Collana “FORMAZIONE E LAVORO” Profili formativi N. 1...

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Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore a cura di Simona Balbi, Giovanna Boccuzzo, Maria Gabriella Grassia a cura di S. Balbi, G. Boccuzzo, M.G. Grassia 6 6 FORMAZIONE E LAVORO Collana “FORMAZIONE E LAVORO” N. 1 - Definire figure professionali tramite testimoni privilegiati (a cura di Luigi Fabbris) N. 2 - Competenze per la ricerca Esigenze delle imprese innovative e profili formativi (a cura di Susanna Zaccarin e Maria Cristiana Martini) N. 3 - Professionalità nei servizi innovativi per studenti universitari (a cura di Luigi Fabbris, Giovanna Boccuzzo, Maria Cristiana Martini) N. 4 - Nuovi profili formativi per professionalità avanzate nel turismo (a cura di Domenica Fioredistella Iezzi) N. 5 - Attività e Competenze nel settore dell’informatica (a cura di Ernesto Toma e Francesco Domenico d’Ovidio) N. 6 - Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore (a cura di Simona Balbi, Giovanna Boccuzzo, Maria Gabriella Grassia) ISBN 978-88-6129-279-6

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Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore

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Simona Balbi, Giovanna Boccuzzo, Maria Gabriella Grassia

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66 FORMAZIONE E LAVORO

Collana“FORMAZIONE E LAVORO”

N. 1 - Definire figure professionali tramite testimoni privilegiati (a cura di Luigi Fabbris)N. 2 - Competenze per la ricerca Esigenze delle imprese innovative e profili formativi (a cura di Susanna Zaccarin e Maria Cristiana Martini)N. 3 - Professionalità nei servizi innovativi per studenti universitari (a cura di Luigi Fabbris, Giovanna Boccuzzo, Maria Cristiana Martini)N. 4 - Nuovi profili formativi per professionalità avanzate nel turismo (a cura di Domenica Fioredistella Iezzi)N. 5 - Attività e Competenze nel settore dell’informatica (a cura di Ernesto Toma e Francesco Domenico d’Ovidio)N. 6 - Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore (a cura di Simona Balbi, Giovanna Boccuzzo, Maria Gabriella Grassia)

ISBN 978-88-6129-279-6

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Introduzione

Il presente è il sesto volume della serie che riporta i risultati della ricerca PRIN 2005, cofinanziata dal MIUR, sul tema “Modelli e metodi per abbinare profili formativi e bisogni di professionalità di comparti del terziario avanzato”. La ricerca è stata realizzata dal 2006 al 2008 presso le sedi universitarie di Bari, Milano-Bicocca, Napoli “Federico II”, Padova e Trieste, con il contributo di ricercatori appartenenti alle università di Chieti-Pescara, Lecce, Roma “La Sapienza”, Roma-Tor Vergata, Tuscia-Viterbo e Urbino, nonché al Centro studi dell’Unioncamere, all’Isfol e all’Istat. Il volume raccoglie i risultati di uno studio sulle attività e sulle professionalità dei servizi alla persona, Questi servizi, pur non essendo “avanzati” in senso proprio, rivestono un ruolo che è, allo stesso tempo, di frontiera sul piano professionale e di cardine in una società post-industriale che operi in funzione dello sviluppo delle persone prima che di interessi economici. Questo è stato il tema dominante dell’attività svolta dall’unità di Napoli “Federico II” con la collaborazione dell’Università di Padova, attorno alla quale si sono raccolti i contributi di altri ricercatori delle Università di Torino, Brescia e Verona e dell’Isfol. I lavori riguardano la definizione e lo sviluppo di metodi di analisi statistica delle figure professionali offerte e domandate nell’ambito del terzo settore. Si presentano altresì gli strumenti di analisi che hanno consentito di identificare le competenze richieste ai laureati dal mercato del lavoro del terzo settore e di definire l'offerta nominale generata dalla formazione universitaria specifica delle professioni sociali. Da alcuni anni, infatti, il terzo settore, per rispondere ai nuovi e crescenti bisogni delle aree dello svantaggio sociale, chiede al mercato della formazione, e in particolar modo all’università, profili professionali flessibili e mirati. Le organizzazioni che operano nel settore hanno compreso il ruolo strategico della formazione e sono coscienti di non essere in grado di realizzare autonomamente percorsi adeguati ai bisogni formativi degli operatori neoassunti. È fuori dubbio che il correlare la formazione professionale, i profili professionali e il mercato del lavoro è complesso, soprattutto in un settore in cui coesistono operatori “professionisti” e operatori “volontari”, profili professionali “forti”, poiché definiti e riconosciuti da vario tempo (l’assistente di base, l'educatore professionale, l'assistente sociale), e profili “deboli” e di nuova istituzione, quali l'operatore di strada, l’animatore sociale, il mediatore sociale.

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Le istituzioni universitarie sono consapevoli di questa necessità e stanno facendo fronte alle domande provenienti dal mondo del lavoro con corsi di laurea esplicitamente rivolti alla formazione di questo tipo di figure professionali. Questo però non basta. Ad una domanda “diversa” da quella proveniente dal mondo “profit”, l’università deve tentare di dare una risposta specifica. Deve cercare di ripensare le modalità stesse di progettazione e gestione dei corsi di studio, sapendo andare oltre le tradizionali attività, modificando profondamente azioni e strategie. La progettazione e la gestione devono seguire un approccio basato sulle competenze e devono essere legate all’analisi dei bisogni formativi presenti e futuri del mercato. Solo così è possibile evitare una formazione autoreferenziale, separata dagli ambiti di applicazione. In questo volume si analizza se e come sia possibile collegare la domanda di lavoro con l’offerta formativa attraverso l’analisi delle competenze, scomponendo ciascuna posizione di lavoro in termini di competenze professionali necessarie e, parallelamente, ciascun percorso di studi universitario in termini di competenze spendibili sul lavoro. I metodi di rilevazione ed analisi, innovativi sul piano metodologico sono stati adattati al mercato lavoro e all’offerta formativa del terzo settore italiano. Il primo lavoro, realizzato da ricercatori dell’Isfol, introduce allo studio del lavoro del terzo settore. Vi sono analizzate, nel dettaglio, l’area occupazionale del “non profit” che include al suo interno tutto il cosiddetto “terzo settore” e la mappa delle principali figure professionali del settore. Di queste, sono descritti i contenuti lavorativi e le competenze, i percorsi formativi e di carriera, la situazione di lavoro e le tendenze occupazionali. Nel secondo lavoro, nato dalla collaborazione tra ricercatori dell’Università di Padova e dell’Università di Napoli “Federico II” ed un responsabile dell’associazione di volontariato “Nero e Non solo”, si discute la progettazione e la realizzazione di un percorso di ricerca per la definizione delle professionalità emergenti nel terzo settore, con particolare riferimento ai servizi per gli immigrati. Nel lavoro si indica come combinare in modo innovativo metodi di ricerca qualitativa (focus group, interviste a testimoni privilegiati) con metodi di ricerca quantitativa (rilevazione campionaria tramite questionario). In provincia di Padova e in provincia di Caserta sono state svolte indagini quantitative. I risultati sono presentati nel lavoro di G. Boccuzzo e M.G. Grassia. Le autrici presentano indici sintetici per la stima dell’importanza di ogni singola competenza, ottenuti grazie a sistemi di ponderazione e modelli di Rasch. Sono inoltre applicati modelli multilivello per determinare quali variabili incidano sull’utilizzo delle stesse competenze. Il lavoro successivo di S. Balbi dell’Università di Napoli “Federico II” e M. Misuraca dell’Università della Calabria analizza l’offerta formativa nominale dei

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corsi di laurea triennale indirizzati specificatamente al terzo settore. Tramite originali sviluppi metodologici nell’ambito dell’analisi dei dati testuali, si cerca di comprendere quali sono le competenze che l’università (offre e) presenta ai potenziali studenti e alle loro famiglie. S. Balbi, M. G. Grassia e G. Infante discutono su come valutare la rispondenza fra la domanda di competenze e di professionalità proveniente dal mondo lavorativo e l’offerta di formazione del sistema universitario italiano. Gli autori confrontano il linguaggio naturale utilizzato dagli operatori con quello utilizzato dalle università. Da un punto di vista metodologico, si analizzano congiuntamente due corpora rilevati su differenti unità che generano tabelle lessicali non appaiate. Il problema è affrontato utilizzando un indice di dissimilarità su dati simbolici e l’analisi delle correlazioni canoniche con rotazione procustiana. A. Piscitelli, facendo ricorso a tecniche di analisi statistica multivariata, affronta il problema degli operatori per i minori in una specifica realtà (quella napoletana) e ricerca nuove professionalità. Ponendo a confronto i profili di competenze degli operatori con profili ideali espressi dai responsabili delle varie attività, cerca di comprendere se la distanza fra offerto e domandato riesca ad innescare una virtuosa dinamica di creazione di nuove figure professionali. Nel lavoro di L. Bollani dell’Università di Torino si analizzano le competenze richieste agli operatori che svolgono un servizio di assistenza e cura domiciliare. L’autore analizza le mansioni svolte e, in modo metodologicamente innovativo, le collega alle opportunità di sviluppo professionale e alle esigenze formative. Le competenze degli operatori socio-sanitari sono il tema del lavoro di C. Capiluppi e di F. Bedotti, rispettivamente dell’Università di Verona e dell’Università di Brescia. Gli autori, dopo aver introdotto le core competencies del fisioterapista e discusso le caratteristiche dell’attuale mercato del lavoro, presentano i risultati di un’indagine condotta sui laureati in Fisioterapia dell’Università di Brescia, con l’obiettivo di pervenire ad una prima valutazione dell’efficacia esterna del corso, in relazione all’inserimento professionale a distanza di uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo. L’ultimo lavoro di G. Boccuzzo evidenzia il ruolo fondamentale dei volontari nei servizi alla persona, ruolo importante non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo. Pur non svolgendo una professione in senso tecnico, al volontario è spesso richiesta una professionalità di cui si identificano, per alcuni ambiti circoscritti, le competenze necessarie e i bisogni formativi. I volontari rappresentano per il terzo settore l’elemento di maggiore “disturbo”, ma al tempo stesso di arricchimento, di questo mercato del lavoro, l’elemento che forse cambierà le carte in tavola.

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A ricerca conclusa, le curatrici vogliono ringraziare sentitamente tutti i ricercatori che, lavorando fattivamente, hanno consentito il pieno raggiungimento degli obiettivi prefissati. Le curatrici tengono a far sapere che ogni articolo è stato valutato da almeno due referee e conseguentemente revisionato, talvolta in più passaggi. I referee sono stati scelti dalle curatrici tra i membri del Comitato scientifico del progetto1 e altri esperti accademici. Le curatrici colgono l’occasione per ringraziare i valutatori per la preziosa attività svolta.

Le curatrici

1 Il Comitato scientifico era composto da: prof.ssa Enrica Aureli Cutillo dell’Università di Roma “La Sapienza”, prof.ssa Simona Balbi dell’Università di Napoli “Federico II”, prof. Franco Bressan dell’Università di Verona, Prof.ssa Marisa Civardi dell’Università di Milano-Bicocca, dott.ssa Giuliana Coccia dell’ISTAT, prof. Luigi Fabbris (coordinatore) dell’Università di Padova, prof. Antonio Pacinelli dell’Università di Chieti-Pescara, prof. Nicola Tedesco dell’Università di Cagliari, prof. Ernesto Toma dell’Università di Bari, prof.ssa Susanna Zaccarin dell’Università di Trieste.

Indice

1. Professioni e competenze del terzo settore in Italia Professional profiles and skills in the third sector P. Taronna, G. Iuzzolino Pag. 1

2. I tratti distintivi degli operatori del terzo settore: un percorso di

ricerca sul campo per la determinazione delle professionalità esistenti e delle competenze richieste dal mondo del lavoro Distinguishing traits of workers in the third sector: a field work for the detection of existing professionalism and needed competences Maria Gabriella Grassia, Giovanna Boccuzzo, Alfonso Piscitelli, Luca Fratepietro “ 25

3. Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati:

analisi di due realtà italiane Activities, competences and jobs for services to immigrants: analysis of two Italian provinces Maria Gabriella Grassia, Giovanna Boccuzzo “ 37

4. La rappresentazione delle competenze nel linguaggio delle

università e in quello degli operatori del terzo settore: uno studio sulle relazioni tra corporaThe representation of the competencies in the language of universities and third sector’s operators: a study on the relationships among corpora Simona Balbi, Maria Gabriella Grassia, Giorgio Infante “ 83

5. Il Text Mining per l’individuazione dell’offerta universitaria di

competenze nel terzo settore Text Mining for detecting the academic competences offered for the third sector Simona Balbi, Giorgio Infante, Michelangelo Misuraca “ 95

6. Un’analisi delle competenze degli operatori dell’educativa

territoriale a Napoli Competence analysis of social workers involved in the local educational

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centres in Naples Alfonso Piscitelli “ 107

7. Profili di sviluppo professionale e ambiti di formazione delle

competenze per il personale di assistenza e cura domiciliare Profiles of professional development and types of training to attain skills in the field of home care and health for the elderly Luigi Bollani “ 127

8. Competenze e inserimento professionale del laureato in

fisioterapia Competences and workforce insertion of the graduated physiotherapist Claudio Capiluppi, Fausta Bedotti “ 147

9. Il ruolo dei volontari del terzo settore: verso una qualificazione

professionale?The role of volunteers in the third sector: towards a professional qualification? Giovanna Boccuzzo “ 167

Professioni e competenze del terzo settore in Italia

P. Taronna, G. Iuzzolino1

Isfol, Progetto Orientaonline

Riassunto. Il presente lavoro costituisce una sintesi di una più ampia ricerca realizzata nell’ambito delle attività del progetto Orientaonline dell’Isfol. Lo studio si apre con un’analisi preliminare volta a definire e delimitare l’area occupazionale “attività associative”, un’area che, di fatto, trova corrispondenza con il settore “non profit” ed include al suo interno tutto il cosiddetto “terzo settore”. Vengono poi descritte le principali caratteristiche strutturali dell’area, con particolare riferimento alle finalità, alle fonti di finanziamento, alle aree economiche di intervento e al profilo giuridico delle organizzazioni non profit; dopo aver analizzato la dimensione occupazionale, le tendenze evolutive e l’offerta formativa nell’ambito del non profit, viene presentata la mappa delle principali figure professionali del settore. La prima parte del lavoro si conclude con l’individuazione e la selezione di alcune figure professionali particolarmente rappresentative del terzo settore. La seconda parte della ricerca è interamente dedicata all’analisi delle figure professionali selezionate: di ogni singola figura vengono rilevati e descritti i contenuti lavorativi e le competenze, i percorsi formativi e di carriera, la situazione di lavoro e le tendenze occupazionali.Parole chiave: Terzo settore, Non profit, Organizzazione non governativa, Area occupazionale, Professioni, Figura professionale.

1. Introduzione

Il problema principale che emerge dall’analisi preliminare dell’area occupazionale delle “attività associative” – identificate spesso come “associazionismo” – consiste nella difficoltà di dare di quest’area una definizione condivisa, a cui segua una contestuale delimitazione in termini di dimensionamento economico, caratteristiche generali e numero di addetti (Taronna, 2003; Taronna, 2005). L’associazionismo, in effetti, nelle sue diverse forme (associazioni, fondazioni, comitati, società cooperative), più che a una categoria economica corrisponde ad un concetto giuridico. In tal senso una

1 Il presente lavoro è stato finanziato nell’ambito del progetto “Modelli e metodi per abbinare profili formativi e bisogni di professionalità di comparti del terziario avanzato”, cofinanziato dal MIUR. Coordinatore nazionale è L. Fabbris, coordinatore dell’Unità di Napoli è S. Balbi.

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definizione univoca si rileva nel Codice Civile, secondo il quale le forme giuridiche dell’associazionismo consistono in un “complesso organizzato di persone e di beni, rivolto ad uno scopo, di natura ideale, non economico”.

Il Codice di Diritto Civile individua gli elementi strutturali delle forme associative attraverso la presenza di un organo amministrativo, un elemento patrimoniale, uno scopo non lucrativo. Già da questa definizione l’“Associazionismo” trova una prima e sostanziale corrispondenza con quello che nella nomenclatura più diffusa viene definito il settore non profit.

Per giungere a una definizione del non profit è utile rifarsi allo schema classificatorio di tali attività formulato dal System of National Accounts (SNA), la carta degli statistici internazionali. Secondo lo SNA, le organizzazioni non profit (ONP) sono definite come enti giuridici o sociali aventi lo scopo di produrre beni o servizi il cui status non permette loro di essere fonte di reddito, profitto o altro guadagno per coloro che le costituiscono, controllano o finanziano.

In base a tale definizione non si esclude né che dall’attività delle non profit si generi il reddito necessario a remunerare il lavoro di chi vi opera, né che l’attività di produzione sia accompagnata dalla vendita dei beni e dei servizi prodotti e generi redditi, profitti o altri guadagni finanziari. L’unico vincolo riguarda la non distribuzione degli utili.

Gli elementi che caratterizzano tale definizione possono essere specificati come segue:a) il fatto che le ONP possano essere enti sociali, oltre che giuridici, implica che non

tutte le ONP debbano essere legalmente riconosciute; b) lo scopo delle ONP viene genericamente individuato nella produzione di beni e

servizi e, quindi, non sembrano ravvisabili specifiche limitazioni relativamente al tipo di attività che tali enti possono svolgere.

L’area associazionismo, tuttavia, presenta una ulteriore difficoltà definitoria, poiché prescinde dalla variabile di settore economico: le attività e le organizzazioni che rientrano nell’ampia definizione di associazionismo, o nel settore non profit, risultano infatti essere eterogenee per prodotti, tecnologie e mercati. Si può quindi preliminarmente affermare che il non profit non si caratterizza per il settore di appartenenza (assumendo questo una connotazione trasversale) quanto per le motivazioni che sottendono alla costituzione e sviluppo dell’organizzazione: il perseguimento di interessi collettivi e di finalità riconducibili ad aspetti di “bene comune”. Utilizzando le chiavi di lettura ampiamente condivise dalla letteratura sul tema, il settore non profit può essere sinteticamente descritto secondo: 1) la finalizzazione in cui ricade la missione o scopo istituzionale dell’ONP e le fonti di

finanziamento; 2) il profilo giuridico che influenza sia la variabile organizzativa che quella di mercato; 3) l’area economica di intervento.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 3

2. Le finalità e le fonti di finanziamento delle organizzazioni non profit

Dalla classificazione delle attività economiche ISTAT e dal sistema International Classification of Non Profit Organizations (ICNPO), possiamo distinguere le ONP sulla base delle finalità che le caratterizzano: � enti che perseguono l’interesse economico degli associati, ossia associazioni di

sindacati, associazioni di datori di lavoro, associazioni professionali e di categoria; � enti che perseguono solo l’interesse collettivo. Rientra in questa categoria tutto il

cosiddetto terzo settore, in quanto nel protocollo d’intesa tra Governo e Forum permanente del terzo settore del 12 febbraio 1999 si afferma: «… per i valori e le finalità che persegue, per la capacità di mobilitare le istanze di solidarietà e partecipazione presenti nel Paese, il terzo settore può corrispondere in modo efficace alla domanda insoddisfatta di servizi di interesse collettivo».

Tale suddivisione risponde al criterio “mutual” vs. “public” (CRISP, 2001), che ulteriormente definisce il settore sotto il profilo della caratterizzazione dell’offerta di prodotti e servizi. La distinzione “mutual-public” si riferisce agli utenti dei servizi offerti: è “public” l’ONP che offre prevalentemente i suoi servizi al pubblico (tipicamente istruzione, sanità, assistenza, cultura, ecc.); è “mutual” l’ONP che li offre ai propri soci (tipicamente sindacati, partiti, associazioni di categoria, sportive, culturali, ricreative, ecc.).

In virtù di tale criterio possiamo ulteriormente affermare la sostanziale coincidenza del concetto di “associazionismo” con quello di “non profit”, inquadrando in quest’ultimo ambito tutte le organizzazioni che si rifanno ad uno scopo solidaristico (sia esso collettivo o riconducibile ai soli associati). Relativamente alla fonte prevalente del finanziamento, il settore non profit dà origine a due tipologie di organizzazione: � Onp di tipo “market”, se il finanziamento prevalente deriva dai ricavi delle vendite; � Onp di tipo “non market”, se il finanziamento proviene da trasferimenti volontari o

da rendite di patrimoni.

3. Il profilo giuridico

Con riferimento alla regolamentazione giuridica, sono stati emanati vari provvedimenti volti a regolare, in modo più esplicito di quanto fosse stato fatto in precedenza, l’identità istituzionale e le attività delle ONP, con particolare riferimento a quelle afferenti al terzo settore, ovvero le ONP con finalità di utilità collettiva. A partire dalla fine degli anni ’80, si è assistito a una regolamentazione puntuale con l’emanazione di alcune leggi dello Stato che hanno ridisegnato complessivamente il settore.

Di seguito l’elenco delle principali organizzazioni non profit secondo la classificazione giuridica:

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� Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale (ONLUS) – D.Lgs. 460/97: associazione a carattere privato avente un fine solidaristico. Svolge attività di utilità sociale rivolte alla collettività nei settori dell’assistenza, della beneficenza, dell’istruzione, ecc.

� Organizzazione Non Governativa (ONG) – L. 49/87: associazione di volontariato internazionale finalizzata alla cooperazione allo sviluppo in favore delle popolazioni del terzo mondo, prevalentemente nei settori della sanità, dell’agricoltura e dell’istruzione.

� Organizzazione di Volontariato (OdV) – L. 266/91: organizzazione composta da volontari e strutturata per operare con continuità a favore di terzi.

� Associazione di promozione sociale - L. 383/2000: ente le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’Interno.

� Cooperativa Sociale - L. 381/91: cooperativa che ha lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e alla integrazione sociale dei cittadini.

� Fondazione e fondazione bancaria - L. 218/90 e D.Lgs. 365/90: istituzione alla quale possono dar vita persone fisiche o giuridiche, conferendo un patrimonio vincolato al perseguimento di uno scopo istituzionale di pubblica utilità o comunque altruistico.

4. Le aree economiche di intervento

Relativamente all’area economica di intervento, una prima osservazione attiene al fatto che le organizzazioni non profit possono svolgere qualsiasi tipo di attività di produzione, tranne quelle relative all’erogazione dei servizi dell’amministrazione pubblica.

Per definire le aree economiche di intervento delle ONP è possibile far ricorso al già citato sistema di classificazione ICNPO.

Il sistema Icnpo è organizzato in 12 aree suddivise a loro volta in sub-aree (Tab. 1):

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Tabella 1. Sistema ICNPO di classificazione secondo aree economico-settoriali

Attività culturali e artistiche Attività sportive

Cultura, Sport e Ricreazione

Attività ricreative e di socializzazione Istruzione primaria e secondaria Istruzione universitaria Istruzione professionale e degli adulti

Istruzione e Ricerca

Ricerca Servizi ospedalieri generali e riabilitativi Servizi per lungodegenti Servizi psichiatrici ospedalieri e non

Sanità

Altri servizi sanitari Servizi di assistenza sociale Servizi di assistenza nelle emergenze

Assistenza Sociale

Erogazione di contributi monetari e/o in natura Promozione sviluppo economico e coesione sociale Tutela e sviluppo del patrimonio abitativo

Sviluppo Economico e Coesione Sociale

Addestramento, avviamento professionale e inserimento lavorativo

Protezione dell’ambiente Ambiente Protezione degli animali Servizi di tutela e protezione dei diritti Servizi legali

Tutela dei Diritti e Attività Politica

Servizi di organizzazione dell’attività di partiti politici Filantropia e Promozione del Volontariato

Erogazione di contributi filantropici, promozione del volontariato e attività di raccolta fondi

Cooperazione e Solidarietà Internazionale

Sostegno economico e umanitario all’estero

Religione Attività di promozione e formazione religiosa Relazioni Sindacali e Rappresentanza di Interessi

Tutela e promozione degli interessi dei lavoratori e degli imprenditori

Altre Attività Attività non classificate altrove

6 Professioni e competenze del terzo settore in Italia

5. La dimensione occupazionale

Secondo la rilevazione ISTAT (2001), le istituzioni non profit operano con circa 4 milioni di persone. Si tratta soprattutto di personale non retribuito, costituito da più di 3 milioni di volontari (80%), quasi 100 mila religiosi e circa 30 mila obiettori di coscienza. L’utilizzazione di lavoratori dipendenti è assai meno diffusa: essi sono infatti soltanto 532mila, vale a dire il 13,3% sul totale delle persone che prestano il loro servizio nell’area. Il Rapporto Censis (2002) evidenzia che, nella distribuzione delle persone all’interno delle strutture, ben il 27% è impegnato direttamente nell’erogazione dei servizi a diretto contatto con l’utenza, mentre meno del 10% opera con funzioni di coordinamento e di responsabilità, ed il 10,4 % in attività di supporto. L’analisi della composizione per genere delle persone impiegate nell’erogazione dei servizi fa emergere la netta prevalenza femminile, con una scolarità medio-alta e un percorso lavorativo che, per quasi il 40%, risulta non superiore ai due anni.

È infine importante rilevare come tra le diverse tipologie di ONP (associazioni, fondazioni, comitati, cooperative sociali) siano le cooperative sociali a creare un maggior numero di posti di lavoro. Del resto la cooperativa, crescendo, può fondare altre strutture simili, diventando una sorta di holding, o consorziarsi, con la conseguenza di fornire svariati servizi, commissionati (in alcuni casi in seguito ad una gara di appalto) e retribuiti.

6. Tendenze evolutive e criticità del settore non profit

Il mercato del non profit sembra avere un notevole potenziale in tutta Europa. Ciò è confermato da una costante crescita dell’occupazione nel settore. È un’ipotesi ormai diffusa tra gli osservatori che quest’area rappresenti, nei paesi ad economia sviluppata, il miglior bacino occupazionale del prossimo futuro. In tal senso l’Unione Europea sta svolgendo una serie di ricerche finalizzate a definire il peso dell’occupazione nelle attività associative. Negli ultimi anni la crescita si è verificata soprattutto nell’ambito della cooperazione internazionale, ma anche nei settori della tutela del patrimonio abitativo e dello sviluppo economico e di coesione sociale della collettività.

Per quanto riguarda i profili professionali maggiormente richiesti dal mercato del settore non profit, si rileva un’area di domanda insoddisfatta nell’ambito dei ruoli tecnici, come quelli dell’amministrazione, di segreteria, di inserimento dati e di sportello informativo, mentre per ciò che attiene ai profili manageriali e agli operatori dei servizi alle persone emerge la richiesta di una maggiore specializzazione.

Più specificamente per le figure manageriali, il tema della specializzazione si traduce in una domanda, da un lato, più articolata in termini di competenze trasversali (marketing sociale, bilancio sociale, finanza etica, ecc.), e dall’altro in termini di nuovi

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 7

profili professionali legati allo specifico contesto economico di riferimento (manager ambientali, socio-assistenziali, di cooperazione internazionale, ecc.). Nel caso invece delle figure che intervengono nel processo erogativo, il fabbisogno di specializzazione riguarda la capacità di operare su specifici target di utenza e di contesti lavorativi (per esempio, nell’area socio-assistenziale gli assistenti ai disabili, agli anziani o all’infanzia, i mediatori culturali, gli animatori di comunità, gli operatori di strada, ecc.).

Le indubbie potenzialità di sviluppo del non profit sono tuttavia legate al superamento di alcune criticità “strutturali” che ancora caratterizzano il settore (Crescenzi, 2005). La bassa qualità dell’occupazione in termini economico-finanziari (bassi livelli retributivi, ritardi nell’erogazione dello stipendio, ecc.), l’elevata flessibilità dei rapporti di lavoro, i fenomeni di sfruttamento dovuti a scarse risorse finanziarie o a cattiva gestione sono solo alcuni dei problemi che il non profit italiano è chiamato ad affrontare. Inoltre l’insufficienza delle procedure di selezione e formazione dei manager influisce negativamente sulla capacità delle ONP di incidere in modo sostanziale sul proprio territorio, di conquistare quote importanti di “mercato di solidarietà” e di creare solide partnership con imprese private (Crescenzi, 2002).

7. L’offerta formativa

La consapevolezza dell’importanza di una formazione di elevato profilo all’interno delle ONP è aumentata con il consolidarsi delle esperienze d’impresa e, da un iniziale “fai da te” che ha caratterizzato la fase pionieristica del settore, si è passati a innumerevoli corsi di laurea, master, corsi professionali mirati all’approfondimento di specifiche tematiche. Malgrado ciò, l’offerta di formazione per il settore non profit in Italia non presenta ancora una sua chiara strutturazione. Si può dire che il panorama delle opportunità formative vari di regione in regione e anche a seconda delle professionalità che vengono formate.

È comunque possibile individuare segnali positivi per quanto concerne l’evoluzione dei processi formativi all’interno delle ONP. In tal senso, vanno sottolineati due elementi che caratterizzano lo sviluppo della formazione nel non profit: 1) una formazione più pervasiva e diffusa all’interno dell’organizzazione. La formazione inizialmente destinata solo ai dirigenti, negli ultimi anni ha visto il coinvolgimento dell’intero organigramma comprendendo anche gli operatori; 2) l’innalzamento del livello medio di scolarizzazione. Qualche anno fa il 60% di coloro che si inserivano nel terzo settore possedeva la licenza media, il 35% quella superiore e solo il 5% la laurea. Nel 2001, invece, si registrava una percentuale del 60% dei possessori di diploma, un 30% di licenza media e un 10% di laureati.

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8. La mappa delle figure professionali

Come già segnalato in precedenza, il non profit è attivo in molti settori economici. Ne consegue un insieme di professionalità estremamente variegato, reso ancor più consistente in questi ultimi anni dalla maggiore domanda di lavoro. Nonostante la difficoltà di delineare un quadro completo dell’universo professionale dell’area, dovuta anche all’assenza di un inquadramento contrattuale nell’ambito del non profit, si è pervenuti a definire una mappa rappresentativa delle figure professionali operanti nel settore attraverso l’utilizzo congiunto di più fonti informative: � figure classificate su base statistica per le singole aree economiche; � figure presenti o richieste all’interno delle ONP, identificabili attraverso la

letteratura, i casi di studio e l’offerta formativa; � analisi dei processi di lavoro relativi alle funzioni strategiche di servizio e di

gestione operativa. Con riferimento ai processi di lavoro tipici di una ONP, le figure professionali

sono state raggruppate secondo due modalità differenti. Il primo raggruppamento comprende figure trasversali, cioè riferibili a

funzioni/processi traversali e di gestione. Per ogni funzione (strategica, di sviluppo, di gestione risorse umane, ecc.), si sono considerate le posizioni manageriali e tecnico-funzionali. Dall’incrocio delle posizioni si è giunti all’identificazione della figura professionale intesa come complesso di competenze necessarie, anche se in misura diversa, a svolgere determinati compiti e attività (Tab. 2). Esaminando diverse organizzazioni (per servizio, articolazione territoriale, profilo giuridico e stili di direzione) si sono riscontrate tipicità di funzione che spesso, data la flessibilità che connota le ONP, vengono ricoperte dalla medesima figura e che, al progressivo evolvere dell’organizzazione, si disaggregano in ulteriori figure che assumono una responsabilità autonoma (ad esempio, la figura dell’esperto di fund raising copre posizioni manageriali o tecnico-funzionali in relazione alle dimensioni organizzative).

Il secondo raggruppamento comprende invece figure settoriali, cioè riferibili a funzioni/processi erogativi. In questo ambito le figure sono state individuate sulla base dell’analisi del processo erogativo rispetto a una determinata area economico-settoriale e sono state identificate le responsabilità, le attività e i compiti di ogni figura rispetto a ciascuna fase di processo (Tab. 3). In realtà l’universo delle figure settoriali si configura più articolato, non tanto per numerosità quanto per la possibile appartenenza di una stessa figura a più aree settoriali. È il caso, ad esempio, del mediatore culturale, che può essere collocato nel settore socio-assistenziale ma anche in quello della ricreazione, o dell’animatore di comunità, che trova collocazione nella coesione sociale ma anche nell’assistenza sociale. Si deve infine ricordare che per alcune figure di vertice della linea operativa, si è in presenza di professionalità intermedie che operano tra le funzioni trasversali/di management e quelle operative/erogative. Questo tipo di figure raggruppa competenze di progettazione, organizzazione e coordinamento e competenze più

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 9

tipicamente collocabili nel settore di riferimento (si pensi al manager di coordinamento di iniziative culturali, come pure al capo progetto di un’iniziativa di educazione ambientale o, infine, a un coordinatore di progetti di cooperazione).

Tabella 2. Mappa delle figure professionali trasversali

Funzione Posizione manageriale

Posizione tecnico-funzionale

Figure professionali

Manager dell’Onp

Tecnico di pianificazione

Esperto di pianificazione

Pianificazione strategica Direttore generale

Addetto al bilancio sociale

Esperto in bilancio sociale

Tecnico amministrativo Esperto in amministrazione e contabilità

Addetto alla contabilità bilanci

Esperto in bilancio patrimoniale

Addetto alla rendicontazione progetti

Rendicontatore

Responsabile amministrativo

Revisore contabile Esperto di revisione

Controller/Auditor

Amministrativa/ Finanziaria

Responsabile finanziario Tecnico di budget e

contabilità per centri di costi

Esperto in budget e contabilità gestionale

Tecnico di marketing sociale Addetto ufficio relazioni esterne

Responsabile area marketing

Addetto ufficio stampa/house organ

Esperto in marketing e comunicazione sociale

Addetto al fund raising Esperto in fund raising

Responsabile area fund raising

Addetto ufficio soci/comunicazione interna

Addetto ufficio soci/comunicazio-ne interna

Ricercatore Ricercatore Direttore scientifico Operatore di staff Addetto ricerca bandi e raccolta informazioni

Sviluppo

Coordinatore ufficio gare

Addetto predisposizione documenti gare

Esperto gare

10 Professioni e competenze del terzo settore in Italia

Tabella 2 (segue). Mappa delle figure professionali trasversali

Funzione Posizione manageriale

Posizione tecnico-funzionale

Figure professionali

Psicologo Psicologo Responsabile della selezione Addetto alla selezione Esperto in

selezione del personale

Docente Docente Progettista di formazione

Progettista di formazione

Responsabile/Coordina-tore del servizio formazione

Tutor Tutor Addetto reclutamento volontari Addetto coordinamento volontari per specifiche campagne

Gestione risorse umane

Responsabile/Coordina-tore ufficio volontari e servizio civile

Addetto assistenza volontari

Esperto in reclutamento/coor-dinamento/assi-stenza volontari

Responsabile servizi e logistica

Addetto ai trasporti, poste, centralino, manutenzione, immobili, viaggi, pulizia, sorveglianza

Addetto ai trasporti, poste, centralino, manutenzione, immobili, viaggi, pulizia, sorveglianza

Responsabile affari generali

Addetto affari generali Segretario generale

Web master Web master

Web manager Web manager Esperto di sistemi informativi aziendali

Servizi e logistica

Responsabile sistemi informativi

Addetto assistenza informatica

Addetto assistenza informatica

Fonte: Isfol Orientaonline

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 11

Tabella 3. Mappa delle figure professionali per Aree economico-settoriali

Aree economico-settoriali Figure professionali individuate Cultura, sport, ricreazione Coordinatore di servizi culturali (vedi Manager

dell’Onp) Manager culturale Archivista Bibliotecario Animatore di comunità Allenatore/istruttore sportivo Insegnante attività ricreativa (artigianato, pittura, ecc.) Guida turistica Accompagnatore turistico

Assistenza sociale Assistente sociale Assistente geriatrico Assistente di portatori di handicap Operatore di strada Assistente domiciliare Educatore professionale Vigilatrice d’infanzia Psicologo/pedagogista Terapista/fisioterapista Operatore dell’informazione nei servizi sociali

Ambiente Coordinatore di progetti/servizi ambientali (vedi Manager dell’Onp) Ecomanager Operatore della salvaguardia ambientale (del suolo,inquinamento, monitoraggio acqua, agronomo, ecc.) Operatore della salvaguardia animale Esperto di settori/tematiche (ingegnere, architetto) Progettista di strutture e servizi ambiente-compatibili

Cooperazione internazionale Esperto di progetti di cooperazione e sviluppo Cooperante allo sviluppo internazionale

Sviluppo economico e coesione sociale Responsabile formazione professionale Mediatore culturale Docente di formazione professionale (avviamento professionale) Esperto dell’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati Europrogettista

Fonte: Isfol Orientaonline

12 Professioni e competenze del terzo settore in Italia

Come si evince dalle tabelle, l’universo delle figure professionali del settore non profit è molto ampio e comprende figure appartenenti non soltanto all’area occupazionale “attività associative”, ma anche ad altre aree occupazionali, quali “servizi alla persona” (Di Castro e Maliardi, 2006), “servizi socio-sanitari” (Taronna, 2006), “turismo, ospitalità e tempo libero” (Taronna, 2008), “educazione e formazione” (Taronna, 2006), ecc.. Non essendo possibile in questa sede esaminare tutte le figure professionali individuate, si è ritenuto opportuno selezionare e descrivere: � figure professionali esclusive del settore non profit: il Manager dell’ONP, l’esperto

in bilancio sociale delle ONP, l’esperto in fund raising, l’operatore dell’informazione nei servizi sociali;

� figure che hanno fatto recentemente la loro comparsa sul mercato e che rispondono a nuove esigenze di specializzazione, per le quali si rilevano maggiori possibilità di occupazione: l’esperto in marketing e comunicazione sociale, l’ecomanager, l’esperto dell’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati.

Nella seconda parte di questo lavoro si procederà alla descrizione delle figure professionali selezionate. Di ogni singola figura professionale verrà data una definizione sintetica e verranno descritti i compiti e le principali attività, le competenze, i percorsi formativi e di carriera, la situazione di lavoro e le tendenze occupazionali 2.

Elenco delle figure professionali selezionate: � Il manager dell’ONP; � L’esperto in bilancio sociale delle ONP; � L’esperto in fund raising; � L’operatore dell’informazione nei servizi sociali; � L’esperto in marketing e comunicazione sociale; � L’ecomanager; � L’esperto dell’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati.

8.1. Il manager dell’ONP

Definizione Il Manager dell’ONP è la figura che presiede alla funzione di pianificazione e gestione strategica dell’impresa in coerenza con i diversi processi di progettazione/sviluppo/erogazione dei servizi. Ha prioritariamente il ruolo di personificare “la sfida etica”, ovvero contemplare nella missione di impresa aspetti valoriali quali la ricerca del benessere delle risorse umane e il doppio obiettivo della solidarietà e del bilancio.

2 Per approfondimenti sulla metodologia di analisi delle professioni, si veda: TARONNA (2008)

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 13

Compiti e principali attività

� Pianificazione strategica: il Manager definisce strategie, obiettivi e programmi operativi per realizzare la missione dell'impresa nel rispetto degli obiettivi economico-finanziari.

� Approvvigionamento finanziario: insieme all'esperto di fund raising, si occupa dell'approvvigionamento finanziario, valutando anche l'opportunità di attivare determinate linee di finanziamento.

� Rappresentanza, immagine e comunicazione: oltre a rappresentare l'organizzazione verso l'esterno, interviene sia nella definizione di iniziative per la valorizzazione della cultura d'impresa sia nello sviluppo delle campagne sociali.

� Gestione delle risorse umane: il Manager è la figura che organizza e coordina le risorse umane, ne pianifica l'attività e definisce i sistemi di controllo e di verifica dei risultati.

Competenze

Il Manager di un'ONP deve avere competenze di marketing e comunicazione, di budgeting e redazione di rendiconti economici, di project management e gestione delle risorse umane. Per questo profilo professionale è indispensabile conoscere almeno due lingue straniere e saper utilizzare gli strumenti informatici. Il manager, infine, deve essere un buon comunicatore, avere capacità di ascolto e di gestione delle relazioni interpersonali, nonché attitudine al problem solving e orientamento ai risultati.

Percorsi formativi e di carriera

Sempre più spesso si assiste allo sviluppo di percorsi formativi (universitari e post universitari) per l'acquisizione di competenze nel management del non profit. In questo senso sono stati attivati corsi di laurea in economia e gestione dello sviluppo locale e del non profit o in economia delle organizzazioni non profit e delle cooperative sociali.

Nel non profit è frequente il passaggio progressivo dai livelli più bassi, come volontario, obiettore o semplice operatore, fino a ricoprire funzioni più elevate di tipo manageriale.

Situazione di lavoro

Il Manager di un'ONP di solito è assunto con contratto a progetto o a tempo indeterminato e ha un rapporto diretto con il Consiglio d'Amministrazione o con la Presidenza.

Tendenze occupazionali

È una figura in crescita, soprattutto nelle piccole organizzazioni, che dalla fase pionieristica passano ad una maggiore articolazione settoriale o territoriale.

14 Professioni e competenze del terzo settore in Italia

8.2. L’esperto in bilancio sociale delle ONP

Definizione

L’esperto in bilancio sociale è la figura professionale che si occupa di predisporre e presentare il documento di rendicontazione dei risultati sociali dell’azienda. Il documento di rendicontazione, affiancando e completando il bilancio civilistico, permette di realizzare una politica di comunicazione diffusa e trasparente, funzionale alla definizione delle politiche gestionali e strategiche dell’azienda stessa.

Compiti e principali attività

� Mappatura degli interlocutori aziendali: il bilancio sociale rappresenta uno strumento aziendale rivolto ai vari interlocutori sociali di riferimento, ossia agli stakeholder (i soci, i dipendenti, i clienti, i fornitori, gli utenti, le istituzioni, l’opinione pubblica, ecc.), per comunicare la missione, gli obiettivi e le azioni previste.

� Rendicontazione: le principali fasi della rendicontazione sono: calcolo del valore aggiunto prodotto e distribuito dall’impresa in un determinato periodo; contabilità delle risorse umane impiegate dall’impresa; valutazione sociale degli effetti che l’attività dell’impresa produce sulle risorse umane impiegate; valutazione di specifici programmi sociali attuati dall’azienda; valutazione dell’impatto sull’ambiente naturale, paesaggistico e artistico; valutazione complessiva degli effetti delle attività aziendali e dell’impatto socio-economico-culturale sulla comunità circostante.

Competenze

L’esperto in bilancio sociale dell’ONP deve conoscere in dettaglio una serie di temi giuridici, economici, organizzativi, procedurali tra cui: il conto economico, lo stato patrimoniale, l’analisi valutativa del bilancio, la gestione del cash flow, il budget (preparazione/utilizzo), il sistema di reporting aziendale, la gestione dei crediti e dei debiti, le norme fiscali per la gestione dei bilanci delle Onlus. È inoltre richiesta un’ottima conoscenza delle tecnologie informatiche, in particolar modo dei software che consentono di integrare tutti i processi aziendali. Le qualità personali più importanti per ricoprire questa posizione sono la precisione, il rigore e la riservatezza.

Percorsi formativi e di carriera

Solitamente per questa figura è richiesta una laurea in economia e commercio con orientamento aziendalistico o almeno il diploma in ragioneria. In ogni caso il responsabile del bilancio sociale deve aver lavorato per diversi anni nel campo della contabilità e deve conoscere molto bene l’intero sistema amministrativo aziendale. Non ci sono limiti precisi alla mobilità verticale. Egli può infatti arrivare a ricoprire il ruolo di coordinatore del settore specifico nelle aziende medio-grandi.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 15

Situazione di lavoro

Questa figura si trova normalmente nelle organizzazioni medio-grandi. In questo caso è un dipendente aziendale collocato all’interno del settore amministrativo, mentre nelle piccole imprese può operare sia come consulente esterno, in qualità di libero professionista, sia come dipendente di uffici di consulenza specialistica.

Tendenze occupazionali

La crescente domanda di “accountability” delle imprese da parte dei mercati finanziari e lo sviluppo di standard per la responsabilità etico-sociale e ambientale d’impresa sono segnali che fanno pensare che la richiesta di questa figura nei prossimi anni tenderà a crescere.

8.3 L’esperto in fund raising

Definizione

L’esperto in fund raising – o fund raiser - svolge un ruolo centrale all’interno dell’ONP, attivando una serie di strategie finalizzate ad assicurare nel tempo un continuo afflusso di risorse finanziarie, elargite a titolo di donazione, per sostenere le attività istituzionali dell’organizzazione. Chiedere soldi per conto di un’ONP vuol dire presentare nel giusto modo la mission e gli obiettivi dell’organizzazione, saper gestire adeguatamente i fondi raccolti ed essere in grado di documentarne il corretto utilizzo.

Compiti e principali attività

� La definizione del briefing, che prevede: l’identificazione degli argomenti a sostegno dell’iniziativa, tramite l’elaborazione del “documento di buona causa” da sottoporre ai soggetti a cui verrà chiesto di sostenere l’organizzazione; l’individuazione delle tecniche più adatte per il raggiungimento degli obiettivi: la sponsorizzazione sociale comprende infatti diverse tipologie di rapporti con le imprese, fra cui le sponsorizzazioni istituzionali o di eventi (in cui l’azienda sponsor è chiamata a sostenere le attività istituzionali dell’ONP o uno specifico avvenimento) e il Cause Related Marketing (fare marketing profit sponsorizzando una buona causa non profit).

� La realizzazione dell’intervento, attraverso il momento del contatto con il potenziale donatore. Alcune ONP - prive di logica strategica - limitano il fund raisingesclusivamente a quest’attività, escludendo tutte le fasi di pianificazione.

� Il monitoraggio dell’attività, per verificare il raggiungimento degli obiettivi e, se necessario, utilizzare i correttivi più opportuni.

Competenze

Le competenze richieste vanno dalla psicologia, all’economia, alla comunicazione, al marketing, al diritto, fino alle pubbliche relazioni. Il fund raiser deve conoscere i diversi

16 Professioni e competenze del terzo settore in Italia

canali e le risorse di finanziamento e deve saper progettare le campagne in relazione ai diversi contesti di reperimento. Il fund raiser possiede competenze tecnico-specialistiche relative alla gestione complessiva del processo che dall’ideazione della campagna di raccolta conduce alla sua realizzazione e alla diffusione dei risultati.

Percorsi formativi e di carriera

Anche se non esistono percorsi standard per l’accesso al ruolo, è spesso richiesta una laurea, preferibilmente in discipline economiche. Sono numerosi i corsi anche universitari e i master che iniziano a sorgere su questi temi. Non di rado il fund raiser può diventare manager di un’ONP.

Situazione di lavoro

Generalmente si è in presenza di una figura che lavora alle dipendenze di un’ONP, anche se è sempre più diffusa l’opportunità di operare come libero professionista che presta la sua consulenza per una o più organizzazioni.

Tendenze occupazionali

La raccolta di fondi per le ONP ha assunto una funzione così importante da costituire uno dei motori del loro successo. Appaiono quindi positive le prospettive occupazionali per gli esperti in fund raising.

8.4. L’operatore dell’informazione nei servizi sociali

Definizione

Questa figura opera all’interno di organizzazioni territoriali, che erogano informazioni alla collettività sui servizi sociali ed attivano progetti europei, coordinandosi con le strutture sanitarie e formative e con i servizi del lavoro e dell’occupazione.

Compiti e principali attività

� Gestione della banca dati delle informazioni. � Analisi dei fabbisogni sociali - con particolare riferimento alle categorie

svantaggiate - mediante la comunicazione verbale o l’utilizzo di strumenti integrativi come, ad esempio, questionari di rilevazione e materiale informativo.

� Raccolta ed erogazione delle informazioni. � Sviluppo di una relazione con gli utenti funzionale all’identificazione di risposte

adeguate alle necessità d’integrazione sociale.

Competenze

L’operatore dell’informazione nei servizi sociali deve conoscere il contesto sociale di riferimento e saper interpretare correttamente le richieste d’informazione; deve inoltre conoscere e saper utilizzare la strumentazione necessaria alla corretta erogazione del servizio. L’operatore dell’informazione nei servizi sociali deve saper organizzare

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 17

iniziative per la diffusione delle informazioni e saper raccordare le istanze delle persone con i comportamenti delle amministrazioni. Deve infine possedere le competenze necessarie per valutare e controllare i livelli di efficienza del servizio.

Percorsi formativi e di carriera

I nuovi servizi informativi prevedono che il ruolo di questo operatore sia ricoperto da personale differenziato per competenze e formazione di base: ci si riferisce, ad esempio, a pubblicisti, esperti di comunicazione, esperti in discipline come scienze dell’educazione, psicologia e sociologia. Sono comunque allo studio percorsi formativi mirati per questa nuova figura, che si sta inserendo in un’area di servizio ancora scoperta. Per il momento, la formazione più richiesta è a cavallo tra quella dell’assistente sociale e quella dell’esperto di comunicazione. Trattandosi di una figura professionale relativamente nuova, non è possibile definirne, al momento, i percorsi di carriera.

Situazione di lavoro

Questa figura trova collocazione nelle ONP o negli uffici relazioni con il pubblico di regioni, province e comuni, a cui si demandano alcune tipologie di servizi informativi con scarsa copertura di risorse interne. Egli si rapporta direttamente con i fruitori del servizio, fornendo le informazioni richieste o proponendo di sua iniziativa quelle ipotizzate e verificate come utili e necessarie, in collegamento con i soggetti della rete sociale di riferimento (istituzioni, enti, imprese, scuole, ecc.).

Tendenze occupazionali

La necessità di disporre di un aggiornato sistema informativo dei servizi sociali, sia pubblici che privati, in convenzione con gli enti locali, favorisce la domanda costante di questa nuova figura.

8.5. L’esperto in marketing e comunicazione sociale

Definizione

L’esperto in marketing e comunicazione sociale progetta proposte competitive, fornisce servizi di qualità e pubblicizza le attività della propria impresa attraverso adeguate strategie ed efficaci campagne di comunicazione.

Compiti e principali attività

� Identificazione del target, costituito da un gruppo distinto di persone o di organizzazioni, le cui esigenze attuali o potenziali devono essere in qualche modo soddisfatte dall’ONP.

� Individuazione e definizione, in collaborazione con il manager dell’ONP, degli obiettivi sociali e delle strategie più opportune per raggiungerli. Tali obiettivi vanno dal rafforzamento dell’immagine dell’ONP, passando attraverso la diffusione dei

18 Professioni e competenze del terzo settore in Italia

valori etici dell’impresa, l’informazione sulle nuove iniziative, la sensibilizzazione su determinate tematiche sociali, fino ad arrivare al reperimento dei finanziamenti. Quest’attività è svolta sia dall’Esperto in marketing che dalla figura specifica dell’esperto in fund raising.

È opportuno ricordare che in genere le ONP, grazie alla valenza etica della loro attività, riescono ad avere spazi sui mezzi di comunicazione di massa a condizioni molto vantaggiose, se non addirittura gratis. Si rende così possibile la realizzazione di massicce campagne d’informazione, dal costo altrimenti proibitivo.

Competenze

Per l’esperto di marketing sociale sono indispensabili conoscenze specifiche nel settore della comunicazione, che riguardano le promozioni e le sponsorizzazioni, le campagne pubblicitarie, la gestione dell’ufficio stampa e le relazioni istituzionali. Si richiedono anche competenze relative al risk management, necessarie per essere in grado di analizzare e valutare il rischio di un’iniziativa, unite alla conoscenza delle tecniche di fund raising. Tra le caratteristiche individuali vanno evidenziate la capacità analitica, la creatività, un’attitudine decisionale e la flessibilità.

Percorsi formativi e di carriera

Generalmente è richiesta una laurea, di solito in discipline economiche. La formazione ideale è rappresentata dalla laurea in marketing e comunicazione d’impresa, preferibilmente nell’ambito del settore non profit. I corsi e i master istituiti negli ultimi anni in questo campo sono molto numerosi. Spesso questa figura rappresenta il punto di arrivo di un percorso di carriera all’interno di un’ONP.

Situazione di lavoro

Nelle ONP di dimensioni medio-grandi questa figura è, in genere, un dipendente, che gode, nell’ambito delle strategie d’impresa, di un elevato grado di autonomia.

Tendenze occupazionali

La crescente importanza che, nel sociale, sta assumendo la cultura del marketing, delinea buone possibilità occupazionali per questa figura.

8.6. L’ecomanager

Definizione

L’ecomanager è la figura preposta a garantire il rispetto dell’ambiente attraverso la diminuzione dei rifiuti e dei livelli di inquinamento, la minimizzazione dei consumi energetici, l’eliminazione di sostanze nocive e l’orientamento della produzione verso prodotti sempre più ecologici. Questa figura professionale nasce nel settore privato con la funzione di risolvere le diverse problematiche ambientali che sorgono durante i processi produttivi all’interno delle aziende, ma comincia ad affermarsi anche

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 19

nell’ambito del non profit, in collaborazione con il settore pubblico, come colui che valuta l’impatto ambientale dei progetti approvati dalle amministrazioni.

Compiti e principali attività

� Controllo dei processi produttivi ai fini della riduzione di emissioni inquinanti e del risparmio energetico;

� progettazione, installazione, gestione e controllo di nuove tecnologie, rispettose dell’ambiente;

� recupero degli scarti e dei residui per il riciclaggio nelle attività produttive; � ricerca finalizzata all’innovazione del processo, del risparmio e del recupero

energetico; � predisposizione - nell’ambito degli eco finanziamenti - di strumenti di contabilità

ambientale (ecobilancio, dichiarazioni ambientali) e proposta all’impresa committente di forme di finanziamento agevolato che prevedano il rispetto dei parametri ambientali o di finanziamenti subordinati all’adozione di sistemi di certificazione (ISO 14000 ed EMAS).

Competenze

Le conoscenze dell’ecomanager spaziano dal campo ambientale a quello giuridico ed economico, come la legislazione sull’ambiente, i sistemi produttivi e di gestione aziendale, il marketing, la contabilità, l’accesso ai finanziamenti e così via. È indispensabile inoltre una buona conoscenza delle certificazioni di qualità ambientale con i relativi standard. All’ecomanager viene richiesta soprattutto la stretta complementarietà tra le competenze tecnico-ambientali e quelle economico-gestionali.

Percorsi formativi e di carriera

Per accedere alla professione, oltre alla laurea in materie scientifiche o economiche - meglio se con lo specifico indirizzo di economia ambientale - è richiesta un’ulteriore specializzazione. Le lauree che facilitano l’ingresso nel mondo del lavoro di questo professionista sono quelle in scienze ambientali, chimica industriale ad indirizzo ambientale, ingegneria dell’ambiente e del territorio, ecc. I percorsi di carriera sono legati all’esperienza maturata sul campo all’interno dell’azienda sia pubblica che privata.

Situazione di lavoro

L’ecomanager può lavorare nel privato o nel pubblico: nel primo caso si occuperà della progettazione e valutazione di sistemi produttivi interni; nel secondo, della valutazione di sistemi produttivi esterni.

Tendenze occupazionali

Dall’idea di una crescita produttiva illimitata, si è giunti al concetto di uno sviluppo sostenibile che, tenendo in considerazione la limitatezza delle risorse naturali, ne consenta un uso più razionale. In quest’ottica assume rilevanza un potenziale mercato del lavoro “verde” e, dunque, la disponibilità di diversi professionisti preparati - tra cui

20 Professioni e competenze del terzo settore in Italia

l’Ecomanager - che siano in grado di offrire contributi di carattere specialistico, sistemico e interdisciplinare.

8.7. L’esperto dell’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati

Definizione

È la figura professionale che, quasi sempre nell’ambito di una cooperativa sociale, gestisce e aiuta risorse umane svantaggiate a sviluppare professionalità spendibili sul mercato, per metterle in grado di inserirsi in strutture con caratteristiche imprenditoriali.

Compiti e principali attività

Tale figura, oltre ad esercitare le tradizionali attività legate alla gestione, alla motivazione e alla valutazione del personale, ha come compito specifico quello di coordinare le attività interne ed esterne dell’ONP per la quale lavora. Più precisamente egli svolge i seguenti compiti:� Gestione dei rapporti con le persone svantaggiate, in accordo con l’assistente

sociale, risolvendo conflitti, emergenze e controversie. � Messa a punto dei progetti di inserimento lavorativo, definendo fasi, obiettivi e

collocazione delle persone nei diversi settori di attività. � Assegnazione di ruoli e compiti, conciliando interessi e competenze specifiche dei

lavoratori in difficoltà con le esigenze produttive dei contesti di inserimento. � Organizzazione delle attività delle persone svantaggiate, definendo turni, congedi e

malattie, al fine di garantirne la presenza sul posto di lavoro e il rispetto dei tempi. � Promozione dello sviluppo personale e professionale dei soggetti svantaggiati.

Competenze

L’esperto dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati deve avere una buona base di conoscenze psicologiche, organizzative e legislative. In particolare deve possedere una buona conoscenza di elementi di psicologia dei gruppi, di pedagogia e formazione, nonché delle caratteristiche dei fenomeni di devianza e marginalità; deve possedere capacità di gestione e valutazione delle risorse umane ed essere in grado di applicare le metodologie per la distribuzione dei carichi di lavoro e l’attribuzione dei compiti. Deve inoltre conoscere i principi dell’economia non profit, del marketing sociale e delle politiche sociali per lo svantaggio, nonché le regole delle cooperative sociali, lo statuto dei lavoratori, i principi del diritto del lavoro e il contratto del proprio settore. Inoltre, per motivare al lavoro individui svantaggiati, è necessario avere la capacità di gestire rapporti difficili e conflittuali.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 21

Percorsi formativi e di carriera

All’esperto dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati non sono richiesti specifici percorsi formativi, anche se è necessaria una formazione di livello superiore. La laurea in psicologia può risultare uno dei titoli più consoni all’esercizio di questa professione. Per arrivare a ricoprire l’incarico ad un discreto livello, incidono notevolmente l’esperienza e l’apprendimento on the job. La mobilità verticale consiste nel passaggio a posizioni aventi un maggiore contenuto gestionale.

Situazione di lavoro

L’esperto dell’inserimento lavorativo lavora nelle cooperative il cui fine è l’inserimento lavorativo di categorie svantaggiate (invalidi, ex degenti di istituti psichiatrici, tossicodipendenti, minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, ecc.), ma può operare anche in organizzazioni quali associazioni di recupero di tossicodipendenti o di alcoolisti.

Tendenze occupazionali

Le possibilità occupazionali per l’esperto dell’inserimento lavorativo sono in aumento.

9. Conclusioni

Il terzo settore risulta caratterizzato da notevoli possibilità di sviluppo economico e occupazionale. Possibilità di sviluppo che potranno realizzarsi a breve-medio termine, a patto che vengano messe in atto le più opportune strategie per il rafforzamento e il radicamento del terzo settore nel tessuto politico, economico e sociale. In questo senso sarà necessario realizzare, nell’ottica di una più ampia strategia di sviluppo, una serie di azioni e interventi concreti: � coniugare la spinta etica con l’esigenza di specializzazione e competenze di alto

profilo; � strutturare, definire e qualificare la formazione di operatori e manager; � migliorare la capacità di “fare impresa” delle ONP, coniugando capacità di gestione,

trasparenza e rispetto delle regole; � interagire in modo efficace con il settore pubblico; � creare solide partnership con imprese for profit sulla base di programmi/progetti

condivisi di responsabilità sociale; � individuare, raccogliere e interpretare in modo organizzato e strutturato le nuove

sfide e i nuovi bisogni della società civile, incidendo profondamente sulla realtà quotidiana della collettività.

Dalla capacità delle Onp di rispondere in modo adeguato a queste esigenze dipenderà in buona parte lo sviluppo e il successo, sia in termini economici che occupazionali, di un settore vitale per la crescita sociale e civile del Paese.

22 Professioni e competenze del terzo settore in Italia

Riferimenti bibliografici

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TARONNA P. (a cura di) – (2008) Isfol Orienta Manuale per gli operatori – Area occupazionale Turismo, ospitalità e tempo libero, Isfol, Roma.

TARONNA P. (a cura di) – (2006) Isfol Orienta Manuale per gli operatori – Area occupazionale Educazione e Formazione, Isfol, Roma.

Professional profiles and skills in the third sector

Summary. This work is a synthesis of a much larger study which was achieved within Isfol Orientaonline project’s activities. The research starts with the definition of the career area concerning “non-profit” or “third sector”; then the study analyses the general features of non-profit organizations (NPO). Successively the occupational situation concerning NPO is analyzed with a great attention to the present trend. A presentation of a “map of professional profiles” and a selection of the main professional profiles of this career area concludes the first part of the study. In the second part of the research, the distinctive professional features and skills, the

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 23

vocational training, the hopes of career and the occupational trend concerning the selected professional profiles are described.Keywords: Third Sector, Non-Profit, Non Governmental Organizations, Career Area, Professions, Professional Profile.

I tratti distintivi degli operatori del terzo settore: un percorso di ricerca sul campo per la

determinazione delle professionalità esistenti e delle competenze richieste dal mondo del lavoro

Maria Gabriella Grassia*, Giovanna Boccuzzo**, Alfonso Piscitelli***, Luca Fratepietro****1

* Dipartimento Matematica e Statistica, Università di Napoli “Federico II” ** Dipartimento di Scienze Statistiche, Università di Padova

*** Facoltà di Sociologia, Università di Napoli “Federico II” **** Nero e Non Solo Onlus, Caserta

Riassunto. Il lavoro presenta la progettazione e la realizzazione di un percorso di ricerca per la definizione delle professionalità esistenti ed emergenti nel terzo settore, con particolare riferimento all’ambito dei servizi agli immigrati. Si tratta di professioni spesso nate in risposta a bisogni in evoluzione, per le quali è importante l’identificazione delle competenze e dei percorsi formativi specifici. Vengono illustrate tutte le fasi della ricerca: la prima è l’indagine qualitativa, composta da interviste a testimoni privilegiati e successivi focus group, e finalizzata a identificare i contenuti della ricerca quantitativa, definiti mediante analisi testuale. La seconda fase è quella dell’indagine quantitativa, basata su questionari strutturati, e rivolta a responsabili e operatori di organizzazioni del terzo settore. Parole chiave: interviste, testimoni privilegiati, focus group, analisi testuale

1. Introduzione

Le professioni di aiuto alla persona vivono un clima di grande sviluppo. Esso è dovuto, oltre che alle novità legislative2, soprattutto ad un'esplosione delle situazioni

1 Il presente lavoro è stato finanziato nell’ambito del progetto “Modelli e metodi per abbinare profili formativi e bisogni di professionalità di comparti del terziario avanzato”, cofinanziato dal MIUR. Coordinatore nazionale è L. Fabbris, coordinatore dell’Unità di Napoli è S. Balbi. La nota, opera congiunta degli autori, è stata redatta da A. Piscitelli per i paragrafi 1 e 5, da G. Boccuzzo per il par.2, da M.G.Grassia per i paragrafi 3 e 4, da L. Fratepietro per il par. 6. 2 La Legge 8 novembre 2000, n. 328 - Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (G.U. n. 285 del 13.11.2000) ha attuato il passaggio da uno Stato che eroga servizi agli indigenti ad una nuova forma di gestione diretta da parte delle comunità locali, attraverso

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di disagio e di emergenza sociale, al crescente peso di categorie meno protette (es. gli anziani e gli extracomunitari) ed alla conseguente nascita di nuovi bisogni. La maggiore richiesta di servizi e il processo di diversificazione degli stessi porta ad un accrescimento della spesa per l'integrazione sociale e amplia il campo di intervento.

Partendo dai gruppi sociali “svantaggiati”, è possibile individuare i bisogni di assistenza più pressanti e rapportarli, successivamente, ad una possibile definizione dei servizi sociali più richiesti e, quindi, delle competenze professionali destinate a una maggiore diffusione. Le principali categorie cosiddette “svantaggiate” sono così classificabili: � nuclei familiari a basso reddito; � minori e giovani in situazioni di disagio; � persone con disabilità fisiche e/o psichiche; � persone dipendenti da droghe, alcol e farmaci; � cittadini dell’Unione Europea e stranieri (extracomunitari con regolare permesso

di soggiorno, profughi, rifugiati) che vivono situazioni di grave disagio sociale. A queste categorie svantaggiate si affiancano tipologie di interventi per

esigenze differenti, così classificabili (Catino, Ragusa, 2001): 1. interventi per la tutela della vita, della salute e dell’ambiente fisico e materiale di

sussistenza (rispondenti a bisogni di sussistenza e supporto terapeutico); 2. interventi per la promozione, il recupero e lo sviluppo delle condizioni essenziali

di autonomia per singoli individui e gruppi sociali (rispondenti a bisogni di assistenza alla mobilità, relazionali e di sostegno alle persone in difficoltà);

3. interventi per l’incremento, l’arricchimento e lo sviluppo della qualità culturale e simbolica negli ambienti sociali (rispondenti a bisogni di educazione specifica o socializzazione);

4. interventi per l’orientamento e il collocamento al lavoro (rispondenti a bisogni di formazione, pre-inserimento lavorativo, assistenza alla ricerca del lavoro, ecc.)

Sono queste pressanti esigenze che pongono in discussione i modelli tradizionali di assistenza e portano alla nascita di nuove organizzazioni fornitrici di servizi assistenziali. In questo contesto le organizzazioni non profit giocano un ruolo preponderante: esse si affiancano alle istituzioni pubbliche, dalle quali sono spesso delegate per la fornitura di servizi, ma il costante contatto con gli utenti ne fa degli osservatori privilegiati, che colgono prima di altri le esigenze e le nuove richieste di prestazioni sociali.

un sistema integrato di servizi con la partecipazione di una molteplicità di soggetti. Con questa legge si istituisce, accanto ad un sistema di welfare della sanità e della previdenza, un welfare “delle famiglie e delle politiche sociali” con l’obiettivo di “prevenire il disagio, contrastare la povertà, aiutare chi è in difficoltà, migliorare la qualità della vita di tutti, dando finalmente completa attuazione agli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione”. Sono seguite le leggi regionali in attuazione della Legge 328.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 27

Nuovi servizi implicano anche nuove figure professionali da affiancare a quelle già esistenti. Da tale esigenza nasce questa ricerca, che parte considerando i bisogni di professionalità in diversi ambiti del terzo settore, per poi focalizzarsi su un’area particolarmente dinamica, quella dei servizi all’immigrazione, all’interno della quale si evidenzia maggiormente lo sviluppo di nuovi e accresciuti bisogni da parte degli utenti.

Nel lavoro si espone il percorso di ricerca descrivendo in modo dettagliato la progettazione della ricerca (par. 2), l’indagine qualitativa con le interviste a testimoni privilegiati (par. 3), l’indagine qualitativa con i focus-group (par. 4), l’indagine quantitativa (par. 5). Le conclusioni sono tratte nel par. 6.3

2. Il percorso di ricerca

Obiettivo del lavoro è presentare il percorso di ricerca adottato dalle Università di Padova e di Napoli, per definire, in termini di attività, competenze e profili formativi, le professioni svolte nei servizi di tipo socio-assistenziale alla persona, con particolare riferimento alle figure professionali emergenti.

L’ambito territoriale è dato dalle province di Padova e Caserta, che rappresentano le realtà del nord e sud Italia.

Il percorso di ricerca è partito proprio dalla definizione dell’oggetto dell’indagine, ovvero le competenza e le attività svolte della figure professionali del settore immigrazione.

2.1 Oggetto dell’indagine: analisi di attività e competenze

È stato necessario, in primo luogo, esplicitare cosa si intendesse per competenze e attività. Una definizione precisa del concetto di competenza è difficile da stabilire, in quanto questa nozione presenta molte sfaccettature ed il termine racchiude diversi significati, secondo il contesto in cui viene utilizzato. In questa ricerca, le competenze sono state concettualmente suddivise in tre tipologie: le conoscenze (sapere), le capacità o abilità pratiche (saper fare) e le doti personali o atteggiamenti (saper essere). A loro volta le capacità si distinguono in trasversali, ovvero comuni a tutte le attività, e tecnico-specialistiche, ovvero specifiche dell’attività. Altrettanto complessa è la definizione di attività svolta nell’ambito dei servizi alla persona. Le attività sono definite come insieme di operazioni organizzate

3 Per l’analisi dei risultati dell’indagine quantitativa si rimanda al lavoro di Boccuzzo e Grassia in questo stesso volume Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: confronto tra due realtà italiane.

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e finalizzate allo svolgimento del lavoro, ma nei servizi alla persona tale definizione è limitante: “Il concetto chiave, nei servizi alla persona, è quello della coincidenza fra prodotto e servizio, in cui il prodotto erogato coincide strettamente con il processo di produzione delle stesso: l’azione specifica dell’operatore è, allo stesso tempo, processo (l’atto) e prodotto (le conseguenze dell’atto). [...]. In fase di erogazione del servizio, vi è inoltre un livello bassissimo di standardizzazione, in quanto non si può prescindere dalle caratteristiche della singola persona, nel rispetto delle sue specificità e della sua cultura. Le professionalità presenti nei vari segmenti dei servizi alla persona vengono fortemente influenzate dall’organizzazione all’interno della quale si sviluppano e si esplicano” (Fabrizi, Raciti, Ranieri, 2008).

Ne consegue che l'analisi delle figure professionali emergenti nei servizi alla persona risulta molto complessa, in quanto la stessa attività richiede di essere svolta in maniera differente a seconda del destinatario del servizio, per cui non è sufficiente possedere delle abilità, ma bisogna saperle utilizzare in maniera differenziata e appropriata, e mettere perciò in gioco le proprie doti personali. Il continuo interrelarsi di attitudini e abilità è una peculiarità delle professioni del terzo settore.

2.2 Le tecniche di indagine – ricerca qualitativa e quantitativa

In virtù della complessità ed innovatività del tema trattato, la ricerca è stata realizzata utilizzando tecniche di indagine di natura prima qualitativa e poi quantitativa.

Le indagini qualitative danno informazioni su norme e culture sociali che, essendo costruite e convenute dai membri di una comunità con punti di vista e situazioni differenti, sono inevitabilmente soggettive. Lo scopo delle ricerche qualitative è quindi descrivere ed interpretare quali sono queste regole e idee sociali ed offrire dei modelli descrittivi dei comportamenti, delle organizzazioni e delle dinamiche sociali. Usando metodi come interviste individuali in profondità e focus group, è possibile esplorare i diversi punti di vista di uno stesso fenomeno. Le indagini qualitative possono allora essere utili per esplorare problemi poco conosciuti e per generare ipotesi di partenza per indagini quantitative.

I dati raccolti mediante le indagini qualitative possono essere poi trasformati in testi da analizzare e codificare per ricercare tipologie e temi ricorrenti (categorie). Anche se le indagini qualitative possono essere utilizzate da sole, esse non sono contrapposte alle indagini quantitative, ma possono essere utilizzate in parallelo o in sequenza come base per una ricerca quantitativa su aree di analisi non sufficientemente esplorate.

Per determinare e caratterizzare attività e competenze delle figure professionali del terzo settore, l’indagine quantitativa è stata posta in sequenza a

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quella qualitativa. La ricerca si è sviluppata in tre fasi:

1. realizzazione di interviste a testimoni privilegiati, coordinatori di cooperative o associazioni di volontariato, finalizzate ad ottenere prime indicazioni sul ruolo di lavoratori e di volontari nel terzo settore;

2. realizzazione di focus group a gruppi selezionati di operatori, finalizzati a dettagliare le principali competenze e caratteristiche del lavoro nel terzo settore. Le prime due fasi hanno evidenziato una estrema eterogeneità di attività e competenze a seconda del settore di intervento e hanno reso evidente l’esigenza di concentrarsi su un unico settore per poterne approfondire le caratteristiche. La scelta è dunque ricaduta sul settore che più di tutti mostra dinamicità, incidenza di nuove attività e quindi di figure professionali in divenire, quello dei servizi agli immigrati.

3. Realizzazione dell’indagine quantitativa presso responsabili e operatori di organizzazioni delle province di Padova e Caserta, che forniscono servizi agli immigrati, basata sulle informazioni e gli elenchi di competenze desunti dai focus group.

3. Le interviste a testimoni privilegiati

Le interviste ai testimoni privilegiati hanno avuto lo scopo di delineare il contesto dell’indagine, individuando il punto di vista degli attori istituzionali e locali sulle tematiche principali dei servizi offerti alla persona dagli enti del terzo settore. Lo strumento utilizzato è stato quello delle interviste in profondità ai protagonisti del mondo del no-profit (presidenti di associazioni di volontariato o cooperative) e della realtà territoriale (funzionari nel settore delle Politiche Sociali). L’indagine ha coinvolto 29 testimoni privilegiati, di cui 9 in Veneto e 20 in Campania. Il periodo di svolgimento delle interviste è il primo semestre del 2007.

Le interviste, della durata di circa un’ora e mezza, sono state condotte utilizzando una traccia semistrutturata che ha affrontato le seguenti aree di riflessione: � caratteristiche strutturali dell’organizzazione; � tipologie dei servizi erogati; � caratteristiche degli operatori; � stato dell’arte in termini di risorse umane: professionalità esistenti, competenze

richieste, competenze offerte dal mercato, ruolo della formazione; � possibili scenari futuri in termini di professionalità emergenti, interventi

formativi ed i legami con l’università.

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Mediante l’analisi lessicale del testo delle interviste si sono ricercate le strutture di contenuto, per ricostruire le opinioni degli intervistati in una chiave di lettura trasversale, ovvero confrontando le due città rispetto agli argomenti per ogni tematica affrontata. Inoltre, con l’analisi delle corrispondenze lessicali (Lebart, Salem, 1988; Bolasco, 1999), si è ricercata la struttura complessiva del contenuto, cogliendo associazioni e contrapposizioni tra le forme usate dagli intervistati. L’utilizzo di una traccia strutturata per l’intervista e la specificità degli argomenti trattati hanno lasciato poco spazio a divagazioni e hanno fornito una terminologia settoriale specialistica. La scarsa ambiguità nel vocabolario del testo ha consentito di ritrovare direttamente nel testo stesso la terminologia da utilizzare per la formulazione delle domande nella successiva indagine quantitativa. Non si è ritenuto necessario, pertanto, agire in maniera eccessiva sul testo, se non fondendo, solo per la prima parte dell’analisi, le frequenze di alcune forme, ritenute importanti perché rappresentative di temi di base, presenti nelle varie flessioni, unendo ad esempio la flessione singolare con quella plurale, la flessione maschile con quella femminile.

3.1 Caratteristiche del corpus ed analisi lessicale

Il testo originario delle interviste a testimoni privilegiati è risultato composto da 15.420 occorrenze, con 1.250 forme grafiche4.

Successivamente il corpus è stato normalizzato5 e, ai fini della costruzione del vocabolario, si è deciso di escludere sia le forme con un numero di caratteri inferiore a 4 (ad esempio per, di, con) (lunghezza-soglia), sia le forme con una frequenza inferiore a 5 (frequenza-soglia). Il vocabolario, ottenuto dopo la fase di pre-trattamento, è risultato composto da 340 forme distinte. Dal vocabolario sono stati estratti i segmenti ripetuti che sono risultati essere 160. L’analisi lessicale è stata, così, condotta sulle singole forme e sui segmenti ripetuti (forme testuali).

Selezionando le forme testuali con le frequenze più alte è possibile individuare le parole di contenuto ovvero quelle di maggiore interesse.

4 Una sequenza di caratteri delimitata da due separatori (spazio, virgola, punto, punto e virgola, etc.) definisce una forma grafica. Le forme grafiche intese come unità di conto vengono definite occorrenze. L’analisi automatica di un testo fornisce come primo risultato un conteggio delle forme grafiche. 5 La normalizzazione è una procedura che consente di: � eliminare le fonti più frequenti di sdoppiamento del dato (presenza di minuscole e maiuscole

(Casa, casa); presenza di apostrofi al posto di accenti (perche’, perché) � uniformare la grafia di sigle, nomi propri � identificare poliformi (ad esempio non solo) e polirematiche (ad esempio punto di riferimento)

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 31

3.2 I risultati

Dalle interviste emerge un proliferare di figure professionali all'interno dei servizi e/o attività rivolte alla persona. Si differenzia il saper far dal saper essere e dal sapere in funzione del tipo di organizzazione (cooperativa sociale, associazione di volontariato, associazione di promozione sociale), della dimensione dell’organizzazione, del tipo di servizio offerto alla persona (interventi per la tutela della salute, interventi per l’arricchimento e lo sviluppo della qualità culturale, interventi per l’orientamento ed il collocamento al lavoro)

Principalmente agli operatori sono richieste: la conoscenza delle lingue, la conoscenza del sistema delle norme che regolano la vita dei cittadini stranieri, la conoscenza del sistema di servizi ed uffici che costituiscono il sistema di welfare locale, la conoscenza del fenomeno migratorio nel contesto italiano e locale, la conoscenza delle culture (abitudini, modelli di comportamento, ecc.) dei paesi di provenienza degli immigrati (sapere); la capacità di ascolto, la capacità di costruire un relazione di aiuto con l'utente nel rispetto della sua dignità personale ed autonomia (saper essere), la capacità di ricondurre il problema in un contesto possibile per l'individuazione delle risposte, la capacità di far emergere, esplicitare, le istanze e richieste di aiuto da parte dell'utenza (sapere fare).

Dai testimoni privilegiati viene riconosciuta principalmente la formazione dell’Ente Regione, a discapito della formazione universitaria di cui viene messa in dubbio l’utilità in termini di trasferimento di conoscenze e competenze utili sul campo.

Le informazioni ottenute dall’analisi dei testi delle interviste ai testimoni privilegiati sono state utilizzate per i focus group sia per la formazione dei gruppi (differenziati per tipologia, dimensione e tipo di servizio offerto dall’organizzazione), sia per la progettazione della traccia semistrutturata utilizzata per la realizzazione degli stessi.

4. I focus group

4.1 I temi affrontati

Grazie alle informazioni derivanti dalle interviste a testimoni privilegiati, sono state delineate le ipotesi alla base dei focus group:� i bisogni di professionalità delle organizzazioni del terzo settore sono diversi

secondo l’ambito di intervento e la tipologia di servizio offerto. Lo stesso dicasi per il ruolo svolto dalle competenze trasversali e tecnico-specialistiche;

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� le doti di personalità hanno un ruolo determinante, spesso superiore a quello di conoscenze e abilità;

� le fonti per la formazione delle nuove professionalità sono molteplici (università, enti regionali, istituzioni private)

In virtù di tali ipotesi, i focus group sono stati realizzati utilizzando una traccia semistrutturata che ha affrontato le seguenti aree di riflessione: � quali attività svolgono gli operatori; � quali conoscenze deve avere l’operatore impegnato nelle attività erogate

dall’ente; � quali capacità deve possedere l’operatore impegnato nelle attività erogate

dall’ente; � quali doti di personalità deve possedere l’operatore impegnato nelle attività

erogate dall’ente; � quali sono le principali carenze negli operatori impegnati nelle attività erogate

dall’ente; � che tipo di formazione è richiesta, da chi dovrebbe essere riasciata? Come

dovrebbe essere erogata concordemente con le esigenze dell’organizzazione? Complessivamente, sono stati realizzati otto focus group nel secondo

semestre del 2007, 4 a Padova e 4 a Caserta, rivolti a responsabili di associazioni e cooperative, volontari ed operatori con vari livelli di responsabilità.

4.2 L’analisi dei focus group

Per analizzare i testi dei focus group è stata applicata una strategia di codifica “Bag-of-Words”6 applicata a contesti locali (Balbi e Di Meglio, 2004, Balbi e Misuraca, 2005). L’informazione estratta è stata poi utilizzata per la progettazione del questionario dell’indagine quantitativa.

In primo luogo si è proceduto, attraverso il ricorso alla conoscenza esperta, a costruire di una sistema di key-words data driven utilizzando i testi delle interviste ai testimoni privilegiati. Successivamente si è proceduto all’identificazione delle frasi interessanti all’interno dei testi dei focus group sulle quali concentrare il processo di estrazione della conoscenza ed all’utilizzo del “Bag-of-Words” sfruttando i contesti

6 Con il Bag-of-Words si opera una trasformazione dei documenti in vettori in uno spazio multidimensionale. Un generico vettore/documento dj è rappresentato come dj = [w1j, w2j, . , wij, . , wpj] dove wij è espressione dell.importanza della i-esima parola nel j-esimo documento in termini di contenuto informativo (i = 1,…,p e j = 1,...,q), nel caso in cui la base documentaria sia costituita da p parole differenti presenti in q documenti

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locali delle parole nelle frasi estratte. Infine l’informazione interessante è stata utilizzata per la definizione degli item del questionario.

Attraverso la conoscenza esperta sono state individuate le forme grafiche e assegnate alle quattro tipologie di competenze: � Doti personali – coerenza, disponibilità, apertura mentale… � Capacità trasversali – lingua, inglese, francese, informatica, PC…. � Conoscenze specialistiche – psicologia, diritto, pedagogia,…� Capacità tecnico-specialistiche – gestione, analisi, uso, ascolto

La struttura dei focus group suggerisce di considerare gli stessi come un’unità complessa, costituita, gerarchicamente, da unità di ordine inferiore: i periodi, le frasi, le parole (le lettere). Per questo motivo, ogni focus group è stato decomposto in periodi e sono state costruite le regole (classificatori) per l’estrazione dei periodi “interessanti”, unendo le key-words con l’operatore logico or. I periodi (complessivamente 992) sono stati classificati nei gruppi: Doti personali, Competenze generali, Conoscenze specialistiche, Capacità Tecnico-specialistiche (Text Categorization).

Per ogni gruppo è stata successivamente effettuata una codifica “Bag-of Words” con un’analisi delle forme e dei segmenti ripetuti.

Ad esempio, dei 992 periodi, 44 sono stati classificati come riguardanti le doti personali. Le forme ed i segmenti ripetuti contenuti nei periodi sono risultati 120, accorpati successivamente in 16 items per il questionario dell’indagine quantitativa.

5. L’indagine quantitativa

L’indagine quantitativa è stata progettata, in sequenza all’indagine qualitativa, utilizzando i risultati dalla ottenuti dalla stessa.

Sono state interpellate le organizzazioni no profit che operano dell’ambito dei servizi agli immigrati7: 20 nella provincia di Padova8 e 8 in quella di Caserta.

L’indagine è strutturata in due parti: un questionario per i responsabili e uno per gli operatori. Poiché gran parte degli operatori è composta volontari, questi ultimi sono stati inseriti nell’indagine.

7 L’elenco delle organizzazioni no profit è stato ottenuto dalle rispettive Regioni del Veneto e della Campania ed è stato integrato e corretto con le informazioni provenienti dai testimoni privilegiati e dai partecipanti ai focus group. 8 20 sono le organizzazioni che hanno aderito all’indagine. Altre 5 enti non hanno aderito.

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Il questionario per gli operatori è strutturato in più sezioni9: informazioni socio-demografiche, ruolo ricoperto nell’organizzazione e forma contrattuale, attività svolte con l’indicazione della percentuale di tempo dedicato ad ognuna, importanza delle competenze. Gli items relativi alle competenze sono stati stabiliti a partire dai risultati dell’analisi testuale dei focus group. L’importanza attribuita dall’operatore ad ogni item è stata misurata su una scala da 1(per nulla importante) a 4 (molto importante).

Il questionario per i responsabili ha le seguenti sezioni: informazioni socio-demografiche del responsabile, informazioni strutturali sull’organizzazione, attività svolte dall’organizzazione, professionalità presenti e competenze richieste agli operatori .

La rilevazione è stata svolta mediante intervista faccia a faccia. Quando ciò non è stato possibile, i questionari sono stati lasciati presso l’organizzazione e ritirati quando pronti. La rilevazione si è svolta nel primo semestre del 2008.

L’analisi dei dati raccolti ha contribuito ad identificare le attività svolte, le figure professionali esistenti e le competenze, analizzando, di queste ultime, l’importanza in funzione delle attività e delle professione identificate.

6. Conclusioni

Descrivere le professioni sociali è molto complicato. Il settore sta subendo forti modifiche, e le cause sono varie: la richiesta crescente di persone fortemente competenti e specializzate; il processo (a volte lento e faticoso) di istituzionalizzazione di alcune professionalità operanti da anni nel settore sociale; l’emergere di figure “nuove”; il progressivo consolidamento dei percorsi accademici finalizzati a formare gli operatori del terzo settore.

Proprio questi cambiamenti ci hanno indotto a realizzare un’indagine utile a descrivere le figure professionali del settore, indagando in particolare sulle capacità e sulle attività svolte, sia dalle figure più consolidate con titoli di studio riconosciuti (psicologo, sociologo, assistente sociale, operatore socio-sanitario, etc.) sia dalle figure professionali “emergenti” (mediatore interculturale, manager di servizi sociali, manager di reti di servizi sociali, esperto in mediazione al lavoro, accompagnatore sociale all'abitare, etc.). L’analisi si è poi concentrata sulle figure professionali nuove

9 I questionari sono stati inseriti in appendice al lavoro di Boccuzzo e Grassia Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: confronto tra due realtà italiane in questo stesso volume.

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che, pur se ancora poco definite, presentano tuttavia elementi di grande interesse poiché implicano il possesso competenze di profilo molto elevato.

Dal punto di vista metodologico, il lavoro propone un percorso di ricerca che unisce metodi di ricerca qualitativi a metodi di ricerca quantitativi.

I risultati ottenuti dalle indagini qualitative (interviste a testimoni privilegiati e focus group) sono stati utilizzati per la realizzazione di un’indagine quantitativa in grado di quantificare le competenze richieste agli operatori, in termini di importanza e livello di utilizzo, distinguendole per tipo di professione e tipo di attività.

Le informazioni ottenute dalla ricerca potranno essere utilizzate per progettare nuovi e specifici interventi formativi, in grado di offrire strumenti utili ad affrontare le problematiche riscontrate giornalmente dagli operatori.

Riferimenti bibliografici

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BALBI S., MISURACA M. (2005) Pesi e metriche nell’analisi dei dati testuali. In Quaderni di Statistica, 7: 55-68.

BOCCUZZO G., GRASSIA M.G. (2008) Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati. In: Balbi S., Boccuzzo G., Grassia M.G. (a cura di), Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore, CLEUP, Padova: 37-81.

BOLASCO S. (1999) Analisi multidimensionale dei dati, Roma, Carocci. CATINO M., RAGUSA G. (2001) Lavorare nei servizi di Welfare e nel Terzo

settore, La Collana delle professioni, Regione Emilia Romagna. FABRIZI L., RACITI P., RANIERI C. (2008) Un modello di Osservatorio per il

governo del sistema delle professioni sociali e lo sviluppo dei servizi alla persona, Collana Studi Isfol 2008/4, Roma.

LEBART L., SALEM A. (1988) Analyse statistique des données textuelles. Question ouverte et lexicométrie, Dunod, Paris.

REGIONE CAMPANIA, Deliberazione n. 2843 dell'8/10/2003.

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Distinguishing traits of workers in the third sector: a field work for the detection of existing professionalism

and needed competences

Summary. In this paper we present the design and implementation of a research pathway aimed to define existing and emerging professions in the third sector, with emphasis on services to immigrant people. Such professions are often born to support emerging needs, and a detailed identification of skills and specific training courses are necessary. We describe all the research steps: firstly the qualitative survey, composed of interviews to key informants and focus groups, aimed to identify the contents of the following quantitative survey. They are defined by means of textual analysis. The survey is based on structured questionnaires to manager and workers of third sector organizations in the field of immigration. The results of this research are published in a paper in this book. Keywords. Interviews, Key informants, Focus groups, Textual analysis

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

Giovanna Boccuzzo* Maria Gabriella Grassia** 1

* Dipartimento di Scienze Statistiche, Università di Padova ** Dipartimento Matematica e Statistica, Università di Napoli “Federico II”

Riassunto: Nel lavoro si presenta un percorso di analisi di attività, professioni e competenze nei servizi agli immigrati, basato sui dati provenienti da un’indagine effettuata presso organizzazioni del terzo settore delle province di Padova e Caserta. Sono proposti degli indici sintetici di importanza delle competenze e di loro utilizzo da parte degli operatori, stimati mediante sistemi di ponderazione e modelli di Rasch. Sono poi analizzate le determinanti dell’utilizzo, mediante il ricorso a modelli multilivello. Dallo studio emergono nuove figure professionali, tra le quali l’accompagnatore sociale all’abitare e il mediatore sociale. Le competenze più importanti per i servizi agli immigrati sono quelle interpersonali e tipiche del lavoro in équipe. Molte professioni sono caratterizzate da più attività, e si basano perciò su differenti competenze. Per questo motivo gli operatori manifestano l’esigenza di percorsi formativi specifici e continui. Parole chiave: Terzo settore, Professioni, Competenze, Indice sintetico, Modello di Rasch, Modelli multilivello.

1. La ricerca sui servizi agli immigrati

Il tema dell'immigrazione è di estrema attualità e, nonostante susciti nell'opinione pubblica reazioni e risposte diverse, è condiviso il pensiero che l'integrazione sia la via ineludibile per raggiungere una convivenza fra culture diverse.

Nella realizzazione di percorsi di integrazione è di fondamentale importanza il ruolo svolto dal terzo settore, attore principale nel fornire servizi agli immigrati. Si tratta di un ruolo in continua discussione perché il fenomeno dell’immigrazione sta

1 1 Il presente lavoro è stato finanziato nell’ambito del progetto “Modelli e metodi per abbinare profili formativi e bisogni di professionalità di comparti del terziario avanzato”, cofinanziato dal MIUR. Coordinatore nazionale è L. Fabbris, coordinatore dell’Unità di Napoli è S. Balbi. La nota, opera congiunta delle due autrici, è stata redatta da G. Boccuzzo per i paragrafi 2, 4, 5 e 6, da Maria Gabriella Grassia per i paragrafi 1, 3 e 7.

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

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ancora evolvendo, e con esso i bisogni degli utenti. Si manifestano nuove esigenze, alle quali è necessario rispondere rapidamente, cosa che le istituzioni non sempre sono in grado di fare. È il terzo settore che per primo coglie quali siano tali esigenze, per cui da esso nascono nuovi servizi, che per essere svolti richiedono spesso nuove professionalità. Alcune di queste col tempo avranno un riconoscimento sempre maggiore e potranno prevedere percorsi formativi specifici. È già successo con l’operatore di strada, una tipica figura nata dalle esigenze della società civile e poi sempre più codificata.

Obiettivo del lavoro è proporre un percorso di analisi, che, dagli ambiti di intervento delle organizzazioni del terzo settore, delinea e quantifica le attività degli operatori, e da queste identifica le figure professionali e le competenze necessarie.

Al termine del percorso si potrà affermare se vi sono all’orizzonte nuove professionalità nel settore dell’integrazione agli immigrati, e quali siano le competenze importanti, distinte in conoscenze specialistiche (“sapere”), capacità (o abilità) trasversali e tecniche (“saper fare”) e doti di personalità (“saper essere”).

L’analisi si basa sui dati rilevati mediante un’indagine presso le organizzazioni che forniscono servizi agli immigrati nelle province di Padova e Caserta. Essa fa parte del più ampio progetto, sviluppato dalle Università di Napoli (responsabile del progetto) e Padova, Il mercato delle competenze: metodi statistici per il confronto e l'analisi multidimensionale delle figure professionali offerte e domandate nel terzo settore, descritte in Grassia et al. (2008). La ricerca si è sviluppata in tre fasi: 1. interviste semistrutturate a testimoni privilegiati, coordinatori di cooperative o

associazioni di volontariato, finalizzata ad ottenere prime indicazioni sul ruolo di lavoratori e di volontari nel terzo settore;

2. focus group a gruppi selezionati di operatori, finalizzati a dettagliare le principali competenze e caratteristiche del lavoro nel terzo settore, e a selezionare l’area di analisi ritenuta più interessante, poi identificata nei servizi agli immigrati;

3. indagine presso responsabili e operatori di organizzazioni delle province di Padova e Caserta, che forniscono servizi agli immigrati, basata sulle informazioni e gli elenchi di competenze desunti dai focus group.

L’indagine ha coinvolto 28 organizzazioni del terzo settore e 188 operatori rispondenti. La rilevazione si è basata nella compilazione di un questionario da parte dei singoli operatori, che hanno risposto basandosi sulla loro attività, e dei responsabili dell’organizzazione, che hanno fornito informazioni su loro stessi, sull’organizzazione e sull’esigenza di competenze. I questionari utilizzati per gli operatori (in allegato) contengono informazioni socio-demografiche, ruolo ricoperto nell’organizzazione e forma contrattuale, attività svolte con l’indicazione della percentuale di tempo dedicato ad ognuna, importanza delle competenze. Queste ultime sono misurate mediante batterie di item: 9 per le capacità trasversali e 14 per

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 39

quelle tecniche, 21 per le conoscenze specialistiche e 15 per le doti di personalità. L’importanza è misurata su una scala da 1 (per nulla importante) a 4 (molto importante). Nell’ipotesi che a seconda dell’attività svolta possano essere diverse le competenze importanti, per le capacità tecniche e le conoscenze specialistiche l’importanza di ogni item è stata misurata separatamente per le due principali attività svolte dalla persona. L’importanza delle competenze è stata richiesta anche ai responsabili delle organizzazioni: mentre gli operatori, nel rispondere, fanno riferimento alla loro specifica attività, i responsabili si sono riferiti all’attività dell’organizzazione.

La prima parte del lavoro mira a identificare le attività svolte e le professioni che operano all’interno delle organizzazioni, mentre nella seconda ci si concentra sulle competenze, analizzandone l’importanza in funzione delle attività svolte e della professione esercitata.

Il lavoro è così organizzato: nel par. 2 si illustrano le fasi dell’analisi e i metodi utilizzati, nel par. 3 si descrivono le attività delle associazioni e degli operatori, mentre nel par. 4 si analizzano le professioni. Nel par. 5 si valuta l’importanza delle competenze basandosi su indici sintetici e nel par. 6 si definiscono le determinanti dell’uso di competenze. Le conclusioni sono tratte nel par. 7.

2. Fasi dell’analisi

2.1 Quadro dell’analisi di attività e professioni

Le tre variabili fondamentali su cui si è basato il lavoro sono: � Le attività svolte dall’organizzazione, dichiarate in forma aperta dai responsabili; � Le attività (o funzioni) svolte dagli operatori, dichiarate da ogni operatore in

forma aperta e in ordine di importanza. Per ogni attività è richiesta anche la percentuale di tempo lavorativo settimanale dedicato;

� La professione dell’operatore, dichiarata in forma aperta sotto forma di ruolo ricoperto nell’associazione. Dopo un accurato lavoro di codifica a posteriori di queste tre variabili (par. 2.2),

si è proceduto a metterle in relazione, così come illustrato in Fig. 1. In primo luogo le organizzazioni sono state associate a macro-aree di

intervento sulla base dell’attività svolta, senza la pretesa di compiere attribuzioni esclusive, per cui un’organizzazione può operare in più macro-aree.

Per ogni attività dell’organizzazione, si è definito un profilo di attività degli operatori, quantificato come rapporto di composizione di ogni singola attività sul totale. Si giunge quindi ad una mappa attività organizzazione x funzioni operatori,

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

40

che per ogni ambito di intervento dell’organizzazione associa il peso dell’importanza di ogni funzione degli operatori.

Figura 1. Rappresentazione dei legami fra attività, professioni e competenze

Aree di intervento

Attività delle organizzazioni

Funzioni degli operatori

Per ogni area

Per ogni attività

Per ogni professione

Professione

Competenza

Peso:- Capacità trasversali- Conoscenze- Abilità tecnico-specialistiche

- Doti personali

I fa

seII

fas

e

Aree di intervento

Attività delle organizzazioni

Funzioni degli operatori

Per ogni area

Per ogni attività

Per ogni professione

Professione

Competenza

Peso:- Capacità trasversali- Conoscenze- Abilità tecnico-specialistiche

- Doti personali

I fa

seII

fas

e

L’analisi delle professioni ha richiesto una codifica a posteriori, e una conseguente analisi di figure professionali emergenti non ancora comprese nel repertorio delle professioni ISFOL2. Una volta codificate, le professioni sono state associate alle funzioni svolte dagli operatori, in modo da ottenere un profilo quantitativo delle attività svolte da ogni professione, in maniera del tutto analoga a quanto fatto nella fase precedente. Si giunge così ad una mappa funzioni x professioni, corredata di pesi di ogni funzione all’interno di una professione. La seconda fase del lavoro analizza l’importanza delle competenze sulla base delle risposte fornite dagli operatori. Viene costruito un indice di importanza per ogni competenza (par. 2.3); tale indice può essere calcolato separatamente per ogni professione, per definire così un sistema di pesi di competenze per una specifica professione. In modo analogo, si può costruire un sistema di pesi di competenze per ogni attività. In questo lavoro si presentano i pesi delle competenze calcolati sull’intero aggregato degli operatori, e quindi riferiti alle professioni del terzo settore dedite ai

2 www.isfol.it/orientaonline

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 41

servizi agli immigrati. L’analisi dell’importanza delle competenze in funzione di attività e professione è effettuata mediante approcci di analisi multivariata.

2.2 Codifica a posteriori di professioni e attività

Nel definire il proprio ruolo all'interno dell'organizzazione di appartenenza, gli operatori hanno utilizzato diverse denominazioni, alcune attinenti alla propria specifica professionalità, altre riguardanti le mansioni o attività prevalentemente svolte. Agli operatori si richiedeva di indicare il proprio ruolo nell’organizzazione; la scelta di chiedere il ruolo e non la professione si legava alla nota difficoltà di codificare il lavoro sociale all’interno di una professione riconosciuta. Come affermano Fabrizi et al. (2008) “i nuovi profili di competenza del lavoro sociale sono un tema ineludibile nel quale si incardinano gli snodi di tante transizioni: cambiano gli scenari del welfare, cambiano i bisogni e i setting nei quali si elabora la domanda di intervento, cambia il mondo del lavoro e il sistema della formazione”.

Se, infatti, alcuni profili (operatore socio-sanitario, assistente sociale, educatore professionale, psicologo) sono riconosciuti da norme nazionali, prevedono un percorso formativo omogeneo e un titolo riconoscibile in qualunque regione italiana, altri, pur sostanzialmente simili tra loro, sono variamente denominati e non seguono un percorso formativo standard, talvolta neppure all'interno della stessa regione. Si tratta di ruoli in via di affermazione, di qualifiche di livello intermedio, proliferate negli ultimi tempi in conseguenza di nuovi bisogni e necessità emergenti.

Si è dunque deciso di procedere con una codifica a posteriori delle professioni degli operatori. A tale fine si è partiti ricostruendo un elenco di “professioni sociali” esistenti nel panorama dei servizi alla persona in Italia, includendo anche alcune professioni trasversali (amministrazione, segreteria, ecc.). Le professionalità comprese nell’elenco provengono prevalentemente dalla già citata classificazione ISFOL, alla quale si sono aggiunti altri profili evidenziati in bibliografia o riconosciuti in alcune regioni italiane (Toniolo e Ceruzzi, 2007; Regione Campania, 2003). Quando possibile, a tali profili esistenti sono state ricondotte le definizioni ricavate dai questionari. Se il ruolo ricoperto non rientrava in nessuna delle professioni note, sono state coniate delle nuove definizioni.

In sintesi, i criteri seguiti sono stati: � sono state accettate le definizioni corrispondenti a ruoli codificati (esempio:

“assistente sociale”, “educatore”); � si sono ritrovati sinonimi afferenti comunque ai ruoli di riferimento (per esempio:

“sostegno psicologico utenza” è stato ridefinito “psicologo”); � nei casi dubbi si è considerata l'attività prevalente svolta dal soggetto (esempio:

“operatore generico” è stato riclassificato come “tecnico dell'accoglienza

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

42

sociale”, dato che tale era l'attività principale dichiarata). Ogni operatore doveva anche indicare le attività prevalenti (con possibilità di

indicarne fino a 10), che sono state ricodificate a posteriori mediante analisi dettagliata delle risposte aperte. Sebbene più onerosa, questa strada è stata ritenuta più appropriata rispetto alla scelta di modalità precodificate, che avrebbero indirizzato il rispondente verso le scelte già presenti e limitato l’indicazione di attività non previste nell’elenco.

2.3 Indice di importanza delle competenze

L’importanza attribuita dagli operatori è confrontata con l’importanza attribuita dai responsabili. Questi ultimi forniscono un giudizio complessivo, mentre gli operatori fanno riferimento alla loro specifica attività. L’obiettivo è capire quanto queste due visioni siano concordanti.

Il peso di ogni competenza si basa su una sintesi dei giudizi, effettuata nel seguente modo. Per quanto riguarda le capacità tecniche e le conoscenze, all’operatore era richiesto di indicare l’importanza separatamente per la prima e la seconda attività prevalenti, che a loro volta dispongono di un peso in termini di quota percentuale di tempo dedicato a quella specifica attività. Nel calcolo di un indice sintetico di importanza, si è tenuto conto sia della prima che della seconda attività, pesate per le rispettive quote di tempo ad esse dedicato.

Non si è invece ritenuto opportuno dettagliare l’uso di doti personali e capacità trasversali per singole attività, poiché per loro definizione sono competenze valide indipendentemente dalla attività svolta e valide per grandi ambiti di intervento.

2.3.1 Indice di importanza di capacità tecnico-specialistiche e conoscenze

Ogni operatore indica l’importanza (da 1 a 4) relativamente alle prime due attività. Ad ogni attività è associato un numero di operatori, ognuno dei quali ne indica una misura di frequenza, quantificata come percentuale di tempo lavorato in una settimana. Una competenza molto importante in un’attività svolta per poco tempo potrebbe essere nel complesso meno importante di una competenza con un peso più basso ma associata ad un’attività svolta per molto tempo.

Siano: - s l’indice di attività, i l’indice di operatore - sOPi l’operatore i-mo che svolge l’attività s - spi la percentuale di tempo dedicato all’attività s- srij il voto dato alla competenza j dall'operatore i che svolge l'attività s (r=1, 2, 3,

4)

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 43

- n il numero di operatori che svolgono una certa attività - k il numero competenze

Per ogni attività, si calcola la matrice dei voti assegnati dagli operatori, come illustrato in Tab. 1.

Tabella 1. Matrice dei voti degli operatori che svolgono l'attività s

nksns

ijs

ksss

ksss

ns

s

s

ns

s

s

rr

r

rrr

rrr

p

p

p

OP

OP

OP

......

.........

...

...

...

k comp. 1 comp. attiv.

Voto ........... Voto Peso |Oper

1

22221

11211

2

1

2

1

Si calcola quindi per ogni attività s il voto medio della competenza j in questo modo:

=

=

⋅= n

iis

n

iisijs

js

p

prc

1

1 (1)

1≤ i ≤n, 1 ≤j ≤k, 1≤ s ≤15 (15 è il numero delle attività codificate). Si ottiene un vettore [sc1 sc2 ...sck] dove la componente scj è la media dei voti

alla competenza j pesati con il “valore” dell'attività s. Inoltre ogni attività ha una misura di frequenza, cioè è svolta da un certo

numero di operatori. Sia questa frequenza ns. Si ha quindi per le 15 attività AT1 AT2 ..... AT15 una matrice 15xk:

Tabella 2. Matrice dei voti degli operatori che svolgono l'attività s

k

js

k

k

cc

c

ccc

ccc

n

n

n

AT

AT

AT

15115

22212

12111

15

2

1

15

2

1

......

.........

...

...

...

k comp. Comp.1oper.

medioVoto medioVoto | N |Att. °

dove:

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

44

ATs = attività s ns = numero di persone che svolgono l'attività s scj = voto assegnato alla competenza j relativamente all'attività s descritto in (1).

La componente così calcolata:

=

=

⋅= 15

1

15

1

ss

ssjs

j

n

ncI (2)

esprime l'indice di importanza, come voto da 1 a 4, della competenza j indipendentemente dall'attività svolta; essa è quindi un indice generale, confrontabile con altri, ad esempio le valutazioni espresse dai responsabili.

In Tab.3 è riportata una sintesi degli indici usati.

Tabella 3. Schema descrittivo degli indici sintetici di competenze utilizzati in funzione del tipo di competenza e del rispondente.

Competenze non distinte per attività Competenze basate sulle prime due attività

OPERATORI Capacità trasversali Doti di personalità

Conoscenze specialistiche Abilità tecniche

RESPONSABILI

Capacità trasversali Doti di personalità Conoscenze specialistiche Abilità tecniche

INDICE DI IMPORTANZA

Media aritmetica dei voti espressi dai rispondenti

Media dei voti espressi, ponderata con percentuale attività e numero persone che la svolgono (formula 2).

2.4 Quantificazione delle competenze possedute dagli operatori

La terza parte del lavoro mira ad assegnare ad ogni operatore il livello di competenze utilizzate3, distintamente per le quattro categorie di competenze possedute; quattro indici sintetici, quindi, che descrivono l’uso di capacità trasversali, di conoscenze, di abilità tecniche e, infine, di doti di personalità.

Inoltre, si vuole capire in quali contesti operano coloro che utilizzano maggiormente le competenze, per cui si mette in relazione il livello di competenza

3 L’ipotesi che viene qui fatta è che a importanza elevata assegnata dall’operatore ad una competenza corrisponda un maggiore utilizzo della competenza stessa.

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 45

posseduto con una serie di caratteristiche dell’operatore e dell’organizzazione. Si vuole anche valutare se e in quale misura il livello di competenza sia funzione dell’organizzazione di appartenenza.

2.4.1 Stima del livello di competenza usato

Per ognuna delle quattro categorie di competenze è stato calcolato un indice di sintetico, mediante l’applicazione del modello di Rasch (1960).

Il modello di Rasch fa parte dei modelli parametrici per variabili latenti (Item Response Theory; Hambleton e Swaminthan, 1985), e trova vasta applicazione nella misura della performance, tipicamente in ambito scolastico.

Il modello si basa su batterie di item dicotomici, che assumono valore 0 o 1, e misurano lo stesso tratto latente. Le risposte positive all’item contribuiscono a posizioni elevate nel tratto latente. Nel nostro caso disponiamo di quattro batterie di item, ognuna delle quali descrive un tratto latente (capacità trasversali, ecc) e procediamo a dicotomizzare ogni item assegnando 0 alle modalità per nulla e poco importante, e 1 alle modalità abbastanza e molto importante. È necessario che gli item di una stessa batteria siano indicatori di un unico tratto latente affinché possano essere utilizzati insieme. Va perciò verificata l’unidimensionalità degli item, cosa che può essere fatta applicando ad ogni batteria di item l’analisi fattoriale e verificando la presenza di un autovalore dominante al quale è associata una quota maggioritaria di varianza.

L’analisi è stata eseguita anche separatamente per tipo di attività svolta dagli operatori, per verificare se l’unidimensionalità è ancora rispettata e il primo fattore è sempre lo stesso per ogni attività.

Il modello di Rasch modella la risposta Xij del soggetto i (i=1…n) all’item j (j=1…k), secondo la seguente formula:

ij

ij

e

eXP jiij θβ

θβ

βθ −

+==

1),|1( (3)

dove βj è detto “parametro di difficoltà” ed è associato ad ogni item. Il termine difficoltà si collega alle applicazioni del modello in ambito valutativo. Nel nostro caso il modello di Rasch è stato applicato separatamente alle quattro categorie di competenze; con riferimento alle abilità tecniche, ad esempio, βj misura l’importanza della j-ma abilità tecnica (j=1…14) nel definire la variabile latente “capacità tecnica”.

Il parametro θi è invece associato ad ogni persona ed è detto “parametro di abilità”, ovvero indica la capacità di un individuo di rispondere correttamente agli item. Nel nostro caso θi indica il livello di utilizzo della competenza. Alla fine otterremo dunque quattro graduatorie, una per tipo di competenza, che ordinano gli

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

46

item per importanza, e quattro graduatorie di θi, che ordinano gli operatori dal minore al maggiore utilizzo di competenze.4

Per ciò che concerne le graduatorie βj, ci attendiamo che concordino con gli indici di importanza proposti nel par. 2.3, mentre l’interesse si concentra su θi, ovvero sul livello di competenza utilizzato da ogni operatore, che disporrà quindi di quattro variabili: livello di utilizzo delle capacità trasversali, delle conoscenze, delle abilità tecniche, delle doti di personalità. A questo punto l’obiettivo è analizzare tali variabili, valutarne la correlazione e le determinanti.

2.5 Determinanti dell’utilizzo di competenze

Da cosa dipende la frequenza di utilizzo di competenze? Da caratteristiche personali dell’operatore? Da caratteristiche dell’organizzazione? Dalla professione o dall’attività che svolge? Da un maggiore livello di competenze tipico dell’organizzazione? Dal fatto di lavorare a Padova o a Caserta? Per rispondere a queste domande, è stata svolta in primis un’analisi descrittiva dei quattro indici di uso competenze ottenuti col modello di Rasch: si è analizzata la loro correlazione e distribuzione stratificandoli per professione, allo scopo di rilevare a quali professioni corrispondessero maggiori utilizzi di competenze. In quest’ultimo caso gli indici sono stati preventivamente normalizzati:

)min()max(

)min(

II

IIIn −

−= , In varia fra 0 e 1. si è inoltre calcolata la correlazione intraclasse

considerando come gruppi le professioni, per valutare se all’interno della stessa professione vi fosse condivisione fra operatori relativamente al livello di competenze usate. La correlazione intraclasse è stata stimata mediante modelli con sola intercetta casuale.

Per procedere alla ricerca di tutte le determinanti il livello di competenza, sono stati applicati dei modelli regressivi multilevel. L’uso dei modelli multilevel al posto dei modelli regressivi standard consente di capire se l’uso di competenze dipende anche dal fatto di essere inseriti all’interno di un’organizzazione, ovvero si crea aggregazione “intra-organizzazione”, o di lavorare in un’area geografica. L’utilizzo di competenze, infatti, potrebbe essere non solo una caratteristica personale, ma una caratteristica intrinseca dell’organizzazione, basata su modelli di lavoro più o meno fondati sull’uso di competenze.

Il modello è su tre livelli: il livello 1 è quello dell’operatore, il livello 2 è quello dell’organizzazione, il livello 3 dell’area geografica (Padova o Caserta).

4 Si rimanda alla letteratura specifica (ad esempio Andrich, 1988) per ciò che concerne le procedure di stima e validazione del modello di Rasch.

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 47

Il modello, che per semplicità è qui illustrato con una sola variabile esplicativa X, si configura nel seguente modo:

Yijk = β0jk + β1jk Xijk + Rijk (4)

dove: - Yijk è il livello di abilità dell’operatore i-mo (livello 1, i=1,…,188), che lavora nell’organizzazione j-ma (livello 2, j=1,…,28), situata nella provincia k-ma (livello 3, k=1,2); - β0jk è l’intercetta, variabile, relativa all’organizzazione j-ma della città k-ma: - β0jk = δ00k + u0jk, - δ00k = γ000 + v00k - γ000 = media generale - v00k ∼ NNNN (0, 2

0vσ ) definisce la variabilità interna al livello 3 (provincia)

- u0jk ∼ NNNN (0, 20uσ ) definisce la variabilità a livello di organizzazione

- Rijk∼ NNNN (0, 2eσ ) definisce la variabilità relativa al soggetto i-mo.

La correlazione intraclasse dovuta alla provincia e all’organizzazione è data da:

20

20

2

20

20

vue

vu

σσσσσ++

+(5)

In modo analogo si definiscono le correlazioni intraclasse attribuibili alla sola città o alla sola organizzazione.5

Il modello multilevel applicato ipotizza che l’intercetta vari a seconda dell’organizzazione (ovvero l’uso di competenze dipende dall’organizzazione), ma si può ipotizzare che anche i coefficienti di ogni variabile esplicativa siano variabili. Applicato al nostro contesto, se X è ad esempio la professione di mediatore (X=1 se mediatore, 0 altrimenti), ipotizzare che il relativo coefficiente sia variabile significa supporre che essere mediatore implichi un diverso utilizzo di competenze all’interno delle organizzazioni. Tuttavia, sulla base dei risultati ottenuti dai modelli a sola intercetta variabile, non si è ritenuto di procedere con modelli a coefficienti variabili.

Le variabili esplicative considerate nei quattro modelli sono illustrate nella Tab. 4: si riferiscono sia all’individuo sia all’organizzazione. Poiché le variabili esplicative potenziali sono molte, a causa di tutte le variabili dicotomiche che descrivono ogni professione ed attività, si è proceduto prima ad una selezione dei predittori mediante una regressione lineare multipla con procedura stepwise6, e

5 Per gli aspetti legati alle procedura di stima dei parametri e di validazione del modello si rimanda ai numerosi testi disponibili, ad esempio Snijders e Bosker, 1999. 6 La procedura di selezione stepwise è una procedura automatica di selezione delle variabili, basata sull’inserimento di una variabile alla volta a partire dalla più significativa (forward selection), accompagnato dall’eventuale eliminazione di variabili selezionate ai passi precedenti (backward selection), ma diventate non significative a seguito dell’inserimento di nuovi predittori (Fabbris, 1997).

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

48

successivamente all’applicazione del modello multilevel che considera i soli predittori significativi7.

Tabella 4. Variabili riferite all’individuo e all’organizzazione, dalle quali sono state ricavate le variabili esplicative introdotte nei modelli multilevel.

Variabili esplicative di I livello Variabili esplicative di II livello Variabile Codifica Variabile Codifica

Età In anni compiuti Tipo organizzazione Cooperativa, Ass. volontariato, altro

Sesso 1=M, 0=F Numero operatori Titolo studio 1= laurea, 0=titoli inferiori Numero volontari Esperienza nel Terzo settore

In anni Anno costituzione dell’Organizzazione

Tipo contratto 1= Dipendente, 0=altro Attività svolte dall’Organizzazione

Una variabile dicotomica per ogni attività (Tab. 7)

Tempo pieno 1=Si, 0=No Anni esperienza del responsabile

Volontario 1=Si, 0=No Titolo studio del responsabile

Superiori, laurea, titolo post-laurea

Professione Una variabile dicotomica per ogni professione (Tab. 9)

Attività svolta Una variabile dicotomica per ogni attività (Tab. 7)

3 Le attività svolte nelle organizzazioni

3.1 Breve quadro descrittivo

Le organizzazioni intervistate sono in tutto 28, 20 nella provincia di Padova e 8 in quella di Caserta. Si tratta in prevalenza associazioni di volontariato e cooperative sociali. Sono per lo più organizzazioni di medie o piccole dimensioni, che si avvalgono di dipendenti, collaboratori e volontari. Il 50% ha meno di 5 dipendenti e il 74% meno di 10. In sei casi non sono presenti dipendenti. Cinque organizzazioni non utilizzano al proprio interno l'opera di personale volontario, mentre nel 20% dei

7 Le applicazioni statistiche sono state effettuate col software SAS® (SAS Inc, 2004; Singer, 1998)

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 49

casi sono presenti più di 30 volontari; in due casi è presente un considerevole numero di volontari (96 e 120).

I responsabili delle organizzazioni hanno mediamente più di 15 anni di esperienza nel terzo settore, ma si osserva anche la presenza di responsabili giovani: il 32% di loro ha meno di 35 anni. Il loro livello d’istruzione è elevato: il 71,4% è laureato e il restante 28,6% diplomato. Il 14% ha un titolo post-laurea.

Tabella 5. Organizzazioni intervistate secondo la natura giuridica

Tipologia Frequenza Percentuale

Associazione di volontariato 9 32,1

Associazione di Promozione Sociale 4 14,3

Cooperativa Sociale di tipo A 3 10,7

Cooperativa Sociale di tipo B 2 7,1

Associazione culturale 1 3,6

Ente morale o avente finalità sociale 3 10,7

Altro 6 21,4

Totale 28 100,0

Tabella 6. Distribuzione assoluta e percentuale delle organizzazioni per numero di persone che vi lavorano (dipendenti, collaboratori e volontari).

N° persone Frequenza Percentuale

< 20 6 21,4

21 - 40 12 42,8

41 - 60 2 7,1

61 - 80 4 14,3

> 100 2 7,1

Non risposta 2 7,1

Totale 28 100,0

La distribuzione per età degli operatori è bimodale: si tratta in gran parte di giovani, l’età mediana è di 33 anni, con un picco sulle età più avanzate, dove si concentrano in gran parte volontari. In conseguenza della giovane età, il 51% degli operatori ha meno di 5 anni di esperienza nel terzo settore.

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

50

Il titolo di studio è mediamente alto: il 55% è laureato e il 14% ha un titolo post-laurea, il 21% è iscritto ad una facoltà universitaria. Il 41% degli operatori non svolge questa attività in modo esclusivo, pur non trattandosi di volontari: circa la metà dei “non-volontari” presta servizio part-time. Il 34% degli operatori ha un contratto di lavoro dipendente, il 33% è composto da volontari; negli altri casi si tratta di persone che collaborano a vario titolo con le organizzazioni (lavoro autonomo, lavoro atipico, interinale).

3.2 Ambiti di intervento dell’ente e funzioni degli operatori

I 28 responsabili intervistati hanno dichiarato complessivamente 97 ambiti di intervento, che, una volta ricodificati, sono stati sintetizzati in 12 attività, a loro volta inquadrabili in 6 macro-aree (Tab. 7)8.

Tabella 7. Aree di intervento e attività delle organizzazioni.

Macro-area Attività delle organizzazioni Numero

organizzazioniAccoglienza 20Attività di sportello - Consulenza legale 14Orientamento 10

Accoglienza e servizio sociale

Ascolto 3Area della mediazione Mediazione culturale 6

Iniziative culturali di sensibilizzazione 12Area gestionale-relazionale

Lavoro di rete 2Sostegno educativo e formazione 13

Area socio-educativa Attività diurne 7

Inserimento lavorativo Tutela dei lavoratori 4Assistenza sanitaria 2

Assistenza di base Servizi di prevenzione 2

Servizi ambientali 2NB: ogni ente svolge più attività

L’area accoglienza e servizio sociale è quella più rappresentata. Essa va a coprire tutte quelle attività di supporto alla persona che arriva nel nostro Paese o si trova in situazione di difficoltà.

8 L’attività “Servizi ambientali” non è stata assegnata ad alcuna area in quanto si tratta del lavoro svolto non dagli operatori, ma dagli immigrati stessi che lavorano nelle associazioni. Si tratta di associazioni che, oltre a fornire servizi agli immigrati, danno loro lavoro avendo avuto in appalto la gestione di servizi ambientali.

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 51

Il significato di accoglienza è ampio: esso indica il primo contatto con gli immigrati, indirizzato a cogliere i loro bisogni primari, ma anche l'ospitalità in strutture, la mensa, ecc.

L’attività di sportello è invece indirizzata a fornire informazioni e consulenza relativamente alle problematiche più diverse, di natura economica, legate alla ricerca di abitazione, di lavoro, ecc.

L’attività di orientamento è più specifica, e consiste nel fornire informazioni e suggerimenti in merito alle opportunità di studio e occupazione per giovani (in particolare nella fase di passaggio fra scuola e mondo del lavoro) ed adulti.

Le attività più importanti sono dunque quelle che aiutano l’immigrato a inserirsi e a muoversi in un mondo che non conosce, nel quale non ha radici e conoscenze tali da destreggiarsi nei molti problemi che incontra chi deve organizzarsi una vita ripartendo da zero.

Segue poi l’area socio-educativa, molto importante per fornire supporto agli studenti con problemi di inserimento e di conoscenza della lingua. Vi sono poi ben 12 associazioni che organizzano iniziative culturali e di sensibilizzazione; si tratta solo di associazioni di volontariato e di promozione sociale, non di cooperative.

Si analizza ora l’attività degli operatori, inquadrata all’interno degli ambiti di intervento delle associazioni in cui lavorano. Nella Tab. 8 vengono riportate le distribuzioni percentuali, all’interno di ogni area di intervento, delle funzioni svolte dagli operatori. Per ogni distribuzione viene inoltre fornita la differenza fra percentuale osservata e attesa in ipotesi di equidistribuzione: valori superiori a 0 indicano maggiore concentrazione di quella funzione all’interno dell’area. Le funzioni maggiormente svolte sono quelle di sportello e consulenza, di sostegno scolastico-formazione, ascolto-colloqui e di accompagnamento (distinto in accompagnamento vero e proprio ai servizi e fornitura dei servizi stessi, quali l’alloggio o la mensa).

Se guardiamo alle funzioni svolte all’interno dei singoli ambiti di intervento, notiamo che in alcuni ambiti sono chiaramente delineate le attività, al punto che responsabili e operatori hanno identificato rispettivamente ambito e funzioni usando gli stessi termini. È il caso della mediazione culturale, dove le attività sono mediazione e formazione, o dell’area sportello e consulenza.

Altri ambiti sono invece trasversali a più attività: un caso tipico è quello dell’accoglienza, dove nessuna funzione è particolarmente sovra-rappresentata e quasi tutte sono svolte: servizi primari, assistenza (anche sanitaria), accompagnamento ai servizi, ascolto. Analoga considerazione per l’area dell’orientamento. Sono, queste, aree trasversali dove le problematiche sono le più diverse e richiedono risposte adeguate alla situazione.

Tab

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Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 53

Si noti che è stata indicata anche l’area assistenza sanitaria: sebbene non sia competenza di questi enti fornire assistenza sanitaria, è evidente che essi rappresentano un primo filtro e devono perciò gestire anche questo tipo di problemi, salvo poi indirizzarsi a chi di competenza. Si nota infatti che l’attività assistenza sanitaria è fortemente presente nell’area “lavoro in rete”. Area, quest’ultima, interessante perché identifica quelle attività per le quali sono necessarie più professionalità che agiscono in collaborazione. È il caso dell’attività di ascolto e colloqui, che rimanda all’esigenza di discutere i casi in équipe.

Notiamo, infine, che gli operatori hanno indicato molte attività “aspecifiche”, quali segreteria-amministrazione, coordinamento (di persone e servizi), riunioni e relazioni. Queste attività costituiscono una parte rilevante del lavoro: riguardano il 60% degli operatori, che ad esse dedicano mediamente il 41% del tempo lavorato.

4. Le professioni per i servizi agli immigrati

Il lavoro di ricodifica delle professioni ha portato all’identificazione di 19 figure (Tab. 9)9. Di queste, solo 4 sono previste dalla normativa nazionale (educatore professionale, operatore socio-sanitario, psicologo e assistente sociale), e altre 10 si ritrovano nel repertorio delle professioni ISFOL (ISFOL, 2002a, 2002b). Sono poi state rilevate 5 figure professionali non codificate dall’ISFOL, che, sulla base delle mansioni dichiarate e della bibliografia disponibile, sono così definite:

1. Tecnico dell’assistenza sociale: operatore di primo contatto con l’utenza. È in grado di recepire le istanze dell’interlocutore e di fornire la prima risposta di carattere generale, di informare ed orientare verso altre figure professionali o altri servizi. Svolge una funzione di “filtro”. Ha competenze per effettuare una prima analisi dei bisogni e delle richieste della persona e per fornire aiuto e supporto nella individuazione delle scelte più appropriate per la risoluzione del problema o il soddisfacimento di un bisogno. Fornisce supporto in vari ambiti, il primo dei quali è la fornitura di servizi legati all’accompagnamento (mensa, alloggio,…).

9 In questo lavoro l’attività dei 78 volontari non è stata ricondotta ad un ruolo professionale, principalmente perché molti di essi non si sono attribuiti un ruolo nell’associazione ed è dunque necessaria un’analisi più articolata. Per l’analisi del ruolo dei volontari, basata anche sui dati di questa indagine, si veda Boccuzzo (2008).

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Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 55

2. Mediatore sociale: appartiene a diverse discipline professionali ed è esperto in tecniche di negoziazione, comunicazione e risoluzione cooperativa dei conflitti. Il mediatore non prende decisioni e non si sostituisce alle parti, ma facilita la comunicazione tra esse promuovendo riflessioni, ipotizzando percorsi e tracciando possibili soluzioni insieme agli interessati o con le istituzioni, i servizi e le associazioni con cui collabora. 3. Operatore sociale: questa figura, variamente denominata nelle regioni italiane, svolge attività di assistenza materiale e relazionale presso i servizi residenziali, semiresidenziali e domiciliari, gestiti da Enti locali, Ipab, cooperative sociali. 4. Accompagnatore sociale all'abitare: svolge attività di mediazione per la ricerca di alloggi per persone in difficoltà: aiuta la persona ad acquisire gli strumenti necessari per accedere e gestire una abitazione idonea alla sua situazione personale ed economica e la accompagna all’integrazione sociale nel territorio. 5. Esperto dell’inserimento lavorativo: aiuta il soggetto ad avere fiducia nelle proprie capacità, prendere consapevolezza dei diritti sociali, uscire da isolamento e auto-esclusione; insegna a sostenere un colloquio di lavoro, preparare un curriculum. Deve saper dialogare con il tessuto imprenditoriale del territorio. Infine deve saper esercitare la funzione di tutor interno all'azienda soprattutto nelle cooperative sociali di inserimento.

Nel complesso, le figure professionali più presenti sono l’educatore professionale, il mediatore culturale e l’orientatore. Nella Tab. 10 si traccia una mappa delle attività svolte dalle diverse figure professionali, che individua per ogni professione le relative attività in ordine di importanza, almeno per quelle professioni rappresentate da un numero sufficiente di operatori. L’educatore professionale è la figura più trasversale, coinvolta in più attività: trattandosi di una delle poche professioni riconosciute a livello nazionale, è la più presente e rimanda, più che ad un’attività, ad un titolo conseguito, che viene poi speso in diversi ambiti, in primis accompagnamento ai servizi, sostegno scolastico e formazione, ascolto e colloqui. Le professioni specifiche più rappresentate siano quelle di mediatore culturale e di orientatore. Il primo si concentra su 4 attività: mediazione culturale, sostegno scolastico, attività di sportello e consulenza e coordinamento. L’orientatore è concentrato su poche attività molto finalizzate: sportello e consulenza, ascolto e colloqui, e relazioni con l’esterno; le prime due attività a diretto contatto con l’utente, la terza finalizzata a trovare delle soluzioni per i bisogni manifestati dall’utente.

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Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 57

Le figure professionali con ruoli di coordinamento (escludendo il responsabile dell’organizzazione) sono il manager dei servizi residenziali e lo psicologo10.

Per quanto riguarda i volontari, prestano tutti la loro attività part-time, e sono inquadrabili sostanzialmente in 4 categorie: giovani che si dedicano prevalentemente ad attività di animazione e sostegno scolastico, professionisti che dedicano un po’ del loro tempo in attività di consulenza (es. avvocato di strada), persone, prevalentemente anziane, che fanno attività di sportello e ascolto, persone che preferiscono non affrontare direttamente l’utenza e prestano il loro aiuto in attività amministrative e di segreteria.

5. Importanza delle competenze: il punto di vista degli operatori e dei responsabili

È qui proposta un’analisi comparativa dell’importanza delle competenze, distinte in capacità, conoscenze e doti personali, per responsabili e operatori.

Competenze trasversali Mediamente, i responsabili hanno espresso valutazioni più alte rispetto agli operatori. Dal confronto si evince, tuttavia, come ci sia sintonia nell’ordinamento delle capacità fra responsabili e operatori (ρ di Spearman=0,88). Ai primi cinque posti entrambi hanno indicato le stesse capacità e con lo stesso ordine. Si noti che le prime due capacità interessano la sfera dei rapporti interpersonali, con gli utenti e tra operatori. Una differenza evidente riguarda la capacità di scrivere progetti. Molti dei servizi che questi enti svolgono sono finanziati grazie all’aggiudicazione di bandi, che implicano la stesura di progetti. È perciò fondamentale per i responsabili tale attività, che, come mostrato in tabella 10, è svolta da poche figure professionali.

10 Quegli operatori (5 in tutto) che non hanno definito la loro professione sono prevalentemente occupati nei servizi di mensa e alberghieri e svolgono servizi di pulizia.

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

58

Tabella 11. Importanza delle capacità trasversali per responsabili e operatori.

Rango resp.

Media risposte dei responsabili

Rango oper.Media

risposte degli operatori

Interpersonali 1 3,86 1 3,81

Lavorare in gruppo 2 3,61 2 3,41

Pianificare proprio lavoro 3 3,54 3 3,38

Prendere decisioni 4 3,46 4 3,37

Reperire e gestire informazioni e dati 5 3,41 5 2,94

Scrivere progetti 6 3,21 9 2,23

Organizzare lavoro altrui 7 3,18 6 2,74

Scrivere relazioni 8 3,14 8 2,61

Presentare le proprie idee in pubblico 9 3,11 7 2,67

È invece inferiore la concordanza per quanto riguarda inglese e informatica: entrambi decisamente più importanti per i responsabili che per gli operatori. Addirittura per il 17,6% degli operatori non è necessaria alcuna competenza informatica, mentre per il 14,3% dei responsabili è necessaria una competenza da utilizzatore esperto (Tab. 12).

Tabella 12. Distribuzione percentuale dell’importanza di competenze informatiche per responsabili e operatori

Risposte dei responsabili

Risposte degli operatori

Nessuna competenza informatica 3,6 17,6

Utilizzatore generico 82,1 72,3

Utilizzatore esperto, programmatore o analista 14,3 9,6

Non risposta 0 0,5

Totale 100 100

Riguardo alla lingua inglese, il 68% dei responsabili ritiene che si utilizzi di frequente e che sia fondamentale per lo svolgimento del lavoro; mentre tra gli operatori questa percentuale scende al 40% e addirittura più del 50% non la utilizza o la usa episodicamente.

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 59

Tabella 13. Distribuzione percentuale dell’importanza della conoscenza della lingua inglese per responsabili e operatori

Risposte dei responsabili

Risposte degli operatori

Per nulla 0 16,5

Poco, solo episodicamente 32,1 43,1

Abbastanza, con una certa frequenza 35,7 33,5

Molto, è fondamentale per molte attività 32,1 6,4

Non risposta 0 0,5

Totale 100 100

Oltre all'inglese è considerata importante, in egual misura da responsabili (82%) e da operatori (76%), la conoscenza di altre lingue; in particolare sono state indicate, nell'ordine, il francese, lo spagnolo, il romeno e l'arabo. Per la maggior parte degli intervistati è sufficiente una conoscenza parlata, stante che vengono svolte prevalentemente attività di ascolto, consulenza, informazione.

Abilità tecniche.

In generale le abilità tecniche più importanti sono quelle legate ai rapporti con gli utenti, sebbene con alcune differenze fra responsabili e operatori. Sono invece meno importanti le capacità di gestione e manuali. La graduatoria delle abilità tecniche di responsabili e operatori (Tab. 14) evidenzia come non ci sia molta sintonia tra i due punti di vista (ρ di Spearman=0,77). La differenza sostanziale è che gli operatori danno più rilevanza alla relazione con gli utenti e agli aspetti direttamente legati alla loro attività giornaliera (interpretare i bisogni, gestire colloqui, adattare le azioni in funzione degli altri) rispetto ai responsabili, i quali assegnano maggiore importanza ad aspetti più strategici, organizzativi e di gestione (motivare e dirigere gli utenti, riconciliare le parti, gestire progetti). Adattare le proprie azioni per i responsabili scende in settima posizione, mentre gestire progetti è al sesto posto, contro il nono assegnato dagli operatori. Usare strumenti e attrezzature è al sesto posto per gli operatori, solo al nono per i responsabili, che evidentemente non svolgono questo tipo di attività.

Conoscenze specialistiche

Concordemente a quanto visto per le capacità, le conoscenze più importanti in generale, ma soprattutto per gli operatori, sono quelle che supportano il lavoro con

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

60

l’utenza: il sistema delle norme, le metodologie di lavoro, le basi di psicologia. Nelle ultime posizioni si trovano invece le conoscenze sanitarie e di metodologia della ricerca (ultima per gli operatori la statistica…). Responsabili e operatori concordano abbastanza (ρ di Spearman=0,85), con delle differenze dovute, come già evidenziato, alla maggiore importanza attribuita dagli operatori alla gestione del rapporto con l’utenza: “riconoscere differenze individuali nella personalità” è seconda per gli operatori, solo decima per i responsabili. Analoga osservazione per “conoscere le tecniche di espressione non dialettica”.

Tabella 14. Importanza delle capacità tecnico-specialistiche secondo responsabili e operatori

Rango resp.

Importanza media

responsabili

Rango oper.

Importanza* operatori

Motivare, far crescere e dirigere gli utenti 1 3,61 5 2,97

Mettere insieme parti in conflitto e tentare una riconciliazione

2 3,57 7 2,93

Gestire colloqui 3 3,57 2 3,07

Ascoltare e interpretare correttamente i bisogni espliciti o impliciti

4 3,57 1 3,23

Analizzare i comportamenti di un individuo e/o di un gruppo

5 3,39 4 2,98

Gestire progetti 6 3,32 9 2,54

Adattare le proprie azioni in relazione a quelle degli altri

7 3,29 3 3,02

Analisi costi-benefici per determinare la soluzione più efficace

8 3,18 11 2,49

Usare appropriatamente attrezzature, strumenti e materiali necessari a svolgere un'attività

9 3,11 6 2,96

Operare in situazioni di emergenza o di estrema criticità

10 3,04 10 2,54

Insegnare ad altri come fare determinate cose 11 2,96 8 2,85

Fare comunicazione e marketing sociale 12 2,79 13 2,29

Gestire il tempo altrui 13 2,54 12 2,30

Fare attività manuali, come piccole manutenzioni 14 2,36 14 2,09

* Calcolata come illustrato nel paragrafo 2.3

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 61

Tabella 15 Importanza delle conoscenze specialistiche secondo responsabili e operatori

Rango resp.

Importanza responsabili

Rango oper.

Importanza* operatori

Conoscere le norme in tema di immigrazione 1 3,71 3 3,08

Conoscere procedure di erogazione di servizi alla persona 2 3,46 4 3,04

Conoscere i costumi e le culture di una società multietnica 3 3,32 1 3,11

Conoscere metodi per la valutazione dei bisogni e per la progettazione di interventi socio-educativi

4 3,29 5 2,96

Conoscere il sistema socio–istituzionale attraverso il quale si esprime il welfare locale

5 3,29 6 2,92

Conoscere le tendenze sociali e le migrazioni umane 6 3,25 8 2,88

Conoscere il funzionamento delle istituzioni europee, nazionali, e degli enti locali

7 3,21 11 2,65

Riconoscere i disordini comportamentali/ affettivi 8 3,11 9 2,84

Riconoscere il processo di leadership, di influenza sociale e delle dinamiche di gruppo

9 3,07 10 2,70

Riconoscere differenze individuali nella personalità 10 3,07 2 3,09

Progettare interventi formativi e misurare gli effetti della formazione

11 3,07 13 2,58

Conoscere le tecniche di intervento sociale (es. social network)

12 3,04 14 2,51

Conoscere norme igienico sanitarie 13 2,96 12 2,59

Conoscere il funzionamento della realtà scolastica 14 2,96 15 2,43

Conoscere le tecniche di espressione e di contrapposizione non dialettica, il rapporto tra verbalità e corporeità

15 2,89 7 2,88

Applicare tecniche statistiche e di ricerca sociale e/o territoriale

16 2,63 21 2,03

Saper applicare tecniche di primo soccorso 17 2,54 20 2,07

Riconoscere ferite e malattie 18 2,36 17 2,23

Conoscere le disfunzioni fisiche 19 2,36 18 2,22

Conoscere le disfunzioni mentali 20 2,32 16 2,32

Conoscere lo sviluppo psichico tra la primissima infanzia e l'adolescenza

21 2,32 19 2,18

* Calcolata come illustrato nel paragrafo 2.3

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

62

Doti di personalità

Nel caso delle doti di personalità, pur non coincidendo esattamente l'ordine di importanza assegnato dai responsabili con quello degli operatori, si può parlare di sintonia nell’ordine di priorità (ρ di Spearman=0,96), che mette ai primi posti quelle doti e caratteristiche personali che definiscono una certa apertura mentale necessaria quando ci si rapporta con altre culture (elasticità mentale, interesse verso le diversità) e quelle doti indispensabili quando c'è un rapporto diretto con le persone (pazienza, disponibilità). Interessante l’importanza di “saper mantenere il giusto distacco”, contrapposta a “propensione a svolgere un ruolo affettivo”, ritenuta la meno importante, a significare l’importanza, per poter svolgere bene il lavoro, di non farsi coinvolgere affettivamente dai casi che si affrontano.

Tabella 16. Importanza delle doti di personalità secondo responsabili e operatori

Rango resp.

Importanza responsabili

Rango oper.

Importanza operatori

Disponibilità 1 3,71 1 3,74

Elasticità mentale 2 3,68 3 3,65

Pazienza 3 3,64 2 3,68

Interesse verso la diversità 4 3,57 5 3,46

Saper mantenere il giusto distacco 5 3,54 6 3,39

Autocontrollo 6 3,43 4 3,49

Doti deduttive 7 3,41 8 3,24

Precisione e accuratezza 8 3,39 7 3,35

Creatività 9 3,29 12 3,08

Intuizione 10 3,29 9 3,28

Curiosità antropologica 11 3,18 10 3,23

Essere persuasivo 12 3,14 11 3,13

Resistenza psico-fisica 13 3,11 13 3,08

Coraggio 14 2,86 15 2,66

Propensione a svolgere un ruolo affettivo 15 2,79 14 2,68

Il tema di fondo che accomuna le diverse declinazioni delle competenze è dato dall’importanza di quelle abilità, conoscenze e doti che supportano la gestione

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 63

del rapporto con l’utenza. Trattandosi di lavori fortemente basati sui rapporti interpersonali, è da

attendersi che fra abilità, conoscenze e doti personali, queste ultime costituiscano la parte più importante nell’insieme delle competenze, e in effetti ciò si verifica sia fra i responsabili che fra gli operatori (Tab. 17), i quali però non concordano sull’importanza delle altre categorie di competenze. Le competenze generali, seconde per i responsabili, sono invece ultime per gli operatori: i primi hanno una visione più trasversale dei processi lavorativi, mentre i secondi guardano alle peculiarità della loro attività, mettendo così in secondo piano le capacità trasversali.

Per lo stesso motivo le conoscenze specialistiche sono seconde per gli operatori e ultime per i responsabili. Questa priorità degli operatori è confermata nell’indagine dalle considerazioni aperte fatte dagli operatori al termine del questionario, dove più di qualcuno manifesta l’esigenza di preparazione specifica per colmare le proprie carenze e gestire le situazioni complesse che deve affrontare nel lavoro.

Tabella 17. Graduatoria delle tipologie di competenze secondo i responsabili e gli operatori.

Responsabili Operatori

Doti personali Doti personali

Competenze generali Conoscenze specialistiche

Capacità tecnico-specialistiche Capacità tecnico-specialistiche

Conoscenze specialistiche Competenze generali

6. Determinanti dell’uso di competenze

Per applicare il modello di Rasch si effettua prima la verifica dell’unidimensionalità del tratto latente sottostante ad ogni batteria di items, mediante analisi fattoriale. La Tab. 18 mostra che l’unidimensionalità è sostanzialmente verificata. La stessa verifica è stata effettuata per ognuna delle 15 attività, per giungere a risultati analoghi. Anche per motivi di numerosità campionaria, si è proceduto nell’analisi considerando tutte le attività insieme.

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

64

Tabella 18. Verifica dell’unidimensionalità e della coerenza interna delle batterie di item che misurano le quattro tipologie di competenza.

Capacità trasversali

Conoscenze Abilità tecniche Doti di

personalità Analisi fattoriale: Primo autovalore 2.96 6.44 4.38 3.33 Secondo autovalore 1.27 2.64 1.60 1.63 % varianza spiegata primo autovalore

32.8 30.68 31.3 23.8

α di Cronbach11 0,70 0,87 0,77 0,73

Il modello di Rasch fornisce due graduatorie per ogni tipo di competenza: la graduatoria degli item, ovvero la graduatoria delle specifiche competenze, dalla più importante alla meno importante, e la graduatoria dei soggetti secondo il ricorso alle competenze. Le graduatorie degli item sono praticamente uguali a quelle ottenute mediante il calcolo degli indici di importanza (Tabb. 11, 14, 15 e 16)12.

L’analisi si concentra ora sulle nuove quattro variabili, ovvero il livello di utilizzo delle quattro tipologie di competenze. Queste variabili sono molto correlate fra loro: il coefficiente di correlazione varia fra 0.45 e 0.70. Quando calcolato aggregato per professione (ovvero considerando ogni professione come un’unità), sussiste la tendenza ad assegnare punteggi alti o bassi alle competenze: la correlazione fra conoscenze e abilità tecniche è 0,77, la correlazione più bassa è fra capacità trasversali e doti di personalità (ρ=0,57).

Ad esclusione della abilità tecniche, per le altre tipologie di competenze si osserva una correlazione intraclasse significativa (Tab. 19), il che implica che gli operatori che svolgono la stessa professione hanno risposto in maniera concorde sull’uso di competenze. Ciò non vale per le abilità tecniche, dove evidentemente le specificità sono tali per cui non in tutte le professioni vi è concordanza sul loro utilizzo. In questo caso è necessaria maggiore cautela nel trarre conclusioni basate

11 L’indice α di Cronbach si basa sulla matrice di correlazione fra tutti gli elementi e sul loro numero:

)1(1 −+=

nr

rnα , dove r è la correlazione media e n il numero di item. α assume un valore compreso

fra 0 e 1, dove 1 rappresenta la massima coerenza interna della scala. Nunnaly (1978) giudica 0,7 un valore accettabile per l’α di Cronbach. 12 Gli indici di cograduazione di Spearman fra le graduatorie ottenute coi due metodi (indici di importanza e modello di Rasch) sono 0,95 per capacità trasversali, abilità tecniche e doti personali. Per le conoscenze l’indice è 0,80 in quanto 4 item risultano non significativi nel modello di Rasch, e a questi è stato assegnato lo stesso rango, pari a 18. Sono: 1. riconoscere il processo di leadership, di influenza sociale e le dinamiche di gruppo, 2. conoscere le tecniche di intervento sociale, 3. progettare interventi formativi e misurare gli effetti della formazione, conoscere norme igienico-sanitarie.

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 65

sul valor medio dei punteggi, perché la variabilità all’interno dei gruppi di professioni è alta.

Tabella 19. Coefficiente di correlazione intraclasse entro le professioni delle quattro tipologie di competenze

Corr. intraclasse Significatività Capacità trasversali 0,30 0,039 Conoscenze 0,17 0,094 Abilità tecnico-specialistiche 0,09 0,155 Doti personali 0,28 0,039

Nella Tab. 20 sono forniti i punteggi medi derivanti dai modelli di Rasch delle quattro tipologie di competenze, calcolati dopo aver normalizzato il punteggio di ogni soggetto fra 0 e 1. Sono così evidenziate quelle professioni che più necessitano di tutti i tipi di competenze. La figura con un livello di competenze più alto è il manager dei servizi residenziali. In realtà in posizione più alta vi è l’accompagnatore sociale all’abitare, ma il dato si basa su due sole unità, per cui è bene essere cauti nel trarre conclusioni. D’altra parte, questa professione richiede effettivamente tutte le tipologie di competenze: capacità interpersonali, conoscenza delle norme, conoscenza del territorio, abilità pratiche per risolvere i problemi più diversi. Una delle figure professionali di questo gruppo, durante il focus groupraccontò che per svolgere questa attività, è necessario essere da una parte continuamente aggiornati sulla normativa relativa agli affitti, e dall’altra di saper gestire in tempi rapidi problemi nelle abitazioni, anche banali ma comunque impellenti, per i quali gli utenti si rivolgono comunque in prima battuta all’organizzazione.

Le professioni con l’esigenza di più tipi di competenze sono: l’animatore di comunità (abilità tecniche e doti di personalità), il mediatore culturale (sia doti di personalità, sia abilità tecniche, sia conoscenze), l’educatore professionale (abilità tecniche e doti di personalità), l’operatore per l’informazione nei servizi sociali (capacità trasversali e conoscenze).

Altre professioni, sebbene qualificate, si trovano in posizioni basse della graduatoria generale, in quanto dotate di una specificità tale per cui sono richieste alcune competenze e non altre. È il caso dello psicologo, che si basa prevalentemente sulle conoscenze, del formatore, sulle doti personali, del manager ONP, sulle capacità trasversali.

Alcune professioni utilizzano poco tutti i tipi di competenze: l’operatore sociale, l’assistente amministrativo, altre professioni secondarie.

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Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 67

Il livello di competenze utilizzate non dipende, probabilmente, solamente dalla professione svolta, ma da una serie di fattori, già elencati nella Tab. 4. La tabella 21 illustra i risultati dei modelli multilivello applicati sui punteggi del modello di Rasch riferiti alle quattro tipologie di competenze.

Il modello, adottato con l’obiettivo di verificare la presenza di aggregazione a livello di organizzazione e/o di territorio, non evidenzia in realtà correlazione intraclasse significativa: in assenza di variabili esplicative si osserva aggregazione all’interno delle organizzazioni per quanto riguarda le capacità trasversali e le abilità tecniche, ma tale correlazione si annulla nel momento in cui si inseriscono nel modello le variabili esplicative risultate significative dal processo di selezione stepwise. Ciò significa che, al netto delle variabili esplicative esplicitate nel modello, non vi è aggregazione residua, ovvero l’aggregazione era dovuta alla condivisione delle stesse caratteristiche.

I modelli ottenuti si basano quasi esclusivamente sul tipo di contratto, le professioni e le attività svolte, mentre non risultano significative le caratteristiche socio-demografiche di operatori e responsabili, sebbene siano state prese in considerazione. È significativo solo il genere, a favore delle donne, che si avvalgono maggiormente di capacità trasversali e doti di personalità.

Si nota come l’attività di coordinamento sia l’unica a richiedere tutte le categorie di competenze ad esclusione delle doti di personalità, ed è quindi l’attività più complessa.

Nel modello relativo alle abilità tecniche si evidenzia come le variabili esplicative siano quasi esclusivamente attività, e non professioni. Ciò significa che le abilità tecniche sono requisiti che dipendono dalla specifica funzione svolta. Questo riguarda in particolare le attività di: animazione (che comprende anche le attività nei centri diurni), sportello e consulenza, mediazione culturale, tutela dei lavoratori e iniziative culturali.

Si nota come sia significativo, a favore dell’uso di competenze, l’essere dipendente dell’organizzazione; è atteso, perché si tratta di persone con più esperienza alle spalle e con un ruolo più consolidato nell’organizzazione. Al contempo si evidenzia come l’essere volontario sia legato ad un minore utilizzo delle competenze trasversali, ma non delle altre tre tipologie di competenze. è necessaria un’analisi più approfondita sui volontari, ma è pur vero che, in media, non utilizzano meno degli operatori retribuiti conoscenze, abilità tecniche e doti di personalità.

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Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 69

7. CONCLUSIONI

L'indagine, compiuta tra gli operatori ed i responsabili di organizzazioni che offrono servizi agli immigrati a Padova e a Caserta, permette di fare alcune riflessioni su attività, ruoli, competenze e nuovi bisogni di un settore in rapida evoluzione. Le organizzazioni, a fronte di richieste sempre più specifiche da parte degli utenti, rispondono mettendo in atto uno svariato numero di attività. Tra tutte, risulta prevalente l'accoglienza, intesa sia come ospitalità in strutture che come primo contatto, finalizzato ad un orientamento, con gli immigrati. Questi enti si avvalgono dell'opera di persone, sia responsabili che operatori, con un alto livello di istruzione. Inoltre si tratta di operatori piuttosto giovani e con breve esperienza nel settore. Le professioni maggiormente presenti sono: educatore professionale, mediatore culturale, orientatore, tecnico dell'accoglienza sociale.

In più compaiono nuove figure professionali, come l'accompagnatore sociale all'abitare, che interviene nella ricerca di alloggi per persone in difficoltà e le affianca nella gestione della casa. Questo ruolo emergente conferma come il problema della casa per gli immigrati sia prioritario e diffuso a livello nazionale (Caritas/Migrantes, 2007). L'analisi delle competenze ha evidenziato come le aspettative dei responsabili nei confronti degli operatori siano generalmente elevate. Inoltre i responsabili danno maggiore importanza agli aspetti organizzativi e di gestione, mentre gli operatori alla relazione con gli utenti. È significativo che sia i responsabili che gli operatori ritengano più importanti, per chi opera nei servizi agli immigrati, le doti di personalità; tra esse si dà concordemente valore agli stessi tratti di personalità: disponibilità, pazienza, elasticità mentale.

Dal punto di vista dei metodi, il lavoro ha proposto un percorso di analisi che collega ambito di intervento dell’organizzazione, funzioni dell’operatore e professione, e quantifica il contributo del tipo di attività dell’operatore nell’ambito di intervento dell’organizzazione e nella professione.

Sono stati proposti dei metodi per assegnare indici di importanza alle competenze e livelli di utilizzo di competenze agli operatori. Tali indici sono calcolabili distintamente per professione o per attività, cosicché è possibile creare delle mappe competenze x professioni o competenze x attività. Il livello di competenza diventa quindi una variabile attribuibile ad ogni soggetto e come tale può essere analizzata, ad esempio per valutarne le determinanti, così come è stato fatto in questo lavoro.

Dall’analisi delle domande aperte presenti nel questionario è infine possibile avere un quadro dei bisogni emergenti nei servizi agli immigrati.

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

70

Il tema dominante emerso dalle risposte di operatori e responsabili è l’esigenza di formazione mirata, che consenta di poter affrontare con maggiore competenza e sicurezza le situazioni. Spesso gli operatori lamentano di non essere pronti a gestire le situazioni più diverse e complesse che si presentano, e per questo motivo vorrebbero ricevere una preparazione specifica. Su come organizzare tale formazione, emergono tre linee di pensiero: � chi ritiene che ogni professionista (dall'avvocato al medico, dall'insegnante al

segretario di ufficio pubblico ..) debba possedere una preparazione di base per potersi rapportare all'immigrato. In particolare gli insegnanti dovrebbero ricevere un’adeguata preparazione e formazione, dato che la scuola è il luogo privilegiato di integrazione per le future generazioni di immigrati;

� coloro che auspicano la creazione di una nuova figura professionale, con competenza specifica sull'immigrazione, che possa affiancare e seguire l'immigrato nel suo iter di inserimento ed integrazione;

� chi pensa che debbano essere previste discipline specifiche che preparino a lavorare con l'immigrato.

A favore della prima categoria è la necessità che l'immigrato si senta accolto, in tutti i servizi che incontra, da persone capaci di cogliere il momento di difficoltà che sta attraversando. A tal fine, le risposte date hanno sottolineato l'esigenza della formazione sul fenomeno dell'immigrazione, attraverso corsi specialistici obbligatori per le varie professionalità. La seconda categoria prevede la nascita di una nuova figura professionale: l'“accompagnatore all'inclusione e all'integrazione sociale”. Si tratterebbe del professionista che accompagna l'immigrato all'interno della burocrazia italiana, alla scoperta di tutti i servizi e uffici; un mediatore culturale e sociale al contempo, con un'ottima conoscenza del territorio e dei servizi che vengono offerti ed in possesso di competenze educative, capace di condurre l'immigrato ad una piena autonomia. La terza linea di pensiero, supportata da alcune risposte specifiche, propone esempi di discipline innovative dedicate interamente all'immigrato, quali l'etnopsichiatria (Nathan, 2003), l'etnopsicologia (Beneduce, 1999) e l'etnomedicina (Crudo, 2004). L’area dei servizi agli immigrati è ancora in grande espansione ed evoluzione, e necessita di progettare nuovi e specifici interventi formativi, fortemente basati sulle problematiche che effettivamente gli operatori riscontrano giornalmente.

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 71

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

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Activities, competences and jobs for services to immigrants: analysis of two Italian provinces

Summary. The paper presents a way for analyzing activities, professions and skills for services to immigrants, based on data of a recent survey on third sector organisations in the provinces of Padua and Caserta. We propose synthetic indicators of skills’ importance and skills’ use, based on weighted means and Rasch Models. Multilevel models are applied in order to analyze explanatory variables of skills’ use. New professions are defined, for example the inhabit accompanying person or the social peacemaker. Most important skills are the interpersonal ones and those based on equipe-work. Many professions are multidisciplinary and need several skills. For this reason, workers ask for specific and ongoing education.Keywords. Third Sector, Jobs, Competences, Synthetic Indicator, Rasch Model, Multilevel Model.

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 73 Allegato

INDAGINE SULLE PROFESSIONALITÀ

DEGLI OPERATORI DEL TERZO SETTORE Servizi agli immigrati

QUESTIONARIO PER GLI OPERATORI

1. INFORMAZIONI SOCIO-DEMOGRAFICHE 1.1 Genere 1. � maschio 2. � femmina 1.2 Età (anni compiuti) __ __ 1.3 Stato Civile: 1. � celibe/nubile 2. � coniugato/a 3. � separato/a - divorziato/a 4. � vedovo/a 1.4 Dove abita? 1. � Comune di Padova

2. � Provincia di Padova 3. �Altra provincia del Veneto (specificare) ______________________

4. � Altra regione (specificare) ___________________________

1.5 Titolo di studio (specificare solo il titolo più alto conseguito): Nessun titolo 1.� (andare alla 1.9) Licenza elementare 2.� (andare alla 1.9) Licenza di scuola media inferiore 3.� (andare alla 1.9) Diploma di istruzione secondaria superiore __________________________________________________________________

4.� (andare alla 1.6)

Laurea Triennale __________________________________________________________________

5.� (andare alla 1.6)

Laurea Specialistica __________________________________________________________________

6.� (andare alla 1.6)

Laurea Magistrale __________________________________________________________________

7.� (andare alla 1.6)

Laurea vecchio ordinamento __________________________________________________________________

8.� (andare alla 1.6)

Titolo di studio post-laurea (include dottorati di ricerca, master, ..) __________________________________________________________________

9.� (andare alla 1.6)

1.6 Attualmente è iscritto ad una facoltà universitaria? 0. � No (andare alla 1.9) 1. � Si

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

74

1.7 Se si, a quale facoltà è iscritto? 1.� Agraria 9.� Lingue e letterature straniere 2.� Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali 10.� Economia 3.� Giurisprudenza 11.� Ingegneria 4.� Lettere e Filosofia 12.� Scienze della Formazione 5.� Scienze Politiche 13.� Psicologia 6.� Medicina Veterinaria 14.� Farmacia 7.� Medicina e chirurgia 15.� Scienze Statistiche 8.� Architettura 16.� Altro (specificare)_________________________________ 1.8 Presso quale Ateneo? ________________________________________________________________________ 1.9 Ha frequentato / frequenta corsi di formazione professionale?

0.� No (andare alla sezione 2) 1.� Si, frequentato (specificare quanti ________) 2.� Si, frequento (specificare quanti ________)

1.10 Di che corsi si tratta?________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

2 IL LAVORO 2.1 Anni di esperienza in Organizzazioni del terzo settore: ___ ___ 2.2 Anni di esperienza nella posizione che ora ricopre: ___ ___ 2.3 Svolge altre attività lavorative oltre a quella presso questa Organizzazione? 1. � Si (andare alla 2.4) 0. � No (andare alla 2.5) 2.4 Se sì, di quale attività si tratta? ______________________________________________________________________________________ Nel caso svolga altre attività lavorative, tenga presente che le domande che seguono fanno riferimento al lavoro svolto presso questa Associazione, dove Le è stato consegnato il questionario. 2.5 Denominazione dell’Organizzazione: _______________________________________________________________________________________

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 75

2.6 Che tipo di contratto ha?

A tempo pieno A tempo parziale Dipendente, socio dipendente di cooperativa 1.� 2. � Lavoratore autonomo 3.� 4. � Atipico/parasubordinato 5.� 6. � Lavoro interinale 7.� 8. � Nessun contratto, attività volontaria 9.� 10. � 2.7 Nel caso in cui non presti servizio a tempo pieno, qual è la Sua condizione prevalente?

Occupato/a 1.� Casalinga 2. � Studente/ssa 3. � Pensionato/a 4. � Appartenente al Clero 5. � Altro 6. � 2.8 Definisca sinteticamente il Suo ruolo nell’Organizzazione: _______________________________________________________________________________________ 2.9 Per la Sua figura professionale è previsto un titolo di studio/attestato/qualifica professionale rilasciato da un’agenzia formativa (Università, Enti di formazione, ecc.)?

1.� Sì 0. � No (andare alla 2.11) 9.� Non so (andare alla 2.11) 2.10 Se sì, quale?

______________________________________________________________________________________ 2.11 Per svolgere la Sua attività lavorativa è richiesta un’abilitazione professionale? (ovvero il superamento di un esame di stato, l’iscrizione ad un albo, un registro…)

1.� Sì 0.� No (andare alla 2.12) 2.12 Se si, quale?

______________________________________________________________________________________ 2.13 Le è stato richiesto di seguire un corso di formazione professionale organizzato dall’ente e inerente alla Sua attività lavorativa?

1.� Sì 0.� No (andare alla 2.15) 2.14 Se si, quale?

______________________________________________________________________________________

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

76

2.15 Nell’ambito della Sua attività lavorativa è stato affiancato da colleghi?

1. � Sì 0. � No 2.16 Lei ha precedenti esperienze nei servizi agli immigrati? 0. � No 1. � Sì, di volontariato 2. � Sì, lavorative

3. � Sì, sia lavorative che di volontariato

2.17 Descriva le principali attività inerenti al lavoro che svolge nel corso di una settimana tipo, e indichi l’impegno di tempo in termini percentuali. Parta dall’attività che le impegna più tempo e prosegua in ordine decrescente. 1 % 2 % 3 % 4 % 5 % 6 % 7 % 8 % 9 % 10 %

100 % 2.18 Ci sono delle attività che sono svolte saltuariamente, ad esempio una volta all’anno (es. relazione consuntiva).

1.� Sì 0.� No (andare a 3.1) 2.19. Se sì, le può descrivere brevemente?

1 234

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 77

3 COMPETENZE GENERALI

3.1. Ci interessa sapere quali competenze utilizza per il Suo lavoro. Cominciamo con le capacità di tipo informatico. Per svolgere il Suo lavoro sono necessarie competenze informatiche da utilizzatore generico, da esperto, o da programmatore/analista?

0.� Nessuna competenza informatica 1.� Utilizzatore generico

2.� Utilizzatore esperto, programmatore o analista 3.2. Quanto utilizza la lingua inglese nel Suo lavoro?

0.� Per nulla 1.� Poco, solo episodicamente

2.� Abbastanza, con una certa frequenza 3.� Molto, è fondamentale per molte attività

3.3. È importante conoscere almeno un’altra lingua straniera? Se sì, quale? 0. � Nessuna altra lingua 1. � Altre lingue. Quali? ____________________________________________________

3.4. Rispetto alla/e lingua/e straniera/e, è più importante la conoscenza scritta, quella parlata o sono importanti entrambe?

1.� Scritta 2.� Parlata

3.� Entrambe

3.5. Quante ore a settimana La impegnano le procedure amministrative e d’ufficio? __ __

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

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3.6. Quanto è importante per il Suo lavoro possedere le seguenti capacità (una risposta per ogni capacità)?

Per

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a) Interpersonali, di relazione con gli utenti 1 2 3 4

b) Prendere decisioni, gestire situazioni complesse, problem solving

1 2 3 4

c) Lavorare in gruppo/équipe, anche interdisciplinare 1 2 3 4

d) Organizzare, coordinare il lavoro di altri 1 2 3 4

e) Pianificare e organizzare praticamente il proprio lavoro. 1 2 3 4

f) Reperire e gestire informazioni e dati. 1 2 3 4

g) Scrivere relazioni nella propria lingua. 1 2 3 4

h) Scrivere progetti per ottenere fondi/finanziare attività. 1 2 3 4

i) Presentare/sostenere le proprie idee in pubblico 1 2 3 4

4 CONOSCENZE SPECIALISTICHE

4.1 Con riferimento alle prime due attività più importanti che svolge indicate nel quesito 2.17, quali conoscenze specifiche utilizza?

Attività 1 Attività 2

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1. Conoscere procedure di erogazione di servizi alla persona

1 2 3 4 1 2 3 4

2. Conoscere metodi per la valutazione dei bisogni e per la progettazione di interventi socio-educativi

1 2 3 4 1 2 3 4

3. Conoscere il sistema socio–istituzionale attraverso il quale si esprime il welfare locale

1 2 3 4 1 2 3 4

4. Conoscere il funzionamento delle istituzioni europee, nazionali, e degli enti locali.

1 2 3 4 1 2 3 4

5. Conoscere il funzionamento della realtà scolastica 1 2 3 4 1 2 3 4

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 79

(segue elenco conoscenze) Attività 1 Attività 2

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6. Conoscere le norme nazionali e regionali in tema di immigrazione

1 2 3 4 1 2 3 4

7. Riconoscere differenze individuali nella personalità.

1 2 3 4 1 2 3 4

8. Riconoscere i disordini comportamentali ed affettivi.

1 2 3 4 1 2 3 4

9. Conoscere lo sviluppo psichico tra la primissima infanzia e l’adolescenza.

1 2 3 4 1 2 3 4

10. Riconoscere il processo di leadership, di influenza sociale e delle dinamiche di gruppo.

1 2 3 4 1 2 3 4

11. Conoscere le tecniche di espressione e di contrapposizione non dialettica, il rapporto tra verbalità e corporeità.

1 2 3 4 1 2 3 4

12. Conoscere le tendenze sociali e le migrazioni umane

1 2 3 4 1 2 3 4

13. Conoscere i costumi e le culture di una società multietnica.

1 2 3 4 1 2 3 4

14. Applicare tecniche statistiche e di ricerca sociale e/o territoriale.

1 2 3 4 1 2 3 4

15. Conoscere le tecniche di intervento sociale (es. social network).

1 2 3 4 1 2 3 4

16. Progettare interventi formativi e misurare gli effetti della formazione

1 2 3 4 1 2 3 4

17. Riconoscere ferite e malattie. 1 2 3 4 1 2 3 4

18. Conoscere norme igienico sanitarie. 1 2 3 4 1 2 3 4

19. Saper applicare tecniche di primo soccorso. 1 2 3 4 1 2 3 4

20. Conoscere le disfunzioni mentali. 1 2 3 4 1 2 3 4

21. Conoscere le disfunzioni fisiche. 1 2 3 4 1 2 3 4

22. Altro: ___________________________________ 1 2 3 4 1 2 3 4

Attività, competenze e professionalità nei servizi agli immigrati: analisi di due realtà italiane

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5 CAPACITÀ TECNICO-SPECIALISTICHE

5.1 Con riferimento alle due attività più importanti che svolge (quesito 2.16), quali abilità specifiche utilizza?

Attività 1 Attività 2

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1. Gestire progetti 1 2 3 4 1 2 3 4

2. Analisi costi-benefici per determinare la soluzione più efficace

1 2 3 4 1 2 3 4

3. Operare in situazioni di emergenza o di estrema criticità.

1 2 3 4 1 2 3 4

4. Adattare le proprie azioni in relazione a quelle degli altri

1 2 3 4 1 2 3 4

5. Analizzare i comportamenti di un individuo e/o di un gruppo.

1 2 3 4 1 2 3 4

6. Gestire colloqui 1 2 3 4 1 2 3 4

7. Fare comunicazione e marketing sociale 1 2 3 4 1 2 3 4

8. Usare appropriatamente attrezzature, strumenti e materiali necessari a svolgere un’attività

1 2 3 4 1 2 3 4

9. Fare attività manuali, come piccole manutenzioni 1 2 3 4 1 2 3 4

10. Ascoltare e interpretare correttamente i bisogni espliciti o impliciti.

1 2 3 4 1 2 3 4

11. Mettere insieme parti in conflitto e tentare una riconciliazione

1 2 3 4 1 2 3 4

12. Motivare, far crescere e dirigere gli utenti 1 2 3 4 1 2 3 4

13. Gestire il tempo altrui 1 2 3 4 1 2 3 4

14. Insegnare ad altri come fare determinate cose 1 2 3 4 1 2 3 4

15. Altro: __________________________________ 1 2 3 4 1 2 3 4

Profili formativi e bisogni di competenze nel terzo settore 81

6 DOTI DI PERSONALITÀ 6.1 Quanto i seguenti tratti di personalità sono importanti nello svolgere la Sua attività lavorativa?

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Mol

to

1. Doti deduttive, di analisi e sintesi 1 2 3 4 2. Resistenza psico-fisica 1 2 3 4 3. Intuizione 1 2 3 4 4. Coraggio 1 2 3 4 5. Curiosità antropologica 1 2 3 4 6. Disponibilità 1 2 3 4 7. Precisione e accuratezza 1 2 3 4 8. Creatività, fantasia, spirito innovativo 1 2 3 4 9. Interesse verso la diversità 1 2 3 4 10. Elasticità mentale 1 2 3 4 11. Essere persuasivo e influente 1 2 3 4 12. Autocontrollo 1 2 3 4 13. Saper mantenere il giusto distacco 1 2 3 4 14. Pazienza 1 2 3 4 15. Propensione a svolgere un ruolo affettivo 1 2 3 4 16. Altro: __________________________________________________ 1 2 3 4

7 VALUTAZIONI 7.1 In questo questionario Le abbiamo chiesto di valutare le competenze generali, le conoscenze specialistiche, le capacità tecnico-specialistiche e le doti personali necessarie a fare il Suo lavoro. Come ultima domanda, Le chiediamo di mettere in graduatoria questi 4 aspetti, dal più importante (1) al meno importante (4)

Ordine a) COMPETENZE GENERALI b) CONOSCENZE SPECIALISTICHEc) CAPACITÀ TECNICO_SPECIALISTICHEd) DOTI PERSONALI

7.2 Pensa che nei servizi agli immigrati stiano emergendo nuovi bisogni e nuove professionalità? Se sì, di che tipo? _______________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________

La rappresentazione delle competenze nel linguaggio delle università e in quello degli operatori del terzo

settore: uno studio sulle relazioni tra corpora

Simona Balbi, Maria Gabriella Grassia, Giorgio Infante1 Dipartimento Matematica e Statistica, Università di Napoli “Federico II”

Riassunto: In questo lavoro si affronta il problema della comunicazione fra domanda e offerta di competenze e di professionalità in un nel mercato del lavoro particolare, quello del terzo settore. L’attenzione si è concentrata sull’erogazione di servizi legati all’immigrazione. Si è confrontato il linguaggio utilizzato dagli operatori per descrivere, nel corso di interviste in profondità, le competenze richieste ai laureati, con il linguaggio utilizzato dalle università, per descrivere, nelle schede ministeriali, i contenuti e gli sbocchi professionali dei propri corsi di laurea. Da un punto di vista metodologico il problema affrontato è quello del confronto fra corpora. Nel lavoro vengono presentati i principali risultati, in termini di misure di dissimilarità e rappresentazioni grafiche, ottenute ricorrendo a strumenti propri dell’analisi di dati simbolici e dell’analisi statistica multivariata classica.Parole chiave: dati testuali, oggetti simbolici, misure di dissimilarità, analisi delle correlazioni canoniche, rotazioni procustiane

1. Introduzione

Obiettivo del presente lavoro è valutare la rispondenza fra la domanda di competenze e di professionalità proveniente dal mondo lavorativo del terzo settore e il tipo di formazione che il sistema universitario italiano offre. L’attenzione è rivolta, in particolare, alle attività legate all’immigrazione.

1 Il presente lavoro è stato finanziato nell’ambito del progetto “Modelli e metodi per abbinare profili formativi e bisogni di professionalità di comparti del terziario avanzato”, cofinanziato dal MIUR. Coordinatore nazionale è L. Fabbris, coordinatore dell’Unità di Napoli è S. Balbi.. La nota, opera congiunta dei tre autori, è stata redatta da S. Balbi per i paragrafi 1e 5, da M. G. Grassia per i paragrafi 2 e 4 e da G. Infante per i paragrafi. 3 e 6.

La rappresentazione delle competenze nel linguaggio delle università e in quello degli operatori del settore. Relazioni tra corpora

84

Per raggiungere questo obiettivo si è fatto ricorso ai metodi statistici per l’analisi dei dati testuali, confrontando alcune interviste semi-strutturate a testimoni privilegiati, con le presentazioni che le università rivolgono ai potenziali studenti dei propri corsi di laurea, ricavate dal sito del Ministero dell’università.

Lo studio delle relazioni tra i due corpora ha comportato un problema di natura metodologica: le due tabelle lessicali corrispondenti non presentano né le stesse righe (documenti), né le stesse colonne (termini), pur avendo come oggetto gli stessi temi.

Nella soluzione di questo problema si è fatto riferimento alla letteratura specifica in tema di competenze, così da poter introdurre, nell’analisi statistica, una informazione esterna di natura contestuale. Si sono così costruite unità lessicali di ordine superiore, definite come gruppi di parole che condividono lo stesso ambito di caratteristiche lavorative (ad esempio, sapere, saper fare, …). Questa operazione è stata effettuata ricorrendo a conoscenza esperta. E’ stato così possibile misurare la dissimilarità nell’uso dei termini riferiti a sei diverse tematiche (attitudini personali, capacità, conoscenze, termini generali, professionalità, servizi), da parte dagli operatori e dalle università, ricorrendo ad un indice precedentemente proposto per oggetti simbolici (Balbi, Grassia, 2007).

In una fase successiva, maggiormente data oriented, si è fatto ricorso a strumenti di analisi statistica multivariata, proposti per il confronto di strutture concettuali di riferimento (Balbi, Misuraca, 2006), ottenendo una rappresentazione grafica, relativa alle distanze fra i singoli termini utilizzati. Questo ha reso possibile una sintesi ed una possibile interpretazione non soltanto delle criticità sostanziali legate a ciò che si insegna e ciò che si applica nel mondo del lavoro, ma anche di una discrasia dovuta, in parte, a difetti di comunicazioni, legati alla non condivisione di un linguaggio.

Nel lavoro vengono introdotte le nozioni di base dei metodi utilizzati (par. 2), la struttura dei dati (par. 3), la strategia di analisi adottata (par. 4) e i principali risultati ottenuti (par. 5). Le conclusioni sono tratte nel par. 6.

2. Alcuni richiami metodologici

I principali riferimenti metodologici di questo lavoro sono l’Analisi dei dati simbolici (Diday, 1987), per il trattamento di unità statistiche complesse non rappresentabili in una classica matrice unità per variabili, e l’Analisi ruotata delle correlazioni canoniche (Lafosse, 1989).

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 85

2.1 Oggetti simbolici ed oggetti testuali

Un oggetto simbolico (Bock, et al., 2000) è definito da una terna s = (a, R, d), dove d = (d1, . . . , dj , . . . , dp) è la descrizione dell’oggetto (intensione), come insieme dei valori assunti da p descrittori (Y1, . . . ,Yj , . . . ,Yp), a è la funzione di riconoscimento booleana {vero, falso} che consente di individuare gli elementi che appartengono all’insieme di descrizione d (estensione dell’oggetto) e R = (R1, . . . ,Rj , . . . ,Rp) è la relazione su cui si basa il riconoscimento delle singole osservazioni come realizzazioni individuali della descrizione fornita a livello concettuale da d. I descrittori di un oggetto simbolico possono essere di tipo nominale, continuo o discreto, e presentare più modalità o valori per ciascun oggetto.

Balbi, Bolasco e Verde (Balbi, et al., 2002; Bolasco, et al., 2002) propongono un’analisi su dati testuali derivati dalla definizione formale di concetti e dalla loro composizione in termini di unità elementari (parole), introducendo nozioni proprie dell’analisi di dati simbolici per lo studio di particolari strutture linguistiche. Si tratta di strutture lessicali complesse, caratterizzate dalla presenza di particolari prefissi (anti-, filo-, ecc.) e particolari suffissi (-ismo, -ista, ecc.) al fine di approfondire alcuni aspetti del linguaggio giornalistico italiano nel corso degli anni Novanta.

2.2 Analisi ruotata delle correlazioni canoniche

L’analisi delle correlazioni canoniche (Hotelling, 1936) si pone l’obiettivo di identificare combinazioni lineari (fattori canonici) di variabili, appartenenti a due gruppi distinti, che siano fra loro massimamente correlate. Questa tecnica, pur avendo una grandissima rilevanza metodologica, presenta notevoli difficoltà applicative, dal punto di vista dell’interpretazione e rappresentazione grafica dei risultati, poiché le coppie di fattori canonici individuate appartengono a spazi differenti, ciascuno generato dall’insieme di variabili che lo costituisce. Una interessante soluzione a questo problema (Lafosse, 1989, ripresa da Balbi, Esposito, 2000) è quella di ruotare preliminarmente le due matrici in senso procustiano (Gower, 1975), così da ricondurre i fattori canonici ad uno stesso spazio.

Formalmente, date 2 matrici X (n, p) e Y (n, q), riferite a due gruppi di variabili osservate sugli stessi individui, centrate e standardizzate, la miglior rotazione (nel senso dei minimi quadrati) di Y verso X è data da YR:

R=VYX(VXYVYX)-1/2 (1)

dove VXY = X’Y è la matrice di cross-varianza fra X e Y e VYX la sua trasposta.

La rappresentazione delle competenze nel linguaggio delle università e in quello degli operatori del settore. Relazioni tra corpora

86

Poiché l’operazione base di un’analisi delle correlazioni canoniche è l’identificazione della struttura caratteristica della matrice V-1

XXVXYV-1YYVYX, con VXX

e VYY matrici di varianza e covarianza, rispettivamente di X e Y, una volta ruotato Yverso X, la matrice da decomporre è, dopo pochi passaggi:

VXY R= (VXYVYX)1/2 (2)

Tale matrice è simmetrica e, quindi, le combinazioni lineari identificate sia per le variabili in X che in Y sono associate allo stesso sistema di vettori u, appartenenti così allo stesso spazio di riferimento:

'1

uuRV ∑=

=p

jjXY ζ (3)

Nell’ambito dell’analisi dei dati testuali, Balbi, Misuraca (2006) hanno proposto l’utilizzo dell’analisi ruotata delle correlazioni canoniche al fine di misurare la bontà di una traduzione e di rappresentare graficamente le criticità, come distanza fra termini in lingua originale e in traduzione.

3. La struttura dei dati da analizzare

Come anticipato, obiettivo del presente lavoro è valutare, per il terzo settore ed in particolare per i servizi all’immigrazione, la rispondenza fra la domanda di competenze e di professionalità proveniente dal mondo lavorativo e il tipo di formazione offerto dal sistema universitario italiano.

Si è così fatto ricorso a interviste in profondità rivolte a venti testimoni privilegiati (presidenti di associazioni di volontariato o cooperative, attive nella regione Campania) al fine di delineare la domanda di competenze e di professionalità proveniente dai principali attori istituzionali dei servizi offerti agli immigrati. Le interviste sono state successivamente sbobinate ed hanno costituito il corpus della domanda di competenze, aggregando le diverse interviste in tre gruppi principali, definiti in base alla dimensione dell’organizzazione (piccola, media, grande, secondo parametri specifici del settore2).

Dal lato dell’offerta sono state considerate le schede di presentazione dei 135 corsi di laurea triennale che nell’anno accademico 2005-2006 facevano esplicito riferimento, nella descrizione dei propri sbocchi occupazionali, ad attività del terzo

2 La dimensione è stabilita in funzione del numero di operatori e volontari: se l’organizzazione ha un numero di operatori e volontari inferiore a 10 è classificata come piccola, tra 11 e 30 è classificata come media, oltre 30 è classificata come grande

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 87

settore o al non profit, estratte dalla banca dati OFF.F del Ministero dell’Università (disponibili sul sito www.cercauniversita.it). Data l’eterogeneità presente in questo tipo di attività, si tratta di corsi di laurea appartenenti a classi diverse: scienze economiche; scienze del servizio sociale; scienze sociali per la cooperazione, lo sviluppo e la pace; scienze sociologiche; scienze politiche e delle relazioni internazionali. Nel seguito si è proceduto aggregando i corsi di laurea in 16 classi definite sulla base della classe di appartenenza e della denominazione prescelta.

Della scheda si sono considerati i due campi scritti in forma libera, relativi agli obiettivi formativi caratterizzanti ed agli ambiti occupazionali previsti. Questi due campi hanno costituito il corpus dell’offerta di competenze.

Tabella 1. I corpora della domanda e dell’offerta di competenze

Domanda di competenze

IDclasse

dimensionale Testo

1 2

Le principali competenze richieste agli operatori laureati di questa associazione riguardano la conoscenza delle lingue, la conoscenza delle tradizioni e della cultura degli immigrati

2 1

Sicuramente quello che manca agli operatori quando si avvicinano agli immigrati è la conoscenze della loro cultura. E’necessario adeguarsi a loro capire le loro usanze e mediare rispetto alle nostre.

20 1 Innanzitutto, rispetto come dire alle attività o all'aspetto sociale e culturale in questo ambito, ci vuole una forte motivazione una forte capacità relazionale.

Offerta di competenze

IDclasse di laurea Testo

1 6

il corso di laurea prevede una formazione interdisciplinare nell'ambito delle discipline sociali e sociologiche, giuridiche con particolare riferimento al diritto di famiglia e al penale,

2 6

il corso di laurea in servizio sociale è orientato alla preparazione alla professione di assistente sociale e quindi a fornire ai laureati: una buona conoscenza delle discipline di base per il servizio sociale, una buona padronanza dei metodi e delle tecniche del servizio sociale, competenze pratiche ed operative, relative al rilevamento ed al

135 2

il corso di laurea ha l'obiettivo di fornire agli studenti conoscenze adeguate di metodi e contenuti culturali e scientifici volte al conseguimento del livello formativo richiesto dall'area professionale del servizio sociale.

La rappresentazione delle competenze nel linguaggio delle università e in quello degli operatori del settore. Relazioni tra corpora

88

Da una prima lettura, emerge un elemento non trascurabile nell’analisi successiva: lo stile, legato, nel caso delle interviste, al linguaggio parlato, in quello delle schede a documenti ufficiali. Questa considerazione ha rappresentato un ulteriore elemento a favore di un’analisi che operasse su aggregazioni di termini, piuttosto che sui singoli termini utilizzati.

Entrambi i corpora (domanda ed offerta di competenze) sono stati normalizzati e lessicalizzati con procedure automatiche (grazie al software TALTAC), evidenziando poliformi e polirematiche di interesse per l’analisi. Dalle forme grafiche, sono state, quindi, individuate le forme testuali (definite come componenti significative minime del discorso, non ulteriormente decomponibili, siano semplici, composte o complesse, Bolasco, 1994), quali unità di analisi.

Si sono così ottenute due tabelle lessicali, di termine generico la frequenza di una forma in un documento: T1 di dimensione (20, 87) relativa alla domanda di competenze (20 testimoni privilegiati e 87 forme testuali) e T2 di dimensione (135 corsi di laurea, 73 forme testuali), relativa all’offerta. Le tabelle lessicali aggregate corrispondenti sono, quindi, T*1 (3,87), avendo considerato i testi generati dalle interviste secondo le 3 classi dimensionali delle organizzazioni, e T*2 (16, 72) avendo aggregato i corsi di laurea per classe e denominazione. Si è, inoltre, proceduto ad una ricodifica dei dati, considerando la sola presenza /assenza di una forma testuale in un documento (codifica booleana).

4. La strategia di analisi

L’obiettivo di confrontare, dal punto di vista della comunicazione, offerta e domanda di competenze nel terzo settore, si traduce, da un punto di vista metodologico, nella necessità di analizzare congiuntamente tabelle lessicali costruite a partire da due corpora differenti, che si ritiene però condividano tematiche comuni (la natura e le caratteristiche delle competenze necessarie per operare in attività connesse al terzo settore). Da un punto di vista algebrico si tratta di operare su matrici con un numero di righe (documenti) e di colonne (vocabolario) differenti. La soluzione proposta si base sulla costruzione a priori di oggetti testuali relativi alle tematiche affrontate nei documenti prodotti, vuoi dall’università, vuoi dagli operatori di settore. L’interesse di costruire oggetti “testuali” consiste, infatti, nella possibilità di introdurre nell’analisi informazioni esterne (assimilabili a metadati), relative al contenuto del testo, derivanti vuoi da conoscenza esperta, vuoi dalla elaborazione di informazioni elementari rilevate nella fase di raccolta dei dati (metadati interni).

Da un punto di vista computazionale, l’utilizzo degli oggetti nel campo dell’analisi dei dati testuali evita i problemi connessi al trattamento di matrici sparse.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 89

Se, infatti, l’aggregazione dei documenti, quando necessaria, avviene attraverso una variabile classificatrice (nel nostro caso, da un lato la dimensione dell’organizazione, dall’altro una variabile composita che tiene conto della classe di laurea e della denominazione), l’aggregazione dei termini pertiene alle scelte effettuate nella fase di pretrattamento del testo, quali l’eliminazione di termini poco frequenti, la definizione di una stopping list, oppure la lemmatizzazione o lo stemming. A questi ultimi due casi può assimilarsi la costruzione di oggetti testuali, come riduzione delle forme attraverso una loro organizzazione in unità di ordine superiore, descritte da variabili modali, le cui modalità sono le forme stesse, descritte dalle corrispondenti frequenze osservate.

Questo modo di operare consente, inolte, di confrontare corpora provenienti da fonti diverse e relativi a vocabolari e lessici differenti. Nel caso specifico la forma parlata delle interviste e quella scritta delle schede predisposte dalle università.

La costruzione di oggetti testuali sui due corpora ha consentito di calcolare una misura di dissimilarità (Balbi, Grassia, 2007) fra coppie di oggetti.

Si considerino due generici oggetti simbolici sk e sk’ descritti dalle stesse H variabili categoriche Zh, ciascuna con mh modalità, con h = 1, …, H :

{ }[ ]hjhj

kmkmkh

H

hk fzZs ,

1=∧=

= { }[ ]

hjhj mkmkhk

H

hk fzZs '''

1' ,=∧=

=(4)

dove h

jkmf è la frequenza relativa della mj-esima modalità della variabile Zh per

l’oggetto sk (analogamente per sk’). La dissimilarità è calcolata come media della differenza della distribuzione relativa delle singole modalità per ogni singola variabile Zh:

{ [ ]}hjhj

hj

hjhjh

mkkmHh

m

jmkkm

jkk ffff

mssd '1

1'' max)

1),( −∑ ∑ −= =

=(5)

L’indice varia tra 0 ed 1. Quando assume valore 1 c’è massima dissimilarità; quando è uguale a 0 le due distribuzioni sono identiche.

Attraverso la conoscenze esperta, le forme dei due vocabolari sono state suddivise nelle seguenti sei categorie (le variabili delle competenze): 1. Attitudini personali (Saper Essere) 2. Capacità (Saper Fare) 3. Conoscenze (Sapere) 4. Termini generali 5. Professionalità 6. Servizi

Dalla fusione delle forme testuali dei due corpora si sono ottenute 122 forme

La rappresentazione delle competenze nel linguaggio delle università e in quello degli operatori del settore. Relazioni tra corpora

90

distinte. Una prima considerazione: le forme testuali totali sono 160 (87 della domanda + 73 dell’offerta); l’intersezione fra questi due insiemi, riferiti allo stesso tema, è appena di 38 termini (160 - 122). Pur volendo tener conto della profonda diversità delle due forme di espressione (interviste orali/documenti ufficiali), un sospetto di diverse modalità di espressione sorge.

Tornando all’analisi, si sono costruiti 19 oggetti testuali (3 tipi di organizzazione + 16 tipi di corso di laurea), descritti da 6 variabili modali (le competenze), le cui categorie sono i 122 termini, ciascuno assegnato da un esperto esclusivamente ad una delle 6 variabili. Si sono così calcolare le distanze fra oggetti, utilizzando la misura precedentemente richiamata (Balbi, Grassia, 2007), ponendo:

j

j

i

n

t

f

n

im

jkm

∑= =1

~(6)

dove fkmj è la frequenza della m-esima modalità appartenete alla j-esima variabile del

k-esimo oggetto, come somma delle frequenze degli nj termini imt

~ che la

compongono, diviso il totale nj. Per la rappresentazione grafica congiunta delle competenze offerte e

domandate, si è ritornati alle tabelle lessicali originarie: T1 e T2. Per poter applicare l’analisi ruotata delle correlazioni canoniche lessicale occorre che esista una corrispondenza fra i termini confrontati (Balbi, Misuraca, 2006). Si è così tenuto conto ancora una volta dell’unione dei due vocabolari, a 122 termini.

Si chiamino 1~T′ (122, 20) e 2

~T′ (122, 135) le matrici aventi in riga il

vocabolario comune e in colonna, rispettivamente, le 20 interviste e le 135 descrizioni dei corsi di laurea. Si considerino, inoltre, le matrici 1

~O′ (6, 20) e 2

~O′ (6,

135) in cui le righe sono state raggruppate nelle sei categorie delle competenze,precedentemente individuate, con termine generico pari alla sommatoria delle frequenze delle rispettive forme testuali appartenenti alle categorie. La giustapposizione, rispettivamente, delle matrici 1

~T′ e 1

~O′ , 2

~T′ e 2

~O′ ha generato le

matrici X ed Y su cui è stata effettuata l’analisi ruotata delle correlazioni canoniche.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 91

5. I principali risultati

Nella Fig. 1 sono riportate le dissimilarità tra gli oggetti della domanda e dell’offerta di competenze, da cui è possibile comprendere dove si incontrano e dove, invece, appare minore la sintonia fra università e mondo del lavoro. Non sembra emergere un vantaggio particolare di alcune classi sulle altre, né la chiave dimensionale sembra essere rilevante sul valore globale dell’indice. Complessivamente, la dissimilarità maggiore riguarda l’utilizzo dei termini generali relativi alle competenze (Tab. 2), ma appare comunque piuttosto alta.

Figura 1. La matrice di dissimilarità tra oggetti

CLASSIservizio sociale

servizio sociale

internazionale

scienze sociali e

cooperazione e sviluppo

scienze sociali e

cooperazione e sviluppo

cooperazione e sviluppo

economia noprofit

discipline e economiche e aziendali

scienze per la pace

scienze dell'educazio

ne infanzia

educatore sociale,

culturale e territoriale

professioni educative

educatore interculturale

formatore promozione e sviluppo

risorse umane

scienze dell'educazio

ne e della formazione

scienze dei processi formativi

Numerosità interna 44 2 12 2 4 4 1 2 16 9 8 12 2 5 9 3attitudini_1 0,43188 0,14583 0,19896 0,23958 0,27188 0,22396 0,27083 0,26458 0,33475 0,09766 0,36458 0,34422 0,33333 0,14583 0,41059 0,39583capacità_1 0,41053 0,23526 0,43333 0,34263 0,3774 0,38574 0,23397 0,36346 0,47989 0,28405 0,36409 0,42998 0,34744 0,36406 0,48275 0,51058conoscenza_1 0,45334 0,32339 0,42986 0,31102 0,38324 0,37254 0,35484 0,47715 0,49634 0,30956 0,37788 0,43434 0,39866 0,3833 0,50862 0,4578generale_1 0,5919 0,35119 0,56245 0,56548 0,56746 0,50099 0,69048 0,57738 0,58624 0,51171 0,49235 0,5 0,39762 0,45655 0,56002 0,44762professione_1 0,54962 0,50476 0,5131 0,40476 0,48651 0,46429 0,4881 0,54167 0,41916 0,51736 0,4951 0,54589 0,48095 0,48782 0,54498 0,43571servizi_1 0,50094 0,3451 0,41085 0,41373 0,39951 0,34926 0,43137 0,44559 0,40396 0,38268 0,49272 0,47304 0,38186 0,32497 0,4254 0,45245attitudini_2 0,52656 0,27083 0,44792 0,36458 0,52083 0,34896 0,39583 0,48958 0,49579 0,24479 0,38988 0,52312 0,45833 0,27083 0,4974 0,39583capacità_2 0,31968 0,35577 0,36394 0,42115 0,41341 0,44396 0,38141 0,41955 0,43151 0,3237 0,3553 0,37999 0,41442 0,42185 0,41613 0,54359conoscenza_2 0,5207 0,32473 0,42472 0,20806 0,36398 0,34149 0,24731 0,39624 0,57402 0,30009 0,40296 0,50842 0,38548 0,40022 0,57849 0,4707generale_2 0,58708 0,46429 0,59828 0,49405 0,55992 0,44643 0,83333 0,74405 0,59351 0,50802 0,56719 0,70476 0,57024 0,54476 0,68542 0,60833professione_2 0,58845 0,63095 0,41483 0,44643 0,48909 0,48909 0,5 0,52976 0,39156 0,35863 0,36074 0,50795 0,3619 0,29214 0,57184 0,30476servizi_2 0,55852 0,26912 0,29724 0,25 0,29412 0,19771 0,22059 0,40686 0,55609 0,45343 0,60011 0,55508 0,22794 0,44549 0,56878 0,48088attitudini_3 0,40093 0,24107 0,32708 0,24033 0,39658 0,20424 0,28571 0,37946 0,46801 0,31052 0,25122 0,42634 0,33408 0,24107 0,44647 0,23532capacità_3 0,35771 0,39267 0,40023 0,45746 0,4476 0,46696 0,40659 0,46346 0,42938 0,30547 0,33103 0,38878 0,45888 0,42668 0,42033 0,55458conoscenza_3 0,46191 0,312 0,36014 0,24979 0,28961 0,30679 0,3341 0,40486 0,52194 0,33094 0,34763 0,48756 0,32295 0,32248 0,54351 0,49409generale_3 0,58518 0,49082 0,52833 0,55816 0,37466 0,48963 0,70408 0,55485 0,45528 0,52612 0,44625 0,62132 0,50298 0,30969 0,63278 0,54082professione_3 0,5831 0,60306 0,56347 0,54974 0,625 0,6014 0,53061 0,53444 0,47076 0,56035 0,50055 0,4991 0,50485 0,51017 0,53496 0,48135servizi_3 0,4192 0,43309 0,46512 0,47234 0,50683 0,4475 0,48739 0,49247 0,4284 0,48319 0,45574 0,46075 0,47847 0,34819 0,48567 0,42248

Tabella 2. Indice di dissimilarità aggregato tra domanda ed offerta

Variabili Indice di Dissimilarità Attitudini 0,48 Capacità 0,48 Conoscenza 0,44 Generale 0,56 Professione 0,43 Servizi 0,45

La rappresentazione delle competenze nel linguaggio delle università e in quello degli operatori del settore. Relazioni tra corpora

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Un approfondimento è fornito dall’analisi ruotata delle correlazioni canoniche, che consente un confronto più puntuale. In Fig. 2 sono riportate le conoscenze: emergono rare coincidenze nella loro rappresentazione concettuale così come sono disegnate dal sistema universitario e come sono descritte dagli operatori del settore indagato (si noti la prossimità di conoscenza servizi sociali, conoscenze educative, conoscenze multidisciplinari, ma anche conoscenze psichiatriche oepistemologiche). Prevale, invece, la rappresentazione di mondi differenti. Questa distanza nella rappresentazione sembra nascere non soltanto da esigenze di contenuti differenti, ma anche da un linguaggio non condiviso.

Figura 2. La rappresentazione congiunta delle principali forme testuali

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 93

6. Conclusioni

Con il presente lavoro si è tentato di portare un ulteriore contributo al processo che il sistema universitario sta mettendo in atto, ossia di rendere la propria offerta formativa coerente con gli sbocchi occupazionali previsti per i suoi laureati.

Questo si traduce in un dialogo più stretto fra docenti e operatori. L’idea che si à voluta qui sviluppare è che non basta parlare di più, se si parlano linguaggi differenti. Per arrivare ad un accordo sui contenuti formativi dei corsi di laurea è necessario comprendersi. E fondamentale è che questa comprensione nasca da uno sforzo congiunto dei diversi attori sulla scena. Da una parte il mondo produttivo desidera degli strumenti funzionali ai propri obiettivi, dall’altro l’università non può abbandonare il suo ruolo culturale e innovatore.

L’esperimento che si è qui condotto tocca un settore particolarmente delicato sul piano umano, sia perché riguarda servizi offerti a soggetti particolarmente deboli, sia perché in queste attività è molto forte la presenza del volontariato (e, in qualche misura, la non professionalità).

I risultati cui si è pervenuti sembrano non contraddire le ipotesi iniziali: il ricorso a oggetti testuali ha consentito di riferirsi a contenuti comuni (le competenze così come classificate dalla letteratura). L’analisi ruotata delle correlazioni canoniche ha consentito di concentrare l’attenzione sulle differenze terminologiche.

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appariés, Statistique et analyse des données, 14: 1-24

The representation of the competencies in the language of universities and third sector’s operators: a study on the relationships among corpora

Summary. In this paper we propose a strategy for comparing supply and demand of competences on the “third sector” labour market, focusing attention on activities connected with immigration. The adopted viewpoint is communication: if competences offered by university courses unfit competences required by organisations active in the third sector, the reason is that actors on the stage do not correctly communicate. And this can be partially due to the use of different languages. Therefore, we jointly analyse documents derived from in-depth interviews to chief officers of organisations and from official descriptions of university courses. From a methodological viewpoint, we have to compare two corpora, by textual data analysis. We propose the use of a symbolic data analysis distance measure together with classic multivariate statistical methods, namely canonical correlation analysis together with Procrustean rotations, in order to understanding and representing communication gaps. Keywords. Textual Data, Simbolic Objects, Dissimilarity Measures, Canonical Correlation Analysis, Procustian Rotation.

Il Text Mining per l’individuazione dell’offerta universitaria di competenze nel terzo settore1

Simona Balbi*, Giorgio Infante*, Michelangelo Misuraca**

*Università di Napoli Federico II **Università della Calabria

Riassunto. La riforma del sistema universitario Italiano prodotta dalla L. 509/99 è stata pensata allo scopo di riorganizzare e razionalizzare l’offerta formativa. Non tutte le potenzialità di tale riforma sono state però colte dalle università. Da un lato si è avuta una proliferazione eccessiva di corsi, dall’altro non sono stati spesso ben definiti obiettivi ed ambiti in fase di progettazione dei corsi stessi. Ciò è tanto più vero per quei segmenti del mercato del lavoro, nei quali gli studenti andranno ad operare, di ancora difficile e confusa definizione. Obiettivo di tale lavoro è individuare quali sono le competenze offerte dai programmi di studio che hanno come fine la preparazione alle professioni proprie del terzo settore, attraverso uno studio statistico del linguaggio utilizzato per descrivere gli obiettivi dei corsi di laurea attinenti. Parole chiave: Analisi in componenti principali vincolata, Informazione esterna, Proiettori ortogonali, Dati testuali.

1 Introduzione

La riforma del sistema universitario seguita all’applicazione della L. 509/99 ha posto come uno dei principali punti qualificanti la maggiore flessibilità dell’offerta formativa, la valorizzazione dell’autonomia dei singoli atenei (anche in una logica di concorrenza e competizione), una minore auto-referenzialità del sistema universitario ed una maggiore attenzione alla domanda di formazione proveniente dall’esterno.

Questo si è tradotto nel superamento dell’organizzazione dei percorsi formativi in un numero ridotto di corsi, facenti capo a specifiche strutture didattiche, 1 Il presente lavoro è stato finanziato nell’ambito del progetto “Modelli e metodi per abbinare profili formativi e bisogni di professionalità di comparti del terziario avanzato”, cofinanziato dal MIUR e dall'Università di Padova. Coordinatore nazionale è L. Fabbris, coordinatore dell’Unità locale è S. Balbi.

Il Text Mining per l’individuazione dell’offerta universitaria di competenze nel terzo settore

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le facoltà, attraverso la definizione di Classi di corsi di laurea che consentissero ai singoli atenei di caratterizzarsi rispetto ai propri specifici punti di forza, in questo valorizzando la loro autonomia, anche in termini di offerta formativa.

Lo scopo originario era indubbiamente “virtuoso”, ma in diversi casi ha prodotto situazioni di confusione e ambiguità: proliferazione di corsi legati a interessi corporativistici, definizione di curricula sulla base di mode effimere, eccessivo frazionamento e specializzazione, anche nei corsi di primo livello2.

Obiettivo del presente lavoro è analizzare come i singoli corsi di laurea siano stati progettati e presentati ai propri potenziali “clienti” (gli studenti degli ultimi anni delle scuole superiori e le loro famiglie), in termini di comunicazione delle proprie caratteristiche formative e degli sbocchi occupazionali possibili, ponendo particolare attenzione alle competenze che i corsi si propongono di fornire.

Con questo obiettivo si sono analizzate le descrizioni presenti sul sito del Ministero dell’Università (www.cercauniversità.it), relativi all’anno accademico 2005-2006, con strumenti propri dell’analisi dei dati testuali, al fine di far emergere l’immagine che l’università da di sé.

Considerata l’enorme ricchezza di offerta formativa, il raggiungimento di questo obiettivo ha posto il problema di estrarre informazione da una grande base di dati documentaria, ossia uno dei più tipici compiti del text mining. Nel seguito, dopo un inquadramento di carattere metodologico (par. 2), è illustrata la strategia adottata per la riduzione della complessità del fenomeno oggetto di analisi (par. 3), per concludere con la presentazione dei risultati raggiunti (par. 4).

2 Quadro metodologico di riferimento

Una delle maggiori caratteristiche di un’analisi statistica effettuata a partire da una base documentaria, e più in generale una delle maggiori differenze tra una query su una base di dati numerica e una effettuata, ad esempio, mediante un motore di ricerca, è legata alla necessità di un impegnativo pre-trattamento.

Durante questa fase preliminare la trasformazione di una base documentaria non strutturata in una struttura di dati trattabile con tecniche di analisi statistica si traduce, necessariamente, in una riduzione della variabilità (linguistica). Si pensi a quello che accade quando si decide, ad esempio, di procedere ad una lemmatizzazione, o allo stemming. La riduzione di variabilità significa, in positivo, una riduzione del “rumore”, cioè dell’informazione non significativa rispetto al

2 Le modifiche introdotte dal D.M. 270/2004 sono di ancora troppo recente attuazione perché sia possibile, ad oggi, valutarne la portata correttiva.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 97

fenomeno oggetto di analisi. Può significare però anche perdita di informazione, critica per la comprensione del fenomeno stesso. Un analogo problema si pone quando si decide di lavorare raggruppando i documenti in classi, ad esempio per realizzare successivamente un’analisi su una tabella lessicale aggregata. Anche in questo caso si ha di fatto un minor rumore/informazione.

Molto spesso si ha l’esigenza di recuperare o integrare, in qualche modo, almeno una parte dell’informazione perduta.

Esiste infatti molta altra informazione che si perde nella costruzione di una tabella lessicale, ed è quella legata al contesto all’interno del quale ciascun termine è utilizzato. Accanto a questo tipo di informazione, legata strettamente al corpus, può essere interessante introdurre nell’analisi altre informazioni, non individuabili direttamente dal corpus, relative al contesto in cui i documenti sono stati prodotti.

L’informazione esterna sul dato, ossia la meta-informazione, viene di solito recuperata, soggettivamente, in maniera informale, nell’interpretazione dei risultati. Si propone qui di affrontare il problema in maniera più formalizzata, incorporando questa informazione nell’analisi.

2.1 L’utilizzo dell’informazione esterna

Il tema dell’introduzione di informazione esterna nell’analisi esplorativa di strutture multivariate è stato ampiamente dibattuto in letteratura, a partire dall’analisi in componenti principali (ACP) con variabili strumentali proposta da Rao (1964). L’introduzione di una informazione esterna sia sugli individui che sulle variabili è stata proposta da Takane e Shibayama (1991), con un metodo che combina caratteristiche proprie del modello di regressione e dell’ACP. Questo metodo è stato successivamente e diffusamente sviluppato da Takane (1997), con la cosiddetta analisi in componenti principali vincolata, ed esteso ad una grande varietà di metodi di analisi multivariata.

Un approccio non dissimile, ma di natura prettamente descrittiva e focalizzato maggiormente sugli aspetti geometrici e sulla visualizzazione, è quello proposto da D'Ambra e Lauro (1982), esteso al caso dell’analisi di tabelle di contingenza in cui si può assumere una struttura di dipendenza fra le due variabili nominali oggetto di analisi (Lauro, D’Ambra, 1984). L’analisi in componenti principali in un sottopazio di riferimento rappresenta il punto di partenza metodologico del presente lavoro, e in particolare è presentata una sua estensione che include l’informazione esterna riferita alle due vie di una tabella lessicale del tipo (termini, documenti).

Il Text Mining per l’individuazione dell’offerta universitaria di competenze nel terzo settore

98

2.2 Alcuni richiami metodologici

2.2.1 Analisi in Componenti Principali Vincolata

La struttura dei dati nell’Analisi in Componenti Principali Vincolata (ACPV) è costituita da una matrice Z (individui, variabili) e da due matrici, G ed H contenenti, rispettivamente, informazione esterna sugli individui e sulle variabili.

Takane riconduce a questo schema numerose analisi statistiche multivariate, compresa l’analisi delle corrispondenze e la sua variante non simmetrica (Takane, 2008), senza limitazioni circa la distribuzione delle variabili, il pre-trattamento o la metrica, scelte in accordo allo specifico interesse applicativo del ricercatore.

L’ACPV si articola su due passi: nel primo, la cosiddetta analisi esterna, Z è proiettata ortogonalmente negli spazi generati da G e H con l’obiettivo di scomporre l’influenza delle variabili esterne nella somma di quattro termini: il comportamento di Z che può essere spiegato congiuntamente da G e H, quello spiegato solo da G, solo da H e una componente residuale. Questa soluzione è ottenuta nell’ottica dei minimi quadrati, attraverso la minimizzazione della matrice dei residui. Nel secondo passo si esegue la cosiddetta analisi interna, che consiste in una o più ACP effettuate sulle matrici ottenute nel primo passo dalla scomposizione di Z.

2.2.2 Analisi in Componenti Principali su un Sottospazio di Riferimento

La struttura dei dati dell’Analisi in Componenti Principali su un Sottospazio di Riferimento (ACPR) è data da due matrici (individui,variabili), Z and X.

L’ACPR si pone l’obiettivo di visualizzare la dipendenza di Z da X. Operativamente ricerca le componenti principali della proiezione ortogonale di Z sullo spazio generato dalle colonne di X. Da questo punto di vista può essere letta come un caso particolare dell’ACPV, prendendo in considerazione soltanto il termine della scomposizione relativo all’influenza di X su Z (centrando e, di solito, standardizzando le variabili in Z come, in una classica ACP).

I vantaggi dell’ACPR sono strettamente connessi alle sue rappresentazioni grafiche e, conseguentemente, alla facilità di interpretazione dei risultati: le mappe fattoriali mostrano sia le correlazioni fra le variabili appartenenti alla stessa matrice (X o Z) sia quelle fra le variabili di X e Z.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 99

2.2.3 Analisi Doppiamente Proiettata

Balbi e Misuraca (2009) propongono un’analisi doppiamente proiettata, al fine di introdurre informazione esterna sia sugli individui che sulle variabili, nell’ottica specifica dell’Analisi dei Dati Testuali (ADT).

La proposta ha come obiettivo la comprensione dell’uso di determinate keyword, sotto condizioni date. Ciò consente, ad esempio, di comprendere le peculiarità d’utilizzo di termini presenti in singoli documenti senza far riferimento, però, all’interpretazione globale del fenomeno linguistico oggetto d’analisi.

Si supponga di avere due matrici indicatrici I (n, I) e J (n, J), rappresentative di due variabili nominali osservate sullo stesso collettivo di individui, e sia N (I, J) la matrice che incrocia le due variabili in I e J. Nell’ambito dell’ADT, N è una tabella lessicale che ha in riga I documenti e in colonna J parole rappresentative del vocabolario della collezione di documenti analizzata. Un’Analisi delle Corrispondenze Lessicali (ACL) è tipicamente eseguita su questa matrice, per analizzare e rappresentare graficamente le relazioni latenti fra documenti e termini.

Poniamo ora di disporre di informazioni relative ad una classificazione interessante dei documenti e al contesto di utilizzo dei termini. Si consideri una matrice indicatrice Y (I, K) che assegna ogni documento alla categoria k (k = 1, …, K). È possibile effettuare allora una ACL sulla tabella lessicale aggregata T (K, J) ottenuta dal prodotto di Y e N, per una migliore lettura delle relazioni fra gruppi di documenti e termini (Lebart et al., 1997). L’introduzione di informazione esterna sui termini era già stata proposta in precedenti lavori (Balbi e Giordano, 2000; Balbi et al., 2002).

L’analisi doppiamente proiettata porta l’attenzione sull’analisi interna della ACPV e sulle caratteristiche geometriche proprie dell’ACPR. In altri termini, attraverso gli operatori di proiezione ortogonale si visualizza sui piani fattoriali la struttura di associazione in N relativa alla informazione esterna. Oltre ad introdurre la matrice Y (informazione sui documenti) ed N (la tabella lessicale), si considera una matrice X (J, L) relativa alla informazione sul vocabolario (Fig. 1).

Il Text Mining per l’individuazione dell’offerta universitaria di competenze nel terzo settore

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Figura 1. La struttura dei dati dell’analisi doppiamente proiettata

Nell’ottica della proposta di Takane è possibile in tal modo studiare una delle matrici risultanti dalla scomposizione: l’influenza della categorizzazione dei documenti sull’analisi testuale, l’influenza della classificazione dei termini sull’analisi, l’influenza congiunta, o la parte residua, che non dipende né dall’informazione esterna sui documenti né da quella sui termini.

3 L’offerta universitaria per il terzo settore

Non è semplice né banale definire il terzo settore. Nella letteratura di riferimento sono presenti innumerevoli tentativi, in accordo alle diverse scuole o alle diverse teorie sociologiche. Nel seguito, si è scelta la seguente definizione di riferimento: “il Terzo Settore costituisce quell’area che si è andata formando tra stato e mercato, nella quale si offrono servizi, si scambiano beni relazionali, si forniscono risposte a bisogni personali o a categorie deboli secondo approcci che non sono originariamente connotati da strumentalità (come nel mercato), né da puro assistenzialismo (come nello stato)”3.

Alla luce di ciò sono stati selezionati 139 corsi di laurea triennale tra i 3082 offerti dalle Università Italiane nell’anno accademico 2005/2006, che nella loro descrizione sulla base di dati ministeriale fanno esplicitamente riferimento al terzo settore (Tab. 1).

3 G. Di Gennaro, www.terzosettorenapoli.it

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 101

Tabella 1. Corsi di Laurea Triennali di interesse per il Terzo settore

Classe di Laurea Denominazione N° di corsi selezionati

6 Sc. del servizio sociale 47

15 Sc. politiche e delle

relazioni internazionali1

18 Sc. dell’educazione e della formazione

66

28 Sc. Economiche 6

35 Sc. sociali per la cooperazione,

lo sviluppo e la pace19

La base documentale analizzata è costituita dalle declaratorie ministeriali dei corsi di laurea. Ciascuna declaratoria è strutturata in tre sezioni, comprendenti gli obiettivi formativi, gli ambiti occupazionali e le conoscenze pregresse richieste.

La prima parte del trattamento necessario per analizzare le declaratorie da un punto di vista statistico è quella solitamente utilizzata nell’ADT. I documenti sono stati normalizzati, lessicalizzati e quindi lemmatizzati, allo scopo di ridurre la variabilità linguistica ed eliminare le forme strumentali prive di significato. Al fine di estrarre le keyword inerenti le competenze è stato ricostruito un corpus costituito dai soli obiettivi formativi.

Sulla tabella lessicale ottenuta da tale corpus è stata effettuata un’ACL, di cui per brevità si riporta solo la rappresentazione grafica (Fig. 2), al fine di acquisire conoscenza sul fenomeno d’interesse.

Si può notare sul primo asse fattoriale (da sinistra a destra) una contrapposizione tra le professionalità del sociale in ambito pubblico e/o privato contraddistinte dal fatto di fornire servizi alle persone in quanto individualità, e le professionalità proprie della formazione e della cooperazione internazionale, nelle quali si ha una maggior attenzione ai servizi per la comunità. Sul secondo asse fattoriale risulta evidente una contrapposizione tra i corsi propri delle scienze della formazione (in alto) e quelli invece più attinenti alle scienze sociali (in basso).

Il Text Mining per l’individuazione dell’offerta universitaria di competenze nel terzo settore

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Figura 2. ACL sui corsi di laurea: primo piano fattoriale

A valle di tale analisi è stata effettuata una categorizzazione semantica delle competenze considerate, ottenendo così 5 differenti classi che considerano la natura della competenza, l’ambito di utilizzo e le attitudini complementari richieste.

4 Analisi delle competenze

I dati a disposizione sono stati organizzati in tre diverse matrici: una tabella lessicale (corsi di laurea,competenze), una tabella d’informazione esterna sui corsi di laurea (classi di laurea) e una tabella d’informazione esterna sulle competenze (classi di competenze).

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 103

L’analisi interna sulla tabella lessicale (corsi di laurea,competenze), nel caso in cui si considerino come informazione esterna due matrici identità, e come metrica e sistema di pesi nei due spazi di rappresentazione di righe e colonne le distribuzioni marginali, corrisponde all’ACL presentata in Fig. 2. Per brevità non vengono riportati i risultati dell’analisi con metrica e sistemi di pesi basati sull’informazione esterna perché non di interesse per l’obiettivo del presente lavoro. Dell’analisi esterna sulle quattro tabelle, secondo la decomposizione proposta da Takane, sono di seguito presentati i risultati relativi alla proiezione delle keyworddei corsi di laurea nello spazio delle classi di competenze, senza tener conto quindi delle diverse classi di laurea, e sull’uso residuale delle keyword rispetto alle classi di laurea e alle classi di competenze.

Figura 3. Proiezione delle keyword nello spazio delle competenze

Nella Fig. 3 è possibile visualizzare la descrizione delle competenze a prescindere dalla classe di laurea, quindi senza considerare il contesto d’uso. Sul

Il Text Mining per l’individuazione dell’offerta universitaria di competenze nel terzo settore

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primo asse fattoriale si nota prevalentemente una opposizione fra descrizioni incentrate su quello che l’università s propone di offrire, in termini di competenze e di valorizzazione di capacità, sulla destra e discorsi più generici sulla sinistra. Sul secondo asse fattoriale è invece possibile visualizzare (dall’alto verso il basso) una contrapposizione tra le competenze che i diversi Corsi di Laurea si propongono di offrire (nelle scienze della natura, specifiche, operative) e le capacità (di interagire,di inserimento, operative) che gli studenti dovranno acquisire per poter lavorare nei diversi ambiti lavorativi.

Figura 4. Usi residui delle keyword nello spazio delle competenze

Nella Fig. 4 è possibile visualizzare invece l’utilizzo delle keyword utilizzate dai corsi di laurea, senza tener conto delle classi di laurea (contesto d’utilizzo) e delle classi di competenze. Appaiono, quindi, nei quattro quadranti le specifiche figure professionali che i diversi gruppi di corsi di laurea si propongono di offrire, in senso

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 105

orario: educatore professionale (in alto a sinistra), assistente sociale (in alto a destra), tutor di impresa (in basso a destra, con educatore di comunità) e in generale lavorare in organizzazioni (dei servizi sociali, del terzo settore) e animatore socio-educativo (in basso a sinistra).

5 Conclusioni

La strategia proposta ha consentito di approfondire il linguaggio utilizzato dalle università che hanno scelto, nell’ambito della lagge 509/99, di attivare corsi di laurea triennali per operatori del terzo settore. In questo senso, la metodologia fornita ha consentito di tener conto uno degli elementi maggiormente rilevanti della descrizione degli obiettivi formativi: il tipo di competenze offerte. Ancora, riferendosi alla scompozione dell’informazione, proposta da Takane, si è cercato di fare emergere le specificità individuali, che sembrano far emergere la tendenza delle università a collegare gli obiettivi formativi alle professionalità che si intendono formare. In ogni caso, appare una notevole ripetitività dei termini e dei concetti ad essi collegati, che non sembra nascere da una reale volontà di concorrenza.

Potrà essere interessante comparare questi risultati (ad esempio con tecniche procustiane, quali quelle proposte da Balbi, Misuraca, 2005) con quelli relativi ai nuovi corsi di laurea introdotti dalla legge 270/2004, al fine di comprendere se l’obiettivo di informazione, a valenza anche promozionale, oltre che informativa, sia entrata più in profondità nel sistema universitario e nella sua progettazione.

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Il Text Mining per l’individuazione dell’offerta universitaria di competenze nel terzo settore

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Text Mining for detecting the academic competences offered for the third sector

Summary. The reform of the Italian university system lead by the L. 509/99 has been thought aiming at reorganizing and rationalizing the academic offer. Not all the potentialities of such reform have been however taken by the Universities. It has been an excessive proliferation of programs and, at the same time, the objectives have not often been well defined in a planning phase. This is more significant for that segments of the job market, in which the students will operate, of hard and confused definition. This paper aims at identifying which competences are offered by the academic programs that prepare to the Third Sector professionalisms, by a statistical study of the language used for describing the goals of the different proper programs. Keywords: Constrained Principal Component Analysis, External Information, Orthogonal Projectors, Textual Data

Un’analisi delle competenze degli operatori dell’educativa territoriale a Napoli1

Alfonso Piscitelli Dipartimento di Sociologia, Università di Napoli “Federico II”

Riassunto. Il panorama delle professioni del sociale è stato soggetto a profonde trasformazioni. Il quadro delle competenze richieste, tranne poche eccezioni, si presenta ancora fluido e non del tutto delineato. In particolare, per quel che riguarda gli operatori per i minori, è molto articolato e poco definito. In questo lavoro si intende fornire, come prima ricostruzione delle competenze in questo delicato settore, un’analisi delle competenze possedute dagli operatori sociali impegnati nei laboratori di educativa territoriale, uno spaccato significativo di chi in ambito socio-educativo è impegnato per i minori della città di Napoli. Oltre a fornire una descrizione delle professioni in termini di conoscenze (il sapere), abilità (il saper fare) e doti di personalità (il saper essere) che connotano l’operatore dei centri di educativa territoriale, si vuole indagare anche sulla presenza di eventuali nuove professionalità. Allo stesso tempo, i profili di competenze degli operatori vengono messi a confronto con i profili ideali espressi dai responsabili delle varie attività per analizzare la differenza tra le professionalità presenti e quelle ideali, e anche per capire come i responsabili riescano a loro volta a modificare le professionalità inducendo una certa domanda di profili. Parole chiave: Operatori sociali, Educativa territoriale, analisi delle componenti principali per dati categoriali

1. Introduzione

Negli ultimi anni, molte figure professionali sono state interessate da rilevanti trasformazioni, ed anche il sistema dei servizi sociali ha subito un radicale mutamento a seguito della legge 328/2000, “Legge quadro per la realizzazione del

1 Il presente lavoro è stato finanziato nell’ambito del progetto “Modelli e metodi per abbinare profili formativi e bisogni di professionalità di comparti del terziario avanzato”, cofinanziato dal MIUR. Coordinatore nazionale è L. Fabbris, coordinatore dell’Unità di Napoli è S. Balbi.

Un’analisi delle competenze degli operatori dell’educativa territoriale a Napoli 108

sistema integrato di interventi e servizi sociali”. La costruzione di sistemi di welfare locale, nei quali le politiche sociali classicamente intese si integrano con le politiche sanitarie, educative e del lavoro, ha imposto una riflessione attenta sul sistema delle professioni sociali cui fa riferimento. In passato, l’operatore sociale si percepiva come colui il quale era capace di risolvere problemi di persone in difficoltà. Oggi, invece, è un professionista che svolge le sue funzioni in una logica di integrazione delle risorse e promozione delle reti di territorialità. Assistenza alla persona (sociale e sanitaria), socializzazione e mediazione culturale, assistenza socio educativa per l’infanzia e l’adolescenza, inserimento lavorativo e mediazione familiare sono le aree di intervento in cui è richiesto l’operatore sociale (Ceruzzi e Tunzi, 2005). Al contempo, l’azione di un operatore sociale è riconducibile a tre livelli di responsabilità: livello di base, livello intermedio e livello apicale.

Nell’ottica di riorganizzazione dei servizi diviene centrale il concetto di competenza, e le sue modalità di acquisizione. Attualmente, le professionalità spendibili nel sociale vengono fornite da tre sistemi formativi: il sistema scolastico dell’istruzione, il sistema della formazione universitaria e il sistema della formazione professionale regionale. L’intreccio formativo dei tre sistemi definisce i differenti livelli dell’operatore sociale.

A livello nazionale, le professioni sociali che hanno una qualche norma di riconoscimento sono: Operatore Socio-Sanitario (OSS), Educatore Professionale, Assistente Sociale, Sociologo, Psicologo e Pedagogista. Una qualifica di base (OSS) e cinque professioni relative a laureati.

Nel territorio, si assiste alla proliferazione di figure professionali “regionali”, formate con percorsi post obbligo o post diploma, spesso cofinanziati dal FSE, con nomi diversi da regione a regione e percorsi formativi molto variegati. L’assenza di standard formativi definiti a livello nazionale e di sistemi interregionali di “equivalenza” dei profili di uscita ha favorito la diffusione di curricola formativi fortemente eterogenei, che si riflettono in profili e figure professionali variamente denominate (Ceruzzi, 2007).

Nel lavoro si espone il percorso di ricerca descrivendo in modo dettagliato le professioni per i minori e la condizione dei minori a Napoli (Par. 2), la struttura dell’indagine (Par. 3), le caratteristiche degli intervistati (Par. 4), un’analisi delle competenze (Par. 5). Le conclusioni sono tratte nel paragrafo 6.

2. Le professioni sociali per i minori, l’ infanzia e l’adolescenza

Tra diversi settori in cui gli operatori sociali sono impiegati, una particolare importanza riveste l’area minori. I mutamenti culturali, avvenuti nel corso dei secoli,

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 109

nella nostra società, hanno permesso di riconoscere il minore come soggetto e di valorizzare l'esercizio dei suoi diritti e delle capacità che è in grado di esprimere, provocando significative trasformazioni sul piano giuridico, istituzionale, sociale e culturale. Queste trasformazioni pongono in essere, sul piano pratico, una serie di questioni complesse con cui devono confrontarsi gli assistenti e gli operatori sociali nell'esercizio del loro lavoro: si riscontrano evidenti segni di inadeguatezza rispetto alla realtà del territorio su cui si operano, che esprime una complessa produzione e manifestazione di bisogni delle persone (Landuzzi e Corazza, 2007).

Nei servizi per l’infanzia e l’adolescenza la figura professionale di riferimento è l’educatore. L’educatore deve essere in possesso della laurea nella “classe delle lauree in scienze dell’educazione e della formazione” così come previsto dal D.M. 4/08/2000, ovvero possedere la laurea in pedagogia, psicologia e discipline umanistiche ad indirizzo socio-psico-pedagogico. Sono considerati titoli ad esaurimento: diploma di maestra d’asilo, dirigente di comunità, maturità magistrale, liceo psico-pedagogico, assistente comunità infantili, qualifiche rilasciate dal sistema formativo regionale per operatori della prima infanzia. Oltre alla figura dell’educatore, vengono stabiliti i requisiti dei coordinatori: possesso della laurea nella “classe delle lauree specialistiche in programmazione e gestione dei servizi educativi e formativi” o delle lauree in pedagogia, psicologia e discipline umanistiche ad indirizzo psico-socio-pedagogico del vecchio ordinamento universitario. Per il personale già in servizio è considerato titolo valido una laurea non specifica o un diploma di scuola media superiore, accompagnata da attività svolte nei servizi per l’infanzia comunali o privati convenzionati. L’operatore sociale impegnato con minori deve studiare la realtà sociale e sanitaria del territorio in cui opera. La funzione principale cui deve assolvere è quella di combattere e prevenire, ogni giorno, il disagio e la marginalità dei minori a rischio di emarginazione.

Il caso di Napoli è emblematico in questo senso: la presenza di un alto tasso di criminalità e di territori o quartieri considerati a grande rischio di marginalità e devianza (ad esempio Scampia) complica il già gravoso incarico degli operatori sociali, che comunque lavorano in situazioni a loro volta non favorevoli, sia per i mezzi a disposizione, che per la situazione di precarietà in cui versano (Pugliese, 1999). Tale condizione, in molti casi, non permette loro di seguire fino alla conclusione un intervento messo in atto, soprattutto quando si tratta di minori che hanno bisogno di punti di riferimento forti e ben identificati, oppure della possibilità di credere e di fidarsi di chi si sta prendendo cura di loro sostenendoli e aiutandoli a venir fuori da percorsi già definiti di criminalità e devianza.

Un’analisi delle competenze degli operatori dell’educativa territoriale a Napoli 110

2.1 Le misure sociali a Napoli a favore dei minori

A Napoli la popolazione con età inferiore a 18 anni è pari a poco più di 195mila unità (20%) su un totale di circa 973mila persone residenti2. Un importante elemento riferito alla condizione dei minori a Napoli è rappresentato dal grado di istruzione della popolazione residente. Una popolazione che mostra ancora valori significativi per quanto attiene a coloro senza titolo di studio (11,3%) o con al massimo la licenza elementare (35,6%)3. In questo scenario si concretizza la dispersione scolastica dei minori, un fenomeno dalle diverse connotazioni che ha preso sempre più maggiore consistenza (Perone, 2006).

Questo quadro socio-demografico fa sì che il settore dei minori sia un campo di intervento privilegiato. Infatti, la politica sociale promossa nel settore minorile riflette orientamenti culturali e normativi che pongono in primo piano bambini e adolescenti secondo un approccio integrato volto a sostenere la crescita e il benessere della persona (Corbisiero e Perone, 2007). I piani d’intervento programmati in questi anni riflettono il confronto e la concertazione realizzata tra enti pubblici (comune, ASL Na1, ufficio scolastico regionale e centro giustizia minorile) e organizzazioni del volontariato e del terzo settore, impegnati in ambiti d’intervento socio educativo e socio-sanitario a favore dei bambini e degli adolescenti. Le misure di intervento a favore dei minori, attuate nella città di Napoli, si collocano in campi differenziati quali: accoglienza residenziale, sostegno socio-educativo, lotta alla dispersione scolastica e aggregazione sociale.

L’accoglienza residenziale persegue, come obiettivo generale, la tutela e il sostegno dei bambini e degli adolescenti le cui famiglie siano temporaneamente impossibilitate o inidonee a provvedere al loro mantenimento, educazione e istruzione.

Le azioni di sostegno socio-educativo sono rivolte allo sviluppo armonico della personalità del minore e al sostegno del nucleo familiare.

Nell’ambito degli interventi di prevenzione e recupero della dispersione scolastica il comune di Napoli realizza diversi progetti con le scuole della città che hanno come obiettivi prioritari: prevenire la disaffezione alla scuola, riavvicinare i bambini con presenza saltuaria e/o evasori, reintegrare nel circuito scolastico i soggetti fuoriusciti, pluriripetenti o fuori dall’obbligo, reintegrare nel circuito sociale i minori con grosse problematiche familiari.

Infine, rispetto agli interventi realizzati a favore dei ragazzi con problematiche saltuarie, esposti al rischio di emarginazione ed esclusione sociale, le attività messe in essere dal comune di Napoli sono di tipo ludico-territoriali finalizzate all’aggregazione sociale.

2 Fonte: www.demo.istat.it. Dato riferito al 1/1/2008 3 Fonte: Censimento della popolazione 2001 (http://dawinci.istat.it/)

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 111

Tra le varie politiche di intervento, per questo lavoro abbiamo scelto i Laboratori di Educativa Territoriale (LET), perché attualmente rappresentano un punto di riferimento per il territorio per i minori e le loro famiglie. I LET, istituiti nel 1998, sono un servizio socio-educativo, di sostegno scolastico, di aggregazione e socializzazione, orientate allo sviluppo dell’autonomia di ragazzi e ragazze tra gli 8 e i 16 anni, con particolare attenzione a quelli più a rischio di esclusione sociale. Le modalità di approccio/intervento dei LET riguardano: lo sviluppo dell’identità ed appartenenza di gruppo con le dinamiche di partecipazione e responsabilizzazione, attività di animazione di strada, attività sportive; laboratori tematici (manualità, audio-video, informatica, teatro, musica). I laboratori sviluppano alcuni temi conduttori (ecologia/ambiente, educazione alla legalità e sicurezza, educazione alla partecipazione, educazione alla cittadinanza) attraverso l’elaborazione di progetti educativi di gruppo, considerando il protagonismo e la creatività dei ragazzi come strumento di crescita.

I bambini e gli adolescenti che frequentano le attività dei LET sono segnalati: dai servizi sociali territoriali, dalle scuole del territorio, dai servizi dei distretti sanitari, da enti e associazioni presenti sul territorio in cui si opera. Si tratta in genere di ragazzi con situazioni familiari gravi, in contesti di trascuratezza affettiva e fisica, violenza familiare esplicita o sommersa.

Attualmente operano sul territorio 28 centri di educativa territoriale. I centri sono gestiti da enti del terzo settore affidatari delle attività a seguito di gara di appalto pubblico, con il coordinamento ed il monitoraggio di un referente dell’ufficio del servizio politiche per i minori del comune di Napoli.

3 La struttura dell’indagine

Nell’ambito dello scenario appena descritto è stata condotta una ricerca per fotografare una realtà complessa quale quella degli operatori sociali impegnati nelle attività dei LET che offrono un servizio socio-educativo per i minori della città di Napoli. Si voleva inoltre fornire una descrizione delle professioni in termini di conoscenze (il sapere), abilità (il saper fare) e doti di personalità (il saper essere) che connotano l’operatore dei centri di educativa territoriale.

Per poter permettere un confronto tra i profili di competenze degli operatori con i profili ideali espressi dai responsabili delle varie attività, sono stati previsti due questionari strutturati, contenenti sezioni in comune.

Dati gli obiettivi della ricerca e la dimensione del servizio di educativa territoriale, si è scelto di adottare un’indagine di tipo censuario, somministrando i questionari a tutti i responsabili e operatori impegnati nel servizio. La rilevazione dei

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dati è stata effettuata nel mese di dicembre del 2007.

3.1 Lo strumento di rilevazione

Per la costruzione degli strumenti di rilevazione impiegati nell’indagine sono stati utilizzati riferimenti provenienti sia da recenti studi nazionali sul tema delle professioni sociali che da indicazioni emerse da interviste a testimoni privilegiati4

nell’ambito di servizi offerti ai minori della città di Napoli. Per quanto riguarda la letteratura inerente gli studi nazionali sul tema delle

professioni sociali, è stato considerato come principale riferimento la nomenclatura e classificazione delle unità professionali redatta dall’ISFOL (2002a, 2002b, 2007).

I questionari utilizzati nella ricerca sono di tipo strutturato ed articolati in varie sezioni, che indagano aspetti inerenti le caratteristiche strutturali degli intervistati, la figura lavorativa, l’organizzazione di appartenenza e le tre dimensioni della competenza. Punto di riferimento per le sezioni del questionario relative alle conoscenze, alle capacità o abilità pratiche e alle doti di personalità, sono state le interviste a testimoni privilegiati, finalizzate ad ottenere informazioni su aspetti specifici che dovrebbero essere presenti in un operatore sociale che lavora con i minori.

Per quanto riguarda il questionario somministrato agli operatori, c’è una prima sezione relativa alle informazioni socio demografiche, una seconda sezione inerente la loro figura lavorativa e il loro operato, nella terza sezione gli operatori venivano invitati ad esprimere il loro livello di preparazione su alcune conoscenze, nella quarta sezione dovevano esprimere il loro livello di allenamento su alcune capacità o abilità, nella quinta sezione, invece, venivano invitati ad esprimere il loro grado di conformità su alcune attitudini; infine, l’ultima sezione valuta l’importanza singola di ognuna delle tre componenti della competenza5.

Per quanto riguarda il questionario somministrato ai responsabili, c’è una prima sezione relativa alle informazioni socio demografiche, una seconda sezione inerente all’organizzazione che gestisce il servizio di educativa territoriale, nella terza sezione i responsabili venivano invitati ad esprimere l’importanza di alcune conoscenze che, a loro giudizio, un operatore deve possedere; nella quarta sezione dovevano esprimere l’importanza di alcune capacità o abilità che, a loro giudizio, un operatore deve possedere; nella quinta sezione, invece, venivano invitati ad esprimere l’importanza di alcune attitudini che un operatore deve possedere; infine,

4 Le interviste sono state effettuate a 7 responsabili di cooperative e/o associazioni che offrono servizi a ragazzi della città di Napoli. 5 Il questionario è del tutto simile a quello allegato al lavoro di Boccuzzo et al. in questo stesso volume.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 113

l’ultima sezione valuta l’importanza singola di ognuna delle tre componenti della competenza.

4 Le caratteristiche degli intervistati

I soggetti intervistati provengono da organizzazioni del terzo settore, affidatarie delle attività di educativa territoriale. In merito al tipo di organizzazione, il 50% è composto da cooperative sociali, il 32,1% da associazioni, mentre il restante 17,9% da istituti religiosi, fondazioni e consorzi di cooperative. Circa il 61% delle organizzazioni affidatarie del servizio di educativa territoriale è iscritto nel registro ONLUS. Le organizzazioni in questione hanno una dimensione medio grande in quanto, mediamente, impiegano 9 persone inquadrate come lavoratori dipendenti, e hanno inoltre un buon numero di collaboratori a vario titolo (circa 26 collaboratori in media), oltre che una decina di volontari.

Gli operatori dei centri di educativa territoriale intervistati sono 109, in larga maggioranza giovani donne (78%), con un’età media di poco più di 34 anni. La quasi totalità degli operatori risiede tra Napoli e provincia, il 72,8% nella sola città di Napoli.

Gli operatori di questo settore sembrano avere un livello di istruzione più elevato rispetto degli operatori di altri servizi sociali che spesso si caratterizzano come servizi di cura e assistenza, come ad esempio l’assistenza domiciliare intergrata (Gregori e Breveglieri, 2003). Infatti, poco più della metà (52%) ha un diploma di scuola superiore e il 44% è laureato. Una larga maggioranza degli operatori laureati ha conseguito una laurea del vecchio ordinamento (68%), il 25% una laurea triennale ed il 7% una laurea specialistica. Per quanto riguarda attestati successivi alla laurea, solo una piccola minoranza (4,3%) degli operatori ha dichiarato di aver conseguito una specializzazione o un master post laurea. Le lauree conseguite più frequentemente sono in scienze dell’educazione (13,8%) e in sociologia (11,7%), mentre i diplomi più frequentemente conseguiti sono quello magistrale (16%) e quello di istituto tecnico commerciale (10,6%). Il fatto che il livello di istruzione degli operatori sia elevato è confermato anche dall’elevata quota, fra i non laureati, di iscritti all’università al momento della rilevazione (il 44,6%).

Per quel che riguarda, invece, l’esperienza accumulata dagli operatori, in media ogni intervistato ha effettuato 8 anni di esperienza in organizzazioni del terzo settore, con un campo di variazione che va da un minimo di 1 anno ad un massimo di 30 anni. Una larga maggioranza degli operatori intervistati (80%), nell’ambito delle attività dell’organizzazione di appartenenza, svolge una collaborazione a progetto; il restante 20% svolge una collaborazione stabile come quella di lavoratore subordinato

Un’analisi delle competenze degli operatori dell’educativa territoriale a Napoli 114

o di socio lavoratore. Oltre agli operatori sono stati intervistati anche i responsabili delle

organizzazioni affidatarie dei LET. In particolare sono stati intervistati 28 responsabili, per lo più donne (68%), abbastanza giovani con un’età media di circa 38 anni. Anche in questo caso tutti i responsabili risiedono tra Napoli e provincia. Più della metà (57,1%) ha conseguito una laurea, mentre il restante 42,9% ha conseguito un diploma di scuola superiore. I tre quarti dei responsabili laureati ha conseguito una laurea del vecchio ordinamento, il 19% una laurea triennale ed il 6% una laurea specialistica. Le lauree conseguite più frequentemente sono in sociologia (30,4%) e in servizio sociale (13%); mentre il diploma più frequentemente conseguito è quello magistrale (13%). Al momento della rilevazione il 35,7% risultava iscritto ad un corso di laurea universitario. In media ogni responsabile intervistato ha effettuato 12 anni di esperienza in organizzazioni del terzo settore, con un range molto ampio, dai 2 ai 30 anni. La maggioranza dei responsabili intervistati (68%), nell’ambito delle attività dell’organizzazione di appartenenza, svolge una collaborazione a progetto; il restante 32% svolge una collaborazione stabile come quella di lavoratore subordinato o di socio lavoratore. Infine, per il 71,4% dei responsabili intervistati il rapporto “lavorativo” con la propria organizzazione di appartenenza rappresenta la prevalente forma di sostentamento, e tra tutti i responsabili intervistati due su cinque stanno cercando di cambiare l’attuale condizione lavorativa.

5 Un’analisi delle competenze

In ambito professionale, è opinione diffusa definire la competenza in una dimensione contestuale, nella quale il sapere del singolo, il suo modo di essere e la sua attività si combinano ad un processo più ampio di azione organizzativa. Pur considerando questo parere, la nostra analisi delle competenze è stata condotta sugli specifici aspetti delle tre dimensioni (sapere, saper fare e saper essere) in modo indipendente.

Gli item delle dimensioni della competenza sono stati rilevati con una scala Likert a 4 punti. Per la dimensione della conoscenza sono stati considerati 26 item, per la dimensione delle capacità e/o abilità ne sono stati considerati 23, per le doti di personalità ne sono stati considerati 29. Le tre sezioni del questionario sono state somministrate agli operatori chiedendo loro di esprimere un giudizio sul grado di padronanza di ogni item delle tre dimensioni. Per gli operatori livelli di valutazione erano: 1 - per nulla, 2 – poco, 3 – molto, 4 - del tutto. Ai responsabili, invece, veniva chiesto di esprimere un giudizio sulla base dell’importanza di ogni item per le tre dimensioni. I livelli di valutazione erano: 1 - per nulla importante, 2 - appena importante, 3 - molto importante, 4 – di assoluta importanza.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 115

Data la particolare natura dei dati e volendo affrontare un analisi che mettesse in evidenza dimensioni latenti, si è ritenuto che la Categorical Principal Component Analysis (CATPCA) fosse un metodo appropriato di analisi.

La CATPCA (Meulman et al., 2004) rientra nei metodi di Optimal Scaling in senso stretto. L’Optimal Scaling consiste in una procedura che trasforma le categorie e i punteggi delle variabili misurate su scala ordinale e nominale in valori quantitativi in modo da applicare su di essi le tecniche statistiche atte al trattamento di dati quantitativi.

La CATPCA consente di estendere la classica analisi delle componenti principali, tipicamente riservata a variabili numeriche, anche a variabili misurate su scala nominale e/o ordinale. Essa è una procedura che simultaneamente quantifica le categorie delle variabili, riduce la multi-dimensionalità delle informazioni raccolte, trasformando le variabili originali in un insieme più limitato di componenti non correlate tra loro, ed è in grado di spiegare in termini di varianza la maggior parte delle informazioni raccolte sul fenomeno.

Il processo di quantificazione fa sì che i valori della scala, assegnati a ciascuna categoria di ogni variabile, risultino ottimali rispetto alla soluzione delle componenti principali. Nell’analisi i punteggi che i soggetti ricevono si stabiliscono sui dati quantificati. La soluzione della CATPCA massimizza la correlazione dei punteggi degli oggetti o individui con ciascuna delle variabili quantificate per ognuna delle componenti specificate. L’analisi delle quantificazioni permette inoltre di vedere se le categorie delle variabili sono chiaramente separate, come ci si aspetterebbe se il livello delle variabili fosse effettivamente ordinale. In altre parole, attraverso le quantificazioni si riesce a capire se delle modalità devono essere aggregate (ad esempio se presentano quantificazioni simili o uguali) oppure se la variabile deve essere esclusa dall’analisi (ad esempio se i livelli di quantificazione non riproducono una scala ordinale monotona o presentano una inversione delle soglie di quantificazione).

L’Optimal Scaling per ogni variabile, finalizzata alla stima delle componenti principali, è ottenuta mediante un metodo iterativo denominato dei minimi quadrati alternati (ALS- Alternating Least Squares).

Un’analisi delle competenze degli operatori dell’educativa territoriale a Napoli 116

5.1 Le conoscenze

Attraverso la CATPCA effettuata sui 26 item relativi alla dimensione della conoscenza, si è ottenuta una soluzione bidimensionale, la quale spiega il 27,3% di varianza, con un livello di affidabilità totale pari a 0,94 (alfa di Cronbach6).

La prima dimensione spiega il 19,5% di varianza e la scala di valori che satura questa componente presenta un livello di consistenza interna dello 0,90 (alfa di Cronbach), mentre la seconda dimensione spiega il 7,8% di varianza e la scala di valori che satura questa seconda componente presenta un livello di consistenza interna dello 0,68.

La prima dimensione, che può considerarsi in un certo senso “banale”, ordina il grado di possesso dei “saperi” individuati, dato che tutte le variabili relative alla conoscenza hanno correlazioni positive con tale dimensione.

Guardando i pesi fattoriali (Tab. 1), questa dimensione risulta particolarmente legata ai saperi specifici delle professioni relativi alle attività con i minori come, ad esempio: la conoscenza del processo di leadership, di influenza sociale e delle dinamiche di gruppo (0,753); la conoscenza delle tecniche di espressione e di contrapposizione non dialettica, nel rapporto tra verbalità e corporeità (0,724); la conoscenza dei modi di pensare e dei costumi, delle diverse culture (0,665); la conoscenza dei processi di cambiamento che si verificano durante la crescita, dello sviluppo psichico tra l’infanzia e l’adolescenza (0,649). Ciò sostanzialmente concorda con la graduatoria dei saperi calcolata sui pareri dei responsabili che attribuisce a questi item un valore mediano pari a quattro, ovvero molto importante. La prima dimensione, quindi, oppone sulla sinistra operatori che sentono di padroneggiare poco questo tipo di “saperi” e quelli collocati sulla destra che al contrario hanno un alto grado di conoscenza. La seconda dimensione, invece, differenzia i saperi in tre gruppi (Fig. 1). Oppone nella parte alta i saperi di tipo “sanitario” (la conoscenza delle norme igienico sanitarie; la conoscenza delle informazioni necessarie a riconoscere ferite e malattie; la conoscenza delle tecniche di primo soccorso) e nella parte bassa quelli “tecnici” e “trasversali” (le conoscenze informatiche, compresa la conoscenza dei pacchetti applicativi; la conoscenza della legislazione sociale specifica del settore d’intervento a livello nazionale e locale). Al centro, e quindi sostanzialmente sulla prima dimensione, si collocano i saperi “specifici” della professione relativi alle attività per i minori, ossia, a nostro avviso quelle essenzialmente legate ai LET. Tutti

6 L’indice α di Cronbach si basa sulla matrice di correlazione fra tutti gli elementi e sul loro numero:

)1(1 −+=

nr

rnα , dove r è la correlazione media e n il numero di item. α assume un valore compreso

fra 0 e 1, dove 1 rappresenta la massima coerenza interna della scala. Un valore pari a 0,7 è giudicato accettabile per l’α di Cronbach.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 117

gli operatori sociali che posseggono le “conoscenze sanitarie” sono anche quelli che non posseggono “conoscenze tecniche”. Ciò evidenzia un certo grado di specializzazione che dipende dal tipo di attività che l’operatore svolge e dal suo collocamento nell’organizzazione dell’ente affidatario.

Tabella 1. Pesi fattoriali relativi agli item della conoscenza.

Primo fattore

Secondo fattore

1. Conoscenza delle procedure amministrative e d’ufficio, dei programmi di elaborazione di testi, delle tecniche di gestione di archivi di dati. 0,506 -0,358

2. Conoscenza dei principi e delle procedure di erogazione di servizi alla persona. 0,463 -0,162

3. Conoscenza dei principi e delle procedure per il reclutamento, la selezione e la formazione del personale. 0,557 -0,2204. Conoscenze informatiche, compresa la conoscenza dei pacchetti applicativi. 0,339 -0,540

5. Conoscenza dei principi e dei metodi per la progettazione dei fondi strutturali europei o di altri fondi (es. Regionali). 0,479 -0,3076. Conoscenza delle public policy e del sistema socio – istituzionale (insieme di uffici e servizi presenti sul territorio) attraverso il quale si esprime il welfare locale. 0,580 -0,390

7. Conoscenza della legislazione sociale specifica del settore di intervento a livello nazionale e locale. 0,581 -0,503

8. Conoscenza dei principi generali dell'ordinamento giuridico, del funzionamento delle istituzioni europee, nazionali, e degli enti locali. 0,394 -0,344

9. Conoscenza del comportamento e delle prestazioni umane, delle differenze individuali nelle attitudini, nella personalità e negli interessi. 0,584 0,212

10. Conoscenza del trattamento dei disordini comportamentali ed affettivi. 0,560 0,342

11. Conoscenza dei processi di cambiamento che si verificano durante la crescita, dello sviluppo psichico tra la primissima infanzia e l’adolescenza. 0,649 0,25812. Conoscenza del processo di leadership, di influenza sociale e delle dinamiche di gruppo. 0,753 0,05913. Conoscenza delle tendenze sociali, delle migrazioni umane, dell’etnicità, delle culture e della loro storia e origine. 0,657 -0,210

14. Conoscenza della statistica e delle tecniche di ricerca sociale e/o territoriale. 0,524 -0,36115. Conoscenza dei principi e dei metodi per la valutazione dei bisogni e per la progettazione di interventi sociali, educativi collettivi ed individuali. 0,586 0,17116. Conoscenza dei modi di pensare e dei costumi, delle diverse culture presenti in una società multietnica. 0,665 0,04517. Conoscenza dei principi e dei metodi per la progettazione formativa, per l’insegnamento e l’addestramento collettivo ed individuale, per la misurazione degli effetti della formazione 0,611 -0,00618. Conoscenza delle informazioni necessarie a riconoscere ferite e malattie. 0,337 0,57619. Conoscenza delle norme igienico sanitarie. 0,428 0,618

20. Conoscenza delle tecniche di primo soccorso. 0,429 0,57121. Conoscenza dei principi generali, dei metodi e delle procedure per il trattamento delle disfunzioni mentali. 0,505 0,29222. Conoscenza dei principi generali, dei metodi e delle procedure per il trattamento delle disfunzioni fisiche. 0,462 0,38823. Conoscenza delle tecniche di intervento sociale (es. social network). 0,567 -0,21225. Conoscenza delle tecniche di espressione e di contrapposizione non dialettica, nel rapporto tra verbalità e corporeità. 0,724 0,173

Un’analisi delle competenze degli operatori dell’educativa territoriale a Napoli 118

Figura 1. Grafico dei pesi fattoriali relativi agli item della conoscenza

0,80,60,40,20,0

Dimension 1

0,8

0,6

0,4

0,2

0,0

-0,2

-0,4

-0,6

Dim

ensi

on

2

C_proc_amm

C_proc_servPC_selez_pers

C_informatiche

C_fondi_UE

C_pub_pol

C_leg_soc

C_ord_ius

C_comp_uman

C_dis_affett

C_psi_eta_ev

C_leader

C_soc_migraz

C_stat

C_valutaz_biso

C_diff_cultC_prg_form

C_ric_feriteC_igi_sanitC_prim_socc

C_tratt_disf_ment

C_tratt_disf_fis

C_tec_int_soc

C_tec_espress

5.2 Le capacità e le abilità

La CATPCA effettuata sugli item relativi a questa dimensione fornisce una soluzione bidimensionale, la quale spiega il 37,4% di varianza con un livello di affidabilità totale, pari allo 0,96 (alfa di Cronbach). L’analisi delle quantificazioni suggerisce la ricodifica di alcuni item. Nello specifico, la capacità di coordinarsi e di lavorare in team, la capacità di operare in situazioni di emergenza o di estrema criticità, la capacità di modulare le proprie azioni in relazione a quelle degli altri, il mettere insieme parti in conflitto e tentare una riconciliazione, infine, il valutare i costi e i benefici di una possibile azione e scegliere la più opportuna, non presentano la modalità di risposta per nulla. Quindi, queste variabili possono essere ricodificate in modo che nella loro nuova forma abbiano solo tre modalità di risposta.

La prima dimensione spiega il 31,3% di varianza con un livello di consistenza interna dello 0,94; mentre, la seconda dimensione spiega il 6,1% di varianza con un livello di consistenza interna dello 0,52.

La prima dimensione (Tab. 2) è legata essenzialmente alle abilità “decisionali” di chi è impegnato in attività di gruppo, ad esempio: analizzare i

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 119

comportamenti di un individuo e/o di un gruppo per valutarne le prestazioni (0,816), la capacità di impostare possibili soluzioni a problemi complessi (0,771), la capacità di rimodulare le decisioni dinanzi a problemi imprevisti (0,759), il valutare i costi e i benefici di possibili soluzioni e scegliere la più opportuna (0,749).

Tabella 2. Pesi fattoriali relativi agli item delle capacità.

Primo fattore

Secondo fattore

1. Comprendere frasi e paragrafi scritti in documenti relativi al lavoro. 0,521 0,4692. Fare piena attenzione a quello che altri stanno dicendo, evitando interruzioni inappropriate, al fine di interpretare correttamente il bisogno esplicito o implicito.

0,552 0,615

3. Relazionare per iscritto le attività svolte in relazione alle esigenze dei destinatari. 0,667 0,4754. Comunicare informazioni in modo efficace. 0,714 0,3525. Capacità di coordinarsi e di lavorare in Team. 0,650 0,3986. Capacità di operare in situazioni di emergenza o di estrema criticità. 0,746 0,1467. Monitorare e valutare le prestazioni lavorative personali e di altri colleghi per migliorarle o correggerle.

0,745 -0,162

8. Capacità di modulare le proprie azioni in relazione a quelle degli altri. 0,748 -0,1259. Valutare i costi e i benefici di possibili soluzioni e scegliere la più opportuna. 0,749 -0,15910. Persuadere gli altri a cambiare opinioni o comportamenti. 0,393 -0,67811. Mettere insieme parti in conflitto e tentare una riconciliazione. 0,570 -0,17212. Insegnare ad altri come fare determinate cose. 0,611 -0,17113. Capacità di analisi dei problemi complessi. 0,741 -0,18914. Capacità di impostare possibili soluzioni a problemi complessi 0,771 -0,23215. Analizzare i comportamenti di un individuo e/o di un gruppo per valutarne le prestazioni

0,816 -0,146

16. Capacità di rimodulare le decisioni dinanzi a problemi imprevisti. 0,759 -0,13517. Valutare i costi e i benefici di una possibile azione e scegliere la più opportuna. 0,744 -0,129

18. Gestire il tempo proprio e quello altrui. 0,625 -0,10719. Occuparsi ed usare appropriatamente attrezzature, strumenti e materiali necessari a svolgere un’attività definendo quando è necessario l’utilizzo.

0,674 0,075

20. Motivare, far crescere e dirigere gli utenti, indicare la persona più adatta ad un compito.

0,723 -0,064

21. Capacità di mantenere compostezza, di controllare le emozioni, la collera e di evitare comportamenti aggressivi anche in situazioni di difficoltà

0,453 0,115

22. Capacità di ricondurre i problemi a fattispecie codificate dalla legislazione vigente al fine di individuare possibili percorsi risolutivi.

0,601 -0,278

23. Capacità di relazionarsi verbalmente e per iscritto con i presidi pubblici e/o privati che compongono il sistema di welfare del territorio

0,594 0,161

La seconda dimensione oppone nella parte alta quelle abilità che potremmo definire di un fare “formale” (fare piena attenzione a quello che altri stanno dicendo, evitando interruzioni inappropriate, al fine di interpretare correttamente il bisogno esplicito o implicito; relazionare per iscritto le attività svolte in relazione alle esigenze dei destinatari; comprendere frasi e paragrafi scritti in documenti relativi al lavoro; capacità di coordinarsi e di lavorare in team; comunicare informazioni in modo efficace) da quelle che afferiscono ad un fare “decisionale” (persuadere gli altri a cambiare opinioni o comportamenti; capacità di ricondurre i problemi a fattispecie codificate al fine di individuare possibili percorsi risolutivi; capacità di

Un’analisi delle competenze degli operatori dell’educativa territoriale a Napoli 120

impostare possibili soluzioni a problemi complessi). Inoltre, le abilità di un fare “di gruppo” relativo alle attività proprie dell’educativa territoriale si differenziano dalle abilità precedenti, esse sono quelle che caratterizzano particolarmente la prima dimensione (Fig. 2). L’opinione dei responsabili mette in evidenza che fra le varie abilità le più importanti sono quelle che noi abbiamo definito di un fare “formale”, in particolare la capacità di coordinarsi e di lavorare in team, per la quale il 93% dei responsabili ha dichiarato essere di assoluta importanza.

Figura 2. Grafico dei pesi fattoriali relativi agli item delle capacità.

1,00,80,60,40,20,0

Dimension 1

0,75

0,50

0,25

0,00

-0,25

-0,50

-0,75

Dim

ensi

on

2

A_compr_scrit

A_attenz_altri

A_scriv_rel

A_com_infoA_lav_team

A_oper_emerg

A_mon_val_altriA_modul_azioniA_val_cost_benef_sol

A_persuad_altri

A_riconciliareA_insegn_fareA_analis_probA_impost_soluz_poss

A_analiz_comport_altA_rimodulare_decisA_val_cost_benef_aziA_gest_tempo

A_usare_attrez

A_motiv_utenti

A_control_emozioni

A_ricond_prob_cod

A_relaz_wter

5.3 Le doti di personalità

L’ultima sezione del questionario riguarda la dimensione del “saper essere”, rilevata attraverso 29 item. Analizzando i vari risultati di alcune analisi CATPCA, si è scelto, sulla base della percentuale di varianza spiegata e dell’alfa di Cronbach, una soluzione a tre fattori che spiega il 24,4% di varianza con un livello di affidabilità totale, pari a 0,97 (alfa di Cronbach totale).

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 121

L’analisi delle quantificazioni ha indotto ad eliminare gli item 21e 287 poiché la quantificazione stessa indicava un andamento non monotono, e ha suggerito la ricodifica di alcuni item. Nello specifico: l’attitudine ad ascoltare e comprendere informazioni ed idee presentate in forma parlata, l’attitudine a capire che qualcosa non va (l’attitudine a riconoscere i problemi e non alla loro soluzione), l’attitudine a ricordare parole, numeri, figure e procedure; infine, l’essere pazienti e rispettosi dei tempi dell'interlocutore, non presentano la modalità di risposta per nulla. Quindi, queste variabili possono essere ricodificate facendo si che nella loro nuova forma abbiano solo tre modalità di risposta.

La prima dimensione spiega il 17,8% di varianza con un livello di consistenza interna dello 0,95. È legata essenzialmente all’essere “organizzativo”, considerando aspetti quali: l’attitudine a disporre cose e azioni in un particolare ordine o secondo particolari modalità, seguendo una regola o un’insieme di regole (0,804); l’attitudine a concentrarsi su un compito per un lungo periodo senza distrarsi (0,755); l’attitudine a comunicare informazioni e idee in forma verbale (0,753).

I fattori successivi non sono particolarmente rilevanti in termini di varianza spiegata, sebbene mettano in luce aspetti peculiari e distintivi del saper essere.

La seconda dimensione spiega il 3,3% di varianza: essa differenzia tra la caratteristica dell’essere “distaccato” nella parte positiva (attitudine a non lasciarsi coinvolgere personalmente nelle discussioni mantenendo atteggiamento professionale, essere pazienti e rispettosi dei tempi dell'interlocutore, attitudine a non lasciarsi coinvolgere emotivamente ed affettivamente con i problemi dell’utenza) dalla caratteristica dell’essere “impegnato” (attitudine ad operare in condizioni di stress psico-fisico, essere disponibile verso gli altri sul lavoro e mostrare spirito cooperativo, attitudine a seguire contemporaneamente due o più diverse attività o fonti di informazione). Le doti dell’essere “coerente” e del “rispetto delle regole” si pongono in maniera trasversale rispetto alle precedenti attitudini.

Infine, la terza dimensione spiega il 3,3% di varianza: essa rappresenta la predisposizione al rapporto con “l’altro”, è caratterizzata dall’attitudine ad essere in empatia con l’individuo o il gruppo (0,486), dall’essere disponibile verso gli altri sul lavoro e di mostrare spirito cooperativo (0,482), dall’attitudine al rapporto con la diversità senza pregiudizi (0,371). Tutti gli operatori sociali che hanno la predisposizione al rapporto con “l’altro” risultano generalmente anche quelli “impegnati”.

Il parere dei responsabili circa l’importanza sugli item relativi alle doti di personalità degli operatori è di difficile attribuzione, infatti, per i responsabili poco più della metà degli item di questa dimensione sono di assoluta importanza, per cui è praticamente impossibile pervenire ad un ordinamento.

7 L’item 21 era riferito all’essere curiosi delle diversità; mentre, l’item 28 era riferito all’attitudine al comando e all’assunzione di decisioni.

Un’analisi delle competenze degli operatori dell’educativa territoriale a Napoli 122

Tabella 3. Pesi fattoriali relativi agli item delle doti di personalità.

I II III

Fattore Fattore Fattore

1. Attitudine ad ascoltare e comprendere informazioni ed idee presentate in forma parlata. 0,786 -0,182 -0,0802. Attitudine a comunicare informazioni e idee in forma verbale. 0,753 -0,300 0,0063. Attitudine a comunicare informazioni ed idee in forma scritta. 0,645 -0,211 -0,2424. Attitudine a capire che qualcosa non va (Ci si riferisce all’attitudine a riconoscere i problemi e non alla loro soluzione).

0,705 -0,156 -0,226

5. Attitudine ad applicare regole generali a problemi particolari per trovare soluzioni sensate

0,746 0,075 -0,176

6. Attitudine a combinare pezzi di informazione per individuare regole o conclusioni generalizzabili.

0,718 -0,092 -0,308

7. Attitudine a disporre cose e azioni in un particolare ordine o secondo particolari modalità, seguendo una regola o un’insieme di regole.

0,804 -0,101 -0,093

8. Attitudine a ricordare parole, numeri, figure e procedure. 0,621 -0,140 -0,2309. Attitudine a cogliere rapidamente il senso, a combinare e ad organizzare informazioni in dimensioni significative e/o creative.

0,752 -0,011 -0,373

10. Attitudine ad individuare la propria posizione rispetto all’ambiente o ad individuare come altri oggetti sono posizionati rispetto a se stessi.

0,631 0,032 -0,459

11. Attitudine ad immaginare come sembrerà qualcosa dopo averla spostata o quando le sue parti verranno spostate o riorganizzate.

0,713 -0,003 -0,339

12. Attitudine a sacrificare il proprio tempo e le proprie energie per un beneficio collettivo.

0,634 -0,023 -0,013

13. Attitudine a concentrarsi su un compito per un lungo periodo senza distrarsi. 0,755 -0,121 0,184

14. Attitudine ad essere in empatia con l’individuo o il gruppo. 0,616 -0,226 0,48615. Attitudine a seguire contemporaneamente due o più diverse attività o fonti di informazione.

0,591 -0,345 0,068

16. Attitudine ad operare in condizioni di stress psico-fisico. 0,488 -0,416 0,51817. Essere disponibile verso gli altri sul lavoro e di mostrare spirito cooperativo. 0,609 -0,375 0,48218. Essere sensibile ai bisogni e ai sentimenti degli altri. 0,732 -0,220 0,14319. Essere coerenti con le proprie idee o decisioni assunte. 0,682 0,030 0,00420. Essere coraggiosi. 0,696 0,395 -0,05522. Essere creativi. 0,575 0,361 -0,10723. Attitudine al rapporto con la diversità senza pregiudizi. 0,554 0,306 0,37124. Attitudine a non lasciarsi coinvolgere personalmente nelle discussioni mantenendo atteggiamento professionale.

0,447 0,600 0,099

25. Attitudine a non generalizzare ed a leggere i comportamenti altrui tramite stereotipi riconoscendo l'unicità di ogni individuo.

0,600 0,380 -0,126

26. Essere pazienti e rispettosi dei tempi dell'interlocutore. 0,565 0,511 0,28127. Attitudine all’attesa senza anticipare i tempi. 0,569 0,289 0,52929. Attitudine a non lasciarsi coinvolgere emotivamente ed affettivamente con i problemi dell’utenza.

0,509 0,399 0,189

6 Conclusioni

Alla luce delle analisi svolte emerge un quadro basato molto sulle abilità di tipo pratico (saper fare), risultate le più importanti fra i tre gruppi di competenze, sia per i responsabili che per gli operatori. Una capacità che si è sedimentata nel vissuto di

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 123

ognuno dei soggetti, nell’esperienza accumulata negli anni di attività in strutture del terzo settore, sia come volontari che come collaboratori. Tutte esperienze caratterizzate da una forte componente di learning by doing.

Infatti, la professionalità degli operatori non attiene tanto alle competenze necessarie nelle differenti attività svolte nei laboratori di educativa territoriale (come ad esempio sapere recitare, sapere dipingere o saper fare bricolage), dato che gli item relativi a questi aspetti sono risultati si importanti ma non determinanti. Ciò per due motivi: in primo luogo perché tali competenze è come se fossero date per scontate e patrimonio acquisito degli operatori di questo settore; in secondo luogo, le attività in sé possono essere considerate in un certo senso pretesti per instaurare relazioni educative significative che producano nei minori una maggiore integrazione sociale.

La realtà fotografata è una realtà complessa, con l’obiettivo di integrare i ragazzi nel territorio in cui vivono, per cui sembrano maggiormente necessarie quelle competenze specifiche relative all’utenza con cui si relazionano gli operatori. Le competenze dell’operatore dei LET, quindi, riguardano soprattutto le abilità “decisionali” (per le attività di gruppo), l’essere “organizzativo” ed i saperi specifici delle professioni sociali per i minori.

Con uno sguardo d’insieme è facile constatare che non esistono percorsi formativi, in particolare di tipo universitario o comunque post-diploma, che offrano questo mix di competenze. Sembra necessario, pertanto, che il sistema formativo delle professioni sociali si adoperi a progettare percorsi in cui la pratica e l’esperienza sul campo, siano elementi fondamentali dell’apprendimento. Una via possibile potrebbe essere quella di proporre una prima opportunità lavorativa contestualmente alla fase formativa, secondo una circolarità tra apprendimento pratico e apprendimento teorico.

In tal modo si attuerebbe un processo che non considera separati i due momenti, e che, oltretutto offre il vantaggio di una verifica nei fatti della complessiva proposta formativa.

Riferimenti bibliografici

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Un’analisi delle competenze degli operatori dell’educativa territoriale a Napoli 124

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Universitaria, Napoli.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 125

Competence analysis of social workers involved in the local educational centres in Naples

Summary: In the last decades, social professions have been deeply changing. The scenario of the required competences, barring a few exceptions, is still fluid and not completely defined. Also, in the particular case of social workers involved in child welfare, the required skills and proficiencies are diversified and not well defined. In this paper we try to delineate the specific competences proper of social workers involved in the local educational centres (Laboratori di Educativa Territoriale). They represent a relevant part of people who work to help the minor children in Naples. Through a survey, we provide a description of the knowledge (to know), the abilities (to know how), and the aptitudes (to be able to be) that characterize the local educational centre workers. In doing that we investigate also the presence of new possible professions. At the same time, the workers’ professional profiles derived bay the survey on the workers are compared to profiles expressed by the coordinators of the activities. Keywords: Social Workers; Minor Children Education; Principal Components Analysis for Categorical Data.

Profili di sviluppo professionale e ambiti di formazione delle competenze per il personale di

assistenza e cura domiciliare

Luigi Bollani1

Università di Torino, Facoltà di Economia, Dipartimento di Statistica e Matematica Applicata “Diego de Castro”

Riassunto. Nel lavoro si presenta la situazione del comparto relativo all’assistenza e alla cura domiciliare. È un fenomeno in larga parte collegato al progressivo invecchiamento della popolazione italiana e a flussi di immigrazione che rendono disponibile l’assistenza all’anziano, ma al tempo stesso comportano l’urgenza di regolamentazione e di supporto formativo. Lo studio, riferito ad un campione di 500 assistenti familiari straniere operanti in ambito piemontese, pone in evidenza la loro condizione di lavoro e di vita in Italia, fermandosi anche sul progetto futuro di tali lavoratrici, più o meno propense a rimanere in Italia e ad inserirsi in percorsi di formazione. Un esame parallelo, basato su 50 interviste in profondità, permette di esaminare le mansioni svolte per poterle meglio riferire a opportunità di sviluppo professionale e a necessità di accompagnamento formativo. Parole chiave: Professionalità, Assistenza e cura domiciliare, Immigrazione, Lavoro femminile.

1. Contesto di riferimento, obiettivi e metodi di indagine.

Il fenomeno dell’assistenza familiare, con assunzione di lavoratrici straniere a supporto di anziani gravati da malattie croniche e spesso non autosufficienti, si sviluppa nel nostro Paese a partire dagli anni ’90. Il dizionario dell’Accademia della

1 Il presente lavoro è stato finanziato nell’ambito del progetto “Modelli e metodi per abbinare profili formativi e bisogni di professionalità di comparti del terziario avanzato”, cofinanziato dal MIUR. Coordinatore nazionale è L. Fabbris, coordinatore dell’Unità di Napoli è S. Balbi. All’interno del contributo si riprendono i dati dell’indagine svolta nel quadro del progetto “Solidassistenza” (partnership di sviluppo: Confcooperative Piemonte – attraverso I.Re.Coop – e relative espressioni locali, ANOLF Piemonte), finanziato dalla Comunità Europea, Ministero del Lavoro e Regione Piemonte (Lazzarini, Santagati, Bollani, 2007).

128 Profili di sviluppo professionale e ambiti di formazione delle competenze per il personale di assistenza e cura domiciliare

Crusca riconosce la prima attestazione del termine “badante” nel 1989 e lo introduce nel 2002, in concomitanza con la sua accoglienza nel testo di una norma di legge che ha consentito alle lavoratrici immigrate irregolarmente negli anni precedenti, di sanare, sotto determinate condizioni, la propria posizione giuridica.

Al di là del conio e dell’uso del termine, che, non rendendo sufficientemente conto dell’attività che intende richiamare, si modifica e trova di volta in volta varie modalità di espressione, occorre attendere l’anno 2007 per il riconoscimento contrattuale della figura professionale. Il contratto collettivo nazionale per il lavoro domestico (1 marzo 2007 – 28 febbraio 2011) prevede quattro livelli, con due parametri retributivi ciascuno. Nei livelli super B, C e D è possibile riconoscere le mansioni di assistenza domiciliare; in particolare nei livelli super C e D si considera l’assistenza a persone non autosufficienti e nel livello D super si richiama una formazione specifica dell’assistente nel campo pertinente alla sua attività. Allo stato dell’indagine (anno 2006) il fenomeno pare notevolmente diffuso2

a livello nazionale, ma non quantificabile in modo appropriato per la forte presenza di lavoro sommerso. Del resto il prolungamento della speranza di vita e la sempre più consolidata abitudine delle famiglie giovani a formare un nucleo autonomo anche dal punto di vista dell’abitazione, lascia prevedere una dinamica in crescita e la necessità di una regolamentazione sempre più efficace del fenomeno. L’indagine, condotta per le province piemontesi di Alessandria, Asti, Cuneo, Novara e Vercelli, comprende circa 50 interviste in profondità (10 per provincia), circa 500 interviste effettuate con erogazione di questionari (100 per provincia) e alcuni focus group con testimoni privilegiati nel settore dell’assistenza. Le interviste in profondità riferiscono molti aspetti della vita e del lavoro delle assistenti. Una parte di questi “racconti” sono stati utilizzati per rendere più pertinenti le domande del questionario utilizzato nella successiva fase estensiva. Esso considera il percorso migratorio, il percorso lavorativo, la valutazione del proprio lavoro, il percorso di formazione e alcune caratteristiche personali del soggetto.

I risultati sono stati oggetto di disamina (Lazzaroni et al., 2007); in questo studio si presenta con maggiore dettaglio la situazione lavorativa delle assistenti, si esaminano nuove informazioni sulle specifiche mansioni svolte (in base ai resoconti delle interviste in profondità), si evidenziano le corrispondenti esigenze formative e la disponibilità delle assistenti ad inserirsi in percorsi di formazione.

2 Nel 2007 la consistenza degli immigrati regolari in Italia si aggira tra i 3,5 milioni di residenti (fonte Istat) e i 4 milioni di presenze regolari (stima Dossier Caritas/Migrantes 2008); circa la metà sono donne. Difficile la quantificazione nel settore domestico e della cura: un termine di riferimento può essere proposto per il 2003, in base ai dati acquisiti a seguito della regolarizzazione del 2002. In Italia, nel settore, erano presenti circa 490.000 lavoratori stranieri legalmente riconosciuti (Lazzarini, Santagati, Bollani 2007, p. 103 - fonte Caritas, Inps). In Piemonte vi erano analogamente circa 38.000 unità.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 129

2. Qualità del lavoro e interazioni sociali del personale di assistenza e cura domiciliare.

Un primo quadro di riferimento, essenziale per comprendere la possibilità di acquisire personale stabile e orientato ad un possibile progetto formativo e di sviluppo professionale in Italia, è quello che si ottiene esaminandone l’attuale condizione di vita, di lavoro e di relazione.

Si propone a questo scopo lo studio dei risultati del già citato questionario rivolto a circa 500 assistenti familiari, con l’obiettivo di indagare le relazioni tra alcuni caratteri ritenuti di importanza prioritaria per la finalità esposta.

Si presentano in Tab. 1 i caratteri considerati per questa analisi. Essi costituiscono, nel quadro della successiva presentazione dei risultati, le variabili “attive”, cioè quelle che concorrono alla determinazione degli assi fattoriali. Tali caratteri sono stati ottenuti ricodificando talvolta le informazioni raccolte: se ne descrive brevemente di seguito il contenuto informativo (descritto in dettaglio in Bollani, 2007).

La variabile indicatrice “Regolarità” è dedotta dalla domanda “Quindi ha soggiornato in Italia… a. Per un periodo in maniera irregolare, poi mi sono regolarizzata; b. Sempre in condizione regolare”. Sebbene l’indagine sia stata svolta nel contesto della presenza regolare, si attribuisce alla mancata risposta a tale domanda (26 casi) un elemento di dubbio sulla effettiva regolarità della presenza in Italia. Il carattere “Contratto” distingue situazioni in cui il contratto è presente, differenziando condizioni in cui lo stipendio vi è interamente o parzialmente indicato, da altre situazioni, considerate congiuntamente, di assenza di contratto o mancata risposta. Il carattere “Contributi” distingue situazioni in cui i contributi sono pagati dal datore di lavoro, dal lavoratore, da entrambi (secondo le indicazioni legislative) o infine casi, considerati congiuntamente, di incapacità o indisponibilità di rispondere. Il carattere “Ferie” distingue casi in cui esse sono state fatte e pagate, non sono state fatte ma sono state pagate (con compenso aggiuntivo rispetto a quello pertinente al lavoro svolto nel periodo), sono state fatte ma non sono state pagate, non sono state fatte e non sono state pagate (si considera anche una modalità residuale di casi dubbi o mancate risposte). Il carattere “Sindacato” rileva situazioni di iscrizione al sindacato, ma anche di conoscenza e di attitudine a rivolgersi alla struttura sindacale. Il carattere “Permanenza” esprime la presenza sul luogo di lavoro durante il giorno o la notte o la presenza continuativa diurna e notturna, distinguendo in quest’ultimo caso la disponibilità o meno di una stanza propria. I caratteri “Ore di lavoro” e “Stipendio” riferiscono classi di orario e classi stipendiali. Essi determinano anche la variabile indicatrice “Sfruttamento” che pone in evidenza situazioni di marcato divario tra classe stipendiale e tempo lavorato (ad esempio: ore di lavoro mensili 31-45 e retribuzione € 400-600 o inferiore; ore di lavoro mensili 46-70 e retribuzione € 600-800 o inferiore; ore di lavoro mensili > 70 e retribuzione

130 Profili di sviluppo professionale e ambiti di formazione delle competenze per il personale di assistenza e cura domiciliare

€ 800-1000 o inferiore) . Il carattere “Convivenza” distingue situazioni di vita in famiglia (con coniuge e eventualmente figli, solo con figli, in un contesto più allargato) da situazioni di convivenza con l’anziano, con connazionali o di vita condotta in casa da sola. Il carattere “Tempo libero” pone in evidenza relazioni con connazionali, con italiani, con entrambi, con la propria famiglia, con quella dell’anziano, o mancanza di relazioni. Data la struttura ricca e complessa della Fig. 2, si preferisce un accostamento alla lettura che passi attraverso la descrizione di una sua sotto-struttura di particolare rilievo: essa è rappresentata nella Fig. 1, dove si rappresenta il medesimo piano fattoriale, con le sole modalità relative all’orario, all’arco giornaliero di lavoro e alla retribuzione. La Tab. 1 riporta le descrizioni delle modalità esaminate, ed è di guida alla lettura dei grafici.

Figura 1. Variabili relative all’orario, all’arco giornaliero di lavoro e alla retribuzione. Si riportano alcune modalità del piano fattoriale delle corrispondenze di Fig. 2.

StipNoRisp

Lvr_Altro

Stip601-800

Notte Die

Ore<=30

Stip<=400

DieNot+

Stip401-600

Stip>1000

Stip801-1000 Ore31-45 Ore46-70

DieNot-

OreNoRisp

NoSfrut

SiSfrut

Ore>70

StipNoRisp

Lvr_Altro

Stip601-800

Notte Die

Ore<=30

Stip<=400

DieNot+

Stip401-600

Stip>1000

Stip801-1000 Ore31-45 Ore46-70

DieNot-

OreNoRisp

NoSfrut

SiSfrut

Ore>70

Nella Fig. 1 sono riconoscibili gli orari di lavoro, secondo le classi “minore di

30”, “da 31 a 45”, da “46 a 70”, “maggiore di 70” che si sviluppano in un movimento da destra a sinistra, seguendo la linea riportata a tratteggio. La modalità riferita alle mancate risposte si situa in alto e a sinistra. Essa risulta accomunata con le modalità di dubbia o mancata risposta, pertinenti agli altri caratteri considerati, per un valore positivo della coordinata del secondo fattore (verticale) e per un valore negativo o moderatamente positivo della coordinata del primo fattore (orizzontale).

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 131

L’aspetto comune qui annotato è evidenziato sul grafico dal triangolo a puntini. In base a queste prime osservazioni è già possibile fornire alcuni elementi di caratterizzazione degli assi fattoriali: per il primo asse si segue un passaggio da lavoro leggero (a destra) a lavoro pesante (a sinistra), per il secondo asse comincia ad emergere una contrapposizione tra desiderio di riserbo (in alto) e maggiore facilità di risposta (in basso). Sulla stessa figura si rappresenta anche l’arco giornaliero in cui il lavoro è svolto (modalità contenute nelle aree grigie), che conferma le osservazioni già fatte in termini di progressivo onere lavorativo: lavoro solo diurno (“Die”) a destra, solo notturno (“Notte”) al centro, diurno e notturno con camera propria (“DieNot+”) a sinistra, diurno e notturno senza camera propria (“DieNot-“) ancora più a sinistra. La modalità che comprende casi non dirimibili e mancate risposte (“Lvr_Altro”) è situata più in alto delle altre (e verso il centro). È interessante comparare il progressivo onere del lavoro con la retribuzione. La dinamica retributiva segue, con stipendi tendenzialmente crescenti, il crescere delle ore di lavoro sulla direzione principale di lettura da destra a sinistra; tuttavia le modalità che mostrano stipendio maggiore non si trovano all’estrema sinistra, evidenziando una situazione di minor potere contrattuale di assistenti sottoposte ad un lavoro molto pesante: in questo senso si legge la contrapposizione tra sfruttamento presente (“SiSfrut”) a sinistra e assente (“NoSfrut”) a destra. Di minore rilievo è la direzione alto-basso riscontrabile per uno stipendio gradualmente crescente. Nella Fig. 1 si evidenziano anche, attraverso un bootstrap parziale e il conseguente disegno di convex hull3, indicazioni sulla stabilità delle modalità per ora messe in evidenza e che si ritengono di particolare importanza per gli obiettivi di indagine. La mappa in questo senso offre una configurazione piuttosto stabile di tali modalità: per ciascuno dei tre caratteri esaminati (classe retributiva, classe di orario e arco giornaliero di lavoro) le modalità corrispondenti risultano identificate in aree ben separabili.

La Fig. 2, riportando più informazioni, consente una lettura più ricca della mappa fattoriale. L’interpretazione del primo asse fattoriale, già affrontata in termini di progressivo impegno lavorativo, può essere ora estesa considerando che esso contrappone situazioni in cui manca una famiglia propria (a sinistra) con situazioni in

3 La tecnica del bootstrap parziale (per una analisi delle corrispondenze multiple) consiste in un ricampionamento con rimessa degli individui (linee) della matrice dei dati (o della sua trasformazione in forma disgiuntiva completa). L’operazione permette di generare ogni volta una tabella di Burt le cui linee sono proiettabili come punti supplementari sulla mappa ottenuta dalla tabella di Burt originale (Lebart, Morineau, Piron, 2002, rimandano ad una prima esperienza sostanzialmente riconducibile di Gifi nel 1981). Se il ricampionamento viene condotto r volte vi sarà la possibilità di rappresentare, come elementi supplementari, r punti per ogni modalità esaminata; in alternativa si può tracciare, per detta modalità, una spezzata chiusa con vertici nei punti più esterni, la cui area contenga tutti i punti proiettati (convex hull). La dimensione di tale area è indicativa della stabilità sulla mappa della modalità considerata. L’esame del bootstrap parziale e il disegno delle convex hull è stato condotto con il programma DTM distribuito gratuitamente da Lebart (http://ses.telecom-paristech.fr/lebart/). Sono state eseguiti 20 ricampionamenti bootstrap.

132 Profili di sviluppo professionale e ambiti di formazione delle competenze per il personale di assistenza e cura domiciliare

cui essa è presente (a destra). Infatti, per il carattere “convivenza”, la modalità proiettata più a sinistra è quella dell’assistente che convive con l’anziano che cura; essa corrisponde alle già indicate situazioni di mole di lavoro molto elevata. In posizione centrale e vicine tra loro sul grafico, si trovano le modalità corrispondenti alle assistenti che, prive di una famiglia propria, convivono con connazionali o possono restare parte del tempo a casa propria da sole. In situazione di minor aggravio lavorativo (più a destra) si trovano le assistenti con famiglia, specie se vivono con il coniuge o in contesti allargati; più impegnate quelle che abitano soltanto con i figli. Per quanto riguarda il “tempo libero”, si nota una contrapposizione, sulla dimensione orizzontale, tra le assistenti che spendono prevalentemente il tempo libero con la famiglia di origine (a destra), rispetto a quelle che lo impiegano nella sfera della famiglia dell’anziano o con i propri connazionali (a sinistra). Una collocazione intermedia pare destinata alle assistenti che allargano la loro sfera di relazione a persone di cittadinanza italiana o che vivono in autonomia il loro tempo libero. In conclusione, in base alle variabili attive, il primo asse fattoriale esprime un passaggio da lavoro leggero e intensità di vita familiare (a destra) a lavoro assai impegnativo e modesta socializzazione (a sinistra): tali considerazioni sono riportate nei riquadri a destra e a sinistra di Fig. 2. Si propone ora un’interpretazione della dimensione verticale. La parte superiore del grafico, a sinistra e al centro, presenta tendenzialmente le modalità riferite alla mancata risposta o alla risposta “non so” (classificata in “altro”), per tutte le domande considerate. Esse caratterizzano, nel loro insieme, un’area a cui è associabile l’informazione di desiderio di riserbo, quasi sempre manifestato dalla medesima assistente verso parecchie domande del questionario e in particolare quelle inerenti alla trasparenza formale della presenza in Italia e del lavoro. Tale area pare poter mettere in evidenza situazioni di regolarità dubbia. Per quanto riguarda la presenza del contratto di lavoro, essa si evidenzia nella contrapposizione tra la risposta negativa (lavoro nero, 95 casi – 20% dei rispondenti) o mancante, nella parte medio-alta del grafico, e quella associata alla presenza del contratto, situata in basso. Qui si apprezza anche l’effettivo riconoscimento totale o parziale della retribuzione nel contratto stesso: osservando la posizione reciproca delle due modalità e in particolare il fatto che il riconoscimento globale compaia nel grafico più a destra di quello parziale si ha ulteriore conferma della posizione di maggiore debolezza riscontrata per le assistenti oberate da lavoro più gravoso.

Fig

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79).

134 Profili di sviluppo professionale e ambiti di formazione delle competenze per il personale di assistenza e cura domiciliare

Lungo la dimensione verticale trova identificazione anche il trattamento delle ferie: in basso si trovano le situazioni più regolari, cioè relative a ferie fatte e pagate; al centro le situazioni intermedie, cioè riferite a ferie non fatte ma pagate (con compenso aggiuntivo rispetto al lavoro corrente) oppure ferie concesse ma senza pagamento; in alto si trovano le situazioni più sfavorevoli per il lavoratore, cioè quelle in cui le ferie non sono concesse (restano poi le situazioni dubbie rappresentate in alto a sinistra). Verso il basso della mappa si trovano infine le voci riferite ad una maggiore coscienza sindacale. Complessivamente, in base alle variabili attive, il secondo asse fattoriale esprime un passaggio da una condizione stabile e tutelata (in basso) ad una situazione meno chiara e vissuta con maggiore timore (in alto), come indicato con i due riquadri contrapposti in verticale nella Fig. 2.

Le osservazioni condotte sulla mappa fattoriale, coadiuvate da una cluster analysis4, hanno consentito di individuare quattro tipologie di assistenti con caratteristiche ben delineate e piuttosto differenti tra loro. La caratterizzazione dei quattro gruppi trae anche giovamento dalle informazioni desumibili da numerose variabili illustrative oggetto di indagine quali età, luogo di origine e di attuale residenza, aspetti del percorso migratorio, legami familiari di origine, aspirazioni nel progetto di vita, atteggiamento verso il lavoro in cooperativa e le organizzazioni sindacali. Si fornisce di seguito una sintesi delle principali caratteristiche di ciascun gruppo (la posizione del centro di ogni cluster sul piano fattoriale, indicata qualitativamente di seguito, risulta poi riportata visivamente nella Fig. 3). Cluster 1 – lavoro e famiglia (posizione sul piano fattoriale: a destra, un poco sopra l’asse delle ascisse; 19% del campione). Le assistenti di questo gruppo hanno possibilità maggiore delle altre di dedicare tempo alla propria famiglia, affrontano orari di lavoro in genere diurni e meno onerosi della media, cui corrisponde di conseguenza un compenso meno elevato. Un motivo della migrazione, tipico di questo gruppo, è il ricongiungimento familiare in Italia; esso può talvolta avvenire accompagnandosi con altri familiari, per giungere in Italia in una situazione già relativamente consolidata. Cluster 2 – lavoro tutelato (posizione sul piano fattoriale: un poco a destra dell’asse delle ordinate, in basso; 33% del campione). Si tratta di donne che in buona misura riescono ad essere protagoniste della loro vita e socialmente attive. Sono retribuite più delle altre, mentre hanno orari di lavoro impegnativi ma tollerabili.

4 La cluster analysis è stata condotta sulle variabili attive già utilizzate per l’analisi delle corrispondenze. Il metodo di clustering, presente nel citato programma DTM, considera in input i punteggi fattoriali e procede con una strategia mista. In una prima fase effettua una partizione abbastanza fine del collettivo, quindi procede ad una aggregazione gerarchica delle parti. L’osservazione del dendrogramma permette in genere la scelta di un adeguato numero di clusterfinali; essi sono ancora sottoposti ad una procedura di ottimizzazione. In questo caso l’osservazione del dendrogramma ha condotto ad individuare quattro cluster.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 135

Tabella 1. Variabili “attive” attinenti alla qualità di vita, lavoro e relazione delle assistenti familiari.

Carattere Modalità Etichetta REGOLARITÀ Regolare Reg Regolarità dubbia ?Reg CONTRATTO Si contratto; tutto in busta Ctra_TuttoBusta Si contratto; in parte in busta Ctra_ParteBusta Altre situazioni (“nero” o no risp.) Ctra_Altro CONTRIBUTI Pagati da datore lavoro Ctrb_Dat Pagati da entrambi Ctrb_Dat_Lav Pagati dal lavoratore Ctrb_Lav Non so / mancata risposta Ctrb_Altro FERIE Si, pagate SiFerieSiPg No, ma pagate in più NoFerieSiPg Si, non pagate SiFerieNoPg No, non pagate NoFerieNoPg Casi dubbi e non risposte FerieAltro SINDACATO Iscritta SindSi Non iscritta, si è rivolta spesso SindNo_Ch+ Non iscritta, si è rivolta 1 volta SindNo_Ch1 Non iscritta, mai rivolta SindNo_Ch0 Altre situazioni Sind_Altro PERMANENZA Lavoro diurno Lvr_Die Lavoro notturno Lvr_Notte Lavoro giorno/notte con stanza Lvr_DieNot_SiStanza Lavoro giorno/notte senza stanza Lvr_DieNot_NoStanza Altre situazioni Lvr_Altro ORELAVORO Fino a 30 Ore<=30 31 – 45 Ore31-45 46 – 70 Ore46-70 Oltre 70 Ore>70 Non risponde OreNoRisp Carattere Modalità Etichetta STIPENDIO Fino a 400 euro Stip<=400 Da 401 a 600 euro Stip401-600 Da 601 a 800 euro Stip601-800 Da 801 a 1000 euro Stip801-1000 Oltre 1000 euro Stip>1000 SFRUTTA- Non sfruttata NoSfrut MENTO Sfruttata SiSfrut CONVIVENZA No famiglia, solo con anziano NoFam_Anz No famiglia, da sola o con anziano NoFam_Sola+Anz No famiglia, anche con connazionali NoFam_Conn+ Si famiglia: coniuge e a volte figli SiFam_Con+Figli? Si famiglia: solo figli SiFam_Figli Si famiglia: contesto allargato SiFam_Larga Non è nota la posizione FamNoRisp

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136

Tabella 1 (segue). Variabili “attive” attinenti alla qualità di vita, lavoro e relazione delle assistenti familiari.

TEMPOLIBERO Solo connazionali TLib_Conn Solo italiani TLib_Ita Italiani e connazionali Tlib_Conn+Ita Da sola Tlib_Sola Con famiglia anziano Tlib_FamAnz Con famiglia propria TLib_FamPr Altre situazioni Tlib_Altro

Nota: per il carattere ”permanenza” sono indicate le etichette di Fig. 2; nella Fig. 1 esse risultano abbreviate.

Più di altre hanno buoni contratti, pagamento tutto in busta e ferie pagate. L’ingresso nel nostro Paese spesso si associa a motivazioni collegate al lavoro, al desiderio di uno stipendio maggiore o a problemi di coppia. La migrazione tende a risolversi in una forma di vita più autonoma e di maggiore realizzazione lavorativa e sociale. Si riscontra anche una aspirazione alla vita in Italia maggiore del consueto, talvolta con un nuovo compagno o con la prospettiva di un ricongiungimento familiare. Cluster 3 – lavoro pesante (posizione sul piano fattoriale: a sinistra, in basso; 32% del campione). Questo gruppo di assistenti è caratterizzato da orari di lavoro diurno e notturno complessivamente molto pesanti, non sempre con la presenza di una stanza disponibile a garanzia della propria privacy. Il tempo delle assistenti di questo gruppo è dedicato quasi esclusivamente all’anziano, anche per la mancanza di una vita familiare autonoma. Si tratta di donne di età superiore alla media, con una maggiore percentuale di vedove che spesso, pur vivendo una situazione di sfruttamento, riescono a trovare una delle poche forme di lavoro possibile. Esse talvolta sono gravate dal sostegno che offrono ai figli lasciati in patria; hanno uno stipendio medio-alto, rispetto alle altre assistenti, ma generalmente non proporzionato alla grande quantità di lavoro che svolgono. Si tratta più spesso di assistenti dell’Est europeo, in particolare ucraine e moldave, venute in Italia per crisi del paese di origine o problemi economici familiari e consapevoli del tipo di lavoro che avrebbero svolto. Cluster 4 – regolarità dubbia (posizione sul piano fattoriale: a sinistra, in alto; 16% del campione). Riguarda situazioni considerate marginalmente in sede progettuale di indagine, che risultano in uno stato di regolarità dubbia evidenziato, a fronte di molte domande diverse, dalla esigenza di riserbo e dalla conseguente mancanza di risposte dirette (su regolarizzazione, stipendio, contratto, contributi, ferie, e in generale su molte delle domande poste).

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 137

3. Mansioni ricoperte e fabbisogno formativo

Le mansioni effettivamente ricoperte dalle assistenti familiari in fase di indagine possono essere dedotte dall’esame delle interviste in profondità. Nonostante la casistica resti limitata è possibile riferirsi al personale di assistenza domiciliare in senso stretto (36 interviste) oppure considerare anche quello che presta servizio in comunità (altre 11 interviste). Le tabelle che seguono riportano le mansioni dichiarate dalle assistenti e sono presentate in successione in base alle principali tipologie di attività riscontrate. In particolare si considerano le mansioni di cura della casa (o dell’ambiente in comunità), le mansioni inerenti alla compagnia e alla supervisione di persone autosufficienti, le mansioni di assistenza a persone parzialmente autosufficienti, le mansioni di assistenza a persone non autosufficienti e infine le mansioni di assistenza sanitaria. Nel distinguere i casi in cui la persona assistita mostri un comportamento più o meno autosufficiente si tenta di ricondurre le descrizioni ottenute in sede di intervista alle “activities of daily living” (adl)5. Per la sfera della cura della casa o degli spazi in comunità si presenta la Tab. 2.

Tabella 2. Mansioni domestiche – Sfera della casa o della cura dell’ambiente in comunità

Frequenza della mansione

Tipo di mansione A domicilio (val. ass.)

In comunità (val. ass.)

A domicilio e in comunità

(val. ass.)

A domicilio e in comunità

(%) pulire casa 24 24 35,8 cucinare 20 1 21 31,3 stirare / lavare 11 1 12 17,9 fare la spesa 7 7 10,4 altro 1 2 3 4,5 In complesso 63 4 67 100

Come si vede nell’area relativa alle mansioni domestiche si riscontrano frequentemente l’attività di pulizia e riordino di ambienti e vestiario, la preparazione dei pasti e talvolta anche la gestione di piccole somme di denaro destinate agli acquisti correnti. A proposito delle mansioni inerenti la compagnia e la supervisione di persone autosufficienti si presenta la Tab. 3. 5 Tali attività quotidiane sono state definite e utilizzate in sede medica e soprattutto fisiatrica per il calcolo dell’indice di Katz. Esso esprime una misura dell’indipendenza funzionale nelle attività di base della vita quotidiana, riconosciute in particolare nei seguenti sei tipi di attività (espressi idealmente con livello di complessità decrescente): 1- lavarsi (fare il bagno); 2 - vestirsi; 3 - utilizzare il gabinetto; 4 - spostarsi; 5 - controllare la continenza; 6 - alimentarsi.

Profili di sviluppo professionale e ambiti di formazione delle competenze per il personale di assistenza e cura domiciliare

138

Tabella 3. Mansioni inerenti alla sfera della compagnia e della supervisione per persone autosufficienti (autonomi nelle adl)

Frequenza della mansione Tipo di mansione A

domicilio In

comunità A domicilio

e in comunitàsupervisionare 16 3 19 accompagnare 5 5 fare compagnia 4 3 7 In complesso 25 6 31

Nella tabella si distinguono i casi – più frequenti - in cui sia necessaria una supervisione del comportamento (spesso divenuta gradualmente richiesta con il procedere dell’età dell’assistito), il solo accompagnamento durante le attività che l’assistito decide di svolgere o il sostegno più lieve – anche di tipo psicologico – attinente alla sfera della compagnia. Per le mansioni di assistenza a persone parzialmente autosufficienti si propone la Tab. 4.

Tabella 4. Mansioni inerenti all’assistenza a persone parzialmente autosufficienti

Frequenza della mansione Tipo di mansione

A domicilio In comunitàA domicilio

e in comunitàcura fisica 7 1 8 lavare 6 2 8 vestire / cambiare 2 1 3 alzare / scendere 2 2 In complesso 17 4 21

Nella tabella assume rilievo soprattutto l’attività volta a lavare l’assistito, permettendogli quindi il bagno (la voce generale “cura fisica” è stata utilizzata in assenza di maggiore precisione). Si tratta del resto dell’attività considerata più complessa tra le adl e non stupisce che sia la più comune a richiedere supporto. Per le mansioni di assistenza a persone non autosufficienti si presenta la Tab. 5.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 139

Tabella 5. Mansioni inerenti all’assistenza a persone non autosufficienti

Frequenza della mansione

Tipo di mansione A domicilio(val. ass.)

In comunità (val. ass.)

A domicilio e in comunità

(val. ass.)

A domicilio e in comunità

(%) igiene personale 12 3 15 25,4 vestire 10 2 12 20,3 alzare 5 4 9 15,2 cambio pannolone 4 2 6 10,2 igiene perineale 4 2 6 10,2 imboccare / dare pasti 3 3 6 10,2 aiuto passaggi posturali 2 2 3,4 sorvegliare / accudire 2 2 3,4 applicaz. catetere esterno 1 1 1,7 In complesso 43 16 59 100

Si riscontrano con maggiore frequenza interventi di sostegno legati all’igiene, talvolta identificabile in igiene perineale o per lo meno ricollegabile a situazioni di incontinenza. Frequente anche l’area dell’assistenza nel vestire e per consentire il levarsi in posizione eretta, o comunque nei passaggi posturali. È inoltre presente l’area di assistenza durante l’assunzione del cibo. Per quanto riguarda le mansioni di assistenza sanitaria si riporta la Tab. 6.

Tabella 6. Mansioni inerenti all’assistenza sanitaria

Frequenza della mansione Tipo di mansione

A domicilio In comunitàA domicilio

e in comunitàfarmaci per bocca/topici 12 2 14 mobilizzazione 4 4 terapia iniettiva 1 1 terapia insulinica 1 1 medicazioni 1 1 rilevazione pressoria 1 1 enteroclisma 1 1 somministrare terapia 1 1 aiutare infermiere 1 1 In complesso 21 4 25

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140

Gli interventi più direttamente inerenti all’area sanitaria sono per lo più finalizzati all’assistenza nell’assunzione dei farmaci e alla mobilizzazione, tuttavia sembrano presenti anche casi collegati a terapie di più complessa somministrazione.

4. Osservazioni sul livello di istruzione, sul progetto lavorativo e sulla disponibilità alla formazione riscontrati.

L’esame delle mansioni svolte e delle competenze mostra l’esigenza di una adeguata formazione per le assistenti familiari; d’altro canto le opportunità fornite dalle nuove figure contrattuali di lavoro costituiscono un incentivo all’adesione delle assistenti ad idonei percorsi formativi. Si illustrano alcuni elementi volti a chiarire la disponibilità a seguire detti percorsi, anche in riferimento all’età, al livello di istruzione e alle aspirazioni di sviluppo professionale. Si presenta la Fig. 3, che riprende il piano fattoriale di Fig. 2, arricchendolo di informazioni supplementari utili per valutare la disponibilità verso percorsi formativi. Il collegamento con le variabili attive è sinteticamente mantenuto attraverso la posizione indicata per i centri dei clusterpresentati nel par. 2. Il grafico mostra le modalità dei caratteri riportati in Tab. 7.

Figura 3. Variabili illustrative riguardanti la disponibilità a seguire percorsi di formazione, l’età, il livello di istruzione e le aspirazioni di sviluppo professionale. Piano fattoriale delle corrispondenze.

CLUS4-regolar ità dubbia

CLUS3-lavoro pesante

CLUS2-lavoro tute lato

CLUS1-lavoro e fam iglia

Eta>=50

Eta45-49

Eta40-44

Eta35-39 Eta30-34

Eta<30

EtaNoRisp

TitStNo

TitStBase

TitStSuperiore TitStFreqUniv

TitStLaurea

TitStNoRisp

Formaz-->Qualità

Formaz-->Esp

Formaz-->Tutela FormazSi

FormazNo

FormazNoRisp

AspirLavCambiare AspirLavFormaz

AspirLavContinuare

AspirLavNoRisp

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 141

Tabella 7. Variabili illustrative riguardanti la disponibilità a seguire percorsi di formazione, il livello di istruzione e le aspirazioni di sviluppo professionale.

Carattere Modalità Etichetta TITOLO DI STUDIO Senza titolo TitStNo

Licenza scuola primaria TitStBase

Diploma scuola secondaria TitStSuperiore

Dipl. second.; frequenza Università TitStFreqUniv

Laurea TitStLaurea

Titolo non riconosciuto TitRicNo

Mancata risposta TitRicNoRisp DISPONIBILITÀ Si FormazSi ALLA FORMAZIONE Si, per migliorare la qualità Formaz-->Qualità

Si, per acquisire esperienza Formaz-->Esp

Si, per ragioni di tutela Formaz-->Tutela

No FormazNo

Mancata risposta FormazNoRisp ASPIRAZIONI Cambiare lavoro AspirLavCambiare LAVORATIVE Formarsi meglio AspirLavFormaz

Continuare il proprio lavoro AspirLavContinuare

Mancata risposta AspirLavNoRisp

Le variabili rappresentate sul piano fattoriale mostrano come le mancate risposte attengano ancora una volta a posizioni nella sfera del cluster 4 – regolarità dubbia. I titoli di studio più elevati possono appartenere ad assistenti più anziane e spesso oberate da un lavoro più pesante e meno protetto (cluster 3 – lavoro pesante). Esse aspirano generalmente a continuare il loro lavoro fino al momento in cui potranno tornare in Patria e non sono particolarmente interessate alla formazione, se non come forma di tutela. Le assistenti nella sfera del “cluster 2 – lavoro tutelato”sono sovente di mezza età, il loro titolo di studio è variabile e il loro lavoro è ben consolidato. Talvolta il percorso formativo può apparire superfluo a queste assistenti, se aspirano a continuare un’attività dove ormai hanno maturato esperienza. Le assistenti nella sfera del “cluster 1 – lavoro e famiglia” sono spesso più giovani, ben radicate in un contesto familiare che non le obbliga a oneri di lavoro molto intensi e fortemente interessate a migliorare la propria condizione. Sono spesso dotate di diploma della scuola superiore e ambiscono a partecipare a percorsi di formazione per acquisire esperienza e incrementare le qualità professionali, anche nell’ottica di un cambio di lavoro in direzione più pertinente al loro titolo di studio.

Complessivamente il livello scolare è per meno del 25% dei rispondenti confinato ad una istruzione mancante o primaria, mentre il 56% dei rispondenti ha

Profili di sviluppo professionale e ambiti di formazione delle competenze per il personale di assistenza e cura domiciliare

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concluso la scuola secondaria e il 20% ha per lo meno iniziato gli studi universitari. Pur non potendosi rintracciare una preparazione di origine frequentemente indirizzata all’assistenza o alla cura, si constata che, sui 66 laureati presenti (il 13% del campione), 9 sono medici, farmacisti o infermieri. Circa la percezione di utilità di un percorso di formazione, il 44% dei rispondenti ritiene che esso sia utile per il lavoro attualmente svolto, mentre un altro 35% ritiene che le competenze necessarie derivino dall’esperienza; i rispondenti restanti (21% del campione) hanno quasi tutti fornito risposte libere sostanzialmente riconducibili all’impossibilità pratica di prendere in considerazione percorsi formativi: “bisogna lavorare e non c’è tempo per fermarsi” è una risposta rappresentativa dell’insieme. Si nota anche che quasi tutti i soggetti che dichiarano di ritenere necessaria una formazione per il proprio lavoro confermano poi un interesse concreto a frequentare un corso di formazione per assistente familiare (si tratta di 202 soggetti su 214).

La Tab. 8 presuppone un elenco di argomenti plausibili per un corso di formazione e l’invito a sceglierne al massimo due come preferiti. Per ciascun argomento si riporta la percentuale dei rispondenti che lo ha scelto.

Tabella 8. Preferenze per vari argomenti, in base alla domanda: “Secondo lei, quali aspetti si dovrebbero privilegiare in un corso di formazione?” (al massimo due scelte consentite)

Rispondenti che scelgono l’argomento (%)

Conoscenza del contratto 29 Insegnamento della lingua italiana 27 Conoscenza dei servizi sociali e sanitari 30

Area generale

Conoscenza della cultura italiana 11 Cura della casa 3 Assistenza

casa Alimentazione 3 Ambito infermieristico 34 Igiene della persona 12

Assistenza persona

Tecniche di mobilizzazione 19

Sembrano importanti sia l’ambito di introduzione giuridica, linguistica e sociale all’ambiente italiano, sia la formazione nell’attività di assistenza.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 143

5. Conclusioni

La presenza in Italia di assistenti straniere è un fenomeno in aumento che risponde alla necessità del nostro Paese di far fronte ad una popolazione progressivamente più anziana e alla difficoltà di fronteggiarne i bisogni di assistenza in ambito esclusivamente familiare o con manodopera nazionale. D’altra parte l’offerta di lavoro emerge da un processo migratorio quasi sempre motivato da condizioni di povertà nel Paese di origine e da una possibilità di miglioramento con l’ingresso in Italia.

Generalmente l’attività di assistente familiare non corrisponde in modo diretto alla formazione, assai frequentemente presente, avuta nel Paese di origine. Sembra trattarsi, almeno in una prima fase, di una chiave di ingresso nel nostro Paese. Essa in molti casi si accompagna a situazioni di irregolarità che si spera di sanare in un momento successivo. Superato il problema dell’ingresso in Italia e della regolarità (e collocandosi di conseguenza nella prospettiva utilizzata in sede di indagine), alcune tra le lavoratrici immigrate - circa un terzo del campione - assumono come progetto di vita e di lavoro l’assistenza familiare in Italia, divengono autonome e si integrano con la popolazione italiana. È su di esse che si può fare maggiore affidamento in prospettiva e maggiore riferimento per valutare interventi a sostegno della maturazione e stabilizzazione di una nuova figura professionale. Di solito esse vedono con favore la propria crescita in un percorso formativo, anche se valutano l’esperienza già acquisita come elemento importante nella capacità di svolgere la loro attività lavorativa. Per completare il quadro, si presentano anche altre due categorie rintracciate con l’indagine. La prima si riferisce a donne, generalmente in età avanzata, sottoposte a un carico di lavoro molto ingente, che pensano ad una esperienza in Italia limitata nel tempo e spesso funzionale al sostegno dei figli o comunque di familiari all’estero. Si tratta di persone che forse avrebbero difficoltà a trovare un lavoro diverso e che adeguano questo stato di debolezza ad un contesto in cui accettano situazioni pesanti in modo non permanente. Evidentemente sono di norma assai poco interessate alla formazione, salvo eventualmente intenderla come forma di tutela. La seconda categoria si riferisce a donne relativamente giovani che raggiungono il coniuge o altri familiari in Italia, luogo in cui trovano già un sostegno sociale ed economico. La loro attività di assistente le coinvolge di solito per un monte ore settimanale modesto ed esse aggiungono questa attività a mansioni da svolgere nel contesto familiare. Per alcune di esse l’attività professionale di assistente potrà svilupparsi e vi è in genere propensione a seguire percorsi formativi, anche se spesso vi è preferenza per l’inserimento, anche attraverso una formazione aggiuntiva, in settori più congruenti al percorso scolare già maturato in Patria.

In generale, dal punto di vista delle mansioni svolte, il tipo di lavoro è misto e prevede, nei casi esaminati, attività di cura dell’ambiente domestico, di accompagnamento e/o supervisione dell’anziano, di assistenza in caso di mancata

Profili di sviluppo professionale e ambiti di formazione delle competenze per il personale di assistenza e cura domiciliare

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autosufficienza più o meno marcata del medesimo, di eventuale cura in caso di malattie croniche. Da questo punto di vista il percorso formativo proponibile è molto ampio e di difficile focalizzazione, necessitando, oltre ad un primo ingresso della lavoratrice straniera nel contesto culturale italiano, il coniugare di attività domestiche con qualità di tipo psicologico e conoscenze di base nell’area sanitaria. L’importanza di un tale percorso è del resto avvertito in molti casi dalle lavoratrici medesime (nel campione più del 40% dei soggetti si dice disponibile a seguirlo). L’attuale situazione di fatto, in tema di competenze acquisite e in qualche modo certificabili attraverso un percorso formativo, è di difficile inquadramento. Essa trova anche confronto con una sorta di delega, idealmente conferita da parte di un familiare non sempre presente, per attività che possano essere ritenute naturali in un contesto domestico in cui siano presenti anziani.

Riferimenti bibliografici

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LAZZARINI G., SANTAGATI M., BOLLANI L. (a cura di) (2007) Tra cura degli altri e cura di sé. Percorsi di inclusione lavorativa e sociale delle assistenti familiari, Politiche migratorie, Franco Angeli, Milano

LEBART L., MORINEAU A., PIRON M. (2002) Statistique Exploratoire multidimensionnelle, Dunod, Paris.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 145

Profiles of professional development and types of training to attain skills in the field of home care and health for the elderly.

Summary. The situation in the field of home care is discussed. It appears as a phenomenon largely linked to the progressive aging of the Italian population and immigration flows that make the assistance for the elderly available. The phenomenon is growing rapidly, due to the growing size of migratory movement and the consequent needs of regulation and support for training. This study is based on a sample of about 500 foreign caregivers working in the Piemonte area and it covers their working conditions and their way of life in Italy, but also their future plans concerning their desire to remain in Italy and to fit in training. Another survey, based on about 50 face to face interviews, allows us to know the specific nature of the work actually performed by these care workers and gives us information about their opportunities for professional development and their training needs. Keywords. Professional skills, care and home care, immigration, women's work

Competenze e inserimento professionale del laureato in fisioterapia1

Claudio Capiluppi*, Fausta Bedotti**

*Università degli Studi di Verona, **Università degli Studi di Brescia

Riassunto. La laurea in fisioterapia è uno dei nuovi corsi di laurea triennale offerti dalla facoltà di medicina, abilitante alla professione di fisioterapista, che ha sostituito il precedente diploma universitario. Il fisioterapista è un operatore dell’area socio-sanitaria, che presta attività in strutture sanitarie e assistenziali, pubbliche o private, in regime di dipendenza o libero-professionale. È una professionalità di notevole interesse nel terzo settore, richiesta primariamente nell’attività di assistenza ai disabili. In questo studio, dopo aver introdotto il core competence del fisioterapista, e discusso le caratteristiche dell’attuale mercato del lavoro, vengono presentati i risultati dell’indagine condotta sui laureati in fisioterapia dell’università di Brescia, con l’obiettivo di pervenire ad una prima valutazione dell’efficacia esterna del corso, in relazione all’inserimento professionale a distanza di uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo. Parole chiave: Valutazione, Formazione universitaria, Computer-assisted interviewing.

1. Introduzione

Il rapido susseguirsi, in questi ultimi anni, delle riforme degli ordinamenti didattici dei corsi di laurea universitari, ha fatto sì che nessuno, neanche ai più alti livelli ministeriali, sia in grado di documentare gli effetti che ogni cambiamento ha introdotto. Valutazioni e interventi risultano spesso dettati più da convinzioni e assunzioni non verificate che non da un lavoro di ricerca rigoroso. Costruire nuovi modelli didattici richiede un approccio scientifico, dove l’attività di valutazione

1 Il presente lavoro è stato finanziato nell’ambito del progetto “Modelli e metodi per abbinare profili formativi e bisogni di professionalità di comparti del terziario avanzato”, cofinanziato dal MIUR e dall'Università di Padova. Coordinatore nazionale è L. Fabbris, coordinatore dell’Unità di Napoli è S. Balbi. La nota, opera congiunta dei due autori, è stata redatta da C. Capiluppi per quanto riguarda i paragrafi 1,3,5,6, Riassunto e Abstract, e da F. Bedotti per i paragrafi 2,4,7,8.

Competenze e inserimento professionale del laureato in fisioterapia 148

dell’efficacia del percorso formativo rappresenta lo strumento di verifica della realizzazione degli obiettivi prefissati. La governance di una istituzione deve passare per l’analisi dei risultati, l’identificazione e la condivisione dei fattori di successo, ed il riconoscimento di quanto necessita di ulteriore intervento, nell’ottica del miglioramento qualitativo continuo (Fondazione CRUI, 2003). La laurea in fisioterapia è uno dei corsi di laurea triennali della facoltà di medicina per le professioni sanitarie della riabilitazione, abilitante alla professione sanitaria di fisioterapista. I fisioterapisti sono operatori sanitari cui competono le attribuzioni previste dal D.M. del Ministero della Sanità n.741/1994 (e successive modificazioni ed integrazioni), ovvero: “svolgono, in via autonoma o in collaborazione con altre figure sanitarie, interventi di prevenzione, cura e riabilitazione…; elaborano il programma di riabilitazione…; praticano autonomamente attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità motorie, psicomotorie e cognitive…; propongono l'adozione di protesi ed ausili, ne addestrano all'uso e ne verificano l'efficacia; verificano le rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale; svolgono attività di studio, didattica e consulenza professionale”. Il fisioterapista si colloca tra gli esperti nel mondo dell'handicap, dove ha un ruolo specifico all’interno dell’area socio-sanitaria: l’intervento del fisioterapista si concentra infatti sulla realizzazione di un progetto riabilitativo per sfruttare le capacità residue della persona disabile e consentirle di aumentare il suo grado di indipendenza. Per questa sua specificità, è una professionalità di grande interesse nel terzo settore, dove anziani (autosufficienti e non), traumatizzati e disabili rappresentano oltre il 30% dei circa 3.300.000 utenti delle 4.345 cooperative sociali di tipo A che erogano servizi socio-sanitari ed educativi; e dove anche le cooperative di tipo B (2.149), che forniscono opportunità di occupazione a soggetti svantaggiati, vedono come prevalenti (46,3%) soprattutto gli inserimenti di soggetti disabili, con invalidità fisiche, psichiche e sensoriali (ISTAT, 2007). Una figura professionale così composita necessita di un percorso formativo complesso, che riguarda al contempo il sapere (le conoscenze), il saper fare (le abilità), il saper essere (gli atteggiamenti) (Bresciani, 1994). È necessario chiedersi se il percorso formativo implementato sia realmente efficace; ricerche atte a verificare l’efficacia e la coerenza del percorso con le attuali esigenze professionali sembrano essere oggi estremamente necessarie.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 149

2. Le competenze del laureato in fisioterapia

Il termine “competenza”, oggi molto in voga in diversi contesti, per una legge linguistica secondo cui una parola troppo usata perde in incisività semantica, è diventato polisemico e fonte di ambiguità concettuale. Esso evoca una duplice accezione, la prima legata al concetto di pertinenza, la seconda al concetto di conoscenza. Una definizione precisa ed univoca del concetto è alquanto ardua, tanto che se ne registrano parecchie decine secondo il contesto in cui viene utilizzata. Nel caso della figura del fisioterapista, si ritiene appropriata una definizione contestualizzata all’ambito lavorativo, che descrive la competenza come “insieme integrato di conoscenze, abilità e atteggiamenti, necessario ad esercitare in modo valido ed efficace le funzioni, le attività e i compiti che si può trovare a svolgere nell’azione lavorativa” (Pellerey, 1983). La definizione delle competenze del fisioterapista deriva da una approfondita analisi del profilo professionale, che si declina in funzioni ed attività a partire dal riferimento normativo sopra citato. Il core competence, il nucleo di competenze professionali che lo studente in fisioterapia deve acquisire durante il corso di studi, prevede che al termine della formazione universitaria di base, il fisioterapista, in qualità di membro dell’equipe sanitaria, sia preparato a svolgere efficacemente le seguenti funzioni (AIFI, 2003): a) cura e riabilitazione, b) ricerca, c) prevenzione, d) formazione, e) gestione.

2.1 Cura e riabilitazione

L’approccio del fisioterapista ai problemi del paziente si differenzia da quello del medico per la specificità della diagnosi fisioterapica, che si riferisce non tanto alla malattia, quanto alle alterazioni funzionali ed alle residue potenzialità delle strutture corporee (movimento, prensione, etc), alle limitazioni dell’attività del paziente a livello individuale (activities daily living) e di partecipazione nella vita sociale, secondo la classificazione ICF (OMS, 2001). Sulla base della diagnosi e delle teorie di riferimento, il fisioterapista individua l’intervento riabilitativo che ritiene più idoneo e definisce il piano di trattamento, in termini di tempi e obiettivi da raggiungere. Nelle professioni sanitarie ed assistenziali, dove una componente significativa dell’efficacia terapeutica è legata agli atteggiamenti di cura, risultano fondamentali anche competenze psicologiche, oltre ovviamente a quelle teoriche e tecniche proprie della disciplina.

Competenze e inserimento professionale del laureato in fisioterapia 150

2.2 Ricerca

Il ruolo del fisioterapista non è quello di applicare un elenco di esercizi o manovre da eseguire nei confronti di un quadro diagnostico; da anni i fisioterapisti ritengono che sia più corretto e necessario parlare di una scienza della riabilitazione. Si possono individuare due obiettivi principali (Domholdt, 2000) perché i fisioterapisti ricevano una formazione metodologica alla ricerca: � valutare l’efficacia dei trattamenti fisioterapici;� scegliere il trattamento più appropriato per il paziente.

È noto che le motivazioni che inducono il fisioterapista a scegliere un determinato tipo di trattamento (Turner & Whitfield, 1999) sono derivate essenzialmente da ciò che ha appreso nella formazione di base, nei corsi post-laurea su tecniche specifiche, o consultando i colleghi; è più raro il fare riferimento ai risultati di studi scientifici disegnati appositamente per verificare e confrontare l’efficacia dei trattamenti. Una formazione metodologica di base è necessaria per essere almeno un buon utilizzatore di ricerca, oltre che per essere in grado di partecipare alla progettazione e alla realizzazione di una ricerca scientificamente valida. È fondamentale che nel corso di studi universitario, lo studente abbia la possibilità di sviluppare una autonoma capacità di valutazione critica della letteratura scientifica, per essere in grado di interpretare correttamente i risultati di una ricerca e di valutarne la validità scientifica, individuandone anche debolezze e limitazioni, mettendone se necessario in discussione le conclusioni, per farne un uso consapevole nel proprio lavoro.

2.3 Prevenzione

Salute e malattia appaiono sempre più chiaramente collegate a fattori comportamentali, ambientali e sociali, conseguenti alle scelte di vita degli individui, sui quali può influire in modo rilevante l’educazione. L’educazione alla salute è un’attività di comunicazione finalizzata a fornire conoscenze e orientare i comportamenti, secondo i paradigmi teorici correnti della scienza medica. La promozione dell’educazione alla salute è stata codificata nel 1986 dalla "Carta di Ottawa” e rappresenta un obbligo etico-professionale per tutti gli operatori sanitari. L’attività di prevenzione si articola in tre tipologie di intervento: prevenzione primaria, diretta alla rimozione dei fattori di rischio potenzialmente patogeni; secondaria, finalizzata alla diagnosi precoce di una patologia in fase di insorgenza; e terziaria, indirizzata a limitare l'impatto negativo di una patologia già sviluppata, al recupero delle funzioni compromesse e alla riduzione delle complicazioni. Il fisioterapista concorre principalmente a questa terza forma di intervento, dove può

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 151

dare il suo contributo in primo luogo nell’ambito delle attività di rieducazione terapeutica, preparando il paziente alla gestione del proprio problema di salute.

2.4 Formazione

Il fisioterapista svolge una importante azione di formazione “sul campo” nel ruolo di tutor di tirocinio degli studenti di fisioterapia, che si preparano a svolgere a loro volta l’attività professionale. Va sottolineato che tale azione formativa non è “opzionale”, ma costituisce un obbligo istituzionale e contrattuale. Si deve quindi prevedere anche una competenza di tipo formativo (saper insegnare), non garantita necessariamente da quella professionale in senso stretto, che consiste nel saper interagire e comunicare efficacemente per trasmettere ad altri il proprio “sapere”. Il fisioterapista deve, nel suo ruolo di tutor, saper creare le condizioni migliori affinché le nuove leve possano apprendere da lui, questa stessa e le altre abilità richieste nella professione.

2.5 Gestione

Il D.M. 741/94, rendendo autonomo il fisioterapista nella programmazione del proprio intervento, e ancor più affidandogli la responsabilità della verifica della metodologia riabilitativa correlata agli obiettivi di recupero funzionale, ha reso rilevante il processo di gestione del caso trattato (paziente) che il fisioterapista deve seguire nella realizzazione del proprio intervento professionale. Questo ruolo di gestione richiede una formazione di base indirizzata all’acquisizione di competenze organizzative, gestionali e giuridiche, rispondenti alle necessità operative.

3. Formazione universitaria e mercato del lavoro

3.1 Accademia e azienda

Nella recente “riforma Moratti” è stata avanzata una visione del sistema della pubblica istruzione orientata verso un forte collegamento tra scuola, università e mondo del lavoro. Scuola, università e mondo del lavoro continuano infatti ad essere ambiti che comunicano poco e con difficoltà di riconoscimento reciproco (Bruni, 1989). La riforma raccoglie l’insoddisfazione nei confronti del sistema formativo italiano da parte delle imprese, o di una larga parte di esse, che denunciano il divario

Competenze e inserimento professionale del laureato in fisioterapia 152

tra il sistema di nozioni impartite e l’esigenza di capacità operative immediatamente spendibili in azienda. Si deve riconoscere un fondamento alla critica di una eccessiva prevalenza nell’accademia italiana del sapere teorico (che talvolta si limita al “saper dire”) rispetto a quello operativo (“saper fare”), risultato di una dicotomia tra teoria e prassi che ha radici molto profonde (Binetti e Valente, 2003). Le competenze pratiche ed applicative non sono in genere richieste né valutate, e tantomeno insegnate (laboratori, esercitazioni sul campo, etc. sono esperienze rare), anzi sono perlopiù considerate poco qualificanti. Nei sistemi universitari di altri paesi, lo studente deve invece anche confrontarsi col “saper fare”: lo studente di architettura deve anche saper fare un muro che si regga, l’informatico un programma che “giri”, il fisioterapista un massaggio efficace. Questa è una delle cose che chiedono le aziende e, come vedremo, anche gli stessi ex-studenti, all’università italiana. L’università deve preoccuparsi di verificare se la formazione prodotta sia propedeutica alla preparazione dello studente al mondo del lavoro, anche sulla base delle esigenze segnalate dal mondo imprenditoriale, pur senza appiattirsi su di esse. La grande impresa, attraverso la politica, cerca di indirizzare il sistema formativo a proprio uso e vantaggio, ma scuola e università hanno finalità e priorità proprie, che non coincidono con quelle aziendali. Le riforme e le riprogettazioni degli ordinamenti didattici devono tenere conto delle esigenze che vengono dal mondo dell’impresa, ma senza mai dimenticare che l’università fornisce un servizio pagato dallo studente (e dalla collettività), e che deve quindi essere finalizzato prioritariamente all’utilità dei suoi “clienti” (che si misura su un orizzonte temporale di medio-lungo termine), piuttosto che a quella (immediata) delle aziende2. Quindi deve guardare più lontano, a partire dallo studente.

3.2 Successo professionale

L’utilità di un servizio formativo universitario per cui lo studente paga la retta può essere individuato nella sua realizzazione professionale ed umana: un obiettivo individuale con ricadute positive per l’intera comunità, che vi contribuisce. Il raggiungimento di questo obiettivo dipende da numerose variabili: sta emergendo con crescente chiarezza che i fattori chiave del successo nel lavoro non si esauriscono nel possesso di conoscenze di base e specialistiche più o meno approfondite. Se nella scuola sono “sufficienti” capacità che afferiscono alla sfera

2 Soprattutto se può esservi conflitto di interessi tra questi soggetti: all’azienda interessa abbattere i costi di inserimento dei nuovi assunti, ma quando questo costo è nullo, le possibilità di crescita professionale del neo-assunto risultano fortemente penalizzate, perché sarà facilmente sostituibile non appena inizierà ad aspirare a retribuzioni più congrue all’esperienza maturata.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 153

individuale (cognitive, logiche, analitiche, etc.) e la produttività individuale è un dato oggettivamente verificabile, nel mondo del lavoro il “riconoscimento” dell’individuo è fortemente legato alle dinamiche relazionali da cui dipende la sua valutazione. Nell’ambiente di lavoro si rivelano importanti se non fondamentali anche competenze relazionali ed emozionali (Goleman, 1998): sono richieste abilità di comunicazione in contesto di gruppo o gerarchico, capacità di affrontare interazioni potenzialmente conflittuali, in presenza di competizione e conflitti di interesse. Il fisioterapista, in particolare, deve sapersi relazionare da un lato con il paziente e dall’altro con il medico (fisiatra, osteopata, etc) della struttura sanitaria dove opera, due tipologie di relazioni con caratteristiche affatto diverse e specifiche.

3.3 Mercato del lavoro

“Mercato del lavoro è una di quelle locuzioni che più frequentemente oggi si legge e si sente ripetere, tanto che anche per i non addetti ai lavori suona familiare, pur nella vaghezza di significati che vi si attribuiscono” (Bottazzi, 1998). Il mercato del lavoro è una categoria della società capitalista contemporanea, risultato della mercificazione dell’attività umana, che soppianta il principio di reciprocità su cui si basano i rapporti sociali ed economici tradizionali. Nell’espressione “mercato del lavoro”, la parola mercato si basa sull’assunzione che il lavoro sia un bene come tutti gli altri, che si può comprare come una merce e il cui prezzo, vale a dire il salario, scaturisce dal gioco della domanda e dell’offerta, senza rispondere a principi etici o di equità. Nella realtà dei fatti, il modello teorico del “mercato” del lavoro non funziona esattamente come ipotizzato dall’economia neoclassica, perché il lavoro non è affatto una merce come tutte le altre, essendo indissolubilmente legato alla vita dell’individuo che ne è prestatore. L’individuo che accetta di impiegare buona parte della sua giornata e delle sue energie in attività che servono ad un altro soggetto, sta cedendo parte della sua stessa esistenza, che potrebbe impiegare diversamente, per fare cose di proprio interesse. Questa cessione avviene sempre più spesso nei confronti di una organizzazione impersonale, tuttavia l’individuo si aspetta comunque, oltre ad un equo salario, forme di reciprocità tipiche di un servizio prestato in favore di una comunità sociale, in base ai principi che governano la psicologia della socialità umana (Cialdini, 1993). Questi principi giocano un ruolo preponderante nel determinare le motivazioni e i comportamenti degli individui, come mostra con evidenza proprio il fenomeno del no-profit, dove la motivazione economica è spesso secondaria o trascurabile, quando non del tutto assente. Quel che chiamiamo oggi mercato del lavoro rappresenta in realtà un ambito in cui tutte le dimensioni della vita individuale e sociale si incontrano e si intrecciano, tanto da poter essere considerato il centro dell’intero sistema socio-economico.

Competenze e inserimento professionale del laureato in fisioterapia 154

Negli ultimi 15 anni, il mercato del lavoro, in Italia come in Europa, ha subìto una nuova rapidissima evoluzione, dopo quella che ha caratterizzato il secolo scorso a seguito dalla rivoluzione industriale, innescata da un processo di portata ancora non completamente compresa, detto di “globalizzazione”3. La direzione di questa evoluzione sembra essere verso un crescente livello di complessità, di instabilità e di cosiddetta “flessibilità”. Anche nel mondo della sanità assistiamo ad una crescente flessibilizzazione dei rapporti di lavoro. Le Aziende Sanitarie ricorrono sempre più frequentemente a forme di assunzione del personale precarizzate ed esternalizzate (interinale, co.co.pro, cooperative, etc). Nel seguito vedremo come si presenta la situazione attuale dell’inserimento nel mercato del lavoro del laureato in fisioterapia, in una delle regioni economicamente più evolute d’Italia.

4. Il feedback dei laureati in Fisioterapia

L’attività didattica offerta in un corso di laurea deve ottenere una verifica in termini di efficacia raggiunta e del grado di accostamento al progetto culturale e professionale (Fondazione CRUI, 2003). Un elemento di valutazione dell’efficacia dell’insegnamento universitario è costituito dalla capacità di preparare laureati che riescano ad inserirsi con successo nel mercato del lavoro. Misurare questa efficacia è tutt’altro che facile: si può, tuttavia, pensare che essa sia almeno in parte misurabile attraverso una valutazione espressa dal laureato alla fine del suo iter di studi, dopo l’inserimento in contesti professionali (MIUR-CNVSU, 2003). Agli ex-studenti si chiedono indicazioni sulle competenze e abilità che caratterizzano la loro professionalità, attraverso un’analisi riflessiva dei percorsi formativi e professionali seguiti, delle esperienze nel mondo del lavoro e delle richieste ricevute. I loro giudizi consentono di capire se il servizio formativo offerto corrisponde alle reali esigenze professionali, se fornisce una preparazione e conoscenze spendibili nel mondo del lavoro. Le indicazioni dei laureati su come fornire un curriculum più completo e attualizzato diventano informazioni preziose per le esigenze conoscitive e programmatrici dell’ateneo.

Un contatto con gli studenti alla fine del loro percorso formativo consente anche di ottenere un feedback sul loro livello di soddisfazione nei confronti delle conoscenze maturate, delle competenze professionali raggiunte, frutto dell’impegno

3 Si tratta in effetti di una nuova fase evolutiva del capitalismo, caratterizzata da una estrema “finanziarizzazione” dell’economia e assoluta libertà di circolazione dei capitali finanziari su scala globale, che ha portato in pochi anni ad una dominanza abnorme e senza precedenti del capitale sul lavoro, e dei valori finanziari su quelli reali.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 155

personale del singolo laureato, e del modo in cui è stato implementato il progetto formativo: lezioni, esercitazioni, seminari, laboratori, tesi, tirocinio, e tutte le attività e le modalità didattiche in cui si è attuato un progetto culturale definito. Nel seguito si presenta l’indagine condotta dagli autori sui diplomati/laureati del corso di laurea triennale in Fisioterapia dell’Università di Brescia, volta a conseguire elementi utili alla valutazione dei percorsi formativi già realizzati ed alla programmazione delle attività didattiche future.

5. Materiali e metodi

5.1 Popolazione e campione

L’indagine ha preso in esame la popolazione degli ex-studenti di fisioterapia che si sono diplomati/laureati presso l’università di Brescia negli anni 2001, 2003 e 2005 (N=240). La popolazione raggiungibile, cioè effettivamente osservabile con la tecnica di indagine adottata, era costituita dai soggetti che disponevano di un indirizzo email, risultavano quindi esclusi N=12 soggetti. Ulteriori N=6 soggetti risultavano esclusi in quanto si dichiaravano non interessati a partecipare alla ricerca. I soggetti teoricamente raggiungibili risultavano quindi complessivamente N=222. I soggetti effettivamente osservati sono risultati N=99.

Figura 1. Popolazione e campione osservato

PPooppoollaazziioonneeNN==224400

DDiipplloommaattii 22000011 NN==6666

DDiipplloommaattii 22000033 NN==8855

LLaauurreeaattii 22000055 NN==8899

SSeennzzaa eemmaaiillNN==66

PPaarrtteecciippaa NN==7755

NNoonn iinntteerreessssaa

NN==44

SSeennzzaa eemmaaiillNN==33

PPaarrtteecciippaa NN==8855

NNoonn rriicceevvee NN==1133

RRiissppoonnddee NN==3311

NNoonn iinntteerreessssaa

NN==11

SSeennzzaa eemmaaiillNN==33

PPaarrtteecciippaa NN==6622

NNoonn iinntteerreessssaa

NN==11

NNoonn rriicceevvee NN==1177

RRiissppoonnddee NN==2277

NNoonn rriissppoonnddee

NN==1188

NNoonn rriicceevvee NN==1144

RRiissppoonnddee NN==4411

NNoonn rriissppoonnddee

NN==2200

NNoonn rriissppoonnddee

NN==4411

Competenze e inserimento professionale del laureato in fisioterapia 156

5.2 Questionario

Il questionario predisposto si articola in quattro sezioni: curriculum, lavoro, ricerca di lavoro e informazioni anagrafiche. L’obiettivo della prima sezione è quello di analizzare il rapporto tra il percorso di studi e le scelte successive al diploma, siano esse di studio o di lavoro; i quesiti riguardano il tipo di scuola frequentata, i voti di diploma e di laurea, il livello di soddisfazione rispetto al corso, i suggerimenti per poterlo migliorare e le attività di formazione successive. La seconda sezione analizza l’inserimento lavorativo dei diplomati/laureati; le domande mirano a valutare il lavoro svolto (ambito lavorativo, posizione nella professione, numero di ore lavorative, modalità utilizzate e tempo trascorso per trovare il lavoro), il livello di soddisfazione, la coerenza con gli studi effettuati, etc.. Considerata l’elevata mobilità occupazionale che caratterizza i primi anni della vita lavorativa giovanile, il questionario indaga inoltre i principali motivi di cambiamento. La sezione riguardante la ricerca di lavoro è rivolta a coloro che si dichiarano in cerca di occupazione; i quesiti sono indirizzati a rilevare le modalità di ricerca del lavoro, le caratteristiche del lavoro desiderato (tipo e orario di lavoro preferiti, attese retributive, propensione a cambiare città, etc). L’ultima sezione rileva le usuali informazioni anagrafiche sull’intervistato. Per collaudare il questionario è stato effettuato un pre-test su alcuni soggetti scelti casualmente dalla popolazione, controllando la durata di compilazione e registrando eventuali suggerimenti.

5.3 Tecnica di indagine

L’indagine è stata realizzata facendo ricorso ad una metodologia ibrida, che prevedeva la supervisione telefonica dei soggetti (case management), mentre la rilevazione vera e propria delle informazioni è avvenuta con tecnica Web/CASI (Computer Assisted Self-administered Interviewing via Web), cioè mediante auto-compilazione di un questionario online, accessibile mediante un normale browser web. L’utilizzo di un questionario informatizzato consente di implementare questionari complessi altrimenti difficilmente proponibili in una indagine basata sull’auto-compilazione, che consentono di indagare il fenomeno in profondità, controllando i più comuni errori di compilazione. I laureati sono stati contattati telefonicamente per presentare la ricerca e verificarne la disponibilità a partecipare all’indagine; il contatto consentiva di ottenere un indirizzo email aggiornato e l’autorizzazione all’invio di mail relative all’indagine. La fase di rilevazione ha avuto una durata di tre settimane, durante le quali sono stati inviati, oltre alla mail iniziale, due ulteriori solleciti sempre via email. La mail di presentazione dell’indagine conteneva il link e i codici di accesso al questionario online. La supervisione dell’indagine prevedeva ulteriori verifiche telefoniche a campione, che hanno

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 157

permesso di evidenziare una problematica piuttosto seria dell’attuale infrastruttura di posta elettronica, collegata al fenomeno dello spamming. Si è potuto riscontrare infatti come una frazione significativa di soggetti (circa il 20%) non sia stato in grado di ricevere le email inviate dal sistema di indagine, nonostante l’indirizzo fosse corretto, problema imputabile ai filtri anti-spam molto restrittivi implementati da alcuni providers.

Nonostante il periodo di rilevazione relativamente breve, l’indagine ha registrato una buona adesione, pari a circa il 45% della popolazione teoricamente raggiungibile; considerato il problema registrato sulla ricezione delle email, il tasso di risposta effettivo sale al 56%. Da rilevare un tasso di risposta significativamente inferiore nella coorte più giovane (43% vs 64% circa), comunque accettabile confrontato con i tassi di risposta normalmente registrati da questa tecnica di indagine, che si attestano intorno al 30% (e raramente superano il 50%). La perdita di soggetti a causa del problema di ricezione delle email non dovrebbe avere effetto distorsivo sulle stime, in quanto si può assumere che sia distribuita in modo completamente casuale (MCAR). L’elevata frazione di mancate risposte, caratteristica delle indagini basate su auto-compilazione, può produrre una distorsione da auto-selezione, in quanto risultano verosimilmente sovra-rappresentati nel campione osservato i soggetti più interessati e motivati: d’altro canto proprio l’opinione di questi soggetti risulta di particolare interesse, in quanto più attenti e qualificati ad esprimere delle riflessioni ponderate sulle tematiche dell’indagine. Il campione osservato può quindi essere considerato appropriato alle finalità della ricerca.

5.4 Sistema software di indagine

Per realizzare il questionario informatizzato e condurre la ricerca è stato utilizzato un software di ricerca per l’indagine statistica (Capiluppi, 2001), che consente di realizzare sondaggi demoscopici e indagini di mercato telefoniche e via Internet. L’interfaccia utente del questionario informatizzato, progettata appositamente per l’auto-compilazione, risulta naturale ed intuitiva: il questionario può essere costituito da diverse pagine come un normale questionario cartaceo, nel nostro caso quattro, una per sezione. Il sistema registra sul server dell’indagine ogni singola risposta inserita durante la compilazione on-line, ed effettua in tempo reale controlli di validità e di coerenza, segnalando al rispondente eventuali incongruenze.

La realizzazione del questionario avviene con un apposito ambiente di sviluppo interattivo, che consente anche la gestione completa dell’indagine e non richiede competenze informatiche specialistiche: non è richiesta la conoscenza di alcun linguaggio di programmazione e nemmeno dell’HTML. Il sistema dispone di un articolato sistema di controllo dell’accesso al questionario online, che consente di

Competenze e inserimento professionale del laureato in fisioterapia 158

gestire diversi tipi di indagine: nel nostro caso il sistema è stato configurato per consentire la compilazione alle sole unità selezionate nel campione, non si è ritenuto necessario garantire l’anonimato. Al termine dell’indagine i risultati sono disponibili con grande tempestività: il sistema stesso fornisce alcune funzionalità di reportingstatistico, che consentono di elaborare i dati dell’indagine anche in corso d’opera.

6. Risultati

Il campione osservato è per il 61% di sesso femminile, quindi si deve constatare una certa sotto-rappresentazione nel campione dei soggetti di sesso femminile rispetto al rapporto fra i sessi della popolazione obiettivo (68%), imputabile alla tecnica di indagine. Questa distorsione è risultata contenuta grazie alla supervisione telefonica dei casi, che ha permesso di aumentare la motivazione dei soggetti a partecipare all’indagine e di superare eventuali piccole difficoltà o resistenze di natura “tecnologica”. Il 54% dei rispondenti ha un’età compresa tra i 23 e i 26 anni, il 36% tra i 27 e i 30, e il 10% sopra i 30 anni; l’81% è nubile/celibe. Durante gli studi, il 63% ha vissuto prevalentemente in famiglia, e il 66% vive tuttora con la famiglia d’origine, il 25% convive con il partner, mentre il 7% vive da solo. Per quanto riguarda il curriculum, il 61% dei laureati proviene dal liceo scientifico, il 3% dal classico, il 21% da istituti tecnici e il 15% da altri istituti. All’esame di laurea il 19% ha ottenuto una valutazione compresa tra 88 e 100/110, il 42% tra 101 e 107/110, il 26% tra 108 e 110/110 e il 13% con 110/110 e lode. Il giudizio sintetico circa livello di preparazione ricevuto nel corso, rispetto alle esigenze incontrate nel mondo del lavoro, è risultato: buono per il 44%, sufficiente per il 43% ed insufficiente per il 12%; ma ben si sa che questo tipo di domanda risulta poco informativa, quindi occorre portare l’analisi più in profondità. Il 9% dei laureati non si riscriverebbe allo stesso corso di laurea: il 60% perché ha maturato nuovi interessi, il 20% perché è rimasto deluso dai contenuti del corso, il 10% perché è rimasto deluso dagli sbocchi occupazionali e il rimanente 10% per altri motivi non meglio specificati. L’85% frequenterebbe la stessa università mentre il 15% cambierebbe anche ateneo.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 159

Figura 2. Quali competenze dovrebbe possedere un fisioterapista?

42,7

7,3

24,4

1,2 13

,4

11,0

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

tecnico-pratiche

in ambitoformativo

in ambitorelazionale

in ambitogestionale

nell'ambitodella

prevenzione

nell'ambitodella ricerca

%

Alla domanda “Quali competenze dovrebbe possedere un fisioterapista?” (fino a 3 risposte), il 43% delle risposte segnala quelle tecnico-pratiche, il 24% quelle in ambito relazionale, il 13% nell’ambito della prevenzione, l’11% nella ricerca, il 7% nel campo della formazione (dato questo abbastanza sconfortante se si pensa che la maggior parte di loro si troverà in qualità di assistente di tirocinio, a doversi occupare dei futuri professionisti) e solamente l’1% quelle in ambito gestionale.

Le principali conoscenze e competenze che il corso di laurea dovrebbe promuovere maggiormente (fino a 5 risposte) sono individuate nelle tecniche di terapia manuale, in ambito neurologico, neuromotorio, ortopedico e biomeccanico-cinesiologico (Tab. 1); la voce “altre” raccoglie tutte le modalità che non raggiungono l’1%. Queste indicazioni non risultano associate significativamente al tipo di utente o all’ambito riabilitativo in cui il fisioterapista opera, né al tipo di struttura dove lavora, o alle funzioni che svolge abitualmente; si tratta quindi di valutazioni che sembrano avere una validità generale ed indipendente dal contesto di inserimento professionale.

Il 40% degli intervistati ritiene che il corso di studi non abbia favorito sufficientemente l’acquisizione di tali competenze, malgrado essi dichiarino di aver ricevuto, durante il corso, una formazione sulle metodiche più utilizzate (88%), sull’utilizzo di terapie fisiche (96%) e sulle principali tecniche di massoterapia (94%). Le risposte fornite alla domanda “Come potrebbe essere migliorato il Corso?” consigliano ai coordinatori di favorire l’insegnamento delle metodiche di trattamento più utilizzate (27%) e delle discipline professionalizzanti (21%), di organizzare meglio le attività didattiche (15%), di aumentare le ore dedicate alle esercitazioni guidate in aula (8%) e quelle di tirocinio clinico (9%). Ben il 90% dei laureati avrebbe preferito le metodologie didattiche attive (lavori di gruppo, problem solving, cooperative-learning, role playing, etc.) alla didattica tradizionale (lezioni frontali).

Competenze e inserimento professionale del laureato in fisioterapia 160

Al termine del corso di laurea, il 91% dei laureati ha frequentato corsi di formazione in ambito riabilitativo (il 41% in ambito ortopedico, il 25% in ambito neurologico, il 12% in ambito sportivo e l’8% in ambito geriatrico): per interesse professionale (il 44%), per supplire a lacune avvertite al termine degli studi (12%) o dopo l’ingresso nel mondo lavorativo (42%), o su specifica richiesta da parte della struttura lavorativa (4%).

Tabella 1. Conoscenze/competenze che il corso dovrebbe promuovere

Tipologia di utenti

Conoscenza/competenza: settore disciplinare Adulti Anziani Totale

Tecniche di terapia manuale 15,6 15,6 15,6 Neurologia e neuroriabilitazione 13,7 14,3 13,9 Ortopedia, traumatologia e relativa riabilitazione 12,2 15,6 13,4 Biomeccanica e cinesiologia 11,8 10,2 11,2 Tecniche di riabilitazione neuromotoria 9,2 13,6 10,8 Riabilitazione cardio-respiratoria e circolatoria 6,1 4,8 5,6Ricerca clinica in riabilitazione 5,3 2,7 4,4Prevenzione delle patologie di maggior interesse riabilitativo

5,0 3,4 4,4

Anatomia e fisiologia 4,2 4,8 4,4Patologia e riabilitazione dell’età neonatale ed evolutiva 4,2 3,4 3,9Riabilitazione viscerale 3,1 2,7 2,9Patologia e riabilitazione del paziente in età senile 1,1 3,4 2,0Terapia fisica e massaggio 1,1 2,7 1,7Relazione col paziente e con i familiari 1,9 0,7 1,5Neuropsicologia 1,5 0,7 1,2Altre (pedagogia, psicologia, management, lavoro in equipe, etc.)

3,8 1,4 2,9

Venendo al lavoro, il 43% dichiara di aver svolto durante il corso di laurea lavori occasionali e il 14% lavori continuativi. Solo l’1% degli intervistati (uno studente diplomato nel 2003) è disoccupato dal momento del conseguimento del titolo, il 6% lavora in azienda sanitaria pubblica, il 49% in azienda sanitaria privata convenzionata, il 19% in azienda sanitaria privata non convenzionata, il 23% in RSA/casa di riposo e il 3% in altre strutture di assistenza (ai disabili, terzo settore, etc). Il 98% lavora nella provincia di provenienza.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 161

Figura 3. Struttura sanitaria dove viene esercitata la professione

49,5

18,6

15,5

7,2 6,

2

3,1

0

10

20

30

40

50

60

Strutturasanitariaprivata

convenzionata

Strutturasanitaria

privata nonconvenzionata

RSA Casa di riposo Aziendasanitariapubblica

Altro

%

Figura 4. Contratto o rapporto di lavoro

41,7

25,0

21,9

7,3

1,0 3,

1

05

1015202530354045

Dipendente atempo

indeterminato

Liberaprofessione

pressostrutture nondi proprietà

Dipendente atempo

determinato

Liberaprofessione inambulatorio di

proprietà

Lavoratore "atempo"

(interinale)

Altro

%

Per quanto riguarda la stabilità del lavoro, il 42% dei laureati ha un contratto a tempo indeterminato, il 22% a tempo determinato, il 32% svolge libera professione autonomamente o presso strutture non di proprietà, ed il rimanente 4% dichiara di essere lavoratore interinale, co.co.pro ed altro. Il 79% svolge un lavoro a tempo pieno, il 35% di coloro che lavorano part-time dichiara di doverlo fare per mancanza di altre opportunità. Il 61% degli intervistati ha trovato lavoro un mese dopo essersi

Competenze e inserimento professionale del laureato in fisioterapia 162

laureato, il 28% ha trovato la prima occupazione da uno a tre mesi dopo, e il 9% da tre a sei mesi. Il 44% ha cambiato lavoro, dopo essersi diplomato/laureato, una sola volta, il 21% da 2 a 3 volte, il 9% più di 3 volte. Le motivazioni dei cambiamenti di lavoro sono: la crescita professionale (37%), la maggior qualità lavorativa (27%), la maggior autonomia (12%), l’avvicinamento a casa (8%), la retribuzione più elevata (7%) problemi personali (3%) ed altro (6%).

La maggior parte degli intervistati (42%) svolge prevalentemente la sua attività negli esiti di patologie dell’apparato muscolo-scheletrico, il 36% negli esiti di patologie del sistema nervoso centrale o periferico, il 12% in ambito cardio-respiratorio, il 2% nell’ambito infantile; il 5% dichiara di svolgere attività di prevenzione e promozione della salute. Il 65% si occupa di patologie dell’età adulta ed il 35% dell’età senile. Il livello di soddisfazione espresso dai laureati può definirsi soddisfacente per quanto riguarda le mansioni e l’autonomia nel lavoro (89%), l’organizzazione del lavoro (80%), ed in misura minore anche per la stabilità del posto di lavoro (71%) e le conoscenze acquisite all’università (68%). Significativamente inferiore la soddisfazione espressa per il trattamento economico e le possibilità di carriera (52%).

Figura 5. Soddisfazione nel lavoro

89

80

71

89

68

52 520

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

man

sioni

orga

nizza

zione

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stabilit

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men

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cono

mico

poss

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rrier

a

%

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 163

7. Conclusioni

Una riflessione si impone in merito all’analisi di questi dati: i nostri ex-studenti chiedono che vengano incentivate e promosse attività che sviluppino le loro conoscenze e competenze in ambito tecnico-pratico (è la sfera del saper fare ad avere il sopravvento) nonostante l’elevato numero di discipline professionalizzanti presentate durante il corso.

Dovremo riflettere sul legame, spesso molto debole, che esiste tra teoria e pratica? Nell’indagine e come coordinatori del corso di laurea, raccogliamo le critiche che sono state espresse su insegnamenti professionalizzanti che risultano spesso puramente teorici, frammentati e poco integrati tra loro. All’università questi giovani chiedono di porre attenzione ai processi e ai metodi didattici che permettono la crescita delle loro conoscenze, in modo particolare attraverso la valorizzazione delle abilità tecnico-pratiche. I laureati sostengono unanimemente la maggiore efficacia di una formazione informale, diversa nei fondamenti metodologici e cognitivi dagli schemi tradizionali della lezione ex-catedra: prevale l’”imparare facendo”, assistiti dal docente, con l’ausilio di tutor d’aula quando le classi sono numerose. L’importanza del ruolo di tutoraggio emerge anche dalle critiche mosse nei confronti del tirocinio, sottolineando implicitamente l’importanza della funzione formativa del fisioterapista, e quindi di fornire nel corso di studi anche una competenza didattica/pedagogica. Per migliorare l’efficacia del tirocinio nella trasmissione di conoscenza, si può suggerire di promuovere specifiche azioni formative rivolte agli assistenti di tirocinio adulti. Il sapere e il saper essere rappresentano per gli ex-studenti aspetti meno critici, o non sembrano essere avvertiti come “tessere mancanti” nella loro formazione4: questo dato può far riflettere sull’opportunità di integrare nei nuovi piani di studio una formazione “umanistica” di più ampio respiro, che consenta di rifondare quel processo di umanizzazione della Medicina reclamato da molti. Considerazioni analoghe possono essere tratte per quanto riguarda l’ambito gestionale, identificabile nella sfera del saper divenire, anche se a questo riguardo si deve sottolineare che ci troviamo di fronte ad una popolazione ancora molto giovane che vive una fase della vita lavorativa in cui obiettivi e priorità sono di altro genere. L’analisi dei dati riguardanti il lavoro non evidenza ancora in questo settore un mondo del lavoro caratterizzato da estrema flessibilizzazione, anche se il processo è in atto. I giovani non sembrano preoccupati di dover cambiare frequentemente la loro occupazione, o di non trovare lavoro nelle aziende sanitarie pubbliche. Lo sono probabilmente di più i loro genitori… Non dimentichiamo infatti che i due terzi di questi giovani vive ancora in famiglia. Sono meno del 20% i laureati che hanno

4 Le competenze di questa sfera rientrano tutte nella voce “altre” della Tab. 1.

Competenze e inserimento professionale del laureato in fisioterapia 164

lasciato la famiglia di origine per vivere insieme ad un partner e, cosa anche più rilevante, solo l’8% ha figli. Si tratta di soggetti che, vivendo in famiglia e con ancora pochi vincoli di responsabilità, avvertono meno l’importanza della stabilità, o è forse a causa della precarietà che non hanno ancora potuto farsi una loro vita ? Considerato che almeno la metà degli intervistati ha già una posizione consolidata, pur se con retribuzioni non certo elevate, non pare di poter parlare di conseguenze della precarizzazione in senso stretto, quanto piuttosto del risultato delle trasformazioni culturali e sociali oltre che economiche in atto negli ultimi 25 anni. Questi giovani sono nati o cresciuti mentre questi processi erano in atto e, non avendo una memoria storica come termine di confronto, vivono la situazione attuale come normale, e adottano i modelli comportamentali promossi dai veicoli culturali che li hanno accompagnati per tutto il loro sviluppo. In un mercato occupazionale flessibile, cambiare lavoro più volte nell’arco della vita lavorativa è cosa normale (Passerini, 1996): il fatto poi che questa flessibilità sia frutto di nuove opportunità proposte dal mercato (flessibilità scelta), o invece conseguenza di condizioni di disequilibrio tra domanda e offerta che costringono ad accettare un qualunque posto di lavoro a qualsiasi condizione (flessibilità imposta), dipende dai concreti rapporti di forza negoziali che esistono tra chi vende e chi compra forza lavoro5. L’università può preoccuparsi di mettere a fuoco gli obiettivi formativi e di correggerli, sulla base dei risultati di ricerche empiriche che devono monitorare una realtà in continuo e veloce divenire, per tenere conto delle esigenze culturali dei futuri professionisti, anche non strettamente professionali e non solo immediate, che riguardano lo sviluppo e il mantenimento di competenze trasversali e di meta-competenze, che rendono gli individui capaci di continuare ad apprendere e di riposizionarsi continuamente nel proprio ambito professionale.

5 Almeno fino a quando il modello di sviluppo attualmente dominante non verrà messo in discussione. La crisi finanziaria ed economica che si sta concretizzando proprio in questi mesi ci sta portando a riflettere più profondamente sulla sostenibilità, non solo ambientale ma anche propriamente economica, di questo modello di “crescita infinita”. Dai movimenti no-global alle correnti di pensiero che ritengono la “decrescita” necessaria ed auspicabile, dalle iniziative “kilometri-zero”, ai gruppi di acquisto solidale, agli esperimenti di moneta locale, dai modelli di finanza etica a quelli di cultura islamica, e lo stesso fenomeno del terzo settore, sono tutte forme di rifiuto di un modello di globalizzazione che è stato imposto a mezzo pianeta senza che le comunità sociali si rendessero conto di cosa significasse e delle sue conseguenze, che si cominciano ora a intravedere.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 165

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treatment techniques: a cross national study, Physiotherapy Theory and Practice, (15): 235-246.

Competenze e inserimento professionale del laureato in fisioterapia 166

Competences and workforce insertion of the graduated physiotherapist

Summary. The degree in Physiotherapy is a triennial course of bachelor offers from the Faculty of Medicine, qualifying to the profession of physiotherapist. The physiotherapist is an operator of the social-health area, that develops his activity in medical care and health assistance structure, public or private, as free professional or dependent worker. In this study, after to have introduced the core competence of the physiotherapist, and discussed the characteristics of the current labor market, the results of a survey on the graduates in Physiotherapy at the University of Brescia are presented, aiming at a first evaluation of the external effectiveness of the course, in connection to the professional insertion at a lag time of one, three and five years from the attainment of the title. Keywords: evaluation, formation, computer-assisted interviewing

Il ruolo dei volontari del terzo settore: verso una qualificazione professionale?

Giovanna Boccuzzo1

Dipartimento di Scienze Statistiche, Università di Padova

Riassunto. Il volontario ha un ruolo fondamentale nei servizi forniti dal terzo settore, ma un’esplorazione delle sue attività e delle competenze necessarie non viene generalmente presa in considerazione, poiché il volontario non svolge una professione. Una tale analisi appare invece importante, dal momento che spesso il volontariato affronta per primo i bisogni emergenti, talvolta con soluzioni innovative, e anticipa così nuove professionalità. Nel presente lavoro si mostra come le attività nel volontariato siano chiaramente codificabili e le competenze quantificabili, da cui può conseguire la definizione di processi formativi adeguati. La formazione universitaria, però, ancora non risponde appieno alle esigenze manifestate dai coordinatori delle associazioni di volontariato, in quanto è troppo nozionistica e poco inserita nel contesto istituzionale e territoriale in cui le organizzazioni operano. Parole chiave. Volontario, Testimoni privilegiati, Focus group, Competenze, Formazione professionalizzante

1. La professionalità nel volontariato

Volontario è la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di

1 Il presente lavoro è stato finanziato nell’ambito del progetto “Modelli e metodi per abbinare profili formativi e bisogni di professionalità di comparti del terziario avanzato”, cofinanziato dal MIUR e dall'Università di Padova. Coordinatore nazionale è L. Fabbris, coordinatore dell’Unità di Napoli è S. Balbi.L’autrice desidera ringraziare le molte persone che hanno contribuito al presente lavoro rilasciando interviste e partecipando a focus group. In particolare si ringraziano: il sig. A. Lion, direttore del CSV di Padova; il sig. G.Ortolani, presidente della Croce Verde di Padova e del CSV di Padova, e il suo collaboratore, sig. F.Biasioli; Don G.Zenatto e Suor M.C.Ripamonti, direttore e vice-direttore della Caritas di Padova; la sig.ra M.Borigo, presidente dell’ANFFAS di Padova e del Veneto; la sig.ra M.Bertante, presidente dell’AVO Padova dell’AVO Veneto; Fra V.Maragno e la sig.ra G.Andrian, coordinatore e presidente dell’associazione Murialdo di Padova; la dott.ssa F.Bruni della Coop. Città So.La.Re di Padova; il sig. I.Marcuzzi, presidente dell’Associazione Amici di San Camillo di Padova.

168 Il ruolo dei volontari del terzo settore: verso una qualificazione professionale?

appartenenza o per l’umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito promuovendo risposte creative ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o contribuendo alla realizzazione dei beni comuni (art. 1 Carta dei valori del Volontariato, 20012)

Il volontario ha due caratteristiche distintive: � la gratuità (il volontario può ricevere al più rimborsi per spese documentate),

quale caratteristica di chi opera con spirito di dono e di reciprocità con gli altri; � la solidarietà, come fine esclusivo della propria azione per la tutela dei diritti e

l’aiuto di terzi in stato di bisogno o per la tutela, l’ampliamento o la maggiore fruibilità dei beni comuni che presiedono alla qualità della vita dei cittadini.

L’organizzazione di volontariato (OdV) è un gruppo organizzato, dotato di propria autonomia e identità, strutturato e in grado di operare con continuità per fini esclusivi di solidarietà. In esso i volontari sono presenti in modo esclusivo o prevalente e sono coloro che assumono le decisioni e che determinano le finalità da conseguire.

In Italia si contano circa 1 milione 120mila volontari secondo l’ultima rilevazione Fivol relativa al 20073, di cui circa 96mila in Veneto, prevalentemente nelle attività socio-assistenziali, nell’assistenza sanitaria e nelle attività educative e di formazione.

Vi sono ambiti di intervento nei quali l’apporto dei volontari è cruciale: nel 2003 oltre 235mila volontari erano impegnati nella sanità e oltre 250mila nell’assistenza sociale; circa il 60% di loro era impegnato in maniera regolare e programmata (ISTAT, 2006). Nell’analisi dei contributi professionali al terzo settore non si può allora prescindere dal contributo apportato dai volontari.

Inoltre, come afferma Zamagni (2004), il volontariato ha una preziosa funzione profetica, è un pioniere che spesso ha saputo leggere i bisogni sociali emergenti e fornire risposte innovative, grazie alla sua flessibilità e alla sua presenza capillare sul territorio. Nel tempo il volontariato ha svolto compiti in seguito assunti dallo Stato (ad es. nella cura dei malati e degli anziani) e ha dato origine a importanti istituzioni sociali.

In questo senso il volontariato può essere anticipatore di nuove professionalità, perché in risposta a nuove esigenze sono approntate soluzioni originali che potrebbero poi sfociare in figure professionali innovative. È già successo nel passato: si pensi all’operatore di strada o all’accompagnatore sociale.

A differenza del personale remunerato, parleremo qui di professionalità, e non di professione, nel senso che il volontario, pur non essendo generalmente un professionista, in molte circostanze manifesta l’esigenza di maturare una professionalità che gli consenta di affrontare al meglio le complesse situazioni nelle 2 http://www.fivol.it/cartavalori/carta_valori.html 3 Dati tratti da Il Sole 24 Ore del 6 ottobre 2008, pag. 12: “Volontariato più pubblico”.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 169

quali presta il suo servizio. L’acquisizione delle conoscenze e delle competenze necessarie è spesso un presupposto irrinunciabile in molti settori d’intervento, dai servizi agli immigrati al pronto intervento sanitario, fino all’assistenza ai gruppi più deboli.

Il volontario non è un professionista, ma si colloca spesso in una posizione di intermediario fra la persona bisognosa e il professionista: i minori vincoli a cui è sottoposto lo pongono in una situazione privilegiata a cogliere i bisogni e ad adottare soluzioni talvolta innovative. L’analisi delle attività del volontario è allora un punto di partenza importante nel terzo settore, perché permette di cogliere i nuovi bisogni e le eventuali nuove soluzioni, le competenze necessarie e le carenze formative. In questa nota si lasciano sullo sfondo le spinose discussioni sul ruolo del volontariato nel colmare le carenze del welfare state e nel ridurre i costi dell’assistenza (Zamagni, 2003). Vogliamo invece capire se e in che misura il paradigma di ricostruzione delle competenze (cfr. Boccuzzo e Grassia, 2008) sia applicabile anche ai volontari, in modo da ricostruire delle figure dotate di professionalità e, in funzione di queste, dei possibili profili formativi.

Il riferimento è al volontariato organizzato, dove sussiste un modello organizzativo che assegna ruoli e compiti specifici ad ogni volontario. In primis all’organizzazione di volontariato, composta quasi esclusivamente da volontari. Ma il ruolo del volontario è peculiare anche in altre organizzazioni del terzo settore, quali le cooperative sociali, dove si affianca all’operatore retribuito svolgendo importanti attività di supporto.

Non è possibile analizzare competenze e attività del volontario in generale, ma bisogna chiaramente riferirsi ad uno specifico ambito di intervento all’interno di una determinata struttura organizzativa. Nella presente nota sono analizzate due realtà molto diverse sia dal punto di vista organizzativo che degli ambiti di intervento: la prima si basa esclusivamente su volontari e opera nella sanità, la seconda sull’azione congiunta di volontari e personale retribuito per i servizi agli immigrati.

Lo scopo è analizzare, in due contesti affatto differenti, il ruolo, la professionalità e le competenze dei volontari. I risultati si basano su una ricerca svolta a cavallo fra il 2007 e il 2008, basata su interviste ai responsabili di alcune associazioni della provincia di Padova e del Centro Servizi per il Volontariato e su focus group effettuati in 4 organizzazioni nel Padovano. Si attinge inoltre ai dati dell’indagine effettuata presso organizzazioni che forniscono servizi agli immigrati, descritta in Boccuzzo e Grassia (2008). Dopo una descrizione del percorso di analisi (Par. 2), nel seguito si analizza il ruolo del responsabile delle associazioni di volontariato (Par. 3), una figura cruciale, caricata di responsabilità e sulla quale ricade in buona parte il merito del successo dell’associazione. Dopo una disamina del ruolo del volontario (Par. 4), il lavoro si

170 Il ruolo dei volontari del terzo settore: verso una qualificazione professionale?

snoda con lo studio di attività e competenze di una realtà gestita solo da volontari (Par. 5) e di una nella quale convive personale retribuito e volontario (Par. 6). Nel Par. 7 è analizzato il ruolo della formazione e il contributo dell’università per la maturazione delle competenze nei servizi alla persona. Infine nel Par. 8 sono tratte alcune considerazioni conclusive.

2. Il percorso di analisi

La ricerca nel suo complesso è articolata in una fase qualitativa e in una successiva indagine. La fase qualitativa ha interessato quattro ambiti di intervento: il volontariato ospedaliero, il pronto intervento, l’assistenza ai disabili e i servizi agli immigrati.

In primo luogo sono state svolte delle interviste a testimoni privilegiati, coordinatori di associazioni e del CSV di Padova, che hanno consentito di individuare i processi caratterizzanti l’associazione, ovvero le aree di intervento. Ogni processo è caratterizzato da un insieme di attività, anch’esse individuabili mediante l’intervista (Coop. “Insieme si può”, 2007).

All’intervista ha fatto seguito, per 4 realtà, un focus group al quale hanno preso parte alcuni volontari e operatori dell’associazione. Le realtà interessate, tutte relative alla provincia di Padova, sono: l’Associazione Volontari Ospedalieri, la Croce Verde, l’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e Relazionale) e la Cooperativa Città So.La.Re.

L’analisi dei testi relativi alle interviste e ai focus group ha consentito di definire le attività svolte all’interno di ogni processo e le tipologie di utenti coinvolti.

I focus group si sono concentrati particolarmente sulle competenze necessarie a svolgere le attività, suddividendole in conoscenze (“sapere”), abilità (“saper fare”) e doti di personalità (“saper essere”). All’inizio del focus è stato chiesto ad ogni partecipante di scrivere in maniera schematica le competenze necessarie, e le indicazioni fornite sono state la base della discussione. In questo modo è stato possibile, se non quantificare, graduare l’importanza delle competenze.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 171

Figura 1. Percorso di analisi per l’identificazione delle competenze

Processi

Attività - Utenti

Competenze

Conoscenze Abilità Doti personali

Interviste + focus group

Focus group

Interviste a testimoni

privilegiati

Con riferimento al settore dei servizi agli immigrati, la ricerca su Padova si è poi integrata con quella sulla provincia di Caserta, e una dettagliata analisi dei testi ha consentito di esplicitare un questionario sul quale si è basata l’indagine presso tutte le associazioni del settore nelle due province considerate (Grassia et al., 2008).

L’indagine ha coinvolto tutti gli operatori delle associazioni, retribuiti e volontari, per cui nella presente nota è possibile effettuare un confronto fra attività e competenze di operatori retribuiti e volontari sulla base di indicatori quantitativi.

L’indagine ha coinvolto 28 associazioni delle province di Padova e Caserta, per un totale di 188 operatori, di cui 66 volontari. Il questionario è concentrato sulle attività svolte e sulle competenze utilizzate; queste ultime sono distinte in competenze trasversali (come ad esempio “saper lavorare in gruppo”, “saper scrivere relazioni”,…), conoscenze specialistiche (“conoscere le norme nazionali e regionali in tema di immigrazione”, “conoscere procedure di erogazione di servizi alla persona”,…), capacità tecnico-specialistiche (“gestire colloqui”, “fare attività manuali, come piccole manutenzioni”, …) e doti di personalità (“doti deduttive, di analisi e sintesi”, “precisione e accuratezza”, …)4.

4 Il questionario con l’elenco completo delle competenze è consultabile in calce al lavoro di Boccuzzo e Grassia (2008). Nel lavoro di Grassia et al. (2008) è illustrata la metodologia che ha portato all’identificazione delle liste di competenze.

172 Il ruolo dei volontari del terzo settore: verso una qualificazione professionale?

Per ogni competenza viene richiesto di indicare il livello d’importanza5

(1=per nulla importante, 2=poco importante, 3=abbastanza importante, 4=molto importante), per un totale di 9 competenze trasversali, 21 conoscenze specialistiche, 14 capacità tecnico-specialistiche, 15 doti di personalità. Si fornisce quindi un’importanza media per ogni competenza. Per le conoscenze e le capacità tecnico-specialistiche è costruito un indice medio basato sull’uso delle competenze nelle prime due attività e sull’intensità di svolgimento di tali attività (Boccuzzo e Grassia, 2008). Infine, il calcolo delle medie generali per gruppi di competenze consente di effettuare una graduatoria delle quattro aree di competenze.

3. Ruolo e competenze manageriali nelle associazioni di volontariato

Le associazioni intervistate sono di dimensioni grandi e medie. Tutte sono coordinate da persone con spiccate doti manageriali, con un bagaglio di esperienze molto consolidato, basato su decenni di attività nel volontariato. Spesso il coordinatore è il traino portante del gruppo, non solo nelle piccole associazioni, ma anche nelle più grandi.

Tutti i coordinatori intervistati riconoscono l’importanza di una gestione manageriale, seppur con le opportune modifiche necessarie per una realtà come il volontariato, ma emerge frequentemente il problema della costruzione della “discendenza”. La maggior parte dei responsabili ha fondato l’associazione, o ha coperto la prima presidenza, e vive perciò l’associazione come una propria creatura. Per molti è giunto il momento del “salto generazionale”, ovvero del passaggio della gestione a dei successori. Questo momento è fonte di crisi, se non è stata creata una struttura solida e gerarchica, basata sulla competenza di più persone poste ai vari livelli di responsabilità.

Questo principio non è stato ancora metabolizzato nelle OdV, e il fatto che i corsi organizzati dal Centro Servizi Volontariato per manager delle OdV non riscuotano grande successo ne è dimostrazione. Soprattutto nelle OdV di minori dimensioni, il ruolo manageriale è spesso in secondo piano rispetto alle esigenze impellenti del fare, a scapito delle potenzialità di crescita dell’associazione. A ciò si aggiunga il fatto che il manager nel terzo settore ha un compito ancora più difficile di un manager delle attività for profit, in quanto gli obiettivi dell’associazione non seguono la logica del profitto, ma è contemporaneamente necessario gestire in

5 In realtà con riferimento alle competenze trasversali e alle doti di personalità si è richiesta l’importanza, per le conoscenze e competenze specialistiche il livello di utilizzo. Per le prime, infatti, è più complesso fare riferimento ad un utilizzo pratico, cosa invece più evidente nelle seconde.

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 173

maniera oculata gli aspetti finanziari. Il manager del terzo settore deve affiancare alla competenza specifica del suo ruolo anche la piena condivisione della missione dell’associazione e delle spiccate doti di personalità tipicamente richieste nel terzo settore, quali disponibilità, interesse verso la diversità, empatia. Non solo, ma in quest’ambito il suo ruolo è reso ancora più complesso dal fatto che buona parte delle risorse umane a disposizione non è retribuita, per cui si deve fare affidamento solo sulle motivazioni.

Inoltre, per le associazioni più grandi, o comunque per quelle che hanno diretti contatti con l’ente pubblico che appalta loro dei servizi, è indispensabile la competenza in ambito economico-finanziario e amministrativo. È fondamentale saper gestire in modo oculato e trasparente le risorse finanziarie. La maggior parte degli intervistati ha affermato che il problema non è trovare le risorse economiche: il Veneto in questo senso offre diverse opportunità di finanziamento, ma è necessaria una gestione trasparente e ineccepibile. Inoltre, anche quando i finanziamenti sono disponibili, bisogna saper strutturare e presentare dei progetti articolati e finalizzati. Pertanto, bisogna saper decodificare i bisogni.

La gestione dell’associazione è resa complicata dalla transitorietà dei finanziamenti, alcuni annuali, altri biennali, ma comunque sempre con una scadenza piuttosto breve. Tale transitorietà cozza con gli impegni che le associazioni si assumono, che, a fronte di progetti continuativi, necessitano della garanzia di continuità, affinché le risorse impiegate non siano poi rese inutili. Un esempio di difficoltà è il progetto di teleadozione degli anziani presso l’Associazione Amici di San Camillo, una proposta innovativa completamente realizzata da un’associazione di volontariato, ma che per sopravvivere ha bisogno della continuità di azione e di contribuzione finanziaria, anche se continua a vivere grazie ai volontari. O ancora, l’accoglienza da parte dell’Associazione Murialdo di soggetti bisognosi non inviati dai servizi sociali, quindi non coperti da finanziamenti pubblici: spesso le associazioni continuano a farsi carico di queste persone, d’altronde non possono abbandonarle da un anno all’altro perché non sono stati rinnovati i finanziamenti!

Una competenza collegata alla gestione delle risorse finanziarie è la competenza di gestire la sussidiarietà, ovvero i rapporti e le giuste soluzioni fra pubblico e privato, la costituzione di servizi e le giuste modalità per farlo. I rapporti con le istituzioni sono fondamentali, in quanto esse costituiscono la principale fonte di finanziamento e si appoggiano alle associazioni per la gestione dei casi.

Come già accennato, particolarmente delicata è la gestione delle risorse umane, in modo particolare quella dei volontari. Questa gestione presenta peculiarità rispetto a quella delle risorse umane di una impresa o di un ente pubblico: soprattutto nelle grandi associazioni, è facile reclutare volontari, ma è altrettanto facile perderli. Per mantenere i volontari è necessario fare loro un’adeguata formazione e creare in loro forti motivazioni. Le grandi associazioni svolgono attività per conto delle

174 Il ruolo dei volontari del terzo settore: verso una qualificazione professionale?

istituzioni, e in questo ruolo i volontari sono indispensabili, per cui è fondamentale contare su volontari motivati e con esperienza.

In secondo luogo, nel volontariato ogni azione deve essere condivisa, e il manager ne deve tenere conto, non può disporre dei volontari così come disporrebbe dei suoi dipendenti. Questo è un aspetto che complica la gestione e richiede la capacità di prendere decisioni condivise. Non sempre ciò è semplice, il volontario vorrebbe essere spontaneo, vorrebbe svolgere il suo ruolo senza avere vincoli, e per quanto possibile va assecondato. Bisogna perciò trovare delle forme organizzative che tutelino l’autonomia decisionale, pur mantenendola nei binari dell’efficienza.

Infine, nelle associazioni di volontariato vi è spesso l’esigenza della gestione congiunta di operatori e volontari. Nonostante che gli operatori siano spesso ex volontari, si riscontrano di frequente delle forme, più o meno velate, di competizione, che rendono complessa la gestione delle attività e dei rapporti personali.

3. Ruolo e competenze del volontario

Nelle organizzazioni del terzo settore, il volontario ricopre ruoli diversi a seconda del tipo e dell’attività dell’organizzazione.

Vi sono realtà in cui l’associazione fonda tutta (o quasi) la sua attività sui volontari, senza i quali non esisterebbe l’associazione stessa. Ciò accade prevalentemente in due situazioni: 1. Quando è necessaria un’assistenza continua alla persona, ad esempio in orari

notturni e/o nei week-end, ovvero in quelle situazioni in cui gli operatori non possono essere disponibili, o lo sarebbero a costi inaccessibili. In questo caso il volontario si sostituisce all’operatore. Un esempio di questo ruolo è quello coperto dai volontari della Croce Verde, che a turno garantiscono la disponibilità 24 ore su 24. Il volontario segue un iter formativo articolato e totalmente codificato, ed è lo stesso iter che la Croce Verde propone a coloro che vogliono diventare operatori.

2. Il volontario è indispensabile quando il compito che deve assolvere non è tipico di un operatore, poiché richiede attitudini e disponibilità che non necessariamente appartengono a una persona retribuita. Sono quelle attività di servizio alla persona che, in un bilanciamento fra competenze e doti di personalità, vedono un ruolo assolutamente primario di quest’ultime, quali capacità di dialogo, di ascolto e pazienza. La figura del volontario è allora quella adatta, perché le attività che svolge sono frutto di una scelta motivata, a seguito della quale accetta di seguire un iter formativo che viene però dopo le predisposizioni personali. In questo caso il volontario copre un vuoto, svolge un’attività che altrimenti rimarrebbe

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 175

scoperta. Un esempio è quello dei volontari ospedalieri: è un’attività importantissima, ma non paragonabile ad una professione sebbene richieda professionalità, e che per essere portata avanti prevede non solo doti personali, ma una corretta formazione, esperienza, l’appoggio di una rete e di personale esperto.

Le situazioni 1 e 2 possono arrivare a fondersi: il tipico esempio è quello dell’Associazione Murialdo, nella quale i volontari vivono con giovani in situazione di bisogno. Gli operatori in questo caso non possono assolvere questo compito, per due ordini di motivi: uno pratico (il costo sarebbe esoso, dovrebbero darsi i turni) e uno legato alla figura genitoriale (i giovani hanno bisogno di qualcuno che stia con loro non per lavoro, ma per volontà di condivisione). Per operare nell’Associazione Murialdo non è richiesta una professionalità specifica, ma delle persone le cui attitudini personali consentano di creare capitale sociale a partire dal loro capitale umano.

Vi sono infine le associazioni o le cooperative che si avvalgono contemporaneamente di operatori e di volontari. In questo caso gli operatori hanno un ruolo professionale ben codificato (psicologi, educatori, operatori socio-assistenziali,…), mentre i volontari hanno generalmente un ruolo di supporto nell’associazione: organizzano momenti di incontro, gite, vacanze, supportano gli operatori, forniscono aiuto nella gestione delle attività. Il ruolo chiave del volontario è quello di ascoltare le richieste delle persone, di ragionare sul da farsi, di presidiare il territorio. Laddove è poi richiesta un’attività più specifica e continuativa ci pensano gli operatori. I volontari permettono di avere occhi e orecchie aperte al di là del lavoro con i suoi vincoli organizzativi ed economici. È come avere una “porta sempre aperta verso i bisogni delle persone”, un prezioso canale di sollecitazione. In altre realtà, infine, volontari e operatori si alternano nelle stesse attività. È tipico il caso dell’attività di sportello e ascolto, o del supporto scolastico, spesso fornito da studenti universitari.

In sostanza, un’analisi delle attività e delle competenze del volontario non può fare riferimento al terzo settore in generale, ma deve essere vincolata agli ambiti di intervento e alla tipologia di organizzazione. Ad esempio, nei servizi agli immigrati è fondamentale avere delle conoscenze della rete territoriale dei servizi e della normativa, mentre per i volontari della Croce Verde sono indispensabili nozioni di primo soccorso e per i volontari ospedalieri è indispensabile il corso su dialogo e relazione d’aiuto. Nel seguito sono perciò analizzate due realtà specifiche e affatto differenti: la prima, quella del volontariato ospedaliero, basata esclusivamente su volontari; la seconda, quella dei servizi agli immigrati, dove operatori e volontari lavorano fianco a fianco.

176 Il ruolo dei volontari del terzo settore: verso una qualificazione professionale?

4. Analisi di una realtà composta esclusivamente da volontari: l’Associazione Volontari Ospedalieri

L’Associazione Volontari Ospedalieri (AVO) colloca la sua attività in quello “spazio vuoto” di supporto alle persone ricoverate che hanno bisogno di un aiuto aggiuntivo, oltre alle cure mediche, basato sulla partecipazione, l’ascolto e l’aiuto su piccole necessità quotidiane. È, questo, un ruolo fondamentale del non-profit: mobilitare risorse solidali laddove non sono richiesti interventi di natura esclusivamente professionale, che non possono essere sostenuti solo dalle reti di professionisti (Galesi, 2006).

L’Associazione Volontari Ospedalieri basa la sua attività quasi esclusivamente su volontari; il pochissimo personale retribuito è composto da amministrativi e da psicologi. È possibile individuare, in una realtà di soli volontari, una rappresentazione gerarchica di processi, relative attività e competenze e, di conseguenza, esigenze formative? Mostriamo ora che non solo ciò è possibile, ma la schematizzazione risultante ha un’articolazione che nulla ha da invidiare alle complesse organizzazioni composte da personale retribuito.

L’Associazione Volontari Ospedalieri ha infatti un’organizzazione piramidale molto strutturata: l’AVO di Padova fa parte della FEDERAVO nazionale, alla quale fanno capo 206 AVO presenti in tutte le regioni. La sede di Padova è presente con 530 volontari in 54 reparti ospedalieri. I volontari sono raggruppati per reparto e organizzati da un responsabile, che distribuisce i turni, coordina i volontari, li incontra una volta al mese per verificare il servizio, trasmettere le informazioni e organizzare la formazione specifica di quel reparto. I reparti sono aggregati secondo il criterio di patologie o pazienti affini in strutture, denominate “centri”, ognuno con un suo coordinatore. I coordinatori sono a loro volta guidati da un consigliere. Alla cima della piramide c’è il consiglio direttivo, eletto dai soci.

L’iter del volontario è articolato: c’è un primo iter obbligatorio e, eventualmente, un iter volontario per diventare socio. Dopo il corso di formazione di base, il “volontario aspirante” farà un test psicologico finalizzato a capirne le attitudini, e quindi la sua possibile destinazione di servizio. Il test è discusso con lo psicologo, ad esso segue un colloquio con un altro volontario anziano, generalmente responsabile di reparto. A questo punto l’aspirante viene immesso nel reparto come tirocinante; resterà tale per un anno, durante il quale sia lui sia l’associazione valuteranno l’esperienza. L’aspirante viene affiancato per almeno 6 mesi da un volontario anziano. Se alla fine del tirocinio l’aspirante e l’associazione sono soddisfatti ed è stato fatto il numero di presenze richieste, l’aspirante diventa volontario, e da questo momento presta servizio autonomamente. Dopo 2 anni, il

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 177

volontario può fare domanda per diventare socio, ed in quanto tale fornirà dei contributi ulteriori per fare crescere l’associazione.

L’AVO non è un caso eccezionale: altrettanto articolato è l’iter nella Croce Verde, dove c’è un percorso che da allievo porta ad aspirante e infine a milite, e dove opera una vera e propria scuola di formazione interna, accreditata anche per formare personale esterno.

Grazie all’intervista alla responsabile e al focus group è stato possibile identificare 5 processi con le relative attività, che sono nel seguito sintetizzati: 1. supporto e sostegno al ricoverato e ai suoi familiari: ascolto e sostegno al malato

e ai suoi parenti, attività pratiche di supporto, intermediazione fra medico e paziente;

2. accoglienza in ospedale: dare informazioni/fornire spiegazioni, accompagnare la persona in difficoltà, fornire kit vestiario, aiuto pratico: trovare stanze in albergo o in accoglienze, chiamare taxi, prenotare aerei, mandare vestiti in pulitura,...

3. animazione in ospedale a bambini e anziani: animazione di gruppo e individuale, attivazione di relazioni fra pazienti, piccole rappresentazioni o laboratori creativi

4. progetti continuità cure affettive: affiancare il paziente dimesso dall’ospedale che vive solo (anziano), servizio di assistenza domiciliare, trade-union con parrocchia

5. tutoraggio: tutoraggio del volontario in formazione (1 anno) Per ogni processo sono identificate, grazie al focus group, le capacità e

conoscenze che sono state esplicitate dai volontari, e ne viene data una graduazione secondo il livello d’importanza (Tabb. 1 e 2). Per quanto riguarda le capacità, ascolto attivo e empatia sono le più importanti, fra le conoscenze le nozioni di psicologia delle relazioni umane e gli approcci per il dialogo e la relazione d’aiuto. Basandosi su intervista e focus group è invece più difficile graduare l’importanza delle doti personali, specialmente con riferimento alle aree di attività. Esse sono state però definite: disponibilità, buonumore, discrezione, ottimismo, spirito autocritico, essere affettuosi, autocontrollo, pazienza, creatività e fantasia. L’analisi di un’area gestita totalmente da volontari ha dimostrato come il processo di identificazione delle aree di intervento, delle relative attività e delle competenze necessarie sia realizzabile, esattamente alla stregua di un impresa for profit.

178 Il ruolo dei volontari del terzo settore: verso una qualificazione professionale?

Tabella 1. Capacità richieste al volontario ospedaliero, e relativa importanza in funzione dell’area di intervento

AREA DI INTERVENTO

CAPACITÀ Supporto al malato

Accoglienza AnimazioneContinuità

cure Tutoraggio

Far esplicitare i bisogni inespressi +++ + + ++ -

Ascolto attivo +++ ++ + +++ + Empatia (saper comprendere lo stato d'animo e la situazione emotiva)

+++ ++ ++ +++ ++

Gestire le relazioni col personale sanitario ++ + + - -

Conquistare la fiducia delle persone +++ + +++ ++ +

Motivare un tirocinante - - - - +++

Gestire i gruppi - - +++ - -

Realizzare prodotti da lavori manuali - - +++ - -

Mediare nei conflitti +++ - + ++ ++

Affrontare la malattia +++ + +++ ++ -

+++ molto importante; ++ abbastanza importante; + un po’ importante; - per nulla importante

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 179

Tabella 2. Conoscenze richieste al volontario ospedaliero, e relativa importanza in funzione dell’area di intervento

AREA DI INTERVENTO

CONOSCENZE Supporto al

malato Accoglien-

za Anima-zione

Continuità cure

Tutorag-gio

Psicologia delle relazioni umane +++ ++ +++ +++ ++

Dialogo e relazione d’aiuto +++ ++ ++ +++ +

Dinamiche di gruppo + ++ +++ - + Nozioni elementari di sanità, soprattutto malattie dell’anziano +++ + ++ +++ -

Nozioni sugli esami diagnostici +++ +++ - + -

Organizzazione sanitaria ++ ++ + + -

Organizzazione aziendale ospedaliera +++ +++ ++ - -

Norme di igiene e profilassi ++ - - +++ -

Metodologie di addestramento on the job - - - - +++

Lingue e culture straniere ++ ++ + - -

+++ molto importante; ++ abbastanza importante; + un po’ importante; - per nulla importante

5. Un confronto fra ruoli e competenze di operatori remunerati e volontari: il caso dei servizi agli immigrati

In molte realtà del terzo settore convivono operatori retribuiti e volontari. In questo paragrafo si vuole analizzare se e in che misura attività e competenze di questi due gruppi differiscono, e ci si baserà sui dati provenienti dall’indagine presso le associazioni che forniscono servizi agli immigrati a Padova e Caserta, descritta nel lavoro di Grassia et al. (2008). Si è già visto come ogni ambito abbia le proprie peculiarità, per cui i risultati presentati in questo paragrafo non hanno la pretesa dell’esaustività, ma illustrano un ambito del terzo settore dove i margini di sviluppo sono conseguenza di continui bisogni emergenti, ai quali spesso fanno fronte i

180 Il ruolo dei volontari del terzo settore: verso una qualificazione professionale?

volontari prima ancora che emergano procedure standardizzate di erogazione dei servizi.

Un quarto dei volontari interpellati ha meno di 25 anni e quasi un terzo oltre 50 anni: si tratta in prevalenza di studenti nel primo caso e di pensionati nel secondo. Rimane però ben il 45% dei volontari in età compresa fra i 26 e i 50 anni, per la gran parte occupati. Questo è un aspetto sicuramente positivo, in quanto la professionalità dei volontari attivi, soprattutto se in posizioni elevate nella vita produttiva, mette le organizzazioni in grado di offrire un servizio più specializzato e forse anche più qualificato (Frisanco, 2002).

Vi sono dunque differenti tipologie di volontari: i giovani, alcuni dei quali, probabilmente, resteranno nel settore e diventeranno operatori remunerati; i pensionati, che prestano il loro tempo libero al volontariato, e infine gli adulti occupati, che mettono a disposizione le loro competenze. Si tratta in quest’ultimo caso prevalentemente di insegnanti, che forniscono supporto allo studio, alfabetizzazione ai bimbi stranieri e doposcuola. Infatti, il livello d’istruzione dei volontari è mediamente alto: il 45% ha una laurea specialistica o di vecchio ordinamento, a fronte del 60% di operatori remunerati con laurea o titoli superiori.

Emerge l’importanza della formazione: il 22% dei volontari ha svolto corsi di formazione professionale obbligatori prima di svolgere l’attività, a fronte del 32% degli operatori, valore sì superiore, ma non così tanto.

Il primo punto su cui soffermiamo l’analisi riguarda le attività dei volontari. Le attività prevalenti sono quelle di sostegno scolastico e formazione (28%), animazione (21%), ascolto e colloqui (18%), sportello e consulenza (18%). In realtà però i volontari svolgono in gran parte le stesse attività degli operatori remunerati, e sono poche le attività svolte in misura significativamente maggiore dagli operatori: accompagnamento ai servizi (20% vs. 3%, p=0.001), mediazione culturale (15% vs. 6%, p=0.057), segreteria e amministrazione (32% vs. 12%, p=0.027) e, parzialmente, programmazione e valutazione (12% vs. 5%, p=0.08).

È invece superiore il numero di attività svolte dagli operatori rispetto ai volontari: il valor medio è 2,7 per gli operatori e di poco inferiore a 2 per i volontari (p<0,0001); ciò è dovuto principalmente al fatto che nessun volontario (a parte un pensionato) presta la sua attività a tempo pieno, a fronte di circa il 50% degli operatori. Una prima analisi dell’importanza delle competenze si basa su un quesito che richiede di ordinare conoscenze, competenze trasversali, competenze tecnico-specialistiche e doti personali assegnando rango 1 alla tipologia più importante e rango 4 alla meno importante (Tab. 3). La prima posizione è attribuita alle doti di personalità, poi le graduatorie di volontari e operatori si modificano: i primi pongono mediamente in seconda posizione le competenze trasversali e in ultima le competenze tecnico-specialistiche,

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 181

i secondi valutano invece le competenze trasversali come le meno importanti. L’unica differenza effettivamente significativa fra volontari e operatori è quella relativa alle competenze tecnico-specialistiche: è d’altra parte da attendersi che gli operatori, assunti con mansioni specifiche, assegnino maggiore importanza alle specificità rispetto ai volontari.

Tabella 3. Rango medio assegnato ai quattro ambiti di competenze da volontari e operatori remunerati (1=competenza più importante, 4=competenza meno importante).

Volontari Operatori retribuiti Differenza significativa*

Doti personali 1,36 1,57 No Competenze trasversali 2,46 2,97 No Conoscenze specialistiche 2,65 2,57 No Competenze tecnico-specialistiche

3,04 2,67 p=0.028

* valutata mediante test sui ranghi di Wilcoxon

In realtà, se sulla base di valutazioni generali fatte dagli intervistati vi è una qualche differenza fra operatori e volontari, basata probabilmente anche sul ruolo che essi ritengono di avere all’interno dell’associazione, approfondendo l’analisi si osserva che le differenze tendono praticamente ad annullarsi. Infatti, se invece di utilizzare il quesito generale si procede col calcolo della valutazione media di ogni ambito di competenze sulla base della valutazione data ad ogni singolo item, si perviene esattamente alla stessa graduatoria per operatori e volontari, che pone in prima posizione, ancora, le doti di personalità, seguite dalle competenze trasversali, le capacità tecnico-specialistiche e, infine, le conoscenze specialistiche. Una volta posti di fronte agli elenchi specifici di competenze, operatori e volontari forniscono giudizi del tutto analoghi. Ciò è confermato dal coefficiente di correlazione di Spearman, pari a 0,91 per le doti di personalità, 0,98 per le competenze trasversali, 0,92 per le conoscenze e 0,95 per le capacità tecnico-specialistiche. In sostanza, basandosi sulle valutazioni di ogni singola competenza, non solo operatori e volontari riportano alla stessa graduatoria per le 4 tipologie di competenze, ma forniscono, all’interno di ognuno dei 4 gruppi, graduatorie delle singole competenze molto simili. Ciò che invece differenzia sistematicamente gli operatori dai volontari sono i livelli medi di utilizzo o importanza delle competenze, sempre più bassi, seppur non di molto, per i volontari. Un tale risultato è conseguenza del minor livello di professionalità chiesto ai volontari rispetto agli operatori.

182 Il ruolo dei volontari del terzo settore: verso una qualificazione professionale?

Uno sguardo, infine, alle competenze più importanti evidenzia la rilevanza delle competenze legate alla gestione dei rapporti interpersonali, sia con gli utenti che con i colleghi (Tab. 4). A parte le ovvie doti di personalità, questo aspetto emerge sia dalle competenze trasversali (si vedano la 1a e la 4a), sia da quelle tecniche (le prime 4), sia dalle conoscenze (2a, 3a e 5a).

Tabella 4. Prime 5 competenze, in ordine di importanza, indicate dai volontari del settore servizi agli immigrati, per ambito di competenza.

Tipo di competenza Doti di personalità

Competenze trasversali

Capacità tecnico-specialistiche

Conoscenze specialistiche

1° Disponibilità Interpersonali, di relazione con gli utenti

Ascoltare e interpretare correttamente i bisogni espliciti o impliciti

Conoscere procedure di erogazione di servizi alla persona

2° Elasticità mentale

Prendere decisioni, gestire situazioni complesse, problem solving

Gestire colloqui Conoscere i costumi e le culture di una società multietnica

3° Pazienza

Pianificare e organizzare praticamente il proprio lavoro.

Motivare, far crescere e dirigere gli utenti

Riconoscere differenze individuali nella personalità.

4° Autocontrollo Lavorare in gruppo/équipe, anche interdisciplinare

Analizzare i comportamenti di un individuo e/o di un gruppo

Conoscere metodi per la valutazione dei bisogni e per la progettazione di interventi socio-educativi

5° Interesse verso la diversità

Reperire e gestire informazioni e dati

Usare appropriatamente attrezzature, strumenti e materiali necessari a svolgere un’attività

Conoscere le tecniche di espressione e di contrapposizione non dialettica, il rapporto tra verbalità e corporeità

6. Importanza della formazione e ruolo dell’università

La formazione rappresenta un punto cardine dell’attività delle associazioni, sebbene sia erogata con modalità e intensità differenti a seconda dei contesti.

Alcune associazioni impostano un percorso formativo strutturato e obbligatorio, indispensabile per svolgere il servizio. Il caso per eccellenza è quello della Croce Verde, che ha una scuola di formazione composta di tre moduli, ognuno dei quali consente di accedere ad un livello di competenza, dal taxi sanitario fino al servizio di emergenza. La scuola di formazione della Croce Verde è addirittura

Profili formativi e bisogno di competenze nel terzo settore 183

certificata ed è rivolta anche all'istruzione degli operatori dipendenti di enti pubblici e privati, aziende.

In ambito sanitario-ospedaliero il ruolo della formazione è anche fondamentale: un percorso formativo a passi lo fa anche l’AVO (Associazione Volontari Ospedalieri), anche se con obiettivi differenti.

In generale, quasi tutte le associazioni prevedono formazione di tipo psicologico, prevalentemente sul dialogo e la relazione d’aiuto, e poi ogni associazione fornisce formazione sulle tematiche specifiche di cui si occupa.

I docenti sono spesso essi stessi volontari. Tutte le associazioni prevedono poi una formazione permanente, che nella

maggior parte dei casi si esplicita come incontri quindicinali o mensili. È un approccio formativo basato sulla condivisione delle competenze; può essere realizzato tra volontari/operatori e l’équipe di esperti, o tra professionalità differenti che discutono sullo stesso caso, o, infine, tra il gruppo e il coordinatore o lo psicologo di sostegno. Questi incontri consentono inoltre di esplicitare i bisogni formativi, che poi, se le risorse lo consentono, sono soddisfatti con corsi ad hoc organizzati volta per volta.

Tutti gli intervistati, indistintamente, sono concordi nell’affermare che la formazione professionalizzante è parte integrante e indispensabile dell’attività dell’organizzazione, mentre il riferimento alla formazione universitaria è scarso.

Non sempre è richiesta una formazione di livello universitario, ma, anche quando lo è, il ricorso all’università è comunque ridotto: “Le nozioni che l’università fornisce sono come i vestiti che mettiamo in valigia, ma non fornisce la valigia!” (dal colloquio con Federica Bruni). Nel terzo settore sono necessarie professionalità con competenze elevate di natura amministrativa, normativa e progettuale (Frisanco, 2006). Una parte rilevante dell’attività consiste nel presentarsi all’ente con un progetto o concordare con esso un progetto condiviso. È perciò necessario conoscere la normativa e avere l’autonomia per formulare proposte. Tali competenze non sono disponibili presso i giovani che vogliono lavorare nel terzo settore. La critica che viene fatta alla formazione universitaria è che non viene insegnato, neppure a livello di master, la realtà del terzo settore nel proprio territorio, quali sono le normative a cui fare riferimento, a livello sia nazionale sia regionale (Leuratti et al., 2004). Il giovane non sa distinguere fra attività pubbliche e private, le attività degli enti e le loro fonti di finanziamento, l’organizzazione della rete degli interventi. Nel terzo settore sono vincenti le competenze trasversali, non quelle specifiche, per cui una formazione universitaria eccessivamente dettagliata non è sempre apprezzata.

Si sente spesso la lamentela che l’università fornisce tante nozioni, ma poche competenze spendibili. Questo aspetto è però particolarmente rilevante nel terzo settore, dove l’attività di costruzione di reti di servizi e di competenze è cruciale.

184 Il ruolo dei volontari del terzo settore: verso una qualificazione professionale?

Per questo motivo spesso le organizzazioni preferiscono organizzare i propri corsi, tarandoli sulle proprie esigenze formative, e attingendo ai singoli docenti universitari o professionisti.

Chiaramente ciò è fattibile nelle grandi realtà, mentre le associazioni più piccole non hanno le risorse. I Centri Servizi Volontariato6, istituiti a livello provinciale, sono un prezioso supporto in questo senso, in quanto organizzano diverse occasioni di formazione per le associazioni, molte improntate sugli aspetti gestionali e amministrativi. Il CSV stanzia anche finanziamenti per le associazioni che vogliono organizzare dei propri corsi.

7. Conclusioni

L’analisi delle competenze utili nel terzo settore è quanto mai complessa, in quanto mediata dalla necessità di forti valori etici, al punto che è talvolta difficile comprendere quando una competenza può essere acquisita con l’esperienza e quando dipende dall’etica della persona.

A maggior ragione l’analisi è complessa nel volontariato, dove non si parla di professioni, ma di professionalità, dove il criterio portante dell’agire è il dono e la professionalità è il mezzo che trasforma l’impegno in utilità.

È d’altra parte impensabile costruire un quadro delle professioni del terzo settore ignorando il volontariato, dato che è quantitativamente rilevante e da esso sono spesso scaturite delle figure di assistenza che poi sono state codificate diventando vere e proprie professioni. Il volontario è più vicino a chi ha bisogno, e per primo coglie le esigenze nuove e cerca soluzioni appropriate. Per questo motivo è proprio dal volontariato che sono spesso maturati nuovi approcci assistenziali.

Dice un responsabile durante l’intervista: “I volontari permettono di avere occhi e orecchie aperte al di là del lavoro con i suoi vincoli organizzativi ed economici. È come avere una porta sempre aperta verso i bisogni delle persone. …

6 I Centri di Servizi per il Volontariato (CSV) sono organismi previsti dall’articolo 15 della Legge 266/91. Sono finanziati in ogni Regione da un fondo speciale alimentato da versamenti di quote obbligatorie da parte di fondazioni bancarie. I fondi sono amministrati da Comitati di Gestione. Il Decreto Ministeriale dell’8 ottobre 1997 specifica alcune delle prestazioni mediante le quali i Centri di Servizio perseguono lo scopo di sostenere e qualificare l’attività di volontariato stabilendo che esse siano erogate sotto forma di servizi. In particolare, secondo la norma, i Centri di Servizio: a) approntano strumenti ed iniziative per la crescita della cultura della solidarietà, la promozione di nuove iniziative di volontariato ed il rafforzamento di quelle esistenti; b) offrono consulenza e assistenza qualificata, nonché strumenti per la progettazione, l’avvio e la realizzazione di specifiche attività; c) assumono iniziative di formazione e qualificazione degli aderenti alle organizzazioni di volontariato; d) offrono notizie, informazioni, documentazioni e dati sulle attività di volontariato.

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senza di loro si sarebbe un po’ più ciechi, non si avrebbe un canale di sollecitazione con una visuale diversa.”

È difficile per un volontario parlare di professionalità e di competenze, ma nelle associazioni con un’organizzazione articolata di fatto le attività dei volontari sono analizzabili anche sotto questo punto di vista, così come si è dimostrato in questo lavoro. È possibile codificare i processi, le attività in essi contenuti e le competenze necessarie, definendo i processi formativi adeguati.

La formazione rappresenta un aspetto fondamentale del percorso del volontario, ma deve essere tarata sulle specificità, per cui l’approccio formativo adottato è composto da iniziative, talvolta molto articolate, all’interno delle associazioni stesse, e di incontri di gruppo per discutere o confrontarsi con esperti. Per questo tipo di formazione i corsi universitari non sono adeguati, ma talvolta si fa ricorso a docenti universitari per alcune attività formative.

Ben diverso è invece il discorso per la formazione dei manager. In questo caso il ruolo dell’università potrebbe essere cruciale, e in effetti vi sono in Italia diversi master per manager del terzo settore, ma gli intervistati hanno mostrato scetticismo e delusione, accusando l’università di fornire nozioni poco spendibili nella realtà quotidiana, dove ciò che conta è riuscire a “fare rete”, è la conoscenza della realtà nel territorio e delle istituzioni, dei sistemi di finanziamento e degli approcci per attingere a tali finanziamenti. Capacità progettuali e gestionali, gestione delle risorse umane in un complesso sistema di convivenza fra operatori retribuiti e volontari sono le competenze richieste. Le complessità per il manager del terzo settore, e a maggior ragione dell’associazione di volontariato, sono elevate, e su questo l’università non è preparata.

Il periodo attuale sembra essere di transizione: molti dei responsabili intervistati sono in procinto di passare il testimone. Si tratta di una fase difficile, perché chi lascia è spesso colui che ha fondato l’associazione o l’ha portata a crescere di dimensioni, fino a farne una grande associazione, che ora necessita di una gestione manageriale scrupolosa e allo stesso tempo rispettosa della sua missione, lontana dalla logica del profitto.

Questa sembra essere la sfida che il sistema formativo deve raccogliere, per cui un’analisi di attività e competenze all’interno dei vari settori, così come illustrata in questo lavoro, può costituire un punto di partenza nella strutturazione di contenuti formativi che l’università può erogare in stretto contatto con realtà quali i Centri Servizi Volontariato.

186 Il ruolo dei volontari del terzo settore: verso una qualificazione professionale?

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The role of volunteers in the third sector: towards a professional qualification?

Summary. The volunteer plays a crucial role in the third sector, but the analysis of his activities and needed competences is almost absent, because the volunteer does not practise a profession. On the contrary, such analysis seems to be important,given that often the voluntary service first cope with emerging needs, and anticipate new professions with innovative approaches. In this paper we show that the activities in the voluntary service can be coded and the competences quantified. Consequently, we can define suitable educational pathways. However, university courses do not fully meet the requirements shown by the coordinators of voluntary organizations: they are full of notions but not really introduced in the institutional and territorial context. Keywords. Volunteer, Key informants, Focus groups, Competences, Vocational training

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