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CONFERIMENTO DELLA LAUREA MAGISTRALE HONORIS CAUSA IN “MUSICOLOGIA” a Fabio Biondi Palermo Steri - Sala delle Capriate 25 seembre 2018 ore 19 DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANISTICHE

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CONFERIMENTO DELLA LAUREA MAGISTRALEHONORIS CAUSA IN “MUSICOLOGIA”

a Fabio Biondi

PalermoSteri - Sala delle Capriate25 settembre 2018ore 19

DIPARTIMENTO DI SCIENZEUMANISTICHE

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CONFERIMENTO DELLA LAUREA MAGISTRALE IN “MUSICOLOGIA” a Fabio Biondi

Motivazione del conferimento della Laurea Magistrale honoris causa in “Musicologia” Prof. Pietro Misuraca Docente di Estetica musicale pag. 07

LaudatioProf.ssa Anna Tedesco Coordinatrice del corso di laurea magistrale interclasse in Musicologia e Scienze dello Spettacolo pag. 11

Lectio Magistralis Il ruolo del direttore-violinistanell’Opera dell’OttocentoFabio BiondiViolinista e direttore d’orchestra pag. 17

INDICE

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MOTIVAZIONE

Prof. Pietro MisuracaDocente di Estetica musicale

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Fabio Biondi, nato a Palermo nel 1961, ha intrapreso lo studio del violino sotto la gui-da di Salvatore Cicero. Tiene concerti dall’età di dodici anni e a sedici è stato invitato al Musikverein di Vienna per interpretare come solista i concerti per violino di Bach. Fin da giovane si è interessato allo studio e alla pratica della musica barocca, entrando a far par-te dei più prestigiosi ensembles impegnati a riproporre in maniera filologicamente esatta la musica antica con strumenti originali (Capella Real de Catalunya, Musica Antiqua Vien-na, Chapelle Royale, Musiciens du Louvre). Nel 1990 ha fondato Europa Galante, divenu-to in pochissimi anni uno degli ensembles specializzati in musica antica più famosi e più premiati in campo internazionale e uno dei simboli italiani della rinascita della musica ba-rocca. Con il suo gruppo si è esibito nei maggiori festival internazionali e nelle sale da concerto di tutto il mondo, puntando alla riscoperta e alla valorizzazione di compositori italiani e stranieri fra i più rilevanti del Sei e Settecento, sia in ambito vocale e teatrale (Alessandro Scarlatti, Haendel, Vivaldi, Caldara, Haydn) sia in quello più specificatamente violinistico (Veracini, Vivaldi, Locatelli, Tartini). Le sue numerose incisioni discografiche hanno ottenuto un eccezionale successo di pubblico e unanimi apprezzamenti dalla criti-ca specializzata. Innumerevoli le sue collaborazioni, in veste di solista e direttore, con or-chestre prestigiose.

Spinto da una precoce curiosità culturale e musicale, Fabio Biondi è oggi un punto di riferimento nell’ambito della Baroque Renaissance, per l’approccio musicologico alle fonti e alla prassi esecutiva dell’epoca ma nella costante ricerca di uno stile libero da condizio-namenti dogmatici. Assai prezioso il suo contributo alla riscoperta di oratori, serenate e opere di Alessandro Scarlatti (1660-1725), il più eminente compositore palermitano di tutti i tempi. Per l’insieme dell’attività concertistica e l’esecuzione de Il trionfo dell’onore, in occasione dell’edizione del 2001 del Festival Scarlatti di Palermo, l’Associazione Nazio-nale dei Critici Musicali ha assegnato il Premio Abbiati a Fabio Biondi ed Europa Galan-te. Di nuovo nel 2008 è stato assegnato a Fabio Biondi ed Europa Galante il premio spe-ciale per Filemone e Bauci di Haydn (una produzione della LXV Settimana Musicale Sene-se), per l’originalità e il pregio della riscoperta. Dal 2011 Fabio Biondi è Accademico di Santa Cecilia, e nel 2015 gli è stato conferito il titolo di “Officier des arts et des lettres” dal Ministero della Cultura.

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LAUDATIO

Prof.ssa Anna TedescoCoordinatrice del corso di laurea magistrale interclasse in Musicologia e Scienze dello Spettacolo

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CONFERIMENTO DELLA LAUREA MAGISTRALE IN “MUSICOLOGIA” a Fabio Biondi

Magnifico Rettore, chiarissimi colleghe e colleghi, studenti e studentesse, signore e signori presenti,

sono onorata e felice di essere chiamata oggi a pronunciare il testo della laudatio in oc-casione del conferimento della laurea honoris causa in Musicologia a Fabio Biondi, vio-linista e direttore d’orchestra di fama internazionale.

Fabio Biondi è nato a Palermo, cosa che aggiunge un particolare tocco emotivo alla cerimonia odierna, a cui sono presenti tanti che lo hanno conosciuto bambino o ragaz-zo, ed in particolare i familiari del suo maestro, Salvatore Cicero, che ho piacere qui di ricordare. Tuttavia i suoi natali hanno poco a che vedere con le ragioni di questa lau-rea ad honorem, di cui avete appena ascoltato la motivazione ufficiale. Conferiamo oggi a Biondi la laurea in Musicologia perché il suo percorso come interprete prima e come direttore d’orchestra poi è strettamente legato alle ragioni della ricerca storico-critica, della filologia, della prassi esecutiva storicamente informata, in una parola, della musi-cologia.

Cercherò di ricostruire in pochi tratti questo itinerario intellettuale: Fabio Biondi mo-stra già da bambino un precoce interesse per la musica, che viene favorito dalla fami-glia ed indirizzato verso il violino. Muove i primi passi sotto la guida di Salvatore Cice-ro, primo violino dell’Orchestra Sinfonica Siciliana ed indimenticato maestro dei Giovani Cameristi Siciliani, un ensemble formato appunto dai suoi giovani allievi. Il suo talento viene notato subito e ad appena sedici anni viene invitato da un’antica e prestigiosa istituzione, il Musikverein di Vienna, ad interpretare con l’orchestra i concerti per violi-no di Bach.

L’interesse di Biondi, però, si indirizza precocemente verso il territorio della cosiddet-ta “musica antica”, ossia verso una particolare sensibilità al repertorio pre-classico, che mira a ricostruirne gli originali modi esecutivi. Dunque uso di strumenti d’epoca, o di copie di antichi originali, attenzione alle pratiche di esecuzione come descritte nei trat-tati e nelle fonti documentarie o addirittura raffigurate nelle opere d’arte dell’epoca, re-cupero di particolari timbri vocali. Biondi inizia quindi a collaborare con alcuni dei grup-pi musicali più rappresentativi di questa tendenza a livello internazionale. Cito solo alcuni nomi che probabilmente conoscete: il Seminario musicale diretto dal controtenore Gérard Lesne, Les musiciens du Louvre creato da Marc Minkowski nel 1982, la Capella Reial de Catalunya fondata da Jordi Savall nel 1987.

L’interesse per il repertorio del Sei e Settecento e per la sua riscoperta filologica fa sì che Biondi presto non si accontenti più di collaborare con questi gruppi, per quanto prestigiosi, ma fondi nel 1990 un suo ensemble, la sua orchestra, Europa galante. Il no-

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me dell’orchestra, evocativo ed elegante, ispirato all’omonima opéra-ballet di André Cam-pra e Antoine de La Motte (1697), rimanda al complesso della musica europea fino al pieno Settecento, proprio il repertorio in cui Europa galante si affermerà, non senza in-cursioni nel Seicento italiano, con numerosissimi concerti in tutto il mondo e una nutri-ta discografia di oltre settanta titoli. Il lavoro eccellente svolto come solista si comple-ta con quello di primo violino e leader di un’orchestra, al modo di Corelli e Vivaldi. Una figura, quella del “primo violino-direttore”, che Biondi riscopre e rivendica, come dirò do-po e come sentirete nella sua lectio magistralis.

Innumerevoli le città, i teatri ed i festival in cui Europa Galante si è esibito con suc-cesso, così come sono tantissime le incisioni che vorrei ricordare. Menziono tra le altre le Sonate concertate di Dario Castello, compositore veneziano del primo Seicento (Opus 111, 1992), le sonate di Tartini (Opus 111, 1993) e Veracini (Sonate Accademiche Opus 111, 1995), i concerti grossi di Corelli (Opus 111, 1996) e Geminiani (Opus 111, 1997), i concerti di Vivaldi, le sonate (Naïve, 1996, con Rinaldo Alessandrini) e i concerti di Bach (Virgin, 1999). La critica mette in rilievo la precisione, la brillantezza di suono e la verve di Biondi, amplificate dall’uso di pregevoli violini antichi di costruttori quali An-drea Guarneri e Carlo Ferdinando Gagliano, quest’ultimo già appartenuto a Cicero.

Accanto all’approfondimento del repertorio strumentale, specie italiano, di cui è un acclamato interprete, Fabio Biondi matura presto un interesse per la vocalità barocca, cosa che lo porta a collaborare con nomi ben noti quali Gloria Banditelli, Sandrine Piau, (Händel: Arie e Duetti d’Amore (Opus 111, 1999), Roberta Invernizzi e più recentemente con Vivica Genaux o Patrizia Ciofi, con le quali esegue o registra composizioni di Hän-del, di Caldara e poi di Pergolesi, Leo ed altri autori della cosiddetta scuola napoletana.

E a questo punto devo menzionare un ulteriore motivo dell’attribuzione della laurea honoris causa in Musicologia, un motivo che dà particolare senso al fatto che questa ce-rimonia si svolga a Palermo. Dobbiamo infatti a Fabio Biondi la riproposta del nostro più grande compositore, l’operista Alessandro Scarlatti (1660-1725), di cui Biondi ha ri-portato sulle scene e in concerto alcuni capolavori in prima esecuzione moderna. Vor-rei ricordare in particolare l’importante – ma purtroppo breve – esperienza del Festi-val Scarlatti, ideato da Roberto Pagano e prodotto meritoriamente dal Teatro Massimo, che ebbe luogo a Palermo per poche edizioni, tra il 1999 e il 2002. Durante il Festival Scarlatti, il pubblico, in parte anche internazionale, ebbe modo non solo di ascoltare ca-polavori ben noti come l’opera buffa Il trionfo dell’onore (Premio Abbiati della critica mu-sicale, 2002) ma anche di accostarsi per la prima volta in tempi moderni a drammi per musica quali Mitridate Eupatore, La principessa fedele, Carlo re d’Alemagna, eseguiti dai mi-gliori specialisti dell’opera barocca. Oltre all’ultimo titolo citato, inciso con l’orchestra di

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Stavanger in Norvegia (Agogique, 2014), Biondi ha consegnato all’incisione discografica diversi oratori sacri di Scarlatti, tra cui Cain overo il primo omicidio (Opus 111, 1993), Humanità e Lucifero (Opus 111, 1999); Maddalena (Opus 111, 1999), La Santissima Trini-tà (Virgin, 2004), consentendo agli ascoltatori una migliore conoscenza di questi capo-lavori e stimolando l’interesse di altri interpreti e case discografiche nei confronti di que-sto importante autore. Anche solo per questo la nostra città deve essergli grata.

La curiosità intellettuale che contraddistingue il suo lavoro artistico ha spinto però Biondi a non fermarsi a questi traguardi bensì a dedicarsi con maggiore impegno all’at-tività di direttore d’orchestra, non più soltanto alla testa di Europa galante ma anche di altre compagini quali l’Orchestra di Stavanger prima citata, della quale è stato direttore stabile per la musica antica dal 2005 al 2016, l’orchestra del Palau de las Artes Reina Sofia di Valencia della quale è stato parimenti direttore musicale fino a quest’anno e nu-merose altre orchestre come la Chicago Symphony, l’Accademia di Santa Cecilia, l’Or-chestra Sinfonica della Radio Finlandese e l’Orquesta de la Comunidad de Madrid.

Anche nel ruolo di direttore, Biondi sposa la competenza esecutiva alla ricerca filo-logica, sia riportando alla luce testi dimenticati (quali le opere Bajazet ed Ercole sul Ter-modonte di Vivaldi (2005 e 2010), oppure l’oratorio Il ritorno di Tobia o ancora l’opera per marionette Philemon und Baucis di Haydn, ripresa grazie alla collaborazione con la compagnia di marionette di Carlo Colla nel 2008 alla 65ª Settimana musicale senese), sia soprattutto cimentandosi in maniera innovativa con il più popolare repertorio operi-stico ottocentesco, in titoli quali Norma nel 2001, e più recentemente Lucrezia Borgia (2017), Macbeth (2017, in forma di concerto), Il Corsaro (2018).

In particolare la rappresentazione della Norma di Bellini a Parma nel 2001, all’inter-no del cartellone del Festival Verdi, ha segnato un importante punto di svolta nel ten-tativo di Biondi di condurre la pratica dell’esecuzione storicamente informata al di là del Settecento. In parte contestata dal pubblico più tradizionalista, questa Norma è stata in-vece apprezzata proprio per l’innovatività dell’approccio, per l’uso di strumenti storici de-sueti come il cimbasso, per un particolare respiro dato ai recitativi. In questa circostan-za, per dirigere Biondi ha imbracciato il violino, come ritiene opportuno per molto repertorio operistico di primo Ottocento, scritto prima dell’avvento della figura del di-rettore d’orchestra come oggi la conosciamo.

In conclusione, vorrei ricordare ancora la ripresa moderna della Didone (1641) di Fran-cesco Cavalli su libretto di Giovan Francesco Busenello, data alla Fenice di Venezia nel 2006 e nel 2008 alla Scala, teatro solitamente restio nei confronti dell’opera del Sei-cento. Anche questo dunque un traguardo notevolissimo.

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Prima di me, in anni passati, Paolo Emilio Carapezza, professore emerito di Storia della musica, ha avuto l’onore di pronunciare la laudatio per tre laureati in Musicologia: un compositore, Salvatore Sciarrino, e due musicologi, Michał Bristiger e Heinz-Klaus Metzger. Tocca stavolta ad un esecutore, un interprete che esplica la sua attività soprat-tutto sul palcoscenico o nelle sale di registrazione. Tuttavia Biondi, come avete ascolta-to finora, non si limita ad eseguire la musica ma è allo stesso tempo uno studioso che fa ricerca in questo campo. La sua doppia attività musicale e musicologica trae linfa vi-tale dal confronto con le fonti musicali, dallo studio dei manoscritti e dei documenti, dal desiderio di ricostruire un brano musicale col paesaggio sonoro che lo circondava, pur nella consapevolezza che sia impossibile ricreare in tutto e per tutto le condizioni originarie di ascolto e di esecuzione. In questo il suo lavoro ha molti punti di contatto con quello degli studiosi che si dedicano ad una edizione critica o alla ricostruzione di un evento musicale. La laurea magistrale in Musicologia, che oggi gli viene conferita, sta a conferma e suggello dell’itinerario intellettuale da lui intrapreso con tanto successo.

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LECTIO MAGISTRALISIL RUOLO DEL DIRETTORE-VIOLINISTA NELL’OPERA DELL’OTTOCENTO

Fabio BiondiViolinista e direttore d’orchestra

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Solo grazie al “rinascimento” della musica antica su strumenti originali è riapparsa nel Novecento la figura del violinista-direttore “maestro dei concerti”, o altre denominazioni che la storia ci ha tramandato per definire la figura del direttore d’orchestra non provvi-sto di bacchetta ma bensì di strumento.

Prima di allora molto raramente si era vista una orchestra, e in particolare un’orche-stra già nutrita nel numero di esecutori, eseguire e venir guidata senza un direttore con la bacchetta. Fanno eccezione alcuni gruppi storici, tra i quali mi piace ricordare i “Musi-ci di Roma” (limitatamente al repertorio barocco), o, per quanto riguarda una grande or-chestra sinfonica, l’occasione in cui il maestro Lorin Maazel, a Vienna, durante il concer-to di Capodanno, diresse al violino uno dei richiestissimi “bis” Straussiani.

Difficilmente oggi si immagina l’esecuzione di una sinfonia romantica, per non parlare di quella di un’opera ottocentesca, diretta da un violinista, senza stupirsi di una pratica oggi scomparsa ma molto presente all’epoca.

Per comprendere quest’uso, dobbiamo ricordare innanzitutto una serie di cose: se nel Settecento il maestro al clavicembalo aveva condiviso con il primo violino un ruolo fon-damentale, al principio dell’Ottocento e fino alla metà dello stesso secolo quando il “ma-estro al cembalo” non aveva più lo stesso ruolo, lo strumento a tastiera restò comunque presente nel teatro d’opera, questo anche per il semplice fatto che si continuarono ad eseguire lavori che necessitavano l’esecuzione dei recitativi “secchi” (ossia accompagnati dal solo clavicembalo, o più tardi dal fortepiano).

Come dunque interagivano i due ruoli, “primo violino” e “maestro al cembalo” (in al-cuni casi fortepiano in seguito allo sviluppo di quest’ultimo)?

I compositori erano spesso obbligati da contratto a presiedere alle prime tre rappre-sentazioni seduti allo strumento a tastiera e a dare preziose indicazioni per la concerta-zione dell’opera ma, come dice Giuseppe Scaramelli nel suo trattato Saggio sopra i doveri del primo violino (Trieste 1811), è il primo violino l’indiscusso responsabile dell’esecuzione e capo dell’orchestra.

Sappiamo però da documenti ottocenteschi di varia provenienza che le due figure ap-paiono alternativamente come responsabili dell’esecuzione o a volte anche interagiscono. Ecco alcuni esempi:

• Vienna, intorno al 1815, sono presenti in orchestra addirittura tre grandi maestri: armato di bacchetta il compositore Antonio Salieri, al violino Rodolph Kreutzer e al fortepiano Muzio Clementi;

• nel 1825, a Parigi, Johann Baptist Cramer dirige al violino musica sinfonica, men-tre un altro violinista non identificato dirige all’opera italiana così come (sempre ne-

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gli stessi anni) Gioacchino Rossini dirige al fortepiano a Londra e Giovanni Pacini fa lo stesso a Roma;

• nel 1831, a Londra, abbiamo esempi di direzione al fortepiano;

• nel 1839, al Conservatoire di Parigi, François-Antoine Habeneck dirige al violino, co-me riporta Richard Wagner;

• e ancora nel 1859 ( !! ) un violinista dirige all’opera di Trieste.

A questi esempi vanno aggiunti quelli indicanti una direzione “rumorista”, ovvero pro-dotta da un comportamento percussivo, quasi a sostituire un metronomo, una pratica og-gi molesta e inimmaginabile:

• 1820 arco battuto sul leggio (Napoli), come riportato da Felix Mendelssohn

• 1820 c.a, uso di un rotolo di carta (Vienna)

• 1831 bacchetta del primo violino percossa sul leggio (Napoli), come riferisce Hen-ri Berlioz.

L’immagine accanto è un grazioso documento settecentesco, un ritrat-to che il caricaturista Ghezzi ci for-nisce del maestro di cappella Logro-scino mentre dirige al cembalo al Teatro Capranica di Roma.

Fig.e1.e-ePier Leone Ghezzi, Caricatura di Niccolò Logroscino al cembalo, disegno.

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Va altresì detto che in tutti i libretti d’opera tra il 1800 e il 1860 circa vengono ripor-tati sempre i nomi sia di un “direttore della musica “ sia di un “primo violino e direttore d’orchestra”. Quale fu il ruolo del primo dei due?

L’opera è una macchina complicata e possiamo cercare di tradurre la funzione di “di-rettore della musica” in quella di un vero e proprio organizzatore, le cui responsabilità va-riavano, da una vera e propria coordinazione tra palcoscenico e orchestra in sede di con-certazione, al fornire le innumerevoli varianti richieste dai cantanti (interpolazioni d’arie, trasposizioni, etc.), senza contare la supervisione dei materiali musicali: infatti dobbiamo tenere presente quanto sia differente l’uso di spartiti canto e piano “ufficiali”, ovvero stam-pati dagli editori proprietari delle opere, sui quali studiavano i cantanti, a confronto con la pratica nefasta di usare parti d’orchestra frutto di trascrizioni, atte ad aggirare le spe-se di noleggio, o di adattamenti alle realtà e capacità esecutive locali.

Torniamo ora sulla figura del primo violino-direttore. Quali sono invece i benefici di un ruolo oggi così desueto?

Se nell’interpretazione si contempla l’idea di un avvicinamento al linguaggio originale (questo è un mio desiderio che non intende delegittimare qualsiasi altra ipotesi) dobbia-mo innanzitutto fare almeno due premesse: dirigere e suonare al violino qualsiasi brano in cui la grandezza dell’orchestra vada oltre i venti elementi obbliga ad una conoscenza quasi mnemonica della partitura o comunque l’uso di una parte di primo violino nella qua-le siano fissate le entrate di tutti gli strumenti. Abbiamo molti esempi straordinari di que-ste parti che vanno cronologicamente da Cimarosa alle opere verdiane degli anni 1855-1860. Con quale materiale possiamo oggi dirigere un’opera e allo stesso tempo suonare? La mia esperienza personale mi indica che un “vocal score” ovvero uno spartito canto e piano (debitamente arrangiato per poter suonare anche la parte di primo violino) si pre-senta come una buona soluzione, che può assomigliare appunto alle parti di “primo vio-lino e direttore” dell’epoca, oggi consultabili nelle biblioteche. Segnalo che in questi ma-teriali originali, le parti vocali spesso riportano il solo testo (invito a questo proposito a riflettere su quanto contassero chiarezza nella dizione e senso della parola per i cantan-ti dell’epoca).

La seconda premessa riguarda la disposizione spaziale dell’orchestra che deve esse-re riconsiderata. In genere le orchestre sinfoniche sono abituate ad avere tra i leggii spa-zi esagerati; questo fa sì che a volte i fiati posti nelle ultime file e le percussioni siano estremamente lontane dalla fonte della direzione, cosi come per esempio nella famiglia degli archi i contrabbassi. Nel caso specifico dell’opera bisogna valutare anche il fatto che l’orchestra diretta dal primo violino-direttore era posta ad un livello nel quale le teste dei

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musicisti apparivano all’altezza della scena; questa disposizione è certa sino a Wagner, alla pratica del cosiddetto “golfo mistico” che è lo sprofondamento della buca verso gli “inferi”.

A questo dobbiamo aggiungere tutte le varie ipotesi che nel corso dell’Ottocento si sono susseguite sulla vera e propria disposizione “geografica” dell’orchestra. Questo è ar-gomento che va trattato in altra sede, ciononostante va ricordato che in alcune antiche disposizioni orchestrali vi sono suggerimenti ancor oggi interessanti che potrebbero evi-tare quei pericoli sempre costanti di “fonizzazione” eccessiva da parte degli ottoni, che incitano i direttori a richiedere costantemente di suonar piano, se non addirittura la can-cellazione di alcuni interventi (spesso i tromboni).

In genere il ritorno ad una posizione “storica” dell’orchestra potrebbe fornire ai can-tanti alcuni benefici tra cui una ricezione ottimale senza il bisogno dei “riporti” (oggetti che proiettano verso di essi una fonte di suono del tutto innaturale); ma questo solo in un ottica di “rivisitazione” registica a favore del fatto che gli stessi si trovino spesso in proscenio per una felice vicinanza con direttore-primo violino e conseguente fonte sono-ra orchestrale.

Tutta l’iconografia ci conferma la pratica del canto sul proscenio fino al 1860 circa, co-me si vede nell’immagine seguente, che rappresenta la Royal Opera at Covent Garden di Londra.

Fig. 2. - Una rappresentazione operistica al Covent Garden di Londra nel 1847.

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Ulteriori benefici della direzione al violino possono essere, per esempio, la evidente facilità nel recitativo accompagnato. La gestione meno meccanica rispetto alla bacchetta regala ai cantanti una libertà d’espressione incredibile e li accompagna ad ottenere rigo-re nelle arie e nei pezzi concertati da una parte, e rilassamento e “umanizzazione” dei re-citativi accompagnati dall’altra.

Il secondo esempio riguarda la gestione dei cambi di tempo durante i concertati o le arie (che abbondano nelle partiture di Bellini, Donizetti e incluso Verdi). Chi dirige (o per meglio dire, dirigeva ) dal violino è quasi obbligato a trovare tra i cambiamenti di tempo una equivalenza di pulsazione che permetta la facile gestione degli stessi. Non dimenti-chiamo che i tempi di esecuzione e di apprendimento di una nuova partitura erano sem-pre piuttosto stretti e di gestione non facile.

Parte integrante di questo problema sono infatti gli ingressi repentini di nuovi tempi, a volte resi ulteriormente difficili dall’ingresso del coro, così come gli stessi interventi co-rali in momenti di recitativo accompagnato. Sarebbe impossibile gestire gli stessi senza due accorgimenti sostanzialmente in relazione con la pratica dell’epoca: il primo (partico-larmente interessante sotto il profilo delle nuove conoscenze relative al recitativo accom-pagnato già nel diciottesimo secolo) è la mia personale convinzione che le armonie lun-ghe tracciate dagli archi non sono necessariamente scritte per essere eseguite tenute per tutto il loro valore. Molti esempi infatti smentiscono questa pratica, grazie ad indicazioni specifiche del compositore in partitura quali “tenuto” che ci fanno pensare, senza dub-bio, che la pratica di suonare i lunghi accordi accorciandone il valore così come normal-mente li esegue un musicista ad arco nel recitativo secco, sia la stessa da utilizzare a vol-te per l’orchestra in quelli accompagnati

Nella mia esperienza Verdiana del Macbeth (edizione del 1847), la libertà del recitati-vo (quello che Verdi tanto chiese ai suoi interpreti) può spesso essere gestita dal violino-direttore, creando un effetto che trovo affascinante.

Il secondo accorgimento riguarda la gestione del passaggio da un recitativo ad un con-certato complesso o ad un pezzo vocale (quindi impossibile da dirigere al violino), mec-canismo che spesso trova soluzione proprio nella scrittura stessa che impiega soluzioni agogiche che si prestano a lasciare il pezzo precedente con lo stesso tactus, per battere immediatamente il tempo con la mano o lo stesso archetto del violino.

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Il seguente esempio è tratto dalla Maria Stuarda di Gaetano Donizetti, opera andata in scena alla Scala nel 1835:

Per quanto riguarda l’abuso che nelle interpretazioni di oggi si fa del “rubato”, che co-stringe a volte ad un accompagnamento a “elastico”, non è in questa sede che vogliamo smentirne la veridicità storico-esecutiva; per altro il tema del rubato in musica ha prodot-to testi interessantissimi che invito a leggere. Ciononostante dobbiamo affermare in ma-niera indiscutibile che dal primo Ottocento l’abbondanza nelle partiture di definizioni qua-li “colla parte” oppure “abbandonandosi a piacere” o ancora “con libertà’” è segno inequivocabile di dove il compositore chiede e desidera una attesa al tempo. Bisognereb-be quindi astenersi dalla pratica della rottura dell’agogica e piuttosto creare una libertà

Esempio 1. - Gaetano Donizetti, Maria Stuarda, parte seconda, scena IV.

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CONFERIMENTO DELLA LAUREA MAGISTRALE IN “MUSICOLOGIA” a Fabio Biondi

che ne protegga la pulsazione. Dirigendo al violino, esiste un limite che chiamerei “fisio-logico” ad attendere costantemente i cantanti nelle arie e cabalette e che rende meno ef-ficaci la libertà e la teatralità dei recitativi.

Tornando ora per un momento agli strumenti a tastiera, vorrei ricordare che l’abban-dono di questi in orchestra per dirigere è un fatto da non anticipare agli anni 1840-50 (difficile una datazione esatta poiché esso risulta anche dal progressivo abbandono delle partiture legate alla pratica del recitativo secco, quindi quelle considerate “antiche”, e in-sieme a queste anche del ruolo di primo violoncello al cembalo per il quale si richiede-va, oltre al buon gusto, conoscenza dell’armonia e capacità di suonare accordi improvvi-sati sull’armonia del basso).

Interessante notare che per alcune di queste partiture come per esempio La Ceneren-tola di Gioachino Rossini (composta nel 1817, titolo rimasto in voga praticamente per tut-to l’Ottocento) vengono composti espressamente recitativi accompagnati dall’orchestra, per abbandonare i recitativi secchi ritenuti ormai fuori moda

Nonostante questi esempi, si può dire che gli strumenti a tastiera restano comunque in orchestra per vari utilizzi, che vanno da una cooperazione direttoriale, ad una realizza-zione vera e propria del basso in termini armonico-strutturali o ancora per un uso per-cussivo-agogico fino al 1845 circa (ricordo sempre che qualsiasi datazione rischia di es-sere smentita alla luce di future fonti documentali).

Mi piace dire in questa sede che è legittimo opporsi alla fonica di questi strumenti in un repertorio (quello operistico) così caro ai melomani. Constatiamo però che anco-

Esempio 2. - Gioacchino Rossini, La Cenerentola, atto II, scena I, recitativo di Don Magnifico.

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ra oggi si trovano tra il pubblico parecchie persone che si stupiscono nell’ascoltare una sinfonia di Mozart che abbia un cembalo o un fortepiano in orchestra ; certo è che, se si può accettare una considerazione di gusto, non si può però in alcun modo parlare di una illegittimità nella scelta della tastiera per il periodo che va dal primo barocco al ro-manticismo.

Alla fine di questo percorso, che si autoproclama non esaustivo per ovvie ragioni, vor-rei accennare delle conclusioni: l’esistenza della figura del violinista–direttore è inequivo-cabile fino alla metà dell’Ottocento. Le considerazioni su questa figura invitano ad una ri-flessione anche sui contenuti interpretativi dell’epoca. I libretti d’opera, le fonti musicali, la documentazione, tutto ci invita a pensare con interesse a questo musicista, a cui i com-positori si affidavano per la buona riuscita delle loro composizioni. Esso incarna la figura del virtuoso conoscitore e del dotto musico di formazione che guidava alla luce dell’espe-rienza percorsi di cambiamento di stile sorprendenti. Musicisti che, come Alessandro Rol-la o Giuseppe Scaramelli, l’uno alla Scala di Milano e l’altro a Trieste, seppero rimanere all’avanguardia in un periodo compreso tra la fine del Settecento e le porte dischiuse del Romanticismo.

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CONFERIMENTO DELLA LAUREA MAGISTRALE IN “MUSICOLOGIA” a Fabio Biondi

Stampato dal Centro Stampa d’Ateneo

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