COME FECE COME NON FECE

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Come fece come non fece è una raccolta di fiabe fatte di immagini, luoghi, atmosfere, suoni di paesi e città, voci di uomini e di animali, odori antichi di case umili o profumi esotici di sfarzosi castelli, di malìe e incantamenti alla controra. Immagini lontane, nel tempo e nello spazio, di principi e principesse che vivono e rivivono tra gli ulivi contorti e tra gli spinosi fichi d’India. Dietro ogni favola c’è il volto rugoso di un vecchio che fu bambino, la sua voce sfiatata e i gesti delle sue mani nodose che raccontano storie vere, camuffate da fiabe. Un libro attraverso cui i bambini possono apprendere gli strumenti per affrontare la vita, perché si narra di grandi difficoltà e pericoli da superare, di magie e incantesimi buoni e cattivi, di viaggi straordinari; ma Come fece come non fece è anche un libro per gli adulti che possono svegliare i ricordi custoditi in un angolo della memoria e ritrovare il tempo in cui furono bambini attraverso la fascinazione di un racconto.

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Luigi ChiriattiEgidio Marullo

principi fate folletti nel magico mondo delle favole

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Edizioni KurumunySede legaleVia Palermo 13 – 73021 Calimera (Le)Sede operativaVia San Pantaleo 12 – 73020 Martignano (Le)Tel e Fax 0832 801528

www.kurumuny.it – [email protected]

Titolo: Come fece come non feceRicerca: Luigi ChiriattiIllustrazioni: Egidio Marullo

ISBN 978-88-95161-67-9

© Edizioni Kurumuny – 2011

Chiuso in stampa nel mese di novembre 2011

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Premessa

Se non avessimo avuto favole, se non avessimo avuto fiabe, storiecome queste, figure fantasiose, scaglie di metafore, miti in minore,

se non avessimo avuto nuvole fatte di queste parole che sembrano vaporidi sogni, che sono illusioni, avremmo meno senso a cui tenerci fortequando il tempo è sconnesso, quando il buio è pauroso.

Ma avemmo la ventura di infanzie di parole come queste – esatta-mente queste – quand’era inverno cupo, intorno al fuoco, quand’era estateribollente, seduti ai limitari, e avemmo voci di donne maliose e oracolari– poscere fata / tempus, ait – che narravano proprio queste favole, questetiritere, e rassomigliavano alle sibille cumane vecchie e immortali, ederano l’incarnazione dell’eterno femminino che poi ritrovammo nella sag-gezza delirante di Zarathustra, nei racconti ipnotici di Sheherazade.

Se non avessimo avuto queste storie di destini, di fortune, di tristezze,d’incantesimi, magie, questi bestiari poveri, metamorfosi incredibili, mi-rabili creature, forse ora avremmo meno nostalgia, e più malinconia, epiù rimpianti.

Ma avemmo lo sbalordimento di questa sonagliera di parole, di questouniverso compreso tra dimensione archetipica e invenzione, di queste so-norità e ritmi preesistenti all’espressione, di questa stratificazione disensi, multiformi fantasie.

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Avemmo questi racconti del tempo lungo, del sovratempo, della legge-rezza, dell’indistinto, dell’ambiguità, della trasognanza, del senso pro-fondo, del sentimento, dell’emozione, della sensazione, della coscienza,della passione.

Avemmo queste favole, una volta, questo trattenimiento de li peccerille,e tutto quel poco che abbiamo imparato dopo da queste favole proviene ea queste ritorna.

Antonio Errico

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Nota dell’illustratore

Questo non è propriamente un libro di favole illustrate e io non miritengo un illustratore: è un mestiere difficile che io non saprei

svolgere. L’illustratore ha un pubblico di riferimento al quale parlare conun linguaggio specifico che, nel caso delle illustrazioni di favole per bam-bini, è un linguaggio sintetico, poiché opera una sintesi stilistica agendosu ogni componente del processo creativo.

Io ho invece pensato il volume in questione come una carrellata diopere singole che più che illustrare la storia raccontano e descrivono glistati d’animo dei personaggi, le atmosfere e gli ambienti. Già, perchéCome fece come non fece non è un semplice volume di favole salentine maè una raccolta di immagini, luoghi, atmosfere, suoni di paesi e città, vocidi uomini e di animali, odori antichi di case umili o profumi esotici disfarzosi castelli. Gli anziani, che Luigi Chiriatti ha interrogato più di duedecenni fa per comporre la prima versione di questa raccolta, hanno rac-contato e descritto immagini di un Salento ormai perduto eppure semprepresente, oggi come allora. Immagini lontane, nel tempo e nello spazio(come la mitologica Spagna, forse reminiscenza borbonica) di principi eprincipesse che vivono e rivivono tra i nostri ulivi contorti e tra i nostrispinosi fichi d’India. Come in un viaggio onirico i paesi lontani e scono-

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sciuti appaiono vicini e consueti. In queste favole il paradosso, il non-sense, l’improbabile, vivono in equilibrio, senza alcun conflitto razionaleo stilistico. Si intuisce che dietro a ogni favola c’è il volto rugoso di unvecchio che fu bambino, la sua voce sfiatata e i gesti delle sue mani no-dose che raccontano storie vere, camuffate da fiabe.

In ogni parola vibrano i colori tersi e la sovraesposizione luminosa ti-pica della pianura salentina: un paesaggio troppo basso e rado per averezone d’ombra. Il Salento è il regno della luce e ogni favola raccontata daun salentino vive questa condizione obbligata.

A tal proposito Pasolini parlava dei “meriggi disperati del Sud” dove,senza bisogno di sostanze esterne, la coscienza è alterata dal caldo, dal-l’afa, dalle pulsioni della terra, dalla luce, e condotta in uno stato meta-reale.

Carmelo Bene parlava, invece, di questi luoghi in termini di “depen-samento”, dove il pensiero razionale è trasformato, portato agli estremifino alla sua stessa corrosione e trasfigurato come nella realtà fantasticadella favola.

Questo Sud santifica con la luce la sua disperazione e la sublima inmessaggio artistico, estatico e misterioso, quasi metafisico. Un messaggioche contiene in sé non una morale spicciola, ma ogni istante delle nostrevite, l’amore, la passione, la morte.

Questo Sud, oggi come mille anni fa, è una favola disperata, sconnessa,distratta, sporca eppure bellissima come fosse un’improbabile e grottescalatrina del paradiso.

Questo Sud è una favola che si può raccontare solo attraverso la fram-mentazione estrema dei particolari e delle immagini, simbolo di una ri-

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frazione caotica della luce che invade e trasforma ogni corpo, oggetto opensiero.

Nel portare a termine questo lavoro ho cercato semplicemente di ri-cordare la mia infanzia, i miei “meriggi disperati”, i miei ricordi di “de-pensamento” di ieri e di oggi. Appare chiaro come con queste premessesia impossibile sviluppare il racconto per immagini in modo didascalico.È evidente come si debba cercare di raccontare di più e altro oltre la fa-vola e la sua morale.

Buona lettura e buona visione.

Egidio Marullo

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La comare formicuzza

In un piccolo paese lontano lontano viveva una formi-cola. Tutti la chiamavano comare formicuzza. La comarefaceva la domestica in una casa di ricchi signori.

Un giorno, mentre puliva la camera da pranzo, sottola credenza, trovò cinque lire. Che gioia per la comareformicuzza!

Cominciò a pensare a cosa comprare con tutti quei soldi. Pensò di comprarsi dei dolci, le piacevano tanto, ma

per paura che la gente la chiamasse ingorda, scartòl’idea. Poi pensò di comprarsi un gioiello, ma per pauradi sembrare vanitosa, lasciò perdere.

Pensa e ripensa, alla fine le venne l’idea buona. «Mi compro un bel nastro rosso, me lo sistemo sui ca-

pelli e vediamo se riesco a trovare un marito!»

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Così infatti fece, si recò al mercato, comprò un ma-gnifico nastro rosso, ne fece un bel fiocco, lo sistemò frai capelli, si mise alla finestra in attesa che qualcunopassasse di là e la chiedesse in moglie.

Dopo un bel po’ che aspettava passò il compare asino.«Buongiorno, comare formicuzza, come sei bella questamattina, che fai alla finestra?»

«Cerco marito» rispose la comare formicuzza. «Perché non prendi me!» propose l’asino. «E tu, la notte, come fai?» chiese la formica.«I-a-i-a-i-a-i-a!» «No, no, tu non mi faresti dormire, no!» L’asino con la coda fra le gambe, sconsolato, salutò e

se ne andò. Dopo altro tempo passò il cane. «Ho saputo che cerchi marito, mi vuoi?» disse. «Ti voglio, ma dimmi, la notte come fai?» «Bau! Grr! Bau, grr! Bau, grr!» rispose il cane. «No, no, mi metti paura!» Così anche il cane se ne andò.

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La volpe e il riccio

C’era una volta una volpe che, girando per le campa-gne, di qua e di là, in cerca di qualche gallina da met-tere sotto i denti, trovò invece un’aia piena di grano.

Pensò bene di rubarlo e portarselo nella sua tana. Dopo alcuni tentativi, però, si accorse che il lavoro

era troppo faticoso e che da sola non ce l’avrebbe mai epoi mai fatta.

Pensa e ripensa, decise di chiedere aiuto al comparericcio. Girò per le campagne e, finalmente, lo trovò na-scosto sotto un cespuglio di rovi.

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La volpe gli raccontò il fatto, ma non gli disse che ilgrano lo voleva tutto per sé, e, per non insospettirlo,gli propose di fare una corsa: chi fosse giunto per primoall’aia, si sarebbe preso tutto il grano e l’altro l’avrebbeaiutato. Il riccio ci pensò un momento, si informòquanto era distante l’aia con il grano e poi disse:

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Il galletto e il re

In una masseria, tanto tempo fa, quando ancora glianimali parlavano, viveva una contadina. Un giornomentre preparava la pasta fatta in casa, con farina euova, non s’accorse che in cucina era entrato un gal-letto che aveva una gran fame.

Quando vide che la massaia stava preparando l’im-pasto si nascose sotto il tavolo e attese che se ne an-dasse. Poi, quando fu solo, si mangiò tutta la pasta chec’era sul tavolo e, sazio, si addormentò.

Al ritorno dal lavoro nei campi la massaia si accorseche il galletto aveva mangiato proprio tutto. Si arrab-biò moltissimo, prese il matterello e glielo tirò. Il gal-letto si diede alla fuga e, per evitare conseguenze piùspiacevoli, se ne andò.

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I due agnelli Cesare e Palumbo

Un giorno un pescatore di un paesino tornava dalmare con lo scialabà pieno di pesce e cantava perchéla pesca era stata fortunata.

Nei pressi dello stesso paese viveva una volpe chepossedeva due agnelli, Cesare e Palumbo, ed era moltoghiotta di pesce.

Quando vide il pescatore con il carretto pieno dipesce, le venne l’acquolina in bocca e, senza farsi ve-dere né sentire, saltò sul carretto del pescatore e glirubò una cassetta piena piena.

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Tornata a casa, metà del pesce lo affumicò e lo ap-pese al soffitto per l’inverno, metà, invece, cominciò afriggerlo.

Si trovò a passare da lì un lupo che sentì l’odore delpesce e gli venne una gran fame e decise di andare abussare alla porta della volpe.

«Apri comare, apri, che qui fuori tuona e lampeggia»diceva il lupo e imitava il rumore dei tuoni e accendevafiammiferi per far sì che apparissero lampi.

E questo per molte volte, finché la volpe non aprì laporta. Appena entrato, vide tutto quel pesce che la co-mare aveva affumicato e stava friggendo e la fame au-mentò.

Come fece e come non fece convinse la volpe a man-giare il pesce e a dividerlo con lui, con la promessa chedopo sarebbero andati al mare e lui ne avrebbe pescatoaltrettanto, se non di più.

La volpe ci credeva poco ma alla fine accettò.

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Il principe re dei cieli

C’era una volta una madre che aveva tre figlie. Vi-vevano in una vecchia casa in campagna, erano moltopovere, e nei giorni d’inverno non avevano quasi mainiente da mangiare.

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Un giorno, la madre chiamò la figlia maggiore, Ro-sina e la mandò in campagna a raccogliere un po’ diverdura selvatica. Rosina obbedì e ne riempì unagrossa cesta. Sulla via del ritorno, vicino a un murettoa secco, vide un bel cavolfiore. Si avvicinò e cominciò atirarlo.

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Tira, tira e tira, allafine, sotto le radici delcavolfiore s’aprì ungrande buco e Rosinascivolò dentro.

Scivola, scivola e sci-vola, alla fine Rosina sitrovò in un bellissimopaese, tutto d’oro e d’ar-gento, e vide lontano,lontano, il palazzo delre. S’incamminò e final-mente giunse al ca-stello.

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Postfazione

L’arte attiva del narrare è una delle espressioni dell’oralità tradizionale mag-giormente coinvolte nel processo di trasformazione della società.

Bronzini

La favola è un fenomeno universale di creazione collettiva, che rappre-senta le vendette immaginarie di grandi masse oppresse.

Di ogni favola, fiaba, o cuntu, esistono decine, a volte centinaia di versionidovute al sovrapporsi e all’intrecciarsi della fantasia di innumerevoli popoli eculture, della creatività di migliaia di narratori e soprattutto narratrici che, disecolo in secolo, le hanno conservate fino ai nostri giorni.

Nelle società agricole, terreno prediletto delle favole, il complesso delle tra-dizioni ha scandito e caratterizzato, per lunghissimo tempo, tutto il ciclo dellavita umana, dalla nascita alla morte.

La necessità di sfuggire alla durezza della vita portava ad attribuire poterimagici o divini a oggetti o folletti che spesso accompagnavano l’uomo nelle variecircostanze della vita. Su di essi si riversavano ansie, paure, aspirazioni.

Sin dalla nascita si veniva acculturati in tal senso e si veniva a conoscenzaper mezzo di nenie, credenze, favole dei modi di comportarsi, dei tabù, delleaspirazioni della comunità di appartenenza.

Gli anziani si servivano della favola per trasmettere e offrire, attraverso leriflessioni sui personaggi protagonisti, dei modelli di condotta.

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La famiglia patriarcale, nell’espletare la funzione di socializzazione e di ge-stione del tempo libero, si serviva del gioco di fantasia e in particolare della favolache di volta in volta rappresentava un contributo all’educazione, all’apprendi-mento, e, in particolare, con la sua morale, diventava maestra di vita.

Si suppliva così all’impossibilità di offrire ai più giovani un modello di con-dotta diretto, in considerazione del fatto che le figure parentali, in particolare igenitori, trascorrevano fino a dodici ore nei campi, e, quindi, i tempi di dialogoadulto-bambino risultavano del tutto inesistenti.

Le favole popolari proposte in questo volume sono estrapolate da una raccoltanata da un lavoro di ricerca e documentazione più ampio e complesso sulla cul-tura orale salentina nelle sue più variegate forme.

Le favole qui pubblicate non si differenziano molto da quelle universalmenteconosciute se non per particolari tratti del carattere di alcuni personaggi e perla descrizione di alcuni luoghi adattati all’ambiente o agli usi della terra o delpaese in cui la favola è narrata: il Salento.

Troviamo favole che narrano di animali, per lo più animali domestici che com-piono imprese eccezionali, con virtù e vizi tipicamente umani; altre in cui prevaleuna sottile ironia popolare modellata su tipi e personaggi specificatamente locali;infine favole in cui si ricalcano gli schemi classici di quelle tradizionali con re eregine, maghi e sortilegi di ogni tipo.

Le favole registrate direttamente dalla viva voce dei narratori in dialetto sa-lentino sono qui riportate attraverso una libera traduzione che per quanto pos-sibile affonda le radici nel dialetto, senza sbalzi nelle espressioni colte eabbastanza elastica per raccogliere e incorporare dal dialetto le immagini, i giridi frase più espressivi e inconsueti.

Luigi Chiriatti

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Indice

La comare formicuzza

La volpe e il riccio

Il galletto e il re

I due agnelli Cesare e Palumbo

La fortuna del signor Lacinto

La principessa Cesaria

La figlia del re di Spagna

Il principe re dei cieli

Figlia di mercante e mercantì

Re Carlino

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