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S u l l e r u o t e m e l a r i d o MATTEO PREMI con Maria Chiara Oltolini

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  • Sulle ruote me la rid

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    Questo libro è la storia di una vita fuori dagli schemi. Anzi, di una vita “sulle ruote”. Non quelle di un’auto, o di una bicicletta da cor-sa. Quelle di una carrozzella. Una carrozzella a motore, per la precisione. Una carrozzella di nome Herbie, come il maggiolino tutto matto, che è uno dei fi lm preferiti di Matteo. Matteo è un ragazzo di vent’anni. Ma è anche la prova vivente che il mondo visto da una se-dia a rotelle non è poi tanto diverso da quello di chi sta in piedi. A fare la diff erenza è l’iro-nia di Matteo, la sua curiosità, la capacità di scherzare su tutto – perfi no sulla disabilità. La sua storia, raccontata in prima persona, sot-to forma di viaggio… in ascensore, permette di tuff arsi in questo mondo, tra parenti ecce-zionali, volontari imprevedibili, amici un po’ “normali” e un po’ matti, ma anche insegnan-ti, tutor e allenatori capaci di trasmettere tutta la loro passione nel lavoro che fanno. MP3. Sulle ruote me la rido è l’autobiografi a di un ragazzo che, nonostante la sua pato-logia – tetraparesi spastica, conseguenza di un parto gravemente prematuro – ci dimo-stra che è possibile vivere una vita normale e specialissima assieme. Una vita che è tutta un susseguirsi di “se” che lasciano il segno. A partire da quello fatidico del 30 aprile 1995: cosa sarebbe successo se mamma e papà non si fossero messi in auto, nel cuore della notte, senza sapere che con loro tra poco ci sarebbe stato anche Matteo?

    Matteo PremiNasce nel 1995 a Vittorio Veneto, prematuro di cinque mesi. Ricoverato d’urgenza all’ospe-dale di Conegliano, supera varie crisi e poi si trasferisce a Castelfranco Emilia. Nonostante la diagnosi di tetraparesi spastica grave, grazie al sostegno della sua famiglia Matteo riesce a con-durre una vita praticamente normale, frequen-tando l’asilo, le scuole elementari, le medie e l’oratorio nella vicina frazione di Cavazzona. Nel 2010, vinta una borsa di studio per me-riti scolastici, si iscrive al liceo classico in San Giovanni in Persiceto, ed è il primo ragazzo con la sua patologia a conseguire il diploma di maturità classica. Nel frattempo si avvicina allo sport grazie al Sen Martin, squadra modenese di hockey su sedia a rotelle: un’esperienza che vedrà coinvolti anche i suoi compagni di classe in una serie di partite organizzate nella pale-stra della scuola, e oggetto di due servizi andati in onda su TV2000 e Rai1. Dal 2015 studia Scienze della Cultura all’Università di Modena.

    Maria Chiara Oltolini Nasce a Milano nel 1987. Vive a Bovisio Ma-sciago, un piccolo paese in provincia di Monza e Brianza. Studia Lettere moderne e Filologia moderna, poi, grazie al MISP (Master in In-ternational Screenwriting and Production), si avvicina al mondo della scrittura creativa, col-tivata per hobby sin dall’infanzia, assieme alla poesia e al disegno. Ha lavorato come sceneg-giatrice di cartoni animati in Italia e nel Regno Unito. Ora è autrice freelance e dottoranda in Scienze della persona e della formazione all’Uni versità Cattolica di Milano, con un pro-getto di ricerca che verte sui legami tra lettera-tura per ragazzi e animazione nipponica.

    Progetto grafi co e illustrazione: Luca Dentale / studio pym

    A volte mi chiedo come sarebbe andata se i miei non fossero andati in vacanza in Vene-to, quell’aprile di quasi ventidue anni fa. Se papà non si fosse messo in viaggio in pie-na notte quando la mamma gli ha detto di sentirsi poco bene. Se non si fosse fermato al casello di Vittorio Veneto, e se la mam-ma non mi avesse partorito lì, sotto un car-tellone della pubblicità. Se qualche medico senza nome non si fosse dimenticato una incubatrice da terapia intensiva all’ospeda-le. Perché, vedete, un “se” ci può stare. Sono tanti “se” messi assieme che son strani. Ti fanno pensare che forse siamo tutti qui per un motivo preciso.

    MATTEO PREMI con Maria Chiara Oltolini

    € 12,50 9 788892 210653

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  • Matteo Premi con Maria Chiara Oltolini

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  • © EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2017Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)www.edizionisanpaolo.itDistribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)

    ISBN 978-88-922-1065-3

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    Piano terra

    Buon viaggio hermano querido e buon cammino ovunque tu vada

    forse un giorno potremo incontrarci di nuovo lungo la strada

    (La strada, Modena City RaMbleRs)

    Mi sono sempre piaciuti gli ascensori. Soprattutto quelli moderni, che ti portano da un piano all’altro prima che tu abbia il tempo di ripassare la prima declinazione: rosa, rosae, rosae… E sei già al terzo. Sapete che l’ascensore più veloce del mondo viaggia a 72 km all’ora? L’hanno da poco inaugurato in Cina, in un grattacielo altissimo, di quasi cento piani. Me lo immagino torreggiare nel cielo grigio come un’enorme stalattite d’acciaio… Che poi, un palaz-zo così grande, a guardarlo dal marciapiede forse mi ver-rebbero le vertigini. Dove abito io di grattacieli non ce ne sono, ma abbiamo lo stesso dei begli ascensori; quello del supermercato dove i miei nonni andavano a fare la spesa quando ero piccolo, per esempio. Da sempre nonna Lucia-na ha la passione dei grandi magazzini, così mentre lei si aggirava tra colonne di cibo in scatola e passate di pomo-doro, io e il nonno aspettavamo fuori, guardando la gente a passeggio e l’ascensore che andava su e giù. Era nonno Italo a spiegarmi come funzionava. Di meccanismi e in-granaggi lui se ne intendeva parecchio, perché un tempo lavorava in una grossa fabbrica come disegnatore tecnico. E io ero un bambino tremendamente curioso.

    Comunque, gli ascensori che mi piacciono di più sono quelli panoramici, che mentre sali in su ti sembra quasi di

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    volare sopra la città. E lì è tutto un altro mondo, sospeso com’è su un mare di camini, antenne, campanili e tetti dai mille colori… tutte cose che, insomma, di solito non si ve-dono tanto spesso. A meno che non sei un piccione, natu-ralmente. A pensarci bene, quello che mi piace di più degli ascensori è proprio questo: che ti fanno vedere le cose da una prospettiva completamente diversa. Come quando nel film L’attimo fuggente il professore di Letteratura sale sul banco per spiegare ai suoi studenti che esiste sempre un al-tro punto di vista, anche nelle situazioni più dure. Un’idea niente male, anche se per me sarebbe un po’ difficile salire su un banco, visto che ho le ruote al posto delle gambe. Cioè, le gambe ce le ho, ma sono sulla sedia a rotelle. Una carrozzella motorizzata di nome Herbie, per la precisione (e questo perché Herbie - Un maggiolino tutto matto è uno dei miei film preferiti in assoluto). Ecco, vorrei che questo libro per voi fosse un po’ come un viaggio su un ascensore panoramico. Un ascensore speciale, che si sposta avanti e indietro negli anni della mia vita. In sottofondo non ci sa-rebbero voci metalliche che dicono “Ottavo piano” quan-do si aprono le porte, ma quelle dei cantanti che amo di più. Per cui mettetevi comodi. Si comincia!

    Siccome sono un tipo che ama fare le cose per bene, direi che ora è il caso che mi presenti. Mi chiamo Matteo Premi. “Premi come quelli che si vincono” è quello che dice papà quando ordina la pizza al telefono. Del resto i pizzaioli non sono gli unici a confondersi. Una volta sul pulsante del no-stro campanello c’era scritto solo “Premi”, ma abbiamo do-vuto aggiungere “Dallari”, che è il cognome della mamma, altrimenti era un continuo suonare alla porta. Abito con la mia famiglia in un appartamento al piano terra, in un paesino emiliano tra Modena e Bologna. Uno di quei posti tutti “grandi risaie e filari di pioppi”, come cantano i No-

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    madi. È probabile che qui un tempo ci fosse solo un pugno di case, sperdute in mezzo alla campagna. Oggi invece ci sono strade asfaltate, centri commerciali, e anche una certa puzza, per via delle industrie dove macellano i polli e i falò di carta che, ogni tanto, inspiegabilmente ardono qua e là, disegnando fili grigi di cenere nel cielo azzurro. Però a noi il nostro paese piace lo stesso.

    Lasagne, tortellini, tigelle, piadine… Se nasci in Emilia Romagna non puoi non amare la buona tavola, e io non faccio eccezione. Che poi in realtà sarei nato in Veneto, ma questa è un’altra storia. Pensate che quando ero piccolissi-mo pesavo poco più di un panetto di burro, e me ne sta-vo tutto il tempo in incubatrice. Ma il mio cuore non ne voleva sapere di pompare il sangue alla giusta maniera, così i dottori avevano deciso di darmi un po’ di caffeina. Il rimedio funzionò, e da allora sono diventato drogato di caffè. No, scherzo. Però è vero che il caffè mi piace. Lo bevo da quando avevo dodici anni (adesso ne ho ventuno). Senza, al mattino farei molta fatica a svegliarmi. Ogni tan-to mia mamma mi prende su e andiamo a fare colazione in un locale sotto i portici. Il suo vero nome è Roxy Bar, ma noi lo chiamiamo “il bar delle donne”. Fu mio nonno a ribattezzarlo così, perché ogni volta che ci andava lo tro-vava sempre pieno di donne. Comunque sia, io lì prendo sempre le stesse cose, per cui non ho nemmeno bisogno di aprire bocca, che subito mi vedo arrivare una pizza (o una brioche salata) e l’immancabile tazzina di caffè. Invece il mio dolce preferito è il cioccolato. Ripensandoci forse han-no ragione i miei quando dicono che non so resistere alla caffeina!

    Un’altra cosa di cui non posso fare a meno è la musi-ca. Ai miei genitori è sempre piaciuto collezionare dischi, quindi si può dire che ascolti musica da quando ero nel

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    pancione di mia madre. Papà a volte rimane di stucco quando vede il mio lettore mp3 – capito da dove viene il mio soprannome? – perché ci puoi trovare, nell’ordine: 1) il coro della Traviata; 2) la sigla di Lupin III; 3) una canzo-ne a caso della colonna sonora del Re Leone. Il fatto è che sono un tipo onnivoro. Adoro cantautori come De André o Guccini (una volta ho fatto sei ore di coda per avere un suo autografo!), ma anche il folk irlandese, la musica pop e le canzoni popolari italiane di tanti anni fa. Tipo La leg-genda del Piave o La Valsugana, cose così. Mi fanno pensare a nonna Marisa, che un tempo viveva assieme a noi. Lei era capace di cantare tutto il giorno. Spesso mi teneva in braccio e faceva cantare anche me. Pure nonno Italo aveva una valanga di dischi, incluso un cd con Piva piva e altre canzoni di Natale che mia mamma non sopportava. E sic-come lui era un gran dispettoso a volte lo metteva su solo per farla arrabbiare. Quando ero piccolo il nonno mi aveva persino regalato una pianola: una bella pianola elettrica della Bontempi. Muovere le mani per me è sempre stata una faccenda complicata, e strimpellare un po’ era un otti-mo modo per farmi fare ginnastica.

    A proposito di movimenti. Herbie è una carrozzella a motore, quindi non è io che me ne stia sempre fermo, anzi. I miei hanno un furgoncino con cui riescono a portarmi dappertutto. Siamo stati in Germania, in Francia e su e giù per l’Italia. Però è vero che muovere me, come dice la mamma, è sempre un po’ un trasloco. Credete che questo basti a fermarmi? Beh, vi sbagliate di grosso. Per fortuna esistono mille modi per viaggiare senza bisogno di uscire dalla propria stanza. Guardare un film, per esempio, o i documentari alla tv. Fin dalle elementari papà ha insistito perché mi insegnassero a usare il computer, quindi naviga-re in internet non è mai stato un problema. Ho una specie

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    di joystick, un po’ come quello dei videogiochi che anda-vano di moda negli anni Ottanta, collegato a un pulsanto-ne giallo, che sembra il campanello di una reception. E ov-viamente mi piace studiare, o non avrei passato tanti anni sui libri. Metaforicamente almeno. Spesso sono gli altri a leggere per me, perché io faccio un po’ fatica a muovere gli occhi. C’è di buono che ho un paio di orecchie paraboliche e una memoria di ferro. E la testa dura: quando decido una cosa non c’è verso di farmi cambiare idea. Che poi, a pen-sarci bene, se avessi avuto sempre tutto a portata di mano, un carattere così caparbio me lo sognavo.

    C’è una cosa che dicono di me, e cioè che sono uno che ride spesso. In effetti è vero. Del resto ce n’è già tanti di musi lunghi in giro. Capita, a prendere tutto troppo sul serio. Io preferisco farmi due risate. Non è che lo faccia per posa, o per sdrammatizzare: sono proprio fatto così. Sarà per questo che a volte mi dicono che sono un “essere di luce”, e allora sono i miei a ridere come matti. Già, per-ché in genere a dirlo sono quei tipi che quando vedono un disabile si avvicinano in punta di piedi, come se fossero al capezzale di un parente prossimo, bisbigliando cose del tipo: “Queste sì che son disgrazie!” Poi ci sono quelli che, quando i figli gli chiedono perché uno è in carrozzella, li zittiscono con un sonoro: “Shhh, ha una malattia!” E come dimenticarsi di quegli altri che, davanti a un “handicap-pato”, si fanno tre volte il segno della croce, tirando fuori il portafogli per l’elemosina? Manco avessero visto le reli-quie di un santo! Volendo ci sarebbe abbastanza materiale per uno studio sociologico coi fiocchi. La verità è che tutti si aspettano che io, quando succedono cose del genere, ci rimanga malissimo. Che gente così non la regga, un po’ come non sopporto il cocco, la menta e le zucchine. Inve-ce io me la rido, e all’ennesimo, pietosissimo “Poverino”

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    della vecchietta di turno, rispondo che sono sì sulla sedia a rotelle, ma non sono mica scemo. E vi assicuro che spiazza-re i vecchietti può essere un’impresa piuttosto esilarante!

    Lo dice anche mio papà. Lui è bravissimo a fare battute e a raccontare storie divertenti. Si chiama Stefano e di me-stiere fa il “field service supervisor”, uno di quei lavori dai nomi difficili che piacciono tanto ai manager delle azien-de. Che poi la sua si occupa di macchinari che producono sigarette, ma ovviamente non è facile intuirlo quando si parla di “installazioni”, “optional” e “gestione trasferte”. Fino a qualche anno fa papà era sempre in giro per il mon-do, tanto che nei disegni di mia sorella lui era quello con la valigia in mano e un aereo sopra la testa. Ogni viaggio è un’avventura, e papà durante i suoi ne ha collezionate pa-recchie, un po’ come Ulisse navigando nel Mediterraneo. Solo che papà tornava a casa molto più spesso dell’eroe omerico, e ci diceva di quanto erano forti i temporali di Southampton, nel Sud dell’Inghilterra, col cielo notturno tutto striato di lampi, come un gigantesco vetro rotto; o delle strade infinite degli Stati Uniti, così dritte che ogni tanto, per non addormentarsi al volante, qualcuno aveva pensato bene di piazzarci delle rotonde finte. C’è da dire che papà, nonostante guidi bene, non ha un gran senso dell’orientamento. Da quella volta che ci siamo persi alle porte di Parigi, la mamma ha pensato bene di regalargli un navigatore. (Non trovate che Penelope avrebbe fatto lo stesso, se lei e Ulisse fossero vissuti ai giorni nostri?) Pec-cato che papà non lo usi quasi mai. La cosa buffa è che, quando veniva in macchina con noi, nonna Marisa crede-va che la voce del navigatore appartenesse a una persona vera. “Però, gentile questa signorina!” diceva la nonna, profondamente colpita. Probabilmente era l’unica a dar retta alle sue indicazioni!

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    Quando papà faceva il trasfertista, una delle sue man-sioni preferite era occuparsi dei corsi per la formazione del personale. Certo, lui era lì per insegnare, ma la verità è che imparava un sacco di cose. Per esempio, lo sapevate che gli indiani per annuire muovono la testa in orizzontale, avan-ti e indietro? Un po’ come quei pupazzetti che si mettono sul cruscotto della macchina. A dirglielo era stato proprio uno dei suoi studenti, impietosito dal fatto che papà stesse rispiegando lo stesso argomento per la terza volta. Poi, gli stranieri sono affascinati dalle parole italiane più improba-bili. Una volta papà aveva chiesto a una delle sue classi di proporre un argomento a scelta per l’ultima lezione. Pen-sate che hanno passato un’ora a parlare delle differenze tra “boh” e “mah”. Non fosse che a papà, più che vere e proprie risposte, scappavano altri “boh” e “mah”, quindi è probabile che ne siano usciti tutti con le idee un po’ con-fuse. C’era pure un signore inglese che ce l’aveva a morte con le nuvole italiane, perché a suo dire “cambiano sesso ogni cinque minuti”, creando una confusione intollerabile. “Prima avete ‘la nuvola’, poi ‘il nuvolone’… Decidetevi!” si lamentava l’inglese, piuttosto seccato. Papà, che non aveva mai riflettuto sull’argomento, alla fine se l’era cavata spie-gandogli che le nuvole sono piccole e graziose, mentre il nuvolone è un minaccioso ammasso di nubi temporalesche.

    Mio papà è anche un po’ un artista. Essendo cresciuto a pane e fumetti, e con una mamma pittrice, non poteva essere altrimenti. Ecco perché le pagine dei nostri album fotografici sono piene di disegni. Mia mamma, che è una mamma molto romantica, conserva ancora quelli che papà le spediva quando erano fidanzati. Si sono innamorati per lettera, loro due, quando papà era già partito per il ser-vizio militare. A raccontarla così sembra una storia d’altri tempi, anche se i miei genitori sono ancora molto giovani.

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    Frequentavano la stessa compagnia e la mamma e le sue amiche si erano messe in testa di far fidanzare papà con un’altra ragazza. Ma si sa che una storia prevedibile non è poi una gran storia, e per fortuna le cose non andarono proprio come la mamma aveva immaginato. Galeotta fu la festa che papà organizzò poco prima di partire. Lui chiese alla mamma di ballare, e anche se alla radio in quel mo-mento passavano Stand by me io me li immagino un po’ come i protagonisti del film Dirty Dancing. Che poi papà in realtà è un tipo piuttosto pratico. Pensate che qualche anno fa, per il loro anniversario, ha regalato alla mamma una Colombina, cioè un aspirapolvere super tecnologico. “Un regalo per la casa?!” era stato il commento un po’ deluso della mamma, che evidentemente si aspettava qualcosa di meno prosaico. “Ma è romanticissimo! E poi…” aveva det-to papà, prendendo l’aspirapolvere tra le braccia come se volesse ballarci un valzer. “Nessuno mette la Colombina in un angolo!” E allora giù tutti a ridere a crepapelle.

    No, se volete un regalo davvero originale, dovete chie-dere consiglio a mia mamma. Si chiama Silvia e, quando c’è da fare un regalo, lei inizia a pensarci con mesi e mesi d’anticipo. Ovviamente i suoi regali hanno ben poco a che vedere con gli articoli che di solito si trovano nei negozi, anche perché spesso è lei stessa a confezionarli. E a questo punto immagino che voi starete pensando a una sciarpa all’uncinetto, o un paio di calzettoni di lana. Acqua, acqua. Se avete in mente quel tipo di cose mi sa che dovete rivol-gervi a nonna Luciana. È lei l’esperta di ago e filo. Invece mia mamma regala parole. Lunghe lettere scritte a mano, diari tappezzati di fotografie, articoli di giornale. Una vol-ta, per papà, ha messo insieme un vero e proprio libro, con tanto di cd con le canzoni della loro storia d’amore come colonna sonora. Ci ha messo un bel po’ di tempo, perché

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    la mamma è dislessica, e quando era bambina non esiste-vano terapie o metodi di studio particolari, quindi si deve sforzare parecchio per mettere assieme le parole. Ma forse è proprio per questo che le sue parole sono così speciali. Io e mia sorella in genere veniamo sempre messi al corrente dei suoi “piani” e devo dire che, assieme, siamo i compli-ci ideali. Se le frasi della mamma zoppicano un po’, mia sorella, che scrive molto bene, le rimette in riga. E io sono un editor implacabile. Per il resto teniamo la bocca cucita fino al gran giorno della consegna del regalo. La mamma ci scherza su dicendo che le sue parole non costano niente, ma vi posso assicurare che ogni volta regalano emozioni incredibili.

    Prima vi ho detto che ho le ruote al posto delle gambe, ma è vero solo in parte. Il fatto è che mia mamma è le mie gambe. È lei che, da quando ero piccolo come un ragnet-to, si prende cura di me. Dicono che quando due creature stanno sempre assieme finiscono per vivere in simbiosi. Come l’attinia protegge il paguro che la porta a spasso per i fondali marini. Ecco, io e mia mamma siamo un po’ così, tanto che quando lei ha mal di schiena mi sembra di sentirlo anch’io. Anche se in effetti potrebbe essere la mia colonna vertebrale storta a darmi dei fastidi. Già, ho la scoliosi (con forte lordosi: non mi faccio mancare niente, io!), ma papà preferisce definirmi “picassiano”. A pensar-ci bene, anche quello della mamma è un mal di schiena di vecchia data. Prima che nascessi faceva la parrucchiera, il che significa che passava quasi tutto il tempo in piedi. La mamma ha dei capelli bellissimi, bruni e lucidi, tagliati alla maschietta. Anche io ho i capelli di quel colore, ed è la mamma a farmi da barbiere. Ci mettiamo al centro del soggiorno, poi lei infila un cd nello stereo e inizia a spuntarmi i capelli al ritmo di musica. In effetti è piutto-

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    sto divertente, e il risultato non è niente male. Dicono che assomiglio un po’ a Celentano da giovane. Nel caso ve lo domandaste.

    Dovrebbero scrivere un vocabolario dove “Silvia” è la definizione di mamma, e viceversa. Non lo dico perché sono suo figlio. Il fatto è che mia mamma è proprio la mamma per eccellenza. Quella che fa sentire tutti in fami-glia, dal mio migliore amico quando viene a trovarci agli animali ospiti di “casa Premi”. Già, perché mia mamma ha un debole per i cuccioli a quattro zampe. Anzi, dicia-mo pure che ha un debole per i cuccioli e basta, dato che, quando si tratta di adottarne uno, lei non sta certo lì a con-targli zampe. Per farvi capire, mia mamma è il tipo che alleva gamberetti nella boccia dei pesci in sala da pranzo e mette fuori il fiocco rosa quando nascono le chioccioline in giardino. Oltre ad aver accolto tre mici, due cani e un ro-spo maculato di nome Giorgio. Lei e mia sorella in questo sono molto simili. Riescono a comunicare con gli animali in modo così preciso che a volte mi domando se conoscono il gattese. Prendete il nostro Topo, per esempio. A dispetto del nome che gli abbiamo affibbiato, posso garantirvi che Topo è un gatto in piena regola, con la pelliccia spessa e una macchiolina bianca sul muso, come una goccia di pan-na. La mamma lo aveva trovato anni fa rannicchiato sotto una macchina. Tremava come una foglia e proprio non ne voleva sapere di uscire di lì. Beh, quando era tornata con la scodellina del latte aveva trovato mia sorella con in braccio Topo che faceva le fusa. “Ma come hai fatto?” aveva chie-sto la mamma, stupita. “Semplice” aveva risposto Federi-ca. “Ho miagolato!”

    Federica è mia sorella maggiore, e quando era bambina voleva fare l’etologa. Nel caso non lo sapeste, l’etologo è quello che studia il comportamento degli animali nel loro

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    ambiente naturale. E non stiamo parlando solo di cagnolini e micetti, ma anche di pinguini e coyote. I miei non erano tanto sicuri che Federica avesse afferrato il concetto, perciò l’avevano portata da un etologo in carne e ossa: uno che lavorava all’Università di Bologna, alla facoltà di Veterina-ria, e che mia zia Claudia conosceva alla lontana. Ma nien-te, venne fuori che mia sorella voleva fare proprio quello, per cui, finite le medie, decise di iscriversi a una scuola di agraria. Ed è così che oggi mia sorella fa… l’illustratrice di libri per bambini. Sì, avete capito bene. Il fatto è che Fede-rica ha sempre amato disegnare. Per lei era una specie di hobby, un po’ come per nostro papà e nonna Marisa. Fede-rica ha preso molto da lei. In quei quattro anni e mezzo in cui io ero ancora su qualche nuvoletta senza nome, mentre mamma e papà erano al lavoro, mia sorella trascorreva le sue giornate assieme a nonna Marisa. Si piazzavano in cu-cina, la nonna col cavalletto e Federica con i suoi fogli A4, e iniziavano a dipingere. Appeso in camera nostra, assieme ai quadri della nonna, c’è pure il suo primo acquerello: un prato pieno di fiori colorati. Poi, crescendo, Federica si è appassionata sempre di più ai fumetti. Ne ha collezionati talmente tanti che spesso e volentieri traboccano dagli sca-toloni, spargendosi sul pavimento. E a quel punto provve-dono i gatti a sparpagliarli in giro per casa.

    Quando penso a Federica me la immagino seduta alla scrivania, circondata dalle sue boccette di colore, le matite e i pennini per la china. Oppure in cucina, avvolta da una nuvola di zucchero, mentre sforna una teglia di muffin, o di biscotti alla cannella. Immersa nel suo mondo, un po’ come me quando ho su le cuffie dell’mp3 o ascolto musica al pc. Ora che siamo “grandi” non ci capita spesso di pas-sare del tempo assieme, ma ogni tanto la sera guardiamo vecchi film, inclusi i cartoni Disney che ormai conoscia-

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    mo a memoria, o cicaliamo come vecchie comari. Da bravi fratelli, ci scontriamo spesso sulle cose più futili, del tipo cosa indossare quando si esce, o se sia giusto truccarsi op-pure no. Del resto, io e Federica non è che ci assomigliamo granché. Tanto per cominciare lei ha i capelli color melan-zana, gli occhiali, è bravissima a disegnare e adora i dolci. Io invece vado pazzo per le cose salate e non so tenere in mano una penna (letteralmente!). Però ho una buona vi-sta, tanto che a volte mi sento un po’ l’aquila della casa. Veramente Federica, più che a un’aquila, dice che somiglio a un… Serpeverde, che sono i più furbi e ambiziosi tra gli studenti della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Un Serpeverde anomalo, perché rido un po’ troppo spesso, ma pur sempre un Serpeverde. Se non lo aveste capito, Fe-derica è una fan di Harry Potter, e ha il pallino per tutto ciò che è “British”, da Doctor Who ai double-decker, gli autobus a due piani di un bel rosso scarlatto che si vedono a Lon-dra. Solo che lei si definisce una “orgogliosa Grifondoro”, e in effetti è fumantina e grintosa quando c’è da tirar fuori le unghie, ma sotto sotto ha un cuore d’oro.

    Infine, i nostri animali. Di Topo vi ho già detto qualcosa. Papà lo chiama “bradipo”, perché quando c’è da saltare da un divano all’altro ci mette un sacco di tempo. Bisogna dire che Topo era reduce da un brutto incidente quando la mamma lo aveva visto la prima volta. Ha la zampetta piegata in modo strano, un po’ come Dumbo, ed è un gran ruffiano. Al contrario di Amy, una gatta color bronzo che ama stare per conto suo, e difficilmente ti salta in braccio per farsi coccolare. In compenso deve avere una passione per la tecnologia, perché ogni volta che qualcuno si mette al computer lei gli si para davanti, zampettando sulla ta-stiera. Poi c’è Norma, una cagnolina di piccola taglia che per certi versi è la più sorprendente di tutti. Qualche anno

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    fa, quando ero ancora al liceo, facevo ripetizioni assieme a una tutor di nome Elisa. Che c’entra? Direte voi. Beh, non appena Elisa prendeva in mano il manuale di Latino, ecco che, puntuale come un orologio svizzero, Norma trotterel-lava nella stanza. Poi si sedeva e mi guardava con i suoi occhietti a punta di spillo, come una prof in pensione in attesa di cogliermi in fallo mentre ripassavo la perifrastica. Elisa non ha dubbi: secondo lei, Norma è la reincarnazio-ne di Cicerone. Il più giovane dei nostri ospiti si chiama Bruno ed è un minuscolo gattino color caffè, famoso per la sua capacità di mimetizzarsi ovunque e per la cacca dal fetore pestilenziale. Nella vita precedente deve essere sta-to un traslocatore, perché passa tutto il tempo a trascinare cuscini grossi il doppio di lui da una parte all’altra della casa. E fin qui niente di strano. La cosa strabiliante è che Bruno è completamente cieco. Eppure sposta le cose con una solerzia che ha dell’incredibile. Anche la cuccia che si è scelto è opera sua. Un giorno ha preso un cuscino, l’ha sistemato in un angolino del bagno e da allora dorme lì, tra la tazza del water e lo spazzolone. Che in effetti a non vederla, una cuccia così, il nostro Ray Charles non è che ci perda poi molto…

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