Comunicazione e cambiamento del processo assistenziale nelle unità operative geriatriche
-
Upload
giorgio-zarrelli -
Category
Documents
-
view
218 -
download
0
description
Transcript of Comunicazione e cambiamento del processo assistenziale nelle unità operative geriatriche
Corso di Perfezionamento in Sociologia Sanitaria
COMUNICAZIONE E CAMBIAMENTO DEL PROCESSO ASSISTENZIALE NELLE UNITÀ OPERATIVE GERIATRICHE
I pazienti e le suore dell'Ospedale dell'Hotel Dieu di Parigi, da ''Le Livre de Vie Active de l'Hotel Dieu di Jean Henry, 1482 ca.
CLARA GRAZIA - FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA – A. A. 1991/92
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE
Corso di Perfezionamento in Sociologia Sanitaria
Direttore del Corso Prof. Achille Ardigò
Tesi compilativa
COMUNICAZIONE E CAMBIAMENTO DEL PROCESSO ASSISTENZIALE NELLE UNITÀ
OPERATIVE GERIATRICHE
Relatore: Presentata da:
Prof. GRAZIELLA MAZZOLI Dott. CLARA GRAZIA
Anno Accademico 1991/92
2
Indice generaleINTRODUZIONE................................................................................................2
1 - APPROCCIO SISTEMICO.................................................................................41.1 - SISTEMA SOCIALE...................................................................................71.2 - SISTEMA SANITARIO.............................................................................131.3 - SOTTOSISTEMA INFERMIERISTICO...................................................16
1.3.1 - Professionalizzazione della funzione infermieristica.........................181.3.2 - Modelli assistenziali infermieristici...................................................191.3.3 - Prestazioni assistenziali infermieristiche............................................23
2 - UNITA' OPERATIVA GERIATRICA...............................................................292.1 - OBIETTIVI ASSISTENZIALI..................................................................332.2 - STRUTTURA ORGANIZZATIVA............................................................362.3 - PROCESSO ASSISTENZIALE.................................................................39
3 - SISTEMA INFORMATIVO E POLITICHE GESTIONALI............................443.1 - PIANIFICAZIONE STRATEGICA E PROGRAMMAZIONE DEL PERSONALE.....................................................................................................453.2 - RECLUTAMENTO E SELEZIONE..........................................................463.3 - INSERIMENTO E SOCIALIZZAZIONE.................................................48
4 - COMUNICAZIONE E CAMBIAMENTO.......................................................504.1 - COMUNICAZIONE ORGANIZZATIVA NELLE UNITA' OPERATIVE............................................................................................................................544.2 - INTERAZIONE E COMUNICAZIONE CON L'ANZIANO...................584.3 - COMUNICAZIONE, FORMAZIONE, EDUCAZIONE SANITARIA....624.4 - PROGETTAZIONE E TECNICHE DI FORMAZIONE...........................65
5 - VALUTAZIONE E SVILUPPO PROFESSIONALE........................................705.1 - VALUTAZIONE DELLA PERSONA.......................................................715.2 - VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI................................................735.3 - VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DELL'ASSISTENZA....................75BIBLIOGRAFIA................................................................................................78
1
INTRODUZIONE
I principi ai quali si ispirano le organizzazioni preposte alla tutela
sociale e sanitaria dell'uomo - in particolare dell'uomo anziano o
disabile - sia quelle nazionali che quelle internazionali, sono improntati
ad elevata eticità.
Nei fatti, le organizzazioni socio-assistenziali ai vari livelli
istituzionali - costituite da strutture fisiche e da persone con le loro
soggettività - non sempre sono soddisfacenti nelle dirette modalità di
risposta ai bisogni espressi.
L'infermiere, al pari degli altri operatori socio-sanitari, dovrà
ricercare il cambiamento e sperimentare nuovi modelli organizzativo-
assistenziali, innanzitutto per contribuire a rendere le organizzazioni
nelle quali opera realmente adeguate ad assolvere le funzioni a cui
sono preposte, ma anche per dare un senso al suo operare e, infine, per
migliorare la propria identità professionale.
Per l'infermiere, il cambiamento finalizzato al miglioramento,
significa conquistare concretamente una maggiore e migliore
competenza professionale, per mezzo di un valido processo di
comunicazione, di formazione, di educazione e di motivazione.
Le teorie sistemiche forniscono un ottimo modello interpretativo
dei servizi socio-assistenziali, sia della loro struttura e del loro
funzionamento che dei complessi fenomeni organizzativi in essi
presenti.
Il sistema sociale, per mezzo del sottosistema socio-sanitario,
assieme al mondo vitale quotidiano delle persone e ad altri sistemi - in
particolare quello politico e quello economico - ha l'obbligo di
garantire la sicurezza sociale e la tutela della salute della collettività.
2
Il servizio infermieristico deve fornire alla collettività l'assistenza
di cui essa ha bisogno per mezzo di qualificate prestazioni assistenziali
e di modelli organizzativi soddisfacenti, i quali devono costituire il
frutto di ricerca e di sperimentazione continue.
Un servizio sociale e/o assistenziale può essere definito come un
sistema formato da varie componenti, strutturali e psicosociali, che
interagiscono attraverso processi di informazione e di comunicazione.
L'Unità Operativa Geriatrica è un servizio socio-assistenziale in
grado di valorizzare la competenza e l'autonomia dei componenti
dell'equipe, attraverso il lavoro di gruppo per obiettivi e per settori di
attività, e di permettere 1'interdisciplinarietà, 1'integrazione delle
conoscenze ed un processo assistenziale scientifico e in continua
evoluzione.
Un buon sistema informativo, composto da una struttura logica di
dati selezionati, costituisce la base per la programmazione e per le
politiche gestionali necessarie ad acquisire, nelle unità assistenziali,
personale realmente preparato e motivato.
Ma per il cambiamento organizzativo ed assistenziale è di
fondamentale importanza un processo di comunicazione, di
formazione, di educazione finalizzati allo sviluppo professionale e
organizzativo, oltreché al miglioramento continuo della qualità
dell'assistenza, da sottoporre a continua verifica.
L'attuale sfida che l'infermiere deve raccogliere, è quella di
dimostrare, nei fatti, che il cambiamento nel processo assistenziale -
caratterizzato da relazioni terapeutiche e da forme organizzate di aiuto
professionalmente competente -, oltre ad essere necessario, è
concretamente realizzabile.
3
1 - APPROCCIO SISTEMICO
Le teorie sistemiche rappresentano il frutto di ricerche pratiche e
sperimentali, costantemente in fase di sviluppo e di ampliamento, e
sono molto utili - e utilizzate - per analizzare e spiegare i problemi del
sistema sociale globale e quelli organizzativi del lavoro.
La ricerca di nuove forme organizzative, attualmente molto
diffusa, è imposta dalla limitatezza dei principi e dei metodi
tradizionali (organizzazione scientifica del lavoro e principi
organizzativi direzionali e amministrativi), i quali, se pure ancora
validi in determinate situazioni, non possono, nell'attuale momento
storico e nell'odierno contesto tecnico-strutturale-assistenziale, essere
applicati indiscriminatamente, senza tener conto dei fattori umani,
psicologici e sociali. Fattori che concorrono a determinare la
progettazione di strutture organizzative e modalità lavorative
caratterizzate dal passaggio da un approccio meccanicistico e settoriale
ad una visione organica e globale del lavoro.
Le teorie sistemiche sono quindi utili costruzioni intellettuali,
capaci di fornire modelli interpretativi dei fenomeni organizzativi
globalmente presenti nella realtà sociale complessiva e specifica
sanitaria, individuandone le componenti essenziali, i fattori e le
variabili.
Forniscono un valido schema interpretativo delle organizzazioni
semplici e di quelle complesse, le quali sono viste come sistemi
naturali, veri organismi viventi soggetti a norme di razionalità, capaci
di autoregolazione e di omeostasi, applicabili ai fenomeni concreti.
Secondo la concezione sistemica, ogni organismo vivente deve
essere interpretato come un sistema aperto che interagisce con il
4
mondo circostante attraverso lo scambio, mentre contemporaneamente
le sue parti componenti interagiscono tra di loro.
Al contrario dei sistemi chiusi - soggetti ad una strutturata rete di
controllo, dove gli obiettivi sono predeterminati e dove la strategia si
basa su comportamenti organizzativi conosciuti, tendenti ad ottenere la
certezza, incorporando soltanto le variabili positivamente associate al
loro raggiungimento - i sistemi aperti sono assimilabili analogicamente
agli organismi viventi che in natura, nella continua lotta per la
sopravvivenza, seguono spontaneamente un processo di adattamento
continuo, attraverso una serie di tentativi che permettono di esplorare
diverse possibilità e che arricchiscono la gamma delle possibili
risposte.
Si può affermare che i sistemi sociali ed organizzativi cosiddetti
aperti, nel raggiungimento dei loro obiettivi, utilizzano il metodo
euristico che può guidare grado per grado, per tentativi e ricerche
verso scopi che, all'inizio sconosciuti nei dettagli ma noti
nell'intenzionalità e nella direzione, portano al raggiungimento di un
risultato finale che, solo a questo punto, si esplicita in modo chiaro ed
evidente.
I sistemi aperti sono definiti troppo complessi per essere descritti
in modo completo. Le teorie dei sistemi e la cibernetica forniscono
concetti capaci di interpretarne alcuni aspetti caratterizzanti quali
1'omeostasi, la varietà o molteplicità, l'incertezza e la regolazione
(Fabris A., 1975).
Secondo le teorie enunciate, un sistema tanto più è aperto e vitale,
tanto meno può essere regolato dall'esterno, ragion per cui per il
conseguimento di specifici obiettivi occorre favorire processi di
autoregolazione.
L'omeostasi, sia per i sistemi biologici che per quelli
organizzativi, può essere vista come uno spontaneo autocontrollo verso
5
un equilibrio dinamico per raggiungere il quale entrano in funzione
una serie di meccanismi che, intrecciando la loro azione, riducono il
pericolo di mancato funzionamento.
Questo processo è caratterizzato da alcuni aspetti: quello della
ridondanza, nel quale molteplici meccanismi si controllano a vicenda
autolimitandosi e sostituendosi reciprocamente per arrivare
all'obiettivo prefissato; quello dell'autocontrollo, nel quale le misure
correttive sono già nell'organismo, fanno parte integrante di esso ed
entrano in funzione sistematicamente ed automaticamente dall'interno;
quello dell'autonomia, nel quale il grado di funzionamento e di
sicurezza sono direttamente proporzionali al grado di complessità del
sistema di regolazione.
Qualora i suddetti meccanismi non riuscissero a regolare
l'interscambio con l'ambiente esterno, l'organismo entrerebbe in un
circolo di azioni e reazioni che porterebbero alla sua distruzione.
La varietà, o molteplicità, viene definita come i diversi stati
assumibili da un sistema nel conseguimento dei suoi obiettivi, i quali
non riguardano la sua grandezza fisica, ma l'ampiezza delle situazioni
nelle quali i vari elementi possono trovarsi anche nelle loro
interrelazioni.
La conoscenza approfondita dei possibili diversi stati del sistema,
oltre a permettere una consapevolezza della complessità con la quale
abbiamo a che fare, rende possibile intervenire per controllare e per
regolare i sistemi sempre più complessi.
L'incertezza è un concetto collegabile alla varietà, poiché nelle
organizzazioni complesse il controllo è reso difficile proprio dalla
molteplicità di situazioni possibili. I fattori di incertezza non possono
essere ignorati e neppure semplificati artificialmente perché ciò, se
permette in determinate situazioni di dare maggior ordine a situazioni
complesse, può anche privare il sistema delle sue caratteristiche più
6
vitali.
Il concetto di regolazione - essendo umanamente impossibile far
fronte completamente alla proliferazione della varietà - si basa sulla
necessità di agire contemporaneamente su due versanti: da una parte
riducendo, semplificando o ordinando la varietà presente nelle
situazioni reali, dall'altra aumentando o potenziando con nuove
metodologie la capacità di autoregolazione, anche attraverso
l'organizzazione e il comportamento direttivo, intesi, questi, come
meccanismi o strumenti di problem solving.
1.1 - SISTEMA SOCIALE
La malattia è una condizione umana con la quale tutte le società e
tutte le culture si sono sempre dovute e si devono tuttora confrontare.
Il modo in cui una società definisce la malattia, la interpreta e vi pone
rimedio rappresenta uno dei suoi tratti culturali più significativi.
L'analisi sociologica relativa alle concezioni della salute e della
malattia evidenzia diverse interpretazioni, riassumibili sostanzialmente
in tre paradigmi fondamentali (Donati P., 1983).
Quello positivista, istituzionale, del fatto sociale, secondo cui la
malattia è un fatto biologico o psichico, fisicamente misurabile. Le
strutture e le pratiche sociali e sanitarie sono considerate fatti reali
aventi una loro dura oggettività, in cui esiste una netta separazione tra
stato di malattia e stato di salute.
La malattia è considerata il prodotto di fattori esterni all'individuo
e così pure il rimedio. L'intervento istituzionale è affidato al complesso
sanitario medico, che ha il potere di definire qual'è il bisogno di salute
del cittadino.
Questo approccio di tipo struttural-funzionalista, riconduce la
nozione di malattia a ciò che è convalidato e legittimato medicalmente.
7
Quando è oggettivamente verificabile un deficit o un disturbo fisico o
psichico involontario, il sistema sociale assegna al malato un ruolo in
cui egli non è ritenuto responsabile del suo stato e solo per questo è
esentato dagli obblighi dei suoi ruoli (lavorativo, familiare, sociale).
Il sistema sociale si attende che l'uomo malato consideri
indesiderabile il suo stato, che voglia abbandonare il ruolo di malato
per ritornare al più presto ai suoi doveri - sola condizione che legittima
le sue esenzioni di ruolo - e che quindi cerchi un aiuto terapeutico
tecnicamente competente di tipo medico istituzionale. Secondo questa
visione, la malattia è un ruolo sociale deviante e oggettivamente
disfunzionale per la società.
Nel sistema sociale, i due ambiti più produttivi di tensioni,
conflitti e stress sono la famiglia e il sistema industriale, per cui essi
sono i luoghi privilegiati del lavoro del medico, che media fra soggetto
e sistema e che ha il potere discrezionale di decidere se un insieme di
segni e di simboli riflettano oppure no uno stato di malattia (con un
ruolo sovrafunzionale istituzionalmente riconosciuto in quanto
politico, etico, giuridico, economico, pedagogico ecc., valido anche
attualmente nelle società contemporanee). Il divario di competenza fra
chi cura e chi è curato porta a quel dominio professionale che legittima
la medicina come istituzione di controllo sociale.
Anche 1'accostamento marxista, nella sua versione ortodossa,
vede la salute-malattia come prassi sociale e sanitaria e la medicina
come istituzione di controllo sociale. Il sistema sanitario è ritenuto
ineguale perché riflette un sistema governato da ristretti gruppi sociali
privilegiati.
Gli interventi sanitari sono essenzialmente rivolti a riprodurre le
diseguaglianze e le ingiustizie sociali. Alcuni gruppi di malattie sono il
chiaro prodotto del processo di dominio politico e di sfruttamento
economico.
8
Sotto l'egida del welfare state, anche nel servizio sanitario è
riprodotta l'alienazione sociale tipica del capitalismo, con
l'espropriazione del malato dal controllo sulla natura e definizione
della salute. Attraverso meccanismi strutturali selettivi il mondo
produttivo e la proprietà privata prevalgono sugli interessi della salute.
Perciò, attraverso un filtro ideologico, la malattia è ricondotta a
comportamenti individuali anziché a cause istituzionali e strutturali.
Attraverso processi politico-amministrativi, le decisioni sulle attività
del settore sanitario favoriscono alcune classi e alcuni gruppi sociali,
mentre invece determinati meccanismi repressivi, anche legislativi,
impediscono lo sviluppo di processi sanitari alternativi, ragion per cui
eventuali programmi in contrasto con gli interessi dello stato
assistenziale ne risultano neutralizzati.
II paradigma nominalista, appartenente alla critica radicale
deistituzionalizzante, definisce come costruzioni e definizioni
contingenti più o meno arbitrarie la salute-malattia e le strutture sociali
ad esse preposte.
Il confine fra condizioni di salute e di malattia è ritenuto
soggettivo e le procedure relative al mondo della malattia e della
medicina costituiscono, nella pratica sociale e sanitaria, un errore
storico.
Poiché esistono alternative culturali diverse, caratterizzate da un
intervento minimale extra-istituzionale, le procedure mediche
diventano generalmente arbitrarie.
L'approccio radicale formula una critica culturale al valore reale
della cultura medica come scienza e come interazione sociale,
definisce dannoso il sistema di cura istituzionale, sia in termini fisici
che di alienazione del self, in quanto determinante dipendenza sociale
oltreché impotenza politica.
9
Si differenzia dalla visione marxista in quanto i caratteri alienanti
della malattia non vengono ricondotti al capitalismo, ma più in
generale al modello culturale di industrializzazione e di
razionalizzazione burocratica della sanità occidentale, di cui il
capitalismo è solo un aspetto. La nozione di salute-malattia è
problematizzata ed elaborata con istanze esistenziali, illuministiche,
vitalistiche e fenomenologiche.
Questo accostamento costituisce una critica culturale e un rifiuto
nei confronti di istanze di controllo sociale del sistema sanitario
medico, ritenuto irrazionale, disumanizzante, dannoso, generatore di
dipendenza sociale e di impotenza politica.
Sono evidenziati e documentati i fallimenti delle professioni
mediche e sanitarie nel loro accostamento ai processi morbosi e alla
mortalità, la mancanza di rispetto della persona, della sua soggettività e
dei suoi interessi, il fallimento della comunicazione interpersonale
medico-paziente, l'abuso di interventi chirurgici, meccanici, chimici,
non necessari, la perdita di dignità e di autonomia del paziente.
Entrambi gli accostamenti, sia quello positivista che quello
nominalista, si fondano sulla concezione della distribuzione della
salute-malattia come fatto biomedico e ricercano le correlazioni
esistenti fra variabili sociologiche (classi sociali, condizioni familiari,
ruolo lavorativo, zona di residenza, sesso ecc.) e i vari tipi di malattia.
Così pure analizzano le modalità di funzionamento dei servizi in
risposta alla malattia, con particolare riferimento al rapporto medico-
paziente.
Il paradigma relazionale, invece, inserisce la questione sanitaria
nel quadro più generale della condizione umana ed identifica la salute-
malattia come relazione sociale di valore in sistemi interattivi aperti.
La cura della salute è intesa come agire significativo.
La salute-malattia è considerata una esperienza umana e parole
10
quali "medicina, cura, paziente, ospedale, sano, malato", vengono
analizzate e utilizzate secondo il loro significato, anche pratico, e
secondo il contesto interattivo da cui emergono. La realtà sociale è
intesa come una costruzione intersoggettiva nella quale 1'esperienza
della salute e della malattia viene espressa attraverso relazioni dotate di
senso. Ciò avviene in particolare in luoghi esterni al complesso
sanitario, dove la cultura e la pratica per la salute sono laiche e non
professionalizzate.
L'interpretazione che l'individuo dà della sua situazione, in
relazione alla rielaborazione individuale nei confronti della malattia,
prevede che la condizione di alterazione di uno stato di benessere e
salute sia ritenuta riferibile anche alla sfera culturale, poiché diventare
malato dipende sì da fattori esterni, oggettivi, ma anche da fattori
soggettivi, quali ad esempio l'immagine e il rapporto simbolico che si
ha con il proprio corpo.
Il confine fra salute e malattia è da intendersi quindi oggettivo nel
sistema delle relazioni e soggettivo negli agenti sociali. La salute è
vista come una relazione sociale complessiva che un soggetto ha con il
proprio ambiente, relazione che è attributo dell'individuo, dei gruppi e
dei sistemi sociali e culturali.
La salute-malattia è recepita in termini di relazioni comunicative
valide o distorte tra soggettività e ruoli nel sistema sociale. Il concetto
di salute è basato su criteri e parametri oggettivi che fanno riferimento
sia alle condizioni obiettive che alla padronanza di sé: "salute è quella
condizione di un soggetto umano (individuo in un gruppo sociale) per
la quale egli ha la competenza soggettiva (in termini di conoscenze,
abilità e motivazioni) e le opportunità oggettive (fornite da adeguati
servizi sociali e sanitari),
a) di prevenire le malattie fisiche, le patologie psichiche e le
deprivazioni sociali che danneggiano la sua personalità e gli individui
che egli frequenta nella vita quotidiana, e
11
b) di porvi rimedio, qualora fossero in corso sia per cause
esterne che per cause dipendenti (in vario grado) dal suo stesso
comportamento" (Donati P., 1981).
La salute non viene riferita al ruolo nel sistema sociale, ma al
soggetto agente che è protagonista del sistema di interazione (e quindi
a ruoli, istituzioni e processi). Perciò la salute è la condizione vitale
complessiva di chi ha risorse adeguate per una piena esperienza di vita.
La pratica sociale sanitaria richiede un intervento il più simmetrico
possibile tra "mondo vitale" e complesso sanitario, e il bisogno di
salute deve essere definito dal malato e dalla medicina istituzionale in
interazione.
Il sistema che tratta i problemi relativi alla salute-malattia nei
momenti promozionali, preventivi, curativi, riabilitativi, deve essere
opera congiunta e interattiva fra complesso istituzionale e "mondo
vitale" quotidiano degli uomini, non istituzionale, in relazione anche
agli altri sistemi coinvolti, in particolare quello politico ed economico.
"La cura della malattia non è vista tanto come "prescrizione"
(cure) quanto come rapporto sociale, ossia come "relazione curativa"
(care) laddove la cura medica (cure) - anche nei suoi aspetti scientifici
e tecnici - è incorporata in una relazione sociale che è quella di
"prendersi a cura" la propria malattia (da parte del malato) e il
malato (da parte del terapeuta), secondo modalità comunicative da
indagare, che hanno comunque come loro referente una "comunità
discorsiva" il cui fine è mettere il soggetto nella condizione di poter
attingere la sua propria capacità di vita, entro i limiti della condizione
umana". "Si deve pertanto riformulare il ruolo del paziente (sick role)
come una relazione tra la soggettività (self) e il corpo del malato
mediata dalla professione medica e - più in generale - dal 'complesso
sanitario'. Recuperando 1'unità dell'individuo si può recuperare il
senso delle relazioni complessive in cui è inserito e analizzare la
dinamica di tali relazioni in una prospettiva di gestione non alienata e
12
non alienante della salute-malattia" (Donati P., 1981).
1.2 - SISTEMA SANITARIO
L'attuale complessità organizzativa del Servizio Sanitario,
caratterizzata da continui cambiamenti, da una profonda modificazione
dinamica dell'ambiente economico, sociale, tecnologico e della forza
lavoro, collegata ad un grado elevato di incertezza e di imprevedibilità,
richiede lo sviluppo di prassi organizzative e di schemi di
comportamento realmente capaci di favorire modalità di gestione
ottimale.
I complessi fenomeni e le molteplici relazioni esistenti fra i
sottosistemi del sistema sanitario, il sistema stesso considerato aperto e
l'ambiente possono essere caratterizzati e semplificati pur
considerandone anche la dimensione soggettiva, tramite il ricorso alla
teoria sistemico-situazionale. Quest'ultima disegna il sistema
organizzativo come un insieme di elementi o di fattori materiali e
personali legati fra loro da rapporti di interdipendenza dinamica e
organizzati per il raggiungimento di un obiettivo (Bertalanffy L.,1968).
Il servizio sanitario, per raggiungere i suoi obiettivi istituzionali e
per rispondere adeguatamente ai bisogni espressi con le risorse
disponibili, utilizza come fattori in ingresso (input) risorse materiali
(economiche, tecnologiche, strutturali ecc.) ed umane (valori sociali e
culturali, categorie psicologiche e comportamentali, competenze
professionali ecc.) per ottenere, come fattori in uscita (output), servizi
e prestazioni professionali, sanitarie ed assistenziali.
Il sistema organizzativo sanitario si può definire anche come un
insieme di sistemi operativi dotato di una serie di correnti di input e
output; il sistema include uno o più meccanismi di feedback per
l'autoregolazione. E' il meccanismo del feedback che costituisce
1'aspetto più importante di questa definizione in quanto consiste in
quel particolare meccanismo di retroazione che consente il
13
collegamento tra 1 'organizzazione e 1'ambiente e tra 1'organizzazione
e il suo interno; questi meccanismi consistono in avvisi che 1'output o
prodotto finale è inferiore o superiore alla misura richiesta (French W.
L., Bell C. H. 1976).
La sociologia in campo sanitario svolge il ruolo di scienza capace
di evidenziare le connessioni tra il sistema sanitario e gli altri sistemi
della società (politico, economico, amministrativo) e capace di rilevare
le esigenze soggettive e intersoggettive delle persone e dei piccoli
gruppi di mondo vitale (Ardigò A.,1992).
Attualmente, anche a causa dell'insoddisfazione dello stesso
mondo medico nei confronti di una visione essenzialmente
positivistica del sapere clinico, emergono due tendenze fondamentali:
quella della ''sociologia della medicina" e quella della "sociologia
sanitaria" (Ardigò A., 1992).
La sociologia della medicina, approccio introdotto dal medico
Engel G.I. nel '77, prevede l'integrazione del sapere di varie scienze
quali la sociologia, la psicologia e la biomedicina per un intervento
sistemico medico e psico-sociale maggiormente corrispondente alle
esigenze della collettività. Ma questo approccio, pur applicando i
sussidi del sapere psico-sociale alla corretta diagnosi e terapia medica,
"resta infatti positivistico, con i limiti della sociologia della medicina,
perché dominata dai prestiti della scienza biomedica positivistica
nella definizione di modelli di corporeità e di medicina" (Ardigò A.,
1992).
La sociologia sanitaria, modalità d'approccio che nasce nel
Nordamerica nel secondo dopoguerra, parte dall'analisi della salute e
della malattia come da quella dell'organizzazione sanitaria quali
categorie situate dentro "le relazioni tra sistema sociale e attori sociali
sia pure come aspetti rilevanti di un sistema sociale parziale a larga
autonomia"...."La sociologia propriamente sanitaria non è né
empiristica né positivistica. Nel continuo interfaccia fra teoria e
14
osservazione empirica, tale disciplina subordina 1'osservazione
empirica a matrici concettuali secondo paradigmi sociologici. I
paradigmi che contano di più sono quelli che vengono dalle teorie
fenomenologiche fondanti l'oggettività nel processo di comunicazione
intersoggettivo a partire da una grande confidenza nel1'agire
intenzionale della persona e dei piccoli gruppi (gruppi di mondo
vitale) in cui ogni persona può trovare e fondare la sua identità di
vita" (Ardigò A. 1992).
E' evidente che il sistema sanitario, attraverso le sue strutture,
deve fornire alla società un insieme coordinato di attività finalizzate
alla prevenzione, alla diagnosi, alla cura e alla riabilitazione delle
alterazioni transitorie o permanenti dello stato di salute della
collettività.
Questi obiettivi devono essere raggiunti in un equilibrato rapporto
tra costi e quantità-qualità dei servizi ottenuti; le fonti economiche
sono costituite dalle contribuzioni obbligatorie e dalle integrazioni del
Tesoro.
Anche se non esiste un "migliore modo per organizzare qualsiasi
situazione", ogni sistema organizzativo, per sopravvivere e svilupparsi,
partendo da una analisi situazionale, deve valersi, quale risposta alle
sollecitazioni del suo particolare ambiente, di momenti di diffusione e
di integrazione, oltreché di un efficace processo di soluzione dei
problemi.
Infatti 1'organizzazione sanitaria, intesa come sistema aperto in
cui tutti gli elementi organizzativi e le componenti individuali e di
gruppo sono interrelati, quando oltrepassa una certa dimensione tende
a diversificarsi in varie parti o sottosistemi (servizi, presidi, distretti,
dipartimenti, unità operative, settori, aree funzionali, ecc.), che poi
devono integrarsi affinché il sistema stesso possa sopravvivere.
Questo processo di differenziazione e di integrazione coinvolge
15
tutti gli operatori ma soprattutto i quadri, in particolare per gli aspetti
relativi all'orientamento cognitivo-operativo-emotivo, ma anche per gli
aspetti legati all'efficacia-efficienza del sistema nel raggiungimento
degli obiettivi istituzionali e nella struttura formale.
Nei sistemi organici le posizioni funzionali sono differenziate
sulla base delle competenze, delle conoscenze e delle esperienze. In
questo contesto il compito principale della leadership è quello di
gestire le relazioni tra il sistema sanitario, gli altri sistemi organizzativi
e 1'ambiente interno ed esterno per il raggiungimento degli obiettivi e,
in ultima istanza, per ottenere che "le cose siano fatte" in un corretto
rapporto costi-benefici.
1.3 - SOTTOSISTEMA INFERMIERISTICO
Il complesso di ruoli e di funzioni che 1'infermiere svolge nelle
organizzazioni assistenziali costituisce un insieme di attività strutturate
- definite come servizi infermieristici -, tradizionalmente concepiti
come puro ausilio manuale del medico e del malato.
In realtà il ruolo dell'infermiere costituisce uno degli aspetti
intrinseci dell'organizzazione sanitaria, al punto che è impossibile
immaginare una unità operativa assistenziale senza servizi
infermieristici - mentre è possibile concepirla senza medici, come
avviene in alcune realtà organizzative, in particolare negli Stati Uniti,
dove essi agiscono da "esterni" -, ed è altrettanto professionale di
quello dei medici.
Il servizio infermieristico può essere rappresentato come un
sottosistema del Sistema Sanitario, a sua volta suddiviso in altri
sottosistemi infermieristici, organicamente strutturati e collegati ai vari
livelli istituzionali.
Nell'ambito dell'organizzazione sanitaria di un paese, i servizi
infermieristici devono fornire alla collettività 1'assistenza di cui essa
16
ha bisogno. In molti paesi europei esiste una amministrazione centrale,
del tipo "dipartimento infermieristico" collocata presso il Ministero
della Sanità Pubblica (o presso più Ministeri), responsabile di tutte le
attività inerenti il servizio e dell'insegnamento infermieristico.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce esplicitamente
la necessità di affidare la direziona dei servizi infermieristici collocati
ai vari livelli istituzionali a personale qualificato, dotato di una propria
autonomia, direttamente responsabile di ogni servizio e di formazione
rigorosamente infermieristica.
In Italia - anche se da tempo si configurano la necessità e la
possibilità di realizzare un servizio infermieristico nell'ambito del
servizio sanitario nazionale, con articolazioni a livello regionale e delle
singole unità sanitarie locali -, l'attuale configurazione prevede
l'esistenza di un siffatto servizio con funzioni di staff alla Direzione,
quasi esclusivamente a livello ospedaliero e territoriale.
Il servizio infermieristico, in un contesto di organizzazione
complessa, deve necessariamente prevedere una articolazione delle sue
funzioni. In un modello organizzativo staff-line, 1'operatore
professionale dirigente dell'assistenza infermieristica svolge, attraverso
un rapporto diretto con i coordinatori infermieristici (e/o tecnici) delle
unità operative, funzioni di direzione e coordinamento finalizzate alle
unità operative medesime.
Le funzioni di direzione funzionale-organizzativa hanno un
percorso verticale discendente dal centro alle unità operative e hanno
per obiettivo il funzionamento complessivo del servizio, la
distribuzione del personale infermieristico e tecnico sulla base di
metodi esatti e tutti gli aspetti organizzativi necessari per il
funzionamento dei reparti e dei servizi.
Le funzioni di coordinamento hanno un percorso orizzontale con
l'obiettivo del mantenimento e del miglioramento quali-quantitativo
17
dell'organizzazione assistenziale delle unità operative.
A livello delle unità operative, cellule del sistema sanitario e sede
in cui gli infermieri erogano le loro prestazioni assistenziali, le due
funzioni di direzione e di coordinamento sono necessariamente
unificate e i coordinatori del servizio infermieristico svolgono
entrambe le funzioni.
1.3.1 - Professionalizzazione della funzione infermieristica
Il ruolo attuale dell'infermiere nelle unità operative deriva da
funzioni assistenziali del passato che, pur permanendo inalterate nella
sostanza, si sono allargate, arricchite, differenziate in diversi aspetti
clinici e psico-sociologici tesi a fornire al malato una specifica
assistenza globale, fondata su una solida base di scientificità.
Nell'attuazione di un modello assistenziale globale, le prestazioni
assistenziali devono essere necessariamente caratterizzate da
autonomia, continuità, responsabilità, ed essere cioè di tipo
professionale.
Il processo di professionalizzazione della funzione infermieristica
in Italia si è manifestato soltanto di recente; il processo di formazione
delle figure professionali sanitarie sulle quali da sempre domina quella
del medico si svolge infatti con molta lentezza.
Il sistema di istruzione formale della scienza medica, comparso
con le prime università, assume immediatamente una funzione tecnico-
scientifica e di riproduzione delle gerarchie, tesa a creare una barriera
psicologica e sociale tra il medico e le altre figure sanitarie, prima fra
tutte quella dell'infermiere, che nasce - con una rigida distinzione fra
lavoro manuale e lavoro intellettuale - solo con l'affermarsi della
medicina scientifica e in particolare con la trasformazione
dell'ospedale in istituzione specializzata (Tousijn W., 1987).
18
Infatti, nell'ambito sanitario la classe medica ha imposto su tutte
le altre occupazioni, le quali non possono oltrepassare i limiti
prefissati, una dominanza gerarchica e una dominanza scientifica con
rigida e attenta difesa del potere di definire gli ambiti e le competenze
della medicina stessa in quanto scienza, conquistando
conseguentemente un posto molto elevato nella gerarchia del reddito,
del potere e del prestigio sociale.
Ma ultimamente le occupazioni sanitarie non mediche hanno
molto accresciuto il loro potere, guadagnando significativi spazi
tradizionalmente di esclusivo dominio medico.
In ogni caso il riconoscimento giuridico (che nel caso della
professione infermieristica è avvenuto senz'altro in anticipo rispetto ad
un processo di professionalizzazione tutt'ora in corso e che ha
consentito 1'elevazione delle occupazioni sanitarie non mediche allo
status di professione), può essere letto anche come un tentativo di
integrazione allo scopo di impedire che emergano o si rafforzino spinte
dirette a mettere in discussione un modello organizzativo e un tipo di
medicina imposti come specialistici e parcellizzati. Al contrario,
attualmente 1'infermiere è impegnato ad orientare il processo
assistenziale ad una visione integrata, di tipo olistico.
1.3.2 - Modelli assistenziali infermieristici
Si tratta di un nuovo modo di entrare in relazione con l'uomo
malato o disabile che presenta temporaneamente o permanentemente,
la necessità di prestazioni assistenziali, intese come azioni
compensatorie fornite da persone professionalmente competenti,
necessarie per riacquistare la salute o il massimo di autonomia
possibile o per mantenere la funzionalità residua in caso di grave
disabilità.
In contrapposizione al modello ancora dominante di tipo tecnico,
parziale, meccanicistico, fondato sulla cura della malattia e non della
19
persona malata, prodotto dell'evoluzione storica della medicina, la
componente infermieristica dell'assistenza tenta infatti di affermare un
modello assistenziale unificante, globale, individualizzato, capace di
rispettare la complessità umana in tutte le sue dimensioni: biologiche,
psicologiche, sociali e spirituali.
Il modello assistenziale ancora largamente dominante è basato su
una impostazione filosofica che concepisce l'uomo come una
dimensione fisica, con un corpo diviso in organi e apparati, separato o
scarsamente comunicante rispetto alle dimensioni psichica e mentale.
In questa visione della realtà, 1'ambiente di vita e di lavoro è
considerato esterno e dissociato dall'uomo e la salute viene definita
come assenza di malattia, concepita, quest'ultima, come un'entità
negativa che colpisce non 1'uomo globalmente, ma una sua precisa
parte anatomica. In quest'ottica la medicina è altamente specialistica e
di tipo riparativo e ha per oggetto la malattia e i suoi sintomi anziché
l'uomo nella sua globalità.
L'assistenza globale, mutuata dalle più moderne concezioni
sociologiche della medicina, considera l'uomo come un'entità
complessa di tipo bio-psico-sociale (cioè dotata di psiche, mente e
corpo), in continua interazione dinamica, mediante 1'universalità dei
suoi bisogni, con l'ambiente e i suoi fattori di ordine fisico,
psicologico, economico, sociale e politico.
Ciò vale per tutte le età, ma questa visione sistemica dell'uomo e
dei suoi bisogni trova nell'anziano una delle sue massime espressioni.
In età senile, infatti, 1'equivalente di "buona salute" significa
"non dipendenza" e ''qualità di vita" e 1'autonomia (parziale o totale) è
considerata come espressione dell'armonia globale della persona
somatica e psichica. E' la perdita dell'autonomia la vera malattia che
altera 1'equilibrio del vecchio, non potendo, la salute, esistere come
entità astratta, al di fuori dell'uomo e della sua vita.
20
L'assistenza infermieristica in geriatria è intesa come un insieme
di conoscenze, di competenze e di tecniche capaci di portare un
miglioramento o una guarigione o una stabilizzazione funzionale delle
forze residue nell'anziano malato e/o disabile, nel rispetto di tutta la
persona, utilizzando anche 1'educazione alla salute per lo sviluppo di
tutte le sue capacità e dei processi fisiologici di autoguarigione e di
mantenimento.
L'arduo sforzo di professionalizzazione della categoria
infermieristica è diretto a una miglior definizione di un preciso spazio
costituito da principi e modelli specifici della professione, da
autonomia funzionale di direzione e di coordinamento e da
riconoscimento legislativo formale.
Per accelerare il riconoscimento e la legittimazione di una
professionalità infermieristica attraverso l'operatività e la
formalizzazione dello status professionale, è necessario realizzare
modelli organizzativi in cui l'infermiere svolga le sue funzioni con
piena autonomia basata sullo sviluppo di sicure capacità e competenze
e sulla chiara responsabilizzazione dei risultati da conseguire oltreché
da definire.
L'erogazione di prestazioni finalizzate a specifici obiettivi
infermieristici ad elevata autonomia e discrezionalità - come sono
quelli correlati al servizio alle persone - può attuarsi osservando una
precisa separazione e una buona integrazione tra prestazioni sanitarie e
prestazioni assistenziali.
La nuova concezione dell'assistenza infermieristica prevede lo
sviluppo di nuovi modelli professionali, più adatti ai servizi che
erogano prestazioni assistenziali all'anziano.
Si tratta di modelli organizzativi di tipo professionale che mettono
in relazione l'autonomia professionale dell'operatore sanitario con le
esigenze generali di un funzionamento coordinato e organico
21
dell'assistenza.
Nei modelli organizzativi professionali, a differenza che in quelli
tecnici, non esistono "ricette" da seguire se non 1' "imperativo
categorico" di produrre prestazioni idonee a soddisfare i bisogni di
assistenza.
Essi, pur potendosi certamente integrare con quelli tecnici, più
adatti per svolgere attività standardizzabili, restano comunque
indispensabili per erogare in modo soddisfacente le attività - come
quella, ad esempio, riferita alla personalizzazione-umanizzazione di
un'assistenza globale all'anziano -, nelle quali non è possibile, e
d'altronde nemmeno utile, imporre uniformità di comportamento.
Il modello professionale prevede che 1'operatore sia fattore
principale dell'organizzazione assistenziale poiché ha in sé le
potenzialità di migliorarsi, di promuovere e di far emergere le proprie
conoscenze e le proprie competenze.
I modelli professionali richiedono infatti di:
• promuovere lo sviluppo di conoscenze avanzate;
• motivare le persone ad atteggiamenti positivi nei confronti
dell'organizzazione del proprio lavoro;
• utilizzare le proprie conoscenze e competenze per raggiungere
gli obiettivi di servizio richiesti dalle strutture assistenziali;
• riconoscere, nelle prestazioni, ambiti di autonomia con relativa
responsabilizzazione sui risultati;
• sviluppare la mentalità di risolutori di problemi;
• sviluppare propensione alle innovazioni e alla ricerca di migliori
soluzioni assistenziali (Borgonovi E., 1988).
22
Questo nuovo modo di fornire assistenza presuppone che gli
operatori sanitari siano disposti ad accettare e a rispettare le regole che
garantiscono l'efficacia e l'efficienza dei servizi in quanto i propri
valori professionali indicano che questa è la condizione necessaria
perché le strutture preposte risultino realmente al servizio dell'uomo.
Nella relazione di aiuto, scienza, coscienza e umanità non
possono mai essere disgiunte. L'aiuto ad un malato, fornito da
prestazioni assistenziali qualificate, avviene sempre per mezzo di una
comunicazione in cui due persone entrano in relazione fra loro: una
che porge aiuto e 1'altra che lo riceve.
In questa relazione, poiché c'è una limitazione nell'eseguire
direttamente prestazioni di autoassistenza, vi è il bisogno, in chi cerca
aiuto, di ottenere, dalle prestazioni terapeutiche che riceve, risultati
positivi per sé; mentre la persona che aiuta ha la capacità di agire in
vece del paziente, oppure comunque di sostenerlo e di aiutarlo anche
con le parole e con i gesti.
1.3.3 - Prestazioni assistenziali infermieristiche
Fra le varie teoriche del nursing, la Orem fornisce un modello
concettuale molto diffuso ed accettato nel legittimare il passaggio della
funzione infermieristica dall'ambito di occupazione a quello di
professione.
La Orem pone l'uomo, considerato capace di autogestire i bisogni
psico-fisici, al centro del processo di autotutela della salute e individua
le azioni definite di autoassistenza.
Per la Orem il nursing concerne specificamente le necessità
dell'uomo che sono in relazione con azioni denominate "cura di sé",
ovvero con 1'autoassistenza (self-care). Si tratta di azioni che
permettono all'individuo di godere buona salute e di rispondere in
modo continuativo ai propri bisogni e ai processi evolutivi per vivere
23
in modo sano e per guarire da eventuali malattie o ferite.
La Orem classifica i requisiti di autoassistenza come gli obiettivi
che si devono raggiungere - attraverso azioni denominate "cura di sé" -
distinguendoli in:
• esigenze universali, associate ai comuni processi di vita per il
mantenimento dell'integrità strutturale e funzionale della
persona;
• esigenze relative ai processi evolutivi, associate allo sviluppo e
alle fasi del ciclo vitale (come ad esempio 1'invecchiamento);
• esigenze associate ad alterazioni dello stato di salute, nelle
quali la persona da agente di autoassistenza diviene,
transitoriamente o permanentemente, fruitore di prestazioni
assistenziali (come avviene per l'anziano malato o disabile).
Secondo la Orem, i metodi di assistenza per porre gradualmente
ogni individuo nelle condizioni di far fronte alle situazioni di disagio
sono:
• favorire un ambiente sicuro che permetta l'autonomia e lo
sviluppo personale,
• fornire una educazione permanente.
• orientare la persona;
• sostenerla fisicamente e psicologicamente;
• agire in vece della persona malata;
Quindi i sistemi di nursing suggeriti dalla Orem sono:
• il sistema di supporto e sviluppo applicabile quando il malato
è in grado di compiere o di apprendere alcune prestazioni di
24
autoassistenza, ma deve comunque essere aiutato a raggiungere,
attraverso un sostegno, un orientamento, un ambiente adeguato e
l'insegnamento, il massimo grado possibile d'indipendenza;
• il sistema parzialmente compensatorio in cui sia l'infermiere
sia 1'uomo malato partecipano alle pratiche igieniche e alle
tecniche assistenziali necessarie.
• il sistema totalmente compensatorio nel quale l'uomo, malato
o disabile, ha un ruolo totalmente passivo mentre l'infermiere
agisce in sua vece;
In questa relazione terapeutica, la distribuzione delle attività fra
chi assiste e chi è assistito si diversifica in base alle limitazioni fisiche
o psichiche dell'uomo che presenta un'alterazione transitoria o
permanente dello stato di salute, in base alle sue conoscenze e capacità
tecniche in relazione al mantenimento della salute, in base ancora alla
sua predisposizione ad apprendere o a compiere autonomamente un
certo numero di azioni finalizzate a loro volta al raggiungimento del
massimo grado possibile di autonomia.
Nel processo del nursing 1'infermiere tecnicamente preparato e
competente si può valere di questo modello concettuale per fornire
prestazioni assistenziali tendenti a compensare, o ad aiutare a superare,
la mancanza di autoassistenza.
In una attività di assistenza ove esista un'ampia interazione tra gli
operatori che devono lavorare in équipe (infermieri, operatori socio
sanitari, terapisti della riabilitazione, ecc.) se pure con ampi margini di
autonomia, l'attività per compiti o per mansioni si rivela estremamente
inadeguata e riduttiva. E' infatti impossibile erogare una forma di
assistenza globale, di tipo sistemico, attraverso un'organizzazione del
lavoro parcellizzata.
L'obiettivo è quello di sostituire gradualmente 1'assistenza per
25
mansioni con un'assistenza per prestazioni, laddove il semplice
compito di esecuzione viene arricchito grazie ad altri interventi quali la
programmazione, il controllo e il coordinamento del proprio lavoro.
Chi eroga una prestazione assistenziale ad una persona con la
quale realizza un contatto diretto e personale gode necessariamente un
discreto margine di autonomia per programmarla, eseguirla, valutarla.
L'autonomia dell'infermiere è massima quando la prestazione
assistenziale contiene, oltre ad elementi educativi, culturali, tecnici,
anche potere decisionale e quando ha la conoscenza dei risultati
ottenuti, premessa, quest'ultima, necessaria per la responsabilizzazione
individuale e di équipe.
Le azioni infermieristiche sono da intendersi come un insieme di
atti fisici e/o verbali e/o mentali condotti secondo una successione
logica (protocollo), che l'infermiere può eseguire per raggiungere un
obiettivo specifico.
Le prestazioni assistenziali sono quindi un insieme di azioni fra
loro coordinate, o meglio, un sistema di decisioni tecnico-gestionali
adatto a rispondere ad un determinato bisogno assistenziale (SUDI,
1987).
Tale sistema è pianificato autonomamente dall'infermiere che,
nell'ambito della prestazione, può decidere di utilizzare azioni diverse
per rispondere ad uno stesso bisogno.
La metodologia da adottare è quella del processo assistenziale che
è costituito da:
• osservazione,
• sviluppo di un piano di assistenza,
• esecuzione,
26
• e verifica dello stesso,
• la responsabilizzazione sui risultati conseguiti può essere totale
o parziale in relazione alle prestazioni fornite.
Il processo decisionale (responsabilità) della prestazione
assistenziale comprende:
• la scelta dell'azione e la tipologia di intervento infermieristico
(cosa fare);
• la modalità di effettuazione dell'azione (come fare);
• il momento o i tempi di erogazione e di valutazione dei risultati
(quando fare);
• le motivazioni (causa-effetto) del processo infermieristico
(perché fare).
Le prestazioni rispetto alle quali l'infermiere ha una autonomia
totale o prevalente e diretta responsabilità dei risultati corrispondono
all'assistenza di base necessaria per assicurare il soddisfacimento delle
esigenze universali di ogni individuo.
Queste prestazioni possono essere individuate nell'assicurare:
• la respirazione,
• l'alimentazione e 1'idratazione,
• l'eliminazione urinaria e intestinale,
• 1'igiene e il comfort,
• il riposo e il sonno,
• la funzione cardiocircolatoria,
27
• un ambiente sicuro e terapeutico,
• una corretta interazione nella comunicazione.
Poiché nel campo diagnostico e terapeutico, in geriatria come in
altri ambiti specialistici, le conoscenze mediche prevalgono perlopiù in
modo rilevante, vi sono prestazioni nelle quali l'infermiere ha invece
una autonomia limitata e nelle quali opera in un clima di
interdipendenza medio-alta rispetto agli altri professionisti; nelle quali,
conseguentemente, la sua responsabilizzazione sui risultati è solo
parziale.
Anche in quest'ambito, tuttavia, in relazione alla facoltà di poter
scegliere liberamente le modalità di esecuzione delle specifiche
prestazioni professionali (applicazione di procedure terapeutiche ed
esecuzione di procedure diagnostiche), 1'infermiere conserva
comunque sempre una sua area di totale responsabilità.
28
2 - UNITA' OPERATIVA GERIATRICA
L'unità operativa costituisce un sottosistema del sistema sanitario
e può essere definita come un insieme di attività che assume rilevanza
organizzativa e che rappresenta condizioni di vario genere e di varia
natura - attrezzature, spazi fisici, comportamenti organizzativi - atte
all'erogazione di una o più prestazioni assistenziali (Zangrandi A.,
1988).
Concettualmente il termine di unità operativa - forse derivato
dallo studio delle unità socio-tecniche oggetto di ricerca del Tavistock
Institute - viene introdotto nel contesto organizzativo assistenziale da
norme legislative relativamente recenti, per rappresentare una nuova
modalità di organizzazione, ove la professionalità, la competenza, le
affinità professionali e la pratica interdisciplinare, vengono
riconosciute quali principi ispiratori di un nuovo modo di lavorare, a
superamento del modello gerarchico-istituzionale rigido e
settorializzato.
La costituzione delle unità operative ha lo scopo di valorizzare le
competenze specifiche e 1'autonomia delle équipes assistenziali, sulla
base della professionalità e della ricomposizione delle modalità di
erogazione delle prestazioni. L'unità organizzativa va anche intesa
come unità funzionale che persegue forme di lavoro di gruppo per
settori di attività, onde permettere concretamente di realizzare
l'integrazione delle conoscenze generali degli operatori con gli aspetti
diagnostico-terapeutici ed assistenziali in continua evoluzione.
In ambito geriatrico "la differenziazione crescente della
popolazione anziana, che è alla base di una sempre meno omogenea
domanda di servizi e di prestazioni, sollecita e induce, in particolare
nell'ambito degli interventi istituzionali, una riorganizzazione delle
risposte socialmente organizzate ai problemi della vecchiaia in
29
direzione di una più ampia e sistematica differenziazione funzionale
dei servizi socio-sanitari e socio-assistenziali.
Tale processo tende a superare la dicotomia fra
istituzionalizzazione e mantenimento a domicilio in direzione di un
sistema di interventi e di un'offerta di una gamma estremamente
articolata di prestazioni, con lo sviluppo, in particolare, di servizi
aperti differenziati per mix di contenuti socio-sanitari e socio-
assistenziali, di contenuti professionali e di supporti relazionali, di
risorse istituzionali e informali coinvolte. Tale processo di
riorganizzazione...ha come principale obiettivo la creazione di
strumenti organizzativi efficienti, con spazi per equivalenti funzionali e
differenziati per target groups" (Porcu S.,1987).
La tipologia degli interventi varierà dal livello di base (assistenza
medica, segretariato sociale, assistenza domiciliare socio-assistenziale
e integrata, spedalizzazione domiciliare, day center, residenze sociali)
a quello intermedio delle Residenze Sanitarie Assistenziali e a quello
specialistico (poliambulatori, day hospital, centri territoriali di
riabilitazione, reparti geriatrici ospedalieri, riabilitazione ospedaliera
con degenza).
La figura dell'infermiere professionale riveste un ruolo
fondamentale oltre che nelle attuali unità operative geriatriche, nei day
hospital, nei day center e nelle case protette, anche nelle équipes delle
Unità Valutative Ospedaliere (o Territoriali) di Geriatria e nelle
Residenze Sanitarie Assistenziali in fase di attuazione (L.67/88).
Il nucleo di base del team delle UVGO e delle UVGT, è formato
infatti dal geriatra, dall'infermiere professionale (o coordinatore o
dirigente infermiere), dall'assistente sociale e dal terapista della
riabilitazione, ha il compito di formulare una diagnosi socio-
assistenziale attraverso una valutazione multidimensionale, in base alla
quale si pianificherà un intervento interdisciplinare.
30
Nelle RSA (l'ospite delle quali deve essere un soggetto
prevalentemente dipendente dall'assistenza infermieristica e tecnica in
modo continuativo per interventi non propri dell'ospedale per acuti e
non erogabili a domicilio), come in altri servizi geriatrici, per
l'infermiere professionale sono previste funzioni comprendenti, oltre al
nursing tradizionale, la valutazione multidimensionale, il controllo
continuo della compliance del paziente nei riguardi delle prescrizioni
terapeutiche, la prevenzione delle infezioni e delle cadute, la capacità
di individuare il più precocemente possibile le eventuali modificazioni
dello stato di salute fisica e di compromissione funzionale, la verifica
costante dell'interrelazione tra ospite e ambiente, la tempestività nel
richiedere, in caso di necessità, l'intervento di altri operatori (medico,
riabilitatore, psicologo) per problemi che si possono via via presentare
(Carbonin P.U., Bernabei R.,1991).
Oltre ad essere autonomo in ciò che è di sua competenza,
l'Infermiere Professionale deve coordinatore 1'Operatore Tecnico
Addetto all'Assistenza, partecipando alla ricerca e alla sperimentazione
di sempre migliori forme organizzative: vedi Progetto Obiettivo per la
tutela della salute degli anziani (D.P.R. 384/90, D.L. 13/9/88 detto
degli Standard e L. 595/85).
Per le necessità di un servizio infermieristico e tecnico
assistenziale che opera in ambito geriatrico nella logica dell'unità
operativa e dell'équipe interdisciplinare, la partecipazione
organizzativa deve costituire la base per un coinvolgimento, una
sensibilizzazione, una partecipazione e una motivazione al lavoro.
L' "autogestione" del personale, nel senso di "partecipazione
operazionalizzata", costituisce un meccanismo operativo per agenzie
di servizio all'avanguardia, in cui tutti gli operatori ai vari livelli
funzionali vengono coinvolti per il raggiungimento degli obiettivi
organizzativo-istituzionali.
Nel settore dei servizi, più che in altri, quantità e qualità di
31
prestazioni realmente in grado di soddisfare i bisogni e le richieste
dell'utente possono essere raggiunte solo se la struttura formale del
servizio e se le persone che vi operano concorrono alla realizzazione
"del servizio" e non "nel servizio".
Nell'ambito di una unità operativa assistenziale l'autogestione del
personale, nel senso di collaborazione, deve essere intesa non come
un'affermazione ideologica, ma come sistema organizzativo capace di
fornire indirizzi, metodologie, strumenti per tradurre i concetti in
azioni, nella consapevolezza che "evidenziare genericamente i
problemi è critica, proporre soluzioni è collaborazione"... "per
concretizzare l'autogestione si deve quindi passare attraverso un
processo di appropriazione di tecniche al fine di analizzare i problemi,
individuare le cause, stabilire le priorità, proporre soluzioni, misurare
i risultati" (Depolo M. 1987).
La partecipazione è una variabile organizzativa legata alle
caratteristiche del piccolo gruppo omogeneo che, come tutte le altre
funzioni istituzionali del servizio, deve essere programmata, gestita,
supportata, controllata. Ai processi partecipativi occorre dedicare
risorse, tempo, competenza, tecnologie e professionalità. Può essere
definita come:
1) un processo
2) incrementale (va da un minimo ad un massimo)
3) non solo spontanea
4) che richiede di essere programmata, supportata, gestita e
controllata
5) attraverso processi, di apprendimento organizzativo.
6) E' un modo diverso di lavorare (e cioè deve essere)
32
7) parte del compito di ciascuno.
8) E' presenza intelligente (che garantisce)
9) integrazione sociale e flessibilità.
La partecipazione organizzativa nelle unità operative geriatriche
è inoltre:
10) appartenenza e
11) informazione (Depolo M., 1987).
2.1 - OBIETTIVI ASSISTENZIALI
In età senile la nozione di salute non si esaurisce nel concetto di
malattia e di guarigione, ma include un campo di bisogni molto più
ampio.
Fra le varie interpretazioni della complessità dei bisogni
dell'uomo, forse la più utile per definire i bisogni dell'anziano è quella
che vede il bisogno inteso come la necessità di una comunicazione
piena, sia a livello delle strutture sociali ed assistenziali che fra le
persone. Il bisogno viene interpretato in relazione alla consapevolezza
soggettiva di ciò che manca alla persona anziana per dare un senso al
mondo in cui essa vive.
La malattia, la sofferenza, la pena, il dolore, il disagio, il
malessere, la disabilità e 1'handicap sociale hanno modi diversi di
manifestarsi nei loro sintomi. Il bisogno di salute è inteso come
bisogno di pienezza, di "senso" nei rapporti umani quotidiani nei quali
si è immersi, costituiti da intimità, familiarità, amicizia e vicinato.
Secondo l'ottica psico-sociologica, la rilevazione e la gestione umana
dei bisogni assistenziali si possono attuare solo attraverso un corretto
rapporto comunicativo tra "mondo della vita" e istituzioni sociali e
sanitarie.
33
In relazione all'importanza si possono evidenziare nell'anziano
almeno due fondamentali categorie di bisogni:
• bisogni di livello primario, cioè quelli biologici, riguardanti la
malattia, la sofferenza, la disabilità e la morte;
• bisogni di livello secondario, appartenenti ad una sfera più
ampia e meno definibile, che comprende le spinte sociali per la
sicurezza e per il potere ed esigenze più evolute come
l'autorealizzazione, il consenso e 1'integrazione.
Nel campo dell'assistenza infermieristica è molto utile lo schema
logico interpretativo fornito da Maslow, psicologo americano.
Maslow ha elaborato un modello di gerarchia dei bisogni,
rappresentabile come una scala o come una piramide, alla base della
quale sono collocati i bisogni fisiologici legati alla sopravvivenza,
seguiti in ordine progressivo, verso l'alto, dal bisogno di stimoli, dai
bisogni legati alla sicurezza e all'amore (cioè di relazione, socialità,
amicizia, affetto reciproco, appartenenza, intimità). Ad un livello
superiore sono collocati il bisogno di stima - da parte di sé (autostima)
e da parte degli altri e di status sociale - e il bisogno di
autorealizzazione, cioè di sviluppo e di attuazione delle proprie
potenzialità cognitive, psicomotorie, psicoaffettive.
I bisogni cambiano per numero e varietà aumentando con lo
sviluppo psicologico e intellettuale. Essi inoltre variano sia nelle
diverse situazioni socio-culturali, sia nelle modalità di espressione e di
soddisfazione, che nel valore, diverso a seconda delle singole
individualità.
E' ovvio che in ambito geriatrico si incontrano esigenze
fondamentali, legate alle problematiche di salute-malattia, il
soddisfacimento delle quali richiede qualificate prestazioni
assistenziali tipiche dell'infermiere.
34
Tuttavia, rispetto al continuum salute-malattia, l'anziano può
sviluppare uno specifico bisogno di aiuto in una situazione di alterato
stato di salute e/o di perdita dell'autonomia a cui non è in grado di
rispondere da solo.
L'azione compensatoria di assistenza quale risposta ad un bisogno
specifico può essere assicurata dall'infermiere, in parallelo con altri
professionisti.
Ogni azione dell'infermiere, mediata da un'elevata capacità
professionale, dovrà pertanto tendere ad aiutare la persona anziana a
mantenere o a recuperare totalmente (o il più possibile) le sue
potenzialità e l'autosufficienza nel soddisfare i propri bisogni.
L'attuale e prevalente modello organizzativo di assistenza per
"mansioni" rende difficoltosa una corretta identificazione dei bisogni
dell'anziano e degli obiettivi assistenziali da raggiungere.
L'assistenza infermieristica "per obiettivi" prevede invece
l'esistenza di un obiettivo generale che orienta e dà unitarietà a sotto-
obiettivi specifici interni ad esso, collegandoli reciprocamente ad un
risultato globale.
Per 1'anziano malato o disabile 1'obiettivo generale può essere
costituito dall'ottenere il massimo di autonomia psico-fisica possibile,
in relazione ad una particolare patologia o ad un insieme di patologie o
ad una disabilità da cui è temporaneamente o permanentemente affetto.
L'uomo è un essere a più dimensioni: biologica, fisiologica,
psicologica, sociale e culturale; 1'alterazione di una di queste
dimensioni, comporta l'incapacità, da parte dell'uomo, di soddisfare i
propri bisogni fondamentali.
Qualora 1'individuo anziano malato, non riesca da solo,
temporaneamente o permanentemente, per mancanza di conoscenze, di
forza o di volontà, a soddisfare i suoi bisogni fondamentali,
35
1'infermiere deve, con la propria attività, integrare o supplire le
carenze dell'assistito, non limitandosi a sostituirlo, ma partecipando
alla gestione della sua salute.
L'obiettivo è di aumentare 1'indipendenza dell'anziano al
massimo grado possibile e, quando ciò non sia attuabile, è quello di
educare il disabile in età senile a convivere con le limitazioni imposte
dalla sua condizione o di consentirgli una morte serena.
2.2 - STRUTTURA ORGANIZZATIVA
Utilizzando il modello concettuale fornito dall'analisi sistemica, si
possono descrivere i molteplici fenomeni e le complesse relazioni
esistenti all'interno dell'unità operativa e all'esterno, con l'ambiente in
cui è inserita, distinguendo una struttura di base, i suoi meccanismi
operativi (Larsch J.W., 1969) ed i processi psicosociali (Vaccani R.,
1988).
La struttura di base può essere disegnata come un'ossatura
centrale, gli elementi della quale sono rappresentati dalla linea
gerarchica, dalla divisione delle funzioni, delle mansioni e dei compiti
in essa svolti, dalla divisione e dalla distribuzione degli spazi
ambientali, dall'attribuzione delle risorse umane, tecnologiche ed
economiche.
La divisione gerarchica, l'espressione grafica della quale è
costituita dall'organigramma che definisce anche le posizioni di staff,
stabilisce la linea di potere e i diversi livelli decisionali (chi comanda
su chi).
Le posizioni di line hanno potere di decisione e di responsabilità
diretta sull'attività organizzativa e le posizioni di staff hanno
responsabilità di elaborare e di istruire dati utili di supporto alle
posizioni di line.
36
La divisione delle funzioni, delle mansioni, dei compiti e i ruoli
delle persone che operano nell'organizzazione sono finalizzati - per
definizione - al raggiungimento degli obiettivi dell'istituzione.
All'interno della divisione gerarchica, le funzioni si possono
definire come dei "mandati" dotati di ampia discrezionalità gestionale
ed esecutiva, mentre le mansioni sono ''mandati" situati all'interno
delle funzioni stesse, a carattere prevalentemente esecutivo, con ridotto
ambito discrezionale.
I compiti, a loro volta, sono "mandati" situati all'interno dei
"mandati mansionali", di carattere prevalentemente esecutivo e con
ambito discrezionale ancora più ridotto rispetto alle mansioni.
La distribuzione delle risorse costituite da spazi fisici, organici,
tecnologie e da mezzi economici è parte integrante della struttura di
base.
Il criterio di divisione e di distribuzione delle risorse
professionali, tecnologiche ed economiche è determinante nel fornire o
nel togliere potere di influenza a ruoli e a funzioni.
Se sembra dimostrato che il successo di un'organizzazione di
servizi socio-sanitari è legato alla qualità e al sistema di valori delle
persone che la compongono, questi ultimi, se privati del potere relativo
a risorse significative, sono impotenti a migliorare la qualità
dell'assistenza.
I meccanismi operativi rappresentano le regole e le procedure
ufficiali di funzionamento dell'unità operativa per garantire continuità,
omogeneità, trasparenza.
Mentre la struttura di base è costituita da un sistema statico
(definisce cosa, dove, quando fare), i meccanismi operativi
suggeriscono regole di dinamica organizzativa (definiscono i come
fare). Anche se non è sempre agevole una loro delimitazione in quanto
37
strettamente intersecati e oggetto di studio da parte di varie discipline,
essi servono a rafforzare la logica di funzionamento della struttura già
impressa dalle modalità di direzione e di coordinamento ed hanno
l'obiettivo di indicare e di chiarire agli operatori dell'organizzazione
come svolgere le funzioni, le mansioni e i compiti loro richiesti, lo
scopo del lavoro svolto e di migliorare, infine, la partecipazione e la
collaborazione.
Essi sono formalmente istituiti, palesi e consolidati nel tempo,
caratterizzati da impersonalità in quanto intrinseci all'impianto
organizzativo; costituiscono 1'insieme delle regole e delle procedure
sovraindividuali che regolano la convivenza, che indirizzano e
limitano la discrezionalità-arbitrio dei membri di un'organizzazione.
Anche i meccanismi operativi, come la struttura di base, possono
determinare in modo sostanziale il funzionamento organizzativo e
possono essere indifferenti oppure premiare o sanzionare i diversi
comportamenti professionali (centrati sull'assistenzialismo, sulla
professionalità, sui risultati misurabili, ecc.).
Nelle unità operative geriatriche possono essere identificati
meccanismi di determinazione degli obiettivi e di allocazione delle
risorse (pianificazione, programmazione e controllo), meccanismi di
gestione del personale (ricerca, selezione, inserimento, valutazione
della qualità dell'assistenza, retribuzione, carriera, addestramento e
formazione, programmazione delle attività), meccanismi relativi ai
processi decisionali (informativi, di gestione dei conflitti, ecc.).
I processi psico-sociali sono definibili come comportamenti
personali, interpersonali e collettivi che gli individui mettono in atto
(accettazione, rifiuto, compensazione) nei confronti del sistema nel
quale operano.
I processi sociali di accettazione o di rifiuto sono quei
comportamenti collettivi e individuali che dimostrano o il consenso o il
38
dissenso degli appartenenti ad una organizzazione nei confronti di
alcune o di tutte le prescrizioni della struttura di base, dei meccanismi
operativi e della cultura dominante.
Questi comportamenti di accettazione e di rifiuto possono essere
estesi, oltre che all'organizzazione interna, anche a tutti i fattori in
ingresso e ai servizi in uscita. Quando sono prevalenti i processi di
accettazione aumenta il rischio di staticità e di perdita di vitalità
organizzativa; così pure quando sono prevalenti i processi di rifiuto e
di abbandono si possono determinare influenze negative per
1'organizzazione.
I comportamenti psico-sociali di compensazione fanno parte della
categoria dell'accettazione della struttura e sono costituiti da tutta
quella serie di atteggiamenti discrezionali che gli individui mettono in
atto in modo arbitrario quando la struttura di base e i meccanismi
operativi non forniscono indicazioni chiare e leggibili dei
comportamenti desiderati, oppure quando le indicazioni-prescrizioni
fornite sono lacunose o contraddittorie.
Questi comportamenti di compensazione, spesso innovativi e
coraggiosi, resi indispensabili da situazioni ambientali contingenti e
molto utili all'organizzazione, non sono previsti né riconosciuti ma
spesso altamente penalizzati.
Anche se è utile che un'unità operativa sia progettata nella
struttura e nei meccanismi in modo da non lasciare spazi
all'imprevisto, i comportamenti di compensazione nei limiti fisiologici
sono parte integrante di un'organizzazione complessa, erogatrice di
servizi sotto forma di prestazioni assistenziali ad ampio margine di
discrezionalità.
2.3 - PROCESSO ASSISTENZIALE
Per raggiungere gli obiettivi assistenziali finalizzati al
39
soddisfacimento dei bisogni fondamentali dell'anziano occorrono
metodi, cioè uno standard di processo nell'intervento, e strumenti, cioè
mezzi concreti con i quali operare per attuare prestazioni
infermieristiche realmente efficaci.
Gli infermieri nelle unità operative geriatriche devono fornire
l'assistenza richiesta a persone anziane malate o disabili che
temporaneamente o permanentemente non sono in grado dì provvedere
a sé stesse autonomamente, per mezzo di azioni educative e di
supporto, oppure per mezzo di azioni totalmente o parzialmente
compensatorie in relazione alle patologie e alle disabilità diagnosticate.
Devono cioè seguire e aiutare 1'anziano nel lento processo verso
la guarigione e il recupero del controllo della propria salute e della
propria autonomia e, dove ciò non sia possibile, devono aiutarlo ad
affrontare la morte con dignità.
Spesso l'infermiere deve anche insegnare e fornire un adeguato
aiuto ai familiari e ad altre persone che assistono direttamente l'anziano
a domicilio o nelle strutture assistenziali preposte. A tale scopo,
utilizza in modo sistematico il processo scientifico del nursing,
strutturato nelle seguenti fasi:
• RACCOLTA DATI: identificazione dei bisogni assistenziali
dell'anziano attraverso l'osservazione, la raccolta e l'analisi dei
dati e delle informazioni relative alle alterazioni del suo stato di
salute;
• INTERPRETAZIUNE E ANALISI DEI DATI: individuazione
dei problemi infermieristici e quindi degli obiettivi assistenziali,
valutando le risorse e le carenze dell'anziano assistito;
• DIAGNOSI INFERMIERISTICA: definizione dei bisogni - e
delle relative priorità - per la loro trasformazione in interventi di
cura infermieristica;
40
• PIANIFICAZIONE: delle cure infermieristiche in relazione agli
obiettivi assistenziali individuati; esse devono rispondere in
modo efficace ai problemi dell'anziano. L'infermiere che opera
in ambito geriatrico deve cioè saper prendere decisioni
appropriate in merito alle prestazioni necessarie e via via
programmarle scientificamente;
• ATTUAZIONE: delle prestazioni assistenziali che possono
essere effettuate su prescrizione medica (quando sono
diagnostiche e/o terapeutiche), oppure a totale o a prevalente
autonomia infermieristica (quando sono relative a problemi
assistenziali) e/o interdipendenti con altri operatori sanitari.
Quando è possibile, la persona anziana assistita va coinvolta
attivamente nella realizzazione del progetto che la riguarda
direttamente. L'attuazione delle prestazioni comprende attività di
informazione, di educazione e di prevenzione, finalizzate anche
ad obiettivi di salute futuri.
• VALUTAZIONE: dell'assistenza infermieristica in rapporto agli
obiettivi prefissati, sia in relazione a prestazioni di
"autoassistenza" realizzate dalla persona assistita, sia
all'efficacia delle prestazioni erogate dall'infermiere.
Il processo assistenziale consiste quindi in una serie di metodi, di
fasi pianificate, di azioni dirette ad individuare e a risolvere i problemi
assistenziali del malato anziano e disabile assieme alla sua famiglia.
In ognuna delle fasi descritte 1'infermiere deve affrontare
problemi che richiedono metodologie di soluzione non esclusivamente
intuitive ma scientifiche, valendosi del metodo deduttivo e applicando
le cognizioni acquisite oltre ad una conoscenza approfondita dei
principi dell'assistenza.
Nel processo assistenziale, l'infermiere che opera in ambito
geriatrico deve anche prendere continue decisioni che, per essere
41
efficaci, vanno continuamente orientate verso i problemi individuati.
Per verificare che le decisioni prese nell'erogazione delle
prestazioni assistenziali siano realmente finalizzate ad obiettivi
assistenziali validi per 1'anziano malato o disabile, queste vanno
inserite sistematicamente in un anello di feedbak del tipo
"informazione-decisione-azione-valutazione" in cui il processo
sequenziale che si viene a costituire è continuamente influenzato dalle
decisioni di ritorno.
L'infermiere, nell'ambito delle sue specifiche competenze, si vale
di tale processo per agire, efficacemente e in modo riconoscibile, per
una guarigione o per un miglioramento dello stato di salute
dell'anziano, utilizzando come strumento il piano di assistenza e il
protocollo, e come sistema informativo la cartella infermieristica.
• Il piano di assistenza
Il piano di assistenza infermieristica serve, nell'operatività, alla
registrazione metodica dei problemi, degli obiettivi, delle prestazioni e
della valutazione dei risultati dell'assistenza per ogni paziente.
Costituisce uno strumento educativo sia per l'anziano assistito che
per i familiari e gli operatori sanitari, necessario all'attuazione di
un'assistenza globale, individualizzata e ben organizzata, da utilizzare
in ambito ospedaliero ed extra-ospedaliero.
Costituisce anche un valido strumento di comunicazione
organizzativa fra tutti i membri dell'équipe assistenziale, dimostrandosi
utile per ottenere una conoscenza approfondita dell'anziano malato e
un buon rapporto interpersonale fra gli operatori.
Deve essere chiaro, flessibile, equilibrato, ben definito, sottoposto
a continua verifica e, se necessario, rielaborato in base al modificarsi
delle situazioni.
42
• Il protocollo
Per ottenere sufficienti garanzie che nel processo assistenziale le
prestazioni infermieristiche, caratterizzate da un elevato margine di
discrezionalità, costituiscano realmente la soluzione dei problemi
assistenziali dell'anziano malato o disabile, è molto utile usare
strumenti pratici di orientamento, di indirizzo e di controllo quali
appunto i protocolli.
Il protocollo, essendo la formalizzazione della successione di un
insieme di azioni fisiche e/o mentali e/o verbali con le quali
1'infermiere raggiunge un determinato obiettivo (Lolli, Lusignani e
Silvestro, 1987), costituisce un meccanismo di integrazione tra
esigenze dell'infermiere, del medico, della struttura assistenziale e
come tale deve essere realizzato, accettato e utilizzato a livello di
singola unità operativa.
• Il sistema informativo nel processo assistenziale
E' rappresentato dalla cartella infermieristica, la quale si avvale
della raccolta e della conservazione storica della documentazione
infermieristica, complementare a quella medica.
Nella pratica professionale, la cartella infermieristica unifica il
momento della raccolta e della trasmissione dei dati, elimina ogni,
dispersione delle informazioni, costituisce una guida all'osservazione
del malato anziano e, poiché considera tutti gli aspetti assistenziali -
preventivi, curativi, educativi e relazionali -, permette a tutti gli
operatori di avere una visione complessiva dei problemi.
43
3 - SISTEMA INFORMATIVO E POLITICHE
GESTIONALI
Nelle unità operative geriatriche è importante 1'acquisizione di
personale infermieristico di elevato profilo e realmente motivato.
Per raggiungere questo obiettivo è necessario poter disporre di un
sistema informativo in grado di fornire dati attendibili sul fabbisogno
assistenziale rigorosamente valutato con criteri scientifici (es. metodo
Canadese di rilevazione computerizzata PRN80).
Infatti, sulla base dell'analisi di un efficace sistema di raccolta dei
dati, possono essere prodotti con elevato grado di attendibilità i criteri
e le linee di indirizzo generale (linee guida) per una corretta
pianificazione e per una buona gestione dei servizi infermieristici ai
vari livelli istituzionali.
"L'utilizzo del concetto di sistema informativo sanitario è
strettamente legato ad un approccio sistemico al settore sanitario. Non
appena i servizi sanitari sono apparsi, nella loro natura, sistemi
organizzati, ma soprattutto, hanno visto consolidarsi al loro interno un
vero e proprio system management, concreta applicazione di
comprensioni teorico interpretative, sono state individuate al loro
interno entità specializzate con il compito di fornire 1'informazione e
la comunicazione" (Zurla P., 1982).
Se un servizio sanitario può essere compreso come un sistema
formato da varie componenti (concetti, idee, oggetti e persone) che
interagiscono supportandosi e controllandosi l'un l'altro, gli elementi
che rendono possibile l'interazione sono l'informazione e la
comunicazione.
La funzione informativa deve quindi essere svolta all'interno del
sistema in modo da rispondere alle esigenze complessive articolandosi
44
anch'essa in termini di sistema. Ai vari livelli istituzionali il
sottosistema informativo del sistema sanitario (nelle sue fasi di
raccolta, di immagazzinamento, di elaborazione ed analisi dei dati, di
management e controllo, di trasmissione dell'informazione), serve ad
aiutare a comprendere i problemi sanitari e a formulare le politiche per
la loro soluzione, a pianificare, a coordinare e a far funzionare i servizi
necessari alla realizzazione degli obiettivi individuando le strategie e le
risorse necessarie e determinandone le priorità; serve infine a valutare i
risultati ottenuti.
3.1 - PIANIFICAZIONE STRATEGICA E PROGRAMMAZIONE
DEL PERSONALE
Un buon sistema informativo sul personale, costituito da una
struttura logica di dati selezionati, rappresenta una base indispensabile
per la programmazione del personale stesso e per tutte le politiche
gestionali che ne possono discendere.
Da una serie di informazioni - 1e principali delle quali sono
costituite dalla composizione degli organici, dagli indici di
assenteismo, dal costo del personale, dalle caratteristiche
dell'organizzazione del lavoro -, scorporate e messe in relazione tra di
loro, si può ottenere una descrizione chiara dei problemi emergenti.
In relazione agli obiettivi, ai programmi, e ai vincoli legislativi,
così pure in relazione alle attività da svolgere e in riferimento alle
modalità di utilizzo del personale, attraverso un confronto tra personale
disponibile e personale necessario in un determinato periodo, si
possono prevedere le necessità per qualifiche, livelli di inquadramento,
settori di attività.
Alle strategie di sviluppo operativo pluriennale dei piani sanitari
nazionali e locali devono infatti corrispondere pianificazioni
finalizzate all'acquisizione di personale dotato delle caratteristiche
richieste per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. La
45
programmazione del personale ha la funzione specifica di assicurare la
disponibilità qualitativa e quantitativa di operatori stimati necessari per
la realizzazione delle funzioni istituzionali e dei relativi piani; di
assicurare inoltre, in relazione alla dinamica legislativa, contrattuale,
economica e sociale, le condizioni per la loro gestione.
Un sistema informativo dotato delle caratteristiche esposte è lo
strumento idoneo a fornire i dati necessari all'attività di
programmazione che si riferisce alla previsione, sia quantitativa che
qualitativa, del personale necessario, all'analisi delle posizioni più
critiche all'interno dell'organizzazione, ai tempi di conversione da
un'attività all'altra, alle modalità di soluzione di problemi operativi per
mezzo delle risorse a disposizione. Serve anche alle attività di
razionalizzazione dell'impiego del personale attraverso la
valorizzazione delle sue caratteristiche e a raccordare obiettivi
assistenziali a necessità di organico, a programmare le assunzioni in
funzione delle uscite e dei trasferimenti prevedibili, a individuare
posizioni e a sostituire figure critiche per 1'organizzazione.
3.2 - RECLUTAMENTO E SELEZIONE
Considerando che nel campo assistenziale il personale è la
principale risorsa necessaria ad ottenere buoni livelli di prestazioni, un
efficace sistema informativo è un supporto necessario per pianificarne
l'acquisizione e lo sviluppo in rapporto al fabbisogno.
Un buon processo di reclutamento può far affluire nelle unità
operative persone dotate di specifiche attitudini e abilità - senza dover
necessariamente aumentare il numero dei candidati alla selezione
attraverso un'autoselezione da parte dei candidati e una preselezione da
parte dell'organizzazione, in modo da raggiungere un rapporto ottimale
tra candidati da selezionare e posti da ricoprire.
Un processo di reclutamento ben pianificato deve infatti orientare
sia i candidati che i selezionatori verso le attitudini e le capacità
46
richieste, utilizzando tecniche comunicative e messaggi che
contengano e valorizzino informazioni trasmesse dai mass media,
nell'ottica del marketing sociale.
Pur tenendo conto della dipendenza dalle condizioni del mercato
del lavoro, dai vincoli legislativi, dai regolamenti contrattuali e
sindacali, si può affermare comunque 1'importanza di un buon
processo di reclutamento, dal momento che le posizioni successive
saranno ricoperte attraverso le leggi del mercato interno (progressioni
automatiche di carriera, concorsi riservati, ecc.).
Nei processi di selezione vi sono sempre due dinamiche parallele,
centrate sulla valutazione professionale (come e quanto l'individuo può
servire per raggiungere gli obiettivi dell'unità operativa) e
sull'"affiliazione" (il prezzo da pagare, il cerimoniale che 1'individuo
dovrà affrontare per essere degno del gruppo). Nel processo di
selezione è necessario considerare 1'individuo come un'entità inserita
in un sistema di variabili organizzative e di funzioni sociali
interdipendenti, analizzandone le capacità e le attitudini a svolgere una
determinata funzione, ma anche l'atteggiamento, le motivazioni, le
potenzialità e le sue aspettative.
Qualsiasi metodologia di selezione deve basarsi su un'accurata
analisi delle posizioni da ricoprire, attraverso lo studio sistematico
delle caratteristiche, dei doveri, delle responsabilità, degli standard
richiesti ecc., al fine di conoscere i requisiti fondamentali da valutare
nelle persone; deve anche basarsi su uno studio analitico dell'esito
delle selezioni precedenti.
In Europa, 1'analisi del lavoro, base di un corretto processo di
selezione, viene affrontato con la modalità dei profili professionali -
nella logica che sia necessario un esame oggettivo del processo
lavorativo - da cui ricavare una descrizione soggettiva, e in America
con la modalità dei criteri - nella logica di ricercare ogni particolare
del lavoro che costituisca un interesse ai fini del rendimento lavorativo
47
- per selezionare gli individui che ne siano in possesso.
In ogni caso per il valutatore, ogni processo di selezione, quali
che siano i criteri e i metodi scelti, comporta la possibilità di incorrere
in errori e in atteggiamenti arbitrari. Gli errori più comuni (detti di
benevolenza, di tendenza centrale, effetto alone, di allargamento del
campo) possono comunque essere contenuti avendone la
consapevolezza e definendo con chiarezza le prestazioni professionali
richieste dalla funzione da ricoprire e i sistemi per valutarla
(assessment). La non idoneità deve essere comunicata al diretto
interessato così come deve essergli fornito un indirizzo verso mansioni
o funzioni in cui dimostri eventualmente idoneità; oppure deve essergli
fornito un orientamento professionale finalizzato al "recupero"
(counseling).
Un sistema informativo efficiente serve proprio a fornire elementi
sufficienti per stabilire se con una determinata procedura di selezione
(test, prove psicoattitudinali, esami scritti e orali, prove di abilità
tecnica, ecc.) si ottiene nel tempo un alto indice di correlazione fra il
risultato della prova e il successo lavorativo e, concretamente, se una
determinata metodologia è da ritenersi valida oppure no.
3.3 - INSERIMENTO E SOCIALIZZAZIONE
La socializzazione può essere intesa come comunicazione e come
educazione poiché implica un rapporto dell'individuo con un codice
morale costituito da norme sociali e da valori culturali.
L'inserimento nel mondo occupazionale costituisce un processo
mediante il quale 1'individuo diviene membro partecipe di una società
di adulti. Tale processo perdura per tutto l'arco della vita ed è
influenzato da fattori quali il ceto sociale di appartenenza, la specificità
dell'educazione ricevuta e la condizione economica.
Nella socializzazione vi sono sempre due poli d'interazione e cioè
48
il singolo e il gruppo sociale, poiché essa riguarda 1'insieme dei
processi attraverso i quali le persone acquisiscono conoscenze,
comportamenti, capacità e valori per una esperienza sociale
significativa; può inoltre rappresentare l'occasione, per ciascuno, per
costruire la propria identità e la propria realizzazione.
Nella fase di accoglimento, per mezzo di un sistema informativo
ben strutturato, al nuovo assunto si possono fornire notizie storiche ed
elementi caratteristici dell'organizzazione in cui egli verrà inserito,
illustrandogli gli obiettivi generali e quelli specifici a breve e lungo
termine. Nell'unità operativa, infine, gli dovrà essere chiarito il genere
delle prestazioni attinenti alla posizione funzionale che dovrà ricoprire
e, in definitiva, tutto ciò che la struttura si aspetta da lui, al fine di
coinvolgerlo e di motivarlo adeguatamente.
Così pure, nella fase di inserimento, si deve raggiungere
l'obiettivo di far acquisire al nuovo assunto una visione complessiva
del ruolo, delle funzioni, delle responsabilità proprie e altrui, attraverso
un piano di formazione e di addestramento, limitando
l'"autoapprendimento" e coinvolgendo gli operatori già inseriti
(tutorship).
Infine, nella fase di socializzazione si deve attuare un processo
caratterizzato da comunicazioni-relazioni in cui il gruppo sociale già
esistente trasmette al nuovo membro la propria cultura e le proprie
competenze tecniche e in cui il neo assunto porta il proprio patrimonio
di valori, di conoscenze e di comportamenti, con un potere di
influenzamento ovviamente correlato al potere del ruolo.
49
4 - COMUNICAZIONE E CAMBIAMENTO
In una visione sistemica delle unità operative geriatriche - come
per tutto il settore del terziario sociale (ricerca, istruzione, sanità,
assistenza, tempo libero e cultura, ecc.) - per conseguire buoni risultati
è necessario il coinvolgimento di tutti gli operatori basato sui rapporti
umani e sulle competenze professionali. Per conseguire buoni risultati
è altresì necessaria la massima diffusione di un "sapere, saper assere e
saper fare" professionale e psicosociale per poter conciliare 1'interesse
generale (tradizionale patrimonio del vertice) con la frantumazione del
particolare (orizzontale, specifico delle unità operative decentrate),
attraverso un efficace processo di comunicazione.
Sembra acquisito che i problemi relativi ai sistemi organizzativi
complessi non si possano risolvere adeguatamente né attraverso
1'accentramento del processo decisionale né attraverso la sua
frantumazione in piccole unità, bensì mediante un processo di
diffusione e integrazione e cioè attraverso l'integrazione di piccole
unità in un sistema complessivo.
Questa visione implica un sistema di comunicazione capace di
assicurare il funzionamento in tempo reale della retroazione sociale,
nel senso di un aggiustamento reciproco delle decisioni prese ai vari
livelli. Implica anche il superamento delle tecniche di comunicazione
tradizionali, utilizzate quasi esclusivamente in senso discendente, per
mezzo di tecniche innovative, con flusso circolare delle informazioni.
Queste ultime possono realizzare un "sistema nervoso" capace di
mettere in relazione tra di loro tutte le unità e le unità con tutti i livelli
del sistema (Ruffolo G., 1976).
Il processo di comunicazione può essere analizzato da diversi
angoli di visuale e con diverse metodologie: comunicazione di massa,
cibernetica, statistica, semantica, sociologia ecc.. Un modello
50
integrato, articolato e adattabile ai molteplici processi (Titone R.,
1978), descrive la comunicazione come un flusso di informazioni
provenienti da una sorgente, con un pensiero umano che codifica e
trasmette un messaggio utilizzando un codice, o linguistico o gestuale
o in generale comportamentale verso una destinazione, ossia verso
un'altra mente umana, che a sua volta decodifica il messaggio
valendosi di un proprio sistema (apparato) ricevente. Il messaggio
viaggia così su un canale portante che possiede una determinata
capacità di contenere informazioni. Le fasi input e output sono
reversibili, ossia un comunicante può cominciare a ricevere, anziché
emettere, e viceversa, come succede nello sviluppo ontogenetico
umano (il bambino impara prima a decodificare, poi a codificare).
L'unità intrinseca dell'atto comunicativo è data dalla presenza dei
meccanismi di feed-back, sia di tipo biologico (acustico, visivo, ecc.)
che di tipo psichico (autocontrollo cosciente, autoregolazione). Le
interferenze, i disturbi, gli ostacoli al processo comunicativo sono di
diverso grado e intensità e si possono situare in qualsiasi punto del
processo (dalla sorgente alla destinazione).
Punto focale della comunicazione è il "messaggio", ossia ciò che
si vuole trasmettere al ricevente, che è costituito dalla sommatoria
delle emissioni e delle immissioni, basato su un codice di conoscenza
comune.
Il repertorio dell'emittente è costituito dagli scopi, dalla
percezione che egli ha del ricevente, dalla percezione della situazione e
dalle sue aspettative; così pure il repertorio del ricevente è costituito
dagli scopi e dalla percezione che questi ha dell'emittente, dalla
percezione della situazione e dalle sue aspettative.
Nelle unità geriatriche autogestite, un processo comunicativo
valido è sicuramente determinante nell'ottenere un cambiamento nel
senso di miglioramento della qualità del processo assistenziale e
organizzativo.
51
Il cambiamento nell'assistenza infermieristica è un fenomeno
complesso e difficile da definire che può essere vissuto come
un'evoluzione e un progresso, oppure come un pericolo.
Le più comuni reazioni al cambiamento, direttamente osservabili,
sono riconducibili sostanzialmente a due tipologie: di resistenza al
cambiamento, tendenti cioè a controllare il fenomeno, e di adesione al
cambiamento, favorevoli quindi alle sperimentazioni di strategie
innovative-operative delle dinamiche assistenziali.
Considerando che ogni processo di cambiamento organizzativo e
assistenziale provoca, spesso anche nei promotori, reazioni di
apprensione dovute ad una ridefinizione della propria identità
professionale sulla quale si basa il senso di sicurezza individuale, è
necessario realizzare condizioni nelle quali gli operatori a tutti i livelli
siano protagonisti.
L'esperienza ci dimostra infatti che nel cambiamento
organizzativo tutto ciò che diverge da processi di reale coinvolgimento
è soggettivamente vissuto come tentativo di manipolazione e scatena
prima o poi dinamiche difensive.
Nel processo assistenziale il cambiamento dovrebbe tendere a
realizzare un armonico sviluppo delle dimensioni individuali e
strutturali, attuando miglioramenti nella qualità della vita lavorativa e
del servizio.
Nell'ambito delle unità operative geriatriche del Policlinico S.
Orsola - M. Malpighi di Bologna la metodologia dell'intervento
psicosociale si è dimostrata molto utile per introdurre cambiamenti-
miglioramenti organizzativi consistenti nell'adozione di alcune
modalità operative quali:
• RIUNIONE periodica di lavoro;
52
• AUTOGESTIONE del personale infermieristico e ausiliario;
• PIANIFICAZIONE delle attività giornaliere degli operatori in
rapporto agli obiettivi assistenziali;
• predisposizione ed uso flessibile dei PROTOCOLLI;
• ricerca ed adozione della CARTELLA INFERMIERISTICA
come sistema informativo assistenziale;
• organizzazione del lavoro per SETTORI o PICCOLE EQUIPES;
• analisi e revisione dei CARICHI DI LAVORO;
• analisi e revisione delle PRESTAZIONI;
• valutazione della QUALITÀ dell'assistenza;
• FORMAZIONE ed AGGIORNAMENTO permanente
finalizzato al processo scientifico del nursing, ecc..
Semplificando e schematizzando, possiamo dire che la
metodologia psicosociale consiste in un'azione intrapresa da uno o più
operatori, "intenzionalmente" finalizzata a provocare un cambiamento
a livello del comportamento pratico, con il coinvolgimento della
totalità delle persone operanti in una determinata struttura.
Considerando che le dimensioni chiave presenti nelle
organizzazioni sono quella individuale, centrata su aspettative,
speranze e timori insiti nelle persone e quella strutturale, caratterizzata
da norme e procedure che 1'organizzazione si dà per raggiungere i
propri obiettivi, appare evidente come il cambiamento sia possibile
mediante un intervento simultaneo sulle due aree. Sulla prima il
cambiamento è effettuabile introducendo la tecnica del lavoro di
gruppo, migliorando la comunicazione e gli stili di gestione, favorendo
il senso di appartenenza, agendo sui bisogni e sulle motivazioni; sulla
53
seconda, migliorando 1'organizzazione del lavoro, 1'organico, i turni,
la pianificazione delle attività, le procedure, il rapporto numerico fra
persone che assistono e persone assistite, le attrezzature, ecc..
La direzione del cambiamento è intesa come: diagnosi—>
intervento—>cambiamento (Sangiorgi G., 1975).
La diagnosi deve verificare l'efficacia-efficienza del processo
assistenziale in relazione alle risorse, avendo come parametro di
riferimento gli standard ritenuti adeguati; 1'intervento consiste nella
sensibilizzazione, in ogni unità operativa, di un piccolo nucleo (tre o
quattro operatori), innovatori precoci fisiologicamente esistenti in ogni
gruppo; il cambiamento è il risultato delle trasformazioni
comportamentali e organizzative che il piccolo gruppo saprà
determinare.
Le fasi del processo sono quelle della progettazione, della
realizzazione e della valutazione.
Nella fase progettuale si procede ad una focalizzazione dei
problemi ed alla creazione degli agenti del cambiamento; nella fase di
realizzazione si affrontano le difficoltà maggiori, essenzialmente di
tipo tecnico-organizzativo e conflittuale e infine nella fase di
valutazione si misura lo scarto esistente fra situazione iniziale, ritenuta
insoddisfacente, e situazione finale che deve risultare obiettivamente e
soggettivamente migliorata.
4.1 - COMUNICAZIONE ORGANIZZATIVA NELLE UNITA'
OPERATIVE
La comunicazione umana si può analizzare come sintassi (canali
di trasmissione, proprietà statistiche del linguaggio, problemi della
codificazione, del rumore ecc.), come semantica (sistema
convenzionale relativo al significato convenzionalmente attribuito ai
simboli, alle parole e ai gesti) e come pragmatica (influenza della
54
comunicazione sul comportamento dell'uomo: parole, configurazioni,
significati, fatti non verbali - linguaggio del corpo compreso -)
(Mazzoli G., 1992 cita Morris C., 1939).
Watzlavich afferma che - considerando soprattutto gli effetti della
comunicazione sul comportamento - non è tanto importante discutere
sull'esistenza della mente umana e sulla sua enorme complessità,
peraltro difficile da verificare, quanto invece applicare il concetto
cibernetico di entrata e uscita della comunicazione (Watzlavich P. et
altri, 1971). Egli afferma inoltre che è difficile stabilire se una
comunicazione è consapevole, volontaria o involontaria, valutare i
motivi dell'altro con una certa oggettività.
Con l'osservazione del comportamento si possono identificare
modelli comunicativi del "qui ed ora" poiché, se le esperienze del
passato incidono sul comportamento presente, il ricorso alla memoria
può distorcere i fatti. Nella comunicazione, quindi, non è tanto
importante ciò che 1'ha determinata (il "perché"), quanto l'effetto del
comportamento che si instaura nell'interazione con le persone (il "a
quale scopo"). La comunicazione è circolare nel senso che
l'interazione di una persona influenza necessariamente l'interlocutore e
viceversa. Poiché il principio della comunicazione si basa sul
comportamento collegato al contesto, le nozioni di "normalità" e di
"anormalità" se riferite agli individui, perdono il loro significato.
Poiché tutti i comportamenti, non solo verbali, sono
comunicazione e poiché non esiste il "non comportamento", non può
esistere la "non comunicazione". Ne consegue che ogni
comportamento influenza sempre il comportamento altrui.
Nella comunicazione il contenuto e la relazione sono realtà
fondamentali e sempre presenti. Il contenuto manifesto della
comunicazione è verbale (orale o scritto) e avviene usando mezzi e
supporti differenti; quello latente, rappresentato dai pensieri e dalle
relazioni sottostanti ai processi interpersonali che costituiscono la
55
comunicazione non verbale - e come tali più difficili da decodificare -,
si manifesta in una certa misura attraverso il comportamento (mimica
facciale, gestualità, posizione corporea). ...."1'intenzionalità
comunicativa, è intesa come 1'elemento attraverso cui 1'emittente si
relaziona con l'esterno e trasmette metacomunicazione inerente la
relazione tra se stesso e 1'ambiente. L'emittente agisce infatti a due
livelli, il primo, attraverso il quale trasmette informazione, ed un
secondo, metacomunicativo, attraverso il quale colloca 1'informazione
in un quadro sociale" (Mazzoli G., 1992).
Entrambi gli aspetti - il contenuto latente e il contenuto manifesto
-, sempre presenti nella comunicazione, possono essere analizzati
attraverso le dimensioni logica e relazionale. Nei gruppi di lavoro,
specialmente nelle équipes a carattere interdisciplinare quali quelle di
assistenza geriatrica, per instaurare una relazione simmetrica e
integrata, sono necessarie una buona consapevolezza e 1'accettazione
di sé, con i propri bisogni, con i propri desideri, con le proprie
emozioni e così pure dell'altro da sè come entità autonoma, diversa ma
accessibile.
Per comunicare bene con gli altri (e cioè per migliorare il
rapporto interpersonale attraverso la socializzazione e/o il senso di
appartenenza) e per evitare le tanto diffuse relazioni interpersonali
patologiche e le comunicazioni disfunzionali, è necessario riconoscere
le identità autonome di sé e quelle degli altri.
La comunicazione organizzativa può essere analizzata in base a
quattro prospettive diverse:
• la comunicazione intrapersonale riguarda prevalentemente le attività di comunicazione personale, con se stessi;
• la comunicazione interpersonale si focalizza sulle interazioni tra gli individui e tra gli individui e i gruppi;
• la comunicazione organizzativa riguarda il flusso delle comunicazioni attraverso i canali formali e informali delle organizzazioni;
56
• la comunicazione tecnica si basa sul progetto e sulle operazioni dei sistemi informativi di management.
Nelle unità operative assistenziali geriatriche e non, definibili
come un insieme di ruoli strutturati per svolgere specifiche funzioni
tese a specifici obiettivi, ma anche come sistema di relazioni
intersoggettive che per funzionare necessita di regole condivise ma
non vincolanti, da rinegoziare continuamente, sono presenti tutte le
modalità comunicative.
Si può dire che le comunicazioni corrispondono a ciò che sono le
organizzazioni. Le organizzazioni che si configurano come sistema
chiuso (oppure aperto solo di facciata) sono caratterizzate da una
cultura psico-sociale determinata o pesantemente condizionata dal
vertice; in siffatte organizzazioni il senso di appartenenza coincide con
il sentimento di "totalità compiuta" e ogni diversità, di atteggiamento o
di idee, è considerata devianza minacciante e come tale da reprimere.
In questi gruppi di lavoro la leadership tende a configurarsi come
carismatica, il conflitto viene vissuto come realtà patologica, la
valutazione e il sistema premiante sono della persona sulla persona,
non funzionali ma basati sulla fedeltà e sull'amicizia. Il potere si
configura spesso come dominio, come controllo delle differenze e
l'autorità tende all'autoritarismo.
In questo contesto le informazioni sono ambigue, i messaggi
apparentemente informativi veicolano di fatto ingiunzioni e "ordini"
tendenti a perpetrare il sistema. L'ordine funzionale serve spesso a
mascherare l'ordine di potere vigente che non si può mettere in
discussione, che utilizza "razionalizzazioni spinte" tendenti a farlo
apparire determinato da fattori oggettivi, esterni, non modificabili.
In questo contesto, l'organizzazione del sistema di comunicazione
appare determinata, più che dagli scopi dichiarati di efficienza, dalla
necessità di mantenere il potere costituito (Garuti Ghirardini M.G.,
57
1982).
Nelle organizzazioni del lavoro che si configurano come sistema
aperto, dove cioè prevale l'aspetto del gruppo di lavoro finalizzato e
specializzato, impegnato nel raggiungimento di obiettivi chiari e
concordati, le comunicazioni sono invece più chiare, finalizzate e
precise, centrate sugli aspetti dell'informazione e del coinvolgimento.
Nell'organizzazione concepita come sistema aperto, la
"comunicazione organizzativa", anziché essere prevalentemente
verticale-discendente, è prevalentemente a flusso circolare.
4.2 - INTERAZIONE E COMUNICAZIONE CON L'ANZIANO
Il processo di comunicazione può essere analizzato da diversi
angoli di visuale, con diverse metodologie e con diversi obiettivi. Per
1'infermiere che assiste gli anziani è importante possedere gli elementi
di base di una corretta comunicazione e conoscere i principali fattori
che la ostacolano nei rapporti interpersonali con i malati, con i loro
familiari e conoscenti, ma anche con i colleghi e con i superiori.
Le interferenze e gli errori nel processo comunicativo con
1'anziano possono essere di vario grado e di diversa intensità. Per
qualsiasi operatore che svolga attività in ambito geriatrico è importante
analizzare i seguenti aspetti:
• 1'importanza della comunicazione come elemento basilare della
relazione che si troverà ad instaurare con il malato in età senile;
• la necessità di adattare il proprio comportamento comunicativo
all'età, al sesso, alle condizioni psicofisiche (importanti la
sordità, 1'involuzione psichica e 1'invalidità motoria) e al livello
socio-culturale del singolo malato;
• la necessità di adattare il proprio, comportamento comunicativo
ai contenuti della comunicazione;
58
• 1'importanza, nel colloquio con l'anziano, di lasciarlo parlare e
di saperlo ascoltare, più che di parlargli;
• l'importanza della non verbalità come mezzo di espressione sia
dell'operatore sanitario sia del malato (Iandolo C., 1983).
Perché sia possibile la comunicazione, occorre che chi emette un
messaggio e chi lo riceve abbiano un certo repertorio di segni e di
simboli ai quali attribuire un identico significato.
Nella comunicazione verbale con 1'anziano sono di importanza
rilevante i reciproci tempi di parola e di ascolto.
Le funzioni della comunicazione sono molteplici: fra queste, per
gli interessi specifici legati ai compiti di un operatore sanitario nel
settore geriatrico, le più rilevanti riguardano l'informazione, il contatto
sociale, la stimolazione, il ruolo.
Le funzioni di informazione sono fra le più importanti nell'ambito
della comunicazione e consistono nel fornire all'anziano indicazioni,
nel chiarire i suoi dubbi, nel risolvere le sue incertezze, nello
scambiare conoscenze, ecc., e richiedono nel contempo la capacità di
discriminare continuamente i contenuti, i modi e i mezzi per farlo.
Le funzioni di contatto sociale e di stimolazione costituiscono
quel tipo di comunicazione che può essere svolta fine a se stessa per il
piacere di comunicare con gli altri e per evitare, mediante lo scambio
di notizie, di idee, di informazioni, il senso di isolamento e di
solitudine che spesso caratterizza la vita dell'anziano.
Per l'uomo anziano malato e disabile la comunicazione con gli
altri costituisce infatti una delle stimolazioni fisiologiche
indispensabili, più vitale ancora di quelle visive, olfattive e tattili. Ciò
è di grande importanza nelle strutture ospedaliere ed in quelle
residenziali.
59
L'anziano ansioso o depresso trae grande sollievo dalla
comunicazione con gli operatori che, per rassicurare e sostenere
psicologicamente, devono assumere pertanto comportamenti empatici.
"Uno degli elementi fondamentali dell'analisi di Ardìgò è
1'empatia, intesa come elemento fondamentale per la rielaborazione
dei messaggi sia all'interno dei mondi vitali sia oltre ad essi. Egli
ritiene che, per rendere possibili le osmosi polisensiche, il sistema
deve dotarsi di una nuova modalità di selezione, definita senso
empatico, e concepita come nuova equivalenza funzionale in grado di
rendere tollerabili gli stimoli elusi dalla selezione astratta. In tal modo
il sistema diventa "anche aperto" e capace di accettare l'ambiente
come portatore di significati. Si afferma così un nuovo concetto di
interazione comunicativa, nella quale il soggetto possa esprimere la
propria individualità con il relativo apporto di valori, norme e
convinzioni sociali" (Mazzoli G. 1992).
Anche il silenzio, nel rispetto del desiderio del malato,
costituisce, allo stesso modo della parola, un valido mezzo di
comunicazione.
Assieme alla comunicazione verbale (a faccia a faccia, scritta, a
voce, telefonica), assume un ruolo centrale nelle relazioni fra operatore
ed anziano la comunicazione non verbale, mimica e gestuale. Sono
infatti moltissime le situazioni, i sentimenti, le sensazioni, gli stati
d'animo che non si possono spiegare adeguatamente a parole, ma che
vengono meglio espressi e recepiti attraverso la comunicazione non
verbale.
Fra questi, ad esempio, vi sono i segnali che denotano amicizia
oppure ostilità, superiorità o inferiorità, i quali sono più efficaci a
livello di comunicazione non verbale che a quello di comunicazione
verbale.
La comunicazione è efficace quando è sostenuta da un insieme di
60
conoscenze, di capacità, di attitudini che formano la competenza
comunicativa di un operatore sanitario.
Le conoscenze che deve possedere un infermiere sono costituite
dall'insieme delle motivazioni al colloquio con il malato, dalla
comprensione della differenza esistente fra il "parlare al malato" e il
"parlare con il malato", dal processo della comunicazione in generale
e con il malato in particolare e infine dall'osservazione e
dall'interpretazione della comunicazione verbale e non verbale del
malato stesso.
Le capacità relazionali dell'infermiere consentono di applicare
operativamente le conoscenze adottando varie modalità secondo
"scienza e coscienza", di impostare diversi modi di comunicare con le
diverse persone anziane malate e soprattutto di saperle ascoltare.
"Diversamente da Habermas e ovviamente da Luhmann, Ardigò
riconosce come fondamentale, 'l'autonomia della coscienza personale,
prima e al di là del contesto comunicativo linguistico': solo attraverso
questo 'capovolgimento' concettuale è possibile sostenere il primato
dell'empatia sull'ermeneutica, della coscienza egosistemica sulla
comprensione delle 'motivazioni individuali' e dei processi societari,
dell'analisi intenzionale sull'osservazione esterna, anche se fondata su
requisiti morali ed etici" Mazzoli G., 1992).
Le attitudini alla comunicazione efficace consentono
all'infermiere di assumere atteggiamenti e sentimenti destinati a
facilitare un dialogo e una sana relazione con il malato e caratterizzano
comportamenti basati sulla tolleranza, sull'accettazione delle diversità,
sulla pazienza e sulla "neutralità affettiva".
La comunicazione è inefficace o dannosa, quando l'atmosfera
emotiva è sgradevole, conflittuale, ansiogena.
Nel processo di comunicazione con un anziano, qualsiasi
61
operatore sanitario deve tener conto delle differenze tra lui e il paziente
in relazione al possesso di conoscenze specifiche e della necessità di
chiarezza nel linguaggio e nei termini utilizzati.
La comunicazione è disfunzionale, ad esempio, quando si parla
ma non si ascolta; quando il comportamento non verbale denota scarso
interesse per 1'anziano assistito; quando si assumono comportamenti
improntati alla fretta.
Nella relazione di aiuto all'anziano che ne ha bisogno, è quindi di
grande importanza una comunicazione sana ed efficace, tesa a creare
un clima adatto a stabilire un valido rapporto evitando di uscire dalle
specifiche competenze, di fornire consigli non richiesti che potrebbero
essere male interpretati; evitando ancora comportamenti di
rassicurazione, di disapprovazione, di rifiuto o di eccessivo interesse
interpretabili come invadenti e lesivi della sfera di personale
autonomia.
4.3 - COMUNICAZIONE, FORMAZIONE, EDUCAZIONE
SANITARIA
La formazione può essere definita come un insieme di esperienze
e di attività comunicative finalizzate all'acquisizione di conoscenze
generali e specifiche, le quali dovrebbero permettere di tradurre le
attività individuali e di gruppo in capacità, migliorandone
concretamente le performance.
La comunicazione finalizzata alla formazione è un processo
separato da quello dell'addestramento e dell'informazione. L'obiettivo
della formazione è lo sviluppo complessivo delle potenzialità e
l'arricchimento delle competenze professionali, comprendenti la sfera
cognitiva, gli atteggiamenti, i comportamenti e la sfera emotiva;
l'obiettivo dell'informazione è di generare un aumento delle
conoscenze agendo a livello razionale; quello dell'addestramento,
infine, di attivare 1'acquisizione di abilità operative manuali o
62
intellettuali.
Suddividendo le attività di apprendimento in senso cognitivo,
operativo ed affettivo-emotivo, l'informazione può essere definita
come l'attività tesa all'aumento del "sapere", 1'addestramento come
aumento delle abilità e delle capacità del "saper fare" e la formazione
come aumento delle capacità, degli atteggiamenti, dei comportamenti
del "saper essere".
Secondo questa visione, la comunicazione formativa può essere
definita un "processo attraverso il quale si favorisce l'interpretazione
di fenomeni complessi, la formazione di opinioni individuali, lo
sviluppo di capacità nei rapporti interpersonali e la coscienza del
proprio ruolo" (Goguelin P. 1972).
La polarizzazione degli ambiti di apprendimento "cognitivo,
psicomotorio, psicoaffettivo" che nei processi comunicativi di
informazione, di addestramento e di formazione possono corrispondere
alle aree del "sapere, saper fare e saper essere" è solo teorica, essendo
impossibile nella realtà attuarne una separazione.
Una teoria e una prassi relative alle attività di apprendimento, di
formazione (e non di uniformazione) e di educazione, non possono
comunque essere disgiunte dalla ricerca di un orizzonte di senso e da
una intenzionalità, poiché intervengono su conoscenze, abilità,
atteggiamenti, su emozioni e sentimenti degli individui.
"Uno dei presupposti cui fanno riferimento molte teorie
sociologiche è che la società sia un insieme di comunicazioni più o
meno rette da intenzionalità". "Secondo le teorie fenomenologiche, il
senso è un 'sentimento di comprendere del tutto naturale' che si
manifesta nel processo comunicativo. E' i1 significato del messaggio
che rende ricche di intimità e di partecipazione le parole pronunciate
dall'uomo; è 1'intenzionalità soggettiva che è comunque selettiva;
attribuita però alla coscienza e non all'operare tecnicistico dei sistemi
63
sociali" (Mazzoli G., 1992).
Per questo il compito della comunicazione-formazione finalizzata
al cambiamento è sempre più quello di estrarre, di stimolare a fare, a
ricercare, non solo di insegnare, ma soprattutto di "imparare ad
imparare" (learning to learn) per cambiare.
La formazione diviene cioè intervento psicosociale, diretto sia
all'individuo sia al gruppo, purché venga adeguatamente considerata la
situazione ambientale operativa.
Nel processo formativo in ambito assistenziale vi è anche la
necessità di superare il falso antagonismo esistente fra un tipo di
formazione tradizionale - orientato alla specializzazione - e una
formazione orientata invece ad una visione globale e integrata della
realtà: essendo la specializzazione il momento della conoscenza e la
despecializzazione quello della coscienza, momenti che devono essere
integrati, in cui la despecializzazione deve precedere tutte le modalità
di formazione specialistica.
Le azioni formative, per avere efficacia, devono essere congruenti
con il tipo di intervento formativo e cioè con l'area professionale da
innovare.
• Se vi è la necessità di incrementare compiti e mansioni nuovi,
per aumentare capacità operative si attiveranno azioni di
addestramento pratico, di affiancamento operativo, di tirocinio, di
simulazioni operative.
• Se la necessità è quella di incrementare professionalità di tipo
specialistico, la formazione più opportuna dovrà essere finalizzata a
conoscenze, a metodologie di ricerca e alla sperimentazione di
tecnologie specialistiche.
• Se la professionalità da sviluppare è di tipo gestionale, la
64
formazione più efficace è quella di tipo psicosociale, rivolta cioè
all'acquisizione di consapevolezza e di abilità relazionali e decisionali.
In questo caso, oltre alle competenze specialistiche, è necessario
sperimentare tematiche relative alla presa di decisioni, al problem
solving, alla conflittualità organizzativa, alla negoziazione e alla
gestione delle riunioni.
Tra gli strumenti di formazione rimane di fondamentale efficacia
la professionalizzazione sul lavoro (training on the job), soprattutto se
essa è sostenuta da un back-ground culturale e professionale già in
possesso dell'operatore, da un processo sistematico di sviluppo della
professionalità e da un'organizzazione del lavoro sensibile allo
sviluppo delle potenzialità.
La cosiddetta "formazione d'aula" si vale di svariati strumenti:
dalla classica lezione ai metodi attivi (metodo dei casi, role playning,
giochi analogici, dinamiche di gruppo, ecc.).
Anche se con premesse e caratteristiche diverse, la metodologia
dello sviluppo organizzativo (organization development) e della
ricerca-intervento collocano la comunicazione formativa in una
strategia di cambiamento del processo assistenziale tendente a
trasformare gli utenti in attori già nella fase di analisi e di
progettazione oltre che in quella di apprendimento, con un processo
che si svolge quasi esclusivamente nella concreta situazione lavorativa.
4.4 - PROGETTAZIONE E TECNICHE DI FORMAZIONE
Il processo di formazione, per essere efficace, deve partire da una
corretta analisi dei bisogni, dalla progettazione degli interventi, dalla
definizione del setting e della gestione oltreché dalla sua verifica.
L'analisi della domanda di formazione nella quale sono coinvolti i
committenti, i formatori e i partecipanti, costituisce una parte
importante di tutto il processo. La negoziazione degli interessi delle tre
65
parti, nei fatti difficilmente convergenti, deve salvaguardare le istanze
emergenti da concretizzare negli obiettivi dell'attività formativa.
Poiché qualsiasi processo di formazione non può prescindere
dalla necessità di migliorare la qualità dell'assistenza, nello specifico
assistenziale è importante partire dal grado di soddisfazione (o di
insoddisfazione) dell'utente in relazione al processo assistenziale e dal
grado di coinvolgimento e di motivazione dell'operatore, misurati con
le tecniche disponibili (interviste, questionari, test).
Alla fase di analisi del fabbisogno segue quella della
progettazione formativa che ha 1'obiettivo di prefigurare il modello di
intervento ritenuto più idoneo a tradurre in risultati le necessità emerse,
considerando oltre agli aspetti pedagogici e didattici anche quelli
organizzativi.
Nel setting (o spazio formativo), che costituisce 1'elemento di
collegamento fra le teorie e le tecniche formative, sono possibili
1'analisi, l'elaborazione e la sperimentazione, mediante il recupero di
quello spazio intermedio transizionale tra il soggetto e gli altri e tra
l'individuo e l'organizzazione.
Dopo aver tradotto in pratica il progetto formativo, adottando le
metodiche scelte in modo flessibile e salvaguardandone gli obiettivi, è
necessaria una validazione dei risultati mediante strumenti capaci di
verificare l'avvenuto apprendimento e, nel tempo, la ricaduta operativa
consistente in un miglioramento tecnico-professionale e del clima
organizzativo.
Il sistema di valutazione dei risultati della formazione, per
misurare i quali ci si servirà di strumenti quali questionari e interviste,
serve al formatore per meglio comprendere il senso del proprio lavoro,
con i suoi punti di forza e di debolezza, il modo di intendere e di
realizzare il proprio setting formativo, il modo di rapportarsi ai
partecipanti e, soprattutto, serve a comprendere se l'intervento risulta
66
adeguato (significativo per utenti e committenti) a soddisfare la
domanda; consente all'organizzazione (i committenti) di comprenderne
1'efficacia-efficienza in una logica di costi-benefici, deve cioè
acquisire il senso di un'analisi sistemica e ricorrente finalizzata, tramite
il cambiamento, allo sviluppo organizzativo e non solo al
mantenimento dell'esistente.
La prassi più diffusa è invece quella di convogliare sui
partecipanti la misurazione dei risultati ottenuti, premiando i
comportamenti di conformazione ai modelli ritenuti funzionali al
sistema vigente.
Per i partecipanti la valutazione deve costituire l'occasione per
acquisire la consapevolezza che è possibile cambiare, trasformarsi e
crescere con gli altri e attraverso gli altri, ma soprattutto la
disponibilità, verso l'impegno personale a "giocare" e a "giocarsi" ad
occhi aperti con il nuovo.
Gli strumenti e le tecniche di formazione devono corrispondere
alle finalità della comunicazione educativa.
Nelle varie metodologie formative è fondamentale il ruolo del
formatore che, nell'ottica psicosociale, dovrebbe essere quello di
disponibilità ferma, di accettazione e di comprensione, senza perdere
mai il significato della propria funzione; non dovrebbe assumere
quindi connotazioni né carismatiche né di autorità morale o di
insegnamento direttivo, così come non dovrebbe artificiosamente
amalgamare o consolidare uno spirito di corpo o di gruppo, né
artificiosamente indurre sentimenti di amicizia, di fratellanza ecc..
Il formatore dovrebbe invece lavorare (diagnosticare, progettare,
realizzare) con i formandi piuttosto che per o su di essi tenendo
presente il duplice schema di riferimento individuale-sociale; dovrebbe
cioè possedere profonda fiducia nella possibilità di un cambiamento
programmato, affrontare con chiarezza i conflitti impostando l'attività
67
a due livelli, quello del contenuto e quello del rapporto (Baldini E.,
1980).
La tecnica della lezione (relazione, lettura e conferenza)
costituisce strumento privilegiato quando si devono trasmettere
concetti, informazioni, schemi interpretativi, quali ad esempio
conoscenze storiche relative ad una situazione, informazioni di
orientamento e di ricerca, ecc.. Con essa si utilizzano in modo
integrato e complementare i metodi attivi.
I metodi attivi costituiscono l'evoluzione di metodologie
tradizionali e concepiscono 1'educazione come apprendimento
dall'esperienza e cioè come risultato di un duro lavoro di
trasformazione e di crescita, intesa come comprensione, elaborazione e
metabolizzazione dell'humus e del vissuto personale, interpersonale, di
gruppo e sociale.
La tecnica della discussione è utile quando le finalità preminenti
di apprendimento sono costituite dall'organizzazione di una o più
esperienze concrete presentate da uno o più partecipanti. Normalmente
i partecipanti, attraverso una serie di scambi verbali e non verbali, per
successive fasi ben pianificate, tendono alla soluzione di un problema,
trasformandosi da ascoltatori in protagonisti attivi capaci di istruirsi
reciprocamente nel comune scopo di imparare.
Il metodo dei casi costituisce strumento privilegiato di
formazione quando è necessaria un'analisi di situazioni e di problemi
complessi quali, ad esempio, casi di cambiamento organizzativo con le
problematiche connesse: si propone di sollecitare i partecipanti a
utilizzare le proprie facoltà e le proprie conoscenze per analizzare il
caso proposto dal conduttore del gruppo e permette la presa di
coscienza che ogni decisione implica sentimenti e modalità personali
di vivere le relazioni umane. Generalmente, ogni partecipante riesce in
tal modo a vedere, a conoscere, a capire più di quanto potrebbe in
condizioni di passività e da solo.
68
Il role playing è uno strumento capace di aumentare le capacità
di agire in tempo reale per apprendere i meccanismi di gestione di un
processo decisionale e di una negoziazione; comprende tutte le
tecniche di drammatizzazione introdotte da Moreno ed in seguito
applicate nell'industria, nell'addestramento alle relazioni umane; è una
derivazione dello psicodramma utilizzato in psicoterapia, molto
efficace nel suscitare interesse e partecipazione attiva e nell'aiutare alla
comprensione dei comportamenti propri e altrui.
Il training group (T-Group) persegue l'obiettivo di migliorare la
capacità di comunicare e di interagire in un gruppo: di sciogliere cioè
situazioni personali bloccate da resistenze al cambiamento, da
sclerotizzazioni di ruoli e di atteggiamenti, mediante l'accettazione
delle differenze individuali, dell'aggressività, dell'espressione dei
sentimenti e attraverso la conoscenza sperimentale delle dinamiche
caratterizzanti i rapporti umani nell'ambito del piccolo gruppo.
Riproduce, in sostanza, gli aspetti umani di una organizzazione e
permette l'acquisizione continua di conoscenze in un incessante
feedback dei suoi componenti.
69
5 - VALUTAZIONE E SVILUPPO PROFESSIONALE
La valutazione è un'attività molto diffusa e delicata, esercitata a
tutti i livelli e da tutti gli individui; perché ne derivi il massimo di
utilità sia per il valutato che per l'organizzazione, si tende attualmente
a liberare il processo della valutazione dall'indeterminatezza e dai sensi
di colpa che la circondano.
Anche nel settore dell'impiego pubblico si sta presentando la
necessità di reintrodurre, in forma valida, il processo della valutazione,
funzione, questa, prevalentemente riferita, in passato, alla segnalazione
delle "note caratteristiche" e peraltro in tempi più recenti pressoché
scomparsa, anche a causa degli usi formalistici e distorti, se non
addirittura strumentali e arbitrari, che spesso ne furono fatti.
Nelle moderne organizzazioni del lavoro la valutazione è
considerata un fattore critico di successo e tale è considerata anche
nelle istituzioni a conformazione organizzativa di tipo burocratico-
professionale. Il meccanismo principale di coordinamento di queste
ultime è costituito dalla standardizzazione delle capacità; 1'unità
operativa è il nucleo fondamentale del sistema in cui esiste un
decentramento delle funzioni di tipo verticale e di tipo orizzontale.
Anche in questa tipologia organizzativa gli operatori sono assunti
per raggiungere risultati relativi agli obiettivi, continuamente
riadeguati ai bisogni espressi dagli utenti e alle potenzialità
tecnologiche e professionali offerte dal mercato; in questo contesto, un
buon sistema di valutazione, per essere efficace, oltre a tendere
all'ottimizzazione dei risultati, deve essere in sintonia con la
configurazione organizzativa.
Il problema della valutazione è reso ancora più complesso nel
pubblico impiego dalla carenza di valide forme di incentivazione dello
sviluppo delle potenzialità in campo professionale, finalizzabili
70
all'evoluzione del collettivo organizzativo oltreché dell'individuo.
Anche se norme legislative, peraltro estremamente incerte,
esprimono la necessità di "norme finalizzate al miglioramento
dell'efficacia nelle prestazioni dei servizi anche mediante idonee
metodologie di valutazione" (già con il D.P.R. 384/'83), se ne rimanda
poi l'attuazione a strategie e a trattative negoziali difficili da elaborare
nei criteri e negli obiettivi.
In ogni caso la valutazione del personale è estremamente difficile
e delicata poiché è da mettere in relazione alla complessità di fenomeni
sociali, psicologici, culturali, economici e di potere.
Le tipologie di valutazione che si possono riferire agli operatori
sanitari, come ad ogni altra categoria di operatori, sono:
• valutazione delle mansioni (job evaluation, che riguarda il
sistema di retribuzione);
• valutazione dei nuovi assunti (art. 14, D.P.R. 761/79);
• valutazione del rendimento e dei meriti;
• valutazione delle potenzialità e dei possibili sviluppi di
carriera;
• valutazione delle prestazioni;
• valutazione del raggiungimento di obiettivi specifici per
singoli o per gruppi di operatori.
5.1 - VALUTAZIONE DELLA PERSONA
Nei sistemi di valutazione della persona (rendimento e meriti,
motivazione e potenzialità) l'interazione fra valutatore e valutato ha un
rilevante ruolo nella definizione del risultato.
71
L'attività di valutazione viene percepita in modo diverso dalle
parti interessate ed è vissuta in modo conflittuale. Da parte dei valutati
c'è sempre una certa diffidenza a sottoporsi al "giudizio" del valutatore
poiché si realizza una situazione che riconduce emotivamente a
situazioni infantili di dipendenza e quindi di sottomissione.
Ugualmente conflittuale è il ruolo del valutatore, generalmente il
quadro intermedio della linea, che deve soddisfare la necessità di
effettuare nel contempo una duplice funzione: da un lato fornire
valutazioni improntate alla massima obiettività possibile, ai fini di
un'adeguata selezione di personale qualificato e, dall'altro, favorire
buone relazioni con i propri collaboratori.
I problemi che emergono nel processo di "valutazione della
persona sulla persona" sono molteplici ed il contributo delle scienze
psico-sociali consiste nel fornire una migliore conoscenza degli errori
possibili (bias) nel processo di valutazione per ridurli, poiché è
impossibile eliminarli, attraverso l'addestramento, con una specifica
formazione al loro riconoscimento.
Ogni metodologia di valutazione dei meriti dovrà innanzitutto
prevedere una fase di analisi approfondita delle qualità-capacità che
l'individuo deve possedere in relazione alle funzioni che dovrà
svolgere, verificando che siano veramente necessarie e congruenti con
gli obiettivi istituzionali dell'organizzazione complessiva.
I valutatori, in genere le figure gerarchicamente superiori nella
linea (ma che, in relazione alle politiche dell'organizzazione,
potrebbero essere integrate anche da altre figure - quali i colleghi, i
subordinati e gli utenti nel caso di unità operative geriatriche - oppure
da meccanismi di autovalutazione), dovrebbero comunque appropriarsi
delle tecniche di valutazione dei meriti.
La loro formazione dovrebbe includere la spiegazione degli
obiettivi e del programma di valutazione dei meriti, delle tecniche
72
utilizzate (scale di valutazione, sistemi di confronto tra lavoratori, liste
di controllo, incidenti critici), della procedura stabilita, del significato
dei fattori e dei termini usati, l'istruzione sull'uso e la compilazione
delle schede, la spiegazione dei più comuni errori di valutazione e del
metodo per ridurli, istruzioni sul metodo di comunicare i risultati,
esercitazioni pratiche di valutazione dei meriti altrui e propri.
La validità di un processo di valutazione dei meriti lavorativi di
un individuo, tuttavia, è da sempre soggetto a opinioni discordanti e
conflittuali, di difficile soluzione per le innumerevoli variabili legate al
comportamento sociale.
Quando una valutazione sulla propria persona e sui propri meriti
non è esattamente positiva e comunque non corrisponde alla
percezione che si ha di se stessi e delle proprie prestazioni
professionali, generalmente ritenute superiori a quelle espresse dal
superiore gerarchico o anche dalla équipe di appartenenza
professionale, quasi sempre vi è frustrazione e reazione di varia entità.
A questo stato raramente consegue un atteggiamento di presa di
coscienza e un reinvestimento di energia teso ad un miglioramento, ma
ben più spesso uno stato di depressione o di contestazione.
All'infuori di situazioni particolari, ben monitorate e motivate (ad
esempio valutazione iniziale di lavoratori nuovi assunti), spesso, nella
situazione socio-culturale attuale, un sistema di valutazione legato alla
persona rischia di generare situazioni conflittuali con problemi più
numerosi di quanti ne risolva.
5.2 - VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI
In realtà a nessuno piace essere fatto oggetto di valutazione da
parte di altri, perché è difficile accettare che qualcuno abbia
legittimamente il potere di farlo. Ciò contrasta però con l'esigenza,
apparentemente contraddittoria, di essere valutati, riconosciuti e
73
incentivati per quanto si fa di positivo nell'ambito del lavoro.
Questa contraddizione può forse essere superata con un sistema di
valutazione non della persona, ma delle prestazioni professionali e con
un sistema di valutazione sul raggiungimento degli obiettivi.
In ambito assistenziale, più che altrove, ogni metodo di
valutazione dovrebbe essere letto come uno strumento interattivo ed
evolutivo non fine a se stesso, ma capace di migliorare i risultati delle
prestazioni professionali, poiché, oltre a migliorare la soddisfazione sul
lavoro (nel senso di riconoscimento, autostima, appartenenza) e il
coinvolgimento personale, può determinare una notevole diminuzione
dei costi del servizio.
Il metodo di valutazione delle prestazioni consiste infatti nel
rimuovere le cause strutturali e psico-sociali che danno luogo a
prestazioni insoddisfacenti; presuppone che l'organizzazione, anche
attraverso gruppi professionali qualificati, sia in grado di stabilire quali
sono le prestazioni soddisfacenti e di articolare obiettivi generali e
specifici per ogni singolo lavoratore o per ogni unità operativa.
Un piano di valutazione delle prestazioni può prevedere le
seguenti fasi:
• fissazione degli standard di risultato e dei metodi per la loro
misurazione;
• misurazione del risultato;
• confronto del risultato con gli standard e interpretazione degli
scostamenti;
• attuazione degli interventi correttivi.
Nella definizione degli standard sono senz'altro utili il
coinvolgimento e la partecipazione di tutta la linea poiché, anche se
74
occorre un tempo maggiore, il piano di valutazione viene così più
facilmente compreso e accettato come necessario e naturale strumento
di lavoro.
Nella scelta dello strumento di misurazione del risultato dovranno
essere considerati il grado di analiticità richiesto e la possibilità, ai fini
dei necessari processi di autocorrezione, di un suo controllo da parte
degli interessati.
Gli scostamenti vanno infatti analizzati e interpretati sia dalla
linea gerarchica che dagli operatori direttamente interessati,
utilizzando anche un apporto specialistico, al fine di responsabilizzare
tutta la struttura nell'intraprendere le azioni correttive necessarie.
Devono essere previsti anche canali informativi per la raccolta
delle valutazioni sulle prestazioni e sul servizio espresse dall'utente
(es.: grado di soddisfazione sul servizio assistenziale), poiché le forme
di partecipazione previste istituzionalmente non ne permettono un
coinvolgimento diretto.
Un processo di valutazione delle prestazioni può essere parte
integrante di una direzione per obiettivi che vengono determinati e
quindi definiti dagli operatori (singolarmente o in gruppo), quale
metodo di autodeterminazione nell'ambito della motivazione e,
parzialmente, del proprio lavoro.
5.3 - VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DELL'ASSISTENZA
Nella professione infermieristica si parla da decenni di metodi di
valutazione della qualità dell'assistenza. Fra gli altri, viene attualmente
utilizzato un metodo importato dall'estero - la valutazione della qualità
dell'assistenza (quality assurance) - che consiste nella misurazione
della qualità, analizzando, attraverso un'attività sistemica e ciclica, le
carenze esistenti, da superare, per migliorare le performance.
75
L'assistenza è un'attività complessa in cui persone diverse con
ruoli specifici interagiscono ricavandone percezioni diverse, non
sempre definibili e quantificabili, in relazione alle variabili e ai valori
ad esse inerenti.
La stessa percezione della qualità è facilmente definibile se tesa a
descrivere una caratteristica; è più difficilmente definibile se tesa a
esprimere giudizi di valore.
Si deve a Donabedian una distinzione tra struttura (structure),
processo (process) e risultato/esito (outcome), per evidenziare i dati
necessari a misurare la qualità delle prestazioni sanitarie, diversi per le
diverse situazioni, la disponibilità e l'adeguatezza dei quali sono
indispensabili per ogni attività di valutazione (Donabedian A., 1978).
I dati relativi agli aspetti strutturali descrivono tutto ciò che ha a
che fare con gli aspetti statici delle strutture, con 1'attrezzatura, il
personale impiegato e le modalità organizzative attraverso le quali
vengono fornite le prestazioni.
I dati relativi al processo descrivono invece tutto ciò che accade
nella interazione tra infermiere (o medico) e paziente. Quelli relativi
agli esiti degli interventi descrivono le modifiche intervenute nello
stato di salute in conseguenza dell'assistenza ricevuta.
Il criterio, in gergo valutativo, è la esplicazione di una
determinata sequenza logica di ragionamento o di comportamento,
elemento predeterminato dell'assistenza, rispetto al quale affrontare poi
aspetti specifici della qualità delle prestazioni erogate. L'insieme di più
criteri forma la sequenza di azioni che definiscono una buona
assistenza per uno specifico gruppo di pazienti. La forma generale dei
criteri prevede la definizione di comportamenti sempre appropriati per
determinati pazienti.
Gli standard (di struttura, di processo, di risultato), diversi per le
76
diverse situazioni, costituiscono 1'espressione del range di variazione
accettabile rispetto ai criteri. Essi, formulati dagli stessi operatori,
vengono utilizzati per identificare i valori soglia di aderenza ad un
determinato criterio, e sono indicativi della necessità di ulteriori
indagini, di revisioni o comunque di interventi migliorativi da attuarsi
"tra pari".
Il processo di valutazione della qualità si basa sulla logica che è
possibile identificare un problema assistenziale e descriverlo,
realizzare gli interventi correttivi necessari e rivalutare a distanza le
modifiche avvenute.
Le fasi del "ciclo a spirale" possono essere più o meno
dettagliate, ma fondamentalmente consistono:
• nel concordare, all'interno di una unità operativa, un sistema di
valori comuni e di obiettivi professionali di riferimento,
• nell'identificare i problemi attraverso un'analisi sistematica delle
difficoltà, raccogliendo gli incidenti critici, utilizzando i dati di
processo e attuando un monitoraggio continuo;
• nello scegliere criteri e standard identificati e definiti
accuratamente dalla équipe,
• nell'attuare gli interventi migliorativi e
• nel valutare, infine, a distanza variabile, i risultati ottenuti.
77
BIBLIOGRAFIA
Ardigò A., Porcu S., Sutter R. (a cura di) - Anziani e politiche
sociali nella società post-industriale, Franco Angeli, Milano 1989.
Ardigò A. - La sociologia sanitaria nel quadro di due scenari di
ricerca, Dispensa, 1992.
Baldini E. - Istruzione professionale, addestramento e
formazione, in: Vanni L. (a cura di), Manuale di gestione del
personale, ISEDI, Milano 1980.
Von Bertalanffy L. - Teoria generale dei sistemi, ISEDI, Milano
1968.
Bontadini P. - Manuale di organizzazione, ISEDI, Milano 1978.
Borgonovi E., Cavenago D., Zangrandi A., Burani G., Fiorentini
G., Vaccani R. - L'organizzazione dell'ospedale, McGraw-Hill Libri
Italia, Milano 1988.
Carbonin P.U., Bernabei R. - Anziani oggi, Bollettino del Centro
di Promozione e Sviluppo dell'Assistenza Geriatrica, Università
Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Medicina e Chirurgia "A.
Gemelli", Roma 1/1991.
Depolo M. - Organizzare l'autogestione, I Quaderni di
quarantacinque, Bologna, 2/1987.
Donati P. - Manuale di sociologia sanitaria, NIS, Roma 1990; La
sociologia sanitaria, Franco Angeli, Milano 1983; Bisogni sociali,
salute e servizio sanitario nazionale, Sociologia, XV, 2-3, 1981;
Donabedian A. - La qualità dell'assistenza sanitaria, NIS, Roma
1991.
78
Fabris A. - L'organizzazione in una società in cambiamento, Etas
Libri, Milano 1975.
French W.L., Bell C.H. - Lo sviluppo organizzativo, ISEDI,
Milano 1976.
Garuti Ghirardini M.G. - Il concetto di comunicazione, in:
Bruscaglioni M., Spaltro E. (a cura di), La psicologia organizzativa,
Franco Angeli, Milano 1982.
Guidicini P., Mazzoli G. - L'equivoca certezza dei "legami forti",
Franco Angeli, Milano 1986.
Henderson V., Che cos'è il nursing?, Regione Toscana, Firenze
1978.
Iandolo C. - Parlare col malato, Armando, Roma 1983.
La Rosa M., Zurla P. - Sistema Informativo e Unità Sanitaria
Locale, Franco Angeli Editore, Milano 1982.
Lorsch Jay W., President and Fellows of Harvard College,
Dispensa, Copyright 1969, - Introduzione alla progettazione della
struttura organizzativa. Scuola di Direzione Aziendale dell'Università
L. Bocconi, Milano 1969.
Maslow A. - Motivazione e personalità, Armando, Roma 1975.
Mazzoli G. - Profili sociali della comunicazione e nuove
tecnologie. Franco Angeli, Milano 1992.
Poletti R. - Dorothea E. Orem, teorie e concetti del nursing,
Edition du Centurion, Paris 1978 (trad. Giuliani D.)
Ruffolo G. - Progetto socialista, in: AA.VV., Progetto socialista,
Laterza, Bari 1976.
79
Sangiorgi G. - L'intervento psicosociale nelle organizzazioni, in:
Spaltro E. (a cura di), Etas Libri, Milano 1975.
SUDI, Scuola Universitaria di Discipline Infermieristiche - Atti
del Convegno 2-3 Ottobre, Milano 1987.
Titone R., problemi generali di psicopedagogia, Bulzoni, Roma
1978.
Tousijn W. (a cura di) - Le libere professioni in Italia, Il Mulino,
Bologna 1987.
Watzlavich P., Beavin J.H., Don Jackson D. - Pragmatica della
comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971.
Zerilli A. (a cura di) - Reclutamento, selezione e accoglimento del
personale, Franco Angeli, Milano 1988.
80