservazione da fenomeni di degradazione come l’erosione e la distruzione della struttura. Esperienze sia di lavorazione primaria del terreno finalizzate alla verifica delle prestazioni e della

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qualità del lavoro di macchine per interventi di rimboschimento sono state effettuate su suoli del centro Italia. Materiali Durante le prove le macchine operatrici impiegate erano: macchina operatrice combinata scarificatrice-zappatrice-assolcatrice, macchina operatrice con organi rotanti entrambe di tipo portato dalla trattrice; aratro trainato polivomere con tre corpi lavoranti a versoio elicoidale con appendice,; Chisel di tipo portato dalla trattrice a telaio fisso con 5 denti ad ancora obliqua perpendicolari alla direzione di avanzamento. Le suddette macchine operatrici sono state utilizzate in accoppiamento con: trattrice cingolata (massa 13000 kg, potenza alla p.d.p 114 kW,) velocità di avanzamento in lavoro: 0,66 m s-1 (op. combinata e rotativa), 1,04 m s-1 (aratro trainato); e trattrice 4 RM (massa con zavorre 10100 kg, potenza alla p.d.p 167 kW) con trasmissione della potenza idro-meccanica che assicura variazione continua di velocità d’avanzamento durante le operazioni di lavoro; velocità di avanzamento in lavoro: 1,0/1,05 m s-1 (op. rotativa e chisel), 1,20 m s-1 (op. combinata). Risultati Confrontando le singole macchine operatrici nell’accoppiamento con le due diverse trattrici non sono state rilevate differenze significative per: larghezza e profondità di lavoro, spessore dello strato lavorato, sovralzo, sezione lavorata. Sono state rilevate differenze significative a favore della trattrice 4RM con variazione continua della velocità d’avanzamento per: velocità di avanzamento e capacità effettiva di lavoro, e per i rilievi effettuati sulla trattrice: consumo di combustibile unitario in lavoro (kg ha-1); spesa media di energia per volume smosso [kWh (1000 m3)-1 ]. In generale nell’accoppiamento delle operatrici impiegate con la trattrice 4RM, i consumi di combustibile così come la spesa globale di energia e la spesa media di energia per volume smosso sono risultati bassi dimostrando il buon accoppiamento trattrice-operatrici. La trattrice cingolata ha confermato le note prestazioni di trattività in accoppiamento con le diverse operatrici impiegate soprattutto per gli aspetti relativi al ridotto slittamento del cingolo sul suolo (0 - 3%). Prospettive future Per il futuro non si potrà prescindere da:

• l’applicazione dei sistemi informatici per la gestione delle funzioni di controllo delle macchine;

• le trasmissioni idro-meccaniche applicate sia sulle macchine motrici che sulle operatrici agricole;

• la progettazione delle macchine in funzione delle lavorazioni di precisione del suolo con l’ausilio delle tecnologie oggi disponibili (GPS, navigazione in campo, GIS, sensori del suolo e piante, (Servadio, 2008);

• gli aspetti ergonomici. • Il tutto deve essere necessariamente armonizzato in modo tale da produrre

come risultato finale: il benessere degli operatori e degli utilizzatori agricoli, la conservazione del suolo e della biodiversità, la riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di gas serra che sono responsabili del cambiamento climatico.

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Bibliografia Servadio P., (2008). Tecnologie geospaziali ed informatiche per la gestione delle colture agrarie con la strategia dell’agricoltura di precisione. Convegno APRECEL, Bioversity, Maccarese, 3 dicembre 2008. Servadio P., Marsili A., Guarnieri A., Blasi E., (2005). Influenza del traffico delle macchine agricole e delle lavorazioni del terreno nella valutazione delle qualità funzionali del suolo. Risultati ottenuti nel progetto “SUOLO” presentati alla Giornata di studio “Conservazione e valorizzazione della risorsa suolo: definizione delle qualità del suolo ai fini della gestione agricola e forestale ecocompatibile” tenutasi alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, 14 Dicembre 2005 e Pubblicati su http://www.ISSDS.it Servadio P., Blasi E., (2003). Agricoltura e occhio digitale. I GIS e le loro applicazioni nel settore agricolo. L’informatore Agrario n. 49. Servadio P., Marsili A, (.1998) Macchine per la preparazione del terreno nell’ambito degli interventi di rimboschimento. Agricoltura Ricerca n. 178. Servadio P., Marsili A., (1998) Performance and work quality of two new machines for tilling in marginal areas. Proc. AgEng Oslo, Norway 24-27 August 1998. Servadio P., Marsili A., (1998) Prove in campo. Rivista Macchine e Motori Agricoli n. 6. Marsili A., Servadio P., (1997) Macchine per la lavorazione del terreno in zone marginali. Atti del VI Convegno Nazionale AIIA, Ingegneria per un’agricoltura sostenibile, 9-12 settembre, Università di Ancona. Verso un’agricoltura conservativa a tempo pieno: innovazioni agronomiche e loro gestione A. Troccoli, A. Gallo, S. A. Colecchia, O. Li Destri Nicosia CRA – Centro di Ricerca per la Cerealicoltura, Foggia Introduzione Per i prossimi 50 anni è previsto a livello globale il raddoppio della domanda alimentare e ciò impone enormi sfide per la sostenibilità sia riguardo alla produzione alimentare che agli ecosistemi acquatici e terrestri. L’obiettivo dell’agricoltura sostenibile è di massimizzare i benefici netti che la società può ricevere dalle produzioni agricole e dal mantenimento dell’ecosistema, attraverso l’aumento delle rese delle colture agrarie, la maggiore efficienza d’uso dell’azoto, fosforo e acqua, la gestione più ecologica delle pratiche agricole e l’uso più giudizioso di pesticidi e antibiotici. A differenza dell’agricoltura convenzionale, l’agricoltura conservativa (AC) basandosi su alcune tecniche come la semina diretta su terreno non lavorato o lavorato al minimo, senza bruciatura o interramento dei residui colturali e l’instaurazione di una copertura vegetale costituita da specie erbacee annuali in successione o da specie arboree pluriennali e da specie forestali, in misura diversa protegge il suolo dall’azione erosiva e di trasporto di sedimenti terrosi costituiti da particelle ricche di elementi nutritivi, nonché di prodotti diserbanti e di pesticidi che inquinano le riserve idriche naturali o artificiali e limitano anche le emissioni di CO2 dal terreno, favorendo la biodiversità. A livello mondiale l’AC è applicata su 95 Mln di ettari, ma in Europa essa è diffusa su appena 500 mila ettari ed in Italia le esperienze adottate non hanno fornito risposte univoche.

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Qui noi riportiamo i risultati in frumento duro di due esperienze di agricoltura conservativa adottate nell’area più vocata alla durogranicoltura: Tavoliere delle Puglie, agro di Foggia. Materiali e metodi Dal 1995 due appezzamenti di terreno, ognuno di 6.000 m2, sono utilizzati per confrontare la tecnica di semina diretta contro quella convenzionale in una monocoltura di frumento duro. Il seme della cv. Ofanto viene conciato e distribuito in campo alla densità di 350 semi vitali/m2, utilizzando una seminatrice “GASPARDO Directa” in AC ed una pneumatica in convenzionale. Il letto di semina in convenzionale viene preparato con un’aratura estiva (35-40 cm) e due ripassi con erpice a 26 dischi, mentre in AC si utilizza, 7-10 giorni prima della semina, un erbicida totale (glifosate). Il resto delle operazioni colturali sono identiche nei due sistemi, con la differenza della concimazione fosfatica che in AC è distribuita in superficie. Per entrambe le gestioni è prevista l’asportazione della paglia e l’interramento delle stoppie in convenzionale. Dal 2006 è stata avviata un’altra sperimentazione in frumento duro, sempre in monocoltura, in cui 8 tesi sperimentali sono state allestite per confrontare tre tecniche di lavorazione (convenzionale, minima e sodo) in abbinamento alla gestione dei residui colturali (bruciatura della paglia, presenza/assenza della paglia) e all’uso di una cover crop, nel periodo compreso tra due semine di frumento duro, che viene trinciata allo stadio di fioritura. Risultati e discussione Dopo 14 anni di sperimentazione, i risultati mettono in luce che la semina diretta può essere consigliata ed adottata come tecnica di lavorazione in quanto in termini produttivi la differenza di resa nel sodo (2,55 t/ha) è stata mediamente del -3,2% rispetto al convenzionale (2,63 t/ha). La statistica di regressione lineare tra lo scarto di resa del sodo vs. convenzionale, espressa in percentuale, e la pioggia caduta nella stagione colturale ha messo in evidenza una relazione negativa (r2= 0,55; p= 0,01) tra le due variabili in cui le rese del sodo risultano essere superiori nelle annate più siccitose (< 300 mm di pioggia nella stagione colturale), segue un’ampia zona di neutralità nell’intervallo di pioggia 300-500 mm in cui le rese del sodo variano in negativo nella misura massima del 10%, mentre con piovosità > 500 mm la resa del convenzionale è decisamente superiore al sodo. Riguardo alla risposta del sodo alla siccità, quest’effetto può essere spiegato in quanto nello strato di terreno fino a 60 cm di profondità si conserva in AC una maggiore umidità (fino al 10% in più) nel suolo rispetto al convenzionale e l’Harvest index non risulta statisticamente differente. Infine, la qualità commerciale (proteine, glutine, peso ettolitrico) della granella e la qualità reologica della semola (indice di glutine e di giallo e i parametri alveografici W, P e L) non risultano statisticamente differenti nei due ambienti di coltivazione. Nel secondo esperimento di AC, dopo il primo anno di transizione, la tesi di non lavorazione abbinata ai residui colturali del frumento duro, trinciati e lasciati in superficie insieme alla biomassa di una cover crop (fagiolo) a semina intercalare estiva, ha dimostrato nell’a.a. 2007/’08 di essere, rispetto a tutte le altre tesi, la più produttiva, di conservare una maggiore umidità nel suolo, di avere i più alti valori in termini di SPAD, area a verde della foglia a bandiera e riflettanza della coltura. Infine, ad eccezione del peso ettolitrico, tra le diverse tesi sperimentali nessuna differenza statisticamente significativa è stata riscontrata per il contenuto proteico della granella e il peso di mille semi.

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Prospettive I risultati sembrano confortare al Sud l’efficacia dell’AC in frumento duro, sebbene maggiori approfondimenti si rendano necessari nella valutazione dell’efficacia di questa tecnica negli areali climatici la cui piovosità durante la stagione colturale superi 500 mm, dove è prevista la gestione dei residui colturali e/o l’uso di cover crop o dove il frumento duro entri in rotazione con altre specie agrarie, specialmente orticole. Impiego di metodi micrometeorologici avanzati per lo studio dei flussi di vapor acqueo, anidride carbonica e ammoniaca nel sistema suolo-pianta-atmosfera G. Rana, R.M. Ferrara, N. Martinelli, A.D. Palumbo, G. Convertini, M. Mastrangelo CRA – Unità di Ricerca per i Sistemi colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari Introduzione Negli ultimi decenni, molti studi si sono occupati di indagare il contributo dell’agricoltura ai cambiamenti climatici globali. In particolare, l’uso sempre più massiccio di fertilizzanti azotati si associa ad un accumulo di azoto reattivo con conseguente impatto ambientale negativo. Quindi, si rende necessario quantificare le perdite di nutrienti coinvolti nel ciclo dell’azoto negli ecosistemi agricoli. Considerando le perdite gassose di azoto, vanno indagate le perdite di ammoniaca in seguito all’applicazione di fertilizzanti organici e minerali, anche se tali misure sono particolarmente difficili da fare e pochi studi sono stati condotti in ambiente mediterraneo. In tale ambito, si è scelto di adottare l’approccio micrometeorologico per indagare gli scambi di ammoniaca nel continuum suolo-pianta-atmosfera, considerando che tali metodi non alterano il microclima e i processi che avvengono nel suolo, consentendo misure continue di flussi su ampie aree. Tra i metodi disponibili, l’approccio eddy covariance è stato scelto per questo studio, utilizzando strumenti innovativi.

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Materiali e metodi Il medoto eddy covariance mediante anemomentro sonico abbinato a un analizzatore veloce di NH3 basato su spettroscopia in assorbimento (compact QC-TILDAS-76 SN002-U, Aerodyne Research Inc., USA) è stato utilizzato per la prima volta per monitorare flussi di NH3 in ambiente semi-arido. In particolare, si è indagato il fenomeno durante e dopo l’applicazione di urea (tre applicazioni per un totale di 240 kg N ha-1) su di un campo di sorgo irrigato mediante un sistema ad aspersione. La campagna sperimentale è stata condotta in luglio 2008 presso l’azienda sperimentale del CRA-SCA sita in Rutigliano (41°N, 17°54' E), al fine di testare le prestazioni di tale approccio. Risultati e discussione Dopo un primo periodo, particolarmente secco, durante il quale non si sono osservate perdite significative di ammoniaca, sono stati somministrati pochi mm di acqua e, di conseguenza, si sono osservate emissione di ammoniaca dovute all’avvio dell’idrolisi dell’urea. In particolare si sono ottenute misure di concentrazione (picco di circa 77 µg m-3) e flussi di ammoniaca (picco di circa 600 ng m-2s-1) con tipico andamento giornaliero da copertura vegetale: fenomeno in emissione durante il giorno e piccole emissioni e/o deposizioni durante la notte. Il fenomeno della volatilizzazione dell’NH3 è stato messo in relazione ai flussi di vapore acqueo e anidride carbonica, alle condizioni meteorologiche (velocità del vento e temperatura superficiale) e del suolo (pH e concentrazione di ione NH4+ e NO3-), ottenendo risultati interessanti per tale fenomeno che in ambiente mediterraneo inizia solo adesso ad essere studiato. Conclusioni La metodologia eddy covariance applicata al monitoraggio in pieno campo degli scambi gassosi di ammoniaca, in ambiente semi-arido, ha fornito risultati in accordo con quanto ottenuto da studi analoghi condotti in ambiente umido temperato con tecniche micrometorologiche quali il flusso-gradiente, consentendo di indagare il fenomeno della volatilizzazione dell’ammoniaca a seguito dell’applicazione di urea. La geomatica a supporto del monitoraggio e della pianificazione territoriale agro-forestale A. Floris CRA – Unità di Ricerca per il Monitoraggio e la Pianificazione Forestale, Trento La geomatica integra le varie discipline geografiche in cui riveste un ruolo determinante l'informatica; essa può fornire un contributo alla gestione delle risorse naturali individuando gli strumenti e le tecniche più appropriate per acquisire, elaborare, analizzare, archiviare e distribuire dati spaziali georiferiti in formato digitale. All’interno del CRA-MPF si è costituito un gruppo di lavoro in Geomatica forestale che ha ereditato le competenze e le risorse intellettuali sviluppate ed acquisite fin dai primi anni ’90 dalla sezione di Assestamento forestale ISAFA. Le linee di ricerca, sempre articolate dalla sperimentazione metodologica e procedurale a concrete

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attività di monitoraggio, pianificazione e gestione territoriale, hanno raggiunto una particolare specializzazione nei settori del radio-posizionamento satellitare di precisione, delle reti neurali per l’analisi statistica e la modellizzazione dei dati territoriali, del mobile GIS, degli strumenti e tecniche evoluti per le misure forestali. Scopo di questo intervento è fornire un quadro coordinato di queste attività attraverso l’illustrazione di alcuni recenti progetti operativi in cui esse vengono applicate, evidenziando anche alcune problematiche che si pongono con il loro impiego e le prospettive più interessanti per una loro futura evoluzione. Due progetti sono attivi nell’ambito della convenzione di ricerca TARGET con il Corpo forestale delle Stato: essi riprendono e proseguono, su versanti diversi ma coordinati, il lavoro svolto durante l’ultimo Inventario Forestale Nazionale (INFC). Con il progetto STARS è in corso di realizzazione una rete di aree test in bosco per la determinazione delle performance di precisione delle apparecchiature di radionavigazione e localizzazione satellitare (in particolare GPS). Pur nascendo tale rete per il test della strumentazione in uso al CFS, le aree possono essere utilizzate da utenti esterni ed è stata messa a punto una procedura via web per la valutazione statistica, la certificazione e l’archiviazione degli esiti delle prove sperimentali. Tra gli obiettivi vi sono il costante monitoraggio delle rapide evoluzioni che la tecnologia GPS sta attraversando in questi anni (disattivazione della SA, introduzione dei sistemi WAAS e EGNOS, nuovi microprocessori ad alta sensibilità) e l’acquisizione di informazioni indipendenti sull’uso di questa tecnologia negli scenari forestali e rurali in genere, dove le prestazioni sono spesso inferiori a quelle riportate dalle case produttrici di ricevitori. Aspetto non secondario, la rete di aree test TARGET-STARS può essere utilmente impiegata per attività di professionalizzazione, addestramento e aggiornamento. CFS-PARTI, seconda realizzazione della convenzione TARGET, è un applicativo software nato dall’esigenza di valorizzare l’eredità lasciata dal progetto INFC in termini di nuove competenze inerenti le tecnologie GPS e mobile-GIS, la strumentazione informatica di livello evoluto per la raccolta di dati georiferiti e il congruo numero di licenze ESRI Arcpad che il Corpo Forestale aveva acquisito per l’inventario. Prerogativa fondamentale di CFS-PARTI è la capacità di fornire metodologie standardizzate per la raccolta e l’archiviazione di dati georeferenziati relativi a tipologie non predefinite di oggetti di natura eterogenea, garantendo la formalizzazione delle informazioni raccolte (approccio orizzontale). L’applicativo può operare sia in una modalità semplificata, il cosiddetto post-it territoriale (semplici note testuali libere associate agli attributi spaziali dell’oggetto/evento) che in modalità standard, con la definizione di categorie e classi di elementi e la strutturazione del database da parte dell’operatore stesso. Sono state inoltre realizzate due verticalizzazioni del software per specifiche campagne di rilevamento coordinate dal CFS nell’ambito dei progetti ORSO (studio sull’orso marsicano in Abruzzo) e SSIR (mappatura delle discariche abusive a livello nazionale). Un’altra linea di ricerca e sperimentazione riguarda il supporto metodologico e tecnologico alla revisione dell’assestamento forestale in Trentino, con particolare riferimento alla pianificazione di livello aziendale, attività che viene svolta nell’ambito della convenzione RESIA1 con la Provincia Autonoma di Trento. Tale processo di rinnovamento si confronta con l’esigenza di rendere compatibile l’aumento e la diversificazione dell’informazione da raccogliere e trattare nella realizzazione dei piani, con il contenimento dei costi inventariali rispetto al passato, attuando al tempo stesso una transizione metodologica attenta al recupero dell’ingente mole informativa pregressa e di sostanziale continuità dei

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riferimenti quali-quantitativi propri di mezzo secolo di pianificazione forestale trentina. L’introduzione di tecniche campionarie, la ridefinizione del ruolo inventariale della particella forestale e una sua migliore connotazione dendrometrica e tipologica interna, la progressività dello sforzo e dei costi di inventariazione rispetto all’importanza anche produttiva dei popolamenti, la georeferenziazione automatica dell’operatore e dell’informazione raccolta, l’archiviazione digitale in campo degli esiti dei rilievi, sono esempi di tale quadro di innovazione in cui la geomatica può fornire un importante contributo. Vengono perciò illustrate alcune applicazioni GIS e mobile-GIS, per le quali sono stati sviluppati specifici moduli software, finalizzate alla stratificazione tipologica, al dimensionamento campionario e alla sua distribuzione spaziale, alla navigazione/posizionamento sul territorio e all’esecuzione dei rilievi in campo. Una riflessione conclusiva è svolta su alcuni sviluppi tecnologici particolarmente interessanti per il monitoraggio forestale e territoriale, le cui traduzioni operative appaiono probabili in un futuro prossimo.

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Le funzioni didattiche del suolo e l’importanza della divulgazione M. T. Dell’Abate, A. Benedetti CRA – Centro di ricerca per lo studio delle relazioni tra pianta e suolo, Roma. Introduzione Può apparire ridondante, nel contesto di un incontro di ricercatori CRA, ricordare il ruolo strategico della “risorsa suolo” per la tutela del territorio e le sue valenze agronomiche ed ambientali. Tuttavia, l’U.E. con la strategia tematica suolo ha investito i ricercatori della necessità dell’adozione di opportune azioni di divulgazione per aumentare la consapevolezza pubblica sul tema “risorsa suolo” e per rispondere all’esigenza di raccordo tra ricerca e società civile. La molteplicità di usi che il suolo offre agli umani e la frequente non-congruenza di tali usi con il concetto di “risorsa” necessitano, infatti, oltre che di azioni mirate di correzione, anche di una seria presa di coscienza da parte dei ricercatori sulla necessità di intraprendere idonee azioni di divulgazione. Ciò che in questa sede si vuole evidenziare è che tra le funzioni del suolo è opportuno includere le funzioni didattiche: infatti, la funzionalità del suolo come ecosistema complesso e come organismo, secondo un approccio olistico alla conoscenza dei processi, evidenzia i rapporti causali che intercorrono tra diversi usi del suolo e comportamenti dissipativi di tale risorsa. La divulgazione è perciò un aspetto che investe più livelli, dagli enti locali che si avvalgono della collaborazione delle strutture di ricerca del CRA per condurre ricerche mirate alle realtà locali, fino alle istituzioni scolastiche che spesso chiedono di ricevere materiale informativo a supporto della didattica. Risultati e conclusioni L’attività divulgativa del CRA-RPS nell’arco di un decennio si è concretizzata nella realizzazione di materiale didattico e formativo, organizzazione di mostre e seminari in occasione delle giornate mondiali sul suolo (dal 2003 ad oggi) e delle settimane della cultura scientifica (prima partecipazione nel 1999, nell’ambito del MUSIS), nel supporto fornito agli operatori degli enti locali, anche attraverso corsi di formazione. Un importante contributo è venuto dal Mipaaf, attraverso l’Osservatorio Pedologico Nazionale, che ha finanziato la pubblicazione di Il suolo che vive - Introduzione allo studio della scienza del suolo (a cura di Dell’Abate, Benedetti, Francaviglia, 2005), volume di schede didattiche per la realizzazione di esperimenti laboratoriali sul suolo con allegati percorso didattico e materiale della mostra abbinata. Gran parte dell’attività viene svolta in collaborazione con la Società Italiana di Scienza del Suolo, attraverso il Comitato per l’educazione e la divulgazione della scienza del suolo, istituito nel 1998 e coordinato da M.T. Dell’Abate del CRA-RPS. Tra le attività svolte, di cui si riportano di seguito le più significative, si segnala il contributo fornito nell’ambito della EU Soil Thematic Strategy (2003-2004), Working Group Research (http://www.europa.eu.int/comm/environment/soil) Task Group 8 Awareness, education, networking, capacity building, cooperation, avente come obiettivo lo sviluppo di strutture efficaci mirate ad una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica sui temi legati al suolo attraverso una aumentata educazione degli europei a tutti i livelli della società, una migliore rete di collegamenti e cooperazione tra i ricercatori che lavorano in scienza del suolo e argomenti ad essa collegati, al fine di sviluppare una capacità di costruzione ed una massa critica per identificare soluzioni per combattere le minacce al suolo e proteggerne ed aumentarne le risorse.

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Prospettive Tra le innumerevoli azioni che possono essere intraprese si segnalano: la necessità di finanziare la produzione di informazione e mezzi di interpretazione su i suoli accessibili al pubblico, attraverso iniziative prodotte a livello locale; il coinvolgimento delle società scientifiche per aumentare la consapevolezza di scienziati e professionisti; sostenere ed incoraggiare azioni atte ad esprimere una domanda sociale verso il suolo ed a rinnovare l’insegnamento della scienza del suolo, mediante programmi specifici, quali lo sviluppo di studi multidisciplinari per studenti. Eventi organizzati e pubblicazioni (selezione) 6 dicembre 2004, Incontro e mostra didattica “Suolo ed Educazione -

Consapevolezza, educazione, reti informative, progettualità e cooperazione nella scienza del suolo”, a cura di MT Dell’Abate e A Benedetti, Roma, presso CRA-Istituto Patologia Vegetale.

Convegno Eurosoil, settembre 2004, Freiburg (http://www.forst.uni-freiburg.de/eurosoil/) Simposio 2: Education in Pedology - Soil Education and Public Awareness; Poster Session 4, Poster “Soil science meets school”, di MT Dell’Abate e G Vianello, vincitore premio miglior poster nella categoria Education.

M.T. Dell’Abate, A. Benedetti, R. Francaviglia (a cura di) “IL SUOLO CHE VIVE –Introduzione allo Studio della Scienza del Suolo”, Mipaf, Osservatorio Nazionale Pedologico e per la Qualità del Suolo Agricolo e Forestale, CRA Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante, 2005.

Settimana Diffusione Cultura Scientifica 2006, presso CRA-UCEA, mostra interattiva Il suolo che vive e ciclo di seminari per studenti della scuola media superiore, a cura di MT Dell’Abate (www.entecra.it area comunicazione).

Convegno EGU, aprile 2007, Vienna (http://meetings.copernicus.org/egu2007/) SSS3. Soil genesis, soil quality, biological indicators and soil functions, including education (MT Dell’Abate e A Benedetti co-convenors).

5 dicembre 2007, Seminario “La Giornata Mondiale sul Suolo” - le società scientifiche SISS e SIPE si confrontano con le Istituzioni sul tema della divulgazione della ricerca scientifica, a cura di MT Dell’Abate e A Benedetti, Roma, presso CRA-CMA.

9-11 maggio 2008, manifestazione “La natura per vivere meglio”, organizzata da CRA-QCE, partecipazione di CRA-RPS con la postazione laboratoriale “Il suolo che vive” .

Spazializzazione dei dati pedologici: la stima del contenuto di sostanza organica nei suoli C. Piccini, A. Marchetti, R. Francaviglia CRA – Centro di ricerca per lo studio delle relazioni tra pianta e suolo, Roma. Introduzione Nelle indagini agro-ambientali a scala territoriale un problema che spesso si deve affrontare è quello della rappresentazione delle proprietà dei suoli: i dati puntuali misurati devono essere spazializzati, con la migliore interpolazione possibile. I metodi deterministici (IDW, spline, ecc.) non rendono conto dell'errore che si

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commette, perciò da diversi anni vengono applicati con successo metodi probabilistici propri della geostatistica (p.es. Ordinary Kriging, OK). La cartografia che deriva da questo tipo di interpolazione stocastica, che si basa unicamente sulla riconosciuta autocorrelazione tra i punti misurati, può non essere sufficiente a rendere conto della realtà che si vuole rappresentare, poiché le carte così ottenute presentano andamenti molto smussati. Per questo negli ultimi tempi è aumentato l’interesse verso i sistemi ibridi di interpolazione, in grado di combinare l’interpolazione basata unicamente sull’osservazione puntuale e quella basata sulla regressione della variabile di interesse su variabili continue spazialmente correlate note su tutta l’area (dati telerilevati). Una di queste tecniche ibride è nota come Regression Kriging (RK), che consiste in una regressione sulle variabili ausiliarie (predittori), e la successiva applicazione dell’algoritmo di Kriging sui residui. La ricerca, svolta in collaborazione con l’ARSSA Abruzzo, riguarda una porzione di territorio nella provincia di Teramo, al confine marchigiano-abruzzese, dove sono disponibili dati analitici relativi a 250 campioni raccolti dall’orizzonte superficiale di suoli agricoli. I parametri presi in considerazione sono la tessitura e la dotazione di sostanza organica dei suoli. Risultati e conclusioni L’analisi dei dati disponibili e la stima in punti non campionati per mezzo di due diverse metodologie geostatistiche di tipo inferenziale, e la successiva implementazione in ambiente GIS, ha permesso di ricavare le mappe della tessitura dei suoli. Quindi, dato che in suoli diversi lo stesso contenuto di sostanza organica può influenzare diversamente le caratteristiche del suolo stesso, i valori della dotazione ottenuti con i due diversi metodi di stima sono stati suddivisi in quattro classi (molto bassa, bassa, media, alta) basandosi sulla tessitura USDA stimata, e sono state ricavate le mappe della dotazione di SOM in relazione alla tessitura. Tramite RK è stata ricavata anche la carta del contenuto in carbonio organico dei suoli in t ha-1, utile per la valutazione dello stock di carbonio. Le mappe presentano un ragionevole grado di accuratezza. L’osservazione delle carte ricavate con le due diverse metodologie di stima evidenzia un andamento spaziale simile in entrambi i casi, ma l’OK tende a smussare i dettagli della variabilità spaziale, e quindi a sottostimare la variabilità a corto raggio; generalmente il RK permette di avere un errore di stima più basso. Inoltre, l’andamento risulta certamente più aderente alla realtà morfologica locale. Questo tipo di mappe non è necessariamente più accurato di quello tradizionale, ma in più fornisce una stima quantitativa dell’errore associato; l'attendibilità dei risultati è indubbiamente condizionata dalla qualità dei predittori utilizzati. Prospettive Il confronto delle carte del contenuto in sostanza organica ottenute con i due metodi di stima ha permesso di mostrare la validità del RK quale tecnica di interpolazione: partendo da campioni anche poco numerosi, è possibile produrre una cartografia tematica stimata a costi contenuti, che costituisce una valida rappresentazione a scala territoriale utile ai fini delle valutazioni agroambientali. Pertanto in un prossimo futuro la metodologia potrà essere estesa a rappresentazioni cartografiche a livello regionale e/o nazionale.

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Applicazione della metodologia ARP (Automatic Resistivity Profiling) nella viticoltura di precisione ai fini della caratterizzazione pedologica e qualitativa a scala aziendale M.C. Andrenelli1, P. Bucelli1, E.A.C. Costantini1, S. Magini1, L. Natarelli1, S. Pellegrini1, R. Perria1, P. Storchi2, N. Vignozzi1. 1 CRA – Centro di ricerca per l’agrobiologia e la pedologia, Firenze; 2 CRA – Unità di ricerca per la viticoltura, Arezzo. Introduzione Nell’ambito di un progetto di zonazione viticola è stata valutata l’opportunità di impiegare il metodo ARP (Automatic Resistivity Profiling) a supporto dell’indagine pedologica, condotta mediante trivellate. Contestualmente sono state osservate delle relazioni tra il dato resistività ed i parametri produttivi e qualitativi, determinati attraverso campionamenti delle uve ed elaborazioni di immagini aeree del vigneto Materiali e metodi L’area di indagine è situata in provincia di Livorno e si estende su due vigneti che occupano ciascuno una superficie di 3,5 ha, coltivati a Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc (vigneto 1) e Cabernet Sauvignon (vigneto 2). Nel mese di maggio sono stati condotti contemporaneamente il campionamento pedologico alle profondità di 10-30 cm e 60-80 cm ed il rilievo geoelettrico (ARP). Il metodo ARP consiste nell’immettere corrente nel terreno mediante due elettrodi e nel misurare in continuo la tensione della corrente attraverso due coppie di elettrodi poste su ruote dentate. Si possono investigare profondità crescenti di terreno (0-50 cm; 0-100 cm) in funzione della distanza reciproca tra gli elettrodi di potenziale. Sul vigneto 2 sono stati eseguiti i rilievi produttivi e qualitativi nel mese di settembre mediante campionamento delle uve, poiché il vigneto 1 era stato espiantato a causa della scarsa produttività. Per entrambi la variabile di risposta colturale, espressa in termini di grado di copertura vegetale, è stata valutata attraverso l’analisi di immagine di foto aeree.

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Risultati e conclusioni Le analisi fisiche del terreno hanno evidenziato che la tessitura più frequente dei due vigneti è franco argillosa e secondariamente argillosa; tuttavia la risposta resistiva è differente. Nel primo vigneto i bassi valori di resistività (0-50 cm; 0-100 cm) sono associati alla presenza di orizzonti argillosi dotati di elevati valori di salinità e sodicità lungo tutto il profilo investigato. Nell’altro vigneto, invece, è stato possibile ottenere soltanto valori di resistività relativi alla profondità 0-100 cm, in quanto al momento dell’indagine lo strato superficiale si presentava asciutto e ricco di scheletro. Qui la risposta resistiva è risultata correlata sia al contenuto di argilla che a quello di umidità. La diversità chimica e fisica dei suoli investigati è altresì responsabile delle differenti relazioni ottenute tra risposta resistiva (0-100 cm) e colturale. Per il vigneto 1 si ottiene una relazione esponenziale crescente che indica come al diminuire del valore di resistività (range 15-21 Ohm.m) - possibile incremento di salinità - decresca la densità di copertura. Per il vigneto 2 si adatta una equazione di potenza decrescente che suggerisce come all’aumentare della resistività (range 23-29 Ohm.m) – diminuzione della disponibilità idrica - decresca la densità di copertura. Inoltre, attraverso la relazione resistività (0-50 cm) - argilla, è stato possibile individuare, per entrambe le metodologie di indagine (pedologica e ARP), le ottimali strategie operative, capaci di ridurre i relativi tempi e costi esecutivi, pur conservando la capacità predittiva nei confronti della distribuzione spaziale dei caratteri del suolo funzionali alla risposta viti-vinicola. Prospettive future La ricerca effettuata ha evidenziato come la tecnica ARP possa costituire una valida metodologia di supporto all’indagine pedologica, tuttavia la possibilità di estenderla ad altre realtà viticole richiede di volta in volta un’apposita calibrazione per interpretare correttamente i valori di resistività. Pertanto si prevede di approfondire tale metodo verificando la sua applicazione ad ambienti diversificati per caratteri pedologici e/o colturali, anche integrandolo con indagini in remoto, quali foto aeree e immagini satellitari. Identificazione di aree a rischio di erosione a partire da evidenze di campo e con l’utilizzo di tecniche di interpolazione geostatistica M. Fantappiè, E. A.C. Costantini CRA – ABP, Centro di ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze. La strategia tematica dell’Unione Europea per la protezione del suolo prevede l’individuazione di aree a rischio di erosione idrica come principale azione di monitoraggio, che può essere realizzata utilizzando modelli di previsione teorici, oppure estendendo l’informazione ricavata da evidenze di campo. 3.518 evidenze puntuali sono state raccolte a partire da rilevamenti di suolo, carte geomorfologiche e dal progetto LUCAS. Sono stati raccolti dati raster (DEM, carta litologica e immagini Landsat) ed è stata creata la carta fisiografica tramite fotointerpretazione. I dati sono stati elaborati ottenendo106 informazioni ausiliarie. La probabilità della presenza di erosione è stata espressa utilizzando la funzione logit = 1/1 + e-Z, il cui esponente Z è stato interpolato utilizzando un ordinary kriging (OK), una regressione lineare multipla (MLR) e un kriging con deriva esterna (KED).

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Tre differenti mappe delle aree a rischio di erosione in Sicilia sono state ottenute per trasformazione inversa a partire dalle interpolazioni dell’esponente Z, che sono state valutate utilizzando un index of agreement (IoA) calcolato su di un subset del 10 % dell’informazione puntuale. I valori del IoA sono stati 0,84 per l’OK, 0,79 per il KED e 0,75 per l’MLR. Nonostante il valore più basso di IoA, l’MLR ha dato un risultato migliore in termini di estensione dell’informazione puntuale, essendo meno influenzato dalla localizzazione dei punto di rilevamento. La carta fisiografica e gli indici di bacino sono risultati i tematismi più predittivi, mentre il fattore LS della USLE e le classi di curvatura sono risultati non predittivi. La banca dati geografica dei sistemi pedologici d’Italia S. Magini, E.A.C. Costantini, R. Barbetti. CRA – ABP, Centro di ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze. Introduzione La banca dati geografica dei sistemi pedologici, alla scala di 1:500.000, realizzata in collaborazione con i servizi pedologici regionali, rappresenta un importante strumento di base per la conoscenza del territorio e dei suoli che su di esso insistono. Sono stati identificati e descritti i principali pedopaesaggi italiani, ovvero aree omogenee per caratteri morfologici, litologici, climatici e di copertura del suolo che raccolgono suoli che hanno in comune varie caratteristiche, proprietà o processi. La metodologia di lavoro applicata ha consentito di valorizzare il ruolo della “risorsa” suolo nel contesto ambientale, mettendone in risalto il forte collegamento con il paesaggio in cui ricade. Materiali e metodi La fase preliminare è stata la delineazione dei contenitori geografici, strettamente paesaggistici, cioè i “sistemi di terre” che dopo il legame con i suoli sono diventati “sistemi pedologici”. La loro delineazione si è avvalsa di una serie di banche dati che sono: il Modello Digitale del Terreno (250 m) riclassificato secondo classi che fanno riferimento al secondo livello di SOTER e con l’aggiunta di una discriminazione in base alle fasce isometriche, il JOG (Joint Operations Graphic), l’idrografia, la Carta Geologica d’Italia, la banca dati del “Corine Land Cover” e infine le immagini da satellite LANDSAT (TM5, visualizzazione RGB 432) sulla base delle quali sono stati apposti i limiti desunti dall’interpretazione. Innanzitutto il paesaggio è stato interpretato su base morfologica (combinazione morfometrica di quota e pendenza e “pattern” di drenaggio, con una valutazione dei principali agenti morfogenetici). Contemporaneamente è stata valutata la natura litologica delle formazioni geologiche. La verifica avviene sulle immagini satellitari per una convergenza di evidenze. La copertura del suolo discrimina generalmente solo a livello semantico, a parte alcune situazioni di alta montagna. Ogni unità cartografica è quindi un sistema paesaggistico inevitabilmente articolato, nel quale si sintetizzano una serie di componenti territoriali intimamente connesse tra loro. Ogni componente territoriale è stata legata ad una o più Sottounità Tipologiche di Suolo con il software“CNCP BDS”, grazie ad una specifica funzione.

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Risultati e conclusioni Il risultato del lavoro consiste in uno strato poligonale con più di 3300 unità cartografiche corredate da una serie di informazioni agevolmente consultabili grazie all’implementazione di un apposito geodatabase (ARCINFO) di ultima generazione. La sua interrogazione consente la decodifica di tutti gli attributi del sistema e la visualizzazione delle Sottounità Tipologiche di Suolo ad esso legate. Tutte le informazioni tra loro relazionate sono così facilmente accessibili direttamente dalla geografia, ottimizzando eventuali processi di analisi spaziale o valutazione a scala territoriale. Un esito rilevante del lavoro è di aver consentito inoltre, grazie alla collaborazione con le regioni italiane, la creazione di uno strato interregionale in cui le informazioni sui suoli sono armonizzate e che contengono tipologie pedologiche che sono significative a livello nazionale. Prospettive future Una banca dati così predisposta si presenta come una struttura volutamente aperta, che favorisce futuri aggiornamenti e approfondimenti, oltre che una gestione integrata dei dati. Nello stesso tempo consente di mantenere un archivio storico dei dati per la registrazione e memorizzazione di come sia evoluto nel tempo il territorio e i suoli ad esso legati.

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La suscettibilità del suolo al compattamento e alla formazione di superfici sigillate S. Pellegrini, M.C. Andrenelli, E. Batistoni, E.A.C. Costantini, M. Platinetti, S. Simoncini, N. Vignozzi CRA – ABP, Centro di ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze. Il compattamento e la formazione di superfici sigillate sono tra i più diffusi fenomeni di degradazione fisica dei suoli agrari, i cui effetti si ripercuotono negativamente sull’infiltrazione dell’acqua, l’erosione, gli scambi gassosi suolo-atmosfera e l’emergenza delle colture. Due diverse ricerche sono state condotte al fine di verificare l’effetto dell’uso del suolo e di differenti quantità di ammendanti organici (compost) rispettivamente sulla suscettibilità al compattamento e sulla formazione di crosta superficiale tramite prove di compressione uniassiale e pioggia simulata. L’analisi dei dati ha evidenziato come il contenuto di carbonio organico dei suoli controlli in misura statisticamente significativa la risposta alle forze applicate. I risultati confermano la necessità di contrastare il depauperamento della dotazione organica dei suoli agrari italiani, soprattutto alla luce dei previsti scenari climatici futuri. Effetto di differenti tecniche di gestione sulle caratteristiche fisiche del suolo N. Vignozzi, A. Agnelli, E. Batistoni, M. Platinetti, S. Simoncini, S. Pellegrini, M. Pagliai CRA - Centro di Ricerca per l' Agrobiologia e la Pedologia – Firenze Introduzione Nell'ottica di un’agricoltura eco-sostenibile e multifunzionale, la gestione del suolo deve garantire la produttività delle colture e proteggere, al tempo stesso, l’ambiente e il paesaggio. Le caratteristiche fisiche del suolo, e più in generale la struttura, influenzano la risposta delle colture; infatti, buone condizioni strutturali sono spesso correlate positivamente con le produzioni. Allo stesso tempo impedire l’insorgenza di fenomeni di degradazione fisica quali compattamento, perdita di struttura e formazione di croste superficiali risulta fondamentale per la prevenzione dell’erosione, riconosciuta anche a livello politico comunitario come una delle principali minacce ambientali. Le condizioni strutturali del suolo possono essere valutate attraverso la quantificazione e la caratterizzazione della porosità con il metodo micromorfometrico; tale tecnica permette una valutazione completa del sistema poroso in tutti i suoi aspetti: forma, distribuzione dimensionale, irregolarità, orientazione e continuità dei pori. La ricerca, condotta in un oliveto (cv. Maiatica) situato in agro di Ferrandina (MT) su suolo franco sabbioso (Typic Haploxerept), ha valutato tramite l’analisi micromorfometrica su sezioni sottili di suolo, gli effetti sulla struttura di due diversi sistemi di gestione: i) Tradizionale (lavorazioni superficiali, in asciutto, fertilizzazione minerale, allontanamento del materiale di potatura) e ii) Sostenibile (inerbimento spontaneo, trinciatura del materiale di potatura, mulching, fertirrigazione).

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Risultati e conclusioni Nel sistema di gestione Sostenibile la macroporosità, pur risultando bassa (valori compresi fra 5 e 10%), non mostra differenze significative fra strato superficiale (0-10 cm) e sottosuperficiale (10-20 cm). Al contrario, nella gestione Tradizionale le lavorazioni provocano la formazione di uno strato compatto a circa 10 cm di profondità; ciò contribuisce, unitamente alla formazione di croste superficiali, all'innesco di processi di erosione incanalata. L'analisi micromorfologica evidenzia situazioni molto differenziate nella gestione Tradizionale. In particolare, nella parte alta del versante, lo strato superficiale del terreno mostra una macroporosità molto bassa, simile a quella riscontrata a 10-20 cm di profondità. Questo sembra indicare l’avvenuta troncatura del profilo ad opera di processi di erosione incanalata e soliflussione; alle quote inferiori si rilevano invece croste deposizionali, a testimonianza dell’accumulo del materiale eroso. Nella gestione Sostenibile non si osservano evidenze di erosione. La lavorazione meccanica, la cui prima finalità in ambiente mediterraneo è l’aumento e la conservazione della riserva idrica, non ha raggiunto l’obbiettivo; la formazione di uno strato compatto ha impedito l’infiltrazione e la percolazione, come testimoniato dai valori di umidità rilevati fino a 50 cm di profondità. La gestione Sostenibile presenta livelli di C organico più elevati rispetto a quella Tradizionale. Contenuti inferiori di C organico nel suolo lavorato sono determinati sia da una più intensa mineralizzazione che, soprattutto nelle aree a monte, dalla perdita per erosione idrica dello strato superficiale. I risultati ottenuti fanno riflettere circa l’opportunità di perseverare nella scelta di gestioni del suolo non conservative, specialmente in aree declivi. L’erosione e la conseguente perdita di fertilità non sono, infatti, che l’effetto ultimo, più macroscopico, di altri fenomeni di degradazione quali la diminuzione di sostanza organica, la formazione di croste superficiali e di strati compatti lungo il profilo (suola di lavorazione). Prospettive L’adozione di sistemi di gestione alternativi ai tradizionali, quale quello Sostenibile di cui si riportano i risultati, influenza in maniera positiva le caratteristiche strutturali del suolo garantendo buoni risultati anche dal punto di vista produttivo (Palese et al., 2007). Contributo della coltivazione di specie arboree da biomassa in clima caldo arido alla conservazione dei suoli nell’Italia centro-meridionale G. Mughini, M. Gras CRA – Unità di ricerca per le produzioni legnose fuori foresta, Roma Fenomeno desertificazione/erosione dei suoli nell’Italia Meridionale Le regioni dell’Italia meridionale (Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Sardegna) sono interessate da un pericoloso fenomeno di desertificazione/erosione dei suoli. Tale fenomeno negli ultimi anni si è accentuato a causa dei cambiamenti climatici in atto. In più della metà del territorio di queste regioni il fenomeno desertificazione/erosione è classificato medio-alto e alto/elevato.

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Lotta alla desertificazione/erosione Uno dei sistemi impiegati per contrastare il fenomeno è stato, anche in un recente passato, la copertura del terreno con eucalitto, specialmente Eucalyptus occidentalis e E. camaldulensis. L’eucalitto infatti ha, in generale, caratteristiche idonee per l’impiego in situazioni difficili di clima caldo-arido. Le principali sono: Elevata adattabilità a situazioni pedologiche difficili. Terreni da torbosi ad argillosi pesanti con presenza di sodio; Elevata resistenza all’aridità. Sopravvive anche con scarsissima piovosità (300-400 mm) Elevata resistenza al fuoco. Resiste ad incendi di forte intensità ricacciando dalla ceppaia Elevata capacità produttiva. Superiore a quella delle specie spontanee o a rapido accrescimento nelle situazioni caldo aride Tali caratteristiche sono state però sopravvalutate in quanto si è creduto che si potessero costituire piantagioni protettive e produttive: La protezione del suolo è riuscita con successo. Le produzioni non sono risultate elevate come sperato anche se pur sempre superiori a quelle delle altre specie impiegabili. Sistema integrato depurazione semplificata – biomasse Per combinare protezione del suolo e produzioni elevate di legname è necessario che alle piante siano date quantità adeguate di acqua, elementi nutritivi e sostanza organica ma: l’irrigazione è improponibile per l’elevato costo di questa pratica e la scarsità del bene acqua che porterebbe ad un conflitto con le esigenze idriche delle popolazioni residenti e con le colture agricole alimentari; le concimazioni sono una pratica onerosa. Protezione del suolo e elevata produzione si possono ottenere fertirrigando gli eucalitti con reflui civili pretrattati. L’innovazione consiste nell’impiegare il sistema di depurazione ideato dal DIFA dell’Università della Basilicata (UNIBAS) per fertirrigare i cloni di eucalitto selezionati dal PLF. Nei cloni le caratteristiche generali tipiche di questa pianta arborea sono state esaltate infatti hanno: 1) Qualità del legno. Alcuni cloni sono idonei alla produzione di sfogliati, tranciati e travi lamellari . (Berti et al. 2000; Castro et al. 2000a e b) 2) Elevata capacità produttiva. Superiore a quella del materiale commerciale. (Mughini et.al. 2007a) 3) Capacità fitoestrattiva di metalli pesanti. (Mughini et al. 2007b) Caratteristiche principali del sistema di depurazione semplificata del DIFA UNIBAS Riduzione dei costi nell’ordine del 50% nei confronti del metodo tradizionale (vecchia normativa) Elevata riduzione della produzione di fanghi e relativo smaltimento Il refluo trattato mantiene la maggior parte dei nutrienti e dei fanghi che restano in sospensione e viene distribuito con un sistema di irrigazione a goccia (Masi et.al. 2008) Vantaggi del “sistema integrato depurazione semplificata-biomasse” 1) Impiegare anche terreni inadatti all’agricoltura (in via di desertificazione, salinizzazione o inquinati da sostanze indesiderate). 2) Ottenere elevate produzioni di biomassa costanti nel tempo. 3) Ridurre i costi di depurazione. 4)

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Ridurre l’inquinamento dei corpi idrici dovuto ai reflui. 5) Contenere il fenomeno desertificazione dei suoli. 6) Contribuire alla bonifica di terreni inquinati. Bibliografia 1) Allegretti O., Canitano G., Negri M., Travan L. e Marconi S., 2000. Eucalyptus dryness: qualitative comparison of different clones cultivated in Italy. In: Proceeding of the International Conference Eucalyptus in the Mediterranean basin: perspectives and new utilization. October 15-19, 2000 Taormina – Italy. 2) Berti S., Brunetti M. e Macchioni N., 2000. Physical and mechanical characterisation of Italian grown Eucalypts. In: Proceeding of the International Conference Eucalyptus in the Mediterranean basin: perspectives and new utilization. October 15-19, 2000 Taormina – Italy. 3) Castro G., Paganini M., Pinna M., 2000a. Mixed species glue laminated timber of Italian cultivated poplar and Eucalyptus clones. In: Proceeding of the International Conference Eucalyptus in the Mediterranean basin: perspectives and new utilization. October 15-19, 2000 Taormina – Italy. 4) Castro G., Cremonini C., Zanuttini R., 2000b. Industrial processing trials of Italian growth Eucalyptus grandis: slicing and rotary cutting. In: Proceeding of the International Conference Eucalyptus in the Mediterranean basin: perspectives and new utilization. October 15-19, 2000 Taormina – Italy. 5) Masi S., Cantiani D., Mancini I.M., Trulli E., Lavinia C., 2008. Rimozione selettiva di sostanza organica da acque reflue attraverso uno schema a fanghi attivi modificato: modellazione e valutazione economica. International Symposium of Sanitary and Environmental Engineering. Firenze 24-27 giugno 2008. 6) Mughini G., 2001. Cloni di Eucalyptus grandis W. Hill ex Maiden per la produzione di legname di qualità: risultati di una prova di selezione. Sherwood. N.72 anno 7. 7) Mughini G., 1996. CSAF activity report. In Consolidated Report (11.01.1993-04.30.1996). AIR3-CT93-1678. Improvement of eucalypt management an integrated approach: breeding, silviculture and economics. 8) Mughini G., Gras M., Facciotto G., 2007. Eucalyptus clones selection in central-south Italy for biomass production. 15th European Biomass Conference and exhibition. Berlin. 7-11 May 2007. 9) Mughini G., Alianiello F., Mascia M.G., Aromolo R., Benedetti A., Gras M., Facciotto G. 2007 Short rotation forestry for biomass production and phytoremediation of soils contaminated by arsenic. 15th European Biomass Conference and exhibition. Berlin, 7-11 May 2007.

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Relazioni tra sistemi di lavorazioni e suolo per un’agricoltura sostenibile D. De Giorgio CRA - Unità di Ricerca per i Sistemi colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari L’Unità di ricerca SCA di Bari ha realizzato diverse ricerche sul confronto fra le diverse modalità di lavorazione del terreno, in diversi ambienti e colture. Le 2 principali aree di ricerca sono il “Tavoliere pugliese” e la bassa “Murgia barese”, aree tipiche di 2 ambienti pugliesi. Nel primo è in atto una prova sperimentale avviata nel 1990, sul confronto fra 4 modalità di lavorazione del terreno (convenzionale, a 2 strati, superficiale e minimum tillage) in interazione a 3 livelli di fertilizzazione azotata (0, 50, 100 kg ha-1 di N), su cui si susseguono 2 cicli di rotazioni biennali (frumento-leguminose da granella, frumento-barbabietola da zucchero, frumento-colza, ecc.). Nella ricerca della bassa “Murgia barese”, avviata nel 1976, su una coltura di mandorlo in aridocoltura vi è un confronto fra no-tillage con 3 diverse modalità di controllo della flora infestante (diserbo antigeminello, inerbito e con un solo trattamento con disseccante ed inerbito con un solo sfalcio annuo della flora avventizia), e 2 tesi lavorate di cui una sarchiata (testimone) e l’altra con semina di favino e sovescio della biomassa. Da entrambe le ricerche “long time” è emerso che con la riduzione sia del numero che della profondità delle lavorazioni, non si riscontrano differenze significative sulle produzioni rispetto al convenzionale, con positivi risvolti sia sui costi di produzione che sulla riduzione dell’impatto ambientale. Sulle colture erbacee è emerso che con la riduzione delle lavorazioni sono necessari lievi incrementi degli apporti azotati. Non lavorando il terreno si riduce l’emissione di CO2 nell’atmosfera e si ha una maggiore stabilità delle caratteristiche chimiche e fisiche del suolo nel tempo. Sessione II Sistemi agroforestali e pianificazione del territorio e del paesaggio Le formazioni arboree “fuori foresta” nel paesaggio rurale Giuseppe Pignatti1, Flora De Natale1, Patrizia Gasparini2 1CRA - Unità di ricerca per le produzioni legnose fuori foresta, sede di Roma. 2CRA - Unità di ricerca per il monitoraggio e la pianificazione forestale, Trento. Introduzione Le formazioni arboree del contesto rurale sono riconducibili da un lato a popolamenti che soddisfano la definizione di bosco (ad es., piantagioni di arboricoltura da legno), dall’altro ai cosiddetti “alberi fuori foresta”, cioè gli alberi o gruppi di alberi che non rientrano nella definizione di bosco né in quella di altre terre boscate (formazioni forestali lineari, caratterizzate da uno sviluppo prevalentemente lineare e da una larghezza minore di 20 m, boschetti, connotati da una superficie inferiore a mezzo ettaro, costituiti da piccoli lembi di bosco residuo o aree ricolonizzate dalle foreste in altri usi del suolo, alberi sparsi negli usi non forestali), ma si trovano come i primi su superficie agricola. I dati dell’ultimo inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi di carbonio (INFC), al quale gli

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autori hanno partecipato a diverso titolo, ed alcuni recenti studi effettuati sull’argomento, consentono una prima analisi dell’estensione e delle caratteristiche di queste risorse. Risultati e conclusioni I boschetti e le formazioni forestali lineari occupano complessivamente una superficie di circa 430.000 ha e sono rappresentati in prevalenza da formazioni lineari (65%). Si tratta di una superficie considerevole, pari a circa il 4% dell’intera superficie forestale nazionale (comprese le altre terre boscate) e a quasi il triplo della superficie occupata dagli impianti di arboricoltura da legno. La densità sul territorio varia a seconda della regione ed è maggiore nell’Italia centrale, con un picco massimo nelle Marche, mentre soprattutto a sud risulta molto più bassa. Quasi il 90% di queste formazioni sono situate in contesti rurali. Più in generale, emerge che esistono dei paesaggi italiani caratterizzati dalla presenza di alberi fuori foresta, che non sono conteggiati fra le colture arboree e che, almeno in parte, soprattutto per quanto riguarda i boschetti, presentano caratteri di naturalità tali da renderli preziosi anche per le specie spontanee, sia vegetali che animali. L’INFC ha classificato l’arboricoltura da legno in tre categorie: pioppeti, impianti di latifoglie e impianti di conifere. Nel complesso, coprono poco più di 120.000 ha, pari a circa lo 0,4% della superficie territoriale nazionale (circa 1,2% di quella forestale). I pioppeti rappresentano la parte più significativa dell’arboricoltura da legno, con massima diffusione al Nord, ed una superficie complessiva di circa 66.000 ha. L’arboricoltura da legno può contribuire al miglioramento dei valori paesaggistici e di biodiversità attraverso la costituzione di piantagioni polispecifiche, come evidenziano le linee guida di alcuni piani di sviluppo rurale regionale. I dati della terza fase dell’inventario evidenziano che questa tendenza è già in atto, più marcata al nord, che in altre zone d’Italia. Prospettive Il progetto intramurale recentemente approvato FORFAR, “Formazioni di specie forestali in ambiente rurale: conservazione delle risorse e valorizzazione delle funzioni”, prevede, partendo dalla situazione qui esposta, di analizzare in alcuni casi di studio significativi le funzioni degli alberi nell’ambiente rurale, in un’ottica di uso sostenibile delle risorse, coinvolgendo ricercatori, agronomi e forestali, di tre unità di ricerca (CRA-PLF, CRA-MPF, CRA-ING), afferenti a due dipartimenti. Riqualificazione ambientale mediante l’impiego di pioppi spontanei L. Vietto, P. M. Chiarabaglio, G. Nervo CRA – Unità di ricerca per le Produzioni Legnose fuori Foresta, Casale Monferrato Introduzione Nell’ultimo decennio è notevolmente cresciuto l’interesse nei confronti della riqualificazione ambientale e, soprattutto nelle aree fluviali di pianura, pioppo nero (Populus nigra L.) e pioppo bianco (Populus alba L.) hanno acquisito un’importanza rilevante. Caratterizzate da spiccata eliofilia ed elevata plasticità sono in grado di colonizzare i greti che la dinamica fluviale rende disponibili e di affermarsi sui suoli più detritici e poveri. L’intenso sfruttamento del territorio a

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vantaggio delle attività agricole e industriali ha profondamente alterato la dinamica fluviale, provocando una drastica riduzione degli habitat tipici delle salicacee e, in particolare di P. nigra. Questa specie sta diventando rara in Italia e in molti Paesi europei dove si ritrova solo più come individui isolati o in formazioni di modesta entità; per questi motivi è stata inserita recentemente nelle liste rosse dei taxa minacciati redatte dall’International Union for Conservation of Nature and Natural Resources (IUCN 2007). Risultati e conclusioni Il CRA-PLF gestisce ampie banche di germoplasma di pioppo e salice che, oltre al tradizionale impiego nei programmi di breeding, vengono utilizzate per la produzione di materiale vivaistico qualificato da impiegare negli interventi di riqualificazione ambientale. In collaborazione con alcuni parchi fluviali come il Parco Fluviale del Po e dell’Orba ed il Parco Oglio Sud, sono stati realizzati numerosi interventi pilota finalizzati alla creazione di ecosistemi umidi, al recupero da aree interessate da attività estrattiva, a riconvertire aree agricole golenali soggette a frequenti fenomeni erosivi, ad aumentare la capacità auto depurativa delle fasce fluviali (buffer strips), a ricreare corridoi ecologici, a creare aree per la fruizione turistico-didattica e, non ultimo, al reinserimento di alcune specie arboree (P. nigra in particolare) e arbustive negli ambienti naturali di origine. Gli interventi finora realizzati hanno interessato una superficie di oltre 100 ettari ed hanno evidenziato come, pur operando frequentemente in condizioni difficili, il pioppo nero e il pioppo bianco possono essere validamente impiegati per ottenere, in tempi relativamente brevi, una copertura arborea in grado di creare condizioni idonee per favorire le successioni vegetazionali naturali. In alcuni casi, ricorrendo all’impiego di genotipi geneticamente differenziati, è stato possibile avviare una conservazione di tipo dinamico ricreando artificialmente in-situ unità di conservazione genetica che potranno consentire l’adattamento della specie a modificazioni ambientali e favorire, attraverso la disseminazione spontanea, la ricolonizzazione dei greti fluviali. Prospettive La carenza di materiale vivaistico idoneo presso il comparto vivaistico privato è attualmente uno dei limiti principali per la realizzazione di progetti di recupero ambientale, non solo in ambito regionale o nazionale, ma anche a livello europeo. In questo campo, al fine di non provocare ulteriori perdite di variabilità genetica nei popolamenti naturali sarebbe opportuno ricorrere all’impiego di individui di pioppo di sicura origine e identità oltre che geneticamente diversificati. Il completamento di una base conoscitiva di tipo inventariale a livello europeo inerente i popolamenti spontanei delle specie autoctone di pioppo consentirebbe sia di avviare un’opera di conservazione di tipo sistematico, sia di creare riserve genetiche strategiche per il settore vivaistico. Al momento solo il CRA-PLF, grazie alle raccolte effettuate in Italia in passato, è potenzialmente in grado di garantire una produzione vivaistica qualificata. L’iscrizione al RNCF di varietà multiclonali di P. nigra e P. alba, già possibile con il materiale genetico disponibile nelle banche di germoplasma esistenti, potrebbe essere un primo valido contributo alla soluzione del problema.

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La gestione selvicolturale delle pinete mediterranee e montane da rimboschimento E. Amorini, P. Cantiani, A. Cutini, M.C. Manetti, M. Plutino CRA – Centro di ricerca per la Selvicoltura, Arezzo Introduzione L’obiettivo prevalente dei rimboschimenti realizzati in Italia nel secolo scorso è stato la protezione del suolo: recupero di terreni degradati sulle pendici montane (Pinete di Pino nero), protezione diretta dal vento e dall’erosione nelle zone costiere (Pinete di Pino domestico, marittimo, d’Aleppo). La funzione protettiva è oggi fortemente integrata con altri valori del bosco: turistico-ricreativo, ambientale, paesaggistico e culturale. Obiettivo delle ricerche in atto presso il CRA-SEL è quello di valutare la funzionalità dell’ecosistema forestale e di verificare l’impatto di differenti soluzioni selvicolturali. Metodi Allo scopo sono stati realizzati numerosi protocolli sperimentali permanenti nell’Appennino centrale e nelle zone litoranee di Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Sardegna. I protocolli sperimentali prevedono la realizzazione di tesi di trattamento differenziate in comparazione fra loro. La peculiarità sta nella costituzione di una rete di parcelle permanenti che permettono il monitoraggio continuo e costante nel tempo degli effetti che conseguono ai trattamenti sperimentati. I parametri rilevati sono quelli propriamente dendrometrici, necessari alla definizione di indicatori sintetici. La valenza di tali indicatori (numero, area basimetrica e loro distribuzione, diametri e altezze medie e dominanti) è necessaria alla definizione della struttura dei popolamenti e alla loro dinamica nel tempo anche in seguito a “perturbazioni” (trattamento). L’assetto strutturale dei popolamenti si evince anche da specifiche analisi (transect di struttura, analisi delle componenti sociali). In numerosi protocolli vengono anche valutate le caratteristiche della copertura forestale (LAI, radiazione), produttività (biomassa, lettiera, produzione di seme), bilancio idrico (intercettazione della pioggia, contenuto idrico del suolo). Per la valutazione di specifici aspetti o fenomeni attesi (rinnovazione, composizione specifica e strutturale dei piani arbustivo ed erbaceo, danni da fauna ecc. ) vengono utilizzati specifici protocolli. Risultati I risultati acquisiti hanno permesso di apprezzare l’effetto positivo della gestione attiva (diradamenti, interventi per la rinaturalizzazione) su tutti i parametri di stabilità (meccanica e resilienza) dei popolamenti artificiali analizzati. Le pinete reagiscono positivamente al diradamento in termini di stabilità intesa dal punto di vista meccanico e biologico, ovvero di attitudine del bosco a perpetuarsi naturalmente. La gestione selvicolturale, perché sia effettivamente efficace, deve avvalersi di un trattamento differenziato per frequenza, tipo, e intensità dei singoli interventi colturali. Prospettive Implementare la rete di protocolli sperimentali per interessare quanto più possibile la gamma dei popolamenti e delle specifiche problematiche selvicolturali in Italia.

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Stimolare nelle parcelle sperimentali le ricerche congiunte fra specialisti di diversi settori. Aumentare la divulgazione dei risultati anche tramite seminari in campo. Il ruolo degli ecosistemi forestali per la qualificazione del paesaggio e per la protezione del suolo: un caso di studio S. Avolio, V. Bernardini, M. Tomaiuolo, R. Turco CRA – Unità di ricerca per la Selvicoltura in Ambiente Mediterraneo, Cosenza Introduzione Secondo il principio della multifunzionalità, ormai ampiamente riconosciuto, ogni ecosistema forestale svolge, al contempo, numerose ed insostituibili funzioni dirette ed indirette, tra cui quella paesaggistica. Disboscamenti operati nel passato, irrazionali tecniche di gestione selvicolturale, abbandono colturale, carichi di bestiame di gran lunga superiore alla capacità portante di pascoli e boschi, incendi boschivi, inquinamento ambientale, rappresentano le cause di degrado che maggiormente hanno inciso sia sull’estensione degli ecosistemi forestali, sia sulla loro funzionalità e stabilità bio-ecologica. In Italia una delle principali cause di distruzione degli ecosistemi forestali è rappresentata dagli incendi boschivi. Ogni anno circa 50.000 ettari di superficie boscata vengono percorsi dal fuoco, le cui cause sono prevalentemente di natura colposa o dolosa. Gli ecosistemi forestali mediterranei sono quelli maggiormente influenzati dall’azione perturbativa del fuoco; in molte zone sono presenti boschi radi, macchia bassa o gariga che, di fatto, rappresentano fisionomie regressive della successione forestale, in quanto profondamente alterate nella struttura e nella composizione floristica originaria. Il 24 luglio 2007 un incendio di vaste proporzioni ha percorso il territorio di Peschici (FG), una delle zone più belle e turisticamente più frequentate del Gargano. Il fenomeno, favorito dalla prolungata siccità, dalle temperature elevate e soprattutto dalla eccezionale velocità del vento che spirava quel giorno, ha causato la distruzione di diverse centinaia di ettari di pinete (pure o a prevalenza di Pinus halepensis Mill.) e di macchia mediterranea. Nonostante l’intervento sufficientemente tempestivo di alcuni mezzi aerei antincendio, coadiuvati da squadre e mezzi terrestri, i danni per l’ambiente e per l’uomo sono stati notevoli. Non bisogna inoltre dimenticare i problemi di degrado per il substrato pedologico, soggetto a progressiva perdita di fertilità dopo il passaggio del fuoco. Le aree private della copertura e della protezione arborea, in concomitanza di eventi piovosi eccezionali, sono soggette a fenomeni erosivi accentuati, che nella peggiore delle ipotesi potrebbero causare la perdita totale del suolo per dilavamento e scorrimento superficiale, con affioramento della sottostante matrice litologica. Risultati e conclusioni

Il susseguirsi degli eventi naturali, tecnici, legali, hanno determinato l’esistenza di 3 differenti situazioni: 1. aree in cui è stato effettuato, in agosto-settembre 2007, il taglio raso delle

piante morte in piedi;

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2. aree in cui il taglio raso delle piante morte in piedi è stato eseguito in maggio-giugno 2008, in seguito all’ordinanza del sindaco;

3. aree in cui non è stato eseguito alcun intervento. Durante alcuni sopralluoghi effettuati a distanza di 1 anno dai due eventi

disastrosi è stato possibile osservare che le aree diversamente trattate presentavano differenti gradi di rinnovazione, costituita nella generalità dei casi da semenzali di pochi mesi, presumibilmente nati nella scorsa primavera o, al massimo, ad inizio estate scorsa. Ad un primo esame è stato notato che il numero di semenzali presenti nelle aree tagliate a raso era superiore al numero di semenzali presenti nelle zone in cui non è stato eseguito nessun intervento. Non è invece chiaro se particolari condizioni morfologiche e/o di esposizione abbiano influito sulla rinnovazione presente. Scopo del lavoro è quindi quello di determinare se le differenze in termini di rinnovazione, osservabili “ad occhio” sul terreno, siano statisticamente significative o meno. In sostanza ci si chiede se, per favorire la rinnovazione post-incendio delle pinete, è opportuno lasciare per un certo periodo le piante morte in piedi, così come viene affermato da alcuni, o se è preferibile procedere alla rimozione delle stesse in tempi rapidi.

Prospettive In molti ambienti caldo-aridi la dinamica e le modalità dei processi naturali che si istaurano dopo un incendio sono ancora poco chiari; spesso si osserva la ricolonizzazione spontanea; altre volte invece si innescano processi che, se non contrastati, potrebbero addirittura portare a modifiche dell’originaria copertura forestale. La difesa di questi ambienti deve quindi basarsi sullo studio puntuale delle cause di degrado, delle azioni di mitigazione degli effetti, degli interventi di ripristino degli ecosistemi danneggiati o distrutti dall’azione perturbatrice dell’uomo. Ulteriori indagini sperimentali, che richiederebbero la partecipazione di “competenze” diverse dalla nostra, potrebbero riguardare: 1. lo studio delle dinamiche vegetazionali post-incendio; 2. lo studio e l’analisi di eventuali patologie che si sviluppano a carico delle

piante bruciate o danneggiate dall’incendio; 3. l’analisi degli aspetti legati alla micro e macrofauna; 4. ricerche riguardanti il substrato pedologico. In sostanza, riteniamo che tale problematica, riguardante aspetti bio-ecologici, paesaggistici, pedologici, debba essere affrontato secondo un approccio multidisciplinare. ProgettoBosco: un sistema informativo di supporto alla pianificazione forestale per la gestione integrata del territorio P. Cantiani 1, I. De Meo 2, C. Dibari 2, F. Ferretti 3 1CRA – Centro Ricerca per la Selvicoltura, Arezzo 2CRA – Unità di Ricerca per il Monitoraggio e la Pianificazione Forestale, Trento 3CRA – Unità di Ricerca per la gestione dei Sistemi Forestali dell’Appennino, S. Pietro Avellana Sono in fase di messa a punto un metodo ed un sistema informativo ad esso collegato a supporto della pianificazione forestale. L’approccio seguito punta ad

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una gestione integrata del territorio avendo come oggetto della pianificazione tutti i territori non urbani e non agricoli - ovvero gli elementi propri dell’ambiente silvo-pastorale - studiati in connessioni con le altre componenti paesaggistiche (superfici ad uso agricolo e urbano), in una visione unitaria e complessa del territorio esaminato. Obiettivi principali dell’attività di ricerca e sperimentazione sono: • definire un livello informativo minimo sufficiente a descrivere ogni superficie forestale italiana gestita da parte di un ente pubblico o che sia interessata a interventi di finanziamento regionali, nazionali o europei; • facilitare il confronto nello spazio (contesti territoriali e unità amministrative diverse) e nel tempo delle informazioni fondamentali che riguardano la gestione dei boschi italiani. • realizzare sistemi informatici di supporto alla pianificazione forestale, utili sia al tecnico che redige il piano sia all’ente pubblico incaricato di controllare e gestire il territorio. Tutti questi obiettivi si stanno concretizzando tramite la messa a punto di due metodi integrati e sistemi informativi finalizzati alla pianificazione delle foreste a due diverse scale: i piani di assestamento e i piani forestali territoriale di indirizzo (PFTI). A scala territoriale le analisi e le valutazioni della pianificazione si allargano all’insieme degli ecosistemi forestali e pastorali di un intero comprensorio, indipendentemente dai confini di proprietà, considerando tutte le componenti di uso del suolo e l’assetto sociale ed economico. I piani forestali territoriali si stanno progressivamente diffondendo nelle diverse regioni italiane come strumenti atti a definire ed indirizzare la gestione delle risorse a livello sovraziendale, con metodi e procedure che, in relazione alle diverse situazioni, sono ormai consolidate o in via definizione. Per Piano Forestale Territoriale di Indirizzo (PFTI) si intende uno strumento di pianificazione di un territorio più ampio di quello aziendale, omogeneo da un punto di vista geografico e amministrativo. Si tratta di una scala intermedia tra la pianificazione forestale particolareggiata e quella regionale, scala che sembra la più idonea a considerare la sostenibilità del rapporto tra l’uomo ed il bosco e a garantire la tutela degli interessi della collettività nei confronti del bosco stesso. Il metodo proposto è composto da moduli obbligatori e moduli opzionali che possono essere attivati in funzione delle esigenze sociali ed ambientali del territorio in cui il piano opera. La struttura modulare permette di rispondere con elasticità alle diverse esigenze di coloro che hanno a che fare con i processi di pianificazione consentendo di aggiungere o di eliminare l’analisi di una o più tematiche anche in corso di elaborazione del piano. La pianificazione a scala sovraziendale non può derivare da un processo che si origina dal basso, come aggregazione e analisi di informazioni derivate dai piani forestali particolareggiati, a causa dell’incompletezza della copertura territoriale di questo livello di pianificazione in Italia. D’altronde la natura stessa delle informazioni richieste dalla pianificazione forestale territoriale può divergere da quella dei piani di gestione. E’ invece valido il contrario: una dote di informazioni proprie della dimensione territoriale (raccolte per esempio a scala di comunità montana o di bacino) può essere di valido supporto informativo per le esigenze della pianificazione di dettaglio.

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Interpretazione del sistema naturale complesso multivariato Foreste-Suolo-Territorio: dall’approccio statistico classico all’Intelligenza Artificiale; le Reti Neurali G. Scrinzi, F. Clementel, G. Colle, A. Floris, D. Galvagni, L. Marzullo CRA – Unità di Ricerca per il Monitoraggio e la Pianificazione Forestale, Trento A partire dalla fine degli anni ’90, prima presso la Sezione di Assestamento forestale ISAFA e ora presso l’attuale analogo gruppo di lavoro del CRA-MPF di Trento, sono state sviluppate competenze ed esperienze nell’uso di modellistica matematica avanzata applicata all’interpretazione del sistema foresta-suolo, alla fruizione turistica del bosco, alla classificazione della morfologia territoriale, come peraltro alla modellizzazione di fenomeni quantitativi di tipo biometrico forestale. I modelli a logica neurale (Artificial Neural Network – ANN), sviluppati nel mondo dell’A.I., si sono infatti rivelati un’interessante prospettiva metodologica specialmente laddove l’interpretazione di sistemi complessi multivariati coinvolga contestualmente variabili quantitative e qualitative e non esistano a priori modelli interpretativi deterministici conosciuti e comunque ove le rigide assunzioni statistiche di tipo distributivo non siano verificabili. I modelli ANN “imparano” un comportamento coerente su casi reali di realizzazione del fenomeno analizzato e sono poi in grado di riprodurlo. Essi interpretano matematicamente in modo automatico e rendono riproducibile la conoscenza esperta o la capacità di riconoscimento di pattern o anche il determinismo quantitativo interno di sistemi complessi naturali che, in relazione ai livelli di manifestazione di un determinato complesso di variabili ipotizzato o individuato come esplicativo, assumono certi valori, stati o comportamenti o vengono classificati dall’esperto in determinate classi di esito classificatorio. Apprendendo dal complesso di esempi o casi a disposizione (fase di addestramento) il modello neurale cerca di cogliere e tradurre in algoritmo il legame tra modalità delle variabili ritenute esplicative e la relativa risposta del sistema, spesso anche in presenza di casi afflitti da un certo grado di sfocatezza e/o contraddittorietà (“rumore di fondo”). Parte dei casi non vengono impiegati in addestramento del modello neurale, ma rimangono esclusivamente destinati a testare la sua capacità, ad addestramento ultimato, di “generalizzare” e cioè di fornire valutazioni corrette (aderenti al comportamento del sistema) su casi privi dell’esito (fase di simulazione). Naturalmente è necessario che lei variabili esplicative in input abbiano effettivamente correlazione coi fenomeni esaminati. In caso contrario non ci sarebbe, in ultima analisi, “nulla da imparare”. Le reti neurali si ispirano alla struttura del cervello: unità di calcolo elementari (neuroni o nodi) ricevono, processano ed inviano informazione ad altri neuroni a loro collegati. La struttura e la forza di questi collegamenti viene ottimizzata per specializzare la rete nel risolvere un particolare problema di classificazione o di modellizzazione quantitativa. Nell’ambito di queste appplicazioni viene spesso utilizzata l’architettura di rete detta Multi-layer Perceptron (MLP), fra le più adattabili sia a problemi di riconoscimento di pattern che di studi modellistici quantitativi. In essa i nodi sono organizzati in strati (layers). Il primo strato riceve i valori in input (variabili esplicative), mentre l’ultimo restituisce i valori in output (risposta). Il numero di nodi di questi strati è definito dalla codifica delle variabili esplicative e della risposta. Tra questi due layers esterni esiste almeno un altro strato detto hidden layer. I collegamenti uniscono ciascun nodo di un layer con tutti quelli dei layers

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immediatamente precedente e successivo. A ciascun collegamento è associato un parametro di rete (peso). I valori dei pesi sono la chiave per ottenere reti neurali specializzate nel risolvere uno specifico problema. La fase di addestramento di una rete neurale serve ad ottimizzare questi valori. Nelle architetture MLP ciascun neurone calcola una funzione non lineare (funzione di attivazione) del prodotto scalare tra il vettore degli input e il vettore dei pesi. Tutti i neuroni di uno stesso strato eseguono questo calcolo in parallelo propagando il risultato (stato di attivazione) a tutti i neuroni dello strato successivo. Questi a loro volta effettuano lo stesso tipo di processo fino a giungere ai neuroni di output, i cui stati di attivazione andranno a costituire la risposta fornita dalla rete. Presso il gruppo di ricerca in geomatica, modellistica e statistica applicate alla Pianificazione forestale del CRA-MPF i modelli ANN sono stati impiegati in vari contesti di modellizzazione quantitativa o classificatoria, alcuni dei quali vengono citati come esempi e sommariamente descritti nella relazione. Essi, per quanto riguarda il riconoscimento di pattern e l’interpretazione della conoscenza esperta, vanno dalla classificazione automatica della morfologia territoriale su DEM, alla valutazione pratico-operativa della funzione idrogeologica del bosco (in collaborazione con CRA-ABP, Firenze e IPLA, Torino). Sul versante modellistico quantitativo viene invece illustrato un esempio di proiezione/attualizzazione di distribuzioni diametriche di inventari forestali pregressi su base particellare destinato a risparmiare i costi della ripetizione dell’inventario stesso (studio finanziato dalla Provincia Autonoma di Trento). Impatto dei cambiamenti climatici sulle proprietà chimiche e mineralogiche dei suoli forestali D. Giaccai, A. Mirabella, M. Pagliai CRA – Centro di ricerca per l’agrobiologia e la pedologia, Firenze Introduzione La conoscenza dei processi che governano la mobilità e la disponibilità dei metalli pesanti nel suolo e degli effetti che su di essi hanno le modificazioni dell’ambiente indotte da fattori naturali o antropici è essenziale alla prevenzione del loro impatto sugli ecosistemi. Scopo della presente ricerca è la caratterizzazione del contenuto di metalli pesanti nei suoli del Trentino, e lo studio delle sue variazioni in relazione al clima, alla litologia del substrato, alle caratteristiche dei minerali argillosi e della sostanza organica. Ulteriore obiettivo della ricerca è l’approfondimento delle conoscenze sui processi che controllano la mobilità della sostanza organica e degli ossidi lungo il profilo del suolo, quali fattori di rilevanza pedogenetica e possibilmente correlati con la distribuzione dei metalli pesanti nel profilo stesso. In accordo con tali finalità, sono stati selezionati suoli di ecosistemi forestali, rappresentativi per varietà climatica e pedologica dei territori alpini italiani in particolare quelli del Trentino Alto Adige, posti a diversa altitudine ed evoluti su differenti substrati. La caratterizzazione dei suoli è stata effettuata sia sulla base di analisi chimiche e fisiche di routine, sia di analisi specialistiche, quali, in particolare, l’analisi diffrattometrica ai raggi X dei minerali argillosi, il frazionamento della sostanza organica e l’analisi dei gruppi funzionali organici mediante spettroscopia

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nell’infrarosso. L’indagine sui metalli pesanti ha interessato sia il contenuto totale, sia la frazione disponibile, quest’ultima, in particolare, rappresentata dalle specie solubili e da quelle associate ai costituenti organici e minerali del suolo in forma più disponibile. Risultati e conclusioni Sono state studiate due sequenze di suoli che si sviluppano da paragneiss in Val di Rabbi lungo una climosequenza con un’altezza che varia da 1200 a 2400 m.s.l.m. Tutti i suoli in esame presentano struttura grossolana, prevalentemente sabbiosa e pH acido. Sono stati misurati il TOC (total organic carbon), il TEC (total extractable carbon), gli acidi umici e fulvici ed il contenuto di N. La tipologia dei gruppi funzionali degli acidi umici e fulvici è stata determinata usando il DRIFT (Diffuse Reflectance Infrared Fourier Transform Spectroscopy). La quantità di carbonio organico nel suolo (SOC) è risultata climo-dipendente in modo non lineare. Generalmente i suoli dei versanti a nord hanno un contenuto più elevato di sostanza organica; confrontandoli con quelli a sud, il grado di umificazione è significativamente inferiore. Gli acidi fulvici sono eluviati più facilmente all'interno del profilo di suolo rispetto agli acidi umici; l’eluviazione del Fe e dell’Al è risultata correlata con gli acidi fulvici. Infatti, i gruppi funzionali –COOH e –OH degli acidi fulvici hanno dato buoni risultati di correlazione con le forme degli ossidrossidi debolmente cristallizzate. Un maggior contenuto di acidi fulvici è stato osservato nei profili a nord dove, di conseguenza, i processi di podzolizazione sono stati più intensi. Ciò è dovuto anche all'accumulo di materiale organico debolmente degradato e alla successiva alta produzione di leganti. In tal modo, l’eluviazione del Fe e dell’Al aumenta fortemente. I suoli al limite della vegetazione arborea e con esposizione nord mostrano conseguentemente processi di podzolizazione più intensi nelle regioni alpine. Per quanto riguarda i minerali argillosi sempre sui suoli esposti a nord si è riscontrata la maggiore intensità di alterazione; in particolare si è riscontrato un maggior contenuto di smectite. Nei suoli con esposizione a sud, la smectite è stata trovata soltanto nell'orizzonte più superficiale del profilo situato a maggiore altezza. Sul versante a sud il processo di podzolizazione è meno pronunciato a causa di un minor flusso di acqua attraverso il suolo e probabilmente anche ad un minor contenuto di molecole organiche complessanti che estraggono i polimeri dall’interstrato. Oltre al processo di eluviazione, i minerali argillosi hanno subito un processo di sostituzione ionica nel foglietto octaedrico che ha condotto alla riduzione della carica di strato. Questo processo è più evidente sui suoli del versante nord. Prospettive Proseguire gli studi sugli effetti dei cambiamenti climatici in suoli con diverso pH per approfondire gli aspetti della pedogenesi in funzione di questo parametro.

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Valutazione delle proprietà idrauliche dei suoli forestali E. Gregori1, D. Galvagni2 1C.R.A. – Centro di ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze 2C.R.A. – Unità di ricerca per il Monitoraggio e la Pianificazione Forestale, Trento Introduzione La stima delle proprietà idrauliche dei suoli assume notevole importanza per l’ottimizzazione dello sfruttamento della risorsa idrica negli ecosistemi agricoli e forestali, contenendo le perdite per ruscellamento e controllando l’erosione del suolo. La comprensione dei processi di infiltrazione delle acque, della loro circolazione nel profilo e delle modalità con cui il suolo trattiene la fase liquida consente tra l’altro di pesare le conseguenze ambientali di alternative diverse nella destinazione d’uso del suolo e nella gestione degli ordinamenti colturali in termini, per esempio, di bilancio di nutrienti ed inquinanti. Materiali e metodi La base dati. Dopo alcuni deludenti tentativi di utilizzare dati dell’International Soil Reference and Information Centre, si è fatto ricorso al Soil Characterization Database del National Soil Survey Center (USDA-NRCS) che ha permesso di allestire un data set minimo (18315 orizzonti, caratterizzati da 8 variabili) ed un data set esteso (12542 orizzonti di 1740 profili completi) contenente anche l’informazione sull’organizzazione del profilo, frazionamento di sabbie e limi, rapporto C/N, stato di aggregazione, colori (hue, value e chroma) della matrice e delle screziature. La costruzione dei modelli. Oltre ai metodi canonici della regressione multipla si è fatto ricorso all’approccio neurale, con la suddivisione della casistica in tre sottoinsiemi: training (52% dei casi), validation (24%) e test (24%) set. L’addestramento delle reti è avvenuto con il modulo Neural Networks di STATISTICA®; nelle sessioni di addestramento in modalità IPS (Intelligent Problem Solver) l’architettura con esiti migliori è risultata quella del tipo MLP (Multilayer Perceptron). Applicando la tecnica della crossvalidation si sono addestrate più reti su differenti subset di training e validation; i risultati forniti dalle reti (3) sono state quindi combinate in un ensemble. Stima della capacità idrica di ritenzione del suolo Il migliore modello neurale per la stima dell’acqua alla capacità di campo è in grado di interpretare ¾ della variabilità totale sul data set esteso, con il tasso di C organico come variabile esplicativa più importante. Risultati molto simili si ottengono frazionando la terra fine in sabbia, limo e argilla; il migliore modello neurale riesce infatti ad spiegare il 70% della variabilità osservata. L’approccio neurale applicato alla stima del contenuto idrico del suolo al punto di appassimento è risultato ancor più accurato, con r2 pari all’84% sia per il frazionamento in 8 classi che in 3 classi granulometriche. Le variabili con maggiore capacità esplicativa sono risultate argilla, carbonio organico e densità apparente, nel primo caso, e carbonio organico, argilla e sabbia nel secondo. Stima della conducibilità idraulica a saturazione (Ksat) È in corso di studio una procedura di selezione delle stime di Ksat fornite da 12 modelli di tipo regressivo o neurale disponibili in letteratura o consultabili via WEB.

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Tale selezione consiste nell’eliminazione degli outlier (percentili soglia del 5 e 95%) ed è resa possibile dalle distribuzioni di frequenza di Ksat entro ciascuna classe tessiturale riferite da Meyer et al. (1999). Confrontando la media dei valori accettati per ciascun orizzonte del profilo si può allora valutare in maniera oggettiva e riproducibile la riduzione di permeabilità eventualmente presente nel profilo. La procedura è stata applicata a 602 profili completi del data set USDA-NRCS con HSG noto e si sta procedendo all’individuazione di un modello che classifichi con sufficiente affidabilità l’HSG di un generico profilo. Sono stati finora identificati due ensemble di reti neurali con architettura MLP e struttura simile, eccetto che per un numero sostanzialmente diverso di variabili in ingresso (7 e 13), in grado di classificare correttamente il 65 - 67% dei 144 casi del test set. Conclusioni e prospettive I risultati appaiono confortanti anche in considerazione di una certa dose di soggettività implicita nella classificazione dei profili nelle 4 classi di HSG da parte degli esperti del USDA Soil Survey Service; ulteriori affinature sono però necessarie nella fase di selezione delle funzioni di stima di Ksat, definendo a priori il campo di applicazione di ciascun modello e/o i criteri di accettabilità della stima fornita. Vegetazione arborea e siti bioclimatici d’alta quota per lo studio di cambiamenti climatici in atto di potenziale impatto su suolo e paesaggio S. Avolio, V. Bernardini, R. Turco CRA – Unità di ricerca per la Selvicoltura in Ambiente Mediterraneo, Cosenza Introduzione L’Appennino meridionale, per il particolare ambiente fisico e biologico che lo caratterizza, ha consentito, con la formazione al suo interno di “aree rifugio”, a molte specie arboree di superare le passate glaciazioni, scongiurandone l’estinzione a sud e alle quote basse e predisponendo le stesse, nelle fasi calde interglaciali, alla ridiffusione naturale ai livelli altitudinali superiori e, in un secondo momento, al recupero verso nord delle aree perdute. Conseguenze diretta o indiretta sulla vegetazione forestale dei cambiamenti climatici possono essere pertanto le minime variazioni di areale delle specie, nonché in ambito locale gli adattamenti fenologici, i ritmi incrementali, ecc. delle stesse. In merito a ciò, i risultati di indagini da avviare in tre Regioni meridionali (Basilicata, Calabria e Sicilia) sullo stato ecobiologico di un campione esistente di piante di pino loricato e pino laricio, posto al limite superiore della vegetazione arborea, e su siti bioclimatici da realizzare nelle immediate vicinanze, costituiti da capannine meteo e aree sperimentali delle due specie, potrebbero contribuire a dare utili risposte riguardanti eventuali modificazioni in atto del clima. Sulla base di tali premesse si riportano alcune considerazioni derivanti da attività di ricerca, del CRA-SAM di Cosenza, avviate il 1985 in centri di diffusione d’alta quota di pino loricato nel Massiccio del Pollino, il 1996 in aree sperimentali di pinete naturali di laricio edificate sull’Etna, il 2005 per l’acquisizione di un modello di sito bioclimatico posto nella Catena costiera calabra.

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Risultati e conclusioni I centri di diffusione (6) di pino loricato sono stati realizzati nel 1985-86 a Serra di Crispo (1960 m di quota) e ai livelli altitudinali superiori (2040-2230 m) di Monte Pollino, ove ricadono esemplari relitti della conifera, con aspetto deperiente, fusti contorti, chiome seccaginose età elevata, altezza e diametri notevoli in rapporto all’ambiente climatico ed edafico particolarmente difficile; la rinnovazione naturale del pino è anche stentata per cui si impone la rimozione dei fattori di perturbazione predisponenti in alta quota la riduzione numerica delle piante ultrasecolari. I risultati, dopo 7-8 anni dalla messa a dimora delle piantine, sono da ritenersi ottimi con riguardo alla sopravvivenza (78-93%), all’altezza media raggiunta (24-51 cm), alla vigoria vegetativa (buona), allo sviluppo (uniforme) e alla forma (conica) delle piante. Sull’Anticima nord di Serra Dolcedorme, a 2240 m, la specie segna anche il limite superiore della vegetazione arborea per l’Appennino meridionale. Le aree sperimentali (4) di pino laricio costituite sull’Etna nel 1993-94, ricadono nel bosco di Linguaglossa ad un’altitudine compresa tra 1200 e 1850 m. Dai 1200 ai 1400 m la pineta rappresenta una fascia di transizione col sottostante querceto di roverella. Dai 1400 ai 1650 m i popolamenti di laricio sono puri, chiusi, con assenza di sottobosco. Dai 1650 ai 1850 m la pineta risulta gestita e diradata, con buona rinnovazione, presenza di faggio. Ancora più in alto, a circa 2000 m, la specie segna per la Sicilia il limite della vegetazione arborea, anche se nei versanti a Est cede il passo alla betulla che, allo stato arbustivo e prostrato, si spinge fino a 2100 m. Un primo modello di sito bioclimatico, operativo dal 2005, realizzato in collaborazione col Servizio Agrometeorologico dell’ARSSA, è posto sul versante ovest della Catena costiera calabra, ad una quota di 800 m, in località S. Nicola del comune di S. Lucido (CS). Sito costituito da una stazione di rilevamento meteo e da un’area sperimentale biotica arborea, entrambe recintate. La capannina meteo è dotata di sensori per la misurazione (valori medi, massimi e minimi), per l’aria e il suolo, della temperatura, dell’umidità, della precipitazione giornaliera e del numero di giorni di pioggia, della bagnatura fogliare, della velocità e della direzione prevalente del vento, della radiazione luminosa al suolo. Il sito biotico, posto vicino alla stazione meteo, ha una superficie di 100 m2 al cui interno sono state messe a dimora 25 trapianti in fitosacco di pino loricato di 5-6 anni. Sulle piante si eseguono rilevamenti periodici, dendrometrici e selvicolturali. I dati dendroauxometrici acquisiti sono correlati con quelli climatici. Prospettive In un periodo caldo come l’attuale le due specie prescelte, pino loricato e pino laricio - attraverso misurazioni e verifiche puntuali su esemplari naturali e artificiali (centri di diffusione), posti o da realizzare in alta quota sul Pollino e sull’Etna -, potrebbero dare preziose informazioni biotiche sul possibile cambiamento climatico in atto, in attesa dei necessari test meteorologici che dovranno poggiare su serie storiche abbastanza lunghe, al momento non disponibili. Sulle piante verranno periodicamente eseguiti rilievi dendrometrici e selvicolturali. Nel piano altomontano dell'Etna dovrà essere organizzata la costituzione di centri di diffusione di pino laricio. Sarà anche importante integrare i dati fenologi e dendroauxometrici, che affluiranno dagli esemplari naturali e dai centri di diffusione delle due specie, con quelli climatici, da acquisire con l’installazione di capannine meteo. Attenzione particolare sarà prestata pure ad osservazioni aggiuntive su suolo, meso e microfauna, miceti simbionti di specie forestali d’alta

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quota, coinvolgendo altre istituzioni del CRA. Altro interessante aspetto da studiare, in cooperazione tra le istituzioni coinvolte, sarà l’individuazione di eventuali stress o modificazioni nel tempo delle diverse componenti presenti nelle aree sperimentali, indotte da eventuali cambiamenti climatici in atto. Elementi significativi, utili al CRA-SAM per proporre alle Regioni Basilicata, Calabria e Sicilia - in questa straordinaria azione naturale di ridiffusione alle alte quote di due conifere peculiari dell’Appennino meridionale - innovative strategie sperimentali di settore. Bibliografia AVOLIO S., 1984 – Il pino loricato. Annali ISSEL, Vol. XV: 77-153. AVOLIO S., 1985 – Il pino loricato al Sud non è in via di estinzione. Airone, n. 56: 18-20. AVOLIO S., 1992 – L’acquisizione forestale del pino loricato. Italia Forestale e Montana: 211-227. AVOLIO S., 1996 – Il pino loricato emblema del Parco Nazionale del Pollino. Ediz. Prometeo1-140. AVOLIO S., 1998 – l Giganti della Sila. Volume “S.O.S. Verde. Ediz. Edagricole: 281-283 AVOLIO S., 1998 – l Giganti del Pollino. Volume “S.O.S. Verde. Ediz. Edagricole: 287-290. AVOLIO S., 2003 – Storia evolutiva delle foreste calabresi. Volume “Foreste di Calabria”: 12-23. AVOLIO S., 2003 – Schede monografiche pino loricato e pino laricio. Volume “Foreste di Calabria”: 250-269. AVOLIO S., 2007 – Siti bioclimatici calabresi e test di desertificazione. Programma Forestale Regione Calabria: 129-130. AVOLIO S., BERNARDINI V., 2001 – Vegetazione forestale, formazioni boschive e biotopi arborei nell’area di studio dell’Appennino calabro-lucano. Convegno “Meteorologia e clima locale nell’Italia meridionale”: 13-27. RAIMONDO F.M., 1995 – Indagini sui boschi di pino laricio dell’Etna. Tesi di laurea: 1-130. Ruolo delle rotazioni sulla fertilità dei suoli in sistemi cerealicoli del sud Italia R. Farina, A. Iannucci, M. Russo CRA – Centro di ricerca per la Cerealicoltura, Foggia Introduzione Le rotazioni influenzano la qualità e la quantità della S.O. che viene apportata al suolo. La scelta del tipo di rotazioni per ripristinare e/o incrementare il contenuto di SO nei suoli non ha soluzioni univoche, ma queste devono essere adattate al suolo, al clima e alla vocazione colturale. La prova sperimentale di lungo termine “Avvicendamenti” in corso dal 1991 al CER di Foggia ha lo scopo di valutare l’effetto di diversi avvicendamenti sulla fertilità del suolo e sulla risposta quali-quantitativa del frumento duro, mettendo a confronto rotazioni di complessità crescente, dalla monosuccessione di frumento duro alla rotazione triennale comprendente un’ortiva o una leguminosa.

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Materiali e metodi Rotazione 1: monosuccessione Frumento Duro, senza concimazione azotata (FDN0) Rotazione 2: monosuccessione Frumento Duro, con concimazione azotata (FDN1) Rotazione 3: Biennale Frumento Duro- Maggese (FD-Mg) Rotazione 4: Triennale Frumento Duro (2 anni)-Maggese (FD-FD-Mg) Rotazione 5: Triennale Frumento Duro-Avena-Maggese (FD-Av-Mg) Rotazione 6: Triennale Frumento Duro (2 anni)-Leguminosa (FD-FD-Leg) Rotazione 7: Triennale Frumento Duro (2 anni)- Ortiva (FD-FD-Pm) Vengono utilizzate le normali pratiche colturali della zona Risultati e discussione

Rotazione Resa Glutine Proteine Peso ettolitrico FD_N0 2.58 d 6.7 10.6 78.8 ab FD_N1 2.99 cd 7.8 11.7 76.5 c FD-FD-Mg 3.85 ab 7.8 12.3 77.6 bc FD-Mg 3.65 abc 10.0 13.1 78.1 abc FD-Av-Mg 3.49 bc 10.1 13.3 76.4 c FD-FD-Lg 3.18 bcd 7.8 12.0 76.7 bc FD-FD-Pm 4.43 a 9.6 12.5 80.5 a M.D.S. 5% n.s. n.s. M.D.S. 5%

Le rotazioni più produttive sono la FD-Mg, Fd-FD-Ort, FD-FD-Mg. La meno produttiva è la monosuccessione non concimata. La rotazione comprendente la leguminosa (cece) si colloca in una fascia bassa di produttività: infatti il cece, è esigente e sfrutta la fertilità del suolo lasciandolo sostanzialmente impoverito. Il pomodoro (irriguo) lascia invece il terreno in buone condizioni di fertilità consentendo al FD di avvalersene per il successivo biennio. La qualità delle produzioni, espressa come contenuto % di proteine e di glutine, non è generalmente influenzata dalla rotazione, sebbene in FD-N0 tale % sia sempre inferiore a tutte le altre tesi. I parametri commerciali e industriali non presentano differenze significative tra le tesi a confronto, fatta eccezione per il peso ettolitrico il cui valore maggiore si riscontra nella rotazione con ortiva. Il contenuto di sostanza organica nel suolo è diminuito in tutte le tesi dall’inizio della sperimentazione tranne nella rotazione con leguminosa e pomodoro. Ciò è dovuto probabilmente al maggior residuo di biomassa radicale. Dalle prime analisi dei dati, la rotazione triennale che comprende una ortiva, in genere il pomodoro, appare essere la migliore dal punto di vista produttivo, sia per quanto riguarda le rese che la qualità. Anche gli effetti sul contenuto di sostanza organica del suolo appaiono positivi, almeno dopo 5 anni dall’inizio della sperimentazione, considerando però che la raccolta del pomodoro viene fatta a mano e quindi non si ha l’effetto calpestamento delle macchine. Prospettive Il CRA-CER intende dare un impulso alle ricerche relative agli effetti delle tecniche colturali, tradizionali e innovative, sulla qualità del suolo in sistemi cerealicoli del sud Italia. La prova rotazioni offre una grande opportunità per studiare la dinamica della sostanza organica e della fertilità in genere in risposta a diversi

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input colturali. Di seguito vengono indicate le attività di ricerca in corso in via di elaborazione e/o analisi e quelle programmate nel prossimo futuro : • rilievi pedologici • campionamento del suolo e caratterizzazione chimico-fisica • analisi dell’umidità del suolo • LAI delle colture • simulazione dell’azione di compattamento delle macchine per la raccolta

nella rotazione del pomodoro • studio della dinamica della SO nei macro e microaggregati del suolo • Studio della dinamica dell’azoto • utilizzo dei dati raccolti per la simulazione degli effetti dei cambiamenti

climatici con il modello WinEPIC Recupero paesaggistico e pabulare di due aree disturbate in ambiente prealpino ed alpino con cultivar adatte e popolazioni autoctone della montagna R. Paoletti CRA – Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero-Casearie, Lodi Introduzione Negli ambienti prealpini ed alpini del nostro Paese una attenzione particolare viene prestata da tempo alle modalità di recupero delle aree manomesse (cave, piste di sci,etc.) anche ai fini del recupero paesaggistico e pabulare. Vengono di seguito riportati i principali risultati di due prove sperimentali condotte nell'ambito del Progetto Finalizzato di Ricerca MiPAF "Inerbimenti e Tappeti Erbosi per la Valorizzazione Agricola, Ambientale, Ricreativa e Sportiva del Territorio", Sottoprogetto Inerbimenti Tecnici e di Recupero Ambientale in due micro-regioni rappresentative: Altopiano dei Sette Comuni (Asiago,VI) e Comprensorio Sciistico delle Dolomiti Bellunesi (Val Zoldana, Pécol presso Zoldo Alto, BL). Area 1: a) Ripristino del paesaggio e del pascolo danneggiato da Cava di marmo biancone); b) Inerbimento e studio dell’ evolu -zione della vegetazione. Località: Malga Bertiaga (alt. media 1269 m s.l.m., media precipitazioni annuali 1500 mm, superficie pabulare 70.7 ha, Comune Lusiana-VI ). Impianti: a) 6500 m2 inerbiti con miscela a 7 specie (100 kg ha-1) di sementi autoctone e commerciali e b) 500 m2 ca., impianto sper. a bl. randomizzato, 15 trattamenti (3 ass. binarie, 4 complesse e otto colture pure) 4 repliche, parcella di 6 m2, file a 12 cm, dose di semina 60 kg per le purezze (fleolo 30 kg) e 60 kg o meno per i miscugli. Area 2: Valutazione nell’ambito di una Pista di Sci, rappresentativa dell’areale dolomitico orientale, di una serie di cultivar (commerciali e di nuova introduzione) unitamente ad alcune popolazioni naturali tratte dai pascoli e prato-pascoli dell’Altopiano dei 7 Comuni. Località: Pista di Sci “Le Foppe” Pécol di Zoldo Alto-BL ( alt. campo sper.1660 m s.l.m., pendenza 22 ° NE, dentro bosco, vegetazione naturale Adenostylo alliariae-Laricetum, inerbimento precedente miscuglio commerciale a 15 specie, risemina di 7graminacee e 4 leguminose per un totale di 15 tesi (11 colture pure di graminacee e 4 miscugli complessi, schema sper. a bl. randomizzato, 3 rep., parcella di 6 m2. Impianto: estivo (21.07.99) a spaglio, dose semina 150-250 kg/ha, con applicazione di collanti e bio-stimolanti (idroseminatrice).

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Risultati Area di Cava: soddisfacente insediamento del miscuglio a 7 componenti; moderato ma crescente inserimento di specie locali; soddisfacente ricoprimento specifico finale con buon contributo specifico; disponibilità di masse di buon foraggio per il pascolamento. Campo sperimentale in Cava: buono/discreto insediamento tranne 2 tesi pure; lento ma crescente inserimento di specie locali ; elevato ricoprimento specifico totale delle specie seminate e spontanee locali; medio/alto potenziale foraggero per più tesi (media di oltre 10 t/ha s.s. annuali con massimo per miscuglio complesso a 8 componenti, 4 graminacee e 4 leguminose). Pista di Sci: ruolo decisivo dei collanti applicati con idroseminatrice sul suolo seminato; deboli effetti dei prodotti bio-stimolanti; buona performance delle popolazioni naturali; minore adattabilità delle cultivar; elevata variabilità di biomassa aerea prodotta ; lento e graduale inserimento di specie spontanee locali (23 al rilievo di terzo anno tra graminacee e leguminose pabulari). Conclusioni Generali I promettenti risultati ottenuti sono in primo luogo ascrivibili alle tecniche di ripristino impiegate per la cava di marmo (colmatura, modellatura delle superfici e distribuzione di uno strato di terreno vegetale di prato) e per la pista di sci (riporto del terreno superficiale di scoticatura, adeguata sgrondatura delle acque ed idrosemina dei collanti) e secondariamente, ma nondimeno indispensabile per il successo dell’inerbimento, l’utilizzo di sementi di specie adatte (popolazioni naturali autoctone e cultivar selezionate del mercato) che hanno procurato buone coperture iniziali, in alcuni casi anche durevoli nel tempo, con biomassa aerea da destinare al pascolo bovino e/o ovino. Nel complesso la flora locale, rappresentata sia da monocotiledoni che da dicotiledoni, negli anni successivi all’impianto ha iniziato ad inserirsi lentamente ma con gradualità crescente nelle diverse superfici sottoposte alla rigenerazione venendo così garantita completamente la funzione paesaggistica nell’ambito dei due interventi di inerbimento tecnico. Prospettive Nelle due diverse situazioni è stata iniziata la stabilizzazione e la ricostituzione degli originari ecosistemi grazie ai materiali impiegati, rappresentati da alcune cultivar adatte e più popolazioni naturali autoctone, che hanno potuto ricolonizzare il suolo a suo tempo gravemente disturbato. Sulla base dei risultati si auspica che la nostra sperimentazione possa essere continuata nell' ambito più specifico dell'ingegneria naturalistica, sia per le diverse modalità d'impianto sia per il reperimento e lo sviluppo di sementi autoctone nonché per la loro valutazione insieme alle nuove cultivar proposte dal mercato. Conservazione del suolo e valorizzazione agricola, ambientale e paesaggistica del territorio: il ruolo del Progetto “Inerbimenti e tappeti erbosi” E. Piano CRA – Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero-Casearie, Lodi Introduzione

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Il Progetto finalizzato “Inerbimenti e tappeti erbosi per la valorizzazione agricola, ambientale, ricreativa e sportiva del territorio” ha affrontato, con approcci multidisciplinari e con una visione di multiuso del territorio, aspetti extra produttivi e polifunzionali dell’agricoltura, sviluppando un ampio ventaglio di indagini e applicazioni connesse al ruolo degli inerbimenti e tappeti erbosi per la conservazione del suolo, la gestione del territorio agro-forestale, la promozione di sistemi agricoli sostenibili, la tutela delle risorse ambientali, il ripristino delle aree manomesse, la valorizzazione delle risorse genetiche autoctone e la costituzione e gestione eco-compatibile delle superfici erbose per impieghi ricreativi e sportivi. Particolarmente significative sono state le attività di ricerca relative agli inerbimenti tecnici in agricoltura e a quelli di ripristino ambientale e paesaggistico, che hanno costituito le linee di ricerca di un intero sottoprogetto, denominato “Tecnologie d’impianto e tecniche di manutenzione per inerbimenti a bassa intensità di gestione”. Principali risultati conseguiti dal sottoprogetto: • Conoscenze sugli effetti dell’inerbimento sulla conservazione del terreno e sulle componenti della fertilità integrale. • Definizione di specie, varietà e miscugli da utilizzare in diverse tipologie di inerbimento e in diversi contesti agronomico-colturali e ambientali. • Validazione di tecniche d’impianto per gli inerbimenti di recupero ambientale in quota e definizione di specie strategiche per l’avvio dei processi di rinaturalizzazione. • Miglioramento genetico di popolazioni locali adatte agli inerbimenti tecnici, con particolare riferimento alle leguminose annuali autoriseminanti. • Definizione delle dinamiche della vegetazione in differenti tipologie di inerbimento e in differenti contesti ambientali per la razionalizzazione degli interventi di recupero. • Definizione di itinerari tecnici di impianto e di gestione, inclusa la creazione e la valutazione di prototipi di macchine. • Effetti degli inerbimenti sullo stato nutrizionale, sul comportamento vegeto-produttivo delle colture e sulla qualità dei prodotti. • Formazione scientifica e tecnica di personale specialistico nei settori d’indagine.

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Un modello di consociazione arborea-erbacea e zootecnia per l'aumento di sostenibilità economica ed ambientale: il caso olivo-asparago-pascolo A. Rosati, M. Zipančić CRA – Centro di Ricerca per l’OlIvicoltura e l’industria olearia, sede distaccata di Spoleto Introduzione In passato la consociazione delle colture e l’integrazione degli animali alle coltivazioni era consuetudine. Poi, la specializzazione colturale consentì la meccanizzazione e l’economia di scala. La nuova agricoltura specializzata e monocolturale, però, oltre a mostrarsi insostenibile, è sempre meno competitiva nel mercato globalizzato. In questo contesto, le consociazioni ritrovano un senso nuovo, ecologico ma anche economico, potendo rappresentare occasioni di reddito aggiuntive a quelle della coltura principale. L’integrazione della zootecnia nel ciclo colturale rappresenta un ulteriore livello di potenziale beneficio economico-ambientale ed è tra le priorità stabilite a livello ministeriale (MiPAAF) per l’agricoltura biologica. Oggi, una consociazione deve essere pensata in modo da conservare i vantaggi della moderna agricoltura, meccanizzabile ed economicamente vantaggiosa. Di seguito si propone un esempio concreto di consociazione arborea-erbacea e zootecnica: Olivo-Asparago-Pascolo. Perché coltivare l’asparago selvatico (Asparagus acutifolius)

• Conosciuto e coltivato già in antichità (Aliotta et al. 2004; Pieroni, 2005; Della et al., 2006) ma non coltivato oggi.

• La sua possibile coltivazione comincia a riscuotere un certo interesse (Venezia et al., 1993; Rosati e Falavigna, 2000; Rosati, 2001; Fiori et al., 2001; Adam, 2004; Rosati et al, 2005; Benincasa et al., 2007) potendo consentire di estenderne il mercato, creando un’occasione di reddito, così come accaduto per la fragolina di bosco e per il tartufo.

• Specie frugale, consente coltivazioni in biologico e/o a basso impatto ambientale.

Perché consociare l’asparago selvatico all’oliveto

• Le due specie hanno esigenze ecologico-ambientali del tutto simili (tollerano siccità, alte temperature, terreni sassosi o superficiali e rifuggono il ristagno d’acqua).

• L’olivo esige elevata illuminazione; l’asparago vegeta rigogliosamente in ombra parziale (la coltivazione dell’asparago sotto l’oliveto non toglie luce alla specie dominante, mentre l’asparago non soffre ed anzi probabilmente si avvantaggia dell’ombra non densa dell’olivo, consentendo le massime produzioni delle due specie sullo stesso terreno).

• Villalobos e colleghi (2006) dimostrano che la massima produzione di olio si ottiene quando l’oliveto intercetta il 55% della luce entrante. Quindi il 45% della luce disponibile non può essere utilizzato per fare olio, ma può essere utilizzato dall’asparago che trova nell’ombra parziale condizioni di crescita ideali, fornendo una seconda produzione di valore, pur in ambienti marginali.

• L’asparago è perenne e non richiede lavorazioni, mantenendo il terreno e la sua fertilità anche in oliveti in pendenza.

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Perché il pascolo Con la giusta specie ed una buona gestione, gli animali al pascolo (volatili, ovini ed equini) possono controllare le infestanti non danneggiando olivo e asparago (non appetiti). Le oche vengono comunemente impiegate negli USA per il diserbo di fragole, cotone, frutteti, vigneti, vivai ed altro (Geiger e Biellier, 2006). I polli hanno un’azione più energica sul terreno, distruggendo qualsiasi vegetazione, ma non quella spinosa dell’asparago, né quella arborea dell’olivo. Inoltre, si cibano della criocera (Crioceris ssp) degli asparagi (negli USA vengono raccomandati anche per l’asparago coltivato) e non è da escludere che possano avere una certa azione di disinfestazione anche contro la mosca dell’olivo, appetendone le pupe e larve che cadono a terra (nell’oliva o meno). Gli animali al pascolo, mentre trasformano le infestanti da problema a risorsa, concimano le colture. La gestione degli animali, va studiata e messa a punto, come per qualsiasi altro “mezzo” colturale, impiegando sistemi estensivi a basso costo, strutture economiche ed animali con il giusto genotipo, nei periodi opportuni e con il giusto carico per ettaro (Yates et al., 2007). Conclusioni La messa a punto di modelli di produzione agricola vegetale consociata ed integrata a quella animale è una sfida, dal punto di vista tecnico-organizzativo. Questa sfida va sostenuta in quanto tali modelli produttivi presentano innumerevoli vantaggi ecologico-ambientali, uniti a potenziali aumenti di produzione e quindi di reddito, rispondendo pienamente alle esigenze dell’agricoltura moderna. Appendice Altre specie alimentari che crescono nell’oliveto, potenzialmente sfruttabili commericalmente, sono riportate nella seguente tabella che ne descrive anche l’utilizzo.

Nome comune Nome scientifico Utilizzo Ruchetta Diplotaxis tenuifolia Foglie giovani in insalata, pizza, bruschette, pesto

ecc. Ruchetta Diplotaxis muralis Come sopra Rapastella o rapacciola Diplotaxis erucoides Come sopra + verdura cotta e condimento per

pasta al posto delle cime di rapa Cicoria Cichorium intybus Verdura cotta Strigoli Silene vulgaris Lessate in frittate e torte farcite Raponzoli o raperonzoli Campanula rapunculus In insalata con la radice, raramente bolliti Borragine Borago officinalis Verdura cotta, risotti, ripieni per ravioli (con

moderazione) Erba porcellana o porcacchia

Portulaca oleracea Insalata (ricca di omega 3), cotta (mucillaginosa, aggiungere formaggio e pane grattugiato), sottaceto (i gambi)

Crispigni Sonchus sp. Verdura cotta, le foglie più tenere in insalate miste Cascellore o casselle Bubias erucago Verdura cotta ottima (sa di cavolo) Grugni o radicchielle Crepis sp Verdura cotta simili a cicoria Malva Malva sylvestris Verdura cotta, midollo fusti in insalata o cotto come

asparagi, frutti immaturi in insalata o cotti, o per farne meringhe e altri dolci

Pimpinella o meloncello Sanguisorba minor Insalata Saporosella o ombrellini Tordylium apulum Insalata, dissetante in campagna Papavero Papaver rhoeas Insatata (foglie tenere) o verdura cotta Mastrici o lattugaccio Chondrilla juncea Insalata, erba cotta Erba piatta o radicchiella di terrasanta

(Lagoseris nemausensis o Crepis sancta)

Verdura cotta

Finocchietto Foeniculum vulgare Foglie e gambi teneri in isalata, semi aromatizzanti Tarassaco o dente di leone o pisciacane

Taraxacum officinale Verdura cotta, foglie tenere in insalata (meno amare in periodi freddi)

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Alliaria Alliaria officinalis Foglie giovani in insalata (sanno di aglio) Stellaria Stellaria media Insalata, a volte cotta Calendula Calendula arvensis Verdura cotta Amaranto Amaranthus retroflexux Verdura cotta Chenopodio Chenopodium album Verdura cotta Borsa del pastore Capsella bursa-pastoris Verdura cotta, insalata, semi commestibili per

pane, biscotti ecc. Carota selvatica Daucus carota Radice come carota, foglie pianta giovane cotte Favagello Ranunculus ficaria Foglie giovani in insalate miste (con moderazione) Galinsoga Galinsoga sp. Verdura cotta Romici Rumex sp. Insalata, verdura cotta, minestre (con moderazione

per alto contenuto acido ossalico) Cardo mariano Sylibum marianum Verdura cotta, midollo fusto crudo o cotto Bibliografia Adam, D., 2004. L'asperge sauvage: de la recolte spontanee a une production

commerciale. Infos-Ctifl 207: 43-45. Aliotta G., Aceto S., Farina A., Gaudio L., Rosati A., Sica M., Parente A., 2004.

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Sessione III Fertilità e biodiversità del suolo Ciclo e bilancio dell’azoto: le funzioni biologiche del suolo A. Benedetti, S. Mocali CRA – Centro di Ricerca per lo studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo, Roma Introduzione La nutrizione azotata e la microbiologia del suolo, viste nel loro insieme attraverso un approccio ecosistemico all’argomento, hanno costituito la base comune all’attività di ricerca che è stata svolta nel tempo attraverso la realizzazione di numerosi progetti. Le funzioni biologiche del suolo rivestono un ruolo chiave per l’intera vita sulla terra e non debbono essere trascurate nello studio e nella gestione degli ecosistemi agrari e forestali. I microrganismi, infatti, intervengono nella regolazione dei cicli biogeochimici degli elementi della fertilità e date le loro peculiarità biologiche possono essere utilizzati in molte applicazioni biotecnologiche, che spaziano dal biorecupero, alla biofertilizzazione, fino alla produzione di bioenergia. Lo studio delle relazioni tra pianta – suolo- microrganismo ha costituito il fulcro delle differenti tematiche affrontate quali le tecniche di nutrizione sostenibile ed ambientalmente compatibile, la valutazione dell’impatto delle differenti pratiche agricole, l’uso ed il riciclo delle biomasse organiche in agricoltura, la messa a punto di metodologie analitiche per il monitoraggio, la conservazione ed il ripristino della fertilità biologica con particolare riguardo alla diversità microbica ed alla biodiversità del suolo. Risultati e Conclusioni I principali filoni di ricerca perseguiti riguardano la caratterizzazione dei diversi pools azotati del suolo quale sintesi di diversità genetica e funzionale della popolazione microbica. Attraverso l’uso di tecniche innovative di analisi microbiologica, biochimica e molecolare vengono affrontati studi di metafenomica e metagenomica. Attualmente sono in corso numerosi progetti di ricerca che mirano alla definizione delle funzioni del suolo che prevedono quali obiettivi principali: la redazione di carte tematiche della biodiversità del suolo e della fertilità biologica corrispondente, dell’identificazione di popolazioni microbiche di interesse per l’agricoltura italiana e per la protezione e la conservazione della tipicità dei prodotti. Attraverso la conoscenza del ciclo e del bilancio dell’azoto è possibile intervenire in modo mirato sulla nutrizione delle colture aumentandone l’efficienza produttiva e la qualità delle produzioni, evitando spechi energetici e danni ambientali. Molte delle ricerche condotte sono state la base per la redazione del codice di buona pratica agricola per la protezione delle acque dall’inquinamento da nitrati, la stesura di disciplinari di produzione specifici per le differenti colture con particolare attenzione a quelle che rappresentano realtà produttive di nicchia per l’economia di molte regioni e delle quali quindi si possono ottenere poche informazioni sulla letteratura internazionale. Prospettive Il suolo costituisce una miniera inesauribile di geni inesplorati dai quali è possibile isolare per lo sfruttamento industriale prodotti quali biofertilizzatori, antibiotici,

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nutraceutici, fitoregolatori, ecc. Molte le applicazioni dei microrganismi del suolo e della loro diversità genetica e funzionale nella bioindicazione e nel biomonitoraggio ambientale. Oggi si è in grado di poter, attraverso appropriati indicatori microbiologici, biochimici e molecolari, definire la qualità e la salute di un suolo, prevederne ed arginarne processi di degrado, fino alla desertificazione, nonché calibrare correttamente gli interventi di fertilizzazione con una gestione integrata dei nutrienti sulla base della conoscenza del ciclo e del bilancio dei diversi elementi nutritivi quali ad esempio l’azoto. Su questo principio si possono basare tutti gli studi che rientrano nel tema della metagenomica del suolo. Argomento che deve essere affrontato attraverso collaborazioni sia nazionali, che internazionali, ma che nel tempo può costituire un’importante passaggio verso progettazioni di alta tecnologia e brevettabilità. Riferimenti bibliografici Mocali S., Paffeti D., Emiliani G., Benedetti A., Fani R.: “Diversity and dynamics of

microbial communities isolated from soils treated with fumigant agents”. Biology abd Fertility of Soil

Bloem J., Hopkins D., and Benedetti A. Eds (2006):”Microbial Methods for assessing soil quality” CABI Publishing.

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Inoculi di microrganismi rizosferici per l’ottimizzazione dell’utilizzo dei nutrienti minerali e dell’acqua L. Bardi, E. Malusà CRA – Centro di Ricerca per lo studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo, Gruppo di Ricerca di Torino, Torino Introduzione Nella rizosfera si creano interazioni complesse fra tutti i componenti biotici ed abiotici in essa presenti, tali da modificare anche in modo significativo le caratteristiche chimico-fisiche del suolo rendendole più favorevoli ad un ottimale accrescimento e stato fisiologico della pianta. Fra le popolazioni microbiche rizosferiche risultano particolarmente utili i funghi micorrizici (VAM) ed i batteri promotori della crescita (PGPR). I funghi micorrizici creano simbiosi con le radici dando così luogo ad uno scambio di nutrienti: la pianta cede composti organici, mentre il fungo trasferisce alla pianta nutrienti minerali ed acqua, acquisendoli da un volume di suolo molto più ampio di quello che può essere esplorato dall’apparato radicale della pianta. Il fungo inoltre migliora la struttura del suolo, protegge la pianta da attacchi di microrganismi patogeni, dall’effetto tossico di xenobioti organici ed inorganici e dall’eccessiva salinità. I batteri promotori della crescita possono migliorare la disponibilità di elementi nutritivi, produrre fitormoni o altri metaboliti che inducono un maggior accrescimento della pianta o avere azione antagonista nei confronti di organismi fitopatogeni. È stata ripetutamente dimostrata una specificità di interazione fra microrganismi e piante. Sono peraltro già disponibili a livello commerciale consorzi di microrganismi rizosferici per uso agricolo, di cui è utile una verifica dell’efficacia ed utilità in diversi ambienti e su diverse colture. Risultati e conclusioni Sono stati utilizzati inoculi di consorzi microbici a base di VAM e PGPR in colture cerealicole (mais), ortofrutticole (pomodoro, basilico, fragola, vite, melo) ed ornamentali (Coleus). Sono state effettuate valutazioni relative sia all’effetto sulla pianta (produttività, qualità delle produzioni, stato fisiologico) che sul suolo (dinamiche dei macronutrienti, pH). I risultati ottenuti hanno dimostrato una differente risposta della pianta sia a livello specifico che a livello varietale. Per il mais si è rilevato che la produzione di granella e di biomassa è incrementata dall’inoculo, a parità di livello di fertilizzazione minerale; la qualità della granella è correlabile maggiormente con i livelli di produzione che con la presenza dell’inoculo. L’asportazione dei macronutrienti dal suolo e la distribuzione dei residui a diversi strati di profondità sono risultate significativamente modificate degli inoculi. Nel pomodoro l’inoculo ha dato origine a produzioni maggiori e differenti dal punto di vista qualitativo; si è ottenuto un maggior contenuto in zuccheri, acido malico e nitrati ed un minor contenuto in acido ascorbico e nitriti; il contenuto in carotenoidi non è stato influenzato dall’inoculo. Per il basilico si è identificata un’interazione favorevole specifica con Gigaspora rosea, che induce una produzione maggiore e migliore in termini di contenuto in oli essenziali. Nel caso della fragola si è osservato che la concimazione fogliare produce un effetto anche a livello radicale sull’interazione con i microrganismi rizosferici, che si ripercuote sulla produttività della pianta. Nella coltivazione della vite l’inoculo ha prodotto un significativo incremento del

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contenuto in flavonoidi ed antociani delle uve. Infine in Coleus l’inoculo ha consentito di incrementare la produzione su substrati poveri o scadenti. Prospettive Sono in corso prove di utilizzo di inoculi per l’ottimizzazione dell’efficienza di uso delle acque irrigue in mais e per la valutazione dell’utilità sul peperone e sul melo. Verso lo studio della metagenomica del suolo M. Castaldini CRA – Centro di Ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze Introduzione Nei genomi dei microrganismi che popolano i diversi ecosistemi terrestri è scritta la storia della vita di questo pianeta; la stragrande maggioranza della diversità genetica e metabolica della biosfera è racchiusa nelle comunità microbiche che contengono un numero incredibile di genomi ancora non caratterizzati. I recenti sviluppi nelle tecniche molecolari di estrazione degli acidi nucleici, clonaggio e sequenziamento, hanno consentito di cominciare ad esplorare questa grande diversità del mondo microbico del suolo. In particolare, l’approccio metagenomico, in grado di superare l’ostacolo costituito dalla non coltivabilità di più del 99% delle specie telluriche, consente di esplorare la diversità batterica e rivelarne la sua potenzialità funzionale. Approccio metodologico Lo studio del metagenoma del suolo è caratterizzato nella sua prima fase dall’estrazione totale del DNA dal suolo per la costruzione di una libreria genomica; l’estrazione e realizzata per lisi diretta, basata su di un potente sbattimento meccanico per favorire la dislocazione delle cellule dagli aggregati di suolo, o previa separazione su gradiente dei microrganismi. Con metodi di lisi diretta si ottengono frammenti di DNA di dimensioni più ridotte ( 1- 10 kb) rispetto a metodi meno distruttivi che danno frammenti maggiori (fino a 100 kb) e la scelta avviene in funzione del metodo di indagine successiva. A tal proposito se l’intento dello studio è ricercare una determinata funzione metabolica può essere opportuno inoculare il campione di suolo in un mezzo contenente la sostanza da metabolizzare per arricchire la microflora dei microrganismi capaci di svolgere tale funzione. I frammenti vengono clonati a formare una libreria genomica del campione scegliendo opportunamente il vettore in relazione alla grandezza del frammento, al numero di copie del vettore e alla sua compatibilità ed eventuale inducibilità nell’ospite. Il numero di cloni che vengono conservati e successivamente analizzati dipende dal livello di complessità che si vuole descrivere o della funzione metabolica che si intende ricercare. Il successivo screening dei cloni può essere eseguito secondo diverse modalità: a) analisi genetica attraverso PCR o ibridazione per la ricerca di copie dei geni con valore filogenetico, soprattutto il 16S rDNA, per poter descrivere la composizione della microflora presente; lo stesso tipo di analisi utilizzando oligonucleotidi per i geni che codificano per una specifica funzione può fornire indicazioni anche sulla diversità funzionale della comunità. I cloni identificati, se contengono un inserto di dimensioni superiori alle

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10 kb possono ragionevolmente essere utilizzati per cercare di sequenziare le regioni fiancheggianti i geni indagati per cercare nuove informazioni geniche; b) una analisi funzionale in senso più stretto prevede la selezione di quei cloni che risultano positivi quando sono sottoposti ad un saggio per la presenza di un enzima o di una particolare funzione metabolica, magari utilizzando ospiti mutati proprio per quella funzione. In questo tipo di screening generalmente si utilizzano cloni con inserti di dimensioni superiori alle 20kb dove gli operoni sono più facilmente presenti nella loro interezza, incluse cioè le regioni regolative; c) un terzo approccio è quello di sottoporre al sequenziamento indiscriminato un numero relativamente alto di cloni, cercando poi di ricostruire le sequenze geniche presenti fino alla ricostruzione di genomi interi; quest’ultimo passaggio finora è risultato tuttavia non possibile se non in un ambiente estremo per condizioni e specie batteriche presenti. Al termine di ciascuna delle vie intraprese si trova l’analisi delle sequenze e la loro collocazione filogenetica e funzionale, nonché l’isolamento dei geni di interesse. Prospettive L’approccio metagenomico offre la capacità unica di esaminare direttamente il contenuto genico delle comunità microbiche e le recenti acquisizioni nel campo delle tecniche di clonaggio, sequenziamento e screening stanno dando un forte impulso alla possibilità di analisi dei dati. Tuttavia la immensa diversità microbica presente ostacola una unica strategia basata sul sequenziamento e i maggiori progressi nell’approccio ai pool genomici delle comunità potrà derivare dallo sviluppo di metodiche per indagare il metagenoma per la ricerca di specifiche funzioni metaboliche, non perdendo mai di vista anche la sua valenza di fonte di informazioni nuove per nuove strategie per implementare la coltivabilità dei microrganismi del suolo. Cambiamenti della comunità batterica funzionale del suolo in sistemi gestionali da fortemente antropici a naturali S. Landi, R. Pastorelli CRA – Centro di Ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze Introduzione L’analisi di sequenze di DNA recuperate direttamente dal suolo risulta una tecnica ormai affermata nel campo dell’ecologia microbica ma non può essere determinante nello studio della struttura della comunità batterica funzionale in quanto il DNA è presente nelle cellule quiescenti e persiste per lungo tempo anche dopo la morte del microrganismo stesso. Al contrario la molecola di RNA, essendo estremamente labile, risulta maggiormente correlata con l’attività cellulare e quindi più utile come indicatore nel monitoraggio dell’evoluzione della comunità microbica in seguito a pressioni antropiche o cambiamenti climatici. L’obiettivo della ricerca è stato quello di studiare l’attività funzionale della microflora eubatterica mediante l’estrazione di RNA direttamente da suoli provenienti da diversi sistemi gestionali. A tal scopo è stato preso in esame un bacino collinare in Gallura (Sardegna) omogeneo dal punto di vista climatico (zona mediterranea) e pedologico (terreno medio impasto sabbioso), sul quale è possibile evidenziare una progressione ecologica da una condizione di estrema

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intensità colturale (vigneto lavorato) fino ad una estremamente conservativa (foresta mediterranea) attraverso tappe intermedie (vigneto inerbito, erbaio, pascolo). Risultati e discussione L’analisi molecolare della popolazione eubatterica totale è stata effettuata tramite separazione elettroforetica mediante Denaturing Gradient Gel Electrophoresis (DGGE) di amplificati da cDNA ottenuto da retrotrascrizione del 16S rRNA direttamente estratto dal “bulk soil”. I profili DGGE dei campioni, prelevati in primavera ed autunno, hanno mostrato numerose bande ben separate, alcune delle quali presenti in tutte le ripetizioni. I valori di richness e di diversità (indice di Shannon-Weiner) per ciascun tipo di gestione e stagione analizzati hanno evidenziato che in primavera era presente il maggior numero di specie batteriche attive. Nella sughera si è registrato il minor valore sia di richness che di diversità, mentre i valori più alti di questi indici sono stati ritrovati nel vigneto inerbito e nel pascolo. Il numero di specie microbiche attive e l’indice di Shannon-Weiner risultano influenzati dagli input antropici quali: lavorazioni, fertilizzazione e soprattutto l’inerbimento. L’analisi UPGMA (Unweghted Pair Group Mathematical Average) dei profili elettroforetici ha evidenziato, in entrambe le stagioni, cluster separati in base al tipo di gestione del suolo, eccetto che nel caso del pascolo e dell’erbaio che hanno formato un unico cluster. In primavera le conduzioni più intensive riducono la variabilità genetica delle specie microbiche attive, mentre ambienti a minore impatto ambientale quali il pascolo permanente e il bosco di sughera, accrescono la biodiversità. In autunno le differenze tra le varie gestioni tendono a essere meno marcate, pur rimanendo ben definita la clusterizzazione. Prospettive Lo studio dell’attività della comunità microbica fornisce l’indicazione di quali specie siano realmente operanti in un determinato ambiente e la metodologia proposta è un possibile protocollo da seguire. Gli indici testati si sono dimostrati essere dei buoni indicatori per la qualità dei suoli, in particolare l’analisi UPGMA, che misura la diversità genetica, valuta efficacemente la capacità di un suolo di superare le perturbazioni ambientali. Gli indicatori microbici per lo studio dell’impatto delle azioni antropiche e climatiche sui suoli agrari. i funghi del suolo L. Manici, F. Caputo CRA – Centro Ricerche per le Colture Industriali, Bologna Introduzione I funghi rappresentano la parte predominante della massa microbica del suolo (dal 70 al 90% della massa), hanno un ruolo primario nella demolizione dei residui organici ed una efficienza di assimilazione delle fonti di carbonio marcatamente più alta di quella dei batteri. Inoltre, a parte il ben noto ruolo nella ‘soil function’, massa microbica e biodiversità sono i principali componenti della repressività dei suoli verso i patogeni fungini agenti di necrosi radicale, patogeni secondari saprofitari che vivono sui residui organi e sono causa del declino produttivo o

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‘stanchezza’ dei suoli. Nonostante queste caratteristiche, i funghi sono bio-indicatori meno utilizzati dei batteri per motivi metodologici (richiedono più metodi di isolamento, una concentrazione di DNA nel suolo molto più bassa dei batteri, ecc). Vengono presentati due casi studio sulle comunità fungine dei suoli agrari come indicatori dei fattori microbici di fertilità e della sanità dei suoli • Caso studio 1: coltura obbiettivo patata - Confronto fra coltura ricorrente con

rotazione stretta vs. rotazione lunga senza coltura ricorrente • Caso studio 2: coltura obbiettivo pesco - Confronto fra reimpianto di pesco, 3°

ciclo vs. coltura intensiva di orticole in più cicli invernali in rotazione e riposo estivo

I metodi utilizzati di indagine su dati di comunità fungine dei suoli, comunità di funghi endofitici e funghi non colturabili ottenuti con tecniche colturali e tassonomia classica e tecniche molecolari. Risultati In entrambe i casi studio la sequenza delle colture, a parità di sostanza organica dei suoli, è risultata avere un impatto sulla diversità delle comunità e sulla loro composizione. Nel caso studio 1 i suoli intensamente coltivati a patata hanno mostrato una minore biodiversità rispetto ai suoli in rotazione lunga ed una composizione delle comunità fungine significativamente diversa. Le comunità di funghi endofitiche dei siti coltivati a patata sono risultate composte da molte specie di patogeni radicali e di conservazione della patata, assenti invece nei siti i rotazione. Nel caso studio 2 i sistemi a confronto hanno mostrato uno stato di equilibrio (Dominance) simile, ma differenze per diversità. In entrambe i casi studio ad uno stato di biodiversità significativamente maggiore ha corrisposto uno migliore stato di sanità dei suoli per le colture oggetto di studio (patata e pesco). Conclusioni e Prospettive • I risultati indicano che i funghi del suolo possono essere indicatori di biodiversità

nei suoli agrari • L’approccio di studio ecologico può essere usato per valutare variazioni della

diversità delle comunità fungine associate alle pratiche colturali e per monitorare la perdita di diversità come fattore di fertilità e sanità dei suoli.

• Il rapporto fra i due principali gruppi di funghi del suolo valutato con mezzi molecolari apre delle prospettive a studi sulla interazione funghi/qualità della sostanza organica, con l’obbiettivo di ottenere strumenti decisionali nella scelta qualitativa dei più opportuni ammendanti organici.

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Un nuovo approccio alla valutazione della fertilità dei suoli: non più la quantità ma la qualità delle produzioni M. A. Di Napoli, S. Claps, A. R. Caputo, M. Pizzillo, L. Sepe, G. Morone, V. Fedele CRA – Unità di ricerca per la Zootecnia Estensiva, Muro Lucano Introduzione I fattori della fertilità, generalmente, vengono raggruppati in categorie di natura fisica, chimica e biologica. La fertilità agronomica, dalla quale dipende la produttività, è il risultato dell’interazione delle diverse categorie. Anche dal punto di vista zootecnico la fertilità può essere misurata con parametri quantitativi quali la biomassa vegetale prodotta o la quantità di latte/carne ottenibile per categoria di suolo. Quest’ultimo modo di valutare la fertilità dei suoli può andare bene per un sistema zootecnico le cui produzioni primarie sono destinate alla vendita. Se, invece, il sistema si muove nel contesto della trasformazione delle materie prime in prodotti di qualità (formaggi, carni, ecc.) l’approccio deve essere differente come emerso dalle ricerche condotte negli ultimi anni dal CRA-ZOE: le differenze, pur esistenti, in termini di biomassa prodotta tendono a ridursi se si considera, ai fini zootecnici, l’erba o il foraggio effettivamente ingeriti dall’animale. Infatti, quest’ultimo parametro è fortemente condizionato dalla composizione floristica della vegetazione. L’elaborazione di numerosi dati differenti per località, natura dei terreni, climatologia e composizione floristica della vegetazione ha consentito di relazionare la fertilità agronomica ad alcuni parametri zootecnici, quali l’utilizzazione effettiva del cotico pabulare, la produzione di latte e la sua qualità aromatica e chimico-nutrizionale. Risultati e conclusioni Sono stati messi a confronto i dati di tre ambienti differenti per contenuto in sostanza organica (Ap = 0-15/20 cm): A - fertilità alta (sostanza organica = 5.94%); B-fertilità media (sostanza organica = 1,41%); C - fertilità bassa (sostanza organica = 0,98%). Le differenze tra i tre ambienti sono risultate elevate sia come di disponibilità di erba espressa in UFL e sia come carico per ettaro (espresso in unità di piccoli ruminanti). Per quest’ultimo parametro è risultato che l’ambiente A permette un carico di 9,3 capi/anno/ha, l’ambiente B di 6,1 capi/anno/ha e l’ambiente C di 4,7 capi/anno/ha. Procedendo, per tutti gli ambienti, alla stima della biomassa effettivamente utilizzata dagli animali (composizione floristica x relativo livello di utilizzazione) le differenze sono risultate meno evidenti: nell’area classificata ad alta fertilità il decremento di produzione di latte, rispetto a quello teorico calcolato, è risultato pari a circa il 44%, nell’area B è risultato pari al 15% e nell’area C pari all’8%. L’area classificata a fertilità intermedia (B), dove la percentuale di essenze “caratterizzanti” dal punto di vista aromatico era maggiore, ha espresso latte e formaggi con un maggior contenuto di componenti organici volatili (aromi) e retinolo (vitamina A) e un minore contenuto in colesterolo. In conclusione, le differenze agronomiche tra suoli classificati fertili e meno fertili, tendono a ridursi se la valutazione si effettua con il parametro dell’utilizzazione effettiva dell’erba e, ancor di più, se si utilizza il parametro della qualità del prodotto.

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Prospettive Questo approccio di tipo zootecnico alla valutazione dei suoli evidenzia che suoli considerati poveri possono trovare valorizzazione se opportunamente utilizzati con specie animali in grado di trasformare, efficacemente, risorse diversamente perse in prodotti di qualità. Uno studio più approfondito, multidisciplinare, potrebbe consentire di cogliere meglio tutte le potenzialità possedute dalle diverse categorie di suolo per programmare una destinazione ottimale ai fini di un allevamento il più compatibile possibile con l’ambiente e le risorse vegetali disponibili. Relazioni suolo-pianta: la razionalizzazione delle pratiche di fertilizzazione A. Benedetti, S. Mocali, M. T. Dell’Abate, F. Alianiello CRA – Centro di Ricerca per lo studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo, Roma Introduzione Non vi può essere produzione vegetale senza le pratiche di fertilizzazione, prima fra tutte la concimazione azotata. L’azoto è stato negli ultimi decenni uno degli elementi nutritivi più studiati a causa delle sue implicazioni ambientali. L’emissione da parte dell’U.E. di norme che legano l’agricoltura all’ambiente hanno imposto agli imprenditori del mondo agricolo di confrontarsi con problemi legati ad un uso razionale delle pratiche di fertilizzazione. Sostenibilità e gestione degli effluenti di allevamento, dei fanghi di depurazione delle acque sia civili che industriali, recupero e trasformazione di biomasse organiche di diversa origine e provenienza per uso agricolo sono stati tra i temi di ricerca di prioritario interesse. Caratterizzazione ed utilizzo di nuovi formulati industriali a basso impatto ambientale: concimi a lento rilascio, a cessione controllata, a non pronto effetto, inibitori della nitrificazione e dell’ureasi, organici ed organo-minerali, biostimolanti e biofertilizzatori hanno costituito l’oggetto di numerose attività di ricerca volte da un lato allo sviluppo tecnologico in collaborazione con l’industria, dall’altro alla stesura di piani di utilizzazione agronomica, codici di buona pratica agricola, disciplinari di produzione integrata, basati sul ciclo e sul bilancio dell’azoto nel sistema suolo pianta, con le pubbliche amministrazioni. Risultati e conclusioni Il tema della razionalizzazione della fertilizzazione viene affrontato attraverso tre grandi filoni di ricerca: (1) lo studio dei cicli biogeochimici degli elementi nutritivi nel sistema suolo-pianta-microrganismo, con particolare riguardo alle interazioni tra pools degli elementi nel suolo e attività della popolazione microbica; (2) lo studio della nutrizione delle colture sia relativamente alla mobilità, biodisponibilità e traslocazione dell’elemento dal suolo alla pianta, sia in termini di efficienza nutritiva, curve di assorbimento (carenze ed eccessi, dosi ottimali, sincronizzazione e sinlocazione del nutriente, ecc); (3) mezzi tecnici quali fertilizzanti minerali, organici, organo minerali, ammendanti e correttivi, prodotti speciali ed innovativi, ecc. I risultati conseguiti riguardano, l’individuazione di criteri atti a razionalizzare la nutrizione delle colture nella sostenibilità e nel rispetto della funzionalità dell’agroecosistema, a fornire indicazioni utili al conseguimento di produzioni di alto valore qualitativo.

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Prospettive Molte le prospettive di sviluppo sia in termini di ricerca di base, che applicata. Attraverso collaborazioni con l’industria è possibile fornire indicazioni utili allo sviluppo tecnologico di prodotti per la nutrizione e la difesa delle colture che possono trarre origine dal riciclo delle biomasse ottimizzando l’aspetto energetico e chiudendo il ciclo degli elementi. Molte le applicazioni biotecnologiche da svilupparsi in sinergia con competenze di tipo ingegneristico per la produzione di energia e biocombustibili dal riciclo delle biomasse attraverso l’uso di microrganismi. Il recupero biologico di suoli marginali, inquinati, in via di desertificazione mediante pratiche combinate di fitodepurazione, biaugmentation (inoculazione microbica), caratterizzazione e valorizzazione delle popolazioni endogene per potenziarne le proprietà riparatrici. Infine le ricerche condotte hanno fornito utili informazioni a livello di implementazione delle legislazioni sia nazionali che internazionali in materia di fertilizzanti, biomasse da utilizzare in agricoltura, rifiuti, recupero ambientale, ecc, nonché hanno fornito strumenti analitici e diagnostici per il controllo delle frodi alimentari ed ambientali. Riferimenti bibliografici Baffi C.,Dell’Abate M.T., Nassisi A., Silva S., Benedetti A., Genevini P.L., Adani F.

(2006): “Determination of biological stability in compost: A comparison of metodologie”. Soil Biology and Biochemistry. Published ondine 26 december 2006;

Dell’Abate M. T., Benedetti A., Brookes P.C.: “Hyphenated techniques of thermal analysis for soil humic acids characterisation”. Journal of Separation Science 26, 1-6 (2003).

Dell’Abate M. T., Benedetti A., Trinchera A., Galluzzo D.: “Nitrogen and carbon mineralisation of leather meal in soil as affected by the size of fertiliser and microbiological activity of soil”. Biology and Fertility of Soils 37:124-129 (2003).

Alianello F., Dell’Orco S., Benedetti A., Sequi P.:(1999) “Identification of primary substrates in organo-mineral fertilizers by means of Isoelectric Focusing”. Communications in Soil Science and plant Analysis 30 (15 -16), p2169-2181

La sostanza organica quale indicatore di qualità del suolo: contributo e prospettive dell’uso di alcune tecniche chimiche, biochimiche e chimico-fisiche M. T. Dell’Abate CRA – Centro di Ricerca per lo studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo, Roma Introduzione. Tra le diverse minacce al suolo, la perdita di sostanza organica ed il peggioramento della sua qualità assumono una rilevante importanza per i suoli dell’area mediterranea. La caratterizzazione delle diverse frazioni di sostanza organica, sia del suolo che di biomasse e fertilizzanti organici, lo studio delle relazioni con il turnover del carbonio, la gestione del suolo e il pedoclima attraverso un approccio ecosistemico permettono la comprensione dei processi che, mediati dall’attività microbica, regolano il bilancio input-output di sostanza organica e determinano quantità e caratteristiche dei diversi pools di sostanza organica presenti come riserve nel suolo. Particolare importanza per i suoli

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dell’area mediterranea rivestono le frazioni di sostanza organica stabilizzate, sia mediante meccanismi chimici che fisici, in quanto in grado di opporsi a processi di depauperamento delle riserve di carbonio organico nel suolo. Presso il CRA-RPS su tali temi vengono sviluppate ricerche secondo le seguenti linee: (1) indicatori chimici e microbiologici di fertilità del suolo in ambienti agrari e forestali; (2) indici di stabilità termica in suoli, compost e biomasse in relazione con la fertilità del suolo e con il metabolismo microbico. Risultati e conclusioni Il solo contenuto di carbonio organico non è sempre un descrittore efficace di qualità del suolo. Più informativo, invece, può risultare l’adozione di un minimum set di indicatori di fertilità biologica e qualità del suolo collegati alla dinamica della sostanza organica. Esempi applicativi dell’uso di tali indicatori quali strumenti diagnostici di qualità del suolo, opportunamente organizzati a livello gerarchico, sono stati sviluppati e raccolti in un volume (Sequi et al., 2006) nell’ambito del progetto ATLAS – Atlante di indicatori di qualità del suolo, finanziato da Mipaaf, Osservatorio Nazionale Pedologico. Il progetto ha coinvolto CRA-RPS e CRA-ABP e messo in reciproca relazione indicatori di tipo fisico, chimico e biologico in alcuni casi-studio tipici di ambienti agrari e forestali del territorio nazionale. Nell’ambito di varie ricerche condotte da CRA-RPS si è dimostrato che le condizioni pedoclimatiche possono influenzare la quantità di energia disponibile per il metabolismo microbico, come nel caso del confronto tra suoli brasiliani e temperati (Grisi et al.,1998), e che le sostanze umiche estratte da suoli tropicali sono dominate dalla frazione organica più recalcitrante, mentre nei suoli temperati da quella più decomponibile (Dell’Abate et al., 2003; 2008). L’influenza del tipo di gestione del suolo (conservativo o convenzionale) in prove a lungo termine ha dimostrato di poter influire non solo sul contenuto di carbonio organico ma anche sulla stabilità termica delle sostanze umiche (Dell’Abate et al., 2006), così come era stato riscontrato in Vertisuoli dell’ambiente xerico siciliano contenenti quantità non dissimili di carbonio organico, ma diversa pendenza (Dell’Abate et al., 2002). La pedogenesi e la diversa formazione di acidi umici possono anche essere influenzate dalle diverse strategie metaboliche adottate dal consorzio microbico del suolo in funzione della qualità della lettiera (Pinzari et al. 2001, 2002; Dell’Abate et al., 2002). Per quanto riguarda biomasse e compost, il livello di stabilizzazione della sostanza organica è fondamentale per la loro corretta applicazione al suolo. Le ricerche condotte hanno permesso di mettere a punto il metodo di analisi termica di tali matrici e di ricavarne indici di stabilità (Dell’Abate et al., 1998, 2000), utili a monitorare nel tempo il processo di compostaggio ed a verificare la formazione di prodotti con caratteristiche umo-simili (Dell’Abate e Tittarelli, 2002; Mondini et al., 2003; Baffi et al., 2007). Inoltre è stato recentemente dimostrata una relazione tra i patterns delle comunità batteriche che guidano il processo di compostaggio e le caratteristiche termiche di compost di varia origine (Klammer et al., 2008). Prospettive La migliore comprensione dei processi e l’utilizzo integrato di idonei indicatori di qualità del suolo permettono di individuare caso per caso le modalità di gestione del suolo più utili alla sua protezione o ad arginarne il degrado. Lo sviluppo di metodi analitici e di chiavi interpretative robuste possono essere messe al servizio delle politiche agricole e ambientali, come nel caso delle norme di

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condizionalità., contribuendo alla realizzazione di un efficace sistema di controlli sul territorio. Pubblicazioni prodotte Dell’Abate M. T., Baroccio F., Cerri C.E.P., Cerri C.C., Powlson D.S., Brookes P.C.

Impact of land use change and management on soil organic matter pools in tropical environment. In: Advances in GeoEcology N° 39 edited by Catena Verlag Gmbh, pp. 391-401 (2008).

Klammer S., Knapp B., Insam H., Dell’Abate M.T., Ros M. Bacterial community patterns and thermal analyses of composts of various origins. Waste Management & Reasearch 26: 173-187 (2008).

Baffi C., Dell’Abate M. T., Nassisi A., Silva S., Benedetti A., Genevini P.L., Adani F. Determination of biological stability in compost: A comparison of methodologies. Soil Biology and Biochemistry 39: 1284-1293 (2007).

Sequi P., Benedetti A., Dell’Abate M.T. (a cura di). ATLAS – Atlante di indicatori di qualità del suolo. Mipaaf, Osservatorio Nazionale Pedologico (2006).

Dell’Abate M.T., Pompili L., Benedetti A. Organic matter pools and microbial functional diversity in soil quality assessment of differently managed agricultural systems. 18th World Congress Soil Science, Philadelphia, USA (2006).

Mondini C., Dell’Abate M. T., Benedetti A., Leita L. An integrated chemical, thermal, and microbiological approach to compost stability evaluation. Journal of Environmental Quality 3:2379-2386 (2003).

Dell’Abate M. T., Benedetti A., Brookes P.C.. Hyphenated techniques of thermal analysis for soil humic acids characterisation. Journal of Separation Science 26:433-440 (2003).

Dell’Abate M.T., Benedetti A., Trinchera A., Dazzi C. Humic substances along the profile of two Typic Haploxerert. Geoderma 107: 131-146 (2002).

Dell’Abate M. T., Pompili L., Benedetti A., Dazzi C. Soil microbial activity in a toposequence under Mediterranean climate. In: Options mediterraneennes, Series A, Number 50, CIHEAM, Bari, pp. 183-193 (2002).

Dell’Abate M. T., Pinzari F., Benedetti A., Petronio B. M., Dazzi C. Soil humic acids formation and characteristics in a Xeric Mollisols reforested with two tree species. In: Developments in Soil Science, Volume 28B, Elsevier Science B.V., pp. 393-404 (2002).

Pinzari F., Dell’Abate M. T., Benedetti A., Dazzi C. Energy use in the A and B horizons of the soil under a pine and a cedar stand. In: Developments in Soi Science, Volume 28B, Elsevier Science B.V., pp. 405-414 (2002).

Dell’Abate M. T., Tittarelli F. Monitoring of a composting process: Thermal stability of raw materials and products. In: Microbiology of composting, Insam H., Riddech N., Klammer S. (eds.), Springer-Verlag, Berlin Heidelberg, pp. 357-371 (2002).

Pinzari F., Dell’Abate M.T., Benedetti A., Dazzi C. Effects of Cedrus atlantica and Pinus Halepensis on the chemistry and fertility of a Mediterranean soil after 40 years. Canadian Journal of Soil Science, 81:553-560 (2001).

Dell’Abate M.T., Benedetti A., Sequi P. Thermal methods of organic matter maturation monitoring during a compost process. Journal of Thermal Analysis and Calorimetry, 61:389-396 (2000).

Dell’Abate M.T., Canali S., Trinchera A., Benedetti A., Sequi P. Thermal analysis in the evaluation of compost stability: A comparison with humification parameters. Nutrient Cycling in Agroecosystems 51: 217-224 (1998).

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Grisi B., Grace C., Brookes P.C, Benedetti A., Dell’Abate M.T. Temperature effects on organic matter and microbial biomass dynamics in temperate and tropical soils. Soil Biology and Biochemistry 30:1309-1315 (1998).

Effetto sulle popolazioni microbiche rizosferiche di diverse modalità di concimazione azotata L. Bardi1, F. Rosso1, F. Zoppellari1, C. Grignani2, L. Zavattaro2, G. Bourlot3, L. Petruzzelli3

1CRA – Centro di Ricerca per lo studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo, Gruppo di Ricerca di Torino, Torino; 2Università di Torino, Dip. AgroSelviTer 3Regione Piemonte, Laboratorio Agrochimico Regionale Introduzione Lo studio fa parte del Progetto Regionale “Indicatori chimici e biochimici per la valutazione della qualità dei suoli sottoposti a diverse fertilizzazioni organiche”, che si prefigge l’obiettivo di fornire strumenti per la valorizzazione dei reflui zootecnici e per una buona gestione della sostanza organica del suolo. A tal fine, vengono determinati degli indicatori chimici per valutare la qualità del suolo sottoposto a differenti tipi di fertilizzazioni organiche, con determinazione dei bilanci del C e dell'N. La caratterizzazione chimico-fisica del suolo, lo studio della dinamica dei nutrienti e la conoscenza della relazione tra dinamiche del C e uso agricolo del suolo permettono di individuare e quantificare i fattori che hanno un maggior effetto sulla dotazione in sostanza organica. Inoltre è prevista la misurazione delle emissioni di CO2 e N2O e del rilascio di azoto derivante dalla mineralizzazione dei reflui zootecnici, così come vengono indagate eventuali modificazioni di alcune significative caratteristiche biologiche del suolo dovute all’uso dei fertilizzanti organici. Si mettono così in luce i principali effetti che la diversa gestione agronomica della sostanza organica può provocare sulle proprietà di un suolo. Risultati e conclusioni Sono stati presi in esame come sistemi colturali il mais da insilato ed il mais da granella fertilizzati con liquame bovino (340 kg/ha N), letame bovino (340 kg/ha N) o urea (300 kg/ha N), utilizzando come controllo l’assenza di fertilizzazione. In concomitanza con i rilievi relativi all’analisi chimico-fisica del suolo ed alle emissione di gas sono state effettuate determinazioni delle popolazioni microbiche eterotrofe del suolo: procarioti aerobi, procarioti anaerobi, muffe e lieviti. La carica microbica totale del suolo è risultata più elevata dove l’apporto di azoto è stato ottenuto per concimazione con liquame e letame, come prevedibile per via del notevole apporto in microrganismi dovuto a tali matrici. Questo fenomeno era evidente sia a carico dei microrganismi aerobi che di quelli anaerobi, anche se per questi ultimi si è notata una presenza maggiore nei suoli

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trattati con liquami, presumibilmente a causa del maggior contenuto in microrganismi anaerobi di questa matrice. Il contenuto in microrganismi del suolo non sottoposto ad alcun tipo di fertilizzazione non si discostava significativamente da quello del suolo fertilizzato con urea, tranne che per i batteri anaerobi, che risultano presenti in quantità inferiore nel suolo fertilizzato con urea. Si può quindi dedurre che la tipologia di concimazione azotata influenza la carica microbica totale dei suoli indipendentemente dalla quantità di azoto apportato. Si è anche rilevato che il contenuto idrico del suolo può influenzare gli equilibri fra popolazioni microbiche, con un incremento dei batteri anaerobi riferibile a più elevati contenuti idrici. Prospettive Si intende approfondire l’indagine sulle tipologie di popolazioni microbiche, per evidenziare l’eventuale correlazione fra differenti gruppi funzionali del suolo e l’emissione di gas serra. Biotecnologie del suolo: studio ed applicazioni della diversità microbica S. Mocali, A. Benedetti CRA – Centro di Ricerca per lo studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo, Roma Introduzione Il terreno naturale è un sistema ecologico aperto, che riceve e perde energia. Le modificazioni energetiche determinate dalla composizione e dalle attività delle popolazioni microbiche, dal trasferimento e circolazione ciclica degli elementi del suolo e dal turnover della sostanza organica, presiedono al mantenimento di un equilibrio di scambio tra suolo e pianta, contribuendo così allo stato di fertilità dei terreni. La fertilità biologica, unitamente alla fertilità chimica ed a quella fisica, costituisce pertanto la fertilità agronomica (o integrale) dalla quale dipende la produttività di un suolo. La biodiversità del suolo rappresenta oltre il 90% della biodiversità totale del pianeta e la maggior parte di essa è ascrivibile ai soli microrganismi che rappresentano la parte più rilevante della biomassa del suolo. Questa enorme quantità di “vita invisibile” è di fondamentale importanza per l’intera vita sulla terra ed è quella che maggiormente influisce sulle proprietà biologiche del suolo, regolandone tutti i processi biochimici che ne determinano le proprietà nutrizionali (Bloem et al., 2006). Questa sorgente di biodiversità microbica rimane tuttora perlopiù inesplorata e può essere utilizzata per numerose applicazioni biotecnologiche, come per il biorisanamento di suoli inquinati o per la produzione di energia elettrica. Risultati e conclusioni Il principale ostacolo per lo studio della microbiologia del suolo è rappresentato dall’impossibilità di coltivare in vitro la stragrande maggioranza dei microrganismi presenti e che rappresentano oltre il 99% del totale (Torsvik et al., 1990). Le moderne tecniche di biologia molecolare hanno fornito negli ultimi anni potenti strumenti di indagine volti allo studio della diversità genetica e funzionale del suolo, in particolare di quella parte di microrganismi incapaci di crescere in laboratorio. L’utilizzo di queste tecniche (PCR, DGGE, ARDRA, T-RFLP, ecc.), affiancate sia ad approcci microbiologici tradizionali come la respirazione del

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terreno (Isermeyer, 1952) e la determinazione della biomassa microbica (Vance et al., 1987), che tecniche più moderne come l’analisi del profilo ecofisiologico (Garland and Mills, 1991) ed i Phenotype Microarrays (Bochner et al., 2001), consente di individuare nel suolo microrganismi dalle potenzialità spendibili in numerose applicazioni biotecnologiche. Tra le principali attività in corso si ricorda il biorisanamento di suoli inquinati o fumigati (Mocali et al., 2008a), il monitoraggio degli impatti di piante transgeniche secondo le prescrizioni del DL 224/2003 (Mocali et al., 2008b) e lo sviluppo delle cosiddette Microbial Fuel Cells (MFC) per la produzione di energia elettrica diretta a partire da biomasse organiche (Mocali et al., 2008c). Prospettive Il principale obiettivo futuro è quello di coniugare la biodiversità microbica con le funzioni del suolo, ovvero capire “chi fa cosa”. Lo sviluppo dei metodi di analisi fenotipica e genetica progrediscono rapidamente e già da alcuni anni è si parla di approccio “metagenomico” per lo studio del DNA del suolo. L’obiettivo che ci poniamo è quello di contribuire alla comprensione dei meccanismi alla base della fertilità biologica mediante un approccio multidisciplinare, integrando la metagenomica (sequenziamento del DNA totale di un suolo) con la metafenomica (caratterizzazione fenotipica delle comunità microbiche di un suolo) mediante l’impiego del BIOLOG e del Phenotype Microarrays. Bibliografia Bloem J., Benedetti A., Hopkins D., Eds. 2006. Microbial methods assessing soil

quality. CABI Publishing. Bochner B. R., Gadzinski P. and Panomitros E. (2001). Phenotype microarrays for

high-throughput phenotypic testing and assay of gene function. Genome Res 11:1246-55.

Logan, B. (2008). Microbial Fuel Cells. John Wiley & Sons, Inc., Hoboken, New Jersey, 2008.

Garland, J.L., Mills, A.L. (1991). Classification and characterization of heterotrophic microbial communities on the basis of patterns of community-level sole-carbon-source utilization. Appl Environ Microbiol 57:2351–2359.

Isermeyer H. (1952). Eine Einfache Methode sur Bestimmung der Bodenatmung und der Karbonate im Boden. Z Pflanzanernah Bodenk, 56:6–38.

Mocali S., Paffetti D., Emiliani G., Benedetti A. Fani R. (2008a). Diversity of heterotrophic aerobic cultivable microbial communities of soils treated with fumigants and dynamics of metabolic, microbial, and mineralization quotients. Biol. Fertil. Soils , 44: 557-569.

Mocali S., Castaldini M., Fabiani A., Marcucci A., Pagliai M., Benedetti A. (2008b). Impact of different transgenic Bt corn varieties on microbial diversity and soil quality. Advances in GeoEcology, 41: 569-580.

Mocali S., Galeffi C. Silvestri F., Florio A. e Benedetti A. (2008c). L’utilizzo di Microbial Fuel Cells per la produzione di energia elettrica a partire da biomasse di scarto. Atti del VI Convegno AISSA, Imola (Italy), 26-28 novembre 2008.

Torsvik V., Goksøyr J., Daae F.L. (1990). High diversity in DNA of soil bacteria. Appl. Environ. Microbiol. 56:782-787.

Vance E.D., Brookes P.C., Jenkinson D.S. (1987). An extraction method for measuring soil microbial biomass C. Soil Biol Biochem 19:703–707.

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Influenza della tipologia e dell’utilizzo del suolo sulla biodiversità della comunità batterica tellurica e sulla sua resilienza A. Fabiani CRA – Centro di ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze Introduzione La comunità batterica del suolo ha un ruolo determinante nello svolgimento dei principali cicli biogeochimici fondamentali per la conservazione e la fertilità del suolo; l’importanza della biodiversità microbica per il mantenimento di questi processi è ancora in gran parte sconosciuta. L’estrazione diretta del DNA e del RNA dal suolo e l’utilizzo della tecnica DGGE (Denaturant Gradient Gel Electrophoresys) sono metodi molecolari la cui efficacia nello studio della comunità batterica del suolo è ampiamente riconosciuta. La finalità di questo studio era quella di analizzare con questi metodi molecolari le comunità batteriche di suoli provenienti da diverse zone dell’Italia per poter studiare l’effetto di alcune variabili sulla composizione e sulla funzionalità di queste comunità. Le variabili prese in considerazione per la ricerca sono state: l’uso del suolo, la posizione geografica e la tipologia del suolo (tessitura, composizione). Seguendo questi criteri sono stati scelti quattro siti di campionamento nelle seguenti località: Vicarello di Volterra (Pisa), San Quirico D’Orcia (Siena), Soveria Simeri (Catanzaro) e Bovolone (Verona). In ciascuna di queste località sono state individuate tre parcelle con usi del suolo differenti (seminativo [grano] alternato, incolto e pascolo) per poter studiare l’effetto degli stessi sulla microflora batterica e per vedere se le eventuali differenze fossero riscontrabili in ugual modo nei suoli delle quattro località prese in esame. Nel sito di Vicarello il campionamento è stato effettuato anche su una quarta parcella che è stata coltivata per venti anni con grano e in seguito è stata abbandonata per oltre trenta anni e presenta una copertura arbustiva spontanea quasi uguale a quella presente nella parcella incolta. Risultati e Conclusioni L’analisi DGGE dei campioni di DNA ha evidenziato una netta distinzione tra suoli dello stesso tipo ma provenienti da aree geografiche diverse, questo potrebbe indicare l’effetto delle condizioni ambientali sulla microflora tellurica. Inoltre è stato evidenziato anche un chiaro effetto del tipo di suolo sulla composizione della comunità batterica. I risultati di questa analisi indicano anche un chiaro effetto dell’uso del suolo sulla composizione della comunità batterica, infatti, i suoli coltivati a grano si differenziano nettamente da quelli incolti e dai pascoli e questo si osserva indipendentemente dal tipo di suolo e dalle aree di provenienza. Per i suoli di Vicarello è stato approfondito lo studio con l’intento di valutare anche la funzionalità della comunità batterica e identificare alcune specie caratteristiche. Per fare ciò è stato analizzato anche l’rRNA direttamente estratto dal suolo e sono state prelevate, clonate e sequenziate le bande più interessanti dal DGGE. L’analisi ha mostrato profili caratteristici per tutte le parcelle analizzate, sia per i campioni di DNA che per quelli di RNA. Inoltre, è stata messa in evidenza una netta differenza tra la composizione totale della comunità e la frazione metabolicamente attiva. In entrambi i casi però il maggior grado di similarità ottenuto è stato quello tra i campioni del bosco naturale e dell’incolto da 30 anni mentre il seminativo e il pascolo mostrano livelli di similarità più bassi. Questi risultati

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danno un’idea dei tempi necessari per il ritorno ad una situazione naturale dopo uno sfruttamento intensivo del suolo di lunga durata. L’analisi delle sequenze ottenute dalle bande prelevate dal gel ha messo in evidenza l’ubiquitarietà dei gruppi Gammaproteobacteria, Actinobacteria e Acidobacteria. I risultati di questo studio hanno dimostrato che tutte le variabili prese in considerazione esercitano una grossa influenza sulla biodiversità della microflora del suolo. C’è però da evidenziare che tale effetto non sembra comportare una diminuzione del numero di specie presenti ma una differenziazione delle stesse. In conclusione si può quindi dire che le variabili prese in considerazione in questo studio (uso del suolo, area geografica e tipologia di suolo) hanno un effetto determinante sulla composizione e sulla funzionalità della comunità batterica tellurica e che questo effetto è estremamente duraturo, visto che dopo oltre trenta anni è stato possibile riscontrarlo. Prospettive Ampliare le conoscenze sull’influenza della gestione del suolo sulla biodiversità della comunità batterica e sul tempo necessario alla stessa per tornare alle condizioni originali, precedenti allo sfruttamento intensivo, con studi a medio e lungo termine, sarebbe fondamentale per una corretta gestione agricola che consenta di preservare lo stato di salute del suolo nel tempo. Messa a punto di un metodo di estrazione e di analisi di mRNA da suoli argillosi e studio dell’espressione dei geni legati al processo di denitrificazione biologica R. Pastorelli, S. Landi CRA – Centro di ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze Introduzione Negli ecosistemi agrari, caratterizzati da alti input di azoto, il processo della denitrificazione causa la riduzione del nitrato in forme gassose rilasciate nell’atmosfera. Alla perdita netta di questo importante elemento si aggiunge, con l’incompleta denitrificazione, la formazione di ossido nitroso, potente gas serra che contribuisce al riscaldamento globale e alla distruzione dello strato di ozono. Un ruolo critico è giocato dai microrganismi la cui abilità denitrificante è presente in un’ampia varietà di specie non correlate filogeneticamente tra loro. I batteri denitrificanti si ritrovano più frequentemente nelle sottoclassi � e ��dei protobatteri, sebbene il genere Pseudomonas, un �-Protobacteria, contribuisca con un grande numero di organismi. Nei suoli argillosi la denitrificazione è favorita perché è presente una bassa tensione di ossigeno: condizione questa necessaria per avviare tutti i complessi meccanismi che regolano questo processo biologico facoltativo. Nell’ambito del progetto SOILSINK (FISR–MIUR) è stato messo a punto un metodo per lo studio dell’espressione dei geni eubatterici coinvolti nella denitrificazione. E’ stata presa in esame una coltivazione di frumento su suolo argilloso (Agugliano, AN) soggetta a diversi sistemi gestionali (lavorato e non, fertilizzato e non).

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Risultati e discussione L’RNA totale è stato estratto direttamente dal suolo mediante il kit commerciale RNA PowerSoil TM Total Isolation Kit (MoBio). L’aggiunta di Na-EDTA alla soluzione di lisi ha facilitato il distacco degli acidi nucleici dalle particelle di argilla. L’RNA ottenuto è risultato essere di elevata purezza ed adatto a successive manipolazioni. L’espressione dei geni codificanti per due nitrato riduttasi (narG e napA), due nitrito riduttasi (nirS e nirK), due nitrico ossido riduttasi (cnorB e qnorB) e una nitroso ossido riduttasi (nosZ) è stata analizzata mediante retrotrascrizione (RT)-nested PCR. Solo per napA, nirS, nirK, qnorB e nosZ è stato possibile ottenere dei buoni amplificati. Le sequenze dei frammenti ottenuti hanno mostrato un’alta similarità con le corrispondenti sequenze geniche depositate nel database di GenBank. Questi risultati mostrano l’adeguatezza del metodo per lo studio qualitativo dei batteri denitrificanti nei campioni ambientali. Inoltre tutti e cinque i set di primer hanno prodotto ampliconi minori o uguali a 500 bp e quindi hanno offerto la possibilità di mettere a punto l’analisi DGGE (Denaturing Gradient Gel Electrophoresis) per i geni nirK, nirS e nosZ. Risultati preliminari hanno evidenziato differenze significative tra la struttura della comunità (analisi del DNA) e la sua reale attività (analisi dell’RNA). In tutti i campioni analizzati la comunità microbica attiva è inferiore alla comunità totale. nirK è risultato essere il gene legato alla denitrificazione più ampiamente distribuito nel suolo, valori più alti sono stati riscontrati nelle tesi non fertilizzate. nirS, dominante in ambiente marino, è meno abbondante nel suolo. nosZ non è espresso in tutti i tipi di suolo, nella nostra prova è stato trovato solo nella tesi non lavorata e non fertilizzata. Prospettive Lo studio dell’attività della comunità microbica denitrificante fornisce l’indicazione di quali specie siano realmente operanti in un determinato ambiente e la metodologia proposta è un possibile protocollo da seguire. La messa punto di un metodo per ottenere mRNA da suolo argilloso consente di studiare suoli difficili in cui la denitrificazione è più abbondante. L’RT-nested-PCR permette di valutare la presenza di batteri denitrificanti attivi, mentre con l’analisi DGGE del cDNA si ha un indicazione di quante diverse specie batteriche che esprimono quel gene siano presenti.

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Sessione IV Miglioramento della qualità del suolo Compostaggio e riciclo di sottoprodotti agroindustriali per sostenere la produttività agricola e ridurre i processi di desertificazione D. Ferri1, G. Convertini1, M. Diacono1, F. Montemurro2, M. Maiorana1, N. Losavio2, S. Canali3, F. Tittarelli3 1CRA – Unità di ricerca per i sistemi colturali degli ambienti caldo-aridi, Bari; 2CRA – Unità di ricerca per lo studio dei sistemi colturali, Metaponto; 3CRA – Centro di ricerca per lo studio delle relazioni tra pianta e suolo, Roma. Introduzione

Lo studio riguarda un filone di ricerca avviato negli anni 80-90 sulla introduzione di una gestione agronomica innovativa dei sistemi colturali meridionali, basata sull’applicazione di fertilizzanti organici, sulla rotazione delle colture e su trattamenti a basso impatto ambientale.

Risultati e conclusione I risultati ottenuti su Barbabietola e frumento in rotazione applicando una dose agronomica di compost da Rifiuti solidi urbani pari a 120 kg N ha-1(C1) ed una dose doppia (C2), hanno posto in evidenza che nello strato superficiale di suolo proprio con il trattamento C2 vi è un netto miglioramento delle caratteristiche fisiche superficiali del suolo. Quale evoluzione di queste prime indagini realizzate nell’ambito di alcuni progetti finalizzati MiPAAF (PANDA e PARSIFAL), si sono proseguiti gli studi sulla “riconversione delle aziende meridionali” valutando l’efficienza della nutrizione di specie erbacee foraggere, fertilizzate in maniera tradizionale e mediante apporto di sostanza organica da biomasse compostate dell’industria olearia e digeriti anaerobici (contributo finanziario del MUR). I risultati sperimentali hanno evidenziato la sostenibilità della produttività agraria di loiessa, trifoglio e pisello proteico con interventi agronomici costituiti da residui aziendali e sottoprodotti agroindustriali compostati. Anche un’ innovazione dell’olivicoltura meridionale (Prog, RIOM MiPAAF) sembra ipotizzabile con il riciclo delle sanse vergini compostate derivanti dalla molitura delle olive. I dati sperimentali hanno evidenziato una miglioramento delle caratteristiche delle drupe ed una mobilizzazione dei macronutrienti del suolo grazie all’applicazione superficiale di materiale organico compostato. Sulla scorta dei primi risultati acquisiti su melanzana e melone (Prog. PROM MiPAAF), l’orticoltura meridionale potrebbe giovarsi dell’impiego di sottoprodotti agroindustriali e civili trattati adeguatamente sia come “sostegno produttivo” che come “qualità dei prodotti”. Gli studi attuali (Prog. CONSSABIO MiPAAF) sono finalizzati alla innovazione nel sistema di gestione della fertilità dei suoli in agricoltura biologica attraverso la somministrazione di compost di qualità, preparati su piccola scala con sottoprodotti agroindustriali e residui aziendali selezionati. Le attività appena avviate, riguardano compost da matrici agroindustriali a rapporto C/N anomalo rispetto a quanto prescritto dalle normative vigenti e a diverso grado di stabilità. Le colture biologiche investigate sono cece , farro, spinacio e lattuga (in rotazione).

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Prospettive Le ricadute operative delle ricerche concluse e di quelle in corso potranno rientrare negli obiettivi della nuova PAC e dei Piani di Sviluppo Rurale se si potranno programmare alcuni studi relativamente a : 1) Linee guida sui piani di gestione e sui cicli di vita delle biomasse; 2) Recupero di energia attraverso la digestione anaerobica ed il successivo recupero di materia mediante compostaggio dei “digestati”; 3) Ripristino della fertilità organica dei suoli come “chiave” per migliorare le funzioni agronomiche ed ambientali del suolo; 4) Gestione del Carbonio organico del suolo, basata sugli esperimenti a lungo termine. Gestione dei residui organici e del suolo: impatto sulle emissioni di gas ad effetto serra e sul potenziale di sequestro del C C. Mondini1, M. L. Cayuela2, M. A. Sanchez-Monedero2, T. Sinicco1, F. Fornasier1, L. Leita1 1CRA – Centro di Ricerca per lo Studio delle relazioni tra Pianta e Suolo, Gruppo di Ricerca di Gorizia, Gorizia 2CEBAS-CSIC, Campus Universitario de Espinardo, 30100 Murcia (Spagna) Gli effetti dell’incremento delle emissioni di gas ad effetto serra (principalmente CO2, N2O e CH4) sul riscaldamento globale ed il conseguente cambio climatico rappresentano al momento attuale una delle principali preoccupazioni di tipo ambientale. Come conseguenza, i paesi sviluppati hanno fissato come obiettivo nel prossimo futuro la diminuzione delle emissioni di tali gas. A tale riguardo il suolo ed i residui organici rivestono un ruolo molto importante. E’ stato infatti stimato che lo smaltimento dei residui contribuisce per circa il 35% al totale delle emissioni di gas ad effetto serra della Unione Europea, mentre le perdite di C dal suolo dovute all’agricoltura durante l’era post-industriale ammontano a circa 80 Pg (1 Pg = 1015 g). E’ stato altresì dimostrato che una gestione dei residui organici e del suolo integrata ed in linea con i criteri della sostenibilità può portare ad una significativa diminuzione delle emissioni di gas ad effetto serra contribuendo così a contrastare il cambiamento climatico in atto. Pertanto alcune delle misure riconosciute a livello internazionale nell’ambito del protocollo di Kyoto riguardano la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra associate con l’agricoltura e la gestione dei rifiuti organici, così come l’incremento della capacità dei suoli agricoli di sequestrare il C atmosferico. Con questo ultimo termine si intende una strategia che mira a diminuire il contenuto della CO2 atmosferica mediante la sua incorporazione nella sostanza organica del suolo in forma stabile e per un periodo di tempo considerevolmente lungo (> 100 anni). Si stima che a livello mondiale l’implementazione di questa strategia nei suoli agricoli abbia la potenzialità di ridurre di circa il 25% l’incremento annuale nella concentrazione atmosferica dei gas ad effetto serra. Inoltre è importante tenere in conto che l’aumento di sostanza organica causata dalla realizzazione di questa strategia oltre ai noti benefici di tipo agronomico porta a positive implicazioni per quanto riguarda la protezione e la conservazione dell’ambiente e la sostenibilità degli ecosistemi agrari. Tuttavia, nonostante sia ormai stata ampiamente dimostrata l’importanza di una appropriata gestione dei suoli e dei residui organici per contenere e limitare l’emissione di gas ad effetto serra, sono ancora necessari ulteriori approfondimenti

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scientifici sull’argomento per l’ottimizzazione del riciclo dei residui organici nel suolo e per ottenere informazioni che fungano da fondamento e guida delle politiche di gestione ambientale a livello sial locale che europeo. A tale proposito il gruppo di ricerca di Gorizia del CRA-RPS ha da tempo intrapreso e sta tuttora svolgendo attività di studio e ricerca nel settore specifico ed principalmente su due linee di ricerca: - Studio della quantità e della dinamica di emissione di gas ad effetto serra durante il trattamento di stabilizzazione dei residui organici e dopo la loro applicazione al suolo. - Ricerca sulle caratteristiche, sui processi di trasformazione e sulle modalità di applicazione al terreno dei residui organici che massimizzano il sequestro del C nel suolo. A titolo di esempio dell’attività di ricerca svolta vengono riportati i risultati di tre differenti esperimenti. Nel primo studio è stata misurata la emissione di CO2, CH4 e N2O durante il processo di compostaggio di tre miscele di residui ligno-cellulosici con sottoprodotti di origine animale. Sono stati prodotti tre diversi tipi di compost aggiungendo ad una miscela di paglia e cotone 3 diversi tipi di residui organici di origine animale caratterizzati da un basso rapporto C/N (<3.5): farina di carne ed ossa, cuoio idrolizzato e cornunghia. Durante il processo di compostaggio è stata misurata l’evoluzione dei tre principali gas ad effetto serra (CO2, N2O e CH4). I risultati hanno evidenziato come le maggiori emissioni di CO2 siano state registrate durante la fase termofila, in particolare nei primi 20 giorni di compostaggio, in relazione diretta con i picchi di temperatura massima. Nessuna emissione di CH4 è stata misurata durante l'intero processo di compostaggio, mentre basse emissioni di N2O sono state determinate all’inizio del processo e durante la fase di maturazione. Nella seconda ricerca sono stati studiati gli effetti della composizione e struttura chimica dei residui organici sulla dinamica di evoluzione di CO2 e di N2O dal suolo ammendato. Un suolo calcareo franco-sabbioso-argilloso è stato ammendato (0.5% p/p) con tre residui organici caratterizzati da un elevato contenuto di N: sangue secco (N = 12.6 %), idrolizzato proteico da cuoio (N = 11.5%) e cornunghia (N = 13.5%). Il suolo ammendato è stato incubato a 25 °C e l’evoluzione dei gas è stata misurata mediante un sistema gas-cromatografico automatizzato. La quantità e la dinamica di evoluzione di CO2 e di N2O dal suolo è risultata molto diversa per i tre residui. In particolare, per quanto riguarda l’evoluzione di N2O (un gas serra caratterizzato da un potenziale di riscaldamento globale di circa 300 volte superiore alla CO2) nel caso del suolo ammendato con sangue secco si è registrato un picco di emissione di circa 7.5 mg N2O-N kg-1 h-1 dopo un giorno di incubazione seguito da un rapido decremento (Figura 1). Completamente distinta è la dinamica di emissione di N2O registrata nel suolo ammendato con l’idrolizzato proteico caratterizzato da un emissione bassa e praticamente costante durante l’intero periodo di incubazione.

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0

5

10

15

0 10 20 30Giorni di incubazione

N2O

-N (mg

kg-1 h

-1)

cornunghiaidrolizzato proteicosangue secco

Figura 1. Evoluzione di N2O da un suolo ammendato con 3 differenti residui di origine animale La quantità totale di C aggiunto che è stata mineralizzata nel suolo è variata dal 10.4% al 15.5% (idrolizzato proteico < sangue secco < cornunghia), mentre la quantità di N2O emessa dal suolo fertilizzato con cornunghia è risultata 6 e 13 volte superiore a quella proveniente rispettivamente dal suolo ammendato con idrolizzato proteico e sangue secco. E’ importante considerare come la composizione elementare in termini di C e N dei tre residui sia molto simile per cui il diverso comportamento è da imputare alla diversa complessità chimica dei residui che ne influenza la loro decomposizione nel suolo. Il terzo esperimento era mirato a determinare il potenziale dell’utilizzo del residuo dell’estrazione dell’olio di oliva con il sistema a due fasi (TPOMW) per favorire il sequestro del C nel suolo. Questo residuo presenta, infatti, un alto contenuto di componenti ligno-cellulosici che rende la sua degradazione molto lenta, sia durante il processo di compostaggio che dopo la sua applicazione al suolo. E’ stato determinato il bilancio totale delle perdite di C di due diversi compost e dopo l'applicazione del compost al suolo. I due compost sono stati prodotti a partire da una miscela di TPOMW con letame di pecora (compost 1) e di TPOMW con letame di pecora e raspi d’uva (compost 2). L’ammendamento del suolo con il compost (2% p/p) è stato realizzato utilizzando campioni di compost prelevati in diversi momenti del processo di compostaggio ai fini di valutare l'effetto del grado di stabilizzazione del compost sulla efficienza di conservazione del C. Le perdite di C dopo 34 settimane di compostaggio sono risultate pari a circa il 45% e 41% del contenuto di C iniziale, rispettivamente per il compost 1 e 2 (tabella 1), mentre la quantità di C emesso come CO2 dopo 8 mesi di incubazione del suolo ammendato con compost maturo rappresentava il 21-22% del C aggiunto al terreno. E’ stato calcolato anche il bilancio totale delle perdite di C, considerando l'intero ciclo di vita dei due TPOMW (perdite durante il compostaggio e mineralizzazione dopo l’applicazione del compost nel suolo). Un bilancio corretto richiede che i differenti campioni siano valutati sulla base di un tempo totale di decomposizione (compostaggio e mineralizzazione nel suolo) uguale. Questo è stato ottenuto considerando differenti periodi di incubazione dei suoli ammendati con i diversi campioni di compost. Il bilancio totale ha evidenziato perdite di C (49-54%) significativamente inferiori dei compost

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preparati con TPOMW (Tabella 1) rispetto a quelle misurate con compost preparati con residui organici di diversa origine (64-79%; Bernal et al., 1998). Questi risultati confermano l’elevata potenzialità del TPOMW come residuo organico per la preparazione di compost da utilizzare per l’implementazione del sequestro del C. Tabella 1. Perdite di C durante il compostaggio, dopo applicazione del compost al suolo e perdite totali di C dovute ad entrambi i processi (compostaggio e mineralizzazione nel suolo).

Campione Compostaggio Mineralizzazione nel suolo Totale (compostaggio + suolo)

Tempo Perdite di C Tempo Perdite di C Tempo Perdite di C (settimane) (%) (settimane) (%) (settimane) (%)

Compost 1 1-I 1 0.8 a 37 36.9 A 38 37.7 a 1-II 5 13.5 b 33 31.4 A 38 44.9 ab 1-III 19 36.9 c 19 21.6 B 38 58.5 b 1-IV 34 45.2 d 4 8.4 C 38 53.6 ab Compost 2 2-I 1 0.5 a 37 33.9 A 38 34.4 a 2-II 18 22.1 b 20 19.7 B 38 41.8 ab 2-III 34 40.6 c 4 8.1 C 38 48.7 b

Conclusioni

I risultati dei tre esperimenti descritti indicano che il compostaggio, se propriamente gestito, non genera CH4 e solo quantità trascurabili di N2O. Inoltre, la dinamica e la quantità di emissione di gas ad effetto serra da residui organici addizionati al suolo dipende dalla loro complessità chimica e strutturale. Infine, compost preparati da materiali ricchi di componenti ligno-cellulosici favoriscono il sequestro del C nel suolo.

L’insieme dei risultati sopra riportati dimostra l’importanza della razionalizzazione ed ottimizzazione della gestione dei residui organici e del suolo ai fini del contrasto del cambiamento climatico. Inoltre, appare importante sottolineare come vi è ormai un consenso generale sul fatto che uno dei maggiori problemi che minacciano la sostenibilità della società moderna sia la perdita di C organico dai suoli agrari. Pertanto, una gestione del suolo e dei residui organici che abbia come obiettivo principale la conservazione e l’incremento del tenore della sostanza organica nel terreno non solo è una valida strategia per ridurre le emissioni e contrastare il cambiamento climatico, ma rappresenta anche una condizione fondamentale per garantire la salvaguardia dell’ambiente ed il benessere dell’intera società umana. Bibliografia Bernal M.P., Sanchez-Monedero M.A., Paredes C., Roig, A., 1998. Carbon

mineralization from organic wastes at different composting stages during their incubation with soil. Agriculture, Ecosystems and Environment 69, 175–189.

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Fattori di variazione del contenuto in carbonio organico dei suoli italiani nell’ultimo cinquantennio G. L’Abate, E. A. C. Costantini, R. Barbetti CRA – Centro di ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze Introduzione Tra i processi che conducono alla degradazione dei suoli, la minaccia costituita dal declino del carbonio organico è particolarmente rilevante, tanto che l’Unione Europea la ha indicata tra le priorità nella direttiva quadro sulla protezione del suolo. Studi recenti negli USA evidenziano un aumento significativo del carbonio organico nelle ultime decadi, come conseguenza della adozione e diffusione di pratiche agricole conservative (no/minimum tillage). Alcune esperienze nazionali e locali in Italia indicano una scarsa dotazione di sostanza organica nei suoli italiani. Il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ha finanziato un progetto denominato “Banca dati dei suoli d’Italia” (BADASUOLI), finalizzato alla raccolta, e all’integrazione nazionale delle informazioni pedologiche regionali e alla realizzazione di una banca dati dei suoli d’Italia. I dati di rilevamenti condotti in tutta Italia sono stati raccolti, armonizzati e correlati con una base geografica di riferimento, in modo tale da realizzare un geodatabase, cioè un sistema informativo che collega la banca dati alfanumerica con quella geografica. Sono attualmente presenti in banca dati molti milioni di records, relativi ad oltre 33.000 siti di rilevamento, e le informazioni geografiche dei suoli a diverse scale di riferimento (da 1:5.000.000 a 1:500.000). Risultati e conclusioni I dati analitici estratti dalla banca dati (13.776 analisi del carbonio organico) si riferiscono ad 11.884 siti. Per poter trattare i dati in maniera significativa dal punto di vista statistico sono stati aggregati gli usi del suolo in quattro grandi classi, aree boscate, seminativi, aree agricole non arative, altri usi non agricoli, e distinto tre intervalli temporali di riferimento: 1960-1989, 1990-1999 e 2000-2008. Lo stock attuale di carbonio organico (periodo di riferimento 2000-2008), relativo agli orizzonti superficiali (30 cm), è stato stimato in 2,42 Pg o 80,1 Mg/ha, in particolare, 1,31 Pg (123,4 Mg/ha) nelle aree boscate; 0,86 Pg (52,0 Mg/ha) nei seminativi; 0,09 Pg (75,3 Mg/ha) nelle aree agricole non arative e 0,16 Pg (0,01 Mg/ha) per gli altri usi. E’ risultata una relazione altamente significativa tra carbonio organico totale ed appartenenza ad una soil region pedoclimatica e una influenza negativa della pratica irrigua. Per quanto riguarda l’andamento temporale, vi è evidenza di una perdita nello stock di carbonio organico nei suoli italiani a partire dagli anni 90. Su seminativo il declino del carbonio organico risulta presente anche nell’ultimo periodo di tempo considerato. La diminuzione del carbonio organico è invece rallentata nell’ultimo decennio, mentre nelle aree boscate risulterebbe una inversione di tendenza. In riferimento alla applicazione delle misure “agro-ambientali” è stato considerato solo il Regolamento CEE n. 2078/92. I risultati sembrerebbero indicare che la misura sia stata effettivamente applicata ad aree con scarsa dotazione di carbonio organico ed abbia contribuito a contrastare la diminuzione evidente dal 1990. Prospettive L’esistenza del sistema informativo pedologico nazionale, comprendente la Carta dei suoli d’Italia e la banca dati si è rivelata di fondamentale utilità nella

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conoscenza delle qualità dei suoli italiani. Per il futuro si auspica il suo mantenimento, raccogliendo i dati provenienti dai rilevamenti pedologici effettuati dal CRA e dagli altri enti interessati. Si prevede inoltre di continuare l’archiviazione dei campioni di suoli provenienti dai rilevamenti, di trasferire il software dei dati su una piattaforma più adatta a gestire una mole ancora più elevata di dati, e di realizzare un sito webGIS che consenta la consultazione della banca dati in remoto, con opportune regole di accesso. Per quanto riguarda il carbonio organico, è possibile prevedere l’uso della banca dati per individuare le aree critiche, dove sviluppare la rete di monitoraggio prevista dalla direttiva europea sulla protezione del suolo. Attività di ricerca e sperimentazione sulla gestione del suolo e dei reflui oleari P. Toscano CRA – Centro di Ricerca per l’Olivicoltura e l’Industria olearia, Rende Introduzione Nonostante varie iniziative promosse dalla UNCCD (Convenzione delle Nazioni Unite per Combattere la Desertificazione), e dalla Commissione Europea (COM 2002-179; STS-2003; COM 2006-232, SFD), i problemi di degradazione del suolo causati dallo sfruttamento antropico, risultano ancora di grande attualità. La mancata applicazione di adeguate strategie di salvaguardia della fertilità organica e di controllo dell'erosione, sono state riconosciute come la principale causa del progressivo diffondersi dei fenomeni di desertificazione. Per la potenziale risoluzione di tali problemi, l’inerbimento controllato del suolo si è dimostrato un valido sistema di gestione del suolo, sia per il ripristino della fertilità organica che per il controllo dell’erosione. La necessità di gestire in modo ecocompatibile le biomasse di risulta dell’estrazione olearia ha prodotto negli anni vari approcci metodologici; essendo costituiti da sostanza organica vegetale priva di metalli pesanti ed organismi patogeni, i reflui oleari possono trovare adeguata valorizzazione come ammendanti per il miglioramento delle caratteristiche del suolo. La concentrazione dell’attività dei frantoi oleari in periodi climaticamente non adeguati allo smaltimento diretto dei reflui tal quali su suolo agrario, hanno portato a valutare l’efficienza del processo di stabilizzazione aerobica in ambito aziendale, allo scopo di ottenere un ammendante organico con metodiche a basso input tecnologico ed energetico, fruibili in realtà in cui non sono proponibili, nel breve periodo, investimenti per impiantistiche specifiche. Scopi delle ricerche sono: reintegro della fertilità organica dei suoli; controllo dei fenomeni erosivi; risoluzione dei problemi di smaltimento e valorizzazione dei reflui oleari; miglioramento della produttività delle piante; riduzione dei costi di gestione. Gli obiettivi si concretizzano nella definizione ed ottimizzazione di strategie gestionali sostenibili a salvaguardia degli agroecosistemi oliveto, nel rispetto della redditività della coltura e della qualità dei prodotti.

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Risultati e Conclusioni L’inerbimento controllato, a confronto con lavorazioni del suolo, ha indotto sensibili miglioramenti sia delle caratteristiche del terreno che delle risposte vegeto-produttive delle piante. I risultati ottenuti in ambienti collinari declivi, e litoranei pianeggianti, hanno inoltre dimostrato come l’adozione delle diverse metodiche applicative della tecnica colturale deve essere adeguata alle peculiari condizioni dell’ambiente in cui si opera. Dalle indagini sull’efficacia del cotico nella difesa del suolo declive dall’erosione, è risultato un significativo incremento dell’infiltrazione e ritenzione idrica nelle parcelle inerbite, con la pressocchè totale assenza di deflusso a seguito di eventi piovosi sensibili, mentre dal suolo lavorato è stata persa per ruscellamento una notevole percentuale dell’acqua piovana, con asportazione di consistenti quantità di suolo e sostanza organica. Le prove di compostaggio aziendale di varie matrici, costituite con diverse tipologie di reflui oleari e materiali di supporto, hanno prodotto, nei diversi anni e areali di prova, compost “pronti” che, somministrati in parcelle olivetate, hanno significativamente migliorato le caratteristiche dei suoli ammendati e le risposte vegeto-produttive delle piante trattate. La metodica adottata, funzionale per quantitativi di reflui limitati dalle dotazioni aziendali, trova la sua naturale evoluzione nell’industrializzazione del processo, per lo smaltimento ecocompatibile dei reflui oleari, e per il recupero e la valorizzazione delle biomasse organiche da sottoprodotti dell’agroindustria, ad ottenere ammendanti compostati a costi ridotti, nelle strategie di ripristino della fertilità organica dei suoli agrari. Prospettive La valutazione delle scelte gestionali e l’ottimizzazione delle tecniche colturali, non può prescindere dalla sostenibilità ambientale degli interventi. Essa vanno adottate, conciliando la redditività della coltura e la qualità dei prodotti, con la salvaguardia dell’agroecosistema in funzione delle peculiari caratteristiche delle diverse realtà operative. Tra le possibili alternative nella gestione sostenibile del suolo olivetato, l’inerbimento controllato risulta sicuramente consigliabile negli impianti irrigui pianeggianti, ed una scelta obbligata sui terreni declivi, ed in colture asciutte, per i positivi effetti sulle caratteristiche del suolo e sulla produttività delle piante; nella regimazione idrica e nel controllo dell’erosione. Il prosieguo delle attività è rivolta alla analisi floristica e valutazione di essenze efficaci all’ottimizzazione delle caratteristiche dei diversi tipi di suolo olivetato; ed alla ricognizione e valutazione di simbionti micorrizici delle varie cultivar nei diversi areali di coltivazione. Il compostaggio dei reflui oleari rappresenta un efficace sistema di recupero e valorizzazione di biomasse, per la produzione di ammendanti organici di elevato valore agronomico, e per lo smaltimento ecocompatibile dei sottoprodotti dell’agroindustria. La ricerca in tal senso è orientata all’individuazione e costituzione di pool microbici selezionati per l’ottimizzazione del processo di fermentazione aerobica delle biomasse. Le indicazioni ottenute dalle attività di ricerca, per quanto positive e confortanti, rappresentano tuttavia ancora un approccio preliminare alla più ampia tematica della gestione sostenibile della filiera olivicola. Un adeguato supporto da parte della ricerca, finalizzata allo studio ed alla definizione di più specifiche strategie e metodiche applicative di gestione ecocompatibile degli agroecosistemi, può

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perseguire e, in prospettiva, risolvere gli obiettivi primari, funzionali alla sopravvivenza stessa dell’olivicoltura come coltura da reddito, ineguagliabile patrimonio varietale, fornitrice di prodotti di alta qualità organolettica, nutrizionale e salutistica, e insostituibile presidio territoriale e paesaggistico. Valutazione delle macchine impiegate nelle tecniche di lavorazione conservativa dei terreni: richieste energetiche, qualità del lavoro svolto, impatto sulle colture e sulla qualità del suolo D. Pochi, R. Fanigliulo CRA – Unità di Ricerca per l’Ingegneria Agraria, Monterotondo Introduzione Le tecniche tradizionali di lavorazione dei terreni, basate sull’aratura profonda e la bruciatura dei residui della coltura precedente, possono creare una serie di effetti indesiderati, come rilevato da numerose sperimentazioni agronomiche nel campo della meccanizzazione, quali l’eccessivo costo energetico, il peggioramento in alcuni casi della struttura del terreno, la perdita di elementi fertilizzanti e della sostanza organica del suolo e l’incremento dei fenomeni erosivi causati sia dall’acqua che dal vento. Sulla base di tali considerazioni, sono state sviluppate tecniche di lavorazione conservativa dei terreni volte a ridurre il numero degli interventi e la loro profondità, attraverso l’utilizzo di macchine con elevato fronte di lavoro in grado di offrire una valida alternativa alle lavorazioni tradizionali. Tali tecniche, infatti, hanno l’obiettivo di ridurre l’erosione ed il compattamento superficiale del suolo, di conservare e migliorare la fertilità naturale dei terreni, garantendo comunque soddisfacenti livelli produttivi e ridotti costi energetici, attraverso la rotazione delle colture ed il mantenimento di una copertura permanente del terreno pari ad almeno il 30% della superficie (Soil Science Society of America, 1997). I sistemi di lavorazione conservativa dei terreni offrono numerosi vantaggi rispetto ai sistemi intensivi. In primo luogo determinano una riduzione di: impiego di manodopera, tempi di lavoro, usura degli utensili di lavoro delle attrezzature, consumo di combustibile, erosione e compattazione del suolo, emissione di CO2 nell’atmosfera, inquinamento dell’aria. Inoltre, per l’aumento della fertilità organica, migliorano la produttività delle colture a lungo termine, l’infiltrazione dell’acqua negli strati profondi e la ritenzione idrica. Risultati e Conclusioni Il CPMA è specializzato nel rilievo delle prestazioni operative (richieste energetiche) e qualitative (qualità del lavoro svolto) delle operatrici utilizzate nelle tecniche di lavorazione conservativa dei terreni. Tali tecniche prevedono la lavorazione senza inversione degli strati e la decompattazione (coltivatori pesanti, ripuntatori, attrezzature combinate), la minima lavorazione (erpici a dischi, coltivatori, attrezzature combinate), la lavorazione delle stoppie (coltivatori ad ancore combinati), la semina su sodo (seminatrici da sodo) o in minima lavorazione superficiale sempre su terreno sodo (seminatrici combinate con attrezzature passive, come erpici a dischi, erpici a denti o combinati, o azionate dalla p.d.p. del trattore, come erpici rotanti o zappatrici). L’attività di prova può

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essere condotta anche all’esterno del CPMA, grazie alla disponibilità di un laboratorio mobile dotato di apposite attrezzature e strumentazioni. Prospettive Il CPMA si propone come interlocutore in ricerche di tipo interdisciplinare poiché in grado di svolgere studi finalizzati alla valutazione ed alla selezione delle macchine che hanno un basso impatto sulla qualità del suolo, in relazione alla verifica degli aspetti fisici (stabilità della struttura, porosità), idrologici (potenziale idrico e costanti idrologiche) e chimici (reazione, potere assorbente, dotazione in sostanza organica, presenza di inquinanti da fertilizzanti ed erbicidi) conseguenti al loro impiego. Si propone, quindi, di avviare una ricerca interdisciplinare (in collaborazione con le strutture del CRA competenti), sia su colture erbacee che arboree, al fine di valutare le prestazioni delle attrezzature impiegate e la rispondenza delle stesse alle tecniche oggetto di studio, anche alla luce della massiccia introduzione sul mercato di numerosi assemblaggi di vari utensili di lavoro, la risposta agronomica (crescita e produzione) delle colture alle tecniche conservative di gestione dei terreni, e la convenienza economica dell’introduzione di tali tecniche, in termini di risparmio sul reddito lordo, rispetto ai sistemi tradizionali di preparazione dei terreni. Inoltre, obiettivo di tale sperimentazione deve essere anche quello di valutare, in un arco temporale di almeno tre anni, gli inevitabili effetti collaterali di questi sistemi di lavorazione sull’ecosistema agricolo, quali l’impatto sulla qualità del suolo e delle falde acquifere del massiccio uso di erbicidi necessari per contrastare l’eccessivo sviluppo delle erbe infestanti, tipico di tali tecniche che non prevedono l’inversione degli strati e quindi l’interramento delle infestanti negli strati profondi del terreno, nonché l’insorgenza nelle stesse infestanti di fenomeni di resistenza ai p.a. somministrati, ed infine l’incremento nel suolo dei patogeni fungini, e terricoli svernanti in genere, responsabili delle malattie a carico delle piante coltivate, e conseguentemente dei residui di prodotti antiparassitari necessari al loro controllo. Gestione conservativa dei suoli in agrumeto e qualità delle produzioni F. Intrigliolo1, P. Rapisarda1, G. Roccuzzo1, F. Stagno1, B. Torrisi1, S. Canali2, F. Tittarelli2 1CRA – Centro di Ricerca per l’Agrumicoltura e le Colture Mediterranee, Acireale 2CRA – Centro di Ricerca per lo studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo, Roma La frutticoltura mediterranea è caratterizzata da alta specializzazione colturale che spesso comporta la semplificazione e l’impoverimento degli agrosistemi. Lo sviluppo dei metodi di produzione ecocompatibili ha portato alla revisione dei protocolli produttivi tradizionali, in particolare delle tecniche colturali, con l’obiettivo di aumentare il contenuto di sostanza organica ed elementi nutritivi, ridurre i fenomeni erosivi e limitare le perdite per lisciviazione, preservando così la fertilità del suolo. Si riportano i risultati delle principali linee di ricerca che nell’ultimo decennio sono state realizzate.

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Inerbimento E’ stato valutato l’effetto dell’utilizzo di cover crop in agrumicoltura, attraverso la realizzazione di prove sia su vari tipi di suolo in ambiente confinato, sia in agrumeto adulto, utilizzando Trifolium subterraneum e Medicago ciliaris in comparazione alla copertura naturale. Entrambe le leguminose sono riuscite a competere efficacemente con le infestanti, a ridurre l’evaporazione del suolo e a migliorarne la struttura; inoltre la biomassa erbacea trinciata e interrata ha mostrato effetti positivi aumentando i valori di N totale e di sostanza organica. Fra le due leguminose seminate la M. ciliaris ha fornito valori di biomassa prodotta e di resa in semi maggiori. Rilevante anche l’effetto positivo della flora spontanea invernale sulla fertilità del suolo e sul contenimento delle perdite di nitrati. Compostaggio È stata verificata la fattibilità del riutilizzo dei residui dell’industria agrumaria come base per l’ottenimento di compost di qualità, al fine di valutare la possibilità della chiusura del ciclo biogeochimico del carbonio e degli elementi nutritivi in un sistema aperto come quello dell’agrumeto. Il compostaggio del pastazzo offre vantaggi ecologici, agronomici e socio-economici; si raggiunge così un duplice aspetto positivo: l’eliminazione e l’allontanamento degli scarti agroindustriali e il recupero nei suoli della fertilità organica e chimica. Il monitoraggio del processo di compostaggio durante le prove, attraverso la rilevazione nei cumuli dell’umidità, della temperatura e l’analisi della stabilità della sostanza organica, ha messo in evidenza che la trasformazione della materia organica è avvenuta in maniera continua e regolare, con l’ottenimento finale di un compost con elevata qualità. In una seconda fase è stato valutato l’effetto dell’ammendante da pastazzo sia in vivaistica, come sostituto parziale o totale della torba, sia in pieno campo nell’ambito di prove agronomiche per la valutazione dell’efficacia di mezzi tecnici per la fertilizzazione. Prove agronomiche di utilizzo concimi organici e ammendanti Le ricerche, di medio-lungo periodo, sono state compiute sia come confronti fra agrumeti condotti in biologico e convenzionale sia in prove parcellari comparando compost, concimi organici e concimi minerali. Le strategie e le tecniche di fertilizzazione organica hanno messo in evidenza gli effetti positivi della sostanza organica: a livello produttivo, per un rilevante miglioramento di alcuni indici qualitativi; sullo stato nutrizionale delle piante, per una migliore disponibilità e più equilibrata distribuzione nel tempo dei nutrienti; a livello suolo, per un miglioramento della fertilità. In particolare, l’uso di un compost di qualità, rispetto soprattutto al minerale, nel medio-lungo periodo ha migliorato significativamente nel suolo i livelli della sostanza organica e dei parametri a essa collegati. E’ stato anche significativo l’aumento della biodisponibilità di alcuni nutrienti chiave per gli agrumi.

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La politica ambientale dell’Unione europea e la strategia tematica del suolo: il ruolo delle biomasse organiche F. Tittarelli1, S. Canali), D. Ferri2, F. Montemurro3, F. Intrigliolo4 1CRA – Centro di Ricerca per lo Studio delle Relazioni fra Pianta e Suolo, Roma 2CRA – Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli ambienti caldo-aridi, Bari 3CRA – Unità di Ricerca per lo Studio dei Sistemi Colturali, Metaponto 4CRA – Centro di Ricerca per l'Agrumicoltura e le Colture Mediterranee, Acireale La strategia dell’Unione Europea per lo sviluppo sostenibile (2001) ha messo in evidenza la necessità di rompere il legame fra crescita economica, uso delle risorse naturali e produzione di rifiuti. Successivamente, il Sesto Programma d’Azione per l’Ambiente (6th EAP) ha sviluppato tale concetto proponendo un modello che integra le politiche di gestione delle risorse naturali, dei prodotti e dei rifiuti. Il nuovo approccio metodologico alla legislazione ambientale che viene definito dal Sesto Programma d’Azione per l’Ambiente, prevede un’accurata analisi economica e scientifica della problematica affrontata ed una valutazione dei legami tra gli impatti ambientali e le altre politiche di settore. Per tale motivo, la strategia tematica di prevenzione e riciclo dei rifiuti è strettamente connessa con la strategia tematica di protezione del suolo. Il ruolo giocato dalla sostanza organica del terreno nel determinare la fertilità dei suoli e le pratiche agronomiche volte al suo mantenimento nel tempo sono state, infatti, oggetto di approfondimento durante il processo di consultazione che ha portato alla stesura della Strategia Tematica del Suolo. In particolare, la progressiva riduzione del contenuto di sostanza organica dei suoli agricoli è considerata, nella strategia tematica, una delle principali minacce di cui è oggetto questo comparto ambientale. Nel settore agricolo, l’utilizzo agronomico di biomasse organiche di scarto, rappresenta il legame tra la necessità di un riciclo ambientalmente sostenibile e la conservazione della sostanza organica del terreno. Allo scopo di dare un contributo all’aumento dell’efficienza ambientale nell’uso delle risorse, attraverso lo studio del’utilizzazione agronomica delle biomasse organiche, nel corso degli ultimi anni sono state realizzate diverse attività di ricerca e sperimentazione in collaborazione con Centri ed Unità di ricerca del CRA e con alcuni dipartimenti universitari. In particolare, in collaborazione con il CRA-ACM di Acireale (CT) si è impostata una sperimentazione di lungo periodo su agrumeto, di confronto di itinerari di fertilizzazione convenzionale e biologica, finanziata con i fondi dei progetti “Piano Agrumicolo”, “Agruqual” e “Ravagru” che si sono succeduti nel tempo, in cui la biomassa organica era costituita da compost ottenuto con gli scarti dell’industria agrumaria. Con il CRA-SCA di Bari ed il CRA-SSC di Metaponto, nell’ambito dei Progetti “Parsifal” e “Conssabio”, su colture erbacee (ortive, foraggere, graminacee e leguminose), sono stati messi a confronto compost e prodotti di digestione anaerobica con i concimi minerali. In questi progetti, l’efficacia fertilizzante delle biomasse organiche è stata valutata attraverso gli indici di efficienza di utilizzazione dell’azoto. Infine, in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e con il Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di Catania, nell’ambito del progetto FertOrtoMedBio, si sono realizzate delle prove sperimentali di orticoltura biologica in serra ed in pieno campo in cui la fertilizzazione è stata gestita, tra l’altro, anche mediante l’utilizzo di compost e letami.

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Modificazioni nella composizione della sostanza organica in campioni di terreno incubati a condizioni controllate F. Alianiello, F. Baroccio, Al. Ciampa, M. G. Mascia CRA – Centro di Ricerca per lo Studio delle Relazioni fra Pianta e Suolo, Roma Introduzione Obiettivo delle ricerche descritte è stato quello conoscere i processi di degradazione e di umificazione della sostanza organica nel terreno per alcune matrici organiche. A questo scopo tre esperimenti sono stati condotti in incubazione a condizioni controllate. Il primo esperimento aveva l’obiettivo di mettere a confronto i processi di stabilizzazione della sostanza organica del terreno sotto diverse condizioni di umidità, e quindi di ambiente redox. Il secondo intendeva seguire i processi di due matrici a diverso grado di maturazione (un compost e un pastazzo) per rilevarne le differenze nei processi di degradazione e umificazione. Il terzo si proponeva di valutare i processi di degradazione e umificazione delle sanse umide da frantoio oleario nel terreno, al fine di valutarne la eventuale nocività. I terreni sono stai incubati a 30 °C da soli e con l’aggiunta di matrici organiche in quantità tale da raddoppiare il contenuto di carbonio organico originale del terreno. Nel caso delle sanse umide sono stati aggiunti in quantità pari al massimo ammesso dalla legge 574/1996. L’umidità è stata mantenuta su valori predeterminati, dipendenti dall’esperimento. L’incubazione è durata due anni nel caso delle matrici a diverso grado di maturazione, un anno negli altri due casi. Dei subcampioni sono stati prelevati a tempi predeterminati, e la sostanza organica estratta con NaOH+Na4P2O7 0.1 M. La composizione della sostanza organica è stata analizzata alla focalizzazione isoelettrica ed al CP-MAS 13C NMR. Inoltre è stato determinato il carbonio totale organico. Risultati e conclusioni In tutti i profili IEF si rileva un aumento dell’area delle bande nella direzione del catodo (parte destra del profilo); questo comportamento indica un avanzamento nel processo di umificazione. Negli spettri NMR dopo un periodo variabile fra i 6 e i 12 mesi compare una banda a circa 170 ppm, a un valore leggermente inferiore a quello (circa 180 ppm) degli acidi carbossilici. Questo valore di risonanza è presumibilmente generato da prodotti di sostituzione degli acidi carbossilici, probabilmente esteri, ed è variabile da terreno a terreno. L’unico caso in cui questa non compare è quello, nell’esperimento con campioni a diversa umidità, dei campioni a capacità di campo: quindi la differenza nel risultato è da attribuire all’effetto dell’umidità, oltreché delle differenze fra terreni. Per i terreni addizionati di materiali non maturi (pastazzo) si rileva una rapida degradazione della sostanza organica, tale da mostrare, dopo brevi tempo di maturazione, spettri NMR identici a quelli del terreno senza aggiunte. Lo spettro del terreno addizionato del compost, materiale più stabile, mantiene fino ala fine le caratteristiche apportate dall’aggiunta della matrice. I dati relativi al carbonio organico confermano la completa mineralizzazione del pastazzo e la stabilità del compost.

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In conclusione, i terreni, addizionati e non di matrici organiche, subiscono, in incubazione alle condizioni descritte, fenomeni di modificazione della sostanza organica che possono essere riconosciuti come fenomeni di umificazione. Il CP-MAS 13C NMR rileva come le matrici più stabilizzate come i compost mantengano la propria composizione per tempi lunghi, mentre quelli più labili non lascino tracce nella composizione della sostanza organica del terreno. Fra le modificazioni chimiche che la maggior parte dei terreni trattati subiscono una è abbastanza evidente, e consiste presumibilmente in una reazione di esterificazione degli acidi carbossilici. Prospettive La conoscenza dei processi di umificazione nel terreno, ottenuta in condizioni di laboratorio, può fornire informazioni utili sull’uso di sostanze organiche utilizzabili come ammendanti per i terreni in condizioni ripetibili, che possono essere più facilmente generalizzabili di quelle di campo. Ulteriori ricerche in tal senso sono in avanzato corso d’opera e possono chiarire i meccanismi di stabilizzazione nel terreno della sostanza organica, con immediate conseguenze applicative. Bioremediation di suoli ed acque contaminati da xenobioti organici L. Bardi CRA – Centro di Ricerca per lo Studio delle Relazioni fra Pianta e Suolo, Gruppo di Ricerca di Torino, Torino; Introduzione Numerosi xenobioti organici presenti nei suoli ed acque per uso agrario costituiscono un grave fattore di rischio per la salute umana, in quanto possono entrare nella catena alimentare attraverso le piante coltivate per l’alimentazione umana o zootecnica. Alcuni di essi sono particolarmente temibili a causa della recalcitranza e della tossicità: fra questi, gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), i policlorobifenili (PCB) e i diazocoloranti . Il risanamento con tecniche biologiche, che sfruttano l’azione di microrganismi degradatori, presenta vantaggi sia di natura economica che di natura ambientale, in quanto consente di salvaguardare le caratteristiche chimico-fisiche e biologiche delle matrici in oggetto; esso può essere attuato sia favorendo, con interventi mirati, l’azione dei microrganismi autoctoni, sia inoculando microrganismi in coltura pura o in consorzio, selezionati in funzione della loro attitudine a degradare i composti in oggetto. Alcuni microrganismi sono in grado di metabolizzare questi composti, mineralizzandoli completamente o trasformandoli in composti polari, che a loro volta possono essere utilizzati da altri organismi fino alla completa degradazione. Risultati e conclusioni Sono stati messi a punto processi di biorisanamento in situ ed ex situ di suoli ed acque contaminati, intervenendo, in modo specifico per ciascun xenobiota, sull’ottimizzazione di alcuni fattori quali la selezione di consorzi microbici, la biodisponibilità dei contaminanti, la bioaugmentation, l’immobilizzazione della biomassa, l’induzione cometabolica. Mentre con il trattamento ex situ in bioreattore delle acque è possibile pervenire alla completa bonifica della matrice per tutti gli xenobioti esaminati, modificando

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adeguatamente le condizioni fisiologiche di crescita ed inoculando consorzi microbici specificamente selezionati, nei trattamenti in situ dei suoli si può completare la bonifica con successo nel caso degli IPA in tempi molto rapidi, mentre nel caso dei PCB è necessario prevedere trattamenti prolungati ed in ogni caso con efficacia limitata. In questo caso risulta necessario associare la bonifica alla rhizoremediation, utilizzando piante che facilitino la biodegradazione ma che non diano prodotti che possano entrare nella catena alimentare. Prospettive Sono in corso prove di utilizzo di colture agroenergetiche per la bonifica di suoli contaminati da gasolio, con l’obiettivo di associare una produzione agricola non-food al biorisanamento. Si intende individuare le piante più adatte a questo scopo in funzione della capacità di tollerare concentrazioni anche elevate di xenobiota, garantendo una adeguata produzione di biomassa ed una buona efficienza per il biorisanamento. Si intende verificare anche la presenza di eventuali residui di xenobiota e di metaboliti nei tessuti vegetali, allo scopo di garantirne un adeguato utilizzo in sicurezza. Effetto di ammendanti organici sulla produzione di piante ornamentali E. Malusá CRA – Centro di Ricerca per lo Studio delle Relazioni fra Pianta e Suolo, Gruppo di Ricerca di Torino, Torino; Introduzione L’uso di compost per la preparazione di substrati colturali è una pratica che trova una sempre maggiore applicazione in orticoltura a causa della riduzione di disponibilitá di torbe e del loro crescente costo. Tuttavia, al fine di evitare effetti negativi sulle colture, è necessario assicurare una elevata qualitá del compost. Si è quindi valutato l’uso di compost originati da varie matrici miscelati in varie dosi con materiali inerti ed in associazione con inoculi di consorzi di funghi micorrizici (varie specie del genere Glomus) e batteri della rizosfera (B. subtilis, P. fluorescens, Streptomyces spp.) per produzioni in vaso di colture ornamentali. Per migliorare la valutazione dei compost si sono anche considerate analisi biochimiche del substrato correlate all’attivitá microbiologica del suolo. Inoltre, considerando la fisiologia della pianta ed in particolare la produzione di essudati radicali quale strumento di solubilizzazione dei nutrienti, è stato anche studiato l’effetto degli essudati radicali sulla solubilizzazione di nutrienti (inorganici ed organici) dei compost al fine di meglio valutare i risultati delle analisi dei compost stessi. Risultati e conclusioni L’impiego di compost derivanti da varie matrici (residui urbani, residui lignino-cellulosici, residui industriali) si è rivelato ottimale per l’accrescimento delle piante con dosi di compost pari al 30% del substrato totale, ad eccezione dei compost derivati da fanghi urbani e/o industriali. I substrati ottenuti con quest’ultimi, anche se da un punto di vista chimico-fisico risultavano idonei e stabilizzati, presentavano una elevata attivitá deidrogenasica, indice di forte attivitá microbica.

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L’impiego degli inoculi di consorzi microbici ha migliorato le performances dei compost sia relativamente all’accrescimento delle piante che alla loro tolleranza a condizioni non ottimali di crescita. Infatti, compost che senza l’inoculo si sono dimostrati meno favorevoli per l’accrescimento delle piante, in presenza degli inoculi hanno permesso di ottenere accrescimenti paragonabili a compost di migliore qualitá. Pertanto, compost di varie origine, se correttamente prodotti, possono certamente surrogare le torbe nella preparazione di terricci per orticoltura. La valutazione della qualitá del compost dovrebbe comunque considerare anche aspetti biochimici. In questo modo è possibile evidenziare caratteristiche del substrato che influenzano la microbiologia del suolo/terriccio e la risposta fisiologica della pianta. Le modifiche che la pianta con i propri essudati può provocare sulla solubilizzazione dei composti inorganici, ma anche delle sostanze organiche, possono incidere decisamente sulle condizioni chimico-fisiche della rizosfera e sull’assorbimento radicale, con riflessi che possono modificare la valutazione della qualitá dei compost utilizzati nei substrati. L’utilizzo di inoculi microbici, costituiti da consorzi di funghi micorrizici e di batteri rizosferici, può migliorare l’accrescimento delle piante grazie a meccanismi di migliore efficienza nutrizionale e di protezione da stress abiotici derivanti da composti contenuti nel compost in quantitá non eccedenti i limiti legali. Questa possibilitá è considerata interessante soprattutto dovendo operare in una condizione anomala per la pianta, quale quella della coltura in vaso, che accentua le situazioni di stress. Prospettive Studi sull’utilizzo di vari compost in associazione a vari tipi di inoculo ed a varie metodiche di applicazione sono in corso su varie piante ortofrutticole, anche valutando gli effetti sulla morfologia radicale. Effetti dell’ammendamento sulla sostanza organica di terreni in avvicendamento colturale nell’area maceratese A. Trinchera1, A. Benedetti1, M. Antonelli2 1 CRA –Centro di ricerca per lo studio delle relazioni tra pianta e suolo, Roma 2Centro Ricerche e Sperimentazione per il Miglioramento vegetale “N. Strampelli”, Abbadia di Fiastra, Tolentino (MC). Introduzione La sostanza organica, nell’ambito del suo ciclo bio-geo-chimico, rappresenta un fattore-chiave nell’ambito della funzionalità degli agroecosistemi: da essa, in quanto punto di partenza e di arrivo della evoluzione ciclica della materia, dipende la fertilità del suolo, cioè la sua attitudine a sostenere nel tempo le colture (Doran e Parkin, 1994). Attualmente, a causa dell’intensificazione delle produzioni, il ciclo della sostanza organica risulta nettamente sbilanciato verso la fase di mineralizzazione, a netto svantaggio della fase di accumulo dei residui organici e quindi dei successivi processi di umificazione (Trinchera et al. 2001). Risulta quindi necessario mantenere nei sistemi agrari il delicato equilibrio tra accumulo e consumo della sostanza organica, indispensabile per non compromettere le condizioni di fertilità dei terreni. Tra le differenti strategie capaci

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di garantire un adeguato input di sostanza organica al terreno, l’applicazione di compost di qualità ottenuti da materiali organici di differente origine (sottoprodotti agro-industriali, residui solidi urbani, ecc.) e caratterizzati da sostanza organica stabilizzata (Tittarelli e Canali, 2002) può rappresentare una risposta estremamente efficace all’esigenza di conservazione e miglioramento della fertilità biologica del suolo. Il presente studio riporta i risultati ottenuti in merito agli effetti dell’addizione di compost a terreni agrari dell’area maceratese in avvicendamento colturale (frumento/bietola/erba medica) in una prova parcellare a lungo termine condotta presso il Centro Ricerche e Sperimentazione per il Miglioramento vegetale “N. Strampelli” (Tolentino, MC), verificandone l’influenza sulla sostanza organica del suolo in funzione delle quantità e modalità di applicazione. Risultati e conclusioni I risultati ottenuti hanno dimostrato che l’aggiunta di compost al suolo, già dopo 10 anni di ammendamento, determina un incremento medio del 10÷20 % di sostanza organica nei terreni ammendati rispetto a quelli non trattati, in maniera proporzionale alla dose di ammendante addizionato, mentre non sembra influire significativamente sul livello di umificazione, almeno dal punto di vista quantitativo. La successiva caratterizzazione analitica degli acidi umici del suolo estratti e purificati mediante focalizzazione isoelettrica (IEF) ha tuttavia evidenziato un miglioramento qualitativo nelle sostanze umiche dei terreni ammendati in avvicendamento colturale, non rilevato nel caso dei terreni a monocoltura (frumento duro decennale). Il migliore risultato in tal senso è stato rilevato nelle tesi trattate con la dose massima di compost (dose di 400 q×ha-

1×anno-1). In conclusione, l’ammendamento dei suoli considerati ha incrementato la dotazione organica ed ha determinato una maggiore stabilità della componente umica pre-esistente in tali terreni ammendati, anche se non sembra ancora aver influito positivamente sul contenuto in sostanze umiche: ciò potrebbe dipendere dalla limitata qualità agronomica dell’ammendante compostato addizionato al suolo. Prospettive Occorre sottolineare che la preventiva valutazione della stabilità della sostanza organica di un compost risulta uno dei fattori fondamentali per l’ottenimento di un reale miglioramento della qualità del suolo a seguito delle pratiche di ammendamento. In tal senso, risulta particolarmente importante approfondire tutte le tematiche atte all’implementazione ed alla messa a punto di tecniche analitiche in grado di caratterizzare efficacemente la sostanza organica e definirne la sua stabilità chimica, fisica e biologica.

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Il biocarbone da residui colturali per il sequestro permanente del carbonio e il miglioramento del suolo F. Fornasier CRA – Centro di ricerca per lo studio delle relazioni tra pianta e suolo, Roma Con le attuali strategie di sequestro del Carbonio nel suolo il tempo di residenza medio del carbonio è dell'ordine di anni o al massimo di decine di anni. La carbonificazione dei residui colturali permette di ottenere biochar, o biocarbone, che ha tempi di residenza medi dell'ordine di centinaia se non di migliaia di anni, anche in condizioni tropicali, come prova la cosiddetta "Terra Preta do Indio" dell'Amazzonia. La carbonificazione si presenta come una strategia del massimo interesse anche in Italia, per i seguenti motivi: - si migliorano le proprietà fisiche e chimiche del suolo, incrementandone la fertilità; - combatte efficacemente la desertificazione; - è possibile ottenere dal processo di carbonificazione energia rinnovabile; - probabilmente andrà a far parte dei crediti di carbonio del protocollo di Kyoto. Verranno illustrati risultati riguardanti prove di stabilità del biochar nel suolo e prove in campo. Applicazione di ammendanti organici e strategie agronomiche per il miglioramento delle funzioni nutritive del suolo 1F. Montemurro, 1N. Losavio, 2D. Ferri, 2G. Convertini, 3S. Canali, 3F. Tittarelli 1CRA – Unità di Ricerca per lo Studio dei Sistemi Colturali, Metaponto 2C.R.A. – Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari 3C.R.A. – Centro di Ricerca per lo studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo, Roma Introduzione L’apporto di ammendanti organici migliora le caratteristiche del terreno, sia contribuendo all’incremento della fertilità, sia reintegrando le quantità delle componenti organiche. In questo ambito il CRA-SSC, in stretta collaborazione con il CRA-SCA e CRA-RPS, ha effettuato e sono ancora in corso, ricerche finalizzate alle risposte agronomiche ed eco-compatibili di colture cerealicole, industriali ed orticole sottoposte a diversi tipi, livelli e tempi di applicazione di diverse matrici agro-industriali (biodigestati anaerobici, compost da rifiuti aziendali e/o agro-industriali, reflui oleari tal quale e/o compostati). Le indicazioni derivanti dalla loro utilizzazione sono estremamente interessanti non solo per le risposte quantitative e qualitative fornite dalle colture, ma anche per la loro capacità di migliorare le caratteristiche chimico-fisiche del terreno, modulare il rilascio di elementi minerali utili alla nutrizione delle piante e reintegrare il contenuto di sostanza organica nei suoli mediterranei, dove è elevato il fenomeno della mineralizzazione. Risultati e Conclusioni Nell’ambito del progetto finalizzato PARSIFAL (Biomasse da rifiuto: Procedure Avanzate di Recupero Sostenibile per l’Impiego Fertilizzante e di Analisi di

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Laboratorio) sono state allestite, presso l’azienda agraria “Campo 7” di Metaponto, due prove: nella prima, avvicendamento “colza-frumento duro”, sono stati confrontati 4 trattamenti fertilizzanti somministrando 0, 50 e 100 kg N/ha come N minerale e 100 kg N/ha sotto forma organica (RSU-compost). I quantitativi delle matrici organiche applicate al suolo sono stati determinati sulla base dei valori di N asportato dalle colture (dose ottimale applicata nell’area metapontina) supponendo che l’N organico presentasse la stessa efficienza di quello minerale. Applicazioni ripetute di RSU nella rotazione colza-frumento non ha alterato gli equilibri chimici del suolo e la produzione areica ottenuta è aumentata del 5% rispetto al testimone non concimato. Questi andamenti produttivi evidenziano un trend positivo destinato a confermarsi nel tempo in funzione del miglioramento della qualità del compost, del perfezionamento delle modalità di applicazione e dei risultati positivi registrati sulle caratteristiche chimiche del suolo. Nel biennio successivo (2003-‘04/2004-’05), invece, è stata allestita la seconda prova su lattuga invernale (cv Bacio, nel primo anno, e Montego, nel secondo), allo scopo di verificare l’influenza di tecniche alternative alla fertilizzazione minerale. In particolare, per migliorare la fertilità del suolo, sono stati utilizzati ammendanti organici (borlande vitivinicole ottenute da residui della lavorazione industriale). Per quanto riguarda il suolo, successive applicazioni di borlanda stabilizzata hanno determinato un aumento di sostanza organica e di fosforo; ciò farebbe pensare che il P totale, di cui sono ricche le borlande, in parte si trasforma nel suolo in P assimilabile. Rispetto al controllo, si è osservato anche un aumento della quota scambiabile dei cationi Ca, Mg, Na, K. I risultati produttivi conseguiti, dopo due annate di prova, hanno evidenziato che la lattuga nell’Italia meridionale, e in particolare nell’area metapontina, può essere allevata con fertilizzanti organici (come la borlanda) senza significative decurtazioni produttive e/o peggioramenti qualitativi. Prospettive Attualmente, nell’ambito di vari progetti finalizzati (PROM - Progetto di Ricerca per potenziare la competitività di Orticole in aree Meridionali; RIOM - Ricerche per l’Innovazione dell’Olivicoltura Meridionale; CONSSABIO - Compost di qualità per la CONServazione del suolo e la Sostenibilita’ delle produzioni in Agricoltura BIOlogica; CLIMESCO - Evoluzione dei sistemi colturali a seguito dei cambiamenti climatici) proseguono gli studi sulle possibilità e i limiti dell’applicazione di diverse matrici organiche, in particolare compost da rifiuti aziendali e/o agroindustriali, su terreni coltivati a specie (orticole, in particolare) comunemente allevate nell’area metapontina.

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Contributo alla fertilità del suolo dall’apporto di sovesci e farine ad azione biocida R. Marchetti1, L. Lazzeri2, M. Zaccardelli3, L. Malaguti2, G. Ponzoni1, A. Orsi1, L. Sghedoni1 1CRA – Unità di Ricerca per la Suinicoltura, San Cesario 2CRA – Centro di Ricerca per le Colture INdustriali, Bologna 3CRA – Centro di Ricerca per l’Orticoltura, Pontecagnano, Gruppo di Battipaglia Introduzione Negli ultimi anni le restrizioni poste dalla normativa comunitaria all’uso in agricoltura di biofumiganti di origine sintetica, da un lato, e la rivalutazione dei principi di un’agricoltura ecocompatibile, dall’altro, hanno contribuito all’aumento d’interesse per molecole volatili ad attività biocida prodotte da specie vegetali della famiglia delle Brassicacee. L’effetto biofumigante si esplica mediante incorporo nel terreno sia di sovesci, sia di pellet da farine disoleate. L’interramento di questi materiali si traduce anche in un apporto cospicuo di sostanza organica al terreno , in particolare di azoto (50- 200 kg N ha-1, e oltre; dato tratto da misure e da letteratura). Nell’ambito di progetti diversi, finanziati dal CRA, dal MiPAAF e da agenzie regionali, sono state svolte indagini di laboratorio e di campo per valutare l’effetto dell’incorporo di questi materiali vegetali su alcuni parametri di fertilità. Risultati. Azoto potenzialmente mineralizzabile: confronto tra sovesci ad attività biocida e biofumigante di sintesi. In laboratorio i livelli di N nitrico sono aumentati rapidamente in terreno argilloso limoso sovesciato con Brassicacee contenenti glucosinolati ad attività biocida mentre, con sovescio di frumento (senza glucosinolati), sono stati inferiori rispetto al controllo non sovesciato. Queste differenze sono probabilmente da imputare a un diverso rapporto C/N (più elevato per il frumento). Nel terreno con metam sodium è stata osservata un’inibizione della nitrificazione. Azoto potenzialmente mineralizzabile: confronto tra sovesci e farine disoleate. Benchè in prove di laboratorio l’apporto di N totale al terreno sia stato inferiore con le farine, rispetto al sovescio fresco (0.11-0.13 g vs. 0.29 g N Kjeldahl kg-1 di terreno secco), nelle prime fasi d’incubazione l’N potenzialmente mineralizzabile (PMN) è stato più elevato per le farine che per il sovescio, anche in questo caso probabilmente a causa del diverso rapporto C/N del materiale interrato (C/N=6, per le farine; C/N=22, per il sovescio di Brassica juncea). Nel test di laboratorio non sono state osservate differenze di rilievo negli andamenti del PMN per le farine disoleate di Brassica carinata (ad effetto biocida) e di girasole (senza effetto biocida). Effetto dell’incorporo di farine disoleate sulla dinamica dell’N minerale in campo. In prove di campo a Battipaglia (CRA-ORT) è stato monitorato il contenuto di N minerale nel terreno (un franco-argilloso) durante la stagione di crescita della melanzana. Nelle parcelle dove a inizio stagione erano state interrate le farine i livelli di N minerale nel terreno sono stati in genere superiori a quelli delle parcelle con apporto di fertilizzante minerale mediante fertirrigazione. A differenza di quanto osservato in laboratorio, in campo l’N minerale si è accumulato più rapidamente nel terreno delle parcelle con farina di girasole che in quello con

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farine di B. carinata. E’ possibile che, in campo, le farine di B.carinata abbiano ritardato l’attività dei batteri nitrificanti a causa dell’effetto biocida. Effetto del sovescio di Brassicacee sulla ritenzione idrica del terreno, all’incorporo e nel tempo. In una prova di laboratorio l’acqua disponibile massima di due terreni appartenenti a classi granulometriche differenti è stata modificata dall’incorporo di materiale vegetale, ed è variata nel tempo sia in relazione al sovescio, sia al tipo di terreno. Conclusioni e prospettive. I sovesci e le farine di Brassicacee migliorano la fertilità chimica e fisica del terreno. Le farine disoleate, per la loro praticità d’impiego e per il pronto effetto sull’N inorganico disponibile nel terreno per le colture, appaiono interessanti alternative ai sovesci sia a fini del controllo dei patogeni terricoli, sia ai fini di rinforzo alla fertilizzazione azotata. E’ da valutare se, in che misura e con quali modalità di gestione dell’interramento possano eventualmente sostituirsi completamente ai fertilizzanti di sintesi. Miglioramento della fertilità chimica e biologica di suoli agrari mediante la coltivazione di leguminose da granella e l’inoculazione di rizobi più efficienti nell’ azotofissazione M. Zaccardelli, F. Campanile, A. Del Galdo, D. Perrone, I. Giordano CRA – Centro di Ricerca per l’Orticoltura, Pontecagnano, Gruppo di Battipaglia Da diversi anni il gruppo di Battipaglia (ex SOP ISCI) del CRA-ORT studia gli effetti della coltivazione di leguminose da granella sulla fertilità chimica e biologica del suolo e sulla produttività di colture non azotofissatrici in successione. Inoltre, da diversi anni si occupa della caratterizzazione e selezione di ceppi di rizobio dotati di maggiore efficienza azotofissatrice. La coltivazione di leguminose da granella ha permesso una riduzione più o meno spinta, a seconda della specie, della concimazione minerale azotata su frumento e cavolfiore coltivati in successione e hanno incrementato l’attività biologica del suolo, sia durante la coltivazione delle leguminose stesse che durante la coltivazione delle non-leguminose in successione. In particolare, cece e pisello sono state le leguminose che, in precessione dal 1999, hanno determinato le maggiori produzioni di frumento (2003) e di cavolfiore (2005). Riguardo le attività biologiche del suolo, sia in assenza che con l’apporto di azoto, l’attività idrolasica è risultata significativamente maggiore nel terreno che ha ospitato, l’anno precedente, il favino; l’apporto di azoto ha determinato, rispetto al non apporto, incrementi di attività soprattutto per le precessioni con cece o favino. Ceppi di rizobio in grado di incrementare del 40 % in pieno campo la produzione di granella di pisello e lenticchia, sono stati selezionati. Per il cece, sono stati selezionati ceppi in grado di incrementare la produzione di granella dal 18 % a oltre il 32 %. Per il lupino, diversi ceppi di rizobio sono stati in grado di determinare incrementi di produzione di granella consistenti, anche fino al 60 %, rispetto alle piante di controllo non inoculate. Particolarmente interessante è stato il comportamento di un ceppo che ha determinato, in fioritura e sempre rispetto al controllo non inoculato, un aumento medio del valore dello SPAD del 16 % e notevolissimi incrementi di biomassa e sostanza secca delle piante (altezza delle

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piante + 29 %; numero di fiori + 37 %; numero delle foglie + 56 %; sostanza secca di steli, foglie, fiori, radici e tubercoli + 148 %, + 91 %, + 104 %, + 153 % e + 168 %, rispettivamente). L’ impiego di questi ceppi di rizobio più efficienti può essere un’interessante strategia totalmente eco-compatibile e molto economica per incrementare l’utilizzo dell’azoto atmosferico in agricoltura. Ordinamenti colturali: effetti sulla fertilità agronomica e sostenibilità delle produzioni agricole C. Tomasoni, L. Borrelli CRA – Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero-Casearie, Lodi Introduzione Il problema della conservazione ed incremento della fertilità agronomica del suolo ha coinvolto l’uomo da quando ha preso coscienza dell’attività agricola ed ha sempre costituito ed ancora resta l’obiettivo più importante della scienza agronomica. I grandi cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni hanno permesso un incremento della produttività, in particolare nelle zone pedo-climatiche più vocate, realizzata attraverso una intensificazione colturale della quale va attentamente valutato il possibile impatto ambientale. In tale contesto, presso l’azienda sperimentale del CRA-FLC, è in essere dal 1985 una prova di confronto tra ordinamenti colturali a diversa intensificazione colturale con l’obiettivo di indagare nell’ambito dei sistemi agricoli le ricadute su importanti indicatori della fertilità quali il contenuto di sostanza organica (SO) e l’evoluzione dello stock di semi di erbe infestanti nel suolo. Materiali e metodi La prova, in irriguo, è condotta a Lodi (45°19’ N, 9°30’E – 81,5 m slm) e si articola in 5 ordinamenti colturali di tipo cerealicolo-foraggero: R1= annuale: loglio italico + mais trinciato (LM); R3= triennale: loglio italico + mais trinciato – orzo trinciato + mais trinciato – mais da granella; R6= sessennale: loglio italico + mais trinciato (3 anni) – prato avvicendato (3 anni); PP= monocoltura: prato permanente; MM= monosuccessione: mais da granella. Ogni ordinamento è soggetto alle agrotecniche più comuni nella zona. Per R1 e R6 sono stati adoperati anche due tipi di reflui zootecnici: letame e liquame (deiezioni solide e liquide). L’ambiente di prova è, da un punto di vista pedo-climatico, rappresentativo della Pianura Padana pedemontana alluvionale terrazzata, con suolo franco-sabbioso fine, della famiglia degli Hapludalf originatisi da sedimenti fluviali provenienti dalle Alpi in epoca pleistocenica. Il clima è tipico della Regione Padana sub umida con precipitazione media annuale di 800 mm e temperatura media di 12,2 °C. Risultati e prospettive A distanza di molti anni, l’analisi del contenuto di SO del terreno in ordinamenti a diversa intensificazione colturale ha evidenziato che nelle rotazioni più lunghe e con la presenza del prato (R6) si ha la tendenza ad accumulare maggiore sostanza organica rispetto ad una più corta e senza la presenza del prato. Parimenti nelle monosuccessioni quella con doppia coltura (R1) aumenta la

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sostanza organica del terreno circa il doppio di MM che presenta una sola coltura per anno ed in cui la restituzione organica è data dal reinterro degli stocchi. L’uso di letame e liquame nelle rotazioni R1 e R6 ha fatto evidenziare il netto incremento della sostanza organica del terreno causato dalle letamazioni, soprattutto in R1, mentre le liquamazioni lasciano pressocchè inalterato il livello di SO nel terreno. I 5 ordinamenti a diversa intensificazione colturale hanno influenzato il contenuto di semi di erbe infestanti nel terreno infatti la loro presenza è risultata minore nelle rotazioni lunghe e che prevedono la copertura invernale del terreno: PP<R6<R1<R3<MM. La ricaduta sociale degli indicatori di fertilità sarà in relazione alle politiche di sviluppo rurale e di protezione dell’ambiente che verranno adottate a livello Europeo e Nazionale e Regionale a seguito del contributo di conoscenze e di valutazioni quantitative fornite da tali studi. Bibliografia

-Onofrii, M., Tomasoni, C., Borrelli, L., 1993. Riv. Agron., 3, 160-172. -C. Tomasoni, L. Borrelli, L. Pecetti, 2003. European Journal of Agronomy, 19,

439-451. -Tomasoni, C., Borrelli, L., Onofrii, M., 2005. L’Informatore Agrario, 34, LXI, 49-53. -Tomasoni, C., Borrelli, L., (2007). On: Farming Systems Desing 2007, M. Donatelli,

J. Hatfield, A. Rizzoli Eds., -Tomasoni, C., Borrelli L., Caradonna S., 2008. Ital. J. Agron./Riv. Agron., Vol. 3,

No. 3 Suppl., 383-384. Valutazione e selezione di specie erbacee per inerbimenti agricoli e di recupero ambientale L. Pecetti, M. Romani, E. Piano CRA – Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero-Casearie, Lodi Inerbimenti agricoli Introduzione Negli ultimi anni, la tendenza a ricorrere all’inerbimento dei sistemi arborei (vigneti, frutteti, oliveti) in sostituzione delle tradizionali lavorazioni è andata aumentando parallelamente alla crescente percezione dei possibili effetti positivi determinati dall’inerbimento stesso (sull’erosione, sulla lisciviazione, sulla fertilità fisica e chimica del terreno, sulla portanza dei mezzi agricoli, etc.), i quali tendono ad essere annullati dalle lavorazioni. Non trascurabili sembrano anche gli effetti positivi dell’inerbimento sulla qualità delle produzioni agricole. Le leguminose annuali autoriseminanti sono potenzialmente utili come specie da inerbimento dei vigneti, poiché associano diversi vantaggi agronomici con una limitata competizione nei confronti della vite. Il loro impiego in ambienti del nord Italia richiede però la disponibilità di specie e varietà con specifiche caratteristiche, tra cui la tolleranza alle basse temperature invernali. Nell’ambito del Progetto MiPAF “Inerbimenti e tappeti erbosi per la valorizzazione agricola, ambientale, sportiva e ricreativa del territorio” sono state condotte tre prove di inerbimento in vigneti di aziende viti-vinicole lombarde, allo scopo di verificare il grado di copertura e la persistenza negli anni di una serie di varietà di trifoglio sotterraneo (Trifolium subterraneum) e di mediche annuali (Medicago spp.).

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Risultati e prospettive In attesa che il miglioramento genetico possa rendere disponibili varietà di mediche annuali più resistenti al freddo, il trifoglio sotterraneo appare un’efficace opzione per l’inerbimento con leguminose dei vigneti dell’Italia settentrionale. I risultati ottenuti in questa sperimentazione sono stati molto promettenti soprattutto per quanto riguarda la varietà ‘Campeda’. Inerbimenti di recupero ambientale in alta quota Introduzione Il ripristino ambientale delle aree montane in forte pendenza, alterate dalla costruzione di infrastrutture turistiche (piste da sci, in primo luogo), è necessario soprattutto per prevenire problemi di ruscellamento delle acque ed erosione del suolo. C’è una crescente richiesta di specie erbacee locali (cosiddette “idonee al sito”) per gli interventi di rinverdimento in alta quota, poiché queste specie soddisfano i requisiti tecnici per l’inerbimento, sono adatte alle peculiari condizioni pedo-climatiche e sono compatibili con gli ecosistemi esistenti. Nell’ambito del Progetto “Produzione e sperimentazione di sementi autoctone adatte all’inerbimento di alta quota ad uso ricreativo delle Alpi Retiche (SemenSci)”, finanziato dalla Regione Lombardia, è stata studiata la variabilità del germoplasma di trifoglio nivale (Trifolium pratense subsp. nivale) e fleolo alpino (Phleum rhaeticum) raccolto oltre 1800 m s.l.m. in tre valli delle Alpi Retiche (Valchiavenna, Val Malenco, Alta Valtellina) ed allevato in ambiente montano (Bormio, 1300 m s.l.m.), e in entrambe le specie sono state selezionate le popolazioni più promettenti per la produzione di seme, per la successiva attivazione di una filiera per la produzione di sementi di specie alpine adatte al ripristino in alta quota. Risultati e prospettive In entrambe le specie, i risultati hanno mostrato una certa variabilità tra le valli di origine del germoplasma, ma le singole popolazioni sono apparse una ancora più ricca fonte di variabilità per la selezione di caratteri economicamente utili, quale la produzione di seme. La profondità dei prelievi di terreno nella concimazione azotata E. Biancardi1, P. Stevanato2, R. Marchetti3, M. Bertaggia1, M. Colombo1 1CRA – Centro di Ricerca per le Colture INdustriali, Sede distaccata di Rovigo; 2Dipartimento di Biotecnologie Agrarie, Università di Padova 3CRA – Unità di Ricerca per la SUInicoltura, San Cesario Introduzione Le implicazioni economiche, agronomiche ed ambientali dell'impiego di concimi azotati ne consigliano l'impiego di quantità strettamente necessarie su tutte le colture. Le quantità devono essere calcolate dopo attenta valutazione della fertilità residua nel suolo. Pur presentando notevoli difficoltà, il calcolo del fabbisogno d'azoto in base alle analisi del terreno sta dando discreti risultati,

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purché queste siano eseguite con procedure sistematiche ed adeguate, soprattutto nella fase del prelievo. Nella Pianura padana orientale e su barbabietola da zucchero, coltura particolarmente sensibile agli eccessi d'azoto, sono state svolte indagini sulla profondità più opportuna da adottare per i prelievi di terreno, tenendo presente che l'apparato radicale della coltura può arrivare alla profondità di tre metri. Sono stati prelevati 29 profili in 20 località. Per ogni profilo sono stati ricavati 12 campioni, uno ogni 25 cm di profondità. I campioni sono stati analizzati separatamente per i principali parametri chimici e fisici. Nei terreni campionati, sono stati frequentemente rilevati strati raggiungibili dalle radici e con alte concentrazioni d'azoto assimilabile, in prevalenza sotto forma di ione ammonio. Tali strati corrispondono ad accumuli di sostanza organica derivati da sommersioni di vegetazione palustre tipica dei terreni d'origine alluvionale. Il confronto dei risultati produttivi e qualitativi, rilevati su nove prelievi con bassa ed alta concentrazione di azoto minerale nello strato da due e tre metri di profondità, dimostra che la barbabietola è in grado di utilizzare l'azoto anche da questi orizzonti. L'alta concentrazione dell'elemento che qui può essere presente causa sensibili peggioramenti della qualità estrattiva e riduzioni del grado polarimetrico. Entrambe le caratteristiche creano difficoltà nel processo estrattivo. Dato che il prezzo delle radici è proporzionale al grado polarimetrico, la riduzione di questo parametro provoca perdite anche per i coltivatori. Il confronto dei dati produttivi con le caratteristiche del terreno mette in evidenza che due principali elementi melassigeni (potassio e alfa-amino azoto) sono correlati con l'azoto assimilabile presente in profondità. Se non considerati, gli accumuli di azoto in profondità portano a notevoli sottostime della fertilità residua e ad un impiego eccessivo di fertilizzanti, contrario, tra l'altro, alle recenti direttive. Di conseguenza, i prelevamenti del terreno necessari per il calcolo degli elementi di fertilità devono essere eseguiti in modo da interessare la maggior parte del profilo esplorato dalle radici di barbabietola da zucchero.

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SessioneV Suolo e qualità dei prodotti agroalimentari Suolo e qualità dei prodotti agroalimentari studiati tramite Risonanza Magnetica P. Sequi, M. Valentini CRA – Centro di Ricerca per lo studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo, Roma Negli ultimi anni è stato dimostrato che la spettroscopia di Risonanza Magnetica (NMR ed MRI) è uno strumento analitico adeguato per lo studio del suolo e per la misura di parametri correlabili con la qualità dei prodotti agroalimentari. La NMR viene utilizzato per la caratterizzazione dei suoli, in termini di composizione di gruppi funzionali (carbonilici, alifatici, olefinici, etc.) e di presenza di sostanze indesiderate. Nell’agroalimentare la NMR trova ampia applicabilità nell’approccio della metabolomica. Quest’ultima è lo studio sistematico dei metaboliti, ossia delle impronte chimiche, spesso indicate come fingerprints o markers molecolari, lasciate da specifici processi cellulari. La metabolomica prende in considerazione miscele complesse di composti organici a basso peso molecolare, < 1 kDa, come zuccheri, amminoacidi, acidi organici, antiossidanti, ecc. Il profilo metabolico, cioè l’insieme dei metaboliti di un qualsiasi organismo biologico, in pratica fornisce un’istantanea della fisiologia del metabolismo di quell’organismo. La rilevazione di metaboliti con particolare valore nutrizionale, correlabili con la zona di produzione, ed indicatori di qualità e sicurezza viene oggigiorno fatta ricorrendo all’impiego di sistemi analitici tecnologicamente molto avanzati, in grado di caratterizzare a livello molecolare miscele complesse di composti. Tra le tecniche disponibili la Risonanza Magnetica Nucleare (NMR), in alcuni casi interfacciata alla cromatografia liquida (HPLC) ed alla spettroscopia di massa (MS), rappresenta lo strumento più adatto per questi scopi. L’NMR è infatti l’analisi che viene maggiormente impiegata in metabolomica, in quanto capace di studiare e caratterizzare miscele complesse di molecole a basso peso molecolare profondamente differenti dal punto di vista chimico. Lo studio sistematico richiede inoltre un approccio statistico adeguato che permetta di analizzare contemporaneamente un enorme mole di dati (i.e. spettri NMR) e di identificare differenze anche minime tra i campioni analizzati. Per questo in metabolomica è frequente la “pattern recognition” degli spettri NMR. La metabolomica tramite NMR si è dimostrato estremamente valido in molti casi, dalla tracciabilità dell’olio di oliva, alla diagnosi precoce dell’insorgenza di malattie. Il Centro Strumentale del CRA-RPS utilizza tale sistema per la tracciabilità e la valutazione della qualità di prodotti ortofrutticoli, per la differenziazione di formaggi in base al latte della specie animale (vacca o pecora) ed alla razza in esame, etc. La MRI è un sistema molto più recente e viene impiegato per studiare prodotti agroalimentari, prevalentemente ortofrutta, nella loro interezza, in modo completamente non invasivo e non distruttivo, cioè senza alcun intervento preparativo del campione. Questa tecnica è nota soprattutto per le sue applicazioni nel campo medico e diagnostico, consente di ottenere in modo non invasivo immagini ad altissima risoluzione, di tipo “fotografico”, di sezioni e/o volumi parziali interni di un qualsiasi oggetto, sia esso un paziente che un ortaggio o un frutto. L’uso dell’MRI ha numerosi punti di forza; oltre alla non invasività, la velocità di analisi ed il fatto che gli esperimenti MRI non provocano alcuna

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alterazione fisica, chimica e biologica del campione in esame, lasciando quindi inalterate le qualità nutrizionali e la salubrità. Le applicazioni possibili sono molteplici, tra le quali la determinazione della morfologia interna, la rilevazione di variazioni strutturali a seguito di stress antropici e/o naturali (ormoni della crescita nell’actinidia, acqua inquinate con arsenico nei prodotti ready-to-eat), diagnosi precoce di fisio- e fitopatie, monitoraggio della conservazione, e più in generale la valutazione di proprietà legate direttamente alla qualità dei prodotti agroalimentari. L’influenza delle caratteristiche fisiche ed idrologiche del suolo sulla qualità e su alcune proprietà salutistiche dell’olio vergine di oliva e del vino rosso P. Bucelli1, E. A. C. Costantini1, R. Barbetti1, S. Pellegrini1, N. Vignozzi1, P. Storchi2, E. Franchini3

1CRA – Centro di Ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze 2CRA – Unità di Ricerca per la Viticoltura, Arezzo 3CNR – IVALSA Sesto Fiorentino (FI) Introduzione La conoscenza dei fattori funzionali del suolo in grado di influenzare la concentrazione delle sostanze che determinano le proprietà salutistiche dell’olio vergine di oliva e del vino prodotto con uve a bacca nera è ancora molto limitata. Si riportano i primi risultati di una sperimentazione biennale condotta sulle cv. Frantoio e Moraiolo per l’olivo e Sangiovese per la vite in provincia di Siena, in una zona del Chianti classico particolarmente vocata all’olivicoltura e viticoltura di qualità. Risultati e conclusioni Sono soprattutto le caratteristiche del suolo determinanti il regime idrologico (AWC, drenaggio interno, profondità utile per le radici, contenuto di sabbia e argilla, pietrosità, scheletro) ad influire sul contenuto in sostanze polifenoliche e, di conseguenza, sulle proprietà antiossidanti dell’olio vergine di oliva e del vino prodotto. Nel caso dell’olio, le differenti caratteristiche idrologiche del suolo influiscono in maniera significativa sul contenuto di composti minori polari (CMP) sia per quanto riguarda i polifenoli totali che i secoiridoidi e loro derivati. Gli oli prodotti sul suolo dotato di miglior drenaggio interno presentano una concentrazione di polifenoli totali di circa il 30% superiore a quella ottenuta sul suolo a drenaggio peggiore, a causa dei valori significativamente più elevati di oleuropeina aglicone, deacetossi oleuropeina aglicone e dei derivati dei secoiridoidi. Da sottolineare che le differenti proprietà idrologiche del suolo influiscono sul contenuto in sostanze fenoliche di natura secoiridoide, e di conseguenza sulle proprietà antiossidanti e sulla stabilità dell’olio, in misura maggiore dell’effetto indotto dalle singole cultivar sperimentate. L’incidenza del suolo non è stata invece determinante sulla composizione in acidi grassi e sul contenuto in tocoferoli dell’olio. Anche per le caratteristiche organolettiche, il suolo dotato di miglior drenaggio interno, ben fornito di scheletro e con bassa capacità di acqua disponibile per le piante ha prodotto, per entrambe le cultivar e nelle due annate di sperimentazione, un olio giudicato qualitativamente

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superiore e caratterizzato da buon fruttato, equilibrato gusto di piccante e note erbacee marcate. Per quanto riguarda le uve e i vini Sangiovese, prodotti in 10 suoli differenti della provincia di Siena, i risultati dell’analisi delle componenti principali tra caratteri funzionali del suolo e i parametri enologici legati al colore e alla struttura di un vino rosso e al responso della valutazione organolettica mostrano che un elevato contenuto di scheletro e di pietrosità influisce positivamente sulla valutazione sensoriale dei vini, sull’indice di estraibilità degli antociani e dei polifenoli, sulla quantità di polifenoli sia totali che flavonoidi e sull’intensità colorante del vino. Al contrario, le variabili pedologiche che indicano elevata disponibilità idrica si contrappongono all’accumulo di sostanze fenoliche nelle uve e nel vino. Prospettive Sarà interessante verificare, con ulteriori sperimentazioni, in qual misura le caratteristiche fisiche ed idrologiche del suolo incidano sulla concentrazione delle singole sostanze antiossidanti. Nel caso dell’olio sui polifenoli secoiridoidi (oleuropeina aglicone e derivati); per le uve ed i vini sulle catechine, proantocianidine, flavonoli e su altre sostanze di rilevante interesse salutistico, quali i resveratroli. Influenza del funzionamento idrologico del pedopaesaggio sul risultato produttivo e qualitativo della vite E. A. C. Costantini1, S. Pellegrini1, P. Bucelli1, P. Storchi2, N. Vignozzi1, R. Barbetti1, S. Campagnolo1. 1CRA – Centro di Ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze 2CRA – Unità di ricerca per la Viticoltura, Arezzo Introduzione E’ noto che nell’ambiente mediterraneo la risposta quantitativa e qualitativa della vite è determinata dallo stress idrico estivo subito dalla pianta. La disponibilità idrica e la salinità del suolo sono i principali caratteri funzionali che, soprattutto nel primo caso, possono mostrare una elevata variabilità spazio-temporale. Il contenuto idrico del suolo, in particolare, dipende oltre che dagli afflussi meteorici e dalla eventuale irrigazione, dalla capacità di ritenzione idrica del suolo e dalla circolazione idrica superficiale, sottosuperficiale e profonda, che può convogliare l’acqua in punti diversi del vigneto. La dinamica dei flussi idrici attraverso il suolo quindi è determinata dal pedopaesaggio, cioè dall’unità funzionale definita dalle caratteristiche del profilo pedologico e della morfologia del versante. In aggiunta ai tradizionali indicatori viticoli ed enologici, il rapporto tra i due isotopi stabili del carbonio 13C/12C, denominato �C13, misurato sullo zucchero del mosto alla vendemmia o sull’alcool del vino prodotto, è stato recentemente proposto per una valutazione sintetica del regime idrico del vigneto nel corso dell’intero periodo di maturazione. Scopo generale della ricerca è stato quello di indagare le relazioni tra la dinamica idrologica del pedopaesaggio viticolo e il risultato produttivo ed enologico. Più in particolare, si è inteso testare sensibilità ed accuratezza del �C13, nella prospettiva di utilizzarlo al posto degli indicatori viticoli ed enologici tradizionali nella zonazione viticola e nell’agricoltura di precisione.

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Risultati e conclusioni Sono stati indagati due vigneti, posti nella zona del Chianti sulla stessa litologia, aventi stesso clima e analoga morfologia di versante, ma differenti per caratteri pedologici, nei quali sono stati individuati tre pedopaesaggi, tramite tecniche combinate di indagine geoelettrica e pedologica. Le differenze tra i suoli dei due vigneti riguardavano soprattutto la diversa struttura, porosità e salinità degli orizzonti profondi del profilo. Nei tre anni di prova sono stati monitorati umidità, temperatura, idromorfia e potenziale redox dei suoli, e sono stati rilevati i caratteri fenologici, produttivi ed enologici ottenuti dal vitigno Sangiovese. Sono state inoltre condotte le vinificazioni di quantità ridotte di uva e le valutazioni organolettiche. Il regime idrologico dei pedopaesaggi è risultato effettivamente condizionato sia dai caratteri pedologici che dalla posizione sul versante. La posizione di parte bassa del versante, in particolare, ha reso disponibile più acqua traspirabile alle viti, nonostante il drenaggio interno del suolo sia stato influenzato significativamente anche dalle variazioni di struttura del profilo. In entrambi i vigneti la produzione di uva è risultata direttamente proporzionale alla disponibilità idrica, mentre zuccheri, polifenoli e valutazione organolettica hanno avuto un comportamento opposto, come atteso, però solo in un vigneto. Il �C13

ha evidenziato una buona relazione con zuccheri e polifenoli, ma non con la produzione, mentre il nesso con la valutazione organolettica si è manifestato solo in funzione del vigneto. Infatti, il valore medio triennale del �C13 ha indicato che le piante hanno sopportato condizioni di moderato stress soltanto in uno dei due vigneti. Poiché lo stress si è manifestato nel vigneto dove l’acqua traspirabile è stata mediamente più elevata, è ammissibile che sia stato determinato dalla moderata salinità e dalle limitazioni all’approfondimenti radicale degli orizzonti profondi di quel suolo. Prospettive Verranno estese all’intero vigneto le relazioni tra idrologia del pedopaesaggio e risposta viticola ed enologica, integrando i rilievi con tecniche geoelettriche, geostatistiche e di analisi di immagine fotoaerea e satellitare. Tra i risultati attesi vi sono la conoscenza delle relazioni tra regime idrologico e salinità del suolo e tra queste e la risposta viticola ed enologica del vitigno Sangiovese, apprezzata sempre sia con indicatori fenologici, produttivi ed enologici tradizionali, sia con gli isotopi del carbonio. Gestione idrica di vigneti in ambiente vulcanico e valori enologici dell’uva trasformata P. Cirigliano CRA – Unità di Ricerca per la Viticoltura, Arezzo Le uve di molti vitigni, soprattutto aromatici e a bacca bianca, anche a seguito degli accertati mutamenti di alcuni parametri climatici esprimono, in determinati pedo-ambienti come quelli vulcanici, valori qualitativi molto condizionabili dal regime idrico.

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In tal senso abbiamo svolto delle prove in un ambiente vitato del Distretto Vulcanico Vulsino (Lago di Bolsena) prendendo in considerazione il vitigno caratterizzante l’area, l’Aleatico n., e abbiamo monitorato, su due suoli diversi per genesi e aspetti pedochimici, le “performances” dello stesso vitigno, in quanto ad aromi durante il processo di disidratazione e nel prodotto trasformato. La gestione idrica dei due suoli vitati ha tenuto conto delle differenti caratteristiche fisico-chimiche e delle diverse rispettive variabili idrologiche.La somministrazione di volumi di soccorso ha influito sul parametro temperatura della fascia produttiva della chioma e, quindi, sulla crescita dell’acino e sull’accumulo dei solidi solubili. Qualità del suolo e agricoltura biologica S. Canali1, F. Tittarelli1, F. Intrigliolo2, F. Montemurro3. 1CRA – Centro di Ricerca per lo studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo, Roma 2CRA – Centro di Ricerca per l’Agrumicoltura e le Colture Mediterranee, Acireale 3CRA – Unità di Ricerca per lo Studio dei Sistemi Colturali, Metaponto Introduzione La qualità di un suolo è strettamente connessa con il concetto di sostenibilità ambientale e può essere definita come la sua capacità di interagire con gli altri comparti dell’ecosistema, allo scopo di promuovere e sostenere la produzione agricola. La valutazione della qualità del suolo può essere affrontata mediante due differenti approcci, detti “dinamico” e “comparativo”, utilizzando specifici indicatori (chimici, fisici e biologici). La valutazione della qualità del suolo assume particolare rilevanza nei sistemi colturali agricoli biologici orientati, oltre che alla produzione di alimenti di qualità, al miglioramento delle proprietà dell’ambiente. Le ricerche che si vogliono presentare si riferiscono alle attività condotte in 5 progetti di ricerca finanziati dal Mipaaf e dal Murst che hanno indagato le relazioni tra qualità del suolo e produzioni biologiche in differenti agro-ecosistemi. Di esse si riportano i risultati ottenuti in oltre 10 anni di attività e si descrivono le collaborazioni e le sinergie sviluppate tra i ricercatori appartenenti a diversi Centri ed Unità del CRA, altri Enti di ricerca e Università.

Contaminazione del suolo da sostanze organoclorurate e qualità delle produzioni agricole: attività di sperimentazione condotta nel Lazio L. Donnarumma CRA – Centro di Ricerca per la Patologia Vegetale, Roma. Introduzione L’approfondimento delle problematiche connesse alla presenza nei terreni e nelle colture, non solo dei metalli pesanti, ma anche delle sostanze organiche potenzialmente nocive, in particolare organoclorurate, rappresenta una necessità poiché la contaminazione dei terreni agrari può compromettere la qualità e la sicurezza delle produzioni. Infatti, la ricerca dei residui di insetticidi

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come l’aldrin, il dieldrin, l’eptacloro, il DDT ed altri composti antropogenici, collettivamente indicati come POPs (Persistent Organic Pollutants), può evidenziare situazioni critiche a causa dell’elevata persistenza nell’ambiente di queste sostanze e della loro notevole liposolubilità, che ne determina il bioaccumulo nella catena alimentare. Risultati e conclusioni Residui di pesticidi organoclorurati (OCPs) sono stati riscontrati in suoli e colture provenienti dalla provincia di Latina, un’area del Lazio ad elevata produzione agricola. E’ stata impostata una sperimentazione triennale al fine di studiare l’assorbimento degli organoclorurati da parte delle radici e la traslocazione nelle parti aeree delle piante durante il periodo di vegetazione delle colture, sia in serra che in campo. In particolare sono stati seguiti gli aspetti riguardanti le differenze nell’assorbimento delle sostanze organoclorurate in relazione al: livello di contaminazione del terreno; periodo di coltivazione; stadio di crescita della pianta; specie e varietà della pianta. I risultati conseguiti hanno permesso di identificare soglie di contaminazione del suolo per la coltivazione delle cucurbitacee, che, in particolare con lo zucchino, risultano le colture con elevata capacità di traslocazione nelle parti edibili del dieldrin (sino a superare i limiti di legge posti per la commercializzazione specialmente durante la coltivazione autunnale). Inoltre la sperimentazione ha contribuito all’individuazione di produzioni alternative, cui riconvertire terreni inquinati, quali pomodoro, lattuga e sedano che non presentano residui di OCPs nelle parti edibili della pianta. Tali informazioni sono necessarie per fornire indicazioni ai coltivatori riguardo alla salubrità delle colture prodotte su terreni interessati da diversi gradi di contaminazione. Prospettive Oltre a continuare ad individuare colture a cui riconvertire le produzioni locali, e ad approfondire il comportamento delle cucurbitacee, sarebbe auspicabile poter fornire indicazioni per la bonifica dei terreni contaminati. Si potrebbero condurre sperimentazioni con colture in successione o consociate (segale, leguminose, festuche, ecc.) la cui crescita sia compatibile con le condizioni climatiche locali, previa selezione e conferma delle capacità di asporto e fitodecontaminazione delle specie vegetali mediante prove pilota condotte in vaso su terreno contaminato. Anche l’influenza dell’apporto di diversi tipi e quantità di compostaggi potrebbe fornire informazioni utili al fine della decontaminazione del terreno mediata da microrganismi.

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Effetti della gestione viticola, sul suolo, sulla qualità dei vini e sul paesaggio D. Tomasi1, F. Gaiotti1, R. Flamini1, G. Bragato2, F. Fornasier2, P. Bazzoffi3, S. Pellegrini3

1CRA – Centro di Ricerca per la Viticoltura, Conegliano Veneto 2CRA – Centro di Ricerca per le relazioni tra Pianta e Suolo, Roma 3CRA – Centro di Ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze Vi è una stretta relazione tra attività viticola, fertilità del suolo, tipicità del vino e paesaggio, tutto tra origine dalla materia prima suolo e dalla sua gestione. Accanto a studi riguardanti l’influenza del suolo e della zona vitivinicola sulla qualità delle produzioni anche in relazione alla presenza di metaboliti secondari, aromi e sostanze antiossidanti responsabili delle proprietà organolettiche e salutistiche del vino, il CRA-VIT e il CRA-Rel. Pianta Suolo di GO, hanno studiato la qualità dei suoli quando interessati da movimenti terra (sbancamenti), effettuati per rendere più ampi e meccanizzabili i vigneti. Sempre in questo ambito si sono indagate tutte le conseguenze che a cascata si hanno sulla sua fertilità fisica, chimica e microbiologica del suolo, sulla qualità dell’uva e del vino e sui drastici cambiamenti nella struttura e nell’armonia del paesaggio. I paesaggi nuovi e quelli tradizionali sono stati sottoposti ad una valutazione scenico-percettiva e il loro valore estetico associato alla qualità percepita del vino (conjoint analysis), evidenziando un forte e insindacabile legame tra bello e buono che pone i vigneti moderni e i paesaggi ad essi associati, in netto svantaggio rispetto a quelli tradizionali. Progetto VOCAVIT: strategie di rilevamento e analisi multivariate non-parametriche per migliorare la delineazione e caratterizzazione quali-quantitativa di unità di suolo vocate alla vitivinicoltura G. Bragato CRA – Centro di Ricerca per le relazioni tra Pianta e Suolo, Roma Introduzione I rilevamenti pedologici di dettaglio sono correntemente utilizzati per cartografare unità di pedopaesaggio idonee alle produzioni vitivinicole di qualità. I maggiori inconvenienti di tale approccio sono ascrivibili alla sua dispendiosità e alla soggettività introdotta dal rilevatore nel tracciare i confini delle unità di mappa. Lo studio si è proposto di testare una procedura che limitasse i due problemi combinando l’indice di dissimilarità di Goodall con le tecniche geostatistiche. L’indice di Goodall si base sull’ipotesi che, per un determinato attributo, una coppia di osservazioni che condivide un valore infrequente sia più simile di una coppia che condivide un valore più frequente. Nel calcolo, le dissimilarità sono dapprima calcolate indipendentemente per ciascun attributo, quindi combinate mediante trasformazione di Fisher per esprimere in termini probabilistici i valori di dissimilarità. Nel caso specifico sono stati utilizzati sia dati chimico-fisici (granulometria, pH) che dati morfologici usualmente registrati nei rilevamenti pedologici. La matrice di dissimilarità così ottenuta è stata sottoposta ad analisi gerarchica di raggruppamento per ricavare vettori di dissimilarità di osservazioni rappresentative che sono stati poi analizzati geostatisticamente per produrre carte probabilistiche di distribuzione delle tipologie di suolo riscontrate in zona.

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Risultati e Conclusioni L’analisi gerarchica di raggruppamento della matrice di dissimilarità di Goodall ha prodotto 3 gruppi rappresentativi. Utilizzando la classificazione WRB-FAO, i Gruppi 1 e 2 erano provvisoriamente classificabili come Regosols, mentre il Gruppo 3 era probabilmente un Cambisol per la presenza di un orizzonte B di alterazione. Il fattore di pedogenesi che più influiva sulla distinzione tra gruppi era la litologia del materiale parentale, con strati di arenarie bruno grigiastre-grigio brunastre più frequenti nel materiale parentale del Gruppo 1, e strati marnosi bruni più comuni nei Gruppi 2 e 3. Le mappe d’interpolazione mostravano infine distribuzioni spaziali diverse per i 3 gruppi, con i Gruppi 1 e 2 separati da una faglia attualmente ricoperta da sedimenti post-glaciali e il Gruppo 3 collegato a suoli comuni nelle aree boscate contermini. In conclusione, le procedure indagate soddisfacevano tre fondamentali esigenze per passare dalle osservazioni di campo ad una valutazione attitudinale dei suoli: • il significato pedologico dei gruppi di osservazioni identificati; • una variabilità spaziale strutturata dei valori di dissimilarità; • carte pedologiche compatibili con i fattori ambientali che influenzano il pedopaesasggio. Prospettive I risultati ottenuti in quest’indagine e in una ad essa complementare suggeriscono che l’accoppiamento indice di Goodall/analisi geostatistica sia particolarmente adatto a trattare dati da rilevamenti pedologici di dettaglio, dove la sensibilità del rilevatore nel delineare le unità di mappa di una carta pedologica può essere distorta dalla presenza di molte osservazioni relativamente somiglianti tra loro, celando i reali rapporti esistenti tra produzioni di qualità come quella vitivinicola e tipologie di suolo delineate a scala di dettaglio. Suolo, biodiversità e prodotti di qualità: il caso del tartufo bianco pregiato (T. magnatum) G. Bragato CRA – Centro di ricerca per lo studio delle relazioni tra pianta e suolo, Roma Le esperienze acquisite nella caratterizzazione dell’ambiente idoneo alla fruttificazione del T. mangatum hanno consentito a CRA-RPS e CRA-ABP di definire con un approccio sistemico le caratteristiche del suolo che concorrono congiuntamente alla creazione della nicchia ecologica del fungo. Partendo dalla grande selettività del tartufo bianco per l’ambiente di crescita, negli studi più recenti ho identificato e testato procedure geostatistiche che consentono di delineare le aree vocate alla tartuficoltura secondo un approccio strettamente quantitativo. Qesta metodologia e le conoscenze (pedo)ambientali al contorno consentono adesso di combinare una razionale gestione delle aree tartuficole con la pianificazione di politiche conservazione della biodiversità e di valorizzazione del paesaggio agroforestale italiano.

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Tutela dei prodotti tipici: i casi del pomodorino di Pachino e dell’oliva Itrana di Gaeta M. T. Dell’Abate, A. Ciampa, O. Masetti, M. Valentini, P. Sequi CRA – Centro di ricerca per lo studio delle relazioni tra pianta e suolo, Roma Introduzione La peculiarità delle caratteristiche pedoclimatiche degli ambienti agrari mediterranei contribuisce in modo fondamentale alla qualità delle produzioni tipiche, la cui filiera di fatto include il suolo. Per quanto riguarda i prodotti con marchio di tutela UE, mentre i disciplinari di produzione regolano le modalità di coltivazione ed immissione in commercio e le caratteristiche al consumo, non vi sono strumenti operativi riconosciuti che consentano di distinguere i prodotti tipici, quali ad esempio i prodotti IGP da quelli non IGP. Tecniche analitiche avanzate basate sulla spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR) negli ultimi anni hanno dimostrato di poter fornire un contributo utile in tale senso, pertanto costituiscono la base delle ricerche condotte presso il CRA-RPS su questo tema a partire dai seguenti due progetti. (1) Nel progetto FIRS 2000 “Messa a punto di indici chimici, rilevabili mediante tecnologie analitiche avanzate, per l’identificazione della qualità dei prodotti ortofrutticoli e della loro origine geografica (IGP)”, la spettroscopia NMR è stata utilizzata per individuare un set minimo di parametri chimici in grado di collegare qualità del prodotto, metodo e zona di produzione, quale strumento per la tracciabilità ai fini della tutela del prodotto tipico, applicato al caso-studio del pomodorino di Pachino IGP. (2) Nel progetto PRAL Regione Lazio 2003/92 “Modelli applicativi di agricoltura multifunzionale nello sviluppo sostenibile di alcune aree della regione Lazio”, la ricerca “Identificazione mediante risonanza magnetica nucleare (NMR) di caratteri distintivi di qualità e origine della produzione oleicola Itrana” ha mirato ad indagare alcune caratteristiche dell’oliva Itrana potenzialmente utili per l’identificazione del prodotto, di cui è in corso il riconoscimento per la DOP. Risultati e conclusioni (1) Lo studio sul pomodorino di Pachino IGP è stato condotto in tre anni, analizzando campioni provenienti sia dall’areale di Pachino IGP che da altri distretti quali Licata e Sabaudia (Lazio). Le tecniche di risonanza magnetica utilizzate sono 1H-NMR su estratti in solventi polari ed apolari, MRI (risonanza magnetica per immagini) sui campioni interi ed HR-MAS su una selezione di campioni, previa riduzione a purea. Considerato che tra le caratteristiche salienti dei fattori di produzione vi è la qualità dell’acqua di irrigazione, ne è stata valutata preliminarmente l’influenza nell’ambito delle aziende ricadenti all’interno dell’areale IGP: lo studio non ha evidenziato differenze sulle caratteristiche dei prodotti di tali aziende. Invece una marcata influenza sugli spettri, e di conseguenza sui marcatori chimici, è stata evidenziata per quanto riguarda la stagionalità. Infine, lo studio della provenienza condotto mediante analisi statistica delle componenti principali (PCA) ha consentito di individuare le aree dello spettro maggiormente discriminanti, da cui i possibili marcatori chimici. Analoga capacità discriminante ha mostrato la tecnica MRI applicata ai prodotti interi. (2) Per lo studio dell’oliva Itrana di Gaeta è stata utilizzata la spettroscopia di risonanza magnetica per imaging (MRI) sul prodotto intero, ricavandone anche dettagli sulla morfologia interna, oltre che informazioni sui principali componenti (ad es. acqua, olio, zuccheri) e sui “tempi di rilassamento” dell’acqua che

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riflettono la diversa mobilità delle molecole nei vari tessuti vegetali all’interno del frutto. Il confronto tra campioni di “oliva Itrana di Gaeta in salamoia” e di “oliva in salamoia di altra provenienza” ha evidenziato una notevole discriminazione tra i due gruppi di campioni in salamoia, sulla base di parametri chimico fisici legati alla mobilità dell’acqua nei tessuti della polpa e del nocciolo. Prospettive Notevoli sono le prospettive di sviluppo di protocolli utili alla tracciabilità dei prodotti tipici ed al loro legame con il territorio. Esse tuttavia non possono prescindere sia dall’uso di robusti strumenti chemometrici di trattamento della grande mole di dati ottenibili mediante analisi NMR che dalla disponibilità di banche dati su una varietà ampia di tipologie di prodotti ortofrutticoli, per poter essere validate ed applicate su più vasta scala. Pubblicazioni prodotte

Sequi P. , Valentini M., Dell’Abate M.T. “Metodo per identificare la zona di origine di prodotti ortofrutticoli e per differenziare le diverse cultivar di uno stesso prodotto, tramite l’impiego della spettroscopia MRI”. Brevetto d’invenzione n. RM2004A00342 del 9 luglio 2004.

Sequi P., Valentini M., Dell’Abate M.T. “Method for identifying the area of origin of produce and for differentiating the different cultivars of a same product, by using MRI spectroscopy”. Brevetto Internazionale PCT n. PTC/IT2005/000392 del 7 luglio 2005.

Dell’Abate M. T. “Il caso del pomodoro ciliegino di Pachino”. Agricoltura on line, 20 aprile (2005). www.agricolturaonline.gov.it/

Valentini M., Dell’Abate M.T., Sequi P. “Rintracciabilità dell’ortofrutta, una tecnica innovativa”. L’Informatore Agrario n.31: 57 (2006).

Sequi P., Dell’Abate M.T., Valentini M. “Identification of cherry tomatoes growth origin by means of magnetic resonance imaging”. Journal of the Science of Food and Agriculture 87(1): 127-132 (2007).

Savorani F. “A case study development of chemical indexes, originated from the application of chemometric methods to the nuclear magnetic resonance (NMR), in the assessment of the quality and of the geographical origin of vegetal products”. PhD Final Dissertation, Università di Bologna, Dottorato di ricerca in Scienze degli Alimenti XIX ciclo, a.a. 2006-2007.

Savorani F., Capozzi F., Engelsen S.B., Dell’Abate M.T., Sequi P. “Pomodoro di Pachino: an authentication study using 1H-NMR and chemometrics – protecting its P.G.I. european certification”. Submitted to Magnetic Resonance in Food Science (2008).

Dell’Abate M.T., Ciampa A., Masetti O., Valentini M. “ Identificazione mediante risonanza magnetica nucleare (NMR) di caratteri distintivi di qualità ed origine della produzione oleicola Itrana”. In “Modelli applicativi di agricoltura multifunzionale nello sviluppo sostenibile di alcune aree della Regione Lazio- PRAL 2003/92” (a cura di A. Benedetti), pp.74-78 (2008).

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Agricoltura biologica e convenzionale: studio di rotazioni orticole ed evoluzione degli agro-ecosistemi G. Campanelli, V. Ferrari1, A. Bertone1, F. Leteo1, G. Mancinelli1, R. lo Scalzo2, L. F. Di Cesare2, F. Sgolastra 3, F. Ramilli 3, G. Burgio3

1CRA – Unità di Ricerca per l’Orticoltura, Monsampolo del Tronto 2CRA – Unità di Ricerca per i Processi dell’Industria Agroalimentare, Milano. 3Università di Bologna – Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali, Area di Entomologia, Bologna Introduzione Presso il C.R.A. ORA di Monsampolo del Tronto (AP) è in atto dal 2001 uno studio interdisciplinare su una rotazione orticola condotta con il “metodo dell’agricoltura biologica”, ai sensi del Reg. CE 2092/91, e con il “metodo convenzionale”. La ricerca si propone di valutare, in un arco temporale medio-lungo, l’evoluzione dei due agro-ecosistemi. Particolare attenzione è stata posta al terreno con il monitoraggio di alcuni parametri quali la sostanza organica, la soluzione circolante, l’indice di copertura e gli artropodi bioindicatori. L’evidenza che le valutazioni varietali vengono condotte di solito in contesti di agricoltura convenzionale o integrata, con limitate ricadute per le aziende biologiche, ha suggerito l’attivazione di prove di confronto varietale. Le ricerche hanno preso in considerazione anche innovative tecniche di fertilizzazione con pool microbiologici della rizosfera a base di funghi endomicorrizici del gen. Glomus e nuove strategie di difesa con formulati aventi tempo di carenza zero. Analisi sensoriali e biochimiche sulle produzioni hanno fornito indicazioni sulle caratteristiche organolettiche e contenutistiche. Risultati e conclusioni Le analisi dei terreni nel periodo 2001-2008 hanno dimostrato che la rotazione biologica ha incrementato la sostanza organica da 1,11 % a 1,50 %. Questa significativa variazione ha comportato un incremento di carbonio organico di 2,27 g per kg di terreno. Nella rotazione convenzionale si è invece verificata una leggera diminuzione della sostanza organica passata da 1,21% a 1,16 %. In generale tutti i gruppi di artropodi campionati (carabidi, stafilinidi, collemboli, isopodi, ragni, opinioni, miriapodi) hanno evidenziano densità più alte nel biologico. Ambedue gli indici di biodiversità (Simpson e Shannon) calcolati sull’artropodofauna rinvenuta nella coltura biologica del pomodoro hanno mostrato un trend crescente nel tempo mentre nel sistema convenzionale tale andamento è risultato in diminuzione. Queste differenze non sono state così evidenti nel fagiolo a causa probabilmente, di un minor disturbo dell’attività antropica nel convenzionale. I dati analitici sui componenti nutrizionali delle produzioni sono risultati variabili in dipendenza dell’anno e del genotipo e non consentono di esprimere un giudizio di carattere generale sull’influenza della tecnica di coltivazione ad eccezione del contenuto di vitamina C nel cavolfiore. Analisi di 6 anni su tipologie di cavolfiore a testa bianca, verde e violetto hanno infatti fornito valori di vitamina C statisticamente più elevate nelle produzioni biologiche, 539 mg/100 g ss, rispetto alle convenzionali, 455,9 mg/100 g ss (Lo Scalzo et al., 2008). Le prove agronomiche, superata la difficile fase della conversione dal sistema convenzionale a quello biologico, hanno mostrato la buona adattabilità delle colture a ciclo estivo come il pomodoro, il melone, la

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lattuga ed il fagiolo. Fra le coltivazioni invernali anche il finocchio ha ben risposto a differenza del cavolfiore che invece ha manifestato forti limiti produttivi legati a difficoltà di nutrizione delle piante. Nell’ambito di quest’ultima specie le tipologie precoci si sono rivelate meno adatte alla coltivazione biologica rispetto alle tardive. Le prove di fertilizzazione con pool microbiologici della rizosfera contenenti endomicorrize hanno dato scarsi risultati su melone in quanto tale specie è risultata normalmente micotrofica (Galiè, 2005) mentre su pomodoro i dati raccolti hanno messo in luce un incremento produttivo di circa il 10%. Quest’ultimo dato è stato confermato anche da una sperimentazione specifica condotta in un ambiente di coltivazione dell’Italia meridionale (Campanelli et al., 2007). Prospettive Da un punto di vista strettamente applicativo è importante proseguire nelle valutazioni varietali per fornire concrete ed utili indicazioni ad agricoltori e alle Ditte sementiere interessate alla moltiplicazione del seme biologico. Considerata la difficoltà di accrescimento del cavolfiore si ritiene necessaria avviare una ricerca specifica per migliorare lo stato nutrizionale delle piante. Ulteriori informazioni circa il disturbo delle azioni antropiche sui suoli agrari potranno essere fornite, in aggiunta al monitoraggio degli artropodi bioindicatori, dallo studio della comunità batteriche e fungine. E’ auspicabile in questo contesto un approfondimento delle conoscenze sulla micorrizazione naturale delle diverse varietà orticole per individuare quelle più micotrofiche. Tali varietà potrebbero rivelarsi quelle più idonee alla coltivazione con ridotti input chimici (Picard et al., 2004). Bibliografia

Campanelli G., Candido V., Leteo F., Piccinini E., Caioni M., Altieri L., Mennone C., 2007. Effetti agronomici della micorrizazione artificiale nella coltivazione del pomodoro. Atti VIII Giornate Scientifiche SOI, Sassari 8-12 maggio. Italus Hortus. Vol. 14, suppl. al n° 2, marzo aprile:163-164.

Galiè M., 2005. “Studio preliminare degli effetti della micorrizazione sul melone coltivato con il sistema convenzionale e con quello biologico” Università Politecnica delle Marche, Corso di Laurea Triennale in Scienze e Tecnologie Agrarie, Dipartimento di Scienze Ambientali e delle produzioni Vegetali. Sessione Straordinaria. Anno Accademico 2004-2005.

Lo Scalzo R., Iannoccari T., Genna A., Di Cesare L.F., Viscardi D., Ferrari V & Campanelli G., 2008. Organic vs. conventional field trials: the effect on Cauliflower Quality. Proceedings of the Second Scientific Conference of the International Society of Organic Agricultural Research (ISOFAR), held at the 16th IFOAM Organic World Congress in Cooperation with the International Federation of Organic Agriculture Movements (IFOAM) and the Consorzio ModenaBio, 18-20 June in Modena. Volume 2: 754-757.

Picard C., E. Frascaroli, and M. Bosco. 2004. Frequency and biodiversity of 2,4-diacetylphloroglucinol-producing rhizobacteria are differentially affected by the genotype of two maize inbred lines and their hybrid. FEMS Microbiology Ecology 49:207-215 . Ricerca finanziata dalla Regione Marche LR 37/99

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La risicoltura in Italia: produzione e territorio D. Greppi1, M. Vallino1, M. Greppi2, E. Lupotto1 1CRA – Unità di Ricerca per la Risicoltura, Vercelli 2Università degli studi di Milano, Facoltà di Agraria, Istituto di Idraulica Agraria, Milano La coltura del riso in Italia occupa gran parte del territorio del Nord-Ovest della Pianura Padana, con forte impatto sui vari aspetti agricoli, economici ed ambientali. Sviluppatasi nel tempo estensivamente in tale areale grazie alla abbondanza di acqua e vocazione territoriale, la coltura di questo cereale è effettuata in sommersione con grande dipendenza dalla disponibilità della risorsa idrica. Durante la sommersione delle camere delle risaie l’acqua infiltrata nel terreno determina una importante risalita del livello della falda superficiale fino al raggiungimento di uno stato di equilibrio, la cui soggiacenza rispetto al piano di campagna è correlata anche alla struttura e tessitura del suolo. Il volume di acqua immagazzinato dalla falda diventa una importante riserva idrica per l’intero territorio. Nell’ultima decade il sistema colturale tradizionale ha dovuto confrontarsi con cambiamenti climatici piuttosto severi che hanno portato ad una drastica diminuzione della disponibilità di acqua per le colture agrarie, ponendo il settore della ricerca nella necessità di trovare soluzioni colturali alternative per la salvaguardia della produzione. Il sistema colturale risicolo attuale, con le sue caratteristiche, viene valutato in funzione dell’impatto sul suolo e sull’ecosistema dell’area umida che le risaie mimano, e che permette la conservazione di biodiversità animale e vegetale altrimenti perduta. Parimenti, la ricerca genetica mira alla costituzione di varietà che, pur conservando la loro performance ottimale in una situazione colturale convenzionale, possano essere competitive nell’adattamento ad una situazione di criticità dovuta a carenza idrica. Nel periodo 2004-2008, CRA-RIS ha sviluppato una serie di studi entro il progetto CEE CEDROME (INCO-CT2005-015468), con l’intento di sviluppare varietà di riso che ben si adattino alla coltura in suolo aerobico. Tale situazione colturale può realizzarsi sia con una coltura senza sommersione (con irrigazioni turnate) sia in caso di mancanza d’acqua in periodi critici dello sviluppo della pianta. In entrambe le situazioni, la pianta si trova ad affrontare una situazione colturale non ottimale e la capacità di contrastare gli effetti negativi della carenza idrica identificano genotipi superiori interessanti per lo sviluppo di varietà capaci di contrastare la situazione di stress. Lo studio ha portato alla identificazione di varietà di riso italiane ben tolleranti la situazione di coltura in suolo aerobico. Le varietà italiane sono poi state poste a confronto con linee e varietà di origine Cinese ed Egiziana, inclusive di genotipi upland e simil-upland.). Due varietà cinesi, Handao 11 e Quinai, con ciclo colturale breve (143 e 151 giorni), hanno mostrato un comportamento particolarmente interessante nelle nostre condizioni e rappresentano una fonte importante di germoplasma per futuri programmi di miglioramento genetico. Tre linee CRA derivate dai programmi di miglioramento genetico: ISC695/1, ISC-LNC e ISC2696 sono risultate particolarmente interessanti con una produttività paragonabile alle migliori varietà già identificate in precedenza. La situazione di coltura del riso in suolo aerobico favorisce la colonizzazione delle radici del riso da parte di funghi arbuscolari micorrizici (AM). Questi funghi stabiliscono con la radice della pianta un sistema complesso che coinvolge una rete di ife intra- ed extra-radice. La presenza di questa

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associazione pianta-fungo è considerata una simbiosi benigna in quanto il sistema contribuisce all’uptake di acqua e nutrienti e crea una rizosfera favorevole alla protezione della pianta dagli stress ambientali. Pertanto, il diverso sistema colturale utilizzato presenta alcuni aspetti interessanti: a) permette un risparmio idrico e la possibilità di impiego dell’acqua per altri usi; b) stimola la microflora del suolo verso una situazione di associazione simbiontica particolarmente favorevole allo sviluppo della coltura. Effetto di trattamenti con compost sulle disponibilità idriche e nutritive dei suoli vitati e sulla qualità dell’uva P. Valentini, L. Randellini, P. Storchi CRA – Unità di ricerca per la Viticoltura, Arezzo Vengono presentati i risultati di una ricerca sull’impiego in vigneto di compost da residui vegetali, allo scopo di migliorare alcuni parametri relativi alle caratteristiche dei suoli ed alla qualità della produzione viticola. La sperimentazione è stata condotta in vigneti caratterizzati da elevata pendenza e ridotta profondità dei suoli, ed il compost è stato distribuito sia con interramento che in funzione pacciamente. Considerato che nel comprensorio oggetto della ricerca è presente una notevole attività estrattiva del marmo, con produzione di elevati residui di lavorazione, alcune tesi con compost sono state addizionate di polvere di marmo allo scopo di ridurre i problemi derivanti dallo smaltimento di questo prodotto. I risultati ottenuti hanno evidenziato positivi risultati delle tesi trattate con compost, sia sulla disponibilità idrica per le piante nel periodo estivo, sia sulle caratteristiche qualitative dell’uva alla vendemmia, evidenziando una possibile sinergia tra produzione agricola, uso dei rifiuti e smaltimento di residui di lavorazioni industriali. Effetto dei suoli e della disponibilità idrica sulle risposte eco-fisiologiche e produttive della vite P. Valentini, M. Leprini, L. Randellini, P. Storchi CRA – Unità di Ricerca per la Viticoltura, Arezzo. Vengono presentati i risultati delle sperimentazioni condotte dall’Unità di ricerca per la Viticoltura in vari vigneti della Toscana, in relazione alle caratteristiche dei suoli ed a diverse disponibilità idriche, modificate anche attraverso gli apporti irrigui. Obiettivo delle ricerche è stata la valutazione delle risposte di vari genotipi di vite a diverse condizioni di stress per carenza idrica. Alla luce delle modificazioni climatiche in atto, sono stati evidenziati diversi livelli di stress moderato che incidono, anche positivamente, sulla qualità delle uve alla vendemmia. In conseguenza, la scelta dei suoli per l’impianto dei vigneti e l’eventuale regolazione degli apporti di acqua può costituire un utile ausilio per migliorare alcune caratteristiche produttive.

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Sono stati evidenziati, inoltre, i comportamenti vegeto-produttivi di diversi vitigni in risposta a variate condizioni climatiche, evidenziando i genotipi maggiormente idonei a ridotte disponibilità idriche. Valutazione agro-pedoclimatica ed economica della coltivazione di lino per la produzione di seme ad elevato contenuto di acido α-linolenico (ALA), destinato all’alimentazione umana ed alla preparazione di mangimi per animali da alto reddito M. Rinaldi CRA – Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari Sub-Unità: Università di Palermo - Dipartimento di Agronomia Ambientale e Territoriale Introduzione Il lino (Linum usitatissimum L.) è una specie erbacea annuale di cui si utilizza principalmente la fibra dei fusti e l’olio contenuto nel seme. Le caratteristiche nutrizionali di questo ultimo ed in particolare un elevato contenuto di acidi grassi del gruppo ω-3 (principalmente acido linolenico) e un rapporto equilibrato tra quelli del gruppo ω-3 e quelli ω-6 (principalmente acido linoleico), agiscono positivamente nella prevenzione dei disturbi cardiovascolari nell’uomo. Questo potrebbe essere raggiunto con l’aggiunta di seme di lino nelle razioni alimentari di polli e suini, in modo da ottenere carni ad elevato valore alimentari e nutraceutico. Obiettivi specifici della ricerca condotta dal CRA-SCA sono quelli di analizzare le risposte di genotipi di lino da olio seminati in due ambienti pedoclimatici: Capitanata (Foggia) e collina siciliana (Agrigento) e di mettere in relazione le risposte produttive e qualitative con le variabili climatiche (temperatura, radiazione e pioggia) e pedologiche (tessitura e livello di fertilità). Risultati e Conclusioni • Caratterizzazione pedo-climatica dei due ambienti

Agrigento. Il suolo utilizzato è classificato come un Chromic Haploxerert (Soil Taxonomy 10th, 2006), con orizzontazione di tipo Ap1, Ap2, Bss1, Bss2, C. Foggia. Il suolo utilizzato è classificato come un Vertic Calcixerept (Soil Taxonomy 10th, 2006), con orizzontazione del tipo Ap1, Ap2, 2B, 2Bk1, 2Bk2, 2Bk3, 3C, 4C.

• Valutazione agronomica Le varietà confrontate, tipicamente da olio, sia nazionali che estere, sono: Alessandra, Altamurano, Antares, Atlante, Barbara, BS 98C, Bilstar, Bilton, Buenos Aires, Maiorana e Niagara, Camporeale, Culbert, Iduna, Linda, Mc Gregor, Norlin, Ocean D2, Putawski 243, V8 Hella. Tra le due epoche di semina (autunnale in novembre e primaverile in marzo), quella autunnale ha fornito i migliori risultati produttivi in entrambe le località, a causa di un ciclo vegetativo più lungo e per il minore stress idrico nella fase finale.

• Analisi qualitative Per una valutazione delle proprietà nutraceutiche dell’olio prodotto dai semi di lino, l’UNI-PG ha determinato il contenuto totale di lipidi, nonché le frazioni di

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interesse (ALA, linoleico, oleico, palmitico, stearico). Il rapporto tra N3/N6, importante carattere qualitativo, dovrebbe essere massimizzato e restare nel range tra 2 e 5 (circa 2.9, dati del 2006 e 2007).

Prospettive I dati sperimentali finora raccolti sono stati incoraggianti sia per la produzione del seme, se seminato in autunno, sia per il contenuto e per le qualità nutraceutiche dell’olio, in entrambe le epoche. L’analisi economica potrà fornire ulteriori indicazioni sulla convenienza alla coltivazione di questa coltura. Sessione VI Cambiamenti climatici Processi di land degradation e desertificazione in Italia: impatto del cambiamento climatico e vulnerabilità del territorio L. Perini CRA – Unità di Ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura, Roma Introduzione Le risultanze scientifiche, benché ancora discordanti sulle cause e sui possibili rimedi, riconoscono unanimemente un progressivo processo di riscaldamento globale che, anche a livello locale, evidenzia i segnali sostanziali di un cambiamento climatico. Per l’Italia, in particolare, oltre all’incremento delle temperature al suolo (+1°C calcolato su base secolare), è progressivamente aumentata la frequenza e l’intensità degli eventi estremi ma, soprattutto, si è palesato un sensibile calo degli apporti medi annui delle precipitazioni (-5% calcolato sempre su base secolare). Sia l’assetto corrente, sia gli scenari futuribili del quadro meteo-climatico si configurano pertanto come fattori perturbativi degli equilibri naturali dell’agro-ecosistema. L’aggressività del clima, da sola o in concorso con altre criticità di carattere ambientale e/o socio-economica, può produrre processi di land degradation che, in assenza di adeguate misure correttive, comportano una progressiva riduzione della fertilità dei suoli fino alla conseguenza estrema, talvolta irreversibile, di desertificazione. L’attività del CRA-CMA, sia nel campo della ricerca scientifica, sia in quello operativo a supporto delle Istituzioni, è tesa alla valutazione ed all’analisi delle variabili in gioco, degli impatti in agricoltura alle diverse scale spaziali e temporali, nonché alla comprensione e predisposizione di possibili misure adattative e/o di mitigazione. Risultati e conclusioni Le analisi condotte dal CRA-CMA hanno evidenziato in particolare che, rispetto ai valori climatici medi nazionali calcolati sul trentennio di riferimento 1961-l990 e nell’ipotesi di persistenza degli attuali trend, è ipotizzabile nel breve-medio periodo un aumento della temperatura media annua fra 0.2 e 0.8 °C e una diminuzione degli apporti piovosi fino al 21% sul totale medio stimato di circa 820 mm. Nel caso dell’evapotraspirazione emergono cambiamenti significativi, soprattutto nella stagione irrigua, che innalzerebbero il fabbisogno idrico colturale

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dal 5 al 15%. Riguardo alle gelate primaverili (e autunnali) gli scenari prospettano una generale e sostanziale attenuazione di tali eventi, tuttavia in considerazione della natura accidentale del fenomeno, aumenterebbe il rischio per le colture agricole a causa dell’anticipo (e posticipo) dei cicli. La Stagione di Crescita, infatti, risulterebbe mediamente anticipata di circa 4 giorni al Nord, 9 giorni al Centro, 7 giorni al Sud, 8 giorni in Sardegna e di ben 12 giorni in Sicilia vedendo aumentare la sua durata mediamente del 10%. Sono ipotizzabili inoltre disturbi alla fioritura a causa di un minore accumulo di unità di freddo (fino a -62%). Il quadro è ulteriormente complicato dalla previsione di una maggiore incidenza dei fenomeni estremi quali ad esempio le heavy rain (il cui contributo al totale delle precipitazioni è cresciuto di circa il 20%), alluvioni, periodi secchi (+5% a livello medio nazionale), heat waves. In addizione al ruolo diretto nei processi di degrado dei suoli (erosione, inaridimento, etc.), i cambiamenti climatici contribuiscono ad innalzare la vulnerabilità ambientale rendendo meno sostenibile, a parità di ogni altra condizione, la pressione antropica espressa dall’urbanizzazione, dall’agricoltura, dal turismo e, in genere, da ogni altra attività che prevede uno sfruttamento intensivo delle risorse naturali. Nel 2000, in Italia, la quota parte di territorio classificata molto vulnerabile ai processi di land degradation era di circa il 10% della superficie nazionale segnando un aumento dello 0.8% rispetto alle valutazioni relative al 1990. Prospettive Il cambiamento climatico e l’intensificazione della pressione antropica espongono anche il nostro Paese ad un rischio più o meno grave che richiede un adeguamento della gestione del territorio, pena la compromissione dell’omeostasi ambientale e l’innesco di processi irreversibili di degrado e di perdita di biodiversità. Le misure di politica ambientale, improntate ad una visione olistica, non potranno però essere scisse da consapevolezza e stili di vita individuali. La Scienza dovrà dal canto suo individuare cause e rimedi. In tale ottica il CRA-CMA si è impegnato a trovare e fornire soluzioni concrete nel settore di competenza attraverso, tra l’altro, la realizzazione del Progetto AGROSCENARI – Scenari di adattamento dell’agricoltura italiana ai cambiamenti climatici, recentemente approvato e finanziato dal MiPAAF. Cambiamenti Climatici e Sistemi Produttivi Agricoli e Forestali: Impatto sulle Riserve di Carbonio e sulla Diversità Microbica del Suolo. Il progetto SOILSINK R. Francaviglia CRA – Centro di Ricerca per lo studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo, Roma Introduzione Il progetto studia i fattori che influenzano la dinamica del C organico nel suolo in due siti sperimentali con caratteristiche pedoclimatiche, agricole e di contesto molto diverse: 1) Marche: prova di lungo termine di confronto tra 2 tecniche di lavorazione (no tillage e tradizionale) e 2 livelli di concimazione azotata in una rotazione biennale frumento duro-mais; 2) Sardegna: effetti di lungo periodo di usi del suolo a diverso livello di intensificazione rappresentativi dei sistemi produttivi agro-forestali mediterranei: vigneto con o senza inerbimento, pascolo su erbaio,

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pascolo arborato, macchia mediterranea, prateria e sughereta. Con i dati dei siti sperimentali si simulano i sistemi colturali con modelli del ciclo del C (WinEpic e DAISY) per valutare gli effetti a lungo termine sul C sink, con scenari climatici attuali e futuri (maggiore concentrazione di CO2). Sui campioni di suolo si studiano i processi che controllano il ciclo del C e dell’N (riserve, mineralizzazione, umificazione, ecc.), la biomassa microbica, l’attività enzimatica, la crescita delle comunità microbiche, la diversità genetica, funzionale e morfologica di batteri e funghi simbionti. Il progetto riunisce circa 70 ricercatori, 13 istituzioni, 9 UO e si articola in 4 linee di ricerca: Linea 1. Sistemi produttivi agro-forestali UO-01 Sistemi agricoli di collina. Dip. Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali, UNIVPM, Ancona UO-02 Sistemi agro-forestali. Dip. Scienze Agronomiche e Genetica vegetale agraria, UNISS Linea 2. Modelli di simulazione ed applicazioni territoriali UO-03 Modelli matematici ed applicazioni GIS. CRA-RPS, Roma UO-09 Modelli matematici sul ciclo del carbonio e dell’azoto. CRA-SUI, San Cesario sul Panaro, Modena Linea 3. Diversità genetica e funzionale dei microrganismi UO-04 Diversità genetica dei batteri. Dip. Biologia e Genetica Animale, UNIFI, UTS Biotecnologie, ENEA, C.R. Casaccia, Roma, Dip. Scienza del Suolo e Nutrizione della Pianta, UNIFI UO-05 Diversità funzionale dei batteri. CRA-ABP, Firenze, Dip. Biologia e Genetica Animale, UNIFI, Dip. Biologia di Base ed Applicata, UNIAQ UO-06 Diversità genetica e funzionale dei funghi simbionti. Dip. Biologia Vegetale, UNITO, CRA-RPS, Roma Linea 4. Carbon sink e cicli biogeochimici UO-07 Comparti e processi del ciclo del C e dell’N. CRA-RPS, Roma, Dip. Chimica e Biotecnologie Agrarie, UNIPI UO-08 Flussi di carbonio ed azoto nelle comunità microbiche. CNR-IBAF, Montelibretti, Attività enzimatiche, Dip. Agrobiologia e Agrochimica, UNITUS, Viterbo Risultati e conclusioni Sito di Agugliano (AN) nelle Marche: prova sperimentale di lungo termine di confronto tra 2 livelli di lavorazione (no tillage e tradizionale) e 2 livelli di concimazione azotata in una rotazione biennale frumento duro-mais. L’attività (UO1) riguarda lo studio delle interazioni tra sistemi colturali, clima e risorse naturali in ambiente collinare non irriguo, con particolare riferimento ai necessari approfondimenti sui processi fisici e microbiologici che regolano la dinamica del C nel suolo. Sito di Berchidda (OT) in Sardegna: analisi degli effetti di usi del suolo a diverso livello di intensificazione, dall'erbaio autunno vernino, al vigneto con o senza inerbimento, al pascolo arborato sino a sistemi seminaturali come la macchia mediterranea, la prateria e la sughereta. L’attività (UO2) è finalizzata all’identificazione, delimitazione e caratterizzazione pedologica, bioclimatica e vegetazionale di aree rappresentative dei sistemi produttivi agro-forestali mediterranei, e allo studio dei possibili effetti sul C sink in un’area caratterizzata dallo stesso tipo di suolo e di vegetazione potenziale. Nei due siti si raccolgono i dati climatici, pedologici e colturali e si caratterizza la vegetazione per la predisposizione di un data-base georeferenziato. Con questi dati si effettua la parametrizzazione e la calibrazione di modelli di simulazione del ciclo del C

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(WinEpic e DAISY) per effettuare valutazioni quantitative di lungo termine degli effetti dei sistemi agro-forestali prescelti sul C sink (UO3-9), con scenari climatici attuali e futuri a maggiore concentrazione di CO2 secondo l’IPCC. L’interpolazione e la mappatura degli output dei modelli di simulazione e degli altri dati resi disponibili si effettuata mediante GIS con il supporto delle foto aeree. Sui campioni di suolo prelevati in diversi momenti del ciclo colturale e della stagione si studia la dinamica dei processi che controllano il ciclo del C e N (riserve, mineralizzazione, umificazione, organicazione, ecc.), con determinazioni di laboratorio e di campo su attività biologica, enzimatica e crescita delle comunità microbiche (UO7-8) e sulla diversità genetica, funzionale e morfologica di batteri e funghi simbionti nei due siti sperimentali (UO4-5-6). Prospettive - caratterizzazione agronomica e conoscenza di potenzialità produttiva e

proprietà pedoclimatiche dei due siti; - caratterizzazione e individuazione della biodiversità genetica, funzionale e

morfologica dei microrganismi e della vegetazione di interesse per il ciclo del C e del N;

- bilanci di C e N nel suolo; - produzione di dati utili all’implementazione di modelli di simulazione del ciclo

del C e alla comprensione generale dei fenomeni che regolano il C sink; - interpolazione e mappatura degli output dei modelli di simulazione e creazione

di tematismi cartografici in ambiente GIS per fornire indicazioni ai pianificatori territoriali e ai tecnici agricoli sulle decisioni più opportune per il contenimento dell’effetto serra attraverso un aumento della riserva di C nel suolo;

- valutazione di nuovi scenari climatici mediante Modelli di Circolazione Globale, da utilizzare come input per i modelli del ciclo del C, confrontandoli con il clima attuale;

- trasferimento dei risultati al di fuori della collettività tecnico-scientifica per aumentare la consapevolezza verso il problema dei cambiamenti climatici ed il possibile effetto mitigatore del settore agroforestale;

- analisi socio-economica per accertare le conseguenze derivanti dalla trasformazione dei sistemi colturali attuali finalizzata all’aumento del C-sink nel suolo.

Cambiamenti climatici: il ruolo dei suoli forestali nel sequestro di carbonio P. Gasparini1, E. Gregori2

1CRA – Centro di Ricerca per il Monitoraggio e la Pianificazione Forestale, Trento 2CRA – Centro di Ricerca per l’Agrobiologia e la Pedologia, Firenze Introduzione Negli ultimi decenni è aumentata enormemente la consapevolezza di cambiamenti climatici in atto a livello planetario che possono determinare modificazioni ambientali, in senso lato, rilevanti per la qualità della vita dell’uomo. Per ridurre l’incidenza delle attività antropiche su tali cambiamenti, molti Paesi, tra cui l’Italia, hanno sottoscritto un documento, noto come Protocollo di Kyoto, con il quale si impegnano a ridurre le immissioni di gas ad effetto serra in atmosfera ad un valore pari al 95% di quello dell’anno di riferimento, il 1990. E’ infatti noto un

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legame tra la concentrazione di tali gas in atmosfera, in particolare dell’anidride carbonica (CO2), e l’aumento delle temperature. La quantità di CO2 e quindi di carbonio immessa in atmosfera da ogni Paese firmatario è determinata per differenza tra quella prodotta dalle attività umane e la quantità che alcuni sistemi agro-forestali, riconosciuti nel Protocollo citato, sono in grado di immagazzinare. Tra questi sistemi, quello rappresentato dalle foreste è sicuramente il più importante poiché determina il potenziale di assorbimento più rilevante. I suoli forestali, in un’accezione ampia del termine, che ne comprenda la lettiera e l’orizzonte organico e non solo la frazione minerale, costituiscono uno dei cinque serbatoi eleggibili per la contabilizzazione del bilancio di carbonio, insieme alla biomassa epigea e a quella ipogea. Dal punto di vista operativo, comunque, lettiera, orizzonte organico e suolo minerale vengono tenuti sempre ben distinti, per la diversa quantità di carbonio presente, che suggerisce prelievo di campionamento e trattazione dei campioni in laboratorio specifici. L’Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio (INFC) costituisce lo strumento per la stima del carbonio presente in quattro dei cinque serbatoi forestali di carbonio eleggibili. Con la cosiddetta Fase 3plus dell’INFC sono in corso dei rilievi dei suoli su 1499 punti inventariali distribuiti su tutto il territorio nazionale, ripartiti per Regione e per categoria forestale. I rilievi consistono in prelievi di campioni di tutta la lettiera, l’orizzonte organico e il suolo minerale superficiale (0-10 cm) da tre “pozzetti” di 30x30 cm (ridotti a 20x20cm nel caso del suolo minerale) individuati con procedura sistematica e chiaramente definita all’interno di ogni area di saggio inventariale. Ogni pozzetto, viene poi scavato fino ad una profondità di 30 cm per prelevare suolo minerale profondo ed inviarne un sottocampione in laboratorio. Mediante un cilindro di volume noto, infisso nel terreno con una testa battente, vengono inoltre prelevati due campioni per la determinazione della densità apparente, ognuno relativo ad uno strato minerale. La quantità di carbonio relativa alle tre componenti lettiera, humus e suolo minerale viene poi calcolata mediante i valori della concentrazione di carbonio determinati per i campioni raccolti nell’area di saggio attraverso analisi condotte nel laboratorio di fisica del terreno del CRA-ABP di Firenze e nel laboratorio chimico della Fondazione E. Mach di Trento. Risultati e Conclusioni La fine dei rilievi in campo della Fase 3plus INFC è prevista per la stagione vegetativa 2009, mentre la conclusione delle analisi di laboratorio e la produzione delle stime sono previste per la prima metà del 2010. Contestualmente al rilievo sui suoli le squadre inventariali raccolgono campioni utili alla stima del carbonio contenuto nella necromassa a terra (fine e grossa), negli alberi morti in piedi e negli strati inferiori di vegetazione, componenti rilevate solo in parte nelle precedenti fasi inventariali. Grazie alle analisi di laboratorio su queste componenti sarà possibile disporre di valori sperimentali per i coefficienti di trasformazione da volume e peso fresco a peso secco, e quindi a contenuto in carbonio, per tutti i serbatoi di carbonio forestali, limitatamente alla parte epigea. Prospettive I rilievi in corso costituiscono il primo esempio di indagine finalizzata alla stima del carbonio stoccato nei suoli forestali a livello nazionale. La campagna di rilievi in

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atto, di primaria importanza per rispondere alla richiesta di informazioni derivante dagli impegni assunti dal nostro Paese per il Protocollo di Kyoto, assume anche un significato scientifico di primo piano sia per le dimensioni dell’indagine stessa che per l’obiettivo dell’indagine, ovvero la determinazione dei caratteri dei suoli forestali italiani in termini di capacità di stoccaggio del carbonio. L’indagine fornirà anche altri importanti elementi conoscitivi sui suoli dei boschi italiani e, grazie alla concomitante disponibilità di dati sui soprassuoli forestali presenti nei punti di campionamento, consentirà di analizzare le relazioni esistenti tra sistema suolo e vegetazione. Segnali recenti del cambiamento climatico sull’accrescimento del bosco: risultati dal monitoraggio G. Fabbio, G. Bertini, M. Piovosi CRA – Centro di Ricerca per la Selvicoltura, Arezzo Introduzione L’occorrenza di eventi climatici estremi è una delle manifestazione del cambiamento in atto. Le relazioni clima-suolo-albero, che condizionano il sistema stazione-foresta, ne possono essere affette in misura sensibile. Direzione ed entità dell’alterazione dipendono dalla sensitività delle specie, dall’importanza, durata, ricorrenza dei fenomeni, dall’insorgenza quindi di fattori ambientali limitanti. Nel corrente programma europeo di monitoraggio intensivo degli ecosistemi forestali, l’accrescimento radiale degli alberi è una tra le variabili di risposta ai fattori di stress che agiscono sulle foreste. Nel 2003, l’Europa ha sperimentato la sua estate più calda degli ultimi 500 anni. Risultati Anche in Italia, l’ondata di calore 2003, caratterizzata da un forte deficit di precipitazione associato ad alte temperature, ha prodotto un elevato stress idrico sulle foreste. Nel periodo 2000-04, su circa i 2/3 dei siti della rete nazionale Conecofor, è stata misurata una riduzione media di accrescimento fino a oltre il 20%, rispetto al periodo immediatamente precedente. La riduzione è concentrata sulle aree del nord e centro Italia comprese entro il margine meridionale del fenomeno climatico e evidente soprattutto sui siti di bassa quota e a prevalenza di querce caducifoglie e faggio. Queste specie, ad accrescimento primaverile predeterminato, sono tra le più sensibili alla carenza idrica nel suolo e possono continuare a risentire di una stagione anomala anche nell’anno successivo. Il fenomeno è qui esaminato anche a livello di caso di studio su un sito (Boschi di Carrega, Emilia) in cui la contemporanea presenza di due specie di quercia (rovere e cerro), diversamente sensibili allo stress idrico, produce un comportamento differente in mortalità e accrescimento, a netto sfavore della specie meno plastica (rovere). In questa stazione la specie ha una presenza consistente e caratterizza il bosco su ampie superfici su suoli sciolti e molto permeabili. Si illustrano l’andamento di alcuni parametri e indici del clima locale (Amoriello e Costantini CRA-RPS 2006) e i valori di mortalità e accrescimento per le due specie di quercia. Fenomeni come quello descritto rappresentano segnali importanti perché minore accrescimento e mortalità elevata significano uno stato biologico di sofferenza

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degli alberi, incidono sulla capacità corrente di sequestro di carbonio, sul mantenimento della diversità, sulla abilità competitiva specie-specifica, pongono interrogativi sulla futura dinamica della rinnovazione naturale delle foreste. Prospettive L’aggiornamento dei contenuti e delle strategie di monitoraggio, prevede l’applicazione di metodi, strumenti e tecniche di analisi sempre più mirate al problema. Tra questi, una maggiore risoluzione nella misura dell’accrescimento radiale mediante bande di circonferenza e il carotaggio per la lettura degli accrescimenti pregressi (incremento annuale e intra-annuale), le analisi densitometriche e isotopiche del legno. Si illustrano un esempio di analisi degli accrescimenti pregressi su base annuale e stagionale (primaverile-estivo) per le due specie di quercia e alcune osservazioni sulla fase test di misura tramite bande di circonferenza installate nell’anno corrente in un’area di faggeta (Foresta di Vallombrosa, Toscana). Parole chiave: monitoraggio, clima, cambiamento, accrescimento radiale arboreo, mortalità, sensitività, capacità competitiva specifica. Caratterizzazione “geomatica” del continuum: sottosuolo-falda-suolo-pianta-atmosfera A. Castrignanò, D. De Benedetto, C. Fiorentino, G. Girone, F. Guastaferro, D. Sollitto CRA – Unità di Ricerca per i Sistemi colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari Introduzione La delineazione di aree relativamente omogenee, in termini di risposta della coltura a scala di paesaggio, riveste attualmente notevole interesse per la conservazione delle risorse naturali e una razionale programmazione agricola. Potremmo definire questa attività come Agro-Ecoregionalizzazione (zoning), il cui obiettivo è l’identificazione di differenti combinazioni di fattori ambientali, espresse come unità spaziali distribuite, ciascuna delle quali rappresenta una combinazione quasi omogenea di potenzialità e fattori limitanti della resa. Già da alcuni anni il gruppo di “geomatica”, formatosi all’interno dell’unità di ricerca CRA-SCA, svolge attività multi e interdisciplinare, mirante alla identificazione di agro-ecozone. Materiali e Metodi Per la caratterizzazione del continuum “sottosuolo-falda-suolo-pianta-atmosfera” alle diverse scale spaziali, si richiede la raccolta, archiviazione, elaborazione e visualizzazione di dati ambientali di tipo diverso, comprendenti: geologia, pedologia, idrologia, topografia, climatologia e proprietà edafiche, effettuate in ambiente GIS. Per il monitoraggio ambientale si impiegano anche diversi sensori e relative tecniche di raccolta ed analisi dati: 1) Remote sensing:

a) sensori multispettrali o pancromatici di tipo passivo montati su piattaforme satellitarie con diverse risoluzioni spaziali, quali LANDASAT (30 m); SPOT5 con risoluzione di 10m nel multispettrale e 2.5 m nel pancromatico e IKONOS

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(4m). Risoluzioni submetriche sono ottenute con sensori multispettrali a bordo di aereo.

b) sensori iperspettrali a terra, range: visibile – vicino infrarosso e risoluzione centimetrica.

2) Proximal sensing: sensori geoelettrici impiegati sia in statico che in cinematico, a bordo di una piattaforma multisensoriale, in grado di rilevare in modo non invasivo ed in economia di costi e di tempi le principali proprietà e strutture del suolo e del sottosuolo.I sensori comprendono: a) sensore ad induzione elettromagnetica in doppia polarizzazione; b) sistema geo-radar (GPR) con 2 antenne operanti alle frequenze di 1.6 GHz (profondità 0-0.5 m) e 600 Mz (profondità 0-2 m), basato sul principio di riflessione e rifrazione della radiazione elettromagnetica. Per quanto attiene l’analisi dei dati, le metodologie impiegate riguardano: tecniche GIS; analisi di immagine; tecniche combinate di “pattern recognition”, che integrano l’informazione spaziale con quella spettrale mediante tecniche geometriche e geostatistiche; tecniche di simulazione stocastica di tipo annealing per l’ottimizzazione del campionamento; tecniche di post-processing del dato geo-radar; tecniche di modellizzazione geolitologica; tecniche di modellizzazione idrogeologica; tecniche di “clustering” parametrico e non parametrico e di geostatistica multivariata per lo “zoning” a diverse scale spaziali;stesura di software dedicati. Risultati e Conclusioni Il gruppo ha operato e opera in vari progetti ministeriali, europei e comunitari e in convenzioni con enti regionali e locali ( PRAECO, AQUATER, CLIMESCO, SICERME, PRIMAC, CRAS, COMUNE BARLETTA, zonizzazione colline teramane) miranti alla zonizzazione del territorio e i risultati hanno contribuito alla costruzione di modelli di variabilità spazio-temporale del continuum dalla scala di campo (SICERME) a quella di bacino (PRIMAC). Le numerose applicazioni in diversi contesti ambientali e a diverse scale spazio-temporali hanno dimostrato la notevole flessibilità della metodologia proposta. Prospettive La gamma di sensori e software dedicati in dotazione al CRA-SCA, congiuntamente alla metodologia illustrata, potrebbero essere impiegati in progetti di ripianificazione sostenibile del territorio, in seguito all’introduzione di nuove colture (energetiche) o alle mutate condizioni climatiche e/o socio-economiche.

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Vulnerabilità e adattamento agronomico dei sistemi colturali ai cambiamenti climatici dell’Italia meridionale D. Ventrella1, M. Rinaldi1, A. Castrignanò1, G. Rana1, M. Mastrorilli1, D. Ferri1,N. Losavio2 1CRA – Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi, Bari; 2CRA – Unità di ricerca per lo studio dei sistemi colturali, Metaponto. Introduzione I cambiamenti climatici previsti per questo secolo potranno modificare intensamente l’agricoltura inducendo importanti trasformazioni legate essenzialmente ad effetti sulla fenologia delle specie, sui processi fotosintetici e sul fabbisogno evapotraspirativo, ecc. Anomali incrementi termici, brusche variazioni della distribuzione delle precipitazioni, maggiore frequenza ed intensità di siccità da una parte e di inondazioni dall’altra stanno già manifestando i loro effetti sulle risposte produttive e qualitative dei sistemi colturali. Particolarmente elevato è grado di vulnerabilità delle aree mediterranee. L’attività agricola può essere considerata al tempo stesso vittima, ma anche partecipe del cambiamento climatico a causa di pratiche agronomiche non sostenibili che incidono in maniera sensibile all’emissione di CO2 o di altri gas serra nell’atmosfera. D’altro canto, grazie ai processi fotosintetici delle piante di trasformazione della CO2 in biomassa e ai meccanismi di accumulo della sostanza organica nel suolo, l’attività agricola rappresenta un’importante opportunità di mitigazione dei cambiamenti climatici. Parallelamente ad azioni di mitigazione è necessario, però, pianificare ed attuare percorsi di adattamento ai cambiamenti climatici che riguardino: l’uso del suolo, la scelta colturale, l’epoca di semina o di trapianto, la fertilizzazione, le lavorazioni, ecc. Nelle aree mediterranee l’agricoltura dovrebbe caratterizzarsi per un ulteriore incremento delle richieste evapotraspirative e quindi dei fabbisogni idrici, unitamente ad una più elevata competizione per le risorse idriche con il settore civile ed industriale. Auspicabili, pertanto, risultano strategie di adattamento, quali: maggiore diffusione dei metodi irrigui localizzati, programmazione irrigua, copertura del suolo con mulch di tipo vegetale o sintetico per contenere l’evaporazione e maggiore utilizzo di acque non-convenzionali (salmastre e depurate). Il progetto CLIMESCO Il Progetto FISR CLIMESCO “Evoluzione dei sistemi colturali a seguito dei cambiamenti climatici” intende individuare un approccio integrato, volto alla ottimizzazione delle risorse idriche in comprensori meridionali caratterizzati da sistemi colturali irrigui ad alto valore aggiunto, che possa essere utile alle autorità preposte alla pianificazione territoriale. Esso si basa sull’impiego propedeutico di differenti strumenti di analisi che riguardano lo studio della variabilità spaziale e climatica, la simulazione di scenari climatici e l’impiego della modellistica per la simulazione dei processi di accrescimento colturale e dei bilanci idrici e salini dei suoli. Parallelamente a questo percorso metodologico, sono attuati importanti approfondimenti tematici, aventi l’obiettivo di migliorare le conoscenze e i risvolti applicativi su singoli aspetti, ritenuti strategicamente importanti nelle aree in studio. Prospettive

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I risultati finora ottenuti nell’ambito di questo Progetto, se da un lato mostrano, per l’agricoltura dell’area mediterranea, un alto grado di vulnerabilità ai cambiamenti climatici, dall’altro evidenziano un’ampia possibilità di adattamento agronomico, se adeguatamente supportato da un’attività di ricerca scientifica attenta alle problematiche del territorio ed efficienti programmi di divulgazione e assistenza tecnica. Nell’ambito della ricerca su agricoltura e cambiamenti climatici, con particolare riferimento all’area mediterranea, maggiori sforzi e investimenti sono auspicabili per i seguenti obiettivi: interazione fra gli studi di adattamento e mitigazione; impiego di strumenti integrati per aspetti agronomici, territoriali ed economici; approfondimenti tematici per l’incremento della WUE e impiego di risorse idriche non-convenzionali; maggiore comprensione dei processi fisici, chimici e biologici del continuum “suolo-pianta-atmosfera”. Applicazione di modelli di calcolo del fabbisogno irriguo sulla base del sistema suolo-clima-coltura-tecnica e di valutazione del rischio di salinizzazione dei suoli nelle Regioni Meridionali R. Napoli CRA – Centro di Ricerca per lo studio delle relazioni tra Pianta e Suolo, Roma Introduzione Negli ultimi anni sono stati effettuati studi a carattere nazionale e sub-nazionale, specialmente nelle regioni del sud, riguardanti valutazioni territoriali sia qualitative che quantitative sull’uso della risorsa idrica in agricoltura. Nell’ambito delle attività realizzate con il progetto POM (1998-2002) dall’INEA, dal titolo “Studio sull'uso irriguo della risorsa idrica sulle produzioni agricole irrigate e sulla loro redditività”, ed in particolare con l’Azione 1b della Misura 3 di tale progetto, è stato realizzato presso l’INEA, con la collaborazione dei ricercatori CRA, un Sistema Informativo per la Risorsa Idrica in Agricoltura (Bonati et alii, 2000). Successivamente sono state effettuati studi preliminari sulla analisi quantitativa in alcune aree pilota dei comprensori attrezzati del sud, con approccio GIS semplificato (Fais et alii, 2005), ed a scala territoriale più vasta di tutte le aree attrezzate delle Regioni meridionali, sulla valutazione qualitativa della sostenibilità all’uso irriguo (Napoli R., 2008) Nel triennio 2005-2008.Il CRA-RPS e CRA-ABP sono stati impegnati insieme all’INEA in una attività di approfondimento tecnico-scientifica nell’ambito del Progetto Operativo “Attività di assistenza tecnica e supporto agli enti concessionari nel settore dell’uso irriguo delle risorse idriche”, portato avanti nelle Regioni Meridionali per conto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali – Ufficio Commissario ad Acta ex Agensud. Nell’ambito di questa attività, sono state condotte due linee di studio, relativamente alla determinazione di fabbisogni idrici per le colture irrigue con diversi scenari climatici, e la determinazione del rischio di salinizzazione in aree costiere nel sud Italia. Materiali e metodi Per la prima linea di studio, è stato realizzato un modello di calcolo dei fabbisogni irrigui lordi e netti su base geografica, relativo alla variabilità del sistema suolo-clima-coltura-tecnica irrigua, nelle aree “potenzialmente irrigue” delle otto Regioni Meridionali. Questo modello, che parte dalla struttura concettuale del modello della Regione Emilia-Romagna CRITERIA (Dottori et alii, 1997) si è basato

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su una matrice derivante dalla analisi della variabilità della base dati nazionale dei suoli (CRA-ABP), opportunamente integrata della caratterizzazione fisico-idrologica di circa 1500 suoli-capisaldo con PTF, dalla configurazione di un database geografico climatico con i dati giornalieri del periodo 1996-2007, della base dati di 56 tipologie di colture irrigue e di due scenari di tecniche e scheduling irriguo, ad alto e basso input tecnologico aziendale. Parallelamente, sono state lanciate delle simulazioni su base decennale di calcolo dell’accumulo di soluti (Sali) nel suolo con applicazione del modello Soil Water Atmosphere and Plant (SWAP, 2000), nelle aree costiere delle regioni meridionali interessate da fenomeni di intrusione marina e conseguente utilizzo di acque irrigue salmastre. Sono stati valutati i possibili scenari di rischio su base geografica, mantenendo le attuali condizioni di gestione dell’agricoltura irrigua. Il modello SWAP simula con passo giornaliero lo sviluppo della coltura, l’evapotraspirazione, i flussi idrici nel suolo, i flussi di soluti, utilizzando come input una serie di parametri riguardanti: a) la suddivisione del suolo in orizzonti (strati) omogenei, caratterizzati dal punto di vista idrologico e dal punto di vista del contenuto salino all’inizio del periodo di simulazione; b) i dati termopluviometrici giornalieri; c) la coltura (caratterizzata attraverso una serie di parametri che descrivono lo sviluppo fogliare, l’approfondimento radicale, la traspirazione, etc.); d) gli apporti irrigui, descritti in termini di tecnica, quantità di acqua e suo contenuto in Sali. Per la valutazione di questo dato di input a partire dai grafici pubblicati dal Salinity Laboratory dell'USDA (USDA, 1954, 1965) , si sono ricavati una serie di coppie di valori conducibilità/concentrazione dei sali relativi a misure di laboratorio riferite all' NaCl, che abbiamo assunto come specie di riferimento per la simulazione in SWAP. A partire da queste si è ricavata, tramite regressione polinomiale, la seguente relazione: CONT = (-0,3381042+((COND*10-3)*8,1934012)+((COND*10-3)^2*0,1341386))*58,49/1000 Dove CONT: contenuto salino (g/l) - COND: conducibilità elettrica (μS/cm) A seguito di atle trasformazione sono state quindi effettuate delle spazializzazioni dei dati dei pozzi ad uso irriguo presenti nelle aree di studio, per riportare i risultati dei principali parametri statistici sulla base dei Sottosistemi di Terre oggetto di indagine Questi risultati sono andati ad aggiornare, per il settore “salinizzazione dei suoli”, quelli dell’Atlante Italiano delle Aree Desertificate ed a Rischio Desertificazione già realizzato per conto del Ministero dell’Ambiente dal CRA-ABP. Risultati e Conclusioni Modello di calcolo dei fabbisogni irrigui Per quanto riguarda i fabbisogni irrigui l’obiettivo che ci siamo proposti è stato quello di fornire il valore del fabbisogno irriguo per ogni poligono di uso del suolo irriguo; si è voluto offrire la possibilità di analizzare i risultati in base alle colture presenti, alle tecniche irrigue, ai suoli e al clima, per alcuni ambiti geografici: i comprensori, i consorzi, le provincie, le regioni e per una selezione geografica libera della base dati su applicazione WEBGIS. I risultati hanno consentito di riportare, per i vari scenari, sulla base geografica di uso del suolo irriguo il calcolo dei fabbisogni sia netti che al lordo delle perdite per ristagno, runoff o percolazione profonda per ogni situazione agro climatica, e di determinare l’efficienza irrigua del sistema su base territoriale dei Sottosistemi di Terre.

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In riferimento all’anno di costruzione della cartografia CASI 3 dell’Uso del Suolo Irriguo fornitaci dall’INEA, è stato effettuato il calcolo riepilogativo, riportato in figura xxx, per Regione dei fabbisogni lordi medi ad ha per le aree non attrezzate, a seguito di diversi scenari climatici (anno medio e siccitoso). Inoltre è stato possibile mettere in relazione il fabbisogno medio cumulato con l’apporto irriguo al lordo delle perdite per percolazione profonda e runoff superficiale, per gli scenari a basso (1) ed alto (2) input tecnologico modellizzati, e quantificare le differenze (figura xxx).

Fabbisogni medi ad ettaro nelle Regioni Meridionali su base suolo-clima-coltura

0

200

400

600

800

1,000

1,200

1,400

1,600

1,800

Abruzzo Basilicata Calabria Campania Molise Puglia Sardegna Sicilia

Regioni

metri cubi H2O

anno climatico medio

anno climatico siccitoso

Modello di rischio di salinizzazione Esempio di risultati riportati in figura 4: per la Regione Puglia, le simulazioni effettuate evidenziano rischi di aumento della salinità dei suoli nel medio-lungo

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periodo in circa 302 delineazioni (in rosso nella figura 4) su 895 interessate da utilizzo di acque con salinità >0,7 dS/m, corrispondenti al 33,7% dell’area potenzialmente interessata dal fenomeno. I valori di acque irrigue utilizzati sono compresi tra minimo 0,7, massimo 5,97 e media 4,64 (dS/m). Per la Regione Sardegna, le simulazioni effettuate evidenziano rischi di aumento della salinità dei suoli nel medio-lungo periodo in circa 77 delineazioni (in rosso nella figura xxx) su 555 interessate da utilizzo di acque con salinità >0,7 dS/m, corrispondenti al 13,8% dell’area potenzialmente interessata dal fenomeno. I valori di acque irrigue utilizzati sono compresi tra minimo 0,7, massimo 21,79 e media 1,73 (dS/m).

Figura 4. Sottosistemi con suoli a rischio (in rosso) di salinizzazione nel medio-lungo periodo per le aree potenzialmente interessate dal fenomeno nella Regione Puglia (sin) e Sardegna (dx) Bibliografia sintetica

BONATI G., FAIS A., NINO P. E RAIMONDI G. 2000. Il SIGRIA - Sistema Informativo per la Gestione delle Risorse Idriche in Agricoltura. Mondo G.I.S. n° 23, Roma, 2000.

COSTANTINI E. A. C., URBANO F., ARAMINI G., BARBETTI R., BELLINO F., BOCCI M., BONATI G., FAIS A., L’ABATE G., LOJ G., MAGINI S., NAPOLI R., NINO P., PAOLANTI M., PERCIABOSCO M. AND TASCONE F. (2009) Rationale and methods for compiling an Atlas of desertification in Italy.. In Land Degradation & Development, Wiley ed., Vol.20, pp 1–16.

R.NAPOLI. (2008) Sostenibilità dei suoli all’irrigazione nelle Regioni Meridionali (ex ob.1),. In: Rapporto “Irrigazione ed Ambiente”, Ed.INEA, Ministero dell’Ambiente, pp. 146-181.

FAIS A., NAPOLI R., NINO P., BAZZOFFI P., LARUCCIA N. (2006) Irrigation Sustainability in the Land Use/Soil System in South Italy: Results from a GIS Simplified Approach and Future Methodological Developments .. In Proceedings of the International OECD Meeting on Water and Agriculture: Sustainability, Market and Policies. Adelaide (SA), 14-18 November 2005, pp. 317-336.

FAO, 1985. Guidelines: Land evaluation for irrigated agriculture. FAO soils bulletin 55, Land and Water Development Division, Rome.

VAN DAM, J.C., J. HUYGEN, J.G. WESSELING, R.A. FEDDES, P. KABAT, P.E.V. VAN WALSUM, P. GROENENDIJK AND C.A. VAN DIEPEN, 1997. Theory of SWAP version 2.0. Simulation of water flow, solute transport and plant growth in the Soil-Water-

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Atmosphere-Plant environment. Wageningen University and Alterra. Technical Document 45.

VAN DAM, J.C, 2000. Field scale water flow and solute transport. SWAP model concepts, parameter estimation and case studies. PhD thesis, Wageningen Universiteit, 167 p.

USDA – Salinity Laboratory Staff (1965) Diagnosis and Improvement of Saline and Alkali Soils.

USDA National Soil Handbook n.60. (1954).Reprinted ver. 1965 MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI (2005).”Programmazione sviluppo

rurale 2007-2013 contributo tematico alla stesura del piano strategico nazionale acque. 2005”. pp.61.

DOTTORI F., MARLETTO V., VAN SOETENDAEL M., TOMEI F., 2007 “CRITERIA Manuale Tecnico” ARPA Emilia-Romagna SIM, Bologna Verifica della funzionalità di mezzi meccanici per la lotta alla desertificazione L. Pari CRA – Unità di Ricerca per l’Ingegneria Agraria, Monterotondo Per arrestare, o almeno rallentare, l’avanzata della desertificazione è necessario sfruttare al meglio le risorse idriche ancora disponibili per mantenere, attraverso la coltivazione di colture agricole e/o forestali la fertilità del suolo. Nei paesi in cui la desertificazione è già una realtà la tecnica dei microbacini per concentrare le esigue risorse d’acqua e di materia organica del suolo, è una tecnica largamente diffusa. Essa si basa sulla creazione di invasi per la raccolta delle acque di scorrimento e dello strato superficiale del terreno (con la residua sostanza organica) all’interno dei quali vengono coltivate o essenze forestali per la creazioni di siepi, frangivento, boschi cedui, o colture foraggere per l’alimentazione del bestiame. Questa antica tecnica, è stata meccanizzata attraverso lo sviluppo di due macchine operatrici nel quadro di un Progetto Integrato di riabilitazione del Bamergou (FAI – Niger) in grado di effettuare i microbacini e la raccolta dello strato superficiale del terreno meccanicamente. Le macchine sono state utilizzate in vari paesi del Sahel e del Nord Africa (Burkina Faso, Niger, Senegal, Ciad, ecc...) nel quadro di programmi finanziati da Agenzie nazionali e internazionali (GTZ, FAO, IFAD, Cooperazione danese e svizzera), con il fine di arrestare l’avanzata della desertificazione dei terreni, aumentare la produzione agroalimentare e favorire il miglioramento dei pascoli. Nell’ambito di una attività di collaborazione con la FAO il Dr. Pari ha preso parte al “Project FAO - GTFS/RAF/387/ITA Support to Food Security, Poverty Alleviation and Soil Degradation Control”. La attività ha riguardato principalmente la valutazione di due sistemi meccanici ideati per la produzione di micro bacini in aree desertiche con missioni e rilievo dati in Kenya e Sudan. Successivamente ha presentato come coordinatore due progetti alla Unione Europea: 1) Land Management and Conservation Stocktaking and Prospects in Selected

Countries semi-arid Regions of the Mediterranean Basin (LMCM)

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2) Improving crop productivity through water and nutrient use efficiency and water harvesting (WANUE) nell’ambito del Programma INCO-2002-B1.2

Lo scopo era quello di verificare l’efficienza dei metodi di lotta alla desertificazione messi a punto da altri progetti oltre a quello FAO nei Paesi con aree desertiche per confrontarne i risultati al fine di identificare il/i migliore/i metodo/i da applicare alle aree a rischio di desertificazione del sud Europa. I risultati delle attività condotte nel Progetto FAO e le Proposte di ricerca presentate alla Unione Europea sono stati presentati. Attività di ricerca strategiche per l’identificazione di sistemi idonei a rallentare il degrado nelle aree del sud Europa in via di desertificazione inerenti la valutazione scientifica dei risultati dei progetti di lotta alla desertificazione già condotti in Africa ed il loro trasferimento/adattamento nelle aree europee, sono state tratteggiate. Agroscenari – Scenari di adattamento dell’agricoltura italiana ai cambiamenti climatici D. Vento CRA – Unità di Ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura, Roma Introduzione L’agricoltura italiana ha una forte e immediata necessità di assumere presto le misure di programmazione strategica atte a mitigare o contrastare gli impatti negativi dei cambiamenti climatici già in atto. I risultati conclusivi editi nel 2006 del progetto “Climagri – Agricoltura e Cambiamenti Climatici”, hanno già evidenziato in varie zone d’Italia chiari segnali di cambiamento climatico in fatto di incremento di temperature e di carenza di acqua piovana. È urgente quindi l’esigenza di cercare le interrelazioni tra gli stessi cambiamenti climatici e i sistemi agricoli per poi valutare possibili perdite produttive/economiche conseguenti ai cambiamenti climatici e quindi strategie adeguate di adattamento; da qui la proposta di Agroscenari. Obiettivi La finalità di Agroscenari è quella di individuare, valutandone la sostenibilità, le modalità di adattamento ai cambiamenti climatici di alcuni principali sistemi produttivi dell’agricoltura italiana, quali la viticoltura, l’olivicoltura, la cerealicoltura nelle zone collinari dell’Italia Centro-Meridionale, l’orticoltura intensiva in zone irrigue dell’Italia Centro-Meridionale, la cerealicoltura per fini zootecnici nella pianura padana, la frutticoltura intensiva nella pianura padana sud-orientale. Il Progetto Agroscenari tratterà separatamente due orizzonti temporali nel processo di adattamento, uno a breve termine (5 anni), l’altro a lungo termine (30 anni). Per quanto riguarda l’adattamento a breve termine, Agroscenari propone strategie di limitazione e riduzione degli impatti attraverso un approccio multidisciplinare e coordinato in considerazione delle mutue interrelazioni fra fattori quali clima, colture, parassiti, ambiente sociale e redditività economica dell’attività agricola. Per quanto riguarda l’adattamento a lungo termine, Agroscenari mira a proporre la costruzione di scenari di cambiamenti

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climatici e di evoluzione dei sistemi produttivi sia a scala nazionale che a livello locale. La ricerca riguarda un insieme di aree studio con valore di simbolo dei sistemi produttivi considerati più importanti. In particolare gli sforzi della ricerca saranno dedicati a: approfondire al massimo e dare concretezza quantitativa all’aumentato rischio meteo-climatico per gli importanti settori su richiamati dell’agricoltura per quanto attiene ai vari fattoti abiotici e biotici; acquisire conoscenze per perseguire la sostenibilità ambientale delle pratiche agricole future attraverso l’individuazione di una gestione adeguata delle risorse disponibili; studiare al meglio la realizzazione della sostenibilità economica delle pratiche agricole attraverso gli obiettivi di limitare le perdite e di salvaguardare la qualità e quantità dei raccolti; studiare sistemi di alimentazione di bovine da latte e suini, per la produzione di prodotti tipici basati sull’impiego di colture che ottimizzino l’utilizzo delle possibili risorse idriche; ricercare le migliori strategie di comunicazione per diffondere le conoscenze e i risultati acquisiti al fine di favorire, nel mondo agricolo, comportamenti consapevoli e responsabili a tutti i livelli della filiera produttiva; mettere a punto le basi scientifiche e le informazioni di riferimento sia per chi ha la responsabilità degli indirizzi di politica generale del settore, sia per gli operatori agricoli. Risultati attesi I risultati generali previsti per Agroscenari comprenderanno metodologie e schemi operativi, che potranno essere dinamicamente aggiornati nel tempo in conseguenza del monitoraggio dell’evoluzione della realtà agricola e climatica. Agroscenari fornirà prodotti di diverso tipo, quali manuali, cartografie, mappe fenologiche, materiale di base per corsi di formazione d’intesa con gli enti locali, modelli di previsione dell’evoluzioni di fattori biotici e abiotici, documenti specifici per le finalità operative degli stakeholders o per i decisori di strategie di politica agroambientale, ma anche strumenti di previsione per la trafficabilità dei suoli agrari delle aziende. Utilizzo di EPIC per la simulazione degli effetti dei cambiamenti climatici in sistemi colturali dell’Italia centrale e meridionale R. Francaviglia1, Roberta Farina2

1CRA – Centro di ricerca per lo studio delle relazioni tra pianta e suolo, Roma 2CRA – Centro di Ricerca per la Cerealicoltura, Foggia Introduzione Il sequestro di C nel suolo è il fattore potenzialmente più importante come contributo dell’agricoltura alla riduzione della concentrazione di CO2 nell’atmosfera. A tal fine sono necessarie metodologie in grado di valutare l’efficacia delle pratiche agronomiche sulla dinamica del C nel suolo, tra cui è fondamentale l’impiego di modelli di simulazione. Nel modello EPIC, già largamente utilizzato per la simulazione dei processi negli agroecosistemi, è stato recentemente implementato il modello Century, che simula la dinamica della sostanza organica nel suolo in risposta a fattori colturali, pedologici e climatici. Il modello è stato già validato con risultati accettabili sui dati produttivi di una prova sperimentale di lungo termine sulle lavorazioni dell’Università di Ancona (Agugliano-Marche) nell’ambito del Progetto FISR

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SOILSINK e utilizzato per simulare la produzione delle colture e la variazione del contenuto di C organico. Risultati e conclusioni Il modello è stato applicato su una prova parcellare di lungo termine di confronto tra 2 livelli di lavorazione (no tillage NT e convenzionale CT a 40 cm) e 2 livelli di concimazione azotata (0 e 90 kg N ha-1) in una rotazione biennale non irrigua frumento duro-girasole (1994-2001) e frumento duro-mais (2002-2006). Il disegno sperimentale a split-plot prevede due repliche per ogni coltura, in cui la tecnica di lavorazione è la parcella principale, la concimazione quella secondaria. Le prove si svolgono in ambiente collinare con pendenza media del 12 %, su un terreno argillo-limoso classificato come Calcaric Gleyic Cambisols (WRB). Il clima è temperato, con precipitazioni medie annuali di 777 mm e temperatura media 14.3 °C. Per analizzare i risultati delle simulazioni è stato usato il software IRENE (Fila et al., 2001).Nel presente lavoro si riportano alcuni risultati delle simulazioni per le parcelle CTN90.

Indici basati sulle differenze Simbolo Valori ottimali Mais Frumento

duro Girasole Tutte

Simulation Bias SB 0 = completa aderenza stima-misura

0.0588 0.0026 0.0053 0.0002

Root squared mean variation RMSV 0 = completa aderenza

stima-misura 0.5382 0.6279 0.1879 0.5485

Modeling efficiency EF <1 0.7969 0.5216 0.7377 0.8146 r 0.9123 0.7348 0.9038 0.9028 Indici basati sulla

correlazione r2 da 0.7 a 0.9 forte

correlazione 0.8323 0.5399 0.8169 0.8150 Le simulazioni di mais e girasole mostrano valori degli indici migliori di quelle del frumento duro, ossia c’è una migliore aderenza tra dati di produzione stimati e misurati. Nel complesso, comunque, si ritiene che la validazione del modello EPIC sia da considerare accettabile. Correlazione tra produzioni in t/ha misurate vs

simulate Variazione del contenuto di C organico totale

In 12 anni, dal 1994 al 2006, la perdita di C organico totale del suolo è stata di circa 2700 kg ha-1, pari al 4.4 % del valore iniziale del 1994 ed a 225 kg ha-1 all’anno. Prospettive Con i dati climatici ottenuti da modelli di circolazione globale che simulano gli scenari climatici futuri previsti dall’IPCC, il modello EPIC consentirà di prevedere

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quali saranno gli effetti dei cambiamenti climatici sulle colture e sul suolo. A questo scopo si utilizzeranno i modelli GISS del Goddard Institute of Space Studies della NASA e HadCM3 del Met Office dell’Hadley Centre (UK) a partire dalle serie storiche per le Marche (1959-2006), con due scenari di riferimento: A2, che corrisponde ad un cambiamento climatico marcato, B2, scenario moderato interpretabile come uno scenario di mitigazione per mantenere la concentrazione di CO2 sotto le 600 ppm entro il 2100 ed il riscaldamento globale intorno ai 2 °C. Le simulazioni saranno proiettate su tre archi temporali, per simulare uno scenario di cambiamento climatico molto vicino, uno intermedio ed uno completamente realizzato: 2020 clima medio 2010-2029, 2050 clima medio 2040-2059,2080 clima medio 2070-2089. Il modello sarà inoltre calibrato e validato sulle prove sperimentali in corso presso il CER di Foggia. Populus nigra L. come caso di studio per la valutazione degli effetti dei cambiamenti climatici P. M. Chiarabaglio, A. Giorcelli, A. Grignetti CRA – Unità di ricerca per le Produzioni Legnose fuori Foresta, Casale Monferrato Introduzione Il pioppo nero europeo (Populus nigra L.), caratterizzato da un ampio areale e inserito nella lista delle specie a rischio di estinzione, è stato scelto come caso di studio per valutare l’influenza dei cambiamenti climatici sulla vegetazione. Scopo dell’indagine è quello di valutare l’influenza di condizioni di deficit o di surplus idrico su 9 cloni di pioppo nero provenienti da 3 diverse latitudini del suo areale di distribuzione (Belgio, Calabria e Pianura Padana). Nel 2005 presso l’Azienda Mezzi del CRA-PLF di Casale Monferrato (AL), è stato allestito un impianto con parcelle sottoposte a regimi idrici differenziati: tesi dry, protette artificialmente dalle precipitazioni; tesi wet, irrigate artificialmente per creare un surplus idrico e tesi ambient, soggette alle precipitazioni naturali. Sono stati registrati in continuo l’umidità del suolo e i parametri meteorologici. Risultati e conclusioni L’impianto è stato oggetto di rilievi biometrici all’inizio e alla fine di ogni stagione vegetativa per 3 anni al fine di rilevare le differenze di accrescimento. Gli accrescimenti in diametro e altezza nelle tesi dry sono risultati significativamente inferiori rispetto a quelli rilevati nelle tesi wet. Nel 2007 sono stati applicati sensori lineari di posizione a 8 genotipi di pioppo nelle 2 tesi (wet e dry) per registrare in continuo la crescita radiale e l’attività cambiale. Sono stati rilevati alcuni parametri fisiologici al fine di confrontare le reazioni delle piante in relazione al contenuto idrico nel suolo: fluorescenza fogliare, potenziale idrico notturno (Predawn Water Potential), quello diurno (Midday Water Potential), contenuto in clorofilla, contenuto in osmoliti, turgore fogliare, indice di sclerofillia, indice di succulenza, contenuto idrico fogliare relativo (Relative Water Content), temperatura fogliare, densità stomatica. Al fine di analizzare le variazioni delle condizioni fisiologiche, attraverso lo studio delle proprietà spettrali delle foglie, sono state inoltre condotte misure spettroscopiche e sono stati calcolati alcuni indici spettrali. Alcuni indici (ad es. PRI, relazionato all’efficienza fotosintetica delle

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foglie, e REP, relazionato ad una diminuzione delle clorofille) sono risultati in grado di differenziare, in modo significativo, gli effetti della limitata disponibilità idrica nelle tesi dry. È stato valutato il grado si sensibilità ad alcuni patogeni: lo sviluppo del tubulo germinativo di Discosporium populeum (Sacc.) Sutton, parassita corticale di debolezza, è risultato simile per i cloni meridionali e per quelli settentrionali con uno sviluppo maggiore nelle tesi dry rispetto a quelle wet. Le intensità di attacco del patogeno fogliare Melampsora larici – populina Kleb. sono risultate più elevate nelle tesi wet con una maggiore sensibilità per i genotipi settentrionali. Al fine di approfondire gli studi eco-fisiologici e di ridurre le variabili sperimentali sono stati allestiti 18 contenitori di 1 m3 di volume nel quale sono stati allevati i cloni di pioppo nero secondo i regimi dry e wet già impostati nella prova di campo. Nel 2008 le piante della tesi dry sono state sottoposte a 3 cicli di stress portando l’umidità del suolo a valori < 8 % e reidratando fino alla capacità di campo per valutare gli effetti di stress ripetuti. Sono stati rilevati gli stessi parametri eco-fisiologici già studiati in vivaio. Prospettive Da un’analisi preliminare dei dati acquisiti è emerso che negli ecotipi meridionali di Populus nigra si sono instaurati meccanismi adattativi tali da renderli da un punto di vista anatomico e fisiologico meno sensibili alle variazioni climatiche rispetto a quelli settentrionali e centrali. Tra gli individui appartenenti allo stesso areale, si è riscontrata una ampia variabilità di risposta fisiologica agli stress idrici. Questo probabilmente deriva dagli adattamenti pregressi che ogni singola pianta ha sviluppato nel proprio ambiente a causa della concorrenza intra e inter-specifica per le risorse. Cambiamento climatico e apicoltura: impatti sul benessere e sulla sopravvivenza delle colonie di api A. Nanetti1, V. Marletto2, C. Garrido 1CRA - Unità di Ricerca di Apicoltura e bachicoltura, Bologna 2ARPA Emilia-Romagna, Servizio IdroMeteoClima Nel Fourth Assessment Report, l’Ipcc ha confermato che le emissioni di gas serra derivanti dalle attività umane hanno una reale influenza sul clima del pianeta. Ciò pone l’uomo stesso e molte altre specie, sia vegetali sia animali, di fronte a difficoltà nuove e legate a rapidi cambiamenti: aumento di temperatura, diminuzione della regolarità climatica, siccità, scioglimento dei ghiacci, innalzamento del livello marino eccetera. La scienza apistica sta considerando con sempre maggiore attenzione le complesse interazioni fra cambiamenti climatici, epoche di fioritura delle piante, sviluppo delle colonie di api, ciclo biologico dei loro agenti di malattia, modalità di intervento per tenerli sotto controllo e così via. Si stanno gettando le basi, quindi, per una nuova fase di collaborazione fra climatologi e apidologi. Gli effetti più macroscopici sono legati alle differenze nei modi e nei tempi con cui piante ed api reagiscono ai cambiamenti climatici. Infatti, mentre è chiaro che le prime dipendono fortemente dalle condizioni ambientali, le colonie delle seconde tendono a comportarsi come complessi (super)organismi endotermi, piuttosto che come insiemi di singoli individui ectotermi.

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Queste diversità implicano sfasamenti fra le fasi fenologiche delle piante, soprattutto delle epoche di fioritura, rispetto al ritmo di sviluppo delle colonie di api. Le variazioni citate, documentabili per via sperimentale e regolarmente osservate dagli apicoltori più attenti, finiscono in alcuni casi per limitare notevolmente lo sfruttamento di risorse nettarifere e pollinifere fondamentali per lo sviluppo delle colonie. Non meno gravi, sebbene meno appariscenti, sono gli effetti dei cambiamenti climatici sullo sviluppo di patogeni agenti di malattia delle api. Fra questi emerge per importanza l’ubiquitario acaro ematofago Varroa destructor, che provoca il collasso delle colonie attraverso un’attività di spoliazione dei componenti la colonia e la veicolazione di virus. Nella maggioranza dei casi, la strategia di controllo contro questa grave parassitosi si basa su diverse sostanze naturali, la cui efficacia dipende dalle condizioni esterne. Inverni con anomalie termiche positive ed estati fredde riducono la liberazione delle sostanze attive e alterano il rapporto ospite-parassita in senso sfavorevole. Per la fondamentale attività di impollinazione, le api contribuiscono in maniera determinante all’equilibrio degli agroecosistemi e alla formazione delle produzioni agricole. L’attuale incompresa ondata di mortalità delle colonie di api potrà avere, pertanto, effetti negativi globali, di tipo economico, ambientale e sociale. Esistono ancora gravi carenze nella nostra comprensione del concetto di benessere, quando questo riguarda organismi tanto lontani da noi come le api. La salvaguardia del patrimonio apistico richiede pertanto lo studio del complesso di fattori interni alla colonia, di quelli ambientali, degli aspetti sanitari e tecnici anche attraverso modelli matematici che tengano conto delle nuove variabili climatiche e dei loro effetti diretti e indiretti.