COME AW + CARTINA

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A Ferdinando, che mi ha aiutato a vedere

A Laura, che mi vede

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© per le foto (tranne pag. 53 e 67)Paolo de Giuli dati tecniciNikon FM2 - 28, 35, 50 mm - pellicola Kodak TRI-X 400

progetto editoriale e realizzazione graficaPaolo De Giuli

si ringrazianoYossi LoloiKatja e Alex www.subrizi.comPaola Sara Giambelli Studio Aureo www.aureocomunicazione.euGiovanna Smiriglia Studio Impronte www.studioimpronte.euAlberto Bianda www.theredbox.ch

nessuna fotografia è stata tagliata per realizzare questo libro (tranne pag. 53)

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“Paolino, come stai?”

Così mi accoglie Ferdinando, e di traverso fa finta di prendere tempo per accettare la proposta che mi presenta:un reportage per una società

del gruppo Fiat (New Holland), che produce macchine da lavoro.È da realizzarsi in pochi giorni e in molti posti disseminati nel mondo:

quando vedo il piano dei voli ho già deciso, santa melatonina ci sarà di aiuto!

18 Febbraio1996

Alla partenza sul taccuino elaboro una frase di John Wayne per cercare di sintetizzare l’approccio al viaggio:

“...Un passo lento, misurato, continuo, come in montagna,con lo sguardo rivolto in avanti, alto,

cercando di pestare meno merde possibili.”

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U. S. A.

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Passiamo da Amsterdam per San Francisco (pag. 7), dove l’art director raggiunge noi e il direttore di produzione.Superata la forca caudina del controllo passaporti litighiamo con la produzione americana

per cambiare albergo, evitando camere e finestre sulla strada al piano terra,comodissime per chi volesse provare il nostro materiale fotografico.

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La mattina dopo mi alzo presto, e prima di una stupenda colazione americana con uova, bacon e secchi di caffè vado a camminare in una zona residenziale con villette e strade in salita (9).

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Ferdinando si prepara per cominciare, chissà cosa gli passa per la testa (11). Direzione Turlock, cittadina dispersa nella provincia californiana a nord di San Francisco.

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L’art director chiude il suo van con le chiavi dentro. Fotografiamo dei veri cowboys,Australiani però, con steccato da cowboys, cappelli e stivali e ville da cowboys.

La piscina confina con le stalle e nel camino è incastonato un televisore gigantesco: tutto è grande, enorme.

Sul quotidiano locale si racconta di un appartenente al Ku Klux Klan multato per aver appiccato un incendio senza autorizzazione, a una croce.

A un’asta di vitelli il banditore presenta gli animali cantilenando un velocissimo scioglilingua country (17).

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A San Francisco fotografiamo una ruspa ai piedi del ponte. Cercando il punto di vista migliore,su una strada che lo domina (19) incontriamo due motoclisti barbuti su un chopper:

ci si fermano davanti, vestiti di pelle.

Ferdinando si presenta, li ritrae e si guadagna un biglietto da visita del Club degli Orsetti Teneri (Tender Bears):

potenza della comunità gay della città!

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Colazione in riva al mare a Sausalito, cena con granchi al portoe passeggiata digestiva nel quartiere di Haight Hasbury e dintorni (21).

Prima del nuovo volo visitiamo il Museo di Arte Moderna disegnato da Botta.

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B R A S I L E

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Transitiamo per l’aereoporto di Miami dove, cercando di uscire a farci una sigaretta, vediamo il cubo trasparente dove i fumatori possono intossicarsi tra loro comodamente.

Atterriamo a Belo Horizonte, noleggiamo una macchina e dopo 500 chilometriarriviamo ad Alfenas, cittadina universitaria del Minas Gerais (26-31).

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È stata scelta Alfenas perchè la produzione ha mostrato a Ferdinando una fotografia di una fazenda in zona,perfetta per il nostro servizio. Il giorno dopo Ferdinando organizza una scena degna di De Mille (37):

da destra entrino i cavalli, i carretti più adagio, be natural ! Riesco a vedere un colibrì blu e verde e due tucani, bellissimi .

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Il secondo giorno risaliamo in macchina e con due panini e un sacchetto di frutta collettivo ci dirigiamo verso San Paolo dove arriviamo al tramonto, dopo altri 500 chilometri.

Da quella che pensiamo sia la tangenziale la città appare alla nostra destra, lontana e immensa.

Decidiamo di fare a meno della cartina (non avendola), e di raggiungere la nostra metasemplicemente chiedendo informazioni in spagnolo, inglese, italiano e francese:

“Scusi, per il centro di San Paolo? Dobbiamo andare al Brashilton!”.

Salvi in albergo abbiamo un giorno e mezzo a disposizione prima di risalire in aereo: flânerie con Ferdinando, il massimo!

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Camminiamo per la città macchine alla mano, nascoste e pronte. A un’uscita del metro un ragazzo dorme bello cotto su dei giornali, in mezzo al marciapiede. Qualcuno gli si avvicina e dà fuoco alla carta:

la situazione ci sembra irreale. Un taxista trasparente osserva, immobile.Ferdinando si precipita e spegne con un po’ di pedate le fiamme.

L‘autista si sposta poco più in là, senza fretta.

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In una via pedonale degli uomini sandwich pubblicizzano se stessi, offrendosi per lavori vari.Il clima è afoso, nuvolo e la città è dura e grigia, come me l’aspettavo.

Non mi viene neanche voglia di fotografare, tranne qualcosa per strada (41,43)e in un mercato, tra un acquazzone e l’altro (44-49).

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Visitiamo il Museo di Arte Moderna e poi fuori a cena.All‘uscita dal ristorante, dove mangio un’ancora insuperata bistecca, ci viene incontro un bambino:

avrà forse sette anni e all‘una di notte ci propone i biglietti di una lotteria.

Viene allontanato con fermezza dalla nostra accompagnatrice. È una signora italiana,trasferitasi lì con il marito per commerciare in marmi.

In auto ha sempre pronto un pezzo di pietra da usare, come le è già successo,

per difendersi da un malintenzionato al semaforo.

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All’aereoporto Ferdinando scrive settanta cartoline per altrettanti amici e conoscenti (53), rito iniziato in California. Prossima direzione Marocco, via Rio e Madrid.

In viaggio verso la Spagna, consumata l’ennesima melatonina

cerchiamo di rompere l’ultimo presente esotico, una noce di cocco.

Lo steward si offre in aiuto e nel fondo dell’aereo si esibisce in un’apertura selvaggia, appoggiando la nocesul pavimento e picchiandola con il martello di sicurezza per i vetri.

Le hostess intorno fanno il tifo, urlicchiando divertite e vistosamente nervose!

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M A R O C C O

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A Madrid Ferdinando mi introduce al jamón ibérico de bellota con un bicchiere di rosso, prima di continuare verso Marrakech via Casablanca.

In Marocco il clima è secco, fa freddo. Conosco già la città,ci ero stato negli anni ottanta per dei servizi di moda.

Ora è un’altra storia, grazie al cielo.

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I Marocchini sono in festa per il re, o forse il regime pretende che il re venga festeggiato (59,61),tant’è che ci sono bandierine appese dappertutto (62,63) e di notte Piazza El Fnaa

è illuminata (64,65) e affollata di banchetti che preparano da mangiare.

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Applelittleanthony (la melatonina, così ribattezzata da Ferdinando) funziona, ma la confusionecomincia ad affiorare: in che stagione siamo? In Africa può fare freddo?

Il soggetto questa volta è un trattore, in un mercato all’aperto a un’ora dalla città, direzione est.

I venditori e gli acquirenti si trovano qui ogni tre settimane, arrivando con pulmann stracarichi di tutto e soprattutto di telai di carrozzine (69), pronti per trasportare al posto dei bimbi ogni genere di mercanzia.

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Davanti a una bancarella Ferdinando si illumina: preparano panini simili alla stigghiola siciliana. Sfidando la sorte ne ordiniamo uno a testa, ritrovandoci sotto i denti la conferma delle apparenze,

nel bene e nel male (75).

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Da Marrakech ripartiamo per Istanbul passando da Francoforte, dove Ferdinando si concede una voluttuosa pipatina (77) sotto il cartello “vietatissimo fumare”!

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T U R C H I A

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Siamo in Turchia, in un bellissimo albergo vicino al mare. È mattina e nevica, sembra un disegno a carboncino,ma purtroppo non scatto subito e dopo poco sparisce tutto.

Tanti clacson, e gente che dovunque e continuamente trasporta pacchi,commercia e si inventa qualcosa per guadagnarsi da vivere.

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Al bagno turco marmo, e uomini con i baffoni pronti a impastarti: chiediamo il trattamento completo!Ci danno degli zoccoletti di due misure più corti che fanno un rumore buffo sul pavimento lastricato.

Quasi nessuno nei saloni con alti soffitti a cupola, solo penombra e voci che rimbalzano.In silenzio mi abbandono, pronto a sciogliermi.

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Scattiamo vicino al mare: nell’inquadratura un barista serve una cremosa bevanda al latteagli operai in pausa accanto a una ruspa; in mano ha un vassoio di metallo a più piani,

che tiene dall’alto. Di seguito ancora foto in libertà, questa volta da solo.

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Qualche scatto al cimitero (94), all’Università e alla polizia.Un calligrafo esegue scritte su commissione (95): il cliente ha un autosalone a Daytona.

Un ciabattino lavora in strada e il sacrista pulisce il cornicione della moschea (97,98). Cena con un’amica di Ferdinando e un poeta turco. Visita ad Ari Güler e alla Moschea Blu.

Dalla Fiat ci informano della possibilità di aggiungere una coda di lavoro in Australia: è una bella notizia?

Come cavie per la melatonina forse sì. In volo per Quala Lumpur, Malesia, passando per Dubai.

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Sono in Oriente, veramente straniero. È umido, la luce è opaca e così il mio sguardo, appannato dalla stanchezza.

Non sono mai stato in queste zone e il restare pochi giorni è un vero peccato,

ma la curiosità dell’inizio manca, tanto che l’esclusione dell’Australia dal nostro viaggio ci solleva.

Giriamo per Kuala Lumpur cercando di capirci qualcosa, senza successo.Le Petronas Towers sono in costruzione, ma per la nebbia non si vedono.

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Dobbiamo fotografare le macchine che tagliano i frutti della palma da olio,le cui piantagioni stanno sostituendo metodicamente la foresta primaria.

Un dettaglio medico: la sera prima degli ultimi scatti Ferdinando con una pinzataglia il pezzo di filo che sporge dal mio apparecchio ortodontico,

in definitivo disfacimento.

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Così si conclude il nostro giro e come memoria della Malesiami resta un regalo furtivo di Ferdinando e i foglietti che i Cinesi bruciano

per onorare i morti, che continuo a usare come preziosi biglietti d’auguri.

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11 Marzo1996

Quando riapro gli occhi sono già in trenodalla Malpensa verso Milano,

cercando di riportare l’ombra a terra.

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