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CONCORSO VITTORIO ALFIERI – ASTI 2015 Risultati finali Formazione della giuria Per la sez. lingua italiana: Presidente: Prof. Aldo Gamba Docente di lettere all’Istituto Tecnico “Artom” di Asti, docente alla Università della terza età di Asti. Ha scritto vari libri, Giornalista Dott.ssa Mariangela Li Santi Giornalista della “Gazzetta del Mezzogiorno” di Bari Dott. Paolo Raviola Esperto in comunicazioni, ha scritto 5 libri sulla storia e la cultura locale, ex capitano del Palio di Asti, laureato in giurisprudenza, direttore di 5 giornali Per la Sez. lingua piemontese Presidente: Michele Bonavero Docente e studioso della lingua piemontese Attento alla cura della grafia. Prof. Gianfranco Pavesi Docente di lingua piemontese esperto conoscitore della grammatica e della cultura piemontese Dott.ssa Clara Nervi presidente di una associazione culturale piemontese ed esperta della lingua e della cultura piemontese

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CONCORSO VITTORIO ALFIERI – ASTI 2015Risultati finali

Formazione della giuria

Per la sez. lingua italiana:

Presidente: Prof. Aldo Gamba Docente di lettere all’Istituto Tecnico “Artom” di Asti, docente alla Università della terza età di Asti. Ha scritto vari libri, GiornalistaDott.ssa Mariangela Li Santi Giornalista della “Gazzetta del Mezzogiorno” di BariDott. Paolo Raviola Esperto in comunicazioni, ha scritto 5 libri sulla storia e la cultura locale, ex capitano del Palio di Asti, laureato in giurisprudenza, direttore di 5 giornali

Per la Sez. lingua piemontesePresidente: Michele Bonavero Docente e studioso della lingua piemonteseAttento alla cura della grafia.Prof. Gianfranco Pavesi Docente di lingua piemontese esperto conoscitore della grammatica e della cultura piemonteseDott.ssa Clara Nervi presidente di una associazione culturale piemontese ed esperta della lingua e della cultura piemontese

Per la sez. Libri

Presidente: Dott. ssa Liliana Nosenzo Commercialista, bibliotecaria ed amante della buona lettura, attenta al rispetto della buona scrittura. Prof. Pasquale Caccavale conoscitore della lingua e della cultura italiana e piemontese

Prof.ssa Maria Daniele amante della lettura più volte ha fatto parte di giurie di letteratura italiana.

1°) con la poesia: “La mia gente” di Grazia Godio di MilanoMotivazioni:Un omaggio alla gente contadina, al suo settore, alla caparbietà che non si incrina di fronte all’eterna paura di un tuono lontano.Una canzone d’amore che si snoda tra immagini scolpite da un linguaggio essenziale, immune dai facili sentimentalismi ma non alla tenerezza e all’orgoglio.

La mia gente

Ha. la mia gente, lo splendore violento dei papaveri

accesi nei fossi angusti dei cavalcavia

a primavera e la leggerezza assurda della nuvola

sospesa sulla pigra superficie del meriggio.

E’, il sangue, indomabile circolo di fuoco

in lotta sorda con il vento dei mulini, a catturare l'ansia dello sguardo fisso all'orizzonte,

mossa dai nuovi colori dei mille travestimenti

del tempo.È sola e non dispera,

duttile figlia della terra; travolta dai fiumi di fango una sera;innocente rinasce, umile filo d'erba,

un mattino.

2°) con la poesia: “Il pinista di Yarmouk” di Tiziana Monari di Prato

Motivazioni:Una delicata ode ad Acham, Ahmad, il pianista che fino a pochi giorni fa regalava le sue note tra le rovine di Yarmouk, ma soprattutto un elogio dell’arte come strumento per sfuggire alla desolazione della guerra, descritta con la meticolosità del cronista e la sensibilità del poeta.

Il pianista di Yarmouk

Ogni giorno nelle pause di pioggia battentequi nell'inferno di Yarmouk si sente Beethoven

una musica dolce che stringe nel ventre creature d'amoreche scivola su anime spente, su stanze sbreccate

sull'assedio di una terra sporca di humus, feconda di lacrime madriogni giorno Ahmad

la maglia stracciata posata sul corpo smagritofa scivolare le dita su tasti d'avorio e di ebano

nei silenzi di poche parolein chimere di pescatori e di reti

e racconta una storia di mari lontaniinventa un'allegra canzone

perchè si possa morire cantando con negli occhi un bagliore di stelle.Cosi a sera si sogna un baluginare di lucciole

mentre tutto si perde in un urlo di prefica in un parto urlato alla luna

in una falce affilata che arriva danzandoqui dove non ci sono piante da bagnare al mattino

giochi di carte, dadi truccatio delfini che saltano in scia

la neve sui rami o margherite nel boscosolo questa musica lieve

che riporta l'eco di vite perduteil profumo di legno e di tiglio

e lo scolo del villaggio più a monte.Su bambini accampati tra le nuvole ed il cuore.

3°) con la poesia: “Attesa sul lago” di Maria Carmela Mugnano di Roma

Motivazioni:

Il ritmo volutamente lento, che accompagna lo sguardo mentre fruga nel tramonto per cogliere immagini di serenità, tradisce un sottofondo di fremiti intensi e di bagliori consumati in un attimo di vita che i versi catturano e descrivono con pennellate sapienti, essenziali, efficaci.

Attesa sul lago

Ho amato la ginestra,sole nascente sull’umido del lago,

e quel cavallo bradoche lento pascolava sulla cresta

vicino al casolare.Ho vagato tra i rami del salice,

ciglia dell'occhio d’acqua della terra,a scoprir la ruga di un rivo,

lacrima in fuga dalla struggente paceche in un perfetto calice è racchiusa.

E ho visto la quercia secolareprotendere le braccia

- le sole che conoscono il passaggiosullo specchio incantato -

a trattenere il raggioche, ultimo, abbandona la partita

di un sopraffatto giorno…… Fonde il silenzio i volti delle sponde,

il buio è pietra calata sul respiro delle foglie,e toglie ogni profilo al tuo orizzonte.Ma l’attesa, ascolta bene, trova voce

nell’accorata e quieta cantilenadi quello storno che racconta al noce

la rinnovata pena di quell’ora…quando una triste sorte ruba l’ombraalla bellezza, e poi la sparge intorno!

Poesia in lingua piemontese

1°) con la poesia: “L’illusionista” di Luigi Ceresa di Novara

Ci sono le illusioni naturali e ci sono quelle artificiali generate dall’abilità di persone dotate di doti particolari, per qualcuno solo giochi di prestigio, ma solo la mano e la mente che controllano i gesti ne conoscono i retroscena. Risvolti d’invenzioni visive che nascondono una realtà molto più personale, un’umanità che si cela nel gesto stupefacente, ma con essa non si annulla, anzi rimane viva e importante sia pura racchiusa in un mondo privato che mai non riesce a emergere, pressato com’è da esigenze di sostentamento. Bella composizione che rivela un’attenta osservazione e traspone una realtà evidente su un insieme di problematiche che troppo spesso sono dimenticate dall’osservatore distratto. Ottima la scrittura e la grafia.

L'Ilusionista(Èl panèt ross)

Al tirava fora 'n sachetin faicont on panèt, on panèt ross.

Peu a la frocava denta '1 pugn,dasi dasi agh bofava sù 'n fià:

èl panèt al volava via'mè na ni vola int el cel!

A la saveva madomà lu:penser, amor e passiòn,dispiasé, ilusiòn, dolor

in col sachèt l'èva sarà sù.

Col bof a la libarava de tut;i sparìvan ij malinconii,

al gniva zéval 'mè na piuma,seren 'mè 'n fiolin 'pena nassù.

Tut int on colp al smorsava la lum insèma ij so penser,

content al sarava j'eucc e incanta al viscava ij sògn.

Ma quand a l'amava la nostalgìa de nasà èl profum dij fior, sentì el romor dij làgrimi

o él savor brusent d'on basin,

quand al pensava che ij pausi di'ànima i s'hévan dislinguà,

l'èva 'sè slongà la man int el cel 'mè per branca na nìvola

per sentì int èl pugn bat fòrt èl cheur e trova ij ricòrd, l'amor, ij dolor

sarà int on sachetin fai sù cont on panèt, on panèt ross...

Traduzione:L’Illusionista(Il fazzoletto rosso)

Tirava fuori un sacchettino fattocon un fazzoletto, un fazzoletto rosso.

Poi lo metteva nel pugno,pian pianino gli soffiava sopra un alito:

il fazzoletto volava viacome una nuvola nel cielo!Lo sapeva solamente lui:pensieri, amori e passioni,dispiaceri, illusioni, dolori

in quel sacchetto aveva rinchiusi.Quel soffio lo liberava di tutto;scomparivano le malinconie,

si sentiva leggero come una piuma,sereno come un bimbo appena nato.

In un attimo spegnevala luce insieme ai suoi pensieri,

contento chiudeva gli occhie incantato accendeva i sogni.

Ma quando lo rodeva la nostalgiadi annusare il profumo dei fiori,sentire il rumore delle lacrimeo il sapore urente di un bacio,quando pensava che le pausedell’anima si erano sciolte,

bastava allungare la mano nel cielocome per acchiappare una nuvola

per sentire nel pugno battere forte il cuoree ritrovare i ricordi, l’amore, i dolori

chiusi in un sacchettino fattocon un fazzoletto, un fazzoletto rosso…

2°) con la poesia: “ Marieta” di Franco Giuffrida di Novara

Motivazioni:

Una borsa come evidente contenitore di speranze sfumate, d’illusioni svanite, di struggimenti esistenziali ricorrenti, di tormenti annegati nelle vanità di un bicchiere di vino. Una figura femminile, vissuta ai margini del confine fra l’irregolarità, l’anarchia e la condanna morale del perbenismo. Una storia, una vita distrutta dalle coincidenze e dalle situazioni vissute senza volerle, ma subendole con la mancanza di una forza vera per contrastarle. Il risultato finale è tragico, forse inevitabile, ma resta comunque inconcludente e insufficiente per una coscienza che chiedeva solo comprensione. Buona versificazione in rima con attenzione alla metrica.

Marièta

Già da lontan, Marieta, magarìapòvra ma dolsa 'nt l'aria l'arbutava

a sbalcà '1 cheur... Incheu, de spèss, m'arzìaél ricòrd èstrugent de cola bava

'd vita, ca ti strusavi in cola borsa straplà, cont j'eucc pardù 'nt él vói, la boca

sdincià, a pèrd ij goti 'd vin, de scorsa, straca fòja strussià che ij sass la toca...

Cola borsa... camota tencia scòssa andoa ti scondevi la speransa

del fieu... mai 'vù, per sémpar ormai pòssa... insèma al bisògn trust dé vegh na stansa.

Tit pogiavi suj pra, cussin ij viòli ancora na cansón... da nina nana

per él tò òm... lontan on rid ed fiòli, peu '1 sògn, tanto spicià, come la mana...

Criatura sprusc-là 'd cavèj, de vésta, danà disperassiòn ti ti cantavi,

fòrsi doma ai mè eucc dora, celèsta... quando, dasi... él Signor, Lu, ti damavi.

Gena 'd rosa av quarciava là s'na sponda brascià a l'ombrìa d'ona frésca rola... come sposin, d'amor lusent a l'onda:

la mòrt... ona cansón per semp in gola.

3°) con la poesia: “Am piasarìa piturà l’amor ” di Angelo Ettore Colombo

di NovaraAmore, sentimento che permea la vita di molte persone ma che sovente è assai difficile da definire, figuriamoci poi volerlo dipingere con le parole. L’autore si avventura in questo tentativo ripercorrendo vari momenti di quest’amore che può averne caratterizzato l’esistenza e lo fa in modo semplice, efficace e non retorico. Ne nasce un componimento piacevole alla lettura che porta il lettore a una conclusione che, forse, è anche una delle motivazioni principali di questa ricerca: il tempo scorre e con esso l’amore che cambia e si trasforma, e sempre di meno ne resta per descriverlo. Buona scrittura e osservanza delle regole di grafia.

Am piasarìa piturà l’amor

Am piasarìa piturà l'amorscèrn in mès a on montòn

d'on miliòn de colordagh ona forma mia ben definì

cont on mugg de noansma anca con dij tinti sfuma

ansèma con turi ij tonalità de ross.Am piasarìa piturà l'amor

col ver, eh'a tè smòrsa la vose che at fa sémpar cor.

Ona figura ch'la veur dì gnenta e tutch'as capissa sensa bzògn de scriv,

come se al fussa él temp brutche ti sè mia dova al comencia o al fìnissa.

Am piasarìa piturà l'amorcol per él mè anvod, ùnich e vissià

che int la mè vita am juta a tegn dure am dà tuti ij di la fòrsa de mia lassam andà.

Pròpi on color cilèst 'mè on cel serenche madomà a vardal tit senti ben

e eh'a scascia via dal mè còrp tanti velen.Am piasarìa piturà l'amor

col d'ona vòlta, mia permèss e vargognossol cont ij man int ij man e du basin

col che dasi dasi at faseva, peu, gnì dij sposcon denta tanti verd dia speransa

e ch'ai diventa pussè cargàde già ch'ai temp l'avansa.

Traduzione:

Mi piacerebbe dipingere l’amore

Mi piacerebbe dipingere l’amorescegliere in mezzo ad un mucchio

d’un milione di coloridargli una forma non ben definita

con tantissime gradazionima anche tinte sfumate

insieme a tutte le tonalità dei rossi.Mi piacerebbe dipingere l’amorequello vero, che ti spegne la voce

e che ti fa sempre correre.Una figura che vuol dire niente e tutto

che si capisca senza bisogno di scriverlo,come se fosse il tempo brutto

che non sai dove comincia o finisca.Mi piacerebbe dipingere l’amore

quello per mio nipote, unico e viziatoche nella mia vita mi aiuta a tenere duro

e mi da tutti i giorni la forza di non lasciarmi andare.Proprio un colore celeste come un cielo sereno

che solamente a guardarlo ti senti benee caccia via dal mio corpo tanti veleni:

Mi piacerebbe dipingere l’amorequello di una volta, non libero e pudicosolo con le mani nelle mani e due bacini

quello che adagio adagio ti faceva, poi, diventare sposicon dentro tanto verde di speranza

e che diventa più caricoDi già che il tempo trascorre.

Narrativa in lingua piemontese

1° classificato: “Sinfonìa dë color” di Luigi Ceresa di Novara

Un colpo secco, uno sparo, una notizia sui giornali o nei notiziari. Questo potrebbe essere il sunto dell’avventura di una pallottola sparata da una carabina. Tuttavia può anche non essere così, ci può essere un modo più poetico di descrivere un avvenimento di per sé orribile come un omicidio. E questo modo lo ritroviamo in questa sinfonia di colori, dove sono appunto loro, i colori, a essere corollario alla notizia nuda e cruda. Pennellate di colori che rivestono le parole di questo racconto che a qualcuno può fare ribrezzo per una possibile efferatezza descrittiva, per un modo magari superficiale di approcciarsi alla morte violenta di un uomo, fatto comunque deprecabile. Però se lo si guarda dal punto di vista della descrizione poetica, con un tentativo di immedesimarsi in quella testa che prende una decisione fatale, quell’occhio che inquadra il bersaglio nel mirino e nel dito che premerà il grilletto e cercarvi delle motivazioni ecco che la lettura diventa diversa, forse anche piacevole nell’angoscia del finale. Ottima l’impostazione narrativa e anche la grafia utilizzata.

Sinfonìa dë color

Im hò doverdù ’mè ’l git d’on fior, on fior ch’al profuma dë metal, dë sangh, dë mòrt.Dèss, pocià denta sti carni squarscià, i sprofondi sémpar pussè sota, int on mond sensa tinti.Da ani i sôn gnù vègia loà int on pòrta-palòtoli dë coram.Ël mè bèl color giald, lusent ’mè l’òr, con la tèsta negra ’mè ’l piomb, l’è gnu vargantà dë smagi dë verderam.I sevi rassegnà a morì dismentigà për sémpar, arzijà d’ij àcid dovrà për conscià la pèl. Ma incheu, tut int on colp, i sôn sentù ël calor ëd na man sudà ch’am ha ciapà, e peu ël frègg ëd na camisa d’assal ch’am ha stringiù con amor.I sôn stai lì ’mè int ona tomba, për ori int ël top e int ël silensi.Peu… on romor lontan, coma d’on motor…I sôn sentù ël forsié d’assal mòvass e a la fin dël longh cilìndar i sôn sguissì ’n ciar: on bleu con denta dël bianch e dël ross d’on cel con l’ùltim sparlôn dë sól.“L’è ora! -i sôn pensà- A la bonora ël destin ch’i sôn nassù al sarà fai!”.Ël sercin dë cel a la fin dla cana dla carabina a s’ha movù in prèssa, l’è andai giò sul pel ëd l’aqua grisa e bleu celestin, peu pian pianin l’è inquadrà la facia, negra dal sól, d’on fiolòt; a s’ha sbassà sul color négar ’mè’l carbôn dla maja dë goma ch’agh quarciava ël stòmigh.A s’ha farmà.In col moment lì i sôn capì. “Nòòò! -i sôn vosà- Nòòò! I sôn mia nassù për lu! Nòòò…!”Ël vegg al speciava l’autun cont on desideri dë sta pu ’nt la pèl.Al podeva mia s-ciarà l’està con tuti cuj romor: ël bragalà dla gent in vacansa, ël ciadèl dij fiolin ch’i giugàvan, l’avanti ’ndré dij màchini suj stra dël lagh, ël tramento fracass dij barchi a motor ch’i sa spostàvan a tuta bira tribolanda ël pel ëd l’aqua për andà dova? a fà che ròba?Ma parchè ja proibìvan mia, lassanda madomà ij veli spostà in silensi dl’Invèrna, la brisa ch’la gneva giò d’ij montagni!Ma finì l’està tut al tornava a la sò cadensa, ai romor dla natura.La matina da bonora al guardava la nebièta ch’as levava pian pianin, cont ël pass ëstrach, për svanì int ël gnenta lassanda smicià la ròca d’Arona ch’as pociava int ël lagh për fàss aqua.

E peu sù për ël di, ’mè ’n fiolin a s’imbambolava a slumà, int ël cel ch’al smejava na quèrta bleu, ij nìvoli ch’is giontàvan, is lassàvan, sagomanda na vòlta on dindo, na vòlta on can, na vòlta la grègna d’on vegg për peu s-ciancass in tanti squarsc impinì d’on gnenta dël color dla carta da sùcar.Al rimirava ij barchi cont ij veli sgonfià dal vent e al sorideva d’imparlù pensand: “Ij veli i hin bianchi ’mè ’l lir, ma ël legn l’è bianch ësporch ’mè la panscia dij mònighi!”.Al rimirava ël color dij barchi tacà visin a riva: bluèt ’mè ël vel dla Madòna, giald ’mè ’l safran, argent ’mè na lama giascià d’on fium, gris ’mè j’eucc d’on mòrt, verd ’mè la miseria dij sò sacògi…Al guardava, al guardava e al sognava speranda ch’al di al sarìa mia finì prima dë disvigiass.Vèrs sera la tranquillità as notava ancora pussè.J’ombrii i së slongàvan e ij scimi dij pianti i spantegàvan tuti insèma sinfonii dë color.Ël ross viscà e ’l marôn dorà dël ram gnù vegg o col opach ’mè ’l tabach i févan da prim ator.Ij fòji fai sù a scartòsc, vuna për vuna as distacàvan dij rami, madomà na quaivuna as rivoltava e la stava con ostinassiôn al sò pòst impipàndassan dël vent e dla stagiôn.Renta ij spondi l’èrba d’on color verdusin, negà int ël lagh, as lassava pià d’ij gàboli dl’arièta legera faséndass cunà int on quaièt andà e gnì……Al saveva ch’al sarìa capità ancora, anca cola sera- lì.Al gh’heva ij nèrv tirà, j’orègi pronti a sentì ancora na vòlta col romor, col trôn ch’al squarsciava ël silensi e al s-ciopava int la sò scervèla.L’è sentù ’n ronzà lontan, peu pussè fòrt, sémpar pussè fòrt! Tal-lì! Tal-lì anca cola sera!Na mòtò d’aqua l’è comparì a pòch métar dla sponda, peu l’è comincià (ma parchè pròpi lì dannai a lu?) a fà dij ondi e a strimì ij pèss ch’i saltàvan fòra d’l’aqua ’mè scalmani d’argent e j’angni salvàdighi dal còl sbarlusent ch’i scapàvan piand ël vol d’la riva.E peu a s’ha farmà int ël mès dij tiramolin për partì ancora a manèta saltanda su j’ondi.Vuna, dò, des vòlti! Tuti ij seri!! D’autun!!!“Sa ti torni doman la sarà l’ùltima vira!” l’heva giurà la sera prima.Tut l’eva pront. Ij persiani dë cà sarà sù, madomà la gelosìa dël salôn ’pena dovèrdù ’n cicin.In cò dla stansa, pogià su ’n tripé, la carabina l’eva cargà.L’è spicià ël moment ch’la mòto l’è ralentà int ël mès dij sercc; ël mirin l’è scarligà dal celèst dël cel al gris ëd l’aqua, l’è cercà la facia scurì dal sól dël fieu, l’è ’ndai giò sul stòmigh quercià da na maja dë goma negra ’mè ’l piomb; a s’ha farmà…Peu vun drera l’àltar l’è sparà du colp: ël prim a la maja dë goma, l’àltar al serbatòj dla benzina dla mòto. Agh ha smejà dë sentì on “nòòò...” lontan.L’è fai on sorisin. “La mè coscensa l’è vosà nò, ma la mè ment l’è dì sii! Massà l’è na fèsta, l’è ’mè on pàss dë bal, ël sangh al dà sémpar ligrìa!”.L’è tornà ël silensi, s-ciapà për on quai moment dal barbotà dij boli d’aria ch’i gnévan sù da col garbuj dë fèr e carna ch’a ’ndava a fond int on ùltim tiramolin.Sù in alt ij pianti i sfrangiàvan ël profil dij colini ricamand ël cel ross viv con la ragnèra dij sò ram. Int on pìcol fià dël di ël ross dël cel a s’ha dislinguà int ona nebièta ch’la gneva sù d’l’aqua…Im hò doverdù ’mè ’l git d’on fior, on fior ch’al profuma dë metal, dë sangh, dë mòrt.Dèss, pocià denta sti carni squarscià, i sprofondi giò, sémpar pussè sota, int on mond sensa tinti. Ël ciar a së smòrsa dasi dasi; ij color is mìs-cian vun con l’àltar, tuti insèma: i pèrdan ij sò

qualità, is trósan, i végnan ëscur, sémpar pussè scur; négar, négar ’mè la pesa, négar ’mè ’l piomb dël mè git… Là ’nscima la nòcc as vistissirà cont ël sò mantèl pussè top; la curva straca dla luna la starà sensa ciar. Ël cel, bugiatà d’ij stèli che stracuntà i bataran ij parpèli, al smejarà piang làgrimi dë védar. Doman ël sól ’pena nassù al bevarà la rosà e peu ël di a s-cioparà int ona neuva sinfonìa dë color ch’i ripiaran a cantà… Traduzione:

Sinfonia di colori

Mi sono aperta come il bocciolo di un fiore, un fiore che profuma di metallo, di sangue, di morte. Ora, immersa in queste carni lacerate, sprofondo sempre più in basso, in un mondo senza tinte. Da anni sono invecchiata riposta in una cartucciera di cuoio.Il mio bel colore giallo, lucido come l’oro, con la testa nera come il piombo, si è macchiato di striature di verderame. Ero rassegnata ad essere dimenticata per sempre, corrosa dagli acidi usati per la concia della pelle. Ma oggi, all’improvviso, ho sentito il calore di una mano sudata che mi ha afferrata, e poi il freddo di una camicia d’acciaio che mi ha stretta con amore.Sono rimasta lì, come in una tomba, per ore nel buio e nel silenzio.Poi… un rumore lontano, come di un motore…Ho sentito la cassa d’acciaio muoversi ed in fondo al lungo cilindro ho intravvisto una luce: un blu con dentro del bianco rosato di un cielo al tramonto.“Ci siamo !-ho pensato- Finalmente il destino per cui sono nata si compirà!”Il piccolo cerchio di cielo in fondo alla canna della carabina si è spostato velocemente, è sceso sulla superficie di un’acqua grigia e azzurra, poi lentamente ha inquadrato il viso abbronzato di un ragazzo; si è abbassato sul colore nero come il carbone della muta che gli copriva il petto.Si è fermato. In quel momento ho capito. “Nooo! -ho gridato- Nooo! Non sono nata per lui! Nooo…!” Il vecchio aspettava l’autunno con un irresistibile desiderio.Odiava l’estate con tutti quei rumori: le urla dei turisti in vacanza, le grida dei bambini che giocavano, il viavai delle macchine lungo le strade del lago, il tremendo fracasso delle barche a motore che si spostavano a gran velocità disturbando la superficie dell’acqua; per andare dove? per fare cosa? Ma perché non le vietavano lasciando spazio solo alle vele mosse silenziosamente dall’Inverna, la brezza che scendeva dai monti!Ma finita l’estate tutto ritornava ai ritmi, ai rumori della natura.Al mattino presto osservava la nebbia che si alzava lentamente, con passo stanco, per svanire nel nulla, lasciando intravedere la rocca di Arona che si intingeva nel lago per diventare acqua.E poi durante il giorno, come un bambino, si perdeva a guardare, in un cielo che sembrava una coperta blu, le nuvole che si univano, si lasciavano, formando ora un tacchino, ora un cane, ora la smorfia di un vecchio per poi lacerarsi in tanti strappi riempiti da un nulla del colore della carta da zucchero. Contemplava le barche con le vele gonfiate dal vento e sorrideva da solo pensando: “Le vele sono bianche come un giglio, ma lo scafo è bianco sporco come il ventre delle monache!”.Ammirava il colore delle imbarcazioni ancorate vicino alla riva: turchino chiaro come il velo della madonna, giallo come lo zafferano, argento come la lama gelata d’un fiume, grigio come gli occhi d’un morto, verde come la miseria delle sue tasche…Guardava, guardava e sognava sperando che il giorno non finisse prima del suo risveglio.

Verso sera la quiete era ancora più evidente. Le ombre si allungavano e le chiome degli alberi spandevano in coro sinfonie di colori. Il rosso acceso ed il marrone dorato del rame invecchiato o quello opaco come il tabacco diventavano i protagonisti.Le foglie accartocciate, ad una ad una stancamente si staccavano dai rami, solo qualcuna si ribellava e stava ostinatamente al suo posto facendosi beffe del vento e della stagione.A riva l’erba d’un colore verde smunto, annegata nel lago, indugiava alle lusinghe della brezza leggera, lasciandosi cullare in un lento va e vieni……Sapeva che sarebbe successo ancora, anche quella sera.Aveva i nervi tesi, le orecchie pronte a cogliere ancora una volta quel rumore, quel boato che squarciava il silenzio ed esplodeva nel suo cervello.Sentì un ronzio lontano, poi più forte, sempre più forte! Eccolo! Eccolo anche quella sera!Una moto d’acqua comparve a pochi metri dalla riva, poi incominciò (ma perché proprio lì davanti a lui!?) a fare delle onde e a spaventare i pesci che schizzavano fuori dall’acqua come saette d’argento ed i germani dal collo iridescente che fuggivano in volo dalla riva.E poi si fermò nel centro dei mulinelli per ripartire a tutto gas saltando sulle onde.Una, due, dieci volte! Ogni sera!! In autunno!!!“Se torni domani sarà l’ultima volta!” Aveva giurato la sera precedente.Tutto era pronto. Gli infissi di casa chiusi, solo la gelosia del salone appena socchiusa.In fondo alla stanza, posata su un treppiedi, la carabina era carica.Aspettò l’attimo in cui la moto rallentò nel centro dei cerchi; il mirino scivolò dal celeste del cielo al grigio dell’acqua, cercò il viso abbronzato del ragazzo, scese sul torace ricoperto da una muta nera come il piombo; si fermò… Poi tirò in rapida successione due colpi: il primo alla muta, l’altro al serbatoio della moto. Gli parve di sentire un “nooo…” lontano.Sorrise. “La mia coscienza ha gridato no, ma la mia mente ha detto sii! L’assassinio è esultanza, è come un passo di danza, il sangue dà sempre allegria!”.Ritornò il silenzio rotto per pochi istanti dal gorgoglio delle bolle d’aria che si alzavano da quel groviglio di ferro e carne che andava a fondo in un ultimo mulinello.In alto gli alberi interrompevano il profilo delle colline ricamando il cielo porpora con la ragnatela dei loro rami. In un breve respiro del giorno il rosso del cielo andò a liquefarsi nella nebbiolina che si alzava dall’acqua…Mi sono aperta come il bocciolo di un fiore, un fiore che profuma di metallo, di sangue, di morte. Ora, immersa in queste carni lacerate, sprofondo giù, sempre più in basso, in un mondo senza tinte. La luminosità si spegne lentamente; i colori si mescolano uno con l’altro, tutti insieme: perdono le loro caratteristiche, si confondono, diventano scuri, sempre più scuri; neri, neri come la pece, neri come il piombo del mio bocciolo…Lassù la notte metterà il suo mantello più scuro; la curva stanca della luna rimarrà senza luce.Il cielo, trapanato dalle stelle che stupite batteranno le ciglia, sembrerà piangere lacrime di vetro. Domani il sole appena nato berrà la rugiada e poi il giorno esploderà in una nuova sinfonia di colori che riprenderanno a cantare…

2° classificato: “La mè sorela” di MIna Mazzotti di Novara

Momenti tragici quelli trascorsi al capezzale di un morente, momenti indelebili nella mente e macigni nella memoria. Tutti questi momenti li ritroviamo in questo scritto che può essere una lettera d’addio, un ricordo accorato e commosso o anche solo un tentativo di trovare delle motivazioni per andare innanzi, per voltare la pagina del libro senza dimenticare le precedenti.Non sappiamo sia una vicenda autobiografica, ma la schiettezza dell’esposizione e la precisione dei riferimenti lo fanno presumere, tuttavia questo non farebbe che aumentare il valore del testo che attinga a quei sentimenti veri e forti che spesso il dolore confonde e rende sfumati. Buona scrittura con terminologie esatte.

La mè sorèlaTraduzione:Sôn chì renta ti e it guardi. Ti sè lì ’nt ël lecc dl’ospidal con tanti canèti tacà dapartut. Im tegni denta ël mè magôn, pòdi mia piangg. I la farò dòpo, intant ch’i vò cà. Dèss i devi dì dij stupidadi e fà finta dë gnenta. Ma che fadiga për mi! I sò mia për quanto temp ancora ti sarè chì. Mi i vorarii për sémpar, ma anca che tut al fornissa, sùbit, i në pòdi pu dë ved la tò soferensa. It parli, fôrsi tim capissi parchè ti fè boca da rid. Int la mè ment a gh’è comè tanti fotografii. It vedi ancora quand ch’a gh’eva ël tamporal, ti ti gh’avrè vù ses o sèt ani. Ti piavi ël tò cadrighin impajà e l’ombrèla gròssa dël papà e ti ’ndavi in mès dla cort a sentì l’aqua ch’la gneva giò. La mama la bragalava per fàt gni ’n cà, ma a ti at piaseva tanto e ti stavi là fin ch’a finiva dë piòv. O quand ch’i giugàvan int ël pra dadré dla cà a fà la lòta e a sbatass in tèra. A perdeva chi l’è ch’a ’ndava giò për prima. Ti vincevi quasi sémpar parchè ti sevi la pussè fòrta e mi i ridevi e gnevi mòla e ’ndavi giò ’mè on salam. O cola vòlta cà dla nòna che i soma gnù giò insèma për la scala dla stansa a la cusina, peu t’hò pià scavalegia e i gh’oma fai cred ch’i t’hevi portà giò insì. Le momenti agh ciapava on colp për ë’ stremissi. E nun dòpo i soma ridù tanto. O quand ch’it portavi sul parafanga dla biciclèta dla mama, cola biciclèta verda che nun i la ciamàvan “ël ciclôn” e ògni tant i févan on crapasc. Ma i stàvan ëschisci parchè la mama la gneva rabià e i sarìan ciapà na cadoa. It vedi ancora butà giò ’n tèra për fà ij cómpit quand ti gnevi cà da scòla. At piaseva pòch andà a scòla. Quanti euv dij sò galini la nòna a gh’ha portà a la maèstra për fagh sarà on eucc! Ma la maèstra at voreva ben parchè ti savevi fà e t’avrìa mai bocià.At piaseva schersà. Anca quand l’è nassù ël tò fieu e mi i sôn gnù a trovat al San Giulian. Ti m’hè dì: «Và a védal al nido, ti pòdi mia sconfóndal, l’è ël pussè brut, a gh’ha la facia ’mè on conin». Quanti ridadi insèma!Com l’è difìcil tegn giò sto tramento grop ch’a më stròssa!Dèss t’sè ’ndai. Dòpo tanti di passà insèma a l’ospidal a më smea ch’i gh’hò pu gnenta da fà.Sôn chì in cà ch’i bamblani e im guardi in gir: ona fotografìa fai insèma sul lagh… on gabaré che ti m’hè regalà për on compleanno… sul tàval col centrino che ti m’hè portà cà d’ona vacansa… Tanti ròbi che i pàrlan dë ti. Ma dèss as deva andà avanti… anca s’l’è tanto, tròpa dura cred che tigh sè pu.

Traduzione:Mia sorella

Sono qui vicino a te e ti guardo.Sei lì nel letto dell’ospedale con tante cannule attaccate ovunque. Mi tengo dentro il mio magone, non posso piangere.Lo farò dopo, mentre andrò a casa. Ora devo dire stupidaggini e far finta di nulla. Ma che fatica per me! Non so per quanto tempo ancora sarai qui. Io vorrei per sempre, ma anche che tutto finisse subito, non ne posso più di vedere la tua sofferenza. Ti parlo, forse mi capisci perché mi sorridi. Nella mia mente ci sono come tante fotografie. Ti vedo ancora quando c’era il temporale, tu avrai avuto sei o sette anni. Prendevi il tuo seggiolino impagliato e l’ombrello grande del papà e andavi in mezzo al cortile a sentire l’acqua che scendeva. La mamma urlava per farti entrare in casa, ma a te piaceva tanto e stavi là finché smetteva di piovere. O quando giocavamo nel prato dietro casa a fare la lotta e buttarci a terra. Perdeva chi cadeva per prima. Vincevi quasi sempre perchè eri la più forte e io ridevo e diventavo molle e cadevo come un salame.O quella volta a casa della nonna che siamo scese insieme per la scala dalla camera da letto alla cucina, poi ti ho preso a cavalluccio e le abbiamo fatto credere che ti avevo portato giù in quel modo. A lei per poco veniva un colpo dallo spavento. E noi poi abbiamo riso tanto. O quando ti portavo sul parafango della bicicletta della mamma, quella bicicletta verde che noi chiamavamo “il ciclone” e ogni tanto facevamo un capitombolo. Ma stavamo zitte perchè la mamma si arrabbiava e ce le avrebbe suonate. Ti vedo ancora sdraiata per terra per fare i compiti quando tornavi a casa da scuola. Ti piaceva poco andare a scuola. Quante uova delle sue galline la nonna ha portato alla maestra per farle chiudere un occhio! Ma la maestra ti voleva bene perchè eri simpatica e non ti avrebbe mai bocciata. Ti piaceva scherzare. Anche quando è nato tuo figlio e io sono venuta a trovarti al San Giuliano. Mi hai detto: «Vai a vederlo al nido, non puoi confonderlo, è il più brutto, ha la faccia come un coniglio». Quante risate assieme! Come è difficile tenere giù questo tremendo nodo che mi strozza!Adesso sei andata. Dopo tanti giorni passati insieme all’ospedale mi sembra che non ho più niente da fare. Sono qui in casa che gironzolo e mi guardo in giro: una fotografia fatta insieme sul lago… un vassoio che mi hai regalato per un compleanno… sul tavolo quel centrino che mi hai portato a casa da una vacanza… Tante cose che parlano di te.Ma ora bisogna andare avanti… anche se è tanto, troppo dura credere che non ci sei più.

3° classificato: “Tanta sal o tant a sa” di Luciano Milanese di Chieri (To)

Un personaggio strano, quasi fuori dal mondo, di cui ci è raccontata brevemente la vita iniziando dalla fine, cioè dal suo funerale. Un funerale come tanti se non fosse per le particolarità volute e previste, in anticipo, dal medesimo defunto. La sua era stata una vita costellata di stranezze e di lampi d’intelligenza non capita, un estro genialoide che forse aveva sbagliato tempi e luoghi per esistere. Episodi, aneddoti, ricordi di gente che l’aveva conosciuto, apprezzato o deriso. Tuttavia i ricordi sono tutti a far parte del corteo funebre

per far si che non sfuggano alla memoria, ma restino conservati in quella cappella progettata e studiata nei minimi particolari, sino alle scritte e alla cerimonia.Ecco che, elaborando questo racconto descrittivo, l’autore ci fa conoscere il personaggio di «Tanta sal», il suo buffo soprannome, e ci porta a chiederci, con lui, se non fosse proprio un uomo d’intelligenza superiore e quindi che «Tant a sà»?Encomiabile la grafia e l’utilizzo di termini pertinenti alle varie situazioni.

Tanta sal o tant a sa?

Soens, cand artorno al pais për fé visita ai mè al simiteri, mi i vado 'dcò a visité la tomba 'd "Tanta sal", motobin bisara e pien-a 'd misteri, andova da giovo con mè somà andasìo a beiché travers le frà dla caplëtta për vëdde lòn che a-i era andrinta. Dòp l'ultima visita i l'hai pënsà 'd conté la stòria 'd costa caplëtta, ancaminand però da la fin. Ël quindes d'Avril dël 1930, na matin bonora, tramès ëd na fin-a nebiolin-a che ël sol a l'avìa ancora nen dësparà, na pcita procession d'ombre a marciava 'n silensi darera 'n chèr quatà da në spèss tendon nèir. As sentìa nen àutr che lë s-ciopliné dij ciapin dla cobia 'd beu ch'a tiravo 'l chèr e lë schërziné dij lamon ëd fer ëd le roe dzora la stërnìa 'd pere rionde dla piassa, antant ch'a s'anviaravo giù për la stra ch'a pòrta al simiteri. Lì a l'han sotrà Paolin ant n'èrca tombal ëd ciman, butà ant ël mes ëd na caplëtta, fàìta a pòsta për ten-e 'ndrinta n'originala cassia da mòrt; tut da chiel midem progetà e fabricà. A l'é stàit l'ùltim viagi ëd Paolin Provera stranomà "Tanta Sal". Paolin a l'era nà 'l set d'Avril dël 1850 ant un pais del Bass Monfrà, San Salvador, e se as ten nen cont dël boro ch'a l'avìa fàit ël parco sbaliand ël nòm dla mare sël registr ëd le nassense (eror butà a pòst dal tribunal ëd Lissandria mach dòp vint agn) për tuta soa gioventura e për bon-a part dël rest ëd soa vita a l'era restà squasi sconossù da na bon-a part dël pais, foravìa che da j'avzin ëd ca. An gioventura a l'avìa travajà da sëbbré e da botalé ma ël sò mësté pì fosonant a l'era stàit l'òsto; travaj portà anans fin-a a cand a l'era peui artirasse.Antramentre a l'era mariàsse con tala Gelin-a Teresin e, as sa nen cand, a l'era tramudasse a Turin andova a l'avìa arlevà na piòla; l'imprèisa 'd sicur a l'avìa motobin fosonà përchè soa ùltima età a l'avìa passala ant l'asiansa.Ant ij prim des agn dël neuvsent a l'era peui artornà a sò pais ma sensa mojé ch'a l'era restà a Turin andova a l'era peui mòrta ant ël 1926; a l'avìo nen avù 'd famija. A l'era n'òmo motobin angignos e ativ; basta vardé soa ca ( la ciamava "la vilëtta") pien-a 'd decorassion, stucadure, piomb e dë scriture e poesìe sle vòlte e sle muraje; la scala ëd ciman armà, a l' avangarda për col temp là fabricà da chiel midem e a soe spèise ant ël 1914 per coleghé pì an pressa doe stra sla colin-a, ancora conservà come neuva e bele al di d'ancheuj ancora dovsà da la gent dël pais e, për finì, soa edìcola funeraria, n'euvra dabon foravìa.Euvre nen da pòch vist l' età ch' a l'avìa cand a l'ha costruije, tra ij sessantasinch e ij novant'agn, e j'atrass a disposission a l'época. Ma che fisonomia a l'avìa? A-i son nì piture nì fòto, a-i è nen àutr che 'n mès-bustfàit da chiel midem ch'a l'avìa scrivù dzora la làpida: " mistà mia, mi i l'hai create con grand amor .... a l'avìa fàit soa mistà con grand fërvor..." ; chi l'avìa conossulo a conferma che la smijansa con l'original a-i é e descriv Paolin come n'òmo 'd taja media e naturalment ansian.

Monsù Tilio, leva dël 1911, a s'arcordava 'd Paolin, ch'a l'era sò avzin ëd ca e amis e coscrit ëd sò pare grand. A l'era n'òmo sempi e bonari, a parlava 'n dialet turineis. A l'era brios, sèmper con la batùa pronta. As l'arcordava con la barba longa e ij barbis pròpi 'me 'l mes-bust ch'a-i é al simiteri. Am contava d'un fàit, capitaje da giovo cand chiel e sò frel a-i ero 'd fiolòt. Paolin a l'avìa fàit na torta e a l'avìa butala a sfreidé sla fnestra; un tòch via l'àutr, anfiland le man travers la frà, ij doi gagno a l'avìo tirala fòra e mangiassla tuta.Vers sèira cand a l'avìo vist Paolin ven-e anans ant la cort, ël frel a l'avìa ancaminà a tërmolé për la pàu dël castigh ëd nòstr pare ch'a l'era motobin sever, nopà Paolin a l'avìa nen banfà, a l'avìa mach ciamà a nòstra mare s'a l'avìa 'ncora 'n mes lìter ëd làit përchè a dovìa torna fé na torta. Dë dlà 'd sò visagi sever, a l'era nen un vej cagnin o servaj, ansi a l'avìa 'd relassiongrassiose con j'avzin. Monsù Tilio seguitava a conté che Paolin as lamentava soens ëd sò mal dë stòmi, a dovìa mangé leger e arnonsié a tut lòn ch'a-j piasìa 'd pì. A l'era invidios ëd soa avzin-a, Santin-a, përchè a podja mangé ij gnòch e ij macaron.Ël mangè a l'era pròpi 'n sò gròs sagrin, tant che dzora l'epitafi a l'avìa scrivù soa dieta, mant-nùa për pì 'd des agn: làit, euv, uva e pan dë Spagna; ij simboj dla dieta a son scurpì dzora soa làpida dantorn al mes-bust: j'euv, na buta ëd làit, l'uva e na fëtta 'd torta (ël pan dë Spagna). Comsëssìa as mantnìa 'n bon-a salute dal moment ch'a l'era stàit motobin ativ ant l' ùltima soa età. Paolin a vivìa da sol ant soa ca, a l'era separà da la mojé, a travajava tut ël di e a l'era pien d'idèje. Le muraje 'd la ca a-i ero pien-e 'd poesìe, ëd decorassion, e d'angign ch'as savìa nen còsa ch'a fusso; nen tut però funsionava a dover. A l'avìa faìt n'osel ëd bòsch, n'oja con j'ale snodaje e a l'avìa butala dzora la trassa; scond chiel cand a tirava 'l vent le ale a dovìo sbate e 'd conseguensa fé giré na pcita pompa për tiré su l'eva dal poss; a l'avìa mai fonsionà. Giulin-na, n'autra vzin-a 'd ca, leva dël 1906, a contava che Paolin a portava sèmper na mantlin-a nèira e 'n porilo 'n testa; për le fijëtte dël temp un vestiari 'n pò dròlo e fòra mòda. A s' arcordava 'd cand a l'avìa fàit la scala 'd ciman, andova prima a-i era mach un drit senté 'd tèra batùa pien ëd pere, un travaj motobin precìs, da angigné, che ij murador dël temp a sarìo nen stàit bon a felo da bin përparej. A l'era 'nteligent ma dcò 'n pò dròlo. Na vòlta a l'avìa ciamà tuti j'avzin ant ël laboratòri për feje vëdde lòn ch'a l'avìa fàit. A l'era na sòrt ëd poltron-a 'd bòsch e a l'avìa contà che con lòn-là a sarìa andàit al simiteri e a l'avìa fàit vëdde, setand-se 'ndrinta a col cadregon e gropand-se con na caden-a për peui nen caschè, coma sarìa mòrt. Paolin a l'avìa spendù j'ultim agn ëd soa vita për costrùe sò tomba, realisà con ëd material pòver, ciman, caussin-a, fer martlà ma soagnà 'd bust, làpide, poesìe. A l'avìa arcordà soa mare con na scoltura e, con na composission ën vers, la seur, l'anvod ancora viv, e la mojé. Soa anvìa a l'era 'd fesse sotrà setà e con ël temp lòn a l'era dventà na fissa. La costrussion dla caplëtta a l'era stàita ën fonsion ëd cola idèja lì. A l'avìa preparà tut ant ij mìnim particolar; an mès a la caplëtta a l'avìa realisà n'èrca tombal ëd ciman, sormontà da na pcita cormà sost-nùa da doe pilie a forma d'erbo 'd gasìa, adata për conten-e na cassia pì pcita ëd bòsch e a forma 'd cadregon, tut fabricà ant ël sò laboratòri andoa, come contà da Giulin-a, a l'avìa faìt n'afrosa preuva general. Sta cassia bisara a l'era progetà con doe stanghe, come na portantin-a. Për esse sicur d'esse sotrà conforma al sò desideri a dovìa fesse trové già bele mòrt setà 'ndintra a la cassia, pront për esse butà drinta a l'èrca tombal. Parèj, rivà 'l moment, sarà s-ciass pòrta e fnestre, a l'avìa 'nviscà na brasera, a l'era sistemasse andrinta a soa euvra, a l'era blocasse con na caden-a butà për travers a lë stòmi për nen casché, spetand la fin. Tut peui a l'era capità come da soa anvìa e 'l 14 d' avril dël 1930, a quatr e mèsa dòp-mesdì, a l'han trovalo mòrt, già

rèid come në stocafiss. A la primalba dël dì dòp la bara bisara a l'era stàita carià dzora 'n chèr, portà al simiteri e anfilà 'ndrinta a l'èrca tombal. Sò volèj a l'era stàit rispetà. Un suissidi ansì bisar a l'avìa cissà l' anteresse dla gent e, contut ch'a fussa ancora sòmber, al simiteri ël pùblich ficanas a l'era nen mancà. Lë spetàcol a l'era a l'autëssa dël protagonista che, da mòrt, ancaminava a fé parlè' 'd pì che da viv. Parèj a finiss la stòria ma a rèsto tanti dubi. Lesoma le scrite dla tomba: chèiche espression as ripeto, d'àutre as capisso nen; s'as varda da bin as peulo noté diverse létere colorà 'd ross ant la poesìa a la mare. Në schers dël temp, na facessia o 'n còdes ëstërmà? La gròssa cros, pendùa sla muraja lateral ëd la caplëtta, con na scala tacà dzora, ij brass dla midema andoa son arprodùe 'd còse bisare për na tomba e la figura d'un gal ch'a la sormonta a veulo arcordé la passion ëd Nosgnor, a son d'arciam massònich, esotérich o nen àutr che la drolarìa d'un vej? Costa-sì a l'é na poesìa piturà da Paolin, an italian, sla vòlta dël cit pòrti a l'intrada 'd soa vilëtta.

"Ambelessì i l'eve 'n botaléma 'dcò i l'hai fàit ël sëbbré

ma purtròp a sessant'anii l'hai trovame 'd disingani.

Un maleur a l'ha tòst ciapamee a l'ha pì nen abandoname.Për nen pensé a la malora

im son dàit a la piturae për fé 'l prim mè sagipiturà i l'hai 'n paesagi,contut lòn a bastava nenpër svariame la mè ment,da fé 'm son dàit antlora

ancaminand con la scoltura,vist che lòn a podìa pasiame

për mi 'n bust i l'hai prontamema apen-a che i l'hai falopòch precis i l'hai trovalo.

Nen tròp vorèjme critichépër nen féme scoragé,

për ël pòch temp ch'am resta la vita mianen amèra peussa esse ma gradìa".

A resta ancora 'n dubi: "Tanta sal" o "Tant a sa" ? A-i na fà pa, 'n fin dij cont, për Paolin, a l'é squasi la midema còsa. Ciano 'd Guèra Poirin ël 14 ëd Novèmber 2014

Traduzione:

Tanta sal o tant a sa?

Spesso, quando torno al paese, al cimitero, per fare visita ai genitori, vado anche a visitare la tomba di "Tanta sal", molto bizzarra e piena di misteri, dove da ragazzo andavo con i miei amici a sbirciare tra le inferriate della cappelletta, per vedere ciò che c'era dentro. Dopo l'ultima visita ho pensato di raccontare la storia di questa cappelletta, cominciando però dalla fine. Il 15 di Aprile del 1930, al mattino presto, in mezzo ad una fitta nebbiolina cheil sole non aveva ancora disperso, una piccola processione di ombre camminava in silenzio dietro ad un carro coperto da uno spesso tendone nero.Non si sentiva altro che il ticchettio dei ferri della coppia di buoi che tiravano il carro e il cigolio dei cerchi in ferro delle ruote sul selciato di pietre rotonde della piazza, mentre si avviavano giù per la strada che porta al cimitero.Lì è stato sepolto Paolo in un monumento funebre, posto centro della piccola cappella, costruito apposta per contenere una originale cassa da morto; il tutto progettato e costruito da lui stesso. E' stato l'ultimo viaggio di Paolo Provera detto "Tanta Sal".Paolo era nato il 7 di Aprile del 1850 in un paese del Basso Monferrato, SanSalvatore e se non si tiene conto del pasticcio che aveva fatto il parroco sbagliando il nome della madre sul registro delle nascite (errore sistemato dal tribunale di Alessandria solo dopo 20 anni) per tutta la sua giovinezza e per buona parte del resto della sua vita era rimasto quasi sconosciuto a buona parte del paese, fatta eccezione dei vicini di casa.In gioventù aveva lavorato da mastellaio e da bottaio ma il suo mestiere piùredditizio era stato l'oste; lavoro portato avanti fino a quando si era poi ritirato dal lavoro. Nel frattempo si era sposato con tale .... Teresa e poi, non si sa quando si era trasferito a Torino dove aveva rilevato un'osteria; l' attività aveva sicuramente avutosuccesso perché i suoi ultimi anni li aveva trascorsi nell'agiatezza.Alla fine del primo decennio del Novecento era poi tornato al paese ma senza moglie che era restata a Torino dove era poi morta nel 1926; non ebbero figli.Era un uomo molto attivo e pieno d'ingegno; basta vedere la sua casa( lui lachiamava "La Villetta") piena di decorazioni, stucchi, vetrate colorate, scritte e poesie sulle pareti e sui soffitti; la scala in cemento armato all'avanguardia per i tempi costruita da lui stesso e a sue spese nel 1914 per collegare più rapidamente due strade sulla collina dove abitava, ancora oggi come nuova ed ancora oggi utilizzata dalla gente del paese e, per finire, il suo monumento funebre, un'opera veramente originale. Lavori non da poco vista l'età che aveva al momento della loro costruzione, tra i sessantacinque e novant'anni, e le attrezzature a disposizione all'epoca.Ma che aspetto aveva? Non ci sono nè quadri nè foto, non c'è altro che unmezzo busto da lui stesso scolpito sulla lapide con la scritta "Immagine mia, io ti ho creata con grande amore......aveva fatto la sua immagine con gran fervore..."; chi l'aveva conosciuto conferma che la somiglianza con l'originale c'è e descrive Paolo come un uomo di taglia media e naturalmente anziano. Il sig. Attilio, classe 1911, si ricordava di Paolo che era suo vicino di casa e amico e coscritto del nonno. Era un uomo semplice e bonario, parlava in dialetto torinese. Era pieno di brio e sempre con la battuta pronta. se lo ricordava con la lunga barba e i baffi proprio come il mezzo busto che c'è al cimitero. Mi raccontava di un fatto capitatogli da giovane quando lui ed suo fratello erano bambini: Paolo aveva fatto una torta e l'avema messa a raffreddare sul davanzale della finestra; un pezzo dopo l'altro, infilando le mani attraverso

l'inferriata, i due ragazzini l' avano tirata fuori e se l'erano mangiata tutta. Verso sera, vedendo Paolo andargli incontro attraverso il cortile, il fratello aveva incominciato a tremare dalla paura del castigo di nostro padre che era molto severa, invece Paolo non aveva proferito verbo, aveva solo chiesto a nostra madre se avesse avuto ancora mezzo litro di latte perchè doveva fare una torta. Al d là del suo viso severo, non era un vecchio rabbioso e selvaggio, anzi, aveva con i vicini delle relazioni gentili.Il sig. Attilio continuava a raccontare che Paolo si lamentava spesso del suo mal di stomaco, doveva mangiare leggero e rinunciare a tutto quello che gli piaceva di più.Era invidioso della vicina di casa Santina perchè lei poteva mangiare gli gnocchi e i maccheroni. Il cibo era il suo più grande cruccio tanto che nel suo epitaffio aveva anche scritto la dieta mantenuta per più di dieci anni: latte, uova, uva e pan di Spagna. I simboli della dieta sono scolpiti sulla lapide intorno al mezzo-busto: le uova, una bottiglia di latte, l'uva e una fetta di torta (il pan di Spagna). Nonostante questo si era mantenuto in buona salute al punto di essere ancora molto attivo fino a tarda età. Paolo viveva da solo nella sua casa, era separato dalla moglie, lavorava tutto il giorno, era pieno di idee. Le pareti di casa erano decorate con poesie, dipinti e congegni che non si sapeva cosa fossero. Non sempre però tutto funzionava a dovere. Per esempio aveva costruito un uccello di legno, un'aquila con le ali snodate che aveva sistemato in terrazza, che, secondo lui, quando tirava vento le ali dovevano sbattere e di conseguenza far girare una piccola pompa per tirare su l'acqua dal pozzo; non funzionò mai.Angela, un'altra vicina di casa classe 1906, raccontava che Paolo indossavasempre un mantello nero con il basco in testa; per le ragazze del tempo un modo di vestire un pò eccentrico e fuori moda. Inoltre si ricordava quando lui aveva costruito la scala di cemento dove prima c'era un ripido sentiero in terra battuta pieno di pietre, un lavoro perfetto, da ingegnere, al punto che i muratori del tempo non sarebbero stati capaci di farla così bene.Era intelligente ma anche un pò strano. Una volta aveva chiamato tutti i vicini nel suo laboratorio per far loro vedere ciò che aveva fatto. Era una specie di poltrona di legno e aveva raccontato che con quella sarebbe andato al cimitero e aveva fatto vedere, sedendosi dentro a quel seggiolone e legandosi con una catena per non cadere, come sarebbe morto.Paolo aveva speso gli ultimi anni di vita per costruire la sua tomba realizzatacon materiali poveri, calce, cemento, ferro battuto ma abbellita con lapidi, busti e poesie. Aveva ricordato la madre con una scultura e, con una composizione in versi, la sorella, il nipote ancora in vita e la moglie. Il suo desiderio era di essere sepolto seduto e con il tempo questo era diventato un chiodo fisso. La costruzione della cappelletta era stata in funzione di quell'idea. Aveva preparato tutto nei minimi particolari; nel mezzo della cappelletta aveva costruito un monumento funebre in cemento, sormontato da una piccola tettoia sostenuta da colonne a forma di alberi di acacia, adatto a contenere una cassa più piccola in legno a forma di seggiolone fabbricata nel suo laboratorio dove, come aveva raccontato Angela, aveva fatto una raccapricciante prova generale. Questa bizzarra cassa era progettata con due stanghe, come una portantina. Per essere sicuro di essere sepolto secondo il suo desiderio doveva però farsi trovare seduto dentro la cassa già morto, pronto per essere deposto nel monumento funebre.Così, arrivato il momento, chiuse ermeticamente porta e finestre, aveva acceso un braciere, si era sistemato all'interno della sua opera, si era legato con una catena attraverso il petto per non cadere attendendo la fine. Tutto poi era avvenuto come da suo desiderio e il 14 aprile 1930 alle 16 e trenta l'hanno trovato morto, già rigido come uno stoccafisso. All'alba del giorno dopo la

bizzarra cassa era stata caricata su un carro, portata al cimitero e riposta nel monumento funebre. La sua volontà era stata rispettata.Un suicidio così strano aveva acceso l' interesse della gente e, nonostantefosse ancora scuro, il pubblico ficcanaso non era mancato. Lo spettacolo era stato al'altezza del protagonista che, da morto, incominciava a far parlare di sé più che da vivo.Così finisce la storia ma restano tanti dubbi. Leggiamo le scritture sulla tomba;alcune espressioni si ripetono, altre non si comprendono. Se si guarda bene alcune lettere della poesia dedicata alla madre appaiono rosse; uno scherzo del tempo, una facezia o un codice nascosto? La grossa croce appesa al muro laterale della cappella con una scala appesa sopra, i bracci della stessa dove sono riprodotti oggetti strani per una tomba e la figura di un gallo che la sormonta vogliono ricordare la passione di Cristo, sono dei richiami massonici, esoterici o semplicemente le stranezze di un vecchio?Questo è una poesia dipinta in italiano, da Paolo Provera, sul soffitto del piccolo porticato antistante la sua "villetta".

"Qui presente avete un bottaioma feci pure il mastellaio;

ma purtroppo a sessant'annimi trovai in disinganni.

Un malore in me si é annidatoe non mi ha più abbandonato.Per non pensare alla sventura

mi dedicai alla pitturae per dare un primo saggio

ho dipinto un paesaggioma ciò non era sufficienteper distogliermi la mente,

allora mi dedicai alla scultura,visto che in ciò poteva andare

un busto per me volli fare,ma appena che l'ho fattol' ho trovato poco esatto.

Allora non mi volete criticareonde non volermi scoraggiare

per quel poco tempo che avrò di vitanon mi possa essere amara ma gradita"

Rimane ancora un dubbio "Tanto sale" o "Tanto sa"? Non importa tanto, per Paolo, più o meno è la stessa cosa.

Valutazione libri

1°) “Lajos il barbaro” di Angelo Vaccari di Nonantola (Modena)

E’ un vero romanzo, coinvolgente e ben scritto che, anche se ambientato in un periodo buio della storia, riesce a far rivivere quei tempi e merita pienamente i premi e i riconoscimenti già ricevuti

2°) “Fra cose, le più segrete” di Giovanni Galli di Savigliano (Cn)Si legge molto volentieri! E’ commovente e affascinante entrare, tramite la descrizione dell’eccellente autore, nell’arcaico mondo contadino di moltissimi anni fa, fatto di storie vere, di superstizioni, di magie, di sortilegi e ingenua credulità. Le espressioni dialettali ci provocano reminiscenze antiche e rendono più vive le storie di quel piccolo mondo, nel quale bastava poco per rendere le persone felici o infelici. Anche la descrizione del mondo contadino del dopo guerra, fatto di gente modeste, ci fa capire che pur avendo moltissime difficoltà, si accontentavano di quello che in quei momenti era possibile avere.

3°) “La veliterna” di Maria Antonietta Ellebori di ViterboE’ una descrizione molto semplice della vita contadina, peraltro uguale a tutte le regioni italiane, degli ultimi 100 anni. Praticamente è una constatazione dei fatti ma è molto ben scritta.

4°) “Ordinaria corruzione” di Alessandro Ruffilli di Forlì5°) “Macchie di inchiostro sorridente” di Guido Borsotti di Carmagnola (To)6°) “Il piccolo popolo e il pianeta terra” di Emanuele Corocher di Verona7°) “Il brontogatto” di Rita Graziani di Novara

Segnalazioni di merito

Con la poesia: “ Il ricordo dei ricami” Iolanda Tirotta di R. Calabriacon la poesia: “In ricordo di mio padre” Francesco Floresta di Perugiacon la poesia: “Intorno” Luigi Arena di Riminicon la poesia: “Qualcosa che vale” di Franco Matacchioni di Lodi con la poesia: “Mamma” Gabriella Mocafico di

Con il racconto: “Tutto Ebbe inizio” di Bruno Alberganti di Borgosesia (Vc)

Menzione d’onore

Con la poesia: “Misera povertà” di Antonio Bicchierri di TarantoCon la poesia: “Può una farfalla? Può la pace?” di Lorella Cecchini di Venezia Con la poesia: “Dov’è pace” di Federica Caravaglia di NovaraCon la poesia: ”Nostalgia di te” di Assunta Fenoglio di TorinoCon la poesia: La giornata” Riccardo Mainardi di RapalloCon il racconto: “Effetto ottico” di Franca Caiano di AstiCon il libro: “l’erbolaio di Dio” Salvatore Di Filippantonio di Roma

Premio della Giuria per il racconto: “Una volta c’erano le rondini e la grandine” a Luigi Garrone di Asti

Per questa premiazione devo ringraziare di cuore la dott.ssa: Maria Vozza responsabile dell’area educativa della Casa Circondariale di Asti Quarto per aver concesso il permesso a Francesco Di Dio di poter ritirare il suo premio con la poesia: “Com’è lontano vivere”Un vivo ringraziamento alla volontaria del carcere di QuartoAlessandra Lucini che vorrei vicino a me e che leggerà la sua poesia.Francesco ti auguro di cuore che presto possa tornare libero.

Questi prestigiosi premi donati all’Associazione che si riserba di offrirli a sua discrezione omettendo le motivazione:

Medaglia di bronzo premio di rappresentanza offerta dal Presidente della Camera dei Deputati On. Laura Boldrini perPippo Monteleone di S. Margherita di Belice (Ag)

Medaglia di bronzo premio di rappresentanza offerta dal Presidente del Senato On. Pietro Grasso per Gino Iorio di Napoli

Medaglia di Bronzo premio di rappresentanza offerta dal Presidente della Repubblica On. Sergio Mattarella perRenata Sorba di Asti

Premi speciali offerto da S.S. Papa Francesco pergamena con la benedizione particolare per Michele Calandriello di Taviano Lecce per il suo libro di racconti e poesie dal titolo: “Il paese della Fantasia”

e per Maria Carmela Mugnano di Roma

Premio Speciale per l’autrice più giovane Ricordando “Sarah Bergoglio ” la famiglia dona a Serenella Pirro di Borgosesia (Vercelli)

I numeri sorteggiati per la lotteria 03 ottobre 2015

1°) premio - Tablet+ tastiera o decespugliatore: N.50562°) premio - Bicicletta da donna N. 43723°) premio - Telefono Cellulare consegnato4°) premi - ferro da stiro N.75925°- 10°) premio – Stendibiancheria N.7975 – 4373 – 4339 – 8514 – 7694 - 11°) orologio da tavolo N. 4316