Comune di Boltiere Comune di Dalmine Comune di Filago ... · delle Rogge e con l’isituendo PLIS...

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1 Comune di Boltiere Comune di Bonate Sotto Comune di Dalmine Comune di Filago Comune di Madone Comune di Osio Sopra Comune di Osio Sotto Schema p rogettuale d i p otenziamento/riqualificazione del s istema d el v erde n ell’ambito t erritoriale d el P arco Relazione d escrittiva d i p rogetto OTTOBRE_2007 Renato Ferlinghetti (coordinamento scientifico) Fulvio Adobati (direttore tecnico Parco del Basso Brembo) Andrea Azzini, Simone Ciocca, Paolo Mazzariol, Gianfrancesco Ruggeri, Sara Viscardi UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO CENTRO STUDI SUL TERRITORIO “LELIO PAGANI”

Transcript of Comune di Boltiere Comune di Dalmine Comune di Filago ... · delle Rogge e con l’isituendo PLIS...

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Comune di Boltiere

Comune di Bonate Sotto

Comune di Dalmine

Comune di Filago

Comune di Madone

Comune di Osio Sopra

Comune di Osio Sotto

Schema progettuale di potenziamento/riqualificazione

del sistema del verde nell’ambito territoriale del Parco

Relazione descrittiva di progetto

OTTOBRE_2007

Renato Ferlinghetti (coordinamento scientifico) Fulvio Adobati (direttore tecnico Parco del Basso Brembo) Andrea Azzini, Simone Ciocca, Paolo Mazzariol, Gianfrancesco Ruggeri, Sara Viscardi

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO CENTRO STUDI SUL TERRITORIO “LELIO PAGANI”

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INDICE

INTRODUZIONE 4 SISTEMI VERDI E CONNOTAZIONE TERRITORIALE DEL PLIS BASSO CORSO DEL FIUME BREMBO

6 RELAZIONI TRA SISTEMI VERDI E PROGETTUALITA’ DEL PARCO: AULE AMBIENTALI E RETE DEI PERCORSI

9 I CARATTERI GEOBOTANICI DEL PAESAGGIO VEGETALE DEL PARCO

11 REPERTORIO FLORISTICO DI PRIMA APPROSSIMAZIONE DELL'AREA DEL PARCO

31 LA VALUTAZIONE DELLA COPERTURA VEGETALE 35 EMERGENZE FLORISTICO-VEGETAZIONALI 38 VALUTAZIONE DEL RAPPORTO TRA STRUTTURA VEGETAZIONALE E COMPONENTE FAUNISTICA

41 LE RETI ECOLOGICHE: PERCORSI PRIMARI VERSO LA SOSTENIBILITÀ TERRITORIALE

47 ANTOLOGIA E FONTI STORICHE 68 TAVOLE IN ALLEGATO: - Carta delle destinazioni d’uso al Catasto Lombardo Veneto del

1853 - Schema di assetto della rete ecologica in riferimento ai livelli

regionale e provinciale - Schema di valorizzazione del sistema del verde

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INTRODUZIONE L’ambito territoriale del Parco Locale di Interesse Sovracomunale del Basso corso del fiume Brembo, entro gli indirizzi strategici e normativi regionali in tema di creazione di sistemi verdi multifunzionali, presenta condizioni di opportunità di rilievo: - l’area protetta costituisce una componente importante della rete delle aree protette:

regionale: il fiume Brembo è una delle 35 aree “prioritarie” nel progetto “Reti ecologiche nella pianura lombarda”; provinciale: di Bergamo: in relazione con il Parco Regionale dell’Adda e con il PLIS del Monte Canto e del Bedesco a ovest; in relazione di prossimità con i PLIS del Rio Morla e delle Rogge e con l’isituendo PLIS Agricolo-Ecologico di Bergamo-Stezzano a est; in erlazione con l’istituendo Parco della Gera d’Adda a sud si rappresenta peraltro che tale disegno è in corso di potenziamento per il prossimo ingresso nel PLIS dei comuni di Brembate e Capriate San Gervasio a sud e di Bonate Sopra a nord;

- il contesto territoriale di riferimento è caratterizzato da una pressione insediativa e da dinamiche territoriali particolarmente rilevanti; l’area Parco costituisce pertanto, oltre che un sistema ambientale strutturante retto dal fiume Brembo, un elemento di riequilibrio ecologico-ambientale che si distende tra la direttrice sud-ovest dell’area urbana di Bergamo fino all’area Dalmine-Zingonia e l’addensamento produttivo (polo chimico in particolare) posto a sud dell’Isola bergamasca tra Adda e Brembo;

- il territorio del Parco possiede una dotazione verde di qualche consistenza e continuità lungo il corso d’acqua principale, ma presenta momenti di frammentarietà lungo il reticolo minore; gli ambiti agricoli presentano poi per ampie porzioni la condizione tipica derivata dalla meccanizzazione agricola spinta e dalle monocolture (a mais in questi anni): piattaforme spogliate dalla infrastrutturazione verde che sottolineava le maglie territoriali fino a qualche decennio fa, corsi d’acqua con larghe pause nelle cortine arboree, elementi di debolezza nella consistenza dei consorzi vegetali (robinia e ailanto);

- un’armatura culturale che testimonia l’antica territorializzazione: ritrovamenti archeologici, presenze di archeologia industriale (specie in sponda sinistra), presenze architettoniche Romaniche (in sponda destra), ambiti naturalistico-ambientali di rilievo (su tutti la forra del Brembo tra Filago e Brembate), elementi di strutturazione del territorio rurale (quali i campi chiusi degli Osio);

Il Programma Triennale di gestione del Parco (2007/2009) presenta importante attenzione al recupero e al potenziamento del sistema del verde; nel triennio le risorse (da fonte di finanziamento propria del Parco), sono: (i) per il potenziamento del patrimonio arboreo e arbustivo (€ 40.000 nel 2007, € 50.000 nel 2008, € 50.000 nel 2009), (ii) per interventi pilota orientati alla fitodepurazione (25.000 nel 2008 e € 25.000 nel 2009); (iii) per fondi destinati agli agricoltori per interventi sul sistema del verde (€ 20.000 nel 2007, € 20.000 nel 2008, € 20.000 nel 2009). Considerati i contenuti e le finalità del progetto regionale “10.000 ettari di nuovi boschi e sistemi verdi multifunzionali” (D.G.R. n.2512 del 11/05/2006 e n.3839 del 20/12/2006), e la stretta attinenza delle azioni promosse dal Parco a tale progetto, si ritiene pertanto di delineare entro tale contesto una progettualità mirata a: un potenziamento dell’infrastrutturazione verde degli ambiti agricoli del Parco, con

particolare attenzione all’equipaggiamento vegetale dei corsi d’acqua e della rete portante dei percorsi ludico-educativi già pianificati dal Parco;

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interventi di riqualificazione e ricucitura dei sistemi verdi esistenti lungo le ripe e i terrazzi morfologici principali del Brembo; gli interventi di ricucitura potranno opportunamente strutturare elementi di continuità in direzione degli spazi verdi interclusi nei tessuti insediati;

interventi di rafforzamento dei corridoi ecosistemici principali di connessione con le aree protette confinanti o prossime;

interventi di mitigazione/inserimento ambientale di infrastrutture e di impianti produttivi esistenti.

Gli interventi sopra elencati muoveranno nella direzione della costruzione di un disegno di rete ecologica con valenza paesistica alla scala territoriale (in congruenza con gli obiettivi e i disegni di pianificazione alla scala provinciale e regionale). Nelle azioni da intraprendere si pone come elemento centrale di attenzione la costruzione di un percorso interattivo con i soggetti territoriali interessati; in primo luogo, rafforzando un percorso in atto, con gli agricoltori e i proprietari dei terreni agricoli, al fine di realizzare occasioni di partenariato pubblico-privato nella gestione dei sistemi verdi; importante attenzione sarà poi da dedicare alle attività di educazione ambientale orientata alle scuole, attraverso il Centro di Educazione Ambientale del Parco (CERCA Brembo). Alla presente relazione descrittiva si accompagnano:

a) una tavola analitica che restituisce l’uso del suolo dell’ambito territoriale del Parco e del suo contesto di riferimento (anche in relazione ai prossimi ampliamenti) sulla base del Catasto Lombardo Veneto del 1853;

b) una tavola di inquadramento territoriale che colloca l’area rispetto alla rete ecosistemica territoriale con finalità paesistica, con riferimento agli studi e alla pianificazione regionale e provinciale in materia e al sistema delle aree protette di riferimento;

c) una tavola di definizione dello schema di intervento per il sistema del verde, contenenente elementi interpretativi e di indirizzo progettuale complessivo.

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SISTEMI VERDI E CONNOTAZIONE TERRITORIALE DEL PLIS BASSO CORSO DEL FIUME BREMBO Il sistema verde del Parco locale del basso corso del fiume Brembo è formato da: - spazi aperti a destinazione agricola rappresentati principalmente da arativi e in secondo ordine da prati stabili; - ampie superfici seminaturali perialveali costituite da prati magri (magredi) e da consorzi glearicoli; - una diffusa rete di siepi, cortine arboree e boschine di scarpata fluviale; - boschi relitti su terrazzamento e in forra; - parchi e giardini sia storici che di arredo urbano (verde pubblico) di recente istituzione. L’ampia diffusione di strutture verdi è elemento connotativo dell’area del PLIS anche per la persistenza di numerosi elementi di valore storico-paesistico e naturalistico che partecipano in modo rilevante alla definizione del volto del paesaggio locale. Tale ruolo diviene progressivamente primario man mano ci si approssima al fiume Brembo. Nei terrazzi e nelle scarpate fluviali presenti nel solco vallivo il contesto paesistico è dominato dalle infrastrutture verdi che mascherano e annullano il contesto della città diffusa che investe il livello fondamentale della pianura. Nel quadro dell’ecomosaico vegetale locale si possono riconoscere alcuni quadri paesistici di riferimento. 1. AREA DELLE BOSCHINE SUI TERRAZZI ESTERNI DELLA VALLE FLUVIALE Nel tratto tra Bonate Sopra, Bonate Sotto e Madone persistono significative macchie boscate sui terrazzi esterni all’incisione fluviale spesso connesse e/o percorse da rovari o murari, accumuli di ghiaie che si alzano anche di qualche metro dal piano di campagna, prodotti dallo spietramento dagli adiacenti coltivi o in casi più rari dal crollo di antichi muri che cingevano gli spazi coltivati. Finalità degli interventi: riqualificazione e implementazione delle macchie boscate, aumento della connettività tra le stesse mediante il rafforzamento e la realizzazione di specie interpoderali. Reintroduzione di specie nemorali autoctone di interesse naturalistico (con particolare attenzione alle geofite e alle pteridofite), con certificazione di genotipo tipico dell’alta pianura. 2. AREA DEI MAGREDI Nella sezione di valle inclusa tra Bonate Sopra e Bonate Sotto sono presenti ampi magredi, prati aridi colonizzati da una vegetazione termo-xerofila che ospita un nutrito contingente di specie mediterranee, steppiche e alpiche di rilevante interesse naturalistico. Tali cenosi aperte sono rare in tutto il contesto padano e in continua regressione per fenomeni di disturbo antropico e per il progressivo inarbustimento che si manifesta con il venir meno delle pratiche tradizionali di sfalcio e di pascolo estensivo.

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Finalità degli interventi: mantenimento degli spazi aperti dei magredi mediante sfalcio biennale, contenimento del progressivo inarbustimento, eradicazione della flora esotica e/o invasiva, monitoraggio delle specie di interesse naturalistico relative sia alla flora che alla fauna e delle aree interessate dai magredi. 3. AREA CON SISTEMI VERDI A NATURALITA’ DIFFUSA MARGINALI E DESTRUTTURATI Nell’area di Dalmine, sulla sponda idrografica sinistra, il sistema del verde risulta banale e destrutturato in conseguenza dell’ampia diffusione del tessuto insediativi che giunge fino al margine esterno della depressione valliva. Permangono, con significato relittuale alcuni rovari non valorizzati dalla pianificazione recente e poche aree aperte spesso interessate da incolti. Finalità degli interventi: realizzazione di neoecosistemi (aree boscate, fasce tampone, siepi e alberate interpoderali e a margine del reticolo idrico) con funzione paesaggistica e di rafforzamento della fragile rete ecologica locale. 4. AREA DELLA RETE DEI ROVARI E DEI NUCLEI BOSCATI TERMO-XEROFILI Il tratto tra Osio Sopra e Boltiere è caratterizzato dalla persistenza di numerosi nuclei boscati, alcuni dei quali oggetto di valorizzazione e fruizione pubblica (Bosco dell’Itala, Bosco Astori, Bosco Blu), e da una fitta maglia di rovari colonizzati da cortine arboreo-arbustive termo-xerofile a volte ampie anche una decina di metri. In alcuni casi le cortine verdi dei rovari delimitano le parcelle agricole secondo lo schema tradizionale del campo chiuso; la rete dei rovari costituisce una importante quinta paesistica e forma la trama su cui si appoggia la rete ecologica locale. Le aree boscate di questo settore del parco possono essere divise in due tipologie: quelle poste a nord dell’autostrada presentano un carattere più marcatamente termo-xerofilo (4a), testimoniato ad esempio da una maggior diffusione di bagolaro, frassino minore, acero campestre, elleboro nero, ecc., quelle a sud (4b) si caratterizzano per un maggior contingente di specie mesofile. Finalità degli interventi: riqualificazione e implementazione delle aree boscate, aumento della connettività tra le stesse mediante il rafforzamento e la realizzazione di siepi interpoderali. Valorizzazione e riqualificazione dei rovari sia extra che periurbani.

5. AREA DEL CONTESTO DI FORRA CON BOSCHINE MESO-TERMOFILE E NUCLEI DI VEGETAZIONE RUPICOLA

Nella porzione tra Filago e Brembate diviene prioritario, dal punto di vista del paesaggio vegetale, il contesto di forra, caratterizzato da boschine meso-termofile di scarpata fluviale a cui si intercalano, sugli affioramenti di ceppo, nuclei di vegetazione rupicola con una significativa presenza di specie alpine tra le quali alcuni steno-endemiti prealpini situazione pressoché esclusiva nella pianura padana. Finalità degli interventi: riqualificazione dei boschi di forra, monitoraggio delle specie rupicole e microtermiche con particolare attenzione al contingente alpino ed endemico.

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6. ELEMENTI DI CONTINUITA’ ECO-BIOLOGICA E PAESISTICA Alcuni elementi verdi di valore strutturale sono diffusi in modo uniforme in tutta l’area del PLIS del Basso corso del Brembo. Presentano tale distribuzione: 6a, le boschine lineari di scarpata che con continuità anche di più chilometri segnano e seguono le scarpate fluviali. Tali consorzi vegetali costituiscono i principali corridoi di continuità eco-biologica della pianura bergamasca. 6b, l’equipaggiamento arboreo-arbustivo del reticolo idrografico artificiale e naturale. In particolare si segnalano le dotazioni verdi delle rogge Masnada e Brembilla e dei torrenti Dordo e Lesina.

Finalità degli interventi: ricomposizione della continuità dell’equipaggiamento vegetale arboreo-arbustivo a margine del reticolo idrico minore; creazione di nuclei boscati (stepping-stones) e fasce di connessione tra le boschine di scarpata e le cortine verdi del reticolo idrico minore; ricucitura della continuità geografica delle boschine lineari perifluviali, soprattutto nelle aree di contatto con le principali infrastrutture ad andamento trasversale, riqualificazione e implementazione delle aree boscate, reintroduzione di specie nemorali autoctone di interesse naturalistico (con particolare attenzione alle geofite e alle pteridofite), con certificazione di genotipo tipico dell’alta pianura. La Mappa di progetto allegata restituisce una territorializzazione degli elementi analitico-interpretativi e gli indirizzi progettuali.

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RELAZIONI TRA SISTEMI VERDI E PROGETTUALITA’ DEL PARCO: AULE AMBIENTALI E RETE DEI PERCORSI

1. Le aule ambientali nel complesso dei sistemi verdi del Parco

I laboratori ambientali all’aperto ribattezzati “Aule Ambientali” rientrano nelle progettualità del Parco del basso Brembo che mirano al coinvolgimento della popolazione locale e non, in una fruizione del territorio maggiore, più consapevole e di qualità diversa rispetto al recente passato. Un’ Aula Ambientale in generale consisterà di un sito opportunamente individuato all’interno dell’area protetta allestito in modo leggero per lo sviluppo di alcune tematiche di particolare rilevanza per il Parco. Ciò significa che attraverso pannelli didattici, exhibit interattivi e un arredo da esterno opportunamente progettati si approfondiranno attraverso aule specifiche:

la vegetazione spontanea con l’Aula del Vivaio

le presenze animali con l’Aula della Fauna

la tradizione agricola con l’Aula della Semina

gli ecosistemi acquatici con l’Aula della Zona Umida

il paesaggio fluviale con l’Aula del Fiume Le Aule Ambientali si prefiggono principalmente di fornire spunti e strumenti per le escursioni delle scolaresche in visita al Parco o semplicemente guidare visitatori autonomi alla scoperta delle peculiarità, dei pregi e delle problematiche che caratterizzano questa area dell’alta pianura bergamasca. Si discostano dalle altre Aule quella della Semina e del Vivaio, che si prefigurano strutturate con una complessità maggiore dovuta alle attività laboratoriali connesse: queste richiedono una presenza costante di coordinamento e supervisione che implica la presenza di punti organizzativi e di lavoro di volontari per il funzionamento efficace. Non si esclude perciò il coinvolgimento di contadini, guardie ecologiche volontarie e associazioni per l’aiuto nella loro gestione Nell’ottica dell’integrazione di un’Aula con la realtà naturale circostante sarà importante una progettazione della dotazione arborea consona ad ogni situazione. L’arredo attraverso siepi e alberi dovrà principalmente assolvere le funzioni di guida per orientarsi al suo interno, negli spazi o lungo il percorso stabilito. Cortine e corridoi verdi, mascherature visive, luoghi di sosta ombreggiati e inerbiti, punti di riferimento per l’identificazione territoriale e ambientale. In alcuni casi specifici il miglioramento forestale e il ripristino vegetazionale potranno diventare parte integrante del corredo didattico dell’Aula: Aula del Vivaio nel contesto della rete dei rovari e dei nuclei boscati termo-xerofili

- confronto tra una siepe ad alta biodiversità botanica e una con limitato numero di specie

- allestimento dell’ “Orto Botanico del PLIS” con una rappresentanza delle specie guida dei consorzi vegetazionali tipici del Parco.

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Aula della Fauna nel contesto dell’area delle boschine sui terrazzi esterni della valle fluviale

- miglioramento forestale per ampliare la disponibilità di specie a disposizione delle fauna e conseguentemente incrementare la biodiversità faunistica locale

- inserimento di isole di vegetazione composte da specie botaniche pabulari (erbe e arbusti per lepidotteri e imenotteri, arbusti e alberi produttori di frutti appetiti a uccelli e piccoli mammiferi

- valorizzazione e ripristino di rovari, sassere e muretti di ciottoli: queste strutture oltre a permettere di ricomporre la vegetazione tipica, unitamente a cataste e fascine offrono nicchie e ricoveri indispensabili alla fauna minore.

Aula della Semina nel contesto della rete dei rovari e dei nuclei boscati termo-xerofili - valorizzazione di una siepe alberata termofila su murari a delimitare un campo chiuso

entro il quale attivare colture un tempo diffuse nelle campagne locali - arboricoltura e floricoltura didattico-sperimentale di specie di uso tradizionale in

erboristeria, cucina e attività di artigianato Aula della Zona Umida, nel contesto dell’equipaggiamento arboreo-arbustivo del reticolo idrografico artificiale e naturale - possibilità di ricreare cenosi di vegetazione igrofila e idrofila differenti a seconda del contesto nel quale l’Aula verrà collocata, con il duplice ruolo funzionale per la fitodepurazione che didattico.

2. Il progetto del verde in rapporto con la rete dei percorsi La progettualità sulla rete dei percorsi è funzionale al miglioramento delle connessioni pedonali e ciclabili interne all’area Parco, e all’integrazione dei diversi ambiti di fruizione didattica e ludico-ricreativa con gli abitati. Entro questa progettualità complessiva sui sistemi verdi del Parco, fortemente caratterizzata da una componente paesistica che si integra con la componente biologica-ecosistemica, è di primaria importanza l’opzione di rafforzare l’equipaggiamento vegetale delle infrastrutture lineari e del reticolo idrografico. In questa prospettiva la progettualità sulla rete dei percorsi assume, per la componente verde, un ruolo di miglioramento della confortevolezza delle percorrenze, e insieme una funzione di miglioramento della rete ecologica locale dell’ambito del Parco. Entro tale cornice si vuole conseguire l’obiettivo territoriale di consolidare l’accessibilità dei diversi ambienti del Parco, compatibilmente con i caratteri di sensibilità degli stessi; nel contempo l’azione delineata sul paesaggio vegetale, anche con riferimento a quello agrario, vuole tendere ad offrire ai visitatori-studiosi una scansione di paesaggi vegetali fortemente radicata nei caratteri naturali propri dei diversi luoghi; proprio in tal senso si è assunto come riferimento di assetto la destinazione d’uso dei suoli alla soglia del catasto Lombardo-Veneto, nell’intento di recuperare, in taluni casi riscoprire, colture e consorzi vegetali che appartengono alla tradizione, e di proporli nel dispiegarsi dell’esperienza di attraversamento “dolce” del territorio del Parco.

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I CARATTERI GEOBOTANICI DEL PAESAGGIO VEGETALE DEL PARCO 1. Inquadramento bioclimatico Secondo il sistema di classificazione bioclimatica proposta per l’Italia da Tomaselli, Balduzzi e Filippello (1973), l’area del PLIS del Brembo si colloca nella sottoregione ipomesaxerica della Regione mesaxerica. In tale ambito bioclimatico tutti i mesi hanno temperature medie superiori a 0 °C; il mese più freddo presenta medie comprese fra 0 ° 10 °C, ed è normale il verificarsi di gelate e brevi periodi sotto lo 0 °C. All’interno di questo bioclima si distinguono tre tipi differenziati dalla specie di quercia dominante nei consorzi forestali potenziali: tipo A a roverella, con regime pluviometrico a massimi equinoziali e totale annuo compreso tra 700 e 1.000(1100) mm. Questo tipo potenzialmente si esprime nell’alta pianura padana nelle colline moreniche alle pendici esterne delle Prealpi; tipo B a farnia; con precipitazione analoghe al tipo A, ma con presenza di falde superficiali e corsi d’acqua che rendono più umido e termicamente più mitigato il clima. Si esprime nella bassa pianura e nei solchi dei principali fiumi; tipo C a rovere, cerro e farnia; con abbondanti precipitazioni in tutta la stagione vegetativa, estate compresa; è un clima temperato-caldo sempre umido, il totale annuo è di 1400 (1800) mm, e caratterizza le basse Prealpi della Lombardia occidentale, nella cosidetta zona insubrica. L’appartenenza dell’area al tipo A della Regione mesaxerica è confermato anche dalla carte delle isoiete della Provincia di Bergamo, (Belloni & Pelfini, 1993). In base ai dati pluviometrici disponibili il regime delle precipitazioni è tipicamente sublitoraneo-alpino (Ottone & Rossetti, 1980) con due massimi equinoziali (maggio e novembre), un minimo assoluto (febbraio) e valori marcati durante l’estate dovuti all’apporto dei temporali. 2. Inquadramento fitogeografico In base alla distribuzione delle piante sul territorio ed ai consorzi che esse formano, la superficie terrestre può essere suddivisa, come avviene in campo geografico, geologico, climatico, in aree omogenee. Le unità fitogeografiche utilizzate in geobotanica sono, in ordine decrescente, il regno, la regione, il dominio, la provincia, il distretto, il settore. Nella classica suddivisione proposta per l’Italia da Giacomini e Fenaroli (1958), il territorio nazionale è ripartito in due regioni: medio-europea e mediterranea. La prima è caratterizzata da foreste di latifoglie e conifere a vegetazione estiva, la seconda è potenzialmente rivestita da foreste di sclerofille a foglie persistenti. Rispetto alla classificazione proposta da Giacomini e Fenaroli, l’area in esame ricade nel Distretto padano afferente alla provincia alpina, Dominio centroeuropeo, regione medioeuropea. Nella recente proposta di ripartizione fitogeografica della bergamasca (Ferlinghetti, 1993; Ferlinghetti, 1994) l’alta pianura bergamasca si colloca nel settore avanalpico. Il settore, costituito da alluvioni fluvio-glaciali, si estende dal piede dei rilievi prealpini fino alla fascia di affioramento delle risorgive o fontanili. Il settore avanalpico, sebbene sia collocato geograficamente nella Pianura Padana, dal punto di vista geobotanico appartiene al sistema alpino con cui condivide un elevato numero di specie sia per alcune condizioni ecologiche (aridità del suolo) che per i dissemuli alluvionali che continuamente rinnovano il “contingente alpico” presente nell’alta pianura. Appartengono a tale gruppo di specie: Helleborus niger, Clematis recta, Biscutella laevigata, Ononis spinosa, Helianthemum nummularium, Campanula elatinoides, Phyteuma scheuchzeri,

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Senecio rupestris, Allium lusitanicum, Tofieldia calyculata, Achnatherum calamagrostis, Bromus gr. erectus, Sesleria varia, Chrysopogon grillus, Koeleria spp., ecc. L’area è stata profondamente modificata dall’uomo che ha trasformato l’originale foresta planiziale in una steppa cerealicola fortemente urbanizzata. 3. Vegetazione potenziale naturale La vegetazione potenziale naturale dell’area studiata, come emerge dall’analisi bioclimatica, ricade all’interno del piano basale delle latifolgie eliofile, dominato dalle querce (fascia medioeuropea secondo la classificazione proposta da S. Pignatti, 1992). La farnia caratterizza le formazioni dei substrati alluvionali umidi, anche dei terrazzi fluvio-glaciali antichi, come quello dell’Isola, mentre la rovere si associa alla farnia nell’alta pianura e assume un’importanza preminente nei settori collinari e prealpino di bassa quota. La roverella accompagna la rovere sui versanti più caldi, divenendo quasi esclusiva su quelli con rocce carbonatiche, o nei contesti di maggior aridità del suolo. Alle querce si uniscono altre latifoglie, differenti a seconda delle condizioni ecologiche prevalenti. I boschi mesofili di farnia, rovere ospitano aceri (Acer campestre, Acer pseudoplatanus), olmo (Ulmus minor), ciliegio (Prunus avium), carpino bianco (Carpinus betulus), frassino maggiore (Fraxinus excelsior), tigli (Tilia cordata, Tilia platyphyllos), nocciolo (Corylus avellana), nei boschi termofili di roverella, rovere e/o cerro si rinvengono carpino nero (Ostrya carpinifolia), orniello (Fraxinus ornus), maggiociondolo (Laburnum anagyroides) sorbi (Sorbus aria, Sorbus torminalis). Accanto ai querceti sono presenti, in senso potenziale, altri consorzi forestali di latifoglie non direttamente influenzate dal clima, ma dalla disponibilità d’acqua nel suolo. Formazioni a salici, pioppo e ontani si dispongono lungo i corsi d’acqua e potenzialmente potrebbero trovare piena espressione lungo i tratti planiziali del Brembo, soprattutto nei contesti a rami intrecciati e lungo l’asta dei suoi principali affluenti. 4. Le fisionomie vegetali Colture arative e prati stabili Gli spazi aperti extraurbani dell'area del PLIS sono per la maggior parte interessati da colture arative e in secondo ordine da prati stabili. Le prime sono costituite da colture cerealicole nelle quali persistono le infestanti storiche (archeofite) in via di scomparsa dalla Pianura Padana in seguito alle moderne agrotecniche di coltivazione e all'impiego diffuso di sostanze erbicide. Sono ancora presenti nei campi che interessano un'ampia estensione del PLIS, il fiordaliso (Centaurea cianus), lo specchio di Venere (Legousia speculum-veneris), la coda di volpe (Alopecurus myosuroides), l'avena matta (Avena fatua), la camomilla (Matricaria camomilla), il papavero rosolaccio (Papaver rhoeas), lo stoppione (Cirsium arvense), la violetta dei campi (Viola arvensis), la veccia (Vicia sativa), ecc.. Tra le infestanti delle colture sarchiate, come il mais, vanno inserite la malghetta (Sorghum halepense), il giavone (Echinochloa crus-galli), le digitarie (Digitaria ciliaris, Digitaria sanguinalis), il panico americano (Panicum dichothomiflorum) e tra le infestanti a foglia larga le numerose specie di amaranto (Amaranthus sp. pl.), l'erba morella (Solanum nigrum) la galinsoga (Galinsoga ciliata), l'erba porcellana (Portulaca oleracea), il cencio molle (Abutilon theophrasti). I prati polifitici sono superfici di terreno ricoperte da erbe dallo sviluppo contenuto, periodicamente soggette allo sfalcio per la produzione di foraggio. I prati coltivati vengono seminati e mantenuti artificialmente in tale forma dalle pratiche agricole come il diserbo, lo sfalcio, le concimazioni.

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Sebbene si tratti di vegetazione antropica e quindi a scarso grado di naturalità, i prati costituiscono un consorzio vegetale di pregio per la ricchezza floristica che li contraddistingue e per il contributo che forniscono alla varietà dell'ecomosaico locale. La componente floristica è condizionata dalle tecniche agrarie in particolare dallo sfalcio e dalla concimazione, quest'ultima necessaria per compensare il progressivo impoverimento in nutrienti causato dal periodico asporto di fitomassa. I prati stabili sono denominati arrenatereti per la dominanza di Arrhenatherum elatius o avena altissima, una graminacea di grande taglia ed elevato valore foraggero. Accompagnano l'avena altissima numerose altre graminacee (Holcus lanatus, Lolium perenne, Dactylis glomerata, Poa trivialis, Festuca sp.pl., Setaria sp.pl., Bromus hordeaceus), leguminose (Lotus corniculatus, Trifolium repens, Trifolium pratense, Medicago lupulina, Medicago sativa), le ranuncolacee (Ranunculus repens, Ranunculus acris, Ranunculus bulbosum) e i romici (Rumex crispus, Rumex acetosa, Rumex obtusifolium).

Campi di mais sulla sponda sinistra del Brembo. Sullo sfondo il centro storico di Filago

La presenza dei prati ha una notevole importanza nell'equilibrio e nella diversità biologica dell'ambiente, soprattutto per gli insetti, sempre più rari nelle altre colture a causa dei trattamenti chimici a cui vanno sottoposti. Verde pubblico In questa categoria sono indicati gli spazi aperti finalizzati a giardini e parchi pubblici di recente istituzione. Tali aree si collocano su ex aree agricole, o in zone degradate sottoposte a recupero ambientale. Notevole per superficie e qualità della copertura vegetale è il parco posto lungo l’asta del Brembo nel comune di Filago. L’area presenta sia i tipici consorzi vegetali dei prati sia freschi che asciutti ed è stata piantumata con numerose specie arboree ed arbustive che

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formano un insieme composito ed esteticamente gradevole anche se poco affine alla vegetazione arborea naturale delle aree perialveali. IL PLIS del Brembo si caratterizza tuttavia anche per zone a verde pubblico "naturaliformi", ricavate in spazi prospicienti il fiume attrezzando aree con vegetazione seminaturale come ad Osio Sotto o su aree di cava come nel caso del Parco Arnichi a Brembate. Quest’ultimo, frutto di interventi di recupero ambientale effettuati su una ex cava di ghiaia chiusa qualche decennio fa, è interessata da un bosco denso di pioppi (Populus ssp.) coevi e di dimensioni ragguardevoli e salici bianchi (Salix alba) cui si accompagnano il ciliegio (Prunus avium), l’olmo campestre (Ulmus minor) e qualche ontano (Alnus glutinosa). Nello strato arbustivo prosperano sambuco (Sambucus nigra), sanguinello (Cornus sanguinea), biancospino (Crataegus monogyna), nocciolo (Corylus avellana), acero campestre (Acer campestre). Il sottobosco è dominato dall’edera cui si affianca una flora di modesto valore naturalistico costituita in prevalenza da rovi (Rubus ssp.), cariofillata comune (Geum urbanum), falsa ortica purpurea (Lamium purpureum), ecc., in cui si inseriscono alcuni elementi termofili di interesse naturalistico quali pervinca maggiore (Vinca major), viburno lantana (Viburnum lantana), ligustro (Ligustrum vulgare), prugnolo (Prunus spinosa). Nel compatto tessuto urbano, che caratterizza ampie superfici del contesto del PLIS, le aree verdi pubbliche di recente istituzione assumono, dal punto di vista biologico, la funzione di stepping stones, spazi aperti dove possono trovare ospitalità e possibilità di passaggio gli organismi viventi, mentre dal punto di vista paesitico ed urbanistico creano varchi e spazi aperti che permettono una migliore leggibilità della identità dei luoghi.

Area a verde pubblico nel territorio di Osio Sotto

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Parchi e giardini storici Questa fisionomia vegetale è poco rappresentata nell'area del PLIS del Brembo. Parchi storici di significativa estensione di valore paesistico ed ambientale per i notevoli volumi del loro equipaggiamento vegetale ricco di esemplari arborei vetusti e spesso ben caratterizzato nello stile architettonico sono quelli della Rasica nel comune di Osio Sotto e del Castello di Marne nel comune di Filago attorno agli antichi edifici di pregio architettonico e/o storico. Oltre che per il loro valore storico-architettonico i parchi storici rivestono particolare importanza ambientale perché la loro continuità cronologica ha favorito l’accantonamento nel loro sottobosco di specie nemorali di pregio naturalistico e lo sviluppo di alberi maturi, habitat di numerosi animali sia vertebrati che invertebrati. Raggruppamento igrofilo a salice bianco (Salix alba) e pioppo nero (Populus nigra) Nel settore centrale e settentrionale dell’area del PLIS, le macchie arboree e le boschine perialveali distribuite sulle sponde e gli isolotti del tratto di asta fluviale ad andamento anastomizzato, posto a monte della forra di Marne come anche nel settore meridionale del parco in corrispondenza del tratto del corso del Brembo prossimo alla foce, presentano una marcata frequenza di salici e pioppi.

Sponda del Brembo a Filago interessata da una rada copertura a salici e pioppi

Anche laddove, la copertura si dirada formando una prateria arida (magredo), come nel territorio di Bonate Sotto, la vegetazione arborea tende ad essere caratterizzata dalla presenza dominante di salice bianco e pioppo nero.

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Si tratta in ogni caso di vegetazione localizzata in aree sub-pianeggianti prossime al fiume, soggette ad allagamento durante le piene regolari e impostate generalmente su substrati grossolani. I salici e i pioppi sopravvivono facilmente alle piene, grazie ai loro rami flessibili, capaci di radicare facilmente qualora venissero strappati dalla corrente: a quest’ultima è quindi affidata la loro diffusione che avviene in buona parte per via vegetativa. La composizione floristica dello strato erbaceo è eterogenea, costituita da specie caratteristiche (Equisetum arvense, Eupatorium cannabinum, Saponaria officinalis, Polygonum sp., Galeopsis tethrait, ecc.) spesso accompagnate o sostituite da entità esotiche o banali (Buddleja davidii, Amaranthus spp, Artemisia spp., Lycopersicon aesculentum,. Galinsoga ciliata, ecc.) in funzione del livello di degrado. Cortine arboree di corsi d'acqua minori naturali e artificiali Nell’ambito territoriale del PLIS del Brembo si collocano, in prossimità dell’asta fluviale, alcune rogge (Brembilla e Masnada) e alcuni torrenti (Dordo e Lesina). Gli elementi del reticolo idrografico minore, sia naturale che artificiale, sono accompagnati, per ampi tratti, da cortine e filari arborei, che spesso costituiscono i corridoi verdi di maggior pregio delle aree urbane e periurbane. La dotazione vegetale è di valore soprattutto lungo i cavi delle rogge ancora attive e/o di maggior significato perché accoglie una florula di rilievo sia in senso quantitativo che qualitativo. Le condizioni di umidità e di freschezza determinate dallo scorrimento delle acque favoriscono l’insediamento di specie nemorali, anche microtermiche, tipiche dei consorzi boschivi mesofili dei versanti vallivi, inoltre il piede costantemente umido delle ripe accoglie i grossi carici tipici delle zone palustri che non trovano idonei habitat nei ghiaieti del letto del Brembo. I manufatti in pietra o borlanti che sostengono le scarpatelle ai lati delle rogge sono spesso colonizzati da una flora muricola e dai grossi cespi delle felci dei boschi scomparse dai fondovalle a causa della sua intensa urbanizzazione. Il tracciato del reticolo idrografico artificiale corre su suoli maturi, ricchi di humus, che contribuiscono ulteriormente all’insediamento di specie tipiche di ambienti boscati. Nelle cortine arboree che accompagnano le rogge persistono Anemone nemorosa, Hepatica nobilis, Helleborus viridis, Asperula taurina, Cardamine bulbifera, Primula vulgaris, Erythronium dens-canis e numerose altre specie di pregio naturalistico. Nello strato arboreo significativa è la varietà di specie tra le quali è marcata la presenza del platano (Platanus hybrida) e della robinia che assumono alternativamente il ruolo di specie dominante. Accompagnano il platano e la robinia con frequenze diverse a seconda del grado di pressione antropica esercitata sulla vegetazione l’acero campestre, l’olmo, il frassino maggiore, il nocciolo, il sambuco, il biancospino, la fusaggine. La fisionomia a dominanza di platano sembra conservare un valore naturalistico generalmente maggiore rispetto a quella a dominanza di robinia, dove compaiono con frequenza anche altre specie di ambienti più degradati, (quali il rovo), seguito da piante erbacee infestanti di origine esotica, favorite dalla maggiore luminosità e dal disturbo di tali consorzi. I torrenti Dordo e Lesina presentano generalmente una minor ricchezza floristica a causa delle più limitanti condizioni ambientali: suoli meno fertili, condizioni più variabili nella portata, maggior stato di degrado delle sponde ecc.. Mentre il Dordo conserva ancora un equipaggiamento vegetale seminaturale strutturato, la cui consistenza è sempre più minacciata dalla tendenza dei coltivi ad espandersi fino alla sponda, la Lesina, nel tratto compreso tra Presezzo e Bonate Sopra, presenta un livello di artificializzazione molto marcato che si manifesta con equipaggiamento arboreo a filare,

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continuo (pioppo cipressino, olmo robinia), in cui la vegetazione arbustiva e erbacea è praticamente inesistente, se si fa eccezione per qualche cespuglio di sambuco. Le cortine vegetali del Dordo, seppur strutturate, sono improntate dalla robinia e mostrano in generale un marcato stato di sofferenza a causa di pratiche agricole sempre più aggressive e rovinose per la vegetazione. Solo nei casi in cui l’alveo si allarga in corrispondenza quasi sempre di anse e meandri, la vegetazione che colonizza i piccoli terrazzi formati dai depositi fluviali, non raggiunti dal disturbo, esprime le proprie potenzialità. Compaiono allora specie nemorali (Anemone nemorosa, Leucojum vernum, Helleborus viridis, Cardamine bulbifera, Symphytum tuberosum, ecc.) e igrofile (Carex pendula, Valeriana officinalis, ecc.) che costituiscono piccole oasi di elevato pregio naturalistico, in un contesto generalmente caratterizzato dalla diffusione di specie banali e esotiche.

Roggia Brambilla nei pressi della Rasica

In ogni caso l’equipaggiamento del reticolo idrografico minore è tra gli elementi strategicamente più importanti per la realizzazione di reti ecologiche in ambito planiziale che sappiano connettere il principale corridoio di continuità eco-biologica, rappresentato dal Brembo, con le aree finitime e con il corso della Morletta-Morlana ad oriente e con la valle dell’Adda ad occidente. Boschine e fasce boscate a dominanza di robinia, a limitata presenza di specie autoctone La robinia è presente in modo più o meno marcato in tutti gli ambiti boscati dell'area del PLIS, ma in alcune plaghe, interessate da interventi distruttivi della vegetazione originaria o da continuo e forte disturbo, ha preso nettamente il sopravvento diventando la specie dominante. Tali aree si concentrano in particolare in destra idrografica, sul terrazzo più basso, al di sotto

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della scarpata morfologica che si sviluppa tra gli abitati di Filago, Madone e Bonate Sotto e il fiume Brembo e sulla scarpata morfologica che collega il terrazzo con il piano di campagna nei territori di Grignano e Filago. Lo strato arboreo nel robinieto è pertanto molto semplificato ed è costituito, in genere, da piante di robinia coeve, fra cui s'inseriscono sporadicamente specie autoctone, acero campestre, farnia e carpino bianco, testimoni di potenzialità vegetali e di presenze pregresse di maggior pregio.

Madone San Pantaleone-I boschi tra l’abitato e il fiume, seppur dominati da robinia, presentano una significativa frequenza di specie arboree, arbustive ed erbacee autoctone, alcune delle quali sono di pregio naturalistico Anche lo strato arbustivo è molto povero e costituito per la quasi totalità da sambuco o da nocciolo, specie che caratterizzano quindi con la robinia questa associazione vegetale di sostituzione. Accanto ai suddetti arbusti compaiono il salicone (Salix caprea) e la spirea del Giappone (Spirea japonica), esotica coltivata e spontaneizzata che si sta diffondendo rapidamente. Le plaghe a maggior degrado sono caratterizzate dalla massiccia presenza del rovo che tende a colonizzare il luminoso sottobosco del robinieto ostacolando la crescita dello strato erbaceo. Nei robinieti insediati su suoli evoluti ricchi di humus lo strato erbaceo conserva in ogni modo una composizione vicina a quella dei querceti. Vi si trovano, infatti, le geofite primaverili sigillo di Salomone (Polygonatum multiflorum) e latte di gallina (Ornithogalum umbellatum), e tra le altre, anemone dei boschi (Anemone nemorosa), barba di capra (Aruncus dioicus), geranio dei boschi (Geranium nodosum), lattuga dei boschi (Mycelis muralis), paleo silvestre (Brachipodium sylvaticum), felce femmina (Athyrium filix-foemina), camedrio scorodonia (Teucrium scorodonia).

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A questa tipologia vegetale si possono ascrivere anche le fasce boscate di estensione relativamente più modesta rispetto a quella descritta che si sviluppano in prossimità del fiume, al margine dei terrazzo più basso nei comuni di Bonate Sopra, Filago e Brembate. In queste formazioni, generalmente degradate, accanto alla robinia si presenta con elevata frequenza l’ailanto, entità rustica e invadente al pari della robinia, ma di origine est-asiatica. In alcune zone, come ad esempio, sull’ampio terrazzo a sud-est delle Ghiaie di Bonate l’ailanto forma consorzi puri che tendono a occupare le aree aperte a vegetazione erbaceo-arbustiva termoxerofila. I magredi Lungo l’asta del Brembo, nei territori di Bonate Sopra (località Ghiaie), di Bonate Sotto e nell’ampio alveo del fiume, nel tratto caratterizzato da rami intrecciati, sono presenti spazi aperti detti magredi, costituiti da formazioni erbacee termo-xerofile insediatesi su substrati ghiaiosi e sabbiosi, molto permeabili e siccitosi. Questa situazione ambientale ha selezionato nel corso del tempo una vegetazione spiccatamente termo-xerofila, rara in pianura, ricca di specie di interesse naturalistico spesso tipiche dei versanti collinari esposti a solatio. La copertura erbacea è costituita da: - specie steppiche, tipiche delle aride pianure est-europee ed asiatiche quali la vedovina selvatica (Scabiosa columbaria), la lupinella dei colli (Onobrychis arenaria), l’erba medica (Medicago sativa subsp. falcata), il millefoglio giallo (Achillea tomentosa) e le vedovelle dei prati (Globularia punctata); - specie mediterranee, distribuite attorno al Mar Mediterraneo. In periodi, con clima più favorevole, sono migrate dal Sud per insediarsi nel nostro territorio nei luoghi più aridi e caldi. Appartengono a questo contingente la perlina rossiccia (Parentucellia latifolia), il ginestrino marittimo (Tetragonolobus maritimus), la reseda comune (Reseda lutea) e l’orchide minore (Orchis morio); - specie orofite, a distribuzione montana, discese in pianura fluitate dalla corrente del Serio e qui insediate in tempi in cui il clima era più freddo. Le specie più significative sono: la biscutella montanina (Biscutella laevigata), la saponaria montana (Saponaria ocymoides), la poligala alpestre (Polygala alpestris) e il romice scudato (Rumex scutatus). Alla vegetazione erbacea si associa in alcune plaghe una vegetazione arbustiva pioniera costituita da rosa selvatica comune (Rosa canina), rovo (Rubus ssp.) e dalle esotiche buddleja (Buddleja davidii). Importante sta divenendo anche la presenza di un'altra esotica arborea molto rustica e competitiva, l'ailanto (Ailanthus altissima). La specie dominante è la graminacea forasacco eretto (Bromus erectus s.l.) a cui si associano altre graminacee: il paleo sottile (Vulpia myuros), il barboncino digitato (Bothriochoa ischaemum) i cappellini delle praterie (Agrostis tenuis), il panicello minore (Eragrostis minor), la fienarola bulbosa (Poa bulbosa), il paleo steppico (Koeleria macrantha) e la melica barbata (Melica ciliata). Tra i carici più significativi segnaliamo il carice primaticcia (Carex caryophyllea) e il carice lustro (Carex liparocarpos). Fra i carici fioriscono la piccola sassifraga annuale (Saxifraga tridactylites), l’arenaria serpillifolia (Arenaria serpyllifolia), la draba primaverile (Erophyla verna), le vedovelle dei prati (Globularia punctata), il narciso bifloro (Narcissus biflorus), i lilioasfodeli (Anthericum liliago), il muscari atlantico (Muscari atlanticum), la cinquefoglie primaticcia (Potentilla tabaernemontani), il centauro giallo (Blakstonia perfoliata), il centauro maggiore (Centaurium erythraea), Tra le camefite più comuni vi è il timo goniotrico (Tymus pulegioides), l camedrio comune (Teucrium chamaedris), il camedrio montano (Teucrium montanum), l’eliantemo maggiore

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(Helianthemum nummularium) la fumana comune (Fumana procumbens), l'ononide bacaja (Ononis natrix) e l’ononide spinosa (Ononis spinosa).

Magredi a margine dell’asta del Brembo tra Bonate Sotto e Filago

Accompagnano generalmente queste camefite l’imperatoria apio montano (Peucedanum oreoselinum), la prunella gialla (Prunella laciniata), rarissima nella pianura Padana, la piantaggine a foglie carenate (Plantago holosteum), la salvastrella minore (Sanguisorba minor), la garofanina spaccasassi (Petrorhagia saxifraga), la sassifragia pannocchiuta (Trinia glauca) e la vedovina dalle foglie sottili (Scabiosa gramuntia). A tarda estate questi prati si colorano di rosa dei capolini dell’aglio montano (Allium lusitanicum), ormai rarissimo in pianura, accompagnato dall’endemico fiordaliso cicalino (Centaurea deusta subsp. splendens), dal fiordaliso vedovino (Centaurea scabiosa grinensis) e dalla più comune ed aromatica mentuccia comune (Calamintha nepeta). Questo luogo, che ospita entità floristiche così numerose e rare, ci riserva pure preziose e inaspettate specie d’orchidee quali l’orchide minore (Orchis morio) e l’orchide cimicina (Orchis coriophora) e alcune specie del genere Ophrys (O. fuciflora, O sphaecodes). Le cortine arboree interpoderali a dominanza di robinia Il plurisecolare lavoro di spietramento dei campi è uno dei processi storici che hanno costituito il paesaggio agrario dell’alta pianura bergamasca. I sassi raccolti nel terreno dopo le arature, venivano accumulati ai margini dei coltivi dando origine a rilevanti depositi di materiali grossolani incoerenti, larghi alcuni metri e lunghi diverse decine, creando a volte complessi e continui disegni geometrici sul suolo.

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Su questi depositi si è instaurata una vegetazione adatta a condizioni di aridità e termofilia, creando lunghi e caratteristici corridoi vegetazionali. Le mappe del Catasto Lombardo – Veneto evidenziano, già nel 1853, la presenza di lotti, stretti e lunghi, ricoperti di bosco ceduo. Queste siepi, che un tempo venivano denominate “rovari” o “murari”, a seconda che si mettesse in evidenza la composizione edafica o vegetazionale, sono dominate, nello strato arboreo, da due essenze esotiche, la robinia (Robinia pseudoacacia) e l'ailanto (Ailanthus altissima). Tra le specie non autoctone, introdotte per sostenere le prime attività imprenditoriali, troviamo i gelsi (Morus nigra e Morus alba) e il gelso da carta (Broussonetia papyrifera), coltivati in passato, in gran numero, per l'allevamento del baco da seta, ma ormai ridotti a pochi esemplari. Qua e là si rinvengono alcuni esemplari di spino di Giuda (Gleditsia triacanthos). Fra le specie alloctone dominanti si rinvengono rare presenze di specie vegetali che costituiscono le ultime vestigia del manto forestale che vegetava nella pianura prima dell’avvento delle attività agricole, rovere (Quercus petraea), cerro (Quercus cerris). Più comune risulta la presenza dell'acero campestre (Acer campestre), del carpino bianco (Carpinus betulus), del bagolaro (Celtis australis) e dell’orniello (Fraxinus ornus). Occupano gli spazi inferiori gli arbusti del corniolo (Cornus mas), il biancospino (Crataegus monogyna), il prugnolo (Prunus spinosa), la rosa selvatica (Rosa canina), la berretta del prete (Euonymus europaeus), la lantana (Viburnum lantana), il ligustro (Ligustrum vulgare), il nocciolo (Corylus avellana), il pallone di maggio (Viburnum opulus), la sanguinella (Cornus sanguinea), l’emero (Coronilla emerus), il rovo bluastro (Rubus caesius).

Le cortine a robinia conservano uno strato erbaceo con elementi nemorali che ne elevano il valore naturalistico. in quanto diventano aree rifugio per le specie afferenti ai consorzi forestali

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planiziali ormai scomparsi. Vi si annoverano tra le piante rampicanti, l'edera (Hedera helix), il tamaro (Tamus communis), la vitalba (Clematis vitalba), la vite bianca (Bryonia dioica) e il luppolo (Humulus luppulus), la morella rampicante (Solanum dulcamara), tra le erbacee il campanellino comune (Leucojum vernum) in copiosi esemplari, e il più raro zafferano selvatico (Crocus biflorus); a stagione avanzata, fioriscono la rosa di natale (Helleborus niger), l'anemone dei boschi (Anemone nemorosa), la viola mammola (Viola odorata), la veronica a foglie d'edera (Veronica hederifolia), la primula comune (Primula acaulis), l’euforbia bitorzoluta (Euphorbia dulcis), il sigillo di Salomone maggiore (Polygonatum multiflorum), il geranio di S. Roberto (Geranium robertianum), l’elleboro puzzolente (Helleborus foetidus), il raro sigillo di Salomone comune (Polygonatum odorarum), le mediterranee arabetta maggiore (Arabis turrita) e pungitopo (Ruscus aculeatus), il cipollaccio dei campi (Gagea villosa), la falsa-ortica maculata (Lamium maculatum), la falsa-ortica bianca (Lamium album), l’erba cornetta (Coronilla emerus), la polmonaria (Pulmonaria officinalis), la lappola bianca (Orlaya grandiflora), la comune ortica mora (Lamiastrum galeobdolon), l'erba di San Giovanni comune (Hypericum perforatum), l'erba cornetta ginestrina (Coronilla varia), l'erba betonica (Stachys sylvatica), l'erba limona comune (Melittis melissophyllum), la campanula a foglie d'ortica (Campanula trachelium), la salvia vischiosa (Salvia glutinosa), il rarissimo colchico (Colchicum autumnale) e le graminacee sciafile, cioè amanti dell'ombra: il paleo silvestre (Brachipodium sylvaticum), la melica comune (Melica uniflora) e la fienarola comune (Poa trivialis). A questa tipologia vegetale può essere riferito parte dell’ampio lembo boscato situato di fronte al cimitero in località Ghiaie di Bonate. su un ampio quadro con suolo a grana grossolana (ghiaie, ciottoli, ecc.) attorniato da coltivi si è insediata una copertura vegetale termo-xerofila in cui appare dominante la robinia affiancata da qualche querciola (Quercus ssp.). Lo strato arbustivo, improntato da nocciolo (Corylus avellana), si caratterizza per la presenza di numerose specie spiccatamente termofile e xerofile quali ligustro (Ligustrum vulgare), acero campestre (Acer campestre), geranio purpureo (Geranium purpureum), caprifoglio (Lonicera caprifolium), ecc., che tuttavia devono subire una forte pressione da parte dei rovi (Rubus spp.) che ne limitano la diffusione e lo sviluppo. La vegetazione dei rovari, le macchie boscate ad essi connessi e le siepi interpoderali costituiscono in alcune zone del PLIS (Bonate Sopra, Boltiere, Brembate, ecc.) una trama verde di rimarchevole valore ecologico e paesaggistico anche se non sempre sostenuta da un adeguato contingente di specie di interesse naturalistico. Raggruppamento termofilo di scarpata morfologica a carpino nero (Ostrya carpinifolia) orniello (Fraxinus ornus) e querce (Quercus spp.) La scarpata morfologica in sinistra idrografica separa nettamente il piano su cui si sono sviluppati gli insediamenti dell'area di Dal mine - Osio Sopra dal terrazzo intermedio che invece ha conservato la sua destinazione agricola con insediamenti rurali sparsi circondati da colture intensive. La scarpata che si snoda per alcuni chilometri parallela al corso del fiume, dal cui alveo dista alcune centinaia di metri, presenta un’altezza di una decina di metri ed una superficie ampia di circa 100 m. L’acclività della scarpata e l’esposizione ad ovest hanno favorito lo sviluppo di una vegetazione termofila tipica di suoli tendenzialmente asciutti. La copertura vegetale presenta uno strato arboreo ben sviluppato, costituito da specie autoctone fra cui domina il carpino nero (Ostrya carpinifolia). Accompagnano il carpino, il bagolaro (Celtis australis), alcune querce fra cui (Quercus petraea, Quercus cerris), l'acero campestre (Acer campestre). Lo strato arbustivo, articolato in due strati, annovera le specie moderatamente eliofile tipiche di ambienti di transizione o di margine della copertura forestale,

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biancospino (Crataegus monogyna), viburno (Viburnum lantana), pungitopo (Ruscus aculeatus), ligustro (Ligustrum vulgaris). Anche il sottobosco presenta una elevata presenza di specie autoctone nemorali, contribuendo a determinare l’elevato grado di valore naturalistico di questa tipologia vegetale, che si raccorda ai consorzi di latifoglie eliofile dei primi versanti collinari, le cui espressioni nell’alta pianura sono pressochè scomparse a causa della pressione antropica e delle condizioni ecologiche non sempre adeguate alla necessità dei boschi termo-xerofili Vegetazione rupicola su Ceppo in forra Nel tratto compreso tra Filago e Brembate il Brembo scorre in forra, le ripidi pareti del solco fluviale sono caratterizzate dall’affioramento di banchi di conglomerato poligenico denominato “Ceppo”. Le pareti sono interessate da crolli che determinano la formazione di aggrottamenti e rientranze e il movimento di cospicui blocchi lapidei che si depositano nel letto del fiume dove spesso spezzano la corrente formando piccoli salti. Gli affioramenti rocciosi sia nella parete che nell’alveo sono colonizzati da una florula ricca di specie ipsofile, tipiche cioè di orizzonti vegetali montani, assai rare in ambito planiziale. Tra queste entità ricordiamo, a titolo d’esempio, Globularia cordifolia, Campanula elatinoides, Phyteuma scheuchzeri, Sesleria varia, Erica carnea, Hinula hirta ecc. Di notevole importanza fitogeografica è la presenza della campanula d’Insubria (Campanula elatinoides), specie esclusiva delle Prealpi Lombarde tipica delle rupi calcareo - dolomitiche del piano montano e montano superiore. L’habitat della specie è rappresentato da nicchie, fessure, spioventi e ripari su roccia, spesso in ombra d’acqua, tra i 350 e i 1800 metri, ad eccezione delle stazioni poste sul lago d’Iseo dove il limite altimetrico scende a 200 m. Le stazioni rilevate in sede locale presentano caratteristiche peculiari sia per la posizione topografica, oltre il limite meridionale dell’areale e a quote particolarmente basse, sia per la situazione ambientale. La pianta vegeta infatti sugli afforamenti di Ceppo, formazione litologica costituita da clasti con diametro mediamente compreso tra i 20 e i 30 cm, da arrotondati a ben arrotondati (tabelle visiali tratte da Krumbein, 1941). La composizione petrografica è varia: i calcari sono dominanti, seguono le vulcaniti, sono inoltre presenti ciottoli di arenaria, conglomerati, rocce metamorfiche, selci, quarzo, sparsi in una matrice di ciottoli più piccoli di arenaria, il cemento e carbonatico (Dal Puppo, 1979). Le piante osservate hanno portamento lasso riconducibile a quello delle forme sciafile della specie, gli esemplari si collocano in massima parte in corrispondenza degli alveoli del conglomerato. Accompagnano Campanula elatinoides, Hedera helix, Asplenium trichomanes. I popolamenti compresi tra Filago e Brembate sono disgiunti dall’areale della specie, la cui distribuzione diviene diffusa a monte della linea Sedrina - Val Brembilla. Nel tratto intermedio esistono alcune piccole popolazioni nei pressi del ponte di Briolo (Ferlinghetti , Calvi 1985). Le popolazioni disgiunte presentano generalmente differenze genetiche rispetto a quelle distribuite nella parte continua dell’areale. Tali differenze rendono particolarmente importanti, per la conservazione della diversità genetica della specie, la salvaguardia dei nuclei disgiunti quali quelli in esame.

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Blocchi di Ceppo nella forra di Marne. La copertura vegetale dei massi è ricca di specie rupicole di pregio naturalistico tipiche degli orizzonti montani Formazioni boscate afferenti al querco-carpineto La vegetazione potenziale naturale delle aree planiziali dell’alta pianura bergamasca è costituita da consorzi di querce con carpino bianco detti querco-carpineti. Queste cenosi vegetali rientrano nel Carpinion betuli, afferente all’ordine Fagetalia sylvatica che raggruppa i consorzi forestali di latifoglie mesofile. I querco-carpineti dell’alta pianura, tipici dell’area planiziale con falda profonda, differiscono da quelli della bassa pianura per la presenza di specie quali Pulmonaria officinalis, Lathyrus vernus Geranium nodosum, Aruncus dioicus, Cardamine bulbifera, Doronicum pardalianches, Helleborus niger. Queste specie sono tipiche anche dei boschi collinari prealpini ad esposizione meridionale e ormai affrancati dalle falde freatiche. Il querco-carpineto dell’alta pianura si differenzia da quello della bassa oltre che per la posizione geografica e per la composizione floristica più marcatamente termo-xerofila, anche per una maggior ricchezza di specie, fra cui Ruscus aculeatus e Fraxinus ornus. Sebbene querco-carpineti ben strutturati non siano presenti nell’area del Parco, i consorzi che più ad esso si avvicinano sono il bosco dell’Itala e le macchie boscate presenti nel parco del Castello di Marne. Il primo, per la sua posizione marginale all’area del parco, per i provvedimenti di salvaguardia a cui è sottoposto e per gli auspicabili ampliamenti che potrebbero ulteriormente realizzarsi, si pone come elemento di particolare valore nella rete ecologica locale, potendo assumere il ruolo di ganglio a cui dovrebbero connettersi le siepi e le cortine interpoderali delle aree agricole adiacenti.

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Si possono riferire a questa fisionomia anche alcuni lembi boscati seminaturali o di impianto che pur avendo estensione e qualità naturalistica più modeste rispetto ai precedenti costituiscono elementi areali importanti dal punto di vista ecologico:

- fascia boscata a dominanza di carpino bianco (Carpinus betulus) con tiglio nostrano (Tilia platyphyllos), ciliegio selvatico (Prunus avium) e un ricco sottobosco costituito da Anemone nemorosa, Pulmonaria officinalis, Viola odorata, Ranunculus ficaria, Polygonatum multiflorum, Lamium maculatum, ecc. al margine del terrazzo fluviale delle Ghiaie di Bonate;

- macchia boscata di impianto a farnia e carpino nero e boschetto a farnia sul terrazzo di Bonate Sopra Boschine e fasce boscate a robinia (Robinia pseudoacacia) con significativa presenza di specie autoctone I terrazzi fluviali più prossimi all’asta fluviale del Brembo e le scarpate morfologiche che li mettono in relazione con il terrazzo più elevato o il piano fondamentale della pianura in sponda idrografica destra sono spesso interessati da una copertura boschiva eterogenea la cui facies più comune e diffusa è quella caratterizzata dalla robinia (Robinia pseudoacacia) come specie dominante alla quale si accompagnano alcune specie autoctone di pregio quali farnia (Quercus robur), olmo (Ulmus minor), acero campestre (Acer campestre), bagolaro (Celtis australis), carpino bianco (Carpinus betulus). Anche lo strato arbustivo presenta una significativa presenza di essenze autoctone, tra le quali sono più frequenti l’orniello (Fraxinus ornus), il corniolo (Cornus mas), il sanguinello (Cornus sanguinea), il biancospino (Crataegus monogyna). Nello strato erbaceo sono presenti specie nemorali residue dei querco-carpineti potenziali per l’area in esame, tra le quali meritano di essere ricordate: Erytronium dens-canis, Polygonatum multiflorum, Helleborus niger, Leucojum vernum, Anemone nemorosa, Festuca heterophylla. Nonostante la presenza nello strato arboreo della robinia, questi consorzi ben si prestano ad essere convertiti con appropriati interventi silvocolturali, nei querce-carpineti dell’alta pianura ascrivibili al Carpinion betuli. Accanto a questa diffusa fisionomia tuttavia se ne possono identificare altre, alle quali la robinia partecipa in modo più o meno significativo, contraddistinte da una composizione floristica peculiare, degna di essere evidenziata. E’ il caso, ad esempio, della copertura vegetale che interessa l’area a sud di Crespi d’Adda , sul terrazzo definito dalla confluenza del Brembo nell’Adda, o della macchia boscata situata, sempre in destra idrografica e sul terrazzo prospiciente il fiume, a sud del tracciato autostradale. La prima fisionomia interessa il margine del terrazzo di Crespi d’Adda ed è costituita da vegetazione strutturata a sviluppo areale in cui si registra la presenza significativa di olmo (Ulmus minor), acero campestre (Acer campestre), rari esemplari di farnia (Quercus robur), sanguinello (Cornus sanguinea), biancospino (Crataegus monogyna), sambuco (Sambucus nigra) ed evonimo (Euonymus europaeus) e sottobosco in cui sono frequenti Vinca minor, Symphytum tuberosum, Polygonatum multiflorum, Allium ursinum, ecc. Verso l’interno mentre nelle zone più interne si presenta o meno strutturata con aspetto di boscaglia Nelle zone del terrazzo più discoste dal fiume la vegetazione assume un carattere più termofilo strutturandosi a boscaglia nella quale, a fianco della robinia, sono frequenti l’ailanto (Ailanthus altissima), bagolaro (Celtis australis), rosa comune (Rosa canina), biancospino. Dove sono presenti coltivi la vegetazione spontanea si articola in fasce boscate e siepi, le quali, pur essendo improntate dalla robinia, presentano significative presenze di bagolaro, olmo campestre (Ulmus minor), acero campestre, ciliegio (Prunus avium), fra cui si inseriscono esemplari di farnia (Quercus robur) e Tiglio comune (Tilia plathyphyllos). La flora erbacea

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mostra una discreta termofilia testimoniata dalla diffusa presenza di pungitopo (Ruscus aculeatus), di ligustro (Ligustrum vulgare) e di alcune specie erbacee di importanza naturalistica quali pervinca maggiore (Vinca major), sigillo di Salomone comune (Polygonatum odoratum) e erba perla azzurra (Buglossoides purpuro-caerulea). Nel territorio di Brembate, sul terrazzo prospiciente il fiume, a sud del tracciato autostradale, la fascia boscata è costituita da un fitto bosco dominato da ciliegio selvatico (Prunus avium) nello strato arboreo e nello strato arbustivo da biancospino e sanguinello. Lo strato erbaceo, a causa della scarsità di luce dovuta alla densa copertura, appare tappezzato di edera (Hedera helix) e sostanzialmente povero di specie. Alcuni di questi consorzi rientrano in aree già sottoposte ad interventi di salvaguardia (Bosco Astori, Parco del Brembo a Bonate, Parco dell’Adda a Capriate S. Gervasio, ecc.) e si devono considerare come gangli della rete ecologica locale da cui partire per tessere relazioni ecologiche con le siepi, le cortine arboree e le fasce boscate delle zone adiacenti. Raggruppamento meso-termofilo di scarpata morfologica a bagolaro (Celtis australis) orniello (Fraxinus ornus) e robinia (Robinia pseudoacacia) Sempre in sponda idrografica destra merita una segnalazione particolare la fisionomia vegetale che ricopre il tratto di scarpata morfologica che si sviluppa all’altezza dell’abitato delle Ghiaie di Bonate Sopra e al cui piede scorre la Roggia Masnada. L’elevata acclività e la presenza di un suolo molto sottile e povero hanno nel contempo ostacolato lo sfruttamento antropico della copertura vegetale e favorito lo sviluppo di un consorzio particolare che ad uno spiccato carattere termo-xerofilo del substrato unisce una discreta freschezza dell’aria a causa della presenza del canale che mitiga le temperature e accresce l’umidità. Ne deriva una fisionomia vegetale con una elevata biodiversità data dalla contemporanea presenza di elementi termoxerofili e mesofili. Nello strato arboreo e arbustivo della scarpata, dominato dal bagolaro (Celtis australis) nella porzione più elevata e dalla robinia in quella inferiore, convivono orniello (Fraxinus ornus) e carpino bianco (Carpinus betulus), acero campestre (Acer campestre) e acero montano (Acer pseudoplatanus), pungitopo (Ruscus aculeatus) e sambuco (Sambucus nigra), prugnolo (Prunus spinosa) ed evonimo (Euonymus europaeus), cornetta dondolina (Coronilla emerus), biancospino comune (Crataegus monogyna) e biancospino selvatico (Crataegus oxycanta). Anche nel sottobosco la meso-termo-xerofilia del consorzio è confermata dalla presenza di anemone dei boschi (Anemone nemorosa), primula (Primula acaulis), cipollaccio (Leopoldia comosa) a fianco di (Asplenium adiantum nigrum), pervinca (Vinca minor), erba trinità (Hepatica nobilis), rosa di Natale (Helleborus niger) e arabetta maggiore (Arabis turrita).

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Cortina verde a bagolaro (Celtis australis) accompagna il margine della scarpata morfologica che si sviluppa nel territorio di Bonate Sopra e alla cui base scorre il canale Masnada

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Raggruppamento meso-termofilo di scarpata fluviale La scoscesa incisione della forra determina condizioni ambientali assai particolari. Il profilo serrato e a U del solco fluviale favorisce un limitato irraggiamento ed un elevato tenore di umidità, condizioni che favoriscono l’insediamento di piante microtermiche, cioè tipiche di luoghi di orizzonti vegetali più elevati con condizioni climatiche più rigide. Nel contempo l’acclività delle pareti e i caratteri dei suoli, particolarmente asciutti, favoriscono la colonizzazione da parte di specie termo-xerofile, tipiche di habitat caldo-arido. La presenza di aspetti ambientali per certi versi antitetici, limitato irraggiamento, elevata umidità, e suoli assenti o primitivi, hanno selezionato un vasto popolamento vegetale meso-termo-xerofilo, in cui a specie mesofile quali carpino bianco, fusaggine, rovere e olmo, si affiancano entità più tipiche di consorzi aridi e pionieri fra cui si possono annoverare bagolaro, viburno lantana, cornetta dondolina, orniello, corniolo. Significativa è anche la presenza di un nutrito numero di specie di felci, gruppo vegetale in forte contrazione in tutta la Padania per la distruzione degli ambienti freschi ed umidi, quali ad esempio le aree boscate a loro confacenti. In taluni casi è addirittura stupefacente il numero di specie di felci che si possono rilevare in contesti assai ristretti quali ad esempio l’area del Fontanino di Filago.

Nell’area della forra sono presenti una decina di entità (Asplenium ruta-muraria, Asplenium trichomanes, Adiantum capillus-veneris, Dryopteris filix-mas, Phyllitis scolopendrium, Cystopteris fragilis, Polysticum aculeatum, Polypodium vulgare, Dryopteris dilata, Athyrium filix foemina). Sono presenze spesso caratterizzate da un esiguo numero di esemplari, ma che con adeguati interventi silvocolturali, atti ad ampliare o governare verso forme più mature la copertura vegetale arborea, potrebbe incrementarsi.

Le formazioni boschive meso- termofile rivestono ampi tratti delle sponde della forra compresa tra Filago e Marne

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Vegetazione anfibia a cannuccia di palude (Phragmites australis) e carici All’interno del Parco Anrichi di Brembate, istituito in seguito ad un intervento di recupero ambientale di una ex cava, è presente l’unica area umida del PLIS. Pur non trattandosi di una formazione naturale e nonostante le ridotte dimensioni essa riveste notevole importanza e interesse per due motivi: - la drastica riduzione delle zone umide causata dagli interventi di bonifica e arginatura dei fiumi; - l’elevata diversità biologica e produttiva. L’area umida si sviluppa in corrispondenza di un’ampia depressione ed è delimitata dal bosco che nell’immediato intorno del fragmiteto è caratterizzato dalla alta frequenza di salici . Il suolo intriso d’acqua e la presenza di ristagni favoriscono lo sviluppo di una cenosi di idrofite improntato da cannuccia di palude (Phragmites australis) e in cui si inseriscono lisca maggiore (Typha latifoglia) e carice rigonfia (Carex rostrata). Nelle pozze d’acqua si sviluppa una flora acquatica sommersa dominata da Ceratophyllum sp.

Il fragmiteto con carici, unico esempio di tale fisionomia vegetale nell’area del PLIS del Basso corso del Brembo, occupa una discreta porzione della ex-cava recuperata e destinata a area a verde pubblico (Parco Anrichi) nel comune di Brembate Aree del territorio del Parco del basso Brembo sono state oggetto di indagini floristiche (A. Arzuffi, R. Ferlinghetti, 2002). Le segnalazioni pregresse relative a tali aree sono state integrate con dati raccolti nel corso di alcune recenti erborizzazioni finalizzate alla stesura della relazione sugli aspetti vegetazionali e floristici del Parco. Sono stati archiviati complessivamente più di 1000 dati floristici che hanno consentito di compilare un elenco floristico di prima approssimazione di circa 350 specie.

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Sebbene il repertorio sia ampiamente incompleto costituisce una significativa base da cui partire per estendere e approfondire la conoscenza del patrimonio floristico del Parco, sicuramente di notevole interesse sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo. Fra le entità censite molte sono di interesse naturalistico perché tipiche di quote più elevate o rare nella fascia prealpina o in ambito locale. Gli spazi aperti denominati magredi ospitano una flora ricca e diversificata, ma costituiscono anche luoghi di elezione per l'ingresso delle esotiche avventizie, che qui trovano condizioni ideali di insediamento a causa della grande variabilità degli habitat sottoposti a pressione antropica e alle trasformazioni prodotte dal dinamismo del fiume. Sono ben rappresentate anche le specie mediterranee dove le condizioni di aridità del suolo e di illuminazione sono accentuate. La nomenclatura e l'ordine sistematico sono conformi a Flora d'Italia (Pignatti, 1982)

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REPERTORIO FLORISTICO DI PRIMA APPROSSIMAZIONE DELL'AREA DEL PARCO

Equisetum variegatum Schleicher Equisetum arvense L. Pteridium aquilinum (l.) Kuhn Asplenium trichomanes L. Asplenium adiantum-nigrum L. Asplenium ruta-muraria L Phyllitis scolopendrium (L.) Newman Athyrium filix-foemina (l.) Roth Cystopteris fragilis (L.) Bernh. Polystichum aculeatum (L.) Roth Polystichum setiferum (Forsskål) Woynar Dryopteris filix-mas (L.) Scott Gymnocarpium dryopteris (L.) Newman Polypodium vulgare L. Salix alba L. Salix eleagnos Scop. Salix purpurea L. Populus alba L. Populus nigra L. Populus canadensis L. Alnus cordata (Loisel.) Desf. Carpinus betulus L. Ostrya carpinifolia Scop. Corylus avellana L. Quercus petraea (Mattuschka) Liebl. Quercus robur L. Quercus pubescens Willd. Ulmus minor Miller Celtis australis L. Broussonetia papyrifera (L.) Vent. Ficus carica L. Humulus lupulus L. Humulus scandens (Lour.) Merril Urtica dioica L. Parietaria officinalis L. Parietaria diffusa M. et. K. Polygonum aviculare L. Polygonum arenastrum Boreau Polygonum hydropiper L. Polygonum lapathifolium L. Polygonum orientale L. Fallopia convolvulus (L.) Holub Rumex scutatus L. Rumex crispus L.

Rumex obtusifolius L. Chenopodium ambrosioides L. Chenopodium polyspermum L. Chenopodium album L. Amaranthus chlorostachys Willd. Amaranthus retroflexus L. Amaranthus deflexus L. Amaranthus lividus L. Phytolacca americana L. Portulaca oleracea L. Arenaria serpyllifolia L. Cerastium brachypetalum Desportes et Pers. Cerastium glomeratum Thuill. Silene vulgaris (Moench) Garcke Silene alba (Miller) Krause Saponaria ocymoides L. Saponaria officinalis L. Petrorhagia saxifraga (L.) Link Ceratophyllum demersum L. Helleborus niger L. Helleborus viridis L.

Anemone nemorosa L. Hepatica nobilis Miller Clematis vitalba L. Clematis recta L. Ranunculus acris L. Ranunculus repens L. Ranunculus bulbosus L. Ranunculus ficaria L. Thalictrum aquilegifolium L. Berberis vulgaris L. Hypericum perforatum L. Papaver rhoeas L. Corydalis cava (L.) Schweigg. et Koerte Fumaria officinalis L. Alliaria petiolata (Bieb.) Cavara et Grande Arabidopsis thaliana (L.) Heynh. Cardamine amara L. Cardamine pratensis L. Cardamine hirsuta L. Arabis hirsuta (L.) Scop. Arabis turrita L. Erophila verna (L.) Chevall Capsella bursa-pastoris (L.) Medicus

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Capsella rubella Reuter Biscutella levigata L. Diplotaxis tenuifolia (L.) DC. Reseda lutea L. Platanus hybrida Brot. Sedum sexangulare Sedum rupestre

Saxifraga tridactylites L. Rubus ulmifolius Schott Rubus caesius L. Rosa canina L. sensu Bouleng. Rosa arvensis Hudson Sanguisorba minor Scop. Geum urbanum L. Potentilla argentea L. Potentilla tabernaemontani Asch. Potentilla reptans L. Malus sylvestris Miller Sorbus torminalis (L.) Crantz Amelanchier ovalis Medicus Crataegus oxyacantha L. Crataegus monogyna Jacq. Prunus spinosa L. Prunus avium L. Gleditsia triacanthos L. Cytisus sessilifolius L. Genista germanica L. Robinia pseudoacacia L. Galega officinalis L. Astragalus glycyphyllos L. Amorpha fruticosa L. Ononis natrix L. Ononis spinosa L. Melilotus alba L. Medicago lupulina L. Medicago sativa L. Medicago sativa L. Trifolium repens L. Trifolium pratense L. Lotus corniculatus L. Tetragonolobus maritimus (L.) Roth Coronilla emerus L. Onobrychis arenaria (Kit.) DC. Oxalis corniculata L. Oxalis fontana Bunge Geranium sanguineum L. Geranium nodosum L.

Geranium pyrenaicum Burm. Geranium molle L. Geranium purpureum Vill. Mercurialis annua L. Mercurialis perennis L. Euphorbia prostrata Aiton Euphorbia dulcis L. Euphorbia peplus L. Euphorbia amygdaloides L. Euphorbia cyparissias L. Ailanthus altissima (Miller) Swingle Polygala alpestris Rchb. Acer platanoides L. Acer campestre Acer pseudoplatanus L. Acer negundo L. Euonymus europaeus L. Impatiens parviflora DC. Impatiens balfourii Hooker fil. Frangula alnus Miller Tilia platyphyllos Scop. Tilia cordata Miller Malva sylvestris L. Abutilon theophrasti Medicus Viola odorata L. Viola suavis Bieb. Viola alba Besser Viola reichenbachiana Jordan ex Boreau Viola riviniana Rchb. Fumana procumbens (Dunal.) G.& G. Citrullus lanatus (Thumb.) Mansfeld Sicyos angulatus L. Lythrum salicaria L. Circaea lutetiana L. Cornus sanguinea L. Cornus mas L. Hedera helix L. Aegopodium podagaria L. Trinia glauca (L.) Dumort Peucedanum oreoselinum (L.) Moench. Torilis japonica (Houtt.) DC. Daucus carota L. Erica carnea L. Primula vulgaris Hudson Lysimachia vulgaris L. Anagallis arvensis L. Fraxinus ornus L.

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Ligustrum vulgare L. Fraxinus excelsior L. Syringa vulgaris L. Ligustrum lucidum Ait. Ligustrum sinense Vinca minor L. Vinca major L. Vincetoxicum hirundinaria Medicus Asperula purpurea (L.) Ehrend. Galium boreale L. Galium mollugo Miller Galium rubrum L. Galium aparine L. Calystegia sepium (L.) R. Br. Calystegia sylvatica (Kit.) Griseb. Convolvulus arvensis L. Buglossoides purpurocaerulea (L.) Johnston Buglossoides arvensis (L.) Johnston Echium vulgare L. Symphytum tuberosum L. Verbena officinalis L. Teucrium chamaedrys L. Teucrium montanum L. Galeopsis tetrahit L. Lamium maculatum L. Lamium album L. Lamium purpureum L. Lamiastrum galeobdolon (L.) Ehrend. et Polatschek Stachys sylvatica L. Stachys x ambigua Sm. Glechoma hederacea L. Prunella vulgaris L. Thymus pulegioides L. Lycopus europaeus L. Mentha longifolia (L.) Hudson Salvia glutinosa L. Salvia pratensis L. Solanum nigrum L. Lycopersicon esculentum Miller Buddleja davidii Franchet Scrophularia nodosa L Antirrhinum majus L. Linaria vulgaris Miller Cymbalaria muralis G. M. Sch. Veronica persica Poiret Veronica hederifolia L.

Veronica chamaedrys L. Veronica beccabunga L. Globularia puntata

Globularia cordifolia L. Plantago major L. Plantago lanceolata L. Sambucus nigra L. Lonicera caprifolium L. Viburnum lantana L. Lonicera japonica Thumb. Valeriana officinalis L. Valeriana collina Wallroth Scabiosa columbaria L. Scabiosa gramuntia L. Campanula elatinoides Moretti Campanula trachelium L. Phyteuma scheuchzeri All. Eupatorium cannabinum L. Solidago gigantea L. Conyza canadensis (L.) Cronq. Erigeron annuus (L.) Pers Erigeron karvinskianus DC. Inula hirta L. Bidens frondosa L. Helianthus annuus L. Helianthus tuberosus Ambrosia artemisiifolia L. Xanthium italicum Moretti Achillea collina Becker Achillea millefolium L. Achillea tomentosa L. Achillea roseo-alba Ehrend. Artemisia vulgaris L. Artemisia verlotorum Lamotte Senecio inaequidens DC. Arctium lappa L. Arctium minus (Hill) Bernh. Cirsium arvense (L.) Scop. Silybum marianum (L.) Gaertner Centaurea scabiosa L. Centaurea deusta Ten. Centaurea nigrescens Willd. Taraxacum officinale Weber Sonchus oleraceus L. Leontodon tenuiflorus (Gaudin) Rchb. Chondrilla juncea L. Mycelis muralis (L.) Dumort

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Crepis capillaris (L.) Wallr. Crepis vesicaria L. Erythronium dens-canis L. Anthericum liliago L. Gagea pratensis (Pers.) Dumort. Scilla bifolia L. Ornithogalum umbellatum L. Muscari atlanticum Boiss. et Reuter Muscari botryoides (L.) Miller Leopoldia comosa (L.) Parl. Ruscus aculeatus L. Allium oleraceum L. Allium lusitanicum Lam. Tamus communis L. Polygonatum odoratum (Miller) Bruce Polygonatum multiflorum (L.) All. Asparagus tenuifolius Lam. Leucojum vernum L. Narcissus biflorus Curtis Dactylis glomerata L. Poa trivialis L. Poa pratensis L. Poa bulbosa L. Festuca pratensis Hudson Festuca heterophylla Lam. Melica nutans L. Bromus hordeaceus L.

Bromus sterilis L. Sesleria varia (Jacq.) Wettst. Bromus madritensis L.

Melica ciliata L. Lolium perenne L. Brachypodium sylvaticum (Hudson) Beauv. Agropyron caninum (L.) Bieauv. Agropyron repens (L.) Beauv. Anthoxanthum odoratum L. Avena fatua L. Arrhenatherum elatius (L.) Presl Koeleria macrantha (Ledeb.) Sprengel Molinia arundinacea Schrank Phragmites australis (Cav.) Trin. Arundo donax L. Typhoides arundinacea (L.) Moench Achnatherum calamagrostis (L.) Beauv. Eragrostis minor Host Eleusine indica (L.) Gaernter Cynodon dactylon (L.) Pers.

Panicum dichotomiflorum Michx. Echinochloa crus-galli (L.) P.B. Digitaria sanguinalis (L.) Scop. Setaria glauca (L.) Beauv. Setaria viridis (L.) Beauv. Setaria ambigua Guss. Sorghum halepense (L.) Pers. Bothriochloa ischaemon (L.) Keng Carex caryophyllea La Tourr. Carex sylvatica Hudson Carex lepidocarpa Tausch Carex rostrata Stokes Carex flacca Schreber Carex hirta L. Ophrys sphecodes Miller Ophrys fuciflora (Crantz) Moench Anacamptis pyramidalis (L.) L. C. Rich. Orchis morio L. Orchis coriophora L. Orchis ustulata L. Orchis tridentata Scop. Gymnadenia conopsea (L.) R. Br. Platanthera clhorantha (Custer) Rchb. Cephalanthera longifolia (Hudson) Fritsch

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LA VALUTAZIONE DELLA COPERTURA VEGETALE Descrizione e valutazione biologica della copertura vegetale La fisionomia della copertura vegetale del PLIS del Basso Corso del Brembo è rappresentata nella carta allegata alla relazione. Per la valutazione del valore biologico delle tipologie vegetali rilevate si è adottato la metodologia proposta da M. Mariotti nel “Progetto di Dati e cartografia della Biodiversità. Rapporto finale per l’Italia” – Iniziativa Comunitaria Interreg II – programma operativo MEDOCC (2001), testata a livello europeo e basata sull’indice di Storie modificato da Villa (1995). L’importanza di ogni habitat, nel nostro caso le fisionomie vegetali, è stata determinata secondo la seguente formula: Ove Ai è il punteggio relativo all’i-mo fattore considerato, k il valore massimo raggiungibile dal punteggio (il valore minimo è 1), e n il numero totale di fattori. Si è ritenuto, seguendo Mariotti , che un valore di k= 5 descrivesse sufficientemente bene il peso dei singoli fattori; pertanto ai fini della cartografia della biodiversità si assume k=5. La modificazione apportata da Villa esalta i valori dell’indice quando qualche punteggio è alto. In questo modo una specie o un habitat che ha scarso valore per tre parametri, ma ha un alto punteggio per un quarto parametro viene valutata bene comunque. L’indice di Storie modificato ha anche il vantaggio di non scendere mai sotto lo zero. Mariotti suggerisce di utilizzare da sei a nove fattori per la valutazione della biodiversità degli habitat (rarità, tendenza alla rarefazione, stato di conservazione, margine d’areale, importanza scientifica, importanza paesaggistica, indicatori funzionali, vulnerabilità media, resilienza media). Nel nostro caso sono stati utilizzati sei fattori o categorie, i risultati sono riportati nella seguente tabella: Fisionomia vegetale M IS IP VM RM IF INDICE VEGETAZIONE AD ARTIFICIALITA’ ELEVATA

Vegetazione in ambiti antropizzati

1 Parchi, giardini storici e verde pubblico

1 2 3 1 1 2 3,08

2 Vegetazione non strutturata cava/discarica recuperata no

3 Boschi i impianto a conifere 1 1 2 2 1 1 1,80 Vegetazione in ambito agricolo

4 Prati e seminativi 1 1 1 2 1 1 1,00 5 Cortine arboree interpoderali a

dominanza di robinia (Robinia pseudoacacia)

1 2 3 1 1 2 3,08

6 Boschine e fasce boscate a dominanza di robinia (Robinia

1 1 2 2 2 3 3,46

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pseudoacacia) VEGETAZIONE NATURALE E SEMI-NATURALE

Vegetazione degli ambiti fluviali e del reticolo idrografico minore

7 Magredi e incolti* 1 4 2 1 1 2 3,62 8 Vegetazione rupicola su ceppo

in forra 1 4 2 3 3 1 4,48

9 Cortine arboree di corsi d’acqua minori e rogge a dominanza di robinia (Robinia pseudoacacia) o di platano (Platanus hybrida)

1 3 3 1 2 2 3,85

10 Raggruppamento mesotermofilo di scarpata fluviale con frassino e olmo

1 3 3 1 2 3 4,14

11 Raggruppamento perialveale igrofilo a salice bianco e pioppo nero

1 3 3 2 3 3 4,48

12 Raggruppamento termofilo di scarpata morfologica con carpino nero e orniello e querce

2 3 3 3 3 3 4,70

13 Raggruppamento mesotermofilo di scarpata morfologica con bagolaro, ornello e robinia

1 3 3 1 3 3 4,35

14 Boschine e fasce boscate a robinia (Robinia pseudoacacia) con significativa presenza di specie autoctone

1 2 2 2 2 3 3,77

15 Formazioni boscate afferenti al querco-carpineto

1 3 3 2 3 3 4,48

Altre fisionomie vegetali

16 Vegetazione anfibia a Phragmites australis e carici

1 4 3 3 1 2 4,35

* la valutazione afferisce al magtredo in quanto gli incolti sono poco rappresentati nel l’area del parco M – 1÷5 – Margine d'areale IS – 1÷5 – Importanza scientifica IP – 1÷5 – Importanza paesaggistica VM – 1÷3 – Vulnerabilità media RM – 1÷5 – Resilienza media IF – 1÷3 - Indicatori funzionali Gli ambienti che presentano la qualità ambientale maggiore risultano essere i consorzi boschivi, relativamente diffusi nel territorio del parco, in corrispondenza delle scarpate morfologiche e lungo l’asta fluviale, e i corsi d’acqua del reticolo idrografico minore. Di pregio sono pure i consorzi di specie rupicole della forra e le formazioni erbacee arbustive dei magredi. Di qualità inferiore sono invece i parchi storici, il verde urbano e gli ambienti dell’ambito agricolo.

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Fra le fisionomie vegetali boschive che caratterizzano il parco vanno segnalate per l’elevato grado di naturalità il raggruppamento meso-termofila che riveste la scarpata fluviale in corrispondenza del tratto del fiume che scorre in forra e i raggruppamenti termofilo a carpino nero e orniello con querce e bagolaro e meso-termofilo a bagolaro e orniello che caratterizzano tratti delle scarpate morfologiche sia in sinistra che in destra idrografica. Sulle sponde e gli isolotti, nel tratto a rami intrecciati. del fiume, si attestano le cortine igrofile a salici e pioppi che costituiscono una fisionomia di elevata qualità. Nell’area del PLIS sono presenti anche superfici non molto estese di bosco planiziale caratterizzate da consorzi in cui dominano farnie e carpini bianchi, presenze che consentono di riferire tali fisionomie alle formazioni originare della pianura (quercocarpineto). Tali formazioni costituiscono le più pregiate tra quelle che si discostano dal fiume. Le boschine di robinia più o meno pure costituiscono le formazioni boschive più diffuse nel territorio del PLIS. Il valore qualitativo dipende dalla frequenza con cui compaiono specie arboree autoctone e dalla ricchezza del corteggio di specie erbacee afferenti alle formazioni naturali della pianura, ma comunque rimane generalmente più basso rispetto a quello delle altre fisionomie. Notevole rilevanza naturalistica e scientifica ha la ricca vegetazione rupicola su ceppo che riveste i blocchi lapidei e le pareti che affiorano nella forra come la vegetazione anfibia a Phragmites australis di origine antropica che si sviluppa su superfici di modesta estensione al margine di ex cave o in depressioni ricavate in cave recuperate. In ambito fluviale i prati aridi (magredi), pur presentando una vegetazione prevalentemente erbacea, costituiscono ambienti di pregio naturalistico per la presenza di un cospicuo numero di specie termo-xerofile di provenienza mediterranea e sud est europea, fra cui numerose specie di orchidee. Le siepi che fiancheggiano i torrenti e le rogge costituiscono un contesto di qualità in cui, grazie alla presenza di acqua, si possono accantonare specie mesofile tipiche della faggeta, assai rare in pianura, che contribuiscono ad incrementare significativamente il valore naturalistico di tali ambienti. All'interno del perimetro del parco le aree seminaturali con valori più bassi sono rappresentate dai piccoli boschi d’impianto a pino strobo o altre conifere, dai coltivi e dai prati stabili che, pur connotando positivamente in senso paesistico alcuni lembi del territorio, assommano un modesto valore scientifico e una scarsa qualità funzionale. Il valore dell’ambito agricolo è incrementato parzialmente dalle siepi interpoderali che pur essendo dominate dalla robinia conservano un corteggio floristico degno di nota unitamente ad un discreto valore funzionale e storico-paesitico.

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EMERGENZE FLORISTICO-VEGETAZIONALI Lo studio degli aspetti botanici dell’area del PLIS ha permesso di individuare alcune emergenze floristiche e vegetazionali. Sono state definite emergenze floristiche le entità vegetali caratterizzate da:

- rarità nel contesto pedemontano italiano secondo la letteratura specialistica - rarità nel contesto locale

Per quanto riguarda i consorzi vegetali sono stati segnalati come emergenze quelli contraddistinti da:

- una significativa dotazione biologica sia in termini quantitativi sia qualitativi delle specie contenute;

- un significativo ruolo reale o potenziale nell’ambito della rete ecologica locale. Nella tavola delle Emergenze floristico-vegetazionali allegata, le emergenze floristiche –vegetazionali sono state cartografate in modo areale. Rientrano nella categoria delle specie rare la presenza di: Campanula elatinoides – Specie protetta, endemica delle Prealpi Bergamasche, diffusa dalla Val Sabbia a occidente del Garda fino al Monte Resegone, tra i 200 e i 2000 metri. Predilige rupi calcaree umide ed ombrose spingendosi anche all’interno di grotte. Nella forra del Brembo su ceppo poligenico trova condizioni ecologiche adeguate alle proprie esigenze anche a bassa quota. Sesleria varia - Specie orofita distribuita nei pascoli e praterie della fascia alpina e subalpina da 1500 a 2300 metri, raramente da 100 a 3200. Frequenta le praterie alpine calcareo-dolomitiche dove è una delle piante più importanti per copertura e valore foraggero. Man mano scende di quota passa dagli spazi aperti delle praterie all’ambito rupicolo. Seslerieti di forra a quote basse sono segnalati per diverse località italiane. I popolamenti planiziali come quelli insediati sulle pareti di Ceppo sono geneticamente isolati da quelli alpini e presentano un patrimonio genetico con marcate differenze rispetto a quello degli ecotipi montani. Pulsatilla montana – Entità steppica, diffusa in Italia dal Carso alla Lombardia, la sua distribuzione diviene progressivamente più rara man mano si procede verso est. Presente fino algli anni Cinquanta del secolo scorso in alcune aree della Val Calepio, sui Monti Tomenone e Monte Ubione, nell’Isola Bergamasca, è oggi quasi estinta nel territorio provinciale per la scomparsa delle radure e dei prati aridi in cui vegetava. La pianta costituisce il logo del Parco del Monte Barro. Il concetto di rarità può essere esteso in ambito planiziale anche a gruppi di specie che afferiscono ad una stesso Ordine o ad una stessa Famiglia come nel caso delle felci (Ordine Filicales) o delle orchidee (Famiglia Orchidaceae). Le felci costituiscono un contingente in rapida regressione in pianura a causa della scomparsa degli habitat boscati in grado di fonire le adeguate condizioni di umidità e freschezza necessarie per il loro sviluppo. Nell’ambito del parco sono presenti nei consorzi boscati che rivestono la scarpata fluviale, in particolare in corrispondenza di scaturigini d’acqua che creano condizioni ideali. In località Fontanino di Marne è possibile osservare in pochi metri quadrati cinque specie

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diverse di felci (Phyllitis scolopendrium, Polysticum setiferum, Polysticum aculeatum, Cystopteris fragilis e Polypodium vulgare) introvabili ormai nel resto della pianura. La famiglia delle orchidacee è rappresentata nel bergamasco da una cinquantina di specie una decina delle quali presenti nel Parco. Le orchidee spontanee sono in forte contrazione per la scomparsa degli habitat loro confacenti (spazi aperti e boschi seminaturali). E’ gruppo oggetto di numerose norme di tutela (provinciale, regionale, comunitario). Il mantenimento delle orchidee spontanee è strettamente legato ad azioni di conservazione attiva quali, per le specie dei magredi, sfalcio della cotica erbacea, contenimento delle specie legnose e gestione agricola estensiva. Le emergenze vegetazionali sono costituite da: - i consorzi meso-termofili a carpino nero, bagolaro, orniello e querce delle principali scarpate morfologiche che affiancano il fiume e quelli mesotermofili a carpino bianco, farnia e frassino della scarpata fluviale sono stati inseriti tra le emergenze vegetazionali perché costituiscono le cenosi più strutturate e a più elevato indice di biodiversità dell'area in cui trovano ospitalità specie nemorali di pregio naturalistico, rare in ambito locale. - la cenosi erbacea che colonizza le pareti, gli aggrottamenti e i grandi massi di Ceppo nella forra del Brembo, tra Filago e Brembate, in quanto costituita da una florula ricca di specie ipsofile, tipiche cioè di orizzonti vegetali montani, assai rare in ambito planiziale (Campanula elatinoides, Sesleria varia, Phyteuma scheutzeri, Globularia cordifolia).

Campanula elatinoides Pulsatilla montana

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- i lembi boscati a farnia e carpino nero e le loro varianti e le formazioni igrofile a pioppi e salici che occupano cospicui tratti dell’alveo del fiume formano le cenosi vegetali più prossime alla naturalità. I primi rappresentano la testimonianza relitta della originaria vegetazione planiziale, le seconde il consorzio tipico delle sponde fluviali in ambiti periodicamente soggetti a inondazione. - la vegetazione dei magredi spazi aperti perialveali, costituita da formazioni erbacee termo-xerofile insediatesi su substrati ghiaiosi e sabbiosi, molto permeabili e siccitosi, ricche di specie di interesse naturalistico spesso tipiche dei versanti collinari esposti a solatio e molto rare in pianura - gli ambienti umidi denominati "Vegetazione anfibia a Phragmites autralis e carici". Il valore di questo contesto è dovuto alla presenza di una cenosi a rischio per la bonifica delle aree umide della pianura e che nello stesso tempo è espressione di un ecosistema tra i più ricchi di specie vegetali e animali. Pur non essendo emergenze vegtazionali secondo i criteri indicati i parchi storici, la vegetazione mesofila di rogge e torrenti costituiscono gli elementi di primo livello nelle relazioni ecologiche locali. In particolare i parchi storici, per dotazione arborea e ricchezza di sottobosco svolgono l'azione di stepping stones, mentre le cortine arboree che fiancheggiano il reticolo idrografico artificiale e naturale formano gli elementi di continuità che permettono la mobilità della fauna e della flora. Possibili ed auspicabili progetti di rete ecologica in ambito locale potranno trovare in questi elementi una trama d'appoggio di significativo valore.

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VALUTAZIONE SUL RAPPORTO TRA STRUTTURA VEGETAZIONALE E COMPONENTE FAUNISTICA Le presenti osservazioni e considerazioni vogliono essere un ausilio alla progetto di potenziamento e della riqualificazione del sistema del verde del PLIS del basso Brembo. La struttura della vegetazione è di fondamentale importanza per il grado e il tipo di colonizzazione da parte della fauna. L’intenzione parallela all’arricchimento arboreo, arbustivo ed erbaceo è quindi quella di favorire la diversità animale, tutelare specie sensibili e predisporre sistemi verdi funzionali alla rottura dell’isolamento biologico dell’area del Parco. Attuali siti pregiati dal punto di vista faunistico nel PLIS Basso Brembo Le prime valutazioni vanno verso la difesa e la valorizzazione di elementi ambientali di pregio già esistenti. In alcune aree infatti l’assetto del territorio e della vegetazione hanno creato le condizioni per lo sviluppo di biocenosi notevoli sotto l’aspetto conservazionistico ma delicate per via di fattori specifici di seguito affrontati. La trattazione riguarda più nello specifico l’avifauna, sottintendendo che le indicazioni di gestione vanno anche automaticamente verso la valorizzazione degli altri settori faunistici quali entomofauna, erpetofauna e teriofauna ed escludendo i mammiferi di taglia media e grossa che necessitano di porzioni territoriali più ampie e meno discontinue per affermarsi stabilmente. Sponde alberate del Dordo a Madone nell’area 6a delle boschine lineari di scarpata Un tratto scosceso e poco frequentato del torrente Dordo a Madone, nonostante la stretta vicinanza con un distretto industriale e residenziale del paese ha visto la nascita di una delle poche garzaie di airone cenerino Ardea cinerea (probabilmente la più grande) in provincia di Bergamo. A ciò si aggiungono le probabili nidificazioni di lodolaio Falco subbuteo, colombaccio Colomba palumbus e picchio verde Picus viridis. Determinanti per la presenza della colonia di aironi e del lodolaio sono platani e pioppi di grandi dimensioni insieme all’assenza di frequente disturbo al di sotto dei nidi. Esemplari di alberi morti delle stesse specie permettono la nidificazione del picchio verde. Si tratta di uccelli rappresentativi di habitat planiziali fluviali inseriti in un contesto articolato con alberi d’alto fusto e aree aperte per la ricerca del cibo. Per garantire la presenza stabile di queste specie è opportuno mantenere o incrementare esemplari arborei di grandi dimensioni, evitare la rimozione di alberi morti e tronchi marcescenti, sfruttare alcuni settori poco adatti alla fruizione da parte della popolazione (alcune fasce inserite tra le industrie, i coltivi e il Dordo) da dedicare a rimboschimenti integrati a radure. “Parco a querce” a Madone-Filago nell’area 1 delle boschine sui terrazzi esterni della valle fluviale Un biotopo dal rilevante valore ecologico è rappresentato nel PLIS dal parco a querce: con questa definizione si vogliono indicare appezzamenti forestali che un tempo erano probabilmente pascoli alberati. Con il passare del tempo e le mutate attività umane i pascoli alberati si sono convertiti in boscaglie fitte con presenza massiccia di robinia Robinia pseudoacacia, conservando però all’interno della struttura esemplari ragguardevoli di querce Quercus sp. Questa struttura vegetazionale attraverso una gestione differente dall’attuale ceduazione contemporanea di tutti gli esemplari di robinia e favorendo piuttosto la diffusione di altre specie cedue quale il nocciolo, potrebbe recuperare la sua identità storica e al contempo

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favorire l’insediamento di specie dall’alto valore faunistico come l’allocco Strix aluco, il picchio rosso maggiore Picoides major, il torcicollo Jynx torquilla, il codirosso Phoenicurus phoenicurus e il Rampichino Certhia brachydactyla, entità ormai rara nella nostra pianura. 3. Bosco Itala e bosco Astori a Osio Sotto e Osio Sopra nell’area 4 della rete dei rovari e dei nuclei boscati termo-xerofili Tra i pochi esempi locali di bosco ben strutturato slegato dalle sponde fluviali e dalle scarpate, si può annoverare un vero e proprio relitto di foresta planiziale: il Bosco Itala a Osio Sotto. E’ questo un querco-carpineto piuttosto pregiato al quale purtroppo, vista la modesta estensione, l’isolamento e il forte impatto antropico, non corrisponde un popolamento faunistico altrettanto ricco. Altri boschi meno interessanti dal punto di vista forestale si avvicinano però per le altre caratteristiche a questa tipologia: il bosco Astori a Osio Sopra, i boschetti tra Madone, Bonate Sotto e Filago. Alcuni passeriormi silvani come il pettirosso Erithacus rubecula, l’usignolo Luscinia megarhynchos e lo scricciolo Troglodytes troglodytes si nutrono e vivono prevalentemente sul terreno e nello strato arbustivo più basso, l’usignolo a terra vi nidifica addirittura. Un intervento a favore di tali specie è quello di ampliare la fascia ecotonale tra bosco e prato, intervenire attraverso messa a dimora di arbusti e piccoli alberi a margine del bosco per creare aree piuttosto fitte e poco accessibili. E’ opportuno citare in questo caso anche due mammiferi che possono avvantaggiasi degli stessi interventi: il ghiro Myoxus glis e il moscardino Muscardinus avellanarius, due appartenenti alla famiglia dei gliridae. Un tempo presenti entrambi nelle macchie boscate e nelle siepi più fitte, oggigiorno è il solo ghiro ad abitare in modo consistente gli habitat idonei del parco. Il moscardino ha invece sofferto la frammentazione e l’impoverimento delle siepi e delle aree arbustate e risulta essere più sensibile all’estinzione locale a causa della bassa capacità di dispersione e ricolonizzazione. Lo sforzo di creare un sistema connettivo di siepi e filari arbustati unitamente al rinforzo dei margini boschivi con specie sia spinose che inermi in grado di offrire riparo, possibilità per la costruzione dei nidi e abbondanti occasioni alimentari (frutti a polpa e semi secchi) è sicuramente un valido contributo per la tutela di queste due specie. 4. Prati aridi di Bonate Sotto, Filago e Dalmine nell’area 2 dei magredi Negli ambienti xerici che si sono formati in alcuni ambiti a lato del fiume vive una comunità ornitica che tra le specifiche esigenze ecologiche prevede la presenza di ampi tratti privi di copertura arboreo-arbustiva e in alcuni casi addirittura di quella erbacea. Allodola Alauda arvensis, succiacapre Caprimulgus europaeus, quaglia Coturnix coturnix e corriere piccolo Charadrius dubius sono specie che nidificano al suolo e che scelgono territori di riproduzione con superfici prative o di terreno nudo: questo implica il fatto che soprattutto laddove per la naturale composizione del suolo o una gestione consolidata (pascolo o sfalcio) si ritrovino magredi, ghiaie e praterie aride, tali biotopi vengano rispettati. Tuttavia la messa a dimora contenuta di piccoli arbusti (Salix sp., Ononis sp., Rosa sp., Rhamnus saxatilis) magari in sostituzione di Ailanthus altissima e Robinia pseudacacia eradicati non compromette la presenza di questi uccelli, favorendo anzi una maggiore biodiversità locale. In aggiunta la sensibilità di queste specie che depongono le uova sul terreno spinge a raccomandare affinché tali aree vengano salvaguardate dal disturbo di motociclette, cani e comuni fruitori del parco nei periodi primaverile ed estivo. 5. Praterie arbustate e boschine sui terrazzi fluviali inferiori a Bonate Sopra, Bonate Sotto e Brembate nell’area 2 dei magredi Anche in questo caso gli ambienti in questione sono aree a limitato sviluppo della vegetazione, consistendo in macchie e “isole” di vegetazione di piccoli alberi ed arbusti intervallati da spazi

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aperti. Canapino Hippolais poliglotta, occhiocotto Sylvia melanocephala, upupa Upupa epops e gruccione Merops apiaster sono tra le specie che prediligono tali ambienti poco monotoni per la ricerca delle prede con cui allevano i piccoli. Evitare di chiudere gli spazi aperti e gestire con criterio rovari e arbusteti sono condizioni essenziali per la conservazione di un numero discreto di tali specie. Considerazioni sul mosaico ambientale e suggerimenti gestionali La diversificazione degli habitat naturali entro un certo limite favorisce in maniera diretta la biodiversità animale. Fortunatamente nel Parco del basso Brembo ciò accade in modo evidente: la valenza del mosaico ambientale che si sviluppa lungo l’asta del fiume e dei suoi affluenti si traduce nella grande eterogeneità delle comunità di uccelli, piccoli mammiferi e invertebrati che si possono osservare nel PLIS. La presenza di un complesso sistema verde con numerose specie botaniche autoctone permette la sopravvivenza di un’entomofauna a sua volta ricca; specie nemorali nei boschi storici relitti e specie xerofile nelle praterie aride sono testimonianze importanti dell’evoluzione zoogeografica locale. Tali ritagli di paesaggi originari dell’alta pianura e scorci che conservano i tratti delle campagne tradizionali sono perciò meritevoli di tutela. Uno dei principali problemi comuni a tali biomi e ostacolo al mantenimento della biodiversità generale è dato dalla loro frammentarietà e alla mancanza di una continuità di rilievo al di fuori dei confini del Parco. L’unico modo per ovviare all’isolamento è appunto la ricostruzione interna ed esterna all’area di un sistema verde complesso, un reticolo a maglie integre e continue in grado di superare la barriera sempre più stringente dell’urbanizzazione. Seguono nella relazione suggerimenti differenziati per la gestione di alcuni biomi particolari, volti a favorire la continuità delle rispettive cenosi animali e con esemplificazioni riferite alla fauna ornitica. 1. Aree umide All’interno del PLIS, come d’altra parte è successo in buona parte del territorio dell’alta pianura, sono scomparse quasi completamente le pozze d’acqua, gli stagni e i fossi a lento scorrimento che un tempo si trovavano frequentemente negli avvallamenti naturali, a lato dei corsi d’acqua e tra un appezzamento e l’altro nelle aree irrigue. La banalizzazione del tessuto rurale e la rettificazione degli argini hanno così determinato la scomparsa di biomi apparentemente marginali e invece fondamentali per gli equilibri ecologici e per comunità animali ricchissime. Le zone umide rimaste inoltre, private delle fasce di vegetazione tampone risentono spesso dell’inquinamento organico derivante dal dilavamento dei campi, risultando così ulteriormente impoverite. Riqualificazioni e creazione di nuovi siti in aree idonee anche di modesta entità risulterebbero molto utili alle popolazioni di anfibi, uccelli e micromammiferi (un esempio sono gli interventi di piantumazione del “Bosco urbano” sul torrente Dordo a Madone). In tali contesti di limitata estensione piuttosto che una consistente dotazione arborea presso le rive sarebbe più opportuno favorire la colonizzazione erbacea in contesto igrofilo (copertura ad alte erbe quali Artemisia, Urtica, Polygonum, …) ed idrofilo (Phragmites). A giovare di tali interventi sarebbero germano reale Anas platyrhynchos, porciglione Rallus aquaticus, gallinella d’acqua Gallinula chloropus, cannaiola verdognola Acrocephalus palustris e ardeidi ed anatidi in migrazione e svernamento.

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Germano reale 2. Siepi e incolti E’ di enorme importanza per moltissime specie di uccelli, passeriformi in particolare, la presenza lungo i tragitti di migratori e le aree di svernamento di questi biomi. Essi costituiscono ambienti diversi fra loro ma accomunati dall’ospitare abbondante fauna invertebrata ed avere alta produttività di frutti a polpa e secchi, i componenti della dieta dei piccoli uccelli. Le specie che frequentano gli incolti in inverno sono soprattutto granivori (tra i più interessanti fanello Carduelis cannabina, migliarino di palude Emberiza schoeniclus, zigolo muciatto Emberiza cia e zigolo giallo Emberiza citrinella). Per questo andrebbe incentivato in alcune fasce agricole il set-aside e il rispetto delle aree ad alte erbe spontanee formantisi a margine di colture e tratturi. Per quanto riguarda le siepi gli interventi vanno verso l’arricchimento in specie favorendo le essenze pabulari e contenendo le presenze arboree a favore di quelle abustive. Le praterie a cespugli sparsi, le brughiere e i magredi sono di grande utilità per molte specie nidificanti minacciate dalle pratiche agricole intensive e in declino a livello europeo. Il mantenimento di vegetazione bassa e di ampie aree a prato evitando la successione definitiva a bosco. Averla piccola Lanius collurio, saltimpalo Saxicola torquata e occhiocotto Sylvia melenocephala sono esempi di specie delicate che usufruiscono di questi ambienti sempre più minacciati nelle attuali campagne.

Saltimpalo 3. Boschine in contesto agricolo. Si è descritta in precedenza l’interessante situazione dell’equipaggiamento forestale nei quadri paesistici delle aree 1 e 3. Il tentativo di differenziare ulteriormente le boschine dal punto di vista ecologico attraverso una gestione differenziata andrebbe incontro alle esigenze della fauna. Dove possibile ad esempio è utile abbinare la “pulizia” tradizionale di alcuni tratti delle boschine (con la cura di pochi esemplari di alberi e arbusti a portamento pieno) all’evitare interventi e disturbi in altri tratti, favorendo lo sviluppo di rampicanti quali vitalba, edera e caprifoglio e la permanenza di rami e tronchi secchi al loro interno. Un mezzo per incrementare la disponibilità di nicchie per la piccola fauna è la predisposizione, o il mantenimento ove già presenti, di cataste di legna, fascine e cumuli di sassi. Picchio rosso maggiore Picoides major,

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gufo comune Asio otus, codibugnolo Aegithalos caudatus sono tra le specie più pregiate favorite da un assetto come questo. E’ sempre importante infine lo sviluppo di uno strato arbustivo fitto all’interno delle macchie alberate, in particolare per le fasi di nidificazione degli uccelli e per l’arricchimento dell’architettura del bosco, a vantaggio di specie silvane in cerca di opportunità trofiche.

Gufo comune 4. Vegetazione riparia Lungo le rive dei corsi d’acqua sia artificiali che naturali bisogna porre attenzione al mantenimento di cespugli ed erbe alte inframmezzati a raggruppamenti sviluppati di alberi maturi. In quei tratti di fiume che lo consentono, il consolidamento spondale attraverso la piantumazione di specie igrofile a portmento arboreo o arbustivo quali Populus, Salix, Alnus e Ulmus è ha ulteriore riscontro di utilità per la nidificazione di alcune specie che amano boschi freschi e la vicinanza di specchi d’acqua: usignolo di fiume Cettia cetti, pendolino Remiz pendulinus, rigogolo Oriolus oriolus e canapino Hippolais poliglotta.

Pendolino

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LE RETI ECOLOGICHE PERCORSI PRIMARI VERSO LA SOSTENIBILITA’ TERRITORIALE INTRODUZIONE Il concetto di sviluppo sostenibile ha avviato un fecondo dibattito tra politici, ecologi, economisti, filosofi, geografi, pianificatori, finalizzato a definire quali garanzie un modello di sviluppo debba preservare per essere definito sostenibile. Dal punto di vista ecologico un modello di sviluppo sostenibile deve garantire: la conservazione dell’habitat, cioè dello spazio in cui si sviluppano le comunità

biologiche; la tutela del numero di specie (diversità biologica) esistente sul pianeta; la tutela della resilienza, cioè della capacità dell’ecosistema di continuare a evolversi

nello steso modo pur in presenza di disturbi provenienti dalle comunità umane. L’opzione dello sviluppo sostenibile ha raccolto un vasto consenso e numerose istituzioni a carattere globale, regionale e locale, dall’ONU, all’Unione Europea, alla Regione Lombardia hanno impartito indirizzi e direttive finalizzate al perseguimento dello sviluppo sostenibile. A tale quadro culturale si è richiamato anche il PTCP della Provincia di Bergamo che si è posto come “Piano dello sviluppo sostenibile” assumendo come obiettivo fondamentale “La compatibilità tra i sistemi ambientale, naturale e antropico da perseguire attraverso la salvaguardia, la tutela e la valorizzazione di tutte le componenti della naturalità e dell’ambiente che devono essere promosse in armonia con le necessarie trasformazioni del territorio, in funzione delle necessità di sviluppo e progresso delle attività, con attenzione alle trasformazioni del paesaggio e alla corretta gestione delle risorse” (P.T.C.P. della Provincia di Bergamo, Relazione Generale pp. 10-11). Lo stato della biodiversità negli spazi a elevata densità antropica delle società avanzate è critica e caratterizzata da un sensibile depauperamento del patrimonio naturale, come dimostrano in ambito lombardo i recenti studi su alcuni capoluoghi lombardi (Pavan Arcidiacono et. al., 1990; Banfi e Galasso, 1998; Bonali, 2000). Appare pertanto improcrastinabile la salvaguardia della diversità biologica nelle aree a maggior pressione antropica, quali il pianalto bergamasco, mediante la conservazione delle residue aree naturali e seminaturali e dei paesaggi agricoli tradizionali caratterizzati da un’elevata varietà di forme viventi. La Regione Lombardia a partire dagli anni Settanta ha attuato una serie di oculate scelte in materia di protezione dell’ambiente che hanno determinato il suo primato tra le regioni afferenti alla pianura Padano-Veneta sia per numero di aree che per superficie protetta (Cencini e Menegatti, 1997). Le aree protette istituite dalla Regione Lombardia si articolano in numerose tipologie (parco naturale, parco regionale, riserva naturale, monumento naturale, area di particolare interesse naturale e ambientale, parco locale d’interesse sovracomunale) si collocano preferibilmente nei territori interessati da intense dinamiche territoriali: alta pianura, aree metropolitane, ambiti degli sbocchi vallivi e fasce collinari esterne. Le aree protette di maggior estensione istituite nell’ambito lombardo non sono caratterizzate da un’impostazione strettamente protezionistica, ma tendono a favorire un nuovo rapporto tra attività umane e contesto ambientale. (Songia, 1996)

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Recenti studi relativi alla salvaguardia della biodiversità hanno evidenziato i limiti delle politiche di protezione basate esclusivamente sulle aree protette. L’isolamento di tali aree pone a grave rischio il mantenimento del patrimonio biologico in esse presenti perché soggetto a pericolo di estinzione per l’elevata consanguineità e per le epidemie. Nel contempo il “deserto” rappresentato dalle contigue zone ad agricoltura intensiva o densamente urbanizzate costituisce una barriera insormontabile ai movimenti naturali di migrazione e di dispersione. Ai fini della sostenibilità ed in particolare per garantire l’integrità biologica è necessario giungere alla messa in rete delle zone protette mediante corridoi ecologici in modo d’assicurare gli indispensabili scambi genetici tra gli organismi viventi nelle diverse aree. I corridoi possono avere caratteri e dimensioni variabili in funzione delle interazioni da salvaguardare e della scala considerata: dalle grandi catene montuose e dal sistema idrografico principale fino ai corpi idrici minori, alle siepi e ai filari che costituiscono la più minuta trama dei paesaggi agrari. Nella prospettiva della sostenibilità nelle aree edificate si deve abbandonare la concezione del verde urbano inteso come residuato naturale o come arredo urbano, esso diviene invece elemento qualificante nel senso che dalle aree verdi naturali e seminaturali, dai corridoi di continuità eco-biologica da esse generati, la risorsa natura si diffonde nello spazio antropizzato in modo da superare le rigide zonizzazioni dello spazio urbano del passato e perseguire il concetto chiave di «separare quando necessario, integrare ovunque possibile» (Gambino, 1996). Al fine anche di creare una civiltà capace di futuro che sappia riutilizzare, risignificare e attualizzare, il patrimonio di risorse naturali e culturali consegnatoci dal passato. Le reti ecologiche di livello superiore (nazionale, regionale, provinciale) si devono raccordare a quelle locali ed in particolare a quelle urbane. Nel contesto urbano i nodi e le connessioni delle reti di naturalità possono essere costituite dalle residue aree a carattere seminaturale, da neo-ecosistemi e da alcuni elementi, che gli studi di ecologia urbana hanno messo in evidenza, quali serbatoi di varietà biologica: i parchi storici, le aree archeologiche e soprattutto la rete idrografica naturale e artificiale. I filari di alberi, le siepi, le “boschine”, i magredi, le pozze, le aree umide e le rogge, i fontanili, oggi non possono più essere considerati parcelle isolate, indipendenti o relitte di paesaggi pregressi e/o perduti. Nell’ambito delle nuove sensibilità e conoscenze, tali presenze costituiscono le unità elementari e primarie della rete ecologica locale, suscettibile d’integrazioni, sostituzioni o variazioni, ma non eliminabili. FRAMMENTAZIONE E BIODIVERSITÀ Le reti ecologiche sono nate come strumento di mitigazione e superamento dei danni biologici determinati dalla frammentazione1 degli ambienti naturali conseguente alla elevata pressione edificatoria e trasformativa che interessa le aree di maggior sviluppo sociale ed economico.

1 Per frammentazione ambientale si intende quel processo dinamico di origine antropica attraverso il quale un’area naturale (o, più precisamente, una determinata tipologia ambientale definibile “focale”; VILLARD et. al.) subisce una suddivisione in frammenti più o meno disgiunti e progressivamente più piccoli ed isolati (BATTISTI, 2004). Secondo OPDAM et al. (1994) un determinato habitat, originariamente distribuito senza soluzione di continuità, può essere gradualmente suddiviso in frammenti di dimensioni sempre più limitate, separati da una matrice nella quale le specie strettamente legate a questo habitat non possono compiere il loro ciclo vitale, né disperdersi. In Ecologica del paesaggio sono stati indicati alcuni paramentri quali l’eterogeneità, la connettività, la frammentazione (per una loro descrizione si veda FRANCO, 2003).

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La frammentazione degli ecosistemi naturali e seminaturali è attualmente considerata una delle principali minacce di origine antropica alla diversità biologica (Battisti, 2005). In particolare è stato dimostrato che, a livello di specie, tale processo costituisca una delle cause dell’elevato tasso d’estinzione a scala globale (Soulé e Orians, 2001). Secondo alcuni autori (Andrén, 1994; Bennett, 1999) la frammentazione si attua attraverso alcune principali modalità: scomparsa e/o riduzione in superficie di determinate tipologie ecosistemiche (habitat

loss and reduction); insularizzazione progressiva (habitat isolation) e riorganizzazione spaziale dei frammenti

ambientali residui; aumento dell’effetto margine (edge effect) indotto dalla matrice antropizzata limitrofa sui

frammenti residui; crazione e aumento in superficie di tipologie ecosistemiche di origine antropogenica.

La frammentazione degli ambiente naturali è un processo in fase di crescita esponenziale a livello globale, essa si sovrappone al altri disturbi antropogenetici provocando effetti cumulativi spesso irreversibili su popolazioni animali e vegetali, influenzando i movimenti degli individui e la loro presenza, abbondanza e persistenza con ricadute a livello di comunità e di ecosistema.

La permeabilità del territorio (biopermeabilità2) nelle aree fortemente antropizzate è condizionata da elementi paesistici lineari o a carattere diffuso quali le infrastrutture o i tessuti insediativi densi. Queste barriere semplici o complesse oltre a costituire un ostacolo, parziale o totale alla dispersione delle specie, sono un corridoio di diffusione per numerose specie generaliste, spesso esotiche e/o infestanti, nonché la sorgente di disturbo sonoro, luminoso e chimico per gli ambiente contigui a maggior grado di naturalità. FRAMMENTAZIONE E PAESAGGIO

2 Romano (1996) definisce la biopermeabilità come la capacità di una tipologia di uso/copertura del suolo o di una infrastruttura di farsi attraversare da determinate specie.

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Gli effetti della frammentazione sono osservabili a scale differenti. Alla scala di paesaggio, e in aree storicamente interessate dalla presenza umana, il processo di frammentazione ha portato alla strutturazione di “ecomosaici” paesistici nei quali è possibile distinguere una matrice antropica, venutasi a formare per scomparsa o alterazione di preesistenti tipologie ecosistemiche, all’interno della quale sono collocati i frammenti ambientali residui. Quest’ultimi (definiti anche isole di habitat, isole ecologiche, remnanis) mostrano caratteristiche proprie, un diverso grado di isolamento fra loro e fra le aree non frammentate, oltre che una propria articolazione spaziale. STRUTTURA DELLA RETE ECOLOGICA La rete ecologica è costituita da elementi areali (aree serbatoio o matrici naturali, gangli, nodi, ecc.) e da elementi lineari (corridoi, stepping stones, ecc.) tra loro interconnessi. Tra i modelli strutturali di rete ecologica presenti in letteratura in questa sede si fa riferimento a quello proposto nel documento APAT 26/2003 (pp. 54-55) che a sua volta si riferisce a quello adottato nella Pan-European Strategy for Conservation of Landscape and Biodiversity e nella Pan-European Ecological Network. In particolare vengono riconosciute, da un punto di vista ideale, le seguenti unità strutturali e funzionali:

Core areas (Aree centrali; dette anche nuclei, gangli o nodi): Aree naturali di grande dimensione, di alto valore funzionale e qualitativo ai fini del mantenimento della vitalità delle popolazioni target. Costituiscono l’ossatura della rete ecologica. Si tratta di aree con caratteristiche di “centralità”, tendenzialmente di grandi dimensioni, in grado di sostenere popolamenti ad elevata biodiversità e quantitativamente rilevanti, di ridurre cosi’ i rischi di estinzione per le popolazioni locali costituendo al contempo una importante sorgente di diffusione per individui mobili in grado di colonizzare (o ricolonizzare) nuovi habitat esterni; popolamenti con queste caratteristiche avranno anche maggiori probabilità di avere, al loro interno, forme di resistenza nei confronti di specie aliene potenzialmente capaci di sostituire quelle autoctone presenti. Le aree protette costituiscono vocazionalmente “core areas”. La lettura in termini ecologico– funzionali del grado di efficacia del sistema di aree protette insistente nel contesto studiato potrà peraltro portare all’individuazione ed all’analisi delle incongruenze tra sistema protetto e aree di intrinseco valore conservazionistico al fine di attuare la pianificazione del territorio con criteri oggettivi standardizzati e scientifici di tipo ecologico.

Buffer zones (Zone cuscinetto): Settori territoriali limitrofi alle core areas. Hanno funzione

protettiva nei confronti di queste ultime riguardo agli effetti deleteri della matrice antropica (effetto margine) sulle specie più sensibili. Situazioni critiche possono crearsi per le core areas in caso di contatto diretto con fattori significativi di pressione antropica; sono cosi’ da prevedere fasce esterne di protezione ove siano attenuate ad un livello sufficiente cause di impatto potenzialmente critiche.

Wildlife (ecological) corridors (Corridoi ecologici): Collegamenti lineari e diffusi fra core

areas e fra esse e gli altri componenti della rete. La loro funzione è mantenere e favorire le dinamiche di dispersione delle popolazioni biologiche fra aree naturali, impedendo così le conseguenze negative dell’isolamento. Il concetto di “corridoio ecologico”, ovvero di una fascia

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continua di elevata naturalità che colleghi differenti aree naturali tra loro separate, esprime l’esigenza di limitare gli effetti perversi della frammentazione ecologica; sebbene i corridoi ecologici possano costituire a loro volta in determinate circostanze fattori di criticità (ad esempio per le possibilità che attraverso di essi si diffondano specie aliene invasive), vi è ampio consenso sull’importanza strategica di prevedere corridoi ecologici, opportunamente studiati, in un’ottica di superamento degli effetti negativi della artificializzazione diffusa del territorio. La individuazione su cartografie tematiche di tali ambienti naturali continui non corrisponde necessariamente ad una loro efficacia funzionale, dipendendo quest’ultima da fattori intrinseci (area del corridoio, ampiezza, collocazione rispetto ad aree core, qualità ambientale, tipo di matrice circostante, ecc.) ed estrinseci (caratteristiche eto–ecologiche delle specie che possono, potenzialmente, utilizzarlo). Molta enfasi è stata, recentemente, assegnata più che ai corridoi di per se stessi, al concetto di “connettività”, spostando l’attenzione dai singoli elementi del territorio (che possono, anche in termini statistici, svolgere un azione dubbia e/o limitata) a patterns diffusi a scala di paesaggio. Tali patterns possono favorire i processi ecologici e mantenere vitali nel tempo popolazioni e comunità biologiche.

Stepping stones (“Pietre da guado”): non sempre i corridoi ecologici hanno una continuità completa; spesso il collegamento può avvenire anche attraverso aree naturali minori poste lungo linee ideali di passaggio, che funzionino come punto di appoggio e rifugio per gli organismi mobili (analogamente a quanto fanno i sassi lungo una linea di guado di un corso d’acqua), purché la matrice posta tra un’area ed un’altra non abbia caratteristiche di barriera invalicabile. Le stepping stones sono frammenti ambientali di habitat ottimale (o subottimale) per determinate specie, immersi in una matrice paesaggistica antropizzata. Utili al mantenimento della connettività per specie abili ad effettuare movimenti a medio/breve raggio attraverso ambienti non idonei. Tra queste specie si possono indicare: specie che compiono movimenti regolari fra ambienti differenti per le loro necessità vitali

(trofiche, riproduttive, ecc.); specie relativamente mobili (gran parte degli uccelli, di insetti, chirotteri); specie tolleranti a livelli medi di disturbo benchè non abili ad occupare zone

permanentemente modificate dall’uomo. Per specie poco sensibili alla frammentazione, all’isolamento, alla qualità dell’habitat possono prevedersi stepping–stones di origine umana (rimboschimenti, zone umide artificiali, ecc.).

Restoration areas (Aree di restauro ambientale): non necessariamente gli elementi precedenti del sistema di rete sono esistenti al momento del progetto. Si potranno quindi prevedere, attraverso interventi di rinaturazione individuati dal progetto, nuove unità para–naturali in grado di completare lacune strutturali in grado di compromettere la fuzionalità della rete. La possibilità di considerare tale categoria è di importanza decisiva nei territori ove i processi di artificializzazione e frammentazione abbiano raggiunto livello elevati. Aree naturali di grande dimensione, di alto valore funzionale e qualitativo ai fini del mantenimento della vitalità delle popolazioni target. Costituiscono l’ossatura della rete ecologica. Si noti che la classificazione delle aree di rete ecologica, oltrechè strutturale, legata cioè ad elementi cartografabili e discriminabili sul territorio, deve essere funzionale ai dinamismi dei target di conservazione individuati che, fungendo da “ombrello” per un alto numero di specie, possono garantire la conservazione dei valori di diversità di un’area.

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La struttura teorica descritta in caso di un progetto di rete ecologica che si proponga di interagire realmente ed efficacemente con la complessità della trama territoriale (insediativa e infrastrutturale), si declina in una nutrita serie di categorie di elementi. Tali elementi sono così definiti nelle linee guida 26/2003 dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT): Matrici naturali primarie in grado di costituire sorgente di diffusione per elementi di interesse ai fini della biodiversità. I principali serbatoi di bioversità sono dati dalle zone in cui l’ambiente naturale abbia caratteristiche di elevata estensione, di differenziazione degli habitat presenti, di continuità tra le unità ecosistemiche presenti. Ambiti di questo tipo (assimilabili a “core areas” di grandi dimensioni, tendenzialmente continue), sono ancora presenti in Italia sull’arco alpino e su quello appenninico, sono invece praticamente scomparsi sui territori a forte presenza antropica. Fasce di appoggio alla matrice naturale primaria. I margini delle matrici naturali precedenti possono essere di vario tipo: netti o sfrangiati. Nel caso in cui nella fascia di contatto con i territori più antropizzati vi siano ancora presenze significative di unità naturali, queste possono svolgere significativi ruoli di base di appoggio per possibili ricolonizzazioni del territorio antropizzato da parte di specie di interesse. La categoria si ricollega in modo diretto alle “buffer zones” del modello generale. Gangli primari e secondari della rete ecologica. Nell’ottica della ricostruzione di una rete ecologica funzionale, è necessario distinguere le unità in grado di costituire, per dimensioni ed articolazione interna, caposaldo ecosistemico in grado di autosostenersi, dagli elementi di connessione il cui ruolo è soprattutto quello di favorire gli spostamenti biotici sul territorio. All’interno di territori ad alta antropizzazione attuale tali caposaldi assumono la configurazione di veri e propri gangli funzionali, la cui definizione spaziale dipende dagli obiettivi di connessione e dalle presenze naturali attuali. Per poter parlare di “ganglo ecologico” è necessario che un una quantità sufficiente di elementi naturali spazialmente ravvicinati superi complessivamente una determinata soglia dimensionale, in modo che si costituisca una “massa critica” in grado di fornire habitat sufficiente al mantenimento di popolazioni stabili delle specie di interesse, nonché a permettere una differenziazione degli habitat interni capace di migliorare le condizioni ai fini della biodiversità. A complemento dei gangli primari sono individuabili altri ambiti a cui è attribuibile una funzione di ganglo ecologico con ruolo differente: rafforzamento delle presenze naturali sul territorio, anche al di fuori della rete principale costituita dai gangli e dei corridoi primari, ma anche costituzione di un punto intermedio di appoggio là ove i corridoi primari risulterebbero troppo lunghi. I gangli cosi’ definiti possono essere considerati uno dei tipi possibili di “core areas”, con significato soprattutto a livello di area vasta. Fasce territoriali entro cui promuovere o consolidare corridoi ecologici primari e secondari. L’obiettivo della permeabilità ecologica richiede che i gangli definiti siano tra loro interconnessi, attraverso “corridoi” che possano consentire il transito di specie di interesse. Mentre per i gangli è necessario raggiungere una determinata massa critica dimensionale, per i corridoi ecologici il requisito essenziale non è tanto la larghezza della fascia utilizzata, quanto la continuità; per “continuità” non si intende necessariamente uno sviluppo ininterrotto di elementi naturali: si possono anche accettare brevi interruzioni ed elementi puntuali (“stepping stones”) che funzionino come punti di appoggio temporanei.

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Linee di permeabilità ecologica lungo corsi d’acqua. I corsi d’acqua hanno uno specifico valore ai fini della rete ecologica: il flusso idrico costituisce una linea naturale di continuità (seppure direzionale); le sponde dei corsi d’acqua e le fasce laterali presentano inoltre impedimenti intrinseci (topografici e legati agli eventi di piena) per la realizzazione di edifici e di opere di varia natura; per questi motivi è lungo i corsi d’acqua che, in territori fortemente antropizzati quali quelli della Pianura Padana, si ritrovano più facilmente elementi residui di naturalità. Si tratta peraltro di elementi particolari di naturalità, caratterizzate da caratteristiche ecosistemiche specifiche (facies igrofile ed acquatiche, ambienti ripari ad elevate pendenze) molto spesso non rappresentative delle aree circostanti), necessari ma non sufficienti ad esprimere le molteplici esigenze di rete ecologica. E’ una categoria complessa al cui interno è possibile distinguere ulteriori casistiche: principali corridoi ecologici fluviali o assimilabili da potenziare e/o ricostruire a fini

polivalenti. E’ l’insie me dei principali corsi d’acqua che possono costituire la spina dorsale per progetti di riqualificazione polivalente (ecologica e fruitiva) di un certo respiro;

corsi d’acqua minori con caratteristiche attuali di importanza ecologica. Sono specificamente individuati i corsi d’acqua che attualmente rivestono un certo ruolo relativamente ad alcune componenti (ittiofauna, vita acquatica in generale, riqualificazione naturalistica della vegetazione spondale) o appartenenti a sistemi idrici minori complessi o rilevanti per sviluppo, per i quali può essere proposta una politica prioritaria di mantenimento e di valorizzazione delle risorse biologiche;

corsi d’acqua minori da riqualificare a fini polivalenti. Si tratta in questo caso di corsi d’acqua che, pur potendo presentare attualmente anche caratteristiche di criticità, hanno tuttavia una rilevanza, una caratterizzazione strutturale ed una localizzazione tale da far ipotizzare una loro riqualificazione polivalente. Questa può prevedere sia lo sfruttamento delle loro caratteristiche di autodepurazione sia la formazione diuna rete minuta di corridoi di collegamento e di fruizioni diversificate tramite interventi di riqualificazione delle sponde.

Barriere significative prodotte da infrastrutture esistenti. I livelli attuali di antropizzazione del territorio comportano la presenza di un insieme di ostacoli per la continuità ecologica. A parte l’effetto barriera prodotto dalle aree insediate, è importante evidenziare i punti di incontro tra il sistema di gangli e corridoi ecologici individuati, e le principali linee di frammentazione (strade ad alta percorrenza, grandi canali, ecc). Almeno i principali punti di conflitto potranno essere successivamente oggetto di specifici progetti di deframmentazione. Varchi la cui chiusura a causa dell’espansione insediativa comporterebbe rischi significativi per la rete ecologica. I processi di urbanizzazione che hanno prodotto una significativa antropizzazione e frammentazione del territorio possono essere tuttora in corso e potranno in molti casi, se proseguiranno lungo le direttrici utilizzate per l’espansione, pregiudicare in modo definitivo le residue linee di permeabilità esistenti. E’ pertanto necessario procedere ad un’analisi specifica dei varchi tra insediamenti ancora esistenti la cui chiusura comporterebbe il maggiore pregiudizio per lo sviluppo della rete ecologica. Zone extraurbane con presupposti per l’attivazione di progetti di consolidamento ecologico. Al di fuori delle unità principali della rete (gangli principali e secondari, e corridoi di collegamento) possono esistere ancora situazioni più locali con una certa presenza di elementi

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naturali minori (ad esempio fasce arboree), che potrebbero, se potenziati, rinforzare il significato funzionale degli elementi della rete. Zone periurbane su cui attivare politiche polivalenti di riassetto fruitivo ed ecologico. Oltre alle precedenti possono esistere anche, soprattutto in zone di sprawl insediativo, insiemi di spazi aperti ormai più o meno circondati da aree insediate o infrastrutturate, con elementi naturali residuali, non più in grado di riconnettersi efficacemente alla rete principale. Tali aree sono peraltro in grado di costituire il nucleo di piccole reti ecologiche locali di livello inferiore, da progettare e realizzare sulla base di analisi specifiche. In tali aree è ammissibile, in molti casi addirittura auspicabile, che agli obiettivi di riassetto ecologico siano associati obiettivi di tipo fruitivo in grado di sostenere una sufficiente qualità nella gestione e nella manutenzione dei sistemi attivati. Fasce di margine tra agricoltura ed insediamenti. Una categoria ambientale critica ai fini del riassetto ecosistemico del territorio nel suo complesso è la fascia di margine tra agricoltura ed insediamenti. Si giudica importante poter trattare tale fascia in modo che possano essere perseguiti i seguenti obiettivi: riduzione delle pressioni relative esercitate reciprocamente dai differenti utilizzi del suolo

nelle aree periferiche; in particolare riduzione dei passaggi di sostanze reciprocamente pericolose prodotte dai

differenti tipi di aree (emissioni atmosferiche da complessi produttivi, impiego di sostanze di sintesi in agricoltura, emissioni associate al traffico, ecc);

valorizzazione ambientale dell’ambiente periferico; opportunità per attività economiche sostitutive da parte degli operatori agricoli.

Direttrici di permeabilità verso territori esterni. Si pone il problema dei confini della rete di progetto. Da un punto di vista teorico generale una rete ecologica non dovrebbe avere confini: al di fuori di realtà insulari, il complesso delle connessioni può arrivare fino al livello continentale. Trattandosi poi di progetti con successive implicazioni amministrative, non è di regola possibile fornire indicazioni cogenti su territori amministrativamente differenti. E’ peraltro evidente che una rete ecologica compresa entro un determinato contenitore territoriale dovrà avere connessioni anche con realtà territoriali esterne. A tal fine, occorrerà individuare comunque le principali direttrici di permeabilità verso i territori esterni, fermo restando che la attuazione in termini di corridoi primari e secondari, richiederà il coordinamento delle varie amministrazioni coinvolte. Il tema delle direttrici di permeabilità verso territori esterni evidenzia anche un aspetto fondamentale delle reti ecologiche: l’esistenza di una gerarchia spaziale tale, per cui si può parlare di reti sovraregionali, infraregionali di area vasta, e di reti locali. L’insieme degli elementi indicato si applica tendenzialmente ad un livello infraregionale di area vasta (es. provinciale), che deve essere assunto come riferimento anche quando ci pongono obiettivi progettuali a livello locale (es. comunale).

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RETI ECOLOGICHE: UNA TRAMA DI SIGNIFICATI IN CONTINUA EVOLUZIONE

L’EVOLUZIONE FUNZIONALE DELLA RETE ECOLOGICA Il concetto di rete ecologica seppur estremamente recente ha avuto, in funzione degli obiettivi che si poneva, una notevole evoluzione o, meglio, si è andato definendo una articolata serie di intendimenti come ben descritto nel seguente stralcio del documento “Gestione delle aree di collegamento ecologico funzionale” prodotto dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici e dall’Istituto Nazionale di Urbanistica3. “Considerando la natura effettiva degli ‘oggetti’ messi in rete, possiamo riconoscere almeno quattro modi fondamentali di intendere la rete ecologica (i primi tre corrispondenti ad altrettante funzioni specializzate) che, in occasioni differenti, sono anche stati proposti come schema di base per la costruzione di una rete ecologica: A. rete ecologica come sistema interconnesso di habitat, di cui salvaguardare la biodiversità;

B. rete ecologica come sistema di parchi e riserve, inseriti in un sistema coordinato di

infrastrutture e servizi; C. rete ecologica come sistema paesistico, a supporto prioritario di fruizioni percettive e

ricreative; D. rete ecologica come scenario ecosistemica polivalente, a supporto di uno sviluppo

sostenibile. Nel primo dei casi indicati, la rete ecologica ha obiettivi primari legati alla conservazione della natura ed alla salvaguardia della biodiversità, non necessariamente coincidenti con le aree protette istituzionalmente riconosciute.

3 ATAP-INU, Gestione delle aree di collegamento ecologico funzionale. Indirizzi e

modalità operative per l’adeguamento degli strumenti di pianificazione del territorio in

funzione della costruzione di reti ecologiche a scala locale, Maunali e linee guida, 26,

Roma 2003, pp. 20-22. Sulle stesso tema si veda inoltre S. MALCEVSCHI, (2001) e

REGGIANI et. al. (2001).

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Esso riassume in termini istituzionali il principale indirizzo della direttiva ‘Habitat’: proteggere luoghi inseriti in un sistema continentale coordinato di biotopi tutelati in funzione di conservazione di specie minacciate (allegati della Direttiva). Il riferimento fondamentale è quello dato dal rapporto tra sistema di habitat e metapopolazioni (insiemi di popolazioni presenti entro una determinata area vasta) di specie interessanti (specie focali, specie guida) ai fini del mantenimento e del miglioramento della biodiversità. L’attenzione prioritaria è in questo caso rivolta alle specie animali e vegetali potenzialmente minacciate o comunque quelle importanti ai fini degli obiettivi adottati per la conservazione della natura. La geometria della rete ha qui una struttura (ormai ampiamente riconosciuta) fondata sul riconoscimento di aree centrali (core areas) ove la specie guida mantenga popolazioni sostenibili nel tempo, fasce di protezione (buffer zones) per ridurre i fattori di minaccia alle aree centrali, fasce di connessione (corridoi) che consentono lo scambio di individui tra le aree precedenti, in modo da ridurre i rischi di estinzione delle singole popolazioni locali. Le scale delle reti di questo tipo sono molto variabili; potranno infatti essere di livello locale o sovra-regionale, in funzione delle specie considerate; le unita di riferimento a loro volta potranno essere costituite da microhabitat locali, da unità ecosistemiche spazialmente definibili, da ecomosaici a matrice naturale collegati attraverso una struttura di rete fortemente articolata in diverse unità geografiche. Il secondo approccio si basa sulla presa d’atto che, all’interno del sistema territoriale complessivo le singole aree protette devono essere inquadrate all’interno di un’azione di governo coerente, che provveda alla dotazione delle necessarie infrastrutture di supporto (ad esempio il tipo viabilistico), che ne gestisca in modo coordinato i servizi offerti (accoglienza turistica, musei didattici, ecc.); tali infrastrutture e servizi devono essere inseriti in reti coerenti per generare sinergie e non sovrapposizioni.

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Rispetto al precedente gli obiettivi sono primariamente di tipo territoriale, volti ad ottimizzare la fruizione delle aree protette, e sono tipicamente perseguiti dalle istituzioni che si occupano specificamente della conservazione della natura. La geometria della rete è fondata sulle aree protette riconosciute, inserite in un sistema di infrastrutture e di servizi coordinati. Le connessioni da incentivare possono basarsi sulla ricostruzione di nuovi corridoi ecologici (o sulla valorizzazione di quelli esistenti), oppure sul semplice potenziamento delle infrastrutture di collegamento alle aree protette e sulla creazione di sinergie tra i servizi offerti da differenti istituti. La scala di questo tipo di rete è di livello regionale o sovraregionale, tendenzialmente nazionale. Tale approccio non è da considerare alternativo al precedente, ma piuttosto un sua espressione (necessaria, ma non sufficiente) ai fini del governo del territorio, di cui esprime specificamente le politiche di Conservazione della Natura in termini pianificatori e gestionali. Occorre d’altronde evitare il rischio di intendere tale funzione fondamentale in modo riduttivo, limitandola alle infrastrutture di servizio alle aree protette, ricordando come gli obiettivi amministrativi stessi della Conservazione della Natura non possano essere raggiunti se non in concomitanza con azioni di salvaguardia e riordino degli habitat al di fuori dei limiti amministrativi dei Parchi e delle Riserve tutelate. A tal fine un ruolo importantissimo (ma non esaustivo) verrà giocato dai SIC previsti dalla Direttiva “Habitat e già individuati anche per il territorio italiano. Nel terzo caso (come nel secondo) l’obiettivo è di tipo prioritariamente territoriale, finalizzato alla conservazione e costituzione di paesaggi fruibili sul piano estetico e culturale.

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L’ottica è stata quella di un miglioramento prioritario dell’ambiente extraurbano effettivamente fruibile dalle popolazioni locali, aumentando e riqualificando le componenti naturali e degli agroecosistemi, intese come elemento essenzialmente di qualità. In frequenti applicazioni di tale approccio, il paesaggio è peraltro stato inteso in senso riduttivo, come semplice oggetto della percezione da parte delle persone che lo attraversano; in tali applicazioni la componente vivente considerata è stata ridotta alla vegetazione visibile (in particolare arborea), azzerando il ruolo della componente animale (essenziale per gli equilibri ecologici dinamici alla base delle funzioni ambientali) e dei flussi biogeochimici (in particolare il ciclo dell’acqua, essenziale per i rapporti tra unità ecosistemiche all’interno di un dato ecomosaico). La geometria di questo tipo di rete, che si applica soprattutto alla scala locale o comprensoriale, è alquanto variabile, dipende dalla natura e dalla forma dei paesaggi e dei sistemi insediati. Un elemento molto importante di tali sistemi è dato dai percorsi a basso impatto ambientale (sentieri, piste ciclabili) che consentono alle persone di attraversare e fruire in modo efficace il mix di risorse paesaggistiche (boschi, siepi e filari ecc.) e territoriali (luoghi della memoria, posti di ristoro ecc.) che danno valore aggiunto agli spazi extraurbani. Tale ottica esprime il concetto, caro soprattutto negli Stati Uniti, ma oramai diffusosi anche nel nostro continente, delle “Greenways”, grandi percorsi verdi in grado di interconnettere tra loro parchi urbani e naturali, città e campagne, luoghi storici ed aree naturali, attraverso una “rete viabile verde” fatta più per l’uomo che per gli elementi naturali, ma di grande interesse anche come elemento di continuità ecologica. Nel quarto caso indicato, l’approccio alla rete ecologica parte dal presupposto che uno degli elementi di insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo è la rottura avvenuta del rapporto tra l’ecosistema (con i suoi flussi di energia, acqua, sostanze, organismi) ed il territorio (inteso in modo riduttivo come risorsa da sfruttare e sistema di infrastrutture individuate in funzione unica delle esigenze produttive).

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Si prende atto che tale rottura ha comportato solo perdite sostanziali di biodiversità (nonché ulteriori minacce per quella residua), ma anche un aumento ingiustificato dei rischi idrogeologici, perdite indebite di funzioni primarie (tamponamento dei microclimi, autodepurazione, ricarica delle falde, controllo intrinseco degli organismi nocivi e infestanti, produzione di ossigeno, ecc.). Non si tratta, in questa ottica, solo di garantire connettività tra isole naturali ove le violenze naturalistiche sono minacciate, ma di puntare ad un nuovo scenario ecosistemica in cui vengono riacquisite le funzioni perdute. La geometria della rete è variabile, in funzione dei casi di applicazione, basata peraltro su una struttura fondamentale che prevede matrici naturali di base, gangli (capisaldi, nuclei) funzionali di appoggio, fasce di connessione, agroecosistemi di appoggio che funzionano come matrici eco-sostenibili e non come “mare ostile” entro cui stanno le “isole” da salvaguardare. L’ottica principale non è solo la conservazione della natura residua (che rimane il fondamento per la definizione dei punti di appoggio del sistema), ma anche la ricostruzione di unità ecosistemiche (neo-ecosistemi) in grado di svolgere funzioni polivalenti (autodepurazione ecc.), utili ad un nuovo modello di sviluppo che eserciti livelli minori di pressione sull’ambiente naturale ed antropico e fornisca risorse rinnovabili. Naturalmente i modelli precedentemente indicati non sono alternativi. Essi rispondono ad obiettivi differenti ma complementari del governo del territorio.”

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DALLE RETI ECOLOGICHE MULTIFUNZIONALI ALLE RETI AMBIENTALI A VALENZA STORICO-PAESISTICA A partire dagli anni Ottanta la tradizionale politica di conservazione della natura e del paesaggio, basata sulle aree protette, è stata oggetto di un ripensamento critico, perché presuppone implicitamente il concetto che la risorsa natura e la qualità ambientale siano confinate nelle isole parco, mentre la maggior parte del territorio presenta livelli di qualità ambientale bassi o molto bassi. Inoltre il popolamento biologico, sia animale che vegetale, isolato nelle aree protette, corre un elevato rischio di estinzione per la forte consanguineità e per il maggior rischio d’epidemie (Malcevschi et. al., 1996). La soluzione proposta è quella di andare “oltre i parchi” (Romano, 1996), pur riconoscendone il ruolo primario, e creare una rete molto diffusa d’aree e corridoi ecologici ad elevato grado di naturalità, che consentono di raggiungere livelli ottimali di funzionalità ecosistemica e di qualità della vita. Tale strategia permette di superare lo stato di isolamento e di insularità delle aree protette e di contribuire così a diffondere anche al territorio esterno le attenzioni ai valori di natura e cultura perseguiti nelle aree protette. Negli ultimi anni si è manifestato un approccio ampliamente interdisciplinare del concetto di rete ecologica, al fine di ridefinirne il ruolo e i contenuti delle “infrastrutture” ambientali (Malcevschi, 2001; Jongman, Pungetti, 2004). Le nuove finalità individuate sono il frutto di un contesto politico-culturale che ha visto dilatarsi progressivamente il principio di conservazione per effetto di due movimenti convergenti, quello della conservazione della natura e quello della salvaguardia del patrimonio culturale (Gambino, 2005). In campo naturalistico le istanze di conservazione per isole (le aree protette) si sono estese all’intero territorio, nel contempo le politiche di tutela del patrimonio culturale hanno allargato il proprio raggio d’interesse dal monumento al suo contesto territoriale (Zerbi, 2005). Nel quadro d’integrazione tra natura e cultura, le reti ecologiche, pur manifestando la loro prioritaria funzione di salvaguardia naturalistica, ampliano la loro finalità al di là di quella strettamente inerente la funzionalità ecosistemica. Le reti da ecologiche divengono ambientali e mirano a “realizzare un sistema integrato di conservazione e valorizzazione delle risorse naturali e culturali e a promuovere i processi di sviluppo locale” (Gambino, 2001). Nel quadro delle nuove prospettive si è mossa anche la Regione Lombardia che nella Deliberazione della Giunta Regionale 7 aprile 2000-N. 6/49509 “Approvazione delle linee generali di assetto del territorio lombardo”, esplicita gli indirizzi per la realizzazione della rete verde territoriale, non intesa come semplice individuazione di strisce verdi per connettere ambiti di tutela già esistenti, ma come “un sistema da realizzare con interventi di rinaturalizzazione e valorizzazione storico-paesistica del territorio, rivolti anche alla fruizione turistica, all’interno del quale di dovranno raccordare le proposte delle reti ecologiche sovracomunali”. In particolare il documento regionale, al fine di integrare la rete ecologica in un progetto più complesso di valorizzazione e fruizione del territorio, indica la necessità di indagare le possibilità di interrelazione con progetti e programmi di tutela e valorizzazione paesistica. In particolare appaiono irrinunciabili, secondo il documento d’indirizzo regionale, le connessioni con azioni di tutela e valorizzazione della viabilità storica e dei percorsi di fruizione paesistica.

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LE RETI ECOLOGICHE OCCASIONE DI GOVERNO PARTECIPATO DEL TERRITORIO Ogni società connota i vari spazi che la circondano di vari significati, trasformandoli nella cornice delle proprie pratiche e delle proprie memorie e, più in generale, delle identità sociali che vi hanno luogo. Così gli spazi strutturati della nostra esistenza quotidiana si presentano assai bene ad essere interiorizzati e, attraverso processi percettivi e mnestici si afferma la continuità esistenziale degli individui all’interno delle loro comunità territoriali (Magnaghi, 2000). Nella questione ambientale infatti, sarebbe auspicabile la rivalutazione del ruolo della conoscenza profana e la consapevolezza della capacità dei cittadini di mettere in campo una propria expertise distinta da quella ufficiale. Vi sono molteplici motivi che giustificano il crescente interesse scientifico e politico nei riguardi dei processi decisionali partecipati: prima di tutto queste pratiche democratiche rispondono alla richiesta di un maggior coinvolgimento dei cittadini nella vita pubblica; in secondo luogo, la partecipazione consente di promuovere il confronto di idee riguardo fenomeni molto complessi, infine, la partecipazione contribuisce ad educare gli attori ad una maggior attenzione per l’ambiente, in quanto stimola una riflessione individuale sulle conseguenze dei propri comportamenti (Leone, 1999). La crisi della città e del territorio è da considerarsi come uno dei maggiori problemi del nostro tempo che presenta risvolti culturali, politici, sociali ed economici (Cervellati, 1991). Sembra ormai maturata la convinzione che occorra un radicale cambiamento di mentalità che avvii una conversione eco-logica capace di porsi domande di senso, ponendo al centro la “relazione tra ambiente e i suoi abitanti” in quanto è impossibile la ri-fondazione delle città e del territorio in generale senza i cittadini, i soli che vivendola, possono conoscerla. Una conoscenza vissuta, percepita e sognata, che diventa coscienza collettiva, che aiuta a difendere quell’insieme di valori, quella bellezza che finora hanno contribuito a evolvere la nostra cultura. Secondo il concetto di empowerment, l’espressione “utente” lascia il posto a quello di “agente”, in quanto l’esperto (psicologo, sociologo, geografo, economista, architetto, urbanista, ecc.) “cede il potere” lasciando fare agli interessati, i cittadini, quanto è in loro potere di fare, con il risultato di prodotti non predefiniti, ma ottenuti attraverso uno “scambio di poteri”. La cura dei luoghi parte da una coscienza dei luoghi e da cui l’importanza di conoscere i significati attribuiti dalle comunità locali ai propri contesti di vita (Castelnuovi, 2000). LE RETI ECOLOGICHE LOCALI COME FATTORE DI RINASCITA DEI LUOGHI4 Nell’implementazione delle reti ecologiche dai contesti regionali e provinciali alla scala locale diviene pertanto prioritario uno stretto confronto con i saperi delle comunità locali (il modo di percepire i propri ambienti di vita, il tipo di relazione instaurato con essi attraverso anche l’analisi della valenza emotiva ed affettiva, le immagini mentali che rappresentano le dimensioni fisiche e psicologiche di un immaginario reale e desiderato, ecc.) in un quadro finalizzato alla costruzione di paesaggi di qualità. Le dinamiche che si possono attuare nella progettazione locale di reti ecologiche plurifunzionali ben si raccordano alle indicazioni della Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000)

4 Significativi esempi di analisi della percezione della propria realtà territoriale da parte

della cittadinanza di alcuni comuni della Provincia di Bergamo sono reperibili in

BALDINI; NICOTERA; (2005), BALDINI (2006) e in FERLINGHETTI, BALDINI

MARCHESI (2006).

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che con particolare forza sottolinea il significato di fenomeno dinamico e partecipato del paesaggio, inteso come un processo in formazione e non un dato, alla cui creazione devono concorrere le popolazioni locali che hanno il diritto di godere di ambienti di vita di qualità e di svolgere un ruolo attivo nella loro trasformazione. Una progettazione partecipata dei livelli locali delle reti ecologiche può rinnovare in senso migliorativo e propositivo la capacità della comunità di generare nuovi paesaggi, sia negli spazi aperti che nel tessuto denso, in cui si sperimentano innovative integrazioni tra conservazione e prassi territoriale. Come indicato nel documento dell’APAT (Manuali e linee guida 26/2003, p. 23) “Si può probabilmente affermare che, ai fini di politiche urbanistiche locali (specifico obiettivo del presente lavoro), i nuclei di interesse primario per la realizzazione delle reti ecologiche locali, sono quelli che si traducono in sistemi di habitat suscettibili di giocare un ruolo ai fini della biodiversità e nello stesso tempo di essere oggetto di fruizioni (percettive e ricreative) di qualità per le popolazioni locali ovvero una combinazione tra il primo e terzo approccio descritti nel paragrafo L’evoluzione della natura funzionale della rete ecologica. Richiamando ancora il documento 23/2003 dell’APAT “…tra le finalità della rete ecologica, la priorità dell’obiettivo di conservazione della biodiversità non si può non riconoscere, anche nell’interpretazione alla base della ricerca, il ruolo che il paesaggio assume nella sua progettazione, attuazione e gestione. Come è noto, la complessità del paesaggio mette in gioco una serie molto ampia di componenti: fisiche, ecologiche, culturali, semiologiche, percettive. Lo studio e la progettazione del paesaggio, a causa della sua specificità e complessità configura quindi un percorso relativamente differente e in gran parte autonomo da quello della progettazione e realizzazione della rete ecologica. Ciò nonostante, lo stesso obiettivo primario della conservazione della biodiversità e la finalità della ricerca di concepire la rete ecologica anche come opportunità fruitive (culturali, percettive, ricreative…) non può esimere dal porre il progetto di rete ecologica in rapporto con il paesaggio. In primo luogo, in quanto il paesaggio costituisce il contesto nel quale si cala il progetto di rete ecologica e molti dei processi e delle interazioni che in esso si svolgono influenzano significativamente la biodiversità e quindi sono base essenziale per la realizzazione e la gestione della stessa rete. Inversamente, il paesaggio riceve beneficio dalla costruzione della rete ecologica in quanto essa è orientata alla salvaguardia dei processi di relazione ecologica, che sono una componente fondamentale della funzionalità e della diversificazione paesistica. In secondo luogo, in quanto gli aspetti culturali e percettivi del paesaggio possono costituire gli elementi complementari della rete ecologica, attribuendo valori addizionali agli stessi componenti della rete ecologica (valori culturali e percettivi) oppure individuando altri componenti e relazioni da conservare e valorizzare, che amplificano il ruolo della rete stessa definendone, oltre ad una valenza di tipo ecologico, altre di tipo percettivo e fruitivo, o ancora la integrano con altre forme di connessione paesistica”. I processi attivati nell’implementazione di reti ecologiche locali possono divenire un appropriato strumento per la rinascita dei luoghi (Magnaghi, 1994) in quanto capaci di valorizzare le qualità interne in un quadro di sensibilità globale e di sostenere un forte autoriconoscimento da parte della comunità della propria storia e del proprio contesto ambientale. L’attivazione di azioni di “territorialità attiva e in positivo” (Dematteis, Governa, 2005) è forse il migliore antidoto ai processi di omologazione in atto in molti contesti ad elevata pressione insediativi che hanno spesso travolto i modelli di vita, obliterando il contesto paesaggistico tradizionale e indebolito i potenziali endogeni di sviluppo (Mautone, 1998).

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FINALITÀ DELLO SCHEMA SISTEMATICO DI ASSETTO DELLA RETE ECOLOGICA LOCALE Sulla scorta dei riferimenti sopra esposti lo Schema di assetto della rete ecologica locale assume come obiettivo la realizzazione di un sistema integrato di conservazione e valorizzazione delle risorse naturali e culturali al fine di dotate il territorio in esame di una valido quadro infrastrutturale ambientale che sappia conciliare sviluppo economico, equilibrio ecologico e valorizzazione dell’armatura storico-paesistica locale. Gli obiettivi ai quali lo Schema sistematico di assetto della rete ecologica tende sono: la conservazione e l’incremento della biodiversità; la tutela e la valorizzazione delle aree di pregio ambientale e naturalistico; la ricucitura/deframmentazione dell’ecomosaico territoriale; il riequilibrio ecologico e l’aumento della capacità di autodepurazione del territorio,

anche attraverso il recupero di aree degradate; l’identificazione di elementi territoriali con potenzialità di matrici di valorizzazione

territoriale in chiave paesistico-ambientale, anche entro una prospettiva di rafforzamento dell’identità locale;

il potenziamento e l’integrazione territoriale delle opportunità culturali e di fruizione ricreativa.

Lo Schema di assetto della rete ecologica locale si articola in: Aree ad elevata naturalità (boschi planiziali, di forra, di scarpata morfologica, magredi, ecc.); costituiscono, nel quadro delle unità strutturali e funzionali presentate nella premessa teorica, le core areas, contesti di elevato pregio naturalistico e funzionale che nel caso specifico si raccolgono soprattutto nel solco vallivo o nelle sua prossimità. Verso queste aree vanno operati interventi di conservazione attiva che permettano una loro evoluzione e strutturazione verso quadri ambientali prossimi al climax. Per quanto riguarda invece i magredi è prioritario bloccare la serie evolutiva in modo da impedire l’inarbustimento o il progressivo passaggio ai consorzi boscati. Fasce territoriali entro cui consolidare corridoi ecologici primari e secondari . Tali contesti sono costituiti da ambiti con buona dotazione infrastrutturale ambientale formata generalmente da residue macchie boscate connesse da siepi e cortine arboree interpoderali con valenza storico-paesistica; per certi aspetti possono essere assimilati alle buffer zones. Strategico è il ruolo paesistico-identitario di questi elementi della perché raccolgono molti degli assetti tradizionali (rovari, reticolo idrico minore, insediamenti rurali, ecc.) del paesaggio agricolo locale. Fasce territoriali entro cui consolidare corridoi ecologici primari e secondari. Queste aree sono costituite da spazi aperti che presentano una limitata dotazione ambientale. Essendo costituiti da spazi aperti potrebbero, grazie al potenziamento degli elementi naturali minori ancora presenti, rinforzare il loro significato funzionale nel contesto della rete. Rispetto al quadro teorico fornito possono essere assimilate alle zone extraurbane con presupposti per l’attivazione di progetti di consolidamento ecologico..

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Aree di rigenerazione ambientale. Sono costituite da contesti legati all’attività estrattiva, discariche, ecc., che non presentano attualmente valori ambientali elevati; attraverso interventi di rinaturazione possono invece assumere un ruolo significativo nella rete ecologica locale. Rientrano nelle restoration areas. Armatura lineare arboreo-arbustiva della rete ecologica (cortine arboree interpoderali) con funzione di corridoi ecologici di 2° livello. Nel quadro paesistico-territoriale locale questi elementi costituiscono il tessuto connettivo della rete ecologica, la loro salvaguardia e implementazione deve costituire una finalità prioritaria della progettualità locale, sia per la loro importanza nella continuità ecologica sia per il valore storico-paesistico che per la loro dotazione biologica. Ambito di inserimento ambientale/paesistico delle infrastrutture lineari con funzione di mitigazione/connessione ecologica. I livelli attuali di antropizzazione del territorio comportano la presenza di un insieme di ostacoli per la continuità ecologica. Alcuni elementi infrastrutturali possono assumere, se adeguatamente mitigati, anche una valenza positiva nelle relazioni ecologiche. Nel caso specifico l’asse interurbano e il collettore del depuratore di Bergamo, anche per il loro andamento trasversale da est a ovest, potrebbero assumere, previo una serie di interventi di riqualificazione delle loro pertinenze, una funzionalità ecologica. Varchi da preservare e potenziare per il disegno della rete ecologica. Spazi aperti tra le unità dell’ecomosaico locale la cui chiusura a causa dell’espansione insediativi comporterebbe rischi significativi per la rete ecologica locale. I processi di urbanizzazione possono pregiudicare in modo definitivo le residue linee di permeabilità esistenti. Direttrici di permeabilità verso gli elementi primari della rete ecologica provinciale e/o spazi aperti di qualità ambientale. Costituiscono ambiti di permeabilità da salvaguardare perché permettono la connessione tra i contesti di maggior interesse paesistico-ambientale, nel contempo impediscono l’insularità della rete locale che, da un punto di vista teorico generale non dovrebbe avere confini. Le direttrici di permeabilità permettono inoltre la relazione tra i diversi livelli di scala delle reti ecologiche che innervano il territorio.

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