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Comunisti per l’organizzazione di classe Aprile 2012 Supplemento a pagine marxiste PARLARE CHIARO E' fatta. Dopo la manovra sulle pensioni di fine anno che ha di fatto cancellato le pensioni di an- zianità e portato a 70 anni il futuro pensiona- mento (!?) delle “giovani generazioni” (tanto “care” al ministro Fornero), ecco arrivata in por- to un'altra “storica riforma”: quella del mercato del lavoro. In sostanza: l'articolo 18 non c'è più. Il lavoratore che volesse proprio far valere i suoi diritti farà meglio a sperare più nel giudice che nel sindacato. E, come dice spudoratamente, ma con il cinismo dei ricchi, Mario Monti: “Gli im- prenditori non si preoccupino. Riavere il posto di lavoro sarà improbabile”. Ben detto. La verità è questa. La verità è che si chiudono anche quei pochi spiragli di “difesa le- gale” rimasti in essere in questo turbinio di licen- ziamenti e precariato che la crisi ha creato e con- tinuerà a creare. Alla faccia di tutto il ciarpame “democratico” che accompagna finte trattative come questa. Al- la faccia di tutte le insulse “sensibilità sociali” che si fa finta di raccogliere. Alla faccia, infine, di quel vergognoso “gioco delle parti” che fa “cantare vittoria” per un gior- no al partito del Re (il PD) e ai suoi tirapiedi del- la Cgil. Penoso, in questo contesto, sia detto di passata, è l'intento della Fiom di far credere che la lotta “continua”, dirottando tutto all'ennesi- ma passeggiata a Roma dentro il “pacchetto” delle 16 ore di sciopero della Cgil. Anche Landini, segretario Fiom, si chiude nel formalismo opportunista delegando al parlamen- to “le modifiche che il governo non ha fatto”. Si sta preparando un nuovo cartello elettorale, in cui confluiranno tutte le parrocchiette ed i falsi movimentismi di una sinistra fallita. Poi anche questa vicenda sarà affogata e “superata” dal succedersi di altre “manovre” e “aggiustamenti” dei Conti Pubblici. La ripresa verso l'alto dello spread, il nuovo to- tem del Mercato, chiede di succhiare nuovo san- gue di proletari, precari, disoccupati, pensionati dell'Unione Europea, il nuovo cartello imperiali- stico inaugurato da Maastricht e che, per ora, fa un sacco di vittime brandendo la sola spada dell'Euro. L'imperialismo italiano, parte integrante e inte- ressata di questo blocco, è dovuto ricorrere al go- verno “tecnico” per rimanere “agganciato” al di- namismo dell'imperialismo trainante, quello te- desco. Ora, col crollo del mito leghista, di uno dei supporti fondamentali del berlusconismo, si aprono nuovi e turbolenti scenari di crisi politica incipiente, che impongono ancora di più al centro -sinistra l'accodamento pronto e supino al capi- tale industriale e finanziario, dentro gli attuali rapporti tra le classi in Italia. Cioè dentro l'at- tuale suddivisione del plusvalore, della ricchezza che gli operai producono per tutti. Gli ultimi appigli formali di “difesa legale” dei lavoratori sono stati svenduti da Bersani e soci in questa ottica. La cassa integrazione e la mobilità, pur essendo solo dei “tamponi” verso il licenziamento, sono stati ridotti all'osso dentro la stessa ottica. Così pure l'allargamento del precariato e la sua “istituzionalizzazione”, nella forma della diffu- sione del contratto d'apprendistato. La borghesia parla chiaro. Monti parla chiaro. I politici borghesi seduti sugli scranni parlamenta- ri parlano chiaro. I “sindacati signorsì” nelle fi- gure di Bonanni ed Angeletti parlano chiaro. Dobbiamo ora far uscire da ogni ambiguità il sindacatone “assertivo” della Cgil e tutti i buro- crati che ancora si accodano alla sua “sinistra”, facendo emergere una semplice verità: E' ORA DI SMETTERLA DI GIOCARE A FARE LE FINTE LOTTE SULLA PELLE DEI LAVORA- TORI !!! E' ORA DI SMETTERLA DI NASCONDERSI DIETRO “OPPOSIZIONI” CHE TALI NON SO- NO!!! E' L'ORA DELLA CHIAREZZA! E' L'ORA CHE “l'emancipazione degli operai sia opera de- gli operai stessi” (K. Marx ). combat combat combat combat

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combat aprile 2012

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Comunisti per l’organizzazione di classe Aprile 2012 Supplemento a pagine marxist e

PARLARE CHIARO E' fatta. Dopo la manovra sulle pensioni di fine

anno che ha di fatto cancellato le pensioni di an-zianità e portato a 70 anni il futuro pensiona-mento (!?) delle “giovani generazioni” (tanto “care” al ministro Fornero), ecco arrivata in por-to un'altra “storica riforma”: quella del mercato del lavoro. In sostanza: l'articolo 18 non c'è più. Il lavoratore che volesse proprio far valere i suoi diritti farà meglio a sperare più nel giudice che nel sindacato. E, come dice spudoratamente, ma con il cinismo dei ricchi, Mario Monti: “Gli im-prenditori non si preoccupino. Riavere il posto di lavoro sarà improbabile”.

Ben detto. La verità è questa. La verità è che si chiudono anche quei pochi spiragli di “difesa le-gale” rimasti in essere in questo turbinio di licen-ziamenti e precariato che la crisi ha creato e con-tinuerà a creare. Alla faccia di tutto il ciarpame “democratico”

che accompagna finte trattative come questa. Al-la faccia di tutte le insulse “sensibilità sociali” che si fa finta di raccogliere. Alla faccia, infine, di quel vergognoso “gioco

delle parti” che fa “cantare vittoria” per un gior-no al partito del Re (il PD) e ai suoi tirapiedi del-la Cgil. Penoso, in questo contesto, sia detto di passata, è l'intento della Fiom di far credere che la lotta “continua”, dirottando tutto all'ennesi-ma passeggiata a Roma dentro il “pacchetto” delle 16 ore di sciopero della Cgil. Anche Landini, segretario Fiom, si chiude nel

formalismo opportunista delegando al parlamen-to “le modifiche che il governo non ha fatto”.

Si sta preparando un nuovo cartello elettorale, in cui confluiranno tutte le parrocchiette ed i falsi movimentismi di una sinistra fallita. Poi anche questa vicenda sarà affogata e “superata” dal succedersi di altre “manovre” e “aggiustamenti” dei Conti Pubblici. La ripresa verso l'alto dello spread, il nuovo to-

tem del Mercato, chiede di succhiare nuovo san-gue di proletari, precari, disoccupati, pensionati dell'Unione Europea, il nuovo cartello imperiali-

stico inaugurato da Maastricht e che, per ora, fa un sacco di vittime brandendo la sola spada dell'Euro. L'imperialismo italiano, parte integrante e inte-

ressata di questo blocco, è dovuto ricorrere al go-verno “tecnico” per rimanere “agganciato” al di-namismo dell'imperialismo trainante, quello te-desco. Ora, col crollo del mito leghista, di uno dei supporti fondamentali del berlusconismo, si aprono nuovi e turbolenti scenari di crisi politica incipiente, che impongono ancora di più al centro-sinistra l'accodamento pronto e supino al capi-tale industriale e finanziario, dentro gli attuali rapporti tra le classi in Italia. Cioè dentro l'at-tuale suddivisione del plusvalore, della ricchezza che gli operai producono per tutti.

Gli ultimi appigli formali di “difesa legale” dei lavoratori sono stati svenduti da Bersani e soci in questa ottica. La cassa integrazione e la mobilità, pur essendo

solo dei “tamponi” verso il licenziamento, sono stati ridotti all'osso dentro la stessa ottica.

Così pure l'allargamento del precariato e la sua “istituzionalizzazione”, nella forma della diffu-sione del contratto d'apprendistato.

La borghesia parla chiaro. Monti parla chiaro. I

politici borghesi seduti sugli scranni parlamenta-ri parlano chiaro. I “sindacati signorsì” nelle fi-gure di Bonanni ed Angeletti parlano chiaro.

Dobbiamo ora far uscire da ogni ambiguità il sindacatone “assertivo” della Cgil e tutti i buro-crati che ancora si accodano alla sua “sinistra”, facendo emergere una semplice verità:

E' ORA DI SMETTERLA DI GIOCARE A FARE LE FINTE LOTTE SULLA PELLE DEI LAVORA-TORI !!! E' ORA DI SMETTERLA DI NASCONDERSI

DIETRO “OPPOSIZIONI” CHE TALI NON SO-NO!!! E' L'ORA DELLA CHIAREZZA! E' L'ORA CHE “l'emancipazione degli operai sia opera de-gli operai stessi” (K. Marx ).

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Quelli che per natura dovrebbero essere i fattori di sviluppo, maturazione ed integrazione degli esseri umani nella “società civile”, costituiscono spesso, sempre piu’ spesso, i “fattori ambientali” che incidono sul rischio di vivere male, o di ammalarsi del “male oscuro”. In Italia gli adulti che hanno sofferto di episodi piu’ o meno prolungati di “depressione” negli ultimi 12 mesi sono 5,4 milioni (il 10,6% della popolazione) così di-stribuiti: il 15% tra i 18-34 anni, il 41% tra i 35-54 anni, il 16% tra i 55-64 anni, il 28% oltre i 65 anni. L’età di apparizione del “male oscuro” si sta abbas-sando sotto i 20 anni e le donne sono le più colpite perché più esposte ai cosiddetti “fattori stressogeni”, tra le aumentate difficoltà nel trovare e mantenere la-voro e reddito poco inclini ad essere compatibilizzate con famiglia, figli, lavoro domestico. Giovani, più spesso donne, vittime “oscure” della di-soccupazione, del precariato o del superlavoro: que-sto l’identikit del depresso metropolitano del terzo mil-lennio. Le asettiche “spiegazioni” sociologiche sulla endemica difficoltà insita nella complessità sociale contempora-nea fanno il paio con la “cura” delle “anomalie di vita”. In sostanza, dopo l’indagine conoscitiva, c’è la medici-na, che spesso diviene psicofarmaco, pasticca (a Mi-lano, negli ultimi 12 mesi, l’8% della popolazione ha fatto uso di antidepressivi!). Eppure, secondo stime mediche italiane ed europee, solo il 20% dei pazienti ha “bisogno” di farmaci, per-ché solo il 20% dei pazienti è “malato” di depressione maggiore. Il restante 80% “curato” come depresso è afflitto, in ordine di importanza, da disturbi d’ansia, mal di testa,

difficoltà del sonno, pressione alta, dolori addomina-li, tristezza. Una pillola un po’ come quella del vecchio servizio militare di leva, che va bene per tutto. E quando la pasticca universale non basta, c’è pron-to l’esercito degli psicoterapeuti, i gruppi di autoaiuto tipo “alcolisti anonimi”, le erbe e la “medicina alter-nativa”, la terapia con la corrente continua, la fotote-rapia, la stimolazione magnetica transcranica, quella del nervo vago e quella cerebrale profonda. Se non basta ancora, il caleidoscopio dell’intervento antidepressivo comprende ancora la cronoterapia che vorrebbe riequilibrare i ritmi biologici fino a “resettarli”, migliorando l’umore complessivo fin dal primo giorno di cura … Naturalmente non ci sono dati riscontrabili circa l’ef-ficacia di questo bombardamento di farmaci, anche perché il “male oscuro” spesso si ripresenta dopo apparenti “guarigioni” tendendo, dopo il 3° episodi o significativo, alla sua cronicizzazione. Per gli sconsolati “malati” non rimane che la fede, con la sua “speranza ultima a morire”, con la sua ricetta compassionevole in bilico tra esorcismo ed attesa messianica del paradiso post-mortem. Gli unici dati certi e statisticamente dimostrabili sono quelli che indicano come nella depressione si altera-no molti ritmi biologico-naturali: l’umore, che di nor-ma è migliore al mattino, si rasserena solo la sera; si dorme poco e male, soprattutto la notte; si sfasa la produzione ormonale togliendo il buonumore. In ultimo, a testimonianza della contraddizione più evidente, la stagione più vitale, la primavera, è quel-la che conosce il maggior numero di suicidi per de-pressione.

Prima ti fanno ammalare, poi ti “Prima ti fanno ammalare, poi ti “Prima ti fanno ammalare, poi ti “Prima ti fanno ammalare, poi ti “curano”.curano”.curano”.curano”. Ma, se “guarisci”, ti “recuperaMa, se “guarisci”, ti “recuperaMa, se “guarisci”, ti “recuperaMa, se “guarisci”, ti “recuperano”.no”.no”.no”.

Ritorni, cioè, nella stessa condizione che ha creato la tua malattia.Ritorni, cioè, nella stessa condizione che ha creato la tua malattia.Ritorni, cioè, nella stessa condizione che ha creato la tua malattia.Ritorni, cioè, nella stessa condizione che ha creato la tua malattia. Torni a fare la stessa vita.Torni a fare la stessa vita.Torni a fare la stessa vita.Torni a fare la stessa vita.

Semplicemente perché non ce n’è un’altra di condizione.Semplicemente perché non ce n’è un’altra di condizione.Semplicemente perché non ce n’è un’altra di condizione.Semplicemente perché non ce n’è un’altra di condizione. E neanche di vita.E neanche di vita.E neanche di vita.E neanche di vita.

Gli stessi che Gli stessi che Gli stessi che Gli stessi che creacreacreacreano il no il no il no il disdisdisdisagio, fanno finta di curarlo, agio, fanno finta di curarlo, agio, fanno finta di curarlo, agio, fanno finta di curarlo, lucrando slucrando slucrando slucrando sullullullulla causa causa causa causaaaa ccccome sull’effetto di questo.ome sull’effetto di questo.ome sull’effetto di questo.ome sull’effetto di questo.

K.MarxK.MarxK.MarxK.Marx----F.Engels “La sacra famiglia” 1845F.Engels “La sacra famiglia” 1845F.Engels “La sacra famiglia” 1845F.Engels “La sacra famiglia” 1845 “Se l’uomo è formato dalle circostanze, si devono rendere umane le circostanze.“Se l’uomo è formato dalle circostanze, si devono rendere umane le circostanze.“Se l’uomo è formato dalle circostanze, si devono rendere umane le circostanze.“Se l’uomo è formato dalle circostanze, si devono rendere umane le circostanze. Se l’uomo è sociale per natura, egli sviluppa la sua vera natura solo nella società, e la po-Se l’uomo è sociale per natura, egli sviluppa la sua vera natura solo nella società, e la po-Se l’uomo è sociale per natura, egli sviluppa la sua vera natura solo nella società, e la po-Se l’uomo è sociale per natura, egli sviluppa la sua vera natura solo nella società, e la po-tenza della sua natura deve trovare la sua misura non nella potenza dell’individuo singolo, tenza della sua natura deve trovare la sua misura non nella potenza dell’individuo singolo, tenza della sua natura deve trovare la sua misura non nella potenza dell’individuo singolo, tenza della sua natura deve trovare la sua misura non nella potenza dell’individuo singolo, ma nella potenza della società”.ma nella potenza della società”.ma nella potenza della società”.ma nella potenza della società”.

Il “male oscuro” del capitalismo.

PASTICCHE O RIVOLUZIONE? “La rivoluzione non è necessaria soltanto perché la classe dominante non può essere abbattuta in “La rivoluzione non è necessaria soltanto perché la classe dominante non può essere abbattuta in “La rivoluzione non è necessaria soltanto perché la classe dominante non può essere abbattuta in “La rivoluzione non è necessaria soltanto perché la classe dominante non può essere abbattuta in nessun’altra maniera, ma anche perché la classe che l’abbatte può riuscire solo in una rivoluzio-nessun’altra maniera, ma anche perché la classe che l’abbatte può riuscire solo in una rivoluzio-nessun’altra maniera, ma anche perché la classe che l’abbatte può riuscire solo in una rivoluzio-nessun’altra maniera, ma anche perché la classe che l’abbatte può riuscire solo in una rivoluzio-ne a levarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e a diventare capace di fondare su basi nuove la ne a levarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e a diventare capace di fondare su basi nuove la ne a levarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e a diventare capace di fondare su basi nuove la ne a levarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e a diventare capace di fondare su basi nuove la società”.società”.società”.società”. K.MarxK.MarxK.MarxK.Marx----F.Engels “L’ideologia tedesca” 1845F.Engels “L’ideologia tedesca” 1845F.Engels “L’ideologia tedesca” 1845F.Engels “L’ideologia tedesca” 1845----1846184618461846

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Siamo di fronte ad una sorta di difficoltà di massa a riconoscere ed integrare il proprio corpo e la propria mente con i ritmi biologici e naturali. Come se questo fosse possibile, come se i ritmi bio-logici e naturali non entrassero da soli in rotta di colli-sione con l’organizzazione della presente società sto-ricamente determinata. Come se dietro sia la causa che l’effetto del “male oscuro” non ci sia solo e sempre il profitto! Basti guardare alla concentrazione metropolitana, uguale a Roma come a Bangkok, a Seul o Città del Messico, a Los Angeles come a Pechino, frutto ovun-que dello stesso processo storico di planetarizzazio-ne capitalista, ed alla sua inevitabile quanto identica spersonalizzazione, alla sua difficoltà relazionale, al suo vangelo competitivo fatto di efficienza e produtti-vità 24h. su 24h., all’alta velocità nei trasporti, nei mo-vimenti, nei rapporti. In Italia, i comuni sopra i 250.000 abitanti, rappresen-tano il 30% della popolazione. Qui, la casa bisogna pagarla il doppio che altrove, ed avere in premio le strade più sporche, il traffico piu’ intenso, l’aria più inquinata, i trasporti più cari e meno puntuali, i “panorami” più squallidi. Ma si può solo anche sopravvivere nella bruttezza di certi quartieri della periferia metropolitana, che anche se non sono favelas, a Roma sono Corviale (2 palaz-zi di cemento armato lunghi un chilometro ed affollati da migliaia di abitanti stipati in 1200 appartamenti) e a Napoli Scampia, massicciamente presidiata dalla camorra e dallo spaccio? Il “bello” è che gli architetti costruttori e le giunte co-munali, che si sono ben guardati dall’abitare nelle loro creature, le spacciano per “luoghi della socializ-zazione” inventandosi perfino alcune per altro diserta-te “feste dei condomini”! Blocchi di cemento iperaffollati “difesi” da sbarre “antirapina” alle finestre, dormitori “venduti” come “realizzazione sociale collettiva”, addirittura come possibili luoghi della socialità e del tempo libero!Quartieri privi di piazze, di teatri, di cinema, di circoli ricreativi, dove anche le vecchie sezioni di partito so-no sparite … il nulla, peggio, una sorta di gigantesca galera a cielo aperto dove dominano, onnipresenti, chiese e sale da gioco. Già, perché anche il vecchio bar, dove magari di cor-sa prima di andare a lavorare, si scambiavano due parole è morto, trasformato in un tetro luogo per di-sperati “grattatori” delle lotterie di stato o di tiratori di slot orfani dei casinò. Come in un cesso, soli e di spalle al mondo, grattano … e perdono, sempre! Eppure “giocano”, sempre di più, in barba e forse di conseguenza alla aumentata miseria materiale e mo-rale che li avvolge.

Già, perché nell’Italia della crisi lo stato biscazziere incassa 72 miliardi di euro l’anno (record europeo!), ed ogni italiano “gratta” per 1200 euro l’anno. Altro che socialità di quartiere e di condominio. Solitudine e voglia di “svoltare” magari “vincendo” una pensione a vita altrimenti inarrivabile, provocano ovunque strappi al tessuto sociale ed a quello dell’a-nima. Prima si atomizzano gli esseri umani, trasformando la loro vita familiare, lavorativa e ricreativa in un carce-re, poi si fa finta di curarli perché si “ammalano”. Di fronte a questa realtà, si può dire che questo mo-dello sociale, questo tipo di sviluppo provoca conti-nua ansia da “prestazione”, continua rincorsa ad “adeguarsi”, a non perdere il ritmo? E si può dire che questa “gara” continua con gli altri, con noi stessi, questo continuo “metterci alla prova”, questa vita che diventa una partita in cui devi sempre vincere, provoca diffusamente, e di risulta, episodi di sconfitta, di sconforto, di lieve (o importante) depres-sione per tutti? E ancora, si può pensare che il “male oscuro” non sia poi così tanto oscuro, ma che le sue motivazioni ulti-me risiedano nel complesso dell’architettura etica e sociale di questo sistema di cose e di vita? L’individualizzazione del “disturbo di vivere” diventa nelle attuali, interessate “cure di riabilitazione”, l’indi-vidualizzazione del rimedio. Un rimedio che evidentemente non solo non funziona ma non può funzionare, perché forse il “male” non è individuale, né senza causa, così come non è elimi-nabile nel campo di concentramento capitalistico. Vogliamo dire che il “male oscuro” è un male inelimi-nabile se non cambiando le condizioni di vita com-plessivi degli esseri umani, e che solo la rivoluzione sociale può produrre questa trasformazione? Certo, vogliamo dire anche questo, ma non solo que-sto. Forse è possibile trovare qualcosa da fare anche qui ed ora per superare il nostro isolamento, per evadere dalla gabbia del lavoro o della disoccupazione, della casa, della famiglia, della religione, degli usi e delle consuetudini consolidate, dei luoghi comuni, dei ruoli prestabiliti da altri. Si può, anche qui ed ora, cambiare il corso prescritto della nostra vita, riscoprendo la coalizione e l’azione collettiva di classe, riuscendo a produrre e prodursi in una attività volontaria, scoprendo nella lotta l’unica vera libertà non commerciabile. Forse questa è la soluzione non millenaristica del “conflitto fra esistenza ed essenza, fra oggettivazione e affermazione soggettiva, fra libertà e necessità, fra individuo e genere. E’ il risolto enigma della storia”. K.Marx-F.Engels Manoscritti economico-filosofici 1844

Contro il logorio della vita moderna Lascia stare il cynar, le pasticche, gli dei e le slot

Scegli la rivoluzione!Scegli la rivoluzione!Scegli la rivoluzione!Scegli la rivoluzione!

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L’Emilia Romagna rimane comunque la nona regio-ne europea per occupati nel settore manifatturiero ed è una delle regioni più popolose della comunità europea. Con più di 400 000 aziende (una ogni 10 abitanti), ripartite tra Agricoltura 68.945, Industria 125 400 16,1 e Servizi 234 246. Più del 98% delle imprese ha meno di 50 addetti, l’impresa media ha 3,5 addetti (5,4 nell’industria, 2,6 nei servizi, 1,2 in agricoltura).

Per la prima volta dopo un lungo periodo di forte espansione nel 2009, si ha avuto una forte contra-zione del volume del commercio internazionale. L’interscambio commerciale ha fortemente risentito della crisi in atto (-25,4%), cosa che si è particolar-mente sentita in Emilia Romagna visto la sua voca-zione all’export.

Nei primi tre mesi del 2011 i prestiti per le imprese in sofferenza sono cresciuti del 19,2% a Bologna e del 19,7% in tutta la regione. Dati ancora più im-pressionanti se si passa dalle percentuali ai crudi numeri. A metà 2011, dice il rapporto Ires, le soffe-renze bancarie delle imprese toccavano il miliardo e mezzo, più del doppio rispetto al 2008.

Se questo è il quadro generale, assistiamo ad una disperata rincorsa della vecchia sinistra nel difendere la bontà di un simile modello, facen-dosi paladina di un nuovo patto per i produttori, incapace di vedere l’estrema connessione che esiste tra sistema finanziario e produttivo che si tramuta nei processi di speculazione e stagna-zione economica. Riproponendo ideologicamen-

te meccanismi di integrazione, ma nei fatti at-tuando e subendo meccanismi de-integrativi. I vari centri studi del PD regionale sembrano tutti ri-scoprire una vocazione laburista classica, un po’ come quello che sta succedendo al labour inglese che dopo la vocazione new labour oggi parla di blue labour … dove questo parlare, al di là del fastidio e contorsionismo, è ancor più inutile dentro gli attuali contesti di accumulazione capitalista.

La crisi che sta investendo l’Emilia, e il suo spe-

Note sulla crisi

Emilia Romagna: la fine del piccolo mondo antico… (parte II)Emilia Romagna: la fine del piccolo mondo antico… (parte II)Emilia Romagna: la fine del piccolo mondo antico… (parte II)Emilia Romagna: la fine del piccolo mondo antico… (parte II)

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cifico assetto sociale, apre tuttavia meccanismi inediti se visti dentro un punto di vista di clas-se, in quanto rompe quel meccanismo di stata-lizzazione/integrazione di classe, che di fatto aveva annullato ogni possibile autonomia di classe. Non è un caso che la stessa epopea set-tantasettina, che ha avuto un importante epicentro a Bologna, riguardava non tanto i meccanismi le-gati alla de-integrazione, ma all’asfissia dello stes-so meccanismo integratore proprio del modello emiliano, che voleva omogeneizzare tutto. Non vo-gliamo in questa sede stroncare i presupposti di quel movimento, alcuni tratti hanno avuto delle in-tuizioni notevoli se viste in un arco storico, non ulti-ma la critica anti-economica che esprimevano al gigantismo produttivista capitalistico, tuttavia erano una minoranza e questo li portava a collocarsi, nel loro agire, unicamente su un piano di riproduzione sociale.

Oggi si assiste invece ad un meccanismo contra-rio, dove si creano delle vere e proprie eccedenze sociali, che vengono create dai meccanismi capita-listici stessi. Dove viene intaccato non solo l’asset-to della riproduzione sociale ma lo stesso meccani-smo produttivo. La compattezza comunitaria socia-le, che annullava ogni possibile autonomia di clas-se, ma che permetteva anche se comunque sotto gli assetti della produzione capitalista, una più equa ripartizione, inizia a franare. Se vista nei suoi tratti immediati questa dinamica può essere letta come una sciagura (rapportata ai meri valori reddi-tuali), ma se leggiamo questo dato come l’uscita dalla gabbia, possiamo scorgervi dopo tanti anni la possibilità finalmente che a livello potenziale la classe possa agire autonomamente e quindi capa-ce di provare ad uscire dalla sua preistoria agendo direttamente non dentro l’economia politica ma co-me forza per la critica dell’economia politica.

Esistono situazioni in cui si può esplicitare un’attivi-tà rivoluzionaria e altre in cui questo è impossibile. Le une e le altre dipendono dai rapporti di forza che si stabiliscono in un dato momento e questo sono a loro volta condizionati dalla situazione eco-nomica.

Non vogliamo dire che il lavoro politico fatto fin qui, da tutte quelle minoranze che si sono poste da un punto di vista di classe fosse inutile, ma fortemente marginale sì (e ultra marginali se rapportate al con-testo emiliano). Solo quando esiste una situazione oggettivamente rivoluzionaria, un’azione rivoluzio-naria è possibile. Una situazione simile nasce dalle contraddizioni dello sviluppo capitalistico, dall’inevi-tabilità della crisi. La teoria, l’attivismo, esistono anche nei momenti in cui è impossibile metterli in pratica. Agisce in anticipo su una prassi rivoluzio-naria futura e nel frattempo trova la sua verifica nello sviluppo effettivo del capitale e nell’intensifi-

cazione dell’antagonismo di classe, ma rimangono comunque schiacciati. Qui stava la forza e l’effica-cia, non solo militare, esercitata dal PCI in Emilia rispetto all’estremismo storico, l’essere stato capa-ce di essere un agente stesso di quel meccanismo di integrazione che ha contraddistinto il processo di accumulazione capitalista, rendendo sterile ogni opposizione.

Se la teoria rivoluzionaria ha per oggetto l’abolizio-ne del capitale, non può trovare che in quest’ultima la sua piena conferma. D’altra parte la prassi rivo-luzionaria, che si sviluppa dentro la lotta di classe e rispetto ai meccanismi stessi dell’accumulazione capitalista, non risponde ai problemi particolari che incontra in un dato momento, poiché le circostanze cambiano continuamente e portano a situazioni imprevedibili. Tali misure sono dettate dalla situa-zione rivoluzionaria che sorge spontaneamente, solo l’azione può dare alla teoria la forma che le permette di corrispondere alla prassi. E’ la situazio-ne rivoluzionaria stessa che agisce sulla coscienza di classe, e può rompere ostacoli organizzativi, cul-turali ecc ... Può apparire fantasioso utilizzare que-ste terminologie, ma per evitare di essere schizzoi-di con la realtà occorre capire e dare il peso ade-guato alle parole che si utilizzano. I meccanismi di crisi che stanno investendo la stessa Emilia, apro-no un orizzonte diverso a tutti coloro che si pongo-no in modo rivoluzionario rispetto al presente, ben più radicale di quello che si sviluppò 30 anni fa. Detto questo rimaniamo convinti che è inutile pro-pagandare la rivoluzione come se fosse un proble-ma di cattiva pubblicità o convinzione, ma occorre capire dove esistono all’interno della lotta di classe quei meccanismi dove la classe può esercitare e non unicamente subire i processi di de-integrazione e quindi l’affermazione di nuovi rap-porti sociali.

Si ha una classe operaia industriale multietnica, una popolazione giovanile che sta subendo una inedita polarizzazione sociale, una popolazione anziana in crescita a cui non corrisponde una rete di servizi che la possa contenere. Un mondo dei servizi che non riesce più a contenere da un punto di vista occupazionale l’emorragia del mondo indu-striale e dove la presenza dei working poor assu-me un tratto generale.

Come ricordato in precedenza stiamo tratteggian-do tendenze e non una catarsi immediata. In questo contesto ciò che rappresenta la sinistra (vecchia e nuovista …) diventa al di là della mi-tologia e della storia, un ostacolo e per certi versi un nemico vero e proprio, poiché legge questa fase con occhi del passato, sognando un piccolo mondo antico che non esiste più …

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Dopo circa tre anni e mezzo dalla dichiarazione ufficiale di crisi è possibile e doveroso tentare di fare un primo bilancio su che cosa è stata questa crisi e sulle conseguenze che essa ha avuto, ed ha, nella condizione operaia. Sul finire del 2008 cominciarono a tagliare posti di lavoro industrie medio-grandi come la Pigna e la S. Pellegrino. Poi a seguire il panorama andò arricchendosi di nomi noti e me-no noti, ma comunque significativi, legati direttamente o indirettamente al gotha del capitalismo: Frattini, Comital (De Benedetti), Tenaris Dalmine, Abb, Brembo (Bombassei), Indesit (Merloni) ... per citarne solo alcune realtà dove la Rete Operaia è intervenuta o ha cercato di intervenire. Per alcune di queste si trattava dello smantellamento definiti-vo (come la Indesit e la Comital), per altre di un ridimensio-namento anche netto (Frattini), per altre ancora di un adegua-mento degli organici in vista della cosiddetta “ripresa” (Abb, Brembo, Tenaris, S. Pellegrino). Alla S. Pellegrino di Ruspino (400 addetti), la direzione ten-tò addirittura la carta della “mobilità” per espellere i “vecchi” e sostituirli con manodopera più giovane e “malleabile”. Solo la forte e decisa mobilitazione dei lavora-tori, con blocco prolungato delle merci, poté sventare il dise-gno, mettendo subito sull'avviso i confederali, pronti ad “entrare nel merito”. Ma per la maggioranza di queste aziende, ed altre ancora (Same Deutz Fahr, Siac, Promatech non si può parlare di “deindustrializzazione” e neppure di “disinvestimento”. Né di “crollo dei profitti”. Infatti, mentre la produzione industriale dell'ultimo trimestre del 2011 vede la provincia di Bergamo calare di un 3,4% sullo stesso indicatore dell'anno prima (solo Mantova in Lombardia fa peggio con un meno 3,9%), se raffrontiamo l'entità dell'export del “Made in Bergamo” nei primi nove mesi del 2011 (dati ISTAT) troviamo che esso supera i 9 miliardi di euro (9 295) a fronte di un import attestato a 6 423 miliardi. Considerando che la provincia, con 95 987 imprese, è la 14a in Italia per industrializzazione, e ben 5a in graduatoria per export (preceduta solo da Milano, Torino, Vicenza e Bre-scia), il quadro che si delinea è piuttosto variegato. E comun-que non riconducibile alle visioni di “miseria di massa” da “crisi irreversibile” così diffuse nei nostri ambienti. Concentrazione, internazionalizzazione (non solo di mercato ma anche di produzione), diversificazione, ma non crollo dei profitti in tutto il settore manifatturiero. Il valore dell'export del 2011 rispetto al 2010 è cresciuto dell' 8,5% (circa un mi-liardo di euro), riportandosi a poche centinaia di milioni di euro sotto i livelli del 2007... Se poi disaggreghiamo l'export per destinazione di aree ve-diamo che il “Made in Bergamo” aumenta di un 9% nel 2011 sul 2010 in Nord America, del 20,1% nell'America Centro-Meridionale, del 17,6% negli “Altri Paesi Europei”, e dell'8,5% nell'Eurozona, che con 6 041 milioni di euro fattu-rati rimane di gran lunga il primo mercato di sbocco. Al “Kilometro Rosso” di Stezzano, del patron Bombassei, si è costituito un “Consorzio per la Meccatronica Intellimech” che sta spingendo per sviluppare sinergie di elettronica, auto-

mazione, robotica, meccanica, in cui un pool di aziende medio-grandi sta fortemente rilanciandosi sui mercati mon-diali. Alcuni nomi: Abb, Bianchi Vending, Brembo Freni, Cms, Cosberg, Enginsoft, Fassi Group, Lovato, N&W, Per-sico, Same Deutz Fahr, Scaglia Indeva, Siad, Tenaris Dal-mine ... (in totale circa 13 000 addetti in provincia). Li chia-mano i “resilienti”, cioè quegli imprenditori che stanno in-serendosi con accresciuta produttività nelle fasce di mercato che la crisi, invece di smorzare, accelera. Vi entrano dopo “tagli” e “dimagrimenti” che hanno caratterizzato gli ultimi tre anni. E che hanno visto da un lato i governi legiferare duro contro i lavoratori, e dall'altro i sindacati confederali svolgere egregiamente il loro ruolo collaborazionista. Ora la fase dell'“impatto”, anche mediatico, dei “salassi” occupazionali nei gruppi medio-grandi sembra per il mo-mento accantonata. L'agonia delle chiusure, dei fallimenti, delle dismissioni investe la micro-impresa, l'artigianato (Bergamo, con 33 859 imprese artigianali, un terzo del totale, è quinta nella graduatoria nazionale), il commercio. Nell'indifferenza più totale. Al massimo si fanno “petizioni” di carità per elargire casse in deroga, le quali, se e quando vengono pagate, accu-mulano ritardi scandalosi. Nelle grandi fabbriche Cgil-Cisl-Uil tornano a trattare di accordi aziendali: sempre più in un clima da apartheid e di imposizione parossistica di maggior produttività. Alla Te-naris, la più grande azienda metalmeccanica della provin-cia, l'azienda è disposta a portare il premio di produttività dagli attuali 1.600 euro a 2.300, in cambio di maggiore fles-sibilità, del legame salario-presenza, dell'eliminazione delle voci “fisse” esistenti. Essa intende pure concedere una mag-giorazione del 15% su indennità legate ai turni, sul lavoro festivo ecc. Alla prima citata S. Pellegrino, è stato firmato da poco un nuovo integrativo di Gruppo per il triennio 2012/'13/'14 che butterà un premio complessivo medio di 6.450 euro, con un aumento di 900 euro sul vecchio premio 2009/'10/'11 (vedi “Il Giornale di Bergamo” 15/03/'12). Si potenziano un “Welfare aziendale”, il telelavoro, il part-time. Alla Dhl Aviation di Orio al Serio (550 occupati, di cui 480 ad Orio) si è rinnovato in questi giorni e l'integrativo e il Premio di Risultato. Totale = 1 665 euro. Esso viene esteso ai dipendenti di Ciampino e Malpensa, di Bologna, di Tre-viso, di Ancona, di Pisa. Ci sono dentro incentivi agli im-piegati ed alla presenza. In mancanza di una iniziativa per il recupero salariale generalizzato, molte aziende elargiscono premi e aumenti significativi senza scioperi, ma in cambio di ulteriore flessibilità e produttività, perché hanno margini di profitto consistenti. Mancando la lotta, gli aumenti sono solo uno strumento per garantire la piena sottomissione dei lavoratori alle esigenze del capitale. Nel contempo Bergamo (dati Cisl) ha perso in questi ultimi tre anni in via definitiva 3 000 posti di lavoro nella sola industria metalmeccanica, vedendo attualmente 10 750 la-

Bergamo: la ripresa dell’export sulla pelle dei lavoratoriBergamo: la ripresa dell’export sulla pelle dei lavoratoriBergamo: la ripresa dell’export sulla pelle dei lavoratoriBergamo: la ripresa dell’export sulla pelle dei lavoratori

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voratori ancora coinvolti tra la varie Casse Integrazioni e la Mobilità … Si va così delineando uno spettro del mercato del lavoro, indirizzato e rafforzato dalla recente manovra del governo Monti, in cui si fa pressione su tutte le componenti ed i seg-menti della classe allo scopo di estrarre più massa di plusva-lore. Pressione sugli occupati a tempo “indeterminato”, che tali lo sono meno di prima. Pressione sui precari, rimasti più di prima in balia dei flussi temporanei di mercato. Pressione sui disoccupati, disposti a farsi ingaggiare a qua-lunque prezzo. I “vecchi” si sentiranno permanentemente sotto ricatto della perdita del posto, anche a livello individuale; ben sapendo

che una volta fuori i pannicelli caldi della “riqualificazione” non serviranno certo a garantire loro un bel nulla. I “giovani” vedranno come un miraggio la possibilità remota di uscire indenni dai tre anni di prova previsti dal Contratto

di Apprendistato, dal quale l'azienda potrà tranquillamente recedere. I migranti si sentiranno ancor di più schiavi dell'arbitrio e delle angherie di padroni e padroncini, col foglio di via sotto ai piedi. Lo spingere sulle nicchie di produttività come unica via per elargire salario, contribuirà sicuramente ad aumentare divi-sioni e concorrenza tra gli sfruttati. I padroni gongolano. I sindacati asserviti trovano nuove motivazioni per il loro isti-tuzionale collaborazionismo. Per questo occorre costruire un largo fronte proletario di lotta e di opposizione allo sfruttamento e, nello stesso tem-po, al capitalismo che lo sostanzia. Stare nelle lotte che, seppur ancora in modo limitato, si pro-ducono. Cercare di alzarne il livello e la continuità; le pro-

porzioni ed il collegamento. Farvi lavoro di massa ed orga-nizzare politicamente i giovani ed i lavoratori più coscienti disposti ad alzare la testa.

SPAGNA: SCIOPERO GENERALE! (corrispondenza dallo sciopero generale del 29 marzo)

Il 29 marzo sciopero generale qui in Spagna per dire “NO” ad una riforma delle leggi sul lavoro che permette di licen-ziare con più facilità e meno costi per le imprese. Vengono ridotti gli indennizzi a carico delle imprese nelle cause di lavoro. Vengono aumentate le tasse sui consumi, cosa fatta a suo tempo anche dal PSOE al governo. Ora il Partido Popular (PP) rincara la dose. Anche questo governo, come il precedente, affoga nella corruzione, ai danni di milioni di lavoratori... Qui sono due anni che è scoppiata la “bolla” immobiliare: un giro “strano”, ma non troppo, di finanziamenti delle ban-che alle imprese di costruzioni... C'era gente che, senza nessun titolo scolastico, magari gua-dagnava 4-5.000 euro al mese come capo cantiere. Ora molti lavoratori dell'edilizia sono rimasti a casa e con le case, che essi stessi costruiscono, ipotecate, in quanto com-prate a debito. Da qualche anno è in atto un incrudimento degli sfratti, che ora coinvolgono centinaia di migliaia di famiglie, trascinate nella povertà insieme ai loro figli, spes-so a carico. Stessa sorte tocca agli anziani non autosuffi-cienti. Anche la Sanità ne è travolta. Chiusi in tutta la Spagna mol-ti ospedali. In quelli rimasti, c'è carenza di personale medi-co ed infermieristico, nonché di medicinali. I tagli alla scuola sono dell'ordine del 23% del Bilancio destinato all'istruzione. Ci sono scuole che non hanno i soldi per pagare le bollette dell'acqua e della luce. In alcuni istituti questo inverno gli studenti hanno dovuto far lezione con addosso i giubbotti per ripararsi dal freddo! Si è arrivati così al 29 marzo, giorno dello sciopero genera-le, indetto dai due principali sindacati spagnoli. Il CCOO e l'UDT. Milioni di manifestanti in tutte le principali città del paese. Ed è toccato a Barcellona ricordare a tutti, compreso i promotori dello sciopero, di cosa stiamo parlando: con gli operai ed i disoccupati non si scherza!

Infatti, sin dal primo mattino, preparati dai “Piquetes Infor-mativos”, centinaia di giovani della città, insieme a compa-gni solidali venuti dalla Grecia, dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dall'Italia, hanno sostenuto per ore ed ore blocchi stradali e scontri di piazza con la polizia. La crisi va scari-cata addosso alla borghesia con la lotta, non con le chiac-chiere! Gli squilibri sociali e lo sfruttamento dilagano qui in Spa-gna, come da voi in Italia e dappertutto. Vedremo cosa succederà. Il governo spagnolo, come tutti i governi borghesi, dice che non “cederà alla piazza”, che “terrà duro”. E che reprimerà chi insiste nel fomentare i “disordini” (i 74 arresti del 29 marzo lo dimostrano). Ma forse è il momento in cui ancora più dura sarà la lotta rivoluzionaria. da Barcellona: Alessandro Mandini

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In tutto il mondo civile la dottrina di Marx si attira la più grande ostilità e l'odio più intenso di tutta la scienza borghese (sia ufficiale che liberale), che vede nel marxismo una specie di "setta perniciosa". E non ci si può aspettare un atteggiamento diverso, poiché una scienza sociale "imparziale" non può esistere in una società fondata sulla lotta di classe. In un modo o nell'altro, tutta la scienza ufficiale e liberale difende la schiavitù del salariato, mentre il marxismo ha dichiarato una guerra implacabile a questa schiavitù. Pretendere una scien-za imparziale nella società della schia-vitù del salariato è una stolta ingenui-tà, quale sarebbe pretendere l'impar-zialità da parte degli industriali nel considerare se occorre aumentare il salario degli operai diminuendo il pro-fitto del capitale. Ma ciò non basta. La storia della filo-sofia e la storia della scienza sociale dimostrano con tutta chiarezza che nel marxismo non v'è nulla che rassomigli al "settarismo" inteso come una specie di dottrina chiusa e irrigidita, sorta fuori dalla strada maestra dello svilup-po della civiltà mondiale. Al contrario, tutta la genialità di Marx sta proprio in ciò, che egli ha risolto dei problemi già posti dal pensiero d'avanguardia dell'umanità. La sua dottrina è sorta come continuazione diretta e imme-diata della dottrina dei più grandi rap-presentanti della filosofia, dell'econo-mia politica e del socialismo. La dottrina di Marx è onnipotente per-ché è giusta. Essa è completa e armo-nica, e dà agli uomini una concezione integrale del mondo, che non può con-ciliarsi con nessuna superstizione, con nessuna reazione, con nessuna difesa dell'oppressione borghese. Il marxi-smo è il successore legittimo di tutto ciò che l'umanità ha creato di meglio durante il secolo XIX: la filosofia te-desca, l'economia politica inglese e il socialismo francese. Ci fermeremo brevemente su queste tre fonti del marxismo, che sono nello

al vecchio e putrido idealismo. Approfondendo e sviluppando il mate-rialismo filosofico, Marx lo spinse fino alle ultime conseguenze e lo estese dalla conoscenza della natura alla co-noscenza della società umana. Il mate-rialismo storico di Marx fu una delle più grandi conquiste del pensiero scientifico. Al caos e all'arbitrio che regnavano fino allora nelle concezioni della storia e della politica, venne sosti-tuita una teoria scientifica integrale e armonica, la quale mostra come da una forma di vita sociale, in seguito all'ac-crescimento delle forze produttive, si sviluppi un'altra forma più elevata, come, per esempio, dal feudalesimo nasca il capitalismo. Allo stesso modo che la conoscenza dell'uomo riflette la natura, che esiste indipendentemente da lui, cioè la mate-ria in sviluppo, così la conoscenza so-ciale dell'uomo (ossia le diverse conce-zioni e le dottrine filosofiche, ecc.) riflette il regime economico della so-cietà. Le istituzioni politiche sono una sovrastruttura che si erige sulla base economica. Noi vediamo, per esempio, come le diverse forme politiche degli Stati europei contemporanei servono a rafforzare il dominio della borghesia sul proletariato.

La filosofia di Marx è il materialismo filosofico integrale, il quale ha dato all'umanità, e particolarmente alla clas-se operaia, un potente strumento di conoscenza.

II Resosi conto che il regime economico costituisce la base sulla quale si erige la sovrastruttura politica, Marx rivolse la sua attenzione soprattutto allo studio di questo regime economico. L'opera

stesso tempo le sue tre parti integranti.

I La filosofia del marxismo è il materia-lismo. Nel corso di tutta la storia mo-derna d'Europa e soprattutto alla fine del secolo XVIII in Francia, dove si combatteva una lotta decisiva contro le vestigia medioevali d'ogni sorta, contro il feudalesimo nelle istituzioni e nelle idee, il materialismo ha dimostrato di essere l'unica filosofia coerente, con-forme a tutti gli insegnamenti delle scienze naturali, ostile ai pregiudizi, alla bigotteria, ecc. I nemici della de-mocrazia perciò hanno cercato con tutte le forze di "confutare" il materiali-smo, di screditarlo, di calunniarlo; essi

hanno difeso diverse forme dell'ideali-smo filosofico, che si riduce sempre, in un modo o nell'altro, alla difesa o al sostegno della religione. Marx ed Engels difesero nel modo più risoluto il materialismo filosofico, e spiegarono ripetutamente l'errore pro-fondo di tutte le tendenze che si allon-tanano da questa base. Le loro idee sono esposte nel modo più chiaro e circostanziato nelle opere di Engels: Ludovico Feuerbach e Antidühring, che - al pari del Manifesto del partito comunista - sono libri indispensabili a ogni operaio cosciente. Marx non si fermò al materialismo del secolo XVIII, ma spinse avanti la filo-sofia. Egli la arricchì delle conquiste della filosofia classica tedesca, soprat-tutto del sistema di Hegel che, a sua volta, aveva condotto Feuerbach al materialismo. La principale di queste conquiste è la dialettica, cioè la dottri-na dello sviluppo nella sua espressione più completa, più profonda e meno unilaterale, la dottrina della relatività delle conoscenze umane, riflesso della materia in perpetuo sviluppo. Le sco-perte più recenti delle scienze naturali - il radio, gli elettroni, la trasformazione degli elementi - hanno splendidamente confermato il materialismo dialettico di Marx, a dispetto delle dottrine dei filo-sofi borghesi e dei loro "nuovi" ritorni

Teoria e princìpi

Tre fon� e tre par� integran� del marxismo Vladimir Lenin (1913)

Con la pubblicazione di questo ar�colo di V.I. Lenin iniziamo una rubrica sulla

teoria comunista inerente ai vari temi di orientamento. L'ar�colo richiama le fon-

� dalle quali sorge il marxismo rivoluzionario. A quasi cento anni di distanza, le

sinte�che e stringen� argomentazioni di Lenin richiamano all'iden�tà dei comuni-

s� e l'a$ualità delle loro concezioni.

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principale di Marx - Il capitale - è con-sacrata allo studio del regime economi-co della società moderna, cioè capitali-stica. L'economia politica classica anteriore a Marx nacque in Inghilterra, il paese capitalista più progredito. Adam Smith e David Ricardo, studiando il regime economico, gettarono le basi della teo-ria secondo cui il valore deriva dal la-voro. Marx continuò la loro opera, det-te una rigorosa base scientifica a questa teoria e la sviluppò in modo coerente. Egli dimostrò che il valore di ogni mer-ce è determinato dalla quantità di lavo-ro socialmente necessario, ovvero dal tempo di lavoro socialmente necessario alla sua produzione. Là dove gli economisti borghesi vede-vano dei rapporti tra oggetti (scambio di una merce con un'altra), Marx scoprì dei rapporti tra uomini. Lo scambio delle merci esprime il legame tra sin-goli produttori per il tramite del merca-to. Il denaro indica che questo legame diventa sempre più stretto, fino ad uni-re in un tutto indissolubile la vita eco-nomica dei produttori isolati. Il capitale indica lo sviluppo ulteriore di questo legame: la forza-lavoro dell'uomo di-venta una merce. L'operaio salariato vende la sua forza-lavoro al proprietario della terra, delle fabbriche, degli strumenti di produzio-ne. L'operaio impiega una parte della giornata di lavoro a coprire le spese del mantenimento suo e della sua famiglia (il salario), e l'altra parte a lavorare gratuitamente, creando per il capitalista il plusvalore, fonte del profitto, fonte della ricchezza della classe dei capitali-sti. La dottrina del plusvalore è la pietra angolare della teoria economica di Marx. Il capitale, creato dal lavoro dell'ope-raio, opprime l'operaio, rovinando i piccoli proprietari e creando un eserci-to di disoccupati. Nell'industria, la vit-toria della grande produzione è eviden-te a prima vista; ma anche nell'agricol-

tura osserviamo lo stesso fenomeno: la superiorità della grande azienda agrico-la capitalistica aumenta, l'impiego delle macchine si estende, l'azienda contadi-na cade sotto le grinfie del capitale finanziario, decade e va in rovina sotto il peso della sua tecnica arretrata. Nell'agricoltura le forme della deca-denza del piccolo produttore sono dif-ferenti, ma la decadenza è un fatto in-discutibile. Il capitale, prendendo il sopravvento

sulla piccola produzione, porta a un aumento della produttività del lavoro e crea una situazione di monopolio per le associazioni dei più grandi capitalisti. La produzione stessa diventa sempre più sociale: centinaia di migliaia e mi-lioni di operai sono legati a un organi-smo economico sottoposto a un piano regolare, ma un pugno di capitalisti si appropria il prodotto del lavoro comu-ne. Crescono l'anarchia della produzio-ne, le crisi, la corsa sfrenata alla con-quista dei mercati, l'incertezza dell'esi-stenza per la massa della popolazione. Accrescendo la dipendenza degli ope-rai di fronte al capitale, il regime capi-talistico crea la grande forza del lavoro riunito. Marx seguì l'evoluzione del capitali-smo dai primi rudimenti dell'economia mercantile, dal semplice baratto fino alle sue forme superiori, fino alla gran-de produzione. E l'esperienza di tutti i paesi capitalisti-ci, tanto vecchi che nuovi, dimostra con evidenza a un numero di operai di anno in anno sempre più grande la giu-stezza di questa dottrina di Marx. Il capitalismo ha vinto in tutto il mon-do, ma questa vittoria non è che il pre-ludio della vittoria del lavoro sul capi-tale.

III Quando il regime feudale fu abbattuto e la "libera" società capitalistica venne alla luce, si vide subito che questa li-bertà significava un nuovo sistema di oppressione e di sfruttamento dei lavo-ratori. Diverse dottrine socialiste inco-minciarono ben presto a sorgere, come riflesso di questa oppressione e prote-sta contro di essa. Ma il socialismo primitivo era un socialismo utopistico. Esso criticava la società capitalistica, la condannava, la malediceva; sognava di

distruggerla e fantasticava di un regime migliore; cercava di persuadere i ricchi

dell'immoralità dello sfruttamento. Ma il socialismo utopistico non poteva indicare una effettiva via di uscita. Non sapeva né spiegare l'essenza della schiavitù del salariato sotto il capitali-smo, né scoprire le leggi del suo svi-luppo, né trovare la forza sociale capa-ce di divenire la creatrice di una nuova società. Intanto le rivoluzioni tempestose che, in tutta l'Europa e principalmente in Francia, accompagnarono la caduta del feudalesimo e del servaggio, dimo-stravano in modo sempre

più evidente che la base e la forza motrice di ogni sviluppo era la lotta di classe. Nessuna vittoria della libertà politica sulla classe dei signori feudali fu otte-nuta senza incontrare una resistenza disperata. Nessun paese capitalistico si organizzò su una base più o meno libera, più o meno democratica, senza una lotta a morte tra le diverse classi della società capitalistica. La genialità di Marx consiste nel fatto che da ciò egli seppe, per primo, trar-re ed applicare coerentemente la con-clusione che la storia universale inse-gna. Questa conclusione è la dottrina della lotta di classe. Fino a quando gli uomini non avranno imparato a discernere, sotto qualun-que frase, dichiarazione e promessa morale, religiosa, politica e sociale, gli interessi di queste o quelle classi, essi in politica saranno sempre, come sono sempre stati, vittime ingenue degli inganni e delle illusioni. I fauto-ri delle riforme e dei miglioramenti saranno sempre ingannati dai difenso-ri del passato, fino a quando non avranno compreso che ogni vecchia istituzione, per barbara e corrotta che essa sembri, si regge sulle forze di queste o quelle classi dominanti. E per spezzare la resistenza di queste classi vi è un solo mezzo: trovare nel-la stessa società che ci circonda, edu-care e organizzare per la lotta forze che possono - e che per la loro situa-zione sociale debbano - spazzar via il vecchio ordine e crearne uno nuovo. Soltanto il materialismo filosofico di Marx ha indicato al proletariato la via di uscita dalla schiavitù spirituale nel-la quale hanno vegetato fino ad oggi tutte le classi oppresse. Soltanto la teoria economica di Marx ha chiarito la situazione reale del proletariato nel regime capitalistico. In tutto il mondo, dall'America al Giappone, dalla Svezia all'Africa del sud, si moltiplicano le organizzazioni indipendenti del proletariato. Condu-cendo la propria lotta di classe, il pro-letariato si istruisce e si educa, si libe-ra dai pregiudizi della società borghe-se, acquista una coesione sempre maggiore, impara a misurare i suoi successi, a temprare le sue forze, e si sviluppa in modo irresistibile.

Articolo pubblicato nella rivista Prosvestcenie, n. 3, marzo 1913; questo numero era dedicato al trentesimo anniversario della morte di Marx. Estratto da Opere Scelte - Editori Riuniti 1965 - pag. 475 - 480. Preso dal sito internet http://www.marxists.org Trascritto per Internet da Ivan, Gennaio 1999

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E' sempre più macelleria sociale

Sciopero ad oltranza fino alla caduta di Monti! L'assalto all’articolo 18, ultimo fortino di ciò che resta dei diritti dei lavoratori, dopo l’incontro del 20 marzo è oramai realtà. Governo, Confindustria, Cisl e Uil, vor-rebbero cancellare la «reintegra» sul posto di lavoro tra-mite la sentenza del giudice per quanto riguarda i “motivi economici e disciplinari”. L’unico divieto che resterebbe in piedi è quello di licenziare a causa di «motivi discriminatori», che giuridicamente è il caso più difficile da dimostrare in aula. Ora che il governo gioca a carte scoperte, la Fornero dichiara apertamente di voler concludere la sua riforma per renderla attiva dal 2015, dove l’eliminazione di fatto dell’articolo 18 verrebbe controbilanciata da una “paccata di soldi” che neanche la stessa ministra per sua stessa ammissione sa dove tro-vare. Intanto, le pur misere concessioni sul fronte preca-rietà e sulla generalizzazione degli ammortizzatori so-ciali vengono in fretta rimangiate.

Ora, dopo aver ottenuto un più che scontato lasciapassa-re dai servi scodinzolanti di Cisl e Uil, Monti e il suo governo di zerbini dei padroni e della BCE oggi affer-mano a chiare lettere che la legge sui licenziamenti sel-vaggi è compito delle Camere e non dei tavoli di trattati-va con le “parti sociali”: tale condotta, oltre a mostrare i muscoli alla CGIL (pur sempre disponibile e “responsabile” quando si tratta di negoziare al ribasso lo smantellamento dei diritti), serve al governo per accele-rare i tempi e consegnare al più presto il “trofeo di guer-ra” dell'articolo 18 a quei mercati sempre più affamati di profitti a costo zero con cui tamponare momentanea-mente i colpi della crisi generale del sistema capitalisti-co esplosa nel 2008 e le conseguenti voragini dei debiti sovrani. Ma il dato più importante, riconosciuto dagli stessi orga-ni di stampa padronali è che la condotta arrogante e de-cisionista dell'attuale governo sancisce in via definitiva la fine dell'era della concertazione: tale strumento, di cui i padroni e i loro governi si sono serviti nell'era di vacche grasse per accaparrarsi con l'assenso di Cgil-Cisl-Uil la stragrande maggioranza della ricchezza prodotta

a scapito dei salari e delle tutele, ora viene mandato in soffitta per il semplice motivo che in epoca di crisi non c'è più nulla da distribuire e i padroni, che prima preten-devano sempre di più per poi concedere le briciole, ora esigono tutto! È necessario poi ricordare che l'articolo 18, di cui oggi si tenta la cancellazione formale e generalizzata per tutte le figure contrattuali e per ogni fattispecie di licen-ziamento, nella sostanza già oggi rappresenta una tutela vera e propria solo per una minoranza dei lavoratori sa-lariati, in quanto:

1. Già all'atto dell'approvazione della legge 300/1970 (statuto dei lavoratori) dalle coperture derivanti dall'ar-ticolo 18 erano esclusi tutti i lavoratori delle aziende con 15 o meno dipendenti: un esercito non trascurabile se si considera che il sistema produttivo italiano, so-prattutto a seguito delle dismissioni industriali su larga scala a cavallo degli anni '90, ha visto una crescita sempre maggiore di piccole e piccolissime aziende nel-le quali sono sempre state consentite le più brutali for-me di sfruttamento. Guarda caso, quando nel 2003 si è tenuto un referendum per allargare il divieto di licen-ziamento senza giusta causa anche a questi lavoratori, il PD (all'epoca DS) e la gran parte della Cgil invitaro-no insieme a Cisl, Uil e al 90% dell'arco parlamentare a disertare le urne, contribuendo in maniera decisiva ad affossare tale referendum!

2. La tanto strombazzata libertà di licenziamento per “motivi economici” che il governo tenta di far passare in nome della “responsabilità nazionale” e usando co-me alibi lo spettro crisi, riguarda solo i casi di licenzia-mento individuale, poiché già con la legge 223 del 1991 fu sancita, col beneplacito dei confederali e della sinistra di stato, la legittimità dei licenziamenti collet-tivi per riduzione di personale o cessazione di attività: una norma, questa, di cui i padroni hanno abusato in tutte le forme negli ultimi due decenni, spesso spac-ciando per cessazione di attività normali “ristrutturazioni” aziendali sotto forma di cambio di

Da Roma: [email protected] Via Appia Nuova 357 Martedì, ore 17 ed ore 21:30 Giovedì ore 17 Domenica ore 18 Da Milano: [email protected] Piazzale Nigra 1 tel. 0239325048

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le di Milano Direttore Responsabile: Monica Bacis

Stampato in proprio, Milano, Piazza Nigra 1, 20 aprile 2012

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ragione sociale o cessione di ramo, il tutto sempre in nome della corsa senza freni al profitto e allo sfrutta-mento.

3. Milioni di lavoratori, in pratica la maggioranza delle giovani generazioni, l'articolo 18 semplicemente non l'hanno mai conosciuto: parliamo dell'esercito di preca-ri e sottoccupati condannati a rimanere tali all'infinito grazie alla legge 196/97, nota come Pacchetto Treu e varata dal primo governo Prodi col sostegno dell'intera sinistra parlamentare e l'appoggio entusiasta di Cgil-Cisl-Uil. In sostanza, senza il ruolo di questi ultimi, quella precarietà (sotto forma di lavoro interinale, Co.Co.Co., ecc.) che oggi condanna a un futuro senza prospettive un intera generazione non sarebbe divenuta la forma dominante e più brutale di sfruttamento. Che poi al peggio non ci sia mai fine è dimostrato dalla suc-cessiva legge 30 del 2003 (nota come Legge-Biagi), che non ha fatto altro che peggiorare e generalizzare quelle norme che il centrosinistra aveva introdotto (vedi gli attuali Co.Co.Pro.) ...

4. Idem per il mondo delle cooperative, laddove la leg-ge 142 del 2001 sul socio-lavoratore ha reso possibile disapplicare l'articolo 18 e gran parte dello Statuto per quei lavoratori che in maniera truffaldina vengono spacciati come soci di cooperativa pur essendo dipen-denti, subordinati e spesso soggetti a forme di sfrutta-mento di tipo cinese, come in gran parte delle coopera-tive di produzione o nel vero e proprio mercato delle vacche rappresentato dalle cooperative cosiddette “sociali”. La Cgil, l'attuale PD e gli stessi partitini della “sinistra radicale” (all'epoca il Prc) non potevano certo essere contrari, in quanto essendo i principali azionisti di colossi quali Legacoop e Unipol, sono stati tra i pri-mi, seppur non gli unici, a trarre vantaggi (e profitti) da quest'ennesimo attacco ai diritti di chi lavora, dunque non potevano certo andare contro i loro interessi di padroni o padroncini.

5. Nel pubblico impiego l'articolo 18 è stato già ampia-mente scardinato dal governo Berlusconi con la rifor-ma Brunetta, la quale ha sancito la possibilità di licen-ziare senza giusta causa i dipendenti che si rifiutano di accettare i trasferimenti. In questo caso il primo affon-do è venuto da destra, ma non ricordiamo particolari levate di scudi da parte dei confederali o delle cosid-dette “sinistre”.

6. Da recentissime indagini condotte da ministero del Lavoro, Inps, Inail ed Empals, è emerso che il 61% delle aziende controllate è risultata “irregolare” e il 38% dei suoi lavoratori completamente in nero. Dun-que, quale articolo 18 può mai rivendicare un salariato che per lo stato italiano semplicemente non esiste?

7. Dunque, a lottare per la sopravvivenza dell'articolo 18 restano in sostanza gli operai delle fabbriche medio-grandi e pochi altri comparti produttivi e dei servizi: un esercito di non poco peso, e che storicamente si è sem-pre dimostrato il cuore e la punta di diamante dell'inte-ra classe lavoratrice, capace anche da solo di far saltare

i piani del padronato. Peccato, però che quella Cgil che oggi dice di voler chiamare gli operai allo sciopero generale contro i piani del governo, sia la stessa che, dopo aver isolato la classe operaia dividendola al suo interno e con il resto dei lavoratori con le “riforme” di cui sopra, in questi ultimi mesi ha prima dato il suo assenso al Piano Marchionne in Fiat che reintroduce in fabbrica forme di sfruttamento e di repressione inaudi-te, arrivando a delegittimare persino la “sua” Fiom, poi ha firmato entusiasta i famigerati accordi del 28 giugno scorso coi quali si apre la strada allo smantellamento del contratto collettivo nazionale e si sancisce il model-lo-Marchionne come riferimento per l'intero mondo del lavoro.

Se tutto ciò è vero, è evidente che di fronte a quest'enne-sima rapina è in ballo l'ultimo baluardo di un tessuto di tutele e di conquiste che è già stato ampiamente scardi-nato da 15 anni a questa parte, ed è altrettanto evidente come per difendere dai licenziamenti indiscriminati quei lavoratori che ancora ne sono immuni non può bastare una semplice lotta difensiva, la quale, nel contesto di frantumazione della classe come quello attuale, sarebbe destinato inevitabilmente alla sconfitta. Si tratta dun-que di rialzare la testa, e di farlo in fretta, scegliendo l'unica strada che ai padroni fa davvero paura: lo sciopero e la lotta ad oltranza, che parta dalla difesa sacrosanta dell'articolo 18 e non si limiti ad essa, ma punti ad allargare il fronte e a ricomporre i mille pezzi del puzzle dello sfruttamento salariato che 20 anni di controriforme ci hanno consegnato. Dunque in primo luogo l'allargamento delle tutele previste dallo statuto a tutti i lavoratori; l'abolizione di tutte

le forme di lavoro precario e sottopagato; la riduzio-

ne generalizzata dell'orario di lavoro con la reintro-duzione per legge della scala mobile; ma soprattutto

la lotta per il salario garantito, nella duplice accezio-ne di salario minimo orario per ogni prestazione la-vorativa e reddito garantito per tutti i disoccupati sia in forma monetaria che in termini di accesso alla ca-sa e ai beni comuni. La condizione del movimento di classe nel nostro paese impone necessariamente la definizione di riposte capaci realmente di costruire l’opposizione sociale e politica alle manovre di questo governo che, a livello sindacale e nelle situazioni lavorative, necessariamente riparte dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro tramite la formazione di comitati auto - convocati di lavoratori, trasversali alle sigle sindacali, che a partire dai singoli luoghi di lavoro diano vita a casse comuni di resistenza contro i licenzia-menti e i soprusi dei padroni, e che lavorino a uno scio-pero unitario e nazionale contro i piani del governo ita-liano ed europeo, e nella prospettiva di uno sciopero unitario europeo.

A cura del Laboratorio Politico Iskra [email protected]

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All'interno del porto di La Spezia dal 2008 alcuni lavorato-ri della cooperativa di servizi, la Dock Service, hanno svi-luppato una lotta auto organizzata per il riconoscimento di alcuni diritti e per il miglioramento delle condizioni di la-voro. La Dock Service nasce nel 2002, fondata da ex soci Duve-co, nonché rappresentanti sindacali della Cisl. Questa coo-perativa presta servizi di manodopera per conto e su com-missione di LSCT (La Spezia Container Terminal), del gruppo Contship/ Euro Gate. Occupa, tra soci e dipendenti, circa 200 lavoratori. La sua attività consiste nel gestire qualsiasi operazione manuale legata al carico/scarico dei container a bordo di navi ed in banchina. Ma, c'è un ma...: non viene applicato il Contratto Nazionale di Lavoro. Il regime di flessibilità imposto è superiore a quello previsto, senza pagamento delle maggiorazioni. Per non parlare della flessibilità richiesta nei giorni festivi e le comunicazioni repentine dei cambi turno fatte al personale. Non ci sono indennità per il lavoro disagiato, né per il lavo-ro prestato oltre il 6° giorno consecutivo. La sicurezza e la salute, qui più che in molte altre parti, sono un optional... Un lavoratore portuale, una ventina d'anni fa, guadagnava di più di questi lavoratori, nonostante le merci movimenta-te fossero almeno dieci volte inferiori... In breve tempo, il sindacato “fondatore” della cooperativa, coadiuvato dagli altri due compari di merende, è diventato controparte, padrone a tutti gli effetti. Un padrone assoluto, dispotico, arrivando al punto di non convocare neppure le assemblee dei “soci”, per non rischiare contestazioni. Così i lavoratori si sono messi in prima persona a coaliz-zarsi ed hanno iniziato a lottare, elaborando una Piattafor-ma Rivendicativa in merito ai punti prima esposti. E lo hanno dovuto fare per forza di cose FUORI dai sindacati ufficiali. Questa Piattaforma è stata fatta girare tra i lavoratori, con l'appoggio palese della nostra “Rete contro la Precarietà”, della quale fanno parte alcuni degli stessi lavoratori della cooperativa. La successiva raccolta di firme dei diretti inte-ressati per sostenere le rivendicazioni mette la cooperativa con le spalle al muro, costringendola non solo a convocare in fretta e furia l'assemblea, ma in seguito a fare pure delle concessioni su alcune delle richieste. Scatta allora, a seguito di tutto ciò, un'operazione di “recupero” dei lavoratori in lotta, condita da un mix di blandizie e di velate minacce, manifestatisi tra l'altro nell'e-spulsione di lavoratori con contratto a termine. Quello che “spiazza” l'impostazione di questa lotta diretta è il ritorno dentro i binari di buona parte degli “auto organiz-zati” (una settantina), che prendono la tessera Cisl con l'in-tento di cambiare i delegati e mettere in contraddizione questa burocrazia. Cosa plausibile, a quel punto, dal mo-mento che noi stessi ci eravamo costruite troppe aspettative rispetto agli sbocchi della lotta, non avendo tra l'altro da parte nostra elaborato un progetto d'intervento a largo rag-gio...

SUL FRONTE MARE A LA SPEZIA

La lotta dei lavoratori portuali della cooperativa Dock Service.La lotta dei lavoratori portuali della cooperativa Dock Service.La lotta dei lavoratori portuali della cooperativa Dock Service.La lotta dei lavoratori portuali della cooperativa Dock Service.

Da rilevare anche un altro dato: l'inadeguatezza, a dir poco, del sindacalismo di base qui presente, nella figura della CUB, che dopo qualche timido approccio lascia pratica-mente il campo ai confederali. Questa esperienza, che non riteniamo conclusa, ci porta a fare delle considerazioni sui limiti, e però anche sugli spunti positivi, dell'iniziativa di auto organizzazione fatta dalla “Rete contro la Precarietà”. Limiti. Non siamo riusciti a produrre una iniziativa pubbli-ca che coinvolgesse Comitati solidali e singoli. Non siamo riusciti a trasmettere appieno le nostre idee ai lavoratori. Positività. Abbiamo fatto esperienza di una ripresa di un lavoro politico dentro una realtà lavorativa molto simile alla “classica” realtà di fabbrica, riscontrando nella pratica che, se si può pensare ad un superamento della “centralità” operaia, questo non investe la centralità del mondo del la-voro, in tutti i suoi aspetti. Abbiamo provato a ri-articolare un discorso complessivo di classe. Abbiamo riflettuto e riflettiamo sul limite intrin-seco del sindacato come strumento adeguato di lotta, anche di quella minima, dal momento che esso non esce dai limiti istituzionali. Dalla nostra lotta si può dedurre un aspetto sicuramente legato alla difficoltà di unire le persone ed alla perdita di identità di classe. Il problema di sempre è che se la classe non riesce a riconoscersi e ad esprimersi con POLITICHE QUOTIDIANE E MATERIALI, rimane in balia dei valori della classe dominante. L'aspetto importante è che spesso si tende a confondere lo strumento con il fine. Nel nostro caso ad esempio i lavoratori della Dock Service, che sono entrati nella Cisl, hanno visto il sindacato come fine...ritornando nella disillusione. Gli strumenti che il capitale esprime come forma statuale (Ispettorato del Lavoro, Asl, giudice del lavoro ...) sono rappresentazioni del capitale stesso che evidentemente non possono esprimere la soluzione dei problemi. Storicamente la classe operaia ha sempre risolto i problemi attraverso le pratiche di lotta, le cui rivendicazioni, quando diventavano pratiche troppo allargate, sono state necessa-riamente e cautamente riconosciute dallo Stato. Ma quello che conta per davvero sono i rapporti di forza che i lavora-tori riescono a costruire. Data una condizione di debolezza, oppure in certi momenti particolari, può essere utile far risaltare delle contraddizio-ni, ed allora tatticamente è comprensibile il ricorso ad azio-ni legali, esposti o quant'altro, ma deve essere chiaro che sono mezzi temporanei, espressione arretrata anche in un'ottica sindacale. Chi si confronta con la vita reale sa bene che non ci sono vittorie scritte sulla carta, ma solo battaglie quotidiane da affrontare. AUTONOMIA SPEZZINA [email protected]

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Genova: spunti per una inchiesta in divenire Questa è la prima parte di una serie di contributi sull'area metropolitana e portuale geno-vese scritti da un compagno del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova. Que-sto primo intervento cerca di fare una sintetica fo tografia di alcuni significativi cambia-menti intervenuti nel tessuto produttivo e urbano e le loro conseguenze sulla composizio-ne di classe. Questa inchiesta in divenire vuole es sere uno strumento di conoscenza e riflessione per il progetto della rivista e per i s uoi lettori.

Genova è stata interessata nei decenni precedenti da un processo di de-industrializzazione, senza che emergessero contemporaneamente altri settori di sviluppo trainanti. Il porto nelle sue varie compo-nenti (turistico, commerciale, petrolifero e industria-le), rimane centrale per l'economia della città e di tutto il Nord-Ovest italiano. Il porto di Genova e in proporzione gli altri porti ligu-ri - quello di La Spezia in particolare - sono infatti passaggi obbligati per le merci provenienti dal e dirette al sistema manifatturiero dell'Italia centro-settentrionale, cerniera tra i traffici da e per il Medi-terraneo del Sud - e l'Africa in generale - ponte con l'Asia, in particolare la Cina. Se si escludono i settori collegati al complesso mili-tare-industriale e della sicurezza con Elsag e Selex che sono ora un'unica azienda e la Eriksson (ex-Marconi), il settore bio-medicale con l'Esaote, l'elet-tronica con Ansaldo Sistemi Integrati e l'energia con L'Ansaldo Energia, non ci sono poli di sviluppo che abbiano sostituito e dato slancio allo sviluppo economico della città. L'ultima occasione per fortuna ora persa, ma in realtà solo rimandata, è legata allo sviluppo del nu-cleare, su cui una configurazione di interessi, che vanno dalla ricerca scientifica alla costruzione e alla gestione di una centrale, vedevano molti attori genovesi coinvolti, dall'università a molte aziende del settore. Il rilievo dato al "dibattito" sul nucleare nel corso di una delle più importanti vetrine per la città che è il Festival della Scienza ne è un esempio. L'ILVA presente su una ampia porzione di territorio delle ex acciaierie di Cornigliano, sebbene manten-ga impiegata una porzione importante di classe la-voratrice, ha tuttora una parte consistente dei lavo-ratori in Cassa Integrazione. Il declino industriale della città, tranne i settori nic-chia indicati, ha portato ad un ridimensionamento demografico significativo, da circa un milione di abi-tanti nel suo picco all'inizio degli anni Settanta ad un terzo in meno attualmente. Ma l'identità operaia e la vocazione industriale, in parte l'orgoglio per i cicli di lotte precedenti, riman-gono vivi e diffusi, senso comune che ha permesso

una identificazione di interessi anche in altri sog-getti nelle recenti mobilitazioni contro la chiusura del cantiere di Sestri Ponente (tassisti che espon-gono l'adesivo “Fincantieri non deve chiudere”, commercianti che manifestano con gli operai, ope-rai in pensione che si uniscono alla lotta, ecc.), o lo sciopero con manifestazione contro le recenti mo-difiche al mercato del lavoro; iniziative che sono state le prime in Italia e forse le più impattanti an-che se limitate nel tempo: un giorno, e prevalente-mente in un comparto, quello metalmeccanico. Quello che un tempo si sarebbe chiamato il rap-porto fabbrica-territorio resta una chiave di lettura importante per lo sviluppo della lotta di classe in un settore che, se anche ridimensionato numerica-mente, inquadrato sindacalmente nella FIOM, e almeno in parte diretto politicamente in alcuni dei suoi quadri sindacali più attivi da Lotta Comunista (che ha preso il posto vacante di un PCI scompar-so), esprime potenzialità che vanno oltre la sua attuale rappresentazione politico-sindacale. Conclusosi il ciclo di sviluppo del secondo dopo-guerra sono rimaste le pesanti eredità di una pro-gressiva sottrazione del mare ai genovesi, di cui l'ultimo esempio è l'ampliamento del porto con la costruzione del VTE a Voltri nell'estremo ponente genovese, la difficile riqualificazione post-industriale del territorio, del quale l'esempio più eclatante è l'area delle ex-acciaierie a Cornigliano così come dell'intero quartiere, o il difficile equili-brio tra bisogno occupazionale e tutela ambientale. Come il caso della centrale a carbone dell'Enel, presente in porto accanto alla Lanterna, dietro il secondo quartiere più popoloso di Genova, Sam-pierdarena. L'alta densità demografica di alcuni quartieri, com-binata con il taglio dei già scarsi servizi, sta portan-do a situazioni sempre più emergenziali, in partico-lare rispetto a mobilità, assistenza sanitaria e ma-nutenzione complessiva... Come in altre città una porzione di territorio che era destinata all'industria è stata utilizzata dai na-scenti templi del consumo (Fiumara e Campi). Me-

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no dall'edilizia residenziale, vista la già abbondante cementificazione delle colline, con una relativamen-te nuova concentrazione di lavoratori nel settore commerciale, impiegata prevalentemente nei colos-si del settore (Ikea, Leroy Merlin, Decathlon, Media-world, ecc.). Attualmente la crisi della cantieristica, con la paven-tata “chiusura” del cantiere di Fincantieri di Sestri Ponente e la crisi del settore della “riparazioni nava-li” (Mariotti e San Giorgio) approfondiscono queste dinamiche di de-industrializzazione, con le relative ricadute nell'indotto, oltreché nel tessuto commer-ciale e nel mercato immobiliare, determinando un impoverimento crescente in una porzione rilevante della classe lavoratrice e del territorio in cui abita. Le Grandi Opere previste sul territorio genovese, Gronda di Ponente e “Terzo Valico”, oltre ad un de-vastante impatto ambientale in un contesto già ur-banizzato e già provato dal ciclo industrializzazione-deindustrializzazione, sebbene sostenute insieme al blocco sociale dominante anche dal sindacalismo confederale, compresa la FIOM, non porteranno alcun beneficio in termini occupazionali, ma alla "cantierizzazione" di vaste porzioni di territorio con le relative immaginabili conseguenze. Mentre gli altri progetti di “cementificazione”, sotto la copertura della messa in sicurezza come in Val Bisagno, agiscono su un territorio destinato a fare ancora i conti con catastrofi provocate dall'urbaniz-zazione del territorio senza che venissero appronta-te le minime misure di sicurezza, e gravano su una popolazione che ogni anno si fa carico di ripristinare la vita quotidiana dei quartieri più colpiti dalle allu-vioni: lo scorso anno è toccato a Marassi, l'anno prima a Sestri. Questo mix di assenze di prospettive occupazionali per le nuove generazioni, lo spettro di una ulteriore cementificazione in un contesto in cui i nodi dello "sviluppo" precedente vengono sempre più al petti-ne, la posizione di "transito" delle merci con le loro pochissime ricadute "positive" per la popolazione, possono mettere in moto processi simili a ciò che è successo a pochi giorni dall'ultima alluvione, quan-do porzioni organizzate di lavoratori ed attivisti di vario stampo, insieme a giovani e giovanissimi, si sono organizzati per ripristinare la vita quotidiana di un quartiere popolare invaso dal fango, marginaliz-zando l'intervento della protezione civile e dei vigili del fuoco, maturando una maggiore coscienza di cosa significa legare i propri destini agli amministra-tori dell'esistente. I tradizionali quartieri operai sono divenuti i naturali luoghi di insediamento dei flussi migratori con una importante componente latino-americana, in parti-colare ecuadoriani e secondariamente peruviani. Edilizia, giardinaggio, facchinaggio, logistica sono

stati i settori in cui si è progressivamente inserita la componente maschile della forza lavoro, mentre le varie forme di assistenza alla persona, in una popo-lazione in via di invecchiamento, è stato il settore di inserimento della componente femminile. I figli e le figlie di questa porzione di classe costitui-scono circa la metà della popolazione scolastica nei quartieri popolari. Nelle mobilitazioni studentesche, quando è visibile la presenza degli istituti tecnico-professionali, la loro presenza è stata significativa. Da segnalare una importante comunità senegalese, prevalentemente presente in alcune zone del centro storico, e dedita all'attività di vendita ambulante, costantemente vessata dalla polizia municipale in strada e nelle proprie abitazioni. Il tentativo di costruire un luogo di culto adeguato per la comunità mussulmana, le mobilitazioni contro l'operazione Piombo Fuso a Gaza e la repressione della Freedom Flottiglia hanno fatto emergere pub-blicamente questa porzione popolare, che ha di fat-to organizzato e diretto queste iniziative in solidarie-tà con il popolo palestinese. Da ricordare che qualche anno fa l'introduzione del "pacchetto sicurezza" dell'ex ministro degli Interni Maroni ha portato settimanalmente in piazza nume-rosi immigrati e italiani in cortei spontanei che per-correvano tutto il centro storico ritmati dalle percus-sioni della murga nei vicoli. La Lega Nord, come le formazioni di estrema de-stra, hanno un seguito molto ridotto e sono riuscite a costruirsi un ambito d'intervento popolare solo sporadicamente: in occasione della ipotesi della co-struzione della moschea prima a Cornigliano poi a Lagaccio, e della tematica della "sicurezza" a Sam-pierdarena. Altre iniziative, oltre a incontrare l'indif-ferenza, quando non l'ostilità di una parte della po-polazione, hanno sempre visto una presenza abba-stanza consistente di "anti-razzisti" pronti a minarne l'efficacia o a impedirne nei fatti lo svolgimento, questo specialmente nel centro storico. Certamente in alcune occasioni la montante ondata di razzismo non è stata adeguatamente affrontata... La stratificazione della composizione di classe a Genova ha linee piuttosto nette, con i settori indu-striali e portuali (tranne l'indotto e una parte impor-tante degli autisti) con una forza lavoro autoctona, che nella sua componente giovanile è figlia di lavo-ratori prevalentemente immigrati stanziatisi a Geno-va. Non c' è stato un ricambio, come in molte altre città del Nord, con lavoratori di recente immigrazio-ne, né una consistente immissione di mano d'opera femminile in mansioni operaie. G.M.

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QUADERNI di pagine marxiste

SERIE ROSSA Storia della Sinistra Comunista e della dissidenza in Italia

I II III

Cronache rivoluzionarie in provincia di Varese 1945—1948 Il Partito Comunista internazionalista, gli anarchici e i dissidenti libertari nel periodo della ricostruzione postbellica SECONDA RISTAMPA 136 pagine

SERIE BLU Opposizioni Rivoluzionarie e comunisti eretici in c ampo internazionale

I II III IV

SERIE VERDE Lotte operaie e ribellioni

SERIE BIANCA Saggi

I

MIRELLA MINGARDO

1919—1923 Comunisti a Milano La Sinistra comunista milanese di Bruno Fortichiari e Luigi Repossi dalla forma-zione del PCdI all’ascesa del fascismo

292 pagine

Cronache rivoluzionarie a Portoferraio 1944—1949 I comunisti internazionalisti e la lotta degli operai elbani contro la chiusura degli altiforni

72 pagine

GUIDO CACCIA L’altroComunismo nella Rivolu-zione russa Opposizioni Rivoluzio-

narie nella Russia Sovietica 1917-1921

SECONDA RISTAMPA 132 pagine

PIERRE LANNERET (CAMILLE) Gli internazionalisti del «terzo campo» in Francia durante la Seconda guerra mondiale

90 pagine

DINO ERBA Ottobre 1917—Wall Street 1929 La Sinistra comunista

italiana tra bolscevismo e radi-calismo: la tendenza di Michele Pappalardi

SECONDA RISTAMPA 124 pagine

GILLES DAUVÉ [JEAN BARROT] Le Roman de nos origines Alle origini della critica radicale

a cura di FABRIZIO BERNARDI, DINO ERBA, ANTONIO PAGLIARONE 304 pagine

Quaderno II rosso

ULTIME COPIE DISPONIBILI

Per ordinare le nostre pubblicazioni scrivi a:

[email protected]

Quaderno I bianco ULTIME COPIE DISPONIBILI

GRAZIANO GIUSTI La rivoluzione dal basso Dagli IWW ai Comunisti dei Consigli (1905-1923)

200 pagine

- DEMETRIO VALLEJO Le lotte ferroviarie che commossero il Messico Origini, fatti e verità storiche

72 pagine

I figli dei serrati Una storia

di affido proletario e di solida-rietà di classe da Piombino a Gallarate (1911)

SECONDA RISTAMPA 56 pagine

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Da Pioltello a Piacenza a Verona…

Si estendono le lotte operaie nella logistica

Blocco alla GLS di Cerro: la batta-glia non conosce soste I lavoratori della GLS di Piacenza che hanno subito la serrata dopo gli scioperi di inizio marzo mantengono la parola e con-tinuano a dar battaglia su tutta la linea. Mantenendo il presidio permanente da-vanti ai cancelli del sito piacentino, si sono dati una linea per incalzare le istitu-zioni locali (con presidi, denunce, mani-festazioni cittadine) e, allo stesso tempo, hanno preso di mira il sito di Cerro al Lambro (scenario di duri scioperi due anni fa, conclusi con la momentanea sconfitta degli operai) dove l'azienda ha trasferito l'intera produzione di Piacenza, raddoppiando i turni di lavoro ed esten-dendolo forzatamente anche alla domenica. La settimana scorsa il sito di Cerro era stato oggetto di un presidio di massa con volantinaggio. Questa notte, sostenuti dagli operai della Tnt e dell'Esselunga, sono tornati alla carica bloccando com-pletamente i cancelli a partire dalle 22. Un intero turno è saltato mentre si anda-va accumulando una lunghissima fila di camion. Lo staff dirigente della multina-zionale inglese si affannava allora a pro-dure telefonate di allarme e di richiesta di intervento della forza pubblica la quale, ovviamente, non ha fatto mancare il pro-prio appoggio al capitale anche se ha do-vuto faticare assai (circa due ore) prima di avere un numero di uomini in antisom-mossa sufficienti a sgominare il presidio di un'ottantina di operai del SI.Cobas.

Solo alle 00.30, quando la carica era or-mai pronta in tutti i dettagli per liberare i cancelli, con una rapida assemblea gli operai hanno deciso di abbandonare i cancelli con un breve e improvvisato corteo: le forze erano decisamente dispa-ri, la disponibilità ad usare i manganelli contro operai a mani nude pareva decisa-mente alta e, soprattutto, intelligenza vuole che si abbia la giusta coscienza che questo tipo di battaglia non si vince (almeno per ora) sul terreno dello scontro militare con i servi del capitale ma, piut-tosto, con un'adeguata e determinata stra-tegia politico-sindacale che punta a "far male all'avversario" e soprattutto al co-stante allargamento della forza in campo e dei suoi obiettivi economici e politici. La GLS è avvisata: se riteneva due anni fa di essersi liberata del "problema sinda-cato" col licenziamento da parte della "Papavero" degli attivisti del Cobas, ave-va sbagliato i suoi calcoli. E ancor di più sbaglia oggi se pensa che gli operai di Piacenza siano disposti ad aspettare il loro rientro o peggio a barattarlo per un piatto di lenticchie (e nemmeno per tutti). Il raggio d'azione della lotta si allarga e il sito di Cerro … non é l'unico in Italia oltre a quello di Piacenza I compagni solidali col movimento di lotta nelle cooperative sono pregati di prendere in considerazione la proposta, come già è avvenuto per i punti vendita Esselunga di mezza Italia. Forniremo adeguate informazioni, e se possibile strumenti di lavoro, al riguardo

La lotta prosegue!!! Sindacato Intercategoriale Cobas ----------- Grazie anche alla determinazione e capacità di movimento dimostrata con questa azione, a metà aprile GLS ha riaperto i cancelli di Piacen-za, ma continua a rifiutare di trattare con il sindacato di base, mentre è disponibile a concedere ai sindacati confederali gran parte di ciò che è stato chiesto dal SI Cobas: la batta-glia è soprattutto politica, per l’indi-pendenza dell’organizzazione sinda-cale. I metodi dispotici, mafiosi e illegali di gestione della forza lavoro tramite le cooperative si sono da tempo gene-ralizzati in tutta Italia e occorre unire le forze dei lavoratori. A Padova il 30 marzo operai della MTN (logistica) di Verona, che mani-festavano davanti alla sede della cooperativa Borgato che aveva rispo-sto al loro sciopero spostando la pro-duzione a Padova, venivano aggredi-ti da scherani della stessa cooperati-va. L’episodio ha accelerato il colle-gamento tra i lavoratori: il 14 aprile a Verona si è tenuta una manifestazio-ne degli operai di diverse cooperative contro l’aggressione, e la settimana successiva si è tenuto un incontro tra l’ADL Cobas, che organizza gli ope-rai a Verona, e il SI Cobas, per coor-dinare le lotte.

La lotta degli operai (immigrati) delle cooperative della logistica continua ad estendersi, scontrandosi con una cre-scente reazione dei maggiori gruppi. A Piacenza, dopo la TNT, dove gli operai dopo una lotta dura hanno ottenuto condizioni di lavoro più civili e il rispetto del contratto, sono entrati in lotta nel mese di marzo gli operai della GLS, anch’essi organizzati nel SI Cobas (67 su un’ottantina). La GLS (General Logistics Systems) è una delle multinazio-nali della logistica, di proprietà delle poste britanniche, Royal Mail, controllata dal governo britannico. Ma il capitale, statale o privato che sia, è sempre capitale nel suo dna e ricorre a tutti i mezzi per ottenere il massimo profitto attra-verso il massimo sfruttamento della forza lavoro. Alla GLS di Cerro al Lambro più di due anni fa questi mezzi sono stati i manganelli dei poliziotti e carabinieri italiani, che hanno piantonato per settimane giorno e notte in pieno inverno il magazzino GLS per reprimere i picchetti e im-pedire il blocco dei camion. Lo Stato italiano al servizio del capitale britannico… (anche questa è solidarietà “di clas-se”…). A Piacenza, oltre alle forze dell’ordine, GLS ha risposto allo sciopero compatto con la serrata : ha semplice-mente chiuso il magazzino e lasciato a casa i lavoratori, trasferendo l’attività a Cerro. Ha inoltre disdetto il contratto con la cooperativa cui aveva affidato la gestione a Piacenza. Il chiaro obiettivo era prendere i lavoratori per fame. A questo punto gli operai non sono rimasti con le mani in mano. Non solo hanno effettuato un lungo e combattivo corteo per le strade di Piacenza, ma hanno contrattaccato. Questo il comunicato del SI Cobas del 28 marzo: