Come Musica

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COME MUSICA

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Sarah soffre di un disturbo molto particolare. Crescendo imparerà a scendere a patti con la sua sofferenza, riconoscendo, suo malgrado, l'importanza del dolore.

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  • COME MUSICA

  • I. Allegro ma non troppo

    Alle diciannove e dieci, il citofono, puntuale, suon.

    Pap, pap! grid Sarah, correndo felice incontro a Marco.

    L'uomo varc la soglia di casa, abbandon soprabito e valigetta, e

    accolse la piccola fra le sue grandi braccia.

    Ecco la mia principessa! disse pieno di entusiasmo,

    stringendola a s. Mi concederebbe l'onore del prossimo ballo,

    Vostra Grazia?

    S! rispose felice la bambina.

    Elena, dalla cucina, si era ormai abituata alla scena, un rito che

    veniva religiosamente osservato ogni sera. Lei preparava la cena,

    Sarah e Marco ballavano in soggiorno. Nonostante fosse diventata una

    routine, non riusciva a trattenere il sorriso. A volte era un po' gelosa di

    quel rapporto speciale, lei, col suo, non lo aveva mai avuto. Le

    sarebbe piaciuto partecipare a quei balli, di tanto in tanto, eppure non

    voleva intromettersi. Sapeva che quello era il loro momento, un

    momento che Sarah attendeva trepidante per tutta la giornata.

    Marco, al solito, si trascin per la stanza, fino a raggiungere il

    vecchio giradischi parcheggiato accanto alla libreria. La figlia,

    avvinghiata come un koala, gli impediva la fluidit dei movimenti, ma

    non gli pesava. Il disco riposava gi sul piatto, era sempre lo stesso:

    Sul bel Danubio blu di Johann Strauss. L'uomo non doveva far altro

    che calare la puntina e attendere la musica.

    A quel punto, Marco, Sarah in braccio, prendeva la mano della

    figlia, la guardava sorridente e apriva le danze. Si ritrovavano cos a

  • vorticare a tempo di valzer, rapiti da quella melodia leggiadra e

    aggraziata come una dama barocca.

    Un, due, tre, un due tre, scandiva l'uomo. La bambina rideva,

    la testa piegata all'indietro, gli occhi strizzati in un'espressione di

    gioia.

    Giro dopo giro, i colori del soggiorno cambiavano, mutavano gli

    arredi, gli ornamenti, i vestiti; d'improvviso, i due finivano col danzare

    nel salone di un meraviglioso castello, alla corte di qualche eccentrico

    nobile d'altri tempi. Riuscivano a immaginare gli occhi di tutti gli altri

    invitati puntati su di loro, un padre e una figlia che volteggiavano sulle

    note della felicit, come se non avessero mai fatto altro nella vita.

    Quando il valzer consumava tutti e dieci i suoi minuti, Marco

    concludeva il ballo con un casch: non era certo in linea con lo stile,

    l'importante era che divertisse Sarah.

    Grazie per avermi regalato questa gioia anche oggi, Vostra

    Grazia, disse il padre, schioccandole un bacio sulla fronte.

    Tu sei il mio principe, sempre!

    Fu allora che Elena, ridendo, sbuc dalla cucina, le mani sui

    fianchi. Mio principe, mia principessa, vorreste unirvi a me per la

    cena? Non vorrei si freddasse troppo.

    Assolutamente, mia regina.

    La sera seguente diluviava. Sarah si stava preparando per il

    consueto ballo, non stava pi nella pelle: Elena le aveva comprato un

    fiocco rosso, un accessorio degno dei capelli di una dama.

    Il citofono, per, alle diciannove e dieci non suon. Alle

  • diciannove e trenta, squill il telefono. Elena and a rispondere. Dopo

    alcuni istanti di silenzio, la cornetta fin a terra. Le mani, come una

    maschera, andarono a coprirle il viso, il petto le vibr di violenti

    singhiozzi; la donna non resse oltre, croll sul pavimento.

    Sarah, dal soggiorno, osserv la scena con gli occhi di chi aveva

    vissuto appena cinque primavere.

    Si pass la mano tra i capelli e liber le ciocche dal fiocco, che

    cadde sul tappeto: era la cosa pi inutile del mondo.

    II. Grave

    Riesci a sentirmi, Sarah?

    Ma s, non sono mica sorda, rispose sgarbata la ragazzina.

    Sarah! la riprese Elena. Il medico le fece cenno di lasciar

    correre.

    Devi collaborare, Sarah. Il disturbo che lamenti molto

    particolare, continu paziente l'uomo.

    Mi hanno fatto tutti i test, dottore. Io ci sento! Sento tutto...

    tranne la musica, complet la frase lui.

    Sarah sedeva sulla grande poltrona di pelle bianca, lo sguardo

    accigliato fisso nel vuoto, le braccia conserte a denotare chiusura.

    Elena guardava preoccupata sua figlia. Non era stato facile da

    quando Marco era morto; il tempo aveva risanato le vecchie ferite, ma

    ne aveva inflitte di nuove. La donna sapeva di non essere abbastanza

    per Sarah, non sarebbe mai stata Marco. Non che Sarah non le volesse

    bene, semplicemente era diverso. Non avevano mai affrontato

  • l'argomento con chiarezza, ma entrambe conoscevano le scomode

    verit celate dai silenzi.

    Il dottor Silmo lanci un'occhiata a Elena.

    Facciamo una pausa, Sarah, vai a comprarti qualcosa al bar, la

    invit la madre, porgendole una banconota. Non fermarti a parlare

    con nessuno e riportami il resto. Intesi?

    S, ho capito, vi lascio soli, ribatt secca la ragazzina, che

    lasci in fretta la stanza, quasi fosse una liberazione.

    Elaine sospir sconsolata.

    Deve scusarla, dottore. Da quando siamo sole non pi la stessa.

    Non deve scusarsi con me, signora. I ragazzini quando perdono

    una figura di riferimento reagiscono a modo loro, non riescono ad

    affrontare il lutto con la razionalit degli adulti, che pure faticano a

    farlo. Anche questo disturbo che avverte, il non sentire la musica...

    Crede sia per via del padre?

    Assolutamente. Non c' altra spiegazione.

    Cosa mi consiglia di fare? Ovunque mi giri, temo di combinar

    danni.

    Se la bambina non comincer a cooperare, ho paura che

    dovremo ricorrere a un istituto. Ce ne sono di molto validi nel

    trattamento di questo tipo di problemi, concluse grave Silmo.

    Io... Elena non riusc a terminare la frase, la porta si apr di

    colpo, rivelando la presenza della figlia.

    Come puoi permettergli una cosa simile? si infuri Sarah.

    Non andr mai in nessun istituto! Non sono malata, sto bene! Io

    ci sento! E tu sei una stupida, ti odio! vomit tutto d'un fiato, e

  • fugg.

    Elena fece per inseguirla, Silmo la blocc. La lasci sfogare. Non

    pu certo andare lontano, ha solo dieci anni, e questo un ospedale.

    Le dia tempo.

    Pi tardi, Sarah torn da sua madre, seduta nella sala d'attesa sulle

    impietose sedie in plastica grigia. La bambina le si avvicin con occhi

    bassi, l'aria colpevole di chi sapeva di aver esagerato.

    Non ti odio, mamma, si scus.

    Lo so, fece placida Elena. Ma so anche che non sono tuo

    padre.

    Sarah avrebbe voluto replicare, eppure non riusc. Solo dopo

    alcuni interminabili minuti raccolse il coraggio e le parole.

    Io sto bene. Non sono malata... solo che non sento la musica.

    tanto grave?

    Elena riconobbe sul volto di Sarah la preoccupazione di non essere

    all'altezza delle sue aspettative, lo stesso timore che aveva

    accompagnato lei per tutta la vita. Di fronte a quell'espressione, le si

    spezz il cuore; in fondo, la musica non era cos importante.

    No, non lo .

    Mi vuoi bene, mamma?

    Da morire, rispose Elena, abbracciando la figlia come mai

    aveva fatto prima di allora.

  • III. Vivo

    Quella sera di agosto Sarah aspettava Davide per cena. Fuori era

    ancora chiaro, il sole sarebbe tramontato tardi, prestando con

    generosit i suoi raggi a chi ancora era coinvolto in barbecue, fal o

    passeggiate sulla spiaggia.

    Davide era in ritardo. Sarah l'aveva sempre schernito, era

    ossessionato dalla puntualit e dalle lancette dell'orologio. Per lei era

    sciocco voler inseguire il tempo, il tempo non poteva essere inseguito

    per definizione.

    La ragazza decise di ingannare l'attesa onorando il vecchio

    giradischi che il fidanzato le aveva comprato ai mercatini dell'usato la

    domenica precedente, per il suo venticinquesimo compleanno. Non

    aveva ancora avuto il coraggio di adoperarlo, voleva che il primo

    ascolto avvenisse insieme a Davide. Si trov tuttavia spiazzata nel

    constatare che il suo appetito musicale, dopo tanti anni di digiuno, dal

    giorno in cui era ricomparso era sempre stato pi forte della sua

    volont.

    Non era stato semplice convivere con quella menomazione che

    la scienza non era stata in grado di riconoscere, o risolvere. I dottori,

    tutti, davanti al caso di Sarah avevano alzato le mani. Si erano limitati

    a puntarle il dito contro, concludendo che, se non avesse sciolto da s

    il nodo della morte del padre, non sarebbe mai guarita. Sempre che

    fosse possibile guarire da una malattia che non era riportata su nessun

    manuale.

    Sarah, per, non aveva intenzione di dimenticare Marco. Nessuno

  • gliel'aveva comandato esplicitamente, ma era quello che tutti si

    aspettavano facesse: dimenticare. Se avesse sciolto il nodo, il suo

    cervello avrebbe sfumato e dissolto i ricordi d'infanzia, e, soprattutto,

    avrebbe sepolto il valzer cos in profondit da non poter essere pi

    ascoltato. Sarah non voleva questo. Non le interessava che altre

    melodie prendessero il posto di Strauss, n le interessavano i medici,

    gli istituti e le pasticche che le venivano prescritte. Aveva deciso di

    lasciar perdere, e la madre l'aveva appoggiata.

    Ci vollero altri dieci anni perch Sarah scoprisse la cura definitiva

    al suo problema. Non la trov sugli scaffali di una farmacia, n sulla

    sedia di uno studio psichiatrico; gli scaffali appartenevano alla

    biblioteca universitaria, come la sedia su cui sedeva ogni giorno. Il

    luminare che la aiut a sciogliere il nodo si chiamava Davide, e non

    aveva lauree e titoloni da ostentare su impersonali biglietti da visita;

    studiava filosofia.

    Sarah, impaziente, corse a prendere il disco: l'aveva sempre avuto

    con s, archiviato tra le scansie della libreria. Lo estrasse dalla

    custodia, ingiallita e consumata dagli anni, e malinconica ne lesse il

    titolo sull'etichetta: Sul bel Danubio blu.

    Sdrai il vinile sul piatto, prese delicatamente la puntina tra le dita

    e fece per calarla; la sua mano fu per fermata dallo squillo del

    cellulare.

    Proprio adesso? protest. Sar Davide. Mi sentir!

    Tanta determinazione fu spenta dal numero che la stava

    chiamando, un anonimo, e dalle parole che si sent dire dall'altro capo

  • del ricevitore. Davide non sarebbe mai arrivato per quell'ascolto.

    L'eterno ritorno.

    La mente di Sarah viaggi a ritroso nel tempo, fino alla sera in cui,

    vent'anni prima, col fiocco rosso tra i capelli attendeva scalpitante suo

    padre, per ballare un valzer che non sarebbe mai stato suonato.

    Il cellulare le sgusci di mano senza che se ne rendesse conto: era

    l'oggetto pi inutile del mondo. La testa si chin in avanti, troppo

    pesante per essere sorretta dal collo; le lacrime non trovarono il tempo

    di sbavare il mascara.

    Sarah, inebetita, barcoll fino al giradischi, dove tutto era pronto

    per l'esecuzione. Per un attimo ebbe la tentazione di sollevare il disco,

    riporlo e dimenticare per sempre Sul bel Danubio blu. Poi ci ripens.

    Riprese la puntina e la lasci scivolare sui solchi neri, come nero

    era il dolore che scivolava fluido sulle note di quel brano tanto caro.

    Un, due, tre, un due tre, scandiva a bassa voce.

    Giro dopo giro, la puntina scriveva nuovi solchi, umidi e profondi,

    sulla superficie di un disco di nome Sarah.