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Collana diretta da Sergio Rinaldi Tufi

Archeologia delle Regioni d’Italia

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Nota degli editori

Quando nel 2012 Sergio Rinaldi Tufi ci fece la proposta di riprendere in mano la collana Archeo-logia delle Regioni d’Italia rimanemmo profondamente interdetti. In primis perché Sergio Rinaldi Tufi (il Professor Sergio Rinaldi Tufi) è un luminare dell’archeologia, da noi conosciuto prima come autore di manuali dei principali corsi di archeologia romana e poi come brillante conferenziere; secondariamente, perché mai avremmo pensato – noi minuscola ma intrepida realtà editoriale – di poter ambire a pubblicare una collana così importante; infine, perché pensavamo di non avere il peso accademico per poter sostenere una tale iniziativa.La costanza di Sergio e la nostra manifesta inclinazione a intraprendere imprese più grandi di noi ci hanno invece portato a questo bel traguardo, in cui un progetto editoriale blasonato, nato con il supporto dell’Istituto Poligrafico dello Stato, a 5 anni dall’uscita di Veneto, riprende con il volume dedicato a Puglia, curato da Giuseppe Ceraudo.Sarebbe ingrato però affermare che ci siamo semplicemente sostituiti al Poligrafico: la grama situazione nazionale infatti non ci consente di progettare ampie tirature, o volumi con confezioni di pregio, e non ci è nemmeno sembrato onesto chiedere agli autori di sostenere in toto lo sforzo eco-nomico necessario per ogni singola uscita. Quello cui miriamo è una proposta sostenibile, che possa riportare in vita Archeologia delle Regioni d’Italia secondo una progettualità credibile nel futuro e scongiurando una nuova interruzione causata dalla mancanza di fondi (problema purtroppo ende-mico nel panorama editoriale archeologico nazionale).Puglia esce quindi, grazie al generoso contributo di Giuseppe Ceraudo e dell’Università del Salen-to, con una tiratura cartacea limitata, acquistabile secondo i canali tradizionali della diffusione libraria (librerie, distributori, portali internet), ma anche con la disponibilità sul web, in versione digitale, per la lettura a schermo o negli e-book reader.Non solo. Per consentire la più ampia diffusione possibile dei contenuti (cosa che rappresenta il vero compito etico dell’editore), pur nella tutela della proprietà intellettuale degli autori e di chi ha acquistato a proprie spese una copia del volume, Puglia sarà disponibile, con il testo integrale ma senza il corredo di immagini, liberamente scaricabile dal web.

Tutte queste parole sarebbero però lettera vana senza il prezioso contributo del Direttore della collana, Sergio Rinaldi Tufi, cui va il nostro più sincero ringraziamento per la fiducia e l’appoggio accordatoci.E parimenti sentito è il ringraziamento a Giuseppe Ceraudo, curatore del presente volume, e alla sua numerosa équipe, che vogliamo qui citare al completo: Antonio Agrimi, Cristiano Alfonso, Gio-vina Caldarola, Laura Castrianni, Giovanna Cera, Simonetta Ceraudo, Fiorella De Luca, Rossana De Giuseppe, Rachele Del Monte, Valentino Desantis, Veronica Ferrari, Patrizia Gentile, Patrizia Guastella, Sabrina Landriscina, Erminia Lapadula, Roberta Marra, Claudio Martino, Alfio Meri-co, Pasquale Merola, Chiara Morciano, Mario Parise, Veronica Randino, Mariangela Sammarco, Giuseppe Scardozzi, Olga Scarponi, Adriana Valchera, giovani studiosi legati al Laboratorio di Topografia Antica e Fotogrammetria del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento di Lecce.

E infine un ringraziamento a tutti i lettori, perché, come è giusto che sia, l’editore è al loro servizio.

Julian Bogdani ed Erika VecchiettiBraDypUS

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Puglia

Archeologia delle Regioni d’Italia

Giuseppe Ceraudo (a cura di)

con i contributidi

Antonio Agrimi, Cristiano Alfonso, Giovina Caldarola,Laura Castrianni, Giovanna Cera, Giuseppe Ceraudo,

Simonetta Ceraudo, Fiorella De Luca, Rossana De Giuseppe,Rachele Del Monte, Valentino Desantis, Veronica Ferrari,Patrizia Gentile, Patrizia Guastella, Sabrina Landriscina,

Erminia Lapadula, Roberta Marra, Claudio Martino, Alfio Merico,Pasquale Merola, Chiara Morciano, Mario Parise, Veronica Randino,

Mariangela Sammarco, Giuseppe Scardozzi, Olga Scarponi,Adriana Valchera

BOLOGNA 2014

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ISSN: 2037-8300 ISBN: 978-88-98392-04-9

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2014 BraDypUS Editorevia Aristotile Fioravanti, 7240129 BolognaCF e P.IVA 02864631201http://bradypus.nethttp://[email protected]

In copertina: Rocavecchia. Immagine aerea obliqua del promontorio costiero. Sulla destra, l’andamento semilunato delle fortificazioni del Bronzo Medio; al centro, in evidenza, l’area degli scavi recenti (foto A. Rizzo, Archivio LabTAF)

A.A. Antonio AgrimiA.M. Alfio MericoA.V. Adriana ValcheraC.A. Cristiano AlfonsoCh.M. Chiara MorcianoC.M. Claudio MartinoE.L. Erminia LapadulaF.DeL. Fiorella De LucaG.C. Giuseppe CeraudoG.CAL. Giovina CaldarolaG.CerA Giovanna CeraG.S. Giuseppe ScardozziL.C. Laura CastrianniM.P. Mario Parise

M.S. Mariangela SammarcoO.S. Olga ScarponiP.Gen. Patrizia GentileP.GuA. Patrizia GuastellaP.M. Pasquale MerolaR.DeG. Rossana De GiuseppeR.DeLM. Rachele Del MonteR.M. Roberta MarraS.C. Simonetta CeraudoS.L. Sabrina LandriscinaV.D. Valentino DesantisV.F. Veronica FerrariV.R. Veronica Randino

Elenco delle iniziali degli Autori

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PresentAzione(serGiorinALDituFi).......................................

i.introDuzione(GiusePPeCerAuDo)........................................

ii.AMbienteePAesAGGio...............................................II.1. Geografia ..................................................II.2. Geologia e geomorfologia .....................................II.3. Il sistema idrografico pugliese .................................II.4. Condizioni climatiche .........................................

iii.QuADrostoriCo.DALLeoriGiniLeGGenDArieALMeDioevo.................III.1. Tradizione mitica e origini leggendarie .........................III.2. La fondazione di Taranto ....................................III.3. L’espansionismo di Taranto e l’ellenizzazione della Puglia ..........III.4. La Puglia e il mondo romano .................................III.5. La Puglia romana in età repubblicana e imperiale ................III.6. Tra Tardoantico e Altomedioevo ................................III.7. Bizantini, Saraceni e Longobardi ..............................III.8. Normanni e Svevi ...........................................

iv.PreistoriAeProtostoriA...........................................IV.1. Puglia settentrionale ........................................IV.2. Puglia centrale ........................................... .IV.3. Popolamento e insediamenti del tarantino ......................IV.4. Salento ........................................... . . . . . . . .IV.5. Insediamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

IV.5.1. Grotta Paglicci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IV.5.2. Coppa Nevigata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IV.5.3. Passo di Corvo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IV.5.4. Saturo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .IV.5.5. Torre Castelluccia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

INDICE

Pag.Xi

» 13

» 21» 21» 21» 25» 27

» 29» 29» 32» 33» 36» 38» 41» 42» 43

» 45» 51» 59» 64» 68» 75» 75 » 77 » 79» 82» 84

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IV Puglia

IV.5.6. Rocavecchia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IV.5.7. Grotta dei Cervi a Porto Badisco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

v.etàGreCA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . V.1. Taranto e le popolazioni indigene della Puglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . V.2. Città e territorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

V.2.1. Centri della Daunia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tiati-Teanum Apulum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Arpi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Salapia-Salpia Vetus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ascoli Satriano-Ausculum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Canne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Barletta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

V.2.2. Centri della Peucezia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ruvo di Puglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ceglie del Campo-Caelia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rutigliano-Azetium . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Conversano-Norba . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gravina di Puglia-Silvium . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Altamura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Monte Sannace-Thurie (?) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

V.2.3. Taranto e i centri della Messapia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Taranto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Li Castelli-Fellinum (?) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Manduria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Oria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Ostuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . San Vito dei Normanni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Muro Tenente-Scamnum (?) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valesio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Cavallino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Muro Leccese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vaste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ugento e Torre San Giovanni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

VI. etàroMAnA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VI.1. Elementi di organizzazione del territorio: la centuriazione . . . . . . . . . .

VI.1.1. L’Apulia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .VI.1.2. La Calabria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VI.1.3. Taranto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .VI.1.4. La penisola salentina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

VI.2. Viabilità e infrastrutture viarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

» 86 » 87

» 91» 95» 101 » 122» 122 » 125 » 128» 132» 135» 138» 142 » 142» 147» 151» 153» 155» 158» 161» 163» 167» 167» 178» 182» 188» 190» 195» 198» 200» 202» 207» 210» 213

» 219» 219 » 220» 227 » 228» 229 » 232

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Indice V

VI.3. Porti e approdi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VI.4. Assetti urbanistici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VI.5. Le città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Aecae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Herdonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Luceria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Salapia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sipontum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Vibinum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Canusium . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Egnatia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Brundisium . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lupiae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rudiae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

VII. DALL’etàtArDoAntiCAALbAssoMeDioevo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VII.1. Le riforme di Diocleziano e Costantino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VII.2. Il territorio in età tardoantica: città, vici, villae, fattorie . . . . . . . . . . . VII.3. Il nuovo assetto produttivo e commerciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .VII.4. Il ruolo della Chiesa: diocesi urbane, diocesi rurali, santuari e fiere . .VII.5. La disintegrazione dell’Occidente e il V secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . VII.6. La stagione ostrogota. La riconquista dell’Italia e la fine

della Tarda Antichità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VII.7. L’invasione longobarda e il nuovo assetto politico . . . . . . . . . . . . . . . . VII.8. Il territorio in età bizantina: forme insediative ed aspetti economici . . VII.9. La lenta crescita: ripresa demografica, villaggi e choria, i Saraceni . . VII.10. Un nuovo ordine di fine millennio: la ripresa del mercato . . . . . . . . . .VII.11. Normanni e unificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VII.12. Il fenomeno rupestre medievale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VII.13. Insediamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Monte Sant’Angelo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Castel Fiorentino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Siponto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lucera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . San Giusto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Troia-Aecae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ordona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Faragola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Canosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Trani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Castel del Monte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

» 248» 271» 280 » 280 » 283» 288» 292» 294 » 297» 300» 303» 309» 314» 319

» 325» 325» 326» 327» 329» 332

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» 350» 352» 353» 355» 357» 358

» 360» 362» 364» 367» 369» 371

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VI Puglia

Egnazia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Otranto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le Centoporte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Casaranello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

VIII. MuseiArCheoLoGiCi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VIII.1. Provincia di Foggia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Ascoli Satriano, Museo Civico Archeologico “P. Rosario” . . . . . Bovino, Museo Civico “C.G. Nicastro” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Foggia, Museo Civico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lucera, Museo Civico “G. Fiorelli” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Manfredonia, Museo Archeologico Nazionale del Gargano . . . . .Mattinata, Museo Civico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rignano Garganico, Museo Archeologico di Paglicci . . . . . . . . . San Paolo di Civitate, Museo Civico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . San Severo, Museo dell’Alto Tavoliere (MAT) . . . . . . . . . . . . . . . Troia, Museo Civico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vico del Gargano, Museo Civico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vieste, Museo Civico Archeologico “M. Petrone” . . . . . . . . . . . .

VIII.2. Provincia di BAT (Barletta, Andria, Trani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Barletta, Polo Museale e Pinacoteca “G. De Nittis” . . . . . . . . . . Bisceglie, Museo Civico Archeologico “F. Saverio Majellaro” . . Canosa di Puglia, Museo Civico Archeologico . . . . . . . . . . . . . . .San Ferdinando di Puglia, Museo Civico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Trani, Museo Diocesano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Trinitapoli, Museo Archeologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

VIII.3. Provincia di Bari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Altamura, Museo Archeologico Nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bari, Museo Archeologico Provinciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bitonto, Museo Civico “G.D. Rogadeo” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Museo Archeologico della Fondazione De Palo-Ungaro . . . .Canne della Battaglia, Antiquarium di Canne . . . . . . . . . . . . . . . Conversano, Museo Civico Archeologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Gioia del Colle, Museo Archeologico Nazionale . . . . . . . . . . . . . Gravina di Puglia, Museo della Fondazione

“E. Pomarici Santomasi” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Molfetta, Museo Archeologico e Pinacoteca “A. Salvucci” . . . . .Monopoli, Collezione “L. Meo-Evoli” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Polignano a Mare, Centro Museo Laboratorio di Paletnologia . . . Putignano, Museo Civico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rutigliano, Museo Civico Archeologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ruvo di Puglia, Museo Archeologico Nazionale “Jatta” . . . . . . .

» 372» 374» 378 » 379

» 381» 381» 381 » 382» 382» 384» 385» 385» 386

» 386» 387» 388» 388» 388» 389» 389» 390

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Indice VII

VIII.4. Provincia di Taranto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Grottaglie, Museo delle Ceramiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Manduria, Mostra permanente “Oltre le mura” . . . . . . . . . . . . . .Taranto, MARTA - Museo Nazionale Archeologico di Taranto . . .

VIII.5. ProvinCiADibrinDisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Brindisi, Museo Archeologico Provinciale “F. Ribezzo” . . . . . . . Fasano, Museo Nazionale di Egnazia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Latiano, Casa-Museo “Ribrezzi-Petrosillo” . . . . . . . . . . . . . . . . Mesagne, Museo Civico Archeologico “U. Granafei” . . . . . . . . . Oria, Centro di Documentazione Messapica . . . . . . . . . . . . . . . . .Ostuni, Museo delle Civiltà Preclassiche della

Murgia Meridionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .VIII.6. ProvinCiADiLeCCe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Alezio, Museo Civico Messapico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cutrofiano, Museo Comunale della Ceramica . . . . . . . . . . . . . . . Parco dei Fossili e Museo Malacologico delle Argille . . . . . Gallipoli, Museo Civico “E. Barba” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lecce, Museo Provinciale “S. Castromediano” . . . . . . . . . . . . . . Museo del Teatro romano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Maglie, Museo di Paleontologia e Paletnologia

“D. De Lorentiis” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Poggiardo, Museo degli Affreschi della Cripta di

Santa Maria degli Angeli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Museo della Civiltà Messapica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ugento, Sistema museale della città di Ugento . . . . . . . . . . . . . . . Nuovo Museo Archeologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Collezione “A. Colosso” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

IX. PrinCiPALiAreeeMonuMentiDiinteresseArCheoLoGiCo . . . . . . . . . . . . . . . . . IX.1. Provincia di Foggia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Ascoli Satriano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parco Archeologico dei Dauni “P. Rosario” . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica di Faragola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bovino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Acquedotto romano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Foggia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ipogeo della Medusa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parco Archeologico Passo di Corvo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ischitella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica di Monte Civita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lucera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Anfiteatro romano augusteo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Manfredonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parco Archeologico di Siponto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

» 404» 404 » 404 » 405» 406» 406» 407» 408» 409» 409

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VIII Puglia

Mattinata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parco Archeologico di Monte Saraceno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Villa romana di Agnuli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Monte Sant’Angelo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Abbazia di Santa Maria di Pulsano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ordona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parco Archeologico di Herdonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Peschici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica di Punta Manaccora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rignano Garganico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Grotta Pagliacci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . San Nicandro Garganico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parco Archeologico e Ambientale di Monte d’Elio . . . . . . . . . . . . Vico del Gargano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Necropoli di Monte Tabor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Necropoli di Monte Pucci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vieste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parco Naturalistico-Archeologico La Salata . . . . . . . . . . . . . . . . Villa romana di Santa Maria di Merino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

IX.2. Provincia di BAT (Barletta-Andria-Trani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Andria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Castel del Monte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Barletta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Colosso di Barletta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Area Archeologica e Antiquarium di Canne della Battaglia . . . . . . Bisceglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dolmen dei Paladini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dolmen di Bisceglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dolmen della Chianca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Canosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ipogeo del Cerbero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ipogeo dell’Oplita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Complesso degli Ipogei Lagrasta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ipogeo Monterisi-Rossignoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ipogeo Scocchera A e Ipogeo Scocchera B . . . . . . . . . . . . . . . . . .Ipogeo Varrese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Terme Lomuscio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica di San Giovanni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Basilica di San Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tempio di Giove Toro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tempio Italico e basilica di San Leucio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ponte romano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mausoleo Bagnoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Mausoleo Barbarossa (detto anche Mausoleo di Zosimo) . . . . . .

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Indice IX

Torre Casieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Arco Traiano (detto anche di Varrone) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . San Ferdinando di Puglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica degli Ipogei di Terra di Corte . . . . . . . . . . . . Trinitapoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Parco Archeologico degli Ipogei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

IX.3. Provincia di Bari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Corato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dolmen la Chianca dei Paladini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gioia del Colle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parco Archeologico di Monte Sannace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giovinazzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dolmen di San Silvestro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Modugno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica di Balsignano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Molfetta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pulo di Molfetta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

IX.4. Provincia di Taranto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Crispiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica di Masseria L’Amastuola . . . . . . . . . . . . . . . . Leporano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parco Archeologico di Saturo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Manduria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parco Archeologico delle Mura Messapiche . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica di Li Castelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Massafra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Cripte rupestri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Palagiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica di Parete Pinto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Taranto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Necropoli magnogreca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tomba a camera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tempio dorico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Necropoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tomba a camera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cinta difensiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cinta difensiva e area di necropoli, loc. Collepasso . . . . . . . . . . . .Cinta difensiva e area di necropoli, loc. Solito-Corvisea . . . . . . . . Statte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Acquedotto romano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

IX.5. Provincia di Brindisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Brindisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Colonne terminali della via Appia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rione San Pietro degli Schiavoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

» 429» 429» 429 » 429» 429» 429» 430 » 430» 430» 430» 430» 430 » 430» 431» 431

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X Puglia

Carovigno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica di Torre Guaceto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fasano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica e Antiquarium di Egnazia . . . . . . . . . . . . . . .Ostuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Parco Archeologico di Santa Maria di Agnano . . . . . . . . . . . . . . San Donaci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica di San Miserino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . San Vito dei Normanni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Museo Diffuso del Castello d’Alceste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Torre Santa Susanna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiesa e Area Archeologica di Santa Maria di Crepacore . . . . . .

IX.6. Provincia di Lecce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cavallino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Museo Diffuso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lecce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Anfiteatro romano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Teatro romano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Parco Archeologico di Rudiae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Melendugno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica di Rocavecchia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Montesardo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tratti di mura messapiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Muro Leccese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parco Archeologico di Località Cunella, Palombara e Sitrie . . . . Patù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area Archeologica di Vereto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Poggiardo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Parco Archeologico dei Guerrieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiesa paleocristiana dei Santi Stefani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ugento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Parco Archeologico Diffuso di Ugento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vernole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ecomuseo dei Paesaggi di Pietra di Acquarica di Lecce . . . . . . .

AbbreviAzionibibLioGrAFiChe. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

reFerenzeiConoGrAFiChe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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L’amico Giuseppe Ceraudo e i suoi numerosi e bravissimi collaboratori mi perdoneranno se in questa presentazione non mi soffermerò sui tesori dell’archeologia della Puglia (e non solo i tesori: i siti, le storie, le testimonianze della vita quotidiana) né sulla qualità del loro lavoro, che del resto risulteranno evidenti a chiunque sfogli, o esamini a fondo, queste 552 pagine, in un tripudio, fra l’altro, di antiche e nuove foto aeree di inconsueto splendore. Avverto l’esigenza, invece, di aggiornare i lettori sulle vicende di questa collana.

Collana che si era avviata con l’Istituto Poligrafico dello Stato, grazie alla collaborazione con Antonio Licordari e Pier Giorgio Monti e con il direttore della funzione editoriale Franco Cosimini. Erano usciti cinque volumi: Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Lazio settentriona-le e Sabina, Umbria. Nell’introduzione al primo di essi, Emilia Romagna, si erano delineate le linee programmatiche della serie: qui sotto è riprodotto uno stralcio.

Il Poligrafico però, in seguito a una decisione dei dirigenti subentrati a Cosimini e a Licor-dari, ha da tempo interrotto la pubblicazione di questa, come di molte altre collane, anche più antiche e radicate: decisione che evidentemente mi è dispiaciuta, ma che non vorrei qui discu-tere, anche in considerazione dell’estrema correttezza che il Poligrafico stesso (anche nel mo-mento del distacco) ha sempre mantenuto nei miei confronti, cedendomi, fra l’altro, tutti i diritti.

Di questi diritti ho approfittato per guardarmi intorno: espressione un po’ abusata, e forse an-che inadeguata in una fase in cui da guardare c’è ben poco. Le difficoltà dell’economia nel suo in-sieme, e quelle del mondo dei libri in particolare, non sembravano rendere agevole l’individuazio-ne di un nuovo editore. L’esplorazione quindi si è protratta a lungo, finché BraDypUS ha accettato la sfida: espressione anch’essa abusata, ma ben più adeguata a dare un’idea del clima che viviamo. Il percorso che BraDypUS intende seguire viene qui illustrato da Erika Vecchietti e Julian Bogda-ni, a cui vanno i miei più affettuosi ringraziamenti non solo per aver intrapreso questo cammino, ma per aver accompagnato Puglia verso la sua veste definitiva con grande competenza scientifica e tecnologica e, perché no, con grande calore e simpatia; pure da ringraziare di cuore è Michelle Beghelli, una giovane studiosa che con BraDypUS aveva collaborato, e che ha favorito il contatto.

Il tempo trascorso rispetto a Emilia Romagna però non è poco, e si è prodotta qualche nuova situazione con cui non si può non fare i conti. Molti degli autori a cui si era pensato in prima istan-za, dopo la lunga interruzione, avevano evidentemente maturato altri progetti personali e non han-no risposto (né, perciò, rinnovato la loro disponibilità) quando sono stati avvertiti che il progetto ripartiva. Al tempo stesso, è emerso in maniera più netta il problema – come dire – della “copertura istituzionale”. Un progetto editoriale come il nostro non può fare a meno di un rapporto con le sedi culturali ufficiali: se il Poligrafico era esso stesso un’istituzione, la sua uscita di scena ha determi-

PresentAzione

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PresentazioneXII

nato la necessità di nuove alleanze. Certo, già per quei primi cinque volumi (e anche per questo sulla Puglia, che era già stato impostato prima dell’interruzione) si era tenuto ovviamente conto, nella scelta dagli autori, del mondo dell’Università e degli Enti preposti alla tutela, ma ora, mutato il quadro, il rapporto va perseguito in maniera ancor più organica e costante. Il tempo e le oppor-tunità per questo tipo di assestamento non mancano, perché, almeno per il momento, si pensa di far uscire un volume ogni anno, e quindi si schiude davanti a noi un periodo operativo non breve.

STRALCIO DALL’INTRODUZIONE DEL 1° VOLUME EDITO DAL POLIGRAFICOArcheologia delle Regioni d’Italia. “Sarà una buona idea?” mi domandavo mentre mi ac-

cingevo a proporre questa collana agli amici del Poligrafico (Franco Cosimini, Antonio Licor-dari e Pier Giorgi Monti). Non ero convintissimo che fosse un’idea particolarmente originale; con lo stesso titolo, Sabatino Moscati aveva pubblicato molti anni fa un’inchiesta a puntate sul Corriere della sera, poi raccolte in volume. Nessuno però (e di questo prendevamo tutti atto con una certa sorpresa) aveva mai pensato a una vera e propria serie di volumi. Tanto valeva – con-cludemmo, via via più fiduciosi – che ci pensassimo noi.

E così l’iniziativa prese corpo. La scelta ci sembrava giusta: per scandire e articolare una collana che si propone di illustrare il patrimonio archeologico del nostro Paese, le Regioni costituiscono l’unità territoriale più appropriata, sia per la loro dimensione, sia per il fatto che la loro delimitazione e fisionomia sono state determinate da processi storici complessi, talvol-ta faticosi o perfino drammatici, ma sempre rispondenti a una logica individuabile. Eravamo anche d’accordo che il taglio da dare ai volumi non fosse quello della guida, ma quello della discussione complessiva, e il più possibile organica, dei temi e problemi, con una “scaletta” (o divisione in capitoli) tendenzialmente costante. La funzione di guida sarebbe stata in qualche modo recuperata, in ognuno dei volumi stessi, da una lista ragionata dei siti notevoli e dei musei.

AVVERTENZAL’esigenza di una scaletta costante si pone anche per Puglia e per i volumi futuri. Fra gli

altri criteri scelti per una sua articolazione, si tiene conto ovviamente delle fasi cronologiche: per esempio età greca, età romana ecc. Per quanto riguarda, in particolare, il fenomeno urbano, ogni città viene collocata nel periodo di prima importante fioritura; una volta presa in considerazione, la si “narra” in un racconto unitario, senza frazionare l’esposizione nei capitoli successivi.

QUADRO DEI VOLUMI PUBBLICATI E DA PUBBLICARE Volumi già usciti (editi dal Poligrafico): Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Umbria,

Lazio settentrionale e Sabina. Volume attualmente disponibile: Puglia. Volumi in preparazione: Molise, Marche. A seguire (l’ordine di uscita è indicativo): Roma I (area centrale), Roma II (su-burbio, Ostia, Villa Adriana), Lazio meridionale (a completamento del quadro del Lazio, regione a cui sono quindi eccezionalmente dedicati, compreso quello già uscito, quattro volumi), Campania, Area Vesuviana (anche alla Campania è dedicato quindi più di un volume), Basilicata, Calabria, Sicilia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Toscana, Liguria, Piemonte, Sardegna.

serGiorinALDituFi

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La Puglia, priva di limiti geografici naturali ben definiti, con il suo paesaggio pianeg-giante e generalmente uniforme, risulta un’appendice quasi del tutto estranea al resto della penisola italiana. Il fiume Fortore la separa dal Molise, l’Appennino Dauno dalla Campania, mentre non definibile geograficamente è il confine con la Basilicata, addossato a ovest all’Al-topiano delle Murge.

Rappresenta la regione italiana più estesa in lunghezza, circa 348 km (grosso modo la distanza tra Torino e Venezia), e con i suoi 784 km di sviluppo costiero è la regione che vanta la maggior misura di confini marittimi. Per questi motivi si può sicuramente affermare che la regione è figlia della sua geografia.

La Puglia non è una regione omogenea né dal punto di vista morfologico e geografico, né dal punto di vista storico-culturale: per molto tempo, infatti, non si è parlato di Puglia, ma di Puglie, a testimonianza dei diversi aspetti che caratterizzano questa terra.

Le forme del paesaggio sono variabili e costituiscono un panorama geografico articolato in diverse regioni naturali (fig. 1.1): l’Appennino Dauno, il Promontorio del Gargano, il Tavoliere,

i.introDuzione

Unde si Parcae prohibent iniquae, dulce pellitis ovibus Galaesi

flumen et regnata petam Laconi rura Phalantho.

Ille terrarum mihi praeter omnis angulus ridet, ubi non Hymetto mella decedunt viridique certat

baca Venafro, ver ubi longum tepidasque praebet

Iuppiter brumas et amicus Aulon fertili Baccho minimum Falernis

invidet uvis.

(horAt., Odi II, 6, 9-20)

Andrò alle dolci correnti del Galeso dove scendono greggi dai pregiati velli,

tra i campi dove regnò Falanto Spartano: un angolo di terra è quello più di ogni altro a me ridente,

che produce miele buono non meno dell’Imetto e olive verdi con la sannitica Venafro in gara:

ivi offre il cielo lunga la primavera e tiepido l’inverno

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Introduzione14

le Murge, la Penisola Salentina e l’Anfiteatro Tarantino (v. Cap. II). Zone decisamente caratterizzate dal punto di vista ambientale, segnate da una storia antichissima che hanno determinato la presenza di regioni differenti all’interno di un’unica grande regione.

I versi del poeta Silio Italico (VIII, 574) «[...] quo desinit Itala tellus» stanno a indicare che anche anticamente era conside-rata l’estrema propaggine della Penisola. La regione apula aveva una sua dimensione geo-grafica distinta dall’Italìa, perché regione abi-tata da un popolo unitariamente denominato Iapyges; si deve tener presente, tuttavia, la differenza tra il nome della regione intera, la Penisola Iapigia (dalla linea Taranto-Brindisi verso sud fino a Leuca) e il Promontorio Ia-pigio (il Capo di Santa Maria di Leuca, akra Iapygias) (fig. 1.2).

1.1. Le regioni naturali della Puglia.

1.2. Il Capo di Santa Maria di Leuca (anno 1968), Promontorio Ia-pigio, akra Iapygias.

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Capitolo I 15

La Puglia, quindi, spicca per la sua posizione geografica protesa verso l’Orien-te, immersa nello Ionio, tesa verso le coste albanesi, naturale ponte tra le due sponde del Mare Adriatico. L’immagine della Pu-glia come “porta d’Italia” o come “cerniera fra Occidente e Oriente” permette di com-prendere in pieno questa sua peculiare ca-ratteristica di “terra di confine”.

Il nome ha un’etimologia non del tut-to sicura. Secondo quanto ci hanno traman-dato diversi storici antichi, tutti i popoli che abitavano la Puglia, dal Garga no al Salen-to, erano Iapigi, pur essendo separati in tre grandi gruppi che venivano a costituire tre unità cantonali ben distinte: da nord verso sud troviamo i Dauni, quindi i Peucezi, e infine i Messapi. Ai Dauni spettava la re-gione situata tra il Frento (fiume Fortore) e l’Aufidus (fiume Ofanto), comprendente il Gargano (fig. 1.3), il Tavoliere, le aree gra-vitanti sul medio corso dell’Ofanto (pro-babilmente anche parte della pianura alla destra del fiume, forse fino a Ruvo) e l’alta valle del Bradano (il Melfese, questa oggi in Basili-cata). I Peuceti occupavano la parte centrale dell’odierna Puglia, caratterizzata dalle Murge Ba-resi (fig. 1.4) fino alla linea ideale che univa Egnatia (Fasano) sulla costa adriatica a Ge-nusia (Ginosa) a ovest di Taranto. Da questa linea di confine fino al Capo di Leuca abi-tavano i Messapi (fig. 1.5).

Esistevano an-che altri nomi per indicare particolari gruppi di Iapigi: i Peu-ceti erano anche detti Pediculi; nel Salento, chiamato con nome greco Messapia, cioè la terra tra i due mari,

1.3. Il Gargano nella rappresentazione cartografica di Egnazio Danti (sec. XVI), Galleria delle Carte Geografiche presso i Palazzi Vaticani a Roma.

1.4. I trulli di Alberobello (anno 1964).

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Introduzione16

“che sta in mezzo”, erano localizzati i Calabri (il toponimo Calabria, nel corso del VII secolo durante il dominio bizantino, è passato per curiosa trasposizione all’altra e maggiore penisola italiana), termine usato dai tarantini per le popolazioni indigene stanziate pres so i confini del loro territorio; infine, presso la punta meridio nale della penisola, abitavano i Sallentini.

La parte più settentrionale della Puglia, nel IV sec. a.C., al tempo della pressione sanni tica nell’area, doveva essere indicata col nome locale di Iapudia, trasformato dai Sanniti in Apudia e, quindi, in Apulia, con il tipico mutamento dell’osco dalla d alla l. Da qui il termine Apulia si sarebbe esteso verso sud, interessando l’intera Peucezia, mentre nel Salento il nome oscizzato della regione sembra non aver mai sostituito quello indigeno gre cizzato, e poi latino, di Iapygia. Questo diverso uso dei termi ni geografici doveva persistere, almeno per una parte, ancora in età augustea, allorché una regione amministrativa fu istituita uffi cialmente con il doppio termine di “Apulia et Calabria”, anche se allora a quella “Regio secunda”, corrispondente alla moderna regione Puglia, appartenevano anche porzioni territoriali del Molise, della Campania e della Basilicata. È nel lungo periodo che va dalla fine del I sec. a.C. al VI sec. d.C. che si è avviato quel processo di concretizzazione di un’identità regionale che si materializzerà definitivamente soltanto molti secoli più tardi.

Pressoché dimenticato nei primi secoli del medioevo, il nome Puglia riappare politica-mente nell’XI secolo, sotto la dominazione normanna con la Contea di Puglia (1042), anche se

1.5. Il Golfo di Taranto e la Terra d’Otranto nella carta geografica disegnata da Giovanni Antonio Magini e tratta dall’Atlante edito da Fabio Magini a Bologna nel 1620.

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Capitolo I 17

con gli Angioini e gli Arago-nesi esso torna a perdere si-gnificato istituzionale (figg. 1.6-8). Il territorio venne diviso in tre distinte circo-scrizioni: Capitanata, Terra di Bari e Terra d’Otranto rispettivamente a nord, al centro e a sud della regione (fig. 1.9).

Sostanzialmente tale suddivisione amministrati-va in tre province – Foggia (fig. 1.10), Bari (fig. 1.11) e Lecce (fig. 1.12) – rimase fin dopo l’Unità d’Italia, quan-do nel 1923 si aggiunse la quarta provincia di Taranto (fig. 1.14), mentre nel 1927 la quinta, quella di Brindi-si (fig. 1.13), in entrambi i casi con territori staccati alle province di Bari e di Lecce. Appunto con l’Unità d’Italia il nome Puglia tornò d’uso corrente, sancito ufficial-mente dalla Costituzione re-pubblicana nel 1947.

Recentissima (2004; prima elezione del Consiglio nel 2009) è la costituzione della provincia di “BAT” (Barletta, Andria e Trani). A queste realtà (e cioè, da nord a sud, Foggia, BAT, Bari, Taranto, Brindisi, Lecce) il nostro volume farà riferi-mento, soprattutto nei capp. VIII e IX.

1.6. Una suggestiva immagine del faro Capo d’Otranto, edificio ottocentesco costruito su Punta Palascìa, il promontorio più orientale d’Italia.

1.7. La Torre dell’Alto sorge su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare, nell’area del Parco Naturale di Porto Selvaggio e Palude del Capitano. L’edificio fu costruito nella se-conda metà del XVI secolo con funzioni difensive, parte di un complesso sistema di controllo delle coste della penisola salentina realizzato durante la dominazione spagnola.

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Introduzione18

Il volume stesso è il frutto del lavoro, coordinato, di giovani studiosi afferenti, a vario titolo, al Laboratorio di Topografia Antica e Fo-togrammetria presso il Di-partimento di Beni Culturali dell’Università del Salento di Lecce, che oltre a scrivere i loro contributi hanno svol-to un paziente e meticoloso lavoro di redazione.

È quindi doveroso rin-graziare per la loro opera, in ordine alfabetico: Antonio Agrimi, Cristiano Alfonso, Giovina Caldarola, Laura Castrianni, Giovanna Cera, Simonetta Ceraudo, Fiorella De Luca, Rossana De Giu-seppe, Rachele Del Monte, Valentino Desantis, Veroni-ca Ferrari, Patrizia Gentile, Patrizia Guastella, Sabrina Landriscina, Erminia Lapa-dula, Roberta Marra, Clau-dio Martino, Alfio Merico, Pasquale Merola, Chiara Morciano, Mario Parise, Ve-ronica Randino, Mariangela Sammarco, Giuseppe Scar-dozzi, Olga Scarponi, Adria-na Valchera.

GiusePPeCerAuDo

1.8. Un settore della costa adriatica salentina, a sud di Otranto. In primo piano la cinque-centesca Torre di Minervino.

1.9. Otranto. Il castello e il centro storico.

1.10. Foggia (anno 1953). In primo piano il Palazzo di Città.

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Capitolo I 19

1.11. Bari. Particolare della città vecchia.

1.12. Lecce. Il centro storico.

1.13. Brindisi. Veduta panoramica della città e del porto.

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Introduzione20

1.14. Taranto. Palazzo del Governo e il Lungomare.

1.15. Foto aerea che ritrae uno scorcio del tipico paesaggio pugliese.

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II.1. GeografiaLa Puglia, con una superficie di 19.357

kmq e un perimetro di 1.262 km, di cui ben 784 km di costa, risulta essere la regione d’Italia più estesa in lunghezza: circa 348 km.

Secondo la ripartizione altimetrica del territorio, più del 50% della regione è da con-siderarsi zona di pianura, il 45% collinare e solamente l’1,5% montuoso. Il Mare Adriati-co e il Mare Ionio costituiscono i confini na-turali, rispettivamente, a est e a sud, mentre essa confina a nord con il Molise e a ovest con Campania e Basilicata.

Regione amministrativa dell’Italia me-ridionale, la Puglia comprende le province di Bari, BAT (Barletta-Andria-Trani), Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto; capoluogo regiona-le è Bari; dipende amministrativamente dalla Puglia l’arcipelago delle Tremiti, compreso nella provincia di Foggia.

La regione, che conta 4.078.600 abitanti, è tra le più popolose d’Italia; anche la densità del-la popolazione è superiore alla media nazionale (211 abitanti per kmq contro una media di 190).

L’attuale termine Puglia, che deriva dal nome latino Apulia, scomparve per un periodo dall’uso amministrativo; dopo l’Unità d’Italia la regione venne infatti chiamata “Puglie” e solo nel censimento del 1921 venne ufficialmente adottata la forma al singolare.

II.2. Geologia e geomorfologiaLa regione Puglia è contraddistinta dalla presenza di tre differenti elementi strutturali: la

Catena Appenninica, l’Avanfossa Bradanica e l’Avampaese Pugliese. Questi elementi, unita-mente ai processi geologici che hanno contrassegnato l’evoluzione del territorio, conferiscono al paesaggio pugliese una notevole variabilità, delineando un panorama geografico eterogeneo

ii.AMbienteePAesAGGio

2.1. Schema geologico della Puglia, con indicazione delle principa-li sub-regioni geografiche. Legenda: 1) coperture clastiche recenti (Pliocene-Pleistocene); 2) rocce carbonatiche bioclastiche (Paleo-gene) e calcareniti (Miocene); 3) rocce di piattaforma carbonatica (Giurassico superiore-Cretaceo); 4) rocce carbonatiche di scarpata e di bacino (Giurassico superiore-Cretaceo).

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22 Ambiente e paesaggio

che può essere distinto in diffe-renti regioni naturali (fig. 2.1).

La prima, situata ai confi-ni con il Molise e la Campania, è costituita dall’unico setto-re del territorio pugliese in cui sono presenti rilievi montuosi: l’Appennino Dauno. Quest’area rappresenta un tratto di Catena Appenninica ed è costituita da successioni terziarie di sedimen-ti argilloso-marnoso-arenacei; sono presenti una serie di dor-sali subparallele, con direzione nord-ovest/sud-est, intensamente modellate da fenomeni di frana e incise dai corsi d’acqua diret-ti verso il Tavoliere delle Pu-glie. La morfologia dell’area è tipicamente collinare o di bassa montagna, con forme morbide e versanti modellati da frane, so-prattutto nelle aree dove preval-gono i terreni argillosi. In questa zona troviamo la principale vetta della regione, il Monte Cornac-chia (1.151 m).

A ridosso dell’Avampae-se Apulo, in posizione interna, si individuano il Tavoliere delle Puglie, che rappresenta la se-conda più vasta pianura italia-na dopo la Pianura Padana, e la Fossa Premurgiana o Bradanica, al confine con la Basilicata.

Le formazioni dell’intera Avanfossa Bradanica sono costituite da depositi terrigeni plio-pleistocenici riferibili a due distinti cicli sedimentari separati da una lacuna stratigrafica. La morfologia rispecchia il modellamento operato dalle ripetute ingressioni e regressioni marine che si sono verificate, a causa di eventi climatici e tettonici, a partire dal Pleistocene medio-superiore. L’area è caratterizzata infatti da superfici pianeggianti, dolcemente degradanti verso il mare tramite gradinate sub-parallele alla linea di costa. Questi terrazzi sono meglio conservati nella parte meridionale del Tavoliere, mentre nelle altre zone, a causa dell’erosione, ne sono rimasti pochi lembi.

2.2. Tratto di costa adriatica a nord di Otranto: la presenza di litologie calcarenitiche, meno resistenti dei più antichi calcari del Cretaceo, determina frequenti fenomeni di instabilità lungo la costa (depositi da crollo sono visibili in più punti nell’immagine) e la formazione di articolate baie.

2.3. Parte del centro abitato di Polignano a Mare, costruito su successioni stratificate di calcari del Cretaceo che in questo settore della costa adriatica barese danno origine ad alte falesie costiere.

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Capitolo II 23

L’Avampaese Apulo, sud-divisibile da nord verso sud nel Promontorio del Gargano, nelle Murge e nelle Serre Salentine, rappresenta il più esteso trat-to affiorante dell’Avampaese Appenninico-Dinarico ed è co-stituito da una vasta piattaforma carbonatica mesozoica di depo-siti calcareo-dolomitici di età triassico-cretacica. In discordan-za sul substrato mesozoico affio-rano poi depositi detritici neoge-nici e quaternari. I versanti sono caratterizzati da una morfologia a gradinata: ripiani e gradini ri-sultano incisi trasversalmente da profondi solchi, principalmente di natura carsica.

A motivo della sua conformazione, la Puglia presenta una fascia costiera (figg. 2.2-4) estremamente lunga (784 km), caratterizzata nell’area del Gargano e verso il Salento da altopia-ni che terminano in scogliere verso il mare, mentre negli altri tratti è generalmente piuttosto bas-sa e localmente sabbiosa, preva-lentemente nell’arco ionico.

Le principali forme del paesaggio naturale pugliese sono dovute ai fenomeni carsici: le macroforme più diffuse sono le doline, ovvero depressioni con terminazione a imbuto o a scodella, che presentano di fre-quente fondo piatto a causa del riempimento di terre rosse e de-positi argillosi. Tra le doline più note si ricorda la dolina Pozza-tina, la più ampia della regione, sita tra Sannicandro Garganico e San Marco in Lamis (provincia di Foggia); degne di nota sono anche le analoghe depressioni chiamate nella regione barese “puli” (le cui dimensioni massi-me giungono a diametri superiori ai 700 metri e profondità di circa 100 metri), tra i quali il Pulo di Altamura (fig. 2.5), il Pulicchio di Gravina, il Gurgo di Andria e il Pulo di Molfetta (fig. 2.6). Quest’ultimo, già a partire dal XIX secolo, è stato oggetto di indagini che miravano alla com-prensione dei rapporti esistenti tra la morfologia carsica e gli insediamenti che intorno a essa si

2.4. Il paesaggio costiero presso Torre Guaceto, sul litorale adriatico a nord di Brindi-si, che rappresenta una tra le più importanti zone umide della regione.

2.5. Immagine aerea obliqua del Pulo di Altamura (anno 1966): in evidenza, sul lato destro dell’immagine, gli arrivi nel Pulo delle due principali valli carsiche (lame) dell’area. La roccia in affioramento al margine dell’imponente depressione è costituita da calcare di epoca cretacea.

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24 Ambiente e paesaggio

erano sviluppati. In alcune aree del territorio (ad es. i pianori della zona delle “Chiancate”, sul Gargano) le doline risultano particolarmente diffuse, con una densità che può superare le 100 unità per chilometro quadrato. Altre significative macrofor-me di origine carsica e tettono-carsica sono costituite da valli o depressioni chiuse (polje), che, in occasione di eventi piovosi particolarmente intensi, possono essere soggette a fenomeni di al-lagamento; tra queste si ricorda-no l’ex lago di Sant’Egidio e la Piana di Campolato sul Gargano, e il Canale di Pirro nelle Murge del sud-est barese.

A queste forme si aggiun-gono quelle antropiche che in misura maggiore caratterizzano il paesaggio: le cave cosiddette a “fossa”, tipiche degli ambienti pianeggianti.

Data la notevole percen-tuale in affioramento di rocce carbonatiche, nella regione sono molto diffuse le grotte carsiche, caratterizzate da una notevole varietà di forme ipogee a svilup-po sia orizzontale che verticale. Secondo i più aggiornati dati del Catasto Regionale, curato della

Federazione Speleologica Pugliese, oltre 2.000 grotte naturali sono distribuite su tutto il territo-rio regionale. Tra queste, si ricorda il complesso carsico delle Grotte di Castellana, nelle Murge di sud-est, una delle più note grotte turistiche d’Italia, scoperta nel 1938 per opera di esploratori locali coordinati da Franco Anelli, rappresentante dell’Istituto Italiano di Speleologia; la grot-ta, che raggiunge la massima profondità di 122 m, ha una lunghezza totale superiore ai 3 km, risultando così la più lunga della regione, e ha termine in un vasto ambiente riccamente con-crezionato che, per la bellezza e il candore degli speleotemi, è chiamato Grotta Bianca. Tra le altre grotte pugliesi, notevole rilevanza hanno la Grotta dei Cervi di Porto Badisco, in Salento, con le famose pitture preistoriche, e la Grotta di Lamalunga ad Altamura, dove nel 1993 è stato rinvenuto lo scheletro concrezionato di un uomo pre-neandertaliano.

2.6. Immagine aerea obliqua del Pulo di Molfetta (anno 1966), tra le maggiori doline del territorio delle Murge. Sulle ripide pareti della depressione si notano alcune tra le numerose cavità carsiche che lo caratterizzano, mentre sul fondo sono visibili i resti della nitriera (fabbrica per la produzione di polvere da sparo) di epoca borbonica.

2.7. Il fiume Celone, che si sviluppa con andamento meandriforme nel territorio a bas-se pendenze della provincia di Foggia.

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Capitolo II 25

II.3. Il sistema idrografico pugliese La Puglia manca di una vera e propria idrografia superficiale per la natura carbonatica dei

terreni in affioramento che, come è tipico negli ambienti carsici, determina la rapida infiltrazio-ne delle acque nel sottosuolo, con scorrimenti superficiali molto limitati. Quando il carsismo è assente, numerosi sono invece i brevi corsi vallivi e le incisioni percorse da acque torrentizie, il cui trasporto solido può divenire significativo in occasione dei maggiori eventi meteorici.

Un reticolo idrografico sufficientemente sviluppato si osserva soltanto nelle aree in cui sono presenti depositi terrigeni caratterizzati da una permeabilità medio-bassa; la notevole estensione di formazioni rocciose carbonatiche, soprattutto nella zona dell’Avampaese Apulo, giustifica invece la mancanza di una ben definita idrografia superficiale, alla quale però si con-trappone un’importante rete idrografica sotterranea legata soprattutto al notevole sviluppo dei fenomeni carsici.

Le acque sotterranee hanno sempre avuto in Puglia una grande importanza. È infatti dal-le falde freatiche facilmente accessibili che le popolazioni di vaste aree della Puglia per molti secoli hanno attinto l’acqua necessaria allo sviluppo delle loro civiltà, e sono numerosi i centri abitati pugliesi che devono la loro ubicazione, e talvolta il loro stesso nome, alla presenza di acqua nel sottosuolo.

Tra i fiumi della Puglia il più importante è l’Ofanto, che nasce in Irpinia e sfocia, dopo 163 km, nel Mare Adriatico, all’interno del Golfo di Manfredonia, dove terminano il loro percorso anche i Torrenti Candelaro, Salsola, Cervone, Carapelle e Celone (fig. 2.7).

Nel tratto di costa a nord del Promontorio del Gargano trovano sbocco altri due corsi d’ac-qua importanti: il Fiume Fortore (che interessa la Puglia per circa 25 km) e il Torrente Saccione (che segna il confine tra Puglia e Molise).

Nella provincia di Taranto incontriamo il Fiume Lato e il Torrente Galeso, mentre il Ca-nale Reale scorre presso Brindisi. Nel Salento, le forti modificazioni antropiche sul territorio e la realizzazione di numerosi canali di bonifica (di frequente impostati lungo direzioni non corrispondenti a quelle prefe-renziali dell’originario reticolo idrografico), hanno significati-vamente cambiato l’antico as-setto dell’idrografia superficiale; il corso d’acqua più importante è il Canale dell’Asso, che scor-re nel Salento centrale con uno sviluppo di circa 20 km e che attualmente termina nella Vora-gine del Parlatano, nel territorio di Nardò.

Nel paesaggio pugliese sono inoltre ancora riconosci-bili alcune morfologie residue dell’antico reticolo idrografico delle passate ere geologiche: si

2.8. Settore mediano della Gravina di Riggio a Grottaglie (Taranto), una tra le maggio-ri gravine dell’arco ionico tarantino. L’immagine evidenzia le pareti sub-verticali della gravina e l’ampio fondo piatto dove attecchisce una folta vegetazione.

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26 Ambiente e paesaggio

tratta delle lame e delle gravine. Le lame sono valli poco appro-fondite, con versanti a debole pendenza e fondo piatto, spes-so colmato da depositi residuali (terre rosse) e terreni argillosi. Le gravine (fig. 2.8), diffuse so-prattutto nell’arco ionico taranti-no, sono invece profondi valloni a pareti verticali o subverticali, incisi nelle rocce carbonatiche; sulle loro ripide pareti si distri-buiscono i numerosi villaggi rupestri d’età medievale, il cui sviluppo deve essere certamente stato facilitato dalla buona lavo-rabilità della roccia calcarenitica.

Ai piedi del Gargano vi sono i Laghi di Lesina e Varano, la cui genesi è connessa alla chiusura, da parte di cordoni dunari costieri, di sbocchi o di insenature di piane alluvionali. Altri laghi costieri sono i Laghi Alimini, a nord di Otranto (fig. 2.9).

Laghi di minore estensione sono legati alla natura carsica del territorio e al riempimento di doline a opera di terreni argillosi; tale fenomeno ha consentito il ristagno d’acqua in superficie o a piccola profondità, così facilitando l’emungimento da parte dell’uomo (mediante numerosi pozzi-cisterne) di queste preziose risorse idriche. Tra gli esempi più significativi in tal senso si ricordano i dieci laghi carsici nel territorio di Conversano (Bari) e la zona delle “pozzelle” di Martano, nel Salento, dove si contano ben 92 bocche di cisterne.

La scarsa presenza di risorse idriche superficiali (fig. 2.10) e la necessità, quindi, di at-tingere l’acqua dalla sola riserva disponibile costituita dalle falde sotterranee, hanno determina-to nelle varie epoche storiche la realizzazione di numerosi acque-dotti, caratterizzati da un parzia-le sviluppo in superficie, e da condotte sotterranee che spesso raggiungono lunghezze di sva-riati chilometri. Tra gli esempi più significativi e meglio docu-mentati, ricordiamo gli acque-dotti del Triglio e del Saturo nel Tarantino, l’acquedotto di Cano-sa, e l’acquedotto di Gravina in Puglia (fig. 2.11).

2.10. Il Canale di Badisco, valle esoreica di origine carsica che sfocia nel Mar Adriati-co. Al pari di molte analoghe valli carsiche del territorio pugliese, il Canale si sviluppa con andamento sinuoso, ed è caratterizzato da pareti ripide e fondo piatto.

2.9. Vista dall’alto dei laghi di bauxite nei pressi di Otranto, in corrispondenza di una vecchia miniera dismessa.

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Capitolo II 27

II.4. Condizioni climaticheLa Puglia ha un clima tipi-

camente mediterraneo, caratte-rizzato da inverni miti ed estati lunghe, asciutte e molto calde. Temperatura e piovosità sono notevolmente influenzate dal vento, il quale, non ostacolato da un vero e proprio rilievo, soffia pressoché liberamente per la re-gione, contribuendo alla relativa uniformità climatica. Le tempe-rature medie annuali oscillano intorno ai 15° con massime a luglio (40°) e minime a gennaio, che difficilmente scendono sotto lo zero.

Le precipitazioni medie annue sono comprese tra un massimo di 1.200 mm e un minimo di 400 mm. I picchi stagionali delle precipitazioni risultano concentrati nei mesi di novembre e marzo.

I venti predominanti provengono da nord e da sud, con velocità che si mantengono mode-rate soprattutto per quelli provenienti da nord.

bibLioGrAFiAPer la geologia del territorio pugliese Guide Geologiche 1999. Per la geomorfologia, oltre a significativi lavori

di CoLAMoniCo 1917 e CoLAMoniCo 1933, riferimenti più recenti sono boenzi,CALDArA 1990, PALMen-toLA 2002, PArise 2008 e PArise 2011. Per gli aspetti di terminologia carsica in Puglia PAriseat alii 2003. Riferimenti e indicazioni relativi alle grotte della regione sono in GiuLiAni 2000; in particolare, per il complesso carsico delle Grotte di Castellana AneLLi 1954 e PArise,reinA2002.

s.C.,M.P.

2.11. Gravina in Puglia. Il settecentesco Ponte-Canale che portava acqua in città colle-gando il terminale dell’acquedotto ipogeo con la Fontana della Stella.

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III.1. Tradizione mitica e origini leggendarieRelazioni culturali tra l’Egeo e la Puglia, in particolar modo quella meridionale, sono

documentate già dalla prima metà del II millennio a.C., ancor prima che nella Penisola Greca fiorisse la civiltà micenea.

Tali primi contatti possono essere messi in relazione, almeno nelle linee generali, alla tradizione di Dionigi di Alicarnasso (Dion.hAL., Ant. Rom., I, 11, 2 ss.), riguardo la più antica mitica colonizzazione dell’Italia meridionale, secondo cui una migrazione di Arcadi provenienti dal Peloponneso sarebbe avvenuta sotto la guida di Enotro e Peucezio, figli del sovrano arcade Licaone, diciassette generazioni prima della Guerra di Troia (intorno al 1800 a.C.). Le remote frequentazioni e gli scambi con i navigatori egei adombrati nel rac-conto mitico potrebbero trovare una conferma tangibile nell’osso a globuli, probabile impugnatura di spada, noto in ambiente egeo, che fu deposto in una tomba ipo-geica rinvenuta ad Altamura, in località Casal Sabini (fig. 3.1).

Avanzando di diversi seco-li, la comparsa degli Iapigi in Pu-glia si può collocare nel periodo di passaggio tra la fase tarda e quella finale dell’età del Bronzo (XIII-XII sec. a.C.), e può essere ricondotta a un processo di popolamento diversificato che portò autori come Polibio (PoLyb., Hist., III, 88, 3) a distinguere tre etnie: Dauni, Peucezi e Messapi, insediatisi nelle tre aree che rispettivamente da nord a sud suddividevano il comprensorio più ampio della ̉Ιαπυγία (fig. 3.2).

Già in antico, per lo meno dal V sec. a.C., esisteva una doppia tradizione sulla provenienza mitica degli Iapigi: la prima attribuiva loro un’origine ellenica, mentre la seconda li considerava Illiri giunti dall’opposta sponda dell’Adriatico.

Secondo quanto apprese da Antioco di Siracusa, Erodoto (hDt., Hist., VII, 170) dà testi-monianza per la prima volta dell’origine cretese di questa popolazione. Lo storico narra, infatti, che i Cretesi andati in Sicilia per vendicare la morte del proprio re Minosse, dopo un assedio di cinque anni alla mitica città di Kamikos, decisero di desistere e di fare ritorno in patria. Ma

iii.QuADrostoriCo.DALLeoriGiniLeGGenDArieALMeDioevo

3.1. Altamura. Osso a globuli da Casal Sabini.

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30 Quadro storico. Dalle origini leggendarie al Medioevo

quando navigando giunsero all’altezza della Iapigia, una grande tempesta li sorprese e li costrinse a rifugiarsi sulla terraferma. Le navi andarono distrutte e poiché non esisteva per loro nessun al-tro mezzo per tornare a Creta, rimasero in quel luogo, fondarono la città di Yria e mutarono il proprio nome: da Cretesi si trasformarono in Iapigi Messapi e da isolani divennero continentali. L’arrivo leggendario dei Cretesi allude proba-bilmente alla frequentazione delle coste d’Italia da parte dei navigatori micenei giunti, nell’età del Bronzo, alla ricerca di metalli, ambra e ossidiana. Un’altra notizia riportata da Aristotele (Arist., fr. 458 Rose, apd. PLut., v. Thes., 16, 2),

che risalirebbe ugualmente ad Antioco, rimanda a un’origine mista tra elementi cretesi e atenie-si. Aristotele ritiene, infatti, che i giovani ateniesi inviati annualmente come tributo al Minotauro non fossero uccisi, ma continuassero a vivere a Creta come servi. Inoltre, sostiene che alcuni discendenti di questi stessi ateniesi, assieme ad altri cretesi, furono scelti, secondo un antico voto, come offerta votiva inviata a Delfi. Di qui, tali uomini arrivarono in Italia e iniziarono ad abitare la regione della Iapigia. Questa testimonianza troverebbe conferma anche in Strabone (strAbo, Geogr., VI, 3. 6), che parla di una «colonia» stabilitasi a Brindisi, popolata o da Cretesi allontanatisi dalla Sicilia insieme a Iapige (figlio del sovrano arcade Licaone, di cui riparlere-mo), oppure da Cretesi-Ateniesi giunti da Cnosso con Teseo.

La tradizione dell’origine cretese degli Iapigi ebbe una notevole fortuna nel V sec. a.C., soprattutto presso le popolazioni messapiche. Verosimilmente, durante l’inasprirsi del conflitto tra gli indigeni e i Greci di Taranto, alimentato anche dalle incursioni dei Tarentini che danneg-giavano l’entroterra e le popolazioni autoctone, considerate solo come un potenziale serbatoio di manodopera servile, i Messapi sentirono l’esigenza di vantare la propria origine da un’antica e nobile civiltà come quella cretese, che poteva validamente e con pari dignità contrapporsi a quel-la lacedemone di Taranto. Nel V secolo avanzato il mito dell’origine cretese doveva essere così ben consolidato da poter essere utilizzato dalla propaganda politica ateniese in occasione della spedizione in Sicilia contro Siracusa, durante la Guerra del Peloponneso. Per dimostrare quanto fossero antiche le buone relazioni tra Iapigi e Ateniesi, la leggenda sarebbe stata in parte modifi-cata e ampliata, aggiungendo ai Cretesi che approdarono per primi nella Iapigia quegli Ateniesi discendenti dagli ostaggi inviati al Minotauro. Il mito riportato da Erodoto, riguardante i Cretesi che fondarono Yria, non va però respinto totalmente come falso, se, come sembra, lo storico stesso ne aveva trovato qualche reminiscenza direttamente a Creta (hDt., Hist., VII, 171).

In contrasto con quella cretese si pone la leggenda di un’origine illirica degli Iapigi, con l’arrivo di Dauno dalle sponde dell’Adriatico opposte alla Puglia settentrionale (LyCoPhr., Alex., 592-622). Essa è testimoniata con certezza soltanto a partire dall’età ellenistica, ma è probabile che fosse già nota in età arcaica dato che, secondo Ecateo (eCAt., fr. 86 Jacoby = 95 Nenci, apd.

3.2. Suddivisione dei comparti etnici attestati nella Puglia antica.

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Capitolo III 31

stePh.byz., Ethn., s.v. ̉Ιαπυγία), Iapygia era il nome di una città esistente in Italia e di una omo-nima in Illiria. La più antica te-stimonianza è riportata da Ni-candro di Colofone (niCAnDer, apd. Ant.Lib., Met., XXXI), il quale racconta di una spedizione organizzata da Iapige, Dauno e Peucezio, figli del sovrano arca-de Licaone, cui si aggregarono gli Illiri guidati da Messapo, che arrivarono a stabilirsi in Puglia. A Nicandro di Colofone attinge probabilmente lo stesso Varrone (vArro, apd. Prob., in verG., Buc., VI, 31) che, influenzato probabilmente da connessioni di tipo toponomastico e linguistico esistenti al suo tempo tra la Pu-glia e l’Illiria, finisce per operare un “sincretismo” tra le tradizioni riportate, arrivando a formulare, per gli Iapigi, una triplice origi-ne cretese, illirica e italica. La moderna indagine storica e glot-tologica, unitamente ai risultati della ricerca archeologica, ten-dono verso conclusioni analoghe: la civiltà iapigia si sarebbe formata, a partire dalla seconda metà del XII sec. a.C., a seguito della fusione tra l’apporto culturale locale “appenninico”, quel-lo miceneo preesistente e uno nuovo di provenienza illirica.

«In realtà, una lettura attenta delle due tradizioni, che da una parte prescinda dalle antiche genealogie pseudoerudite e dai conseguenti calcoli cronologici, dall’altra tenga conto dei dati archeologici, unico documento contemporaneo agli avvenimenti esaminati, può condurci a una più accettabile ricostruzione storica, senza per questo dover negare qualsiasi validità alla tradi-zione antica» (DeJuLiis1988a).

Infine, nell’ambito delle origini mitiche, merita di essere ricordata la leggenda di Diomede giunto in Apulia al termine della Guerra di Troia. L’eroe, tornato ad Argo dopo la distruzione della città di Priamo, fu costretto a lasciare la sua patria e ad andare in Italia per sfuggire a una congiura ordita dalla moglie Egialea. Secondo ciò che narra Strabone (strAbo, Geogr., VI, 3. 9), arrivato nel paese dei Dauni, Diomede non solo avrebbe fondato le città di Argyrippa (Arpi) e Canosa, ma avrebbe anche dato il suo nome, in quella stessa regione, sia alla vasta pianura del Tavoliere (fig. 3.3), sia alle due isole su una delle quali sarebbe successivamente scomparso (Isole Tremiti) (fig. 3.4).

3.3. Veduta aerea obliqua di un ampio settore del Tavoliere con l’importante nodo via-rio di Aecae, la moderna Troia; sullo sfondo Lucera (la colonia latina di Luceria) e il profilo del promontorio del Gargano.

3.4. Isole Tremiti. L’isola di San Nicola.

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32 Quadro storico. Dalle origini leggendarie al Medioevo

bibLioGrAFiAPer i riferimenti storici berArD 1963, pp. 355-358, 405-409, 413-416; DeJuLiis 1988a; CoLizzi 2003; DeJuLiis

2005. Per le fonti LoMbArDo 1992.

III.2. La fondazione di TarantoSecondo quanto tramandato da Eusebio (hieronyM., ed. Helm, p. 91), nel 706 a.C., in

un’area già densamente occupata dagli Iapigi, venne fondata la colonia lacedemone di Taranto, poco dopo la fondazione di Crotone, colonia achea istituita nel 709 a.C. in Calabria, anche gra-zie all’aiuto di Falanto, futuro ecista della città spartana. I coloni provenivano appunto da Spar-ta, capitale della Laconia, regione situata nella parte sud-orientale del Peloponneso in Grecia.

La polis venne fondata in un’eccezionale posizione stra-tegica, in un punto obbligato di passaggio nelle rotte marittime tra la Grecia e l’Italia. Taranto sorgeva su una penisola protesa tra la rada del Mare Grande e il seno interno del Mare Piccolo; il promontorio dell’acropoli domi-nava dall’alto il solo passaggio naturale che conduceva alla gran-de insenatura chiusa (fig. 3.5).

Tra le differenti versioni degli storici antichi giunte sino a noi circa gli antefatti e le circo-stanze che portarono alla fonda-

zione di Taranto, le più importanti sono quelle di Antioco di Siracusa e di Eforo, entrambe ripor-tate nella Geographia di Strabone (VI, 3, 2-3); le due versioni, nonostante qualche divergenza, si integrano vicendevolmente in diversi punti del racconto.

Secondo quanto trasmesso da Antioco, al tempo della Guerra Messenica, datata alla fine dell’VIII sec. a.C., che coinvolse Sparta nel tentativo di espansione egemonica nel Peloponneso, tutti i nati in madrepatria nel corso della ventennale spedizione militare furono chiamati Parteni e privati dei loro diritti civili. Essi, tuttavia, non si rassegnarono alla propria sorte e ordirono una congiura sotto la guida di Falanto. Fallito il tentativo di rivolta, in quanto il complotto venne scoperto per tempo dagli Spartani, alcuni dei Parteni tentarono di mettersi in salvo con la fuga, mentre altri implorarono clemenza. Falanto, invece, fu inviato a consultare l’oracolo di Delfi sulla fondazione di una colonia, ricevendo tale responso: «Ti dono Satyrion, per poter così abita-re la ricca città di Taranto e diventare flagello per gli Iapigi». Alla luce di tale vaticinio i Parteni, sempre sotto la guida di Falanto, partirono verso occidente alla volta della Iapigia, e lì furono accolti dai barbari e dai Cretesi che già occupavano quelle terre. La città fu chiamata Taranto in onore dell’eroe eponimo Taras, figlio di Poseidon e di Satyra.

3.5. Pianta del Mar Piccolo di Taranto disegnata dal Pacelli nel 1807.

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Capitolo III 33

Leggermente diversa e più densa di particolari è la versione di Eforo: durante il conflitto contro i Messeni, rei di aver ucciso il re lacedemone Teleclo, recatosi a Messene per un sacri-ficio, gli Spartani giurarono che non avrebbero fatto ritorno in patria se prima non avessero distrutto Messene, affidando la custodia della città ai giovani e ai vecchi. Dopo dieci anni di combattimenti, però, le donne spartane, preoccupate, informarono i propri mariti-soldati che Sparta si stava spopolando, rischiando di restare senza uomini; questi, infatti, rimanendo in patria generavano figli, ma accampati in territorio nemico avevano lasciato le loro donne come vedove. Gli Spartani dunque, desiderosi di tenere fede al giuramento, ma prendendo anche in considerazione il discorso delle donne, mandarono a casa i guerrieri più giovani, non vincolati dalla vecchia promessa proprio per la loro giovane età, con l’ordine di unirsi con tutte le vergini rimaste a Sparta, da cui il nome di Parteni dato ai figli nati da quelle unioni. Caduta Messene e terminata la guerra, gli Spartani tornarono in patria e rifiutarono di riconoscere ai Parteni, figli di unioni illegittime, gli stessi diritti degli altri cittadini liberi. In accordo con gli Iloti, i Parteni ordirono una congiura contro gli Spartani, che fu scoperta per il tradimento di alcuni schiavi. In conseguenza di tale avvenimento, gli Spartani convinsero i ribelli a fondare una colonia in terre lontane; fu così che partirono e, dopo aver aiutato gli Achei che combattevano contro i barbari, fondarono Taranto.

Dalle testimonianze storiche appare evidente, dunque, che la fondazione di Taranto non scaturì da una decisione deliberata di Sparta, ma fu dovuta a un gruppo di ribelli Spartani, i Par-teni, privi di diritti politici, allontanati dal ceto dominante nel tentativo di conservare l’equilibrio sociale e di evitare conflitti interni tra classi diverse. Inoltre, secondo quanto riferito da Antioco, il responso divino dell’oracolo di Delfi, oltre a definire i caposaldi della colonia, anticipa, di fatto, con la menzione degli ostili Iapigi e le sanguinose lotte contro le popolazioni indigene che occupavano il territorio in cui Taranto si inserì al momento della fondazione e dove, subito dopo, tenterà di espandersi progressivamente, aspirando all’egemonia nell’Italia meridionale.

bibLioGrAFiASulla fondazione di Taranto CiACeri 1928; WuiLLeuMier 1939, in particolare il cap. III; berArD 1963; Genti non

greche 1972; Musti 1988; LiPPoLis 1989; DeJuLiis2000; DeJuLiis2005; seMerAro 2012.

III.3. L’espansionismo di Taranto e l’ellenizzazione della PugliaTaranto, fondata in posizione strategica ottimale, era circondata da un territorio ampio e

fertile ma allo stesso tempo densamente abitato da genti ben organizzate e bellicose.Durante il VI sec. a.C. la città avvia una complessa attività diplomatica con le altre città

greche costiere, come per esempio la potente Siracusa, e diventa principale centro di influenza culturale ellenizzante per la Puglia, soprattutto meridionale. L’adozione definitiva dell’uso del tornio nella tecnica di produzione della ceramica, l’acquisizione dell’alfabeto, lo sviluppo di insediamenti di tipo urbano con abitazioni costruite secondo la tecnica greca, allineate su strade regolari, sono le principali testimonianze di tale ondata ellenizzante visibili nella documentazio-ne archeologica.

Eppure, tra VI e V sec. a.C. i rapporti tra Tarentini e indigeni si fanno sempre più conflittua-li, a motivo della tendenza greca a sfruttare gli Iapigi e a considerarli fonte di approvvigionamen-to di beni e di schiavi. La prosperità crescente di Taranto e l’aumento della potenza di Crotone,

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34 Quadro storico. Dalle origini leggendarie al Medioevo

che aveva distrutto Sibari nel 510 a.C., stimola l’espansione della città verso l’entroterra al fine di ampliare il terreno agricolo a di-sposizione, acuendo le tensioni.

Nella prima metà del V sec. a.C., l’abbandono della spe-ranza di un’espansione territoria-le verso ovest, bloccata dalle cit-tà achee, è probabilmente vissuto come occasione di guadagnare sbocchi sull’Adriatico attraver-so la fondazione (non ancora comprovata da dati scientifici) di sub-colonie o semplici scali ma-rittimi, come Gallipoli (Graxa)

(fig. 3.6), Fratuentum, oppure attraverso violente sottomissioni come avviene per Carbina. Lo scontro con gli indigeni è documentato dalle fonti storiche e dal rinvenimento, a Delfi, di due donari offerti dai Tarentini per le vittorie conseguite. Il primo, descritto da Pausania (PAus., Pe-rieg., X, 10, 6), rappresentava dei cavalli di bronzo e donne prigioniere scolpiti da Agelada di Argo. Il secondo donario, di datazione incerta (PAus., Perieg., X, 13, 10), fu commissionato da Taranto a Onata di Egina, probabilmente a ricordo di un’altra vittoria sugli Iapigi. Esso raffigu-rava un gruppo di guerrieri a piedi e a cavallo e Taras e Falanto che uccidevano e sovrastavano Opis, re degli Iapigi (Messapi), alleato dei Peuceti.

Questi rinvenimenti hanno interessato numerosi storici sui reali rapporti di Taranto con la Grecia nell’arco della sua vita politica e amministrativa (sui diritti e i doveri di una “colonia” rispetto alla madrepatria, ma anche in rapporto alla “grecità” dei Greci dell’Italìa), considerato il costante riferimento e riconoscimento dei grandi santuari panellenici come quello delfico. Taranto appare, in questo senso, legata a una “nascente” Megale Ellas (tra V e IV sec. a.C.), ma, grazie al suo rapporto con la madrepatria (esportatrice di prodotti di consumo, divinità, lingua, pesi e misure), anche protagonista in suolo italico nel suo costituirsi come parametro simbolico (e reale) di “città greca” a tutti gli effetti.

La difesa indigena frena la politica espansionistica di Taranto. Sappiamo infatti da Erodo-to (hDt., Hist., VII, 170) che nel 473 a.C. gli Iapigi infliggono ai Tarentini, alleatisi con i Reggi-ni, una decisiva sconfitta, «la più grande strage dei Greci a sua memoria». La disfatta determina una sensibile trasformazione politica a favore di una forma di governo di tipo democratico: la narrazione sulla caduta dell’oligarchia e l’affermarsi della democrazia viene spiegata da Ari-stotele e ripresa da Platone (Arist., Politica, VII, 3). La sconfitta decreta la scomparsa (perché giustiziati o esiliati) degli esponenti degli “ottimati tarentini”, provocando una ristrutturazione sociale, civile e politica della città.

Nel 444-443 la fondazione di Thurii sotto l’egida di Pericle provoca la reazione di Taran-to, che conduce una guerra decennale conclusasi nel 433 a.C. con la fondazione della colonia di Heraclea, nella Siritide. In questo modo, Taranto si assicura una posizione economica di forza all’interno del golfo ionico. Nel 415 a.C. rifiuterà lo sbarco e i rifornimenti alla spedi-

3.6. Gallipoli. Veduta aerea obliqua dell’isola; in primo piano, la fortezza aragonese e il seicentesco ponte di collegamento con la terraferma.

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Capitolo III 35

zione ateniese contro Siracusa, dimostrando di po-ter scegliere di confrontarsi con le grandi potenze dell’epoca.

Nel corso del IV sec. a.C., infatti, Taranto raggiunge l’apice della sua potenza economica, politica e culturale, soprattutto grazie all’affermar-si della figura di Archita, personaggio prestigioso, eletto dal 367 al 361 a.C. a capo del governo cit-tadino. Egli favorisce la circolazione del denaro e incrementa le attività commerciali, rafforza la cit-tà sul piano militare consolidando la flotta e alle-stendo un potente esercito. Il prestigio che Taranto consegue in questa fase la rende protagonista indi-scussa, nella sfera culturale, della seconda ondata ellenizzante che investe, questa volta, tutta la Pu-glia. Si diffondono vasi a figure rosse che imitano la ceramica attica (fig. 3.7), realizzati a Taranto da officine di ceramisti specializzati; vengono impor-tati dalla stessa città prodotti della fiorente attività dei maestri di oreficeria (fig. 3.8); si completa la diffusione del modello insediativo urbano e inizia-no a costruirsi efficaci sistemi difensivi; si affac-ciano altre tipologie tombali derivate dal mondo greco, come le tombe a semicamera e a camera.

Nello stesso secolo la polis occupa un ruolo primario anche sul piano politico. Nel 366 a.C., grazie alla superiorità militare garantita da Archi-ta, assume l’egemonia della lega italiota, alleanza politico-militare formata da città greche dell’Italia meridionale attorno al 390 a.C., per fronteggiare le continue incursioni dei Lucani. Taranto diventa punto di riferimento dell’iniziativa politico-mi-litare contro gli stessi, e trasferisce la sede della lega, posta precedentemente vicino a Crotone, a Heraclea.

La morte di Archita, però, crea un vuoto difficilmente colmabile e l’instabilità economica, e soprattutto politica e militare, di Taranto implica la sua scelta di rivolgersi a milizie mercenarie guidate da condottieri stranieri per fronteggiare l’incombente minaccia dei Lucani. Tale politica fu uno dei principali motivi di declino della città: infatti, oltre a richiedere enormi risorse finan-ziarie, la pose in balia di strateghi stranieri, mossi da ambiziosi progetti di dominio personale.

bibLioGrAFiAPer un inquadramento generale del mondo indigeno DeJuLiis 1988a; DeJuLiis 2005. Sulle vicende storiche

di Taranto sirAGo 1999; DeJuLiis 2000. Per un inquadramento generale degli insediamenti in Daunia

3.7. Taranto, scavi Arsenale Militare 1913. Cratere a campa-na apulo a figure rosse, sul quale è raffigurato l’incontro di Elettra e Oreste presso la tomba di Agamennone. Attribuito al Pittore di Sarpedonte, 390-370 a.C.

3.8. Orecchino aureo da Taranto.

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36 Quadro storico. Dalle origini leggendarie al Medioevo

DeJuLiis1975a; Civiltà dei Dauni 1984; MAzzei 1984; Profili Daunia Antica 1985-2000; Atti San Se-vero 1979-2011; MAzzei,Mertens,voLPe1987; Profili Daunia 1988; MAzzei 1988; DeJuLiis 1988b; DeJuLiis 1996a; MAzzei1996;voLPe,strAzzuLLA,Leone2008;MArChi2009a;MAzzei2010. Per un inquadramento generale degli insediamenti in Peucezia D’AnDriA1988b;DeJuLiis1996a, pp. 186-188, 241-243, 286-287; CiAnCio,GALeAnDro,PALMentoLA 2009; Puglia centrale 2010. Per un inquadramento generale degli insediamenti in Messapia D’AnDriA 1988b; Archeologia dei Messapi 1990; D’AnDriA1991a;LAMboLey1991;LoMbArDo 1994a; LoMbArDo 1994b; GiArDino1995;DeJuLiis 1996a, pp. 127-129, 181-186, 206-213; LAMboLey1996;burGers1998;D’AnDriA1998;GiArDino2000;burGers2001;LAMboLey2002;D’AnDriA2005;burGers 2009a; burGers 2009b; seMerAro 2009b; MAstronuzzi2011;CALDAroLA,MAstronuzzi 2011. In generale sulla colonizzazione greca e sull’ellenizzazione della Puglia ADAMesteAnu 1979; osAnnA 1992, pp. 1-38; DeJuLiis 1996a; DeJuLiis 1996b; PronterA1998;iACobone 2003, pp. 77-81; MAssAFrA,sALveMini2005;CAssAno2005;brACCesi,rAvioLA2008; Puglia centrale 2010; LAtorre2011;D’AnDriA,Guzzo,tAGLiAMonte 2012.

s.L.

III.4. La Puglia e il mondo romanoL’organizzazione sociale e territoriale della Puglia pre-romana, secondo la tradizione sto-

rica, è divisa in tre etnie: Dauni, Peuceti e Messapi. Queste genti si rapportano nel corso del V sec. a.C. con le strutture delle colonie greche della Magna Grecia, in particolare con Taranto.

La documentazione archeologica indica, per il V-IV sec. a.C., la presenza di insediamenti di grandi e medie dimensioni ubicati soprattutto in altura, in posizione naturalmente fortificata e di controllo della pianura circostante, o talvolta sparsi anche nelle aree pianeggianti in pros-simità di solchi torrentizi che consentivano, oltre all’approvvigionamento idrico, la possibilità di raggiungere dall’entroterra il mare e i punti di approdo sulla costa adriatica (come per Arpi).

Nel corso del IV sec. a.C. si assiste alla diffusione del modello insediativo urbano, con la re-alizzazione di imponenti sistemi difensivi, al cui interno erano inclusi spazi destinati all’agricol-

tura e al pascolo. La loro notevole estensione e il periodo di realizzazione è certamente da mettere in relazione con le numerose guerre e vicende militari che caratterizzarono la storia del territorio tra il IV e III sec. a.C. Accanto a centri di medie e grandi dimensioni è attestata la sopravvivenza di numerosi piccoli nuclei abitati, solitamente privi di fortificazioni, di-stribuiti intorno ai grossi abitati di altura. Gli oppida costituivano per tali comunità sparse dei punti di riferimento e di difesa, soprattut-to nei momenti di pericolo esterno.

È probabile che al vertice dell’orga-nizzazione sociale fossero quei dynastai e basileis, ricordati più volte dalle fonti (PAus., Perieg., X, 13, 10; strAbo, Geogr., VI, 3, 4), anche se si ignorano ancora i limiti e la durata dell’autorità regia.

Anche i ricchi corredi e le tipologie se-3.9. Arpi, ipogeo della Medusa.

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Capitolo III 37

polcrali monumentali non lasciano dubbi sull’esistenza di famiglie di rango elevato, socialmen-te al vertice, che amano esibire il proprio status attraverso l’acquisizione di beni di prestigio (fig. 3.9).

Sotto il profilo economico, accanto alla cerealicoltura e all’allevamento finalizzato alla produzione di latte e formaggio e alla lavorazione della lana, si attesta anche lo sviluppo dell’ar-tigianato e dei commerci, assicurati da una ricca rete di tratturi che facilitavano i contatti tra l’entroterra e la costa adriatica e il Golfo di Taranto, mentre i bacini idrografici collegavano la regione con le comunità della Lucania interna.

L’arrivo dei Romani in Puglia promosse e accelerò trasformazioni di rilievo sia nelle strut-ture sociali sia nell’assetto politico-territoriale delle popolazioni indigene: quest’ultimo appare fortemente compromesso già a partire dalla fine del V sec. a.C., a motivo dell’imposizione da parte dei Sanniti del proprio dominio su gran parte dell’Italia centromeridionale, in particolare sulla Puglia settentrionale, in Campania e nel Bruzio. La loro forte pressione, esercitata dalle montagne appenniniche in direzione del Tavoliere, sino all’Ofanto e alla costa adriatica, insieme alle continue invasioni dei Bruzi e dei Lucani, che avevano a più riprese minacciato Taranto, provocarono la crisi del primato della città greca, indebolita dal tentativo di rafforzare il proprio potere e costretta a ricorrere all’aiuto di potenze straniere, che organizzarono una serie di spedi-zioni guidate dai re spartani e da quelli dell’Epiro, come Alessandro il Molosso. Questi, nel 331 a.C., realizzò quello che i Tarentini non erano più in grado di fare: sconfisse la coalizione degli Iapigi e dei Messapi e, successivamente, dei Lucani e Sanniti a Paestum.

La presenza di Roma nel territorio si andò intensificando durante la seconda metà del IV sec. a.C., all’interno di tali complessi e difficili rapporti.

L’occasione di affacciarsi nella regione e avviarne la conquista venne offerta dalla città dauna di Arpi, che nel 326 a.C. chiese la sua alleanza (Liv., VIII, 23, 17; VIII, 25, 3) e protezio-ne. In questo modo Roma avrebbe tratto un indiscutibile vantaggio dalla presenza di un presidio militare in area apula, finalizzato a frenare l’avanzata sannita e a mantenere il controllo delle vie di comunicazione con i porti dell’Adriatico. Alla stessa volontà di controllo dell’area meridio-nale può ricondursi l’inizio della costruzione, nel 312 a.C., della via Appia, tra Roma e Capua e la fondazione delle colonie latine di Lucera, nel 314 a.C., e di Venosa, nel 291 a.C.

La guerra contro le genti sannite si protrasse con alterne vicende dal 326 al 304 a.C., con-cludendosi con la vittoria di Roma e la caduta di Bovianum.

L’obiettivo principale di Roma era il predominio sul mare, dove già si delineava lo scontro inevitabile con Taranto. Nel 303 a.C., infatti, le due città stipularono un trattato che obbligava la flotta romana a non oltrepassare il Capo Lacinio (Crotone), rivelando così le difficoltà di Ta-ranto a controllare il vasto progetto di politica espansionistica della città rivale. La situazione precipitò quando i ceti aristocratici di Thurii chiesero l’intervento di quest’ultima per frenare la minaccia dei Lucani e dei Bruzi. Accogliendo l’appello, Roma invia nel 282 a.C. un presidio nella città, disattendendo provocatoriamente gli accordi stipulati precedentemente con Taranto. I Tarentini, dopo aver attaccato e messo in fuga le navi romane, organizzarono una spedizio-ne contro Thurii, che si concluse con la cacciata dei Romani e dei ceti aristocratici. Malgrado le azioni diplomatiche tentate da Roma, Taranto decise di intraprendere la guerra, ricorrendo all’aiuto di Pirro, sovrano d’Epiro. I Romani, nonostante la vittoria riportata dal condottiero epirota a Heraclea (280 a.C.) e ad Ausculum (Ascoli Satriano, nel 279 a.C.), ottennero ugual-mente il controllo della zona settentrionale della Puglia, vincendo la battaglia decisiva su Pirro

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38 Quadro storico. Dalle origini leggendarie al Medioevo

nel 275 a.C. a Maleventum, dal 268 a.C. ribattezzata col nome benaugurante di Beneventum, e costringendo Taranto a capitolare nel 272 a.C.

La città perse per sempre il ruolo di guida degli italioti e di unico antagonista in Italia dell’imperialismo romano: entrò come alleata nella confederazione guidata da Roma conservan-do una relativa autonomia, ma dovette partecipare con navi da guerra e soldati alla formazione della flotta romana, ricevere un presidio e consegnare ostaggi.

bibLioGrAFiAIn generale sulla romanizzazione della Puglia biAnCoFiore,MArin,PArLAnGeLi1970;CiAnCio 1989b; voLPe

1990a; GreLLe 1992a; sirAGo1993;ynteMA1993b; voLPe1996;sirAGo1999;iACobone2003;MAssA-FrA,sALveMini2005;CAssAno2005;GreLLe2008;GreLLe2010.

III.5. La Puglia romana in età repubblicana e imperialeCon la progressiva avanzata di Roma verso il sud d’Italia e con la presa di Taranto, anche

la Puglia fu progressivamente investita dal processo di “romanizzazione”, che da un lato deter-minerà il definitivo tramonto delle culture indigene, dall’altro introdurrà la regione nell’orbita politica dell’Urbe. Infatti, conseguenza della sconfitta tarantina fu non solo l’assoggettamento, nel 267-266 a.C., dei Salentini e dei Messapi, ma anche il crollo del complesso sistema di rap-porti politici e commerciali sviluppatisi sino ad allora fra la città ionica e le popolazioni indi-gene. Queste relazioni furono ereditate da Roma, che diede impulso a un profondo processo di ristrutturazione, facendo dell’Apulia una regione di attraversamento nelle comunicazioni con

l’Oriente e un’importante base strategica.Cardine della presenza romana in Puglia fu Brin-

disi, dove nel 244 a.C. fu dedotta una colonia latina che in breve tempo divenne il centro principale della regione a danno di Taranto, tagliata fuori dalle più im-portanti vie di comunicazione sia terrestri sia maritti-me. Caratteristica di questa fase della conquista fu però anche la lenta ma inesorabile scomparsa degli abitati indigeni che, nel IV sec. a.C., occupavano fittamente il territorio.

Dopo la vittoria romana le città apule, divenute alleate di Roma, entrarono a far parte della lega italica, una sorta di confederazione organizzata e guidata da Roma i cui membri mancavano di indipendenza nel-la politica estera ed erano tenuti a fornire contingenti all’esercito romano, conservando tuttavia la propria autonomia statale interna, delle cui forme per quel che riguarda l’Apulia si conosce ben poco.

Tale situazione politica rimase stabile fino alla Seconda Guerra Punica, evento in cui ancora una volta la regione fu drammaticamente coinvolta.

A Canne, nell’agosto del 216 a.C., sulla riva de-3.10. Battaglia di Canne. Fase iniziale dell’attacco ro-mano (in alto), accerchiamento e distruzione dell’eser-cito romano (in basso).

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Capitolo III 39

stra dell’Ofanto, si svolse la sanguinosa battaglia in cui Roma fu gravemente sconfitta (fig. 3.10). Molte città della Daunia e della Messapia passarono ai Cartaginesi. Annibale non riuscì, però, a scardinare la federazione delle città italiche da poco entrate nell’orbita romana, e fedeli a Roma rimasero Canosa e le colonie latine di Lucera, Venosa e Brindisi. La ripresa dei Romani dopo Canne fu lunga e difficile, ma grazie a una mobilitazione di uomini e risorse economiche essi riuscirono a recuperare una per una le città passate al nemico, e, nel 207 a.C., dopo la vit-toriosa battaglia sul Metauro, lo spettro di Annibale fu definitivamente allontanato dalla Puglia.

La conquista romana della regione determinò radicali trasformazioni nell’assetto del ter-ritorio, in netta contraddizione con le antiche strutture indigene, dal momento che inserì le po-polazioni locali in una nuova dimensione politico-sociale più articolata e complessa rispetto a quella precedente (IV-III sec. a.C.). Al popolamento rurale si sostituì un sistema insediativo ba-sato sulla presenza di vere e proprie città, con struttura urbanistica e funzioni identiche a quelle di tutti i territori romanizzati. I mutamenti più profondi avvennero però nel territorio, confiscato e trasformato in ager publicus in molte zone del Tavoliere e del Salento. Roma, consapevole delle gravi conseguenze economiche e sociali provocate dalla lunga guerra contro Annibale, cercò di porre rimedio allo spopolamento delle zone devastate e all’impoverimento dei piccoli proprietari terrieri, rimasti a lungo sotto le armi, con assegnazioni di terre e deduzioni di nuove colonie (Siponto e Venosa). Il sistema di sfruttamento agricolo a piccoli lotti con fattorie sparse fu sostituito dalle colture specializzate dell’olivo e della vite e da una conduzione a base pre-valentemente schiavile. Inoltre, quasi tutto il territorio confiscato fu lasciato all’occupazione e al possesso, spesso arbitrario, delle aristocrazie locali o romane e ciò portò a un forte squilibrio economico e sociale.

L’insieme di questi fattori provocò, nei primi decenni del II sec. a.C., uno stato diffuso di crisi e di malessere sociale, sfociato nelle rivolte dei contadini e dei pastori (185-184 a.C.).

Tra il II e l’inizio del I sec. a.C. si può dire completato il processo di “romanizzazione”, con le divisioni agrarie e le deduzioni coloniarie graccane (a Taranto nel 123 a.C. fu fondata la colonia Neptunia), ma soprattutto, dopo la Guerra Sociale, con la concessione della cittadinanza romana, con la generale ristrutturazione dei centri urbani (attraverso un programma di opere pubbliche), e con la costituzione degli statuti municipali. Tuttavia, nell’arco del I sec. a.C., si verificarono nuovi fenomeni negativi: le devastazioni della Guerra Sociale (90-88 a.C.), le scorrerie di Spartaco, la chiusura dei mercati orientali a causa dei pirati e le conseguenze della Guerra Mitridatica, la concorrenza dei prodotti agricoli di Cisalpina, Istria e Dalmazia portarono a una nuova crisi economica, con il conseguente abbandono delle colture specializzate di ulivo e vite, legate alla piccola e media proprietà, a tutto vantaggio della cerealicoltura più funzionale a un’organizzazione latifondistica a manodopera servile. L’abbandono di vaste porzioni di ter-ritorio favorì l’espansione delle attività pastorali, caratterizzate nella Puglia settentrionale dal fenomeno della transumanza.

Con Augusto, nella divisione amministrativa dell’Italia in undici regioni, il territorio pu-gliese fu inserito nella Regio II Apulia et Calabria (fig. 3.11), e nello stesso tempo furono po-tenziate molte città come Lucera, Brindisi e Canosa. Questo periodo rappresenta il definitivo consolidamento del processo di unificazione delle diverse tradizioni culturali e giuridiche, rea-lizzato con un sistema efficiente di comunicazioni stradali e l’abbandono delle lingue indigene e del greco a vantaggio del latino.

Si può dunque affermare che la “romanizzazione” fu un processo lungo e graduale che,

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40 Quadro storico. Dalle origini leggendarie al Medioevo

iniziato con la con-quista della Puglia sul finire del IV sec. a.C., si concluse sol-tanto nel I sec. d.C., con l’età di Augusto, comportando non solo un’occupazione militare ma anche forme di adesione più o meno spontanee ai modelli romani.

Nella prima età imperiale il territorio pugliese fu oggetto di vari provvedimenti: Nerone e Vespasiano si preoccuparono di stanziare veterani e soldati nelle città in

rovina per frenare il diradamento della popolazione, mentre Traiano realizzò una nuova arteria stradale, la via Traia-na, che unì Roma al porto di Brindisi, tramite Benevento, in alternativa al vec-chio percorso della via Appia. In questo modo, contribuì all’occupazione stabile della regione, favorendo nello stesso tempo lo sviluppo di alcune città: emer-sero così i centri di Aecae, Herdonia, Canosa (fig. 3.12), legata alla fiorente economia della pastorizia transumante, e di Brindisi, porto principale per i com-merci e per i collegamenti con l’Oriente.

Nel corso del III sec. d.C., la crisi generale dell’impero e i problemi legati all’instabilità sociale si avvertirono in tutte le regioni periferiche, compresa la

Puglia. A destare particolari preoccupazioni era il banditismo, che rendeva insicure soprattutto le campagne. Per reprimere il fenomeno e garantire il controllo del territorio furono inviati nella regione militari e alti funzionari dotati di poteri speciali, come ricorda un monumento eretto a Canosa in onore di Marco Antonio Vitelliano, preposto al mantenimento dell’ordine pubblico sul vasto territorio che comprendeva Puglia, Lucania e Calabria. Alla fine dello stesso secolo, il riordinamento dell’Italia in province, a opera dei tetrarchi, unisce stabilmente in una stes-

3.11. Regio II Apulia et Calabria. Genesi dell’identità amministrativa regionale da Augusto al Tardo-antico.

3.12. Copia in bronzo della tavola dell’albo dei decurioni di Canosa del 223 d.C.

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Capitolo III 41

sa struttura amministrativa le due parti, Apulia e Calabria, che formano un distretto unitario. D’altra parte proprio l’assetto provinciale, con l’accentramento nell’ufficio del governatore non solo dell’amministrazione generale, ma anche di un puntuale controllo della gestione locale, imprime la forma definitiva alla geografia dell’antica regione augustea e ne porta a compimento l’unificazione.

bibLioGrAFiASulla Puglia romana D’AnDriA1979;CLeMente1988;MArAnGio1988;CAssAno1992a; GreLLe 1992b; LoCA-

sCio,storChiMArino2001; CiAnCio2002;siLvestrini2005;Epigrafia e territorio2007;DeMitri2010;siLvestrini2011; Epigrafia e territorio 2013.

r.DeLM.

III.6. Tra Tardoantico e AltomedioevoIl “mondo tardoantico”, felice titolo di uno straordinario libro di Peter Brown, è caratte-

rizzato da un dissidio costante tra continuità e trasformazione che investe l’intero Mediterraneo tra IV e VI secolo. E il passaggio all’Altomedioevo acuisce questa contrapposizione. Molte sono ancora le domande che sia gli storici sia gli archeologi si pongono in merito alla rivoluzione tardoromana e al successivo passaggio al periodo altomedievale. Alcune trovano risposta, altre attendono ancora. Ma negli ultimi anni le ricerche hanno compiuto considerevoli progressi e il quadro comincia a delinearsi in maniera più chiara. Anche in Puglia i caratteri di questa straordi-naria e complessa età di transizione assumono i connotati di una vera rivoluzione, caratterizzata in primo luogo da una trasformazione sociale, culturale ed economica che si manifesta come la diretta conseguenza dei notevoli cambiamenti politici che caratterizzano i tempi.

I disordini seguiti alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476) fanno sentire la loro influenza nell’intero territorio pugliese generando un clima di preoccupazione e irrequietezza, piuttosto che bruschi cambiamenti: un fenomeno visibile negli aspetti insediativi e nei relativi caratteri economici. Le forme di popolamento vedono, accanto ai grandi centri urbani di Cano-sa, Lucera, Brindisi e Taranto, gli insediamenti di minore portata (Siponto, Troia, Ordona, Bari, Egnazia, Gallipoli, Otranto) e una fitta rete di insediamenti rurali di diverso carattere (cfr. VII, 2. L’ assetto del territorio in età tardoantica: città, vici, villae, fattorie) che si connota come modello insediativo per eccellenza del mondo tardoromano e intorno ai quali ruota l’intero si-stema produttivo. I grandi commerci con l’Africa settentrionale e con le aree del Mediterraneo orientale caratterizzano questo periodo, che vede l’arrivo nei porti della regione, e la successiva distribuzione capillare, di merci e prodotti di importazione e in particolare di olio, vino e vasel-lame di pregio per le tavole.

Questo modello insediativo ed economico entra in crisi nel corso del VI secolo. Le cause del declino sono molteplici e non si limitano alle conseguenze, seppur notevoli, della guerra tra Bizantini e Goti (535-553) ma le ragioni sono da ricercare nella fine di un intero sistema cultu-rale che si rivela in modo subitaneo negli aspetti economici e commerciali. La Guerra Greco-Gotica caratterizza comunque un periodo buio della storia pugliese e le popolazioni che avevano interpretato la conquista bizantina, conclusa con la vittoria del 552 presso Taranto, come un ritorno all’ordine e alla tranquillità assistono alla devastazione, allo spopolamento e alle pesanti conseguenze inflitte dagli scontri tra le opposte schiere.

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42 Quadro storico. Dalle origini leggendarie al Medioevo

III.7. Bizantini, Saraceni e LongobardiLa riconquista bizantina trova una regione provata da una grave crisi demografica e carat-

terizzata da città distrutte e abbandonate (Lecce, ad esempio, fu saccheggiata da Totila nel 549), e da campagne incolte. L’impatto maggiore della dominazione bizantina si avverte in modo più netto nella difesa del territorio e nell’allestimento o potenziamento di porti e approdi in grado di garantire continuità nei commerci transmarini. Negli anni che seguono la riconquista, alcu-ne città, come Lecce, scompaiono dalle fonti a favore dei centri costieri di Otranto, Gallipoli e Taranto, cui si aggiunge l’importante nodo interno di Canosa. E in particolare è il centro di Otranto, in forte ascesa, che assomma le funzioni politiche precedentemente svolte da Lecce. I recenti dati archeologici confermano il ruolo primario della città idruntina, che in età bizantina, intorno al 968, viene elevata anche a rango di sede metropolitana, dipendente direttamente dal patriarca di Costantinopoli. L’importanza attribuita dalla politica bizantina alla costa è evidente anche nella crescita delle città di Barletta, Trani e Bari, il cui sviluppo si protrae fino al pieno Medioevo. Al contrario, le zone interne della regione mostrano i segni di un cambiamento nelle forme insediative che ai vici e alle villae vedono sostituirsi nuovi modelli di abitato stabile (pro-babile villaggio), i cui caratteri sono ancora poco definiti (cfr. VII.6. La stagione ostrogota. La riconquista dell’Italia e la fine della Tarda Antichità).

Tuttavia le vicende pugliesi tra la riconquista bizantina di Giustiniano e la conquista normanna sono ancora una realtà in buona parte sfuggente, mancando un valido supporto delle fonti sia scritte sia materiali. Di certo la relativa tranquillità raggiunta con la vittoria bizantina sui Goti ha breve durata in seguito all’arrivo dei Longobardi in Italia meridionale. Questi, fis-sata la capitale a Benevento nel 590, iniziano l’occupazione della Puglia a partire dalla Daunia dove, sul monte Gargano, fondano il santuario nazionale dedicato all’Arcangelo Michele e nel corso del VII secolo avanzano verso le altre aree conquistando Brindisi, Taranto e Bari e lasciando all’Impero d’Oriente il territorio del Salento meridionale con i principali centri di Otranto e Gallipoli.

Oltre alla presenza longobarda la regione subisce a partire dal IX secolo l’arrivo dei Sara-ceni dapprima con isolati ma costanti saccheggi e poi con la conquista di alcune importanti città quali Taranto nell’840 e Bari nell’847: si forma così un emirato con i connotati di uno stato au-

tonomo esteso a gran parte della regione. Nell’871 Ludovico II ri-esce, con il sostegno longobardo, a espugnare Bari, ma la regione rientra sotto il controllo dell’Im-pero d’Oriente con la riconqui-sta di Bari nell’876 e di Taranto nell’880.

Nel X secolo, nonostante le scorrerie di Saraceni e Slavi e i numerosi tentativi degli impera-tori sassoni di estendere il potere nella regione, la seconda ricon-quista bizantina instaura un’am-

3.13. Canne. Veduta aerea prospettica della città e del Castello (foto 1962).

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Capitolo III 43

ministrazione regolare, un saldo e florido commercio con l’Oriente, uno sviluppo dell’agricol-tura che favoriscono l’aumento demografico e l’espansione economica. La regione rientra nel théma di Longobardia con Bari capoluogo, sede dello stratego e dal 975 del catapano, e conserva il carattere di territorio di ponte tra Occidente e Oriente e di luogo di incontro di diverse culture ed etnie, esperienze artistiche e religiose che si manifestano principalmente nelle espressioni religiose dei riti latino e greco.

III.8. Normanni e SveviNel secolo XI si assiste a

numerose ribellioni contro il do-minio bizantino che culminano nel 1009 in una rivolta ampia, capitanata da Melo di Bari, che comprende molti centri della Puglia centrale e settentrionale. L’alternanza tra Bizantini e ari-stocratici locali, affiancati e so-stenuti dal 1012 anche da alcuni gruppi normanni, nel controllo delle principali città, in partico-lare Bari, si conclude con la battaglia di Canne, nel 1018, in cui i Bizantini risultano vittoriosi (fig. 3.13). Seguono molti tentativi di conquista anche da parte dell’imperatore Enrico II, chia-mato in causa dalle aristocrazie locali. La sconfitta bizantina si data a partire dal 1041 per opera dei Normanni e degli alleati pugliesi, che nel 1043 eleggono Guglielmo d’Altavilla conte di Puglia. Ottenuto anche l’appoggio della Chiesa, inizialmente contraria all’avanzata normanna in Puglia, nel 1056 Roberto il Guiscardo ottiene il titolo di duca di Puglia e Calabria. Segue la presa normanna di Bari nel 1071 e poi di Brindisi e dell’intera regione (fig. 3.14). La Puglia normanna gode di un periodo particolarmente florido e vivace sia economicamente, tessendo una fitta rete di rapporti commerciali con l’Oriente e l’Africa settentrionale, sia culturalmente e artisticamente, per gli influssi arabo-siculi, manifesti nelle costruzioni delle cattedrali che nume-rose sorgono nella regione. In questo quadro un ruolo importante riveste la Prima Crociata, che identifica nella Puglia il luogo di passaggio obbligato verso Gerusalemme, favorendo un intenso movimento di uomini, oggetti e idee.

Questo periodo di benessere viene comunque turbato da sollevazioni baronali, che sono appoggiate dai Bizantini nel tentativo di riconquistare alcuni territori, e che numerose caratte-rizzano il regno di Guglielmo I il “Malo”. Con il regno di Guglielmo II il “Buono” (1166-1189) la regione gode nuova prosperità.

Nuovi attacchi delle aristocrazie bizantina e longobarda minacciano il regno di Tancredi, succeduto nel 1189 a Guglielmo II, ma un decisivo intervento di Enrico VI di Svevia tra il 1191 e il 1194 elimina le ultime resistenze normanne, imponendo la successione sveva al regno di Sicilia.

Con Federico II, succeduto a Enrico VI, la Puglia vive nella prima metà del XIII secolo uno dei momenti più fulgidi, caratterizzato da una prosperità economica, uno sviluppo civile e

3.14. Arazzo di Bayeux (XI sec.). Particolare. La flotta di Guglielmo duca di Normandia attraversa la Manica.

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44 Quadro storico. Dalle origini leggendarie al Medioevo

soprattutto una notevole crescita artistica, fortemente voluta dal sovrano. Numerose sono le chie-se e le cattedrali che sorgono e altrettanto numerose le residenze civili e i castelli eretti da Federi-co, simbolicamente rappresentati da Castel del Monte (fig. 3.15). A Federico, scomparso nel 1250, succede il figlio Manfredi, che continua la linea politica paterna ma non con altrettanto successo, tanto che nel 1266 Carlo I d’An-giò sottomette la regione e l’in-tero Regno di Sicilia. Inizia con la dinastia angioina un periodo di lotte e decadenza, che investirà l’intero meridione d’Italia.

bibLioGrAFiAIn generale per il dibattito storico sul Tardoantico broWn1974;CArAnDini,CrACCoruGGini,GiArDinA 1993 a

e b; GiArDinA 1999; Gli “spazi” del tardoantico 2004. In particolare per i caratteri storici e archeologici della Puglia in età tardoantica si rimanda al volume Italia meridionale 1999 e a voLPe,turChiAno 2005. Per un’analisi storico-archeologica della Puglia dall’età tardoantica al Medioevo Puglia 1981; MusCA1987;MArtin1993;voLPe1996;LiCinio1998;LoCAsCio,storChiMArino2001;FAviA2010;voLPe,GiuLiAni2010;FAviA,Devenuto 2011.

e.L.

3.15. Castel del Monte. Veduta aerea prospettica.

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La Puglia è considerata, per la sua posizione geografica di avamposto verso l’Oriente mediterra-neo, una regione chiave per la comprensione di mol-ti aspetti della Preistoria peninsulare. Negli ultimi decenni sono stati compiuti notevoli progressi nella conoscenza delle società più antiche, sebbene siano ancora molti gli aspetti da comprendere, che solo una ricerca programmatica e di ampio respiro può pretendere di indagare.

La paletnologia della regione ha una sua ori-gine ufficiale nel 1871 con il quinto Congresso In-ternazionale di Antropologia ed Archeologia prei-storica di Bologna, alla cui organizzazione la Puglia partecipò attivamente. Nella seconda metà dell’Ot-tocento si sviluppò infatti un vivace interesse per le ricerche preistoriche, con due aree particolarmente indagate: il Gargano e la Terra d’Otranto. Le sco-perte erano all’epoca appannaggio di appassionati e collezionisti che raccoglievano sul terreno abbon-dantissimi manufatti litici ascrivibili alle più antiche fasi preistoriche, ma tra idee e correnti scientifiche contrastanti, col susseguirsi delle scoperte di impo-nenti giacimenti in grotta, si cominciò comunque a tracciare una periodizzazione del Paleolitico della regione, articolato in fasi e sottofasi.

Allo stato attuale delle conoscenze la più antica fase del Paleolitico pugliese si svolse nel promontorio del Gargano, documentata dai depositi della Grotta Paglicci, mentre al di fuori di quest’area resta poco diffusa o mal conosciuta. Il Paleolitico Medio interessa l’intera regione, abbracciando sia il Golfo di Taranto che la costa adriatica meridionale, ed è caratterizzato dalla molteplicità di aspetti della facies musteriana, i cui capisaldi sono il Riparo esterno di Paglicci e la Grotta del Cavallo, presso Santa Caterina di Nardò, con i suoi 8 metri di deposito. Numerose sono le altre località dove è stato scoperto il Musteriano, dalle grotte del Capo di Leuca, a Grotta Bernardini sullo Ionio, nella Grotta delle Mura di Monopoli e nella grotta di Santa Croce nel

iv.PreistoriAeProtostoriA

4.1. Bisceglie, Grotta di Santa Croce. Tratto iniziale della galleria con scallops.

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46 Preistoria e Protostoria

barese (figg. 4.1-3), ma si tratta per lo più di insedia-menti poco indagati o di scarsa entità. Il successivo periodo del Paleolitico Superiore interessa le stesse aree del Musteriano, dal Gargano al Salento meri-dionale, ma con una densità di insediamenti ancora maggiore. L’Uluzziano di Grotta del Cavallo risulta avere una certa diffusione non solo nell’area salen-tina ma anche in altre zone della Puglia centrale e settentrionale. Dal Gravettiano e dall’Epigravettia-no, anch’essi diffusi nell’intera regione, si giunge alle ultime testimonianze paleolitiche con la facies romanelliana, che prende il nome da Grotta Roma-nelli nel Salento, presso Castro.

Alla successiva età mesolitica si assegna un significato di forte cambiamento culturale come conseguenza delle mutate condizioni ambientali, che comportarono una modifica delle abitudini di vita e alimentari, come documentano alcuni giaci-menti con i loro resti di pasto costituiti in gran parte da animali di piccola taglia, molluschi marini e ter-restri. Muta l’habitat e mutano conseguentemente le

risposte da parte dei gruppi umani: caccia e raccolta costituiscono ancora le basi della soprav-vivenza, ma cambiano i modi di praticarle, e le industrie litiche, caratterizzate da un diffuso microlitismo, si modificano subendo un processo di specializzazione.

Il Neolitico è quell’età che segna la transizione da un’economia essenzialmente predatoria basata su caccia e raccolta, tipica del Paleolitico e del Mesolitico, a un’economia di produzione

con un forte sviluppo dell’agri-coltura e dell’allevamento; una delle zone chiave per la com-prensione delle prime fasi del Neolitico italiano è proprio la Puglia, dove si diffuse intorno al V millennio a.C. Le analisi sulle variazioni della linea di costa e le ricerche paleobotaniche avviate negli ultimi anni mirano alla ri-costruzione dell’ambiente in cui le genti del Neolitico operavano, agevolando così la comprensione delle dinamiche insediative delle fasi neolitiche della regione: il

legame con le grotte, di antichissima tradizione, permane anche in questa nuova età della pietra, ma sembra sempre più chiaro che nell’ambito delle varie civiltà neolitiche le grotte assumono prevalentemente una funzione cultuale e funeraria.

4.2. Bisceglie. Veduta notturna dell’ingresso di Grotta di Santa Croce.

4.3. Bisceglie. Pitture in ocra rossa d’età neolitica sulle pareti di Grotta di Santa Croce.

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Capitolo IV 47

È la ceramica che, con la molte-plicità delle forme e delle decorazioni, scandisce la periodizzazione del Neoli-tico in Iniziale, Medio e Finale; la fase Iniziale è caratterizzata dalla presenza della ceramica impressa (decorata cioè con impressioni rese con colpi di stec-ca o punzoni, ditate e unghiate), della ceramica graffita e di quella dipinta nei vari stili (fig. 4.4), tra cui quello di Serra d’Alto; il Neolitico Finale è dominato dalla Cultura di Diana, che in Puglia as-sume un peculiare aspetto tardo deno-minato Diana Bellavista, dall’omonima masseria tarantina.

Il passaggio dal III al II millennio in Puglia è caratterizzato da una complessità di manife-stazioni culturali, delle quali la civiltà eneolitica di Laterza, dal nome della cittadina in provincia di Taranto, è quella più interessante e suggestiva e il suo studio ha permesso di avviare una mag-giore conoscenza delle fasi iniziali dell’età dei metalli, per le quali restano comunque ancora aperti problemi di inquadramento cronologico e tipologico delle varie facies.

Gli aspetti dell’evoluzione sociale durante l’età del Bronzo continuano a rappresenta-re una delle problematiche centrali della Preistoria europea e naturalmente pugliese: durante quest’arco di tempo, che in Italia si può approssimativamente far coincidere con il II millennio, le comunità umane subiscono un processo evolutivo di grossa portata e l’evidenza archeologica fornisce ampie testimonianze circa la produzione materiale e l’organizzazione sociale e insedia-tiva di queste genti.

Grossi problemi sulla definizione del Bronzo Antico sono aperti per l’intera Puglia, regio-ne per la quale si può solo mettere in evidenza l’apparente mancanza di precedenti negli stan-ziamenti del Protoappenninico B, fase di riassetto dell’organizzazione insediativa e momento di affermazione delle varie componenti culturali. Nella produzione vascolare si assiste alla stan-dardizzazione dei tipi principali, che si ritrovano identici in insediamenti molto lontani, comuni a contesti sepolcrali e abitativi; tra gli oggetti della produzione ceramica risulta assai ricorrente il bollitoio che, per il suo evidente nesso con la lavorazione del latte, appare uno dei simboli più chiari dell’affermarsi di un’economia a base pastorale.

Nell’età del Bronzo Medio e Recente, corrispondente ai secoli XVI-XII, si verifica una frequentazione sistematica, regolare e organizzata delle coste pugliesi da parte di naviganti di cultura micenea provenienti dalla penisola ellenica e dall’Egeo. Questo fenomeno, conosciuto anche per le età più antiche, ha costituito indubbiamente il primo, grande influsso della civiltà greca sulle popolazioni autoctone, perdurando per un lungo arco di tempo. L’intensa frequen-tazione micenea, che non diede vita a fondazioni di città ma piuttosto all’inserimento di gruppi allogeni all’interno delle comunità indigene, fu probabilmente motivata dalla necessità di ap-provvigionamento di nuove risorse (metalli, pietre e altri beni), spingendo gruppi di marinai, mercanti e artigiani a intraprendere lunghe e pericolose navigazioni attraverso mari sconosciuti e a entrare in contatto con nuove genti e civiltà.

4.4. Tazza in ceramica dipinta dal fossato del villaggio neolitico di Masseria Candelaro.

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48 Preistoria e Protostoria

La Puglia rappresenta una delle regioni più ricche di presenze micenee e un’abbondante documentazione archeologica ben testimonia in regione ogni fase della civiltà micenea (Miceneo I, II, IIIA, IIIB e IIIC). Al di là di eventi leg-gendari, che pur si arricchiscono di precisi rife-rimenti geografici e che per lungo tempo si sono sostituiti agli indicatori archeologici nell’ambito del dibattito storiografico relativo alle relazioni pre-coloniali tra la Puglia e l’area egea e cretese in particolare (e la documentazione proveniente dagli scavi sistematici di Rocavecchia induce a una revisione generale di tali problematiche), i più antichi contatti con le genti micenee sono at-testati a Porto Perone (Leporano) (fig. 4.5), sul versante ionico, a Punta Le Terrare presso Brin-disi, a Giovinazzo e, sul Gargano, a Vieste e Pe-schici (Grotta Manaccora).

I contatti sembrano svilupparsi enorme-mente nella seconda fase (Miceneo IIIA-B), momento in cui nella documentazione archeologica ai materiali di fabbrica orientale si affianca una produzione locale di ceramiche di tipo egeo che imitano le raffinate importazioni elladiche. Il perno degli scali micenei in Puglia sembra essere stato Scoglio del Tonno, località posta a controllo del miglior porto naturale dell’arco ionico, il mar Piccolo di Taranto. A sud-est si snodano poi gli altri insediamenti costieri frequentati dai Micenei come scali marittimi: Saturo, Porto Perone, Torre Castelluccia, Porto Cesareo, Leuca; egualmente numerosi sono anche gli insediamenti indigeni con presenze micenee sull’Adriati-co: Otranto, Rocavecchia, Punta Le Terrare, Santa Sabina e Trani.

Nella terza fase (Miceneo IIIC), nonostante l’inizio del tramonto della civiltà di Micene, in tutta la regione le importazioni micenee continuano a essere attestate con notevole intensità non solo negli abitati, ma anche nei corredi funerari. Gli insediamenti contraddistinti dalla pre-senza di ceramiche micenee continuano a essere numerosissimi: molte delle località già ricorda-te continuano a testimoniare rapporti con l’Egeo, ma si registra la presenza di materiali micenei anche in località dell’interno, quali Avetrana, Parabita e Surbo, nel leccese, Torre Guaceto, Bari e Coppa Nevigata sulla costa adriatica.

Nel Bronzo Recente e Finale ai villaggi che, sorti nell’Appenninico, vengono ampliati e potenziati, si aggiunge una lunga serie di nuovi insediamenti. È evidente in questa fase la netta preferenza verso la scelta di posizioni costiere sia sul versante adriatico che su quello ionico, aperte al mare e ai traffici marittimi col Mediterraneo orientale.

Una conseguenza diretta dello sviluppo dei contatti con il mondo egeo è la specializ-zazione delle tecniche metallurgiche: la diffusione dei numerosi ripostigli di bronzi rinvenuti nella regione, la cui cronologia abbraccia un lungo lasso di tempo (dal XIII al VII sec. a.C.), documenta con insistenza una forte affinità con l’industria metallurgica dell’Egeo e dell’area balcanica. I ripostigli più antichi provengono dall’abitato di Scoglio del Tonno, dalla necropoli a incinerazione di Torre Castelluccia (Taranto) e dalla Grotta Manaccora (fig. 4.6), sul Gargano;

4.5. Porto Perone. Brocchetta dipinta del Miceneo IIIB.

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Capitolo IV 49

e ancora da Surbo e dalla Grotta Zinzulusa (Lecce) e da Mottola nel tarantino. Resta ancora aperta la problematica relativa al significato che può essere loro attribuito; un’ipotesi, che ha nel tempo trovato sostenitori e oppositori, è che essi rappresentino for-me di vera e propria tesaurizzazione pre-monetale: il metallo lavorato avrebbe costituito un mezzo di scambio largamente diffuso nelle civiltà protostori-che, ma la completa assenza di conoscenze sui dati ponderali allontana qualsiasi soluzione al problema interpretativo; ipotesi più giustificate potrebbero es-sere, a seconda dei singoli casi, che si tratti di ripo-stigli di un artigiano, fonditore o mercante, di stipi votive o di semplici depositi di armi o utensili.

È stato osservato che in Puglia, a differenza di altre regioni, non esiste nessuna frattura culturale tra l’ultima fase dell’età del Bronzo e la prima età del Ferro. Per quest’età, per la quale resta ancora aperta la definizione cronologica, comunemente at-tribuita a un orizzonte iapigio, sono documentati sia insediamenti costieri, ancora ubicati in luoghi dife-si naturalmente, sia insediamenti nell’entroterra, in pianura o in altura, caratterizzati da gruppi sparsi di capanne organizzati intorno a un punto di convergenza, generalmente in posizione dominante, che spesso diviene poi l’acropoli del centro urbano. A quest’età si datano, inoltre, alcuni ripo-stigli di bronzi, composti quasi esclusivamente da asce, che attestano l’associazione di fogge meridionali con tipologie adriatico-balcaniche.

È ormai ben noto il ruolo centrale che le evidenze funerarie hanno negli studi archeolo-gici, costituendo un aspetto fondamentale per la comprensione delle civiltà antiche. Il territorio pugliese si è dimostrato relativamente ricco di ritrovamenti di sepolture paleolitiche che testi-moniano, prevalentemente per le fasi del Paleolitico Superiore, la pratica di un culto funerario e che si connotano come le più antiche e ben datate sepolture italiane, tra le quali “l’Uomo di Altamura”, esemplare di Homo neanderthalensis rinvenuto nella Grotta di Lamalunga presso Altamura, le sepolture epigravettiane della Grotta di Santa Maria di Agnano, presso Ostuni e le testimonianze funerarie gravettiane ed epigravettiane di Grotta Paglicci, sul Gargano.

In età neolitica si diffonde il fenomeno dell’ipogeismo funerario, che ebbe come area di maggiore diffusione la Daunia, da cui provengono straordinari esempi di ipogei funerari con deposizioni plurime e ricchi corredi.

A partire dal 1700 a.C., con il Bronzo Medio iniziale, i grandi ipogei scavati durante il Bronzo Antico cessano di ospitare deposizioni funebri e tutti i nuovi ipogei dell’area apulo-materana assumono una valenza cultuale: vi si depongono offerte, vi si celebrano sacrifici e altri riti, legati forse al culto dei morti. Al posto delle sepolture ipogee si ergono i grandi dolmen, mo-numenti di grande fascino realizzati con lastre di pietra di grandi dimensioni e coperti da tumulo, mentre nell’area salentina si diffonde la tipologia dei cosiddetti “piccoli dolmen”, caratterizzati

4.6. Ingresso del Grottone di Punta Manaccora, presso Pe-schici.

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50 Preistoria e Protostoria

da struttura poligonale e dimensioni piuttosto limitate. La datazione di questi monumenti non è sempre chiara, perché hanno subito in molti casi fenomeni di riutilizzo che hanno cancellato i depositi archeologici e, dunque, la possibilità di uno studio cronologico.

Tra il XIII e l’inizio del IX secolo in molte aree della penisola italiana si verifica una rivo-luzione negli usi funerari per il diffondersi del rito a incinerazione, in Puglia ancora scarsamente documentato: i campi di urne subappenninici di Torre Castelluccia e il sepolcreto di contrada Pozzillo, presso Canosa, utilizzato dal XIV fino a gran parte del XII sec. a.C., testimoniano che nella regione convivono comunità legate al rito dell’inumazione in grotticelle artificiali o entro grandiosi monumenti dolmenici, accanto a genti praticanti l’incinerazione.

Nella prima età del Ferro nell’intera regione è documentato, sembra in maniera esclusiva, il rito dell’inumazione, con il defunto posto su un fianco in posizione rannicchiata. La tipologia tombale più diffusa nella zona a nord dell’Ofanto è quella a fossa semplice che spesso ospita sepolture multiple; nella parte centrale della regione sono invece diffuse le tombe a tumulo, strutturalmente affini a quelle della tarda età del Bronzo. La documentazione a disposizione pro-viene però esclusivamente dalla Puglia centrosettentrionale: infatti, sebbene si disponga di una discreta quantità di dati sugli insediamenti indigeni dell’età del Ferro della Puglia meridionale, mancano del tutto le evidenze funerarie, a eccezione di quelle degli enchytrismoi (sepolture di infanti entro recipienti) interrati in contesti abitativi, che però per la maggior parte si datano tra VII e VI sec. a.C.

I caratteri morfologici e fisiografici di un territorio hanno da sempre fortemente condizio-nato le scelte insediative delle popolazioni; inoltre, in aree carsiche come la regione pugliese, anche la disponibilità di risorse idriche ha avuto un ruolo particolarmente significativo nella distribuzione dei gruppi umani, rafforzando la stretta connessione esistente tra forme insediative e territorio.

Sulla base di queste considerazioni, nel presentare i principali insediamenti relativi alle fasi preistoriche e protostoriche, è stata operata una suddivisione che prescinde dagli attuali limiti amministrativi, ma che si basa sull’individuazione di quattro aree che presentano una propria unità geografica e una fisionomia storico-culturale ben definita: la Puglia settentrionale, che corrisponde in gran parte alla provincia di Foggia e comprende i rilievi del Subappenni-no Dauno, il promontorio del Gargano e la piana del Tavoliere; la Puglia centrale, costituita dall’elemento fisiografico delle Murge, l’ampio altopiano carbonatico distinguibile nella por-zione più interna ed elevata (Murgia Alta) e in quella più prossima alla costa adriatica (Murge Basse o Murge di sud-est); l’arco ionico-tarantino, fascia costiera a ridosso del Golfo di Taranto, caratterizzato da numerose profonde incisioni nella roccia calcarenitica (gravine); e il Salento, corrispondente alla porzione meridionale della regione, che include il “Tavoliere di Lecce” e i bassi rilievi delle Serre Salentine.

bibLioGrAFiAPer un inquadramento generale delle fasi preistoriche Peroni 1967; PALMADiCesnoLA 1979; inGrAvALLo 1997.

Per le più recenti indagini sulla neolitizzazione della regione Neolitizzazione 2000; rADinA 2002, con bi-bliografia precedente. Sulla facies eneolitica di Laterza e la facies di Cellino San Marco inGrAvALLo 2002, in part. pp. 73-86. Per l’età del Bronzo cfr. i contributi di GenioLA,biAnCoFiore,CreMonesi in Puglia 1979; CoPPoLA,L’AbbAte,rADinA 1981 e ancora inGrAvALLo 1997. Sulle problematiche della frequenta-zione micenea vAGnetti 1991, con bibliografia precedente. Sull’industria metallurgica LosChiAvo 1985, con bibliografia precedente. Sul tema dei rapporti tra la Puglia e l’area cretese GuGLieLMino,PAGLiArA

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Capitolo IV 51

2006. Per un inquadramento sull’età del Ferro Peroni 1967, pp. 122-128; D’AGostino1974;DeJuLi-is1988a;D’AnDriA1991a, pp. 397-413, bArtoLoni,DeLPino2005. Sulle tipologie funerarie CiPoLLonisAMPò 1990, pp. 146-156, con bibliografia precedente; Ipogei della Daunia 1999. Per le problematiche funerarie della Puglia meridionale cfr., nello specifico, il contributo di LoMbArDo 1994b. Da ultimo, Preistoria e Protostoria c.s.

M.s.

IV.1. Puglia settentrionaleLe prime presenze uma-

ne sul Gargano, databili al Pa-leolitico Inferiore (700.000-100.000 a.C.), interessarono, inizialmente, la parte setten-trionale del promontorio e il tratto di costa compreso fra i centri di Vieste e Mattinata. La geomorfologia del paesag-gio presenta, in direzione della linea di costa, modesti rilievi collinari che solo di rado supe-rano i 100 m s.l.m., e una serie di terrazzi leggermente incli-nati verso il mare (fig. 4.7).

Le ricerche archeolo-giche si sono concentrate, a partire dal 1950, nell’area cen-trosettentrionale del compren-sorio. Rinvenimenti databili al Paleolitico Inferiore sono stati localizzati sia nelle aree inter-ne, su rilievi posti tra i 200 e gli 800 m s.l.m. e, in particolare, nella zona compresa tra i territori di Vico, Ischitella e Carpino, sia più in alto, nell’area della Foresta Umbra. La fase più arcaica è testimoniata dalle stazioni di superficie di Masseria Tiberio e Masseria Forchione, ubicate presso le falde dei rilievi che si affacciano sul Lago di Varano, e dal Riparo Esterno di Grotta Paglicci, ricavato sul fianco di una profonda incisione valliva, a quota 150 m s.l.m. Attestazioni riferibili al Paleolitico Inferiore sono localizzate negli strati più profondi del riparo, insieme a resti di mammiferi di medie dimensioni (cervo, daino, stambecco). Resti di grandi pachidermi (Elephas antiquus) sono stati individuati, invece, sulle rive del Lago di Varano, nei pressi del giacimento all’aperto di località Casa Mangione.

Il Paleolitico Medio (100.000-35.000 a.C.) è meno documentato. L’area settentrionale del massiccio montuoso continua a essere la zona più fittamente abitata, sebbene siano state individuate anche stazioni all’aperto in alcuni piccoli bacini interni. In questo periodo sia i ri-pari sotto roccia che le grotte si prestano a un’occupazione stabile: insediamenti in grotta sono

4.7. Preistoria e Protostoria: carta delle principali località della Puglia settentrionale ci-tate nel testo.

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52 Preistoria e Protostoria

stati localizzati sia nell’area set-tentrionale del promontorio gar-ganico (Grotta di San Michele sul Monte Elio vicino a Cagna-no Varano), sia lungo il fianco meridionale (Riparo Esterno di Grotta Paglicci e Grotta Spagno-li) (fig. 4.8), mentre i giacimenti all’aperto sono situati, preferibil-mente, lungo la costa settentrio-nale (le Sorgenti di Irchio e più all’interno i Piani di San Vito, in una zona posta a nord e a sud della Foresta Umbra). In questo periodo compaiono, inoltre, le prime sepolture all’interno di fosse scavate nel terreno.

Il popolamento del Gar-gano durante il Paleolitico Su-periore (35.000-10.000 a.C.) è

testimoniato da una serie di giacimenti in grotta (più numerosi) e all’aperto, localizzati in parte lungo la fascia periferica, in parte all’interno del promontorio. Tuttavia solo alcuni di questi gia-cimenti possiedono un carattere prevalentemente abitativo, altri ricoprirono ruoli diversi quali officine di taglio della selce, come nel caso della stazione di superficie di Vico del Gargano, o luoghi di culto.

La nuova cultura dell’Ho-mo Sapiens sapiens è attesta-ta sia in stazioni di superficie (nella tenuta Soccio, all’interno della Foresta Umbra e a Vico Garganico in località Macelli), sia in insediamenti di grotta a Grotta Scaloria (fig. 4.9), Grot-ta dell’Angelo, Grotta di San Michele e Grotta Drisiglia, oltre che nei livelli più bassi di Grotta Paglicci. Nell’interno risultano frequentate le località Piani di San Vito e Fantetto, lungo la val-le Carbonara.

Le principali informazioni sulla fase finale del Paleolitico provengono da Grotta Paglicci che, per le sue testimonianze re-lative allo sviluppo della cultura materiale e al nascere di una primordiale forma di arte parietale e mobiliare, è considerata una delle principali attestazioni del Paleolitico Superiore in Europa.

4.8. Imboccatura della Grotta Spagnoli.

4.9. Grotta Scaloria (Manfredonia). Laghetto nella Scaloria Bassa.

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Capitolo IV 53

Incisioni graffite su pareti rocciose sono note nel Riparo-grotticella di Macchione, nel Riparo Ruggieri in località La Defensola (Vieste) e in località Sfinalicchio; si tratta di semplici incisioni lineari verticali, singole o a gruppi, parallele o convergenti ad angolo e la loro possibile attribuzione al Paleolitico Supe-riore è ipotizzabile sulla base di adeguati confronti tipologici.

La successiva facies cul-turale, il Mesolitico, non sembra aver lasciato tracce sul Gargano.

In età neolitica sembra che l’interno del promontorio non sia stato abitato, probabilmente per la presenza di una foresta fitta e umida che deve aver scoraggiato qualsiasi tentativo di un’occupa-zione stabile.

Risultò invece luogo pre-ferenziale per lo stanziamento umano la vasta pianura del Tavo-liere, solcata da numerosi corsi d’acqua, allora di considerevole portata. I nuovi agricoltori neo-litici dovettero attuare, inoltre, un’ampia opera di disboscamen-to per garantirsi la disponibilità di terreni da utilizzare per l’agri-coltura e per l’allevamento degli animali.

Un notevole apporto alla conoscenza della civiltà neoli-tica del Tavoliere venne dallo studio delle fotografie aeree ef-fettuate da J.B. Bradford, tenen-te dell’Esercito Inglese, nell’im-mediato dopoguerra (fig. 4.10). Le numerose riprese consenti-rono la localizzazione di circa 1.000 villaggi neolitici, indivi-duati grazie alle tracce, visibi-li sui fotogrammi, di strutture trincerate, o fossati, che delimitavano i singoli abitati e che costituiscono la peculiarità degli insediamenti di questo periodo. Il territorio di ciascun villaggio era delimitato da uno o più fos-sati concentrici di grandi dimensioni (fig. 4.11), che racchiudevano al loro interno una serie di fossati minori dalla caratteristica forma a “C”, detti compounds; la carenza di scavi sistematici

4.10. Veduta aerea verticale (RAF 1943) del villaggio neolitico di Passo di Corvo, edita da J.B. Bradford.

4.11. Resti di un villaggio neolitico visibili in traccia presso Masseria Fongo, a sud di Foggia.

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54 Preistoria e Protostoria

non consente di valutare la relazione tra i fossati minori e la possibile presenza, al loro interno, di una struttura abitativa.

Complessa è anche una loro definizione cronologica, in quanto i villaggi finora indagati sono stati diversamente attribuiti al Neolitico Antico, al Neolitico Medio e al Neolitico Tardo.

Gli abitati databili al Neolitico Antico sembrano occupare aree per lo più di modeste di-mensioni (uno/due ettari circa) cinte da uno o due fossati concentrici che racchiudevano al loro interno solitamente un solo fossato che probabilmente includeva una sola unità familiare. In questi casi è stata avanzata l’ipotesi che si tratti di “fattorie” sparse nel territorio più che di veri e propri villaggi. A questa prima fase appartengono il villaggio di Coppa Nevigata, posto nella piana di Amendola a ridosso di un’antica laguna collegata con il mare, il villaggio individuato nei pressi del lago di Rendina a sud dell’Ofanto, il sito del Guadone, nei pressi di San Severo, lo stanziamento di Lagnano da Piede, nei pressi di Stornarella (abitato ininterrottamente fino alle prime fasi del Neolitico Medio), il villaggio di Scaramella San Vito nei pressi di Borgo Taver-nola e quelli di Monte Aquilone e Masseria Giuffreda.

Durante il Neolitico Medio si assiste a un notevole aumento della superficie occupata dai villaggi, che diventano grandi insediamenti abitati da numerose famiglie. A questa fase appar-tiene il grande villaggio di Passo di Corvo, nei pressi di Arpinova, il più esteso insediamento neolitico d’Europa.

Dai dati di scavo emerge un quadro di una società alquanto disarticolata, composta essen-zialmente da singole unità familiari in grado di provvedere autonomamente alle esigenze dettate da un’economia basata principalmente sull’agricoltura e sull’allevamento. Rapporti di reciproca tolleranza dovevano intercorrere tra gli abitanti degli insediamenti più prossimi, dei quali si ri-spettava il territorio occupato. L’assenza di armi tra i rinvenimenti provenienti dai villaggi e la stessa dinamica di occupazione territoriale, basata su insediamenti unifamiliari, contribuisce a diffondere l’idea di una civiltà estremamente pacifica.

I defunti venivano seppelliti nelle vicinanze delle singole capanne, in fosse scavate nel terreno, all’interno delle quali il corpo, privo di qualsiasi elemento di corredo, era disposto su di un fianco e in posizione fortemente contratta.

Particolarmente interessante è la scoperta, nei dintorni di Vieste, della miniera neolitica di selce della Defensola, struttura sotterranea a sviluppo orizzontale su due piani sovrapposti, da cui proviene una ricca documentazione sulle tecniche di estrazione, grazie anche al ritrovamento di utensili e ceramiche.

L’occupazione di epoca eneolitica interessa solo la fascia costiera settentrionale e nord-orientale, con qualche estensione nell’entroterra garganico. Gli insediamenti finora noti hanno consentito di portare alla luce resti di capanne infossate più o meno profondamente nel terreno (Macchia a Mare), o scavate nel fondo roccioso (Coppa Cardone) oppure impostate su pali in-fissi su una superficie calcarea (Punta Manaccore).

La fase più avanzata dell’Eneolitico interessa anche la zona subcostiera, compresa tra Vico Garganico, Ischitella e Carpino nel Gargano centrosettentrionale, l’interno della Foresta Umbra e, a est, la fascia costiera tra Vieste e Mattinata. Si assiste, dunque, a uno spostamento dell’habitat verso l’entroterra, con stazioni ubicate a quote comprese in media tra i 200 e i 500 m s.l.m.

Nella piana del Tavoliere scarseggiano i rinvenimenti di epoca eneolitica; il contesto più significativo, databile a un momento molto avanzato dell’Eneolitico, è rappresentato dal rinve-

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Capitolo IV 55

nimento di una sepoltura in grotticella in località Casone di San Severo. La tomba, contenente un’unica deposizione, ha restituito un corredo che ha consentito di datare la sepoltura a una fase di passaggio tra l’Eneolitico e la più antica età del Bronzo (III-II millennio a.C.). Materiali spo-radici databili alla fase di passaggio tra l’età eneolitica e il primo Bronzo provengono, inoltre, da Masseria Sgulgola e da Torre Fiorentina.

Nella prima fase dell’età del Bronzo le scelte stanziali delle popolazioni che occupa-no il territorio oscillano ancora tra la grotta e gli insediamenti all’aperto. È probabile che gli stanziamenti in grotta abbiano avuto un carattere stagionale, legato a condizioni climatiche particolarmente ostili, ma è possibile che la frequentazione degli ambienti rupestri possa essere legata anche alla sopravvivenza di pratiche cultuali più antiche, come nel caso del complesso di cunicoli individuato in località le Cave di Apri-cena, che ha restituito numerosi resti di ossa umane e di frammenti ceramici e che potrebbe essere messo in relazione con pratiche re-ligiose e funerarie. Questa fase è documentata da materiali rinve-nuti all’interno di alcune cavità (Grotta Pippola, Grotta di Masseria Pasquarelli, nei pressi di Ischitella, e Grotta Scaloria-Occhiopinto) (fig. 4.12), e nell’antico centro di Canne, posto poco a sud dell’Ofan-to: qui fu ritrovato un ripostiglio di cinquanta asce di bronzo che rimandano ad alcuni confronti sia con aree dell’Italia centrosetten-trionale sia, anche se in misura minore, pugliesi.

A un momento più avanzato dell’età del Bronzo Antico si possono datare i più antichi materiali raccolti in superficie in località Masseria Iacovelli, nel territorio di Cagnano Varano, e nella Grotta del Fico a Manfredonia.

Indizi di frequentazione databili alle fasi iniziali della media età del Bronzo si rinvengono lungo la fascia costiera setten-trionale del Gargano, soprattutto in quella porzione del territorio compreso tra i laghi di Lesina, Varano e Vieste.

La pratica della pastorizia, favorita anche dalla particolare morfologia del Gargano, costi-tuiva una delle principali attività economiche di questo periodo, unitamente agli scambi via mare dei quali i centri costieri si face-vano mediatori rispetto alle co-munità dell’interno.

A partire dalla media età del Bronzo tutta la fascia costie-ra e pedemontana garganica è interessata da un proliferare di insediamenti, sia in grotta che

4.12. Grotta Scaloria. Vaso concre-zionato che raccoglieva le acque di stillicidio della grotta.

4.13. La collina di Ripalta, lungo il basso corso dell’Ofanto, sede di un insediamento protostorico.

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56 Preistoria e Protostoria

all’aperto, posti a controllo della viabilità e delle principali rotte commerciali. È questo il caso dello stanziamento di Coppa Ca-stedda, databile alla media e re-cente età del Bronzo, posto sul-la sommità di un rilievo (118 m s.l.m.) a picco sul Lago di Vara-no, e degli insediamenti di Monte Granata, sul Gargano meridiona-le, e di Madonna di Ripalta (fig. 4.13) sorto su un costone a picco sul basso corso dell’Ofanto.

Sempre sul Gargano, a Punta Manaccora (Peschici) è stato individuato un villaggio con capanne rettangolari, chiuso da un poderoso terrapieno, data-to alla media età del Bronzo (fig. 4.14); a nord di Vieste, in località

Punta Molinella, sono presenti i resti di un insediamento databile al Bronzo Recente. Anche nelle numerose grotte che si aprono sulle balze meridionali del promontorio, nei territori di Ri-gnano, San Giovanni Rotondo e San Marco in Lamis, sono stati rinvenuti materiali che attestano un’occupazione di questi luoghi nelle varie fasi dell’età del Bronzo.

Nella pianura del Tavoliere i villaggi dell’età del Bronzo si dispongono in posizione di controllo delle vallate fluviali (criterio seguito dai villaggi allineati sulle colline poste tra i fiumi Fortore e Saccione-Biferno), dei guadi fluviali del fiume Fortore con le sue piste di accesso al Tavoliere, dell’imbocco delle vallate che portano alle prime spianate del Gargano, della costa adriatica e del suo immediato entroterra. In questo periodo risulta abitato anche il Subappennino Dauno.

Durante il Bronzo Medio gli abitati sem-brano prediligere le aree limitrofe alle valli, ai corsi fluviali (in particolar modo la valle del Fortore) a alla fascia pedegarganica meridio-nale (insediamenti di Chiancata la Civita e di Casino Crisetti), mentre si registra il definitivo abbandono dell’occupazione della pianura in-terna (zona compresa tra il Candelaro e le prime propaggini dell’Appennino Dauno-Campano).

Sempre alla media età del Bronzo sono databili due insediamenti oggetto di costanti in-dagini sistematiche: Coppa Nevigata, sorto sul margine estremo dell’ampia laguna costiera in cui sfocia il Candelaro e munito di un podero-

4.14. Peschici. Il villaggio capannicolo di Punta Manaccora.

4.15. Trinitapoli. Fermatrecce e vasi di corredo provenienti dall’Ipogeo dei Bronzi.

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Capitolo IV 57

so muro di cinta, e Santa Maria di Ripalta, ai confini meridionali del-la Capitanata, su un alto costone che sovrasta il corso dell’Ofanto. I dati emersi dalle indagini di questi due importanti insediamenti hanno contribuito a fornire un’immagine di una società alquanto ricca, costi-tuita da pastori-cacciatori che alle-vavano principalmente ovicaprini, e bovini e suini in minore quantità.

I ritrovamenti di Trinitapo-li (figg. 4.15-16), San Ferdinando (fig. 4.17) e del Grottone di Manac-core forniscono, inoltre, importanti indicazioni relative al costume fu-nerario e ad alcune pratiche cultua-li dell’epoca, e denunciano un forte legame con le tradizioni osservate nell’Eneolitico-primo Bronzo per via della persistenza dell’uso delle deposizio-ni plurime in grotticelle, accompagnate da corredi indistinti.

I rapporti intrattenuti con le popolazioni del Mediterraneo orientale sembra abbiano contribu-ito al diffondersi della pratica dell’incinerazione. Il sepolcreto a incinerazione di località Pozzillo, scoperto a Canosa nel sud della Daunia, consiste in un vasto campo che ha restituito circa duecento cinerari deposti all’interno di pozzetti disposti uno accanto all’altro, datati tra il XIV e il XII sec. a.C., che trova un riscontro nella deposizione a incine-razione in area garganica, a Molinella, e databile tra la fine del Bronzo Medio e gli inizi del Bronzo Recente.

Nel Bronzo Recente risultano ancora oc-cupati alcuni insediamenti lungo la zona costiera compresa tra il Fortore e il Biferno e sulle colline lungo la valle del Fortore, e alcuni abitati disposti lungo i rilievi della fascia garganica pedemontana prospiciente il Tavoliere. Particolarmente attivi si rivelano gli insediamenti disposti lungo la costa dal Golfo di Manfredonia, a Trinatapoli, e l’insediamento di Cupola-Beccarini nella piana Sipon-tina, stazione attiva già nelle fase immediatamente precedente il Bronzo Medio e della quale è ben nota l’importanza durante l’età del Ferro.

4.16. Trinitapoli. Pianta dell’Ipogeo dei Bronzi.

4.17. San Ferdinando, località Terra di Corte. Un’immagine dell’ipogeo 3.

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58 Preistoria e Protostoria

Vengono invece abban-donati gli insediamenti d’altura posizionati lungo la fascia oc-cidentale pedegarganica e nelle vallate che portano alle prime balze rocciose del Gargano. Per-mane integro e frequentato senza soluzione di continuità il gruppo di insediamenti posizionati tra il Biferno e le due sponde del Fortore, dove i villaggi di Cop-pa di Rose e Pezze della Chiesa risultano addirittura ampliati; lo stesso fenomeno di ampliamento si registra anche a Coppa Nevi-gata. Si avverte, dunque, in que-sta fase finale dell’età del Bronzo

una tendenza allo spopolamento del promontorio garganico a favore della pianura, sempre più popolata a partire dal IX-VIII sec. a.C.

Tuttavia persiste e, addirittura, si intensifica la frequentazione dei villaggi di Punta Ma-naccore e del sottostante Grottone, di Molinella e di Santa Maria di Ripalta, sebbene risultino inequivocabili i sintomi di una crisi che porterà all’esaurimento, nella prima età del Ferro, del-le stazioni costiere settentrionali, a favore della nascita di un altro insediamento posizionato nell’area meridionale del promontorio garganico, l’abitato di Monte Saraceno presso Mattinata, che a partire dal X secolo e fino a tutta la prima età del Ferro diventerà il centro più importante di questo territorio. L’abitato sorgeva su un promontorio a picco sul mare, isolato dalla terrafer-ma tramite un ampio fossato; oltre il fossato, verso l’entroterra, era dislocata l’area cimiteriale (fig. 4.18), da cui provengono una serie di sculture in pietra. Si tratta di teste, sulle quali talvolta compare la raffigurazione del volto umano, scudi circolari e piccole stele antropomorfe databili tra la fase iniziale dell’utilizzo dell’area cimiteriale e non oltre la prima età del Ferro. Durante il VII sec. a.C. si registra il declino dell’abitato di Monte Saraceno, in concomitanza con il gradua-le abbandono dell’intero territorio garganico; in questo periodo saranno i centri sorti all’interno della pianura del Tavoliere a prendere il sopravvento, fino a registrare la loro massima fioritura nella piena epoca daunia.

bibLioGrAFiAPer l’età paleolitica PALMADiCesnoLA1979,GrAziosi1980b, PALMADiCesnoLA 1984; Ipogei della Daunia

1999; PALMADiCesnoLA2004,MAzzei,tunzi 2006. Per il Neo-Eneolitico del promontorio del Gargano si vedano CALAttini1981,tinè1983,PALMADiCesnoLA,viGLiArDi1984;MAzzei,tunzi2006. Per il Neolitico brADForD1957,DeLAnosMith1978,tinè1983,tinè,siMone1984,CAssAno,MAnFreDini2005. Sulle ricerche di J.B. Bradford relative al periodo neolitico FrAnChin rADCLiFFe 2006. Per l’età dei metalli PuGLisi1975,nAvA1984;Ipogei della Daunia1999;MAzzei,tunzi2006.

P.Gen.

4.18. Monte Saraceno. Necropoli con tombe a fossa.

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Capitolo IV 59

IV.2. Puglia centraleIl tratto costiero della Terra

di Bari, come l’intera costa adria-tica pugliese, ha subito a partire dal Pleistocene inferiore, coinci-dente per lo più con le civiltà del Paleolitico, un’evoluzione mor-fologica legata alle trasgressio-ni e ai successivi ritiri del mare Tirreniano. Le analisi in corso sulle variazioni della linea di co-sta sembrerebbero evidenziare, nelle fasi iniziali dell’Olocene (corrispondente al Neolitico An-tico), un’oscillazione di circa -15 metri, permettendo di ipotizzare una ricostruzione dell’area peri-costiera caratterizzata da un am-biente di tipo lagunare. La fascia retrocostiera si presenta come un vasto altipiano calcareo, le Mur-ge, sui cui pendii e terrazzi degradanti verso il mare sono documentate le più antiche forme insediative dell’area; l’elemento caratterizzante del paesaggio murgiano è costituito dalle lame, incisioni vallive poco profonde che offrivano alle comunità antiche importanti potenzialità, qua-li il collegamento diretto tra le zone costiere e l’entroterra e un ampio controllo territoriale.

Se la fase più antica del Paleolitico pugliese sembra essersi svolta quasi esclusivamente sul promontorio del Gargano, il Paleolitico Medio e il successivo Paleolitico Superiore interessano l’intera regione (fig. 4.19); anche in numerose cavità dell’area murgiana, pedemurgiana e del litorale barese i complessi di grotta finora noti hanno restituito traccia delle diverse culture paleolitiche. In assenza di ricerche sistematiche restano le sole segnalazioni di giacimenti all’aperto e i ritrovamenti in grotta: nella Grotta delle Mura, poco a nord di Monopoli, è ben documentato il Musteriano, come nella Grotta di Santa Croce, nel barese, dove si conservano livelli olocenici che chiudono una sequenza compresa tra il Paleolitico Medio e Superiore e il Neolitico Antico.

4.19. Preistoria e Protostoria: carta delle principali località della Puglia centrale ci-tate nel testo.

4.20. Ostuni, Grotta di Santa Maria di Agnano. Ingresso.

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60 Preistoria e Protostoria

La documentazione fune-raria risulta invece caratterizzata dalle eccezionali scoperte che si sono avvicendate nel corso degli ultimi decenni. Nella Grotta di Santa Maria di Agnano a Ostuni (fig. 4.20), sede in età storica di un luogo di culto di una divinità femminile, sono state identifica-te nel 1991 due sepolture (fig. 4.21) che costituiscono un uni-cum nell’ambito della Preisto-ria dell’intera penisola italiana; infatti, per le caratteristiche del seppellimento e sulla base di in-

dagini radiometriche effettuate su una delle due sepolture, pertinente a una donna incinta con un feto a termine, è stato possibile attribuire le due inumazioni alla fase gravettiana del Paleolitico Superiore (quasi 25 mila anni da noi). Il ritrovamento avvenuto nel 1993 nella Grotta di La-malunga presso Altamura ha invece documentato, seppur nella situazione di estrema difficoltà dell’analisi effettuata (i resti scheletrici non in connessione anatomica si conservano, parzial-mente coperti da concrezioni calcitiche, in uno stretto diverticolo della cavità), l’esistenza di una specie intermedia dell’Homo neanderthalensis.

Lo sviluppo delle civiltà neolitiche nel territorio della Puglia centrale si attua, seppur con modalità diverse, tra la metà del V e gli inizi del III millennio.

Le più antiche attestazioni di ceramiche impresse sono leggibili, seppur solo in scarse tracce, nelle grotte di Cala Scizzo e Cala Colombo, presso Torre a Mare, dove però l’inten-sa utilizzazione successiva ha determinato la dispersione delle testimonianze più arcaiche; nel complesso ipogeico della Grotta della Tartaruga di Lama Giotta, a sud-est di Bari, le numerose campagne di scavo hanno permesso di accertare l’esistenza di un repertorio vascolare estrema-mente vario. Il ricchissimo deposito di Grotta Sant’Angelo, scoperta casualmente nel 1930 alle pendici della collina su cui si sviluppò l’abitato protostorico di Ostuni, documenta con la sua varietà di forme e tipologie ceramiche una prolungata e diversificata frequentazione, durata per tutto il Neolitico. La vicina Grotta Morelli, che si apre nelle calcareniti pleistoceniche lungo il costone occidentale dell’omonima lama, ha restituito una sequenza stratigrafica che attesta una frequentazione neolitica dalle ceramiche impresse alla facies di Serra d’Alto. Mentre nella Grot-ta delle Mura presso Monopoli dagli strati neolitici provengono abbondanti resti di fauna la cui presenza ha fatto pensare a una primitiva forma di allevamento.

Alle testimonianze di grotta si aggiungono quelle, sempre più numerose, relative agli in-sediamenti all’aperto, che dimostrano con insistenza una complementarietà tra le due forme in-sediative. Appare ormai chiaro, infatti, che la frequentazione in età neolitica delle cavità naturali si svolgesse in funzione di attività diversificate (cultuale, individuabile forse con la pratica dei culti ctonî, legati alla Madre Terra; funeraria; di ricovero occasionale durante battute di caccia e raccolta) ma certamente differenti da quelle svolte nei villaggi.

Allo stato attuale della ricerca, per le fasi più antiche del Neolitico dell’area barese è stata

4.21. Ostuni, Grotta di Santa Maria di Agnano. Il calco di una delle sepolture epigra-vettiane.

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Capitolo IV 61

ipotizzata l’esistenza di una serie di abitati all’aperto, per lo più subcostieri, costituiti da ag-gregati non molto vasti, dove si esercitavano forme elementari, ma gradatamente strutturate, di coltivazione dei cereali e di allevamento stanziale e dove la caccia appare ormai relegata a una posizione marginale, come attività complementare.

Tra i più antichi insediamenti a ceramica impressa è da segnalare l’abitato del Pulo di Molfetta, che si estendeva su una superficie di circa due ettari su un ampio pianoro a 47 m s.l.m. affacciato alle pendici di una dolina carsica ampia circa 600 m e profonda 30. Le pecu-liari condizioni ambientali (paesaggio poco forestato certamente sfruttato per la cerealicoltura sul pianoro, disponibilità di risorse idriche sul fondo della dolina e l’esistenza di cavità naturali scavate lungo le pareti verticali, verosimilmente utilizzate per scopi cultuali e funerari) devono aver dunque costituito l’habitat ideale per lo sviluppo dell’insediamento, ben noto nel panorama degli studi di Preistoria italiana anche per l’attribuzione di una tipica produzione ceramica del Neolitico Antico impressa a crudo che ebbe ampia diffusione nel Mediterraneo.

Il villaggio di Balsignano, di recente scoperta, ubicato 15 km a sud-ovest dalla costa adria-tica, si sviluppava con un’estensione di circa due ettari su un ampio terrazzo calcareo lungo il corso della Lama Lamasinata, a una quota di 82 m s.l.m. La presenza di grandi strutture, in otti-mo stato di conservazione, da riferire probabilmente a unità abitative, indicano il carattere stabile dell’insediamento, ubicato in posizione estremamente significativa dal punto di vista strategico, eminente sul territorio circostante e naturalmente difeso dal versante orientale della lama.

Il sito di Scamuso, a sud di Torre a Mare, attualmente ridotto a una superficie di mezzo ettaro, sorgeva su di un’antica duna fossile ai margini di un’ampia laguna costiera in una fase piuttosto precoce del Neolitico Antico. Dall’area proviene una documentazione relativa a fasi insediative che vanno dalla seconda metà del VI alla metà del III millennio, con strutture a ca-panna con funzione abitativa e una probabile area di lavoro forse utilizzata per la riparazione e la realizzazione dei manufatti ceramici.

Con la fase di Serra d’Alto resta relativamente elevato il numero degli insediamenti ubi-cati in posizione subcostiera sia in strutture ipogee, come nelle già citate grotte di Cala Scizzo e Cala Colombo e nella Grotta Pacelli di Castellana Grotte, sia in contesti interni localizzati in aree funzionali all’occupazione prevalente (nei pressi di miniere, nelle zone di pascolo, presso gli approdi in posizione costiera o nei punti nodali lungo gli itinerari terrestri), oppure in posi-zione dominante lungo le lame, che si configurano come vere e proprie vie di collegamento tra l’interno e la costa. Punta della Penna a Mola, Polignano a Mare, Altamura, e ancora gli insedia-menti di Scamuso e di Madonna della Grazie nel territorio di Rutigliano, inseriti già da almeno due millenni nei rispettivi ambiti territoriali, sono alcune delle zone maggiormente frequentate dalle comunità della facies di Serra d’Alto.

Sembra dunque che a un massiccio popolamento iniziale, diffuso lungo il litorale e svilup-patosi nelle numerose lame, segua un utilizzo del territorio anche nelle aree più interne dell’en-troterra costiero. La sempre più approfondita conoscenza del paleoambiente, delle condizioni climatiche, botaniche e, in generale, ambientali, ha permesso di avanzare una prima ricostru-zione di un paesaggio neolitico aperto, poco forestato e dunque favorevole alla coltivazione dei cereali, dove trovavano posto cervidi e bovini selvatici.

Piuttosto complessa resta invece la definizione della successiva fase eneolitica, lacuna for-se dovuta allo stato della ricerca, basata quasi esclusivamente su contesti di grotta. Per la Puglia centrale si possono cogliere alcune linee di tendenza dei processi di formazione delle culture

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62 Preistoria e Protostoria

eneolitiche in siti all’aperto noti da ricerche di superficie: è documentata l’interruzione di vita di alcuni insediamenti preesistenti e uno spostamento dei nuclei d’abitato, come avviene per i vil-laggi di Le Rene, che sorge non lontano da Madonna delle Grazie, e Lama Rossa che si sviluppa nel territorio di Rutigliano, manifestando un cambiamento di gusto e di tecniche. L’eco delle tra-sformazioni in atto nel territorio si riflette anche nelle grotte, nella cui continuità d’uso traspare la persistenza di una tradizione ceramica evidentemente radicata e che spesso si tramanda anche nelle fasi successive: gli stessi tipi si ritrovano in località diverse, come Santa Candida a Bari, Grotta Pacelli, Grotta della Tartaruga di Lama Giotta e nell’insediamento di Lama Belvedere presso Monopoli; contesti eneolitici si ritrovano anche nella Grotta San Biagio e Sant’Angelo, nell’ostunese, che conservano ricchissimi depositi e hanno restituito ampi repertori vascolari. La mancanza di contesti che permettano di cogliere diacronicamente e chiaramente i vari momenti di questo sviluppo spingono comunque a valutare con estrema cautela i dati disponibili sulla fase eneolitica e dunque a limitarsi a impostare le linee di sviluppo delle problematiche.

Un popolamento differenziato con nuove scelte insediative caratterizza il periodo succes-sivo, determinando, già nella prima metà del II millennio, i poli principali di un’organizzazione che rimarrà a grandi linee invariata fino all’età preromana. L’analisi della complessa realtà inse-diativa della Puglia centrale nell’età del Bronzo, nonostante l’incompletezza delle conoscenze sulle più antiche fasi dell’età dei metalli, permette di identificare due situazioni preferenziali nell’organizzazione territoriale, con insediamenti posti all’interno su terrazzi in altura, spesso lungo il percorso di lame, e con stanziamenti sulla costa posizionati su punte e promontori facili

all’approdo.È stato osservato che le due scelte territoriali potrebbero

rispecchiare una diversificazione di attività e quindi di ruoli, con una maggiore attitudine, dunque, allo scambio per i centri della costa. La posizione dei siti all’interno, in zone più adatte all’al-levamento, sembrerebbe invece indicare quest’attività come una delle componenti economiche di base, integrata tuttavia dalla pra-tica agricola.

I contatti con i Micenei, già in atto nei secoli XVI-XV a.C., devono aver determinato il potenziamento degli abitati esistenti già in età precedente sulla costa. Lungo l’Adriatico, in particola-re nel tratto compreso tra Trani e Brindisi, sono stati localizzati dodici abitati con le medesime caratteristiche insediative, la cui durata si protrae notevolmente nel tempo. La situazione del popo-lamento della zona più interna, fino ai primi rilievi murgiani, pre-senta invece una maggiore variabilità di modelli e gli insediamen-ti appaiono di durata più breve, spesso compresa in un’unica fase.

Nell’area del sud-est barese l’aspetto protoappenninico è stato ritrovato in pochi contesti di grotta, per i quali è documentata una continuità dalle fasi precedenti (Grotta Pacelli di Castellana e Grotta San Giacinto a Conversano) e in aree interne (Lama Rossa e Masseria Carestia, sull’altopiano ostunese), dove a significati-ve continuità di insediamento si affiancano frequenti spostamenti degli abitati. Tracce di un’occupazione di facies protoappennini-

4.22. Altamura, Cava Pontrelli. Il sito paleontologico di Cava Pontrelli, sco-perto nel giugno 1999, ha restituito circa 30.000 impronte di dinosauro distribuite in un’area di 12.000 metri quadrati. La roccia su cui sono impres-se le impronte risalirebbe al Cretacico superiore (circa 80 milioni di anni fa); la conservazione delle orme, molto ni-tide e particolarmente durature, è stata possibile probabilmente grazie alla pre-senza di una mucillagine microbica in grado di conferire plasticità al terreno.

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Capitolo IV 63

ca sono state inoltre individuate a Bari, nella città vecchia, dove sono emersi numerosi elementi strutturali dell’abitato a capanne.

Risale al Protoappennini-co l’erezione dei dolmen mega-litici appartenenti al tipo c.d. “a galleria”, come documentano il dolmen Chianca dei Paladini a Corato, i dolmen di Albarosa (da cui provengono, oltre a reperti d’età successiva, vasi apparte-nenti alla facies di Cellino San Marco), La Chianca e Frisari nel territorio di Bisceglie (fig. 4.23), le testimonianze di long-barrow nel territorio di Trani, il dolmen c.d. di Fasano-Ostuni e il dolmen di San Silvestro, a Giovinaz-zo, l’esemplare più grandioso e complesso, protetto da un tumulo circolare di 30 m di diametro, scoperto casualmente nel 1961 e attribuito alla seconda metà del II millennio. Comincia così una tradizione sepolcrale che, parallelamente a quella delle tombe a grotticella scavata nella roccia, si prolungherà fino alle più tarde fasi della protostoria pugliese.

La vita dei centri costieri sembra consolidarsi nel corso dei secoli XV-XII, in concomitan-za dell’instaurarsi di rapporti con il mondo miceneo. Nella fase subappenninica sorgono nuovi insediamenti in posizione dominante a vista della costa, sugli speroni calcarei delle prime Mur-ge: Monticelli, nell’ostunese, che sorge su un piccolo promontorio fortificato, l’abitato di Monte San Nicola, posto a una quota di 290 m s.l.m. poco a sud-ovest di Monopoli, e risalendo a Punta della Penna, nella città vecchia di Bari, a santa Scolastica, a Cala Colonna presso Trani, a Santa Croce di Bisceglie e a Terlizzi.

Nell’interno si sviluppa una fitta serie di villaggi di facies subappenninica sia lungo le pri-me balze murgiane, dominanti la fascia litoranea (nei territori di Conversano, Polignano a Mare ed Egnazia), sia sulle alture più interne (L’Annunziata e Azetium, nel territorio di Rutigliano; Castiglione e Agnano presso Conversano; nei territori di Putignano e Castellana). L’insedia-mento di Risieddi, presso l’omonima masseria a nord-ovest di Ostuni, si sviluppava sul ciglio di un ampio terrazzo prospiciente la pianura costiera, a una quota di 280 m s.l.m.; qui i resti di intonaco di capanna e l’abbondante materiale ceramico di superficie testimoniano l’esistenza di un villaggio sorto in un’area già frequentata in età appenninica, poi cinto nel corso del XIII sec. a.C. da una struttura di fortificazione oggi quasi completamente distrutta a causa della sconside-rata urbanizzazione dell’area.

Tra le fasi finali dell’età del Bronzo e l’età del Ferro iniziale, fase che veicola verso la de-finizione delle floride comunità peucete, sembra dunque attuarsi nel territorio una distribuzione capillare degli insediamenti che, per la differente organizzazione delle attività produttive e per lo svilupparsi di più razionali sistemi di comunicazione, sfruttano al massimo la morfologia dell’ambiente, configurando un assetto territoriale dal quale deriverà, attraverso fasi di sviluppo ancora da chiarire, il popolamento d’età storica.

4.23. Il dolmen di Bisceglie.

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64 Preistoria e Protostoria

bibLioGrAFiAIn generale, sulle più antiche forme di popolamento dell’area della Puglia centrale PALMADiCesnoLA 1979;

CoPPoLA,L’AbbAte,rADinA1981;CoPPoLA1983. Sulle sepolture paleolitiche di Santa Maria di Agnano CoPPoLA1992,CoPPoLA2012 e sull’eccezionale scoperta dell’uomo di Altamura L’uomo di Altamura 1996, con bibliografia precedente. Per le più recenti ricerche sul Neolitico Neolitizzazione 2000, rADinA 2002 con bibliografia precedente. Per l’età dei metalli cfr. i contributi di A. Geniola e F. Biancofiore in Puglia 1979; CoPPoLA,L’AbbAte,rADinA 1981; AnDreAssi,rADinA 1988; CinQuePALMi,rADinA 1998. Sulle strutture dolmeniche biAnCoFiore 1979a, pp. 172-174; CiPoLLonisAMPò1987;CiPoLLonisAMPò1990, pp. 146-156, con bibliografia precedente.

M.s.

IV.3. Popolamento e insediamenti del tarantino

In seguito alle numerose scoperte effettuate tra l’ultimo trentennio dell’Ot-tocento e il primo quarantennio del No-vecento, le indagini archeologiche svolte a partire dal 1950 sino ai giorni nostri hanno restituito un quadro abbastanza completo delle dinamiche insediative dell’arco interno del Golfo di Taranto, ma la mancanza di una programmazione nelle indagini territoriali di ampio respi-ro ha determinato la creazione di ampie lacune conoscitive che riguardano alcune fasi cronologiche fondamentali per una migliore comprensione dei fenomeni del popolamento antico dell’area (fig. 4.24).

Al Paleolitico si riferiscono spora-diche segnalazioni per lo più maturate nel

corso di ricognizioni di superficie; la sola tipologia insediativa attestata nel tarantino è quella in grotta, considerata a carattere stagionale, come documentano le grotte Sant’Angelo sulla Serra di San Crispieri e quella sulla Serra di Sant’Angelo a Statte. Non sembrano invece attestate pre-senze relative a età mesolitica.

La frequentazione dell’area nell’età neolitica appare più diffusa rispetto alle epoche pre-cedenti, ma la documentazione disponibile è frutto di ricognizioni di superficie e solo raramente di scavi stratigrafici, come quelli a Punta Rondinella, Cimino, Saturo e Gandoli, non completa-mente editi.

Il rinvenimento di ceramiche impresse, incise, graffite e dipinte databili al Neolitico Anti-co testimoniano la presenza di villaggi a Statte, Martina Franca, Grottaglie, Taranto, San Giorgio Ionico, Manduria e Maruggio, e intorno alla Salina Grande; il Neolitico Medio, con la ceramica a impressione di Masseria La Quercia e la ceramica dipinta a fasce rosse e brune nello stile Pas-so di Corvo, è attestato a Scaloria Alta e Bassa; il Neolitico Finale, con la cultura di Serra d’Alto e la Cultura Diana-Bellavista, è documentato in numerosi insediamenti che mostrano continuità

4.24. Preistoria e Protostoria: carta delle principali località dell’area ta-rantina citate nel testo.

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Capitolo IV 65

di vita fino all’età eneolitica.La distribuzione insediativa del Neolitico Medio è abbastanza omogenea, e interessa so-

prattutto la fascia costiera a sud-est di Taranto, la zona paracostiera in corrispondenza di rilievi (forse antiche linee di costa) e le aree poste in prossimità di laghi costieri, paleoalvei, sorgenti d’acqua dolce e intorno alle zone umide, come le saline e il Mar Piccolo. Nell’interno sono atte-stati sia insediamenti all’aperto, come Statte, Martina Franca, San Giorgio, Grottaglie, Montepa-rano, Fragagnano, San Marzano, Sava, Terragne, Bagnolo e Monte Maliano (la cui ubicazione è probabilmente legata ad assi di percorrenza e a sorgenti d’acqua, sedi di stazioni di tipo stabile), sia abitazioni in grotta (Sant’Angelo di Statte e Caverna dell’Erba di Avetrana). Lo scavo delle località Gandoli e Saturo ha confermato alcune teorie riguardanti il sistema di vita dei villaggi, ancora definiti “stazioni”, di tipo capannicolo, abitate da gruppi seminomadi. La sola sepoltura finora indagata è il tumulo di Torre Castelluccia; numerose, anche se piuttosto generiche, sono le segnalazioni di tombe neolitiche, come nel caso delle sepolture ancora inedite di Monte Salete, nel comune di Grottaglie.

Tra gli esempi più rappresentativi della fase eneolitica, la Grotta di Sant’Angelo di Statte, frequentata sino all’età del Bronzo, dove sono testimoniate le facies di Piano Conte, del Gaudo, di Rinaldone e Laterza. La cultura di Laterza è presente anche a Taranto, nella città vecchia, e a San Domenico, sebbene in stratigrafie sconvolte dall’occupazione del Protoappenninico B e del Bronzo Medio. Un altro insediamento all’aperto è quello di Gandoli, lungo la costa sud-orientale di Taranto.

Le strutture funerarie sono del tipo a grotticella, come attesta la tomba di Gandoli, dove si conservava una deposizione plurima e un corredo ancora integro.

Gli scavi svolti negli ultimi trent’anni nell’Italia meridionale hanno dimostrato una con-tinuità di vita nel momento di passaggio dall’età Eneolitica al Bronzo Antico, il cui aspetto culturale caratteristico è la c.d. Civiltà Appenninica. Secondo una teoria piuttosto accreditata, alla fine dell’età eneolitica alcuni gruppi di genti appenniniche sarebbero giunti nella zona delle pianure e delle Murge a est di Taranto dove, dall’incontro tra la Civiltà di Laterza, a carattere pa-storale, e quella Materana, a sussistenza prevalentemente agricola, ha origine una nuova cultura, la c.d. Civiltà Apulo-Materana, che caratterizzerà l’Italia meridionale per l’intera età del Bronzo fino agli inizi dell’età del Ferro. Gli scavi nel tarantino hanno condizionato la lettura dei dati in un’ottica del tutto locale, con l’elaborazione di una cronologia (distinta in Protoappenninico A e B, Appenninico, Tardoappenninico e Subappenninico) ancora non precisamente fissata e non pienamente condivisa.

Manca comunque un’edizione completa delle ricerche sugli insediamenti dell’età del Bronzo del Golfo di Taranto; solo l’analisi topografica ha contribuito a riconoscere un’occupa-zione estesa all’intero territorio, organizzato in grandi insediamenti situati sui rilievi delle Mur-ge, sui bordi delle pianure alluvionali e lungo i cigli delle gravine, mentre nella fascia compresa tra la costa e le grandi aree umide si preferivano i promontori prospicienti il mare, o il punto più alto delle vallate fluviali paracostiere. Risultano, comunque, attestati sia i villaggi all’aperto che l’utilizzo delle grotte, come testimoniano la documentazione proveniente dalla grotta rinvenuta nel 1973 nella Gravina di Massafra (solo parzialmente edita) e l’insediamento rupestre nella gravina di Riggio, a nord di Grottaglie.

Secondo alcuni studiosi, in coincidenza con l’arrivo dei popoli micenei si sarebbero svi-luppati i primi insediamenti costieri stabili, in alcuni casi già nel Bronzo Antico, abitati sino

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66 Preistoria e Protostoria

alla fine dell’età del Ferro. I contenitori egei rinvenuti nell’insediamento di Scoglio del Tonno sono stati datati al XVI-XI sec. a.C. (fig. 4.25); a Saturo la ceramica Tardo Ella-dica, le brocchette micenee, o le matt-pain-ted sono state datate al Miceneo IIB e IIIA; a Torre Castelluccia è attestata l’importazione di contenitori micenei durante Miceneo IIIA, mentre, nel corso del Miceneo IIIC si svilup-pano vere e proprie produzioni locali, come la ceramica c.d. minia, in argilla di colore grigio, o i doli cordonati.

Nel Bronzo Medio persiste l’occu-pazione sistematica delle aree intorno alle piccole lagune costiere e su promontori a guardia di approdi naturali, con presenze

sporadiche nelle campagne comprese tra i villaggi più importanti. Tra gli insediamenti ricor-diamo quelli intorno al Mar Piccolo (Ajedda), a Monte Salete (Grottaglie), Fragagnano, Saturo, Torre Castelluccia, Scoglio del Tonno, Taranto (città vecchia, San Domenico), Lizzano (Loca-lità Bagnara), Avetrana (Grotta dell’Erba). Per quanto riguarda le strutture funerarie, nell’area settentrionale sono attestate forme sepolcrali di tipo dolmenico, simili alle testimonianze del nord-barese, costituite da una camera ipogeica formata da lastroni appena sbozzati e coperta da tumulo: i dolmen di Accetta (Statte), Tumarola e Leucaspide (Crispiano). A partire dalla fine del Bronzo Medio vengono utilizzate in tutto il territorio le tombe a grotticella, interamente scavate nella roccia con dromos di accesso, a una o più celle, con deposizione plurima, e utilizzate per un lungo arco cronologico. Al Bronzo Medio-Recente sono genericamente databili le tombe note del tarantino (a Crispiano, Mottola, Massafra, Scoglio del Tonno, Grottaglie, Monte Salete, Saturo, Luogovivo, Torre Castelluccia), gran parte delle quali depredate e riutilizzate in epoca moderna come deposito di attrezzi agricoli. La costante attività di saccheggio clandestino delle sepolture non permette purtroppo di ricostruire la completa tipologia del corredo di accompa-gnamento; il solo dato certo riguarda la modalità di deposizione degli inumati, che erano seduti a gambe ripiegate verso il busto, spalle contro la parete, mentre il corredo era deposto al centro della camera, presso i piedi del defunto. Sempre a partire dalla fine del Bronzo Medio e fino all’età del Ferro è attestata la presenza di sepolture a incinerazione entro vasi d’impasto coperti da ciotole rovesciate, come documentato nella necropoli di Torre Castelluccia. Nel territorio di Mottola si segnalano inoltre tombe a tumulo, delle quali sono stati resi noti i soli oggetti in metallo appartenenti al corredo.

Riguardo ai collegamenti terrestri, un’ipotesi ricostruttiva è organizzata secondo direttrici che seguivano l’andamento naturale del terreno, disposte sui margini della Salina Grande e lun-go i bordi e sul fondo delle gravine. Alcuni di questi percorsi, che sembrano essersi conservati nel tempo a motivo del carattere stabile degli insediamenti, sono legati alla transumanza di tipo stagionale, come quello tra Noci e Mottola o Grottaglie, che collegavano l’area delle Murge alla piana tarantina, e quelli che collegavano la costa ionica a quella adriatica. Un altro asse aggirava il margine settentrionale della Salina Grande e collegava la parte orientale del Mar Piccolo con

4.25. Scoglio del Tonno. Brocca a staffa frammentaria del Miceneo IIIC, decorata con il motivo dell’“octopus”.

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Capitolo IV 67

il Capo San Vito. Del tutto ipotetico, ma non improbabile, un asse viario paracostiero legato alla navigazione di piccolo cabotaggio. Non completamente definiti restano gli itinerari del commer-cio via mare legato alle tecnologie sempre più evolute della lavorazione dei metalli e allo scam-bio di oggetti preziosi (l’ambra); pertanto, si è tentato di ricostruire le rotte marittime sulla base dei rinvenimenti di materiali ceramici e in metallo rinvenuti in ripostigli, nei corredi funerari o negli insediamenti, sebbene non siano documentati relitti di questa età, a esclusione di qualche segnalazione di rinvenimenti subacquei di forme ceramiche databili al Bronzo Medio-Recente e all’età del Ferro.

L’età del Ferro risulta, come nel resto della Puglia, poco documentata e poco studiata an-che nell’arco ionico-tarantino, dove i principali insediamenti sono ubicati su promontori costieri o su rilievi dell’interno; tra questi Saturo, Torre Castelluccia, Scoglio del Tonno, San Domenico, Monte Salete e gli insediamenti ubicati sul ciglio delle gravine della serra di Grottaglie e delle Murge di Castellaneta. Si segnala, inoltre, l’interessante fossa di scarico (deposito di Borgo Nuovo) ubicata presso Piazza della Vittoria nel centro di Taranto, con ceramiche databili tra il X e l’VIII sec. a.C.

Gli abitati dell’età del Ferro finora noti sembrano occupare, senza soluzione di continuità, gli stessi luoghi frequentati nelle fasi del Bronzo Medio-Recente, come nel caso di Saturo, Roccaforzata, Li Castelli, Terragne e Bagnara, per i quali è stata accertata la produzione locale di ceramiche geometrico-iapigie.

Gli scavi di Saturo e L’Amastuola forniscono indicazioni più precise riguardanti la secon-da età del Ferro, mentre sono purtroppo inediti gli scavi di Torre Castelluccia degli anni tra il 1948 e il 1952. Nella prima metà dell’VIII sec. a.C. sono attestati frammenti di coppa “a che-vron” a Scoglio del Tonno, mentre nel restante territorio tarantino la presenza greca si manifesta con la presenza di ceramica corinzia, come riscontrato a Saturo e a Taranto.

La costituzione interna di questi abitati, caratterizzati da una sorta di viabilità interna su cui si impostano abitazioni costruite in parte da muretti, ha indotto alcuni studiosi a parlare di insediamenti di tipo ‘proto-urbano’, fenomeno iniziato durante il Subappenninico.

Nell’età del Ferro è attestato l’uso di sepolture a grotticella, a tumulo e a incinerazione; in questo periodo si riscontra inoltre l’abbandono delle sepolture plurime in grotte artificiali e l’inizio dell’utilizzo di tombe a fossa (dette anche a pozzo o a cassetta) generalmente scavate nella roccia e con deposizione rannicchiata. Questa tipologia è particolarmente diffusa in Puglia e nel Salento, ma non trova riscontri precisi nel territorio tarantino, dove la sola necropoli suf-ficientemente esplorata è quella di Torre Castelluccia, che resta però in attesa di pubblicazione. Tombe a fossa sono state segnalate nel Borgo di Taranto, mentre necropoli di tombe a tumulo sono state rinvenute a Murgia Giovinazzi, Murgia San Francesco e Murgia San Benedetto e in Contrada Caprarica, sulla serra di Grottaglie. Sepolture a incinerazione entro urna sono attestate a Scoglio del Tonno e a Torre Castelluccia, la cui vasta necropoli a incinerazione è costituita da urne biconiche o vasi situliformi di impasto coperti da tazze, datati genericamente alla fine dell’età del Bronzo e all’età del Ferro.

Allo scorcio dell’VIII sec. a.C., dunque formalmente al di fuori della seconda età del Fer-ro, la ceramica geometrica iapigia denota una notevole evoluzione decorativa, contemporanea-mente ai primi contatti con centri della Grecia continentale. I dati di scavo di Saturo sottolineano l’assiduità di importazioni tra la metà del VIII e la metà del VI sec. a.C., documentando così l’esistenza di una “unità iapigia”, durata per tutto l’VIII sec. a.C. Dall’inizio del VII sec. fino

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68 Preistoria e Protostoria

al VI sec. a.C. si attua, con l’occupazione di punti strategici della fascia costiera (Scoglio del Tonno, Saturo, Torre Castelluccia, Bagnara) e di alcuni insediamenti dell’interno (L’Amastuola, Roccaforzata, Monte Salete), la graduale espansione territoriale da parte della colonia laconica di Taranto, che provocherà l’allontanamento delle comunità indigene verso i margini del ter-ritorio, determinando quei processi di differenziazioni locali e culturali di Peucezia, Daunia e Messapia, che saranno definitivamente delineate tra il VI e il V sec. a.C.

bibLioGrAFiAPer la Preistoria e Protostoria nel tarantino in generale DeLL’AGLio, zinGArieLLo 2010, pp. 21-27. Per l’età

neolitica, notizie di carattere generale sull’intero territorio sono in FeDeLe 1972; biAnCoFiore 1979b; FornAro1981;CorrADo,inGrAvALLo1988;FeDeLe 1992. Sull’età di transizione tra la fine dell’Eneoli-tico e il Bronzo Antico PuGLisi1959;LoPorto1965, pp. 161-173; biAnCoFiore 1971. Sulla continuità della Cultura di Laterza nel Bronzo Antico GorGoGLione 1993. Per la datazione delle ceramiche micenee provenienti dagli insediamenti tarantini GorGoGLione 1996. Sulla distribuzione delle tombe a forno biAn-CoFiore 1963. Sull’età del Ferro biettisestieri1985, pp. 85 ss.; Peroni 1989, pp. 395 ss.

P.GuA.

IV.4. SalentoLa ricerca preistorica e paletno-

logica nel Salento ha ampiamente testi-moniato la lunga storia del popolamen-to del territorio, tentando di ricostruire le vicende insediative dei primi gruppi umani.

Protagonista e pioniere della preistoria salentina fu il paletnologo toscano Ulderigo Botti, il quale nella seconda metà dell’Ottocento avviò le prime esplorazioni nelle numerose ca-verne che si aprivano lungo la costa di Leuca, proponendosi di indagare con sistematicità il territorio. L’estremo Sa-lento divenne dunque campo di ricerca fin dal momento iniziale della paletno-logia italiana, e le indagini avviate a più riprese nelle grotte salentine han-no restituito una molteplicità di aspetti del Paleolitico, rivelandone lo spessore cronologico e culturale (fig. 4.26).

Dopo questo primo momento compreso tra l’ultimo trentennio dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, che registrò tra l’altro la scoperta dell’imponente giacimento di Grotta Romanelli, gli anni ’50 furono caratterizzati da un notevole fervore di ricerche, che restituirono una vastissima documentazione sul Paleolitico. Le scoperte per opera dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria agli inizi degli anni ’60 nelle grotte che si aprono lungo il canale del

4.26. Preistoria e Protostoria: carta delle principali località salentine citate nel testo.

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Capitolo IV 69

Ciolo, presso Novaglie, e le indagini sistematiche nelle numerose grotte della Baia di Uluzzo, sulla costa di Nardò, ampliarono grandemente le conoscenze sul Paleolitico, mettendo in luce nuovi orizzonti culturali, come l’Uluzziano, facies industriale localizzata nelle grotte della baia omonima ma individuata anche in altre regioni italiane, appartenente al Paleolitico Superiore arcaico e mai riscontrata prima di allora. E nel corso degli anni ’70 nella famosa Grotta dei Cervi di Porto Badisco si avviano il rilevamento delle superfici pittoriche parietali e sondaggi di scavo nelle aree interne. La natura carsica del territorio salentino rappresenta una condizione eccezio-nale per la ricerca preistorica, come dimostrano le continue scoperte, spesso avvenute casual-mente, effettuate in ambienti ipogei; l’intrinseca difficoltà dello scavo di un deposito in grotta ha, però, costituito il grosso limite delle ricerche stratigrafiche eseguite in cavità che spesso, per la complessità e imponenza dei depositi interni ed esterni, sono state indagate solo in parte.

Le ricerche dell’ultimo trentennio hanno arricchito il già vasto quadro delle presenze e delle potenzialità archeologiche delle aree preistoriche salentine, proponendo il completamento e la sistematizzazione dello studio delle fasi più recenti della Preistoria regionale (Neo ed Ene-olitico) e l’inquadramento delle cronologie relative all’età dei metalli.

Se la più antica fase del Paleolitico pugliese si svolse quasi esclusivamente sul promonto-rio del Gargano, con la sola eccezione salentina del deposito più antico di Grotta dell’Alto (Nar-dò), il Paleolitico Medio e il successivo Paleolitico Superiore interessano l’intera regione, dalla Daunia al Capo di Leuca. Dall’epoca di 80.000 anni fa numerose cavità del Salento, non tutte abitate allo stesso momento, fornirono ricovero a gruppi umani, come testimoniano i comples-si finora indagati che hanno restituito abbondanti tracce della variegata strumentazione litica, funzionale alle attività di sussistenza (caccia e raccolta e, a partire da un momento più tardo, la pesca) delle diverse culture pale-olitiche.

La documentazione fune-raria relativa alle più antiche fasi della Preistoria salentina è, allo stato attuale della ricerca, piut-tosto lacunosa, e sebbene sia at-testato anche per il Paleolitico il culto dei morti, non sono note le pratiche e i connessi rituali. Nel-la Grotta delle Veneri di Parabita fu messa in luce una sepoltura bisoma manomessa in età suc-cessiva, che conservava le ossa del bacino e degli arti inferiori dei due inumati, forse un uomo e una donna; i due corpi giacevano in una fossa a contorno ellittico, e mostravano tracce di una copertura d’ocra rossa, presente anche su alcuni oggetti del corredo. Da Grotta Romanelli provengono tre sepolture di un adulto e due bambini, e reperti umani, forse attribuibili a nean-dertaliani, provengono da Grotta del Cavallo (fig. 4.27) e dall’Antro del Bambino della Grotta delle Tre Porte, presso Leuca.

Alcune grotte salentine hanno inoltre restituito manifestazioni d’arte preistorica, sia pa-

4.27. Nardò. L’ingresso di Grotta del Cavallo.

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70 Preistoria e Protostoria

rietale che mobiliare. Da Grotta delle Veneri provengono, purtroppo fuori strato, le famose statuette femminili in osso note col nome di Veneri (fig. 4.28), straordinario esempio di plastica antropomorfa del Paleolitico Superiore; a una fase più tarda (Epigravettiano finale-Romanelliano) si ri-feriscono le manifestazioni d’arte mobiliare da Grotta Romanelli e Grotta del Cavallo, consistenti in graffiti su pietre o parietali, caratterizzati da elementi zoomorfi, for-temente schematizzati, e geometrici; oggetti in osso o pie-tra dipinti con macchie tondeggianti o segni pettiniformi, che preludono a espressioni d’arte che si generalizzeranno in età postpaleolitica.

Grotta Marisa (Otranto) è l’unica nel Salento ad aver restituito un deposito con industrie omogenee interamente attribuibili al Mesolitico, da cui provengono abbondantis-sima industria microlitica e numerose incisioni su pietra e su osso.

Il Neolitico, l’età che segna la transizione epoca-le verso la stabilizzazione degli insediamenti, la pratica dell’agricoltura e l’allevamento del bestiame, sembra si sia

diffuso nel Salento a partire dal VI millennio, ed ebbe il suo pieno sviluppo nella seconda metà del V. Alle prime documentazioni archeologiche di grotta, fortemente rimaneggiate e inquinate, si vanno aggiungendo, con le recenti scoperte, le conoscenze di una sempre più fitta serie di vil-laggi che rispecchiano nelle forme strutturali le esigenze introdotte dall’agricoltura. A Torre Sa-bea (Gallipoli) è stato indagato uno dei più antichi siti del Neolitico meridionale: buche di palo, strutture di combustione e una fossa contenente cereali documentano l’esistenza di un villaggio di capanne dotato di forni e silos, che sorgeva in prossimità di una piccola insenatura costiera nella quale sfociava un corso d’acqua. L’insediamento di Sant’Anna (Oria) ha restituito in uno stato di conservazione relativamente buono due aspetti del Neolitico, l’uno collocabile nel V millennio, l’altro nel III, ciascuno dei quali con strutture probabilmente abitative, documentate attraverso acciottolati, buche per palo, fosse di combustione e una cortina muraria che circonda l’abitato e che sembra avesse funzione di contenimento, piuttosto che difensivo.

Gli insediamenti finora noti non sembrano documentare le complesse opere, come trincee e compounds, che caratterizzano i villaggi del Tavoliere, bensì un Neolitico salentino con pecu-liarità e caratteristiche proprie, come l’elevata qualità della ceramica, estremamente raffinata, che raggiunge con la graffita le forme di espressione più alte.

Lo stato delle conoscenze circa i rituali funerari dei primi orizzonti neolitici in Italia me-ridionale è ancora lacunoso; per il Salento, se si esclude la scarna documentazione funeraria di deposizioni in grotta, situazioni come quella di Samari (Gallipoli), riferibile a una piccola e organizzata area sepolcrale collocata all’esterno dell’abitato, sono finora poco conosciute e ciò evidenzia l’eccezionalità di tali ritrovamenti. Le recenti ricerche condotte sul pianoro di Serra Cicora (Nardò) hanno restituito un quadro ancora poco chiaro dell’occupazione del sito nel corso della prima metà del VI millennio e risulta difficile stabilire se in questa fase più antica si sia trattato di un’occupazione di tipo abitativo o funerario, mentre sembra chiaro il ruolo che

4.28. Statuine muliebri dalla Grotta delle Veneri di Parabita.

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Capitolo IV 71

Serra Cicora ebbe nelle fasi successive di Serra d’Alto e Diana, quando l’area fu scelta da una o forse più comunità stanziate nel territorio per lo svolgimento di pratiche funerarie e cerimonie collettive.

È infatti con il Neolitico Tardo della Cultura di Diana che la documentazione archeologica pugliese si arricchisce di informazioni sulle tombe e sui relativi corredi, rinvenute prevalente-mente nell’area tarantina. Le sepolture tardo-neolitiche a inumazione presentano un’ampia gam-ma di tipologie: le tombe a fossa semplice rivestita da grosse pietre o da lastre lapidee, i circoli funerari e la grotticella artificiale, ben documentata in Salento con la tomba di Arnesano, dove si conser-vava un rannicchiato in giacitura primaria insieme a un corredo co-stituito da tre vasi e da un idoletto in pietra, e dalla recente scoperta della sepoltura di Carpignano Sa-lentino, dove è stato messo in luce un inumato adulto, l’ultimo di una serie di otto deposizioni, in ottime condizioni di conservazione (fig. 4.29).

Data la scarsa conoscenza finora raggiunta sulla struttura so-ciale della tarda Preistoria italiana, è difficile proporre ipotesi credibili sul mondo spirituale. Manifestazioni di culto, che hanno indubbiamente la loro massima espressione nella Grotta dei Cervi di Porto Badisco, sono parti-colarmente frequenti in diverse cavità del Salento. Forse molte delle numerosissime buche che inquinano la maggior parte dei depositi neolitici delle grotte salentine furono scavate dalle stesse genti neolitiche in base a un ben definito rituale, legato al carattere simbolico che le buche stesse posseggono, cioè di essere scavate e di penetrare nella terra, documentando quella che probabil-mente era una religione agricola, legata alla Madre Terra e alle divinità ctonie.

Col passaggio dal III al II millennio la situazione mutò radicalmente; i motivi di questa rivoluzione sono molteplici, alcuni dei quali da porsi ancora una volta in relazione ai mutamenti ecologici e climatici che si sareb-bero verificati in quest’epoca.

I ritrovamenti attribuibili all’Eneolitico effettuati finora nell’area salentina apparten-gono esclusivamente a contesti di grotta, dove spesso all’abbondanza dei materiali non corri-sponde la possibilità di un loro sicuro inqua-dramento nella successione stratigrafica. Per il Salento il sito-guida è rappresentato da Grot-ta della Trinità (Ruffano), da cui proviene il

4.29. La sepoltura neolitica di Carpignano.

4.30. Castro. L’ingresso di Grotta Zinzulusa.

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72 Preistoria e Protostoria

complesso documentario stratigraficamente più articolato e ricco riferibile all’aspetto in esame, cui si aggiungono segnalazioni in numerose grotte costiere del Capo di Leuca, Santa Maria del-la Grotta a Presicce, Grotta delle Veneri a Parabita e la Grotta Zinzulusa di Castro Marina (fig. 4.30), la sola grotta turistica attualmente visitabile in Salento, dove, nel 1972, all’interno di un piccolo bacino d’acqua posto al termine di un breve sifone sommerso, furono rinvenuti undici vasi a impasto appartenenti all’Eneolitico iniziale, i quali per il peculiare contesto di ritrovamen-to hanno fatto pensare alla presenza di un culto legato alle acque. Non trovano ancora confronti in ambito indigeno le esperienze funerarie in fase di scavo a Salve, nel Salento meridionale, dove è attestata la tipologia del tumulo sopra incinerazione in vasi di tipo Laterza e Gaudo (III millennio).

Senza brusche rotture si maturano così nel Salento le condizioni per la piena affermazione dell’età dei metalli, attraverso la successione dei diversi aspetti culturali che si svilupparono tra il XVIII e il X sec. a.C., sebbene, come sempre avviene nei momenti di passaggio, sia difficile stabilire come e quando finisca un periodo e ne cominci un altro. Altrettanto complesso risulta valutare la reale incidenza che i fenomeni innovativi hanno apportato sull’articolazione interna delle singole facies archeologiche, la cui definizione nella penisola salentina è stata fortemente ostacolata dalla disomogeneità della ricerca, dalla scarsa affidabilità stratigrafica degli insedia-menti a lunga durata e dal rischio di costringere entro rigide maglie classificatorie le diverse culture umane.

Sulle fasi più arcaiche del Bronzo Antico salentino possediamo conoscenze ancora oc-casionali. A Grotta dei Cappuccini (Ga-latone) si conservavano resti di deposi-zioni multiple (almeno 311 individui) associate a materiali riferiti alla facies di Cellino San Marco.

Nella provincia di Lecce uno degli insediamenti protoappenninici meglio documentati è rappresentato da Cavalli-no (fase 1); anche il materiale raccolto alla fine degli anni ’70 nell’insediamen-to di Spigolizzi, nel Salento meridionale, mai divenuto oggetto di ricerche siste-matiche, ha documentato un orizzonte culturale riferibile al XVI sec. a.C.; è invece recente la scoperta dell’insedia-mento protoappenninico di San Donato di Lecce, che si sviluppava su un’altura all’interno di un recinto circolare (fig. 4.31). Nel brindisino, il nucleo proto-storico di Muro Maurizio si inserisce nelle fasi iniziali del Bronzo Medio, e, alla luce di recenti ridatazioni, anche per l’abitato di Santa Sabina è stato proposto un inizio nel Protoappenninico B.

4.31. San Donato di Lecce. Veduta aerea IGM 1972, le frecce indicano il percorso della fortificazione dell’insediamento protoappenninico.

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Capitolo IV 73

In ambito funerario, le testimonianze collocabili nella fase protoappenninica si limitano ai corredi delle 12 tombe dolmeniche sotto tumulo di Vanze e Acquarica, le cosiddette “piccole specchie”, recentemente ridatate a una fase antica del Protoappenninico B (intorno al 1800 a.C.), costituite da limitati tumuli di pietre e terra e una o più strutture dolmeniche, e alle 25 tombe coperte da un megalitico tumulo sepolcrale a Santa Sabina.

Contemporaneamente alla pratica del seppellimento individuale all’interno di una cella dolmenica è documentato anche l’utilizzo di tombe a grotticella artificiale, di tradizione eneoli-tica: l’impianto originario delle grotticelle di Acquarica, tutte con resti di deposizioni plurime, è stato attribuito alla facies Cellino ma con un’evidente fase di riutilizzo in età protoappenninica; la tomba di San Vito dei Normanni (Brindisi) è invece uno dei più importanti monumenti del Protoappenninico B. Si tratta di una struttura ipogeica con cella a pseudocupola fiancheggiata da una nicchia laterale, cui si accede tramite un breve dromos; all’interno furono rinvenuti i resti di una deposizione multipla con almeno 30 individui deposti ai lati dell’ambiente in momenti suc-cessivi e in strati sovrapposti attorno a una pietra troncoconica che parrebbe simboleggiare una sorta di mensa funebre; una volta chiuso l’accesso alla cella, anche il corridoio fu occupato da inumazioni con ricchi corredi, che occupano un lasso di tempo relativamente breve, compreso tra il 1800 e il 1700 a.C.

I “piccoli dolmen”, tipo-logia funeraria dalla fisionomia particolare finora poco docu-mentata, è ampiamente attestata nella zona di Giurdignano, nel Salento sud-orientale (fig. 4.32). Si tratta di strutture di piccole dimensioni, a pianta irregolare, con un lastrone di copertura so-stenuto da numerosi blocchi di-sposti in modo vario; la loro col-locazione cronologica in ambito protostorico è, allo stato attuale delle conoscenze, del tutto ipote-tica, basata sul confronto forma-le con analoghe strutture maltesi.

L’Appenninico sembra testimoniato da una scarsissima documentazione, sebbene gli stu-di recenti e le sempre più numerose testimonianze archeologiche offerte dalle ricerche sistema-tiche propongano la definizione di una specifica facies appenninica salentina del Bronzo Medio. Questa fase sembra coincidere con un processo di organizzazione territoriale che riguardò sia le modalità insediative e che la sfera funeraria: diversi abitati interni e costieri, tra le fasi finali del Protoappenninico e l’inizio del Bronzo Medio, vengono abbandonati a favore di siti costieri già esistenti o di nuovo impianto, che rispondono a caratteristiche ben precise dal punto di vista topografico: la presenza di un promontorio proteso sul mare e fiancheggiato da insenature, di corsi d’acqua e di importanti direttrici naturali di collegamento con il centro del territorio.

La netta preferenza per le posizioni costiere aperte sul mare, sia sul versante adriatico che su quello ionico, nel corso del Bronzo Medio, periodo in cui sulle coste dell’Italia me-

4.32. Il dolmen Grassi di Giurdignano.

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74 Preistoria e Protostoria

ridionale cominciano a divenire più evidenti le prove dei contatti con il mondo miceneo, dimostra la grande predisposizione della penisola salentina ai traffici ma-rittimi e ai rapporti con l’Oriente mediterraneo.

L’inizio del villaggio di Punta Le Terrare, presso Brin-disi, sembra collocarsi in un momento finale del Protoappen-ninico e avere ampio sviluppo nel momento classico della Ci-viltà Appenninica, solo sporadi-camente testimoniata nell’altro

grande insediamento costiero del brindisino a Torre Guaceto (fig. 4.33). Il piccolo villaggio costiero de Le Pazze, presso Ugento, documentato da strutture semicircolari, buche da palo e potsherd pavements, da cui provengono ceramiche appenniniche, sembra aver avuto una vi-cenda insediativa piuttosto breve, conclusasi nell’arco della fase iniziale del Bronzo Medio; e ceramiche appenniniche sono rappresentate nell’insediamento di Scala di Furno, presso Porto Cesareo, dove è documentato un impianto produttivo, e a Leuca: la loro presenza indica che già in questo periodo inizia l’occupazione di alcuni dei villaggi costieri che avranno grande espan-sione nella successiva fase subappenninica.

Ed è in questa fase che lungo la costa adriatica sorgono il nucleo protostorico di Otranto e l’insediamento di Rocavecchia.

Nel Subappenninico, correlabile col Bronzo Recente, nel Salento si registra l’infittirsi de-gli insediamenti costieri, sintomo di un probabile incremento demografico che si verificò nella regione. Ed è in questo periodo che le attestazioni di tipo egeo nel Salento sembrano aumentare, contrariamente a quanto avviene in altre zone dell’Italia meridionale, e inoltre ai villaggi sorti nelle fasi precedenti si aggiungono nuovi insediamenti. Nelle fasi finali dell’età del Bronzo, contemporaneamente al diradarsi dei contatti con il mondo miceneo, diversi centri indigeni sa-lentini danno avvio a uno sviluppo autonomo delle potenzialità acquisite nei secoli precedenti. La nascita di un artigianato specializzato nella produzione di ceramiche di imitazione egea, definite “italo-micenee”, e di grandi contenitori per derrate alimentari, testimonia l’alto grado di sviluppo delle comunità locali, raggiunto attraverso una rielaborazione autoctona degli apporti tecnologici.

Solo verso la fine del Bronzo Finale si notano i segni di una tendenziale crisi del sistema insediativo, che determinò fenomeni di ridimensionamento delle comunità indigene in seguito a eventi violenti e distruttivi.

Estremamente esigue risultano le conoscenze legate ai modi e ai rituali funerari: il mo-mento finale dell’età del Bronzo, che con la cultura protovillanoviana vede la massiccia intro-duzione dell’incinerazione nel costume funerario di molte regioni italiane, nel Salento è ancora poco documentato. Sembra che al Bronzo Finale si dati il corredo una tomba a incinerazione rin-venuta a Muro Leccese, che costituisce l’esempio isolato di testimonianza funeraria finora nota.

4.33. Immagine aerea obliqua del promontorio costiero di Torre Guaceto.

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Capitolo IV 75

Le straordinarie testimonianze di Rocavecchia, che non trovano adeguati riscontri nel panorama indigeno, documentano per la prima volta pratiche cultuali che prevedevano sacrifici animali, compiuti nell’area di una vasta “capanna-tempio” scavata nel settore nord-occidentale dell’abitato del Bronzo Finale. E in quest’età doveva essere visitata a scopo di culto anche la vicina Grotta della Poesia, i cui graffiti parietali raffigurano importanti elementi simbolici come la doppia ascia.

Nel periodo iniziale dell’età del Ferro, in un contesto culturale genericamente indicato come iapigio, il sistema insediativo dell’area salentina sembra mantenere una sostanziale con-tinuità rispetto alla fase precedente. Gli abitati sono piccoli villaggi aperti, costituiti da diversi nuclei di capanne, generalmente collocati in posizione privilegiata su piccole alture costiere e dell’entroterra. Le più antiche attestazioni di strutture abitative sono costituite da resti di capan-ne, testimoniate da esili tracce di focolari, segmenti di muretti a secco, battuti di tufina e buche di palo. Strutture di quest’epoca, attribuite a un arco cronologico compreso tra gli inizi del IX e la seconda metà dell’VIII sec. a.C., sono documentate a Vaste, Porto Cesareo, Cavallino, Otranto (Lecce) e Valesio (Brindisi). In tali contesti abitativi si rinvengono comunemente ceramiche di produzione locale lavorate a mano inquadrabili in due classi: gli impasti riconducibili a forme molto diffuse come il pithos o dolio troncoconico utilizzato come grande contenitore per uso domestico, ciotole, olle e scodelle, e la ceramica geometrica di produzione locale, erede della precedente tradizione protogeometrica.

Nella seconda metà dell’VIII sec. a.C. si registra poi un’ampia serie di trasformazioni nell’ambito delle popolazioni iapigie del Salento, che determina nel secolo successivo il passag-gio alla fase alto-arcaica, concludendo così l’età dei metalli: ci si avvia così alla definizione di entità etniche e socio-politiche di carattere sub-regionale.

bibLioGrAFiASulla preistoria salentina PALMADiCesnoLA,borzAttivonLöWenstern1963;borzAttivonLöWenstern1967;

CreMonesi 1979a; CreMonesi 1979c; PALMADiCesnoLA1979;inGrAvALLo1997;inGrAvALLo1999;FAb-bri,inGrAvALLo,MAnGiA 2003. Per una sintesi generale sull’età del Bronzo CreMonesi 1979b; CreMo-nesi1991;vAGnetti1991;orLAnDo1998. Per la pubblicazione di contesti di scavo Cavallino 1979; inGrAvALLo1997;CinQuePALMi,rADinA1998;inGrAvALLo2002;GuiLAine,CreMonesi2003;tiberi2007;FAbbri,PAGLiArA2009;biettisestieri,sCArDozzi2010;tiberi2011. Per la recente rilettura delle facies appenniniche salentine sCArAno 2006. Per l’insediamento di San Donato di Lecce MArtino 2004. Per l’età del Ferro D’AnDriA 1991a, pp. 397-413.

M.s.

IV.5. Insediamenti

IV.5.1. Grotta PaglicciIl giacimento paleolitico di Grotta Paglicci, che comprende anche un contiguo riparo sotto

roccia, si trova sul fianco meridionale del massiccio montuoso del Gargano, sulla riva sinistra del Vallone di Settepende, nel territorio comunale di Rignano Garganico. Il Riparo, che costituisce un raro caso di insediamento, è stato gradualmente demolito dai continui crolli della volta, ma in origine doveva essere profondo ben oltre dieci metri.

La grotta e il riparo esterno (fig. 4.34) sono state abitate, senza interruzione, durante tutto

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76 Preistoria e Protostoria

il periodo di tempo compreso tra l’Aurignaziano e la fine dell’Epi-gravettiano (vale a dire per oltre 20.000 anni); la presenza, tra gli avanzi di pasto, di diversi gruppi di specie faunistiche ha consen-tito di ricostruire, per questo lun-go lasso di tempo, un’evoluzione paleoclimatica da un clima tem-perato-umido a uno continentale, freddo arido.

L’insediamento di Paglic-ci è considerato tra le principali testimonianze, a livello euro-peo, del Paleolitico Superiore e costituisce una preziosa fonte di informazione sullo sviluppo della cultura materiale, sui riti di sepoltura, sull’arte mobiliare e parietale, sul culto dei morti e

sui caratteri somatici dell’uomo vissuto nell’epoca in esame. Le sepolture individuate all’interno della grotta, con defunti disposti in posizione supina

e corredo di accompagnamento, rimandano al tipo umano di Crô-Magnon, e sono databili tra il Gravettiano evoluto e l’Epigravettiano finale. Uno dei corredi funebri rinvenuti ha restituito, oltre ad alcuni grattatoi e punte di selce, numerosi denti canini di cervo, forati alla radice, di-sposti attorno al cranio del defunto quasi a formare un’acconciatura, probabilmente cuciti su un copricapo. Altri due denti dello stesso tipo si trovavano in corrispondenza del polso sinistro e della caviglia destra mentre sull’emitorace sinistro è stata rinvenuta una conchiglia di Cypraea. È molto probabile che questi oggetti “ornamentali” fungessero da amuleti.

Le testimonianze artistiche rinvenute sono documentate sia dalla presenza di oggetti d’ar-te mobiliare, sia da pitture e graffiti parietali databili ad un periodo di tempo molto ampio, com-preso tra il Gravettiano antico e l’Epigravettiano finale.

Al primo gruppo appartengono alcuni graffiti su pietra e su osso, con decorazioni di tipo zoomorfo, geometrico o lineare; tra questi va ricordata un’incisione su osso di uno stambecco, databile a circa 22.000 anni fa. L’animale è ripreso di profilo e disegnato con stile naturali-stico poiché sono rispettate le proporzioni degli arti e risultano ben riconoscibili i particolari delle corna arcuate, dell’irta criniera e della coda, terminante con un ciuffo di peli. Al di sopra dell’immagine dello stambecco è incisa una serie di tratti verticali o leggermente obliqui. Presso l’attuale imboccatura della grotta, oggi a cielo scoperto, e su un masso crollato dall’architrave della stessa imboccatura sono stati individuati, inoltre, alcuni graffiti lineari e schematici, data-bili con ogni probabilità all’Epigravettiano evoluto.

L’interno di una saletta della grotta, cui si accede attraverso un angusto cunicolo, era de-corato da pitture parietali databili a circa 20.000 anni fa. Il rinvenimento è di natura eccezionale poiché si tratta, finora, delle uniche attestazioni in Italia di pittura parietale di sicura attribu-

4.34. Planimetria schematica di Grotta Paglicci.

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Capitolo IV 77

zione paleolitica. Il soggetto riguarda due cavalli (fig. 4.35), di cui uno raffigurato verticalmente, in posizione statica, con le teste piccole e legger-mente reclinate, i dorsi arcuati, il ventre alquanto voluminoso, le zampe tozze. Il colore rosso vivo è usato per delimitare il contorno delle figure. Sulla stessa parete vi sono impronte di mani, una delle quali in probabile connessione con la figura del cavallo raffigurato verticalmente. Le pitture della saletta non offrono espliciti elementi per la data-zione; tuttavia la tecnica e lo stile con cui sono eseguite rimandano ai canoni artistici della più antica arte franco-cantabrica e consentono di ipo-tizzare una loro datazione al Gravettiano o, quan-tomeno, all’inizio dell’Epigravettiano

Dall’atrio della grotta proviene, inoltre, un frammento di lastra calcarea dipinta, probabil-mente staccatasi dalla volta, con la raffigurazione della parte posteriore di un cavallo in corsa, data-bile all’Epigravettiano antico.

bibLioGrAFiA:Sulle pitture parietali zorzi1963,MezzenA,PALMADiCesnoLA 1984. Sulle manifestazioni artistiche del Paleo-

litico garganico PALMADiCesnoLA 1984. Una descrizione generale del sito è in PALMADiCesnoLA 1999. Sull’Aurignaziano e il Gravettiano di Paglicci PALMADiCesnoLA2003. Su Paglicci e il Paleolitico PALMADiCesnoLA 2004.

P.Gen.

IV.5.2. Coppa NevigataL’insediamento di Coppa Nevigata

si sviluppò in prossimità della foce del Candelaro, sulla sponda sinistra del fiu-me, all’interno di un’area posta al margi-ne del promontorio garganico e occupata, in antico, da una vasta laguna.

Identificato per la prima volta nel 1903 in seguito a lavori di sbancamento e poi scavato nel 1909, l’abitato fu esplo-rato sistematicamente solo a partire dal 1955. Fu così possibile risalire alle prime attestazioni di vita del luogo tramite il rin-venimento del fossato di recinzione di un villaggio neolitico che documentava l’occupazione del sito in questo periodo. Dopo un periodo di abbandono seguito alla fase neolitica, l’insediamento

4.35. Grotta Paglicci. Saletta interna, uno dei cavalli dipinti.

4.36. Coppa Nevigata. Vasi databili alla fine del Protoappenninico, prove-nienti da una struttura abitativa.

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78 Preistoria e Protostoria

risultò nuovamente occupato du-rante il periodo Protoappennini-co. La posizione a ridosso della costa, difesa naturalmente, do-vette favorire, oltre alle attività di scambio, lo sviluppo di attivi-tà di sussistenza quali la pesca e la raccolta dei molluschi.

La sola testimonianza da-tabile a questa prima fase dell’età del Bronzo è data dai resti di una capanna, ellittica o absidata, di-strutta probabilmente da un in-cendio e all’interno della quale è stata rinvenuta ceramica databile al Protoappenninico (fig. 4.36); la presenza di numerosi resti di conchiglie di Murex Trunculus, frammentate, testimonia, per questo periodo, una fiorente atti-vità di estrazione della porpora.

A un momento immediata-mente successivo si datano i resti di una fortificazione (fig. 4.37) in pietre a secco, dello spessore di oltre 5 m: il tratto messo in luce è lungo circa 70 m e conservato per una altezza massima di circa 1 m (fig. 4.38). Lungo le mura è stata individuata una porta, larga circa 3,5 m, con due torri laterali semicircolari munite di un vano interno (fig. 4.39); sono state, inoltre, individuate altre tre aper-ture poste a una distanza di circa 13 m l’una dall’altra. Il rinveni-

mento di una struttura, probabilmente abitativa, addossata alla fronte esterna delle mura fa ipo-tizzare che, in questo tratto, l’abitato si sia esteso oltre la linea delle fortificazioni; anche questa seconda capanna, databile a una fase finale del Protoappenninico, sembra sia stata distrutta da un incendio.

Una nuova fortificazione venne realizzata in una fase piena dell’Appenninico, riutiliz-zando in parte il sistema difensivo precedente e integrandolo con due torri di forma sub-ret-tangolare; l’area compresa fra le torri protoappenniniche fu sistemata con una pavimentazione in ciottoli e utilizzata per attività, non meglio specificate, che richiedevano l’utilizzo del fuo-

4.37. Le mura protoappenniniche del villaggio di Coppa Nevigata.

4.38. Un tratto delle mura protoappenniniche dell’insediamento di Coppa Nevigata.

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Capitolo IV 79

co. All’interno delle mura e addossate a esse sono state identificate alcune strutture a pian-ta circolare, del diametro di circa 2-3 m, di difficile interpretazione. Nel Subappenninico l’area fu interessata da un’estesa ristruttura-zione; a questa fase si data una struttura abi-tativa preceduta da un acciottolato di pietre di grandi dimensioni.

Durante la fase più avanzata del Subap-penninico l’insediamento di Coppa Nevigata sembra assumere un assetto urbanistico piani-ficato, con strade, terrazzamenti ed edifici re-alizzati con il medesimo orientamento a 45°; a questo periodo sono databili due ambienti sub-rettangolari, adiacenti, ma non orienta-ti allo stesso modo, disposti in modo tale da formare un angolo. All’interno di uno di que-sti è stata rinvenuta ceramica dipinta di tipo miceneo. Non sono state individuate tracce di un sistema difensivo ma non si può escludere che non si sia conservato.

L’insediamento di Coppa Nevigata ha restituito, inoltre, testimonianze relative a fasi di vita dell’abitato comprese tra il Bronzo fi-nale e gli inizi dell’età del Ferro, quando sem-bra si sia verificato uno spostamento dell’abi-tato più a sud, probabilmente in relazione con i fenomeni di insabbiamento della laguna do-vuti agli apporti sedimentari del Candelaro.

bibLioGrAFiASulla Civiltà Appenninica PuGLisi 1959. Per l’età del Bronzo in Daunia PuGLisi 1975. Per notizie generiche

sull’insediamento CAssAnoet alii1987; per i resoconti delle campagne di scavo CAzzeLLA,MosCoLoni,WiLkens1996;boCCuCCiA1997;CAzzeLLA,MosCoLoni1999; CAzzeLLA,MosCoLoni,reCChiA2012.

P.Gen.

IV.5.3. Passo di CorvoIl villaggio neolitico di Passo di Corvo, databile tra il V e il IV millennio a.C., è, per esten-

sione e documentazione archeologica, fra i principali insediamenti di questa fase in Europa. L’abitato sorse su un terrazzo disposto lungo l’estremità occidentale dell’altopiano di

Amendola (45-50 m. s.l.m.), delimitato a nord-ovest dal fiume Celone e a sud dalla valle del “vecchio Farano”. Le tracce del vasto insediamento furono individuate, tramite lo studio di alcu-ne foto aeree del 1943, dal Tenente dell’Esercito Inglese, J.B. Bradford (fig. 4.40); i fotogrammi,

4.39. Coppa Nevigata. Veduta dall’alto delle torri con fronte semi-circolare, databili al Protoappenninico con rifacimenti del periodo appenninico.

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80 Preistoria e Protostoria

scattati per scopi militari, resti-tuivano un’immagine nitida del villaggio cinto da tre fossati che si sviluppavano per oltre 6 km e racchiudevano, al loro interno, almeno un centinaio di fossati a forma di C (compounds), di mi-nori dimensioni, scavati intorno alle singole capanne.

Non è ancora del tutto chiaro quale fosse la reale fun-zione dei fossati; è possibile che sia i grandi fossati di recinzio-ne esterni sia quelli a forma di C delimitassero rispettivamente l’intera area di pertinenza del villaggio e quella di ogni singo-la unità abitativa. È stata inoltre avanzata l’ipotesi che assolves-sero anche al compito di drenare l’acqua piovana, impedendone il ristagno in superficie, che avreb-be altrimenti compromesso sia le attività agricole che la vita di

ogni gruppo famigliare all’interno dei singoli fossati a C.L’intera area di pertinenza del villaggio è di circa 130 ettari, di cui una quarantina risulta

interessata dalla presenza di fossati a forma di C e dunque utilizzata, presumibilmente, per scopi abitativi; la restante parte, non interessata dalla presenza di compounds, molto probabilmente era adibita al pascolo, al ricovero degli animali e alla coltivazione dei campi. Nel 1949 Bradford

iniziò un saggio di scavo di limi-tata estensione; gli scavi furono poi ripresi nel 1965 e si protras-sero per oltre un decennio. Ven-nero così portati alla luce tre dei numerosi compounds del villag-gio (fig. 4.41).

In alcuni casi le pareti dei fossati dei compounds, del dia-metro di circa 15-16 m, risulta-rono rivestite da muretti a secco. All’interno di uno dei fossati a C furono individuati i resti di una capanna di forma rettangolare, con il lato di fondo absidato ri-

4.40. Le tracce del villaggio neolitico di Passo di Corvo in una foto RAF del 1943, edita da J.B. Bradford.

4.41. Passo di Corvo. Veduta aerea dello scavo di un settore del villaggio.

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Capitolo IV 81

volto a nord-est. Il perimetro della capanna era delimitato da un muretto a secco sul quale, probabilmente, si impostavano i pali lignei che sostenevano il tet-to, costruito con materiale stra-mineo (fig. 4.42).

Sulla base dei risultati dello scavo archeologico è stata ipotizzata, nei pressi di ogni ca-panna, la presenza di un pozzo funzionale all’approvvigiona-mento idrico, di alcune fosse a grotticella per la conservazione delle derrate alimentari, e delle piattaforme circolari di pietra per l’accatastamento delle riser-ve di fieno e di legname. Ani-mali domestici, dei quali sono stati ritrovati numerosi resti di ossa, sembra venissero allevati e custoditi all’interno di recinti di legno che dovevano trovarsi nei pressi delle capanne.

I defunti venivano sep-pelliti in semplici tombe a fossa terragna, prive di corredo e lo-calizzate sempre nei pressi della capanna o al di sotto del piano di calpestio della stessa.

È molto probabile che gli abitanti di Passo di Corvo abbia-no raggiunto un primitivo grado di organizzazione sociale che contemplava l’assolvimento di alcune norme comunitarie, quali ad esempio lo scavo e la perio-dica manutenzione dei fossati esterni e, forse, anche l’assegna-zione dei campi da coltivare e di quelli da destinare a maggese per l’avvicendamento delle colture.

Il ritrovamento, insieme a materiali riferibili ad abitazio-

4.42. Passo di Corvo. Planimetria della capanna absidata e ricostruzione dell’elevato.

4.43. Passo di Corvo. Statuine femminili rinvenute durante gli scavi; probabilmente rappresentano la “Dea Madre” o la “Madre Terra”.

4.44. Un settore del villaggio neolitico di Passo di Corvo in una immagine aerea obli-qua. Al centro, le strutture del Parco Archeologico.

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82 Preistoria e Protostoria

ni, di due statuine femminili in terracotta a mezzo busto, con il seno scoperto, interpretabili come raffigurazioni della “Dea Madre” o “Madre Terra”, ha fat-to pensare all’esistenza di culti religiosi (fig. 4.43); il contesto di rinvenimento, unitamente all’assenza di strutture di culto collettivo, induce a ipotizzare la venerazione di una divinità fem-minile, con caratteristiche dome-stiche e familiari.

Dai dati di scavo si desu-me che l’approvvigionamento di selce e di legname per le costru-

zioni avveniva nelle miniere e nei boschi del vicino Gargano, mentre l’ossidiana proveniva dalle isole Eolie.

È stato calcolato che durante l’intera fase di vita del villaggio la popolazione abbia rag-giunto un numero di circa 200 individui, non necessariamente legati da rapporti di parentela; il dato è quanto mai notevole se si pensa che gli altri villaggi neolitici del Tavoliere, soprattutto quelli più antichi, ospitavano in media gruppi di 15-20 individui.

Passo di Corvo resta a tutt’oggi la più completa testimonianza dello scavo di un villaggio neolitico del Tavoliere; l’area è stata valorizzata con la creazione di un Parco Archeologico che consente la visita ai tre fossati a forma di C e alle strutture in essi presenti (fig. 4.44). Una piattaforma didattica all’interno del Parco sovrasta l’area dello scavo e ospita al suo interno la ricostruzione di un momento di vita quotidiana, con la riproduzione, in scala reale, di tutte le strutture portate alla luce durante lo scavo dei tre compounds (fig. 4.45).

bibLioGrAFiASulla individuazione del villaggio in foto aerea brADForD 1949. Per le prime attività di scavo truMP 1975. Un

resoconto dettagliato sullo scavo e sui materiali è in tinè 1983.P.Gen.

IV.5.4. SaturoL’insediamento protostorico di Saturo sorgeva 12 km a sud-est di Taranto, su un promon-

torio costiero caratterizzato da un’altura che raggiunge i 25 m s.l.m., e separa le baie di Porto Pirrone e Porto Saturo (fig. 4.46).

La naturale conformazione dell’ampia insenatura costiera, riparata dalle forti correnti ma-rine provenienti da sud, offrendo un facile approdo, ha assicurato una continuità insediativa che, pur con spostamenti di sede, più o meno distanti dal mare, si protrae dal Neolitico sino all’Alto Medioevo. L’altura, probabilmente consolidata lungo il margine orientale, viene considerata l’acropoli della fase iapigia di Saturo. Sul margine meridionale del promontorio, frequentato

4.45. Parco Archeologico di Passo di Corvo. Ricostruzione di una scena di vita.

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Capitolo IV 83

sino all’età tardoantica, sor-ge una torre costiera cinque-centesca che ha mantenuto l’antico nome della contrada.

Il toponimo Satyrion e la successione stratigrafica relativa all’età del Ferro collegano ideologicamente l’area alle vicende della fondazione di Taranto come indicato dall’Oracolo delfico, mentre l’interpretazione delle fonti pone dubbi sulla reale localizzazione della contrada e l’identificazione di Satyria nella duplice veste di ninfa o personaggio umano. I termini Satyrion e Satur, testimoniati nelle fonti letterarie, epigrafiche e numismatiche, si riferiscono a un personaggio mitico e a una località produttiva lungo la rotta marittima nota sin dall’epoca cretese per i pascoli, l’industria purpuraria e l’allevamento di cavalli.

I primi stanziamenti nell’area si datano a età neo-eneolitica. La prima occupazione di ca-rattere stabile del promontorio risale alla fase antica del Bronzo Medio, ascrivibile alla facies del Protoappenninico B (tra il 1800 e il 1700 a.C.), e tale sede viene mantenuta sino all’arrivo dei coloni spartani. Il villaggio a capanne sembra sia stato distrutto nel corso del 1700 a.C. a causa di una violenta alluvione; venne ricostruito nella piena età del Bronzo Medio (1600 a.C.) e di nuovo abbandonato in modo repentino in epoca mesoappenninica (XV-XIV sec. a.C.). Risale a questo momento la tomba a grotticella ritrovata a nord-est della collina, riutilizzata nel Bronzo Recente-Finale e probabilmente inserita in una necropoli più ampia.

Nella metà del XIII sec. a.C. fu ricostruito un villaggio di maggiore ampiezza: l’abitato si estende sull’intero promontorio, comprendendo anche la collina e assumendo caratteri proto-urbani, con un accesso dal mare formato da una rampa proveniente dalla baia di Porto Perone, e un piccolo aggere di delimitazione dell’area abitata realizzato sul margine orientale della col-lina, in posizione di rilievo.

Un breve abbandono in seguito a distruzione è registrato nel corso del XII sec. a.C. (facies subappenninica), durato un cinquantennio (1150-1100 a.C.) e collegato all’invasione iapigia. Rioccupato, venne nuovamente abbandonato a seguito di distruzione violenta o incendio ca-suale, agli inizi dell’XI sec. a.C., come avvenuto anche a Scoglio del Tonno e a San Domenico (Taranto).

La rifondazione iapigia dell’insediamento è attribuita all’orizzonte culturale proto-villa-noviano (XI-X sec. a.C.), e senza variazioni prosegue per tutta l’età del Ferro (IX-VIII sec. a.C.) sino all’arrivo dei coloni spartani. Dopo la metà dell’VIII sec. a.C., tutta la collina è sottoposta a una sistemazione del piano di calpestio, comportando così il livellamento dell’insediamento del Ferro e l’inizio della fase laconica.

4.46. Leporano. Veduta aerea del promontorio costiero fra le baie di Porto Pirrone e Porto Saturo.

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84 Preistoria e Protostoria

bibLioGrAFiAPer il toponimo LiPPoLis,GArrAFFo,nAFissi1995;ArenA 1997. Per il villaggio neolitico LoPorto1963;Lo

Porto1964b, p. 255; CorrADo,inGrAvALLo 1988, p. 12. Per l’insediamento del Bronzo LoPorto 1964b, p. 275; MenCheLLi 1996, p. 275 con bibliografia precedente; betteLLi 2002, pp. 27-28, n. 51; PrinCiGALLi 2010b, pp. 245-246.

P.GuA.

IV.5.5. Torre Castelluccia

Circa 20 km a sud-est di Taranto, sul margine orientale di una vallata fluviale, su un rilie-vo costiero di forma ovale che delimita a sud un’ampia spiaggia, sorge l’insediamento di Torre Castelluccia. Il lato settentrionale della collina, che per dimensioni e posizione, potrebbe aver

assunto la funzione di acropoli di un ampio villaggio, domina le acque di una piccola insenatura sabbiosa; a ovest si affaccia sul mare aperto e a sud sovrasta un pianoro di vaste dimensioni (fig. 4.47).

Individuato nel 1946, dal 1948 al 1950 l’abitato è stato oggetto di indagine sistematica che ha riguardato unicamente il livello della prima età del Ferro (IX e la fine dell’VIII sec. a.C.). Successivamente si registrano solo pochi interventi, che por-tano allo scavo, nel 1987, della c.d. “Capanna 7”, e, nel 1998, di una piccola porzione dell’aggere (fig. 4.48).

Al Bronzo Antico è stata datata una capanna di notevoli

dimensioni; al Bronzo Medio-Recente e Finale è attribuito il livello chiamato “mediano”, da cui provengono vasi micenei, e alla fase finale dell’età del Bronzo è stata attribuita la grande “Capanna 7”, struttura a pianta rettangolare situata nell’angolo sud-orientale della collina. Da qui provengono oggetti di ornamento personale di pregio (una collana in pasta vitrea, perloni di ambra, armille formate da laminette nastriformi, alcune fibule) e strumenti da lavoro; ed è l’associazione tra queste tipologie di oggetti che rende particolarmente varia l’attribuzione della struttura, interpretata come abitazione del capo tribù, come edificio di tipo religioso o ancora come magazzino. Al XIII-XII sec. a.C. è datato un piccolo ambiente rettangolare contenente un ripostiglio di bronzi.

A questa fase si riferiscono anche due tombe collettive, l’una di tipo ‘siculo’ (a pozzetto), distrutta durante la realizzazione della moderna strada litoranea, l’altra a grotticella, che ha re-stituito oltre 30 inumazioni di rannicchiati e parte del loro corredo funerario.

4.47. Torre Castelluccia. Veduta aerea verticale della baia.

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Capitolo IV 85

L’età del Ferro costituisce la fase maggiormente nota grazie allo scavo estensivo. Il villag-gio doveva essere organizzato in strade e piccoli agglomerati di capanne; lungo il lato setten-trionale della collina, esterno ai gruppi di capanne, si sviluppa un muro largo 4 m, interpretato come strada principale, mentre il tratto murario largo 2 m, portato alla luce nella parte orientale del-la collina, serviva probabilmente a riparare le capanne dal vento grecale, qui particolarmente vio-lento, tanto da indurre a rinforza-re anche i muri delle capanne che sorgevano nella zona sud-orien-tale. Fondamentale per la deter-minazione delle fasi d’abitato è stata l’associazione dei vasi indi-geni di produzione locale con ce-ramica sub-micenea. In base alle sovrapposizioni dei battuti pavi-mentali e ai diversi orientamenti dei muretti perimetrali, sono sta-te inoltre riconosciute due differenti fasi di edificazione delle singole abitazioni, avvenute sem-pre entro l’età del Ferro.

Le capanne hanno prevalentemente pianta rettangolare e presentano dimensioni più o meno simili; al momento dello scavo i muri perimetrali erano alti al massimo 50 cm, realizzati in blocchi squadrati o con pietre di piccole dimensioni. Le fondazioni sono costituite da lastroni regolari o da grosse pietre informi. Le pavimentazioni sono in argilla battuta o possono essere costituite da lastre di pietra o da ciottoli. All’esterno di quasi tutte le capanne sono state ritrovate tracce di focolari.

Dalle capanne dell’età del Ferro provengono poi pregiati oggetti in metallo (fibule armil-le, asce ad alette), una collana in pasta vitrea, perloni di ambra; tra gli oggetti in ceramica si segnalano un singolare ornamento personale a forma di ancora, fuseruole di grandi dimensioni e numerosi vasi ad impasto nerastro, levigato e lucente.

bibLioGrAFiASul villaggio si vedano DrAGo 1953, pp. 155-161; LoPorto 1971a, p. 528; GorGoGLione 2002; PrinCiGALLi

2010a, pp. 243-244. Sulla definizione proto-urbana dell’insediamento DrAGo 1956, pp. 370-376. Sulla tomba a grotticella CiPoLLoni sAMPò 1987, p. 103. Sulla necropoli a incinerazione LoPorto 1971a, p. 528; GorGoGLione 1989; GorGoGLione 2002, p. 59. Sull’identificazione dell’aggere FrACCAro 1966, p. 259.

P.GuA.

4.48. Torre Castelluccia. Planimetria dell’area di scavo del villaggio protostorico.

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86 Preistoria e Protostoria

IV.5.6. RocavecchiaL’insediamento protostorico di Rocavecchia si sviluppava lungo la costa adriatica, su una

penisoletta rocciosa delimitata da due insenature naturali, marginata in antico da un vasto bacino palustre, oggi scomparso.

L’ormai ventennale attivi-tà di ricerca condotta dagli ar-cheologi dell’Università di Lec-ce ha permesso di documentare a Rocavecchia una lunga e com-plessa occupazione antropica, che interessa gran parte dell’età del Bronzo e l’età del Ferro e che risulta ricostruibile in manie-ra piuttosto difficoltosa a causa delle profonde trasformazioni e degli ingenti interventi edilizi operati in età tardomedievale.

Le fasi più antiche dell’insediamento, sconosciute ai primi studiosi e ricercatori, si inquadrano nel corso del

Bronzo Medio, epoca in cui fu realizzata un’imponente opera di fortificazione, successivamente potenziata e rimaneggiata, che chiudeva l’area sul lato interno e che per le sue caratteristiche di monumentalità e complessità resta finora unica nel panorama dell’età del Bronzo italiana (fig. 4.49). La grande struttura di difesa, con andamento semilunato, era costruita con lastrine calcaree allettate con tufina mista al bolo rosso e con ampio utilizzo di legno; nella muratura, che arriva a superare i 20 m di spessore, si apriva una serie di passaggi interni e una articolata e monumentale porta d’accesso. Lungo il perimetro esterno correva un fossato scavato nella roccia che si interrompeva in corrispondenza dei varchi d’accesso per consentire il passaggio.

Alla metà del XV sec. a.C. l’insediamento subì un primo rovinoso incendio, tragica con-seguenza di un lungo assedio culminato con la distruzione delle opere difensive e con il momen-taneo abbandono del sito.

L’epilogo drammatico di questo evento bellico è desunto dal ritrovamento degli scheletri di nove individui facenti verosimilmente parte della popolazione interna, di entrambi i sessi e di età differenti, colpiti da una morte violenta (probabilmente per asfissia) e rimasti insepolti in uno dei vani interni della fortificazione, dove si erano rifugiati al momento dell’assedio. Ma appartengono a un guerriero, che doveva invece aver preso parte attiva alla vicenda bellica, i resti scheletrici di un giovane che conservava parte della sua armatura e che presentava su una costola i segni di una ferita da arma da taglio.

Nella successiva età del Bronzo Recente le fortificazioni furono ricostruite, con tecniche e materiali differenti rispetto all’epoca precedente, documentando un’occupazione sostanzial-mente ininterrotta dell’area.

Nel settore meridionale del promontorio, ampiamente indagato con scavi in estensione,

4.49. Rocavecchia. Immagine aerea obliqua del promontorio costiero. Sulla destra, l’andamento semilunato delle fortificazioni del Bronzo Medio; al centro, in evidenza, l’area degli scavi recenti.

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Capitolo IV 87

sono stati portati alla luce i resti di un enorme edificio del Bronzo Finale, largo 15 e conservato per una lunghezza di 45 m. La struttura, che non trova adeguati riscontri nel panorama indigeno, è stata convenzionalmente definita “capanna-tempio”, in virtù dei numerosi elementi – piattaforme di argilla con funzione di pic-coli altari, grandi manufatti interpretabili come tavole per le offerte, strumenti me-tallici utilizzati durante i sacrifici – che ne attestano la funzione cultuale (fig. 4.50), testimoniando per la prima volta pratiche rituali che prevedevano sacrifici animali e che trovano riscontri abbastanza puntuali nell’area egea orientale.

I sempre più frequenti richiami al simbolismo e alle pratiche cultuali del-la Creta minoica e della Grecia micenea, nonché il ritrovamento di ingenti quantità di ceramiche provenienti da questi contesti, costituiscono un dato di particolare interesse, che induce gli archeologi ad approfondire il tema dei rapporti tra le due aree geografiche, finora affrontato solo dagli studiosi di storiografia greca nel tentativo di proporre una verosimile rico-struzione degli eventi storici sulla base delle versioni riportate dalle fonti antiche.

In seguito a un secondo, violento incendio avvenuto durante il Bronzo Finale il sito di Ro-cavecchia fu repentinamente rioccupato a partire dalla prima età del Ferro, e continuò a esistere senza significative soluzioni di continuità sino alla fine del I millennio a.C.

bibLioGrAFiAUna completa rassegna sugli studi e le ricerche è in PAGLiArA 2001; per lo scavo delle fortificazioni PAGLiA-

rA 2002; in generale, sulle caratteristiche dell’insediamento dell’età del Bronzo GuGLieLMino,PAGLiArA2001,PAGLiArA2005,sCArAno2006,sCArAno2012. Sui contatti con il mondo egeo GuGLieLMino2005,GuGLieLMino,PAGLiArA2006. Da ultimo, Preistoria e Protostoria c.s.

C.M.

IV.5.7. Grotta dei Cervi a Porto BadiscoIl complesso ipogeo noto come Grotta dei Cervi si sviluppa nelle formazioni calcareniti-

che oligoceniche di Porto Badisco, piccolo centro costiero a circa 6 km a sud di Otranto.La scoperta (1970) si deve ad alcuni membri del Gruppo Speleologico “P. De Lorentiis” di

Maglie: furono sufficienti poche ricognizioni per comprendere l’eccezionalità del rinvenimento e ben presto furono organizzate campagne di ricerca, volte ad approfondire le conoscenze su quello che si rivelerà uno dei complessi documentari più significativi della tarda Preistoria per la sorprendente varietà e l’insolita concentrazione di testimonianze figurative e archeologiche.

4.50. Rocavecchia. Disco solare in lamina d’oro proveniente da ripostigli scavati nella c.d. “capanna-tempio”.

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88 Preistoria e Protostoria

Con l’ausilio di indagini speleologiche e sondaggi geofisici fu rilevato il sistema di pozzi, gallerie, diverticoli e sale in cui si articola la grotta: si conoscono due ingressi e tre corridoi principali, grossomodo paralleli tra loro, ciascuno dei quali si sviluppa per una lunghezza di 200 m a una profondità di 25 m circa dal piano di campagna (fig. 4.51).

Il corridoio I, che si diparte dall’ingresso occidentale, segue un andamento tortuoso, è basso e stretto e conserva poche figure dipinte; nella parte terminale, non ancora esauriente-mente studiata, furono ritrovati resti di deposi-zioni umane. Il corridoio II, accessibile dall’an-tegrotta, si articola in due ampie sale contigue, larghe oltre 10 m; le pareti sono costellate da una serie pressoché continua di immagini che rientrano in una complessa tipologia di segni e simboli, alcuni riconoscibili, altri del tutto enigmatici, che hanno come tema principale la figura umana, singola o rappresentata in fun-zioni collettive, e il mondo zoomorfo e il cervo in particolare. Le pitture sono prevalentemente monocrome, di colore bruno intenso, e furono realizzate utilizzando una sostanza costituita da una miscela di elementi minerali e organi-ci (calcare, argilla e guano subfossile di pipi-strello); solo poche raffigurazioni, concentrate quasi esclusivamente nell’ambiente III, sono realizzate con ocra rossa (fig. 4.52).

4.51. Schema planimetrico della Grotta dei Cervi con l’indicazione delle zone in cui sono stati ritrovati i dipinti.

4.52. Grotta dei Cervi. Il pittogramma che rappresenta il cosid-detto “stregone”.

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Capitolo IV 89

L’uniformità di stili pittorici e tecniche compositive e la mancanza di sovrapposizioni di pitture farebbero pensare a un complesso pittorico unitario (sia da un punto di vista cronologico che ideologico), di lunga durata e continuo, cioè privo di cesure cronologiche significative; il fatto che molte pitture siano mal conservate e appena visibili potrebbe far pensare, al contrario, che i segni sbiaditi possano essere più antichi di quelli evidenti, ma in realtà è stato dimostrato che le raffigurazioni meno visibili sono realizzate con minore accuratezza e con una quantità ridotta di colore, oppure sono maggiormente esposte alle correnti d’aria che si infiltrano nei cunicoli dall’esterno.

Lo stato di conservazione dei pittogrammi di Badisco è stato uno dei temi più delicati e dibattuti dagli specialisti. La sorprendente integrità con cui questi straordinari documenti si sono preservati per millenni va ricondotta al peculiare microclima della grotta che presentava, verosimilmente prima dell’apertura degli accessi, condizioni costanti sia dal punto di vista del-la temperatura (attualmente sono documentate escursioni termiche annuali massime di circa 10°C), sia dal punto di vista dell’umidità. Proprio in base a questa considerazione, oltre che per ovvie ragioni di sicurezza, si è reso necessario impedire l’accesso al pubblico all’interno della cavità; una presenza umana massiccia e prolungata altererebbe il delicato ecosistema del com-plesso carsico di Badisco, provocando la disidratazione delle pareti e l’inevitabile distruzione delle pitture.

Gli scavi condotti sui depositi dell’antegrotta e dei corridoi interni della Grotta dei Cervi consentirono un inquadramento cronologico-culturale del monumento; la frequentazione an-tropica della grotta interessa un arco cronologico che va da una fase avanzata del Neolitico all’Eneolitico; la fase maggiormente documentata è quella riferibile alla Cultura di Serra d’Alto, periodo cui si fa risalire anche la realizzazione delle pitture.

I dati acquisiti nel corso delle ricerche permettono di ipotizzare che la Grotta dei Cervi abbia svolto per secoli la funzione di santuario, anche se è difficile identificare con chiarezza i culti, e dunque i rituali a essi legati, che potevano svolgersi all’interno del complesso ipogei-co. Un primo elemento che avvalora questa linea interpretativa è la presenza nei depositi della cavità di una notevole quantità di materiale ceramico di gran pregio, come la ceramica di Serra d’Alto, caratterizzata da una particolare accuratezza e raffinatezza della decorazione, che si rinviene prevalentemente in contesti importanti o significativi, quali appunto i luoghi di culto. Sembra inoltre che vi fosse una certa intenzionalità nella deposizione dei vasi, alcuni dei quali rinvenuti all’interno di piccole buche circolari praticate sul fondo della cavità, che in alcuni casi sembravano regolarizzate dalla mano dell’uomo. La rilevanza sia quantitativa che qualitativa dei rinvenimenti ceramici in un contesto che non presenta caratteristiche di tipo abitativo può essere giustificata ipotizzando che i vasi fossero connessi ai rituali praticati nella grotta e fossero utilizzati come offerte votive.

Allo stato attuale delle conoscenze la cavità di Porto Badisco può essere ritenuta una delle testimonianze più importanti della civiltà neolitica europea. Molte evidenze rilevate nel com-plesso restano ancora inedite e dunque sconosciute, ma nel caso della Grotta dei Cervi sembrano evidenti una serie di elementi che possano escludere ogni altra possibile funzione della grotta e che risultino sufficienti a determinare la presenza di manifestazioni di culto.

Molte caratteristiche del complesso santuariale aspettano di essere indagate con maggiore attenzione, in primo luogo il rapporto tra la grotta e il territorio circostante; difatti i dati, sep-pur lacunosi, finora raccolti attestano l’esistenza di un insediamento umano che sembra essersi

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90 Preistoria e Protostoria

sviluppato nei pressi del santuario in età neo-eneolitica, e dal quale probabilmente dipendevano il controllo e la gestione organizzata delle attività rituali. Il complesso di Badisco, per la sua peculiare posizione a ridosso di un’insenatura naturale, per la grandiosità e complessità della sua struttura e per la ricchezza e l’eccezionalità delle testimonianze pittoriche che restituisce, deve aver rappresentato a lungo un importante polo d’attrazione per genti diverse, provenienti dall’entroterra e dal popoloso mare, della tarda Preistoria mediterranea.

bibLioGrAFiAGrAziosi 1980a; CreMonesi 1979a, pp. 119-121. Sulla speleogenesi della cavità DeLLerose,reinA 2002.

M.s.

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Due fattori fondamentali condizionano le vicende storiche della Puglia: l’esistenza, du-rante l’età del Ferro, di un unico popolo, quello iapigio, contraddistinto da una propria cultura, e la presenza, a partire dalla fine dell’VIII sec. a.C., della colonia laconica di Taranto, con un proprio ben definito territorio.

La più antica frequentazione delle coste pugliesi da parte di genti micenee risale agli ultimi secoli del II millennio a.C. e ha certamente portato alla diffusione di elementi culturali ellenici che possono forse essere individuati nel collegamento/assimilazione delle principali divi-nità greche con quelle indigene e in alcune caratteristiche tecniche delle produzioni ceramiche iapige in ar-gilla depurata e dipinta. Materiali micenei si riscontrano, ad esempio, negli insediamenti costieri e subcostieri di Coppa Nevi-gata (Manfredonia), Vieste, Peschici, Trani, Giovinazzo, Scoglio del Tonno (Taranto) (fig. 5.1), Saturo (Leporano), Porto Cesareo, Torre Santa Sabina (fig. 5.2), Rocavecchia, Otranto e Leuca. È necessario comunque sottolineare che le conoscenze delle aree di approdo con materiali di età micenea sono attualmente piuttosto limitate.

Rari frammenti ceramici inquadrabili tra la fine del IX e la prima metà dell’VIII sec. a.C. (ceramica corinzia, euboica e cicladica), rinvenuti negli insediamenti iapigi di Otranto e Porto Cesareo, sottolineano l’importanza della penisola salentina nella navigazione di cabotaggio delle popolazioni elleniche verso l’Occidente.

Molto più documentati sono i rapporti intercorsi durante la seconda metà dell’VIII sec. a.C., che si conclu-dono, in Puglia, con la fondazione di Taranto in territorio

v.etàGreCA

5.1. Scoglio del Tonno. Frammento di giara “a staffa” di forma globulare databile al XII-XI sec. a.C. (Tardo Elladico IIIC).

5.2. Torre Santa Sabina. Brocca in argilla depurata databile al XV-XIV sec. a.C. (Tardo Elladico IIIA ).

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92 Età greca

iapigio. Contenitori da trasporto e soprattutto ceramica da mensa di produzione corinzia della seconda metà dell’VIII sec. a.C. si rinvengono sia negli insediamenti costieri di Otranto e Sa-turo, sia negli abitati collocati nell’entroterra, quali Monte Sannace, Valesio, Cavallino, Muro Leccese e Vaste.

Il complesso processo di integrazione tra Greci colonizzatori e popolazioni indigene è di lunga durata e si manifesta con variabili tali da aver indirizzato la ricerca archeologica verso analisi di tipo “regionale”, circoscritte a precisi contesti geografici determinati proprio dalle culture presenti. Nel caso della Puglia questo processo, che si suole definire di “ellenizzazione”, si realizza in tempi più o meno veloci a seconda dei maggiori o più frequenti contatti con l’ele-mento greco precoloniale.

La particolare forma della Puglia, di penisola allungata, lambita dai mari Ionio e Adriatico e delimitata da fiumi nell’entroterra nord-occidentale e settentrionale, ha permesso lo sviluppar-si di culture locali iapigie diversificate. Piuttosto chiara è la cesura esistente tra Puglia settentrio-nale (Daunia) e Puglia centromeridionale (Peucezia e Messapia): la prima è in rapporto, verso occidente, con i Lucani e con gli Enotri (poi Etrusco-Campani) e, verso oriente, con i Liburni, situati lungo la sponda nord-orientale dell’Adriatico, dove si segnala una notevole diffusione della ceramica dauna nel corso dell’VIII-VII sec. a.C. (i rapporti si interruppero nel VI a.C. con il massiccio ingresso di merci greche nell’alto Adriatico); la seconda presenta molteplici contatti con il mondo greco dell’Egeo e con le colonie greche d’occidente, ed è caratterizzata dall’uso di una propria scrittura sin dal VI sec. a.C.

Ed è in questo territorio, al confine tra l’Italìa e la terra iapigia, che alla fine dell’VIII sec. a.C. i Greci di Sparta impiantano la colonia di Taranto, con funzione portuale, ma rivolta anche allo sfruttamento del territorio circostante. In effetti sia i dati archeologici attualmente a disposizione che quelli letterari sembrano indicare una valenza più propriamente agraria della colonia: si nota, infatti, alla fine dell’VIII sec. a.C. un’occupazione contemporanea di più luoghi distinti (promontorio di Scoglio del Tonno, presso la Chiesa di S. Domenico a Taranto, promon-torio di Saturo, a Torre Castelluccia) che tende a inglobare una grande quantità di territorio in un’area ben caratterizzata dalla presenza indigena. Nel corso del VII sec. a.C. l’occupazione del territorio relativo alla polis è documentata dallo svilupparsi di una serie di insediamenti che sembrano disporsi a semicerchio attorno a Taranto (Pulsano, Lizzano, Faggiano, Roccaforzata, San Giorgio Ionico, Statte, Massafra), lungo i margini e a difesa della fertile pianura tarantina.

All’epoca della fondazione di Taranto la differenziazione culturale e territoriale delle po-polazioni iapigie indigene doveva forse già essere avvenuta; la ricerca archeologica ha però evidenziato che le diversità culturali tra Daunia, Peucezia e Messapia divennero più accentuate durante i secoli VII e VI a.C., influenzate anche dalla fondazione delle altre colonie greche (Me-taponto, Siris-Eraclea, Sibari) del versante ionico. La più antica testimonianza letteraria risale al VI sec. a.C., con Ecateo (heCAt., fr. 89 Jacoby) che nomina la popolazione dei Peucezi. Per quanto riguarda i periodi precedenti, Strabone (strAbo, Geogr., VI 3, 2) segnala che il territorio degli Iapigi occupava l’intera Puglia, mentre Polibio (PoLyb., Hist., III, 88, 3-4) afferma che all’interno di questo popolo si distinguevano tre sottogruppi; queste divisioni all’interno del po-polo iapigio erano sottolineate anche da autori del V sec. a.C., come Erodoto (heroD., Hist., VII 170) e Tucidide (thuC., Hist., VII 33). Strabone (strAbo, Geogr., VI 3,2), riferendo quanto detto da Antioco, afferma inoltre che quando i coloni spartani giunsero a occupare la costa ionica ta-rantina, vi trovarono già stanziati indigeni e cretesi; in un passo successivo lo storico (strAbo,

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Capitolo V 93

Geogr., VI 3,5) ricorda anche che nella terra degli Iapigi esistevano 13 città, compresa Taranto.Erodoto (heroD., Hist., VII 170) riferisce una leggenda riguardante la spedizione di Mi-

nosse in Sicilia alla ricerca di Dedalo: dopo cinque anni di inutile assedio alla città di Camico, alcuni gruppi di Cretesi, durante il viaggio di ritorno a Creta, furono sospinti da una tempesta sulle coste iapigie, dove si stabilirono e fondarono la città di Hyria, che già Strabone (strAbo, Geogr., VI 3,6) era incerto se identificare con Vereto, più vicina al Capo Iapigio, o con Oria. Secondo Strabone (strAbo, Geogr., VI 3,6) anche Brindisi sarebbe stata fondata da un gruppo di Cretesi, provenienti da Cnosso, sotto il comando di Teseo; sempre un gruppo di Cretesi avrebbe fondato anche Otranto. Questa tradizione legata alle fondazioni cretesi verrà ripresa in epoca storica (heroD., Hist., VII 170; AntioCh., fr. 13 Jacoby, apud strAbo, Geogr., VI 3,2; strAbo, Geogr., VI 3, 5) per rivendicare l’antichità e la nobiltà dei popoli indigeni nei confronti della colonia spartana di Taranto; la ricerca archeologica conferma, comunque, una frequentazione regolare delle coste pugliesi da parte di genti di cultura micenea, provenienti dall’Egeo, a partire dall’età del Bronzo Medio e Recente e durante la prima età del Ferro. A partire dalla fine del IX sec. a.C. si nota l’importazione di oggetti dalla Grecia (produzioni corinzie, euboiche, attiche e cicladiche), mentre durante la prima metà dell’VIII sec. a.C. a Otranto è attestata una notevole quantità di ceramica di impasto proveniente dalla Macedonia.

I materiali di produzione illirica si inseriscono in una tradizione di rapporti tra le due sponde riferita anche da Ecateo (heCAt., fr. 86 Jacoby), il quale ricorda che il nome “Iapigia” è attribuito a due diverse città, una situata in Italia e l’altra in Illiria. I dati archeologici sembre-rebbero concordare con i risultati degli studi sulla lingua messapica, in cui i glottologi hanno evidenziato forti elementi balcanici.

Le fonti segnalano notevoli tensioni tra Taranto e gli Iapigi, alimentate, secondo quanto riferisce Diodoro (DioD., Bibl. Hist., XI, 52, 1-5), dalle continue scorrerie di Taranto nel ter-ritorio indigeno. Ateneo (CLeArCh., fr. 48 Wehrli, apud Athen., Deipn., XII 522 D-F) ricorda inoltre l’episodio della conquista e della devastazione della città iapigia di Carbina, solitamente identificata con l’odierna Carovigno. Connessi a queste lotte sono due donari dedicati a Delfi dai tarantini, la cui dettagliata descrizione ci viene fornita da Pausania (PAus., X 10, 6-8; X 13, 10): il primo donario venne eretto probabilmente fra il 490 e il 480 a.C. per commemorare una vitto-ria sui Messapi, il secondo si data tra il 470 e il 460 a.C. (successivamente alla vittoria riportata dai Messapi nel 473/472 a.C.) e celebra una vittoria sui Messapi e sui Peuceti.

La storiografia greca accentuò il suo interesse per le genti iapigie a seguito proprio del clamoroso successo riportato dai Messapi nel 473/472 a.C. nei confronti di Taranto, successo che sembra abbia determinato un vero sconvolgimento del regime politico di Taranto e che venne definito da Erodoto (heroD., Hist., VII 170) «la più grande strage dei Greci fra quante se ne conoscano». Non a caso tutte le notizie sugli Iapigi risalgono agli storici del V secolo, da cui passeranno in Timeo, Strabone e Ateneo, e riflettono le conoscenze che il mondo greco dell’epo-ca aveva della Iapigia.

Il IV sec. a.C. è un periodo di grande prosperità per tutta l’area pugliese e per Taranto, che raggiunse il vertice della sua potenza politica, economica e culturale e instaurò buoni rapporti con Siracusa e con i vicini Messapi; le fonti (JAMbL., De Vita Pyth., 34, 241) ricordano come rap-presentanti delle aristocrazie messapiche facessero parte dei circoli pitagorici tarantini. Il ruolo importante sia sul piano politico che culturale che la città aveva raggiunto con Archita – capo del governo cittadino dal 367 al 361 a.C. – svanì con la sua morte; pertanto, nella seconda metà

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94 Età greca

del IV sec. a.C., Taranto, minacciata dai Lucani a ovest e dai Messapi a sud-est, e incalzata dalla sempre maggiore presenza di Roma, fece ricorso a eserciti stranieri comandati da dinasti prove-nienti dalla Grecia: prima Archidamo di Sparta, morto nel 338 a.C. durante l’assedio a Manduria (PLut., Vita Agidis, 3, 2), poi Alessandro il Molosso re dell’Epiro (Liv., Ab Urbe Condita, VIII 24, 4-5; strAbo, Geogr., VI 3,4 (C280); iustin., Epit. P. Trog., XII 2, 5-12). Proprio quest’ulti-mo, attraverso varie alleanze con le città apule e con Brindisi, cercò di assicurarsi il controllo dei porti sull’Adriatico (iustin., XII, 2, 5-8) e nel 331 a.C. sconfisse la coalizione, avversa a Taranto, di Messapi e Iapigi e, successivamente, anche i Lucani e i Sanniti a Paestum; morì nel 330 a.C. presso Pandosia, nella Sila, combattendo contro Lucani e Bretti. Trent’anni dopo, sempre su sollecitazione di Taranto, giunse l’esercito comandato dal principe spartano Cleonimo, che si trovò a dover combattere sia contro i Lucani che contro i Romani; le fonti ci segnalano che in questo periodo i Messapi si schierarono con Taranto contro Roma, e si mantennero fedeli anche in seguito (Front., Stratag., II 3, 21).

La presenza di Roma nel territorio pugliese nel corso della seconda metà del IV sec. a.C. va spiegata in relazione ai complessi rapporti che si erano sviluppati tra Taranto, le popolazioni indigene e le tribù sannitiche, che esercitavano una notevole pressione in direzione del Tavoliere per raggiungere l’Ofanto e la costa adriatica; identica pressione i Sanniti esercitavano in Cam-pania, in Lucania e verso il Bruzio.

Roma, intervenendo in difesa di varie città italiote, intensificò la presenza in Puglia set-tentrionale per cercare di bloccare a sud-est i Sanniti e di controllare le vie di comunicazione con l’Adriatico. Questa politica anti-sannitica è evidenziata dalla fondazione, nel 315/314 a.C., di una colonia latina a Lucera, e successivamente, nel 291 a.C., di una colonia latina a Veno-sa, che, controllando l’area occidentale del Tavoliere, riuscì a bloccare l’espansione sannita. Il coinvolgimento dei centri dauni alla fine del IV sec. a.C. nella politica, anche commerciale, di Roma è evidenziato dalle emissioni delle zecche di Arpi e Salapia che imitavano le monete in argento romano-campane. E sempre alla fine del IV sec. a.C. (312 a.C.) risale la realizzazione del primo segmento della via Appia, da Roma a Capua, principale via di comunicazione con l’Italia meridionale.

Le evidenti difficoltà politico-commerciali di Taranto sono sottolineate dal trattato Taran-to-Roma (riferibile al 303 a.C.), in cui Roma si impegnava a non oltrepassare il Capo Lacinio (Crotone) e anche dalla emissione di stateri campano-tarantini che denunciano chiari sintomi di conflittualità tra l’ambito romano-campano e quello greco-italiota. Questo trattato si inserisce nel progetto di controllo del Mediterraneo consolidato da Roma nel 306 a.C. con il terzo trattato romano-cartaginese.

Anche nella prima metà del III sec. a.C. Taranto si vide costretta a fare ricorso ad un dina-sta straniero: con l’arrivo di Pirro la Puglia fu teatro di una lunga guerra (280-275 a.C.) in cui i Romani conservarono sempre il controllo del settore settentrionale, nonostante le vittorie ripor-tate da Pirro nel 280 a.C. a Heraclea e nel 279 a. C. nel territorio di Ausculum (Ascoli Satriano).

bibLioGrAFiAPer le fonti LoMbArDo 1992. Sulle origini della civiltà iapigia DeJuLiis 1989; CoLizzi 2003; DeJuLiis 2005. Per

i rapporti con il mondo minoico-miceneo e in generale con il Mediterraneo orientale e l’Egeo vAGnetti 1985; vAGnetti 1996; vAGnetti 1998; CinQuePALMi,rADinA 1998; GuGLieLMino 2005; vAGnetti,betteL-Li2005;GuGLieLMino,PAGLiArA2006;vAGnetti et al. 2009; rADinA,reCChiA2010;biettisestieri2010;sCArAno2012. In generale sulla colonizzazione greca e sull’ellenizzazione della Puglia ADAMesteAnu

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Capitolo V 95

1979;osAnnA1992, pp. 1-38; De JuLiis 1996a; De JuLiis1996b; PronterA1998;brACCesi,rAvioLA2008;LAtorre2011;D’AnDriA,Guzzo,tAGLiAMonte2012. Per un inquadramento generale del mondo indigeno D’AnDriA 1988b; DeJuLiis 1988a; DeJuLiis 1988b; DeJuLiis1996a; CAssAno,LorussoroMito,MiLeLLA1998. In generale sulla monetazione della Puglia stAzio 1972; rutter 2001, pp. 76-107; Mone-tazione 2009; Monetazione 2010; Monetazione 2011.

A.v.

V.1. Taranto e le popolazioni indigene della PugliaLa fondazione, nel territorio iapigio, della colonia spartana di Taranto (AntioCh., fr. 13

Jacoby, apud strAbo, Geogr., VI 3, 2 (C 278) ricorda l’arrivo degli Spartani prima a Satyrion e in un secondo momento a Taranto) si realizza attraverso la distruzione di alcuni abitati indigeni presenti lungo la costa e nell’immedia-to entroterra. Tracce archeologiche di queste distruzioni sono costituite da-gli strati di incendio individuati al di sotto delle fondazioni della chiesa di San Domenico (nell’isola di Taranto) e a Scoglio del Tonno (nel promonto-rio a nord-ovest della città), cui si so-vrappongono fasi di vita relative alla città laconica e databili verso la fine dell’VIII sec. a.C.; mentre strutture greche dell’inizio del VII sec. a.C. si sovrappongono ad alcune abitazioni iapigie di L’Amastuola (a nord della pianura tarantina, nel territorio di Cri-spiano) e di Saturo (lungo la costa a sud-est di Taranto, nel comune di Le-porano).

Fin dall’inizio del VII sec. a.C. la città di Taranto riuscì a ottenere il controllo della pia-nura a nord e a sud dell’ampio bacino del Mar Piccolo: si tratta di un’occupazione capillare, confermata dal sorgere di insediamenti sparsi e fattorie isolate. Gli insediamenti si dispongono a semicerchio intorno a Taranto, presso Pulsano, Lizzano, Faggiano, Roccaforzata, San Giorgio Ionico, Statte e Massafra, e occupano la zona di cesura fra due aree di natura geologica diversa: da un lato la fertile pianura tarantina, dall’altro l’altopiano delle Murge.

Gli “indigeni”, invece, dovettero mantenere il dominio delle alture di Ginosa, Laterza, Niviera, Mottola, Passo di Giacobbe, Monte Salete, Masseria Vicentino e delle aree più lontane dalla città, come Li Castelli e Manduria.

Nei primi decenni del VI sec. a.C. la chora coloniale tarantina doveva essere piuttosto estesa, anche se la situazione non è molto diversa rispetto a quella del secolo precedente. I rinvenimenti a carattere sacro di località Campomarino presso Maruggio e di località Pezza La Torre presso Torricella (entrambe a sud/sud-est di Taranto) testimoniano, comunque, un ulterio-re allargamento dei territori di pertinenza greca.

5.3. I più importanti insediamenti sia greci che indigeni situati lungo i confini della chora di Taranto.

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96 Età greca

Molti dubbi e incertezze esistono, però, sui criteri da adottare per individuare il reale con-fine della chora e valutarne le eventuali variazioni in relazione all’evoluzione dei rapporti con i centri indigeni iapigi: si ritiene infatti che l’estensione della chora sia rimasta immutata fino a tutta l’età ellenistica (IV-III sec. a.C.). Pochi sono, comunque, gli indicatori per definire il terri-torio coloniale di Taranto: la cultura materiale, gli aspetti del rito legati ai culti e alle sepolture, le modalità di popolamento del territorio (fig. 5.3).

Il territorio di Leporano e Pulsano, fino a Taranto, già in età arcaica era fittamente occu-pato da insediamenti di limitata estensione, probabilmente fattorie; le manifestazioni materiali sono di tipo coloniale, con presenza di ceramiche comuni che si discostano tipologicamente da quelle messapiche, ceramiche fini attiche e corinzie, presenza notevole di ceramiche di impor-tazione e di beni di lusso in numerose sepolture. Nello stesso periodo si notano insediamenti di maggiori dimensioni, posizionati in zone dominanti e provvisti di fortificazioni, con funzioni forse di controllo del territorio coloniale.

Durante il V secolo si assiste a un rapido rarefarsi delle tracce degli insediamenti agricoli individuati in precedenza all’interno della chora. Non si conoscono corredi tombali posteriori al VI secolo nell’area a sud e a sud-est della città greca, né è attestata la presenza stabile di cittadini nell’area pianeggiante compresa tra la costa ionica e l’altopiano delle Murge. Ciò non avviene, invece, nelle aree santuariali, per esempio a Saturo e a Campomarino, dove è attestata una continuità di culto senza cesure. Situazione diversa appare nell’area più prossima a Taranto, fra il Mar Piccolo e il margine occidentale della Salina Grande dove, però, non si ha una distri-buzione capillare e diffusa di insediamenti, ma piuttosto un’occupazione sporadica del subur-bio. La situazione generale della chora nel V secolo è sicuramente da mettere in relazione alla ristrutturazione della compagine urbana; infatti, alla metà del secolo viene costruito un nuovo muro di cinta, per cui l’area prima limitata all’acropoli viene notevolmente ampliata verso est.

Un eccezionale sviluppo si nota nel pieno IV secolo, in concomitanza con l’incremen-to dell’attività edilizia urbana, messo in relazione alla politica democratica di Archita; anche in questo caso si tratta di insediamenti agricoli di limitata entità, talvolta associati a nuclei di tombe. La maggior parte delle evidenze è databile al IV-III sec. a.C., in coincidenza con quello che viene considerato il periodo di massima estensione della chora tarantina. La situazione è in sostanza analoga a quella riscontrata nella chora di Metaponto.

Va ricordato che tra la fine del VI e il V sec. a.C. Taranto fece un tentativo di espansione verso il metapontino: il territorio compreso tra i fiumi Tara e Bradano ricadde probabilmente sot-to l’influenza tarantina. Dopo il 473-472 a.C., anno della sconfitta tarantina a opera dei Messapi-Iapigi, il confine dovette essere fissato tra Ginosa Marina a ovest e Torre Ovo a est, compren-dendo gli attuali centri di Crispiano, Statte, Monteiasi, Carosino, San Giorgio Ionico, Lizzano, Talsano, Leporano e Pulsano; venne così definito un territorio limitato dalla Murgia, oltre la qua-le si trovano soltanto insediamenti indigeni, come San Marzano, Montemesola, Grottaglie, Villa Castelli, Ginosa, Laterza (con sepolture caratterizzate dalla deposizione rannicchiata del defun-to) e Mottola (i materiali greci di età arcaica provenienti da sepolture debbono essere considerati come frutto di importazione). Una sostanziale uniformità si nota tra i contesti messapici del Salento peninsulare e quelli del territorio compreso tra Oria, Manduria fino all’altezza di Torre Ovo, con iscrizioni messapiche che provengono da Masseria Vicentino e Manduria, mentre iscrizioni greche in dialetto dorico provengono da Torricella. Inoltre, il territorio salentino non presenta in età messapica attestazioni riferibili ad insediamenti agricoli: soltanto a Oria ricer-

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Capitolo V 97

che di superficie sembrano aver evidenziato, nella seconda metà del IV e nel III sec. a.C., una oc-cupazione sistematica della cam-pagna.

F.DeL.

Come già detto, nel cor-so dell’VIII e del VII sec. a.C., si andarono delineando le carat-teristiche e gli ambiti geografici delle tre popolazioni iapigie del-la Puglia; questo processo venne accelerato dalla fondazione, alla fine dell’VIII sec. a.C., della co-lonia greca di Taranto. L’area più settentrionale è costituita dalla Daunia che comprende il Gar-gano, l’area pianeggiante del Ta-voliere e il Subappennino Dau-no. Le zone di confine (fig. 5.4) possono essere tracciate con una certa sicurezza, grazie alle indicazioni fornite sia dalle fonti antiche che dalle scoperte archeologiche: a nord la Valle del Fortore (l’antico Fertor), fino al tor-rente Saccione (che segna nella parte finale l’attuale confine regionale), oltre il quale sono da lo-calizzare i Frentani; a sud la Valle dell’Ofanto (l’antico Aufidus) con la città di Canusium e il suo territorio (a sud del fiume); a ovest il Subappennino Dauno, fino a includere i territori di Lavello, Melfi e Banzi. L’area è caratterizzata da alcune facili vie di comunicazione, costituite dai fiumi Fortore, Candelaro, Ofanto e dai torrenti Celone, Cervaro, Carapelle; le direttrici Ofanto-Sele, Fortore e Volturno hanno favorito i contatti con la Campania. In effetti le fonti antiche non sono concordi sui limiti geografici: Tolomeo (Geogr., III, 1, 14) considera il territorio compreso tra i fiumi Fortore (antico Fertor) a nord e Ofanto (antico Aufidus) a sud, mentre Strabone (VI, 3, 8, 823) include anche il barese; Plinio (NH, III, 103-105) indica l’Ofanto come confine meridiona-le, Polibio (3.88) invece arriva fino alla linea ideale che congiunge Taranto a Brindisi. Il confine nord è posto da Plinio (NH, III, 103) al torrente Cervaro (antico Cerbalus) e da Pomponio Mela (De Chorogr., II, 65) al fiume Biferno (antico Tifernus).

Il territorio della Daunia sarebbe stato colonizzato dall’eroe omerico Diomede, che avreb-be fondato le città di Argyrippa-Arpi, Canosa e Siponto, e sarebbe stato ucciso dal re Dauno; alcuni toponimi rimandano a questa leggenda, quali le “isole di Diomede” (cioè le Tremiti) e i “campi di Diomede”, tra Lucera e il Gargano. Alla Daunia “micenea” si riferisce anche il mito di Toante e di Calcante, originario dell’Asia Minore, il cui heroon secondo Strabone (VI, C 284) si troverebbe ai piedi di un monte chiamato “Drion”.

La Daunia, probabilmente per la sua posizione geografica decentrata che la tiene al di fuori dei contatti con il mondo coloniale greco, nel corso dell’VIII e del VII sec. a.C. rinsaldò i legami già esistenti con le popolazioni dell’Adriatico nord-orientale e con quelle della Campa-

5.4. I principali insediamenti della Daunia.

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98 Età greca

nia: in questo modo entrò in contatto con modelli culturali in parte differenti da quelli del resto della Puglia. È significativo, a questo proposito, che la produzione ceramica dauna di VIII sec. a.C. abbia avuto ampia diffusione proprio in Campania, Piceno, Dalmazia, Istria e Slovenia. E sono proprio le produzioni ceramiche, con le loro diversità nel repertorio formale e nella sintassi decorativa, a definire meglio le differenze culturali: ad esempio in Daunia sono comuni le forme globose con collo non distinto, mentre in Messapia – e cioè nel Salento – abbondano le forme biconiche.

Nel corso della metà del VI, per tutto il V e per buona parte del IV sec. a.C. alla cultura dauna si affiancano, oltre agli influssi culturali sostanzialmente etruschi dalla Campania, anche influssi ellenici provenienti prima da Metaponto e successivamente da Taranto.

Il V secolo costituisce, come vedremo meglio nel paragrafo seguente, il momento del passaggio dalla capanna alla casa a pianta rettangolare; grossomodo nello stesso periodo cessa la produzione delle stele funerarie daune e si notano trasformazioni stilistiche nella produzione della ceramica dipinta di tradizione geometrica. Il V secolo è però considerato un periodo di crisi economica per i centri della Daunia, danneggiati sia dalla presenza commerciale ateniese nell’Adriatico (in rapporto all’emporio di Spina) che limitò notevolmente i rapporti tra Dauni e Liburni, sia dalla pressione espansionistica dei Sanniti. E sarà proprio quest’ultimo fattore che

spingerà, alla fine del IV sec. a.C., l’aristocrazia di Arpi a chiedere l’intervento di Roma, acceleran-do così il già avviato processo di romanizzazione.

Il territorio della Peucezia corrisponde grosso modo alla Puglia centrale e si estende a nord-ovest sino alla zona di Trani e, probabilmente, sino all’Ofanto (PLin., NH, III, 102-103), dove si trovano diversi abitati caratteriz-zati dalla presenza di ceramiche peucete, fino a Gravina di Pu-glia e alle vallate del Bradano e dei suoi affluenti, mentre a sud il confine è segnato dal limite della chora di Taranto e dai più settentrionali abitati messapici di Egnazia, Ceglie Messapica, Ca-rovigno e Ostuni (fig. 5.5).

Varie fonti antiche parlano dell’origine greca dei Peuceti, in particolare Dionigi di Alicarnasso (I, 13,1) attribuisce ai figli di Licaone, Enotro e Peucezio, provenienti dall’Arcadia, l’origine degli Enotri e dei Peucezi.

Nella seconda metà dell’VIII sec. a.C. si notano numerosi insediamenti lungo la costa, nelle Murge baresi e nelle aree che insistono sulla vallata del Bradano; i rapporti di questi centri con il mondo ellenico sono provati, ad esempio, dai materiali tardo-geometrici corinzi rinve-

5.5. I principali insediamenti della Peucezia.

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Capitolo V 99

nuti a Monte Sannace (collegato a Egnathia attraverso i canali di Frassineto e di Pirro) e dai frammenti di ceramica del protocorinzio antico dall’insediamento di Torre Castiglione, vicino Conversano.

Nel corso del VII secolo, e soprattutto nel VI, gli apporti della cultura ellenica giungono soprattutto dalle colonie greche attraverso la valle del Bradano (coppe protocorinzie a Gravi-na, Timmari e Monte Sannace), e direttamente dalla Grecia e dalla colonia corinzia di Corfù (Kerkyra) attraverso gli scali dell’Adriatico. Nelle zone prossime al Golfo di Taranto si riscon-trano inoltre interessanti innovazioni, come a Gravina e Altamura, dove le capanne sembrano essere sostituite da strutture a pianta rettangolare con tetto in tegole.

Nei decenni centrali del V secolo gli insediamenti più vicini al territorio tarantino (ad es. l’abitato di Monte Sannace) sembrano attraversare un momento di crisi, legata probabilmente alle guerre tra Taranto e gli Iapigi; viceversa, si nota un’intensificazione dei contatti diretti con la Grecia attraverso l’Adriatico e, sul versante opposto, con i Greci di Metaponto.

Il IV secolo e i primi decenni del III possono essere considerati un periodo estrema-mente florido, prova ne è la note-vole presenza nelle necropoli di vasi a figure rosse dei maggiori artisti tarantini e “lucani”; alcu-ni studiosi ipotizzano anche che la Peucezia sia diventata il prin-cipale centro di produzione delle derrate alimentari necessarie a Taranto per sostenere le numerose milizie durante il lungo periodo di conflittualità prima con le popola-zioni messapiche e poi con quelle lucane. È comunque dalla secon-da metà del IV secolo che si assi-ste a un processo definito di “ur-banizzazione”, evidenziato dalla costruzione di imponenti cinte murarie a difesa dei centri abitati.

Il territorio abitato dai Mes-sapi comprende tutta la penisola salentina e giunge fino a Egnazia, Ostuni, Carovigno, Ceglie Messapica, a nord della linea ideale che congiunge Taranto a Brindisi (fig. 5.6). Gli studiosi sono ormai concordi sulla natura di coronimo del vocabolo “Messapia”, coniato dai Greci e riferito al Salento geografico prima che etnico o culturale, e dipendente dalla particolare posizione di “terra tra due mari”. Il nome di questa terra è inoltre legato alla figura leggendaria di Messapo (giunto nel Salento insieme al fratello Tara, fondatore eponimo di Taranto, dalla costa orientale del Mar Adriatico), indicato come figlio di Nettuno e considerato il primo costruttore di navi e pertanto preposto alla navi-gazione; sarebbe inoltre l’inventore dell’arte di cavalcare e quindi, nelle aree di lingua greca, prese il nome di Ippia, il “domatore di cavalli” (ennius, Annales, XII fr. VII (376) Vahlen, apud serv., In Verg. Aen., VII 691).

5.6. I principali insediamenti della Messapia.

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100 Età greca

Nel corso del VII secolo proseguono le attività commerciali con la Grecia attraverso gli scali messapici lungo la costa adriatica, come Otranto e Santa Sabina (Brindisi), mentre gli scambi con la colonia di Taranto interessarono soprattutto i centri gravitanti sullo Ionio. L’importanza del Promontorio Iapigio lungo le rotte di navigazione è confermata dalla presen-za di un culto in grotta sulla Punta Ristola, nella Baia di Leuca, già attivo nella seconda metà dell’VIII secolo.

Durante il VI secolo si nota una forte spinta culturale ellenica che porta alla realizzazione di strutture abitative più complesse e articolate: case a pianta rettangolare, che sostituiscono le capanne, caratterizzate da zoccolo in blocchi, alzato in mattoni crudi e tetto in tegole, sono state rinvenute a Oria, Vaste, Ugento e Cavallino; però solo in quest’ultimo gli scavi hanno evidenzia-to un impianto urbanistico che potremmo definire regolare. L’influenza greca non scalfisce, co-munque, l’abitudine di seppellire all’interno degli insediamenti e il tradizionale rituale funerario della deposizione su un fianco e rannicchiata, che continuerà a essere praticata fino all’inoltrato IV sec. a.C. A partire dal tardo arcaismo si diffonde, inoltre, l’uso della scrittura, con un alfabeto greco laconico.

I violenti scontri tra gli indigeni e Taranto, dovuti a tentativi tarantini di espansione terri-toriale e di acquisizione di manodopera servile, portarono nella prima metà del V secolo a una profonda crisi politico-culturale, manifestatasi ad esempio con l’abbandono della città di Caval-lino e del santuario di Monte Papalucio presso Oria. All’interruzione dei rapporti con Taranto si contrappongono, nella seconda metà del V secolo, più stretti rapporti di alleanza con Atene in chiave antitarantina.

Anche per la Messapia il IV e il III sec. a.C. possono essere considerati un periodo di notevole prosperità. Al IV secolo e agli inizi del III si datano infatti le ricche tombe a camera ipogeica e, soprattutto, la maggior parte delle fortificazioni – solitamente a doppia cortina con ri-empimento (emplekton) – che caratterizzano numerosi centri abitati, quali ad esempio Egnathia, Manduria, Rudiae, Lupiae, Rocavecchia, Muro Leccese, Vaste, Castro e Ugento.

bibLioGrAFiAIn generale, sul popolamento del territorio di Taranto CoCChiAro1981;GreCo1981;ALessio,Guzzo1989-1990;

osAnnA1992;LiPPoLis 1997b; GreCo2001;MAruGGi2001a; GuAitoLi2002;sChoJer2002. Sulla mone-tazione di Taranto stAzio1983;siCiLiAno 1992a; FisCher-bossert;1999;GArrAFFo2002;siCiLiAno2002. Per L’Amastuola MAruGGi 1992b; MAruGGi 1996; MAruGGi 2001a, pp. 45-54. Per Saturo GuAsteLLA 2003 con bibliografia precedente. Per Monte Salete osAnnA 1992, p. 35, n. 54. Per Masseria Vicentino FeDeLe1966;FornAro1968;FornAro1973;FornAro1976-1977;LAMboLey 1996, pp. 139-140. Per Roccaforzata ALessio1993d;ALessio1998. Per la località Niviera (San Marzano di San Giuseppe) Ghi-nAtti1975;osAnnA 1992, p. 33, n. 45. Per Ginosa GiAnnottA 1990a. Per Laterza ALessio 1990c. Per Mottola MAGLio1994;sChoJer1997;CiCCone1999;sChoJer2000. In generale sulla Daunia DeJuLiis1975b;DeJuLiis1977;MAzzei1984;DeJuLiis1988b;DeJuLiis1988c;nArDeLLA1990;MAzzei 1991b; DeJuLiis 1996a; voLPe,strAzzuLLA,Leone 2008. In generale sulla Peucezia D’AnDriA1988b; DeJuLiis 1996a; Puglia centrale 2010. In generale sulla Messapia D’AnDriA 1988b; D’AnDriA1991a;LoMbArDo1992;DeJuLiis 1996a; D’AnDriA1998;D’AnDriA2005;LoMbArDo 2011a.

A.v.

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Capitolo V 101

V.2. Città e territorioNel corso del VII sec. a.C. la Dau-

nia, con caratteristiche culturali peculiari e autonome, si espande nell’area del melfese fino a Banzi e a Ruvo del Monte, e verso sud fino a Ruvo di Puglia.

Le attuali conoscenze sulla civil-tà dauna in età arcaica (VII-VI sec. a.C.) e tra V e III sec. a.C. sembrerebbero in-dicare che gli insediamenti occupassero grandi aree, come nel caso di Arpi e Sa-lapia, in qualche modo recintate o fortifi-cate, abbracciando vari nuclei abitativi di capanne, zone destinate alle necropoli e forse anche aree destinate all’agricoltura e al pascolo stanziale. Almeno per il caso di Arpi, i dati a disposizione consentono di ipotizzare che la vasta area dell’abitato (ca. 1.000 ettari), delimitata da un sistema di fortificazione costituito da aggere e fos-sato realizzato sul finire del VI sec. a.C., sia stata occupata in modo estensivo da edifici di diverse fasi, databili dall’età del Ferro fino al IV-III sec. a.C.; per quanto riguarda le necropoli, non è ancora possibile stabilire se – come riscontrato in altri centri indigeni – vi siano ampi settori destinati alle sepolture alternati a nu-clei di abitazioni, oppure se in alcuni casi vi sia una contemporaneità di necropoli e abitazioni. Ad Ascoli Satriano, tra l’VIII e il III sec. a.C., nuclei di abitazioni sono distribuiti all’interno di un’area di circa 80 ettari, che dalla sponda sinistra del torrente Carapelle risaliva fino a comprendere le alture oggi occupate dall’abitato moderno; il nome di Ausculum è citato per la prima volta dalle fonti letterarie in occasione del celebre scontro fra Pirro e i Romani del 279 a.C. (Fest., s.v. Osculana Pugna; PLut., Pyrrh., 21; zonAr., 8, 5; Front., Stratag., II, 3, 21; FLor., Epit. 1, 13, 18). Nell’insediamento di Tiati (denominata Teanum Apulum a partire dalla tarda età repubblicana) sono stati individuati una serie di nuclei abitativi dislocati all’interno di un ampio comprensorio, in cui la località Coppa Mengoni, situata a quota elevata e protetta naturalmente su più lati, viene considerata dagli studiosi come una sorta di acropoli. Anche per Canosa i dati di scavo documentano la presenza di vari nuclei di abitato (ad es. in località Gio-ve Toro e Toppicelli), sviluppatisi tra il VII e il IV sec. a.C. su un’area piuttosto vasta, compresa tra la collina di Canosa e il corso dell’Ofanto.

Nella seconda metà del VI secolo i materiali ceramici rinvenuti denotano un’intensifi-cazione dei rapporti commerciali e culturali con Metaponto, attraverso la valle del Bradano, mentre apporti etruschi giungono dalla Campania. Si datano tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C. gli esemplari più antichi di antefisse (del tipo a testa di Gorgone), che denotano la pre-senza di edifici a pianta rettangolare con tetto in tegole (fig. 5.7). Ed è proprio nel corso del V sec. a.C. che si assiste, in tutti i centri abitati dauni, al passaggio dalla capanna alla casa a pianta

5.7. Arpi. Antefissa del tipo a testa di Gorgone, databile al V sec. a.C.

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102 Età greca

rettangolare, con pareti forse in mattoni crudi e tetto in tegole (si vedano gli esempi scavati di Ordona) (fig. 5.8).

Sempre al V sec. a.C. possono essere datati due edifici rinvenuti a Lavello (contrade San Felice e Casino), sicuramente di carattere pubblico, forse anche religioso, e caratterizzati da una pianta rettangolare allungata e da un vestibolo, entrambi con zoccolo di base realizzato a secco, struttura portante in legno e tetto in tegole. A questi edifici possono essere avvicinate, per le ca-ratteristiche planimetriche, altre due strutture, probabilmente con funzioni cultuali e databili al V-IV sec. a.C, rinvenute a Tiati (località Tratturo) e ad Ascoli Satriano: anche in questo caso gli edifici, preceduti da un vestibolo, presentano pianta rettangolare allungata, muri con fondazioni in pietre, alzato in materiale deperibile e tetto in tegole decorato da antefisse. Inquadrabile alla fine del VI sec. a.C. è, invece, l’edificio messo in luce a Canosa in contrada Toppicelli, caratte-rizzato da un tetto con decorazione fittile policroma e probabilmente avvicinabile a strutture di tipo palaziale piuttosto che a un tempietto.

Il V secolo viene comunque considerato un periodo di crisi per i centri della Daunia, a causa sia della presenza ateniese nell’Adriatico (il cui fulcro era costituito dall’emporio di Spi-na) che ostacolò sensibilmente i rapporti tra Dauni e Liburni, sia delle mire espansionistiche dei Sanniti, in cerca di terre per i pascoli invernali. E sarà proprio, come già detto, la presenza sannita che spingerà, alla fine del IV sec. a.C., l’aristocrazia di Arpi a chiedere l’intervento di Roma. Nel corso del V e per buona parte del IV sec. a.C. alla cultura indigena continuano ad affiancarsi, oltre agli influssi culturali sostanzialmente etruschi dalla Campania, anche influssi ellenici provenienti prima da Metaponto e successivamente da Taranto.

Secondo un’ipotesi piuttosto accreditata, è probabile che in questo periodo i centri minori, forse semplici comunità agricole situate in zone particolarmente fertili, gravitassero nell’orbita di quelli più estesi e importanti: questo potrebbe essere il caso degli insediamenti di Casone-San

5.8. Herdonia. Veduta generale di parte dell’abitato indigeno, in primo piano un ambiente a pianta rettangolare in mattoni crudi.

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Capitolo V 103

Severo, Cupola-Beccarini, Aecae che dovevano gravitare su Arpi; mentre dovevano far riferi-mento a Canusium i centri di Canne-Antemisi, Fontanelle, Tippicelli e Barletta. Alcuni di questi insediamenti, occupati già nell’età del Ferro, vennero abbandonati nel corso del IV-III sec. a.C., nell’ambito di una diversa organizzazione del territorio determinata dalla espansione di Roma; un esempio potrebbe essere l’insediamento di Lavello, situato nei pressi di Venusia, che subì trasformazioni radicali nel III sec. a.C. per entrare poi nella sfera di influenza di Canusium, alleata dei Romani.

Il IV sec. a.C., soprattutto la seconda metà, segna un momento di stacco piuttosto netto dalla cultura daunia, che però si mostrerà conservativa per quanto riguarda la sfera funeraria. Infatti nel corso della seconda metà del secolo le vicende legate alla Seconda Guerra Sanniti-ca, culminate con l’alleanza tra Roma e Arpi stipulata nel 326 a.C., e l’arrivo di Alessandro il Molosso, re dell’Epiro, nel 333 a.C. (Liv., Ab Urbe Condita, VIII, 24; iustin., Epit. P. Trog., XII, 2, 5-12), si sovrappongono alla fondazione della colonia latina di Luceria nel 315 a.C.; e dalla seconda metà del IV secolo sempre ad Arpi è segnalata l’attività di una zecca che coniava monete d’argento e di bronzo.

Tra IV e III sec. a.C. all’interno degli abitati di Canosa, Canne, Ordona e Arpi (località Montarozzi) si notano alcuni elementi che sembrerebbero denotare la presenza di uno schema urbanistico; il fenomeno è testimoniato dalla scoperta di una serie di case aristocratiche con planimetrie e decorazioni ispirate a modelli abitativi greci e caratterizzate, ad Arpi, da un omo-geneo orientamento dell’impianto.

Nell’area apula centroset-tentrionale la scarsa conoscen-za dei luoghi di culto è in parte dovuta a una carenza documen-taria, ma anche a una scarsa leggibilità delle manifestazioni religiose, che sono spesso con-nesse con i riti funerari. I saggi di scavo effettuati sulla collina del Serpente di Ascoli Satriano hanno messo in luce due aree sa-cre, una privata e una pubblica, utilizzate nel corso del IV sec. a.C.; in entrambe il rituale pre-vedeva il consumo di vino e di cibo, come nei luoghi di culto di Vaste-Piazza Dante e di Monte Papalucio a Oria.

Particolarmente interessante è il tempio che doveva far parte di un santuario extraurbano, individuato a Canosa (località San Leucio) e databile tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C., e cioè in un periodo immediatamente successivo all’alleanza stipulata nel 318 a.C. con i Romani: prostilo, ottastilo, su alto podio, con scala centrale e colonnato ionico con fregio dorico a metope e triglifi, il tempio si distacca dalla tradizione architettonica locale sia per l’impianto planimetrico che per la ricchezza degli elementi decorativi (alcuni capitelli, forse provenienti dall’interno, sono di tipo composito, con teste maschili e femminili sporgenti da cespi d’acanto).

5.9. Vasi geometrici di produzione locale, del VI sec. a.C., da una tomba di Herdonia.

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104 Età greca

I materiali di una stipe votiva (terrecotte, parti anatomiche e figure umane) individuata a Lucera sulla collina del Belvedere, databili all’inizio del III sec. a.C., sono – per le caratteristiche tipo-logiche – da mettere certamente in relazione con l’arrivo dei coloni latini di Luceria.

La maggior parte della produzione di ceramiche locali di stile geometrico (fig. 5.9), non tornite, di VI e V secolo è attribuita ai due centri di Canosa e Ordona, già attivi nell’età pre-cedente, mentre solo probabilmente dagli inizi del V a.C. inizia l’attività produttiva di Ascoli Satriano. Dalla seconda metà del V secolo si registra un notevole afflusso di vasi torniti, decorati a fasce, di origine magnogreca: a partire dal IV sec. a.C. queste ceramiche verranno prodotte localmente, senza però sostituire del tutto le tradizionali produzioni geometriche.

Durante l’età del Fer-ro (IX-VIII sec. a.C.) nel-le necropoli della Daunia, come anche del resto della Puglia, è diffusa esclusiva-mente l’inumazione, con il morto deposto su un fianco, a gambe e braccia flesse: il rito perdurerà in piena età storica, giungendo, nel-le zone meno ellenizzate, fino alla conquista romana. Le tombe possono essere a fossa e a tumulo (meno fre-quenti), mentre gli infanti

vengono seppelliti all’interno di recipienti in terracotta (sepoltu-ra “a enchytrismos”) (fig. 5.10). Le differenze sostanziali con i tumuli dell’età del Bronzo sono le dimensioni più ridotte e la presenza di una o più sepolture individuali, mentre i tumuli più antichi erano caratterizzati da una camera sepolcrale collettiva, spesso con corridoio di accesso. In Daunia, tombe a tumulo sono documentate ad Arpi, Ordona e Banzi (nel Melfese).

Al VII sec. a.C. è attribui-bile una serie di tombe principe-

sche, a fossa di grandi dimensioni e in posizione isolata all’interno delle necropoli, caratterizzate da un ricco corredo che comprende oggetti di pregio importati, quali vasi metallici di produzione etrusca; queste tombe, che si collegano a quelle coeve presenti nell’area campana, greca ed etru-sca, sono state rinvenute a Lavello, Canosa e Manfredonia (località Cupola).

5.10. Salapia. Tombe ad enchytrismos dell’età del Ferro.

5.11. Arpi. Tomba “a grotticella” in cui è visibile il dromos, la chiusura della porta ancora in posto e la camera priva della volta.

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Capitolo V 105

Nel corso del VI sec. a.C. fanno la loro comparsa le tombe a cassa di lastroni lapidei; già al V sono databili alcune tombe “a grotticella” artificiale per depo-sizioni plurime, probabilmente membri della stessa famiglia, individuate ad Ascoli Satriano, Arpi e Salapia. Questo tipo di tomba “a grotticella” caratteriz-zerà ampie porzioni di necro-poli, nel corso del IV secolo, a Canosa, Arpi, Ascoli Satriano, Salapia e San Severo ed è le-gato alla presenza di un banco di roccia tenera che consentiva lo scavo di uno o più ambienti ipogei (fig. 5.11). Si segnalano, anche se meno numerose, tom-be a camera scavate nella roccia, oppure parzialmente o intera-mente realizzate in blocchi: nelle tombe più importanti è presente anche una decorazione pittorica (tombe ipogee di Arpi e Canosa), talvolta con vere e proprie sce-ne figurate, mentre più rara è la decorazione scultorea (Canosa, ipogeo “Monterisi-Rossignoli” e “dell’Oplita”; Arpi, tomba a ca-mera “della Medusa”) (fig. 5.12).

Un discorso a parte merita-no le stele funerarie in pietra, ca-ratteristiche proprio della cultura dauna (fig. 5.13); provengono soprattutto dalla cosiddetta Pia-na di Siponto, a sud di Manfre-donia, anticamente caratterizzata dalla presenza di una laguna costiera. Ritrovamenti di stele sono segnalati anche ad Arpi, Ordo-na (Herdonia), San Paolo di Civitate (Teanum Apulum), Ascoli Satriano (Ausculum), contrada Leonessa di Melfi e Troia (Aecae); le stele più antiche sono databili all’VIII e al VII sec. a.C. e provengono soprattutto dall’area compresa tra Manfredonia e la foce dell’Ofanto (Monte Sa-raceno, Castelluccio dei Sauri); frammenti anche da Tiati (San Paolo di Civitate), Herdonia e Melfi (contr. Leonessa). La maggior parte della produzione si avrà però soprattutto nel corso del

5.12. Arpi. Ipogeo della Medusa: ingresso (fine IV-inizi III sec. a.C.).

5.13. Stele funeraria in pietra databile al VI sec. a.C. (Manfredonia, Museo Archeolo-gico Nazionale del Gargano).

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106 Età greca

VI sec. a.C. La stele, che veniva infissa a terra come segnacolo, consisteva in una lastra calcarea rettangolare (4-13 cm di spessore), sormontata da una testa ricavata nella stessa lastra, oppure lavorata a parte e poi fissata. Le decorazioni, a incisione più o meno profonda, ricoprono tutte e quattro le facce, risparmiando solo una breve parte inferiore che doveva essere infissa nel terre-no. Su tutte le stele viene rappresentata una veste riccamente decorata; sulla base della decora-zione incisa, le stele vengono distinte in “maschili” (margine superiore diritto, collo privo di de-corazioni, braccia flesse nude sulla faccia anteriore) e “femminili” (margine superiore concavo in cui si innesta il collo ornato da collane, sulla faccia anteriore le braccia flesse sono coperte da una sorta di guanti). Negli spazi lasciati liberi dalla rappresentazione dell’abbigliamento, degli ornamenti e delle armi, sono raffigurate scene di vario genere, con rappresentazioni di uomini e animali sia reali che fantastici. Con il V sec. a.C. termina questa particolare produzione, proba-bilmente superata da nuovi modelli di ideologia funeraria.

bibLioGrAFiAPer un inquadramento generale degli insediamenti in età dauna DeJuLiis 1975a; Civiltà dei Dauni 1984; MAz-

zei 1984; Profili Daunia Antica 1985-2000; Atti San Severo 1979-2011; MAzzei,Mertens,voLPe 1987; Profili Daunia 1988; MAzzei 1988; DeJuLiis 1988b; DeJuLiis1996a; MAzzei 1996; voLPe,strAzzuLLA,Leone 2008; MArChi 2009a; Corrente et alii 2010a; MArChi,buFFo 2010; MAzzei 2010; GoFFreDo2011;MArChi,Forte 2012. Per le strutture abitative MAzzei 1996; Liseno 2007, pp. 11-27. Per le stele daunie Ferri,nAvA1977;nAvA1979;nAvA1980;nAvA1988;nAvA,ACQuAroLi2005;nAvA,rossi2011; tunzi 2011. Per le produzioni ceramiche DeJuLiis1977;PALuMbo1986;DeJuLiis1994a;DeJuLiis2002;Céra-mique2005;Corrente,DistAsi,Liseno 2008. Per un quadro di insieme sui contesti di culto in età arcaica MAstronuzzi 2005a; rADinA,reCChiA2010, pp. 129-132; Vigna di Dioniso 2011. Per Banzi Banzi 2006; osAnnA,serio 2008; MArChi 2009b; MArChi 2010a. Per Casone DeJuLiis 1996c; Anzivino 2003; GuAi-toLi 2003d. Per Cupola-Beccarini nAvA 1999; MontAnAro 2010. Per Toppicelli Corrente 1992a e 1992b; LoPorto 1992; Corrente 2013. Per Tiati PiCCALuGA 1995. Per Canosa MArin1970c;DeJuLiis1992a; CAssAno 1992a; DALLy 2000; bertoLDiLenoCi2003;Corrente 2009. Per Ordona Ordona I-IX; Ordona X; Ordona XI; Mertens 1995. Per Lavello bottini1982;GiorGi et alii 1988; bottini,FresA1991;nAvA,CrACoLiCi,FLetCher2009. Per San Severo DeJuLiis 1996a; DeJuLiis 1996c. Per la monetazione in Dau-nia siCiLiAno 1992c; siCiLiAno1995;siCiLiAno 1998a; Monetazione 2009; sArCineLLi 2010, pp. 25-37.

Per quanto riguarda la Peucezia, i dati archeologici riferibili al VII sec. a.C. consentono di evidenziare come, in alcune località più vicine al Golfo di Taranto, vengano adottate inno-vazioni tecnico-costruttive già utilizzate nei centri magnogreci. Ci si riferisce in particolare ai rinvenimenti di Altamura e Gravina, databili agli ultimi decenni del VII sec. a.C.: si tratta di abitazioni a pianta rettangolare, che vanno a sostituire le più antiche capanne, e sono costituite da uno zoccolo in pietre e alzato in materiale deperibile con pali di sostegno (Altamura), oppure alzato in mattoni crudi (Gravina).

A continuità di vita, dall’VIII sec. a.C. all’Alto Medioevo, con una precedente frequen-tazione di età neolitica, è l’abitato che occupa la collina di Torre Castiello (Rutigliano); iden-tificato con Azetium, è ricordato da Plinio (NH, III, 11, 105: Aegetini) e nei principali Itinerari romani. Al IV-III sec. a.C. sembrerebbe inquadrabile la cinta muraria in blocchi non squadrati, a doppia cortina con riempimento di pietre e terra, che delimita una superficie di circa 6 ettari; gli scavi hanno evidenziato strutture abitative di II sec. a.C. Grande importanza dovette avere il centro abitato di Ruvo, come testimoniano le numerose tombe di epoca peuceta, databili già a partire dal VII sec. a.C.; purtroppo finora sono stati individuati solo scarsi elementi dell’abitato

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Capitolo V 107

e nessuna traccia del circuito murario. I corredi funerari di VI-V sec. a.C. denunciano rapporti con il mondo etrusco e greco, testimoniati anche dalle ricche oreficerie – conservate nel Museo Nazionale Archeologico di Taranto – e dal mate-riale ceramico di importazione corinzio e attico (fig. 5.14).

Di particolare interesse è l’edificio individuato sull’acropoli dell’insediamento di Monte Sannace (vicino Gioia del Colle), databile ai primi decenni del VI secolo: è costituito da due ambienti a pianta rettangolare, zoccolo in grandi blocchi e alzato in mattoni crudi e nella seconda metà del VI sec. ebbe copertura in tegole, con presenza di terre-cotte architettoniche policrome. Si tratta probabilmente non di un luogo di culto, ma di un edificio pubblico (avvicinabile ai “palazzi” di Murlo e Acquarossa in Etruria), simbolo del potere del princeps; nei pressi si trova anche un recinto fu-nerario con tomba monumentale, forse un culto “privato”, legato certamente alle aristocrazie indigene. I dati di scavo relativi a Monte Sannace sembrano inoltre indicare, per i de-cenni centrali del V secolo, un momento di crisi, legata forse alle guerre tra Taranto e gli Iapigi, mentre nel resto del territorio peuceta si nota un’intensificazione dei contatti con la Grecia attra-verso l’Adriatico e, sul versante opposto, con i Greci di Metaponto.

Il IV sec. e i primi decenni del III sec. a.C. possono essere considerati uno dei periodi più floridi della Peucezia, prova ne è la notevole presenza nelle sepolture di vasi a figure rosse dei maggiori artisti tarantini e “lucani”. Ed è proprio a questo periodo, in relazione probabilmente alle vicende militari con Taranto e alla presenza romana, che viene datata la costruzione delle cinte murarie che caratterizzano i vari insediamenti (ad es. Ceglie del Campo, Altamura, Torre di Castiglione, Torre a Mare e Conversano). In questo periodo nell’abitato di Monte Sannace sem-bra di essere in presenza di un vero e proprio sviluppo urbanistico, evidenziato dall’ampliamen-to della cinta muraria dell’acropoli (a doppia cortina in blocchi squadrati con setti trasversali e riempimento di pietre e terra) e soprattutto dalla costruzione di edifici sia di carattere pubblico (tra cui una struttura di tipo palaziale nei pressi dell’edificio tardoarcaico dell’acropoli, con annesse tombe a semicamera), e una sorta di agorà, con portico su un lato. La presenza di vere e proprie fattorie sparse nella campagna sembrerebbe essere attestata ad Acquaviva delle Fonti (località Salentino), dove un intervento di scavo ha messo in luce un piccolo insediamento rurale con annessa necropoli, forse databile a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C.

Luoghi di culto e santuari sono stati individuati sia all’interno degli abitati che isolati nel territorio; di particolare interesse il santuario, probabilmente legato al culto delle acque, rinve-nuto nel comune di Rutigliano, in contrada Madonna delle Grazie, dove i materiali documentano fasi di vita a partire dal VI e fino al III sec. a.C.; mentre i complessi noti a Conversano (località Torre Castiglione e Largo Falconieri), Monte Sannace e Rutigliano (località Bigetti) sembrano relativi a strutture residenziali in cui sono evidenti anche elementi di culto.

Per quanto riguarda le produzioni ceramiche, nel corso del VII sec. a.C. si osserva la na-scita di uno stile subgeometrico locale, in cui i vasi vengono realizzati a mano o alla ruota lenta e sono caratterizzati da una decorazione dipinta opaca (monocroma o bicroma) in stile geometrico

5.14. Ruvo di Puglia, Museo Archeologico Na-zionale “Jatta”. Cratere a volute a figure rosse di produzione attica, attribuito al Pittore di Ta-los (fine V sec. a.C.).

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108 Età greca

(fig. 5.15); questa produzione si svilupperà nel cor-so dell’intero VI secolo, scomparendo nella prima metà del V. Già dai primi decenni del VI secolo cominciano a essere importati vasi torniti di fabbri-cazione coloniale, decorati “a fasce”, che, imitati dai vasai indigeni, determineranno una produzio-ne parallela a quella tradizionale. Nel corso del V secolo alla produzione locale si affiancheranno le importazioni di ceramiche italiote (rinvenute ad esempio nelle tombe di Ruvo, Ceglie del Campo, Rutigliano, Monte Sannace, Gravina, Altamura) (fig. 5.16), stilisticamente e tecnicamente vicine alla ceramica attica a figure rosse, e prodotte nelle colonie del Golfo di Taranto e cioè a Turi, Eraclea, Metaponto e Taranto stessa; a partire dal IV secolo nei corredi funerari troveremo anche i vasi in ce-ramica a vernice nera e in ceramica “di Gnathia”.

Durante il VII e il VI sec. a.C. coesistono necropoli con caratteristiche indigene derivate di-rettamente dall’età del Bronzo e del Ferro – nelle Murge – e necropoli con sepolture di aspetto el-lenico, soprattutto nella composizione dei corredi

– lungo la fascia costiera; l’uso tipicamente locale, comune a tutta la Puglia, di seppellire i defunti su un fianco, in posizione rannicchiata, persisterà fino al periodo della romanizzazione. Le tombe a tumulo, già presenti dall’età del Bronzo alla prima età del Ferro, continuano a essere utilizzate nel VI sec. a.C. (Torre Castiglione, Masseria Lo Porto), mentre cominciano ad apparire le tombe a sarcofago monolitico, di tipo ellenico (Rutigliano, Monte Sannace). La presenza di un ceto che possiamo de-finire “principesco” è attestata dai corredi di una serie di tombe di Noi-cattaro, Valenzano e dal tumulo di Specchia Accolti vicino Conversano. Materiali etruschi di produzione campana, giunti certamente attraverso la valle dell’Ofanto, sono stati rinvenuti in sepolture di Noicattaro, Ca-nosa e Ruvo: si tratta soprattutto di oggetti di oreficeria; buccheri sottili di fine VII secolo provengono, invece, da una tomba di Rutigliano.

A partire dalla seconda metà del V secolo e per tutto il IV si dif-fonde la tomba “a semicamera”, costituita da un vano rettangolare con pareti in blocchi, intonacate e talvolta dipinte; la copertura era a lastroni

di pietra. La decorazione interna era solitamente sobria, a fasce e linee dipinte; finora soltanto due tombe, a Gravina e a Ruvo (la cd. “Tomba delle danzatrici”, conservata nel Museo Naziona-le Archeologico di Napoli), presentano una serie di scene dipinte sulle pareti (fig. 5.17): questi esempi sembrano circoscritti all’area centrosettentrionale della Puglia, dove maggiore è l’influs-so etrusco-campano già dall’età arcaica. La floridezza dei centri peuceti nel corso del VI sec. a.C. è segnalata anche dalla produzione – sviluppatasi anche nei secoli successivi – di pregiate

5.15. Ruvo di Puglia, Collezione Lagioia (Milano, Civico Museo Archeologico). Attingitoio subgeometrico di produ-zione peuceta, realizzato al tornio lento (metà del VI sec. a.C.).

5.16. Ruvo di Puglia (Colle-zione Banca Intesa). Cratere a volute apulo a figure rosse con scena di amazzonoma-chia, officina dei Pittori della Patera e di Baltimora (340-320 a.C.).

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Capitolo V 109

oreficerie, ispirate a modelli gre-ci ed etruschi, rinvenute nei cen-tri indigeni di Rutigliano, Ruvo, Noicattaro e Ceglie del Campo (figg. 5.18-19).

Nel corso del IV secolo si diffondono inoltre le tombe “a grotticella” (ricavate intera-mente nel banco di roccia e uti-lizzate per deposizioni plurime, probabilmente del medesimo nucleo familiare) e “a camera”. Il rituale funerario è caratterizzato da schemi di tra-dizione arcaica, particolarmente evidenti in sepolture di Monte Sannace e Conversano, dove viene sottoli-neato il ruolo guerriero del defunto, mentre un chiaro riferimento al banchetto rituale, di impronta greca, si ricava dagli elementi di corredo di una tomba di Rutigliano. Segni di prestigio sono anche i corredi ricchissimi di ceramica figurata, come ad Altamura e a Timmari, e soprattutto le tombe ipogeiche. Le tombe “a camera” sono spesso decorate con pitture “a zone”: ad esempio la Tomba 7 di Monte Sannace ha una decorazione dipinta a finti blocchi isodomici, mentre la Tomba 8 presenta una serie di drappeggi in basso, un fregio di bucrani e di patere al centro, un fregio di foglie d’edera in alto.

5.17. Ruvo di Puglia. Tomba delle Danzatrici: lastra dipinta con scena di danza funebre. Fine V-prima metà IV sec. a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

5.18. Ruvo di Puglia. Sostegni in oro per balsamari databili al VI-V sec. a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

5.19. Ruvo di Puglia. Orecchino in lamina d’oro con de-corazione in filigrana, granulazione e pulviscolo, data-bile al VI-V sec. a.C. (Londra, British Museum).

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110 Età greca

bibLioGrAFiAPer un inquadramento generale degli insediamenti in Peucezia D’AnDriA 1988b; DeJuLiis 1996a, pp. 186-188,

241-243, 286-287; FiorieLLo2003b;riCCArDi2003;CiAnCio,riCCArDi2005;CiAnCio,GALeAnDro,PAL-MentoLA2009;GALeAnDro2009-2010;MArChi2009a;GALeAnDro2010;MArChi 2010b; Puglia centrale 2010. Per Torre di Castiglione e Specchia Accolti CAPrio2013;CiAnCio2013;L’AbbAte2013. Per il territorio di Rutigliano e le loc. San Martino, Purgatorio, Bigetti DAMAto1996;De JuLiis 2001b; DeJuLiis2008;GALeAnDro2009-2010. Per Jazzo Fornasiello (Gravina di Puglia) CAstoLDi et alii 2011. Per Acquaviva delle Fonti, loc. Salentino AnDreAssi1978;AnDreAssi1979;AnDreAssi1981b. Per le strutture abitative CiAnCio1996;Liseno2007, pp. 28-38. Per le tombe a semicamera dipinte GADALetA 2002. Per le produzioni ceramiche DeJuLiis1994a; DeJuLiis1995a; DeJuLiis 1996a; MAnnino 2004; Céramique 2005; senAChiesA 2008. Per le oreficerie Gli ori di Taranto 1985; DeJuLiis1990, pp. 397-402; Guzzo 1993; MontAnAro 2006. Per un quadro d’insieme sui contesti di culto in età arcaica MAstronuzzi 2005a. Per la monetazione in Peucezia siCiLiAno 1988a; siCiLiAno 1988b; siCiLiAno 1989; siCiLiAno 1992b; MAn-Gieri 2007; Monetazione 2010; trAvAGLini2010;trAvAGLini,CAMiLLeri 2010, pp. 359-363.

Le ricerche in Messapia sembrano indicare la presenza di numerosi insediamenti, sia all’interno che lungo la costa, che per evidenti motivi orografici si sviluppano – nella Messapia settentrionale – soprattutto su colline o lievi alture, in posizione dominante e facilmente difendi-bile; mentre nel Salento solitamente occupano aree pressoché pianeggianti, caratterizzate da mi-nimi dislivelli altimetrici. Molti di questi abitati presentano fasi di vita già nell’età del Bronzo, con occupazione fino a età romana, senza soluzione di continuità. Purtroppo la carenza di dati di scavo, riferibili solo a pochi insediamenti e spesso non a situazioni abitative ma a necropoli (che, come di consueto in Puglia, si sviluppano sia all’interno che all’esterno dell’area abitata), non consente di avere un quadro complessivo del sistema di occupazione del territorio; si può comunque affermare che in età messapica, almeno tra il V e il III sec. a.C., gli abitati vennero difesi con mura solitamente a doppia cortina e riempimento di pietre e terra, con paramento in opera quadrata o in blocchi appena sbozzati. Queste mura si adattano sempre alla situazione orografica, presentando spesso doppi anelli concentrici.

Scarse sono le nostre conoscenze sullo sviluppo degli abitati nel corso del VII sec. a.C.; i dati di scavo segnalano, a Otranto e Oria, una sorta di concentrazione di vari nuclei abitativi in quella che possiamo definire l’area centrale dell’insediamento. I materiali provenienti dalle sepolture, dove viene mantenuto il rituale funerario in posizione rannicchiata, denotano la pro-secuzione delle importazioni di ceramiche greche, sia direttamente dalla Grecia, utilizzando gli scali messapici del versante adriatico, che attraverso Taranto.

Durante il VI sec. a.C. gli abitati sembrano assumere strutture più complesse e articolate, probabilmente da mettere in relazione con l’influenza di Taranto, tenendo presente che le nostre conoscenze si limitano a pochi insediamenti scavati. Ad esempio intorno alla metà del VI sec. a Cavallino si coglie una rapida trasformazione dell’abitato, che passa dalle capanne ovali alle case costituite da più ambienti a pianta rettangolare e tetto in coppi, fondazioni in blocchi squadrati e alzato in pietre legate da terra argillosa con struttura portante in legno; le case, la cui pianta sembra ripetere un modulo costante, vanno a formare più isolati, divisi da incroci ortogonali (fig. 5.20). La situazione di Cavallino, al momento unica in ambito messapico, è probabilmente da ricollegare alla volontà di aristocrazie locali fortemente ellenizzate; nella maggior parte dei casi gli insediamenti continuano a svilupparsi a prescindere dalla acquisizione di un modello che potremmo definire urbano, anche se spesso vengono adottate strutture abitative a pianta rettangolare, in cui talvolta è documentato l’uso di elementi architettonici in pietra locale, come a Cavallino, Vaste e Ugento.

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Capitolo V 111

Nell’abitato di Otranto le case a pianta rettangolare sembrano comparire soltanto nel IV secolo.Le attuali conoscenze sembrano indicare, per la piena età arcaica, lo sviluppo nell’entro-

terra di abitati piuttosto estesi, che dovevano certamente far riferimento a un porto o approdo sulla costa.

Lungo uno dei principali percorsi di collegamento tra il Golfo di Taranto e l’Adriatico si sviluppò sin dall’età del Bronzo l’abitato di Oria: nel corso del VI sec. a.C. sulla collina centrale viene realizzata un’ampia struttura di recinzione che delimita uno spazio probabilmente con funzioni pubbliche, secondo modalità presenti anche a Cavallino e Vaste; sulla vicina collina di Monte Papalucio si sviluppò invece, su più terrazze attorno a una grotta artificiale, un santuario dedicato a una divinità femminile salutare, da cui provengono numerosissimi materiali di im-portazione greca e coloniale.

Durante il VI secolo l’importazione di merci direttamente dalla Grecia e l’esistenza di altri circuiti commerciali, oltre alle colonie greche del golfo di Taranto, è attestata dai numerosi rinvenimenti di anfore corinzie di tipo A e B, ma anche samie e greco-italiche (si veda lo scarico di materiali nei pressi di Torre Santa Sabina, a nord di Brindisi, con anfore commerciali, cera-miche corinzie, attiche e laconiche) e dalla presenza di merci di produzione etrusca e dall’Epiro (rinvenuti negli scavi di Cavallino).

I violenti scontri con Taranto, inquadrabili tra la fine del VI e la prima metà del V sec. a.C., dovettero coinvolgere alcuni centri indigeni, con pesanti ripercussioni riscontrabili anche a livello archeologico: ad es. l’abitato di Cavallino venne abbandonato, mentre il santuario di Monte Papalucio (Oria) decadde rapidamente (rari, infatti, sono i materiali successivi al 480 a.C.); nella maggior parte dei casi, però, i dati archeologici sembrano indicare una crescita sul piano demografico, insediativo ed economico-produttivo e chiare tracce di apertura e permeabi-lità alle influenze elleniche e in particolare tarantine.

Nella seconda metà del V secolo i rapporti di alleanza con Atene ricordati dalle fonti,

5.20. Cavallino, Fondo Pero, zona B. Planimetria generale delle abitazioni di VI sec. a.C.

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112 Età greca

da interpretare soprattutto in chiave antitarantina, sono archeologicamente evidenziati dalla notevole presenza di vasi attici nelle necropoli di numerosi centri adriatici della Messapia, quali ad esempio Rudiae, Vaste, Oria, Brin-disi, Otranto, Cavallino, Rocavecchia; nel contempo si nota rarità di ceramica attica nelle necropoli tarantine.

Al VI sec. a.C. sono databili le mura più antiche di Vaste, a doppia cortina di grosse pietre non squadra-te con riempimento di pietrame; ven-gono invece riferite al V sec. a.C. la prima cerchia di fortificazione di Man-

5.21. Rudiae. Tratto nord-occidentale delle mura in opera quadrata (prima metà IV sec. a.C.); in primo piano le sottofondazioni in grandi blocchi.

5.22. Rocavecchia. Restituzione aerofotogrammetrica finalizzata; in rosso il circuito murario e i resti archeologici, in rosa le tracce dei fossati esterni.

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Capitolo V 113

duria, a struttura piena in grandi blocchi grossolanamente squa-drati, e le mura della prima fase costruttiva dell’acropoli di Oria. Le fortificazioni di numerosi insediamenti messapici, spesso collegate a uno sviluppo in senso urbano degli abitati e dovute cer-to a pressanti problemi di difesa, vengono di norma attribuite al IV-III sec. a.C.: includono, oltre a nuclei di abitato, anche aree di necropoli e, talvolta, spazi liberi probabilmente destinati all’agri-coltura e al pascolo. Le mura di Ostuni, Oria, Manduria (cerchia esterna), Rudiae (fig. 5.21), Ugento e Soleto sono a doppia cortina in opera quadrata e riempi-mento di pietre e terra; per quanto riguarda Rudiae e Ugento si segnala la presenza di tratti realiz-zati a struttura piena, sempre in blocchi squadrati. A Rocavecchia (figg. 5.22-23), Muro Leccese, Vereto (fig. 5.24) e Vaste le mura sono a struttura piena in opera quadrata, con blocchi disposti di testa e di taglio. Struttura particolare presentano, in alcuni settori indagati, le fortificazioni di Lecce, caratterizzate da un muro pieno con facciavista interna in spezzoni informi, mentre la facciavista esterna è in grandi blocchi squadrati di calcare locale posti in opera di testa. Resti della cinta muraria di Soleto, a doppia cortina di blocchi squadrati isodomi in carparo con riem-pimento di pietrame di varie dimensioni frammisto a terra, sono stati messi in luce a più riprese

5.23. Rocavecchia. Tratto settentrionale della cinta muraria in opera quadrata di calcare (IV-III sec. a.C.).

5.24. Vereto. Tratto sud-occidentale della cinta muraria in opera quadrata, visibile alla base di un imponente muro a secco.

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114 Età greca

in diversi saggi di scavo. Recenti ricerche hanno consentito di in-dividuare un insediamento mes-sapico nell’area ora occupata dal moderno centro di Montesardo; anche in questo caso il circuito difensivo era realizzato in bloc-chi squadrati di grandi dimensio-ni (fig. 5.25). La cinta muraria di Valesio, a doppia cortina con riempimento di pietre e terra, è caratterizzata da un paramento esterno in blocchi squadrati ab-bastanza regolari e da un para-mento interno costituito perlopiù

da blocchi di piccole dimensioni, solo leggermente sbozzati. In opera quadrata a doppia cortina, con setti murari trasversali di collegamento, sono le mura di Castro, in alcuni tratti con funzione anche di sostegno del pendio (figg. 5.26-27). Sempre a età ellenistica si data la cinta muraria di Ceglie Messapica (figg. 5.28-29), realizzata in opera poligonale di calcare. Al IV-III sec. viene datata la costruzione delle mura di Egnathia; al IV sec. viene assegnato anche l’edificio di culto individuato sull’acropoli e costituito da una cella all’interno di un recinto murario. Bisogna se-gnalare che all’interno degli abitati di Muro Tenente, Vaste e Valesio sono stati individuati alcuni complessi abitativi disposti lungo assi stradali ortogonali.

5.25. Montesardo. Resti delle mura sotto le fortificazioni cinquecentesche.

5.26. Castro. Veduta aerea del promontorio su cui si sviluppa l’insediamento di Castro.

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Capitolo V 115

Nella prima metà del IV sec., in concomitanza con lo sviluppo urbanistico della città di Taranto, messo in relazione con la politica demo-cratica di Archita, si nota un eccezionale sviluppo di insedia-menti agricoli all’in-terno della chora tarantina e le fonti se-gnalano l’instaurarsi di buoni rapporti con i vicini Messapi, che si guasteranno nel corso della secon-da metà del IV a.C. In questo periodo, come ricordato pre-cedentemente, Ta-ranto, minacciata dai Lucani a ovest e dai Messapi a sud-est, e incalzata dalla sempre maggio-re presenza di Roma, ingaggiò dinasti provenienti dalla Grecia, quali Archidamo di Sparta, che morì nel 338 a.C. durante l’asse-dio alla città messapica di Man-duria, e Alessandro il Molosso, che cercò di ottenere il controllo dei porti adriatici attraverso una serie di alleanze con Brindisi e con il re degli Apuli, come ri-cordano le fonti (iustin, Epit. P. Trog., XII 2, 5-12). Ricerche di superficie nel territorio di Oria sembrerebbero indicare lo svi-luppo di vere e proprie fattorie sparse nella campagna a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C.; un intervento di scavo pres-

5.27. Castro. Il tracciato delle fortificazioni aragonesi che ricalca il circuito murario di epoca messapi-ca, i numeri indicano i rinvenimenti archeologici.

5.28. Ceglie Messapica. Foto aerea verticale: le frecce indicano i resti e le tracce della cerchia muraria messapica.

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116 Età greca

so Francavilla Fontana (località San Lorenzo) ha messo in luce un piccolo insediamento rurale con annessa area di necropoli, forse assegnabile allo stesso pe-riodo. La conquista di Taranto (272 a.C.) da parte dei Romani portò alla rottura del complesso equilibrio tra le due realtà, colo-niale e indigena, ed ebbe come conseguenza l’assoggettamento, nel 267-266 a.C., dei Salentini e

dei Messapi e il loro inserimento nell’orbita della politica romana, con conseguente disarticola-zione del precedente sistema di occupazione e sfruttamento del territorio.

L’importanza dell’estremo Salento, e cioè del promontorio iapigio, nelle rotte marittime è provata dalla presenza già nell’età del Ferro di un luogo di culto nella Grotta Porcinara sulla Punta Ristola nella Baia di Leuca, culto che perdura nel corso del VII sec. a.C. e oltre, ed è ca-ratterizzato dalla presenza di materiale indigeno, di materiale greco e di un monumento tipica-mente greco (eschara); elementi questi che rivestono particolare interesse per la comprensione dei rapporti stabilitisi tra il mondo ellenico e quello indigeno/messapico, che a Leuca si mesco-lano e convivono. Si tratta di un santuario probabilmente emporico, dove il culto di “zis batas”

5.29. Ceglie Messapica. Schema planimetrico dell’insediamento messapico.

5.30. Baia di Leuca, Punta Ristola. L’area antistante l’ingresso a Grotta Porcinara.

5.31. Ugento. Statua di Zeus in bronzo, alta qua-si 70 cm, rinvenuta insieme al capitello in pietra leccese su cui doveva essere collocata; databile nella seconda metà del VI sec. a.C.

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Capitolo V 117

(il nome della divinità è graffi-to su alcuni vasi votivi di epoca arcaica) è accostato a iscrizioni di epoca romana – graffite sulle pareti – che ricordano “Jupiter batius”, divinità legata alla na-vigazione e agli approdi, come mostra la dedica di un’ancora (fig. 5.30).

L’adozione di schemi cul-turali ellenici nel VI sec. a.C. è evidenziata da più rinvenimenti, anche particolarmente interes-santi; si veda la statua in bronzo di Zeus (fig. 5.31), dalla zona della acropoli di Ugento, che attesta la presenza di un culto, e una serie di capitelli in pietra con abaco decorato a rosette, sia da Ugento che da Cavallino e Vaste.

Di particolare interesse anche l’abitato indigeno di Scala di Furno (Porto Cesareo), con fasi dell’età del Bronzo e ricca documentazione di ceramica micenea, e una serie di stratificazio-ni che giungono fino a epoca classica; si segnalano abbondanti materiali greci anche nell’VIII sec. a.C., quando si sviluppa un luogo di culto (in uso fino ad età arcaica) le cui stipi hanno restituito sia materiale indigeno che di produzione greca.

5.32 Rocavecchia. Grot-ta della Poesia (a sin. nell’immagine): la grotta-santuario, situata all’in-terno del circuito murario di età messapica, fa parte di un complesso di cavità di origine carsica colle-gate tra loro, è priva della volta e invasa dall’acqua.

5.33 (sotto). Rocavecchia. Grotta della Poesia: l’at-tuale ingresso alla grotta.

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118 Età greca

Le numerose iscrizio-ni messapiche – databili dalla metà del IV sec. a.C. – e latine di Grotta della Poesia di Rocavec-chia (figg. 5.32-35) documenta-no l’esistenza di un importante culto (la divinità, maschile, è indicata con il nome messapico THAOTOR o TUTOR per i la-tini), probabilmente legato alla presenza di una sorgente d’acqua dolce all’interno della grotta; mentre nella vicina baia di Torre dell’Orso è testimoniata una fre-quentazione cultuale della Grot-ta di San Cristoforo (fig. 5.36), dall’età tardoarcaica fino al XIII sec. d.C., dove si deve ricono-scere un santuario probabilmen-te emporico con modelli di culto simili a quelli di Leuca.

È forse un luogo di culto a carattere “privato” e funerario, legato a gruppi familiari premi-nenti, quello individuato a Vaste in località Melliche, sorto nel corso del VI e in uso fino a tutto il IV sec. a.C.: è delimitato da un muro a secco con all’interno nu-merosi cippi in calcare e offerte votive. Per quanto riguarda l’età arcaica si segnalano altri santua-ri in grotta: a Monte Papalucio (Oria), di cui si è già accennato, a Ruffano (Ugento), da cui pro-

viene un frammento di alfabetario, e la Grotta Capelvenere a Santa Maria al Bagno (Nardò), in cui sono stati individuati focolari e forse figurine di Persefone. Nel corso della seconda metà del IV sec. a.C. si nota una ripresa delle attività nel santuario di Monte Papalucio (Oria), mentre un culto di tipo ctonio (forse dedicato ad Afrodite?) si sviluppa nella Grotta di Monte Vicoli presso Ceglie Messapica. Un altro culto in grotta, a carattere salutare, è il cd. “Fonte Pliniano” di Man-duria, legato a una sorgente; sono invece probabilmente relative al culto delle ninfe le offerte votive rinvenute sul fondo del laghetto di acqua dolce della Grotta Zinzulusa.

Un culto di tipo ctonio, che utilizza alcune cavità naturali riadattate, viene segnalato a Vaste; si tratta di tre cavità inserite all’interno di recinti delimitati da muri in blocchi. Entro

5.34. Rocavecchia. L’interno di Grotta della Poesia con il sistema di passerelle che consente di analizzare le iscrizioni graffite sulle pareti.

5.35. Rocavecchia. Particolare delle iscrizioni graffite sulle pareti di Grotta della Poesia.

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Capitolo V 119

le cavità sono state rinvenute diverse forme ceramiche intere, anche miniaturistiche, deposte dopo il pasto rituale; sul fondo della cavità maggiore è alloggia-ta una lastra in pietra con foro centrale, probabilmente un vero e proprio altare ipogeico. I ma-teriali ceramici rinvenuti sono inquadrabili cronologicamente tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C.; rari i materiali più tardi, compresi tra la seconda metà del III e la prima metà del II sec. a.C.

Per quanto riguarda le pro-duzioni ceramiche, nel corso del VII sec. a.C. si segnala lo svilup-po di un nuovo stile subgeome-trico messapico: i vasi sono realizzati anco-ra a mano o alla ruota lenta e dipinti, con decorazioni piuttosto ricche e complesse, con colori opachi, alternando spesso nero e rosso. Le forme più diffuse sono l’olla con anse a maniglia sulla spalla (oppure a staffa con piattello), l’anforetta con alte anse a na-stro angolose, la brocca dal corpo globoso con ansa sormontante.

Dalla fine del VI sec. a.C. è molto diffusa la ceramica a figure nere, in cui è costante la presenza del cratere a colonnet-te dal profilo piuttosto slanciato: la forma risponde al gusto locale, che predilige le “kelebai” attiche a figure rosse, largamente importate nel corso della prima metà del V sec. a.C. La fattura e la qualità dell’argilla dei crateri a colonnette provenienti dalle ne-cropoli ad es. di Egnathia, Cavallino, Vaste e Rocavecchia, denotano una produzione lo-cale, con imitazione di modelli attici. Particolarmente interessanti i punti di contatto tra questi crateri della Puglia e le produzioni etrusco-campane a figure nere (esemplari dalle tombe di Ruvo). In questo periodo notevole è la presenza nei corredi funerari di ceramica con decorazio-ne geometrica di produzione ellenica e soprattutto di fabbrica coloniale (Taranto, Metaponto); il confronto con queste ceramiche portò all’utilizzazione precoce del tornio da parte dei vasai

5.36. Baia di Torre dell’Orso, Grotta di San Cristoforo. Situata all’estremità meridio-nale della baia, la cavità venne scavata nel banco di calcarenite nel IV sec. a.C., anche se i materiali rinvenuti nel terrazzo artificiale antistante permettono di ipotizzare una frequentazione dell’area in età arcaica; sulle pareti si trovano iscrizioni e graffiti da-tabili dal I sec. a.C. al XIII secolo. Alla fine dell’Ottocento il De Simone fece prelevare alcune delle iscrizioni, provocando il danneggiamento della maggior parte dei testi.

5.37. Cavallino. Trozzella a decorazione bicroma (inizi V sec. a.C.).

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120 Età greca

indigeni, anche per la produzione di vasi in stile geometrico, come la caratteristica trozzella, e di ceramiche che imitano il repertorio formale e decorativo greco. Nel corso del V secolo, oltre alle ceramiche greche e italiote figurate, sono frequenti anche quelle a vernice nera, sia importate che di produzione locale. Dalla metà del VI sec. a.C. e sino alla metà del III sec. a.C. nei corredi funerari è presente la trozzella (fig. 5.37), simbolo della produzione vascolare messapica, che segna il passaggio, trattandosi di ceramica tornita e verniciata, dalla produzione matt-painted a quella di tipo greco. La trozzella è un’anfora con anse sormontanti e angolose, decorate alla sommità e all’attacco inferiore da coppie di dischi detti lo-calmente “trozze”, da cui prende nome il vaso. È possibile trovare precedenti di questi dischi nelle oinochoai in bronzo e in ceramica, di produzione rodia e corinzia, databili alla fine del VII sec. a.C.; la trozzella, però, sembra un’elaborazione messapica dell’anforetta indigena con le anse a nastro soprae-levate. Secondo la maggior parte degli studiosi, la destinazio-ne della trozzella doveva essere funeraria e caratterizzare le deposizioni femminili. La produzione vascolare in Messapia fra IV e III sec. a.C. è ben documentata da uno scarico di cera-mica a Valesio, dove sono attestati scarti di fornace relativi a ceramica a vernice nera, ceramica decorata a fasce, ceramica acroma e ceramica da cucina. La ceramica a vernice nera è la normale ceramica da tavola, presente, però, anche nei corredi funerari e nei santuari; forme tipiche della ceramica decorata a fasce sono idrie e scodelle, mai presenti nei contesti funera-ri, e vari tipi di coppe tra cui le cd. “lekanai”, presenti anche nei corredi funerari; le forme più diffuse in ceramica acroma sono la brocca, il mortaio-catino e il pithos, grande recipiente per la conservazione di derrate alimentari.

A partire dalla tarda età arcaica in Messapia si diffonde l’uso della scrittura, con l’utilizzazione di un alfabeto di tipo

laconico-tarantino arcaico. Iscri-zioni in alfabeto e lingua mes-sapici si ritrovano nella Puglia meridionale, a sud della linea Monopoli-Taranto; quelle rinve-nute a nord di questa linea sono poche e di epoca tarda, scritte nel così detto “alfabeto apulo”. Iscri-zioni messapiche, soprattutto fu-nerarie, sono state rinvenute ad es. a Cavallino (fig. 5.38), Lecce,

5.38. Cavallino, Fondo Maratunde. Cippo in calcare locale con iscrizione messapica di età arcaica (fine VI-inizi V sec. a.C.).

5.39. Valesio. Lastra di calcare con iscrizione funeraria messapica, pertinente a una tomba a cassone (fine IV-inizi III sec. a.C.).

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Capitolo V 121

Rudiae, Rocavecchia, Ruffano, Vaste (cfr. fig. 5.119), Nardò, Alezio, Porto Cesareo, Oria, Va-lesio (fig. 5.39) ed Egnazia.

In Puglia la prima città a battere moneta fu Taranto, alla fine dell’VI sec. a.C. Le città messapiche emisero moneta pro-babilmente a partire dal V sec. a.C. (esistono ancora incertezze e dubbi sulla cronologia e sulla attribuzione di alcune produzio-ni monetali), ma già in età arcai-ca utilizzavano e tesaurizzavano la moneta greca. A noi sono pervenute monete prodotte da Baletium (solitamente identificata con Valesio): monete d’argento del V sec. a.C.; da Kasarium (ma l’attribuzione alla Messapia di queste emissioni è incerta): monete d’argento del V sec. a.C.; Neretum (Nardò): monete d’argento e di bronzo del IV-III sec. a.C.; Samadion (centro posizio-nabile forse vicino Manduria): monete di bronzo del III sec. a.C.; Brundisum (Brindisi), Orra (Oria), Graxa e Sturnium (centri nell’area tra Fasano, Cisternino e Ostuni), Uzentum (Ugento): monete di bronzo del III-II sec. a.C. (fig. 5.40).

Per quanto riguarda il rituale funerario si può affermare che anche in Messapia nel corso del VII sec. a.C. è presente l’uso tipicamente locale, comune a Daunia e Peucezia, di seppellire i defunti su un fianco, in posizione rannicchiata, uso che persisterà fino alla conquista romana. Il rinvenimento nella necropoli di Tor Pisana, a Brindisi, di tombe a inumazione e a incinerazione e di corredi con numerosi vasi protocorinzi, potrebbe spiegarsi con la presenza di un nucleo di abitanti greci insediati presso lo scalo portuale. L’influsso del costume greco in ambito fu-nerario è piuttosto discontinuo e l’uso della deposizione supina in tombe databili al VI-V sec. è stato riscontrato per il momento solo in pochi centri messapici, come Egnazia. Il grado di penetrazione della cultura ellenica nel mondo messapico è testimoniato per esempio a Ugento, oltre che dal rinvenimento della statua bronzea di Zeus (il cd. “Zeus di Ugento”), anche da una interessante tomba “a cassa”, databile tra VI e V sec. a.C., caratterizzata da un ricco corredo di vasi fittili e di bronzo e, soprattutto, da una decorazione pittorica con evidenti elementi greci (le tombe “a cassa”, utilizzate certamente per sepolture di un certo pregio, erano realizzate con lastre di pietra intonacate e dipinte sulla faccia interna; anche la faccia interna del coperchio era intonacata e dipinta).

bibLioGrAFiAPer un inquadramento generale degli insediamenti in Messapia D’AnDriA 1988b; Archeologia dei Messapi 1990;

D’AnDriA1991a;LAMboLey1991;LoMbArDo 1994a; LoMbArDo 1994b; GiArDino1995;DeJuLiis1996a, pp. 127-129, 181-186, 206-213; LAMboLey1996;burGers1998;D’AnDriA1998;GiArDino2000;burGers2001;LAMboLey2002;D’AnDriA2005;AProsio2008;burGers2009a; burGers 2009b; iACono 2009; seMerAro 2009b; MAstronuzzi2011;CALDAroLA,MAstronuzzi2011. Per le strutture abitative D’AnDriA 1996, pp. 403-438; Liseno 2007, pp. 39-50 con bibliografia precedente. Per Muro Maurizio LAMboLey 1996, pp. 97-201; DeLuCA 2003, p. 320. Per Li Castelli di San Pancrazio Salentino MAruGGi,burGers2001;burGers2005. Per Ceglie Messapica Ceglie Messapica 1992; sCArDozzi 2003c. Per Mesagne

5.40. Asse di Uzentum con testa femminile bifronte / Herakles coronato da Nike alata e iscrizione OZAN (II sec. a.C.).

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122 Età greca

CoCChiAroet alii2006;GiArDino2007. Per Castro D’AnDriA 2009. Per Ginosa GiAnnottA 1990a. Per Vereto sAMMArCo2003;sAMMArCo 2012. Per Soleto vAnCoMPernoLLe1994;vAnCoMPernoLLe1998;vAn CoMPernoLLe 2005; vAn CoMPernoLLe et alii 2005; D’AnDriA 2011b; LoMbArDo 2011b; vAnCoMPernoLLe2012. Per Montesardo CionGoLi1998;CionGoLi1999;DeLuCA 2011. Per le produzioni ceramiche Archeologia dei Messapi 1990; ynteMA 1990, pp. 86-98; ynteMA1991;DeJuLiis1995b; DeJuLiis 1996a; seMerAro1997;GiAnnottA1998;MAnnino2004;Céramique2005;MeLissAno2005;DeJuLiis,GALeAnDro,PALMentoLA2006;MAnnino2006. Per i contesti di culto PAGLiArA1990;D’AnDriA1991a; PAGLiArA 1991; D’AnDriA, DeLL’AGLio 2002; MAstronuzzi 2002b; MAstronuzzi 2005a; MAstronuzzi 2005b; MAstronuzzi2008. Per le iscrizioni in lingua messapica sAntoro1982;sAntoro1984;PAGLiArA1987;DesiMone 1989; sAntoro1989-1990;DesiMone1991;DesiMone,MArChesini2002. Per la monetazione in Messapia stAzio1973;trAvAGLini1982;trAvAGLini1990;stAzio,siCiLiAno,trAvAGLini1991;siCiLiAno1991;boersMA,Prins1994;siCiLiAno 1998b; Monetazione 2011.

A.v.

V.2.1. Centri della Daunia

Tiati-Teanum Apulum

L’insediamento daunio di Tiati si sviluppò su un ampio pianoro collinare, presso la riva destra del fiume Frento, l’attuale Fortore, a 19 km dalla sua foce, immediatamente a est del Pon-te di Civitate e 4 km a nord del moderno centro di San Paolo di Civitate (FG). Tale posizione assicurava il controllo dell’unico punto guadabile del fiume Fortore e degli accessi occidentali e orientali alla pianura del Tavoliere, oltre a un’ampia visuale sul versante orientale della pianura, fino alle pendici del promontorio garganico.

Il territorio dell’antico centro fu attraversato, in epoca romana, dalla così detta via Litora-nea di cui sono visibili i resti del ponte che consentiva l’attraversamento del Fortore e tratti del basolato stradale. In epoca aragonese il tracciato della strada romana fu ricalcato dal percorso del Regio Tratturo L’Aquila-Foggia.

Le fonti antiche citano l’insediamento daunio in due forme diverse; la prima denomina-zione, Tiati, è riportata sulle monete di III sec. a.C.; la sua variante, Teate, è riportata in Livio (Liv., IX, 20, 7) e nel Liber Coloniarum (Lib.CoL., II, p. 261, 16, Lachmann). La forma Teanum

Apulum è attestata a partire dalla prima metà del I sec. a.C. nelle fonti letterarie (CiC., Cluent., 9, 27; 69, 197; Att., VII, 12, 2) e nelle epigrafi tardorepubblicane e imperiali.

Le prime attestazioni del popolamento del ter-ritorio risalgono al Neolitico Recente (località Piani di Lauria); una più capillare occupazione con insedia-menti situati in posizioni elevate, facilmente difendi-bili, si registra tra il Bronzo Medio e Finale (XVI-X sec. a.C.) e la prima età del Ferro (IX sec. a.C.).

Nella piena epoca daunia (tra il IX-VIII e il IV sec. a.C.) Tiati assumerà gradualmente la forma di un insediamento organizzato in una serie di nuclei abita-tivi disseminati all’interno di un ampio comprensorio; 5.41. Tiati-Teanum Apulum. Ricostruzione dell’edificio

sacro del “Regio Tratturo”.

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Capitolo V 123

il territorio di pertinenza di tale sistema insediativo sembrerebbe compreso, grossomodo, tra le attuali località di Coppa Mengoni, Pezze della Chiesa, Mezzana, Piani di Lauria, Marana della Difensola e il percorso del Regio Tratturo. È stato ipotizzato che località Coppa Mengoni, si-tuata a quota elevata e protetta naturalmente su più lati, fosse utilizzata come area preposta alla comune difesa in caso di pericolo.

All’interno di comunità così strutturate è probabile che i luoghi di culto, oltre che alla loro naturale valenza religiosa, assolvessero anche a una funzione di raccordo sociale, politico ed economico fra le popolazioni delle varie borgate.

Lungo il tracciato del tratturo che attraversava il territorio di Tiati sono stati individuati, nel corso di indagini di superficie condotte negli anni 1992-1993, almeno tre edifici di culto di età arcaica (fine VI sec. a.C.), dislocati all’interno dell’area compresa tra le località Piani di Lauria e Pezze della Chiesa e frequentati fino al III sec. a.C.

Un altro complesso religioso è stato scavato in località Mezzana-Tratturo. Gli scavi, con-dotti dalla Soprintendenza Archeologica nel 1985, hanno portato alla luce un edificio di forma rettangolare, preceduto da un vestibolo con colonna centrale e semicolonne laterali (fig. 5.41); la pavimentazione dello spazio antistante il vestibolo fu arricchita, nel corso del IV sec., da un mosaico in ciottoli fluviali disposti a formare un motivo decorativo a rombi. L’edificio aveva le fondazioni in ciottoli, alzato in materiale deperibile e una copertura a doppio spiovente in tegole e coppi. Il tetto era decorato da antefisse sia di tipo “etrusco-campano”, relative alla prima fase costruttiva dell’edificio (V sec. a.C.), sia di tipo pentagonale, pertinenti a un rifacimento del IV sec. a.C.

A partire dal IV sec. a.C. Tiati fu sottoposta a una serie progressiva di infiltrazioni di genti sannite.

Nel corso della Seconda Guerra San-nitica i teatini si allearono con i Sanniti con-tro Roma; Livio parla di una resa di Tiati a Roma nel 318 o 317 a.C. (Liv., IX, 20, 4; 7-8) sancita da un foedus iniquum che ri-compensò la fazione filoromana alla quale andarono tutte le terre confiscate alla classe dirigente antiromana.

La presenza romana comportò, nel corso del III sec. a.C., una riorganizzazione del territorio di cui sono indizio, sul terreno, la presenza di una serie di piccole fattorie individuate in località Marana della Difen-sola. Ai margini dell’abitato di epoca repub-blicana (località Pezze della Chiesa e Coppa Mengoni) sono state individuate, inoltre, due strutture di culto.

Nel corso del I sec. a.C., dopo la Guer-ra Sociale (91-88 a.C.) Tiati divenne muni-cipium con il nome di Teanum Apulum e fu ascritto alla tribù Cornelia. A questo perio-

5.42. Tiati-Teanum Apulum. Il c. d. “Torrione”, monumento funera-rio romano (seconda metà I a.C.- inizi I sec. d.C.) ubicato all’esterno della città romana.

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124 Età greca

do si fanno risalire i resti di un edificio di notevoli dimensioni, una basilica o un tempio, con basi di colonne di tipo attico, del diametro di 1,50 m e capitelli in stile corinzio, individuato nel 1972 dalla So-printendenza per i Beni Archeologici del-la Puglia in località Pezze della Chiesa.

Lungo uno degli assi viari in usci-ta dalla città fu edificato un monumento funerario a forma di parallelepipedo, da-tabile tra la seconda metà del I sec. a.C. e gli inizi del I sec. d.C., ancora oggi in situ e localmente detto “il Torrione” (fig. 5.42). Del monumento si è conservato il solo nucleo cementizio, mentre è proba-bile che siano state asportate già in antico sia le lastre marmoree di rivestimento che le cornici.

Al silenzio delle fonti sulle fasi di vita di Teanum e del suo territorio in epo-ca tardoantica e altomedievale si contrap-pone una ricca documentazione archeolo-gica costituita principalmente da ceramica

sigillata chiara D (IV-VI sec. d.C.), da lucerne paleocristiane di tipo africano (V sec. d.C.), da ceramica tardoromana a pettine e a bande rosse (V-VI sec. d.C.) e da anse pluricostolate di boc-cali di V e VI sec. d.C. Si tratta di dati provenienti da indagini topografiche, che consentono di ipotizzare un’occupazione del territorio tramite fattorie e quindi una continuità di vita del muni-cipium romano anche in epoca successiva.

Un vuoto della documentazione archeologica si registra, invece, per il periodo di tempo compreso fra i secoli VII-X d.C.

Sarà solo a partire dal XI sec. che il territorio dell’antico centro ritornerà a essere vitale, quando i Bizantini fondarono, su un’altura protesa verso il vallone del Canneto, la città forti-ficata di Civitate, isolata da un fossato a semicerchio e munita di un sistema di fortificazione formato da una torre, la cosiddetta “Chiesa di Civitate” (fig. 5.43), edificata a difesa del lato meridionale esterno, mentre il lato settentrionale era naturalmente difeso dal Fortore.

In seguito l’abitato bizantino, divenuto sede di contea e di diocesi, inglobò al suo interno la Torre difensiva e avviò i lavori per la costruzione di una cattedrale. A ovest della Torre sono stati individuati i resti di un edificio, forse una delle chiese di Civitate, con annesso cimitero.

La progressiva diminuzione della documentazione archeologica a partire dalla fine del XIV sec. testimonia il lento abbandono del sito di Civitate a favore del vicino casale sorto presso il monastero di San Paolo. L’abbandono di Civitate comportò la soppressione della sua diocesi, che venne aggregata alla nuova sede vescovile di San Severo nel 1580. Le terre della contea, lasciate incolte, furono trasformate in pascoli da Alfonso D’Aragona e, in seguito, attraversate dal Regio Tratturo L’Aquila-Foggia.

5.43. Tiati-Teanum Apulum. La c.d. “ Chiesa di Civitate”, torre di fortifi-cazione dell’abitato medievale.

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Capitolo V 125

bibLioGrAFiASul sito in generale si veda: DeJuLiis1994;AntonACCisAnPAoLo,QuiLiCi1995;russi1989;GrAvinA1993;Qui-

LiCi,AntonACCisAnPAoLo1994;AntonACCisAnPAoLo 1995; DeLLeverGini 2010. Sul santuario in località Mezzana-Tratturo: MAzzei 1987;MAstronuzzi2005a, pp. 102-103. Sul popolamento del territorio di Tiati in età pre e protostorica: GrAvinA 1980. Sulle iscrizioni e l’evoluzione del municipium: russi 1976.

P.Gen.

Arpi

L’abitato daunio di Arpi, posto circa 8 km a nord di Fog-gia, occupò una posizione cen-trale nella piana del Tavoliere, tra le alture del Subappennino e la costa, il cui collegamento era garantito dalla navigabilità dei corsi d’acqua del Celone e del Candelaro.

La toponomastica della zona (Arpetta, Arpinova, Mas-seria Arpi, San Nicola d’Arpi) ha costituito una delle memorie prevalenti di Arpi, che dal tar-doantico in poi fu soggetta a un inarrestabile fenomeno di deca-denza e di obliterazione dei suoi antichi resti, accentuato dall’im-paludamento del vicino Celone.

L’assenza di segni in vista dell’antico centro, a eccezione del tracciato della struttura di-fensiva, ha fatto sì che le ricer-che archeologiche cominciasse-ro in età relativamente recente (fig. 5.44). Dal 1939 al 1945, in occasione di alcuni rinvenimenti casuali al seguito di lavori di bonifica, furono condotti scavi in località Montarozzi, che consen-tirono l’individuazione di un’estesa area di necropoli e mosaici relativi ad abitazioni di epoca el-lenistica. Nel 1953 fu allestito un cantiere-scuola per disoccupati nella stessa area, con l’apertura dei lavori in località Menga. Nel 1957, J.B. Bradford individuò per la prima volta il perimetro dell’insediamento, la linea delle fortificazioni e la topografia generale.

Negli anni ’60 del Novecento le attività di scavo si intensificarono, sia in località Monta-rozzi che a San Nicola d’Arpi, e furono portate alla luce una tomba a tumulo, alcune stele, tombe di età arcaica e di età ellenistica, abitazioni e ricchissimi elementi architettonici scolpiti. Le ri-cerche degli anni ’70 portarono alla luce un settore dell’abitato romano, presso Masseria Menga,

5.44. Arpi. La città antica in una foto aerea del 1954: le frecce indicano il percorso della cinta muraria antica e dei fossati difensivi.

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126 Età greca

e le prime tombe a camera, come l’ipogeo dei Niobidi, che desta-rono attenzione per la ricchezza dell’impianto e delle decorazio-ni pittoriche, e per l’eccezionale consistenza numerica e qualità dei corredi vascolari.

A partire dagli anni ’80 si è cercato di inserire le iniziative di scavo e ricerca entro un più generale programma di tutela del territorio, devastato dall’at-tività dei clandestini, fortemente radicata nell’area e strettamente legata ai maggiori mercati inter-nazionali.

Fatta eccezione per le at-testazioni di età neolitica, è a partire dalla prima età del Ferro che l’abitato di Arpi sembra ab-bia raggiunto una connotazione insediativa e sociale piuttosto definita.

In piena epoca daunia, nel-la seconda metà del VI secolo, l’area dell’insediamento venne delimitata da una poderosa for-tificazione ad aggere dalla for-ma semilunata con basamento in

pietrame e alzato in mattoni crudi di grandi dimensioni, costeggiato sul lato nord-ovest dal corso del Celone.

Il percorso dell’intera fortificazione è di circa 13 km e l’area racchiusa al suo interno si estendeva per circa 970 ettari. In una seconda fase il terrapieno fu colmato, e fu costruito un muro a doppia cortina in mattoni di terra cruda.

La porzione nord-ovest dell’aggere, prospiciente il Celone, è senz’altro quella più conser-vata rispetto agli altri settori, completamente spianati dalle reiterate lavorazioni agricole.

Per quanto attiene le caratteristiche generali dell’abitato è stato ipotizzato, sebbene non sia documentato dalla ricerca archeologica, che all’interno della vasta area cinta dall’aggere vi fos-sero nuclei di case e sepolture alternati a spazi lasciati liberi destinati alle attività di allevamento e agricoltura. Tuttavia, i dati preliminari desunti da recenti ricognizioni topografiche condotte all’interno dell’insediamento sembrerebbero attestare un’occupazione, certamente estensiva, dell’intera area abitata documentabile, con maggiore o minore intensità di materiale fittile emer-gente in superficie, dall’età del Ferro fino al IV-III sec. a.C.; i materiali di epoca romana sono, invece, concentrati in determinati settori dell’abitato. Ad ogni modo l’assenza di documenta-

5.45. Arpi. Cartografia finalizzata: in rosso le fortificazioni e la viabilità interna, in arancio le tracce dei grandi assi stradali.

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Capitolo V 127

zione archeologica per alcune zone potrebbe essere imputabile all’azione distruttiva delle ara-ture meccaniche profonde, che possono aver definitivamente occultato i resti di strutture abi-tative.

Il dato della notevole con-sistenza demografica è indiret-tamente ribadito dalla densità delle necropoli di cui resta, per altro, da definire la situazione topografica, ossia se fossero di-stribuite in alternanza a settori di abitato oppure se, almeno per al-cuni casi, si possa ipotizzare una contemporaneità di abitazioni e necropoli che interessano livelli differenti del terreno (fig. 5.45).

Numerose tracce scure di notevole spessore (visibili in foto aeree) attraversano in tutte le direzioni l’area dell’abitato (fig. 5.46); in ragione della loro considerevole ampiezza potrebbero essere lette come tracce di natura geologica (probabilmente corsi d’acqua fossili, prosciugati già in antico) utilizzate, già in epoca preistorica come piste, sorta di tratturi, per la pratica della transumanza e successivamente inglobate, con continuità d’uso, nell’area dell’abitato.

Sono visibili, inoltre, all’interno dell’abitato le tracce, chiare e alquanto irregolari, di una fitta viabilità interna; si tratta per lo più di strade glareatae con pavimentazione in ciottoli flu-viali, spesso affioranti in superficie in corrispondenza delle tracce individuate in foto. Difficile stabilire una datazione dei percorsi, sebbene la coerenza dei tracciati della maggior parte di essi lasci presupporre una loro contemporaneità.

Nel IV sec. a.C. Arpi rientra nelle relazioni politiche e militari giocate nella regione fra Roma e le potenze ellenistiche e negli eventi narrati dalla storiografia. Nel 333 a.C. Alessandro il Molosso ne invade il territorio, nel 326 a.C. Arpi si allea con Roma, i cui obiettivi nella regione si esprimono nella deduzione della colonia di Lucera nel 314 a.C.

È questo il secolo di maggiore crescita della potenza arpana. Nella seconda metà del IV, il centro ha una propria zecca, con emissioni in argento e bronzo e ridefinisce il suo impianto urbano. Le necropoli restituiscono sepolture a fossa e a grotticella e tombe a camera monumen-tali, come l’ipogeo dei Niobidi e il successivo ipogeo della Medusa. A questo periodo si datano, inoltre, le uniche due strade fino a ora indagate: la prima fiancheggia la necropoli di età daunio-ellenistica adiacente l’ipogeo della Medusa, la seconda è esterna al lato ovest della casa “dei grifi e delle pantere”, probabilmente coeva alla fase di riorganizzazione della casa nella seconda metà del IV sec. a.C. Le strade avevano una larghezza media di 4-4,5 m e un fondo realizzato in ciottoli di piccole dimensioni, frammenti fittili e ceramici impastati nel terreno pressato.

5.46. Arpi. Foto aerea del 1954: particolare della zona nord-occidentale della città in cui sono visibili le tracce della viabilità interna particolarmente tortuosa, in basso a sinistra la freccia indica la traccia dell’aggere e di una porta.

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128 Età greca

L’abitato sembra concentrato in contrada Montarozzi, vitale dalla fine del IV al II sec. a.C., e disposto entro un impianto regolare, con orientamento est-ovest. Fra le strutture indagate, le più note sono la cosiddetta “casa a peristilio”, scavata nel 1953, e la casa “del mosaico dei grifi e delle pantere”, con pavimentazioni musive, decorazioni parietali a intonaco e planimetrie complessive che tradiscono un fortissimo influsso dei modi costruttivi della Grecia settentrio-nale.

Nel 279 a.C. Arpi partecipa, in qualità di alleata dell’esercito romano, alla battaglia presso Ascoli Satriano contro Pirro con un contingente di 4.000 fanti e 400 cavalieri; il rapporto di alleanza con Roma si capovolge però sul finire del III sec. a.C. quando, nel 216 a.C., la città dauna, in occasione della disfatta di Canne, si volge alla parte vincente cartaginese. Si potrebbe legare alle conseguenze di questo gesto la motivazione della deduzione della colonia di diritto romano di Siponto, in posizione costiera all’interno del territorio fino ad allora di dominio arpano, privando così la metropoli daunia del suo sbocco al mare. Strabone (VI, 3, 9) attesta che dopo la fondazione di Siponto fu Salapia il nuovo porto di Arpi e ci informa, inoltre, su un notevole ridimensionamento dell’abitato sul finire del II sec. a.C.

A partire da questo momento la storia della città non registra più eventi di rilievo; le fonti ricordano divisioni agrarie di età graccana e triumvirale (II-I sec. a.C.).

Le uniche testimonianze archeologiche databili a questo periodo provengono da Masseria Menga, e consistono in tratti murari costituiti da tegoloni sovrapposti, pareti intonacate e dipin-te, silos, pozzi e canalizzazioni, elementi riconducibili a impianti abitativi privati della prima età imperiale.

Le ultime testimonianze della città sono databili al IV sec. d.C.: la stessa Tabula Peutin-geriana (segm. V), lungo il percorso da Lucera a Siponto, riporta la sola indicazione toponoma-stica del centro, Arpos, senza alcun riferimento illustrativo.

bibLioGrAFiAbrADForD 1957, pp. 167-169; ALvisi1970;sChMieDt1970, tav. LIII; DeJuLiis1975a;tinè1983, p. 27, nn. 7,

11; DeJuLiis1984b;Jones1987, figg. 40-41; MAzzei 1995b; GuAitoLi 2003b; MAzzei 2003c; Corrente et alii 2010b.

F.DeL.,P.M.

Salapia-Salpia Vetus

L’abitato daunio di Salapia, citato dalle fonti con il nome di Elpía (strAbo, Geogr. XIV, 2,10; st.byz., s.v. Elpia, vitr., De arch. 1, 4, 12), Salapia (strAbo, Geogr. VI, 3, 9; PtoL., Geog. 3, 1, 14; Liv., XXIV, 20; XXVI, 1, 28) o Salpia Vetus (vitr., De arch., I, 4, 12; CiC., Leg. Agr. 2, 71), era ritenuto da Vitruvio di fondazione diomedea, come Arpi, Siponto e Canosa.

Sebbene l’esistenza dell’abitato antico fosse nota già a partire dall’Ottocento, è solo ne-gli anni ’60 del secolo scorso che, grazie agli studi aerofotografici di Giulio Schmiedt, viene riconosciuta la topografia generale dell’insediamento, ubicato in contrada Lupara-Giardino (nel territorio comunale di Cerignola, FG) circa 8 km a ovest della linea di costa, nei pressi della Marana di Lupara, all’interno di un’antica area lagunare oggi bonificata.

Campagne di scavo condotte negli anni 1967-1968 e 1978-1979 in contrada Lupara-Giar-

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Capitolo V 129

dino hanno consentito di ricostruire per linee generali la forma dell’abi-tato che risultò articolato, secondo una terminologia diffusa in biblio-grafia, in “tre penisole” emergenti da un’area lagunare, oggi bonificata. La prima e la terza “penisola” erano isolate dalla terraferma tramite canali artificiali che, oltre a garantire la cir-colazione delle acque lagunari, costi-tuivano anche un elemento di difesa. Un’accurata lettura delle foto aeree storiche ha consentito a Marcello Guaitoli di chiarire che l’abitato si è sviluppato su un modesto rilievo pia-neggiante articolato in una serie di piccole alture emergenti e contigue e su parte del grande pianoro connes-so di Torretta dei Monaci (fig. 5.47); l’intero complesso si affaccia sulla Marana di Lupara, un’ampia depres-sione con abbondante presenza di acqua stagnante, ancora visibile nelle foto degli anni Cinquanta del secolo scorso, oggi bonificata per colmata. Sul lato est dell’abitato si estende un’altra zona paludosa (Vasca Fari-nelli) connessa alla precedente.

La difesa dell’insediamento era garantita sia dalla laguna sia da una notevole fortificazione ad ag-gere, ben visibile in foto aerea, che delimitava il margine meridionale dell’abitato fino a estendersi, seppure per un breve tratto, in direzione nord-ovest arrivando poi a confondersi con il bacino di Marana di Lupara. Assai peculiare risulta l’andamento della struttura fortificata della quale è visibile in foto aerea il singolare perimetro “a onde”, la cui forma deriva da quattro settori ad arco di cerchio concavo verso l’esterno, connessi tra di loro (fig. 5.48). Questo sistema difensivo risulta simile a quello impiegato per delimitare l’area dell’altro importante centro daunio di Arpi.

Allo stato attuale è praticamente impossibile riconoscere, sul terreno, i resti dell’abitato indigeno poiché l’area è stata completamente stravolta dai numerosi interventi di bonifica, dalle pesanti lavorazioni agricole e dalla continua e indisturbata attività degli scavatori clandestini che utilizzano grandi macchine per il movimento terra.

Le campagne di scavo hanno consentito di datare l’occupazione dell’abitato a un perio-

5.47. Salapia. Schema grafico generale.

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130 Età greca

do compreso tra la fine dell’XI e il I sec. a.C. La documentazione arche-ologica più cospicua proviene dalla seconda (fig. 5.49) e dalla terza “pe-nisola”; in particolare dalla contrada Lupara Giardino (resti di capanne e di una necropoli con sepolture di IX-VIII sec. a.C. e di VI-III sec. a.C., ol-tre ai resti di un secondo abitato con fasi di vita databili tra la fine del III e il I sec. a.C), mentre sulla prima “pe-nisola”, forse a causa dei pochi in-terventi di scavo effettuati, non sono attestati resti di abitazioni. L’aspetto insediativo dell’età del Bronzo non è ancora del tutto chiaro, mentre le attestazioni relative alla prima età del Ferro riguardano resti di capan-ne a pianta absidata o rettangolare con portico antistante, alcune tombe a fossa e sepolture a enchytrismos per gli infanti. La fase di vita più antica del centro è ampiamente te-stimoniata dalla documentazione ar-cheologica proveniente dalla “terza penisola”. La seconda età del Ferro, attestata soprattutto dalle testimo-nianze provenienti dalla “seconda penisola”, coincide con una fase di grande sviluppo del centro; da Sala-pia provengono, inoltre, numerose stele di tipo daunio, rinvenute fuo-ri contesto, ma che ribadiscono un legame culturale fra centri sorti nei pressi della laguna a nord dell’Ofan-to, come Cupola-Beccarini.

Il collegamento dell’area abitata con il mare aperto sembra sia stato assicurato da un gran-de canale artificiale che, nel corso del tempo, fu ostruito dai detriti trasportati dal fiume Cara-pelle. Resti di un esteso muraglione, lungo circa 20 metri, rinvenuto nei pressi della laguna che lambiva la prima “penisola”, sembra si possano mettere in relazione con tale sistema portuale.

Nel IV sec. a.C. a Salapia si registra una notevole articolazione sociale della sua popo-lazione, ben documentata dai corredi funerari di questo periodo; sul finire del III sec. a.C. la città rientra nell’ambito degli scenari di guerra del conflitto punico: nel 214 a.C. fu occupata da Annibale e nel 210 a.C. fu riconquistata da M. Claudio Marcello. Durante gli ultimi decenni del

5.48. L’area archeologica di Salapia in un mosaico IGM del giugno 1955. Ben visibile la situazione topografica generale, i due bacini impaludati a est e a ovest dell’abitato, le fortificazioni e la viabilità esterna.

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Capitolo V 131

III sec. a.C. sembra sia stata abitata solo la terza “penisola”, che ha restituito attestazioni di vita databili fino al I sec. a.C., periodo in cui si verificò lo spostamento dell’abitato presso il Monte di Salpi, ricordato da Vitruvio.

bibLioGrAFiASulla topografia dell’abitato MArin1970b;sChMieDt 1973 e da ultimo GuAitoLi 2003a. Sulle ricerche archeolo-

giche: tinèbertoCChi1989 e da ultimo LiPPoLis,GiAMMAtteo2008;MAzzei2010.P.Gen.

5.49. Veduta aerea obliqua degli scavi di Salapia del 1968. Le ricerche hanno documentato l’utilizzo dell’area della seconda penisola prima come abitato (VIII sec. a.C.) e poi come necropoli (fine VI-III-II a.C.).

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132 Età greca

Ascoli Satriano-Ausculum

Il moderno abitato di Ascoli Sa-triano, disposto su tre colli che dominano la valle del fiume Carapelle, dista 33 km da Foggia.

Il territorio fu abitato sin dall’età preistorica. L’età neolitica è documentata, in particolare, dalla presenza di un fossa-to databile al Neolitico Inferiore, portato alla luce durante le indagini archeologi-che condotte nel 1987 sulla Collina del Serpente; altri due villaggi neolitici sono stati individuati nelle località Corleto e Belvedere nel corso di indagini di su-perficie condotte negli anni 1990-1992. Le località Corleto, digradante verso il Canale Castello, e Spavento, sulla riva sinistra del fiume Ofanto, hanno, inoltre, restituito attestazioni di un’occupazione databile alla tarda età del Bronzo.

In epoca daunia nuclei di villag-gi si stanziarono all’interno di un’area molto estesa, che dalla sponda sinistra del fiume Carapelle risaliva fino a com-prendere il luogo dell’abitato moderno e le sue principali alture. La fascia pede-collinare situata a destra del Carapelle fu occupata, in tempi diversi, per la sua fa-vorevole posizione di controllo delle vie di accesso ai pianori sommitali; alcune località, quali Pozzo Locatto e Giarniera Piccola, risultano occupate sin dal IX-VIII sec. a.C.; altre (Masseria Muscelle) a partire dalla metà del VI sec. Ciascun villaggio, al cui interno non vi era alcu-na distinzione tra aree abitative e aree a destinazione funeraria, doveva avere il proprio territorio di pertinenza condotto a coltura o a pascolo.

La Collina del Serpente sembra aver ricoperto un ruolo di riferimento fra i vari nuclei abitati sparsi nel territorio circostante durante il V-IV sec. a.C. L’altura, utilizzata anche come area di necropoli fra VI e IV sec. a.C., ospitò le abitazioni aristocratiche del tempo e fu interes-sata, in pieno V sec. a.C., dalla costruzione di un complesso cultuale che andò a obliterare più antiche tombe a fossa con copertura a lastroni. L’edificio, orientato a est, presentava un ambiente

5.50. Ascoli Satriano. Planimetria del santuario sulla collina del Serpente.

5.51. Ascoli Satriano. Ricostruzione assonometrica della casa n.1 di loca-lità Serpente.

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Capitolo V 133

rettangolare e un vestibolo (fig. 5.50), ed era preceduto da un’ampia pavimentazione in ciottoli fluviali con disegno geometrico. Le fondazioni erano in pietra e frammenti fittili, l’alzato in mattoni crudi, la copertura in tegole e coppi con antefisse pentagonali a palmetta. Il lato nord del complesso era fiancheggiato da un lastricato in ciottoli che si allargava in corrispondenza di un ingresso porticato al vano centrale e si restringeva nel tratto lungo il vestibolo, costituendo una canaletta di scolo delle acque. L’edificio ricopriva, probabilmente, funzioni cultuali in relazione alla vicina necropoli o, più genericamente, di carattere pubblico; è probabile che nell’area late-rale lastricata si svolgessero attività legate al culto dei morti, come indicherebbe il ritrovamento, al di sotto di uno strato di tegole, di alcuni vasi di evidente destinazione funeraria quali lekànai, piatti a figure rosse, coppe e piatti a vernice nera e una grande coppa su piede a decorazione ge-ometrico-vegetale. La pavimentazione a ciottoli trova un confronto diretto in un coevo edificio sacro rinvenuto nel territorio del centro dauno di Tiati (San Paolo di Civitate, Foggia). L’intero complesso, risistemato agli inizi del IV sec. a.C., fu definitivamente abbandonato tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C.

Nel corso del IV sec. a.C. la Collina del Serpente fu sottoposta a una serie di interventi di regolarizzazione degli impianti precedenti e di pianificazione degli spazi di cui sono indizi la coe-renza di orientamento tra le case (fig. 5.51) e il santuario, la separazione funzionale tra le aree abi-tative, concentrate nel settore sud-orientale della collina, e la zona destinata a necropoli, localiz-zata a nord-ovest, e il rinvenimento di almeno due assi stradali di collegamento tra le abitazioni.

Tra la fine del IV e gli inizi del III sec a.C. si registra il definitivo abbandono della Collina del Serpente che, tuttavia, continuò a essere sfruttata come luogo di sepolture aristocratiche per tutto il II sec. a.C., periodo al quale si data la “Tomba della Principessa” che ha restituito, fra i numerosi elementi di corredo, una corona con foglie d’oro, un pugnale e una pisside d’argento, materiale in bronzo e due anfore da trasporto provenienti rispettivamente da Rodi e da Brindisi.

Il III sec. a.C. non segna solo l’abbandono dell’insediamento di località Serpente, ma, più in generale, un netto cambiamento del sistema di occupazione del territorio: all’esteso aggrega-to insediativo dell’area collinare e pedecollinare si sostituirà un insediamento circoscritto alle colline Pompei, Castello e San Potito.

Il nome di Ausculum è citato per la prima volta dalle fonti letterarie in occasione del ce-lebre scontro fra Pirro e i Romani del 279 a.C. (Fest., s.v. Osculana Pugna; PLut., Pyrrh., 21; zon., 8, 5; Frontin., Strat., 2, 3, 21; FLor., Epit. 1, 13, 18). Incerto è tutt’oggi il luogo preciso dello scontro che sicuramente avvenne in territorio ascolano, sebbene resti da precisare se si sia verificato in una valle presso il fiume Carapelle o nei dintorni dell’Ofanto.

Coinvolta nella Guerra Sociale (APPiAn., Bell. Civ., I, 52), Ausculum divenne municipio, retto da duoviri, iscritto alla tribù Papiria come attestato da un’epigrafe murata sotto l’Arco dell’Orologio. Il territorio municipale fu assegnato ai veterani romani secondo la legge Sempronia e Giulia (Lib. Col., 1, 210 e 216); le foto aeree hanno restituito le tracce di due sistemi di divisioni agrarie, con centurie di 20x20 actus, individuate a ovest dell’abitato, in località piano di Amendo-la, oltre il corso del fiume Carapelle ed estese verso nord, in direzione di Castelluccio de’ Sauri.

All’età adrianea e antonina si data la sistemazione della viabilità da sempre attiva lungo il corso del Carapelle, il cui tracciato fu inserito, in questo periodo, all’interno della via Herdo-nitana o Aurelia Aeclanensis; a questa sistemazione sono assegnabili due miliari, oggi visibili in Largo Ausilio, e i resti del ponte sul Carapelle, che potrebbe essere stato edificato in epoca romana, sebbene il suo assetto odierno sembrerebbe di epoca medievale.

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134 Età greca

La fase romana di Ascoli è difficilmente ri-costruibile sia dal punto di vista topografico, poi-ché sfugge completamente sia l’effettiva estensione dell’abitato, sia il suo assetto urbanistico, istituzio-nale e amministrativo, a causa della quasi totale as-senza di fonti letterarie ed epigrafiche. La colonia romana, stanziata su un’altura a 240 m di quota, occupava una posizione strategica che consentiva il pieno controllo del sistema viario della regione, compresi i tramites appenninici che conducevano in Campania.

La città romana è presumibilmente da localiz-zare sulle colline di San Potito, Pompei e Castello. Non abbiamo tracce di una cinta muraria, mentre è possibile avere un’idea del livello di monumenta-lità raggiunto dalla città antica osservando isolate strutture romane e diversi fenomeni di reimpiego all’interno del centro storico della città moderna. Si tratta di alcune epigrafi e sculture, databili tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale, quasi tutte riferibili a contesti funerari, come i leoni di piazza Duomo (fig. 5.52) e quelli presso l’Arco dell’Orologio, all’interno del quale è murato anche un rilievo con coppia di coniugi (fig. 5.53). È pro-babile che i monumenti funerari fossero dislocati

lungo la viabilità in uscita dalla città. Di particolare interesse la domus di piazza San Potito, i cui resti sono stati portati alla luce nel 1990, in seguito ad alcuni scavi condotti dalla Soprinten-denza per i Beni Archeologici della Puglia; la struttura, databile al II sec. d.C., ha restituito una pavimentazione musiva in bianco e nero a motivi geometrici.

Nel cortile interno del Castello Ducale è conservata la parte inferiore di una statua in calcare, raffigurante una figura femminile panneggiata, databile al I sec. a.C.; lungo il muro di cinta di un convento in località Pompei è evidente il reimpiego di numerosi elementi in calcare e, tra questi, un’ara romana utilizzata come testata d’angolo. In località Valle dell’Arco, circa 1 km a sud-est del moderno abitato, sono tutt’oggi visibili i resti di un muro in opus reticulatum e un arco in laterizio.

Un complesso sistema di rifornimento idrico doveva servire il centro urbano. Nei pressi di in una conca ai piedi dell’abitato moderno sono stati rinvenuti, infatti, i resti delle così dette “fontane romane”, oltre alle tracce di un acquedotto sotterraneo, in località Tesoro.

Le “fontane romane” sono costituite da una vasca longitudinale in pietra e da alcune ci-sterne con i boccagli d’ingresso posizionati sotto tre arcate in laterizio; lo speco dell’acquedotto sotterraneo, individuato per circa 250 m, presenta una copertura di tegole a doppio spiovente e otto pozzetti d’ispezione, rivestiti internamente in laterizio, posti a una distanza di circa trenta metri l’uno dall’altro. L’intero complesso è databile al II sec. d.C.

Del tutto lacunosa è la documentazione archeologica di epoca tardo-antica. In questo pe-

5.52. Ascoli Satriano. Leone collocato nei pressi di piazza Duomo.

5.53. Ascoli Satriano. Bassorilievo funerario di epoca ro-mana reimpiegato presso l’Arco dell’Orologio.

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Capitolo V 135

riodo il territorio ascolano sembra essere occupato da una serie di insediamenti produttivi, iden-tificabili sia come vici che come villae, che fanno pensare a una più marcata occupazione della campagna.

Recenti scavi condotti dall’Università di Foggia in località Faragola hanno portato alla luce i resti di una villa romana, databile tra il IV e il VI sec. d.C., edificata su un ampio pianoro sulle ultime propaggini collinari che delimitano la Valle del Carapelle. La residenza occupava una posizione favorevole sia per la vicinanza ai due centri di Ausculum ed Herdonia sia per-ché costeggiata dalla via Aurelia Aeclanensis o Herdonitana, che garantiva il collegamento tra Aeclanum, e quindi le zone interne appenniniche attraversate dalla via Appia, e la via Traiana intercettata a Herdonia. Le strutture murarie della prima fase di vita della villa si datano alla prima e media età imperiale e sono state riutilizzate come fondazione dei muri della residenza di età tardoantica.

La residenza di età tardoantica ha restituito un ampio e articolato complesso termale e una lussuosa cenatio (sala da pranzo) estiva. In età altomedievale sull’area della villa si svilup-pò un villaggio articolato in nuclei abitativi di capanne e strutture artigianali per la lavorazione dei metalli.

Nel 1040 Ascoli si ribellò al dominio bizantino; l’anno successivo i Normanni riportarono una vittoria decisiva per il controllo della Puglia.

bibLioGrAFiADaunia antica 1984; tinèbertoCChi 1985;AntonACCi sAnPAoLo 1991;MAzzei 1994; FAbbri 1994a; Ascoli

Satriano 1995; siCiLiAno 1997; MArChi 2009a; Corrente,Liseno2010;Corrente 2012. Sul complesso cultuale di località Serpente FAbbri et alii2002; MAstronuzzi 2005a, pp. 39-40. Sull’abitato di località Serpente: FAbbri,osAnnA2002;FAbbri,osAnnA2005. Sulla residenza tardoantica di località Faragola voLPe,DeFeLiCe,turChiAno 2005; voLPe,DeFeLiCe,turChiAno2006; voLPe,turChiAno2006;voLPeet alii2009;voLPe,turChiAno2010; DeFeLiCe 2012.

P.Gen.

Canne

L’antico centro di Canne, localizzato su un’altura prospiciente le ultime balze dell’alto-piano delle Murge (fig. 5.54), occupava una posizione strategica sul corso inferiore del fiume Ofanto a controllo delle vie d’accesso, sia fluviali che terrestri, alla Puglia meridionale.

Il nome della città è legato alla battaglia del 216 a.C. tra Annibale e i Romani (Liv., XXII, 43-44), quando il generale cartaginese inflisse una sconfitta epocale a Roma, offrendo un memo-rabile saggio di strategia militare. Permangono, tuttavia, notevoli incertezze sull’identificazione del luogo della battaglia, vale a dire la sponda destra o sinistra del fiume Ofanto. Le campagne di scavo effettuate sulle due rive del fiume non hanno apportato nessun chiarimento lasciando, così, irrisolti problemi di natura logistica e filologica, dal momento che anche le fonti antiche non indicano il punto preciso dello scontro.

L’occupazione della collina di Canne e delle zone circostanti è documentabile sin dall’epo-ca preistorica e protostorica.

Nel 1984, durante i lavori di manutenzione della zona sud-orientale dell’area archeologi-ca, è stata rinvenuta una statuina femminile raffigurante probabilmente la dea madre, databile

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136 Età greca

alla metà del V millennio a.C. Si tratta di un reperto alquanto raro di cui si conoscono solo altri due esemplari rinvenuti durante gli scavi dell’insediamento neolitico di Passo di Corvo (FG). Più cospicue sono le testimonianze relative all’abitato indigeno di IV-III sec. a.C.; si tratta di resti di abitazioni, cisterne e fosse per il grano, oltre ad alcuni tratti della cinta muraria di IV sec. a.C., realizzata con blocchi di grandi dimensioni. Ai piedi della collina di Canne, lungo la spon-da destra dell’Ofanto, furono portate alla luce alcune tombe a grotticella con corredi databili al IV-III sec. a.C. In particolare, in località Fontanelle è stato individuato un altro insediamento indigeno con resti di abitazioni realizzate con muri a secco, soglie e pavimentazioni a grossi ba-soli, pozzi, cisterne e due fornaci utilizzate, probabilmente, per la produzione di grossi conteni-tori e tegole. L’abitato potrebbe essere messo in relazione con quello più ampio localizzato sulla collina, interpretabile come l’acropoli di un più vasto insediamento indigeno, forse distrutto in seguito alla battaglia del 216 a.C.

Gli scavi in località Fontanelle, Pezza la Forbice e sulla collinetta di San Mercurio, con-dotti con lo scopo di individuare il luogo della battaglia del 216 a.C., portarono all’individuazio-ne di tre grandi sepolcreti: i primi due, denominati “Campo A”, in località Fontanelle, e “Campo B”, in località Pezze la Forbice, furono erroneamente identificati con i luoghi di sepoltura dei caduti della celebre battaglia. Ulteriori scavi intrapresi agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso rivelarono, invece, che si trattava di sepolcreti medievali di IX-X sec. d.C. con sepolture distri-

5.54. Canne. Veduta pro-spettica dell’abitato in una foto dell’Aeronautica Militare scattata nel 1962.

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Capitolo V 137

buite in più nuclei, di cui quello principale si addensava nei pressi di una chiesetta cimiteriale, identificata sia in località Fontanelle che in località Pezze la Forbice. La datazione a epoca medievale era ulteriormente giustificata dalla presenza di numerose croci incise o graffite sui blocchi utilizzati per le sepolture, le quali risultavano del tutto simili, per forma e disposizione, a quelle individuate sulla collina di Canne, nei pressi della basilica.

Negli stessi anni la ripresa degli scavi sulla collina mise in luce un ampio settore dell’abi-tato di epoca medievale (IX-XII sec. d.C.), con numerosi fenomeni di reimpiego di materiali di età romana, tra cui numerose epigrafi.

L’intero abitato è difeso da un circuito murario databile, per gran parte, all’epoca medie-vale, ma che ingloba al suo interno resti di fortificazioni di epoche precedenti. Il tratto conser-vatosi è lungo in tutto 40 m e alto 5, con quattro speroni di rinforzo ogni 3-4 m. L’accesso alla cittadella avveniva attraverso una porta a unico fornice, successivamente affiancata da due torri laterali. Sulla sommità orientale della collina, in stretta connessione con il circuito murario, sono visibili i resti del castello Normanno-Svevo, a pianta quadrangolare con torri angolari. L’inter-no dell’edificio è ancora da scavare e la struttura è talmente rovinata da rendere problematica l’identificazione di tutte la sue facies costruttive. Già roccaforte tardoantica, successivamente araba e bizantina, l’edificio fu probabilmente sistemato in epoca normanna e sveva, sopravvi-vendo almeno fino all’età aragonese.

Dalla porta aveva inizio la via principale, orientata nord-ovest/sud-est, che atraversava l’intero abitato costituendo l’asse strutturante dell’intero complesso urbano; dividendo l’abitato in due parti asimmetriche consentiva l’impianto di case a corte disposte ortogonalmente, poi divenute, in epoca medievale, case a schiera.

Il rinvenimento di un mosaico pavimentale nel settore occidentale della cittadella fece pen-sare alla presenza, in questa zona, di una basilica da identificarsi, probabilmente, con la Maior Cannensis Ecclesia citata in documenti medievali; sempre in quest’area è stata portata alla luce una seconda basilica, di dimensioni minori, a una sola navata e con abside sul lato minore, con annesso sepolcreto del tutto simile alle due aree cemeteriali identificate nelle località Fontanelle e Pezze la Forbice. Le tombe avevano tutte lo stesso orientamento della basilica e si addensava-no nei pressi del suo ingresso; una conferma della datazione del complesso cimiteriale a epoca medievale venne dal ritrovamento, in due tombe, di due tesoretti monetali di epoca bizantina.

A ovest delle basiliche, all’esterno del circuito murario ma immediatamente a ridosso di esso, è stata portata alla luce una grande cripta a tre navate con un sarcofago con croce latina proprio lungo la parete di fondo della cripta; un’altra piccola area cimiteriale è stata localizzata lungo il versante settentrionale delle mura.

Sempre nei dintorni dell’area delle basiliche sono stati rinvenuti i cippi miliari LXXXII e LXXXIIX della via Traiana, sistemata dall’imperatore nel 109 d.C. Un altro cippo miliare, il LXXV, è stato individuato lungo il percorso della via principale che attraversava la cittadella. Si tratta di fenomeni di reimpiego di materiale romano proveniente molto probabilmente dalla vicina Canosa quando, in seguito alla sua distruzione nell’871, Canne fu eletta sede episcopale. In epoca romana divenne emporio fluviale di Canosa e ricoprì, inoltre, una favorevole posizione geografica data la sua ubicazione lungo il tratto della via Traiana che collegava Canusium al porto di Bardulos.

Nel corso dell’Alto Medioevo l’antico centro continuò a vivere all’ombra di Canosa, sede, sin dal IV sec., di una delle più antiche diocesi d’Italia e solo in seguito alla sua distru-

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138 Età greca

zione, nell’872, Canne acquistò una sua rilevanza divenendo sede episcopale. L’importanza dell’insediamento è testimoniata dal rinvenimento di un tesoretto di 760 monete di Basilio I e Romano II, databili tra il IX e il X secolo, oltre che dal ritrovamento di pregiate ceramiche medioevali e dalla menzione del centro in numerosi documenti d’archivio (Codice diplomatico Barese e Barlettano).

Nel 1083 i Normanni occuparono la cittadella che, in parte distrutta da Roberto il Gui-scardo, continuò a essere abitata almeno fino al 1300, epoca in cui è ancora attestata l’esistenza di un vescovado. Nel 1303, per volontà di un diploma emesso da Carlo II d’Angiò, il territorio di Canne fu annesso a quello di Barletta e nel 1456 il titolo episcopale cannese fu unito a quello dei vescovi di Nazareth residenti a Barletta.

bibLioGrAFiASul sito in generale GervAsio1959;tinèbertoCChi1973b;DeGrAssi1961-1964;Corrente1994;russo2000,

2002e2007. Sulle necropoli: tinèbertoCChi 1961-1964.P.Gen.

BarlettaLa più antica attestazione della città di Barletta si ritrova nella Tabula Peutingeriana,

citata col nome di Bardulos, stazione della via Litoranea nel tratto compreso tra le foci dei fiumi Aufidus (Ofanto) e Aveldium, attualmente scomparso, al confine tra Daunia e Peucetia. Alcuni identificherebbero con Barletta il χωριον προσ τω Αδρια, noto a Stefano Bizantino tra-mite Teopompo di Chio (Phil. L. LII), tuttavia questa identificazione risulta problematica; citata dall’Anonimo Ravennate, nella Tabula Peutingeriana e da Guidone, è dall’VIII sec. d.C. che il toponimo Barulum si afferma in documenti ecclesiastici e giuridici.

Sebbene dell’antico più nulla sia al momento visibile, molte sono le testimonianze di rin-venimenti effettuati nel corso del tempo e numerose le scoperte occasionali riportate da eruditi locali. I ritrovamenti divengono assai frequenti alla fine dell’Ottocento, quando la città conosce un periodo di espansione urbanistica. La documentazione archeologica attesta con insistenza la presenza di un vicus attivo tra IV e III sec. a.C. e sebbene nella descrizione della costa adriatica di Artemidoro di Efeso (fine del II sec. a.C.), ripresa da Strabone (Geogr., VI, 3, 9), non si regi-stra l’esistenza di un porto identificabile con Barletta in quel tratto della costa adriatica, è assai verosimile che Canosa dovesse avere qui il suo porto marittimo dove imbarcava i suoi prodotti.

L’abitato era caratterizzato da una struttura insediativa mista con nuclei di abitato e aree di necropoli all’interno o immediatamente a ridosso dell’area urbana. Un nucleo assai rilevante di sepolture era collocato lungo l’asse viario che collegava Barletta a Canusium, un altro nella zona compresa tra le piazze Principe Umberto e Caduti e un terzo corrispondente al nucleo medioeva-le della città. Questo tipo di organizzazione di età arcaica in altri insediamenti va scomparendo tra IV e III sec. a.C., quando gli abitati assumono forme organizzative più complesse. Ciò pare confermato anche a Barletta, poiché le sepolture di età tardoclassica ed ellenistica sembrano concentrarsi lungo gli assi viari che collegano la città con le vicine Canne-Canosa e Trani.

Le sepolture sono di vario tipo, quello più frequentemente attestato è del tipo a grotticella artificiale, documentato nei contesti dauni a partire dal V ma utilizzato soprattutto tra IV e III sec. a.C.; un secondo tipo è quello della tomba a fossa, quindi le tombe a enchytrismos, entram-

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Capitolo V 139

be le tipologie utilizzate in tutta la Daunia in un ampio arco cronologico. Al momento rappre-senta invece un unicum la tomba di via Venezia, un cassone di lastre di pietra che ha maggiori confronti con l’area peuceta e le sepolture di IV secolo tarantine.

Le sole strutture murarie rinvenute a Barletta sono quelle portate alla luce nelle immediate vicinanze del Castello, ma la documentazione non consente di avanzare alcuna ipotesi circa la loro funzione e datazione.

Manca una chiara documentazione relativa al periodo tardorepubblicano e primoimperiale, forse perché in questa fase l’insediamento fu abbandonato o subì un drastico ridimensionamento.

Al VI sec. d.C. rimanda invece la scoperta di una basilica paleocristiana rinvenuta du-rate gli scavi archeologici effettuati nella Cattedrale parallelamente ai lavori di restauro della stessa. La cronologia dell’edificio, che presenta pianta a tre navate e abside unica con una ricca pavimentazione musiva a decorazione geometrica, è stata fissata sulla base del rinvenimento di alcuni mattoni che recano il monogramma del vescovo di Canosa, Sabino, il quale rivestì dignità episcopale tra il 514 e il 566, e per chiari confronti tipologici della sua architettura, assai diffusa nelle province occidentali dell’impero bizantino di età giustinianea.

Resta ancora da chiarire la funzione della basilica all’interno della diocesi canosina e l’agro di Bardulos. Se infatti è chiara la committenza, lo è meno la scelta relativa all’ubicazione, sulla quale diverse possono essere le interpretazioni: una sorta di appendice costiera, lungo la via Traiana, delle costruzioni sabiniane; una semplice parrocchia della diocesi, anche se l’edi-

5.55. Barletta. Pianta della città del 1793 di G. Pastore: sono rappresentati i maggiori monu-menti della città ed evidenziate in nero le principali chiese.

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140 Età greca

ficio appare sovradimensionato; una ecclesia baptismalis; ancora, la basilica potrebbe sancire in maniera tangibile una evoluzione del villaggio, sia nel quadro di popolamento che in ambito socioeconomico, promosso dalla vicinanza della via Traiana e da un’accresciuta dimensione dello scalo portuale; o anche la costruzione poteva essere una tappa nel progetto di sviluppo del centro, come avviene per la vicina Trani. Tuttavia l’occupazione con un sepolcreto del VI secolo degli ambienti meridionali, forse connessi nel periodo precedente a funzioni liturgiche, sembra testimoniare una fase di ridimensionamento della vita del monumento e di riflesso anche del centro, legata probabilmente alle non marginali incursioni longobarde nell’area.

L’edificio rimane attivo fino a VII-VIII secolo, quando verrà soppiantato da una nuova chiesa, con impianto a tre navate sostenute da pilastri e pavimentazione parte in lastre e tasselli lapidei e parte in laterizi con decorazione a stampo, che rimane in uso fino alla metà del XII secolo, quando sorgerà l’imponente impianto romanico.

Nel corso dell’XI secolo la città, situata in un punto strategico al limite delle aree di in-fluenza di Canosa, Canne, Trani, Siponto e Salpi, assunse ben presto un ruolo di mediazione fra le fertili aree interne e la costa. In questo periodo secondo Guglielmo Appulo (RIS, v, 1724, coll. 253-278:259) la città sarebbe stata fondata da Pietro, conte di Trani, insieme ad Andria, Bisce-glie e Corato: molto probabilmente si dovette invece trattare dell’organizzazione urbana del cen-tro preesistente e della sua fortificazione. Questo primo nucleo (fig. 5.55) è ancora riconoscibile nel tessuto urbano moderno e corrisponde al borgo detto della Marineria, che si sviluppa intorno alla chiesa matrice di Santa Maria Maggiore, costituito da blocchi edilizi allineati lungo un asse stradale est-ovest e attraversato da una serie di strade con andamento nord-sud; il borgo attual-mente è circondato da una strada che corrisponde probabilmente all’antica cerchia muraria.

Fu roccaforte dei Normanni in Terra di Bari, soggetta prima ai signori di Trani e poi dei Duchi di Andria. Con Tancredi ebbe lo stato di città demaniale nel 1190, ma mantenne sempre una certa indipendenza tanto da divenire quasi una zona franca e grazie anche alla sua posizione costiera favorì l’arrivo di mercanti provenienti sia da Amalfi che da Ravello. Accolse anche le popolazioni che fuggivano da Canne, distrutta da Roberto il Guiscardo nel 1083 e da Bari, deva-stata da Guglielmo I nel 1156. Il tessuto urbano si andò così arricchendo di borghi che si aggre-gavano al primo nucleo fortificato, nonché di case ospedali e ospizi di numerosi ordini religiosi e cavallereschi, i Canonici del Santo Sepolcro, i Templari, i Cavalieri Teutonici, i Gerosolimitani, i Cavalieri di San Lazzaro, oltre ai Benedettini, i Cistercensi, i Cavalieri Premostratensi cui si aggiunsero, alla fine del Duecento, Francescani e Domenicani.

Il secondo nucleo urbano di Barletta si costituisce intorno al XII secolo nei pressi della chiesa del Santo Sepolcro, all’incrocio delle vie per Salpi e per Canosa, mentre un terzo verrà edificato dagli abitanti di Canne attorno al Convento di San Giacomo. Tra questi due borghi venne costruita la piazza del mercato nota con il nome di Paneiro del Sabato.

In età federiciana svolse un ruolo preminente nell’organizzazione delle Crociate ospitan-do il Parlamento dei Baroni, sotto l’egida di Federico II (1228). Ribellatasi agli Svevi fu nuo-vamente sottomessa da Manfredi, che ne fece sua residenza. In età angioina la città crebbe di importanza per il potenziamento delle attività commerciali e della flotta; si sviluppò un potente patriziato locale che dominò a lungo la città, tra queste particolare rilievo assunsero le famiglie Bonelli, Gentile, Della Marra, Pipino, Elefante che si stanziarono nell’area compresa tra il bor-go della Marineria e quello del Santo Sepolcro e la strada costiera. Qui le case dell’aristocrazia mercantile e del patriziato si andarono sviluppando lungo le “sette rue”, sette strade con anda-

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Capitolo V 141

mento est-ovest.Si iniziò la costruzione di una nuova cinta muraria, terminata solo sotto il dominio degli

Aragonesi, con Ferdinando I d’Aragona, che incluse nel suo tracciato anche il borgo di San Gia-como e un tratto della via per Trani, dove si stanziarono i cambiavalute, mentre a nord inglobò la zona costiera dove avevano luogo tutta una serie di ospedali e conventi. Si pose mano anche al restauro del castello normanno, già ristrutturato da Federico II, per opera di Pierre d’Angicourt, la cui struttura attualmente visibile, di impianto quadrangolare con baluardi pentagonali agli spigoli, risale però al XVI secolo.

Nel corso del XVI secolo fu teatro di vari scontri durante la guerra franco-spagnola per il predominio nel mezzogiorno d’Italia, celebre l’episodio d’arme noto come la “disfida di Barlet-ta” (1503) combattuto dalle truppe francesi guidate dal duca di Nemours, che assediava Barletta, difesa dagli Spagnoli di Gonzalo Fernandez di Cordoba e da un contingente di Italiani al coman-do di Prospero Colonna. Le vicende che seguirono trovarono la città in progressiva decadenza anche per le calamità (terremoti e pestilenze) che su di essa si abbatterono.

Le maggiori testimonianze della tradizione costruttiva della città sono legate alle chiese del Santo Sepolcro e di Santa Maria Maggiore. Quest’ultima, almeno nella sua prima fase, fu eretta intorno alla metà del XII secolo, così come attestato da alcune epigrafi; questo edificio di stile romanico era a una navata tripartita da colonne e conclusa da un transetto su cui si aprivano tre absidi. Alla semplicità dell’impianto suppliva però la ricca decorazione plastica, in buona parte ancora conservata. Alla fine del XII secolo e agli inizi del XIII si devono i primi lavori di modifica oltre che all’interno anche all’esterno, con la costruzione di una torre campanaria con la base forata da un fornice; raffinatissimo il decoro plastico di questa fase. La chiesa, consacrata nel 1267, fu nuovamente ampliata nel 1307, con motivi che si collegano ai modelli gotici fran-cesi, provenzali in particolare, cosa che sembra giustificare l’ipotesi che sia stato l’Agincourt a firmarne il progetto.

La chiesa del Santo Se-polcro, e l’hospitium a essa an-nesso, fu eretta nel corso del XII secolo, anche questo edificio più volte rimaneggiato si pre-senta ora come un’aula triparti-ta da pilastri, coperta da volte a crociera e preceduta da un por-ticato a due piani e conclusa da un transetto con volte a botte, su cui si aprono tre absidi.

Discorso a parte meri-ta invece il famoso Colosso di Barletta (fig. 5.56), statua di epoca tardoromana, collocata sul lato sinistro della chiesa del Santo Sepolcro. Essa è ricorda-ta per la prima volta in un do-cumento del 1309 con il quale

5.56. Barletta. Il “Colosso di Barletta” e un particolare del volto incorniciato dal dia-dema in perle.

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142 Età greca

Carlo d’Angiò concedeva ai Frati Predicatori di Manfredonia di utilizzare il metallo delle brac-cia e delle gambe del “colosso” per le campane della chiesa di Siponto. Segue un lungo silenzio e bisogna attendere sino al 1442 quando la ritroviamo in un editto di Alfonso I, re di Napoli, che concede ai barlettani un giorno franco di mercato alla settimana da tenersi “in loco di Aracho”. Sebbene venga solo incidentalmente citata, l’editto ci fornisce la testimonianza che la statua in quel periodo era già collocata in una piazza della città e che si era provveduto al rifacimento delle gambe e delle braccia. Probabilmente è in quest’epoca che nasce la tradizione che la statua ritraeva l’imperatore Eraclio, da cui Aracho e Arè, nome con cui è ancora chiamata dalla gente di Barletta. Immagine, simbolo del potere imperiale, non fu sicuramente creata per Barletta ma trafugata dai Veneziani nel corso della Quarta Crociata conclusasi con la presa di Costantino-poli nel 1204, e abbandonata sul molo di Barletta probabilmente in seguito a una tempesta, e lì rimase a lungo abbandonata. Si tratta di una gigantesca statua di bronzo alta 5,11 m, che ritrae un imperatore vestito di corazza decorata, sul bordo inferiore (pterighes), da borchie a testa di medusa; su di essa un ricco paludamento elegantemente appoggiato sul braccio. Il volto severo, dai lineamenti marcati e gli occhi fissi sbarrati, che esprimono la somma dignità dell’imperatore, è incorniciato da un diadema ornato da due file di perle e da due pendenti che scendono dietro le orecchie. Le braccia e le gambe sono state rifatte intorno al XV secolo da Fabio Alfano. Nume-rose finora le proposte di attribuzione avanzate dagli studiosi: Valentiniano I, Marciano, Anasta-sio. L’analisi dei pochi elementi che potrebbero aiutare a inquadrare cronologicamente la statua (acconciatura, barba incolta e diadema) ci riconducono alla fine del IV sec. d.C. o agli inizi del V d.C.; un’ipotesi plausibile è che si tratti dell’imperatore Onorio e molto probabilmente di una delle statue che ornavano il Foro fatto costruire dell’Imperatore Teodosio a Costantinopoli, il Forum Tauri.

bibLioGrAFiAtestini1973;D’erCoLe1990;beLLiD’eLiA1992.

v.F.

V.2.2. Centri della Peucezia

Ruvo di PugliaIl centro moderno di Ruvo di Puglia, ubicato a nord-ovest di Bari e a 15 km dalla costa

adriatica, si estende sul versante meridionale della collina, il cui punto più elevato (260 m s.l.m.) è occupato dalla chiesa e dal convento di Sant’Angelo; da qui la campagna, coltivata a vigneti, mandorleti e uliveti, digrada dolcemente a nord, verso il mare (fig. 5.57).

Le informazioni letterarie ed epigrafiche relative all’antico centro apulo sono piuttosto scarse, compensate dall’enorme quantitativo di reperti provenienti dalle numerose e ricche tom-be devastate da frenetiche attività di scavo che presero il via a partire dalla fine del Settecento; l’accrescersi dell’interesse per gli oggetti antichi causò un vero e proprio saccheggio delle ne-cropoli, in molti casi incoraggiato e sostenuto dal Regio Governo Borbonico poiché i reperti andavano ad arricchire la collezione reale o venivano donati a personalità importanti del tempo. Nobili famiglie locali (Fenicia, Caputi, Lojodice e Jatta) riuscirono in parte a salvaguardare il

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Capitolo V 143

patrimonio acquistando numerosi reperti e istituendo collezioni private, le quali sono state poi smembrate nel corso degli anni; attualmente restano integre la collezione Caputi (acquistata dal Gruppo Intesa San Paolo) e la collezione della famiglia Jatta, oggi Museo Nazionale Jatta. Alla “miniera” del sottosuolo ruvese attinsero non solo i collezionisti locali, ma anche mercanti d’arte antiquaria e veri e propri “imprenditori” dello scavo, organizzati in società, i quali investivano nella ricerca dei reperti ricavandone cospicui proventi; la quantità di materiale recuperato fu ve-ramente imponente, a tal punto da far salpare dal porto di Napoli navi cariche di oggetti antichi dirette in diverse parti del mondo. Ne conseguì lo smembramento dei contesti archeologici, la di-spersione di molti reperti e la vera e propria distruzione dei materiali meno pregiati, difficilmente collocabili sul mercato. Ancora oggi, purtroppo, si deve registrare una certa vivacità del mercato clandestino, alimentato dai rinvenimenti casuali effettuati durante lavori agricoli ed edili.

5.57. Ruvo di Puglia. Foto aerea obliqua del centro storico con l’espansione edilizia ottocentesca; l’asse principale della città ricalca il percorso dell’antica via Traiana.

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144 Età greca

A partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, le ricerche sistematiche condotte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici hanno consentito di acquisire importanti elementi per una migliore definizione dell’insediamento di Ruvo.

I rinvenimenti si collocano per la maggior parte sulla sommità della collina, occupata dalla città medievale e dal centro moderno, e lungo le pendici settentrionali e sud-occidentali.

I materiali dell’età del Ferro della collezione del Museo Nazionale Jatta raggiungono cro-nologicamente il VII sec. a.C.; in questo periodo si svilupparono una serie di insediamenti, prevalentemente nella zona premurgiana, in luoghi difesi naturalmente o in prossimità delle lame; le necropoli individuate sono caratterizzate da tombe a tumulo con corredi (ceramiche a decorazione geometrica, fibule in bronzo a doppia spirale) che trovano confronti con le coeve necropoli attestate nella zona di Canosa, in Daunia. La posizione al confine con la Daunia, in-fatti, rende Ruvo permeabile agli influssi culturali di questa popolazione. Inoltre, vivaci sono i rapporti con la Campania etruschizzata attestati da aryballoi e alabastra databili tra la fine del VII e la metà del VI sec. a.C.

Materiali dell’età del Ferro provengono anche dagli scavi effettuati al di sotto della Cat-tedrale, in un’area situata lungo il limite nord della collina e nella zona pianeggiante a sud del centro storico.

Verso la fine del VI sec. a.C. Ruvo, come gli altri centri peuceti, entra nell’orbita eco-nomica e culturale di Taranto e Metaponto. Questo è un periodo di grande prosperità, attestata dai corredi funerari dove compaiono oggetti di lusso, utilizzati come segno di distinzione e di adesione ai modelli aristocratici della cultura greca; aumenta notevolmente l’importazione di ceramica attica a figure nere già dalla prima metà del V sec. a.C. e contestualmente si sviluppa anche l’artigianato, con produzioni vascolari di imitazione magnogreca. È molto probabile che in questo periodo l’insediamento sia stato munito di un circuito murario, del quale non è rima-sta traccia; è possibile ipotizzarne il percorso sulla base dei rinvenimenti di età peuceta e della morfologia del terreno.

E proprio al V sec a.C. risale la Tomba del Principe, rinvenuta nel 1833 nei pressi del Ca-stello di Ruvo. Si tratta di una tomba a semicamera, appartenente a un guerriero deposto con la corazza di cui, al momento del rinvenimento, si conservava anche il rivestimento interno in cuo-io. L’eccezionalità della tomba risiede nella ricchezza del corredo, formato da ben nove panoplie oplitiche, altre parti di armatura, finimenti equini da parata, diversi vasi in bronzo da simposio, uno scettro in argento dorato, un tripode in bronzo, un imponente complesso di ceramiche atti-che a figure nere, alcune oreficerie e numerosi altri oggetti. Buona parte del corredo entrò a far parte della collezione Ficco-Cervone (composta da ben 254 pezzi), venduta poi al Real Museo Borbonico nel 1838; gli altri elementi del corredo si dispersero sul mercato antiquario, sebbene alcuni siano stati recentemente individuati.

Sempre a questo periodo sono riferibili alcuni gioielli d’oro di produzione etrusca, come la collana con teste di Sileno conservata presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, da-tabile al 490-480 a.C.; le oreficerie di produzione ruvese, invece, evidenziano una netta influen-za magnogreca (si veda ad esempio la collana con vaghi biconici e teste femminili, al Museo Archeologico Nazionale di Taranto). Nel corso del V sec. a.C. si notano una serie di nuclei abi-tativi situati sulla collina e lungo le pendici meridionali; alle capanne di tradizione protostorica si sostituiscono i primi edifici con fondazioni in pietra, alzato in materiale deperibile e copertura in tegole.

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Capitolo V 145

Tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C., Ruvo mostra una notevole vitalità economica e culturale testimoniata non solo dalle opere dei ceramografi apuli e lucani, rinvenute in abbon-danza nelle sepolture, ma anche dall’introduzione della pittura funeraria, rappresentata dalla celebre Tomba delle Danzatrici. Si tratta di una tomba a semicamera, rinvenuta nel 1833 nelle vicinanze della Tomba del Principe, in cui le lastre che costituivano le pareti erano completa-mente dipinte con la raffigurazione di una danza funebre eseguita da 36 figure che incedono verso destra: le danzatrici formano una catena, come ancora si usa in una danza greca denomi-nata “tratta”. Le lastre dipinte sono esposte presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Tra il IV e il III sec. a.C. la città vive un periodo di grande prosperità, contrassegnato dalle vicende politiche e militari che portarono alla conquista romana della Puglia. Recenti indagini, condotte dalla Soprintendenza nella periferia sud-orientale del centro moderno, hanno messo in luce alcune strutture abitative, composte da ambienti a pianta rettangolare, con fondazioni in muratura a secco, elevato in mattoni crudi e copertura in tegole, provvisti di focolari e cisterne; in un solo caso è emersa un’abitazione formata da ambienti disposti intorno a un cortile qua-drangolare, con vasca centrale per la raccolta delle acque piovane.

Numerose le tombe di “guerrieri” rinvenute, con corredi composti da armature complete, bardature di cavalli e un considerevole numero di vasi apuli a figure rosse, emblematici dell’esi-stenza di una notevole classe militare e dell’importanza che ricoprivano i suoi membri all’interno della società “ru-bastina”.

Nell’ambito del nuovo ordinamento territoriale e istituzionale previsto da Roma, Ruvo (Rubi) fu inserita tra le civitates sociorum, favorita anche dalla posizione lungo la via Minucia, importante arteria stradale di età re-pubblicana che collegava Roma a Brindisi e che diverrà via Traiana in età imperiale. In seguito all’alleanza con Roma, venne inoltre istituita una zecca locale, che batteva monete di piccolo taglio in argento e in bronzo con legen-da PY, PYΨ o RYBAΣTEINΩN, circolanti fino alla fine del III a.C.

Risale probabilmente a questo secolo l’unica tom-ba a camera finora rinvenuta, andata distrutta; la tomba, scoperta nel 1834 e costituita da tre stanze rettangolari comunicanti disposte in asse, con pareti affrescate, trova stringenti confronti planimetrici con le tombe a camera dell’ambiente canosino.

Dopo la Seconda Guerra Punica la documentazione archeologica diviene tuttavia sempre meno consistente: le trasformazioni imposte dalla presenza romana nell’assetto economico e sociale comportarono probabilmente la per-dita di parte del territorio, trasformato in ager publicus.

All’indomani della Guerra Sociale, Ruvo divenne municipium iscritto alla tribù Claudia, come Barium e Ca-elia. Un’iscrizione del I sec. a.C. segnala il processo di

5.58. Ruvo di Puglia. Iscrizione con dedica a Gordiano III, databile al 239 d.C., collocata alla base della Torre dell’Orologio in Piazza Menotti Garibaldi.

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146 Età greca

ristrutturazione urbana che comportò la costruzione, da parte di magistrati quinquennali, di un murum munito di torri. Questa cinta muraria, probabilmente ricalcata successivamente dalle fortificazioni medievali, doveva racchiudere la parte sommitale della collina, dove si addensano i rinvenimenti di epoca romana; vi si dovevano aprire almeno tre porte, una a nord da cui usci-va la strada di collegamento con il mare, cioè con l’attuale città di Molfetta (l’antica Respa), considerata il porto di Ruvo. Dalla porta occidentale (attuale Porta Castello) entrava la strada proveniente da Canosa, denominata via Minucia in età repubblicana e ricalcata dalla via Traia-na in età imperiale; la strada, che costituiva l’asse principale della città, attraversava l’abitato con andamento nord-ovest/sud-est e usciva attraverso la porta orientale (Porta di Noha). Non è comunque da escludere la presenza di una porta lungo il tratto meridionale delle mura, da cui partiva la strada per Silvium, antica statio sulla via Appia.

Ruvo viene ricordata dalle fonti spesso in relazione alla viabilità; il poeta Orazio, nel de-scrivere il suo viaggio da Roma a Brindisi, cita la città di Rubos lungo la strada da lui percorsa, la via Minucia (horAt., 1, 5, 94-95), indicata da Strabone come itinerario alternativo alla via Ap-pia (strAbo, VI, 3, 7, 282-283). I Rubustini vengono inseriti da Plinio fra gli Apuli, nell’elenco delle popolazioni della Regio Secunda (PLin., III, 11, 105), mentre il territorio è citato nel Liber Coloniarum (2, 262), fra quelli soggetti a divisioni agrarie sotto l’impero di Vespasiano.

In concomitanza della realizzazione della via Traiana, agli inizi del II sec. d.C., il centro conobbe una fase di notevole sviluppo edilizio, attestata da numerosi rinvenimenti. Una lastra in marmo con dedica all’imperatore Gordiano III (239 d.C.), rinvenuta a larghetto Annunziata, nei pressi dell’attuale Cattedrale, testimonia la presenza a Ruvo di un collegio di Augustales,

5.59. Ruvo di Puglia. In primo piano mosaico pavimentale riferibile alla domus rinvenuta durante gli scavi sotto la Cattedrale.

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Capitolo V 147

addetti al culto imperiale. Attualmente l’iscrizione è collocata nella parte inferiore della Torre dell’Orologio in piazza Menotti Garibaldi (fig. 5.58).

Gli scavi effettuati all’interno della Cattedrale hanno riportato alla luce resti di una domus con ricchi mosaici pavimentali (fig. 5.59) e parte di un impianto termale. A poca distanza dalla Cattedrale, al di sotto della Chiesa del Purgatorio, si trova una grande cisterna, nota come “Grot-ta di San Cleto” con volta a botte, pareti in opus mixtum e lembi di pavimenti in opus tessella-tum, collegata alla struttura termale rinvenuta nelle vicinanze; sulla base della tecnica edilizia è databile al II-III sec. d.C.

bibLioGrAFiAIn generale su Ruvo dall’età preistorica a quella romano-imperiale MArin1981;DiPALo1987;CheLotti1987;

LAbeLLArte 1971-1994;CheLotti 1989;rutA1993. Per la storia del collezionismo FiorieLLo 2003b; CAssAno 2004; CAssAno 2008b. Per i materiali dalle necropoli DiPALo1987;MontAnAro2006;MontA-nAro2007;riCCArDi2008. Per i materiali provenienti da Ruvo conservati al di fuori della Puglia Magna Grecia 1996; Miti Greci 2004; senAChiesA2004. Per la Tomba del Principe MontAnAro 2004. Per la “Tomba delle danzatrici” tinèbertoCChi1964;PontrAnDoLFo1990;CAssAno1996;GADALetA2002. Per la monetazione MAnGieri 2007. Per la Grotta di San Cleto testini1967;LAverMiCoCCA1992. Per gli sca-vi al di sotto della Cattedrale CAssAno1987;CivitA1979;CivitA1993. Per le iscrizioni CheLotti1987;siLvestrini 2005. Per una ricostruzione della viabilità si veda: Ashby,GArDner1916;FiorieLLo2003a;CALDAroLA,LAnDrisCinA2011; resCio 2013a e 2013b.

G.CAL.

BariLa penisola su cui sorge il centro storico di Bari è caratterizzata da una stratificazione

di insediamenti e da una continuità di vita che dall’età del Bronzo giunge fino ai nostri giorni. L’insediamento più antico si è sviluppato all’estremità settentrionale della penisola, sul promon-torio che si affaccia sull’Adriatico (fig. 5.60); infatti, negli scavi condotti nell’area di piazza San Pietro e nei complessi di Santa Scolastica, di San Francesco della Scarpa e di Santa Maria del Buon Consiglio, sono stati rinvenuti i resti di un abitato protoappenninico (XVI-XV sec. a.C.) che ha restituito, tra l’altro, anche alcuni frammenti di ceramica micenea. A Santa Scolastica, posta al limite nord-orientale della penisola, inoltre, sono presenti tracce di una continuità di vita dell’insediamento fino alla fine del XII sec. a.C., quando l’abitato sembra scomparire. Solo nell’avanzata età del Ferro (seconda metà del IX-VII sec. a.C.), riappaiono le tracce (costituite soprattutto da ceramica geometrica iapigia) di un’occupazione del promontorio, sia nell’area di Santa Scolastica sia in quelle vicine di San Francesco e di Santa Maria: in questo periodo l’abi-tato si sviluppava probabilmente come un tessuto discontinuo di capanne a copertura straminea, secondo tipologie insediative e abitative derivate dall’età del Bronzo.

Per quanto riguarda il periodo compreso tra il VI ed il IV sec. a.C., scarsi resti dell’abitato peucezio sono venuti alla luce nel già ricordato complesso di Santa Scolastica: in quest’epoca probabilmente le case continuavano a riprodurre lo schema tradizionale delle capanne con lo zoccolo in pietra, l’elevato in mattoni crudi o in legno misto a frasche e la copertura in tegole di argilla cotta. Il tessuto insediativo deve essere rimasto ancora piuttosto discontinuo, con le abitazioni intervallate sia da aree libere, destinate alle attività agricole oppure alla pastorizia, sia da tombe, isolate o riunite in gruppi. Molto abbondante, invece, la documentazione archeologica

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148 Età greca

pertinente alle sepolture (rinvenute, in particolare, nell’area di Piazza San Pietro e a Santa Scola-stica), che sono del tipo consueto nella Peucezia, cioè a sarcofago o a fossa, rivestita di lastroni di calcare oppure direttamente scavata nel banco roccioso; non mancano tombe a enchytrismòs, disposte di solito all’interno o in prossimità delle abitazioni. Il defunto era deposto su un fianco, in posizione rannicchiata; i corredi, per qualità, dimensioni e quantità dei componenti, risultano modesti rispetto a quelli rinvenuti nel resto del territorio peucezio e, in particolare, nella vicina Ceglie del Campo (l’antica Caelia), situata circa 5 km più all’interno e di cui Bari costituiva probabilmente lo scalo portuale. Non mancano, comunque, materiali di importazione: nel VI-V

5.60. Bari. Foto aerea del 1943: 1. Basilica di San Nicola; 2. Santa Maria del Buon Consiglio; 3. Santa Scolastica; 4. Piazza San Pietro; 5. San Francesco della Scarpa; 6. Cattedrale di San Sabino; 7. Piazza Federico II; 8. Castello svevo; 9. Piazza Mercantile.

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Capitolo V 149

sec. a.C. nei corredi compaiono spesso ceramiche e oggetti metallici provenienti dalla Grecia, mentre quelli di IV sec. sono caratterizzati dalla presenza di materiali italioti, in modo partico-lare tarantini.

Dell’insediamento peucezio si conosce il nome, Βάριον, tramandato dalle fonti classiche: secondo la lessicografia moderna avrebbe un’etimologia illirico/messapica e deriverebbe da una parola che presenta diverse forme (βάρις, βαύριον, βύριον) e significa “casa, luogo fortificato”.

Alla fine del IV sec. a.C. (o, al più tardi, agli inizi del III) l’abitato fu cinto da mura in opera quadrata di calcare, di cui sono stati rinvenuti alcuni resti negli scavi eseguiti a Santa Scolastica e a piazza Federico II, dove sono risultate inglobate nelle fortificazioni realizzate tra il Basso Medioevo e l’età aragonese: erano costituite da due cortine di blocchi parallelepipedi, con emplekton di pietrame e terra, dallo spessore complessivo di 2,60-2,70 m. La realizzazione della cinta viene generalmente messa in relazione con la campagna di Cleonimo di Sparta del 303 a.C., oppure, se la cronologia deve essere abbassata di qualche decennio, possono essere state erette in occasione della campagna di Pirro. La loro costruzione segna la nascita della città e ne sancisce l’autonomia; il distacco istituzionale di Bari da Ceglie può essere avvenuto nel momento in cui, in seguito allo scioglimento della lega peuceta (verosimilmente alla fine della Terza Guerra Sannitica), si verificò una ristrutturazione del territorio.

Il rinvenimento di nuclei cospicui di tombe databili a partire dal VI sec. a.C. al di fuori dell’area racchiusa dalla cinta alla fine del IV (fig. 5.61), nelle zone occupate dai moderni quar-tieri Murat, Madonnella e Picone, potrebbe essere spiegato o come conseguenza della riduzione dell’area urbana, a seguito della nuova organizzazione dell’insediamento, o come necropoli extra muros, forse in parte da riferire anche a insediamenti rurali presenti nel territorio della città. Sempre all’epoca ellenistica risale anche una struttura a grandi blocchi bugnati, da riferire a un edificio pubblico o a un tratto di cinta muraria, individuata in piazza Mercantile, nella parte sud-orientale del centro storico.

Con i primi decenni del III a.C. Bari entra nell’orbita romana come città socia e, forse alla fine del secolo, batte una sua moneta di bronzo coniata sulla base dell’asse romano: le emissioni, di cui si conoscono quattro tipi, hanno vita breve e vanno verosimilmente inserite nel novero di quelle dovute a zecche militari fiorite in Puglia durante la guerra annibalica. Nel rovescio dell’oncia e del sestan-te compare la prua della nave, che evidentemente è in relazione con la vocazione marinara della città; nelle legende (ΒΑΡΙΝΩΝ, ΒΑΡΙΝ, ΒΑΡΙ) la lingua usata è il greco, a testimonianza della forte ellenizzazione dei ceti diri-genti peucezi.

Durante la Seconda Guer-ra Punica probabilmente la città 5.61. Bari, rione Sant’Angelo: tombe del V-IV sec. a.C. messe in luce nel 1929.

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150 Età greca

defezionò dalla confederazione romana e parteggiò per Annibale, subendo successivamente confische territoriali. Dopo la Guerra Sociale divenne un municipio amministrato da quattuor-viri, due iure dicundo e due aedilicia potestate; ebbe un territorio non molto ampio, compresso tra quelli di Caelia e Butuntum, ascritto alla tribù Claudia.

Per l’età romana sono scarsi i rinvenimenti archeologici: si limitano a resti di un’abitazione d’età repubblicana nella Chiesa di San Francesco della Scarpa, a un pavimento in opus signinum (databile tra l’età repubblicana e i primi anni dell’Impero) nel complesso di Santa Scolastica e a un pavimento musivo della prima metà del I sec. d.C. nella cattedrale di San Sabino. Delle ne-cropoli del municipio romano si conoscono solo lembi sparsi situati nell’area dell’ottocentesco borgo muratiano: i sepolcreti si svilupparono lungo le strade che conducevano a Caelia e a Butun-tum. Le strutture di quest’epoca in molti casi sono state spogliate e i materiali reimpiegati negli edifici religiosi medievali: è il caso, per esempio, delle colonne, dei capitelli e degli altri elementi architettonici messi in opera nella basilica di San Nicola e a Santa Maria del Buon Consiglio.

L’attività portuale sembra essere stata piuttosto fiorente in età imperiale e doveva costituire una delle principali risorse economiche del centro. Il porto di Bari, di cui parlano diverse fonti classiche (tra gli altri, PtoL. Geog., III, 1, 115, Liv. LX, 18-19, strAbo, VI, 3, 8, 283 e PLin., NH, III, 102), costituiva lo scalo di un vasto retroterra ed era ben collocato sia sulla rotta adriatica, sia su quella per la Grecia ed il Mediterraneo orientale; a tale riguardo, come testimonianza degli stretti rapporti con l’Oriente, possono essere ricordate l’attestazione epigrafica, intorno al II sec. d.C., dei culti egizi di Iside e di Anubis e la presenza in città, sempre attestata dalle iscrizio-ni, di numerosi personaggi di origine greco-levantina. Non deve poi essere mancata un’attività connessa con la pesca: un riferimento a essa si può cogliere nel passo oraziano (Sermones, I, 5, 96-97) in cui si parla del mare pescoso di Barium. Comunque, rispetto agli altri porti del basso Adriatico, come Brindisi e Otranto, il livello degli scambi rimase contenuto per tutta l’età antica. L’ubicazione di questo porto risulta ancora incerta: se ne è ipotizzata la presenza sia sul versante orientale del promontorio (nel cosiddetto Mar di Jaffara o di Chiafaro, nella zona compresa tra San Nicola e Santa Scolastica), sia sul litorale occidentale della Città Vecchia, a nord-est dell’area in cui sorge il Castello Svevo; non viene poi esclusa la possibilità che il centro disponesse di due approdi sugli opposti versanti della penisola, usati alternativamente a seconda dei venti e delle correnti, oppure ciascuno specializzato nelle attività legate alla pesca e al commercio.

La città costituiva anche un importante nodo stradale ed era toccata da tre percorsi prin-cipali: la via Traiana (che univa Benevento a Brindisi), la via costiera adriatica (la via Gellia realizzata agli inizi di I sec. a.C.) e un altro tracciato che la collegava con Taranto, tutte strade che in parte ricalcavano antichi percorsi peuceti.

Molto poco si conosce della Bari tardoimperiale, a causa della scarsa estensione degli sca-vi archeologici condotti: all’età imperiale o all’epoca tardoantica vengono attribuiti alcuni resti rinvenuti negli scavi dell’ala nord del Castello Svevo e presso la basilica di San Nicola.

bibLioGrAFiAIn generale su Bari dall’età preistorica a quella romano-imperiale, si vedano: AnDreAssi,CAtALDi1984;AnDre-

Assi,rADinA1988;tAteo1989;CheLotti1991. Per gli scavi più recenti, si vedano: sPAGnoLettA1996;bustoet alii1997;DePALo1998;DePALoet alii1999;AnDreAssi2001;riCCArDi2001;CiMinALe,CioCe2002;AnDreAssi 2006, pp. 795-797; AnDreAssi 2008, pp. 968-971; DePALo,rADinA2008;CiMinALe2010;DePALo 2010.

G.s.

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Capitolo V 151

Ceglie del Campo-Caelia

L’antico centro peuceta di Καιλία, identificato con la roma-na Caelia, sorgeva a 70 m s.l.m., su un pianoro delimitato a est e a ovest dai torrenti Fitta e Pico-ne, 5 km a sud di Bari, dove oggi insistono gli abitati moderni di Ceglie del Campo e Carbonara.

Le fonti letterarie non di-cono nulla sulla sua origine, seb-bene la troviamo citata da nu-merosi scrittori e storici latini e greci, tra cui Strabone (strAbo, VI, 282), Tolomeo (PtoL., III, 1, 73), e da fonti geografiche e iti-nerarie (Tabula Peutingeriana, Anonimo Ravennate e Guidone).

Le recenti indagini arche-ologiche hanno dimostrato che il pianoro su cui sorse la città (fig. 5.62) e il territorio circo-stante erano già frequentati in età protostorica, con modalità al momento non ancora ben de-finite. L’età del Ferro è attestata da alcuni frammenti di ceramica di impasto rinvenuti sia lungo il percorso del torrente Fitta, sia in alcune grotticelle artificiali in lo-calità Reddito, Buterrito, Tufaia, localizzabili a est dell’abitato moderno.

I secoli VII-VI a.C. sono documentati da aree di necropoli, individuate all’interno del cir-cuito murario: la principale sembra essere quella in località Sant’Angelo a nord-ovest del centro moderno di Ceglie. La tipologia delle tombe è varia: a fossa, scavate nel banco roccioso con il defunto deposto in posizione rannicchiata e con il corredo disposto intorno (per lo più formato da ceramica geometrica apula e ceramica acroma); a sarcofago, chiuse da lastroni di pietra tal-volta con tracce di decorazione pittorica, e tombe più monumentali del tipo a semicamera, dotate di ricco corredo.

Tra il V e il IV sec. a.C. si assiste allo sviluppo di un vero e proprio abitato urbano (fig. 5.63), difeso da una cinta muraria lunga 5 km, ora conservata in pochi tratti a causa di un siste-matico smantellamento effettuato durante i primi anni del secolo scorso (i blocchi furono infatti reimpiegati per la realizzazione del lungomare di Bari). La struttura, dotata di quattro porte, era a doppia cortina, realizzata con blocchi sbozzati di varie dimensioni alloggiati senza malta con l’impiego di zeppe, e riempimento interno costituito da pietrame. Il percorso è ben ricostruibi-

5.62. Ceglie del Campo. L’abitato moderno e l’area della città antica in una foto del 1947; le frecce indicano il percorso del circuito murario, ricostruibile in base ai resti rinvenuti ed alle tracce da fotografia aerea.

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152 Età greca

le sia a oriente che a occidente, anche perché condizionato dalla presenza dei due torrenti. Risulta ancora visibile per alcuni tratti sul lato meridionale, in località Porta Mura, mentre il tratto set-tentrionale è più problematico: alcuni studiosi infatti propendo-no per includere buona parte del moderno centro di Carbonara, mentre altri tendono a farle gi-rare prima, a nord-ovest dell’at-tuale Ceglie del Campo. In età ellenistica la città raggiunge il suo pieno sviluppo dimostrato dal rinvenimento di numerose tombe, con corredi ricchi di ce-ramiche dipinte a vernice nera o a figure rosse, appartenenti al ceto dirigente fortemente elle-nizzato. Nei corredi tombali di V sec. a.C. si ritrovano infatti vasi di notevole pregio di provenien-za attica, come quelli attribuiti al Pittore delle Niobidi, al Pittore di Eretria, al Pittore di Calliope e di Crodo, e anche ambre figurate prodotte in Lucania e in Daunia, e statue di metallo, come quella dell’Apollo saettante, di produ-zione metapontina. Verso la metà del secolo diventa sempre più preferenziale il rapporto della

città con il mercato delle colonie magnogreche, testimoniato dalla presenza delle prime produ-zioni della scuola “protolucana” (Pittore di Amycos), ma anche dei prodotti di grandi ceramisti attivi nella colonia di Thurii (Pittore delle Carnee e il Pittore della Nascita di Dioniso).

La città conserva una posizione di rilievo anche in età romana, come attestano le emissioni monetali in argento e in bronzo di III sec. a.C. con legenda in greco ΚΑΙΛΙΝΩΝ. Relative a questo periodo sono anche alcune strutture abitative che testimoniano l’espansione della città su buona parte del pianoro. Sul finire del III sec. a.C. si è constatato un progressivo impoverimento dei corredi, segno di una crisi del centro forse anche per la progressiva ascesa della città di Ba-rium, le cui strutture portuali vengono sempre più potenziate.

Le uniche testimonianze relative all’occupazione dell’area in età tardorepubblicana pro-vengono dagli scavi condotti in località Sant’Angelo, dove sono state portate alla luce numerose

5.63. Ceglie del Campo. Schema ricostruttivo dell’abitato antico di Caelia: le lettere A-F indicano i resti del circuito murario, mentre la linea tratteggiata, a nord, indica il percorso ipotetico; le lettere H ed M individuano le lame che delimitano a ovest e a est l’abitato antico.

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Capitolo V 153

cisterne e fosse di scarico databili tra il III e il I sec. a.C. Inoltre, in località San Nicola lo scavo ha permesso di documentare una frequentazione arcaica e classica, alla quale si sovrappongono tombe di III sec. a.C. coperte poi da uno strato compatto di tufina pressata che dimostra una nuova destinazione abitativa dell’area in età tardorepubblicana, confermata ulteriormente dal rilevamento di resti di un’altra abitazione articolata in più ambienti e datata alla stessa fase. Nella riorganizzazione del territorio effettuata in seguito alla Guerra Sociale (89 a.C.), la città strutturata in municipio viene ascritta alla tribù Claudia, insieme a Barium e Rubi. Ed è proba-bilmente in questo periodo che venne posta sotto la guida di quattuorviri, così come è attestato dall’iscrizione di C. Baebius Hispo di I sec. d.C.

In età imperiale con la costruzione della via Traiana si assiste allo sviluppo dello scalo portuale di Barium, che contribuisce alla decadenza di diversi centri della Peucezia interna tra cui Caelia stessa.

bibLioGrAFiAPer le notizie storiche e i rinvenimenti archeologici DeGrAssi 1967; MArin1982;MArin,siCiLiAno1988; FiorieL-

Lo,MAnGiAtorDi 2012. Sulle prime ricerche topografiche e archeologiche roPPo 1921. Per la fase romana PAni 1976; AGresti1998;LAbeLLArte1998.

r.DeLM.,s.L.

Rutigliano-Azetium

L’antico abitato di Azetium sorge su una modesta altura, in località Torre Castiello, circa 2,5 km a nord-est di Rutigliano. L’altura è costeggiata a ovest e sud-ovest da un solco carsico, la Lama Giotta, che costituisce un bacino di raccolta delle acque piovane e una via naturale di collegamento con la costa adriatica, distante 7 km.

Il toponimo Azetium compare per la prima volta in emissioni monetali bronzee del III sec. a.C.; è indicato, inoltre, da Plinio (NH, III, 105: Aegetini) nella Puglia interna e sulla Tabula Peutingeriana (V, 5: Ehetium) a nove miglia est di Caelia. Il primo studioso moderno che ne riporta la localizzazione è il Romanelli nel 1818. Infatti, le prime notizie relative a questo inse-diamento, noto per la sopravvivenza del circuito murario, risalgono agli inizi del XIX secolo e sono per lo più segnalazioni di rinvenimenti fortuiti, non localizzati con precisione, o acquisti di materiali archeologici da parte di musei regionali o, ancora, sequestri in relazione a scavi clandestini. I primi interventi di scavo, effettuati dal Biancofiore, risalgono al 1955 e vengono effettuati lungo il settore nord della fortificazione. La ceramica rinvenuta indica fasi di vita dell’abitato comprese fra l’età del Bronzo Finale e l’età tardoellenistica e repubblicana. Ma i rinvenimenti fortuiti proseguono spesso in occasione di lavori agricoli o dovuti a studiosi locali. Fra di essi si segnala il rinvenimento di una tomba databile al IV sec. a.C. e di un tesoretto di 80 denarii di età repubblicana. Alla fine degli anni ’70 si individua una cisterna a fiasca generica-mente databile, in base alla ceramica e a tre monete presenti nel suo interno, all’età imperiale. Negli anni ’80 si riprendono gli scavi nel settore nord delle mura e vengono individuate e sca-vate otto tombe a fossa databili fra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., periodo al quale si ascrive la costruzione della fortificazione e il maggior sviluppo dell’abitato.

Alla fine degli stessi anni, durante indagini sistematiche nella parte sud-est della collina, vengono evidenziati due edifici. Il primo doveva essere costituito da una pars dominica e una

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154 Età greca

pars rustica (settore di residenza e settore produttivo di una villa rustica). Le strutture della prima erano in blocchi calcarei e tufo, rivestite da intonaci con decorazioni a fresco e cornici in stucco; i pavimenti in terra pressata con pietrisco e frammenti ceramici o costituiti da tegole infisse nel terreno e coperte da malta. Il settore produttivo, invece, doveva essere costruito in modo meno accurato, caratterizzato da una cisterna e grossi contenitori interrati. Grazie al rin-venimento, al di sotto delle predette strutture, di una tomba a semicamera, di ceramica e di un denario in argento, rinvenuti all’interno di quest’ultima, è stato possibile datare il complesso fra III e I sec. a.C.

Il secondo edificio, individuato più a sud, è realizzato anch’esso in blocchi di calcare e tufo rivestiti da intonaci decorati e cornici in stucco e si impianta su precedenti strutture di cui è stata evidenziata una grande vasca. La datazione dell’impianto, dovuta anche al rinvenimento di tre assi in bronzo, è compresa fra la fine del III e la metà del II sec. a.C.

Alla fine degli anni ’90 sono state condotte indagini sistematiche di superficie all’interno dell’abitato, al fine di ubicare con precisione i rinvenimenti editi e di appurare lo stato di conser-vazione delle evidenze archeologiche. Il rinvenimento di ceramica ad impasto bruno ha potuto

5.64. Rutigliano-Azetium. Foto aerea del 1954; le frecce indicano l’andamento del circuito murario sopravvissuto nei muretti a secco e nei limiti di coltura.

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Capitolo V 155

accertare la presenza dell’abita-to, o comunque di un’occupazio-ne dell’area, già durante l’età del Ferro. Alla scarsità di materiali relativi all’età arcaica e classica fa riscontro l’abbondante pre-senza di ceramiche di età elleni-stica, già dal IV sec. a.C.

A questa fase si riferisce la costruzione del circuito murario difensivo, lungo circa 3,5 km, che doveva delimitare un’area di 6 ettari. La sua sopravvivenza è oggi nei muretti a secco che ne ricalcano il circuito (fig. 5.64) e la presenza di blocchi delle mura riutilizzati nella costruzione di trulli e capanni presenti nell’area (fig. 5.65).

La costruzione delle mura di questo insediamento si inserisce in un fenomeno di urbaniz-zazione già conosciuto nel territorio grazie ad abitati come Bari, Monte Sannace, Ceglie e Turi.

Una contrazione dell’abitato nella parte meridionale dell’altura è ben rappresentato, per le epoche successive (II-I sec. a.C.), dalla presenza di ceramica a pasta grigia. Ancora più esigue le ceramiche relative alla fase imperiale. Nelle fasi immediatamente successive al III sec. a.C. si ha, dunque, una graduale crisi e contrazione dell’abitato sino al suo abbandono e l’altura divie-ne, come ancora oggi, area agricola densamente coltivata.

bibLioGrAFiAroMAneLLi1818,pp.177-179;biAnCoFiore1955;LoPorto1976;DeJuLiis 1979; DeJuLiis 1985a; AnDreAssi

1987;riCCArDi1987;riCCArDi1989;riCCArDi1990;DePALo1992;Gezzi,tAMMA1992;siCiLiAno 1992b; riCCArDi 2000, pp. 145-160; FrAte 2003, pp. 308-309; GALeAnDro 2009-2010.

F.DeL.

Conversano-Norba

La moderna città di Conversano è situata su un’altura (219 m s.l.m.), circa 30 km a sud-est di Bari, sulla quale in antico sorse e si sviluppò l’abitato peuceta di Norba, menzionato da Plinio e dalle fonti itinerarie che collocano la città tra Ezetium e ad Veneris, lungo la via Minucia.

La più antica occupazione del sito risale all’età del Bronzo e interessò la parte più elevata della collina dove, grosso modo nell’area dell’attuale centro storico, si sviluppò, in una fase più recente, l’abitato peuceta, difeso da un circuito murario realizzato in grandi blocchi di calcare locale squadrati e rozzamente sbozzati, disposti con ricorsi non regolari. Il circuito murario (fig. 5.66), di cui i tratti meglio conservati sono visibili dal monastero di San Benedetto al castello (fig. 5.67), raggiungeva una lunghezza di circa 750 m e delimitava una superficie pari a circa 47.000

5.65. Rutigliano-Azetium. Riutilizzo di blocchi della cinta muraria della città antica in una struttura moderna.

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156 Età greca

mq. A causa della sovrapposi-zione dell’abitato medievale e moderno su quello antico, l’area interna alle mura è al momento ancora poco nota; un intervento di scavo al di sotto del monaste-ro di San Benedetto ha permesso di individuare alcuni ambienti ri-feribili a epoca ellenistica, roma-na e medievale: in particolare, i resti dell’edificio abitativo di età romana costituiscono l’unica te-stimonianza strutturale databile tra I sec. a.C. e I sec. d.C. resti-tuita dalla città. Inoltre, sempre nella parte alta del centro, poco all’esterno delle mura (piazza della Repubblica), recenti inda-gini hanno intercettato strutture riferibili a un’abitazione tardoel-lenistica.

Le aree meglio note dell’abitato peuceta sono invece localizzate lungo i fianchi nord-ovest e sud-est dell’altura, dove sono stati messi in luce resti di strutture abitative e funzionali di età classica ed ellenistica. Un edificio dell’ultimo trentennio del IV sec. a.C. è emerso in luce in via Lippolis: era costituito da tre vani, uno dei quali, a pianta rettangolare allungata, era pre-sumibilmente un cortile scoperto con cisterna sotterranea, riserva-to alla tessitura, alla lavorazione dei cereali e anche, forse, alla produzione artigianale, come

sembrerebbe suggerire il ritrovamento di una matrice a rullo per la decorazione dei vasi, recante vari motivi geometrici e lettere greche.

Un impianto artigianale di età ellenistica, costituito da fornaci per la ceramica, da pozzi di decantazione dell’argilla e da altre strutture di servizio è stato rinvenuto in via Nobel.

Alla metà del IV sec. a.C. risale una struttura abitativa (rinvenuti vasi da mensa, pentole, anfore, macine) individuata in via Castellana (nel settore sud-orientale del centro moderno),

5.66. Conversano-Norba. Tratto del circuito murario realizzato in grandi blocchi di calcare locale, visibile nei pressi del monastero di San Benedetto.

5.67. Conversano-Norba. Particolare del tratto del circuito murario visibile nei pressi del monastero di San Benedetto.

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Capitolo V 157

costituita da sette ambienti, di dimensioni diverse, disposti at-torno a un atrio centrale a cielo aperto. I vani erano tutti dotati di copertura in coppi e di pavimenti in argilla pressata; le fondazioni dei muri erano in conci di calca-re rozzamente sbozzati, l’alzato in mattoni crudi. Il ritrovamento di un frammento di cassetta fit-tile decorata a rilievo (motivo a onda, figure di cavalli rampanti affrontati e di un delfino) auto-rizza a supporre che si trattasse di un edificio di un certo prestigio, come parrebbe suggerire anche la presenza di una pavimenta-zione in lastre lapidee in uno dei vani. Due monete d’argento rin-venute tra lo strato di crollo del tetto e i livelli d’uso consentono di datare l’abbandono dell’edifi-cio alla fine del IV sec. a.C.

Un altro interessante com-plesso abitativo ascrivibile a età classica ed ellenistica è stato messo in luce in largo Falconie-ri, nella zona nord-occidentale dell’attuale centro, lungo la di-rettrice per Rutigliano. Alla pri-ma fase di vita, di età classica, che si imposta sul precedente abitato della prima età del Bron-zo, appartengono due ambienti che hanno restituito, tra l’altro, una testina fittile di divinità femminile.

Nelle immediate vicinanze è attestata la presenza di una vasta necropoli (scavi di via Ru-tigliano, via Ramunni, via Pantaleo, via Mucedola, via Iapigia, via Bari-angolo via Simplicio, via Torino, via Meucci, via Guglielmi, via Nobel), che ha restituito numerose sepolture tra le più ricche note a Conversano.

In via Pantaleo, in particolare, furono messe in luce numerose tombe di varia tipologia (a fossa, a cassa litica, a sarcofago, a semicamera), contenenti ricchi corredi costituiti per lo più da vasi apuli a figure rosse, da ceramiche di Gnathia, a vernice nera e da vasellame indigeno, da terrecotte figurate; merita ricordare anche la presenza di armi e parti dell’armamento in numero-se sepolture maschili, tra le quali spicca la prestigiosa panoplia, con bella corazza anatomica ed

5.68. Conversano-Norba, via Vanvitelli. Tomba a fossa scavata nel banco di roccia con defunto in posizione rannicchiata; il corredo funerario è inquadrabile alla fine del IV sec. a.C.

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158 Età greca

elmo di tipo frigio, finemente decorati, appartenuta probabilmente a un capo e guerriero apulo vissuto nella seconda metà del IV sec. a.C.

Un’altra ampia area di necropoli era collocata nel settore orientale dell’abitato (via Vanvi-telli, via Savonarola, via Monopoli, via Don Minzoni): in particolare in via Vanvitelli, lungo la direttrice per Monopoli, oltre a una cisterna è stata messa in luce parte di un sepolcreto, databile al IV sec. a.C., con sepolture a fossa scavate nella roccia (fig. 5.68), a cassa realizzate con lastre lapidee e a sarcofago di tufo; in un unico caso è documentato il tipo di tomba a semicamera, in parte scavata nella roccia, in parte costruita con blocchi di calcare. Tra la fine del III e il II sec. a.C. si datano invece due tombe a semicamera documentate in via Don Minzoni.

La presenza di un altro sepolcreto, nella zona meridionale del centro, è testimoniata dai ritrovamenti del 2005 di via Garibaldi (due tombe del pieno IV sec. a.C. e tre sepolture di V-VI sec. d.C.) e dalle tombe di via Verdi, una delle quali, realizzata a cassa con lastre di tufo e databi-le alla seconda metà del IV sec. a.C., conteneva un ricco corredo, composto da ceramiche apule a figure rosse, di Gnathia, a vernice nera e da oggetti metallici connessi al rituale del banchetto e alla cottura dei cibi, tra cui un tripode e un altro sostegno in piombo, probabilmente per coltelli.

Una progressiva contrazione dell’abitato dal punto di vista demografico, sembra docu-mentato, tra la fine del III e il II sec. a.C., da una diminuzione del numero di sepolture, che sono comunque caratterizzate da un certo impegno costruttivo. Il numero ridotto di elementi o l’assenza totale di corredo non indica propriamente un impoverimento ma il certo mutamento avvenuto nella ritualità.

Ben poco è noto della storia del centro nelle epoche successive; un’unica eccezione è rap-presentata dal saggio del monastero di San Benedetto, dove sono emersi livelli di frequentazione di età ellenistica, romana e medievale, nonché dal circuito murario di epoca medievale, la cui costruzione sfruttò ampi tratti delle mura antiche.

bibLioGrAFiAIn generale su Conversano L’AbbAte1979;PArisebADoni1970;GiAnnottA 1987, con bibliografia precedente;

CiAnCio,L’AbbAte 2013. Per i tratti di mura ora non più visibili siMone 1887, pp. 36-37. Per i vari in-terventi di scavo ChieCobiAnChiMArtini1964;CristoFAni1967;bAttisti1986;DePALo1986;CiAnCio 1987, 1988, 1989a, 1990a, 1990b, 1991, 1992, 1996, 1999; CiAnCio,rADinA1990;ursi1998;ursi1999;CiAnCio,ursi2002.

G.CerA,s.L.

Gravina di Puglia-Silvium

La città peuceta di Silvium (Sidíon), nota dalle fonti letterarie antiche anche coi nomi di Siluion, Sidinon, Silutum, Silbion, Silouion, Silvium (strAbo, Geogr., VI, 8; PLin., NH, III, 105.; Anon.rAv.CosMoGr. IV, 35.; Itin. Anton.120; Tab. Peut. VI, 5; D.s., Bibl., XX, 80, 1-2) sorgeva 1 km a ovest del centro moderno di Gravina di Puglia, sulla sommità della collina di Botromagno, delimitata dal torrente Gravina a est e dal Pentecchia di Chimienti a ovest, in un punto strategico al confine tra Lucania, Peucezia e Daunia (fig. 5.69).

Le prime tracce di occupazione del colle risalgono al Neolitico Medio e si riferiscono a un insediamento sorto sul versante nord-occidentale, in località “Ciccotto”, abitato almeno fino all’età del Bronzo.

Una documentazione archeologica più consistente è riconducibile alla prima età del Ferro

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Capitolo V 159

quando, tra IX ed VIII sec. a.C., la parte più alta della collina fu occupata da piccoli nuclei sparsi di capanne a pianta circolare, delimitate da buche scavate nella roccia per la sistemazione di pali portanti, con piani di calpestio costituiti da battuti di argilla. A valle, invece, lungo il costone occidentale del torrente Gravina, si rinvengono capanne a pianta ellittica, delle quali restano muretti perimetrali in ciottoli e pietre a secco, battuti pavimentali e focolari di argilla e terra che attestano l’utilizzo dalla fine del IX alla fine dell’VIII sec. a.C. Mancano dati sulle coeve necro-poli, da localizzare probabilmente in luoghi lontani dall’insediamento.

Le prime tombe compaiono all’interno dell’abitato alla fine del VII sec. a.C., distribuite sia sulla collina, sia in prossimità della sponda occidentale del torrente (loc. Padreterno) e in aree precedentemente destinate solo all’insediamento (loc. Santo Stefano, che non fu più abitata, ma usata esclusivamente per le sepolture). Gli scavi in località Padreterno hanno messo in luce sia fasi di occupazione della prima età del Ferro e di età arcaica (alcuni ambienti e una fornace per la produzione di vasi), sia una necropoli databile dal periodo arcaico al IV sec a.C., con riu-tilizzo in epoca medievale. La tipologia più antica e diffusa è quella della tomba a pozzo, mentre tra VII e VI è documentata la fossa scavata nel banco roccioso e coperta da lastroni. Le sepolture erano solitamente singole con il defunto deposto in posizione rannicchiata.

In età arcaica, sul pianoro della collina di Botromagno (fig. 5.70) le capanne lasciano il posto a strutture in pietre connesse a secco, che definiscono ambienti quadrangolari.

Si registra anche l’uso, per il rivestimento dei tetti, di terrecotte architettoniche di tipo magnogreco pertinenti a edifici di un certo rilievo.

Il V secolo rappresenta, almeno nella prima metà, un momento di crisi per l’abitato di Silbion, come anche per altri centri della Peucezia, forse dovuto agli scontri con Taranto.

Già nel pieno V secolo, in ambito funerario, si assiste a un generale arricchimento dei corredi con ceramiche di produzione attica; appaiono strutture tombali più complesse (tombe a semicamera spesso dipinte), la cui monumentalità doveva palesare il rilievo sociale dell’indivi-duo o del gruppo che vi era seppellito.

5.69. Gravina di Pu-glia. Sulla destra si nota parte della città moderna di Gravina, lungo il margine orien-tale della gravina. A sinistra, la collina di Botromagno attraver-sata da due tratturi (strada della Madon-na delle Stelle e della Maddalena), su cui si sviluppa l’insediamen-to antico.

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160 Età greca

Nel IV sec a.C., il sito raggiunge il più alto livello di prosperità, documentato dal pieno sviluppo delle tombe a camera, dalla ricchezza dei corredi funerari con la diffusione dei prodot-ti delle officine dei ceramisti apuli presenti a Taranto, dall’estendersi dell’abitato che arrivò a occupare quasi l’intero pianoro, con abitazioni in pietra, edifici monumentali e strade livellate e ricoperte da uno strato di ghiaia, e infine da coniazioni di monete in bronzo, ulteriore testimo-nianza dell’autonomia economica della città.

Nello stesso secolo furono costruite anche le mura, a doppia cortina con riempimento interno di pietrame e terra, con muri di rinforzo tra i due paramenti. Non si conosce ancora esattamente l’intero tracciato delle fortificazioni, ma esse dovevano svilupparsi fino al costone della gravina.

Il centro risulta abitato senza soluzione di continuità anche nel III secolo. In questo perio-do le mura sono rinforzate, probabilmente in occasione delle guerre annibaliche, con la costru-zione di una sorta di rampa di più strati di terra addossati alle strutture.

Nel corso del secolo la città conosce un lento declino, la parte bassa viene gradualmente abbandonata, mentre l’insediamento si limitò alla zona centrale del colle.

A partire dal II sec. a.C. si assiste a una forte recessione dell’abitato: gli edifici furono smantellati, fu pianificato un nuovo sistema di strade e sorsero nuove costruzioni di diversa qua-lità e funzione: se la zona occidentale del pianoro è caratterizzata dalla presenza di magazzini per le derrate, nella parte centrale sono state portate alla luce una villa di tipo ellenistico, con cortile interno porticato, atrio con impluvio e cisterna e una piccola struttura, forse un sacello, mentre nella zona orientale sono emersi gruppi di case più modeste e alcuni edifici agricoli costruiti su precedenti strutture. La Guerra Sociale e la distanza dai mercati marittimi condizio-nano pesantemente la vita del centro, che subirà una graduale marginalizzazione. Il definitivo abbandono dell’insediamento sul pianoro si colloca intorno al I sec. d.C.

5.70. Gravina di Pu-glia. La collina di Bo-tromagno, localizzazio-ne delle aree oggetto di indagine archeologica. Ricerche sistematiche sono state realizzate nel 1966-1968 dalla Scuola Britannica di Roma, negli anni ’70 e ’80 dalla Soprinten-denza Archeologica e da una missione con-giunta dell’Universi-tà di Lancaster e dal Queen Mary College dell’Università di Lon-dra (1979-1985). Dal 1990 al 1995 le atti-vità di scavo si sono concentrate nella zona orientale, ai piedi del pianoro, nelle località Padre Eterno e S. Ste-fano, dove sono state individuate aree di ne-cropoli.

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Capitolo V 161

bibLioGrAFiAPer un inquadramento generale della città e per i rinvenimenti archeologici sMALL1992;CiAnCio 1997; White-

house,WiLkins,herrinG2000;sMALL,voLterrA,hAnCoCk2003;GALeAnDro 2010.r.DeLM.,v.F.

AltamuraIl centro di Altamu-

ra sorge sull’alta Murgia a 468 m s.l.m. in posizione di controllo delle vie di colle-gamento con la costa adria-tica e ionica, in un territorio caratterizzato da morfolo-gie carsiche quali gravine, lame, doline e grotte.

Il territorio altamu-rano fu frequentato fin dai tempi più remoti; ne è testi-monianza la scoperta alla fine degli anni ’90, in lo-calità Pontrelli, in una cava di calcare, di migliaia di impronte di dinosauro del Cretaceo superiore (85 mi-lioni di anni fa) impresse in una paleosuperficie, estesa per 15.000 mq circa.

Un’altra testimonianza di antichissimo popolamento è offerta dall’eccezionale giacimento paleontologico scoperto nel 1993 nella grotta di Lamalunga, che restituì oltre a quelli faunistici, anche i resti del cosiddetto Uomo di Altamura, collocato nella variabilità genetica del Neander-thal dell’Europa meridionale e datato tra i 60 e i 40.000 anni fa, in base a studi recenti sul DNA.

Durante il Paleolitico superiore, furono abitate le grotte sul costone del Pulo, profonda do-lina di origine carsica a nord della città, mentre al Neolitico risalgono i primi villaggi di capanne, spesso delimitati da fossati, sparsi in diverse località della campagna. Contraddistinguono l’età del Bronzo numerosi abitati su piccole alture e diverse sepolture a grotticella, da una delle quali proviene un particolare oggetto di corredo che indica chiari rapporti con l’Oriente.

Della città peuceta non si conosce il nome antico, ma la documentazione archeologica rivela una prima fase insediativa testimoniata dall’esistenza di gruppi sparsi di capanne che dal XIII sec. a.C. perdurarono fino all’VIII sec. a.C.

Tra VII e VI sec. a.C., alle capanne si sostituirono abitazioni a pianta quadrangolare, arti-colate in due o più vani, con fondazioni in pietra, alzato in legno e mattoni di argilla, copertura in tegole. Inoltre, in età arcaica si iniziò a distinguere spazi destinati ad uso abitativo da zone adibite esclusivamente alle sepolture.

5.71. Altamura. Foto aerea del 1947; le frecce indicano il percorso della cinta muraria esterna.

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162 Età greca

Se il V secolo rappresentò un momento di crisi determina-to dalla crescente tensione con Taranto, durante il IV sec. a.C. la città raggiunse la fase di mag-gior prosperità. Venne fortifica-ta con una doppia cinta muraria (una esterna a difesa dell’intero abitato, una interna che cingeva l’acropoli). Entrambi i circuiti furono realizzati con due para-menti di grossi blocchi senza preventiva squadratura, messi in opera a secco, con riempimento interno costituito da pietrame e terra (fig. 5.71). Lungo il percor-so del circuito murario esterno, visibile ancora in più punti, e datato grossomodo alla seconda

metà del IV sec. a.C., dovevano aprirsi alcune porte in corrispondenza delle vie di collegamento tra Altamura ed i coevi insediamenti peuceti. Porta Alba o Aurea è l’unica ancora conservata, dotata di una torre di difesa edificata in un momento successivo (290-280 a.C.) (fig. 5.72). Il tracciato della cinta interna sopravvive in alcuni tratti, inglobato nelle fortificazioni medievali del XIII secolo, ed è stato datato probabilmente all’ultimo venticinquennio del V sec. a.C.

Inoltre, lo sviluppo dell’insediamento ed il benessere della città sono documentati non solo dalla sapiente pianificazione urbanistica che prevedeva case del tipo a pastàs, disposte lun-go vie più o meno rettilinee, ma anche da sepolture monumentali con corredi di grande pregio.

Sontuose abitazioni ellenistiche e la ricca Tomba degli Ori di via Genova dimostrano la prosperità anche durante il III-II sec. a.C.; mentre sporadiche attestazioni materiali di età tar-doimperiale forniscono prove valide per la sopravvivenza del centro, notevolmente contratto, almeno fino al IV sec. d.C.

Probabilmente una quasi totale assenza di vita organizzata caratterizzò l’abitato fino al 1230-1240, quando Altamura divenne poco più di un casale per opera di Federico II, il quale fece edificare una cinta muraria che poggiava in alcuni tratti su quella più antica e la cattedrale d’impianto romanico, con l’obiettivo di rendere la città fulcro militare, religioso ed economico del nuovo assetto territoriale.

Le vicende successive vedono nel feudatario Sparano da Bari il principale protagonista della promozione e dello sviluppo urbanistico di Altamura. Egli potenziò i circuiti murari pre-esistenti, pianificò la città con quartieri abitativi alternati a spazi recintati per essere coltivati, e impostò gli assi viari principali su quelli antichi.

Le epoche successive vedono Altamura feudo di diverse famiglie, tra cui gli Orsini del Balzo, fino al suo riscatto avvenuto nel XVI secolo . Nel corso del XVIII secolo fu sede anche di una prestigiosa universitas, fatto che le valse l’appellativo di Atene Appula.

5.72. Altamura. Tratto della cinta muraria esterna, localizzato immediatamente a sud della Porta Aurea.

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Capitolo V 163

bibLioGrAFiAPer notizie relative all’inquadramento generale della città e ai rinvenimenti archeologici biAnCoFiore 1960;

Ponzetti 1980;LoPorto1987;CentoDuCAti2001. Per il tracciato delle mura MArin 1977; Ponzetti 1983-1984.

r.DeLM.

Monte Sannace-Thurie (?)L’antico abitato di Monte Sannace, 5 km a nord-est dell’odierna cittadina di Gioia del Col-

le (Bari), sorge in posizione dominante rispetto al territorio circostante su un piccolo altopiano (382 m s.l.m.) a forma quasi circolare caratterizzato, a eccezione del lato sud, da fianchi più o meno scoscesi e terrazzati. L’area occupata dall’insediamento corrisponde a ca. 847.000 mq.

Allo stato attuale delle ricerche rimane sconosciuta l’identità dell’insediamento, ma l’ipo-tesi più accreditata è quella che vedrebbe qui la localizzazione dell’antica Thurie (Liv., X, II, 4). Nonostante risalgano al Cinquecento le prime notizie archeologiche, è a partire dalla seconda metà dell’Ottocento che si notano da una parte tentativi di studio scientifico, dall’altra il sorgere del saccheggio clandestino. Solo nella seconda metà del Novecento sono state effettuate diverse campagne di scavo.

Sono ben visibili in foto aerea (fig. 5.73), e in parte anche sul terreno, i resti di quattro cinte murarie (il tracciato di una quinta è ancora da verificare). La I, databile alla seconda metà del IV sec. a.C., proteggeva l’acropoli; la II, di poco posteriore, inglobava il settore occidentale dell’abitato; la III, datata probabilmente al 300 a.C., costituiva un ulteriore apprestamento di-fensivo all’acropoli; la IV, che racchiudeva tutto l’insediamento, fu edificata probabilmente nel III sec. a.C.

La struttura è realizzata a doppia cortina con emplecton; da segnalare la presenza di alcuni setti murari trasversali che legano i due paramenti (fig. 5.74). La cortina esterna è in blocchi

5.73. Monte Sannace. Foto aerea del 1943; le frecce indicano il percorso dei circuiti murari dell’insedia-mento.

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164 Età greca

squadrati di calcarenite, denominata “tufo carparo”, posti prevalentemente di testa e, specie nelle prime due cinte (acropoli e zona occidentale dell’abitato), è molto ben costruita; quella interna, che normalmente parte da un piano di spiccato più alto rispetto a quello della cortina esterna, è invece costruita con pietre calcaree, a secco. Lo spessore delle mura varia da 6,30 a 8 m; una larghezza giustificata dall’assenza del fossato. L’altezza doveva variare tra i 5 e i 6,80 m, anche se oggi si conservano solo le fondazioni e, al massimo, pochi filari dell’elevato. Resti di scalette in calcarenite, ricavate nello spessore del secondo circuito, permettevano l’accesso alla parte superiore della cinta. Una porta, con andamento trasversale rispetto all’asse delle mura, è stata individuata nel settore nord-occidentale. Si tratta di una porta del tipo a propugnaculum, con doppia chiusura e vano intermedio scoperto. Se le porte all’estremità del vano fossero a doppio battente o a saracinesca è incerto, ma, almeno per l’interna, la presenza di un incasso in un blocco del muro rende più probabile la seconda ipotesi. È stata inoltre ipotizzata l’esistenza di un possibile accesso nella strettoia di innesto della prima cerchia con la seconda, in posizione strategicamente efficiente.

A Monte Sannace i materiali attestano una frequentazione fin dall’età neolitica, con conti-nuità di occupazione anche nell’età del Bronzo, ma è l’età del Ferro che restituisce significativi resti di abitato. Il rinvenimento sia in pianura sia sull’acropoli di materiale ceramico databile fra la fine del IX e l’VIII sec. a.C., di battuti pavimentali in argilla, di vari spezzoni di intonaco, talvolta con tracce di incannucciata, e di resti di strutture provano l’esistenza di più nuclei inse-diativi di capanne, tra i quali, quello sulla parte alta della città sfruttava sicuramente la posizione dominante e le difese naturali offerte dai pendii scoscesi della collina.

5.74. Monte Sannace. Tratto del secondo circuito murario nei pressi della porta. Si nota la tecnica costruttiva a doppia cortina con emplec-ton e i setti murari trasversali che legano i due paramenti.

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Capitolo V 165

La documentazione archeologica diventa più abbondante e ricca soprattutto nel VI sec. a.C., testimoniando l’importanza notevole che il sito ha raggiunto.

È probabile che al vertice dell’organizzazione sociale dell’insediamento fossero quei dy-nastai e basileis, ricordati più volte a proposito delle popolazioni Peucete (PAus., Perieg., X, 13, 10.; strAbo, Geogr., VI, 3, 4.), la cui esistenza potrebbe essere provata dal rinvenimento – nella zona centrale dell’acropoli – di un edificio di VI sec. a.C., caratterizzato dalla presenza di una se-poltura a sarcofago coeva che, benché depredata, ha restituito reperti di particolare pregio. Tale complesso, interpretato come residenza principesca e sede dotata di valenze sacro-rituali, se non anche pubblico-politiche, trova confronto, per tipologia, cronologia e pianta, con un’altra strut-tura monumentale, rinvenuta poco più a nord, la cui imponenza ha suggerito una sua funzione pubblico-sacrale, che troverebbe riscontro in edifici simili noti a Rutigliano (Contrada Purgato-rio), Ascoli Satriano (Contrada Serpente), Braida di Vaglio. Inoltre, sulla sommità della collina, scavi recenti hanno intercettato un edificio con probabile valenza sacro-cultuale, all’interno del quale sono collocate tre sepolture, allineate lungo l’asse longitudinale, forse da riconnettere a fenomeni di eroizzazione, funzionali a cerimonie di gruppi socialmente elevati. Tale uso ca-ratteristico della facies culturale peuceta conferma l’importanza del culto degli antenati come mezzo di legittimazione del potere delle aristocrazie indigene. A completare i monumenti della parte alta della città un edificio tardo arcaico, con probabile funzione cultuale e un muraglione in blocchi di calcarenite, che sembrerebbe cingere un’area irregolare, forse uno spazio sacro, nella zona tra il “portico” e l’edificio delle Grandi Tombe.

Sepolture sparse, resti di strutture abitative ed alcune antefisse, pertinenti probabilmente alla decorazione di naiskoi provano l’estensione dell’abitato arcaico anche in pianura, dove gli aggregati diventano sempre più ampi e non tengono conto degli spazi usati precedentemente per le sepolture. In questa fase, le differenziazioni sociali si fanno più nette e si afferma una classe dominante, come si può dedurre dalla monumentalità di diverse sepolture ed edifici. La siste-mazione, a partire dal VI fino a tutto il IV sec. a.C., di complessi rilevanti sulla parte più alta della città potrebbe indicare la volontà di individuare un’area privilegiata, di riferimento per la collettività.

L'aspetto offerto dall’insediamento per tutto il VI sec. a.C. di un centro ricco e collegato alle principali correnti di traffico si offusca sensibilmente a partire dai primi decenni del V. Per questo secolo si ha l’impressione che Monte Sannace abbia vissuto un periodo di stasi, proba-bilmente correlato agli scontri con Taranto. È nel IV sec. a.C. che la città raggiunge il periodo di maggior ricchezza.

Fra il 350 e 300 a.C. sono documentati sull’acropoli strutture di tipo cultuale-funerario quali l’edificio tardo arcaico (che continua a essere occupato), sepolture monumentali come le Grandi Tombe e le tre tombe a semicamera dipinte, sistemate all’interno dell’edificio interpreta-to come probabile palazzo. Gli ambienti che in precedenza erano stati identificati come portico si sono rivelati vani di tipo abitativo e artigianale pertinenti ad un edificio tardoellenistico.

La zona in pianura è interessata da quartieri residenziali irregolari, con case di limitata grandezza, attraversati da strade prive di rigida ortogonalità. Gli spazi liberi vanno diminuendo, anche se continuano a essere interessati da sepolture sparse tra le abitazioni o all’interno degli ambienti. D’altronde, in linea con la tradizione indigena, non c’è interesse ad individuare zone specifiche per le necropoli. Sembrerebbe che la “Strada della Casa Ellenistica” indichi un limite, lasciando a ovest le case costrette dalla rete viaria precedente ad una certa irregolarità e permet-

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166 Età greca

tendo un impianto più ordinato e ragionato nella zona a est della strada stessa. Le nuove insulae, con lotti regolari di case-magazzino, di dimensioni e modulo uguali, divisi da stretti corridoi, fanno suppore una razionale divisione degli spazi assegnati ad ogni abitazione privata.

Durante il III secolo sull’acropoli inizia a concentrarsi l’edilizia privata. Si costruisce dopo il 250 a.C., un edificio di grandi dimensioni sull’area delle Grandi Tombe, forse la residen-za di un magistrato locale e, poco più a sud, una casa a peristilio. Lo stesso accade per la zona settentrionale e occidentale dell’acropoli, con la realizzazione di abitazioni, all’interno di una delle quali fu scoperta una stanza da bagno privata, sintomo di una più accentuata differenzia-zione sociale in atto.

La presenza dell’aristocrazia, è documentata anche da lussuose residenze localizzate nel-la zona in pianura. Si tratta di abitazioni con una planimetria piuttosto articolata, costituita da diversi gruppi di ambienti che ruotano attorno a un cortile porticato (peristilio). Ad ogni modo, la maggior parte delle case sono piuttosto modeste e appartengono al tipo più semplice formato da due ambienti in asse, di cui il primo costituiva il cortile scoperto e il secondo era l'abitazione vera e propria, oppure sono del tipo a pastàs, con due o tre ambienti affiancati, aperti su un cor-ridoio antistante.

La fine violenta dell’insediamento, in particolare della zona in pianura a ovest dell’acropo-li, è forse da mettere in relazione alle guerre puniche; prova ne sono le tracce di incendio e il ma-teriale ceramico che non giunge oltre la metà del III sec. a.C.; sull’acropoli, invece, la continuità di occupazione di poche strutture fino al I sec. d.C., con tenore sempre più modesto, fa pensare alla sopravvivenza di piccoli nuclei isolati, fino all’abbandono totale, messo ipoteticamente in rapporto con le vicende della Guerra Sociale.

La documentazione materiale attesta che a un lungo periodo di abbandono seguì una nuo-va occupazione in età bizantina. Sulla collina sono state individuate ceramiche di età medieva-le, strutture interpretate come muro di cinta di un probabile castrum altomedievale e un’area cimiteriale. La stratigrafia, notevolmente compromessa, non consente di comprendere in modo chiaro tutte le evidenze archeologiche emerse, tuttavia si può datare l’occupazione non oltre l’XI secolo.

Si ignorano le cause che portarono all’abbandono del casale, che, almeno nel XVI secolo, risulta ormai disabitato. Probabilmente, gli abitanti erano stati assorbiti dal centro urbano di Gio-ia del Colle, che aveva iniziato ad esercitare la propria influenza sui vicini casali medievali (San Nicola de’ Palearis o delle Pagliare, San Pietro Novizio, Frassineto, Santa Sofia, San Marco).

bibLioGrAFiAPer un inquadramento generale della città Donvito 1982. Per i rinvenimenti archeologici e le campagne di scavo

sCArFì1962;DeGrAssi 1962, p. 234; DeJuLiis1978;DeJuLiis1979, pp. 429-430; DeJuLiis 1985b, pp. 217-222; Monte Sannace 1989; CiAnCio1996;AnDreAssi 1999, p. 774; GALeAnDro,PALMentoLA,LAGA-nArAFAbiAno2000;GALeAnDro,PALMentoLA,LAGAnArAFAbiAno2001;CiAnCio2001;CiAnCio2003-2004;MAstronuzzi2005a, pp. 76-78; PALMentoLA 2010.

r.DeLM.

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Capitolo V 167

V.2.3. Taranto e i centri della Messapia

Taranto

La città di Taranto si affaccia sul Mar Ionio ed è situata a 15 m s.l.m., in una zona pianeg-giante circondata da nord-ovest a est dall’altopiano delle Murge. Il suo territorio è caratterizzato dalla presenza di tre penisole naturali e di un’isola artificiale, la c.d. “città vecchia”, formatasi in seguito al taglio della penisola originale eseguito durante la costruzione del fossato del Castello Aragonese (XV secolo-1481). Taranto è conosciuta anche come “la città dei due mari”, essendo bagnata dal Mar Grande lungo la costa esterna delimitata a nord-ovest da Punta Rondinella e a sud da Capo San Vito, nonché dal Mar Piccolo, che costituisce un vasto bacino interno (fig. 5.75). La morfologia del territorio circostante è alquanto diversificata: la regione settentrionale è di tipo carsico, solcata da lame e gravine più o meno profonde; mentre quella meridionale è piuttosto pianeggiante e alluvionale, ricca di sedimenti sabbiosi e argillosi ed è caratterizzata dalla presenza di sorgenti sotterranee e superficiali di acqua dolce.

5.75. Foto ae-rea della città di Taranto (1943).

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168 Età greca

Al rapido e incessante svi-luppo urbanistico dell’ultimo secolo è da attribuire la quasi totale cancellazione di interi set-tori della città antica, come gran parte delle mura classiche (fig. 5.76), di numerosi sacelli e depo-siti votivi e di diverse strutture.

Le principali fonti lette-rarie su Taranto antica si riferi-scono al testo dell’oracolo del santuario di Apollo a Delfi, ine-rente la fondazione della città: sono Antioco ed Eforo riporta-ti da Strabone (Geogr., V-VI) e Diodoro (Bibliotheca Histori-ca, VIII, 12). La distinzione tra ‘fondazione’ ed ‘edificazione’ viene sottolineata già dai primi studiosi di archeologia dell’Italia meridionale sulla base della te-stimonianza di Servio (ad Verg.,

En., VI, 773: Taras fecit, auxit Phalantus). L’attuale nome della città conserva la forma latina di Tarentum, che secondo alcuni deriva dal nome del vicino fiume Tara, o dal sanscrito taranta-h (“mare”), o ancora dal nome del mitico fondatore Taras.

Secondo le fonti letterarie lo spartano Falanto, di origine spartiata (gli spartiati costituiva-no la classe più privilegiata di Sparta), dopo la fine della Seconda Guerra Messenica (684-668 a.C. ca.), parte da Sparta e fonda la colonia di Taranto, mantenendo il nome dell’eroe Taras, figlio di Poseidon e della ninfa Satyria.

Gli scavi e le scoperte, effettuati tra la fine dell’Ottocento e oggi, offrono una percentua-le dell’emergente di gran lunga inferiore rispetto all’immagine della città testimoniata dalle fonti letterarie.

La ricerca archeologica a Taranto non ha mai goduto di programmi di studio sistematici benché la continuità di vita non sia stata omogenea su l’intera superficie urbana. Le indagi-ni, pertanto, sino alla metà del Novecento miravano allo studio delle maggiori evidenze (cinta muraria e fossato di età classica, anfiteatro romano, teatro e tempio dorico, c.d. di Poseidone), oppure si basavano sui numerosi scavi di emergenza (fig. 5.77).

Sporadiche segnalazioni e pochi rinvenimenti documentano l’esistenza di villaggi neoli-tici ed eneolitici; “stazioni” all’aperto del Neolitico Medio e Recente sorgevano lungo la costa meridionale del Mar Piccolo, tra l’area della Base navale e la località Il Pizzone, all’interno dell’Arsenale Militare, nella parte occidentale della città vecchia, nei livelli inferiori della chiesa di San Domenico e sul Mar Grande a Capo Rondinella e Scoglio del Tonno.

Meglio nota la fase attribuibile all’età del Bronzo, anche se i dati pubblicati non permet-tono una ricostruzione precisa dell’estensione dei villaggi o della densità del popolamento. Si

5.76. Taranto, contrada Solito-Corvisea. Resti del muro di cinta.

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Capitolo V 169

segnalano, in particolare, gli in-sediamenti individuati a Scoglio del Tonno e San Domenico e nel-le località Il Pizzone e Cimino.

Scavi sistematici, anche se in condizioni di emergenza, sono stati eseguiti nell’abitato di Scoglio del Tonno, in segui-to ai lavori di costruzione del porto mercantile, iniziati nel 1899, che portarono alla distru-zione dell’abitato posto a difesa del porto interno. L’indagine ha confermato quanto emerge dallo studio di altri insediamenti coevi disposti lungo le coste meridio-nali dell’Italia e di quelle orien-tali della Sicilia, e cioè che i rap-porti con i Micenei si inseriscono in un quadro di scambi culturali e tecnologici tra civiltà. La prolungata presenza (dal XVIII sino al XII sec. a.C.) dei popoli micenei lungo le coste tarantine ispirerà il bagaglio ‘mitico’ locale sulla fondazione cretese dei popoli Iapigi.

Tra il XIV e il XII sec. a.C. (dal Bronzo Medio a quello Finale) l’occupazione sembra concentrata prevalentemente lungo la fascia meridionale del Mar Piccolo, a Scoglio del Ton-no, dove si trovano alcune tombe a grotticella, e a San Domenico nell’estremità occidentale dell’isola. Si tratta di villaggi di capanne di genti di stirpe “ausonica”. L’Ausonia, secondo gli autori antichi, si estendeva dal basso Lazio fino alla Calabria; secondo Dionigi di Alicarnasso (I 22,3) che riporta Ellanico, gli Ausoni furono scacciati dagli Iapigi tre generazioni prima della guerra di Troia, attorno al 1270 a.C. Le indagini a Scoglio del Tonno hanno consentito di indivi-duare un fossato di difesa e capanne a pianta rettangolare, allineate su strade orientate secondo la morfologia del promontorio. Secondo alcuni studiosi, nel XII sec. a.C., con l’arrivo di genti ‘illiriche’ (l’Illiria corrispondeva alla parte occidentale della Penisola Balcanica), scompaiono le popolazioni ausoniche, e in questo momento si determina la definizione socio-culturale del popolo degli Iapigi. A tale periodo risalgono i rinvenimenti di ceramiche proto-geometriche e geometrico-iapigie della Chiesa di San Domenico e Borgo Nuovo, forse da considerare come limiti estremi di un ampio insediamento perdurato sino all’età del Ferro.

Per quanto riguarda l’età del Ferro sono segnalati soltanto rinvenimenti sporadici. In que-sto contesto si inserisce la fondazione della colonia spartana, come denunciano i materiali ce-ramici rinvenuti al Borgo Nuovo (da cui prende il nome un particolare stile decorativo delle ceramica iapigia), a San Domenico e a Scoglio del Tonno, che permettono di confermare la data di fondazione alla fine dell’VIII sec. a.C., proposta da Eusebio di Cesarea (Chron. Ad a. 706, p. 91 Helm.) al 706 a.C.

A tal proposito il rinvenimento, nell’area del chiostro di San Domenico, di ceramiche laconiche sovrapposte a una fase di distruzione del precedente abitato iapigio viene interpretato come prova del primo stanziamento laconico direttamente sull’isola.

5.77. Taranto. Resti di due strade sovrapposte scoperte in via Duomo nel 1931. La strada inferiore è di età romana e quella superiore di età bizantina; forse entrambe ricalcavano un tracciato di età greca.

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170 Età greca

La costruzione di un altare nel punto di sbarco di Falanto, ricordata dalle fonti, e la pre-senza del toponimo Satyrion in una località nel comune di Leporano, ha supportato per lungo tempo la teoria, ormai abbandonata per mancanza di dati archeologici convincenti, di localizza-re proprio a Satyrion il primo luogo dello sbarco. L’individuazione dell’attuale isola come sede originaria della città si fonda sulle descrizioni di Strabone (Geogr., VI, 3, 278 e 281) e Tito Livio (XXVII, 35, 4; arx prealtibus rupibus et ab ipsa urbe et fossa ingenti saeptam) ed è condivisa da tutti gli studiosi, ma va ricordato che non sono mai state proposte interpretazioni riguardanti la funzione o l’importanza di Scoglio del Tonno rispetto a San Domenico, da considerare probabil-mente come facenti parte di uno stesso insediamento a cui, per posizione naturale prospicienti il mare, assicuravano il controllo dell’unico passaggio verso l’insenatura interna del Mar Piccolo.

La fondazione della colonia alla fine dell’VIII sec. a.C. è dettata dalla necessità di oc-cupare e sfruttare nuovi territori e l’area prescelta si mostrerà fertile, ben difendibile e in una posizione geograficamente privilegiata grazie al suo porto naturale. La colonia diventa, dunque, attraverso complessi eventi storici e rapporti diplomatici con le altre città italiote, una vera e propria realtà territoriale ‘greca’, sin dall’inizio dell’età arcaica.

Mentre si conoscono, per grandi linee, le tappe storiche che coinvolsero Taranto nelle vicende storiche dell’Italia meridionale, risulta frammentaria la sua realtà archeologica, della quale si distinguono quattro grandi aree: l’acropoli, il quartiere abitativo nell’attuale Borgo, quello artigianale (tra via Minniti e le mura orientali) e l’ampia necropoli posta a est delle mura (fig. 5.78).

5.78. Aerofotogrammetrico del comune di Taranto. In rosso il probabile percorso della cinta muraria antica. A. L’insediamento di Scoglio del Tonno; B. Isola/Acropoli; C. Borgo Nuovo; D. Quartieri artigianali e necropoli urbana.

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Capitolo V 171

Riguardo al VII sec. a.C. possediamo notizie in merito ad alcune sepolture e materiali ceramici, soprattutto dal Borgo Nuovo, mentre testimonianza del villaggio laconico di prima formazione sembra attestata so-prattutto nella metà occidentale della città (la cd. isola), come dimostrano tutti i sondaggi stra-tigrafici. Anche in un punto cen-trale del Borgo, nell’area della Caserma Mezzacapo, risultano testimonianze databili al VII sec. a.C. Un dato interessante riguar-da la fascia sabbiosa a nord dell’isola, da sempre esclusa, secondo gli studiosi, dal perimetro dell’abitato sino a epoca bassomedievale. Attribuibile alla fine del VII sec. a.C., con continuità di vita sino al III sec. a.C., è il santuario extra-urbano del Pizzone, dedicato a Persefone, vene-rata con l’epiteto di origine greca Gaia; santuari strutturati in modo simile e dedicati alla stessa divinità sono quelli di Oria e di Saturo.

Un’altra area sacra, sempre lungo la riva meridionale del Mar Piccolo, è stata individuata nel Fondo Giovinazzi.

Al VI sec. a.C. si datano resti di strutture murarie in blocchi per lo più pertinenti a luoghi sacri nella città vecchia, a San Domenico e in Piazza Castello, sulle estremità occidentali e orien-tali dell’isola, e tratti della cinta muraria. La presenza di strutture templari dimostra la volontà di utilizzare l’isola come acropoli (letteralmente città alta, ma il termine è utilizzato nell’urba-nistica greca per indicare l’area maggiormente rappresentativa dell’abitato e quindi destinata a ospitare edifici sacri). A causa della natura rocciosa dell’isola si realizzano ampi livellamenti e riempimenti, e in alcuni punti si aprono delle cave per l’estrazione di blocchi. Particolarmente interessante il rinvenimento in largo San Martino, a est del chiostro di San Domenico, di un muro lungo 10 m, orientato nord-sud, forse da interpretare come il recinto sacro (tèmenos) del tempio rinvenuto nelle fondazioni di San Domenico, oppure come paramento interno della cinta muraria nord-occidentale della città arcaica.

In questa fase si costruiscono due templi, quello di San Domenico e quello dorico, forse dedicato a Poseidon, di Piazza Castello, segnalato già alla fine del 1500 e portato alla luce nel 1966, quando venne abbattuta la Chiesa della Trinità (fig. 5.79). Le strutture hanno subìto ingen-ti spoliazioni in epoca romana e il piano di calpestio risulta fortemente rimaneggiato, soprattutto in epoca medievale, dallo scavo di fosse di scarico. L’organizzazione della viabilità, conforme all’andamento della costa, è condizionata dalla morfologia scoscesa del terreno e dalla forma allungata della penisola.

Sempre più concreta, inoltre, l’ipotesi dell’esistenza di una cinta difensiva nell’isola, come testimoniato dalle fonti (strAbo, VI, 3, 278; Liv., XXVI, 15, 6; PLut., Fab., 22; FLoro, I, 13, 2) che descrivono la cinta muraria, senza soffermarsi troppo sui particolari. La cinta circondava l’area dell’attuale isola (con una superficie circa 16 ettari) e la sua peculiarità consisteva nella

5.79. Taranto. Le colonne doriche del c.d. tempio di Poseidon, databile al VI sec. a.C.

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172 Età greca

difesa di punti particolarmente esposti; le porte di accesso dovevano trovarsi nelle estremità orientale e occidentale dell’isola.

L’assenza di rinvenimenti relativi ad abitazioni sull’isola fa ipotizzare che l’abitato si svi-luppasse nella zona orientale (attuale Borgo Nuovo), al di là della depressione naturale, oggi co-stituita dal Canale Navigabile. Riguardo alla sistemazione urbanistica di quest’area, tra la metà del VI e gli inizi del V sec. a.C. si attua un’espansione dell’edilizia privata che investe l’area a est dell’acropoli, con la realizzazione di un impianto forse già di tipo regolare. A margine del-la parte abitata, lungo gli assi viari principali, paralleli alle linee di costa a nord e a sud della città bassa, si trova la necropoli, a est di Villa Pepe sino a Piazza d’Armi (oggi corrispondente all’entrata principale dell’Arsenale Militare), formata da prestigiose tombe a camera e a fossa, con rito misto a incinerazione e a inumazione, e con corredi composti prevalentemente da vasi di importazione.

I dati archeologici confermano che dopo il 470 a.C., all’indomani della “costituzione de-mocratica” che consentiva la partecipazione di nuove classi sociali all’amministrazione, viene ampliata l’area abitata secondo un preciso ‘piano urbano’, organizzato secondo larghi assi viari orientati est-ovest (plateiai), come quello individuato in corso Umberto 117 (nel settore nord-occidentale) e in viale Marche (a sud-est della città, all’interno delle mura orientali), incrociati ortogonalmente da assi di minore larghezza (stenopoi); tra le plateiai erano interposte strade secondarie a esse parallele. Per quanto riguarda il rapporto tra isola e città bassa, gli studiosi ipotizzano la continuità d’uso della città vecchia come acropoli, mentre l’area orientale (la città bassa, attuale Borgo) viene destinata a quartiere abitativo con impianto urbanistico regolare. L’ampliamento dell’area urbana è testimoniato innanzi tutto dalla costruzione di una nuova cinta muraria e, in secondo luogo, da settori della necropoli che, in parte, si sovrappone a quella di età arcaica, e in parte utilizza nuovi spazi sul margine orientale e meridionale dell’area abitata.

La cinta muraria della città bassa abbraccia tutto il territo-rio sino alle saline e alle paludi a sud-est e a est della città, rac-chiudendo l’intera area compre-sa tra Mar Grande e Mar Pic-colo (sono stati stimati oltre 11 km di lunghezza e 450 ettari di territorio). Il tratto meridionale e orientale della cinta muraria aveva andamento rettilineo, con angolo acuto presso il margine settentrionale della Salina picco-la, ed era a doppia cortina in ope-ra quadrata a grandi blocchi, con riempimento in pietrame e terra. Le mura, dello spessore di circa 5 m, erano dotate di alcune porte di accesso e di un ampio fossato largo 10-15 m; numerosi blocchi 5.80. Taranto, via Emilia. Resti del muro di cinta con blocchi iscritti.

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Capitolo V 173

riportano segni e lettere, interpretati come marchi di cava (fig. 5.80). Mancano notizie relative a edifici pubblici e abitazioni; maggiormente conosciute, invece, le aree di culto e le fosse votive all’interno della necropoli.

I corredi funerari del V sec. a.C. non sono particolarmente ricchi, probabilmente per-ché rispondono, dopo il 470 a.C., ai regolamenti cittadini del nuovo ordinamento democrati-co. Per tale motivo si distinguono, invece, alcune tombe a camera (tipologia poco utilizzata in quest’epoca), di alcuni atleti che avevano partecipato ai giochi panellenici celebrati a Olimpia.

Nel IV secolo, estendendo il proprio dominio verso l’interno, Taranto diviene secondo Floro (1, 13, 2) la capitale della Calabria, dell’Apulia e della Lucania. In questo periodo la città esercita una notevole influenza non solo commerciale su tutta la Puglia, ma anche artistica e, probabilmente, religiosa, come dimostrano nomi di divinità greche in iscrizioni messapiche o la uniforme diffusione del culto di Dioniso. Lo sviluppo della città è comprovato anche dalla ricchezza dei corredi tombali e della scultura funeraria.

Uniche testimonianze relative alla città ellenistica e agli edifici pubblici sono fornite dalle fonti letterarie antiche, né le indagini archeologiche hanno messo in luce alcuna struttura certa-mente riferibile a questo periodo.

La prova dell’esistenza di un teatro sul Mar Piccolo è costituita da una depressione cir-colare nel terreno all’interno dell’ospedale militare, con area sacra a sud. Secondo alcuni stu-diosi il teatro, invece, doveva trovarsi a sud-ovest dell’acropoli, nei pressi dell’attuale castello, oppure, sulla base della descrizioni di Floro (I, 13, 3), a est del Peripato sul porto interno. Sono testimoniati anche due mercati minori, della carne e delle stoffe, sul margine nord-ovest del Borgo (tra piazza Garibaldi e la costa del Mar Piccolo), una grande agorà dove sorgeva la nota statua colossale dello Zeus fulminatore lisippeo, un Museo, il Ginnasio e il Peripato, tutti non ancora localizzati.

5.81. Taranto. Veduta aerea di dettaglio dell’Isola; ben visibili i due ponti che la collegano alla terraferma.

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174 Età greca

In merito all’organizzazione interna dello spazio urbano, sfugge, ancora una volta, il rap-porto tra la città vecchia e la città nuova, ossia fra l’attuale “isola” e il Borgo Nuovo.

Alla fine dell’Ottocento, durante la costruzione dell’Arsenale Militare, sono stati indi-viduati alcuni tratti murari in blocchi, pochi metri sotto il livello del mare, interpretabili come residui di moli pertinenti al porto interno di età ellenistica. Il notevole salto di quota lungo la sponda meridionale del Mar Piccolo viene marcato da strutture di terrazzamento, collegate alle quote inferiori da passaggi spesso dotati di scalinate, come quella rinvenuta agli inizi del Nove-cento, datata al IV sec. a.C., tuttora conservata all’interno del recinto dell’Ospedale Militare. Lo stesso sistema di terrazzamento è stato ipotizzato per la fascia costiera meridionale della città, affacciata sul Mar Grande, poi interrata e livellata nella risistemazione urbana di epoca romana. Il rinvenimento a Scoglio del Tonno del basamento di una struttura rettangolare in opera qua-drata dimostra che l’ingresso al porto interno, sino a epoca annibalica, era militarmente difeso. L’esistenza, infine, di un ponte che collegava la punta orientale del rione Tamburi e l’isola è testimoniato da Livio (XXVII, 3, 8; 15, 4). Il porto della città doveva costituire la sua maggiore ricchezza. Viene, infatti, elogiato da Polibio come uno dei pochi lungo la rotta dalla Grecia verso l’Occidente, come testimonia anche il rinvenimento di un’anfora chiota iscritta (fig. 5.81).

Il primo impianto urbanistico regolare viene fatto risalire all’età classica. Il quartiere abi-tato era organizzato a lunghi ‘lotti’, suddivisi da strade larghe 10 m e forse anche 14-15 m. Riguardo alla popolazione (demos) che abitava i quartieri, era molto probabilmente composta, come ritiene il Mele, da pescatori (Arist., Pol., 1291 B 14-30; Leon., AP VI, 4; VII 295; 504; 506 dotati di organizzazione interna – thiasoi – AP VII, 295), carpentieri (Leon., AP VI, 204;

205), tessitori e filatori (Leon., AP VI, 288; 289; 716, soprattut-to con manodopera femminile). Industrie della baphia (porpora) sono state identificate sul Mar Piccolo, alle spalle del conven-to di Sant’Antonio. L’ingente presenza di frammenti di anfo-re lungo la costa meridionale del Mar Piccolo, rilevata alla fine dell’Ottocento, oggi perdu-ta dopo l’impianto dell’arsenale moderno, testimonierebbe l’uso portuale e artigianale, nelle di-verse epoche, di tutta la fascia costiera settentrionale.

Il recente rinvenimento di una parte della necropoli clas-sico-ellenistica in viale Marche (fig. 5.82), mostra la divisione per lotti e fornisce la vera prima prova sulla teoria dell’impianto ortogonale della città greca.

5.82. Taranto, via Marche. Tombe a fossa con copertura a lastroni, relative forse a un medesimo nucleo familiare.

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Capitolo V 175

Fonti epigrafiche e rinvenimenti sporadici, non ricomponibili dal punto di vista topogra-fico, testimoniano la venerazione di alcune divinità del pàntheon greco, alle quali erano certa-mente associati altrettanti santuari, probabilmente localizzabili all’interno dell’area urbana. Nei pressi dell’anfiteatro, ma non localizzata con certezza, la tradizione locale riporta l’esistenza di un’area dedicata al culto di Poseidon. Localizzabile, invece, l’edificio templare dedicato a Dioniso, del IV sec. a.C., rinvenuto agli inizi del Novecento durante gli scavi dell’anfiteatro romano; segnalati, inoltre, il prònao ionico di un edificio templare a est dell’agorà e un grande edificio, rinvenuto nel 1901 in via Cavallotti.

A cavallo fra IV e III sec. a.C. si svolgono le guerre contro i Romani e i Lucani, e Taranto richiede l’aiuto di capi militari dalla madrepatria. L’intervento dei condottieri ‘stranieri’, spesso animati da mire personali, come Pirro (che interviene in favore di Taranto intorno al 280 a.C.), e il reclutamento di soldati mercenari, per i quali vengono coniate monete in oro a spese della città, saranno le cause del declino della stessa. Per tale motivo il III sec. a.C., viene classificato come epoca di ‘decadenza’, anche perché segnato dai grandi eventi bellici che precedono e ca-ratterizzano il definitivo ingresso di Roma nel mondo italiota delle città greche costiere. Quando i Lucani si arrendono e si consegnano a Roma, in Magna Grecia Taranto è l’ultima città ancora greca che con varie delegazioni invita Neapolis a restare fedele alla cultura ellenica, organiz-zando la resistenza della grecità. Nel 244 a.C. i Romani fondano la colonia di Brundisium, per assicurarsi uno sbocco portuale sull’Adriatico lungo le rotte del Mediterraneo centro-orientale, limitando notevolmente il potere marittimo di Taranto, con ripercussioni, forse, anche sulla viabilità terrestre e sul ruolo commerciale che la città rivestiva ormai da secoli. Sembra comune-mente accettato dagli studiosi che l’influenza della cultura romana presso le classi aristocratiche di Taranto abbia avuto inizio già in questo secolo, come mostrano alcuni corredi funerari.

Il periodo compreso tra la fine del III sec. e il II sec. a C. si definisce con il nome di “tardo ellenismo” per la progressiva scomparsa dei caratteri greci nella cultura e nelle arti. È questo il momento in cui si collocano l’assedio annibalico e gli eventi che porteranno alla conquista romana della città. L’acropoli si presentava inespugnabile, per morfologia e fortificazione (Liv. XXV, 11). La defezione di Taranto a Roma, durante la Seconda Guerra Punica (213-211 a.C.), e il ricorso ad Annibale, condottiero cartaginese, sono la causa dell’occupazione romana di Taranto, del sacco della città e della deportazione di cittadini nel 209 a.C., per opera di Fabio Massimo. La romanizzazione della polis greca avviene attraverso manifestazioni eclatanti dal punto di vista materiale, delle quali è possibile trovare riscontri nelle indagini di scavo archeologico: l’abbattimento delle mura, la progressiva demolizione degli edifici pubblici per ricavarne materiali da costruzione e la confisca del territorio. Numerose fosse di scarico contenenti frammenti di intonaco e ceramiche di IV-III a.C. e l’obliterazione dei numerosissimi pozzi per il rifornimento privato e pubblico dell’acqua denotano una sistematica ‘bonifica’ delle distruzioni.

La città entra così nella fase mediorepubblicana (II sec. a.C.). Nel 123-122 a.C. viene fon-data la Colonia Maritima graccana Neptunia Tarentum in un luogo ancora non individuato, forse nell’area centrale della ‘città bassa’ ellenistica, anche se le fonti la localizzano «vicino alla città».

In questa epoca si attua il prolungamento della via Appia che, superata la città a nord del Mar Piccolo, raggiungeva Brindisi. Il rinvenimento di assi viari lastricati all’interno della città e nella sua periferia orientale, sembra poter far ipotizzare l’esistenza anche di una diramazione viaria che attraversava il tratto urbano, costeggiava a sud il Mar Piccolo e si ricongiungeva a

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176 Età greca

quello settentrionale. Anche in questo caso la mancanza di indagini stratigrafiche costringe a presentare questi dati come ipotetici.

La costruzione di tombe a camera nel II sec. a.C. con materiali di reimpiego denota la for-sennata attività di smontaggio dei resti della città greca. Una leggera ripresa della vita cittadina si registra tra la fine del II e l’inizio del I sec. a.C., testimoniata dalla necropoli romana usata sino alla fine del II d.C. nell’area tra via Minniti e via Regina Elena (area del Presidio Ospeda-liero Centrale). Essa era relativa a un quartiere abitato, di forma rettangolare, non più ampio di 12,5 ettari, situato al centro del Borgo ed equidistante dalle due coste, servito da una viabilità orientata in modo diverso rispetto a quella greca. L’asse settentrionale, con andamento est-ovest, potrebbe coincidere con il tratto urbano della via Appia. La fascia costiera settentrionale conti-nua a svolgere il ruolo di area artigianale.

Nell’89 a.C. i Romani istituiscono il Municipium Tarentum con una lex data della quale sono stati ritrovati alcuni frammenti. Da questo momento la città assume un ruolo di centro pro-vinciale e si proietta verso una rinascita, indicata dalla risistemazione della maglia viaria urbana, costituita da strade larghe 6,50 m.

La vera rinascita urbanistica della città ha inizio alla metà del I sec. a.C. Il fenomeno è spiegabile con l’importanza rivestita dalle città costiere in questo periodo, durante lo scontro tra Augusto e Antonio. Ricordiamo che, durante le ostilità contro Sesto Pompeo, Ottaviano era stato insignito da Cesare del patronato della città e che nella stessa epoca erano state dislocate delle legioni a Siponto, Taranto e Brindisi. Grazie all’intercessione di Ottaviano, Taranto viene risparmiata dalle confische e dagli espropri territoriali e, a partire dalla seconda metà del I sec. a.C., incomincia la ristrutturazione sistematica dell’intera parte occidentale dell’attuale Borgo, tra piazza Garibaldi e via Regina Elena, con un generale spianamento e innalzamento del piano di calpestio. Si apre, così, un’altra fase urbana che restituisce una nuova forma alla città, ampia 73 ettari (escludendo l’area dell’acropoli): si definisce un ampio spazio centrale con funzione pubblica, compreso tra via Di Palma e l’ingresso dell’Arsenale Militare, costituito da un’area aperta porticata, strutture templari e apparati decorativi tra i quali rientrano le varie iscrizioni de-dicatorie e il ciclo delle statue giulio-claudie. E attorno all’area pubblica si addenseranno, sino a epoca imperiale avanzata, le abitazioni di maggior pregio. L’area abitativa, dunque, è localizzata tra il canale navigabile e piazza Maria Immacolata, mentre da Piazza d’Armi, in direzione est e sud-est, iniziava la necropoli. Per l’edificazione di entrambe le aree sono stati prelevati materiali da costruzione della città greca, e diverse tombe, specie quelle monumentali, svuotate e riuti-lizzate. Vengono datati genericamente all’età imperiale diversi tratti di assi viari urbani larghi 3,50-4,40 m, come quello rinvenuto nel 1906 in proprietà D’Ayala Valva, dove si riconosce la presenza di due quartieri affrontati, con la sede stradale invasa da macerie, oppure quello di via Cavallotti, indagato nel 1992, con due strati di frequentazione. Le strade delimitavano isolati lunghi 60 m circa.

Relativo alla fase augustea è il largo uso dell’opera reticolata, impiegata nelle strutture dell’anfiteatro, terminato durante il I sec. d.C., come testimoniano diversi autori antichi. Strut-ture murarie a esso pertinenti sono state segnalate alla fine dell’Ottocento; durante le indagini nel 1927 e nel 1963 in via Acclavio, all’angolo con via Anfiteatro, fu messa in luce la parte settentrionale della struttura, attualmente interrata, la cui estensione giunge sino al convento dei Carmelitani. L’opera reticolata si ritrova anche nelle strutture emergenti dell’acquedotto che, partendo dalle ricche sorgenti di Saturo, 12 km a sud-est della città, e attraversata con arcate in

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Capitolo V 177

muratura la depressione delle sa-line, portava l’acqua sino all’in-terno dell’abitato, destinata a uso pubblico e, probabilmente, an-che privato (fig. 5.83). Nel punto terminale dell’acquedotto in età imperiale vengono costruite del-le grandi terme, forse di solo uso pubblico, denominate Pentasci-nensis (cioè “da roccia viva”), come indicato da un’iscrizione, e rimaste in funzione sino a età tardoantica (fig. 5.84).

In linea con la volontà po-litica autorappresentativa della dinastia giulio-claudia, forse in occasione della nuova deduzione coloniale neroniana del 60 d.C., si porta a compimento la realiz-zazione di grandi opere pubbli-che, tra cui gli acquedotti del Triglio e di Saturo e l’anfiteatro, iniziato con Augusto.

Il rinvenimento di un quar-tiere abitativo di I sec. d.C. a est della località costiera denomina-ta Santa Lucia, sul Mar Piccolo, all’interno dell’Arsenale Milita-re, all’altezza di via Cugini, ha fatto ipotizzare la presenza di uno scalo portuale interno, pro-babilmente servito da un asse viario orientato est-ovest, diretto verso le località Pizzone e Col-lepasso dove ne è stato ritrovato un tratto, in corrispondenza della necropoli relativa a quest’area. Forse a vocazione prettamente portuale e artigianale, questo quartiere era abitato da nuclei di persone giunte a Taranto in seguito alla deduzione coloniale neroniana, impegnati in attività ausiliarie dello scalo commerciale. Nei corredi del settore orientale della necropoli, utilizzata sino al III sec. d.C., sono stati rinvenuti numerosi oggetti d’importazione, numerose iscrizioni sepolcrali e cippi funerari. L’area di necropoli destinata ai ceti più umili, invece, si trovava a sud della città, lungo la riva del Mar Grande, in corrispondenza di un asse viario paracostiero che collegava l’area urbana al territorio coltivato.

5.83. Taranto, corso Italia. Resti dell’acquedotto dell’Aqua Nymphalis durante i lavori di restauro e sistemazione realizzati nel 1987.

5.84. Taranto, via Duca di Genova. Scavo della piscina esterna delle terme.

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178 Età greca

L’assegnazione di terre ai veterani, avvenuta nel 60 d.C. da parte di Nerone, è stata loca-lizzata nel territorio a sud della città grazie al rinvenimento di alcune iscrizioni funerarie.

In base alle fonti, ai rinvenimenti epigrafici, spesso decontestualizzati, e ai rari indizi ar-cheologici, è possibile solo tracciare l’elenco delle aree sacre, siano esse indicate come templi o santuari, dedicati a Ercole, Vesta, Esculapio e Diana. Riguardo al culto eroico di Eracle è stata proposta una sua ubicazione lungo il margine meridionale della città, sul Mar Grande, tra piaz-za Giovanni XXIII e l’area dell’anfiteatro. Prive di indicazioni cronologiche sono una serie di strutture segnalate già nella metà del Seicento e di cui non vi è possibilità di verifica: l’impianto termale a sud di piazza della Vittoria, un portico colonnato, edifici di culto, monumenti isolati forse onorari (piramidi e basamenti). Tali indicazioni ci mostrano una realtà monumentale ina-spettata della città di Taranto, grande avversaria di Roma.

Durante la tarda età imperiale (III sec. d.C.) sorgono i grandi impianti produttivi nel ter-ritorio, come registrato anche per le città greche limitrofe. Gli scavi archeologici per questo periodo sopperiscono alla mancanza di fonti descrittive dell’assetto urbano, restituendo, nel corso della edificazione del Borgo Nuovo, alcuni mosaici e strutture murarie pertinenti a villae urbane e suburbane, eventi in cui riconoscere forse un momento di nuova ripresa economica e urbana di Taranto.

bibLioGrAFiAPer una recente rilettura delle evidenze e per un’interpretazione topografica della città DeJuLiis2000;LiPPoLis

2002;MAstroCinQue2010;seMerAro2012. In generale, cfr. il sempre valido contributo di WuiLLeuMier1939;DeGrAssi1966;LoPorto1971a;GreCo1981;MeLe2002; AversAet alii 2011. Sui culti LiPPoLis1982;LiPPoLis,GArrAFFo,nAFissi1995;MAstronuzzi2005a, pp. 113-114. Per gli scavi dalla metà del Novecento LiPPoLis 1981; LiPPoLis 1997a; LiPPoLis 2002.

F.DeL.,P.GuA.

Li Castelli-Fellinum (?)

L’insediamento messapico di Li Castelli, così denominato dalla omonima masseria ivi presente, è situato 5 km a sud di Manduria, lungo la strada provinciale che porta alla località costiera di San Pietro in Bevagna (fig. 5.85). È posto su di una collina che raggiunge un’al-tezza di 112 m s.l.m., in posizione dominante tra l’entroterra e il mare, entro un comprensorio archeologico particolarmente ricco di testimonianze antropiche dall’età protostorica a tutta quella altomedievale, che comprende anche il carico intatto di una nave lapidaria romana del-la metà del III sec. d.C. con 23 sarcofagi marmorei sommersi vicino alla costa di San Pietro in Bevagna.

L’insediamento, caratterizzato dalla presenza di tre cerchie murarie, non è menzionato dalle fonti classiche. Viene erroneamente identificato dagli eruditi locali con la città di Varia citata da Plinio il Vecchio (NH, III, 11, 99-100), in cui è in realtà da riconoscere il vicino centro messapico di Oria. Benché a oggi non siano emerse tracce archeologiche successive al III sec. a.C., la maggior parte degli studiosi identifica l’antica città con il casale Fellinum noto da docu-menti medievali.

La prima fase di occupazione de Li Castelli è documentata soprattutto sull’acropoli, ove dati di superficie e saggi di scavo hanno appurato la presenza di materiali del Neolitico Antico e Tardo.

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Capitolo V 179

La parte sommitale della collina è oggi raggiungibile da sud attraverso un varco aper-to nel grosso muro a secco che marca il crinale dell’acropo-li (fig. 5.86) lungo tutto il suo perimetro (stimato in 655 m, per un’area di circa due ettari e mezzo). Al di sotto dell’odierno accumulo di pietre è stata mes-sa in luce una rozza struttura a secco in pietrame non lavora-to frammisto a terra contenente frammenti ceramici di metà VI sec. a.C. Questo muro si imposta su precedenti facies dell’età del Ferro (seconda metà dell’VIII sec. a.C.) e neolitiche (tracce di una capanna di fine VI-V millen-nio). Alla fase arcaica è ancora riferibile una piccola struttura quadrangolare in blocchetti di calcare, rin-venuta poco più a nord del muro, all’interno dell’acropoli. Essa conteneva un deposito di ossa animali combuste e un vasetto miniatu-ristico, che fanno pensare a un ara-focolare (eschara) pertinente a pratiche rituali di tipo religioso in un’area destinata a fini cultuali significativamente posta a ridosso di un ac-cesso. A questo periodo appartengono pochi frammenti di coppi con una banda vernicia-ta in rosso provenienti dall’acropoli, testi-monianza del cruciale passaggio in Messa-pia dai tetti con copertura straminea a quelli con tegole. Completa il quadro della fase arcaica il ritrovamento sulla acropoli di ceramica greca di importazione (soprattutto coppe ioniche), di produzione coloniale e di anfore commerciali, indizio dei traffici marittimi entro cui Li Castelli gravita attivamente tra VI e V sec. a.C.

La prima indagine archeologica risale al 1973 e interessò il tratto della cerchia muraria intermedia, datata al IV sec. a.C. (perimetro totale di 1.505 m), presente lungo il crinale meri-dionale della collina e conservato per alcuni filari in elevato. Una tradizione popolare denomina “la Chiesa” questi ruderi apparentemente isolati e, pertanto, acriticamente identificati da certa storiografia locale con una chiesa di S. Sebastiano a Felline citata in una fonte del 1095. Gli scavi hanno messo in luce una struttura muraria a doppia cortina in blocchi posti di taglio, larga 6,30 m e scandita da muri ortogonali con riempimento di pietrame e terra. Scavi più recenti, lun-

5.85. Li Castelli. Foto aerea scattata nel 1973; le frecce indicano l’andamento dei cir-cuiti murari difensivi.

5.86. Li Castelli. Veduta aerea dell’acropoli.

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go il versante sud-ovest della stessa cerchia, confermano l’utilizzo di questa tecnica co-struttiva.

Durante gli scavi del 1973, alla base sud-ovest del colle e all’esterno della terza cerchia, fu individuato un piccolo cimitero medievale. Le indagini effettuate lungo il tratto nord-ovest della cerchia esterna (il cui perimetro complessivo è di 2.565 m) han-no permesso di chiarire la tecnica costrut-tiva della struttura: due cortine di blocchi grossolanamente squadrati messi in opera a secco, con riempimento di pietrisco e terra (larghezza media di 3,50 m). Sul versante occidentale (ove si registra una lieve pen-denza), le tracce della cerchia esterna non sono molto evidenti; saggi praticati più all’interno, alla base di un pronunciato de-clivio, hanno però messo in luce tre tratti di un muro ad aggere, per una lunghezza com-plessiva di 77 m, con una postierla, praticata diagonalmente rispetto al muro, larga 2,30 m e orientata est-ovest. Utile alla datazio-ne di questa struttura è stato il ritrovamento di un gruppo di cinque tombe a sarcofago monolitico, orientate nord-sud e grossomo-do parallele al margine interno del muro: tra queste, tutte violate, una conservava resti di un cinturone in bronzo con ganci a ‘corpo di cicala’, phialai, strigili e fibule riferibili a un corredo di un individuo di ceto abbiente databile tra la fine del V e l’inizio del IV sec. a.C. Alcune sepolture restituirono oggetti in bronzo e ceramica collocabili tra la seconda metà del IV e l’inizio del III sec. a.C.

Tra il 1989 e il 2001 una serie di campagne di scavo effettuate sull’acropoli e sul pianoro compreso tra il lato sud di questa e la cerchia intermedia hanno consentito di individuare alcuni edifici e tratti di una strada e hanno chiarito ulteriormente la fase arcaica e quella ellenistica dell’insediamento.

Tra IV e III sec. a.C. la cinta arcaica dell’acropoli viene rinforzata sul lato interno con una regolare cortina in blocchi parallelepipedi in calcare. Lungo l’antistante versante meridionale, sempre a ovest del varco sud dell’acropoli, viene sbancato il pendio fino a ottenere un piano orizzontale su cui si erige un edificio con alzato in mattoni crudi, prospetto colonnato, trabea-zione lignea e copertura in tegole. La struttura, probabilmente un portico, si addossa alla cinta

5.87. Li Castelli. La necropoli di tombe a fossa rivestite da lastroni.

5.88. Li Castelli. Iscrizione messapica dipinta su lastra tombale con fiaccola demetriaca (fine III sec. a.C.).

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Capitolo V 181

muraria arcaica, che ha ormai perso ogni funzione difensiva, andando a costituire una suggestiva quinta a ridosso dell’accesso all’acropoli con una qualche valenza pubblica, nell’ottica di una generale riorganizzazione interna della città. Se ne data la realizzazione a età ellenistica, mentre il suo abbandono non va oltre il III sec. a.C.

Sul pianoro compreso tra il versante sud dell’acropoli e la seconda cerchia di fortificazio-ne doveva svilupparsi un settore di abitato e un’area di necropoli; in questa zona è stata messa in luce un’ampia struttura, articolata in cinque ambienti, conservatasi per lo più a livello dell’as-sise di fondazione: l’ambiente all’estremità orientale fu pavimentato con grossi blocchi e, forse, adibito a finalità pubbliche; gli altri ambienti ebbero funzione abitativa e, in parte, produttiva. Il complesso fu realizzato e abbandonato nell’arco del III sec. a.C.

A circa 50 m ovest di questo edificio sono state individuate 23 tombe a fossa già depredate (fig. 5.87). Quest’area sepolcrale, utilizzata tra la seconda metà del IV e il III sec. a.C., parreb-be inserirsi all’interno di un più ampio proposito di monumentalizzazione di questo pianoro compreso tra le mura, quale espressione del ceto abbiente. Grazie al terrazzamento artificiale che asseconda il declivio della collina, le tombe dovevano apparire disposte su livelli diversi, con un voluto effetto scenografico rispetto anche al retrostante portico adiacente all’entrata sud dell’acropoli. Due muri in blocchi separano gruppi di tombe, come a marcare lotti destinati a singoli nuclei familiari.

Nel 1965, immediatamente a ovest della cerchia esterna furono individuati un cospicuo nucleo di sepolture (già violate, ma con reperti di VI sec. a.C.), e i resti di un’ampia cava, sfrut-tata in età messapica e in parte riutilizzata da un insediamento rupestre in età medievale. Nel 1969 fu rinvenuta una tomba a sarcofago depredata, a ridosso del tratto sudorientale della cor-tina interna della seconda cerchia. Da segnalare sul lato interno di uno dei lastroni di copertura un’iscrizione e una fiaccola demetriaca dipinte in rosso (fine III sec. a.C.) (fig. 5.88). Nel 1983 i lavori connessi alla messa in opera di una conduttura idrica che da ovest a sud corre parallela alla cerchia esterna hanno portato al rinvenimento di altre tombe e di fosse circolari scavate nel-la roccia e interpretate come silos per derrate agricole, il cui riempimento ha restituito ceramica di XIV-XV secolo.

Nel 2003, ancora, sono state rinvenute tombe messapiche di V-IV sec. a.C. poco all’ester-no della cerchia muraria, a valle, nei pressi della SP per San Pietro in Bevagna e, sul versante occidentale dell’insediamento, un'area di intenso sfruttamento rurale e produttivo con cave e pozzi-cisterna utilizzati tra III e IV sec. d.C., a testimonianza di una sicura continuità di vita dell’area nei distretti posti a valle dell’insediamento messapico anche dopo la sua definitiva decadenza.

bibLioGrAFiAPer un inquadramento storico-archeologico generale ALessio 1990b; sCionti,tArentini1990;DesAntis2003b.

Per le prime indagini e interpretazioni Leo,FrAnCioLini1964;CoPPA1968; D’AnGeLA 1975-1976. Per i sarcofagi di San Pietro in Bevagna ALessio,zACCAriA 1997. Per l’iscrizione dipinta su lastra sepolcrale con fiaccola demetriaca sAntoro 1982. Per le più recenti indagini archeologiche LePore2000.

v.D.

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ManduriaL’area nord-orientale dell’at-

tuale città di Manduria sorge sui resti dell’antico centro messapico situato 36 km a sud-est di Taranto, 10 km a sud di Oria e 11 km a nord del litorale ionico (fig. 5.89).

Posta a ridosso della chora ta-rantina, essa giocò un ruolo strategi-co di primo piano come roccaforte di frontiera tra Taranto e i centri indige-ni dell’entroterra. Nel 346 a.C. la città greca, minacciata dai Lucani a ovest e dai Messapi a sud-est, chiede alla madrepatria Sparta un contingente di supporto: Archidamo III figlio di Agesilao II sbarca in Italia tra il 344 e il 343 e vi muore nel 338 a.C. Plutar-co (Vita Agidis, 3, 2) indica più preci-samente in Manduria il luogo in cui il Lacedemone sarebbe morto durante un’azione di guerra. Nel corso del III sec. a.C. la città fu verosimilmente coinvolta nei nuovi assetti politici che andavano profilandosi in Puglia a causa della avanzata dei Romani, sotto il cui controllo si trovò fino al 213 a.C., allorché Annibale giunge nel Salento trovando pronte a passare dalla sua parte talune Sallentinorum ignobiles urbes (Liv., XXV 1, 1), tra cui Manduria. La sua strategicità era ben nota agli stessi Romani se, nel 209 a.C., l’esercito guidato dal console Quinto Fabio Massi-mo, partendo da Brindisi alla volta di Taranto, si attardò non poco a neutralizzarla, in quanto rea d’esser tra le città ribelli passate ai Cartaginesi (Liv., XXVII, 15, 4). Il vuoto di testimonianze

relative agli oltre due secoli suc-cessivi non è da spiegare con la totale scomparsa di Manduria; certo vi fu un forte ridimensiona-mento del centro, dovuto anche alla sua posizione, distante dalla via Appia, ma come i dati arche-ologici degli ultimi anni stanno dimostrando, sia pure in un qua-dro ancora discontinuo, esso non smise mai di esistere.

Gli studiosi sono concordi nel comprendere anche Mandu-ria tra le tredici città messapiche, ormai decadute, cui Strabone (Geogr., VI, 3, 5) fa generica-mente cenno, per segnalare un

5.90. Manduria. Cerchia muraria esterna. La doppia cortina di mura con riempimento e l'antistante fossato

5.89. Manduria. Schema planimetrico dell’abitato messapico.

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Capitolo V 183

percorso viario sublitoraneo che collegava Taranto a Vereto. Ancora Plinio il Vecchio (NH, II 103, 226) menziona Mandu-ria a proposito della sua fonte prodigiosa (il cosiddetto “Fonte Pliniano”), qualificandola come oppidum e non municipium, con-notandola in quanto tale nel suo nuovo stato in seno all’assetto amministrativo e territoriale ro-mano. Nel VI sec. d.C. compare nel lessico di Stefano di Bisan-zio (EtNH., s.v. Μανδυριον. 128 Cosm., IV, 31; V, 1), mentre il toponimo Manduris già figurava nella Tabula Peutingeriana (VI e VII segmento) lungo la via co-siddetta “Sallentina”, tra i capita viarum Tarento e Neretum.

Alla fine dell’XI sec. d.C. si data la costruzione di un più esiguo nucleo urbano, per la de-limitazione del quale si sfruttò l’estremo limite sud-occidentale della cerchia messapica esterna. Il nuovo insediamento, coincidente con l’attuale centro storico, fu denominato Casalnuovo per i sette secoli successivi (sino all’Editto del 14 novembre 1789 di Ferdinando IV di Borbone, che

5.91. Manduria. Una veduta di dettaglio della cerchia difensiva esterna, che in più punti si sovrappone a tombe con corredi inquadrabili tra IV e III sec. a.C.

5.92. Manduria. Foto aerea obliqua: ben visibile un tratto del circuito murario ester-no nei pressi del convento di Sant'Antonio, lungo la circonvallazione Taranto-Lecce, a cui s'affianca il fossato, parte della necropoli e fasci di antiche carraie.

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restituì a Manduria l’antico nome). Nel 2010 in via dei Mercanti è stata rinvenuta una grossa struttura muraria pertinente al lato settentrionale del castello di età normanna attorno al quale si rifondò il nuovo borgo. Castello che si pensava irrimediabilmente distrutto dal soprastante Palazzo Imperiali (1719).

Le testimonianze archeologiche più cospicue si trovano per lo più concentrate in prossi-mità del convento di Sant’Antonio, dove sono visibili gli imponenti resti delle mura di fortifica-zione e delle necropoli, dal 2001 inserite in un Parco Archeologico.

La gran parte di tali mura e necropoli furono messe in luce durante una serie di sistema-tiche campagne di scavo condotte tra il 1955 e il 1960 da N. Degrassi. Foto scattate nella prima metà del XX secolo dimostrano come lo stato dei luoghi prima dell’inizio degli scavi non fosse molto dissimile da quello osservato da studiosi locali quali Antonio de Ferrariis nel XVI sec., Giuseppe Pacelli tra XVIII e XIX sec. e taluni viaggiatori come l’abate J.C.R. de Saint-Non nel XVIII sec. Tratti di mura gravemente degradati, fossati e necropoli per lo più interrati e inurbati, non impedirono loro di identificare due cerchie di mura, di coglierne la configurazione con-centrica e di tentarne una prima ricostruzione topografica. Gli scavi del Degrassi precisarono e integrarono queste ammirevoli intuizioni (fig. 5.91).

Nel 1957, M. Marin realizza la prima ricostruzione topografica ragionata del circuito delle mura; dopo una sommaria ma affidabile verifica sul campo dei tratti superstiti, accetta per quelli scomparsi le ricostruzioni ipotetiche già tracciate, nel 1940, da G.B. Arnò.

L’impianto difensivo (fig. 5.92) è, dunque, costituito da due cinte murarie concentriche largamente conservate anche in elevato, soprattutto nel settore settentrionale, ove corrono paral-lele a una distanza grossomodo regolare l’una dall’altra. Sono per estensione e stato di manteni-mento le meglio conservate del Salento.

La cerchia di fortificazione interna viene generalmente datata al primo quarto del V sec. a.C. Il suo perimetro complessivo è di circa 2 km, calcolando anche i tratti scomparsi e ipotizzati che si perdono verso sud-ovest tra le maglie dell’odierna città e quelli ancora visibili a sud-est lungo la via per Lecce. La tecnica muraria consiste in un’unica struttura di imponenti blocchi parallelepipedi in calcare grossolanamente squadrati, messi in opera a secco e disposti prevalen-temente di testa. Contiguo alla facciata esterna si trova il fossato, in buona misura ancora inter-rato, mediamente largo 4 m e profondo 2 m, all’interno del quale è possibile osservare un altro muro, realizzato in opera quadrata con blocchi isodomi in calcare, disposti di testa e di taglio, con accurato trattamento della faccia vista, corrispondente alla cosiddetta tecnica dell’anathyro-sis, di chiara influenza greca. La reale funzione di questa struttura non è stata ancora chiarita. Tre i punti del Parco ove è possibile osservarlo: subito a ovest della chiesa di Sant’Antonio; tra via Q.F. Massimo e via Mandonion e nella zona a oriente della Porta Est. Qui risulta addossato alla cerchia interna di cui costituirebbe il consolidamento a causa di un suo precoce degrado, ma in altri punti del fossato tale muro (datato alla seconda metà del IV sec. a.C.) risulta assente.

Straordinariamente conservata e imponente è la cerchia esterna. La sua datazione pone meno problemi delle precedenti due, poiché essa in più punti si sovrappone a tombe con corredi inquadrabili tra IV e III sec. a.C.; in particolare, la costruzione viene fissata alla fine del III sec. a.C. e messa in relazione con le vicende belliche della Seconda Guerra Punica. Il circuito corre grossomodo parallelo alla prima cerchia per tutto il suo sviluppo settentrionale, corrispondente all’area del Parco Archeologico. Il fatto nuovo che contraddistingue questo ulteriore proget-to difensivo è rappresentato dall’allargamento dell’ambito insediativo che tale cinta realizza

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Capitolo V 185

nell’area più a sud-ovest, ove, però, una intensa continuità urbana dal medioevo ai giorni nostri ne ha quasi del tutto cancellato le tracce.

L’intero tracciato ha un perimetro di circa 3.300 m. La tecnica muraria prevede l’impiego di due cortine di blocchi parallelepipedi in calcare, messi in opera a secco e disposti di testa, con riempimento interno (emplekton) fatto di schegge di calcare e terra (fig. 5.90). La larghezza del muro varia tra i 5 e i 6 m. Contiguo alla cortina esterna è l’ampio fossato, largo tra i 5 e i 6 m e pro-fondo 5 m. Non ancora chiara è, invece, la funzione dei tre sottopassaggi visibili lungo il tracciato che, da una scalinata interna scavata nella roccia, attraversano lo spessore del muro e fuoriescono sul fondo del fossato con un fornice con arco a sesto piuttosto ribassato e stipiti divergenti al suo-lo. Nel suo complesso quello della cerchia esterna appare come un organismo difensivo assai più articolato rispetto alla prima. Esso, infatti, risulta scandito da porte e torri. Percorrendo le mura nel settore orientale del Parco Archeologico, resti della prima cerchia (sormontati dalla moderna recin-zione del convento dei Cappuccini) si interrompono all’altezza di un viottolo che conduce a piazza Scegnu, per poi continuare con un altro tratto verso sud-est. Qui è stata localizzata una porta, poi ulteriormente articolata da una corrispondente struttura realizzata nella cerchia esterna, il cui fos-sato si interrompe in corrispondenza dei due punti attraversati da assi viari orientati a nord e a est.

Questo singolare sistema a “Y” è per convenzione chiamato “Doppia Porta”. Analoga situazione si riscontra più a sud-est, dove a un varco aperto nella prima cerchia corrisponde la cosiddetta Porta Est realizzata nella cerchia esterna, il cui fossato è interrotto da una scalinata. L’ampio asse stradale che ne fuoriesce risale già alla porta della prima cerchia e fu rispettato an-che dalla necropoli di IV-III sec. a.C., dato che le tombe si allineano con lo stesso orientamento su entrambi i lati.

Lungo il tragitto meridionale della cerchia esterna (quello più compromesso e problema-tico) sono state identificate altre tre porte: in prossimità della via per Lecce, in via Erodoto (non visibili) e in via del Fossato, ove l’avancorpo convesso e fortemente aggettante del superstite tratto di mura è stato interpretato come una torre-bastione a pianta semicircolare.

I diversi settori di necropoli oggi visibili in prossimità delle mura e dei fossati, all’interno del Parco Archeologico, furono per lo più indagati durante la campagna Degrassi 1955-1960, per un totale di ben 1284 tombe esplorate. Tuttavia, a causa dell’intensa attività agricola e della plurisecolare depredazione cui l’area è stata sottoposta, solo poche di esse furono trovate inte-gre. La maggior parte sono di IV-III sec. a.C. Si tratta di tombe a fossa rettangolari scavate nella roccia, di varie dimensioni e orientamento, contornate singolarmente o a gruppi da una cornice ricavata nel banco stesso (detta ‘controfossa’) ove venivano sistemate lastre di copertura. In più punti è possibile osservare come la cerchia esterna e il suo fossato si sovrappongano e taglino molte delle tombe pertinenti a queste necropoli (fig. 5.91). La fase urbana di fine III sec. a.C., dunque, marcata dalla nuova cerchia di fortificazione, vede la significativa dismissione di gran parte di questo settore adibito a necropoli, in favore di diverse e, forse, più urgenti esigenze difensive. La stessa area verrà, peraltro, incessantemente sfruttata come percorso carrabile, vi-sto che molte delle tombe appaiono solcate da carraie profondamente scavate nella roccia. Tra queste si segnalano quelle che si dipartono dalle porte, il cui tracciato parrebbe persistere e coincidere con assi viari ancora in uso, e i vari segmenti di carraia che, valutati nel complesso, realizzano una specie di percorso parallelo al fossato della cerchia esterna.

Nei corredi funerari di IV-III sec. a.C. è presente soprattutto la ceramica messapica, af-fiancata da un discreto numero di prodotti magnogreci di importazione soprattutto dai centri di

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186 Età greca

Taranto e Metaponto quali, ad esempio, i crateri lucani e apuli a figure rosse e i prestigiosi vasi nello stile di Gnathia pertinenti a uno degli insiemi funzionali più rappresentati, quello legato al consumo del vino e alla pratica simposiaca di norma connotante un individuo maschile; al mondo maschile riconducono anche oggetti di bronzo, come cinturoni d’armatura e strigili. Alla

sfera femminile si riferiscono fibule, unguentari, orecchini e, il più delle volte, le trozzelle (il cui motivo decorativo di file di losanghe campite a reticolo viene considerato caratteristico di Manduria). Il carattere mo-numentale di talune tombe e il particolare pregio, la fattura e la provenienza dei relativi corredi fanno intuire una comunità so-cialmente differenziata in cui i ceti aristocratici appaiono mag-giormente permeati da fenomeni di acculturazione ellenica.

Le aree di necropoli arcai-che paiono a oggi dislocate più a nord-est, al di là della circon-vallazione e in contrada Matera lungo la via per Lecce. In que-

sto caso le tombe, scavate nella roccia, sono più piccole, a sezione trapezoidale e, spesso, sul fondo presentano un gradino risparmiato a guisa di “cuscino funebre”; l’inumato era deposto rannicchiato su un fianco, secondo una prassi attestata in molti altri contesti indigeni dell’Italia meridionale. I corredi di VI-V sec. a.C. restituiscono un numero inferiore di reperti, tra cui la tipica trozzella di forma ancora piuttosto globulare, crateri non torniti con anse a fungo e coppe ioniche.

Nella parte nord-est dell’abitato, all’interno della prima cerchia, prospiciente piazza Sce-gnu, è ubicato il Fonte Pliniano, noto localmente anche con il nome di Scegnu, termine a metà strada tra il latino ingenium e il vocabolo dialettale ‘negna’, che indica un particolare sistema di sollevamento dell’acqua (la “noria”).

Il monumento deve la sua popolarità a una citazione di Plinio il Vecchio (NH, II 105, 226), il quale mette in evidenza l’ingegnosa opera idraulica che convogliava l’acqua della sorgente in una vasca ove il livello veniva mantenuto sempre costante (fig. 5.93). Al prodigio tecnico ben presto venne associato il concetto sacrale della salubrità delle acque che sgorgavano dal Fonte. Si tratta di una cavità circolare di tipo carsico, in parte regolarizzata artificialmente, larga 18 m e alta 9 m, a cui si accede da una scalinata ricavata nel banco calcarenitico; la scalinata, insieme al suggestivo lucernario quadrangolare che ne sfonda la volta, pare debba attribuirsi a una fase di monumentalizzazione, probabilmente di età rinascimentale. Nel 1901 l’area fu recintata e venne realizzato l’ingresso costituito da quattro colonne e architrave di ordine ionico (abbattuto da un fulmine qualche anno dopo), poggianti su due filari di blocchi in carparo reimpiegati dalle vicine

5.93. Manduria. Il Fonte Pliniano citato da Plinio il Vecchio come “fonte prodigiosa”; si trova all’interno del circuito murario, in una grotta naturale poco profonda alla quale si accede da una gradinata tagliata in parte nella roccia.

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Capitolo V 187

mura. Al 1900 risale la realizzazione della vera della sottostante vasca e di quella del lucernario, nonché la piantumazione del mandorlo (feticcio leggendario messapico) lungo il bordo interno della vera superiore. Al centro della grotta si trova una vasca (e un’altra attigua di decantazio-ne) a cui affluiscono le acque di sorgenti spontanee affioranti dalla parete sud, opportunamente incanalate, in epoca imprecisabile, per mezzo di condutture sotterranee. Tale bacino, interrato per circa 2 m e foderato da un anello di conci di tufo, risulta impermeabilizzato fino a una certa altezza con malta idraulica; l’acqua viene comunque assorbita dal terreno circostante per mezzo di appositi interstizi. Questo espediente, che consente di mantenere sempre costante il livello dell’acqua, ha portato alla descrizione di fenomeni apparentemente inspiegabili, in un capitolo del Naturalis Historia di Plinio. Un intervento di scavo condotto tra il 1993 e il 1994 nell’area soprastante ha permesso di documentare le diverse fasi di utilizzo, da quella messapica (tombe e settore di cava), a quella medievale (ceramica di X-XI secolo), a quella rinascimentale.

La chiesetta di San Pietro Mandurino, ubicata all’interno della cinta messapica, sul lato nord, è un complesso cultuale costituito da una parte sub divo e una ipogea. La chiesa superiore, restaurata nel 1724, presenta una pianta tipica dell’architettura cultuale rustica bizantineggiante databile tra XI e XII secolo. La cripta ipogea è della seconda metà del VII secolo, divisa in due navate da tre pilastri ricavati nella roccia, terminanti con due absidi rivolte ad oriente (in seguito dipinte con figure di Sant’Antonio Abate e Pietà). All’epoca si riutilizzò anche una precedente tomba a camera messapica di III sec. a.C. (nel XVIII secolo ridipinta con un ciclo della Nativi-tà) annettendola alla cripta. Le uniche tracce superstiti dell’ambiente funerario messapico sono le fasce rosse dipinte sul soffitto (ad imitazione di una travatura di abitazione reale) e la porta trapezoidale. La presenza di due absidi avrebbe consentito la celebrazione sia del rito latino sia di quello greco, a riprova di una sostanziale coesistenza di culture longobarde e bizantine con-fermata dalle fonti disponibili. Paolo Diacono (Hist. Lang. VI, 1) ci racconta che nella seconda metà del VII secolo, il Longobardo Romualdo I Duca di Benevento, strappò ai Bizantini il terri-torio che correva tra Taranto e Brindisi. Manduria si trovava lungo questo istmo ove le oscillanti vicende di conquiste e riconquiste di territorio da parte dei due popoli creavano condizioni po-litiche di perenne instabilità, ma anche di fertili contatti culturali e religiosi di cui il complesso di San Pietro Mandurino rappresenta una significativa sintesi politica, architettonica e cultuale. I dipinti su intonaco, più volte rifatti fino al XVIII secolo, testimoniano una modesta tecnica rurale di valore più cultuale che artistico e raffigurano anche santi e anacoreti appartenenti alla Chiesa d’Oriente. Fa eccezione la raffigurazione di una Santa Sofronia, che avrebbe condotto vita anacoretica nell’isola di S. Pietro dell’arcipelago tarantino delle Cheradi nel IV secolo, la cui esistenza storica è molto discussa ma il cui culto è attestato fino a tutto il XVIII secolo.

I saggi di scavo condotti nel 1972 all’interno della chiesetta al di sotto del pavimento, in-torno all’abside e a ridosso del muretto a secco orientale, hanno messo in luce tracce di abitato, sepolture di età messapica e una serie di tombe a fossa, tra cui una caratterizzata dalla presenza di una dramma tarentina databile tra il 302 e il 281 a.C., forata e riutilizzata come pendaglio, tra le mani dell’inumato, e di un coppo posto a coprirne il cranio, elementi questi caratteristici delle sepolture longobarde di VII-VIII secolo. Rinvenute anche tombe a fossa di forma ellittica, de-finite “antropoidi”, e a sezione trapezoidale, per lo più orientate est-ovest (inumato con braccia ripiegate sul bacino e cranio a ovest) e prive di corredo, che di norma sono attestate in contesti di influenza bizantina.

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188 Età greca

bibLioGrAFiAPer un inquadramento storico e archeologico PACeLLi1810;neutsCh1956;MArin1958;DeGrAssi1960;ALessio

1986;ALessio 1990a; D’AnDriA1991b; sAntoro1993-1994;Oltre le mura1997;DesAntis 2003a; Sulle fasi preistoriche CorrADo,inGrAvALLo1988;GorGoGLione,DiLerniA,Fiorentino1995;rinALDi,siviLLi2013. Per alcuni aspetti della fase medievale ALessio 1993a; Devitis1998;strAnieri2000;DeLL’AQuiLA2003. Per il Fonte Pliniano GreCo1995;ALessio 1993b; ALessio 1993c. Per San Pietro Mandurino D’An-GeLA1975;LAverMiCoCCA1986;CArDuCCi2003a;bruno2004a;MussArDo 2012.

v.D.

OriaLa città di Oria sorge sulle ultime propaggini delle Murge, al centro di un percorso “istmi-

co” di collegamento tra Ionio (Taranto) e Adriatico (Brindisi). Secondo la tradizione fu fondata dai Cretesi: Erodoto (7, 170), che attinge da Antioco, afferma, che essi al ritorno in patria, dopo la morte del loro capo Minosse, avvenuta in Sicilia durante una lunga guerra, sarebbero naufra-gati a causa di una tempesta sulle coste del Salento. Qui si sarebbero stabiliti fondando prima la città di Hyrie e, successivamente, altre città. Strabone (VI, 3, 6), geografo di età augustea, che riprende Erodoto, asserisce che la città fondata dai Cretesi possa essere identificata anche con Vereto presso Santa Maria di Leuca, da dove probabilmente ebbe origine la colonizzazione cretese-iapigia. Ribadisce, però, l’importanza di Oria in quanto sede della reggia di un re o prin-cipe locale in epoca storica.

L’occupazione dell’area oritana risale al Paleolitico Medio, con attestazioni più cospicue nel Neolitico e mostra una continuità di vita sino ai giorni nostri; di insediamento stabile, però, si può, parlare solo a partire dall’età del Ferro.

La città medioevale sotto la quale doveva svilupparsi il centro messapico sorge sulla più

5.94. Veduta aerea obli-qua della città di Oria. Si notano l’estensione del centro storico me-dioevale che ricalca la città antica, l’acropoli caratterizzata dalla pre-senza della Cattedrale e del castello, l’espansio-ne urbanistica moderna.

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Capitolo V 189

alta di tre piccole colline dominanti una vasta pianura fertile e provvista di sorgenti (fig. 5.94).

La continuità di vita della città e il fatto che gli scavi arche-ologici effettuati siano stati e siano per lo più di emergenza, soprattutto in relazione a lavori di sbancamen-to per edilizia privata, ha inficiato uno studio approfondito e esaustivo dell’abitato antico.

Scavi archeologici condotti a partire dal 1980 dall’Università degli Studi di Lecce e, successiva-mente, dalla Soprintendenza per i Beni Arche-ologici della Puglia, hanno evidenziato che il villaggio a capanne di età protostorica, che a partire dal tardo VIII sec. a.C. e sino al VI sec. sembrava concentrarsi sulla collina centrale, poi urbanizzata in età medievale, in realtà in-teressava un’ampia area circostante la collina e si estendeva sino al limite nord-occidentale dell’ipotizzato circuito difensivo esterno.

Verso la metà del VI sec. a.C. le capanne furono sostituite da abitazioni a pianta rettan-golare con copertura di tegole. È in questa fase di ristrutturazione dell’abitato che si inserisce lo sviluppo di un luogo di culto situato sull’al-tura di Monte Papalucio.

Il santuario sorgeva lungo il costone della collina prospiciente il castello svevo, su un terrazzo posto sotto la parete di roccia nella quale è scavata una grotta (fig. 5.95). I depositi arcaici, caratterizzati dalla presenza di terrecotte raffiguranti una divinità femminile in trono, hanno restituito anche iscrizioni e altre offerte votive che riconducono al culto di Demetra e Persefone. Il santuario fu attivo dalla metà del VI sec. a.C. sino ai primi decenni del V. Un’interruzione interessa tutto il V sec. a.C. e parte del IV, cui segue un’intensa ripresa della frequentazione cultuale sino all’abbandono definitivo collocabile nel corso del III sec. a.C.

Gli scavi archeologici condotti nella piazza della cattedrale hanno evidenziato un tratto della cinta muraria dell’acropoli in cui si sono riconosciute tre fasi successive (fig. 5.96). La prima, risalente all’età del Bronzo, è costituita da un aggere di piccole pietre sul quale all’inizio del V sec. a.C. fu innalzato un muro in blocchi calcarei isodomi (seconda fase). Nel corso della seconda metà del IV sec. a.C. questa struttura fu completata con l’aggiunta di un ulteriore muro

5.95. Oria, santuario di Monte Papalucio. Vasi miniaturistici di un deposito votivo del VI sec. a.C. situato sotto la parete di roccia nella quale è scavata una grotta.

5.96. Oria, piazza Cattedrale. Resti di strutture murarie riferibili forse alla cinta muraria dell’acropoli; sulla sinistra della foto sono visibili alcune sepolture a fossa rivestite da lastroni databili al IV sec. a.C.

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190 Età greca

esterno (terza fase), sempre in opera quadrata e terrapieno interno. Si veniva così a creare una struttura a doppia cortina. Di una seconda cinta muraria più larga si ha notizia in documenti d’archivio della Soprintendenza, in alcuni scritti di studiosi locali e nella toponomastica.

Diverse sono le aree di necropoli identificate, sia nella zona a nord-ovest della città sia nell’area urbana. All’interno del tessuto urbano, in via Erodoto, sono state individuate tre forna-ci di età arcaica e, impostate su di esse, due tombe, l’una databile al III sec. a.C. e l’altra fra V e IV sec. a.C. Sono state rinvenute, poi, altre nove tombe a fossa, che attestano l’uso funerario dell’area tra V e III sec. a.C.

Le indagini effettuate negli ultimi venti anni nei rioni Ciriaco-Maddalena e Crocifisso hanno portato alla luce tombe databili tra VI e II sec. a.C. Le sepolture d’età arcaica sono costi-tuite da tombe a sarcofago o a fossa, mentre per il IV sec. a.C. sono testimoniati ipogei e tombe a fossa rivestite da lastroni.

Fra la fine del IV sec. a.C. e gli inizi del III appare forte la presenza tarantina nel territorio oritano, come documenta l’abbondante presenza di materiali di produzione coloniale, che ter-minerà poi con la conquista romana di Taranto, nel 272 a.C. e il trionfo sui popoli salentini nel 266 a.C. In questa fase Oria conia una nuova moneta su cui appare il nome Orra, trascrizione fonetica più vicina al nome messapico.

Gli itinerari di età romana (Tab. Peut., VI, 1; It. Ant., 119; An.rAv., IV, 35) evidenziano la particolare posizione geografica di Oria, a metà strada tra Taranto e Brindisi, su un percorso di collegamento tra Ionio e Adriatico, organizzato dopo la conquista romana di Brindisi con la realizzazione del tratto terminale della via Appia.

Testimonianze di età romana sono costituite da resti di edifici che si sovrappongono a strutture di età precedenti e che sono datate tra l’età repubblicana e l’età imperiale (dal II sec. a.C. al II sec. d.C.); a essi si associano anche alcuni assi stradali. La fase imperiale è ancor meno documentata: alcune iscrizioni funerarie e frammenti architettonici non sono sufficienti per ricostruire l’immagine della città in questo periodo. Il rinvenimento di due epigrafi di liberti dei Gerellani, banchieri brindisini attivi in Oriente, ha fatto ipotizzare la presenza di interessi e loro proprietà nella zona. L’abitato, comunque, continua a vivere senza interruzione sino al tar-doantico e in questo periodo si collocano le prime tracce relative alla presenza di un’importante comunità ebraica, fondamentale per la successiva storia della città.

bibLioGrAFiAtAyLor 1958, p. 169; noveMbre 1971, p. 68; AnDreAssi1981a;ynteMA 1986, p. 13; CorrADo,inGrAvALLo1988;

D’AnDriA1988b, p. 660; MeLissAno 1990b; MAruGGi 1992a; LiPPoLis1993;LAMboLey1996, pp. 127-135; D’AnDriA2001;MAruGGi 2001b; MAruGGi 2001c, pp. 11-76; MAruGGi2002;MAstronuzzi2002a; AnDreAssi 2003a; MAstronuzzi2013.

F.DeL.

OstuniLa cittadina di Ostuni sorge sulle propaggini meridionali delle Murge, a circa 6 km dal

Mare Adriatico, ed è oggi caratterizzata da un borgo medievale, posto a nord dell’abitato mo-derno e racchiuso all’interno di mura angioine rafforzate da torrioni aragonesi; il centro storico (fig. 5.97), a pianta ellittica, si sviluppa su un colle di forma conica che raggiunge i 224 m

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Capitolo V 191

s.l.m. e che venne occupato fin dall’età del Bronzo, come ha attestato uno sca-vo eseguito nel 1989 nel cortile inter-no dell’ex monastero di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, sede del Museo di “Civiltà preclassiche della Murgia meridionale” (fig. 5.98). Sono stati sco-perti i resti di un abitato capannicolo di cultura appenninica, che occupava la parte più alta del “monte” di Ostuni; durante l’esplorazione dell’area sono state recuperate anche ceramiche iapi-gie di VIII sec. a.C. e messapiche di IV-III sec. a.C., che attestano le successive fasi di sviluppo dell’insediamento. Te-stimonianze archeologiche ancora più antiche provengono dalle pendici del “monte”, dove nella Grotta Sant’Ange-lo, situata meno di 400 m a nord-ovest del centro storico, sono stati rinvenuti materiali di età neolitica ed eneolitica e sono state individuate sporadiche tracce di un’occupazione di epoca anteriore.

L’esistenza di vari nuclei di ca-panne, disposti, oltre che sul “monte” di Ostuni, anche sulle alture limitrofe, è documentata dal rinvenimento di ab-bondanti frammenti di impasto riferibi-li alla seconda fase dell’età del Ferro. Uno dei nuclei meglio indagati è stato individuato, a seguito di arature, in un terreno situato a nord-ovest del centro storico; vi si sono rinvenuti numerosi frammenti di intonaco di rivestimento riferibili a una capanna e molti materia-li ceramici di VIII-VII sec. a.C., tra cui, soprattutto, impasti bruni, frammenti a decorazione monocroma geometrica di tipo iapigio e altri acromi. Materiali databili tra il IX e l’VIII sec. a.C., tra i quali un frammento di ceramica proto-corinzia della fine dell’VIII, sono stati inoltre recuperati negli scavi condotti tra il 1985 ed il 1987 in località Spirito

5.98. Ostuni. Foto aerea del 1943: le frecce indicano i resti e le sopravvivenze della cinta muraria messapica a nord-ovest, nord e nord-est del centro stori-co. A. Mercato Boario; B. località Santo Stefano; C. località Rosara; D. ex convento del Carmine; E. piazza Libertà; F. località Spirito Santo.

5.97. Ostuni. Schema planimetrico dell’insediamento messapico.

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192 Età greca

Santo, in un terreno agricolo posto ai margini del borgo medievale. Evidenze di una frequenta-zione risalente all’età del Ferro sono state messe in luce recentemente anche a sud del borgo, in piazza Libertà.

L’abitato messapico era molto più vasto dell’attuale centro storico (fig. 5.99) e occupava anche i sottostanti pendii terrazzati, interessando pure quei terreni oggi adibiti a orti: questi, probabilmente a partire dalla tarda antichità, vennero abbandonati e sfruttati dal punto di vista agricolo (anche con consistenti riporti di terra), mentre l’insediamento si contrasse nella parte più elevata del colle, che garantiva migliori difese naturali. Il centro messapico, tra la fine del IV e la metà del III sec. a.C., venne protetto mediante la costruzione di una cinta muraria di cui si conservano alcuni tratti, in parte inglobati nei terrazzamenti che sostengono gli orti circostanti il borgo medievale: spessa 7 m ca., è costituita da un doppio paramento a grandi blocchi paral-lelepipedi di calcare, con emplekton di pietre e terra. Le mura correvano lungo le pendici del “monte” di Ostuni, seguendo un tracciato grossomodo ellittico, lungo quasi 2,5 km, che doveva racchiudere un’area di circa 45 ettari; un importante contributo alla loro ricostruzione è dato dall’esame delle fotografie aeree scattate tra gli anni ’40 e ’60 del Novecento, che documentano l’andamento di alcuni tratti successivamente distrutti oppure obliterati, situati a ovest, nord ed est del centro storico. Mancano invece dati per la zona a sud del borgo, dove la cinta è stata can-cellata dall’espansione urbana; si può solo ipotizzare che il tracciato delle mura chiudesse all’al-tezza del limite meridionale di piazza della Libertà, poiché è possibile che l’andamento curvili-neo della viabilità posta immediatamente più a sud (in particolare quello di via Galilei, che crea una cesura nel tessuto urbano) sia stato determinato dall’esistenza di un’antica linea fortificata. Proprio nella parte meridionale di piazza della Libertà, tra il 2002 e il 2003 è stato messo in luce il basamento circolare della torre sinistra della Porta del Ponte, edificata nel 1506 da Alfonso II d’Aragona; la struttura, demolita tra XVIII e XIX sec., si impostava su un muro di fortificazione più antico, largo circa 1,5 m, con doppio paramento e riempimento di pietre e terra.

5.99. Il “monte” di Ostuni da est in una ripresa aerea Fotocielo degli anni ’60 del XX sec.: si notano il complesso di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi (1), piazza Libertà (2), l’ex Convento del Carmine (3) e l’ex Manifattura Tabacchi.

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Capitolo V 193

Sin dalla fine del Settecento, nell’area circostante il centro storico (per lo più all’interno della cinta messapica) sono state effettuate numerose scoperte archeologiche relative all’abitato; si tratta soprattutto di sepolture, nelle quali sono state recuperate anche alcune iscrizioni funera-rie, coprenti un arco cronologico compreso tra la fine del V ed il II-I sec. a.C. Tra i rinvenimenti più importanti e cospicui vanno segnalati quelli effettuati alla metà dell’Ottocento in località Giardino della Rosara, a est del borgo medievale, in un’area posta a sud della Strada Comunale Lamacavallo, al di fuori della cinta muraria: furono portate alla luce varie tombe a fossa rico-perte da lastroni di calcarenite (alcuni recanti iscrizioni messapiche) e vari ipogei (anche con pareti intonacate) scavati nel carparo bianco, contenenti corredi databili tra la fine del V e il III sec. a.C.

Tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e gli inizi del Novecento resti dell’abitato messapico e altre tombe vennero scoperti nel fondo Crocefisso e presso l’ex convento del Carmine, rispet-tivamente a nord-est e sud-est del borgo medievale.

Nel 1956 altre tre tombe furono individuate lungo la Strada Comunale Lamacavallo, sem-pre all’altezza della località Rosara.

Nel 1969, nel corso di scavi sistematici condotti in contrada Santo Stefano (a nord dell’edificio dell’ex Manifattura Tabacchi), nella zona degli orti a est del centro storico, venne alla luce un muro a secco, realizzato con blocchi di calcare e avente probabilmente funzioni di contenimento; presso di esso erano scavate alcune tombe a fossa, rivestite di lastroni in carparo. Si trattava, per lo più, di sepolture riutilizzate nel IV-III sec. a.C.: al di fuori delle fosse furono rinvenuti i resti dei seppellimenti precedenti con i relativi corredi. Nell’area a est delle tombe si scoprirono strutture abitative sempre di epoca messapica, cronologicamente collegate alle sepolture, oltre a un pozzo scavato nel banco di calcare e avente una sezione a campana.

Altre due tombe messapiche, datate tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., sono state messe in luce nel 1975 e nel 1979 nell’area del Mercato Boario, a ovest del centro storico: alla prima, del tipo a semicamera con rivestimento in lastroni di carparo intonacati, era accorpato un piccolo ambiente rettangolare con funzione di ossario. L’altra consisteva in un cassone foderato da lastre sempre di pietra calcarea: all’interno vi erano lo scheletro di un uomo adulto disposto allungato e i resti di un altro individuo che erano stati ammucchiati presso l’angolo orientale.

Altre tombe (a sarcofago monolitico e a fossa rettangolare rivestita di lastroni) databili tra la fine del V e gli inizi del III sec. a.C. sono state riportate in luce nella già ricordata località Spirito Santo; la loro realizzazione ha in parte devastato i resti dell’abitato dell’età del Ferro. Vi è stato inoltre scoperto un luogo di culto di IV-III sec. a.C., costituito da un grande edificio (composto da almeno due ambienti) a cui era connessa un’area con un piccolo altare in pietra, poggiante su un focolare rituale; si è rinvenuta anche una fossa votiva segnalata da un cippo, contenente vasi frammentati in antico (forse per motivi rituali), avanzi di pasto, semi bruciati e un tintinnabulum.

Una tomba a semicamera il cui ultimo utilizzo è datato al I sec. a.C. è stata infine messa in luce nel 2003 in via Vitale, a nord-est del borgo medievale, nella medesima area della necropoli messapica scavata nell’Ottocento.

A Ostuni viene riferita una serie monetale di bronzo, datata tra la fine del III e gli inizi del II sec. a.C., che reca al dritto una conchiglia e al rovescio un’aquila su fulmine e la legenda ΣΤΥ, generalmente interpretata come abbreviazione di Sturnium; l’attribuzione si basa esclusi-vamente sull’analogia fonetica di questa scritta con le iniziali dell’antico etnico Stournoi, noto

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194 Età greca

dalle fonti letterarie (PtoL., Geog., III, 1, 77). Poco si conosce delle fasi dell’abitato successive alla conquista romana. I già menzionati

scavi del 1969 in contrada Santo Stefano hanno documentato che l’area, dopo l’epoca messa-pica, venne occupata anche in età romana, come ha attestato il rinvenimento di resti murari e di ceramica d’epoca imperiale; nel Medioevo, poi, vi fu realizzato, forse nel XII-XIII sec., un edificio religioso dedicato a Santo Stefano (di cui si è rinvenuto un tratto della fondazione di un muro), presso il quale vennero scavate varie tombe a fossa. Inoltre, alcuni scavi eseguiti nel 1957 subito al di fuori delle fortificazioni di XIV secolo che cingono il centro storico, nell’area tra le torri Pecere e Vitale (nella parte sud-orientale del borgo), misero in luce tra l’altro resti di costruzioni, ambienti e pozzi databili dal V sec. a.C. al XII-XIII d.C.: tali scoperte attestano che nel momento in cui furono costruite le fortificazioni (che nelle fondazioni inglobano in parte murature più antiche) venne tagliata fuori un’area ancora abitata in età medievale.

bibLioGrAFiAPer i rinvenimenti e le scoperte relative all’abitato antico in generale: CoPPoLA 1983 (in particolare pp. 257-

301); CoPPoLA,trAvAGLini1994;CoCChiAro 1994a; LAMboLey 1996, pp. 32-38; CoCChiAro 2002-2003; CALiAnDro,CoCChiAro2002-2003;AnDreAssi2003a, pp. 758-759; AnDreAssi 2004, pp. 1045-1046. Per gli scavi in località Spirito Santo CArrieri 1980-1987 e CArrieri 1987. Per l’esame delle fotografie aeree sCArDozzi 2003a. Per la monetazione siCiLiAno 1991, pp. 251-252.

G.s.

5.100. San Vito dei Norman-ni. L’abitato antico di loc. Alceste in una foto aerea del 1977: l’andamento curvili-neo dei muretti a secco ri-calca il percorso del circuito murario antico.

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Capitolo V 195

San Vito dei NormanniPoche centinaia di me-

tri a sud/sud-est di San Vito dei Normanni, sulla collina deno-minata Castello di Alceste (108 m s.l.m.), è stato individuato un insediamento antico. Dalla som-mità della collina si osserva un vasto territorio che comprende i principali insediamenti dell’area istmica del Salento.

I primi saggi di scavo, ef-fettuati nel 1995 dalla Soprinten-denza Archeologica della Puglia, hanno messo in evidenza resti di capanne relative ad un insedia-mento dell’età del Ferro e cera-mica geometrica iapigia databile alla seconda metà dell’VIII sec. a.C.

Le ricerche, proseguite in collaborazione con l'Università del Salento, hanno consentito di identificare un abitato arcaico databile al VI sec. a.C. che si sovrappone al precedente villaggio dell’età del Ferro. Ben leggibili in fotografia aerea sono le due cinte murarie (fig. 5.100): la più interna delimita la sommità della collina, mentre quella esterna definisce la superficie totale dell'insediamento, per una estensione di circa 25 ettari. Sono state messe in luce una serie di ambienti a pianta quadrangolare con copertura in tegole e alcune strade, pavimentate con pietre e minuti frammenti fittili, che convergono verso un’ampia area aperta, forse una piazza, situata nella parte più elevata della collina. Nel settore di abitato individuato ad ovest della “piazza” si notano alcune unità abitative, costituite da vani non molto grandi che si affacciano su un cortile; le strutture, conservate soltanto in fondazione, sono realizzate in blocchi irregolari di calcare, simile alla roccia di base della collina.

Sul lato orientale della “piazza” è stato individuato un grande edificio (circa 30 x 20 m) di tipo “palaziale” articolato in ambienti quadrangolari di grandi dimensioni e spazi aperti; an-che in questo caso i muri sono conservati a livello di fondazione, ma differiscono da quelli del settore ovest per il maggiore spessore e per l’uso di blocchi squadrati di calcarenite, provenienti da cave non molto lontane dall'abitato. Nel cortile si conserva la base di un "tumulo" di pietre, interpretabile come altare di pietre e terra: tipologia documentata da rappresentazioni su cerami-che figurate di produzione attica.

Questo grande edificio (fig. 5.101), che per planimetria e tecnica costruttiva costituisce un caso unico fra le evidenze note in Italia meridionale, è databile alla seconda metà del VI sec. a.C. per l’abbondante presenza di ceramica greca di importazione; vi si accedeva attraverso un ampio ingresso situato nel lato sud. E proprio lo studio del materiale ceramico rinvenuto (fra cui anfore commerciali arcaiche d’importazione, coppe ioniche, coppe attiche, crateri laconici e ceramica corinzia) consente di ipotizzare la destinazione d'uso dei singoli ambienti, probabilmente in rap-porto a funzioni non solo residenziali, ma anche politiche, cerimoniali e cultuali.

L’importanza del “grande edificio”, come di altre strutture messe in luce durante lo scavo

5.101. San Vito dei Normanni. Abitato antico di località Alceste: strutture in blocchi relative al “grande edificio” esteso su un’area di circa 700 mq e interpretato come una struttura di tipo “palaziale”; in primo piano il vano rettangolare ubicato nell’angolo nord-est.

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196 Età greca

viene ulteriormente sottolineata dall'ubicazione nel settore più elevato della collina, delimitato dalla cinta muraria interna (l’area ha un’estensione di circa 3 ettari) che più che a scopi di dife-sa dovette rispondere all’esigenza di circoscrivere zone di particolare rilievo o con particolari funzioni all’interno dell’abitato.

Agli inizi del V sec. a.C. l’insediamento viene abbandonato definitivamente; fenomeno, questo, che si riscontra nel Salento soltanto a Cavallino e a Masseria Fano, nel Capo di Leuca. Generalmente, invece, negli insediamenti indigeni la fase di maggior sviluppo “urbano” cor-risponde al IV-III sec. a.C. quando vengono obliterati gli impianti precedenti. Nell’abitato del Castello d’Alceste si ha la rara opportunità di studiare il fenomeno insediativo di età arcaica senza sovrapposizioni di epoche successive.

L'area archeologica costituisce il nucleo principale del Museo Diffuso Castello di Alceste, inaugurato nel 2009, frutto di una proficua collaborazione tra Soprintendenza Archeologica per la Puglia, Università del Salento e Comune di San Vito dei Normanni

A est di San Vito dei Normanni, nei pressi di masseria Jannuzzo, lungo la via per Brindisi, è ubicata la Cripta di San Biagio. La chiesa, quasi certamente di rito ortodosso, è stata scavata all'interno di un piccolo insediamento rupestre – probabilmente monastico – di cui si scorgono,

5.102. San Vito dei Normanni. Cripta di San Biagio: Annunciazione, particolare della testa della Vergine.

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Capitolo V 197

nei dintorni, vari ambienti. La cripta, che presenta caratteri tipici dell’edilizia rupestre bizantina brindisina con ingresso laterale e ampia aula senza ripartizioni, ha subito una serie di trasfor-mazioni che ne hanno modificato l’aspetto originario (fig. 5.102). Sulla facciata si notano due porte d’ingresso: la prima, ancora visibile, misura 1,05 x 2,00 m e immette direttamente nella zona presbiteriale; la seconda, trasformata in finestra nel secolo scorso, in origine serviva per accedere al nàos, cioè all’area destinata ai fedeli. Al di sopra di entrambe le porte si notano tre fori in cui probabilmente erano inserite travi di legno per sostenere una piccola tettoia. La cripta, a pianta grosso modo rettangolare (12,65 x 4,80 m; altezza 2,60 m), doveva essere suddivisa in nàos e bema da un’iconostasi litica poi abbattuta. A sud e a est sono state realizzate due nicchie rettangolari: quella a est risale probabilmente al XVIII secolo, quando fu realizzato un altare e furono affrescati (fig. 5.103) sulle pareti tre santi identificabili con San Biagio, San Pier Da-miani e San Nicola. Lungo la parete meridionale è stato ricavato un basso sedile continuo, il sintrono, che si estende anche ai muri perimetrali del bema, al centro del quale doveva essere collocato un altare a blocco. Nella volta, in direzione del presbiterio, sono rimasti i due anelli che servivano per agganciare le lampade al soffitto, un altro anello si trova invece tra la volta e il muro laterale all’altezza dell’affresco raffigurante la Natività. Nei pressi della porta d’ingresso, sulla volta, compare un’iscrizione in greco che ricorda come il santuario di San Biagio sia stato costruito grazie alla partecipazione finanziaria (?) di Matteo (forse dipinto tra i santi apostoli Giovanni e Andrea, al lato della porta d’ingresso) e all'opera di Daniele (capomastro ?) e di Mar-tino (pittore ?); è citato anche l’igumeno Benedetto. La data riportata nell’iscrizione (8 ottobre 1196) si riferisce probabilmente al giorno della consacrazione della chiesa: «Questo venerabile tempio del sacrosanto martire Biagio nostro padre è stato eretto e dipinto al tempo del nostro

5.103. San Vito dei Normanni. Cripta di San Biagio: particolare della Fuga in Egitto.

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198 Età greca

Igumeno Benedetto, con il concorso di Matteo e per mano dei maestri Daniele e Martino, l’otto del mese di ottobre dell’anno 6705 [=1196], indizione XV».

bibLioGrAFiASull’abitato indigeno e sulla cinta muraria CoCChiAro1998;seMerAro 1998a; seMerAro 1998b; seMerAro1999;

seMerAro2000;seMerAro2003;seMerAro2009a; www.castellodialceste.it. Sulla Cripta di San Biagio MeDeA 1939, pp. 91-101; seMerAroherrMAnn 1982; FALLACAsteLFrAnChi1991, pp. 111-123; MArinAz-zo 2000, pp. 91-92; ChionnA2001;berteLLi2013, pp. 130-138.

F.DeL.,P.GuA.

Muro Tenente-Scamnum (?)Situato nella campagna tra Mesagne e Latiano, Muro Tenente fu un centro indigeno par-

ticolarmente fiorente dal IV al II sec. a.C., anche se il luogo sembra occupato già dall’età del Bronzo.

È verosimile che a questo insediamento si riferisca Plinio (NH, III, 100), quando, elencan-do alcune città della Messapia, afferma: «Oppida per continentem a Tarento Uria, cui cogno-men ob apulam messapiae, Sarmadium». La Tabula Peutingeriana (VI, 1), riporta l’esistenza in quest’area di una località con il nome di Scamnum. Si doveva trattare di una mutatio a metà strada circa tra Oria e Brindisi, lungo la via istmica che da Taranto arrivava a Brindisi, che sarà poi in età romana la via Appia (fig. 5.104).

Le ricerche archeologiche effettuate fra 1969 e 1977, e riprese nel 1980 nella proprietà dei frati cistercensi, hanno portato alla luce i resti di un abitato con impianto regolare caratterizzato da abitazioni a pianta rettangolare con vani articolati attorno a un’area aperta, canali per il de-flusso delle acque, grandi contenitori per derrate e pozzi. Scavi più recenti, condotti negli anni ’90, hanno evidenziato nel settore settentrionale dell’abitato un quartiere con strutture abitative contigue datate fra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., che si affacciano lungo due assi

5.104. Muro Tenente. Foto aerea del 1972; le frecce indicano il circuito della cinta muraria dell’antico abitato.

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Capitolo V 199

viari urbani, perpendicolari tra loro e con fondo in terra battuta; essi confluivano in un’area lastricata di gran-di dimensioni interpretata come “piazza pubblica” (fig. 5.105).

Gli alzati dovevano essere realizzati in mattoni crudi e poggiavano su muri di fondazione costituiti da pietre irregolari di dimensio-ne variabile. Il rinvenimento di un sostegno, scarti di for-nace e pani d’argilla cruda ha fatto ipotizzare la presen-za nel quartiere anche di una fornace per ceramica.

Numerose le tombe rinvenute all’interno dell’abitato, in alcuni casi isolate, in altri rag-gruppate in piccole necropoli. Le più antiche, con il defunto in posizione rannicchiata, si datano al VII sec. a.C. e sono scavate nella roccia o nella terra e coperte da una lastra informe. A partire dal IV sec. compaiono tipologie differenti: tombe a cista con pareti stuccate o decorate con fasce policrome, tombe a cassa (IV-III sec a.C.), tombe a semicamera (III e II sec. a.C.) costituite e coperte da lastroni lapidei.

L’elemento più cospicuo dell’insediamento di Muro Tenente è rappresentato dalle im-ponenti fortificazioni che cingono un’area di circa 50 ettari e dalle quali deriva il nome della località. Il circuito esterno, finora mai oggetto di scavi sistematici, ha lunghezza totale di 2.700 m; la struttura si conserva in alcuni tratti sino a 3 m di altezza e arriva a una larghezza di 9 m; il paramento esterno è in tecnica isodoma.

Durante gli scavi avviati nel 1997 è stata indagata una porzione della cinta muraria inter-na che cingeva un’area di circa 8 ettari ed era posta sul punto più alto dell’insediamento, forse l’acropoli. La struttura (larghezza 1,5 m; altezza massima visibile 1 m) è realizzata con blocchi sbozzati di grandi dimensioni, messi in opera senza legante, e rincalzati con pietre più piccole. Il muro poggia su uno strato argilloso molto compatto, con materiali databili all’età del Ferro. All’interno di questa area alcuni saggi di scavo hanno messo in evidenza la presenza di una ne-cropoli con tombe di varia tipologia racchiuse da recinti in muri a secco. È stato ipotizzato uno stretto legame fra la necropoli e un edificio a carattere residenziale individuato nelle vicinanze e del tutto diverso dalle abitazioni scavate nella zona periferica. Benché siano necessarie ulteriori indagini, pare quasi certa una differenziazione sociale fra il settore centrale dell’abitato di Muro Tenente e le zone periferiche.

bibLioGrAFiALoPorto1972;LoPorto1973;uGGeri1983;DeJuLiis1985a, p. 24; DeJuLiis 1985b, p. 210; CoCChiAro 1992b;

LAMboLey 1996, pp. 90-96; burGers1997;burGers 1999; burGers,nAPoLitAno2010.F.DeL.

5.105. Muro Tenente. Foto aerea scattata nel 1986 (particolare), in evidenza l’area di scavo situata nella parte centrale della città.

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200 Età greca

ValesioA quasi metà strada tra Brindisi

e Lecce, nel territorio comunale di Tor-chiarolo, sulle sponde del Canale In-focaciucci che scorre in una piana che digrada dolcemente verso la costa adria-tica, sono visibili i resti di Valesio (figg. 5.106-107).

Il nome della città preromana dove-va essere vicino alla forma BAΛEΘAS-FAΛEΘAS riportata nella legenda di alcune monete di provenienza incerta ma attribuite comunemente alla zecca di Valesio. Strabone menziona Aletía (VI, 3, 6), toponimo da attribuire presumibil-mente a Valesio, mentre Pomponio Mela (II, 4, 66) e Plinio (III, 101) citano il cen-tro come Valetium e Balesium. Nel IV sec. d.C. il Pellegrino di Bordeaux (609, 8) indica il luogo col toponimo Valentia, da connettere col sostantivo mutatio, for-ma onomastica che però non sembra aver attecchito in quanto le fonti successive continuano a usare i toponimi Balentium (Tabula Peutingeriana, VII) e Baletium (AnoniMo rAvennAte, IV 31 e V, 1). Dubbia è invece l'attribuzione a Valesio di Valetum/Valentium che si ritrova agli inizi del XII secolo in Guidone (27; 71). Tra il XVI e gli inizi del XX secolo i re-sti dell’antica città furono descritti negli appunti di viaggio di diversi storici e stu-diosi locali.

In occasione della realizzazione della superstrada Brindisi-Lecce, negli anni ’60 del secolo scorso, furono pra-ticati alcuni saggi di controllo che por-tarono alla scoperta di strutture antiche, permettendo così di deviare il percorso stradale a ovest dell’area archeologica. Tra il 1984 e il 1990 la Libera Università di Amsterdam condusse una serie di cam-pagne di scavo in località Santo Stefano e di ricognizioni di superficie nell’area

5.106. Valesio. Foto aerea (1943) della città antica; le frecce indicano il percorso della cinta muraria.

5.107. Valesio. Restituzione aerofotogrammetrica; in rosso il circuito mu-rario e i resti archeologici.

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Capitolo V 201

intra moenia e in una fascia di territorio compresa tra la città e il Mare Adriatico (fig. 5.108).

Le più antiche testimo-nianze dell’occupazione umana nella zona sono riferibili al Ne-olitico, epoca cui si attribuisce un’ascia in serpentino. Nell’età del Ferro si sviluppò un insedia-mento di capanne esteso 8-10 et-tari; i resti di una capanna sono stati messi in luce nel corso dei predetti scavi. Il ritrovamento di ceramica greca di VIII e VII sec. a.C., tra cui un orlo frammenta-rio di pithos corinzio decorato, databile alla fine del VII sec. a.C., dimostra che già in questo periodo il villaggio era partecipe dei flussi commerciali con i po-poli ellenici.

Le fasi arcaica e classica sono poco note: si segnalano scarsi frammenti ceramici datan-ti, tre antefisse a palmetta e i resti di un muro inquadrabile tra il VI e il V sec. a.C., anch’esso sco-perto in località Santo Stefano.

Tra la fine del IV e i primi decenni del III sec. a.C. è datata la cinta muraria (fig. 5.109), an-cora oggi conservata in più tratti, il cui percorso – con le ipotetiche porte e strade di accesso – è sta-to identificato verso la fine degli anni ’60 grazie all’ausilio della fotografia aerea. Solo con la re-stituzione aerofotogrammetrica è stato possibile calcolare con precisione la reale lunghezza delle mura, che si sviluppano per 3.430 m, racchiudendo un’area di 83 ettari ca. La struttura, larga 5-6 m, presenta un paramento esterno in blocchi di calcare abbastanza squadrati, un paramento interno costituito perlopiù da blocchi di piccole dimensioni appena sbozzati e da pietrame informe, e un riempimento di pietre e terra. Per quanto concerne il numero e l’ubicazione delle porte, invece, non vi è certezza, ma è assai plausibile l’identificazione di quelle poste sui lati nord, nord-est e sud.

5.108. Valesio. Pianta degli scavi effettuati negli anni 1984-1990 in località Santo Ste-fano, nell’area centrale della città antica.

5.109. Valesio. La cinta muraria sul lato settentrionale, in uno dei tratti meglio con-servati.

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202 Età greca

La concentrazione di frammenti architettonici lapidei (ad es. un capitello dorico, un capi-tello ionico e una cornice con protome leonina) e fittili (ad es. tre antefisse raffiguranti una gor-gone, Pan e Artemide) in un’area non molto vasta a nord del Canale Infocaciucci fa ipotizzare l’esistenza di edifici pubblici, privati e religiosi disposti presumibilmente attorno a una piazza. Lo spazio all’interno delle mura non era occupato totalmente da quartieri abitativi, giacché que-sti si alternavano a spazi aperti e ad aree di necropoli. L’area urbana doveva essere interessata da una strada principale che correva in senso nord-sud, identificabile con la via Calabra, e da un’altra che muoveva verso la porta nord-est per raggiungere l’approdo marittimo, ubicabile presso Torre San Gennaro. Poco a nord dell’abitato vari ritrovamenti hanno fatto ipotizzare la presenza di un santuario.

Con l’avvento del dominio romano, l’estensione dell’insediamento si ridusse progressi-vamente fino a coprire, nella seconda metà del II sec. a.C., un’area di 2-3 ettari. Agli inizi del IV sec. d.C., in località Santo Stefano, su preesistenze d’età messapica (fine IV-III sec. a.C.), re-pubblicana (metà II-inizi I sec. a.C.) e primo-medio imperiale (I-III sec. d.C.), lungo il percorso della via Calabra, fu impiantata la mutatio Valentia. Oltre al cambio dei cavalli, il viaggiatore poteva usufruire di un impianto termale, caratterizzato da una sala d’entrata con pavimento a mosaico raffigurante un kantharos. La struttura cessò di funzionare agli inizi del V sec. d.C. e da questo momento in poi il sito sembra sia rimasto disabitato.

Una nuova occupazione della zona è documentata tra la fine del XII e gli inizi del XIV secolo, quando l’area delle terme fu interessata dalla presenza di un casale, citato variamente nelle fonti normanne come Valsium, Balisium e Balesium, che incorporò parte delle strutture preesistenti.

bibLioGrAFiAPer i rinvenimenti e le notizie di carattere generale MArzAno1962;DeLLiPonti1968;CoCChiAro 1994b; LAM-

boLey 1996. Per rinvenimenti monetali e in particolare sulla zecca di Valesio stAzio1973;trAvAGLini1973;siCiLiAno1991. Per la viabilità uGGeri 1983. Per le attività di ricerca della Libera Università di Amsterdam (scavo in località Santo Stefano, analisi di alcuni tratti della cinta muraria e ricognizioni all’interno e all’esterno dell’area urbana) in particolare boersMA1987;vAnGuLik,bernhArDt1987;bo-ersMA,ynteMA1987;boersMA,ynteMA1989;boersMAet alii1990;boersMA,burGers,ynteMA1991;ynteMA1993;boersMA1995;burGers2001; per la cinta muraria anche MeriCo 2008. Per la restituzione aerofotogrammetrica CerAuDo 1997; PiCCArretA,CerAuDo2000;CerAuDo2003. Per le fonti normanne DeLeo 1978.

A.M.

CavallinoL’abitato di Cavallino, di cui non si conosce il nome antico, sorgeva in un’area pianeg-

giante 5 km a sud-est di Lecce, oggi parzialmente occupata dalla città moderna.L’attenzione verso questo centro nasce nella seconda metà dell’Ottocento, ma solo a parti-

re dalla seconda metà del secolo scorso hanno inizio sistematiche campagne di scavo. Ai recupe-ri effettuati nel 1955 fecero seguito scavi che analizzarono sia gli accumuli di pietre denominati “specchie”, sia diversi punti delle mura e del fossato; altri saggi ebbero l’obiettivo di chiarire lo sviluppo delle strutture di fortificazione, i problemi topografici, quindi gli accessi e il sistema viario interno e gli aspetti cronologici. Nel 1999 il Dipartimento di Beni Culturali dell’Univer-

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Capitolo V 203

sità del Salento ha ripreso nuovamente gli scavi, e attualmente l’attenzione è posta sul settore centrosettentrionale della città antica. (fig. 5.110)

Le fasi d’abitato più antiche sono riferibili alla facies protoappenninica del Bronzo Medio iniziale; tuttavia, studi più recenti inquadrano l’insediamento tra una fase evoluta del Bronzo Antico e la fase 1 del Bronzo Medio iniziale. L’abitato protostorico è documentato dalla presen-za di capanne a pianta circolare, individuate tra la Porta Nord e la Porta Nord-Est delle mura ar-caiche e in parte tagliate dal fossato sempre di età arcaica. Ulteriori tracce della fase del Bronzo sono segnalate all’interno della cinta arcaica: nel fondo Giancastello, negli strati sottostanti il settore di abitato C e nel settore B. In questo ultimo settore, alla ceramica della più tarda età del Bronzo è associata ceramica della prima età del Ferro.

Scarse sono le notizie per la prima metà dell’VIII sec. a.C., mentre nella seconda metà dell’VIII a.C. si assiste allo sviluppo dell’abitato iapigio, documentato da capanne con fonda-zioni in pietre calcaree e alzato stramineo, e da abbondante ceramica corinzia tardogeometrica

5.110. Cavallino. Restituzione aerofotogrammetrica finalizzata; in rosso il circuito murario e i resti archeologici.

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204 Età greca

destinata al consumo di vino e olio, ma anche con funzioni prettamente rituali.

Tale situazione è riscontra-bile anche durante il VII sec. a.C., quando l’insediamento a capanne sembra svilupparsi maggiormente con alternate fasi di occupazione e abbandono. Se le ceramiche di importazione greca sono attestate in modo più discontinuo rispetto al secolo precedente, la presenza di anfore commerciali corinzie e greco-orientali testimonia i continui scambi commerciali con la Grecia e l’Egeo.

Cavallino raggiunge il suo apice nel VI sec. a.C., probabilmen-te in concomitanza con l’arrivo di gruppi esterni, conoscendo un fe-condo periodo di innovazione tec-

nica e sociale e una radicale trasformazione. In questo secolo, e in quello successivo, si ha la massima diffusione di materiali di importazione greca; infatti non mancano le anfore commer-ciali prodotte a Corinto e Corfù e le coppe ioniche della Grecia continentale e orientale.

Questo è il momento in cui si passa da un abitato costituito da ca-panne a un abitato caratterizzato da un impianto che si può definire pro-tourbano, che dimostra di possedere un notevole grado di organizzazio-ne sociale e che avverte nell’archi-tettura, oltre che nella presenza del-la ceramica, l’influenza di elementi ellenici (fig. 5.111).

Viene edificata la cinta mu-raria, con scopi difensivi ma anche simbolici, che cinge sia un settore abitativo concentrato nella zona centrosettentrionale, sia una va-sta area libera da abitazioni, forse lasciata a pascolo e a colture, nel settore dove insiste attualmente il centro moderno. Vengono realizza-te strade ben pavimentate e bordate

5.111. Cavallino. Fondo Casino, zona H: l’edificio H1 in corso di scavo (gennaio 2005).

5.112. Cavallino. Fondo Aiera Vecchia, zona A: ricostruzione delle case di età ar-caica.

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Capitolo V 205

da marciapiedi, sulle quali si affacciano gli edifici provvisti di cortile e il cui alzato poggia su fondazioni in blocchi squadrati (fig. 5.112); alcuni assi viari convergono verso un’area interpre-tata come una piazza pubblica, lastricata con pietre pressate e delimitata da edifici destinati ad attività artigianali, dove sono stati rinvenuti materiali architettonici (un capitello dorico e fram-menti di sime fittili di tipo corcirese) appartenenti a un ambiente destinato con molta probabilità a funzioni cultuali.

In direzione di una dolina denominata “Cupa”, ubicata grosso modo nell’area centrale dell’abitato, confluiscono, oltre ad alcuni assi stradali, canali di drenaggio in parte scavati nella roccia e in parte costruiti in blocchi squadrati.

Di grande impatto visivo sono le monumentali mura (fig. 5.113), provviste di torri e porte a ingresso sfalsato (quattro quelle ancora oggi visibili), che cingevano l’abitato per 3.100 m racchiudendo una superficie di circa 69 ettari. La cinta era a doppia cortina, con un paramento esterno in grandi blocchi parallelepipedi sbozzati e non perfettamente connessi e con un pa-ramento interno formato da blocchi più piccoli (fig. 5.114); il riempimento era costituito da pietrame informe di piccole dimensioni. Le mura hanno una larghezza variabile tra 3,5 e 4 m e si conservano attualmente per un’altezza massima di poco superiore al metro; all’esterno sono circondate da un fossato largo circa 3,50 m e profondo circa 2,50 m, scavato nel banco di roccia affiorante e interrotto sempre in prossimità delle porte.

Il settore settentrionale dell’abitato viene contemporaneamente delimitato da altre due cerchie murarie concentriche, più interne, realizzate forse non solo con scopi difensivi, ma an-che per delimitare uno spazio destinato a gruppi familiari dominanti.

5.113. Cavallino. Veduta aerea dell’insediamento.

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206 Età greca

Due aree di necropoli extramurarie, caratterizzate da tombe scavate nel banco roccioso, sono state individuate a nord/nord-ovest e a sud/sud-ovest dell’insediamento, disposte secondo un’organizzazione regolare dello spazio. All’interno dell’abitato le sepolture sono distribuite lungo gli assi stradali, dimostrando la coesistenza di abitato e sepolture riscontrata in altri abitati indigeni pugliesi. Inoltre, all’interno di strutture abitative sono state individuate tre sepolture a enchytrismòs in posizione rannicchiata entro pithoi ovoidali di ceramica d’impasto.

Ai primi decenni del V sec. a.C. sono datate alcune ricche tombe con ceramica attica e altre tombe (zona Asilo), il cui corredo ceramico testimonierebbe uno stato sociale medio dei defunti, legato probabilmente ad attività agricole.

Ed è proprio in questo secolo che si colloca l’epilogo dell’abitato di Cavallino: le mura distrutte, il fossato riempito, le abitazioni danneggiate dal fuoco testimoniano una fine cruenta dell’abitato. Scavi effettuati sul versante sud-ovest delle mura, in prossimità del fossato, hanno permesso l’individuazione di numerosi cippi votivi iscritti, che trovano confronti con gli esem-plari rinvenuti a Vaste; si pensa che questi oggetti siano stati rotti in modo volontario e gettati nel fossato insieme ai blocchi delle mura durante i primi decenni del V sec. a.C.

I secoli successivi restituiscono poche attestazioni, in genere solo sepolture, come quella di un fanciullo individuata all’interno di un ambiente e datata al IV sec. a.C. L’abitato viene progressivamente abbandonato mentre si affermano i vicini centri di Lupiae e Rudiae; le ultime tracce sono forse riferibili a tombe isolate di età repubblicana.

La storia recente dell’abitato di Cavallino vede la creazione, in collaborazione con altri comuni vicini, di un Museo Diffuso, che, prendendo spunto da esempi europei ben riusciti, propone una rappresentazione museale del territorio che abbraccia non solo l’abitato arcaico ma tutto il paesaggio nelle sue varie espressioni naturali e antropiche.

bibLioGrAFiAIn generale sull’insediamento Cavallino1979;nenCi1987;D’AnDriA1994;D’AnDriA2005. Per la fase proto-

storica inGrAvALLo1990;inGrAvALLo1997;orLAnDo1997. Per la ceramica cfr. i contributi di D’AnDriA1990;ynteMA1990, pp. 62 ss.; seMerAro 1997, pp. 49 ss.; seMerAro2005;MAnnino 2005.

C.M.

5.114. Cavallino. Particolare della cd. “Porta Nord-Est”.

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Capitolo V 207

Muro LecceseIl moderno abitato di Muro Leccese è si-

tuato nella parte centro-orientale della peniso-la salentina, circa 14 km ad ovest di Otranto. L’area fu occupata tra VIII e VII sec. a.C. da un villaggio iapigio a capanne, raggruppate in nu-clei distinti e separati, con sepolture di bambini entro vasi in impasto (tombe a enchytrismos); in questa fase la presenza di ceramiche di importa-zione del Medio Geometrico II attesta i precoci rapporti di scambio con il mondo greco, attra-verso il vicino porto di Otranto.

Nuclei abitati di età arcaica (VI-V sec. a.C.), con vicini spazi funerari, sono stati indivi-duati nelle località Palombara e Cunella; è per-tanto probabile che, come altri centri messapici, anche Muro Leccese durante il VI-V sec. a.C. abbia sviluppato caratteristiche protourbane.

Particolarmente interessanti sono i resti della cinta muraria (5.115), datata alla seconda metà del IV sec. a.C. e realizzata in opera quadrata a struttura piena (spessore 3 m). Per la costru-zione della fortificazione, conservata fuori terra soprattutto nella parte settentrionale e orientale del centro abitato, in località Sitrie (fig. 5. 116) e Palombara (fig. 5.117), furono utilizzati blocchi

5.115. Muro Leccese. Schema planimetrico dell’insediamento messapico.

5.116. Muro Leccese, località Sitrie. Foto aerea del tratto nord delle mura messapiche.

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208 Età greca

di calcarenite locale (carparo), disposti secondo filari di uguale altezza. La cinta muraria non doveva superare i 7 m di altezza, si sviluppava per una lunghezza

di circa 4 km e delimitava una superficie di poco più di 100 ettari; l’abitato – insieme a Rudiae, Nardò e Ugento – era dunque uno tra i più estesi della Messapia.

Recenti scavi hanno consentito di chiarire che il tracciato murario definito nella seconda metà del IV sec. a.C. andò ad obliterare nuclei di abitato e di necropoli preesistenti. Le indagini archeologiche hanno permesso di individuare in località Sitrie, nel settore settentrionale del cir-cuito murario, una porta del tipo cosiddetto “a tenaglia” databile alla seconda metà del IV sec. a.C., mentre la presenza di una seconda porta sul lato orientale è indiziata dalla prosecuzione della strada su cui si attestano le strutture abitative di località Cunella; da segnalare inoltre il

5.117. Muro Leccese, località Palombara. Tratto delle mura messapiche.

5.118. Muro Leccese, località Cunella. Un settore dell’abitato con impianto regolare, attraversato da una strada fiancheggiata a sud da un complesso residenziale.

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Capitolo V 209

ritrovamento di un architrave in proprietà Patella (settore sud-ovest delle mura). Nel IV-III sec. a.C. il tessuto insediativo si doveva articolare in una serie di aree di abitato alternate a luoghi di culto, nuclei di sepolture e aree destinate alle attività produttive.

Le indagini ancora in corso nella zona centro-orientale della città, in località Cunella (fig. 5. 118), stanno mettendo in luce un vasto settore di abitato caratterizzato da una strada con an-damento est-ovest, da strutture con orientamento uniforme e da un edificio residenziale con fasi di occupazione dall'età arcaica (fine VI-V sec. a.C.) fino ai primi decenni del III sec. a.C.; nelle vicinanze è stata rinvenuta un'area funeraria con due tombe a semicamera di particolare rilievo architettonico. L'edificio residenziale è costituito da un ampio cortile, con pozzo al centro e in-gresso diretto dalla strada, da cui si accede ad una serie di ambienti allineati sulla strada ma non accessibili da questa. L'articolazione planimetrica richiama quella di altre strutture gentilizie messapiche di età arcaica (San Vito dei Normanni) o ellenistica (Vaste); un altare in pietra lecce-se, posizionato al centro di uno degli ambienti, testimonia lo svolgimento di pratiche rituali. La strada, caratterizzata da numerosi rifacimenti della pavimentazione, costituisce probabilmente il tratto urbano di un importante percorso che collegava i centri della costa ionica (Gallipoli, Alezio) e quelli della costa adriatica (Otranto).

Nella prima metà del III sec. a.C., probabilmente in connessione con gli scontri tra Roma e i Messapi (bellum sallentinum), si assiste ad una destrutturazione della forma urbana dell’abi-tato, ma non al suo abbandono, come dimostra il rinvenimento di materiali e tombe di epoca romana.

Per quanto riguarda il periodo medievale, di particolare interesse è la Cappella di Santa Marina, realizzata nel IX secolo con blocchi di riutilizzo provenienti dalla cinta muraria mes-sapica e in origine probabilmente dedicata a S. Nicola. La cappella, che ha subito numerosi rifacimenti nel corso dei secoli, è attualmente a navata unica coperta da volta a botte, preceduta a ovest da un vestibolo e chiusa a est da un’abside semicircolare. Le pareti erano interamente ricoperte di affreschi bizantini, oggi solo in parte conservati; da segnalare il ciclo pittorico con la vita di San Nicola di Myra, databile alla prima metà dell'XI secolo.

I saggi di scavo hanno restituito varie tracce del villaggio medievale, su cui si è impostato Borgo Terra nel XV secolo; alla fine del secolo, nell'angolo sud-orientale del borgo, fu realizzato il castello, trasformato nel corso del XVI e XVII secolo in palazzo signorile. Gli scavi arche-ologici nell'area del castello, attuale Palazzo dei Protonobilissimo in Piazza del Popolo, hanno messo in luce il muro di fortificazione e il fossato, relativi a Borgo Terra.

bibLioGrAFiAPer notizie di carattere generale seMerAro1993;seMerAro1995;MAstronuzzi 2005a, pp. 79-80. Sulle for-

tificazioni messapiche e sugli aspetti della topografia e dell’urbanistica: LAMboLey 1991, pp. 487-491; CerAuDo,FoGAGnoLo1997;LAMboLey1999;GiArDino2002;GiArDino2003;GiArDino 2008b; GiArDino,Meo2008;GiArDino,Meo 2011. Sulla fase medievale Arthur 2003a; FALLACAsteLFrAnChi 2004d; LeoiMPeriALe,LiMonCeLLi,DeGiorGi2006;Arthur,bruno 2007.

r.DeG.,A.v.

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210 Età greca

VasteL’abitato antico di Vaste (PtoL., Geog., III, 1, 67: Βαυστα; PLin., NH, III, 100-101: Basta)

sorgeva su una propaggine della Serra di Poggiardo e si sviluppava nella piana circostante a una quota compresa tra i 95 e i 107 m s.l.m., distante circa 6 km dalla costa adriatica.

L’area è oggetto di scavi sistematici dal 1981; le indagini archeologiche hanno interessa-to vari settori dell’abitato, agevolando una prima comprensione delle dinamiche insediative e dell’organizzazione interna dell’abitato nelle sue diverse fasi di abitazione.

La più antica occupazione attestata è riferibile alle fasi medie e finali dell’età del Bronzo (XIV-XI sec. a.C.), documentata dall’esistenza di alcuni nuclei di capanne e dalla presenza delle forme tipiche degli impasti.

Una sostanziale continuità abitativa si rileva nella prima età del Ferro, quando nella par-te centrale dell’abitato, nell’area di un piccolo pianoro soprelevato corrispondente all’attuale piazza Dante, sembra svilupparsi un ampio abitato iapigio a capanne. I materiali si riferiscono prevalentemente alla seconda metà dell’VIII e al VII sec. a.C. e sono caratterizzati dalla presen-za di vasi a impasto e di ceramica dipinta di produzione locale del Tardo Geometrico Iapigio, in associazione a numerosi frammenti di vasi d’importazione greca.

Le tracce dell’abitato arcaico appaiono al di sopra dei livelli iapigi, ma restano complessi-vamente assai scarse in quanto l’impianto ellenistico ha in alcuni settori fortemente inciso sulla conservazione dei livelli più antichi; a questa fase corrispondono lembi di strutture murarie, probabilmente riferibili ad abitazioni del tipo a capanna con fondazioni in pietra e pavimenti in battuto di calcare, al di sotto dei quali sono state frequentemente rinvenute delle sepolture a en-

chytrismòs. Nella zona settentrionale (fondo Melli-che), a una certa distanza dall’area centrale dell’abi-tato, in relazione a un asse stradale con andamento nord-sud, è stata identificata un’area cultuale riferi-bile all’età arcaica, utilizzata successivamente in età classica come necropoli; l’articolato luogo di culto era delimitato da un muro di recinzione a blocchi ed era caratterizzato dalla presenza di cippi litici, alcuni con iscrizioni in lingua messapica, davanti ai quali erano deposte le offerte votive (fig. 5.119). La necropoli impiantata a partire dal secondo quarto del V sec. a.C. e utilizzata per poco più di un secolo e mezzo fino agli inizi del III sec. a.C., era costituita da tombe a sarcofago litico con controfossa scavata nel banco roccioso e da numerosi depositi funerari, tutti disposti secondo l’asse dalla strada. Alcune se-polture erano marcate con blocchi o lastre di calcare apposti come segnacoli; i ricchi corredi e i resti an-tropici erano in buono stato di conservazione.

Le testimonianze di maggiore rilievo si ri-feriscono alla fase messapica dell’insediamento, quando, a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C., Vaste conosce un più intenso sviluppo. L’area

5.119. Vaste. Cippo iscritto di età arcaica da Fondo Melli-che (seconda metà del VI sec. a.C.).

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Capitolo V 211

dell’abitato viene circoscritta da una imponente cinta muraria in blocchi squadrati di pietra calca-rea che, con un circuito di 3.350 m, racchiude una superficie di circa 78 ettari (fig. 5.120). In-dagini finalizzate alla conoscen-za del sistema di fortificazione hanno permesso di identificare tre fasi edilizie successive: la prima cinta, datata al pieno VI sec. a.C., è costituita da un muro del tipo “ad aggere” realizzato con un accumulo di piccole pie-tre irregolari contenuto da due paramenti in pietrame di dimen-sioni maggiori. La seconda fase è stata interpretata come un raf-forzamento della fase anteriore realizzato con l’aggiunta di un paramento esterno in opera qua-drata addossato al primo muro tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. La terza fase, di pieno III sec. a.C., costituisce la cinta più possente di Vaste, edificata interamente con blocchi squa-drati di grandi dimensioni messi in opera su tre file disposte alter-nativamente di testa e di taglio, secondo un tipologia attestata in altri insediamenti messapici (Rocavecchia e Muro Leccese). La struttura era priva di fossato e nel suo perimetro sono state identificate cinque porte di accesso all’abitato con le relative strade di attraversamento (fig. 5.121).

All’interno della cinta il nucleo occupato da edifici di VI-III sec. a.C. interessa una parte limitata del pianoro situato alle quote più elevate, che corrisponde all’area della cosiddetta acro-poli, mentre nella larga fascia intramuranea libera da costruzioni sono stati riconosciuti piccoli impianti cultuali e nuclei di necropoli. L’insediamento ellenistico è percorso da una rete irrego-lare di strade che sembrano seguire tracciati più antichi, il cui andamento è fortemente condi-zionato dall’altimetria dell’area; non appare dunque possibile riconoscere un preciso intervento urbanistico che prevedesse una divisione regolare in lotti. Le case di abitazione, diversificate nella planimetria e nelle funzioni dei singoli spazi, appaiono allineate lungo gli assi stradali pavimentati con battuti di pietre e tufina e si alternano con strettissima connessione a gruppi di tombe che presentano caratteri monumentali.

5.120. Vaste. La porta est che si apre lungo il percorso della cinta muraria in opera quadrata.

5.121. Vaste, Parco dei Guerrieri. La silhouette in ferro di un guerriero indigeno e, sul-lo sfondo, una torre in legno sono parte della rappresentazione evocativa di una scena difensiva lungo il percorso delle mura antiche.

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212 Età greca

Tra gli edifici portati alla luce durante le ricerche archeologiche, un particolare rilievo è stato attribuito per la sua estensione e le sue peculiarità planimetriche al cosiddetto edificio “a elle”; gli ambienti allineati si affacciano su una vasta corte centrale e per ciascuno dei vani è stato possibile riconoscere funzioni cerimoniali e di culto accanto a quella residenziale, aspet-to che ha fatto identificare l’edificio come struttura aristocratica di tipo “palaziale”, legata a livelli sociali dominanti.

Nel 1869, nei pressi della moderna piazza Dante, fu rinvenuta una delle più ricche e mo-numentali evidenze funerarie d’età messapica finora note: si tratta di una tomba a camera ipo-geica voltata a botte, oggi distrutta, che presentava nel vestibolo di accesso alle celle una ricca decorazione scultorea; al suo interno si recuperarono due lastre di pietra calcarea pertinenti a un fregio che rappresentava un viaggio funebre, e quattro cariatidi che dovevano fiancheggiare le porte d’accesso alle celle.

Altre significative testimonianze funerarie provengono da un’area situata all’esterno della cinta, oggi occupata dal moderno abitato di Poggiardo (fondo Aia), dove è stato individuato e scavato un cospicuo nucleo di tombe a fossa utilizzato per circa due secoli, dalla metà del IV alla metà del II sec. a.C.

Di particolare interesse è poi il ritrovamento nel fondo Sant’Antonio di un tesoretto monetale (fig. 5.122) composto da 150 stateri d’argento. Fortuita-mente scampato alle distruzioni provocate dalle lavo-razioni agricole, il tesoretto era contenuto all’interno di un’olpe di bronzo, la cui data di seppellimento an-drebbe collocata dopo il 235 a.C.

L’abbattimento delle poderose fortificazio-ni rappresenta un segnale dell’occupazione romana che produsse la disgregazione dell’abitato messapico e una crisi seguita poi da un lento riorganizzarsi del popolamento in nuclei di abitazioni sparse, legate ad attività agricole, durante il II e I sec. a.C. Notevole per la fase repubblicana è il rinvenimento, sul fondo di una cisterna riempita nel I sec. a.C., di un complesso di 17 tesserae lusoriae in osso recanti iscrizioni latine con appellativi il cui carattere positivo o negativo è associato con cifre numerali romane.

La frequentazione dell’abitato continua in età imperiale con una graduale riorganizzazio-ne della presenza agricola in età tardoantica su tutto il territorio della vasta piana.

bibLioGrAFiAPer notizie di carattere generale Archeologia dei Messapi 1990, pp. 49-190; D’AnDriA1991a;MeLissAno1995;

D’AnDriA1997;MAstronuzzi2005b, pp. 235-247; MAstronuzzi2011;MAstronuzzi,MeLissAno,CAr-LuCCio2012. In particolare sulle fortificazioni d’età ellenistica LAMboLey 1991 e LAMboLey 1998. Su fondo Melliche CALDAroLA2012;MeLissAno 2012.

M.s.

5.122. Vaste. Tesoretto monetale da fondo Sant’Antonio.

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Capitolo V 213

Ugento e Torre San GiovanniLa moderna cittadina di Ugento si sovrappone in gran parte a uno dei principali centri

messapici della Penisola Salentina, situato all’estremità meridionale di una serra che raggiunge i 108 m s.l.m., a circa 6 km dalla costa ionica: solo alcune zone poste soprattutto alla periferia orientale e settentrionale dell’insediamento antico non sono state raggiunte dall’espansione edi-lizia degli ultimi decenni, che ha comportato la distruzione di molte evidenze archeologiche (fig. 5.123). Le conoscenze sull’abitato, di cui alcune emissioni monetali di III sec. a.C., riportano il nome messapico Aoze(n)/Ozan, forse abbreviazione di Aozen(tum)/Ozan(tum), non sono do-vute a ricerche sistematiche, ma a rinvenimenti occasionali, frequenti in modo particolare negli ultimi due decenni, grazie a interventi di emergenza effettuati dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia in seguito a lavori di scavo pubblici e privati. Per questo motivo si ha un quadro molto frammentario dell’insediamento: sono state scoperte fondazioni a blocchi di calcare pertinenti a varie strutture abitative, assi stradali in pietrame compattato e soprattutto sepolture, che in epoca messapica erano costituite da inumazioni in sarcofagi oppure in fosse, semplici o rivestite di lastre calcaree.

L’altura su cui sorge Ugento fu già occupata in età protostorica, come lasciano presume-re sporadici rinvenimenti ceramici; testimonianze sicure di un insediamento, verosimilmente situato sulla parte più elevata della serra, si hanno solo a partire dal VI sec. a.C., epoca a cui risalgono due dei più importanti rinveni-menti verificatisi nel-la cittadina: il celebre Zeus bronzeo e la tom-ba dipinta di via Salen-tina, che documentano l’elevato grado di el-lenizzazione dei ceti aristocratici messapici. La statua di Zeus è stata scoperta fortuitamente nel 1961 in via Fabio Pittore, sulla serra, su-bito a nord del centro storico medievale, in un’area significativa-mente denominata Co-lonne, dove nei decen-ni finali dell’Ottocento e in quelli iniziali del Novecento sono stati rinvenuti vari materia- 5.123. Ugento. La cinta muraria messapica: i numeri indicano le porte.

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214 Età greca

li di epoca arcaica (due capitel-li di una colonna e di un cippo votivi, iscrizioni messapiche, un frammento di sima in terracot-ta); la statua era stata nascosta in antico in una cavità della roccia e coperta dal capitello dorico in calcare (con abaco decorato da rosette) che ne costituiva l’origi-nario sostegno. Datata all’ultimo trentennio del VI sec. a.C., viene attribuita a un artista tarantino che potrebbe averla realizzata a Ugento; rappresenta la divinità nel gesto di scagliare una saet-ta e doveva essere posta su una colonna, come oggetto votivo in

un’area sacra. La tomba scoperta nel 1969 in via Salentina, alle pendici orientali della serra, è realizzata con blocchi e lastre di pietra calcarea e presenta dimensioni monumentali: una pianta rettangolare di 2,95 x 1,10 m (misure interne), con altezza di 80 cm. L’interno reca una deco-razione pittorica in rosso e blu: sulle pareti si hanno fasce e bende, mentre nel soffitto sono rappresentati un aryballos appeso a cordicelle, una colomba e un gallo. Nella tomba, che per le caratteristiche può essere accostata a quelle di atleti tarantini, sono state rinvenute due deposi-zioni successive, una della seconda metà del VI-inizi V sec. a.C. e l’altra di fine V-inizi del IV sec. a.C., accompagnate da corredi molto ricchi: di quello più antico fanno parte materiali cera-mici e bronzei di produzione indigena e di importazione greca, soprattutto peloponnesiaca, che si riferiscono alla pratica del simposio e al mondo della palestra; l’altro, invece, è caratterizzato dalla presenza di numerosi vasi attici e italioti sia a vernice nera che a figure rosse.

Tra i rinvenimenti di epoca arcaica va poi ricordata una tomba di VI sec. a.C. scoperta in una necropoli scavata in località Sant’Antonio, a nord-est della città: il sepolcreto, situato a ridosso delle mura, in gran parte all’interno della cinta, è rimasto in uso fino al III sec. a.C. (fig. 5.124); inoltre, a epoca sub-arcaica viene datata una tomba a sarcofago di piccole dimensioni (80 x 50 cm) messa in luce in via Indipendenza, all’estremità occidentale della cittadina. Più a sud-ovest, in via Aghelberto del Balzo, sono state scoperte numerose sepolture a fossa e a sar-cofago, databili tra il V e il III sec. a.C.

L’evidenza archeologica meglio conservata è rappresentata dalle mura di cinta; ne sono ancora visibili alcuni tratti nelle aree (soprattutto a est e a nord dell’abitato moderno) non rag-giunte dall’urbanizzazione, mentre altri sono stati individuati durante interventi di scavo: nella parte settentrionale della città (in località Sant’Antonio) e nei settori orientale (in via Taurisano), meridionale (in via Acquarelli) e occidentale (in via Peri e in via Giannuzzi). Un notevole contri-buto alla ricostruzione del circuito murario, delineabile in gran parte del suo tracciato, è fornito dalle fotografie aeree, soprattutto quelle degli anni ’40 e ’50 del Novecento, anteriori cioè alla forte espansione urbanistica di Ugento: nelle riprese aeree sono chiaramente visibili i resti di numerosi tratti murari oggi distrutti e le tracce di altri segmenti che all’epoca risultavano già non

5.124. Ugento, località Sant’Antonio. Veduta della necropoli.

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Capitolo V 215

conservati in superficie. Le mura avevano una lunghezza di 4.900 metri, e racchiudeva-no una superficie di circa 145 ettari, comprendente, oltre alla serra (su cui oggi sorge il centro storico medievale e la periferia settentrionale della cittadina moderna), anche le zone pianeggianti poste alle sue pendici orientali, me-ridionali e sud-occidentali: Ugento risulta così essere il più grande centro urbano del-la Messapia, anche se si deve immaginare che non tutta quest’area fosse abitata, ma esistessero zone libere da strutture. Tra-dizionalmente datate tra la seconda metà del IV e il III sec. a.C., le mura hanno una larghezza di 6-7 metri: sono per lo più costituite da due paramenti realizzati con grandi blocchi paralle-lepipedi di calcare, tra i quali c’è un emplekton di pietre e terra; un segmento messo in luce in località Sant’Antonio, conservato per un’altezza massima di due filari, è invece costituito da blocchi in tutto il suo spessore (circa 4 m). Un bel tratto della cortina esterna è visibile sul lato settentrionale della cinta, in località Porchiano (fig. 5.125): conservato per un’altezza massima di 2,5 m, è caratterizzato da blocchi (lunghi anche più di 2 m e alti fino a 70 cm) disposti in filari alternativamente di testa e per lungo. All’esterno del circuito murario, almeno lungo il lato orientale, sono presenti i resti di un fossato difensivo largo circa 6 m, che poteva correre anche lungo il resto delle fortificazioni; tale fossato, individuato anche mediante saggi di scavo, venne prodotto dall’estrazione dei blocchi per la costruzione delle mura stesse. Un’altra grande cava utilizzata per la realizzazione delle fortificazioni è situata in località Cupelle, a nord dell’abitato.

Nella cinta si aprivano varie porte, di cui solo tre sono state messe in luce, sebbene solo parzialmente: nella parte occidentale della città, lungo via Peri e via Petrarca, e in quella meri-dionale, lungo via Gemini, tutte strade che ricalcano o affiancano antichi tracciati. La cosiddet-ta “via Salentina”, che attraversava Ugento con un percorso grossomodo coincidente con via Madonna della Luce, doveva entrare nell’abitato, provenendo da Alezio, attraverso una porta situata presso l’angolo nord-est delle mura; ne usciva diretta a sud, verso Vereto, forse mediante un’apertura che poteva esistere nel punto in cui le fortificazioni sono attraversate dalla strada per Acquarica oppure da quella individuata lungo la strada per Gemini. Un’altra porta si doveva probabilmente trovare sul lato nord-ovest dell’abitato, all’altezza di via Mandorle, dove, al di sotto della strada moderna, ne è stata rinvenuta una di età ellenistica con lo stesso orientamento: è costituita da terreno battuto misto a pietrame, doveva avere una larghezza superiore a 3,60 m e si sovrappone parzialmente a una necropoli di IV-III sec. a.C. Altri assi stradali dello stesso tipo sono stati scoperti in vari punti della città: in via Modena, orientato nord-sud e forse diretto ver-so una porta aperta nel punto in cui via Acquarelli attraversa la cinta; all’incrocio tra via D’Aze-glio e via Goldoni, con andamento est-ovest, visibile in traccia nelle foto aeree storiche e diretto verso una porta che doveva esistere presso l’angolo sud-orientale delle mura; in via Mare, con

5.125. Ugento, località Porchiano. Resti della cortina esterna della cinta muraria messapica.

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216 Età greca

orientamento nord-ovest/sud-est, che probabilmente attraversava le fortificazioni all’altezza di piazza A. Moro. Quest’ultima strada, larga fino a 4,70 m, è fiancheggiata sul lato occidentale da una profonda canaletta per il deflusso delle acque e lungo quello orientale da una necropoli di III-II sec. a.C., con tombe a sarcofago e a cassa di lastroni che mostrano un orientamento parallelo all’asse viario.

Un’altra zona di sepoltura è stata scoperta nel settore sud-occidentale dell’abitato, all’in-terno della cinta muraria e a breve distanza da essa, lungo il tracciato di via Peri: si tratta di tombe a sarcofago e a cassone di lastroni di calcare di età ellenistica (fine IV-inizi I sec. a.C.), e in un caso la cassa è risultata intonacata all’interno e decorata con bande dipinte in rosso e in blu. Un’importante necropoli è venuta inoltre alla luce nella parte sud-occidentale della città, lungo via Acquarelli, immediatamente al di fuori delle mura; a una prima fase del sepolcreto, databile al IV-III sec. a.C. e documentata da resti di tombe a cassa di lastroni e a sarcofago mo-nolitico, è seguita un’altra di età tardorepubblicana, epoca a cui si riferiscono la maggior parte dei rinvenimenti: si tratta di incinerazioni in olle di ceramica grezza, sistemate all’interno di fossette ricoperte da lastre di pietra. In proposito, va detto che l’uso del rito crematorio è atte-stato già nel II sec. a.C. da tre tombe a incinerazione rinvenute all’interno di un piccolo recinto funerario (5 x 7 m), realizzato con grandi blocchi parallelepipedi di calcare: le sepolture sono costituite da contenitori ceramici (con i resti ossei e gli oggetti di corredo in parte bruciati dal rogo) alloggiati in fossette. Altre tombe di età ellenistica sono state rinvenute subito all’interno della porta individuata in via Gemini (presso l’incrocio con via Rovigo), sempre allineate lungo il tracciato che usciva dalla città, e in via Corfù, nella parte occidentale dell’abitato. Per quanto riguarda poi i rinvenimenti dello stesso periodo, non a carattere funerario, si possono ricordare le due fornaci d’età ellenistica messe in luce in via Garibaldi e in Piazza Colonna e i resti di vari edifici a blocchi, individuati sia sulla serra (come in via Cilea e in via Mons. Pugliese), sia a sud della collina (come in via Rovigo).

Ugento dovette essere un centro di una certa importanza anche in epoca romana, quan-do, come sappiamo dalle fonti letterarie (Liv., XXII, 61, 12; PLin., NH, III, 105), il suo nome era Uzentum; la forma greca, riportata da Tolomeo (Geog., III, 1, 67) era invece Ouxenton. La città, come tutto il Salento, entrò nell’orbita di Roma nel corso del III sec. a.C. (sono degli anni 267-266 a.C. i trionfi sui Salentini e sui Messapi ricordati in Liv., IX, 42, 3-5 e X, 2, 1-4); in questo periodo godeva comunque di una certa autonomia, come sembra indicare la già ricordata emissione di monete bronzee riconducibile alla cittadina: hanno una circolazione locale, sono collegate al sistema ponderale romano e presentando la legenda in messapico, documentando la persistenza dell’uso ufficiale di questa lingua. Va ricordato inoltre che durante la guerra anni-balica la città defezionò e passò dalla parte del condottiero cartaginese (Liv., XXII, 61, 11-12).

Vari sono i rinvenimenti riferibili all’epoca tardorepubblicana e alla prima età imperiale, sia sulla serra che nella pianura sottostante. In via Volta, per esempio, a breve distanza dal tratto sud-orientale della cinta muraria, sono stati trovati i resti della pars rustica di una domus urbana di II-I sec. a.C.; una grande cisterna pertinente a una domus di I-III sec. d.C. è stata messa in luce in via Marconi, mentre un edificio a blocchi squadrati, che sembra essere stato in vita dal II sec. a.C. al I d.C. e da cui proviene un tesoretto di denari repubblicani, è stato scoperto in via Piave. Edifici d’età romana, sempre in blocchi di calcare, sono stati messi in luce anche in via Mercurio e in via Ercole, sulla serra; sotto le loro fondazioni si sono rinvenuti livelli messapici, con cera-mica indigena e greca. I resti di altri complessi abitativi, in vita nella piena età imperiale, sono

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Capitolo V 217

stati individuati nella zona pia-neggiante non urbanizzata posta tra le pendici orientali della serra e via Madonna della Luce. Inol-tre una necropoli della prima età imperiale, costituita da tombe per lo più a incinerazione, è stata scavata in via Edison, subito al di fuori della cinta messapica.

In età tardoantica il cen-tro si è contratto notevolmente: nell’Alto Medioevo l’abitato è andato concentrandosi all’estre-mità meridionale della serra, quella più elevata (dove oggi sorgono il castello, il vescova-do e il duomo) e nel sottostante borgo (a est) posto lungo la “via Salentina”. Nel corso del Me-dioevo la città dovette assume-re quella struttura che manterrà fino all’Ottocento e che è docu-mentata da una pianta redatta da A. Palazzi nel 1810.

Ugento, già in epoca mes-sapica e poi anche in età romana, disponeva di un proprio scalo portuale sullo Ionio, presso Tor-re San Giovanni (fig. 5.126). Il porto si trovava più all’interno rispetto all’attuale linea di costa, a sud-est della torre fatta erigere da Carlo V nel 1565; era protetto da una scogliera parallela alla riva e probabilmente sfruttava anche una laguna costiera non più esistente. Alcune strutture sommerse individuate nella cala situata a nord-ovest della torre lasciano presumere che anche questa fosse utilizzata, magari quando le condizioni del mare impedivano di usare l’altro approdo. Non si conosce l’esatta estensione dell’insediamento antico, a causa della forte urbanizzazione dell’area negli ultimi decenni; ne è stato proposto un perimetro di 3,5 km e un’estensione di 58 ettari. Presso la torre cinquecentesca che domina il piccolo porto moderno è stata esplorata, tra il 1975 e il 1976, un’ampia fascia litoranea; lo scavo ha messo in luce livelli arcaici caratterizzati da vasi di im-pasto indigeni e da alcuni frammenti di ceramica greca, indizi preziosi della frequentazione del porto nell’epoca in cui veniva realizzata la statua di Zeus. Alla seconda metà del IV sec. a.C., poi, risale un muro di fortificazione dell’ansa portuale, di cui è stato messo in luce un tratto di 25 m, spesso 3,50 m ca. e costituito da una doppia cortina di blocchi squadrati con emplekton

5.126. Ugento. Veduta aerea del 1968: compaiono in primo piano Torre San Giovanni (A) e in lontananza Ugento (B).

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218 Età greca

di pietrame e terra. Nei livelli di III sec. a.C. sono state rinvenute terrecotte tarantine raffigu-ranti Artemis Bendis, che attestano la presenza del culto e i contatti con Taranto. È verosimile che l’insediamento fosse sede di attività emporiche: in esso potevano essere insediati nuclei di mercanti ellenici e, sebbene controllato da Ugento, la lingua franca poteva essere il greco. Nello scavo sono stati rinvenuti anche estesi scarichi di frammenti di anfore da trasporto, di varie tipo-logie, che testimoniano l’entità dei traffici che dovevano interessare lo scalo portuale: poco più della metà risalgono al IV-III sec. a.C. e sono soprattutto anfore corinzie A, “corinzie” B (cor-ciresi) e greco-italiche; il resto risale al II-I sec. a.C. ed è costituito in grande maggioranza da produzioni apule, sia di Brindisi che di Felline: quest’ultimo è un centro situato 2 km a ovest di Ugento, dove in località Malora nel 1967 è stato rinvenuto un impianto (appartenuto a un Pullus o a un Pullius) per la produzione di tegole e di anfore del tipo realizzato ad Apani e nella zona di Brindisi. La documentazione archeologica attesta che, dopo l’età messapica, l’occupazione dell’area di Torre San Giovanni è continuata anche in epoca romana (almeno fino al I sec. a.C.) e nel Medioevo, a partire dall’età bizantina.

bibLioGrAFiAIn generale su Ugento LAMboLey 1996, pp. 247-254; Pizzurro2002;sCArDozzi2002;MAGGiuLLi2012;sCAr-

Dozzi2012a; Ugento 2012. Per la cinta muraria Pizzurro 2002, pp. 239-261; sCArDozzi 2003b (in par-ticolare per le tracce ed i resti visibili nelle foto aeree); sCArDozzi 2007. Per lo Zeus DeGrAssi 1981 e D’AnDriA,DeLL’AGLio 2002. Su Torre San Giovanni D’AnDriA1978;Desy,DePAePe1990;LAMboLey1996, pp. 254-255; Pizzurro 2002, pp. 281-298; sCArDozzi 2012b.

G.s.

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VI.1. Elementi di organizzazione del territorio: la centuriazioneLe divisioni agrarie sono senza dubbio l’aspetto più tangibile della presenza di Roma nei

vari territori conquistati. La necessità di regolamentare lo sfruttamento delle risorse agricole attraverso la creazione di questi sistemi di divisione agraria, che prevedevano la suddivisione della superficie in appezzamenti tramite strade e canali, nasceva dall’esigenza tecnico-politica di organizzare l’occupazione stabile di un territorio conquistato o comunque acquisito. Solo in un secondo momento questa operazione agrimensoria verrà impiegata per il recupero dell’agro pubblico occupato più o meno legalmente dai ceti possidenti romani e italici nelle aree centro-meridionali e la successiva redistribuzione ai piccoli proprietari e contadini. Queste divisioni venivano realizzate seguendo schemi modulari ben precisi, attraverso l’incrocio di strade tra di loro equidistanti, determinando così la creazione di appezzamenti di terreno regolari. Nella sua forma più classica i quadrati avevano lati di 20 actus, ossia 120 piedi romani. Un rettangolo di 1 x 2 actus è uno iugerum, l’equivalente di 2.529 mq (¼ di ettaro); due iugera costituiscono un heredium, che è uguale a 5.039,8 mq (½ ettaro); cento heredia formano una centuria di 20 actus, che corrispondono a 2.400 piedi per lato. Per ottenere una centuria si tracciavano i limites paralleli e perpendicolari detti decumani quelli posti E-O, cardines quelli posti N-S. Il primo decumanus e il primo cardo venivano chiamati Massimi e dividevano il territorio in quattro parti (dextra e sinistra quelle da N a S del decumano; ultrata e citrata quelle a E e O del cardine). Generalmente per questioni pratiche l’orientamento degli assi raramente coincideva con i quat-tro punti cardinali; spesso seguiva la pendenza e le caratteristiche geomorfologiche del terreno. Successivamente venivano tracciati, da una parte all’altra degli assi iniziali, cardini e decumani secondari chiamati limites quintarii. Erano assi stradali paralleli posti a intervalli di 100 actus (3,5 km circa). Il territorio risultava così suddiviso in superfici quadrate chiamate saltus. La rete stradale veniva ulteriormente infittita con altre strade parallele ai cardini già tracciati con distanze regolari di 20 actus (710 m circa). Le superfici quadrate risultanti da questa ulteriore divisione erano le centurie.

La romanizzazione della Regio II non è stato un processo unitario e non è sempre avve-nuto nelle medesime circostanze ma possiamo sicuramente affermare che la presenza romana nella regione coincide ovunque con l’affermarsi di un’articolazione più complessa nell’organiz-zazione del territorio (fig. 6.1).

vi.etàroMAnA

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220 Età romana

VI.1.1. L’Apulia

L’insediamento di 2.500 coloni lucerini e la conseguente riorganizzazione dell’assetto territoriale mediante la limitatio e l’assegnazione dei lotti ai coloni introducono un elemento di rottura nell’organizzazione del paesaggio agrario dauno, non solo nella porzione dell’alto Ta-voliere e del Subappennino inglobata nell’ager della più antica colonia latina della Daunia, ma anche al di fuori di essa.

L’unico caso di divisione agraria attribuibile al momento della fondazione della colonia è quello individuato a nord-est della città per mezzo delle fotografie aeree e inizialmente definito per decumanos solos (fig. 6.2). Questa antica strigatio, che ha probabilmente conosciuto inter-venti successivi di risistemazione e di ampliamento delle zone limitrofe (fig. 6.3), prolungando sicuramente la sua esistenza almeno lungo tutta l’età repubblicana, risulterebbe originariamente divisa in piccoli lotti di 10 iugera e in appezzamenti più ampi destinati ai componenti del ceto elevato della nuova comunità cittadina, strutturata secondo il tipico schema timocratico a base fondiaria. Allo sfruttamento agricolo, che vede forse già in questa fase più antica l’adozione del-le colture della vite e dell’ulivo (fig. 6.4), sia pure entro gli schemi della piccola proprietà con-tadina a conduzione familiare (fig. 6.5), si affianca l’uso collettivo delle terre comuni indivise.

Poco o nulla si sa dell’articolazione del paesaggio agrario dell’altra colonia latina fon-data in Daunia, Venusia, il cui territorio risulta avaro di tracce relative alla limitatio; in que-

6.1. Schema delle persistenze centuriali individuate nei territori antichi della Puglia e menzionati nel Liber Coloniarum I e II.

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Capitolo VI 221

sto caso, però, la cifra elevatissima di co-loni, 20.000, tramandata da Dionisio di Alicarnasso (D.h. 17-18,5), presuppone l’adozione di un modello diverso di colo-nizzazione e di occupazione del territorio, mediante il reinserimento di gruppi indige-ni nella colonia.

Esclusi i casi relativi alle due colo-nie latine (facendo riferimento anche alla colonia latina di Venusia fondata nel 291 sul sito della moderna Venosa in Basili-cata), non sembra che la presenza romana abbia provocato mutilazioni dei territori delle civitates daunie sociae e l’annessione di porzioni di essi all’ager publicus. Biso-gna, infatti, attendere la conclusione della Seconda Guerra Punica perché l’ager pu-blicus diventi una componente essenziale del paesaggio agrario e della geografia eco-nomica e amministrativa della regione.

Le informazioni attualmente dispo-nibili sulle centuriazioni graccane sono molto controverse. Dal Liber Coloniarum (Liber Coloniarum I.210 10-14, II.260 18-24, 261 3-4, L.) risulta che interventi di di-visione agraria con quadrati di 20 actus sa-rebbero stati realizzati lege Sempronia (et Iulia) nei territori di Herdonia, Ausculum, Arpi, Collatia, Sipontum, Salapia, forse di Teanum Apulum; interventi agra-ri interessarono sicuramente, li-mitibus Graccanis, Venusia (Li-ber Coloniarum I.210 7, II.261 19, L) e verosimilmente Luceria (fig. 6.6).

L’esame della cartografia moderna e delle riprese aeree, associato a quello della carto-grafia storica, ha permesso la ri-costituzione dei limiti principali di una centuriazione di 20 actus anche nell’ager Canusinus (fig. 6.7). Archeologicamente, soprat-tutto sulla base della documenta-

6.2. Schema grafico ricostruttivo degli assi centuriali individuati nell’ager Lucerinus.

6.3. Resti della divisione agraria individuati nell’ager Lucerinus in Località Palmori.

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222 Età romana

zione aerofotografica, sono note varie centuriazioni, la cui crono-logia non è stata finora ben pre-cisata (fig. 6.8): non si può infatti escludere che alcune di esse pos-sano essere riferite a interventi di età triumvirale o augustea, ai quali sembra richiamarsi lo stes-so Liber Coloniarum e che sono direttamente documentati dai vari stanziamenti coloniali effet-tuati nella regione nel I sec. a.C. Nell’ager Lucerinus continua a essere sfruttata l’antica divisio-ne agraria a nord-est della città, forse ristrutturata e ampliata in questo periodo. A nord-ovest di Luceria è nota un’altra limitatio, organizzata con un modulo di 20

actus, che potrebbe essere attribuita alla fase graccana. All’età graccana potrebbero essere riferi-te sia una delle due centuriazioni con modulo di 20 actus individuate nei pressi di Ausculum (fig. 6.9), sia quella, di piccole dimensioni, posta nei pressi di Carmeia-Collatia, che confermano la notizia del Liber Coloniarum. Gli interventi agronomici promossi dalla lex Sempronia investo-no, quindi, il territorio daunio in maniera estensiva, attribuendo la tipica fisionomia del reticolo a terreni che già in precedenza dovevano essere stati utilizzati per le attività agricole piuttosto che per il pascolo (fig. 6.10).

6.4. Territorio di Lucera. Tracce di divisione agrarie della colonia romana. Si legge con chiarezza l’asse stradale principale, marcato dalle canalette di scolo (A), di insediamenti lungo la strada e di impianti agricoli (C). Nel territorio si notano anche tracce circolari di fossati relativi a villaggi neolitici (B e D).

6.5. Masseria Villano (Lucera). Tracce di divisione agraria e strutture di età romana sovrapposte a un piccolo recinto circolare (villaggio neolitico?): nella foto RAF 1943 edita dal Bradford, si leggono la viabilità secondaria e le diverse colture; evidenti in alto ed a destra le tracce degli scassi paralleli dei vigneti e il puntinato regolare delle buche per la messa in sede di ulivi e alberi da frutto.

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Capitolo VI 223

6.6. Schema grafico delle attestazioni degli agri centuriati citati nel Liber Coloniarum I e II.

6.7. Ipotesi ricostruttiva della centuriazione dell’ager Canusinum sulla base dei documenti d’archivio e della lettura delle foto aeree.

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224 Età romana

Nuovi interventi di centu-riazione si verificarono nel cor-so del I sec. a.C., in età sillana, triumvirale e augustea, mentre le precedenti limitationes conti-nuano a essere utilizzate, anche se attraverso progressive trasfor-mazioni degli assetti della pro-duzione e dell’articolazione del-la proprietà. In questo modo una centuriazione, con modulo 20 actus, si sovrappone a quella più antica nei pressi di Ausculum, probabilmente in coincidenza con la fondazione di Firmum Apulum; alla piccola centuria-zione di Carmeia-Collatia si sovrappone un vastissimo retico-lo a sud di Foggia (fig. 11), fra Arpi e Aecae (figg. 12, 13, 14). Nel territorio lucerino, a sud-est della città e a nord del Celone, è nota una terza area centuriata la cui cronologia non è stata defini-ta: non è da escluderne, in linea di principio, un collegamento con la colonia augustea. Priva di inquadramento cronologico è anche la limitatio, l’unica con modulo di 16 actus nota in Dau-nia, individuata nei pressi di San Severo, nella zona in cui Jones propone di localizzare Ergitium, stazione della via Litoranea: le numerose centuriazioni analo-ghe, prevalentemente datate in età augustea, potrebbero costitu-ire un utile indizio cronologico.

v.F.

6.8. Tavoliere di Foggia. Restituzione grafica delle griglie centuriali ipotizzate da Jones.

6.9. Ascoli Satriano. Schema grafico di un settore della centuriazione dell’antico ter-ritorio di Ausculum.

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Capitolo VI 225

6.10. Sistemi di divisione agraria che presentano medesimo modulo e orientamento nei territori di Aecae, Luceria, Arpi, Collatia, Herdonia.

6.11 (sotto). Rappresentazione tridimensionale del territorio compreso tra i torrenti Salsola e Carapelle. A) Tracce della divisione agraria dell’ager Aecanus restituita da Schmiedt; B) restituzione fotogrammetrica delle tracce vi-sibili nelle foto aeree verticali e restituzione grafica delle tracce dalle foto oblique alla luce delle recenti indagini aerotopografiche; C) so-pravvivenze moderne della limitatio tra Aecae e Arpi; D) sintesi grafica (tracce/sopravviven-ze) dei resti delle divisioni agrarie nei territori di Aecae, Luceria, Arpi, Collatia, Herdonia.

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226 Età romana

6.12. Tracce di divisione agraria nell’ager Ae-canus.

6.13. Tavoliere di Puglia. Tracce di assi cen-turiali e di colture d’età romana poco a est di Borgo Segezia-Fg.

6.14. Tavoliere di Puglia. Tracce di assi centu-riali nei pressi di Masseria Fongo, circa 6 km a sud di Foggia.

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Capitolo VI 227

VI.1.2. La Calabria

La romanizzazione della Calabria si attua con circa mezzo secolo di ritardo rispetto alla parte settentrionale della regione; fondamentale in questo processo è la guerra con Taranto: solo dopo la presa della città (275 a.C.) e le campagne militari contro le popolazioni indigene, Iapigi e Messapi, i Romani riescono a ottenere il controllo della regione, sancito, nel 244 a.C., dalla fondazione di Brundisium.

Fra il II e il I sec. a.C. il territorio pugliese viene riorganizzato con l’impianto di una serie di villae rustiche di media grandezza, atte alla produzione soprattutto di olio e vino, esportati in tutto il Mediterraneo orientale e occidentale. Sullo scorcio del I sec. a.C. aumenta la produzio-ne di cereali; a essa si accompagna un accorpamento degli impianti precedenti e la formazione di latifondi.

Per quanto riguarda la centuriazione in Calabria, il Liber Coloniarum ne attesta una pre-senza consistente (Liber Coloniarum I, 211.1-11 L; Liber Coloniarum II, 261.20-26 L; Liber Coloniarum II, 262.1-12 L), confermata dalla toponomastica e dalle fonti storiche e archeo-logiche. In Liber Coloniarum I si attesta una limitatio per i territoria Tarentinum, Lyppiense, Austranum, Varinum, che viene attuata secondo un modulo standard di 20 x 20 actus in base a leggi graccane. Una suddivisione agraria è anche testimoniata per altera loca vel territoria della regione, senza, tuttavia, fornire ulteriori specificazioni se non il collegamento di tali interventi alla figura dell’imperatore Vespasiano (Liber Coloniarum I, 211.2-9 L).

Più ricca di dati e informazioni è la seconda redazione del Liber: non si fa più cenno alle suddivisioni graccane, mentre ritorna la notizia di una limitatio secundum constitutionem et legem Divi Vespasiani (Liber Coloniarum II, 261.21 L) seguita da interventi successivi genericamente citati; per quanto riguarda i centri interessati, ritornano i nomi di Bari, Taranto, e Lupiae-Lecce (manca, invece, l’ager Austranus), cui si aggiungono i territori Brundisinus (fig. 6.15), Boton-tinus (fig. 6.16), Caelinus, Genusinus, Ignatinus, Metapontinus, Orianus, Rubustinus, Rodinus, Veretinus, Viritanus, Ydrontinus (Liber Coloniarum II, 262.8-11 L). Qualche parola si spende anche sulle modalità dei confini, costituiti da corsi d’acqua, fossa-ti, alberi appositamente piantati, accumuli di terra o di pietre, cip-pi, strade e sepolcri (Liber Colo-niarum II, 262.1-3 L).

La testimonianza del Li-ber Coloniarum, dunque, sem-bra presentarci la centuriazione come un fenomeno decisamente diffuso in tutti i settori della sub regione calabra; le suddivisioni devono essere avvenute durante il periodo graccano e l’età ve-spasianea, cui dovettero seguire ulteriori interventi di natura, co-munque, meno radicale ed esten- 6.15. Ipotesi di ricostruzione della centuriazione di Brindisi.

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228 Età romana

siva. Il modulo adottato è quello di 20 x 20 actus in età graccana, modulo peraltro tipico delle sud-divisioni di questo periodo, men-tre successivamente è attestata una maggiore varietà.

VI.1.3. TarantoL’effettivo inserimento di

Roma nella vita della città ita-liota fu determinato dalla vittoria militare seguita alla lunga guerra del 282-272 a.C. La capitolazio-ne provocò la stipula di un foe-dus sfavorevole di cui ignoriamo

le clausole precise tuttavia sembra che essa non abbia provocato notevoli mutamenti costituzio-nali o urbanistici: è, infatti, l’ethnos greco che continua a gestire lo sviluppo della comunità. La situazione mutò radicalmente in seguito alla defezione in favore di Annibale (PLb., VIII, 26-36; Liv., XXV, 8-11) e alla conseguente riconquista, opera di Fabio Massimo, più volte celebrata dalle fonti letterarie (Liv., XXVII, 16, 8; CiC., Orat., 2, 273, Brut., 73, Cato Maior, 10, 1, Verr. 2, 4; PLu., Fab., 21-23; str., VI, 3; PLin., NH, 3.). La rivolta, forse, si concluse con il manteni-mento del foedus del 272 a.C., aggravato, però, dalla confisca di parte della chora, trasformata in ager publicus (Liv., XXXV, 16). L’ager publicus fu assegnato in affitto agli stessi tarantini o destinato a persone estranee alla comunità italiota.

La definitiva romanizzazione non tarda a venire e intorno al 123 viene dedotta la colonia graccana di Neptunia Tarentum.

Durante il II sec. a.C. una radicale riduzione delle evidenze archeologiche è evidentemente da mettere in relazione alla riconqui-sta romana della città, all’espro-prio e alla nuova assegnazione dei terreni. In relazione a questa trasformazione radicale vanno messe le tracce evidenti di cen-turiazione, quasi esclusivamente costituite da sopravvivenze (muri a secco, strade, limiti di campo), ben rilevabili nelle foto aeree.

La divisione si può seguire per ampia estensione (circa 700 km), con numerosi fenomeni di attrazione o disassamento. Si ri-

6.16. Ipotesi di ricostruzione della centuriazione di Ruvo e di Bitonto.

6.17. Schema tridimensionale di una parte del territorio tarantino con le indicazioni delle sopravvivenze centuriali.

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Capitolo VI 229

scontrano i moduli metrici della centuriazione canonica di 200 actus, con corrispondenze dei multipli a grande distanza; in qualche modo si possono individuare singole centurie con divisio-ni interne. Si potrebbe pensare a una divisione ampia per grandi multipli, orientata quasi esatta-mente secondo i punti cardinali, non connessa direttamente ad assegnazioni, o a una divisione che non ha avuto sistematicamente seguito in momenti successivi nella coltura regolare degli appezzamenti e quindi nella sopravvivenza dei limites. Uno degli assi maggiori, che potrebbe essere letto forse come quello principale, coincide con un tratto dell’Appia (fig. 6.17).

La datazione più verosimile dell’intervento è quella del II sec. a.C. (o un momento di poco successivo), che coincide con la confisca del territorio e l’attribuzione con vari sistemi. Il pro-blema è ancora a livello di analisi iniziale e merita ogni cautela; un dato indicativo, ma ancora troppo semplicistico, è l’attestazione di numerosi toponimi di origine prediale nella toponoma-stica degli abitati, ma anche, più significativamente, in relitti, oggi solo in minima parte in uso, di quella del territorio.

Il numero delle evidenze archeologiche cala nel I sec. a.C., fenomeno che si può mettere in relazione con la necessità di nuovi stanziamenti di coloni, ma anche con tipologie diverse di sfruttamento del territorio o con differente destinazione agricola di parte dei suoli rispetto alle fasi precedenti.

o.s.

VI.1.4. La penisola salentinaI riscontri archeologici permettono di

ipotizzare successivamente alla vicenda an-nibalica (217- 207 a.C.) l’attuazione di un intervento romano. Una nuova politica agra-ria sostituisce al precedente sistema di oc-cupazione sparsa del territorio un latifondo, coltivato da manodopera servile impiegata saltuariamente secondo i cicli stagionali. Si preferiscono le colture di cereali, dell’olivo e della vite. Allo stesso tempo sono favorite le produzioni industriali legate alle risorse loca-li e alle esigenze di scambi ad ampio raggio.

Un vasto sistema di divisione agraria articolato sul modulo della centuria di 20 ac-tus di lato abbraccia tutta la penisola salen-tina (fig. 6.18). Il reticolo, orientato 36° 50’ E secondo il condizionamento imposto dalla linea di costa e dall’andamento delle serre, non appare strutturato in rapporto a singoli centri urbani ma si estende, senza soluzione di continuità, da Lecce sino alla zona di S. Maria di Leuca ed interessa il territorio di più comunità antiche, a statuto differente.

6.18. Schema tridimensionale della penisola salentina con l’indica-zione delle sopravvivenze centuriali.

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230 Età romana

Nelle zone di Lupiae-Rudiae (fig. 6.19), Sternatia-Soletum e Uxentum-Veretum le soprav-vivenze ricorrono a distanze regolari, riconducibili al modulo dei 710 m e sottomultipli; nella zona di Vaste-Muro Leccese, nel medesimo sistema catastale, si inseriscono grandi quadrati di 5 centurie normali di lato (25 centurie), privi di partizioni interne, identificabili con i saltus noti attraverso la tradizione gromatica (siC.FLAC. 158 L=123 Th.), in accordo con la testimonianza del Liber Coloniarum che ricorda, per i territori della provincia calabra, assegnazioni in iugera CC limitibus graccanis e in saltibus, riferibili all’età di Vespasiano (Liber Coloniarum 211 L; Liber Coloniarum 261-262 L).

La plausibilità di tale ricostruzione è stata recentemente messa in discussione; pur accet-tando la presenza di tracce centuriali anche nella zone del Capo di Leuca, si evidenzia innanzi-tutto l’esistenza di uno spazio vuoto di almeno 10 km di lato tra il sistema settentrionale (Lecce-Vaste) e le tracce rilevate più a sud intorno a Ugento e Vereto, ipotizzando invece per i territori di Uxentum e Veretum due divisioni agrarie indipendenti e alternative rispetto alla grande limitatio della penisola salentina. In luogo dell’esistenza di un solo sistema per una superficie di 2.000

6.19. Sopravvivenze di limites centuriali nella zona Lecce-Rudiae; a tratto marcato gli assi ritenuti principali, a tratto sottile le divisioni interne.

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Capitolo VI 231

kmq i catasti sarebbero quindi almeno tre: Lecce-Vaste, Ugento e Vereto. Il che non esclude, la possibilità che i tre reticoli possano essere contemporanei e che essi possano essere il frutto di un medesimo progetto di sistemazione territoriale.

La datazione della limitatio salentina è stata spesso riferita all’età dei Gracchi, in base alla menzione dei limites Graccani del Liber Coloniarum. Anche se è possibile un altro riferimento cronologico nello scarno testo del Liber che ci riporta ugualmente in ambito repubblicano, si tratta della definizione dell’area catastale come territorium, inteso come spazio compreso en-tro i confini amministrativi di un centro entro i quali si esercita la giurisdizione dei magistrati, termine peraltro associato nei testi gromatici, in Siculo Flacco più esattamente, alla definizione dell’ager occupatorius e a un contesto che fa riferimento alla fase della conquista romana in Ita-lia e alla costituzione dell’ager publicus. In modo significativo una delle rare allusioni all’opera dei Gracchi nel corpus gromatico precede di poco il passo in questione. Sempre in Siculo Flacco a questa parte fa seguito una sezione relativa ai tipi di delimitazione propri dell’ager occupato-rius, tra i quali vengono citati i muri a secco e le specchie, elementi caratteristici del paesaggio salentino e pugliese.

Resta da spiegare perché il termine di territorium è associato nel Liber Coloniarum al solo centro di Lupiae, quando invece per il solo settore del catasto Lecce-Vaste sono noti almeno altri cinque centri indigeni: Rudiae, Cavallino, Soleto, Muro Leccese, Vaste. Tuttavia Cavallino viene abbandonato sin dal V sec. a.C.; per Soleto, Muro Leccese e Vaste si ipotizza che il II sec. a.C. corrisponda a una fase di decadenza. Dopo il 90 a.C. nel settore del catasto Lecce-Vaste

6.20. Lecce. Veduta aerea prospettica del settore settentrionale dell’antica città di Rudiae. Limite centuriale che interseca la cinta muraria e sopravvive come muro a secco sia all’interno dell’area urbana che all’esterno verso Lecce.

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232 Età romana

esistono con certezza solo due municipi, Lupiae e Rudiae (fig. 6.20); tuttavia Lecce sin dall’ini-zio della fase imperiale si arricchisce di importanti monumenti pubblici: in epoca antonina, probabilmente sotto il regno di Marco Aurelio, l’antico municipio ottiene lo statuto superiore di colonia. Possiamo comprendere allora per quale motivo alla fine dell’età imperiale l’antico ager occupatorius repubblicano tra Lecce e Vaste possa esser definito territorium del centro urbano egemonico di Lupiae nella compilazione tardiva del Liber Coloniarum.

Non tutti sono concordi nell’attribuire alle norme graccane tanto spesso menzionate dal Liber la centuriazione salentina, sebbene infatti la considerazione non possa assumere un ca-rattere conclusivo, andrà, ad esempio, notata la possibilità di ricostruire, nella zona tra Vaste e Muro Leccese, saltus da 25 centurie, noti solo attraverso la tradizione gromatica di età imperiale.

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v.F.

VI.2. Viabilità e infrastrutture viarieIl sistema stradale realizzato dai Romani rappresenta una delle componenti strutturali fon-

damentali attraverso cui lo Stato romano si è prima affermato e poi ha posto il suo dominio su popoli e territori in Italia e nel bacino del Mediterraneo. Allo stesso tempo la civiltà romana grazie alle strade ha assorbito, fuso e trasformato i contributi e gli influssi culturali ed economici di altri popoli che hanno finito per conferirle quella dimensione di universalità giunta sino a noi.

Le strade rappresentarono non solo un fondamentale strumento di affermazione economi-ca e militare in Italia prima e nell’Impero poi, ma anche un importantissimo fattore di civiltà; per questo motivo ci trasmettono una straordinaria possibilità di lettura e conoscenza storica del mondo antico.

La costruzione delle strade segue di pari passo l’espansione territoriale dello Stato ro-mano. Una delle peculiarità esclusive già nota agli autori antichi che distingueva l’opera di civilizzazione attuata da Roma nei territori di conquista era collegata proprio la costruzione delle strade. Tale caratteristica risulta chiaramente in un brano di Strabone (V, 3, 8), il quale con parole di ammirazione esalta l’opera di civilizzazione e il pragmatismo dei Romani nella costru-zione e nella cura della rete viaria già a partire dall’età repubblicana e per tutta l’età imperiale. A supporto di quanto detto si fa menzione, per l’interesse e l’operosità mostrati nella realizzazione delle strade, di due personaggi, cronologicamente distanti ma strettamente collegabili: C. Grac-co, che fece costruire strade secondo i principi dell’utilità, della bellezza e della funzionalità, facendole lastricare, facendo costruire ponti ed erigere colonne miliarie lungo tutto il percorso con l’indicazione delle distanze (PLu., CG, 7), e l’imperatore Traiano, la cui attività è riportata in un interessante passo di Galeno (De methodo medendi, IX, 8), che rende con grande efficacia il tipo di intervento promosso agli inizi del II sec. d.C. nello specifico programma politico di ripristino e adeguamento della rete viaria, in particolare di quella in Italia meridionale: «rifece

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Capitolo VI 233

le vie, lastricò con pietre le parti che erano acquitrinose e fangose o le ricoprì con sopraelevate massicciate; livellò quelle piene di fossi e a livello diseguale; congiunse con ponti le rive dei fiumi che non si potevano guadare; dove la via sembrava più lunga del necessario, ne tracciò una più breve, e dove la via era difficoltosa per un ripido colle, deviò attraverso pendii più dolci».

Ancora oggi questo capillare sistema, frutto di un lungo processo evolutivo che vede la progettazione e la costruzione di nuove arterie, la sistemazione e la modifica di tracciato a strade già esistenti e continue opere di manutenzione e abbellimento, ci sorprende per l’organicità, la perizia tecnica e l’imponenza delle opere e delle infrastrutture realizzate. Va ricordato però che il sistema stradale creato dai Romani si basa e riprende un articolato insieme di tracciati, piste, vie di transumanza, realizzato – a volte spontaneamente – da quelle popolazioni che occupava-no i territori prima dell’ascesa romana e che costituirono un puntuale punto di riferimento per Roma. Su questi percorsi gli ingegneri romani si adoperarono con importanti interventi tecnici, raccordando le strade esistenti con le nuove in un sistema organico e centralizzato, per arrivare a una solidità e stabilità dei tracciati (firmitas), all’efficienza di questi (utilitas) e a un aspetto este-tico monumentale (venustas), esteso nel momento della massima espansione durante il regno di Traiano attorno ai 120.000 km.

Anche per la Puglia, in maniera analoga a quanto avvenne in quasi tutte le altre regioni della nostra penisola, la creazione di un’efficiente sistema viario, con la costruzione di nuove strade e, soprattutto, con la regolarizzazione di tracciati preesistenti, si manifestò progressi-

6.21. Ipotesi ricostruttiva della viabilità principale di età romana in Puglia.

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234 Età romana

6.22. Veduta prospettica della città di Troia, l’antica Aecae, sullo sfondo Lucera.

6.23. Veduta aerea prospettica di Gravina (Bari). Sullo sfondo è visibile l’insediamento di Botromagno.

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vamente, a partire dalla media e tarda età repubblicana, seguendo il processo di romanizzazione dei vari comparti della regione (Daunia, Peucezia, Messapia), e la costituzione di quei capisaldi strategici (colonie latine e colo-nie romane, cfr. supra), quindi strettamente collegato con la po-litica di espansione e con l’asset-to amministrativo ed economico dei territori progressivamente conquistati (fig. 6.21). Questi nuovi insediamenti avevano ne-cessariamente bisogno di rapidi collegamenti con Roma, per ri-spondere adeguatamente non solo alle necessità militari, ma anche alle esigenze economiche e commerciali all’origine della loro fondazione. La natura e la conformazione geologica e morfo-logica dei territori attraversati (unitamente agli aspetti storici, politici ed economici sopra accen-nati) condizionarono in maniera importante la composizione del sistema stradale della regione, anche nelle sue connessioni con le aree circostanti.

E così i Romani al loro arrivo in Puglia trovarono un’articolazione stradale ancora legata all’utilizzazione di vie naturali (riconducibile in linea di massima all’età preistorica e protosto-rica), che, sfruttando la morfologia del territorio, le valli fluviali e i numerosi percorsi di colle-gamento tra i centri abitati indigeni, permetteva i collegamenti tra questi insediamenti e la costa; ma il reticolo stradale resta ancora ipotetico, e la sua ricostruzione si basa sulle scarse notizie fornite dalla fonti antiche, sulla continuità di vita di alcuni assi ancora esistenti e solo in rari casi su fortuiti rinvenimenti di tracce archeologiche chiaramente pertinenti a evidenze viarie. La viabilità preromana, a percorrenza piuttosto limitata, nasceva quindi dalla necessità di scambi e contatti a carattere locale o al massimo regionale.

Secondo Livio (IX, 2, 6) due strade erano transitabili al tempo delle Guerre Sannitiche per raggiungere la Puglia: la prima, più lunga ma più sicura, superava gli Appennini in Italia centrale e arrivava in Puglia lungo la costa adriatica; la seconda, più breve ma in territorio nemi-co, superata Benevento (allora ancora Maleventum), attraverso le valli irpine e dell’Appennino sub-dauno, giungeva nel Tavoliere. Nel corso della Seconda Guerra Sannitica, queste due strade furono utilizzate dai Romani per raggiungere la città di Lucera (320 a.C.) per liberare i seicento cavalieri in ostaggio dei Sanniti, catturati l’anno precedente alle forche Caudine (fig. 6.22).

In questi due assi stradali è possibile riconoscere quelle due importanti arterie interregio-nali che poi saranno la cosiddetta via Litoranea proveniente da nord e il percorso successiva-mente ripreso dalla via Minucia/Traiana proveniente da Beneventum.

Dopo la sottomissione dei Sanniti, la fondazione delle colonie latine di Venusia (291 a.C.) e di Beneventum (268 a.C.) e dopo la conquista di Taranto nel 272 a.C., la via Appia venne prolungata fino a quest’ultima città e divenne la spina dorsale dell’intera rete viaria in Italia meridionale. Soltanto dopo la conquista della Messapia (267-266 a.C.) e la fondazione della

6.24. Altamura. Tracce della via Appia presso Masseria Domini.

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236 Età romana

colonia latina di Brundisium nel 244 a.C., la regina viarum ven-ne prolungata fino all’impor-tante porto pugliese. Dopo aver lasciato Benevento, e dopo aver toccato i centri di Aeclanum (Mirabella Eclano), la stazione di sub Romula (la Toppa) e Aqui-lonia (Lacedonia), subito dopo il confine tra Campania e Puglia, la strada antica raggiungeva il fiu-me Ofanto superandolo attraver-so il ponte Santa Venere (pons Aufidi). Quindi attraversava Ve-nusia (Venosa) e Gravina (fig. 6.23), sorta sul luogo dell’anti-ca stazione romana di Silvium, le stazioni di Blera nei pressi di Altamura (fig. 6.24), sub Lupatia (Masseria Taverna), ad Canales nei pressi di Palagiano e infine toccava Tarentum (fig. 6.25). La via Appia dopo Taranto, con una diramazione che passava per il centro della città e una circonval-lazione extraurbana, si dirigeva a Mesochorum (attuale Masseria Misicuro), Oria, Scamnum (Mas-seria Muro), Mesagne e termina-va il suo percorso a Brundisium (Brindisi) (fig. 6.26).

Ma è nel corso del II e in parte nel I sec. a.C. che in Puglia si arriva alla definitiva sistema-zione di alcuni assi stradali fondamentali, che costituiranno in età imperiale l’ossatura di quella rete viaria, non più locale, ma di riferimento per l’intero settore sud-orientale della penisola: la via Appia, la cosiddetta via Litoranea e la via Minucia (poi ripresa in età imperiale dalla via Traiana): queste arterie permettevano, infatti, rapidi collegamenti con l’Italia centrale (area campana e area adriatica) e, quindi, con Roma.

Sappiamo invece da Strabone (VI, 3, 7) che per raggiungere Roma da Brindisi, in alternati-va alla via Appia, era possibile percorrere una seconda strada: proprio quella via Minucia, attesta-ta da fonti letterarie diverse (CiC., Att. VIII, 11, 7; Att. IX, 6, 1; CAes., BC I, 24, 1-3; hor., Epist., I, 18, 20). Di recente Mario Pani ha definitivamente precisato che nel noto e controverso passo di Strabone (VI, 3, 7), in riferimento al percorso alternativo alla via Appia partendo da Brindisi, il termine corrotto ημινοικηδια è da emendare con ήΜινοικίαδιά e non con «mulattiera», voce che costituirebbe oltretutto un unicum; quindi l’alternativa alla regina viarum in età repubblicana era

6.25. Veduta dei resti della via Appia nei pressi di Taranto.

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Capitolo VI 237

la via Minucia, questione posta anche da Orazio (Epist., I, 18, 20) – Brundisium Minuci melius via ducat an Appi – a cui idealmente risponde ancora Strabone riconoscendo la prima più breve di una giornata di viaggio, con l’Appia, invece, più facilmente transitabile con i carri.

Strabone ne delinea esplicitamente l’itinerario. Capolinea di questa strada era certamente Brundisium, poi lungo la costa adriatica toccava Egnatia, quindi si dirigeva verso l’interno at-traversando Caelia (Ceglie del Campo) e la sconosciuta Netion (tra Ceglie e Canosa), evitando Barium: questa parte del percorso è ben rappresentata nella Tabula Peutingeriana (Tab. Peut. VI, 5), che menziona dopo Gnatie, Ad Veneris, Norve, Ezetiū, Celia e Butuntos. Tornando alle indicazioni del geografo di Amasea, in direzione nord Canusium e Herdonia erano tappe prin-cipali in questo settore. Dopo Herdonia il percorso stradale per l’attraversamento appenninico

6.26. Stralcio cartografico del territorio compreso tra San Vito dei Normanni, Latiano, Mesagne e Brindisi, con il posizionamento delle evidenze archeologiche rinvenute nei pressi del tratto terminale della via Appia.

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238 Età romana

è soltanto ipotizzabile, forse toccava la stazione di Aequum Tuticum. Sicuro punto di arrivo dell’arteria stradale (per chi sbarcava nel porto brindisino proveniente dall’Oriente) era Bene-ventum. Anche se il caput viae opposto a Brindisi è stato diversamente ricostruito a Corfinium, le parole di Strabone sono esplicite: le due strade, Appia e Minucia, si ricongiungevano proprio a Benevento e non c’è motivo, fino a prova contraria, di considerare infondata tale indicazione. È questa la strada che Orazio dovette in gran parte percorrere nel 37 a.C. nel viaggio in compa-gnia di Mecenate e di altri illustri personaggi, raccontato nella celebre satira (hor., Sermones I, 5), almeno da Herdonia (probabilmente l’oppidulum, quod versu dicere non est) fino a Brindisi, dopo Canusium evitando la variante interna (per Caelia) e passando da Bari, fino a raggiungere Egnatia lungo la via Litoranea.

Tra il II e il I sec. a.C. si assiste al consolidamento di alcuni assi stradali principali. Oltre alla via Appia, alla via Minucia e alla via Litoranea, grazie al rinvenimento di alcuni miliari sono note altre viae publicae in Puglia settentrionale e centrale. Della prima arteria ci resta solo il nome: una via Aemilia (CIL 12, 620; IX, 6073; ILS 5805; ILLRS 451) da localizzare in un setto-re al confine con la Campania compreso tra Ariano Irpino e Grottaminarda e che verosimilmente non doveva sconfinare entro i limiti regionali pugliesi attuali; mentre nella via Gellia (CIL 12, 2978) in Peucezia, secondo recenti acquisizioni, si deve riconoscere o un asse stradale lungo la costa, un percorso litoraneo dunque che avrebbe unito Egnatia a Butuntum passando per Barium (fig. 6.27), alternativo alla variante interna da identificare con il tratto della Minucia descritto da Strabone (cfr. supra), e ancor meglio identificato nella Tabula Peutingeriana, o in alternativa la cosiddetta ‘via breve’ Barium-Tarentum, già delineata da Strabone (VI, 3, 8) e poi riportata dall’Itinerario Antonino (It. Ant., 119, 2: A Varis per compendium Tarentum m.p. LX): questa strada – per compendium – lunga LX miglia senza l’indicazione di tappe intermedie, costituiva una scorciatoia per chi avesse voluto raggiungere direttamente Taranto da Bari, evitando il più

6.27. Il territorio a sud-ovest di Bari (A) in una foto aerea del VB 1955 dagli archivi IGM. Le frecce con il n. 1 indicano il percorso della via Minucia/Traiana a ovest di Bitonto (B); con il n. 2 il tracciato della via Traiana da Bitonto a Bari (in D la località Misciano nei pressi della Lama Balice); il n. 3 indica la moderna S.P. 231 possibile sopravvivenza della via Minucia tra Bitonto e Modugno (C); le frecce con il n. 4 indicano la possibile traccia da sopravvivenza della via Gellia (l’asterisco indica il luogo di rinvenimento del cippo miliario in località Masseria Lo Iacono).

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Capitolo VI 239

lungo passaggio attraverso Brin-disi, con un percorso da nord a sud, verso l’interno del territorio peucezio per Ceglie del Cam-po, Adelfia e Monte Sannace. Questa via istmica tra lo Ionio e l’Adriatico collegava le coste dei due mari con l’entroterra delle Murge.

Ancora da Strabone (VI, 3, 5) si ricava la notizia dell’esi-stenza in età tardorepubblicana di una strada, convenzionalmen-te definita via Sallentina, che doveva congiungere Taranto a Vereto e che da qui raggiungeva Otranto, costituendo un percor-so più comodo e agevole della corrispondente navigazione cir-cumpeninsulare di cabotaggio. Si tratterebbe di una strada sub-costiera paralitoranea, la cui indiscutibile importanza in età messapica è motivata dal fatto che toccava centri quali Manduria (fig. 6.28), Neretum (Nardò), Aletium (Alezio) nel primo tratto, Uxentum (Ugento), Veretum (Patù) e Bastae (Vaste) nella parte meridionale della penisola sa-lentina. Strabone fornisce inoltre una descrizione analitica del tracciato stradale, e benché lo storico abbia viaggiato in età augustea non può fare a meno di rispecchiare una situazione dei collegamenti che riflette una realtà precedente, legata alla fioritura delle città messapiche.

L’itinerario riportato dalla Tabula Peutingeriana (VII, 1-2) è quello della strada romana paralitoranea che congiungeva i principali centri del Salento da Otranto al Capo Iapigio e poi fino a Taranto. Soltanto sulla Tabula (e nei tardi autori legati alla sua tradizione) la via Sallentina compare nel suo completo sviluppo. Ciò ha fatto supporre che la strada dovette essere entrata assai tardi nel sistema ufficiale del cursus publicus. Per quanto attiene l’ambito territoriale d’in-teresse, la via Sallentina si distingue in due tratti: quello occidentale, lungo la costa ionica, tra Uxentum e Veretum, e il tratto orientale, lungo l’Adriatico.

In età imperiale il potenziamento e il rinnovamento della rete stradale in Italia e nelle pro-vince fu grandioso e anche la Puglia non restò avulsa da questo fenomeno. Oltre a una costante opera di manutenzione delle strade si registrano numerosi interventi per migliorare le vie di comunicazione, spesso con imponenti opere infrastrutturali quali ponti e viadotti e costruzione di nuovi assi.

L’imperatore Traiano, nel 109 d.C., riprendendo e rettificando il tracciato di alcune vie preesistenti che collegavano i rilievi appenninici del beneventano e dell’Irpinia con la Capi-tanata in Puglia settentrionale, fece costruire una nuova arteria stradale – la via Traiana – per unire con un percorso più agevole, anche se più lungo, Benevento con Brindisi, in alternativa al percorso montano più accidentato della via Appia.

6.28. Manduria. Venduta prospettica della cinta muraria e di un settore della necropoli, inizio anni ’60.

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240 Età romana

Il nome della strada non è indicato negli itinera-ri antichi e neanche sui numerosi miliari rinvenuti (fig. 6.29), dove viene appellata viam a Benevento Brun-disium, ma si evince da alcune monete fatte coniare da Traiano pochi anni più tardi (112-113 d.C.), forse proprio in occasione dell’inaugurazione della stra-da; sulle monete accanto alla personificazione della via (una donna che sostiene sulle ginocchia una ruo-ta) era la seguente legenda: S(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanorum) optimo principi. Via Traiana (fig. 6.30).

La via Traiana divenne così rapidamente il più importante asse stradale di attraversamento della Puglia settentrionale e centrale, favorendo lo svilup-po delle città che erano poste lungo il suo percorso. Seguendo gli itinerari questi centri maggiori erano, a partire da Beneventum (Benevento): Aequum Tuticum (località Sant’Eleuterio nei pressi di Ariano Irpino), Aecae (Troia) (fig. 6.31), Herdonia (Ordona), Canu-sium (Canosa), Rubi (Ruvo di Puglia), Butuntum (Bi-tonto), Barium (Bari) (fig. 6.32), Egnatia (Egnazia) e Brundisium (Brindisi) per un totale di 206 miglia romane (poco più di 300 km).

L’impresa fu realizzata anche con un imponente sforzo tecnico, sia nella costruzione della massicciata stradale e della sua lastricatura (in particolare in corrispondenza dei passag-gi all’interno o nei pressi delle città), sia nella realizzazione delle infrastrutture necessarie. Diversi ponti – alcuni davvero imponenti – furono costruiti per il superamento dei principali fiumi attraver-sati: i resti dei più importanti sono ancora conservati in Puglia sul torrente Cervaro (Ponte Rotto), sul torrente Carapelle (fig. 6.33) prima di giungere a Herdonia (fig. 6.34), sul fiume Ofanto poco prima di Canosa (fig. 6.35) e il viadotto sul canale di Apani presso

Brindisi. Da considerare, inoltre, la collocazione di colonne miliarie (fig. 6.36) lungo tutto il suo percorso e di epigrafi commemorative sulle testate dei ponti (CIL IX, 5998-6055), iscrizioni attraverso le quali si mirava a esaltare il carattere evergetico dell’impresa promossa dall’impera-tore e che qualificavano la costruzione della strada come un evento di grande rilevanza nell’am-bito dei programmi imperiali (fig. 6.37). Per la via Traiana conosciamo interventi di restauro condotti dagli imperatori correggenti Settimio Severo e Caracalla nell’anno 210 d.C. (AE 1972, 139; AE 1969/70, 135) e durante il regno di Costantino nel 313-314 d.C. (AE 1980, 354) che probabilmente intervenne anche sull’Appia come attesterebbero i miliari rinvenuti a Mesagne (CIL IX, 6076-6077) (fig. 6.38).

Alla politica di risistemazione stradale avviata da Traiano all’inizio del II sec. d.C., è attri-buibile l’organizzazione di un asse stradale preesistente che collegava i due porti bassoadriatici di Brindisi e Otranto, passando per Lecce; l’arteria è citata come via publica da Plinio (NH, III,

6.29. Cerignola. Colonna miliaria della via Traiana.

6.30. Denario di Traiano della zecca di Roma, in cui è raffigurata al ro-vescio la personificazione della via Traiana.

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Capitolo VI 241

6.31. Foto verticale del maggio 2008. A sinistra la città di Troia, l’antica Aecae, con il percorso della via Traiana che, prima di arrivare in città da ovest, sopravvive nel Tratturo Foggia-Camporeale, in uscita in direzione est nel Tratturo dell’Incoronata. A destra è visibile il sito della villa romana in località Muro Rotto, a ridosso del Tratturo San Paolo e della statio di Ad Pirum in località Perazzone.

6.32. Foto aerea verticale (RAF 1943) in cui è indicato dalle frecce il percorso della via Traiana in ingresso alla città di Bari.

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101), lunga L m.p. (poco meno di 75 km) e nota volgarmente come via Traiana Calabra. Sempre per quello che riguarda il Salen-to l’Itinerarium Antonini riporta una descrizione dettagliata della via Traiana con il suo prolun-gamento sino a Otranto, dove il rinvenimento delle basi iscritte di due statue onorarie dedicate a Marco Aurelio e a Lucio Vero testimonierebbero l’intervento imperiale su questo asse strada-le in occasione della campagna partica (fig. 6.39). Di grande ri-levanza per la ricostruzione del percorso della via Traiana Ca-labra è anche l’Itinerarium Bur-digalense o Hierosolymitanum (333-334 d.C.). L’itinerario for-nisce l’indicazione dell’esisten-za di due mutationes nel Salento denominate ad Duodecimum e ad Decimum, evidentemente dal nome dei miliari più vicini.

Valida alternativa alla Tra-iana Calabra e all’Appia era un’importante direttrice utilizza-ta già ai tempi di Strabone (VI, 3-5) e in età tarda, nota come Limitone dei Greci: questo asse, partendo da Otranto ed evitando Brindisi, permetteva di raggiun-gere più rapidamente l’Appia a Taranto passando per Oria.

Con la costruzione della via Traiana che aveva favorito lo sviluppo di quelle città che erano poste lungo il suo percor-so e la progressiva decadenza dell’Appia, alcuni centri tagliati fuori dalle principali rotte com-merciali, in quanto non toccati dalla nuova arteria, si attivarono

6.33. Resti del viadotto della via Traiana sull’antico letto del fiume Carapelle nei pressi di Herdonia e ricostruzione 3D.

6.34. Veduta aerea storica del territorio di Herdonia (AM 1962): ben evidenti i ruderi del pilone del ponte (A), attraverso il quale la via Traiana oltrepassava l’antico letto del Carapelle (B). A est del moderno corso del Carapelle sono visibili le tre colline su cui si estendeva la città di Herdonia e la traccia della via Traiana in uscita dalla città (C).

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Capitolo VI 243

per potersi collegare con quest’ultima, come nel caso dei due centri di Aeclanum e di Venusia che vennero uniti con il fiorente centro di Herdonia. Il primo asse stradale, prolungamento del tratto Benevento-Aeclanum fino a Herdonia, è da attribuire all’opera degli imperatori Adriano e Antonio Pio, nel corso del II sec. d.C.; di questa strada, grazie ad alcune iscrizioni rinvenute lungo il suo percorso, siamo a conoscenza del nome, via Herdonitana o Aurealia Aeclanensis con restauri successivi di età Dioclezianea. Analogo è il caso della via Venusia-Herdonia, anche in questo caso da mettere in relazione con interventi di sistemazione stradale promossi dall’im-

6.35. Veduta aerea prospettica del ponte sul fiume Ofanto nei pressi di Canosa.

6.36. Trani, villa comunale. Alcuni miliari della via Traiana.

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peratore Diocleziano. Da segnalare, infine, la via Aecae-Sipontum, che in età tardoimperiale, ricalcando tracciati più antichi, nel Tavoliere foggiano permetteva il collegamento diretto tra la via Traiana e la via Litoranea, da Troia fino all’altezza di Siponto.

Per tutte queste vie, l’ampiezza della sede carrabile poteva variare in relazione all’im-portanza della strada e alla situazione orografica interessata. A intervalli più o meno regolari e in rapporto alla velocità di percorrenza erano dislocate stazioni di posta (mutationes), dove era possibile anche cambiare i cavalli, e luoghi attrezzati per la sosta anche notturna dei viaggiatori

6.37. Cerignola. Iscrizioni appartenenti a un ponte della via Traiana rinvenute nei pressi del Canale Marana Castello.

6.38 (a sinistra). Mesagne. Colonna miliare della via Traiana.

6.39 (a destra). Otranto. Basi iscritte di due statue onorarie dedicate a Marco Aurelio e a Lucio Vero.

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6.40. Herdonia. Particolare dell’area centrale della città con i resti del basolato della via Traiana che, in corrispondenza dell’angolo setten-trionale del foro, piega ad angolo retto in direzione della Porta Nord-Est.

6.41. Egnazia. La via Traiana nel suo percorso urbano.

6.42. Breve tratto glareato della via Traiana scavato di recente dalla SBAP nei pressi di Posta San Nicola, in località Masseria Ponte Albanito (FG).

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(mansiones). Queste strutture erano funzio-nali all’organizzazione del cursus publicus, destinato al regolare trasporto delle persone che viaggiavano nell’interesse e per conto dello stato, al servizio di posta tramite i cor-rieri, ai trasporti governativi e al servizio di polizia che garantiva sorveglianza e sicu-rezza delle strade.

La costruzione di questa articolata rete stradale, delle infrastrutture necessarie e della sua manutenzione, comportò un no-tevole impegno economico, e fu realizzata da parte del potere centrale anche con un sforzo tecnico considerevole. In Puglia la sostanziale mancanza di materiale adatto a una estensiva lastricatura delle strade fa sì che si siano trovati tratti basolati esclu-sivamente in corrispondenza dei passaggi all’interno o nei pressi delle città, come è possibile notare tra quelli ancora visibili a Herdonia o a Egnatia lungo la via Traia-na (figg. 6.40-41) o a Taranto per l’Appia. Lunghi tratti nelle campagne attraversate da queste arterie erano costituiti da viae glare-atae, come è stato possibile notare tra Ae-6.43. La via per compendium presso Mottola.

6.44. Foto aerea prospettica di un settore a nord di Egnazia. In primo piano sono visibili resti di carraie appartenenti alla via Traiana.

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Capitolo VI 247

cae (fig. 6.42), Herdonia e Canusium (via Traiana) o nei pressi di Taranto (via Appia). Spesso, lì dove il banco di roccia era affiorante, sono i profondi sol-chi delle carraie a permettere la ricostruzione dei tracciati; tratti ancora in vista sono stati riconosciuti lungo la via Appia nei pressi di Altamura o lungo la via breve Bari-Taranto (per compendium) (fig. 6.43) nel territorio di Mottola, lungo il segmento costiero della via Traiana a sud di Monopoli o nei pressi di Egnatia (fig. 6.44) e nel Salento (fig. 6.45) a sud di Lecce lungo la Traiana Calabra (fig. 6.46).

A fianco del sistema stradale principale ap-pena descritto esisteva una fitta e capillare rete co-stituita dalla viabilità secondaria spesso con strade o sentieri in terra battuta, meno appariscente, ma altrettanto importante, costituita da strade sorte in relazione con la nascita di nuovi insediamenti, sia urbani che agricoli, ma anche in larga misura da tracciati e percorsi, alcuni molto antichi, che ancor oggi continuano a svolgere la loro funzione.

La cura della rete stradale in Puglia in età im-periale e tardoantica si evince chiaramente da quanto registrato nelle fonti itinerarie: a partire dall’Itinera-rium Antonini, redatto con ogni probabilità verso la fine del III sec. d.C., dall’Itinerarium Burdigalense, opera di un pellegrino in occasione del suo viaggio da Bordeaux in Terra Santa nel 333 d.C., che nella sua compila-zione dettagliata offre uno spac-cato di viabilità in un momento in cui, per volontà di Costantino, viene potenziato il cursus publi-cus e infine dalla Tabula Peu-tingeriana, copia medievale di un itinerarium pictum (carta fi-gurata) databile nel corso del IV sec. d.C.; il dato è confermato da alcune iscrizioni e da diversi miliari che indicano interventi di restauro di diversi assi e quindi la cura della rete stradale in età tardoantica (fig. 6.47).

Nei secoli successivi la de-cadenza progressiva del sistema

6.45. Foto aerea obliqua del territorio compreso tra Lecce e San Cataldo, nei pressi di Masseria Ramanno. Sono evi-denti fasce di carraie nei punti in cui la roccia è affiorante.

6.46. Antica carraia nei pressi di Martano.

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248 Età romana

stradale romano e la mancanza di controllo da parte del potere centrale segnarono cambiamenti importanti. Ma nonostante la sempre maggiore precarietà delle infrastrutture, i tratti in rovina e i pericoli lungo il percorso, le arterie romane in Puglia in età medioevale continuarono a esi-stere come sistema di direttrici che, seppur con numerose varianti rispetto alla rete originaria, consentirono i pellegrinaggi verso i principali luoghi di culto come Monte Sant’Angelo o Bari, e continuarono ad alimentare i traffici commerciali e quelli militari verso i principali porti per l’Oriente come Brindisi e Otranto, e le comunicazioni tra territori caratterizzati ormai non più da stazioni di posta ma sempre più spesso da luoghi di ricovero e di cura per i viandanti.

bibLioGrAFiAIn generale per la viabilità romana in Puglia risultano fondamentali PrAtiLLi 1745; Ashby,GArDner 1916, pp.

104-171; GeLsoMino 1966;ALvisi 1970;rADke 1981, pp. 133-146, 152-178, 235-239; uGGeri 1983;siLvestrini1988, pp. 379-383; CoCChiAro 1991a, pp. 139-141; voLPe 1990a, pp. 59-83; stoPAni 1992; ChevALLier 1997, pp. 175-177, 182-186; AnDreAssi,CoCChiAro 1999, pp. 11-18; CerAuDo 2008a; CerAu-Do 2012a. Nell’ambito dei tre comparti regionali, in particolare per la Daunia. ALvisi1970;voLPe1990a, pp. 85-93; CerAuDo 2008a. Per la Peucetia biAnCoFiore 1962, pp. 233-240; FiorieLLo 2002, pp. 75-135. Per il Salento uGGeri 1983; CerAuDo 2008b. Per studi specifici sulle singole arterie stradali (via Appia) MAzzArino 1968, pp. 174-196; ALvisi1970;uGGeri1983;QuiLiCi1989;FornAro2000; (via Traiana) Ashby,GArDner 1916, pp. 104-171; GeLsoMino1966;ALvisi 1970;Mertens1994;siLvestrini1999;CerAuDo2008a; (via Litoranea) ALvisi1970;voLPe 1990a; (via Minucia) CAMoDeCA 1997, pp. 263-270; MosCA 2001, pp. 79-87; (via Gellia) Moretti1972;CerAuDo 2008c, pp. 187-203.

G.C.

VI.3. Porti e approdiLa particolare posizione geografica della Puglia nel bacino mediterraneo ha caratterizzato

il territorio attraverso un’intensa attività portuale soprattutto durante l’Impero Romano quando, in seguito all’incremento del volume degli scambi, la regione acquisì notevole importanza nella rete delle comunicazioni marittime (fig. 6.48).

Dall’analisi delle fonti letterarie antiche, delle evidenze archeologiche sulla costa e delle testimonianze derivanti dalla ricerca subacquea riferibili ai traffici marittimi, è possibile com-prendere il ruolo che i diversi siti costieri svolsero in età romana nella rete delle comunicazioni marittime sia su larga scala, in ambito mediterraneo, che su scala locale, nonché il loro rapporto con i centri interni.

Infatti, in base alle proprie peculiarità e alle funzioni che erano chiamati a svolgere, si pos-sono distinguere essenzialmente due tipologie di strutture portuali: porti veri e propri, con fun-

6.47. Stralcio della Tabula Peutingeriana in cui è visibile, nella fascia centrale, la viabilità principale in Italia centromeridionale.

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Capitolo VI 249

zioni commerciali e militari, in-seriti in una rete di collegamento ad ampio raggio, e approdi di minori dimensioni, interessati soprattutto da rotte di navigazio-ne a livello regionale.

Il termine romano utilizza-to per indicare la prima di queste tipologie era “emporium”. Esso, oltre a indicare lo “scalo com-merciale” pieno di traffico, pos-sedeva determinate caratteristi-che tecniche quali la profondità delle acque del bacino in modo tale da poter consentire l’attrac-co di navi di notevole tonnellag-gio, la presenza di grandi opere come fauces (naturali o artificia-li), pilae (pontile e molo), ripae (banchina), e, come testimonia Vitruvio, una serie di strutture di servizio necessarie per lo svolgimento delle attività portuali, come porticus e navalia, magazzini e arsenali.

6.48. Carta dei principali porti antichi.

6.49. Veduta aerea prospettica dell’area archeologica di Egnazia e il suo porto.

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250 Età romana

6.50. Veduta aerea prospettica del porto moderno di Otranto.

6.51. L’area archeologica di Sipontum. Sullo sfondo il porto moderno di Manfredonia.

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Capitolo VI 251

Bisogna però considerare che l’attività di ogni singolo porto non è stata probabilmente mai regolare e che, a seconda dell’epoca, vi è stata un’alter-nanza di funzione da approdo a porto e viceversa.

Procedendo dal promontorio del Gargano verso sud, per poi risalire lun-go il versante ionico della costa, tali ca-ratteristiche si riscontrano nei porti di Siponto, Bari, Egnazia (fig. 6.49), Brin-disi, San Cataldo, Otranto (fig. 6.50), Taranto.

L’attività commerciale del porto di Siponto (fig. 6.51) è testimoniata da Artemidoro di Efeso (strAbo, Geogr., VI, 3, 9.) già a partire dal II sec. a.C. per divenire con Augusto, durante la Guerra Pannonica, un ponte di raccordo con la costa dalmata. Esso costituì uno scalo d’imbarco per truppe e munizioni durante la guerra per sedare le ribellioni dei Dalmati e consolidare la conquista della Pannonia, che permise l’accesso alle miniere di ferro che da Salona ve-niva imbarcato verso l’Italia. In questo modo veniva rafforzato il collegamento con l’opposta sponda verso cui partivano le navi cariche di frumento apulo: la rotta Siponto-Salona sarà per-sistente anche in periodi successivi, come conferma l’Itinerarium Marittimum che ne riporta la distanza pari a 1.550 stadi (It. Marit., 497: a Salonis Sipunte stadia MD). Un’ulteriore conferma della vocazione commerciale del porto sipontino viene data dalla presenza nella città dei nego-tiatores frumentarii.

L’individuazione precisa del porto antico risulta difficile, dal momento che il sito archeo-logico si trova in un’area pianeggiante sottoposta a interventi di bonifica.

Grazie alle ricerche sedimentologiche e alle indagini sulle variazioni della linea di costa condotte da Delano Smith e Morrison, è stato possibile individuare un’area di golfo che in età romana si apriva tra la città e la località detta “Mascherone” (fig. 6.52).

Lo scalo lagunare sorgeva nell’area delimitata a nord da una piccola strada sita a circa 800 m dall’inizio di via degli Eucalipti, a ovest dalla scarpata ferroviaria, a est e a sud dal moderno canale di bonifica, come è attestato anche da alcune fonti storiche.

L’intensa attività del porto sarà mantenuta anche dopo il Medioevo malgrado il costante e graduale innalzamento del livello marino e il progressivo accrescimento dei depositi sedimento-logici della laguna; motivo questo che avrebbe determinato una continua opera di risistemazione e restauro sia delle strutture portuali, sia di quelle afferenti alle attività commerciali e proba-bilmente individuabili nelle murature ancora oggi superstiti nell’area della “sorgente Manzini”

6.52. Pianta schematica di Sipontum e del suo territorio con la ricostruzione della laguna interna.

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252 Età romana

(fig. 6.53). Qui sono stati ritrovati alcuni edifici che, in base alla loro posizione (anche in rappor-to alla sorgente) e soprattutto alla tecnica costruttiva, possono essere attribuibili a opere portuali. Tali strutture si possono ricondurre a un’imponente opera di regolarizzazione del banco naturale di calcarenite nel punto in cui questo veniva a costituire il limite interno della laguna di Siponto in età classica. In seguito, a causa dell’innalzamento del livello della laguna, l’impianto origina-rio della struttura venne abbandonato e interrotto da una cisterna, così come avvenne nell’area a sud della sorgente, dove le strutture dell’età classica vennero risistemate, ampliate e rialzate per le mutate condizioni d’uso dell’area.

Procedendo verso sud, lungo la fascia costiera delle Murge centrosettentrionali, troviamo la città di Bari, la cui fondazione è attribuita da Plinio a nove giovani e dodici fanciulle di ori-gine illirica che generarono dodici popoli (PLin., NH, III, 102). Dopo la trasformazione dell’in-sediamento indigeno in centro urbano avvenuta nell’ultimo ventennio del IV sec. a.C., la città registrò un ulteriore sviluppo durante il secolo successivo, in seguito all’intervento romano e alla costruzione della via Traiana.

La costruzione del porto moderno impedisce di individuare con esattezza l’ubicazione di quello antico in quanto ha pregiudicato, forse per sempre, la possibilità di future ricerche (fig. 6.54). Pertanto, le testimonianze relative all’impianto portuale sono costituite essenzialmente dalle fonti letterarie antiche: Livio accenna alla sua funzione in relazione agli interventi romani contro i pirati durante gli avvenimenti del 181 a.C. (Liv., Ab Urbe Condita, XL 18, 8); Strabone lo pone tra gli scali obbligati della rotta adriatica, a 700 stadi da quello più importante di Brun-disium e a 400 dall’emporio canosino sull’Ofanto (strAbo, Geogr., VI, 3, 8); Orazio riferisce invece di attività connesse alla pesca (hor. Sat.,1, 5, 96-97).

6.53. Resti del porto antico di Sipontum nell’area della “sorgente Manzini”.

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Capitolo VI 253

Probabilmente, il porto di Bari non raggiunse mai un’importante funzione commerciale, restando tuttavia inserito nella rete di collegamenti con gli scali della sponda opposta, in alter-nativa al porto di Brindisi, e condizionando comunque fin dall’inizio lo sviluppo del piccolo insediamento.

Secondo il Musca il porto antico doveva trovarsi, dall’età romana fino al XVI secolo, sul litorale occidentale della città vecchia, nella zona a nord-est dell’area su cui sorge il Castello, dove la natura della costa, del fondale, delle correnti e dei venti sembra ideale per l’impianto di un porto, protetto anche a nord-est dal Promontorio di San Cataldo.

Le testimonianze archeologiche sono costituite da rinvenimenti di anfore commerciali, il cui nucleo più consistente è quello recuperato nello spazio antistante la basilica di San Nicola a una profondità di circa 8-10 m. Si tratta di otto contenitori del tipo Lamboglia 2, che probabil-mente facevano parte di un relitto del I sec. a.C. Un altro nucleo di anfore, ma in stato frammen-tario, è stato recuperato lungo il litorale sud-orientale di Bari, nella zona del “Porto Vecchio” e del Lungomare Nazario Sauro. La varietà tipologica e cronologica di queste ultime sembra tipica delle zone di ancoraggio, per cui si potrebbe ipotizzare che le navi in difficoltà avessero la possibilità di un approdo di emergenza nella baia ben protetta del “Porto Vecchio”. Questo porta a non escludere la possibile presenza di un approdo sul versante orientale del promontorio nell’area compresa tra Santa Scolastica e San Nicola, dove la natura rocciosa del fondale e del litorale avrebbero potuto consentire l’attracco di navi commerciali, sebbene la presenza in que-ste acque di un relitto antico induca a ritenere che la navigazione non sia stata sempre agevole in questo tratto di costa.

6.54. Il porto moderno di Bari.

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254 Età romana

Altra possibilità da non escludere è che vi siano stati due approdi sugli opposti versanti della penisola, usati a seconda dei venti e delle correnti, oppure aventi ognuno una propria spe-cializzazione, peschereccia o commerciale, anche se ciò sembra eccessivo rispetto al presunto volume degli scambi del porto di Barium.

I materiali rinvenuti coprono un arco cronologico compreso tra il IV e gli inizi del II sec. a.C., con una concentrazione di attestazioni nel I sec. a.C. Questo nucleo, anche se quantitativa-mente limitato, offre i primi elementi sull’attività commerciale del porto barese, inserito in età romana nelle rotte di diffusione del vino italico nel settore orientale del Mediterraneo e parte integrante del quadro generale degli scambi, prevalentemente adriatici, in senso sia nord-sud che est-ovest, in cui erano coinvolti anche gli altri scali pugliesi.

Al confine tra la provincia di Bari e quella di Brindisi è ubicato il sito dell’antica Egnazia (fig. 6.55), il cui porto rivestì notevole importanza sia dal punto di vista commerciale che mili-tare, in quanto in particolari momenti sostituì quello di Brindisi. Quest’ultimo aspetto lo si deve considerare nell’ottica del programma politico di Ottaviano, patrono della città, al quale si deve la creazione di alcune strutture portuali.

Il porto costituiva uno scalo importante nella rotta di collegamento con Dyrrachium da cui aveva inizio la via Egnatia: questa, attraversando l’Illiria e la Macedonia, costituiva la via migliore per gli spostamenti delle truppe via terra fino a Tessalonica e Bisanzio.

Lungo il tratto di costa compreso tra le estremità della cinta muraria, la presenza di segni di interventi antropici e dell’azione erosiva del mare testimoniano le trasformazioni subite dal paesaggio costiero connesse alle variazioni del livello del mare a partire dall’età antica a oggi.

6.55. Il porto antico di Egnazia con resti dei due moli visibili in mare.

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Capitolo VI 255

Particolarmente importan-te per il miglioramento urbanisti-co della città, e soprattutto per il porto, fu la figura di M. Vipsanio Agrippa, considerato il patrono della città di Egnazia. Infatti, si data alla fine della Repubblica il convogliamento della serie di rientranze artificiali nell’insena-tura a nord dell’acropoli dove è possibile ancora oggi vedere i re-sti di due moli convergenti (fig. 6.56) costruiti in parte in opus pilarum ottenuta con l’ausilio di casseforme “stagnate” (fig. 6.57). La stessa tecnica edilizia ricorre nell’aerea flegrea, a Pon-za e in altri siti della costa tir-renica centrale, e rimanda a età augustea. Del molo meridionale, invece, è stata identificata una parte della struttura costituita dai resti di una struttura in caementi-cium eseguita a gettate successive che hanno generato una serie di piani. L’area visibile è lunga circa 23 m e si possono distinguere tre tratti o blocchi di dimensioni differenti. Anche in questo caso sono visibili i “negativi” degli elementi lignei che costituivano l’armatura della cassafor-ma nella quale è stata messa in opera la struttura: pali verticali (destinae) e travi orizzontali di raccordo e tenuta (catenae). In questo caso si tratterebbe di una struttura continua, a segmenti progressivi accostati, realizzata in cassaforma “inondata”; l’ossatura interna di questa era costi-tuita da pali a sezione circolare a cui erano collegate travi orizzontali, probabilmente a sezione quadrata o quadrangolare, che si ripetevano con maglia piuttosto regolare di 1,5 m. ca. I mon-tanti perimetrali (stipites) erano saldati al fondale da lunghi perni in ferro in quanto la macchina lignea era ancorata a un fondale roccioso e non sabbioso come indicava Vitruvio. Dalle analisi petrologiche è emerso che il materiale edilizio utilizzato era il pulvis puteolanus, elemento es-senziale della costruzione portuale romana (fig. 6.58).

6.56. Il porto antico di Egnazia. Rilievo dei moli.

6.57. Egnazia, insenatura meridionale. Prospetto meridionale del plinto B.

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256 Età romana

In base alla distanza tra le evidenze a nord e quelle a sud, il porto doveva avere un’imbocca-tura larga circa 40 m dove oggi la profondità raggiunge i 5,5-6 m di profondità.

Lungo il fianco nord-ovest del bacino più interno dell’area portuale sono presenti delle trac-ce sul piano di roccia che sono state interpretate come piano di fondazione di un edificio a pian-ta approssimativamente quadrata con il lato di 10 m: probabilmen-te si tratta di un edificio connesso alle attività portuali.

Ulteriori resti di strutture murarie riferibili a infrastrutture portuali dovevano essere presen-

ti a sud di questa e all’estremità nord-ovest della spiaggetta, dove sono presenti blocchi irre-golari, pietrame e malta generalmente ascritti a epoca romana imperiale. Sia l’edificio che le strutture sembrano avere un nesso con il canale orientato nord-est/sud-ovest, parallelo e poco distante dal bordo del bacino, che probabilmente scaricava le acque piovane della città nel porto.

Le testimonianze pertinenti al porto sono presenti sulle due penisole che delimitano il bacino più interno dell’area portuale: si tratta di cavità larghe a sezione imbutiforme la cui de-stinazione d’uso è ancora imprecisata (forse riguardano l’estrazione di pigmenti da molluschi, la raccolta d’acqua o ricovero delle reti).

Per quanto riguarda la cronologia delle strutture portuali, tipologia, tecnica e materiali edilizi suggeriscono una collocazione tra la fine della Repubblica e l’inizio dell’età imperiale. Alla politica augustea rimanda anche la volontà di potenziare approdi come quello di Ravenna e “sistemi” portuali come quello di Pozzuoli, con una serie di apprestamenti. La stessa tecnica edilizia presente nella zona flegrea e a Egnazia si riscontra anche nel porto di Ponza, anch’esso costruito durante l’età augustea, e in altri siti della costa tirrenica.

Un’originaria pianificazione militare dello scalo potrebbe essere datata intorno al 40 a.C.A partire dalla romanizzazione della regione, il porto che acquisì maggiore importanza,

divenendo il fulcro delle rotte di navigazione verso l’Oriente, fu quello di Brindisi, da cui si dipartiva un ampio ventaglio di rotte per gli spostamenti militari e commerciali (fig. 6.59).

Oltre a collegare le coste della penisola con quella illirica ed epirota, esso divenne uno scalo importante nelle due grandi rotte del Mediterraneo: quella che congiungeva Alessandria con Aquileia, e la rotta che collegava Pozzuoli e i porti tirrenici con l’Oriente.

Tale importanza è attestata anche dalle fonti letterarie, che danno notizia del passaggio di personaggi importanti della corte e della famiglia imperiale, come Virgilio o Agrippina che riporta in patria le ceneri di Germanico, nel 66 Nerone e la sua corte, e infine Vespasiano, appena proclamato in Oriente.

6.58. Egnazia. Schema ricostruttivo della tecnica e delle fasi edilizie del molo meri-dionale.

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Capitolo VI 257

L’attivismo del por-to è connesso anche con la produttività del terri-torio circostante: Varrone ricorda la viticoltura del-la regione (vArro, Res Rust., I 8) e le carovane di asini che trasportavano dal brindisino e dalla Pu-glia olio, vino e altri pro-dotti al mare (vArro, Res Rust., II 6,5). Altre attività del territorio riguardano l’apicoltura, l’allevamen-to di ovini e la conseguen-te lavorazione della lana, la pesca e la lavorazione del pescato e la mitilicol-tura. Un’altra attività at-testata da Cesare è quella della cantieristica navale, considerato il movimento del porto. Erano presenti, infatti, importanti cantieri navali dove venivano co-struite triremi e grosse navi da carico dotate di torri a più piani per i lanci dall’alto (CAes., Civ., II 4; III 24).

Durante l’età imperiale il porto di Brindisi costituì lo scalo obbligato per le navi prove-nienti sia dal Mediterraneo orientale che occidentale.

Dal punto di vista morfologico questo porto risulta un esempio alquanto insolito per la costa adriatica occidentale: l’ansa portuale presenta un sistema idrografico semisommerso, la cui parte inferiore ha dato origine alla rada portuale esterna e a due seni o corni del porto interno.

Attualmente, sono presenti tre bacini portuali (fig. 6.60): la rada, protetta dall’allinea-mento delle isole Pedagne; il porto esterno, chiuso dalle isole di Sant’Andrea e del Forte e da quella (scomparsa) della Campana; e il porto interno nel Seno di Levante o nel Seno di Ponente a seconda dei venti, dove vi si entra attraverso le fauces portus.

Grazie alla sua articolazione in tre bacini, il porto costituiva un rifugio sicuro. A oggi la posizione del faro non è nota, ma probabilmente le colonne terminali della via

Appia dovevano costituire un punto di riferimento. Non si esclude, comunque, la presenza di un faro sulla più occidentale delle isole Pedagne – dove è oggi – o all’estremità sud dell’isola di Sant’Andrea.

All’imboccatura del Canale Pigonati, durante alcuni lavori del 1778, furono rinvenuti resti lignei interpretati come tracce delle palizzate fatte costruire da Cesare sul canale d’ingresso al porto.

6.59. Brindisi. Immagine aerea verticale del 1943 in cui sono ben visibili i due bracci di mare che definiscono l’area della città antica.

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258 Età romana

Al periodo romano potrebbe risalire un canale di disinsabbiamento nel tratto più vicino al mare di corso Garibaldi.

Depositi di anfore connessi con gli horrea del porto sono stati rinvenuti sul versante del seno di Ponente, in piazza Santa Teresa e in via De Leo, mentre in contrada Commenda sono state scoperte numerose anfore alte circa 30 cm poste a poca distanza l’una dall’altra.

Il tratto più vicino al mare di corso Garibaldi potrebbe corrispondere a un canale di dissab-biamento del porto in età romana, il cui corso appare ancora nelle carte settecentesche.

Sempre di età romana sono alcune opere di drenaggio individuate anche ai piedi della col-lina del Seno di Levante: si tratta di un canale, un vespaio, frammenti fittili, su cui insistevano alcuni blocchi, che costituivano probabilmente una banchina.

L’importanza raggiunta dal porto dettò la necessità di interventi di potenziamento e di di-fesa: basti ricordare lo sbarramento voluto da Cesare ai danni di Pompeo con due lunghi argini fissi per prolungare le fauces portus (CAes., Civ. I 25).

Il peso di Brindisi come porto militare emerge anche dal repertorio epigrafico locale: varie iscrizioni riguardano classiarii di trieres e liburnae.

Procedendo lungo la costa orientale si trova San Cataldo, che ebbe un ruolo di collega-mento marino della più interna Lupiae. Pausania ricorda il potenziamento dell’approdo di San Cataldo con la costruzione di un possente molo per volontà di Adriano (PAus., VI, 19, 9). Sulla

6.60. Brindisi, veduta panoramica del porto. In primo piano il “Seno di Ponente”.

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Capitolo VI 259

costa sono ancora visibili i resti del molo romano (figg. 6.64-65) costruito con la cortina a vista a blocchi paralleli di pietra leccese, con tessitura pseudoisodoma, ed emplecton in opus cemen-ticium attraversato da “catene” di blocchi analoghi a quelli visti in facciata (fig. 6.66). La parte iniziale del molo giace sotto la duna, mentre la parte sommitale è obliterata dal molo moderno in pessimo stato di conservazione; ciò è dovuto anche alla demolizione effettuata per reimpiegare i blocchi nella scogliera antemurale del nuovo molo. Proprio i lavori per la realizzazione del nuovo molo furono inaugurati l’8 maggio 1901, ma non furono portati a termine; ciò che oggi resta è tutt’ora parzialmente visibile sotto la superficie del mare.

Alla luce delle più recenti acquisizioni, le analogie tra il molo di San Cataldo e l’anfiteatro di Lecce fanno pensare a una datazione d’età augustea: la città romana nasce con la sua area pubblica monumentale, le sue necropoli e la sua cinta muraria, il suo territorio agricolo e il suo approdo, in un programma esaustivo di pianificazione.

Proseguendo ancora verso sud, ultimo scalo della costa adriatica, si trova il porto di Otran-to, che solo in particolari momenti poté assolvere la funzione di porto militare (fig. 6.61). A tal proposito C. Pagliara e M. Lombardo attribuiscono l’ultimo rifacimento delle mura alle forze romane presenti nel Salento allo scopo di proteggere la zona dalla minaccia macedone; ciò dimostra l’attenzione che Roma doveva avere nei confronti di questo approdo strategico nello scenario adriatico della Seconda Guerra Punica. Tale funzione è nota anche dalle fonti lettera-rie: Lucano (LuC., Bell. Civ., V 374-380) menziona la presenza di una piccola squadra navale, composta forse da liburnae, a Otranto, Leuca e Taranto, quando furono richiamate da Cesare; Appiano (APP., Civ., II 40) menziona il porto di Otranto come base di uno dei contingenti inca-ricati da Cesare di sorvegliare le coste italiane. Successivamente, in età imperiale è stata base di partenza per la spedizione partica di Marco Aurelio e Lucio Vero.

6.61. Otranto. Veduta aerea prospettica dell’area del borgo antico e del porto.

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260 Età romana

La città antica di Otranto sorgeva su un promontorio, attualmente occupato dal centro sto-rico della città moderna, disegnato da due insenature. Il suo porto, pur essendo stato caratterizza-to per la fase preromana soprattutto dall’attività mercantile (con le sue funzioni di collegamento con il mondo orientale e di distribuzione dei prodotti importati nell’area sud-orientale della penisola), a partire dal periodo tardorepubblicano vide offuscare il suo ruolo da Brindisi, man-tenendo solo la funzione di approdo alternativo nella rete di circuiti del Mediterraneo orientale.

Solo nella Tarda Antichità il porto di Otranto riprese il suo primato, soprattutto con la Guerra Greco-Gotica, quando acquisì un ruolo decisivo fino all’VIII secolo, divenendo così la base bizantina per eccellenza e il più importante porto dell’Italia meridionale.

Le coste ioniche della Puglia non conservano alcuna documentazione epigrafica utile alla ricostruzione portuale e marittima antica e le recenti acquisizioni archeologiche sembrano con-fermare che vi fossero solo scali di minore importanza. Secondo C. Marangio gli interessi dei Romani in tale ambito furono quasi del tutto inconsistenti.

È necessario risalire la costa fino a Taranto per ritrovare un porto attrezzato (fig. 6.62). Il territorio di Taranto è segnato da due insenature, quella esterna, detta Mar Grande e quella inter-na, detta Mar Piccolo. Il bacino di quest’ultima è diviso a sua volta in due parti dalla penisola di Punta della Penna. Le due insenature, originate per sommersione della pianura costiera, erano collegate da un canale naturale navigabile, a cui si è affiancato un secondo canale in seguito al taglio dell’istmo realizzato nel 1480 dagli Aragonesi per ricavarvi il fossato del Castello e reso navigabile dal 1886.

L’istmo è oggi largo 250 m ca., ma in passato era molto più stretto; ha una lunghezza di

6.62. Pianta del Mar Piccolo di Taranto disegnata dal Pacelli nel 1807.

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Capitolo VI 261

900 m ca. e la sua altezza sul livello del mare è di 16 m ca. in corrispondenza dell’attuale via Duomo.

Il porto di Taranto svolse da sempre un ruolo fondamentale per lo sviluppo della città dalla fondazione all’ingresso di Roma sullo scenario politico dall’Italia meridionale: infatti, sebbene dopo la deduzione a colonia di Brindisi e con la definitiva conquista della città in seguito alla Guerra Annibalica, Taranto vide diminuire progressivamente il suo prestigio politico ed econo-mico, il porto costituì comunque ininterrottamente un punto forte in ambito militare, come ad esempio durante gli scontri tra Ottaviano e Sesto Pompeo e poi Ottaviano e Antonio.

Il collo dell’istmo permetteva anche di trasportare le imbarcazioni da una parte all’altra, come si evince dalla testimonianza straboniana. Proprio Strabone è fonte importante per la rico-struzione dell’urbanistica della città (strAbo, VI, 3, 1): si tratta di una testimonianza autoptica che offre una collocazione precisa del porto e della sua collocazione all’interno del tessuto urba-no. Infatti, il porto era in stretto rapporto con l’acropoli, e quest’ultima con l’agorà; esso era poi

6.63. Tabula Peutin-geriana. Particolare del tratto di costa tra Sipontum e Barium.

6.64. San Cataldo. Veduta aerea prospettica del molo romano e dell’imponente antemurale a forma di L realizzato nei primi anni del Novecento.

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262 Età romana

chiuso da un grande ponte attraverso il quale Fabio Massimo nel 209 a.C., attestatosi sulla parte orientale del canale nei pressi di Scoglio del Tonno, poté prestare soccorso a M. Livio assediato da Annibale all’interno dell’acropoli. In tal modo i Romani, controllando le due teste di ponte dell’unico accesso al porto, impedirono alla flotta tarantina di uscire, obbligando Annibale al tra-sporto delle navi sul Mar Grande via terra (Liv., XXVII 3, 8; PoLyb., VIII, 34; strAbo, VI, 3, 1).

L’immagine fornita dalle fonti letterarie non trova riscontro nella realtà: ciò che si può mettere in relazione con il porto antico sono i resti di due strutture murarie in opera quadrata, pertinenti probabilmente a un bacino munito di moli, venute alla luce durante la costruzione dell’Arsenale militare. A breve distanza da queste strutture murarie lo scavo di un quartiere, di cui non rimane documentazione alcuna, ha restituito numerose anfore da trasporto. È in questa parte del bacino del Mar Piccolo che si può collocare il porto antico.

6.65. San Cataldo. Planimetria generale e prospetti del molo d’età romana.

6.66. Il molo romano di San Cataldo. Prospetto sud-occidentale.

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Capitolo VI 263

Infine, i dati della ricerca archeologica permettono di ipotizzare in alcuni punti dell’estre-mità dell’acropoli la presenza di piattaforme a scivolo, attraverso la lavorazione delle pareti rocciose, per tirare in secco le imbarcazioni.

Tipologicamente differente, ma comunque collegata ai porti esaminati, si riscontra un’ul-teriore varietà di scalo marittimo lungo la costa pugliese: gli approdi, caratterizzati dall’essere frequentati da navi di minore tonnellaggio e inseriti in una rete di collegamenti marittimi a livel-lo regionale. Si tratta, in particolare, di impianti connessi a centri interni o a impianti rustici e/o produttivi oppure a luoghi di culto.

La connessione approdo-centro interno o approdo-centro di redistribuzione indica uno scalo portuale collegato a un centro interno dominante in posizione sub-costiera, secondo un modello “binario” presente a partire dalla metà del VI sec. a.C. Qui, infatti, venivano caricate le merci prodotte nel territorio circostante e trasportate fino al porto commerciale più vicino, da cui salpavano sulle grandi navi onerarie.

Questa caratteristica, pur essendo testimoniata dalle fonti antiche, in alcuni casi non trova un riscontro nelle evidenze archeologiche.

Un esempio, a tal proposito, è il porto dell’antica Salapia, nominata da Strabone quale emporio di Arpi (strAbo., Geogr., VI, 3, 9), a cui era collegata da una via d’acqua che sfruttava la laguna di Salpi. Questo collegamento escludeva Siponto, pur essendo più vicino e facilmen-te raggiungibile sia via terra sia navigando lungo il Salsola e il Candelaro. In realtà, la notizia straboniana si riferisce al porto della Salpia vetus di cui parla Vitruvio (vitruv., De Arch., I, 4, 12), distante 4 miglia dalla nuova città, rifondata in un luogo più salubre a cura di M. Hostilius, all’incirca intorno alla metà del I a.C. (CiC., De leg. agr., II, 27, 71).

Grazie alle fotografie aeree è stato possibile identificare la città rifondata sul Monte di Salpi e accertare come fosse effettivamente collegata al mare grazie a un canale che sfociava probabilmente in corrispondenza di Torre Pietra, dove il Riontino e la Marin propongono di localizzare il porto antico, in base alla concentrazione di materiale riferibile a relitti di navi af-fondate nei pressi dell’ancoraggio.

Per Barletta la fonte letteraria più antica è Strabone (strAbo., Geogr., VI, 2, 38), che ricorda l’esistenza dello scalo fluviale dei Canosini al quale giungevano le merci scaricate allo scalo marittimo di Bardulos e viceversa. Strabone pone questo scalo fluviale a una distanza di 90 stadi dal mare (16 km. ca.). Il toponimo è attestato per la prima volta come stazione della via Litoranea sulla Tabula Peutingeriana a 6 miglia da Aufinum e a 9 da Turenum; tra Bardulos a Turenum è inoltre indicata la foce del fiume Aveldium che sorgeva dalle alture della Murgia; nell’Itinerarium Antonini è posto a 6 miglia a sud di Aufinum e a 8 a nord di Turenum (fig. 6.63).

La posizione di Barletta allo sbocco della valle dell’Ofanto risulta per più versi ideale per l’installazione di un porto marittimo, collegato con Canusium e Venusia. La mancanza di scavi archeologici sistematici non permette tuttavia di chiarire la cronologia precisa dell’impianto.

Lungo la costa salentina, un sito di particolare importanza è quello di Castro (fig. 6.67), il luogo in cui, tra le fonti che lo ricordano, si riconosce il famoso Athenaion o Castrum Mi-nervae. Suggestiva è l’identificazione di Castro con l’approdo dei profughi troiani del racconto dell’Eneide di Virgilio. Secondo Uggeri esiste una corrispondenza con l’insenatura di Castro e lo sperone soprastante su cui doveva trovarsi il tempio di Minerva. Si tratta comunque dell’ap-prodo più vicino alla Grecia per la navigazione di piccolo cabotaggio: da qui, passando per Pha-sos, distante 80 km, e Corfù, si raggiunge la costa epirota evitando traversate lunghe e difficili.

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264 Età romana

Da recenti indagini topografiche Castro risulta lo scalo di Vaste e ciò è confermato dai rinvenimenti subacquei della fase tardoelleni-stica riferibili all’attività di discarica portuale (due ceppi d’ancora in piombo, frammenti di anfore del III-II sec. a.C., contenitori di picco-le dimensioni in ceramica comune, frammen-ti di anfore) e in particolare da quelli databili agli ultimi due secoli della Repubblica, in pie-na consonanza con le evidenze sub divo e con la frequentazione tardorepubblicana di Vaste.

Risalendo la costa sul versante ionico, si incontra Torre San Gregorio quale scalo di Veretum (fig. 6.68), caratterizzato dal fatto di essere stato inizialmente uno scalo di servizio per poi ricevere in età tardorepubblicana (II sec. a.C.) la fisionomia di approdo organizza-to. Si tratta di una modesta insenatura, deli-mitata a sud dal promontorio su cui sorge la torre, e provvista di un’opera frangiflutti per-pendicolare al fianco dell’insenatura, e orien-tata in direzione sud-est/nord-ovest (fig. 6.69).

6.67. Castro. Veduta aerea prospettica del promontorio dove si sviluppò il centro antico e dell’area portuale.

6.68. Veduta aerea prospettica della baia di San Gregorio. Sullo sfondo la collina di Vereto.

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Capitolo VI 265

6.69. San Gregorio. Veduta aerea del promontorio est. Indicato dalla freccia, l’antemurale sommerso.

6.70. Leuca. Veduta aerea prospettica di Punta Meliso e dell’ampio bacino portuale moderno.

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266 Età romana

Alla base del pendio del promontorio sono stati messi in luce due tratti di fondazioni o camminamenti di servizio all’approdo: uno tra il promontorio di San Gregorio e la fascia a est, l’altro parallelo alla linea di costa. Resti di strutture di servizio sono stati rinvenuti in Loc. Fangara insieme ad impianti produttivi di tegole e anfore di “Brindisi”, insieme ad una cisterna/deposito rettangolare scavata nel banco roccioso con ripida scala che conduceva verso il fondo e tracce di intonaco grossolano sulle pareti. I fondali dell’insenatura sono cosparsi di frammenti fittili, in particolar modo anfore, insieme ad altro materiale eterogeneo per produzione, prove-nienza e cronologia. Allo stesso periodo risalgono le monete della zecca di Durazzo e le strutture in prossimità della riva.

A Veretum è collegato anche lo scalo di Leuca, caratterizzato dalla dimensione di santua-rio emporico, il quale assolve al suo compito già nelle fasi arcaiche (fig. 6.70).

A Ugento era invece connesso lo scalo di San Giovanni: gli scavi ai piedi della Torre-Faro hanno messo in luce un grosso muro di fortificazione del IV sec. a.C., a doppia cortina con riempimento di pietrame e terra, al quale si addossano strutture più recenti, di età repubblicana, imperiale e bizantina. Interessante è la presenza di oggetti relativi al culto di Artemis Bendis, particolarmente diffuso a Taranto e nelle zone sotto la sua influenza.

A pochi chilometri da Nardò, l’antica Neretum, in località Santa Caterina, si riconosce l’antico approdo del centro interno. In corrispondenza dell’insenatura centrale sono, in parte visibili e in parte sommersi, numerosi blocchi riferibili a setti murari con lembi di crolli di te-gole e piccole pietre. Nella parte meridionale della scogliera sono stati individuati un fossato scavato nella roccia (visibile per una lunghezza di 27 m e una larghezza di ca. 4,50 m) e cavi di fondazione di un muro isodomico (conservato per 2,70 m). L’esame di tali strutture permette di identificarle con le opere funzionali allo scalo portuale: verosimilmente si può ipotizzare la pre-senza di tre moli che si spingevano nell’insenatura per consentire l’attracco delle navi. Inoltre,

6.71. Veduta aerea obliqua dell’insenatura antistante la Grotta di Capelvenere.

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Capitolo VI 267

è presumibile che vi fossero sulla riva ulteriori strutture utilizzate come magazzini e depositi per lo stoccaggio delle merci in arrivo o in uscita dal porto. Lo studio di alcuni frammenti rin-venuti in superficie lungo la spiaggia rivela una frequentazione dell’area dal V al I sec. a.C.: la maggior parte dei frammenti si riferisce a due fasi cronologiche, probabilmente corrispondenti ai momenti di più intenso uso dell’area portuale, e databili, rispettivamente, tra la seconda metà del IV e la prima metà del III sec. a.C., e all’età tardorepubblicana (II-I sec. a.C.).

L’insediamento portuale di Santa Caterina, utilizzato già dall’età arcaica come approdo naturale, sembra essere potenziato tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. con l’edificazione di infrastrutture essenziali e la fortificazione dell’area: le mura infatti dovevano correre tutt’at-torno al centro abitato, a monte, cioè, della attuale spiaggia. Probabilmente, altri attracchi dove-vano essere presenti nelle insenature di Santa Maria al Bagno e in quella antistante la grotta di Capelvenere, dove, del resto, è stato riconosciuto un luogo di culto (fig. 6.71).

L’approdo poteva essere collegato anche a un centro di minori dimensioni, quali un inse-diamento rustico o produttivo. Tale connessione troverebbe riscontro soprattutto in base a ciò che si verificò in Puglia all’indomani del conflitto annibalico, in seguito al quale si verificò, per volontà dell’amministrazione centrale, un incremento dei suoli coltivabili nonché lo sviluppo di nuove realtà insediative la cui produzione era destinata all’esportazione. Così facendo, le espor-tazioni divennero una voce considerevole nell’economia imperiale e soprattutto della regione. In tale contesto si percepisce al meglio la funzione di “caricatore” di questi approdi nei confronti di un insediamento produttivo.

L’esempio più emblematico e frequente di insediamento produttivo è quello dell’officina/fornace di anfore che può essere o parte integrante di un fundus o una manifattura indipendente a cui si rivolgono i proprietari per l’invasamento dei propri prodotti. In genere, questo si trovava nelle vicinanze di cave d’argilla e di un’importante arteria stradale per il collegamento con i centri limitrofi.

Tale situazione si riscontra nel sito di Torre Guaceto, a pochi chilometri da Brindisi, che coincide con una piccola baia protetta a nord e a est da un promontorio e da tre scogli (fig.

6.72. Il promontorio di Torre Guaceto e un tratto della costa a nord.

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268 Età romana

6.72); a sud della baia vi è la foce del Canale Reale. Il promontorio si sviluppa parallelamente alla linea di costa e si frammenta verso sud-est nella serie di isolotti poco rilevati; in antico il mare doveva essere più basso, e al posto dell’attuale palude doveva scorrere un corso d’acqua di notevole portata, come attesterebbe il canalone sommerso tra il promontorio e gli scogli. La palude rappresenta un caso di accumulo “recente” di materiali limo-argillosi, apporti alluvionali e sabbie attuali su un substrato calcarenitico già di per sé non molto permeabile, in una zona sub-pianeggiante, a quote prossime il livello attuale del mare.

Le uniche fonti letterarie riferibili al sito sono costituite dalla menzione del toponimo nel-la Carta di Idrisi (1154) in riferimento alla funzione di punto di approvvigionamento di acqua dolce presso lo sbocco a mare del Canale Reale, nonché di approdo per il carico dei contenitori prodotti nella regione.

Rinvenimenti subacquei, nell’area dell’insenatura, di contenitori da trasporto tardo re-pubblicani sembrano confermare la connessione dell’approdo alle vicine fornaci di Apani e alla cospicua produzione di vino e olio nell’entroterra.

Anche per il sito di Apani, a circa 10 km da Brindisi, si riscontra la connessione approdo-impianto produttivo. L’impianto, ubicato nei pressi della foce del Canale Apani, sponda setten-trionale, rispondeva alle esigenze connesse alla produzione: presenza di acqua dolce necessaria per la decantazione e il lavaggio dell’argilla, oltre che per le altre fasi del processo produttivo; vicinanza sia al mare, e quindi a un imbarco per il trasporto, sia a un’importante arteria come la via Minucia, e poi Traiana, che passava a un centinaio di metri a sud-ovest, e probabilmente, a una mutatio della via stessa. Esso comprendeva due fornaci, serbatoi rettangolari e una cisterna.

Le evidenze subacquee aggiungono altri indizi a favore di una frequentazione in età ro-mana, connessa con le vicine fornaci e con la cospicua produzione di vino e olio nell’immediato entroterra. Anche per Apani mancano fonti letterarie, mentre le fonti epigrafiche sono costituite

6.73. Veduta aerea prospettica del breve promontorio di San Foca.

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Capitolo VI 269

dai bolli delle anfore che sono stati raccolti da Mommsen, Kaibel, Sciarpa, Cucci e Santoro. Aree di frammenti di laterizi e vasellame di età repubblicana sono state individuate in località Cimitero vecchio, dove secondo Uggeri doveva essere ubicato un «magazzino romano»; mentre in località Masseria Nuova è ipotizzata la presenza di un impianto rustico.

Da questi approdi le merci partivano su chiatte o piccoli natanti diretti verso i grandi porti, dove sarebbero state trasbordate sulle grandi navi onerarie o stoccate in attesa di salpare alla volta dei grandi empori del Mediterraneo, sia occidentale che orientale.

A un diverso impianto produttivo è riferibile l’approdo di San Foca, ubicato su un piccolo promontorio tra due insenature, uno sperone battuto dal mare, detto Le Tare, a est della Torre cinquecentesca (fig. 6.73). Durante l’età romana il sito fu sede di un insediamento/impianto produttivo, probabilmente a carattere stagionale, dove gli occupanti dovevano svolgere attività legate all’itticoltura e alla lavorazione del pescato. Di esso è possibile distinguere due fasi: la prima riferibile ad un periodo compreso tra la metà del I sec. a.C. e l’età traianea, mentre la seconda tra II e III sec. d.C.

Sui resti romani insiste un edificio a pianta rettangolare, attualmente quasi completamente distrutto dall’erosione marina, per il quale si ipotizza una destinazione sacra; in seguito a un’in-cursione saracena venne poi distrutto. La torre costiera fa supporre l’esistenza di un insediamen-to rupestre in età medievale legato ancora alle attività di pesca e del porticciolo.

Infine, una tipologia presente, e che meglio riflette l’aspetto più umano della navigazione antica, è quella dell’approdo connesso a santuari o a luoghi di culto anch’essi costieri.

La connessione approdo-luogo di culto è un dato che spesso si ritrova in prossimità dei promontori, i quali oltre a costituire i punti di riferimento della navigazione antica, erano an-che sedi di santuari. Infatti in alcuni casi l’approdo coincide con uno ieròn o un templum posto sul promontorio stesso. Questa lungo il perimetro costiero del Mediterraneo è testimoniata in

6.74. Veduta aerea prospettica del tratto di costa a sud di Rocavecchia con la Grotta della Poesia.

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270 Età romana

diversi punti. In Puglia i santua-ri spesso si trovano nelle aree di insenature o in grotte dove sono presenti anche sorgenti di acqua dolce. La presenza di questo ele-mento, oltre a testimoniare una variazione del livello del mare, fa supporre anche una valenza terapeutica connessa alle qualità termali dell’acqua.

Esempi di questo gene-re sono le grotte localizzate sull’isolotto di Sant’Eufemia, nel territorio di Vieste, che a par-tire dal IV-III sec. a.C. fu sede del culto di Venere Sosandra e successivamente adattata al cul-to cristiano come dimostrano le

epigrafi di età medievale. Sempre nel territorio di Vieste, si trova la grotta sull’isolotto del Faro: anche in questo caso sono presenti numerose iscrizioni alcune delle quali sono dediche di nautae e sono databili tra età ellenistica e l’età tardorepubblicana.

Al confine del territorio di Peschici si trova la Grotta dell’Acqua che presenta un re-pertorio epigrafico, attualmente in discreto stato di conservazione, databile tra gli ultimi due secoli della Repubblica e i primi anni dell’Impero. In questo caso, come per la Grotta di Roca, nel territorio di Lecce, il nome e la presenza di una sorgente d’acqua dolce evoca la Poesia: la parola greca medievale “posìa” allude infatti alla sorgente di acqua dolce che ancora oggi sgorga. Anche nella Grotta Poesia di Roca (fig. 6.74) è presente un cospicuo numero di iscri-zioni votive, queste celebrano una divinità maschile altrimenti sconosciuta Taotor Andirahas, o Tutor Antraio, Andraius Anderaus o Andreas in latino. Il carattere cultuale presente a Roca in zona Castello lo si riscontra a Punta Matarico con la Grotta di San Cristoforo il cui corredo epigrafico va dal I sec. a.C. al XIII sec. d.C.: si tratta di iscrizioni greche, latine e cristiane contenenti la richiesta alle divinità della grotta di una buona navigazione nell’attraversamento dell’os vadi (fig. 6.75). Sia la Grotta Poesia che la Grotta di San Cristoforo gravitano attorno all’approdo di Torre dell’Orso.

Più a Sud, connessi con l’approdo di Leuca, troviamo Punta Meliso con probabile edificio religioso, e Punta Ristola, con Grotta Porcinara la cui documentazione epigrafica ed archeologica sembra abbracciare un arco temporale che va dall’VIII sec. a.C. alla fine del II sec. d.C., quando cessa ogni attività. Il dio messapico Batas, assimilato a Zeus (Zis), diviene poi Iuppiter Batius.

Questi santuari erano in alcuni casi rappresentati da semplici hescarai, poste all’ingres-so di grotte sulle terrazze alte sul mare; in un secondo momento le grotte furono sistemate ed usate per l’iscrizione di ex-voto nei quali i frequentatori chiedevano una traversata propizia o ringraziavano per avergliela concessa, sacrificando animali e consacrando vasi, statuette, cep-pi d’ancora. Gli approdi connessi ai luoghi di culto dovevano avere delle strutture di servizio funzionali all’organizzazione santuariale e alla gestione dell’approdo. Il mare, amico/nemico, è

6.75. Iscrizione latina votiva sulle pareti della Grotta di San Cristoforo.

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Capitolo VI 271

onnipresente in queste antiche preghiere; sono marinai o viaggiatori, i personaggi che pregano e fanno voti.

Per quanto riguarda i siti salentini, una seducente ipotesi ritiene che le iscrizioni dovevano essere quelle di servi imbarcati sulle navi romane che difendevano la costa salentina durante il conflitto annibalico, ai quali era stata promessa in premio la libertà: si impegnano solennemente con il dio della Grotta Poesia, si liberi facti.

Estremamente interessante, anche dal punto di vista toponomastico per il Salento, è la specularità con l’altra sponda: complessi santuariali con iscrizioni analoghe si trovano negli approdi di Cala dell’Orso e Grammata, lungo la costa albanese. In quest’ultimo sono centinaia i testi votivi che appaiono incisi sulla roccia da naviganti antichi e moderni.

bibLioGrAFiAPer la definizione di porto commerciale uGGeri 1968. Per l’analisi tipologica dei porti e approdi: AurieMMA

2004,MArAnGio2004,MArAnGio2006,MArAnGio 2011. Apani: AurieMMA2004;Corretti 1984. Bari: rouGé1966;DeJuLiis1984a; voLPe1985;tCherniA1986. Barletta: ALvisi1970;D’erCoLe1990, p. 23-26; MArCAto1990;voLPe 1985, p. 290; voLPe 1990b; Corrente 2001, p. 48. Brindisi: GiAnFrot-tA 1998, pp. 7-14; LiPPoLis 1997a; AurieMMA 2004. Castro: D’AnDriA1987;AurieMMA 2004. Egna-zia: voLPe,AurieMMA 1998, pp. 199-211; AurieMMA 2004. Leuca: AurieMMA 2004. Otranto: seMerAro1983;uGGeri1983;LoMbArDo1992,CruPi 2008. Roca: PAGLiArA2001;PiCCArretA2003a;AurieMMA2004. Salapia: DeGrAssi1965;MArin 1970b; sChMieDt1973;tinèbertoCChi1989;voLPe1989;voL-Pe1990b; MAzzei 2003a, GuAitoLi 2003a; LiPPoLis 2006. San Cataldo: AurieMMA 2004, sAMMArCo,MArChi 2008. San Foca: AurieMMA 2004. Santa Caterina: DeJuLiis1983;CionGoLi1989;MAstronuzzi1995. Siponto: DeLAno sMith,Morrison 1974; LiPPoLis 1984; sirAGo 1993;MAzzei1999. Taranto: WuiLLeuMier1939;sChMieDt1973;GreCo1996;LiPPoLis 1998. Torre Guaceto: AurieMMA 2004. Torre San Giovanni: D’AnDriA 1988a; AurieMMA 2004. Torre San Gregorio: AurieMMA 2004. Vieste: LiPPoLis1984;voLPe 1990b.

A.A,C.A.

VI.4. Assetti urbanisticiI decenni finali del IV sec.

a.C. e l’accendersi del secondo conflitto contro i Sanniti segnano l’ingresso della Puglia nel rag-gio d’azione di Roma (fig. 6.76) e l’innescarsi di un processo di espansione che porta in un breve volger di anni alla creazione, in settori particolarmente strategici dell’area daunia, di una rete di centri alleati con i quali stipula dei foedera, come Canusium e Teanum, e alla deduzione del-la colonia latina di Luceria, nel 315-314 a.C. L’oppidum della nuova colonia, che costituirà il 6.76. Carta dei principali centri d’età romana citati nel testo.

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272 Età romana

primo punto di riferimento per l’evoluzione delle forme urbane nella Puglia settentrionale, viene sovrapposto all’abitato dauno e delimitato da un circuito murario a doppia cortina che comprende le alture più importanti e alcune aree precedentemente insedia-te. Al suo interno si procede a un’organizzazione di massima degli spazi attraverso una siste-mazione urbanistica con struttu-ra ortogonale, mentre il territorio circostante viene utilizzato per l’assegnazione di terre ai coloni attraverso la centuriazione.

L’introduzione del nuovo modello di città murata e proget-tata secondo un disegno unitario attestato a Luceria (fig. 6.77), così come nella vicina colonia di Venusia, dedotta nel 291 a.C., promuove fenomeni di adegua-mento nelle terre investite dalla romanizzazione tra la fine del IV sec. a.C. e la conclusione della Guerra Annibalica. Nelle comu-nità indigene con un livello eco-nomico più elevato e presupposti politici adeguati si verifica un progressivo passaggio da abitati diffusi a insediamenti di tipo ur-bano ridimensionati nelle super-fici, con estensioni assimilabili a quelle delle città coeve roma-ne. Durante questa prima fase di

consolidamento dell’egemonia romana in alcuni centri, come Canusium, Herdonia, Vibinum e Salapia, si avvia un processo di formazione della città che comporta interventi di pianifica-zione, seppur limitata all’individuazione delle aree urbane – protette da una cinta muraria che ne scandisce il perimetro – e alla definizione generale degli spazi, secondo criteri mutuati dal modello greco o dipendenti dalla colonizzazione latina. Se a Lucera resta traccia di un sistema di assi ortogonali risalente al momento della fondazione e la colonia marittima dedotta a Si-ponto nel primo quarto del II sec. a.C. viene dotata di un sistema stradale regolare (fig. 6.78), a Herdonia sono riproposti solo in parte i nuovi modelli dettati dall’influsso romano. Ricostruita

6.77. Pianta della colonia di Luceria.

6.78. Sipontum. Planimetria generale della città romana.

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Capitolo VI 273

dopo le devastazioni del conflitto annibalico, la città si organizza infatti sulla base degli assi viari preromani di attraversamento del pianoro strutturandosi in maniera non completamente ortogonale (fig. 6.79), riflettendo forse, come attestano già il modello e le tecniche costrutti-ve del circuito murario della prima metà del III secolo, condizionamenti tarantini. In altri centri il nucleo sembra invece articolarsi sulla base di preesistenze irregolari o adattandosi alla con-formazione del terreno, come a Vibinum (fig. 6.80) e a Canusium (fig. 6.81).

Anche nella colonia greca di Taranto, ri-conquistata definitivamente dai Romani dopo la defezione a favore di Annibale nel 209 a.C., la sistemazione urbanistica preromana non su-bisce sostanziali modifiche: preziosa a questo proposito è la testimonianza di Polibio, che de-scrive l’impianto a lui coevo come distinto in una serie di nuclei relativamente indipendenti, tra i quali figurano l’agorà, la necropoli, il tea-tro e il porto. Questi settori manterranno il loro assetto originario fino alla deduzione sul sito

6.79. Herdonia. Tracce ed evidenze archeologiche della città anti-ca e della viabilità principale su base aerofotogrammetrica.

6.80. Bovino. Immagine aerea della città.

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274 Età romana

della vecchia polis, nel 123 a.C., della colonia graccana di Neptu-nia Tarentum, che sancirà la defi-nitiva romanizzazione della città anche sul piano della sistemazio-ne urbanistica.

Rispetto alla strategia adottata nel comparto centroset-tentrionale della Puglia, nel sud della regione la conquista roma-na, completata nel 266 a.C. con la vittoria sui Sallentini e il trion-fo sulle popolazioni indigene, implica da subito una completa riorganizzazione insediativa del territorio e una radicale defini-zione architettonica delle forme urbane. La colonia di diritto la-tino di Brundisium, istituita nel 244 a.C. e destinata a diventare il porto preferenziale nei traf-fici tra l’Italia e l’Oriente elle-nizzato, viene progettata quasi ex-novo secondo un programma urbanistico che prevede la deli-mitazione delle aree pubbliche e la loro definizione architettonica e monumentale (fig. 6.82), in ra-dicale discontinuità con l’inse-diamento indigeno. Il nuovo abi-tato, che occupa l’estremità della penisola interposta tra i due seni del porto, viene dotato di una cinta muraria con fossato e di una rete viaria interna costruita sull’incrocio di due generatrici principali. Il centro monumen-tale e religioso della città è stato individuato sull’altura che ospi-tava l’insediamento preesistente: in questa zona, sostruita con im-

ponenti terrazzamenti in opera quadrata, è stata riconosciuta l’arx della colonia, probabilmente almeno in parte destinata al culto capitolino, come sembra testimoniare il rinvenimento di una base di colonna con dedica a Giove Ottimo Massimo. A nord e a sud di questo nucleo rap-

6.81. Foto aerea prospettica di Canosa e della valle dell’Ofanto.

6.82. Brundisium. Schema ricostruttivo dell’impianto urbanistico d’età romana.

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Capitolo VI 275

presentativo si estendono gli spazi destinati alla collettività, tra cui un edificio termale e un’area pubblica di notevole impegno ar-chitettonico, prospiciente un importante asse stradale (forse il percorso urbano della via Appia). Il foro, il cui primo impianto sembra risalire all’epoca dell’occupazione romana, sorge probabilmente in prossimità dell’in-tersezione tra i due assi stradali principali, intorno ai quali si struttura il sistema viario ortogonale dell’abitato.

La fondazione di Brindisi diventa il polo urbano di riferimento nella Puglia adriatica e fornisce un modello di città anche agli altri centri del territorio, che recependo i nuovi assetti urbanistici esprimono la loro adesione al sistema romano. A Egnatia (fig. 6.83) lo sviluppo urbanistico dell’antico in-sediamento nel corso del III sec. a.C. costi-tuisce un immediato riflesso dell’adozione di forme urbane e architettoniche mutuate dalla vicina colonia: contestualmente alla deduzio-

6.83. Egnazia. Veduta aerea prospettica di un settore abitativo, dell’area del foro e dell’anfiteatro; al centro, la Via Traiana.

6.84. Canusium. Pianta della città romana.

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276 Età romana

6.85. Lucera. Anfiteatro.

6.86. Herdonia. Veduta prospettica dei resti della città antica.

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Capitolo VI 277

ne di Brindisi è infatti testimo-niata una fase di monumenta-lizzazione degli spazi pubblici, con la costruzione di un tempio italico su podio sull’acropoli e lo sviluppo, alle sue pendici, di un’area dotata di portici che fanno da cornice a un edificio di tipo teatrale.

In età tardorepubblicana, dopo la fine della guerra sociale (89 a.C.) e l’istituzione di muni-cipia nei territori ex-alleati, la necessità di una sistemazione di centri amministrativi adeguati alle nuove esigenze determina in tutta la regione un’accelerazione generale dei processi di qualifi-cazione e articolazione dello spazio urbano. L’ondata di rinnovamento edilizio che investe le città si traduce in una serie di interventi rispondenti a una regolarizzazione di massima degli impianti: l’omologazione al modello egemone è pienamente compiuta in età augustea, periodo in cui si registrano significativi fenomeni di monumentalizzazione urbana, con assetti che non subiranno sostanziali modifiche nel corso dell’età imperiale. Nel I sec. d.C. le realtà municipali sono ormai dotate degli edifici pubblici (foro, anfiteatro, terme, templi) e delle infrastruttu-re (strade, acquedotti) che tradizionalmente contraddistinguono la città romana. A Canusium l’istituzione del municipium comporta un rinnovamento urbano con opere di notevole impegno inquadrabili in una pianificazione unitaria che, avviatasi agli inizi del I sec. a.C., consente una generale ristrutturazione in chiave monumentale dell’abitato – organizzato su più livelli de-gradanti verso la viabilità principale – e la costruzione dell’anfiteatro sul pendio meridionale dell’acropoli (fig. 6.84). Il periodo vede anche la sistemazione della rete viaria, che sarà rior-ganizzata su una maglia regolare nell’ambito dell’adeguamento della viabilità al nuovo asse della via Traiana nel II secolo, epoca a cui risalgono anche due complessi termali, un edificio templare dedicato a Giove Toro e un acquedotto. A Luceria, tra il 27 a.C. e il 14 d.C., all’interno del circuito murario vengono costruiti l’anfiteatro (fig. 6.85) e un tempio dedicato ad Augusto e Apollo, mentre in età successiva sorge il complesso delle terme di Piazza San Matteo. Nel I secolo a Herdonia il foro costituisce il fulcro intorno al quale si organizzano gli spazi pubblici, tra cui un tempio italico sul lato ovest e la basilica a pianta vitruviana a nord della piazza; nel II secolo – contestualmente al completamento della via Traiana – l’area del foro si arricchisce di un criptoportico, di tabernae, di un macellum e di un tempio forse dedicato al culto imperiale, mentre l’accesso alla città viene monumentalizzato con un grande ninfeo (fig. 6.86). All’orga-nizzazione di Sipontum in età augustea si riferiscono la costruzione dell’anfiteatro lungo l’asse del cardo maximus, due complessi termali in aree diverse dell’abitato, un’area pubblica che ha restituito tracce di pavimentazione musiva e resti di strutture murarie in opera quadrata e reticolata. Nella stessa fase si collocano alcuni interventi di risistemazione delle mura e la re-

6.87. Bovino. Resti dell’acquedotto di età romana.

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alizzazione di infrastrutture scavate nella roccia per l’approvvigionamento idrico. Anche nel municipium di Vibinum il programma di sistemazione urbana si accompagna alla costruzione di un acquedotto (fig. 6.87), realizzato sfruttando un sistema di sorgenti d’acque convogliate verso la città con tratti aerei eccezionalmente conservati.

La creazione del municipium a Taranto provoca un rimodellamento urbano e una rinascita dell’edilizia pubblica sull’acropoli e nella zona dell’agorà: i due nuclei principali intorno ai quali si era organizzata la colonia graccana. L’acropoli continua a essere la sede delle funzioni rappresentative e religiose della città nel rispetto urbanistico e architettonico della sistemazio-ne monumentale originaria, mentre il quartiere dell’agorà, cuore amministrativo e insediativo dell’abitato romano, viene dotato di strutture rappresentative adeguate al nuovo assetto politico-culturale. Tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. nei pressi del foro, che sembra coincidere sostanzial-mente con l’agorà, vengono realizzati una struttura di tipo teatrale, l’anfiteatro e altri edifici pubblici testimoniati da resti architettonici, lacerti di iscrizioni dedicatorie e frammenti di deco-razione marmorea e scultorea. Entro la metà del I secolo si colloca inoltre la costruzione di un acquedotto e di un complesso termale.

Nella Puglia meridionale, gli esiti dei contrasti interni e delle guerre civili del I sec. a.C. hanno come conseguenza il rafforzamento della funzione militare del porto di Brundisium e l’incremento delle difese, mentre nella seconda metà del secolo si avvia una fase di ristruttura-zione urbana nei settori maggiormente compromessi dalla guerra civile. All’età augustea risal-gono la risistemazione del centro in chiave monumentale, che coinvolge soprattutto l’arx, e un intervento di restauro dell’acquedotto – costruito in un momento non precisabile del I sec. a.C. – in rapporto al quale nell’area urbana vengono realizzati o costruiti ex-novo complessi termali.

6.88. Rudiae. Veduta prospettica.

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L’attenzione per lo sviluppo monumentale della città sembra continuare fino all’epoca traianea con restauri e nuovi interventi architettonici, come la creazione di un monumento celebrativo in corrispondenza dell’accesso dell’Appia in città.

Nel territorio a sud di Brundisium, nell’89 a.C. gli insediamenti messapici di Rudiae (fig. 6.88) e Lecce acquisiscono lo status di municipium. A Lecce, il primo segnale del processo di trasformazione che porta alla nascita della città romana è l’abbandono, agli inizi del I sec. a.C., delle necropoli esterne alla cinta muraria – che rappresenta l’elemento di continuità con l’abitato messapico – ma il momento più significativo dal punto di vista dell’assetto urbanistico di Lupiae si colloca alla fine del secolo. Durante l’età augustea, infatti, nella zona centrale del tessuto urba-no viene creata un’area pubblica monumentale in cui si concentrano il teatro, l’anfiteatro e, pro-babilmente, il foro (fig. 6.89). L’orientamento dei due edifici da spettacolo, quasi identico, rende plausibile l’ipotesi che, almeno nel settore centrale, la città avesse un impianto regolare. Anche in questo caso, la forma urbana definitasi agli inizi dell’età imperiale non muta sostanzialmente nelle epoche successive, tutt’al più interessate da interventi di restauro o di rinnovo degli arredi architettonici, come è documentato per il teatro e l’anfiteatro nel II sec. d.C.

bibLioGrAFiAAMiCi 1999;AnDreAssi et alii 2002; AProsio 2008; CiAnCio2002; CionGoLi 1990;CorChiA1981;D’AnDriA

1999;FiorieLLo2010;GiArDino1994, pp. 156-158; GiArDino1999;GiArDino2000; GoFFreDo 2011, pp. 97-134; GreLLe2008;LiPPoLis1997a; LiPPoLis-bALDiniLiPPoLis 1997, pp. 305-330; MArChi 2008; Puglia centrale 2010; MAnGiAtorDi2012;MAstroCinQue 2010; MAzzei1999;MAzzei2004;sAbbAtini1992.

Ch.M.

6.89. Lecce. Il centro storico.

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280 Età romana

VI.5. Le città

Aecae

L’antica Aecae, attuale Troia in provincia di Foggia, sorgeva sul pianoro di una collina lunga e stretta a 439 m s.l.m., tra i colli del Subap-pennino Dauno e la pianura, in po-sizione dominante lungo la valle del Celone (IGM F. 163, II SO “Troia”) (fig. 6.90).

La prima menzione letteraria del toponimo compare, nella forma Aϊκάς in un passo dello storico gre-co Polibio (Historiae, III, 88) che attesta la condizione di centro auto-nomo – dotato di capacità politica – di cui godeva Aecae all’epoca della Guerra Annibalica. Della defezione da Roma in seguito alla sconfitta di Cannae (217 a.C.) e della successiva riconquista nel 214 a.C. è Livio (Ab Urbe Condita, XXIV, 20) a parlarci, nel racconto relativo ai casi della ri-conquista romana delle città che si erano alleate ad Annibale. La condi-zione di municipio assunta dalla cit-tà dopo la Guerra Sociale (90 a.C.) che, come noto, comportò l’esten-sione della cittadinanza romana agli Italici, si ricava dalla presenza degli Aecani nell’elenco dei popoli apuli stilato da Plinio (NH, III, 11, 105).

La città, riorganizzata come municipio, sarebbe stata ascritta alla tribù Papiria, con i vicini cen-tri di Ausculum ed Herdoniae, sul-la base dell’attestazione epigrafica del nome di un cittadino di Aecae contenuto in un elenco romano di soldati pretoriani: L. Geminius L. f. Pa[p.] Maximus Aec(anus) (CIL VI, 2381a).

6.90. Troia. Il tracciato della via Traiana, ricalcato dall’attuale Corso Regina Margherita, è ben visibile (come traccia da sopravvivenza) in questa veduta aerea prospettica del centro urbano; in primo piano, il settore orientale dell’abitato.

6.91. Troia. Lastra onoraria in marmo, riutilizzata come mola, attualmente con-servata al Museo Civico.

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Capitolo VI 281

La ricostruzione della successiva vicenda istituzionale della città è affidata alla pur esigua documentazione epigrafica. Un’importanza particolare assume in questo senso un’iscrizione in onore di Settimio Severo (CIL IX, 950), databile al 194 d.C., che documenta il nuovo statuto di colonia assunto dalla città nella seconda metà del II sec. d.C., probabilmente, sotto il regno di Antonino Pio; nell’epigrafe il nome ufficiale della città compare integrato in [col(onia) Au]gusta Apu[la], privo cioè della paternità della fondazione coloniaria (fig. 6.91).

La città di Aecae, citata dalle principali fonti itinerarie antiche, era posta all’incrocio di due importanti vie di comunicazione che collegavano, rispettivamente, Benevento a Siponto e Lucera a Canosa. Quest’ultima, ripresa e sistemata agli inizi del II sec. d.C. nel percorso della via Traiana, attraversava la collina su cui sorgeva la città antica per tutta la sua lunghezza, in direzio-ne est-ovest, ponendosi come asse generatore unico dell’impianto urbano. Basoli ancora in situ sono del resto stati rinvenuti – in occasione di lavori stradali – agli inizi del secolo scorso e poi nell’anno 1972 in due diversi punti dell’attuale Corso Regina Margherita, che ricalca il tracciato della via antica.

Non è possibile, allo stato attuale degli studi, avere un’idea precisa della planimetria del sito, a causa dell’assenza di scavi archeologici sistematici e della sovrapposizione della Troia medievale e moderna alla città romana. Nonostante ciò si propone un tentativo di lettura diacro-nica delle diverse fasi di vita dell’abitato, che tenga conto dei dati archeologici noti e dei risultati preliminari delle ricognizioni solo di recente effettuate nell’area della città moderna e medievale (fig. 6.92).

I reperti archeologici a nostra disposizione permettono di ipotizzare che la città preroma-na si estendesse oltre il pianoro della collina, prolungandosi verso est, dove negli anni ’60-’70 del secolo scorso, in Contrada Cruste o Fontanelle, sono state rinvenute strutture murarie e

6.92. Troia. Carta delle evidenze archeologiche di Aecae.

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tombe a grotticella con materiali di corredo databili al V-IV sec. a.C. La parte sommitale della collina, anch’essa interessata in più punti da rinvenimenti sporadici di materiali ceramici di epo-ca preromana, poteva dunque svolgere funzione di acropoli di un abitato che si estendeva nelle contrade circostanti e che era caratterizzato, secondo la tradizionale tipologia insediativa dauna, dalla compresenza di tombe e abitazioni.

È difficile individuare le modifiche apportate dall’intervento urbano di Roma alla situa-zione preesistente ma, sulla base dei dati archeologici, possiamo affermare che in epoca repub-blicana e imperiale l’area dell’abitato si sia ridotta, attestandosi sul solo pianoro della collina. A conferma di questa ricostruzione è possibile richiamare non solo i numerosi elementi architet-tonici di epoca romana reimpiegati nella costruzione dei più importanti edifici religiosi e civili della città medievale (fig. 6.93), come ad esempio la Chiesa di San Basilio Magno (XI sec.) e l’ex Castello Normanno (XI sec.), ma anche tutta la serie dei rocchi di colonna, in pietra cal-carea e arenaria, riutilizzati come cippi nella viabilità interna della città moderna. A questi dati si viene ora ad aggiungere, seppur in via del tutto preliminare, quello offerto dal rinvenimento di una struttura muraria di epoca romana ancora in situ effettuato all’interno di una cantina sul pianoro della città.

Elementi questi che, se non permettono ancora di ricostruire un quadro coerente dell’or-ganizzazione planimetrica dell’ antica Aecae, consentono però di poter affermare con una certa sicurezza che il sito su cui essa insisteva è lo stesso della città medievale e moderna, superando, in ultima analisi, l’annosa questione della sua localizzazione.

Su questa problematica è infatti sorta una querelle che fin dal XVIII secolo, e con una for-te ripresa negli ultimi quarant’anni (in seguito alle scoperte archeologiche effettuate negli anni ’60-’70 del Novecento), ha visto contrapporsi gli studiosi tra sostenitori della esatta sovrapposi-zione dei due siti e sostenitori dello spostamento della Aecae romana qualche chilometro più a est rispetto alla Troia medievale.

6.93. Troia. Ex castello Normanno visto da sud-ovest.

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Capitolo VI 283

bibLioGrAFiANotizie di carattere generale sulla storia e la topografia di Aecae si trovano in: bAMbACiGno 1971 (con bibl.

prec.); bAMbACiGno1975-1976;sivo1987;MAzzei2006, pp. 56-61; CAstriAnni 2008, pp. 67-82. Una raccolta bibliografica completa delle iscrizioni di Aecae è contenuta in: siLvestrini 2005, pp. 37-39. Sulle vicende amministrative e istituzionali della città GreLLe1999;siLvestrini1999, pp. 11-12. Sui materiali di spoglio della Chiesa di San Basilio Magno verGArA 1981. Per una carta archeologica preliminare del centro urbano CAstriAnni 2008, pp. 83-113.

L.C.

Herdonia

L’antico municipium di Herdonia, situato nella zona occupata da uno dei più ampi abitati indigeni della Daunia, sorgeva a sud di Foggia, lungo la riva destra del torrente Carapelle, nei pressi dell’odierna Ordona.

Le fonti letterarie non forniscono dati sulla sua origine. Il nome della città è attestato per la prima volta nel 216 a.C. in riferimento agli eventi della guerra annibalica. Tuttavia grazie alle indagini sistematiche condotte per oltre trent’anni dalla missione archeologica belga, Herdonia è divenuta una delle meglio note città antiche dell’Italia meridionale, con una storia che si svi-luppa lungo l’arco di vari millenni.

Le prime tracce di occupazione nel territorio della città risalgono all’epoca neolitica, men-tre all’età del Bronzo si datano alcuni resti di capanne e un gruppo di tumuli situati, a est dell’in-sediamento, in località Masseria Saracino. Durante la prima età del Ferro e l’età arcaica si data lo sviluppo del centro daunio, noto per il rinvenimento di nuclei di case e ricche necropoli.

Fu solo tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., periodo caratterizzato da numerosi eventi bellici e dalla presenza sempre più influente di Roma, che si formò il primo nucleo urbano mediante l’organizzazione razionale dello spazio.

6.94. Herdonia. Veduta aerea prospettica della città da sud-ovest, in cui è visibile la traccia da vegetazione della via Traiana (in alto), della via extra-muranea di collegamento tra la Porta Nord e la Porta Sud-Ovest (al centro) e un asse di raccordo alla via Herdonitana (in basso).

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284 Età romana

L’abitato romano, documentato anche col nome di Herdonia o Herdoniae, sorse in posi-zione strategica su un’area comprendente un gruppo di tre colline, che pur non raggiungendo quote elevate (134 m s.l.m.), permettevano di dominare la piana del Tavoliere e la Valle del Ca-rapelle, punto di collegamenti tra Campania e Irpinia da un lato e la pianura adriatica dall’altro.

Su queste alture, fra loro separate da un leggero avvallamento, la città romana occupò però soltanto una piccola porzione dell’insediamento daunio preesistente (fig. 6.94), i cui con-fini furono delimitati da una cerchia muraria. Il circuito delle mura, lungo 1.980 m, pur avendo subito diversi rifacimenti, restò invariato nel corso dei secoli e nell’area intra muros, pari a circa 22 ettari, la sistemazione urbanistica fu graduale.

L’abitato così strutturato fu abbandonato verso la fine del III sec. a.C., in seguito agli eventi della Guerra Annibalica. Dai racconti degli storici Tito Livio e Silio Italico apprendiamo che, nel corso della Seconda Guerra Punica, Herdonia, come altre città apule, mantenne un atteggiamento ambiguo alleandosi ora con Roma ora con Cartagine, in seguito alla disfatta di Canne del 216 a.C. Riconquistata dai Romani, la città subì notevoli danni soprattutto quando Annibale nel 210 a.C. la assediò e la incendiò, deportando i suoi abitanti a Metaponto e Thurii. Il trasferimento forzato della popolazione sembra trovare riscontro nella documentazione arche-ologica, che risulta assente dopo la fine del III sec. a.C.

L’abbandono non durò molto: è presumibile che alla partenza del generale cartaginese dall’Italia, avvenuta nell’autunno del 203 a.C., gli Erdonitani espropriati siano tornati a casa con il consenso romano, ed è proprio da questo momento che ha inizio la ricostruzione e la sistemazione urbanistica vera e propria della città, che lascia intravedere un primo tentativo di monumentalizzazione, il cui avvio si data all’inizio del II sec. a.C.

Tuttavia il tradimento nei confronti di Roma comportò a Herdonia l’espropriazione di ampie zone di territorio, che fu trasformato in ager publicus e destinato al pascolo. Nel secolo seguente il territorio circostante la città romana fu oggetto d’interventi agrimensori nell’ambito della politica graccana, quando i territori di Herdonia, Ausculum e Arpi furono divisi in centu-rie quadrate, sulle quali già nel II secolo furono impiantate piccole ville, una delle quali è stata scoperta in località Posta Crusta.

Nel I sec. a.C., dopo la guerra sociale, Herdonia divenne municipio e i cittadini furono ascritti alla tribù Papiria. Gli Erdonitani sono difatti inseriti nell’elenco di Plinio dei popoli dotati di autonomia amministrativa. L’assegnazione dei cittadini alla tribù Papiria è ricordato in uno dei documenti epigrafici più rilevanti rinvenuti a Ordona, in cui è attestato anche il nome della città «civ(itas) Herd(oniensium)».

Riguardo all’organizzazione politica del municipio si possono citare diverse iscrizioni (fig. 6.95) in cui vengono ricordate alcune cariche pubbliche come quella dei decuriones, mem-bri del senato cittadino, dei quattuorviri iure dicundo e degli aediles, magistrati in carica cin-que anni, che si occupavano rispettivamente dell’amministrazione della giustizia e dei lavori pubblici; dei quattuorviri quinquennales, che assumevano anche poteri censori; del patronus municipii e dei quaestores. Sulle corporazioni professionali la documentazione di Herdonia è particolarmente ricca rispetto agli altri centri apuli; sono attestate cinque associazioni collegiali diverse, attive tra il II e III sec. d.C.: dai fabri tignari, carpentieri, cui spettava anche la funzione di pompieri, al collegio dei “giovani”, attivi nella celebrazione di giochi e di culti, a quello pret-tamente religioso dei cannophori, legati al culto della Mater Magna, Cibele. Particolarmente preziosa è la documentazione rara di un collegium mancip(um), sinora unicamente attestato

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Capitolo VI 285

a Herdonia del II sec. d.C. e quella di un collegium di cap(u)latores, addetti alla lavorazione dell’olio, oggi perduta.

In età augustea la città di Herdonia è ri-cordata da Strabone che, nella sua Geografia, la elenca col nome Κερθωνία, fra le città po-ste sulla via Minucia. Questo stretto legame con la rete stradale si rafforza in età imperiale, per la connessione di questo abitato con la via-bilità dell’epoca e la sua collocazione centrale rispetto ad altri importanti centri della regione, Aecae e Canusium. Gli scavi archeologici evi-denziano, in effetti, che il momento di maggiore splendore urbanistico ed economico della città si ebbe in età traianea, con la realizzazione del-la via Traiana, che a partire dal 109 d.C. costi-tuì la principale via di collegamento fra Roma e Brindisi (fig. 6.96); la città, accentuò il suo ruolo di importante nodo stradale e di luogo per la commercializzazione dei prodotti agricoli. La prosperità di questo periodo, accresciuta dal successivo potenziamento della viabilità (via Herdonitana, via Venusia-Herdonia), si coglie in modo evidente nel programma di radicale rinnovamento urbanistico che interessò tutto il centro. In questo periodo la città assunse la sua

6.95. Herdonia. Basi onorarie presso l’area del foro.

6.96. Herdonia. Particolare del basolato della via Traiana che attraversa la città.

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286 Età romana

fisionomia più evoluta, con una grande piazza forense circondata da portici e botteghe, il macel-lum, le terme, il tempio italico, la basilica, l’anfiteatro e altri monumenti pubblici, oltre a ricche abitazioni private e quartieri artigianali (fig. 6.97).

Il benessere e il lusso della città saranno di breve durata: già verso la fine del III sec. d.C. ha inizio il declino del-la vita cittadina, che si trasferisce nelle campagne. Gli edifici pubblici cambia-no funzione o vengono abbandonati. Nel corso del IV sec. d.C. la crisi è ac-centuata anche da alcuni terremoti che danneggiano edifici pubblici e privati, causando il lento e progressivo declino della città che, ormai priva di autono-mia amministrativa, perde le sue princi-pali funzioni politiche e giurisdizionali, trasferite nella vicina Canusium.

Grazie agli scavi condotti dalla missione archeologica belga, cui nel 1993 si è affiancata un’équipe dell’Università degli Studi di Bari e di Foggia, dell’antico municipium è visibile gran parte dell’area urbana (fig.

6.97. Herdonia. Particolare dell’area centrale della città con i resti del basolato della via Traiana che in corrispondenza del foro piega ad angolo retto in direzione della Porta Nord-Est.

6.98. Herdonia. Pianta generale dell’area centrale con l’assetto urbanistico d’età romana.

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Capitolo VI 287

6.98), in particolare i resti della grande piazza forense, pavimentata con lastre di pietra, ancora visibili in alcuni punti, circondata da portici e botteghe, mentre nell’angolo sud il macellum. Al monumento, avente pianta trapezoidale, si accede attraverso uno stretto e lungo corridoio che immette nel cortile centrale circolare, all’interno del quale si dispongono 12 tabernae di forma e dimensioni diverse, dotate di un bancone di vendita in muratura posto davanti all’ingresso. Il piccolo vano posto di fronte all’accesso fungeva da sacello, all’interno del quale forse vi era la statua di Nettuno, rinvenuta negli strati di riempimento del monumento. A nord del macellum sono visibili i resti del cosiddetto “tempio A”, ritenuto il principale luogo di culto in età imperiale. Dell’edificio, a unica navata, si è conservato il podio, la scalinata e sul fondo l’abside per le statue di culto. A est del tempio è visibile, solo in parte, un edificio identificato con un campus-gymnasium del I sec. a.C., originariamente costituito di un ampio recinto di forma rettangolare posto nei pressi delle mura; sul lato lungo orientale è collocata una schola con esedra semicircolare. Accanto al campus sono i resti dell’anfiteatro costruito nel I sec. d.C., sfruttando l’antico fossato del sistema difensivo dell’insediamento, esterno alla cinta muraria. A nord-est della piazza del foro è la cosiddetta “Palestra”, la cui costruzione si data al II-III sec. d.C.: si tratta di un complesso monumentale costituito da un vestibolo dotato di tre ingressi, un grande cortile porticato quadrato e una sala rettangolare con una nicchia sul fondo. Essa si affacciava lungo la via Traiana, che in prossimità di una fontana monumentale e dell’entrata del Foro, compie una curva ad angolo retto, proseguendo verso nord-ovest, dopo aver costeggiato il lato orientale della Basilica. Essa è costituita da un’ampia aula rettangolare, divisa all’interno da 20 colonne, di cui restano le basi e i capitelli in pietra calcarea. L’edificio, costruito tra la fine del I sec. a.C. e gli inizi del I sec. d.C., ha, al centro del lato lungo, il tribunal entro un’abside rettangolare. Alla Basilica si accedeva o direttamente dal portico che delimitava il lato breve settentrionale della piazza del Foro o dalla via Traiana mediante un ampio ingresso provvisto di gradini e costeggiato sui due lati da tre piccoli vani. All’angolo sud-ovest della Basilica sono visibili i resti di un tempio italico (denominato tempio B), il più antico luogo di culto attestato nella città romana di Herdonia. Fu costruito nel II sec. a.C., al ritorno degli abitanti in città dopo l’esilio a Metaponto e a Thurii; del tempio si conserva solo il podio e poco del suo elevato. Nell’area nord-ovest del centro abitato sono i resti delle terme, poste lungo il tracciato della via Traiana, e di un quartiere artigianale di età tardoantica. Infine, a nord dell’area archeologica, in luogo strategico è visibile il castello, di cui restano le fondazioni, nucleo principale dell’abitato d’età medievale. La prima fase è costituita da una chiesa a pianta rettangolare, a tre navate con tre absidi sul lato orientale. La chiesa, databile all’XI secolo, venne modificata e trasformata in abitazione signorile fortificata nel XIII secolo, circondata da un fossato e abbandonata tra il XIV e XV secolo. Infine lungo quasi tutto il perimetro della città antica sono visibili i resti della cinta muraria, databile agli ultimi anni del II o ai primi decenni del I sec. a.C., lunga circa 1.980 m, in opus caementicium, con paramento in opus incertum, e i resti delle tre porte di accesso alla città.

bibLioGrAFiAConsiderazioni di carattere storico e archeologico sull’antico centro sono nei volumi: Ordona I-XI; Mertens

1982;Mertens1984;Mertens1995;Mertens,voLPe1999. Sulle iscrizioni siLvestrini1999;siLvestrini 2005. Per una ricostruzione della viabilità extraurbana cfr. da ultimo CerAuDo 2008a; CALDAroLA,LAn-DrisCinA 2011.

s.L.

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288 Età romana

Luceria

Luceria, la più antica colonia dedotta dai Romani in territorio apulo, occupava il sito dell’attuale Lucera e sorgeva su tre colline (Monte Albano, Belvedere, Monte Sacro), poste a 240 m s.l.m. (figg. 6.99-100), e nella zona pianeggiante ai loro piedi, in una posizione natural-mente strategica che ha determinato in parte la sua importanza storica (fig. 6.101).

Diversi autori, sulla scorta di un passo straboniano, attribuiscono la sua fondazione a Dio-mede, mentre altri studiosi ritengono Luceria fondazione osco-sannitica, come attesterebbero le due radici osche luc- (lucus = bosco) ed -erus (sacro), cioè «bosco sacro». A conferma che Luceria antica era circondata da folte selve intorno all’acropoli e nella parte meridionale della città, si potrebbe richiamare un’epigrafe in cui è menzionata la lex Lucerina de luco sacro, che attesta il culto dei boschi sacri.

Per la sua posizione topografica, che le garantiva il controllo della vasta pianura apula ric-ca di risorse cerealicole, Luceria fu una delle città più contese della Daunia. La prima menzione storica della città risale al 326 a.C., al tempo della Seconda Guerra Sannitica, quando il pericolo dell’espansione sannita verso sud aveva indotto gli Apuli a stringere rapporti politici con Roma, che in tale occasione intensificò la sua presenza nel territorio lucerino con la deduzione, nel 314 a.C., di una colonia latina. Municipio dopo la Guerra Sociale, fu ascritta alla tribù Claudia; la città uscì piuttosto provata da questo evento con una popolazione in gran parte decimata, tanto

6.99. Lucera nel 1955.

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Capitolo VI 289

che, nel 29 d.C., Augusto decise di migliorare la sua condizione demografica ed economica con la deduzione di una nuova colonia di veterani, come si apprende dal testo dell’iscrizione sul por-tale dell’anfiteatro. Durante l’Impero doveva essere ancora città di una certa importanza come attesta l’edificazione di numerosi templi, del foro, delle terme, dell’anfiteatro: tutti monumenti, tranne quest’ultimi due, andati distrutti o inglobati in edifici più moderni. In età tardoimpe-riale la città denominata con l’appellativo di Costantiniana, divenne uno dei principali centri dell’Apulia et Calabria.

La Lucera romana, a detta di Cicerone «una delle più fiorenti città apule», fu distrutta dai Bizantini nel 663 d.C. e dopo un lungo periodo di stasi la città riprese a fiorire in età medievale.

Sebbene le fonti storiche la collochino sempre ai primi posti nelle vicende storiche della Puglia, poco si conosce delle fasi preromane di Lucera. Le ricerche condotte dagli archeologi inglesi nel corso degli anni ’60 dello scorso secolo hanno dimostrato, attraverso l’individuazio-ne di un villaggio, che la collina di Monte Albano, dove oggi si vedono i resti del castello fede-riciano, fu sede di insediamento sin dal Neolitico. L’occupazione dell’area sembra proseguire anche per la successiva età del Bronzo fino alla prima età del Ferro, attestata dalla presenza di ceramica protogeometrica e geometrica.

La documentazione relativa al VI e V sec. a.C. appare troppo frammentaria da permette-re di delineare la fisionomia dell’insediamento daunio, costituito verosimilmente da nuclei di abitazioni e tombe sparse. Settori di necropoli (Piano dei Puledri, Carmine Vecchio) costituite da tombe a grotticella, frequentate nel V-IV a.C., costituiscono a oggi la traccia più consistente di un insediamento umano stabile a Luceria. Il tipo di sepolture e i corredi documentano una profonda ellenizzazione delle aristocrazie locali.

6.100. Lucera. Foto aerea prospettica del centro urbano.

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290 Età romana

Negli ultimi decenni del IV sec. a.C., a motivo della posizione strategica, inaccessibile per tre lati, la collina di Monte Albano divenne l’acropoli della città romana, difesa probabilmente da una cerchia muraria già prima della deduzione della colonia latina del 314 a.C. L’abitato in-vece si trovava a est di Monte Albano, nella pianura che si stendeva a sud delle colline Belvedere e Monte Sacro.

Scarse sono le informazioni sull’organizzazione urbanistica della colonia nelle sue prime fasi di sviluppo: per quanto è noto, l’impianto coloniale coincise con parte dell’insediamento di età daunia; la città, caratterizzata da un impianto planimetrico ortogonale, era delimitata da mura in opera quadrata, in parte comprese nelle mura di età medievale; lo spazio era diviso in lotti, ricavati entro insulae regolari, ben definite dal tessuto viario.

Più significativi sono i dati archeologici attribuibili all’età augustea. A questa fase si può attribuire l’ampliamento dell’area insediata e una sistematica ristrutturazione del centro già esi-stente. Il nuovo impianto urbanistico, omogeneo negli orientamenti con la disposizione centu-riale del territorio, si concentrava su un asse viario principale est-ovest, che venne a costituire un elemento di continuità urbanistica in tutta l’area della collina. Questo decumano, che è il prose-guimento della via extraurbana di collegamento con Arpi, attraversava la parte leggermente più bassa del pianoro che sembra destinata, per la prima volta, all’edilizia privata. In questo tessuto organizzativo, al limite orientale della città, in un’area già occupata da ambienti di età repub-

6.101. Lucera. Immagine prospettica del 2007, in primo piano l’anfiteatro romano.

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Capitolo VI 291

blicana e da una necropoli di IV sec. a.C., sorse, in età augustea il più importante monumento romano (fig. 6.101): l’anfiteatro, dedicato all’imperatore da un magistrato locale, Manlio Veci-lio Campo, duovir iure dicundo. Un’opera così impegnativa cor-risponde alla ripresa del centro, che può mettersi in relazione con la nuova deduzione colonia-ria promossa da Augusto. Nello stesso periodo, con l’arrivo di nuova manodopera, dovette svi-lupparsi un intenso programma di edilizia monumentale e fu costruito, sul Monte Sacro, un tempio dedicato ad Apollo divus Augustus, del quale rimane par-te dell’architrave marmoreo con l’iscrizione dedicatoria. Ma le più antiche memorie religiose della città dovevano essere concen-trate nella zona a ovest, sull’altura del Belvedere: qui, nel 1934, fu rinvenuto un vasto deposito di terrecotte votive del III e II sec. a.C., pertinenti alla Stipe di San Salvatore, tra cui un busto di divinità femminile, identificata in Afrodite, e una testa elmata riconosciuta come Atena, prova dell’esistenza di un santuario dedicato ad Athena Ilias.

Lungo gli assi viari di accesso all’abitato furono organizzate le principali necropoli di età romana. Fuori porta San Severo, proprio nell’area dell’odierno cimitero, nel 1922 fu portata alla luce una necropoli con tombe alla cappuccina, in una delle quali si rinvenne il pregevole gruppo di terrecotte raffiguranti gladiatori, custodite nel locale Museo Civico (fig. 6.102).

bibLioGrAFiAPer maggiori informazioni storico-topografiche CoLAsAnto1894;GiFuni1934;GiFuni1939;MArin1970a; MAz-

zei,LiPPoLis1984;MAzzei1986;MAzzei1991a; LiPPoLis,MAzzei1991;FAbbri,MAzzei1995;MAzzei,FAbbri1997;AntonACCisAnPAoLo1999;LiPPoLis1999;MAzzei2001;MAzzei2004. Per la documenta-zione epigrafica toDisCo1996. Per una analisi della documentazione aerofotografica GuAitoLi 2003c.

s.L.

6.102. Lucera, Museo Civico. Statuette di gladiatori dalla necropoli scoperta nell’area dell’odierno cimitero.

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292 Età romana

SalapiaLa città romana di Salapia, fondata nel I sec. a.C. (forse nel 29 a.C.), sorgeva su una lieve

altura (m 12 s.l.m.) in località Monte di Salpi, sulla sponda occidentale dell’omonimo lago, oggi bonificato, a sud di Manfredonia (fig. 6.103).

In età dauna un abitato con lo stesso nome sorgeva in contrada Lupara-Giardino, in comu-ne di Cerignola, circa 8 km dalla costa, nei pressi della Marana di Lupara, all’interno di un’am-pia depressione con abbondante presenza di acqua stagnante, oggi del tutto colmata, interpretata come ampia zona lagunare. L’interrimento di quest’ultima, causato dai continui apporti detritici, e il conseguente impaludamento costituiscono probabilmente la causa principale dell’abbando-no dell’abitato dauno e del suo trasferimento a Monte di Salpi, in un luogo più salubre come ricorda Vitruvio.

Cicerone (De lege agraria, 71), cercando di dissuadere dal fondare una colonia «in Sipon-tina siccitate, aut in Salapinorum pestilentiae finibus», mette in risalto le condizioni malsane in cui versava la zona di Salapia.

Dal racconto di Vitruvio (De Arch., I, 4, 12), apprendiamo, inoltre, che il luogo scelto per la rifondazione dell’abitato di Salapia distava «quattuor milia passus ad oppido veteri» (6 km circa), e che essa avvenne in seguito alla richiesta di trasferimento dei Salapini fatta al Senato romano attraverso il patronus M. Hostilius.

Della città romana oggi non rimane quasi più nulla, sebbene i resti sul terreno fossero stati identificati già sul finire del XVIII secolo. Gli eruditi del XIX e del XX secolo ricordano, sulla collina denominata Monte di Salpi, l’esistenza sia di «grandiose, solidissime e intatte» mura, alte oltre 10 m e difese da un fossato, che di strade, porte ed edifici, oggi del tutto distrutti da interventi moderni.

Nei pressi del centro romano l’analisi delle fotografie aeree e vari saggi di scavo hanno messo in luce diversi villaggi trincerati neolitici, attestazioni risalenti all’età del Bronzo, non-ché, lungo la riva meridionale del Lago di Salpi, in località San Vito, 2 km circa a sud-est di Monte di Salpi, i resti di una villa romana risalente al II-I sec. a.C.

6.103. Salapia, particolare dell’area urbana. Sono evidenti la fortificazione ad aggere con terrapieno e fossato esterno e le porte. Infine le tracce della viabilità extraurbana.

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Capitolo VI 293

Negli anni ’50 dello scorso secolo J. Bradford, analizzando le fotografie aeree scattate dalla RAF durante la Seconda Guerra Mondiale, identificò l’area della città romana, delimitata probabilmente da un fossato evidenziato in foto aerea da una traccia scura. Resti del circuito mu-rario di età romana non sono stati rinvenuti, mentre saggi di scavo degli anni ’70 hanno messo in luce alcuni tratti delle mura di fortificazione di epoca medievale, realizzate a doppia cortina in blocchi squadrati di pietra locale.

L’acropoli della città, sviluppatasi sul Monte di Salpi nel settore nord-occidentale dell’area urbana, era difesa da una fortificazione ad aggere (fossato e terrapieno), che a volte raggiungeva i 7,60 m di altezza, con due porte di accesso a nord e due a sud. Sempre in fotografia aerea il Bradford identificò alcuni tracciati viari extraurbani, di cui uno proveniente da sud-est attraver-sava l’abitato e l’area dell’acropoli, per poi piegare ad est in direzione della sponda del lago (fig. 6.104).

Non sono state individuate aree di necropoli, ad eccezione di un ipogeo funerario d’età augustea rinvenuto presso le pendici occidentali del Monte di Salpi.

Definita dallo storico Strabone (VI, 284) come l’emporium di Arpi, la città romana era col-legata con il mare da un canale che doveva sfociare in corrispondenza di Torre Pietra, dove sem-bra si possa localizzare il porto, di cui si conservano resti sommersi: un muro in opus incertum e

6.104. Abitato di Salapia romana presso le saline di Trinitapoli e schema grafico generale dell’area (in alto a destra). Nella foto verticale IGM 1955 (in alto a sinistra) sono evidenti i limiti nord-occidentale e orientale del recinto che delimitava l’area urbana (B) e la fortifica-zione dell’acropoli (A); le frecce indicano la traccia di un asse stradale proveniente da sud-est e che attraversava l’abitato procedendo in direzione dell’acropoli. In un dettaglio dello stesso fotogramma (in basso a sinistra) è visibile una traccia riconducibile, probabilmente, alla presenza di una torre con fossato esterno. In basso a destra un dettaglio dell’acropoli in una foto AM 1968.

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294 Età romana

numerosi frammenti di anfore documentano l’uso dello scalo portuale, vitale punto d’imbarco di prodotti provenienti anche da Arpi e da Canosa, tra il IV sec. a.C. e la tarda antichità. Sebbene, le fonti itinerarie non facciano alcuna menzione della città, data la sua distanza dalle grandi arterie di traffico di età romana, l’esistenza di una strada che in età imperiale collegava Arpi con Salapia romana è documentata dalle fotografie aeree. Assai poco si conosce della fase tardoantica di Sa-lapia, che fu sede diocesana nella nascente organizzazione ecclesiastica fra il IV e il VI secolo; successivamente fu centro bizantino, normanno e svevo, riacquistando nel corso del XII secolo la sua precedente importanza e divenendo una delle più grandi città del Tavoliere. Dal XVI secolo iniziò un lento declino dovuto all’accresciuta rilevanza di altri centri e all’impaludamento del Lago di Salpi.

bibLioGrAFiASul problema della localizzazione dell’abitato preromano e romano di Salapia MArin1970b;sChMieDt1973;

DeLAnosMith1978. Per la documentazione archeologica MoLA 1796, p. 16; riontino 1942, pp. 208-210; brADForD1950;GenioLA1973;FrAnChinrADCLiFFe2006, pp. 111-127; LiPPoLis,GiAMMAtteo2008; sulla viabilità ALvisi1962;ALvisi1970. Per una recente rilettura dell’abitato e l’analisi della documentazione aerofotografica MAzzei 2003a; GuAitoLi 2003a; GentiLe 2011.

s.L.

Sipontum

La città romana di Sipontum sorgeva su un breve rialzo naturale situato in antico ai mar-gini di una vasta laguna costiera, ora colmata (fig. 6.105). L’area archeologica, attraversata dalla S.S. 89, si trova alle spalle della moderna località balneare di Siponto, distante un paio di chilo-metri dalla periferia meridionale di Manfredonia.

I dati che le decennali ricerche sono in grado oggi di fornire offrono un quadro della storia insediativa di Siponto piuttosto articolato. Quella che le fonti antiche (Liv., VII, 24) indicano

6.105. Veduta aerea prospettica della città antica di Sipontum (A) e della laguna bonificata (B e C).

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Capitolo VI 295

come la Siponto preromana è stata identificata nell’insediamento daunio scavato nell’area delle masserie Cupola e Beccarini; il progressivo impaludamento di quest’area e la conseguente in-salubrità determinarono lo spostamento del sito su cui fu fondata la nuova colonia romana nel settore settentrionale del golfo lagunare.

Dal racconto delle fonti è possibile ricostruire le vicende della faticosa fondazione. A cau-sa della scarsa disponibilità dei coloni a popolare in un’area malsana la nuova città (fondata nel 194 a.C.), che fu trovata abbandonata in occasione del sopralluogo del console Spurio Postumio Albino (Liv., XXXIX, 23), si procedette nel 185 a.C. a una nuova deduzione in un luogo più salubre, frequentato solo sporadicamente nelle epoche precedenti.

Il piccolo impianto urbano della nuova colonia marittima di Sipontum si sviluppava su una superficie di circa 20 ettari, racchiusa da una imponente cinta muraria. Le mura in opera quadrata, con un percorso di circa 1.700 m (fig. 6.106), erano costituite da una doppia cortina di blocchi di tufo locale disposti di testa e di taglio ed erano intervallate, sui lati nord-orientale e nord-occidentale, da torri quadrangolari.

Allo stato attuale delle ricerche non vi sono dati sufficienti che permettano di ricostruire l’organizzazione urbana più antica, che probabilmente si sviluppava attorno al decumanus ma-ximus, identificato nel tracciato della S.S. 89, che attraversava la città in senso est-ovest, e a un ipotetico cardo maximus.

Il momento più significativo per l’edilizia e la monumentalità della città sipontina si col-

6.106. Sipontum. Restituzione aerofotogrammetrica finalizzata della città antica.

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296 Età romana

6.107. Siponto. Immagine aerea obliqua del settore nord-orientale della città antica. Sono ben evidenti tracce archeologiche relative alla cinta muraria (A) e all’edificio ellittico dell’anfiteatro (B).

6.108. Siponto. Le strutture in opera reticolata reimpiegate nelle murature di Masseria Garzia.

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Capitolo VI 297

loca a cavallo fra la Repubblica e l’Impero. A seguito della Guerre Civile (negli ultimi anni del I sec. a.C.) la città necessitò di risarcimenti e di rifacimenti alle mura labefactas bello (come testimonia significativamente la documentazione epigrafica), che conservarono dunque il loro pregnante valore difensivo e di definizione dello spazio urbano.

In età augustea si edificarono intra muros una serie di edifici importanti: l’anfiteatro, i cui resti strutturali in opera reticolata sono inglobati nella Masseria Garzia (figg. 6.107-108); due complessi termali; la basilica, come attesta un’epigrafe ora dispersa che ricorda la costruzione del tetto e del tribunal da parte dell’augustalis P. Memmius, infrastrutture per l’approvvigiona-mento idrico e una monumentale sorgente. Lungo l’area perimuranea meridionale si costruirono grandi ambienti forse destinati all’immagazzinamento.

È difficile ricostruire gli aspetti di monumentalità che dovettero caratterizzare la città nei secoli dell’Impero, a motivo del marcato fenomeno del reimpiego del materiale costrutti-vo avvenuto durante l’edificazione della vicina Manfredonia. Significativo di ciò è l’episodio dell’identificazione del luogo di culto a dedicato a Diana, che diede comunque particolare im-pulso alle ricerche sul campo: nell’area del complesso paleocristiano scavato presso la chiesa di Santa Maria di Siponto fu ritrovato fortuitamente nel 1876 un pilastrino con epigrafe nel cui testo si ricorda l’esistenza di un tempio, di un’ara e di una statua dedicate da un liberto alla dea, che resta a oggi la sola testimonianza dell’esistenza dell’edificio cultuale.

I collegamenti con il territorio erano garantiti da due importanti vie di comunicazione citate nelle fonti itinerarie, la via Litoranea, che raggiungeva nell’interno Teanum Apulum, e la via per Aecae (odierna Troia).

bibLioGrAFiAIn generale sulla città MAzzei 1995a; MAzzei 1999, MAzzei 2003b, LAGAnArA 2011. Sulle recenti ricognizioni

archeologiche nell’area urbana LAGAnArA et alii 2008; CALDAroLA et alii 2011; CerAuDo 2012b. Per la documentazione epigrafica FoLCAnDo 1999.

M.s.

Vibinum

Menzionata da Polibio (III, 88, 6) e da Plinio (NH, III, 105), l’antica Vibinum sorse su un’altura posta a 647 m s.l.m., sui colli del Subappennino Daunio, a controllo della pianura del Tavoliere e lungo la Valle del Cervaro (antico Cerbalus). Dopo una non meglio definita fase di frequentazione a partire dall’VIII sec. a.C., nel periodo compreso tra il V e il III sec. a.C. a Bovino si sviluppò un agglomerato di tipo sparso, individuato dai ritrovamenti delle vicine Località Casale, Casalene, Fontanelle, Lamia, Lavella, Radogna, Tamariceto. All’esistenza di un oppidum (di cui non è noto il periodo di formazione) fanno riferimento Polibio, nell’accen-nare all’accampamento posto nelle vicinanze da Annibale nel 217 a.C., e il cosiddetto elogio di Brindisi, che ricorda l’assedio e la conquista di [Vi]binum e del presidio cartaginese ad opera dell’esercito romano capeggiato da un magistrato brindisino, nel 214 o 213 a.C. Al momento, tuttavia, in mancanza di riscontri riferibili a questa fase dell’epoca repubblicana, si è supposto che l’oppidum, se coincidente con l’attuale Bovino, fosse semplicemente difeso dai ripidi ver-santi dell’altura, forse rinforzati da apprestamenti temporanei; altri studiosi hanno invece ipo-tizzato una diversa localizzazione della cittadella, da ricercare nel vicino centro di Montecastro.

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298 Età romana

Più numerose sono le testimonian-ze relative al periodo tardorepubblicano, quando Bovino assunse il titolo di colonia (AE 1980, 267; 1982, 817) (fig. 6.109). Del circuito murario, che raggiungeva una lun-ghezza complessiva di circa 1.375 m, sono ancora visibili alcuni tratti, databili al se-condo quarto del I sec. a.C. (o comunque a un periodo di poco successivo). La strut-tura, che poggia direttamente sulla roccia e solo in alcuni punti è impostata su un ter-rapieno artificiale, presenta un paramento in opus quasi reticulatum, con angoli rin-forzati in opus quadratum. Delle porte non si conservano che scarse tracce. All’acces-so nord sono forse da riferire i resti di un piedritto in opera quadrata visibili in cor-rispondenza della cosiddetta Portella; l’in-gresso meridionale doveva coincidere con quello dell’odierna Porta Maggiore, mentre un altro varco doveva trovarsi nel settore sud-orientale, non lontano dalla chiesa Dei Morti, dove esiste una portella. A intervalli regolari, lungo il circuito murario, erano po-ste torri circolari, di cui quella meglio con-servata è ancora visibile in via Lastene.

Resta ancora in gran parte incerta la sistemazione intra moenia di Vibinum, ipo-tizzabile solo nelle linee generali. Come suggerisce la stessa conformazione geomor-fologica del luogo, sembra possibile ricono-scere l’asse generatore dell’impianto nella strada che congiungeva i due varchi di Porta Maggiore a sud e quello di Porta Portella a nord, attraverso un percorso attualmen-te corrispondente all’allineamento di via Roma, quartiere San Francesco, via Portella. Ai lati di questo asse centrale ve ne erano presumibilmente altri a esso paralleli, sorret-ti da terrazzamenti.

Per quanto riguarda l’edilizia pub-blica, i dati a nostra disposizione indicano l’esistenza di almeno due complessi terma-li, a uno dei quali, posto in corrispondenza

6.109. Pianta schematica della città romana di Vibinum-Bovino.

6.110. Vibinum. Ipogei rilevati nel centro urbano.

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Capitolo VI 299

di via Lastene, non lontano dalle mura, appartiene un pavimento a mosaico con motivo a torri, di tra-dizione ellenistica. L’altro è stato individuato nell’area compresa tra via Torino, piazza San Francesco e piazza Boffa, dove sono emersi a varie riprese resti di ambienti, tra cui un caldarium.

All’angolo tra via San Mar-co e via Alfieri è poi stato docu-mentato un elemento pertinente alla porta o al cancello di una ta-berna.

Resta ancora in attesa di de-finitivi riscontri l’identificazione dell’area forense, anche se non mancano elementi per supporne l’ubicazione nell’area compresa tra Piazza Duomo e Piazza Boffa, dalla quale provengono frammen-ti architettonici e decorativi, oltre che numerose iscrizioni di carattere pubblico.

Al sistema di approvvigionamento e distribuzione idrica urbana potrebbero riferirsi alcune cisterne che, per lo più scavate nella roccia, risultano tuttavia di difficile inquadramento cronologico (fig. 6.110). È senza dub-bio romana, in ogni caso, la più monumentale e meglio conservata tra queste (c.d. “Cantine di Cerrato”, a breve distanza dal Duomo), in parte realizzata in laterizio, in parte tagliata nella roccia e rivestita in opus signinum; il complesso, formato da due ambienti perpendicolari dai quali si dipartono vari cunicoli, è stato interpretato come castellum aquae. A pochi chilometri di distanza dal centro (località Noceletto o Mura delle Acque) sono poi ancora ben conservati resti di arcate e piloni contraf-fortati, con paramento in opus incertum, riferibili all’ac-quedotto degli inizi del I sec. a.C. (fig. 6.111). Non se ne conosce con esattezza il percorso, anche se si presume che sia stato in buona parte sotterraneo e che arrivasse in città all’altezza di Porta Maggiore, da dove raggiungeva le già menzionate Cantine di Cerrato.

Piuttosto scarse anche le testimonianze relative alle aree funerarie, una delle quali è da lo-calizzare in corrispondenza del convento dei Cappuccini, l’altra (quella meridionale) in località

6.111. Bovino. Resti di un’arcata dell’acquedotto.

6.112. Bovino. Sfinge funeraria (età tardorepubblica-na-augustea) dalla necropoli di località Campo.

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300 Età romana

Campo, nell’area della Villa Comunale, dalla quale provengono alcune sepolture e una sfinge in pietra calcarea pertinente alla decorazione di un monumento funerario (fig. 6.112).

bibLioGrAFiAConsiderazioni di carattere storico e archeologico sull’antico centro sono nei volumi miscellanei Bovino 1989 e

Bovino 1994, ai quali si rimanda anche per la precedente bibliografia. Sul cosiddetto elogio di Brindisi: GAbbA 1958. Sulle problematiche inerenti la condizione amministrativa di Vibinum: PAni 1991, il quale riprende poi l’argomento in un contributo contenuto in Bovino 1994, volume al quale si rimanda anche per la lettura dell’articolo di M. Silvestrini. Interessanti descrizioni di strutture e monumenti, spesso non più visibili, sono in niCAstro 1893, 1913, 1984. Sulla topografia del centro in epoca romana si vedano MAzzei 1989 e il contributo di Mertens 1999, con bibliografia precedente. Per alcune analisi di dettaglio su singoli monumenti o serie di reperti: berteLLi1984;LAGAnArAFAbiAno1990;bLunDo1992.

G.CerA

Canusium

L’antica Canusium, città daunia che gli attuali confini amministrativi assegnano alla pro-vincia di Barletta-Andria-Trani, sorgeva su una collina posta a 154 m s.l.m. e nella pianura alle sue falde, a circa 2 km dal fiume Ofanto, in un’importante posizione strategica, da cui si poteva dominare il Tavoliere e il corso del fiume (fig. 6.113). Canosa, in effetti, grazie alla sua posizione di confine tra la Daunia e la Peucezia, era in grado di controllare i traffici del versante adriatico dell’Appennino, legati al commercio del grano e della lana. Attraverso Barletta, l’antica Barduli,

6.113. Canosa. Veduta aerea prospettica della città: in alto l’area dell’acropoli, parte antica del paese, in cui sono visibili i ruderi del ca-stello medievale che incorpora i resti di un bastione di epoca romana.

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Capitolo VI 301

ebbe anche un proprio approdo costiero che, secondo la testi-monianza di Strabone, si trovava a 90 stadi dalla foce del fiume Ofanto, allora navigabile.

Fondata secondo la tradizione dall’eroe Diomede, Cano-sa fu tra i più importanti centri dell’Apulia. Le prime comunità giunsero nella zona nel periodo Neolitico, e il rinvenimento di una necropoli a incinerazione in località Pozzillo dimostra an-che l’esistenza di un nucleo abitato nella prima età del Bronzo. Nel corso del VII sec. a.C., la città sembra affermarsi nel setto-re dell’industria ceramica con la produzione di vasi decorati a mano con motivi geometrici, attestati nell’area adriatica e nella penisola balcanica. In età ellenistica la città fu tra i più impor-tanti centri della Daunia, e il rinvenimento di numerose tombe ipogee (l’Ipogeo dell’Oplita, del Cerbero, dei Vimini, datato alla prima metà del IV sec. a.C., l’Ipogeo Monterisi Rossignoli, del vaso di Dario, Varrese, Barbarossa, Lagrasta, Scocchera A e B), con corredi ricchi di armi, ceramiche dipinte e ori, ap-partenenti al ceto emergente dei cosiddetti principes dauni, ha indotto a credere che nel IV sec. a.C. Canosa dovesse essere molto estesa, la situazione economica florida, e la classe diri-gente fortemente ellenizzata (fig. 6.114).

La città conservò la sua posizione di rilievo anche in età romana. Nella storiografia romana Canosa compare come centro alleato dei Sanniti nel corso della Seconda Guerra Sannitica; per la sua importanza, fu occupata dai Romani molto precoce-mente, già nel 318 a.C., e associata a Roma come città federata, a cui furono concessi eccezio-nali privilegi, quale quello di battere moneta propria in argento.

Canosa restò alle-ata di Roma anche dopo la disfatta di Canne del 216 a.C., dando prova di una fedeltà rara nella storia. Tuttavia, i buo-ni rapporti tra le due città si ruppero quando le comunità apule e la stessa Canosa insorsero contro Roma, schieran-dosi dalla parte degli Italici nel corso della Guerra Sociale; alla fine del conflitto Roma, pur vittoriosa, concesse la cittadinanza romana ai ribelli, e la città di Cano-

6.114. Canosa. Statua femminile rinvenuta nell’Ipogeo Scocchiera B, oggi conservata presso il Museo Archeologico di Bari.

6.115. Canosa. Arco onorario in laterizio di II sec. d.C.

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302 Età romana

sa da civitas foederata divenne municipio romano, i cui cittadini furono iscritti alla tribù Oufenti-na. A questo periodo risale una profonda ristrutturazione del ter-ritorio canosino, con ampie zone di terreno che vengono destina-te al pascolo per le greggi tran-sumanti, con una conseguente riorganizzazione delle strutture produttive: le lane canosine ven-gono ricordate infatti come un prodotto di pregio dagli scrittori romani di età flavia.

La città conobbe un parti-colare sviluppo e una notevole prosperità in età imperiale per il

fatto di trovarsi sul percorso della via Traiana, che la univa agli altri principali centri della re-gione, oltre che per la sua vicinanza al mare. In questo periodo l’edilizia pubblica e privata fu particolarmente fiorente: furono costruiti l’anfiteatro, una serie di mausolei che si dispongono ai margini della via Traiana e il ponte sull’Ofanto.

Durante l’età di Antonino Pio (seconda metà del II sec. d.C.), Canosa subì un mutamento istituzionale, passando dalla condizione di municipium a colonia con il nome di Colonia Aurelia Augusta Pia Canusium. Il nuovo status è accompagnato da un vasto rinnovamento urbanistico, a tal punto che, per intervento di Erode Attico, la città fu dotata di un acquedotto e di altre impor-tanti opere pubbliche: furono realizzati complessi termali, il tempio dedicato a Giove Toro, un Foro fiancheggiato da botteghe e probabilmente l’arco onorario. Agli inizi del III secolo la città, pur scossa dalla crisi politico-amministrativa che investì tutto l’Impero, continuò a essere centro di primaria importanza nella Regio Secunda. Grazie all’abbondante documentazione epigrafi-ca, di Canosa conosciamo l’organizzazione politico-istituzionale affidata ad un quattuorvirato, scelto da un ordo decurionum, su esemplificazione del governo di Roma, le diverse magistrature locali, e sappiamo dell’esistenza di un collegio sacerdotale dei settemviri epuloni, e di un’istitu-zione alimentaria privata.

Canosa, ricordata da Procopio come una delle più famose e potenti città apule, celebre per la vastità e la ricchezza delle sue necropoli, resta ancora oggi uno dei centri meno noti per quanto riguarda l’estensione dell’abitato. L’assenza di documenti certi sulla cinta muraria nega la possibilità di definire i limiti dell’insediamento, presumibilmente esteso, ma non integral-mente abitato. Anche del tessuto urbanistico antico, sul quale si è sviluppato con continuità insediativa quello moderno, rimangono testimonianze relativamente scarse, tanto più se raffron-tate all’estensione dell’abitato quale si desume dalla lettura di Strabone che definisce Canosa «Μεγισται των Ιταλιωτιδων». Testimonianze del suo glorioso passato, tuttavia, sono visibili nella città attuale e nel territorio circostante: sull’acropoli, parte antica del paese, sono visibili i ruderi del castello medievale, che incorpora i resti di un bastione di epoca romana. Nella zona della chiesa di San Sabino (in cui sono reimpiegati molti fusti di colonne e, nella cripta, capitelli

6.116. Canosa. Veduta aerea prospettica del ponte romano sul fiume Ofanto.

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Capitolo VI 303

corinzi tardoantichi), a giudicare dai resti architettonici, dalle statue e dalle basi iscritte rinvenu-te, doveva sorgere il foro della città. In via Imbriani, oltre all’ipogeo Barbarossa (III sec. a.C.), si rinvennero i ruderi di due edifici termali (Terme Lomuscio e Terme Ferrara), la cui costruzione potrebbe essere legata alla realizzazione dell’acquedotto di cui proprio in questa zona vennero alla luce numerosi resti; il Tempio di Giove, come attesta il rinvenimento di una statua in marmo raffigurante la divinità, e varie domus con mosaici pavimentali della prima età imperiale. Ex-traurbani dovevano essere invece il tempio su podio di età repubblicana forse dedicato a Miner-va, inglobato dalla basilica cristiana di San Leucio, e l’anfiteatro edificato a ovest dell’abitato.

Tra gli altri monumenti che attestano la prosperità raggiunta da Canosa in età imperiale spiccano quelli lungo il percorso della via Traiana: l’Arco romano (fig. 6.115), Torre Casieri, Mausoleo Barbarossa, Mausoleo Bagnoli, grande monumento funerario a due piani della fine del II sec. d.C., e infine il ponte romano sull’Ofanto (I-II sec. d.C.) (fig. 6.116).

bibLioGrAFiALa documentazione archeologica e le indagini topografiche condotte su Canosa preromana e romana sono rac-

colte in CAssAno1986,PAni1990,CAssAno1992a, CAssAno1999,Corrente,DistAsi,Liseno2008. Per il periodo successivo Corrente 1999a; sull’estensione dell’ager Canusinus GreLLe1990;GreLLe 1993; sul problema dell’estensione dell’abitato JACobone1905;MArin1970c; per maggiori informazioni sull’as-setto urbano DeJuLiis1992a;sAbbAtini1992; Corrente 2009; sul municipio e la colonia GreLLe 1992b; sulle necropoli Corrente1991;CAssAno,Corrente1992;tinèbertoCChi1992b; boLDrini1996;Cor-rente1997;Corrente 2003. Per l’Arco Romano MoDuGno 1992; per Torre Casieri L’ArAb1992a; per il Mausoleo Barbarossa tinèbertoCChi 1992a; Corrente 1997; per il Mausoleo Bagnoli L’ArAb 1992b; bArChettA1996;Corrente1999b; bArChettA,D’ALoiA2000; per il ponte romano CAssAno1992b;Giu-LiAni,Leone2001. Per la documentazione epigrafica siLvestrini1983;CheLottiet alii1985;CheLotti,Morizio,siLvestrini1990;CheLotti1990;siLvestrini1990;Morizio1990;CheLotti1994;MorrA1994;siLvestrini1999;siLvestrini2005. Sulla viabilità Ashby,GArDner1916;MArin1992;CerAuDo2008a;CALDAroLA,LAnDrisCinA2011.

s.L.

Egnatia

L’antico abitato di Egnazia, localizzato tra i Comuni di Fasano e Monopoli, occupa un’area pianeggiante (2 m s.l.m.), che si eleva leggermente nella piccola penisola compresa tra due in-senature, corrispondenti allo sbocco in mare di antichi solchi erosivi, localmente detti “lame” (fig. 6.117).

La sua posizione di confine tra Peucezia e Messapia ha generato una certa ambiguità circa la sua facies culturale, che emerge nelle stesse fonti antiche: Strabone la indica come prima tap-pa dei viaggiatori diretti da Brindisi a Bari, per mare o per terra, in territorio peuceta (VI, 3, 7-8, 282-283); lo stesso Plinio appare confuso annoverando Egnazia tra i «Poediculorum oppida» (NH, III, 102) e identificandola come città peceuta, in un altro passo, invece, pone «in Sallentino oppido Gnatia» (NH, II, 204). Così, il tardo Liber Coloniarum pone l’ager Ignatinus tra le «Ci-vitates provintiae Calabriae», dove sono inseriti però anche centri sicuramente peuceti. Tuttavia, la cultura materiale e il rituale funerario permettono di considerare Egnazia l’insediamento più settentrionale nel territorio abitato dai Messapi.

Il sito è ricordato a partire da Orazio e Strabone, fino al XVI secolo, quando viaggiatori e storici danno notizia di ruderi affioranti, usati come materiale da costruzione dagli abitanti di

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304 Età romana

Monopoli e Fasano. L’area archeologica fu oggetto di spoliazioni sistematiche a partire dall’Ot-tocento ed ebbe il suo culmine massimo nel 1846 quando, in seguito ad una terribile carestia, si faceva razzia d’oggetti d’oro e monete. La stessa ceramica di “Gnathia”, un particolare tipo a vernice nera con decorazioni sovradipinte, datata tra la seconda metà del IV e forse la fine del III sec. a.C., sarebbe da riconnettere agli scavi clandestini che devastarono irrimediabilmente il contesto necropolare, e la cui produzione pare essere attestata nella stessa sede del ritrovamento del materiale.

Tra il 1912 e il 1913, Quintino Quagliati, direttore del Museo di Taranto e Soprintendente alle Antichità della Puglia, diede il via ai primi scavi “ufficiali”. Essi portarono alla luce una parte dell’area urbana romana, in particolare parte della piazza lastricata e porticata (il cosiddetto “foro”), un tratto della via Traiana, un quartiere di abitazioni e una basilica paleocristiana (basilica Quagliati). Nel 1939-1940 furono riprese le indagini sull’acropoli, dove si individuarono tracce di un insediamento dell’età del Ferro. Successivamente, la zona del “foro” fu indagata attraverso alcuni sondaggi nel 1959, ma fu soltanto a partire dal 1963 che la Soprintendenza avviò un programma sistematico di ricerche esteso sia all’acropoli, dove fu messo in luce un tempio su podio di tipo italico, sia all’area monumentale a sud dove fu scoperto un “sacello dedicato alle divinità orientali” identificate con la Magna Mater Cibele e la dea Siria. Dal 1967 si avviò un progetto di ricerca finalizzato a individuare il tessuto urbano della città e la cinta muraria con eventuali porte: nell’angolo nord-ovest della cinta muraria (fig. 6.118) un saggio di scavo portò alla luce un tratto di cortina e una porta databile al V-IV a.C, oltre a intercettare le fondazioni di una torre quadrangolare in corrispondenza della porta nord. Con la costruzione del Museo Archeologico (1971-1975) si provvide anche alla sistemazione della zona archeologica

6.117. Egnazia.

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Capitolo VI 305

per renderla il più possibile fruibile al pubblico e furono avviate attività sul campo indirizzate all’indagine della necropoli occidentale. Nel 2001 partono le prime indagini effettuate secondo metodologie stratigrafiche. Si tratta del “Progetto Egnazia: dallo scavo alla valorizzazione”, nato dalla collaborazione tra il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università degli Studi di Bari, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia e il Comune di Fasano. L’obiettivo delle campagne di scavo è stato quello di verificare quale connessione avesse la piazza lastricata e porticata con la via Traiana all’interno della maglia urbanistica della città romana e tardoantica. Un ulteriore saggio di scavo a sud della via Traiana ha messo in luce, oltre all’impianto termale, il proseguo della via lastricata confermando l’ipotesi di deviazione dell’asse viario verso sud, avanzata sulla base delle fotografie aeree del 1966 e avvalorata dai solchi carrai individuati nell’area di Masseria la Masciola. È stato messo, infine, in evidenza anche il settore a sud del grande asse urbano, nel quale si sviluppa un quartiere prettamente artigianale, e quindi commerciale.

La piccola penisola protesa sul mare, definita comunemente “acropoli”, presenta tracce di occupazione più antica (XVI a.C.) relative a un villaggio a capanne documentate da battuti argillosi con elevato in graticcio e da buche di palo rinvenute non solo sull’acropoli, ma anche più a sud, nell’area successivamente interessata dalla città romana. L’insediamento era protetto da un’opera difensiva realizzata con un doppio paramento di blocchi calcarei irregolarmente squadrati, e riempimento di pietrame e terra.

Le testimonianze del sito nella tarda età del Bronzo e nella prima età del Ferro risultano poco consistenti, ma occasionali recuperi attestano la persistenza della frequentazione dell’acro-poli e delle aree esterne a essa. Il periodo sarebbe caratterizzato dalla persistenza di elementi

6.118. Egnazia. La cinta muraria nel settore settentrionale.

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306 Età romana

peculiari della facies subappenninica, cui si sarebbero aggiunte forme vascolari attribuibili al protogeometrico iapigio (fine XI-X sec. a.C.) e al geometrico iapigio (IX-VIII sec. a.C.).

Una maggiore frequentazione del sito si ebbe tra l’VIII e VI sec. a.C. L’uso di tombe a “pseudo sarcofago”, le numerose “trozzelle” messapiche rinvenute nei corredi funerari, associa-te a ceramica d’importazione attica e corinzia, e le iscrizioni rinvenute consentono di definire Egnazia abitato indigeno messapico. Tra V e IV sec. a. C., però, essendo a stretto contatto con Taranto, subì fortemente l’influenza della cultura greca: lo testimonia l’abbandono della deposi-zione rannicchiata, tipicamente indigena, a vantaggio di quella supina, oltre all’utilizzo di lettere dell’alfabeto greco e alle tecniche costruttive adottate, tipicamente d’influsso greco.

La più significativa testimonianza relativa al periodo messapico è costituita dall’imponen-te cinta muraria di cui si riconoscono due fasi: la prima del IV sec. a. C., costruita negli anni pre-cedenti alla conquista romana della Puglia e probabilmente all’epoca di Alessandro il Molosso (335-330 a. C.), durante le guerre tra Taranto e i Messapi; la seconda datata al III sec. a. C, forse da porre in relazione al conflitto annibalico. Il primo apprestamento era costituito da un muro ad “aggere di pietrame” con paramento esterno composto da blocchi di reimpiego di forma paral-lelepipeda integrati con zeppe. Nel corso del III sec. a. C. si rese necessaria una ristrutturazione della precedente linea difensiva con la costruzione di una nuova cortina in opera isodomica, la cui testimonianza più importante è il cosiddetto “muraglione” nella sua estremità settentrionale, oggi conservato per un’altezza di 7 m circa. Tra essa e la cortina del vecchio impianto difensivo furono creati, probabilmente a intervalli regolari, alcuni setti trasversali di rinforzo, mentre il riempimento interno fu ottenuto con gettate di terreno e pietrame (emplekton).

La cinta muraria di Egnazia presenta un andamento semicircolare che si estende per una

6.119. Egnazia. L’acropoli.

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Capitolo VI 307

lunghezza di 1.680 m ca. e racchiude una superficie di ca. 42 ettari di terreno. Essa cinge la città antica su tre lati: quello settentrionale, quello occidentale e quello meridionale, mentre risulta difficile azzardare una linea difensiva sul lato verso il mare. L’organizzazione degli spazi interni al circuito murario è simile a quella delle numerose città messapiche salentine: il tessuto abita-tivo è discontinuo, servito probabilmente da tracciati stradali non rettilinei e alternato a spazi agricoli, da dedicare ai pascoli, oltre alle aree di culto e a quelle funerarie (fig. 6.120).

Il maggiore sviluppo urbanistico del centro egnatino si ebbe soltanto con la conquista romana del Salento nel 267-266 a.C. La Puglia intera subì un processo di ristrutturazione e di urbanizzazione, ed Egnazia rappresentava un’importante tappa di transito non solo delle prin-cipali vie terrestri più importanti (la Minucia e la futura Traiana), ma anche delle vie marittime che collegavano Roma con l’Oriente. È a partire dalla metà del III sec. a. C. che s’impostano, nel settore alle pendici meridionali dell’ “acropoli”, una serie di edifici architettonici con fun-zioni esclusivamente pubbliche e comunitarie (stoai che fanno da cornice a una struttura di tipo teatrale), oltre all’edificazione sull’“acropoli” stessa di un tempio su podio di tipo italico per il quale sono stati individuati rifacimenti d’età imperiale (fig. 6.119).

Nel I sec. a.C. la Puglia era ormai totalmente romanizzata; alcune città divennero colo-niae, altre municipia. La condizione di municipio per Egnazia è attestata dopo la Guerra Sociale (90-89 a.C.), ed è testimoniata dalla menzione di due aediles iuridicundo in un’iscrizione sepol-crale. In età tardorepubblicana, dunque, il processo di trasformazione urbanistica è pienamente compiuto. L’area pubblica è interessata dalla basilica civile, da uno spazio ellissoidale in ope-ra incerta chiamato erroneamente “anfiteatro” e dal complesso articolato di stoai che definisce un’area scoperta e successivamente lastricata ritenuta “il foro” della città romana sin dagli inizi

6.120. Egnazia. L’area centrale.

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308 Età romana

del Novecento. Tuttavia, una recente proposta suggerisce di identificare il foro in un’area più a sud, successivamente scavata, prossima alla basilica civile. Quest’ultima fu voluta, con ogni probabilità, da Agrippa, sotto il patronato del quale fu promossa anche la costruzione dei moli del porto a difesa del bacino settentrionale. È forse in relazione all’accresciuta importanza dello scalo marittimo che deve essere inquadrata l’edificazione del cosiddetto “criptoportico”, loca-lizzato al di fuori dell’area pubblica, e considerato, con incerta e non risolutiva interpretazione, struttura di stoccaggio di derrate. Un ulteriore segno del cambiamento è definito dalla riorganiz-zazione interna della viabilità, che in maniera sostanzialmente più organica descrive un impianto non perfettamente regolare, ma che permette una suddivisione più definita dei quartieri abitativi e delle zone pubbliche.

Nell’ambito di un incisivo intervento urbanistico di età augustea, viene organizzato il nu-cleo monumentale del foro, sul cui lato meridionale sono costruite le terme pubbliche.

In età romana, perpendicolarmente all’asse urbano che attraversa la città grossomodo da est a ovest, identificabile probabilmente con la preesistente via Minucia e con la successiva via Traiana (fig. 6.121), si impostano due altre strade di attraversamento nord-sud, che insieme de-finiscono tre grandi quartieri di abitazione. L’impianto della città non è regolare, ma è comunque organico, e comprende insulae costituite non solo da abitazioni, ma anche da strutture artigianali e commerciali (fornace e fullonica).

Altri resti monumentali della città imperiale sono identificabili nel sacello delle divinità

6.121. Egnazia. La via Traiana.

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Capitolo VI 309

orientali, realizzato tra l’area ellissoidale e la basilica civile e nelle strutture termali emerse nel limite ovest dell’area indagata, riferibili a una domus.

Alla fine del III-IV sec. d.C., un rinnovato fervore edilizio è testimoniato dalla ristruttura-zione della basilica civile, della quale rimane il mosaico pavimentale con al centro l’emblema con il motivo delle tre Grazie.

A partire dalla seconda metà del IV secolo alcune aree della città sono profondamente rifunzionalizzate: la piazza lastricata è circondata da una serie di ambienti funzionali allo svol-gimento di attività commerciali; sull’acropoli, la zona del tempio è destinata prevalentemente ad attività produttive e di stoccaggio. L’intero comparto delle terme, infine, viene organizzato con la costruzione di un vasto impanto produttivo di materiali per l’edilizia.

Successiva a Roma, è la diffusione del Cristianesimo che investì anche la Puglia. In età tardoantica la vita cristiana è attestata, oltre che dalle importanti testimonianze pervenutevi da-gli itinerari di viaggio che menzionano Egnazia, dall’esistenza di edifici ecclesiastici di grande importanza: la basilica episcopale datata al V sec. d.C., e la basilica paleocristiana, cosiddetta “Quagliati”, del VI-VII sec. d.C. L’abside di quest’ultima oblitera in parte il diverticolo perpen-dicolare della via Traiana, sul quale affaccia l’ingresso della basilica episcopale, denunciando pertanto la defunzionalizzazione di questo percorso.

Nei primi anni del VI secolo, Egnazia fu sede episcopale. A guidare la comunità cristiana fu un vescovo di nome Rufentius Egnatinus, di cui è nota, dagli Atti dei Sinodi, la partecipazione ai Concili di Roma indetti da Papa Simmaco I, negli anni 501, 502, e 504.

Dopo questi anni non si hanno più testimonianze della diocesi egnatina e si pensa che, probabilmente, la città fu travolta dalla Guerra Greco-Gotica, che tra il 535 e il 553 provocò gravi danni all’Italia Meridionale.

Non fu questa, però, a portare alla completa distruzione della città, tantomeno all’abban-dono definitivo. La certezza ci è data dalla cosmografia dell’Anonimo Ravennate, datata appros-simativamente intorno al 670-700 ca. Egli riporta le stazioni itinerarie, ma tralascia le distanze, e pone Egnazia lungo le vie paralitoranee, prima col nome di Gnatia, poi di Ignatie.

Dopo l’arrivo dei Longobardi Egnazia fu abbandonata come città, e i pochi abitanti su-perstiti si rifugiarono sulla collinetta dell’acropoli, costituendo un vero e proprio arroccamento difensivo circondato da una fortificazione, il cosiddetto “castrum bizantino”.

bibLioGrAFiAPer una sintesi della storia degli studi CAssAnoet alii 2004. Per un inquadramento generale delle campagne

di ricerca AnDreAssi et alii 2002; CheLotti1993;CinQuePALMi,CoCChiAro2003; CAssAnoet alii 2004, CAssAnoet alii 2007; CAssAno2008a; FiorieLLo 2008a; CAssAno2009. Sulla ricostruzione topografica dell’insediamento AnDreAssi 2003.

r.DeLM.,v.r.

Brundisium

In antico, così come ora, il sinus Brundisinus si presentava naturalmente difeso da due promontori contrapposti, oltre i quali si protendevano due lunghi e sinuosi bracci di mare, il Seno di Levante e il Seno di Ponente, simili alle lunghe corna di un cervo; da qui, secondo l’interpretazione etimologica degli autori antichi, l’origine del toponimo, che significherebbe

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310 Età romana

appunto “testa di cervo” (str., VI, 3, 6: βρένδον; stePh.byz., s.v. Βρεντέσιον; Etym. Magn., s.v. Βρεντήσιον; Etym. Gud., s.v. Βρεντήσιον; Hesych., s.v. βρένδον).

La tradizione letteraria antica propone diverse versioni della mitica fondazione di Brin-disi, attribuita a Greci capeggiati da Diomede (herACL.LeMb., 56 Dilts; iust., XII, 2, 7; isiD., Orig., 14, 4, 23), a Cretesi (str., VI, 3, 6; Comment. Bern. ad Lucan., 2, 609) ovvero a esuli tarantini guidati da Falanto, ecista di Taranto (str., VI, 3, 6; cfr. anche iust., III, 14, 13). Benché talora problematiche e tra loro discordanti, le leggende riferite dalla tradizione letteraria antica sembrano in ogni caso adombrare l’esistenza di rapporti con l’area transadriatica e, più nello specifico, col mondo greco, come in parte comprovato dalla presenza di ceramica micenea nel sito della media età del Bronzo rinvenuto a Punta Le Terrare.

Stretti contatti tra Brindisi e la Grecia sono testimoniati ad ogni modo, anche per il VII sec. a.C., dalla necropoli di Tor Pisana (non lontano dalla stazione ferroviaria): il ritrovamento di vasi protocorinzi deposti nelle tombe attesterebbe la formazione di un nucleo insediativo da parte di gruppi di origine greca, oppure la presenza di un’élite indigena fortemente ellenizzata e, di conseguenza, la funzione di approdo mercantile svolta dal sito.

Molto poco è noto dell’insediamento messapico, che, in base ai tratti di mura rinvenuti nella zona del porto e del centro storico, sembrerebbe avere occupato la collina prospiciente il Seno di Ponente. Maggiori informazioni possediamo riguardo ai principali settori funerari, uti-lizzati per lo più tra la fine del V e il IV sec. a.C. Uno di essi era posto a sud di Piazza Duomo, tra via Camassa, via Marco Pacuvio e largo Concordia, un altro tra via Palmieri e Porta Lecce, mentre a epoca più tarda (III sec. a.C.) risale il sepolcreto sorto presso le pendici orientali della collina del Belvedere.

Dopo la conquista di Taranto del 272 a.C. e la vittoria sui Sallentini (267-266 a.C.) i Ro-mani, interessati a estendere il loro dominio anche sul versante adriatico, occuparono Brindisi, dove, tra il 246 e il 244 a.C. fu dedotta una colonia latina (CiC., Att., IV, 1, 4; Liv., Perioch., 19; veLL., I, 14, 8; zonAr., VIII, 7, 3), poi trasformata in municipium al termine della Guerra Sociale.

Il porto della città svolse un ruolo determinante dal punto di vista strategico e militare, diventando la principale base delle operazioni militari durante la campagna illirica del 229 a.C., quindi delle guerre macedoniche e orientali. Da questo momento, anche grazie alla costruzione della via Appia, la città assunse un’importanza sempre maggiore anche dal punto di vista com-merciale, superando in questo centri importanti quali Egnazia e Taranto (cfr. PLb., X, 1, 1-9; str., VI, 3, 1; VI, 3, 6).

A seguito dei forti sconvolgimenti subiti dalla città nel corso delle guerre civili della tarda Repubblica, furono avviati interventi di riorganizzazione urbanistica, di cui costituisce un si-gnificativo esempio la nota iscrizione di C. Falerius Niger, un magistrato locale che, durante il terzo quarto del I sec. a.C., finanziò la sistemazione del foro, la costruzione di un macellum e di un armamentarium, cioè un arsenale.

Ben poco, tuttavia, conosciamo per l’epoca repubblicana; la maggior parte della docu-mentazione si riferisce infatti al periodo augusteo e imperiale, epoca in cui la città visse un momento di grande sviluppo urbanistico e monumentale (figg. 6.122-123).

L’originario impianto coloniale è da riconoscere nella zona delimitata verso nord-est dai due bracci di mare, verso sud e ovest dalla linea che segue l’andamento delle fortificazioni medievali tra il Castello e Porta Lecce. Un tratto delle mura realizzate alla fine del III sec. a.C.,

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Capitolo VI 311

in opera quadrata, è stato messo in luce sul lato settentrio-nale, in via Montenegro, mentre nel settore occidentale alcuni resti sono emersi lungo via Bastioni San Giorgio (angolo via Appia).

Oltre questo limite, appena al di fuori della porta occidentale, lungo il tracciato della via Appia, nella zona dell’attuale via Cappuccini, era una delle più importanti necropoli di Brindisi (fig. 6.124), già in uso al momento della fondazione della colonia, con una continuità inin-terrotta fino almeno al IV sec. d.C. Alla prima fase di oc-cupazione appartengono sepolture caratterizzate da ricchi corredi vascolari; seguono tombe a fossa terragna (II-I sec. a.C.), sepolture a incinerazione, caratterizzate da urne litiche o fittili e da cinerari in vetro (età imperiale), quindi tombe a inumazione (III e IV sec. d.C.). Un altro settore della necropoli, in uso tra la fine del I sec. a.C. e il II sec. d.C., è stato documentato in via Osanna, con tombe divise per lotti e comprese entro recinti.

Lungo il tratto extramuraneo della via Traiana, presso Porta Grande, era un vasto sepolcreto che doveva estendersi fino a via Provinciale San Vito, dove sono state rinvenute numerose tombe a inumazione da riferire a un periodo compreso tra il II e il IV sec. d.C.

Della necropoli meridionale, posta lungo il tracciato della c.d. via Traiana Calabra, in direzione di Lecce e di Otranto, si hanno al momento solo scarse testimonianze, tra le quali due iscrizioni funerarie pro-venienti da via Bastioni San Giacomo e i resti di un colombario (distrutto dopo il rinvenimento).

6.122. Brindisi. Le cosiddette colonne terminali delle vie Appia e Traiana che dominano il porto della città antica e moderna.

6.123. Brindisi. Capitello di una delle colonne.

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312 Età romana

In ambito urbano il principa-le asse viario est-ovest era costitui-to dalla prosecuzione intra moenia dell’Appia: entrata in città attraverso la zona dell’attuale Porta Napoli, la strada proseguiva presumibilmente lungo via Carmine, quindi lungo Vico Palma e via Casimiro, dove è stato messo in luce un tratto lastricato; un asse nord-sud doveva invece seguire l’allineamento grosso modo perpetua-to da via Duomo e via De Dominicis, fino a piazza Sedile. Il lungo tratto di basolato rinvenuto in via San Pietro degli Schiavoni attesta l’esistenza di una direttrice, forse minore, parallela a quest’ultimo.

Non vi sono al momento ele-menti sicuri sull’ubicazione del foro, anche se numerosi indizi orientano verso Piazza Mercato e le aree limi-

trofe, dove vennero in luce strutture edilizie e numero-si resti di sculture, frammenti architettonici e iscrizio-ni di carattere pubblico (fig. 6.125).

Vi era poi, a sud della collina del Duomo (zona di via Casimiro), un’altra area a funzione pubblica, in-diziata dai resti di una struttura monumentale colonna-ta, ampliata in età medioimperiale e posta a delimita-zione di un ampio spazio, mentre il settore a nord della stessa collina (zona di via Santa Chiara) era occupato da un complesso termale pubblico della prima età im-periale.

Estremamente scarse sono le nostre conoscenze sui principali luoghi ed edifici di culto della colonia. Un probabile indizio della presenza di un tempio sulla collina del Duomo è rappresentato dallo stilobate con resti di colonnato venuti in luce all’interno del palazzo vescovile e da riferire alla presenza di un tempio di età tardorepubblicana. Che tutta quest’area rivestisse una valenza sacra sembra dimostrato dal ritrovamen-to, non molto più a nord (sotto l’edificio del Museo Provinciale), di altre strutture murarie e di elementi architettonici attribuibili a un sacello eretto entro il III sec. a.C. e al quale presumibilmente appartengono due

6.124. Brindisi, via dei Cappuccini. Corredo della tomba 177.

6.125. Brindisi. Torso loricato rinvenuto nelle vicinan-ze di Piazza Mercato, area del foro monumentale della città romana.

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Capitolo VI 313

capitelli figurati (II sec. a.C.) venuti in luce nello stesso luogo. La centralità rivestita dalla collina del Duomo come sede di importanti edifici pubblici

appare enfatizzata dalla monumentale sistemazione urbanistica e architettonica del suo pendio orientale, caratterizzato da imponenti terrazzamenti e criptoportici e dalla presenza delle due maestose colonne marmoree, che si ergevano sul lembo più avanzato dell’altura, alle spalle del porto.

Era infatti posto proprio in corrispondenza della profonda insenatura che si apriva alla foce del Canale della Mena (che attraversava la città separando le due alture di piazza del Duo-mo e del Belvedere) il principale approdo del sistema portuale brindisino, documentato dai resti di apprestamenti portuali e magazzini individuati in Corso Garibaldi – angolo Piazza Vittoria e lungo la riva del Seno di Ponente.

Il rifornimento idrico della città era assicurato da un acquedotto probabilmente realizzato nel corso del I sec. a.C., ma poi risistemato in età imperiale: esso traeva origine dal bacino im-brifero di Masseria Pozzo di Vito, circa 9 km a ovest di Brindisi, per poi entrare in città affian-cato al tracciato della via Appia e quindi raggiungere il circuito murario all’altezza dell’attuale Porta Napoli, dove l’acqua veniva fatta decantare in una grande cisterna, ancora in gran parte conservata.

Numerose testimonianze, provenienti da vari settori della città, riguardano l’edilizia priva-ta: nella chiesa di San Giovanni al Sepolcro, ad esempio, sono stati messi in luce alcuni mosaici e strutture murarie riferibili a una domus di I-II sec. d.C.; sempre a complessi residenziali di età imperiale pertengono alcuni ambienti individuati non molto lontano, in via Duomo, in via della Maddalena e ancora in via Garibaldi, e decorati da mosaici di raffinata fattura, da stucchi e affre-schi. Il più completo esempio di un quartiere abitativo di età imperiale è stato messo in luce nel rione di San Pietro degli Schiavoni, che ha restituito anche resti di domus dell’età repubblicana.

Le successive fasi di vita di quest’area, relative al periodo tardoantico, offrono un esempio dei cambiamenti che alterarono l’assetto urbano della città romana: qui, la costruzione di un impianto termale determinò infatti la completa risistemazione del settore orientale dell’insula e l’occupazione del marciapiede della vicina sede stradale.

In questo fenomeno di graduale destrutturazione del tessuto urbano, solo alcune aree, evi-dentemente quelle maggiormente favorite dalla loro stessa collocazione, continuarono a essere frequentate e utilizzate senza soluzione di continuità rispetto al periodo medioimperiale, come nel caso delle necropoli di via Cappuccini e di via Provinciale San Vito.

Nel corso della seconda metà del IV sec. d.C., o nella prima metà del secolo successivo, sorsero i primi edifici ecclesiastici, ai quali accennano i testi della Vita San Leuci e della Vita Divi Pelini. La notizia dell’edificazione di un martyrion, eretto dopo la morte di san Leucio di Alessandria, nel punto in cui il santo sbarcò in città, «non longe ab urbe», trova forse conferma nel ritrovamento nell’area di via Cappuccini di resti architettonici riferibili a un sacello trilobato, da ritenere pertinenti alla prima fase della chiesa. Approssimativamente nell’area di San Bene-detto va individuata la presenza di un’altra basilica, realizzata per volere di san Ciprio nel corso del V sec. d.C. non lontano dalla porta della città e vicino alla chiesa dedicata da san Leucio alla Vergine.

L’assenza di dati archeologici per il VI secolo potrebbe trovare una spiegazione nelle parole di Gregorio Magno, che dichiara la comunità cristiana di Brindisi vacante di vescovo. La città, del resto, fu direttamente coinvolta negli scontri della Guerra Greco-Gotica, allorché i

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314 Età romana

Goti predisposero il loro accampamento nei pressi del centro urbano e vi posero assedio (Pro-CoP., Goth. III, 18); razzie e devastazioni furono poi inflitte alla città anche da Leuthari (AGAth., Bell. Goth., II, 1). I saccheggi continuarono anche con la riconquista bizantina, come afferma Paolo Diacono (Hist. Lang., VI, 1) nel ricordare l’attacco avvenuto tra il 668 e il 675 ad opera di Romualdo I duca di Benevento, che assediò e quindi conquistò Taranto, Brindisi e tutto il vasto comprensorio circostante.

bibLioGrAFiARassegne di rinvenimenti vari avvenuti in ambito urbano sono in sCiArrA1967; JurLAro1979;CoCChiAro,

sCiArrAbArDAro1988. Per l’insediamento di Punta Le Terrare rADinA 1998, con bibliografia preceden-te. Per la necropoli di Tor Pisana LoPorto 1964a; Guzzo 1990; LoMbArDo 1994a. Per un inquadramento della topografia urbana di Brindisi in epoca romana PiCArD1957;D’AnDriA 1979, pp. 324-329; JurLAro1979;CArito1988;CoCChiAro,sCiArrAbArDAro 1988, pp. 11-26; uGGeri1988;LiPPoLis,bALDiniLiP-PoLis1997. Sul circuito murario CoCChiAro,sCiArrAbArDAro 1988, p. 13; CoCChiAro 1991b; CoCChiAro 1992a. Per i ritrovamenti nella zona di piazza Mercato e l’identificazione del foro sCiArrA 1967, nn. 15, 17, 20-22, 27; uGGeri1988, pp. 57-58;LiPPoLis,bALDiniLiPPoLis 1997, pp. 315-316. Per l’area pubblica di via Casimiro DeGrAssi1957;DeJuLiis,CAtALDi1985, p. 185; LiPPoLis,bALDiniLiPPoLis1997, p. 315. Per la collina del Duomo LiPPoLis,bALDiniLiPPoLis 1997, pp. 313-314, con bibliografia precedente. Per il sistema di approvvigionamento idrico CoCChiAro,sCiArrAbArDAro 1988, pp. 21, 29, 34, 46; CoCChiAro 1994c; CerA 2006; CerA 2008a. Per l’edilizia privata sCiArrA1967;CoCChiAro,sCiArrAbArDAro 1988, pp. 19-21; CoCChiAro 1992a, 1998, 1999; brACCio1996;CALiAnDro2001;CoCChiAro2002. Sulla ne-cropoli di via Cappuccini CoCChiAro,AnDreAssi1988; su quella di via Osanna CoCChiAro 2004-2005; su quella di via Provinciale San Vito CoCChiAro 1996. Sul periodo tardoantico e altomedievale CArito,bArone1981;MArinAzzo1994;LiPPoLis,bALDiniLiPPoLis 1997, pp. 330-341; FonseCA 1998, con biblio-grafia precedente.

G.CerA

Lupiae

L’antica Lupiae, odierna Lecce, sorge al centro della penisola salentina, sviluppandosi su banchi di calcareniti mioceniche, denominati localmente Pietra Leccese.

L’abitato si connota come centro a continuità di vita e in quanto tale ha sempre sofferto gli stravolgimenti urbanistici che hanno causato la continua perdita di dati archeologici (fig. 6.126). Le trasformazioni e le demolizioni iniziate nel Novecento e culminate negli sventramenti di piazza Sant’Oronzo, realizzati durante il ventennio fascista, hanno fortemente alterato l’assetto urbanistico e viario cittadino, provocando la distruzione di interi isolati sorti su preesistenze più antiche, come nel caso dell’Isola del Governatore che ricalcava l’andamento curvilineo dell’an-fiteatro romano.

Le più antiche testimonianze rinvenute all’interno della città, relative a nuclei di capanne dell’età del Ferro, consentono di inserire Lupiae nel quadro più generale della Puglia meridiona-le che in questo momento è investita da una notevole crescita demografica e da maggiori scambi commerciali con l’opposta sponda adriatica.

Durante la seconda metà del IV sec.a.C. a Lupiae, come in altri centri messapici, viene realizzata una cinta muraria, della quale sono stati individuati alcuni tratti presso Porta Napoli, via Adua, viale Lo Re e via Manifattura Tabacchi (fig. 6.127). Nei settori indagati, la struttura è caratterizzata da un muro pieno con facciavista interna in spezzoni informi, mentre la facciavista

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Capitolo VI 315

6.126. Lecce. Veduta aerea della città da nord-ovest. In primo piano la Porta Napoli.

6.127. Le mura di Lecce (Lecchie) in un disegno della fine del sec. XVI. Napoli, Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”.

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316 Età romana

esterna è in grandi blocchi squadrati di calcare locale posti in opera di testa; ha uno spessore di circa 4-5 m e si sviluppa per una lunghezza di circa 3.000 m, andando a definire una superficie di circa 50 ettari. A distanza di molti secoli, le mura aragonesi ricalcheranno le fortificazioni messapiche.

L’insediamento messapico è contraddistinto da un tessuto viario irregolare, con nuclei di abitato alternati ad aree di culto, aree con destinazione pubblica e zone con funzione funeraria. Le sepolture, ubicate sia all’esterno sia all’interno delle mura urbane, sono spesso riutilizzate a distanza di secoli; si tratta prevalentemente di tombe a fossa e di tombe a camera scavate nella roccia, la cui ricca decorazione testimonia l’elevato rango sociale delle famiglie. Esemplare è l’Ipogeo Palmieri, costituito da tre camere distribuite intorno a un vestibolo, il cui dromos d’accesso presenta un fregio con amazzonomachia e girali. La necropoli scavata al di sotto del Palazzo INA, interpretata come area riservata all’aristocrazia locale, ha fatto pensare all’esi-stenza di una distinzione delle sepolture realizzata sulla base dello stato sociale dei defunti; tale divisione era resa fisicamente mediante un recinto monumentale, come quello individuato sotto la Banca d’Italia.

Strabone menziona Lupiae e Rudiae come centri dell’entroterra; proprio tra il II e il I sec. a.C. si verificano i maggiori mutamenti economici e sociali della città grazie ai sempre più frequenti contatti con altri centri romanizzati della Puglia e a una sempre maggiore fusione della cultura messapica con quella romana. Importante testimonianza in tal senso è una tomba

6.128. Lecce. Veduta aerea obliqua di un settore del centro storico con il teatro e l’anfiteatro.

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Capitolo VI 317

messapica, datata al II sec. a.C., rinvenuta durante gli scavi per la costruzione del Palazzo INA, nei pressi dell’anfiteatro, con l’iscrizione latina M(arci) Viseli incisa sulla lastra di copertura: i Viselli, famiglia originaria del Lazio meridionale, sono noti da bolli anforari del II e I sec. a.C. come proprietari di fornaci per la produzione di anfore individuate sia nel brindisino che nel territorio di Lecce, nei pressi del molo di San Cataldo.

Con la conclusione della Guerra Sociale (89 a.C.) Lupiae diventa municipium, acquista la cittadinanza romana e viene ascritta alla tribù Camilia; più tardi, come risulta dalle fonti epigra-fiche, diventa colonia. Ed è proprio a Lecce che il giovane Ottaviano, di ritorno da Apollonia in Epiro, viene a conoscenza di essere stato nominato successore di Cesare.

È in questo quadro generale che si verifica un graduale processo di trasformazione urba-nistica, evidenziato in particolare dalla riorganizzazione delle necropoli. La prima vera novità è rappresentata dall’interruzione dell’utilizzo di tutte le aree di sepoltura ubicate all’interno delle mura messapiche, elemento che crea una netta divisione tra aree abitative e necropoli. Le necropoli esterne alle mura continuano, invece, a essere utilizzate e testimoniano il passaggio dall’inumazione all’incinerazione.

La prima età imperiale rappresenta il momento in cui, con una probabile sinergia tra mae-stranze locali e romane, vengono apportate le maggiori modifiche all’assetto urbano precedente con la realizzazione di grandi opere, che connotano Lupiae come città romana e che trovano in età imperiale il loro completamento. Recenti ritrovamenti smentiscono l’ipotesi di un impianto urbanistico regolare con strade ortogonali che definiscono isolati quadrati di 35 metri di alto; in effetti la viabilità della città romana sembra ricalcare il tessuto viario irregolare di epoca mes-sapica. In questo clima, dal punto di vista architettonico e artistico estremamente fecondo, si inseriscono la costruzione del teatro e dell’anfiteatro in aree interessate da strutture preesistenti,

6.129. Lecce. Veduta dell’anfiteatro dall’alto.

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318 Età romana

che vengono espropriate e demo-lite, e la sistemazione dell’area forense da collocare probabil-mente nelle vicinanze dell’attua-le piazza Duomo. In questa zona doveva trovarsi anche un grande edificio templare, la cui presenza è testimoniata da un gruppo di quattro capitelli ionici in marmo con fascia a palmette sotto le vo-lute, che trovano confronti con i capitelli del Tempio di Roma e Augusto sull’Acropoli di Atene del 27 a.C.: due di questi capi-telli sono conservati attualmente nel Museo Provinciale di Lecce, mentre gli altri due furono riuti-lizzati in età medievale nella na-

vata centrale della Cattedrale di Otranto (figg. 6.128-130). Per quanto riguarda l’anfiteatro, la totale assenza di strutture di età imperiale nella zona

circostante denota la presenza di un’area di rispetto programmata contemporaneamente alla realizzazione dell’edificio. Il banco di calcarenite viene abilmente utilizzato come cava e come supporto e parte integrante delle strutture di sostegno delle gradinate che possono accogliere dalle 12.000 alle 14.000 persone: un numero di spettatori effettivamente molto alto.

Il teatro romano, scoperto casualmente nel 1929, presenta una ricercatezza strutturale e decorativa che ben si inserisce nella propaganda politica augustea di I sec. a.C. e nel contesto della lex Iulia theatralis, che prescrive la distribuzione dei posti in base al rango sociale del cittadino. L’edificio, caratterizzato dalla cavea ricavata nel banco di calcarenite e divisa in sei cunei da cinque scalette radiali, era decorato da una serie di statue in marmo, collocate nella scenae frons; sono giunte fino a noi le statue di Athena, Artemide, Eracle, Ares, un Doriforo di Policleto, Alessandro Magno e Augusto, sulla cui corazza sono raffigurati i temi principali del pensiero politico augusteo. Per le notevoli dimensioni, il teatro di Lupiae si inserisce tra i più monumentali dell’Italia meridionale, e con i suoi 6.000 posti è inferiore solo ai teatri di Napoli e Benevento. I capitelli in marmo pentelico di tipo pergameno individuati nell’anfiteatro e la colossale statua dell’imperatrice, collocata probabilmente nella scenae frons del teatro, insieme a interventi strutturali, testimoniano le importanti modifiche apportate in età adrianea.

È in questo periodo che vengono parzialmente realizzate o ripristinate le strutture portuali, già menzionate da Pausania, individuate nella rada di San Cataldo, lungo la costa Adriatica, in prossimità del faro. Il molo è costituito da un paramento in opera quadrata in blocchi di calca-renite e da un nucleo in conglomerato cementizio attraversato da setti in blocchi, ortogonali e paralleli alle cortine esterne, che ripartiscono lo spazio interno nella zona di maggiore larghezza della struttura.

Gli scavi archeologici, effettuati tra il 2005 e il 2011, nell’ambito dei lavori di restauro, consolidamento statico e recupero funzionale del cinquecentesco Palazzo Vernazza-Castrome-

6.130. Lecce. Il teatro romano.

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Capitolo VI 319

diano, ubicato nei pressi del teatro romano, hanno messo in evidenza fasi di frequentazione a partire dall’età del Ferro (IX-VII sec. a.C.), un asse stradale con marciapiede, un recinto con blocchi squadrati per attività rituali, una zona di cave e attività artigianali per produzione di vasi, databili al periodo messapico. In età romana l’area di Palazzo Vernazza venne occupata da un complesso cultuale che, in base alle iscrizioni rinvenute, è riferibile al Santuario di Iside. Dell’Iseo gli scavi hanno messo in luce un portico di ordine tuscanico che circondava l’area scoperta in cui si doveva trovare il tempio; inoltre è stato individuato il purgatorium, ossia la vasca che permetteva ai fedeli iniziati ai misteri, di immergersi nell’acqua che essi credevano provenisse dal Nilo, per purificarsi. Tra i più importanti reperti individuati durante gli scavi si menzionano un labrum (bacino) in breccia corallina con iscrizione di dedica a Iside, da parte di Memmius Cinyps Tiberinus; alcuni oscilla che presentano il dio Anubis (dalla testa di sciacallo) e Iside con i suoi attributi, ossia crescente lunare sulla testa, sistro (strumento musicale) e situla (secchiello per l’acqua utilizzato per le aspersioni rituali). Dal santuario proviene anche una statua di marmo di Afrodite.

Per tutta l’età tardoantica la città è attraversata da importanti fermenti culturali, economici e religiosi, testimoniati ad esempio dalla presenza del vescovo di Lupiae Venantius al Concilio di Costantinopoli del 553. Ma nella seconda metà del VI secolo la notizia della vacanza della sede vescovile testimonia l’inizio di un periodo buio che porterà man mano alla diminuzione della popolazione e all’abbandono di gran parte della città, tanto che nel XII secolo il geografo Guidone ci parla di una piccola comunità concentrata nell’area dell’anfiteatro.

bibLioGrAFiAPer un inquadramento generale D’AnDriA1995;LoMbArDo 1999. Sull’assetto urbano e sulla topografia D’An-

DriA,PAGLiArA,siCiLiAno1980;FAGioLo,CAzzAto1984;GiArDino1994;GiArDino1999;CionGoLi2000a;GiArDino2000;GiArDino2008a;GiArDino,LonoCe 2011. Per gli edifici da spettacolo AMiCi1997;AMiCi1999;D’AnDriA1999, pp. 15-38. Per il tempio di Iside e per i più recenti interventi di scavo DePAuLis2007;D’AnDriA 2011a. Per il porto romano di San Cataldo sAMMArCo,MArChi 2008 con bibliografia precedente.

C.M.

Rudiae

L’antico insediamento di Rudiae, situato circa km 3 a sud di Lecce, si sviluppa sul lato settentrionale di una vasta depressione naturale denominata “La Cupa” (fig. 6.131). Menzionata da storici, geografi e gromatici antichi, Rudiae diede i natali al poeta latino Quinto Ennio.

La grande quantità di materiale archeologico rinvenuto in maniera fortuita già a partire dal Rinascimento determinò un notevole interesse per quest’area, dove i ripetuti interventi di scavo condotti nell’Ottocento portarono al ritrovamento di numerosi corredi funerari e iscrizioni e determinarono la necessità di creare un adeguato spazio museale; così che bronzi, iscrizioni e vasi dipinti provenienti da Rudiae costituirono il primo nucleo della collezione archeologica dell’attuale Museo Provinciale di Lecce.

Le fasi più antiche, individuate nel settore settentrionale della città, si riferiscono a un ambito cronologico inquadrabile tra la seconda metà del VII e la prima metà del VI sec. a.C.; materiale arcaico è stato rinvenuto anche al di fuori della cinta muraria d’età ellenistica, nel settore sud-orientale, nel corso di recenti ricognizioni topografiche.

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320 Età romana

6.132. Rudiae. Il settore nord-occidentale delle mura.

6.131. Rudiae. Restituzione aerofotogrammetrica dell’area archeologica.

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Capitolo VI 321

L’area urbana si articola con una serie di modesti terrazzamenti sul pendio degradante in direzione nord-sud, sfruttando e regolarizzando la morfologia del terreno. Al IV-III sec. a.C., in analogia con altri centri messapici, viene di consuetudine datata la costruzione della cinta muraria, lunga circa 3.950 m, che delimita una superficie di circa 100 ettari; pertanto Rudiae si configura come uno degli abitati più estesi della Puglia meridionale (fig. 6.132). La cinta mu-raria, tuttora evidente per lunghi tratti tranne che nel lato meridionale, è caratterizzata da torri difensive semicircolari e presenta un andamento coerente con la morfologia del terreno, con sbaionettature in funzione difensiva in corrispondenza di probabili accessi della città. Le mura hanno uno spessore di ca. 4 m e sono realizzate in opera quadrata a doppia cortina, con riem-pimento di spezzoni di calcare e terra; tuttavia, nel settore occidentale, lavori di sbancamento hanno messo in evidenza un tratto di mura a struttura piena in blocchi di calcare posti di testa e di taglio. Tratti del fossato difensivo che circondava le mura, ben visibili nelle fotografie aree, sono stati intercettati anche durante interventi di scavo.

Tracce dell’assetto urbano si notano nel settore orientale dell’abitato e sono limitate a opere di terrazzamento, da alcuni interpretate come cinta muraria interna, collegate con settori ripartiti forse secondo assi ortogonali.

Recenti saggi di scavo, condotti nel settore nord-ovest del perimetro urbano, hanno fornito interessanti dati sulle mura, su una torre angolare a pianta circolare e sul fossato esterno. L’ango-lo nord-ovest del circuito murario è caratterizzato da una torre a pianta circolare (diametro circa 8 m), realizzata in opera quadrata con blocchi di calcare compatto, strutturalmente autonoma ma connessa al corpo della cinta muraria. Il tratto di cinta muraria messo in luce è formato da una struttura più interna, spessa circa 4,20/4,50 m, costituita da una doppia cortina in opera quadrata realizzata con blocchi di varie dimensioni di calcare poroso, anche con materiale di reimpiego, con riempimento in pietrame. Questa struttura è “fo-derata” verso l’esterno della città da un doppio muro in opera quadrata, assai accurata nella tessitura e nelle connessure, realizzato con blocchi di grandi dimen-sioni in calcare compatto; verso l’interno della città la “fodera” è costituita da un solo muro in opera quadra-ta del tutto analoga a quella esterna, forse con settori contraffortati, sempre in calcare compatto. Le mura, che sembrerebbero il risultato di un progetto unitario complesso, presentano, pertanto, uno spessore totale di circa 8,20 m. I materiali di scavo suggeriscono una datazione ai primi anni del IV secolo, confermata da una sepoltura infantile nei livelli precedenti la costru-zione con materiali databili tra la fine del V e gli inizi del IV sec a.C.

Negli anni ’50 del secolo scorso, nella zona centrale della città, nel Fondo Acchiatura, sono stati effettuati rinvenimenti di particolare interesse: un edi-ficio in opera quadrata, opere di canalizzazione, una strada basolata di epoca romana e una tomba a came-ra scavata nel banco di roccia (fig. 6.133). La tomba, 6.133. Rudiae. Strada basolata nel Fondo Acchiatura.

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322 Età romana

datata al IV-III sec. a.C., presenta facciata e dromos di accesso dipinti, pianta a T formata da tre ambienti di forma grossomodo quadrata, con soffitto a volta e pareti dipinte. Questa sepoltura non si presenta come un unicum nel contesto rudino poiché nel corso degli anni sono state indi-viduate altre tombe a camera, purtroppo andate distrutte.

Una vasta area di necropoli è stata identificata e scavata nel Fondo Babbuine: le tombe, quasi tutte a fossa rettangolare scavate nel banco roccioso, presentavano corredi datati tra VI e fine IV sec. a.C., da cui provengono numerosi vasi attici di V sec. a.C.

Un edificio di culto è stato individuato nel Fondo Fumarola; questa struttura, rimasta inedita e quindi suscettibile di ulteriori approfondimenti interpretativi, ha restituito capitelli di “evidente derivazione tarantina”. Inoltre, la presenza su alcune are votive del nome Taotor, di-vinità maschile ben conosciuta a Vaste e nella Grotta della Poesia di Roca, documenta anche a Rudiae questo culto maschile.

In seguito alla Guerra Sociale Rudiae divenne municipio romano iscritto alla tribù Fabia; le iscrizioni attestano il decurionato, il quattuorvirato edile, il patronato e i culti imperiali degli Augustali e dei Mercuriali.

In questa fase si riscontra una contrazione dell’area abitata che, con molta probabilità, si concentrò nella zona centro-orientale dell’insediamento messapico, dove si localizza un’ampia depressione del terreno, sfruttata nella tarda età repubblicana per realizzare un piccolo anfitea-tro, messo in luce in recenti saggi di scavo (fig. 6.134).

6.134. Rudiae. Anfiteatro.

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Capitolo VI 323

La progressiva perdita di importanza della città, il ridimensionamento urbanistico e l’ab-bandono del settore nord-occidentale dell’abitato sembrano attestati anche da una serie di muri a secco moderni che ricalcano i limiti della divisione agraria romana (probabilmente di età grac-cana) individuata nella penisola salentina e caratterizzata da centurie di 710 m di lato (quadrati di 20 actus).

Rudiae, seppur ridotta di importanza e dimensioni, a vantaggio della vicina Lupiae che in età romana diventa il centro dominante di tutta l’area, rimane attiva fino alla conquista nor-manna.

bibLioGrAFiASui materiali provenienti da Rudiae roMAneLLi,bernArDini 1932;beAzLey 1956,nn. 530, 534, 566 e 579;

bernArDini1965;DeLLiPonti1973;trenDALL,CAMbitoGLu1982, pp. 1128-1130. Sulla pittura funerariatinèbertoCChi1964, pp. 130-133. In generale, sui problemi topografici bernArDini1955;CorChiA1981;CionGoLi1990;JAiA1997a;JAiA1997b;PiCCArretA2003b.

C.M.

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VII.1. Le riforme di Diocleziano e CostantinoNel periodo compreso tra i regni di Diocleziano e Costantino (284-337 d.C.) l’Impero Ro-

mano attraversa un momento di forte consolidamento, caratterizzato da importanti cambiamenti sociali e amministrativi. Alla base del nuovo sistema di governo si pone la riforma amministra-tiva di Diocleziano, il cui obiettivo era quello di ottenere un controllo maggiore degli aspetti fi-scali, amministrativi e legali. Il terremoto amministrativo che investe in questo momento storico la Penisola Italiana si rivela anche in una nuova concezione degli spazi e dell’organizzazione territoriale manifesta nella modifica dei rapporti fra città e campagna e nella creazione di una nuova gerarchia insediativa (fig. 7.1).

Al momento della riorganizzazione provinciale la Regio Secunda augustea, che abbraccia il territorio della attuale Puglia, viene trasformata nella provincia Apulia et Calabria unitaria dal punto di vista amministrativo ma non in termini di geografia fisica, di storia e di economia. L’Apulia coincideva con il territorio occupato dai Dauni e aveva in Canusium il capoluogo pro-vinciale; la Calabria abbracciava il territorio peuceta e messapico e l’area bradanica dell’attuale

regione lucana e aveva in Brindi-si e Taranto i centri politici, am-ministrativi ed economici. Altre differenze si registrano nella presenza di un numero maggio-re di centri urbani nella Calabria rispetto all’Apulia, che ospita in-vece città di maggior rilievo; nel prevalere del numero delle dio-cesi nell’Apulia e nel maggiore interesse rivolto dai governatori all’area settentrionale della pro-vincia piuttosto che a quella me-ridionale.

Risulta ancora problema-tica l’individuazione del confine tra le due parti della provincia che il Liber Coloniarum I pone

vii.DALL’etàtArDoAntiCAALbAssoMeDioevo

7.1. Età medioevale. Carta delle principali località citate nel testo.

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326 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

all’altezza di Bari, il Liber Coloniarum II in corrispondenza di Bitonto e la Tabula Peutingeria-na a Egnazia. La situazione non subisce consistenti mutamenti con l’avvicendarsi alla reggenza dell’Impero di Costantino (307 d.C.). Il nuovo imperatore continua sulla strada del riformismo fiscale e amministrativo dioclezianeo e provvede alla ristrutturazione dei servizi finanziari, alla sistemazione della riforma fiscale e alla creazione di nuove imposte.

bibLioGrAFiAIn generale per un’analisi storica delle riforme di Diocleziano e Costantino GiArDinA1986,GiArDinA1993,

GiArDinA 1994, pp. 1-89; per gli aspetti propriamente economici delle riforme dioclezianea e costantinia-na CArrié 1993, pp. 292-317. Una recente analisi del territorio della Puglia centrale tra età repubblicana e età imperiale in MAnGiAtorDi 2011. Sul contesto storico-territoriale della Puglia tardoantica si rinvia da ultimo a voLPe 1996. Per una rapida sintesi della storia pugliese tra antichità e Medioevo iACobone 2003, pp. 131-163.

VII.2. L’ assetto del territorio in età tardoantica: città, vici, villae, fattorie

Le ricerche sulla Puglia tardoantica, considerevolmente aumentate in anni recenti, hanno consentito di ampliare le conoscenze archeologiche di questo territorio, anche se occorre regi-strare una notevole discrepanza tra le diverse aree culturali presenti nella regione.

Le forme di occupazione del territorio vedono la continuità di vita degli insediamenti ur-bani, che presentano una rete abbastanza fitta di centri dotati di autonomia amministrativa. Le riforme dioclezianee accentuano il divario tra i centri urbani di maggiore importanza e i centri di minore spessore. Pertanto, accanto alle città di prestigio, quali Canusium, Luceria, Venusia, Brundisium e Tarentum, si pongono i centri urbani minori identificabili con Aecae, Salapia, Her-donia per la parte settentrionale e Barium, Gnathia, Lupiae, Callipolis per quella meridionale, ai quali si aggiungono gli importanti centri portuali di Sipontum e Hydruntum.

Sugli impianti urbani prevale l’organizzazione insediativa di tipo paganico-vicano, defini-zione questa di recente messa in discussione. Questa forma di occupazione del territorio, al cui interno il vicus costituisce il centro nodale, era già diffusa in Apulia in età preromana. Dissoltasi nel corso del III-II sec. a.C. sotto la spinta di una forte romanizzazione, che imponeva una nuova organizzazione del paesaggio, riemerge in modo consistente nel corso della tardoantichità.

Numerosi sono i vici segnalati nelle fonti geografiche, in particolare per l’area costiera centro settentrionale, mentre il tratto adriatico meridionale pare conoscere un abbandono gra-duale, legato anche a fenomeni di impaludamento, a eccezione del crescente centro portuale di Otranto. Le recenti indagini archeologiche forniscono elementi utili alla comprensione della configurazione del vicus che si caratterizza come un villaggio, spesso completato da strutture pubbliche sia civili sia religiose che gli conferiscono alcune funzioni “urbane”, che ricopre un ruolo importante nello svolgimento delle attività agricole del circostante territorio. Tuttavia i dati a disposizione non consentono ancora di definire appieno la portata del fenomeno. In par-ticolare gli elementi di valutazione scarseggiano soprattutto per il pagus, che si configura come un distretto rurale che riveste un ruolo nella riscossione dei tributi e quindi in funzione della politica economica e amministrativa della provincia, per il quale non esistono al momento dati archeologici utili a una sua identificazione.

Il paesaggio agrario pugliese tardoantico è completato dalla presenza di altre strutture in-sediative: le villae e le fattorie, adibite alla produzione di olio, di vino e di altri prodotti alimen-

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Capitolo VII 327

tari destinati al mercato. In generale queste forme di occupazione rurale sorgono su precedenti insediamenti di età romana imperiale che vengono trasformati nell’organizzazione dell’impian-to, generalmente ampliato, ma anche nella conversione produttiva. La villa tardoantica riveste un ruolo finalizzato all’accumulo delle rendite dei coloni, alla gestione organizzativa dei terreni che costituivano l’intera proprietà, alla raccolta delle derrate agricole e al loro smistamento ver-so i mercati vicini. Con questi caratteri organizzativi la villa si colloca appieno nel territorio in un rapporto di stretta cooperazione con i villaggi e le fattorie. Le evidenze archeologiche forni-scono al momento pochi esempi in area pugliese di ville di grandi dimensioni.

Se si eccettua quella di Porto Saturo, presso Taranto, attestata dal III secolo, il caso più rilevante è senza dubbio offerto dal sito di Faragola, nel territorio di Ascoli Satriano (Foggia). Le recenti indagini archeologiche hanno portato alla luce una lussuosa residenza aristocratica che raggiunge il massimo splendore nel corso del V secolo. Caratterizzata da un progetto architetto-nico imponente, la villa ha nella cenatio (sala da pranzo) e nel raro stibadium in muratura (sedile per il banchetto) gli elementi di maggior interesse. I pannelli in opus sectile vitreo e marmoreo della cenatio, oltre ai pavimenti in lastre marmoree e mosaici policromi degli ambienti del set-tore residenziale, attestano un sontuoso programma decorativo, espressione di una committenza di prestigio.

Maggiormente documentate sono le ville di dimensioni medio-grandi, le cui attestazioni più significative si riscontrano in area dauna: ad Agnuli, presso Mattinata; a Santa Maria di Me-rino, presso Vieste; ad Avicenna, nel Piano di Carpino; a San Giusto, presso Lucera. Tra i casi più importanti di piccoli e medi insediamenti produttivi, le fattorie, si ricordano la fattoria di Posta Crusta, nel territorio di Ordona, e quella di località La Minoia, presso Canosa.

Il sistema insediativo e produttivo che caratterizza il paesaggio rurale tardoantico entra in crisi nel VI secolo, quando gli impianti vengono generalmente abbandonati. Le cause di questo declino sono da ricercare principalmente nelle conseguenze della Guerra Greco-Gotica.

bibLioGrAFiAIn generale sul paesaggio della Puglia tardoantica voLPe 1999b e i diversi contributi presenti nel volume di voL-

Pe,turChiAno 2005. In particolare per il paesaggio brindisino si rinvia ad AProsio 2008; per il paesaggio salentino a DeMitri 2010. Sulle città pugliesi e dell’Italia meridionale in età tardoantica Arthur 1999b. Da ultimo sulla città di Ordona cfr. Ordona XI. In generale per l’organizzazione paganico-vicana, e la critica all’uso di simile espressione, e per una rilettura della presunta continuità delle strutture agrarie medievali con il mondo romano cfr. da ultimo CAPoGrossiCoLoGnesi2002. Sulla villa tardoantica in generale CArAnDini 1994 e 1995 e verA 1994a e 1995, in particolare per l’Italia meridionale CArAnDini 1993a. Per un’analisi di maggiore dettaglio delle ville tardoantiche citate e per un puntuale inquadramen-to cronologico si rinvia a voLPe 1996, pp. 211-226. Sulla villa di Faragola cfr. la recente edizione degli scavi di voLPe,turChiAno 2009.

VII.3. Il nuovo assetto produttivo e commerciale In Puglia trova perfetta attuazione il “sistema agrario tardoantico”, un modello organiz-

zativo che si sviluppa e si impone tra la fine del III e la metà del V secolo, che privilegia la cerealicoltura e l’allevamento transumante, relativamente alla Puglia settentrionale, a cui sono strettamente collegate le attività artigianali e manifatturiere. La cerealicoltura rivestì un ruolo prevalente sulle altre colture favorita anche dalla politica di Roma, che ricorreva agli approv-

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328 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

vigionamenti dalla Sicilia e dalla Puglia per assolvere alle richie-ste annonarie in seguito al dif-ficile rifornimento dall’Africa dopo la conquista vandala. Alla commercializzazione dei cereali è da collegare lo sviluppo, nel corso del V secolo, del porto di Siponto che in questo periodo si caratterizza come il maggior scalo portuale della provincia nel commercio transmarino. Dal punto di vista archeologico i dati più interessanti sono forniti dagli scavi della fattoria di Posta Cru-sta e soprattutto di Ordona che, collocata lungo la via Traiana, ricopre un ruolo importantissimo nella ridistribuzione dei cereali dell’area settentrionale della pro-vincia. Accanto alla cerealicoltu-ra, l’olivicoltura e la viticoltura erano praticate con minore por-

tata ed erano rivolte in particolare al mercato locale alimentato anche dalle importazioni di vino e di olio da altre aree mediterranee.

Oltre alla coltura del grano l’assetto produttivo tardoromano pugliese si avvale di un altro elemento cardine, l’allevamento transumante. La provincia era ricca di aree aperte incolte (sal-tus) destinate al pascolo delle greggi come attestano le numerose fonti epigrafiche e documen-tarie. La presenza di grandi allevamenti, privati e imperiali, rimanda alla produzione di tessuti, che si rivela un altro aspetto primario dell’economia. Le fonti scritte riferiscono dell’esistenza di importanti opifici a Canosa, Venosa e Taranto. Si tratta di manifatture di proprietà imperiale, destinate alla produzione di uniformi militari e civili, mantelli e coperte, e vengono indicate nella Notizia Dignitatum come gli unici opifici attivi nell’Italia Suburbicaria. Prescelti per la particolare posizione geografica e per le attitudini produttive ed economiche della zona, questi insediamenti produttivi sono al momento poco noti archeologicamente. Intimamente legate alle sorti amministrative del governo centrale, queste manifatture vengono travolte da una crisi nel corso del V secolo. Tuttavia questa crisi non comporta come necessaria conseguenza il crollo su ampia scala dell’allevamento transumante e dell’artigianato a esso connesso. Infatti a Otranto nel VI secolo è documentata una tintoria di grande rilievo, che forniva gli abiti alla corte di Ra-venna, la cui presenza suggerisce l’importanza economica assunta dalla città.

Le fonti letterarie forniscono utili elementi per la ricostruzione della circolazione del fru-mento prodotto in area pugliese in età tardoantica. In primo luogo era il mercato di Roma la destinazione finale di gran parte del grano apulo cui si aggiungono la Campania, Ravenna e forse successivamente i depositi di stato in Italia settentrionale e in minor misura le province del

7.2. Rutigliano, Masseria Purgatorio. La chiesa di Sant’Apollinare, nei cui pressi sono state rinvenute alcune tombe altomedievali, sorge sui resti di una villa abbandonata in età tardoantica.

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Capitolo VII 329

Mediterraneo occidentale. Ma la regione era inserita appieno, attraverso i numerosi porti e ap-prodi costieri, nei circuiti com-merciali esistenti tra Adriatico, Mediterraneo orientale e Africa settentrionale, come si riscon-tra nella cultura materiale dei numerosi insediamenti urbani e rurali scavati in tutto il territo-rio della provincia. La vitalità commerciale perdura con ritmi elevati fino alla prima metà del VI secolo, quando le difficoltà generate dagli eventi bellici e dai conseguenti cambiamenti socia-li, fiscali e amministrativi pose-ro un freno al commercio e agli scambi.

bibLioGrAFiAPer la definizione di “sistema agrario

tardoantico” e i caratteri che assume in Puglia verA 1994a e verA 1994b. Sull’economia dell’Apulia tardoantica voLPe 1996, pp. 257-376; per un quadro generale della Puglia tra tardoantico e Medioevo MArtin 1993, pp. 113-160. In generale sugli aspetti commerciali nel Mediterraneo tardoantico PAneLLA 1993. Per una brevi sintesi sugli aspetti commerciali della Puglia tardoantica voLPe 1996, pp. 321-339 e bibliografia ivi citata per i singoli insediamenti. Da ultimo, sull’al-levamento e la transumanza, voLPe2010.

VII.4. Il ruolo della Chiesa: diocesi urbane, diocesi rurali, santuari e fiere Nelle vicende della Puglia tardoantica la Chiesa assume un ruolo egemone, ponendosi

spesso come istituzione alternativa al potere statale nell’organizzazione e nella gestione della città e del territorio. Tra IV e VI secolo il paesaggio urbano e rurale è caratterizzato dalla co-struzione di nuovi edifici di culto che rivelano l’incremento delle comunità cristiane ma anche il potere economico e politico della Chiesa.

Le ricerche archeologiche e storiche assegnano la sede vescovile, tra IV e V secolo, alle città più importanti della provincia: Siponto, Salapia, Ordona, Arpi, Lucera, Aecae, Canosa, Bari, Brindisi, Taranto, Gallipoli, Egnazia, Lecce, Otranto. In particolare tra i vescovi emergono nel VI secolo, per la intensa attività edilizia di cui si fecero promotori, Sabino, vescovo di Ca-nosa, e Lorenzo, vescovo di Siponto.

Accanto alle fondazioni urbane sorgono numerosi edifici di culto rurali, di vario impianto e funzione, nati con lo scopo di diffondere il cristianesimo anche nelle campagne dove i culti pa-gani avevano un maggiore radicamento. Tra i numerosi esempi individuati si segnalano le chiese

7.3. Oria. Chiesa di Santa Maria di Gallana: veduta del prospetto e delle coperture.

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330 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

rurali di San Giusto, presso Lu-cera; Rutigliano, località Purga-torio; Santa Maria di Gallana, a Oria; Santa Maria dell’Alto, a Campi Salentina; Vaste, località Fondo Giuliano; Le Centopor-te, nel territorio di Giurdigna-no; San Miserino, a San Dona-ci; Santa Maria della Croce, a Casaranello; Belmonte, presso Altamura (figg. 7.2-6). Questi edifici di culto, molti dei quali sono sopravvissuti fino a età me-dievale, sorgono generalmente su precedenti realtà insediative di età romana. La nascita delle chiese rurali, sia come diocesi sia come ecclesia baptesimalis o parrocchiale con annessa ne-cropoli, risulta fortemente legata alla struttura insediativa di tipo vicano che caratterizza il paesag-gio rurale pugliese tardoantico.

Gli edifici religiosi si inseriscono in una complessa e articolata organizzazione ecclesia-stica che detiene nel territorio proprietà di grande rilievo. Una forma particolare di impianto ecclesiastico è costituita dalle massae, vaste proprietà fondiarie appartenenti alla Chiesa con case coloniche, chiese e monasteri posti alle dipendenze di un rector. Documentata al momento è solo la massa Callipolitana. Tra le fondazioni ecclesiastiche rientra il monasterium, una strut-tura che aspetta ancora di essere definita dal punto di vista storico e archeologico in quanto il ter-mine può riferirsi sia a una comunità monastica sia a una semplice chiesa rurale officiata da un presbitero. Per l’Apulia si ha notizia, in una lettera di papa Gelasio I, dell’esistenza di un impor-tante monastero rurale nel territorio lucerino, identificato da alcuni studiosi nell’insediamento di San Giusto. Ma l’esistenza di monasteri è documentata, tra tardoantico e altomedieovo, anche nella Calabria: nel territorio tra Otranto e Lecce, dove Paolino da Nola registra la presenza di comunità ascetiche, e a Le Centoporte, sede in età altomedievale di un monastero fortificato.

Gli edifici di culto, sia rurali sia urbani, costituivano il polo di attrazione dei commerci e degli scambi ed erano sedi di fiere (nundinae) e mercati, associati alle feste religiose, attirando un gran numero di mercanti e consumatori. La fiera meglio nota è quella campana di Marcel-liana, nel Vallo di Diano, della quale viene fornita una puntuale descrizione da Cassiodoro agli inizi del VI secolo. L’autore riferisce che le merci principalmente scambiate erano il bestiame, i tessuti e gli schiavi, alle quali si aggiungevano prodotti di altro tipo. I mercanti, forse ambulanti per l’occasione, praticavano la vendita dei propri prodotti ma anche l’acquisto delle merci locali da rivendere poi in altri mercati.

7.4. Campi Salentina. Chiesa di Santa Maria dell’Alto, zona absidale.

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Capitolo VII 331

bibLioGrAFiASintesi recente sulla cristianizzazione e

formazione delle diocesi in Pu-glia e in generale in Italia meri-dionale è in otrAnto 2009. Per una valutazione generale sulla nascita delle diocesi in Italia meridionale nel tardoantico Arthur 1999b, pp. 178-179. Per un’analisi degli insedia-menti religiosi tardoantichi in Apulia et Calabria cfr. da ul-timo berteLLi 1999b e voLPe,FAviA, GiuLiAni 1999. Per una disamina delle diocesi rurali e dei monasteri nell’Apulia voL-Pe 1996, pp. 237-254 e voLPe 1999a, pp. 305-306; per il mo-nasterium voLPe 1999b, pp. 306-309 e relativa bibliografia. Sul sistema di diffusione delle merci attraverso le nundinae tra Tardoantico e Alto Medioe-vo Arthur,PAtterson 1994, p. 422 e bibliografia citata.

7.5. Vaste. Chiesa di Fondo Giuliano, caratterizzata da più fasi costruttive comprese tra la fine del IV e il IX secolo.

7.6. San Donaci, Masseria Ponticello. Il tempietto di San Miserino.

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332 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

VII.5. La disintegrazione dell’Occidente e il V secolo Il tramonto dell’Occidente, segnato dal saccheggio di Roma del 410 e seguito dall’avan-

zata delle popolazioni barbariche, trova la più esemplare attestazione nel cambiamento che inve-ste il commercio e l’economia dell’area mediterranea nel corso del V secolo. In età severiana si era assistito alla fine dell’economia italica a vantaggio di quella nordafricana, le cui merci inva-dono il mercato italico con percentuali altissime raggiungendo l’apice economico nel IV secolo. Nella prima metà del V secolo l’egemonia delle esportazioni africane comincia ad affievolirsi, contemporaneamente all’affacciarsi sul mercato delle province orientali con prodotti ceramici e derrate alimentari, in particolare vino, che si ritrovano in tutti i contesti archeologici dell’area mediterranea. Accanto ai grandi flussi orientali occorre segnalare la vitalità economica di alcune regioni dell’Italia meridionale (Brutti e Sicilia), testimoniata dalla diffusione dei vini prodotti in queste aree, che si caratterizzano come le uniche produzioni vinarie italiche commercializzate al di fuori di un ristretto mercato locale. Si assiste, quindi, nel Mediterraneo, nel corso del V secolo, a una concorrenza commerciale ed economica tra le merci e i prodotti africani da una parte e quelli egeo-orientali e locali dall’altra.

In questo panorama si registra una regressione delle forme insediative urbane. Nel V secolo, ma soprattutto nel VI, le città sono investite da cambiamenti che manifestano un degrado delle forme urbanistiche caratterizzate dalla presenza di costruzioni di tipo rurale, di orti e di aree ab-bandonate usate per il deposito dei rifiuti e per le sepolture. La situazione è generalizzata e investe anche l’Italia meridionale, il cui centro meglio conosciuto archeologicamente è Napoli. Tra IV e VI secolo alcune città alterano la loro fisionomia, trasformandosi in agglomerati di case separati da ampi spazi aperti, altre vengono abbandonate mentre altre ancore continuano a vivere come centri minori. In Puglia sopravvivono i centri di Taranto, Gallipoli e Ugento sulla costa ionica e quelli di Bari, Brindisi, Otranto e Castro sulla fascia adriatica; sopravvive anche Lecce, ma Rudiae ed Egnazia vengono abbandonate. Al fenomeno della ruralizzazione della città si affianca il forte gra-do di urbanizzazione delle campagne. Le diocesi rurali rivestono un ruolo sempre crescente nella guida della popolazione, si sviluppano ricche case rurali mentre quelle urbane si riducono sempre più di numero, le fiere e i mercati rurali si sostituiscono a quelli cittadini. In tale panorama si pos-sono riconoscere le città di successo dalle città di insuccesso. Alle prime, caratterizzate dal man-tenimento delle funzioni urbane o da una consistente popolazione, possono ricondursi, in Puglia, i centri di Lucera, Bari, Brindisi, Otranto e Taranto. Alle seconde sono assegnate Ordona e Canosa. I parametri che definiscono queste categorie interpretative possono essere molteplici ed essere legati ad aspetti propriamente “materiali” oppure “istituzionali”, nel qual caso ad esempio la città di Canosa, sede del governatore e importante diocesi, potrebbe considerarsi una successful town.

Il processo di ruralizzazione dell’habitat urbano si accentua nell’Alto Medioevo. Occorre at-tendere i secoli pieni del Medioevo per assistere a una rinascita delle città come agglomerato urbano.

bibLioGrAFiAPer una sintesi sugli scambi commerciali nel Mediterraneo in età tardoantica PAneLLA 1993. Sulla città tardo-

antica PAvoLini1993,LePeLLey1996 e da ultimo Arthur 1999b con relativa bibliografia; sulla città tra Tardoantico e Alto Medioevo CArAnDini 1993b, pp. 27-35. Sul rapporto tra città e campagna FuMAGALLi 1985. Sulle città di successo e di insuccesso Arthur1999b, pp. 184 e ss.; per il dibattito sulle città di successo e di insuccesso Ordona X, pp. 536-537. Sulla città e il paesaggio urbano tra Tardoantichità e Altomedioevo voLPe,GiuLiAni 2011.

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Capitolo VII 333

VII.6. La stagione ostrogota. La riconquista dell’Italia e la fine della Tarda Antichità La caduta dell’Impero Romano del 476 costituisce un episodio simbolico all’interno del

vasto processo di trasformazione in cui l’Impero d’Occidente non aveva più un ruolo istituzio-nale e politico. La presenza ostrogota in Italia è legata alla figura di Teodorico, inviato nella pe-nisola dall’Imperatore d’Oriente, Zenone, per contrastare il dominio di Odoacre. Il processo di riconquista fu lungo: le imprese militari, avviate nel 488, si conclusero nel 493 con la vittoria di Teodorico e la conseguente nascita del regno ostrogoto, localizzato nell’area centro settentriona-le della penisola. La grandezza del regno di Teodorico risiede nella volontà di creare una convi-venza tra l’elemento romano e l’elemento barbarico, affidando agli uni l’amministrazione civile e agli altri la difesa militare del regno. Al lungo periodo di tranquillità e benessere instaurato dal re goto seguono nuove imprese militari alimentate dalla politica giustinianea di riconquista.

La politica attuata da Giustiniano mira alla riconquista dell’Africa vandala e dell’Italia ostrogota. Le vicende del conflitto greco-gotico perdurano per un ventennio (535-553) e si con-cludono a favore dei Bizantini. Il successo sul piano politico e militare è notevole e l’impe-ro di Giustiniano viene inteso come un momento di ripresa della tradizione politica romana. Sull’organizzazione territoriale dell’Italia in età giustinianea riferisce Procopio, ma per l’Italia meridionale lo storico riporta poco; in particolare per l’Apulia et Calabria, che continua a essere provincia portuale e agricola per eccellenza, sono messi in rilievo i centri di Brindisi, Otranto e Taranto e l’importante nodo stradale di Canosa. In età giustinianea si assiste in Puglia alla destrutturazione dell’organizzazione insediativa ed economica che si era affermata in età tardo-antica. Le cause vengono attribuite agli effetti degli eventi bellici ovvero all’occupazione lon-gobarda che comporta l’affermarsi di sfavorevoli condizioni socio-politiche. Verosimilmente è da ritenere che l’insieme di diversi fattori abbia contribuito a determinare una forte discontinuità nelle forme di occupazione del paesaggio. Numerosi insediamenti di pianura, che rispondevano al modello paganico-vicano, vengono abbandonati. Sorte migliore tocca ai centri portuali pu-gliesi della costa settentrionale (Barletta, Trani, Bari) il cui sviluppo continua e si protrae fino al pieno medioevo. Al contrario la fascia costiera meridionale documenta un degrado evidente nell’arretramento della viabilità di costa e nella crisi di centri portuali come Egnazia. Nella prima metà del VI secolo le zone interne settentrionali mostrano chiari segni di abbandono o di rioccupazione diversa dei vici, delle villae e delle fattorie tardoantiche particolarmente evidenti nella villa di Agnuli a Mattinata e ad Avicenna nel Piano di Carpino (Foggia). Ma forme nuove di occupazione sono presenti anche nella Calabria: a Santa Maria dell’Alto a Campi Salentina e a San Miserino a San Donaci (Brindisi) tra VI e VII secolo nascono villaggi intorno a un edificio di culto sorto sul sito di una villa romana. Segni di abbandono e di spopolamento del paesaggio rurale sono ancora attestati nel Salento nei territori di Oria, Valesio, Supersano, Cutrofiano. Par-ticolare rilievo riveste tra VI e VII secolo la città di Otranto che si attesta come principale porto dell’Adriatico meridionale, superando Brindisi nei collegamenti con il Mediterraneo orientale. La città si caratterizza, oltre che per le attività commerciali, anche per quelle artigianali con la presenza di un quartiere ceramico destinato alla produzione di anfore da trasporto e ceramiche di uso comune che documentano un quadro vitale dell’economia della Puglia meridionale agli inizi dell’Alto Medioevo, con una produzione agraria che di certo valica i confini dell’autoconsumo e inserisce i prodotti agricoli in un ampio flusso di esportazioni.

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334 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

Nonostante la vitalità economica di alcune aree, prima fra tutte quella pugliese, è inne-gabile il clima di difficoltà in cui vivono l’Italia e l’Occidente nel VI secolo. La fine del mondo antico è prossima e il sopraggiungere dei Longobardi apre le porte al Medioevo.

bibLioGrAFiAPer la storia dei Goti WoLFrAM 1979. Sul paesaggio e l’economia apula in età altomedievale MArtin,noyé 1991,

p. 46, D’AnGeLA,voLPe 1994 e voLPe 1996, pp. 372-376. Per la situazione del territorio salentino tra VI e VII secolo ynteMA1986,boersMA,ynteMA1987,GiAnnottA1990,MeLissAno 1990a. Sull’organizza-zione territoriale dell’Italia giustinianea zAnini 1998, pp. 33-44 e relativa bibliografia. Per le produzioni di anfore e ceramiche di uso comune di Otranto Arthur et alii 1992 e da ultimo LeoiMPeriALe 2003 e relativa bibliografia.

VII.7. L’invasione longobarda e il nuovo assetto politico Tra la fine del VI e il VII secolo due grandi eventi travolgono l’Italia meridionale: la

peste e l’invasione longobarda. Sulla diffusione della peste le notizie sono in generale poche, e inesistenti per la Puglia, anche se le conseguenze seguite al manifestarsi dell’epidemia hanno probabilmente rivestito un ruolo considerevole nella crisi che investe la regione e che causa lo spopolamento di vaste aree in Puglia. L’invasione longobarda avviene in due tempi: l’area centrosettentrionale viene conquistata alla fine del VI secolo, con l’annessione al Ducato di Be-nevento, mentre il rimanente territorio regionale rimane sotto il controllo dell’amministrazione imperiale per circa un altro secolo. Le fonti scritte riportano come importante conseguenza indiretta dell’arrivo dei Longobardi nel Tavoliere la scomparsa delle città di pianura e di bassa collina, già colpite da una crisi demografica ed economica che perdurerà fino ai secoli XI-XII. Anche i centri della Puglia centromeridionale, nonostante una conquista meno brutale, presen-tano sintomi di crisi. Numerose città cessano di essere sede vescovile (Brindisi, Lecce); alcuni centri perdono il prestigio amministrativo e numerosi siti registrano un forte calo demografico finanche a scomparire, come Rudiae ed Egnazia. In generale il quadro insediativo della regio-ne rimane ancora poco noto per i secoli VI e VII. Le fonti scritte annoverano in questi secoli solamente quattro siti costieri che sembrano conservare un importante ruolo politico ed eco-nomico: Siponto, Taranto, Otranto e Gallipoli. L’arrivo dei Longobardi crea nella regione una cesura territoriale tra l’area centrosettentrionale e quella meridionale che perdura fino alla metà del IX secolo. I territori del Subappennino Dauno, dove già alla fine del VI secolo sorgevano alcuni castra bizantini, sono i primi a essere conquistati e le evidenze archeologiche offerte dai cimiteri di VI-VII secolo indagati in Capitanata mostrano i segni di un contatto culturale tra etnie bizantino-romane e gruppi di cultura longobarda. Le successive tappe della conquista longobarda seguono la morte di Costante II (668) e interessano le città di Taranto e Brindisi e le aree limitrofe. La città di Otranto cade in mano longobarda per un breve periodo (dal 710 al 758) mentre Gallipoli e l’area circostante sono sempre rimaste sotto il controllo dell’Impero d’Oriente. A differenza dell’area settentrionale, i dati archeologici dei cimiteri altomedievali di San Pietro Mandurino (Taranto), Santa Maria di Crepacore (Brindisi) e Gennarano (Lecce) non hanno fornito elementi utili a riconoscere gli eventuali caratteri culturali longobardi da quelli autoctoni. Le influenze culturali longobarde sono particolarmente evidenti invece nella piccola chiesa di San Pietro della Masseria Seppannibale Grande, nel territorio di Fasano (Brindisi) (fig. 7.7). L’edificio nei caratteri architettonici e scultorei, ma soprattutto nel ciclo di affreschi,

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Capitolo VII 335

rivela contatti con l’ambito longobardo campano inserendosi nella temperie artistica di fine VIII secolo.

In un quadro caratterizzato da rapporti confusi, in cui le conquiste dei centri abitati e le successive restituzioni sono continue, non si scorge la presenza di una definita “linea di fron-tiera” politica e militare tra le aree di influenza longobarda e quelle di influenza bizantina. In questo panorama instabile le vicende delle città pugliesi e i caratteri del paesaggio rurale e delle forme insediative in esso presenti sono al momento archeologicamente poco noti. Fino al tardo VIII secolo la situazione rimane ancora caotica e caratterizzata dalla coesistenza sul territorio regionale della presenza longobarda, limitata all’area settentrionale e alle città di Bari, Brindisi, Oria e Taranto, e di quella bizantina nel Salento meridionale.

bibLioGrAFiAIn generale, sulla Puglia tra Tardoantico e Altomedioevo voLPe,turChiAno 2005. Sulla Puglia tra fine VI e VII

secolo MArtin 1993, pp. 146-160; per un’analisi archeologica del Salento in età bizantina Arthur 1997. Per i dati archeologici dei cimiteri altomedievali della Puglia settentrionale D’AnGeLA1991,D’AnGeLA,voLPe 1994, p. 299; zAnini 1998, p. 279; per quelli dei cimiteri altomedievali salentini D’AnGeLA 1975 e MAruGGi,LAverMiCoCCA 1999. Per il tempietto di Seppannibale MonGieLLo 1988, pp.231-237, berteLLi 1994b e da ultimo berteLLi 2004, pp. 121-138. Sulla presunta presenza di una “linea di frontiera” bizan-tino-longobarda nella Puglia meridionale e sul cosiddetto “Limitone dei Greci” cfr., da ultimo, strAnieri 2000 e relativa bibliografia.

7.7. Fasano. Chiesa di San Pietro della Masseria Seppannibale Grande.

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336 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

VII.8. Il territorio in età bizantina: forme insediative ed aspetti economici Carattere dominante della Puglia bizantina è lo scarso popolamento del territorio con aree

a volte quasi completamente disabitate o abbandonate. A questo stato di cose sono intimamente collegate le forme di organizzazione territoriale e i modelli di abitato. Elemento caratterizzante la nuova organizzazione territoriale è la nascita, a partire dall’VIII secolo nelle aree sottoposte a controllo longobardo, delle circoscrizioni territoriali di tipo amministrativo (gastaldati) che presentano funzioni e forme diverse rispetto alle vecchie città. I dati archeologici al momento disponibili non offrono un panorama completo e sufficientemente chiaro della situazione re-gionale. Il fenomeno insediativo è caratterizzato dalla presenza di castra o centri fortificati e di modesti insediamenti rurali che spesso rioccupano siti di età romana. Le ricerche archeologiche condotte nel territorio salentino confermano queste forme di occupazione: nell’area di Quattro Macine (Lecce) almeno sette su dieci dei siti rurali sorti tra il VII e il X secolo nascono su siti tardoromani. Ancora a Supersano (Lecce), recenti scavi archeologici hanno individuato fondi di capanne (grubenhauser), databili al VII secolo, che testimoniano la diffusione di modeste forme insediative caratterizzate da un’architettura povera.

In Puglia i centri fortificati sono un numero ridotto e generalmente la nascita è connessa a motivazioni di rilievo quale ad esempio quella di luogo di pellegrinaggio come nel caso del castellum di Monte Sant’Angelo, che acquista una nuova importanza a partire dal IX secolo. Delle città di vecchia fondazione continuano a sopravvivere solamente quelle collocate lungo gli importanti assi stradali dell’Appia e della Traiana (Taranto, Brindisi) e le città portuali rivolte verso i Balcani (Otranto) o affacciate sulla costa ionica (Ugento e Gallipoli) ma con funzioni economiche, amministrative e religiose molto ridimensionate. Otranto è l’unico centro dell’Ita-lia meridionale adriatica che restituisce dati archeologici utili a definire il panorama economico della fase bizantina. L’individuazione di un impianto produttivo di anfore da trasporto e cera-mica, diffuse in ambito non solo locale, apre nuove prospettive di analisi sul ruolo economico rivestito dalla città e dal territorio nell’altomedioevo a livello di economia agraria (caratteri e tipo di produzione) e di traffici commerciali.

In un panorama dominato da aree poco abitate e quasi abbandonate domina un’economia di tipo agrario in cui l’incolto, anche boschivo, riveste un ruolo di rilievo. Naturalmente i centri economicamente più vivaci sono quelli cittadini costieri e le città dislocate lungo importanti arterie di traffico, ma si riducono a un numero molto limitato. Il potere economico maggiore è detenuto verosimilmente dai vasti possedimenti dei grandi monasteri e dell’alta aristocrazia, anche se un ruolo importante doveva probabilmente rivestire la piccola e media proprietà, la cui esistenza è attestata da una quantità limitata di documenti.

bibLioGrAFiASulla organizzazione territoriale pugliese in età bizantina e sulle forme economiche MArtin 1993, pp. 176-225.

Su Quattro Macine Arthur et alii 1996 e Arthur 1998a. Sullo scavo della grubenhauser di Supersano Arthur 1999a e da ultimo Arthuret alii 2011. Per le fasi altomedievali di Ordona cfr. da ultimo Ordona X, pp. 538-541. Sul ruolo economico di Otranto in età altomedievale zAnini 1998, p. 309; Arthur et alii 1992; D’AnDriA,Whitehouse 1992 e LeoiMPeriALe 2003.

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Capitolo VII 337

VII.9. La lenta crescita: ripresa demografica, villaggi e choria, i Saraceni In Puglia la crescita demografica che riprende nel corso dell’VIII secolo si manifesta

soprattutto nel territorio centrale della regione, mentre il Tavoliere e il Salento settentrionale restano in gran parte aree deserte fino al secolo XI. La forma insediativa maggiormente diffusa tra IX e X secolo è quella dell’abitato rurale spesso abbastanza consistente nelle dimensioni e generalmente “aperto”, non fortificato, denominato chorion che si affianca “alle città murate” (kastron) e ai piccoli insediamenti fortificati di altura (kastellion) dislocati nelle zone strategi-camente importanti (area garganica, entroterra di Taranto). Tuttavia per nessuna di queste forme insediative esistono evidenze archeologiche che permettono di caratterizzarle. Per lo stesso cho-rion si discute se potesse avere forma enucleata o dispersa ovvero entrambe le forme a seconda dei casi. Lo scavo degli insediamenti di Apigliano e di Quattro Macine (Lecce) fornisce impor-tanti dati per la “costruzione dell’archeologia del villaggio bizantino”. Ad Apigliano le ricerche hanno evidenziato i resti di strutture con piani di calpestio in terra battuta e alzati realizzati con pietre a secco o con mattoni crudi; fosse per la conservazione di derrate alimentari e un impianto per la lavorazione del ferro. Le evidenze archeologiche di Apigliano e Quattro Macine sembrano suggerire la prevalenza nell’VIII secolo inoltrato, nell’area meridionale della regione, del cho-rion, villaggio dalla struttura aggregata intorno a una chiesa.

Un ruolo importante nella Puglia bizantina dei secoli IX e X riveste la presenza araba, che dai primi decenni del secolo IX era ormai stabile in Sicilia e le cui ripercussioni nell’Italia meridionale furono considerevoli. In un clima fortemente arabizzato la comparsa dei Saraceni in Puglia viene indicata nell’anno 839 con la conquista di Brindisi e poi di Taranto, quest’ulti-ma città trasformata in baluardo delle scorrerie piratesche. Ma la conquista principale riguar-da Bari, che dall’847 all’871 diventa sede di emirato. Durato un quarto di secolo, l’emirato barese ha lasciato traccia in poche cronache, mentre i suoi effetti negativi hanno influenzato l’areale circostante e in particolare le zone di confine. La presenza araba nel Mare Adriatico fu considerata da Bisanzio una forte minaccia politica ed economica, tanto da indurre dapprima l’Imperatore Teofilo e poi Basilio I a un forte intervento militare e politico di riconquista, con-clusa nell’istituzione del tema di Langobardia che comprendeva l’attuale Puglia fino al fiume Cervaro a nord e una parte del territorio orientale della Basilicata (Matera, Tricarico, Aceren-za). Nonostante sia difficile delineare archeologicamente e storicamente in maniera puntuale le vicende delle aggressioni saracene in Puglia tra IX e X secolo, sembra tuttavia verosimile riferire queste presenze al commercio di manodopera schiavile, così come è attestato anche in altre aree dell’Italia meridionale.

bibLioGrAFiAPer un’analisi del paesaggio rurale dell’Italia meridionale in età bizantina MArtin,noyé 1988. Per gli scavi di

Apigliano e le proposte di lettura delle forme insediative bizantine nel Salento Arthur 1999b e da ultimo Arthur,bruno 2009a. Sulla presenza saracena nel Salento e in Puglia cfr., da ultimo, Arthur 2003b e relativa bibliografia.

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338 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

VII.10. Un nuovo ordine di fine millennio: la ripresa del mercato

La “seconda colonizzazione greca” dell’Italia meridionale incise in modo considerevole sul territorio pugliese che durante i lunghi anni di guerre e di incursioni aveva subito enormi devastazioni e un considerevole regresso demografico ed economico. Tuttavia, i saccheggi sa-raceni continuarono in Puglia fino agli ultimissimi anni del X secolo e il modesto impegno di Bisanzio nel portare soccorso alle province italiane provocò un acceso risentimento, sfociato in atti di violenza e di ribellione nei confronti dei funzionari bizantini.

Dopo la riconquista bizantina della fine del IX secolo acquistano importanza le città pu-gliesi affacciate sulla costa adriatica. Il ruolo principale viene rivestito da Bari, capitale del tema di Langobardia e residenza dello stratego, ma molte altre città diventano sedi vescovili ed em-pori commerciali: Siponto, Trani, Molfetta, Bisceglie, Giovinazzo, Monopoli, Brindisi, Otranto e Taranto. Il Mare Adriatico si caratterizza in questo periodo come un crocevia di mercanti, di-plomatici e pellegrini e si rivela il luogo per eccellenza del commercio tra Oriente e Occidente. La nascita di un numero cospicuo di nuovi insediamenti sulla costa, ovvero il potenziamento di insediamenti già esistenti, sottolinea l’importanza di questo mare nei contatti tra la Puglia e i Balcani, la Grecia e Bisanzio. In questo attivissimo panorama commerciale Otranto riveste il ruolo di città portuale per eccellenza dai connotati civili, militari e religiosi. In questa città arri-vano e ripartono i funzionari e i militari bizantini, i pellegrini in viaggio verso Roma, i mercanti diretti in Oriente. Le ricerche sul paesaggio pugliese medievale, concentrate prevalentemente nella zona settentrionale della regione e nell’areale idruntino, consentono al momento di trat-teggiare un quadro che sembra essere dominato, tra IX e XI secolo, dall’incolto e dalla foresta e in cui un ruolo importante e molto discusso dovrebbe aver rivestito l’allevamento transumante. Il bosco risulta padrone assoluto dell’area garganica e di alcuni tratti del Tavoliere. Anche le colture cerealicole e forse arboricole devono aver avuto una certa continuità, anche se con indici inferiori rispetto ai secoli precedenti. Ma al momento solo per il territorio di Otranto esistono dati sull’esistenza di un’importante produzione vitivinicola. L’aumento improvviso del numero di monete di IX-X secolo rinvenute nei contesti di scavo nel Salento, indica la ripresa della circolazione monetaria che potrebbe essere spia della riorganizzazione politica ed economica locale che ha favorito una produzione agricola in eccesso destinata alle esportazioni. Ma nel territorio pugliese meridionale arrivano anche numerosi prodotti dall’Oriente, come attestano in primo luogo gli scavi di Otranto. La lenta ripresa economica e sociale è ora visibile in gran parte del Mediterraneo, stimolata dai contatti commerciali e culturali con il mondo arabo. L’arrivo dei Normanni segna la fine del ruolo egemone di Otranto nei contatti tra l’Oriente e l’Italia meridio-nale, connotandosi come città periferica del regno normanno svevo.

bibLioGrAFiAPer Otranto in età altomedievale MiChAeLiDes,WiLkinson 1992 e D’AnDriA,Whitehouse 1992. Per una sintesi

sulla Puglia in età altomedievale MArtin 1993 e D’AnGeLA,voLPe 1994; per il Salento bizantino Arthur 1997. Sul ruolo dei Normanni nei cambiamenti economici dell’area pugliese Poso 1988. Sulla transu-manza in Puglia in età tardoantica e nel Medioevo, da ultimo, voLPe,buGLione,Devenuto 2011.

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Capitolo VII 339

VII.11. Normanni e unificazione All’inizio dell’anno Mille gran parte del Mezzogiorno d’Italia era sotto il controllo di

Bisanzio anche se le zone interne di Puglia, Basilicata e Campania rientravano nel ducato longo-bardo di Benevento. Ma in Puglia l’insofferenza nei confronti dei bizantini era elevata, soprat-tutto in seguito all’atteggiamento di disinteresse manifestato da Bisanzio di fronte al pericolo saraceno. Conseguenza inevitabile furono le continue ribellioni, spesso fomentate e guidate dai principi longobardi. La rivolta di Bari del 1009, con a capo il nobile Melo, favorisce l’inseri-mento di un gruppo di Normanni all’interno del tessuto sociale locale. Le fonti storiche sono concordi nell’attribuire a questo avvenimento l’arrivo dei Normanni in Puglia, in seguito a un incontro in funzione antibizantina avvenuto al santuario di San Michele Arcangelo nel Gargano tra un gruppo di pellegrini normanni, di ritorno da Gerusalemme, e Melo. Risulta abbastanza arduo ricostruire con esattezza le vicende che hanno caratterizzato il sopraggiungere di gruppi normanni nel meridione d’Italia, tuttavia pare certo che ai primi contatti di tipo mercenario fece seguito l’installazione di insediamenti stabili e la nascita di un sistema sociale la cui classe politica e militare era normanna. Il malessere che si nutriva nei confronti dei Bizantini rese sem-plice ai Normanni l’inserimento in una situazione già molto precaria. Infatti, dopo alcuni scontri militari nella zona settentrionale della regione, nel 1041 i Normanni, ormai padroni di buona parte della Puglia e della Basilicata, scelgono Melfi come centro politico e militare, munendola

7.8. Otranto. Ruderi di San Nicola di Casole.

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340 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

di mura e castello e ponendovi la sede del ducato. Con la conqui-sta di Bari del 1071 quasi l’intera regione era sotto il controllo nor-manno, al vertice del cui ducato era asceso Roberto il Guiscardo.

Ma la conquista del-la Puglia non fu cosa sempli-ce e diversi furono i fattori che ostacolarono l’insediamento normanno: l’atteggiamento osti-le della popolazione locale, dopo un iniziale entusiasmo, anche a causa delle violenze attuate dai conquistatori; la logorante re-sistenza opposta dai Bizantini nel cedere i territori pugliesi; le ribellioni interne dei conti nei confronti del duca. Una siffatta situazione comporta una con-tinua alternanza tra conquista e perdita di alcune città, come Brindisi, Otranto e Oria, che si conclude con la presa di Otran-to, ultimo successo normanno in territorio pugliese.

Occorre sottolineare che la penetrazione normanna in Puglia presenta caratteri differenti dal punto di vista politico e ammi-nistrativo tra area settentrionale e area meridionale. In materia di politica religiosa i nuovi con-quistatori, se da una parte danno impulso alla diffusione del monachesimo benedettino, dall’altra si scontrano con la presenza di una forte componente italo-greca, in particolare nel Salento, nei confronti della quale non dimostrano alcuna ostilità lasciando intatte le strutture istituzionali ed economiche esistenti. Notevole la fondazione, nel 1099, dell’importante monastero di San Nicola di Casole, presso Otranto, rinomato centro scrittorio dotato di una grandiosa biblioteca, andato distrutto in occasione dell’assedio turco del 1480 (fig. 7.8).

I secoli della presenza normanna furono caratterizzati da un forte incremento demografico e da una notevole espansione agraria che determinarono mutamenti nell’economia e nelle forme insediative. Il paesaggio pugliese non manifesta tuttavia sostanziali trasformazioni colturali ri-spetto al precedente periodo; infatti la cerealicoltura, l’olivicoltura e la viticoltura costituiscono un elemento di continuità con l’aspetto delle campagne di età prenormanna.

Il generale miglioramento demografico ebbe un effetto notevole anche sul paesaggio rurale antropizzato, caratterizzato dalla nascita di nuovi villaggi. L’habitat accentrato, in forma di inse-diamento aperto (casale) e chiuso (città, castello), contraddistingue il paesaggio rurale pugliese di questo periodo; l’insediamento urbano è invece legato alla presenza del potere ecclesiastico,

7.9. Ruvo di Puglia. La cattedrale.

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Capitolo VII 341

per cui le città sono esclusivamente i centri con sede vescovile. Si tratta generalmente di impian-ti già esistenti, ai quali non viene apportata alcuna modifica strutturale anche se le emergenze monumentali manifestano interventi legati a una committenza normanna (si pensi ad esempio alla edificazione di cattedrali e castelli e alla sistemazione delle cinte murarie). La forte ripresa della regione in età normanna è evidente nei vivaci e intensi con-tatti con tutta l’area adriatica, le cui influenze culturali trovano testimonianza nelle opere archi-tettoniche e scultoree del perio-do e soprattutto nella principale manifestazione di questo grande fervore: i numerosi cantieri delle cattedrali aperti tra XI e XII se-colo. I caratteri degli arredi scul-torei in primo luogo, ma anche le originali soluzioni architettoni-che, caratterizzano le chiese pu-gliesi in modo tanto singolare da permettere la nascita di uno stile romanico pugliese. La basilica 7.11. Foggia. Particolare del portale del Palazzo di Federico II.

7.10. Ruvo di Puglia. Particolare del portale della cattedrale.

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342 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

di San Nicola a Bari è l’esempio più noto, ma a essa si associano le grandi cattedrali di Trani, Barletta, Bitonto, Troia e della stessa Bari, senza tralasciare le numerose altre chiese dei centri minori tra cui si segnala la particolare cattedrale di Ruvo (figg. 7.9-10).

Il processo espansionistico in Puglia, Calabria e Sicilia trova una naturale conclusione nell’unificazione dei domini e nella costituzione del Regnum Siciliae, una monarchia feudale il cui sostegno economico e militare era legato alle gerarchie feudali e al vassallaggio. All’interno di questo sistema il feudo si configura come il centro propulsore delle attività economiche, in prevalenza agricole. Il nuovo sistema dell’apparato statale avviato dai Normanni trova comple-tamento con Federico II, divenuto monarca nel 1215 e con il quale il regno normanno di Sicilia passa sotto la dominazione sveva (fig. 7.11).

e.L.

bibLioGrAFiASulla presenza normanna in Italia meridionale D’onoFrio 1994. In generale sulla conquista normanna della

Puglia e sugli aspetti politici, economici e sociali si rinvia a DeLoGu1984,Poso1988,MArtin1993,trA-MontAnA2000 e relativa bibliografia. Per una guida dei monumenti federiciani pugliesi FonseCA 1997. Una recente sintesi sulla Capitanata nel secolo XI è in FAviA,Devenuto 2011.

VII.12. Il fenomeno rupestre medievale Il fenomeno rupestre medievale assume in Puglia, con le diverse articolazioni peculiari

delle aree che la caratterizzano, un aspetto di particolare rilievo in quanto costituisce l’espres-sione materiale di una vicenda culturale che per molti secoli ha caratterizzato la storia della regione.

L’habitat rupestre dell’area tarantina nella subregione delle gravine, attraversata da fre-quenti incisioni vallive scavate nei terreni pleistocenici, dove la facilità di scavo della calca-renite ha consentito la realizzazione di una variegata “architettura in negativo” (fig. 7.12) ed un’urbanistica omogenea e singolare (fig. 7.13), si discosta da quello del Salento meridionale (subregione delle serre), e ancor di più dagli episodi rupestri della Daunia. La configurazione morfologica del territorio ha difatti fortemente condizionato le modalità dell’organizzazione costruttiva dei centri rupestri, assecondando una logica di popolamento e di aggregazione legata alle necessità strategiche, religiose e politiche dei gruppi etnici.

L’interesse scientifico per il fenomeno rupestre della Puglia, inizialmente incentrato sullo studio delle grotte di maggiore dignità artistica e architettonica, e cioè le chiese rupestri, si svi-luppò negli ultimi decenni dell’Ottocento nell’ambito di una polemica storiografica sulla sponta-neità e l’autonomia delle esperienze artistiche locali, contrapposta alla teoria di una dipendenza assoluta dai modi e dalle espressioni d’arte di Bisanzio nelle province limitrofe dell’Impero. Gli orientamenti di studio successivi furono dominati dalla tesi “panmonastica” secondo cui l’intera arte bizantina del Meridione d’Italia doveva essere considerata come risultato della mediazione operata dai monaci greci giunti nella provincia italiana durante le diverse fasi delle invasioni arabe e delle persecuzioni iconoclaste; in questa visione generalizzante grotte, cripte e anfratti ipogei vennero classificati univocamente come impianti monastici basiliani e cripte eremitiche, risultato della presenza monastica italo-greca.

Nel vivace dibattito sorto a partire dai primi anni ’60 del Novecento si delineò una nuo-

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Capitolo VII 343

7.12. Ginosa. Insedia-mento in rupe del quartiere Rivolta.

7.13. Massafra. Insedia-mento rupestre della Madonna della Scala.

va metodologia di studio. Un ripensamento dell’intero problema venne dagli studi di Adriano Prandi; egli sottolineò come la locuzione “cripte basiliane” applicata ai luoghi di culto rupestri dell’Italia meridionale e specialmente del Salento avesse assunto ormai una funzione astratta-mente tipizzante e il valore di una formula erroneamente indicativa di una generica tipologia rurale. Si cominciò dunque a parlare di una “civiltà rupestre” ormai affrancata da quella dimen-sione eremitica e monastica che a lungo la tradizione storiografica le aveva imposto, ed essendo stato superato ogni pregiudizio circa la dignità architettonica degli insediamenti, si cominciò a riflettere sul significato di questa “civiltà del vivere in grotta” nell’ambito più ampio del paesag-gio naturale, agrario e urbano dell’antichità.

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344 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

Gli studi e le ricerche avviati dal Fonseca sulla scorta di queste teorie innovative hanno portato alla comprensione dell’effettivo ruolo dei villaggi rupestri nel quadro del popolamento rurale e nella complessa realtà dell’insediamento umano non solo pugliese ma dell’intera area mediterranea. Sotto l’impulso dei Convegni di Studio sulla Civiltà Rupestre medievale si effet-tuarono esplorazioni sistematiche del territorio e si inventariarono, catalogarono e descrissero le numerose evidenze rupestri di cui si conservava memoria in una documentazione disomogenea e confusa, sostituita allora con carte archeologiche delle aree d’interesse.

L’attenzione rivolta al problema della collocazione storica del fenomeno rupestre e della continuità della vicenda insediativa ha portato alla definizione di una periodizzazione della “vita in grotta” nell’ambito di un vasto arco cronologico, dalla Preistoria al basso Medioevo. La rico-struzione della vicenda storica, l’esame dei dati archeologici e le verifiche delle modificazioni territoriali delle diverse fasi sembrano definire una sostanziale continuità dell’insediamento ru-pestre nell’età preclassica, con uno iato avvenuto durante l’età classica; è poi nell’epoca di tran-sizione tra tardo antico e alto medioevo (V-VI secolo) che riprende vigore il fenomeno dell’in-sediamento rupestre civile e religioso che lungo tutto il medioevo assumerà precisi connotati culturali. L’habitat rupestre, specialmente nell’area ionico-salentina, assumerà infine particolare risalto all’epoca della seconda colonizzazione bizantina e con la massima espansione del mo-nachesimo italo-greco, nel clima di generale ripresa economica, di mobilità sociale e maggiore consapevolezza religiosa che caratterizza la fine del X secolo e perdura nei primi due secoli del secondo millennio. È in questo periodo che si definirà una vera civiltà rupestre, nella varietà dei suoi elementi e nell’articolazione delle sue forme espressive. La scarsissima documentazione storica a disposizione sugli agglomerati rupestri permette soltanto di ipotizzare che l’abbandono della maggior parte di essi sia avvenuta in seguito alla crisi agraria del XIV secolo, momento in cui alcuni di questi insediamenti, per il convergere di situazioni topografiche e geomorfologiche peculiari, presero forma urbana, costituendo il centro storico di città moderne quali Venosa, Mottola, Gravina e Palagianello.

Quanto l’habitat rupestre, nei secoli di maggior espansione, fosse integrato nella tradizio-ne dell’insediamento urbano pugliese è dimostrato dall’abbondanza di testimonianze documen-tarie relative a donazioni, concessioni, permute ed elenchi di grotte e spelonche, esplicitamente menzionate tra i beni e descritte con una terminologia precisa e pertinente. E certo non fu una Civiltà in antitesi ed opposizione a tutto ciò che era “non rupestre”, bensì la vita in grotta costi-tuiva una valida alternativa all’insediamento subdiale costruito.

Gli studi sulla civiltà rupestre hanno dunque smantellato le vecchie teorie romantiche che legavano la grotta alla figura dell’eremita. Tra le aree dell’Italia meridionale, la Puglia appare in realtà quella meno interessata dal fenomeno della grotta “basiliana” per il motivo che qui figure di eremiti sono solo raramente attestate e sempre in relazione a limitate migrazioni dalla Sicilia e dalla Calabria, regioni dove, al contrario, il monachesimo bizantino appare ampiamente docu-mentato. La corrente monastica basiliana, così chiamata dall’espressione di origine benedettina ordo sancti Basilii con cui si indicano convenzionalmente le comunità monastiche italo-greche dell’Italia meridionale e della Sicilia, si diffuse rapidamente a partire soprattutto dalla metà del VII secolo, quando in queste zone cominciarono a sorgere numerosi monasteri italo-greci, in una situazione che vedeva la compresenza di diverse esperienze monastiche, orientali e occiden-tali, benedettina in particolare, in un ambiente storico che avrebbe conosciuto il succedersi della dominazione bizantina, longobarda e normanna. L’età di maggiore sviluppo del monachesimo

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Capitolo VII 345

italo-greco si pone tra i secoli IX e X, nel periodo della seconda colonizzazione dell’Italia me-ridionale, quando si registrano un movimento migratorio di monaci verso Calabria e Lucania e la fondazione di monasteri bizantini di cui si hanno numerose notizie, ma di cui restano poche testimonianze artistiche relative alla loro ubicazione, dedicazione e committenza. In Puglia non sembra si siano conservate notizie sull’esistenza di eremiti o santi, e i monaci greci sembrereb-bero attestati solo in monasteri subdiali.

Una svolta decisiva al monachesimo greco fu poi impressa dalla potenza normanna; ar-chiviate le tesi critiche relative ad un atteggiamento sostanzialmente antigreco dei Normanni, emerge piuttosto che essi non solo furono tolleranti con le realtà monastiche bizantine, essendo maggiormente interessati alla latinizzazione delle sole sedi vescovili, ma promossero fondazioni e rifondazioni di monasteri greci, come nel caso di San Nicola di Casole, presso Otranto, fonda-to da Boemondo d’Altavilla nel 1098-1099.

La Puglia non fu dunque terra di eremiti e santi, bensì si qualifica come terra di vescovi, maggiormente legati alle città. Abbandonata dunque l’idea di un utilizzo monastico, in senso prettamente eremitico, delle cripte, anche l’analisi iconografica delle decorazioni pittoriche e, laddove si conservano, lo studio delle iscrizioni votive, hanno fornito una nuova chiave di let-tura circa la reale funzione e fruizione della chiesa rupestre tipo, non congelata intorno alla sola destinazione liturgica. La presenza di tombe all’interno e immediatamente all’esterno delle crip-te e le iscrizioni superstiti indicano con chiarezza che la loro funzione e fruizione era connessa con un ruolo privato: esse sono innanzitutto chiese funerarie. Anche le immagini e le iscrizioni relative ai committenti, sia laici che esponenti del basso clero, confermano questa interpreta-zione: le decorazioni parrebbero denunciare una committenza privata, come indicano molte figure di donatori raffigurate ai piedi delle immagini di tipo votivo affrescate nelle cripte, men-tre le formule delle dedicazioni sono ricorrenti e, quando non sono eccessivamente generiche, permettono di identificare i nomi dei donatori e dei pittori. Sembrerebbe dunque esistere una diversa connotazione della committenza per l’edilizia religiosa subdiale e quella rupestre, la pri-ma legata agli ambienti ufficiali, la seconda di tipo privato. A livello stilistico-formale, invece, non esiste alcuna differenza sostanziale tra la pittura cosiddetta monumentale delle chiese edifi-cate rispetto alle espressioni attestate negli ambienti rupestri; per ciò che riguarda i programmi iconografici invece sembra esserci un differente modo di concepirli in relazione alla diversa configurazione dello spazio: essi sono focalizzati nella maggior parte dei casi su figure di Santi, mentre nell’abside prevale la Deisis e si distinguono da quelli delle chiese subdiali per l’assenza dei cicli cristologici, sostituiti spesso da un’unica scena, in molti casi un’annunciazione, che anticipa e compendia tutta la storia della salvazione.

Per quattrocento anni la pittura pugliese è tesa verso est e trova nella Grecia il referente naturale nelle relazioni artistiche, sigillate da intensi rapporti storici che intercorsero tra le due sponde, i cui ambasciatori furono spesso monaci ed esponenti del clero italo-greco, funzionari statali e militari. Le tendenze stilistiche principali della produzione pittorica di X e XI secolo, età della dominazione bizantina dell’Italia meridionale e in cui la Puglia era a tutti gli effetti provincia bizantina, coincidono con quelle che segnano la pittura greca coeva. L’avvento dei Normanni e la fine del dominio bizantino nella seconda metà dell’XI secolo costituiscono la causa che determina la caduta verticale della produzione pittorica bizantina nella regione del XII secolo, a giudicare dai rari affreschi superstiti. Nel XIII secolo con la caduta di Costantinopoli in mano Crociata e con il conseguente frazionamento dell’impero bizantino in piccoli regni in-

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346 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

dipendenti, nasce una nuova geogra-fia artistica e la grande maggioranza della produzione pittorica superstite si situa nell’arco di questo secolo, anche se non sono conservati cicli datati. A tre secoli di distanza dal-la fine della dominazione bizantina continuano però a prevalere le tradi-zioni legate ad una pittura di origi-ne bizantina, sebbene essa cominci ad accogliere, seppur con lentezza, impulsi della pittura occidentale, in particolare durante la dominazione sveva e angioina, con l’introduzione di santi occidentali (Francesco, Leo-nardo, Benedetto), che sostituiscono i santi orientali, divenuti ormai da tempo “locali”, e la cui venerazione la popolazione si opporrà ad abban-donare, riconoscendosi ancora alla fine del XIV secolo nella liturgia e nella lingua greca (fig. 7.14).

Le situazioni ambientali con-dizionarono il sorgere di un diverso

7.14. Mottola, Cripta di San Nicola. Il santo eponimo.

7.15. Vaste, Cripta dei Santi Stefani. La complessa planimetria a croce greca ar-ticolata in nove campate.

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Capitolo VII 347

modo di inventare e creare le forme ar-chitettoniche e di ripetere schemi costrut-tivi compatibili con l’habitat ospitante; è in questo che si coglie da un lato l’ori-ginalità delle soluzioni edilizie adottate, e dall’altro la continuità della messa in pratica degli schemi urbanistici e della scansione degli spazi. L’architettura ru-pestre si ispira all’edilizia in muratura e l’imitazione non si ferma solo alle plani-metrie e ai volumi, ma si rivolge anche ai particolari architettonici col palese inten-to di ricreare l’illusione degli ambienti costruiti: non segue dunque un percorso estraneo all’edilizia costruita, ma ne co-stituisce una variante tecnica, con esiti originali ed autonomi.

Le chiese rupestri in particolare presentano, nelle forme più articolate, caratteri e schemi molto affini nelle for-me, nelle volumetrie e negli elementi architettonici, alle coeve chiese costrui-te, inserendosi a buon diritto nella storia dell’edilizia sacra pugliese, in particolare

7.16. Bari, Chiesa di Santa Candida. La chiesa presenta una planimetria spiccatamente a ventaglio.

7.17. Monopoli, cripta dei SS. Andrea e Procopio. L’ingresso con iscrizione dedicatoria collocata sulla lunetta.

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348 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

nella tradizione edilizia orientale e bizanti-na. Partendo dalle forme più semplici che prevedono un’aula quadrangolare, un’ab-side e nicchie sulle pareti, con l’aggiunta di ulteriori elementi l’architettura delle chiese rupestri raggiunge forme planime-triche estremamente complesse (fig. 7.15), dall’aspetto monumentale, che spesso rag-giunge una forte deformazione, il cui effet-to è la caratteristica forma a ventaglio della pianta (fig. 7.16). Recenti ricerche sulle forme dell’edilizia sacra hanno avuto come risultato l’identificazione di caratteristi-che architettoniche locali che permettono di parlare per la Puglia di vere e proprie scuole di edilizia rupestre, caratteristiche di aree geografiche distinte, coincidenti in linea generale con i territori provinciali: l’area di maggiore concentrazione del fe-nomeno rupestre si conserva nelle gravine del tarantino, dove emergono i caratteri più arcaici dell’edilizia sacra; la scuola barese sembra avere stretti contatti con la vicina

7.19. Carpignano, cripta delle Sante Marina e Cristina. Abside meridionale con Annunciazione e Cristo in trono.

7.18. Giurdignano, cripta di San Salvatore. Interno.

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Capitolo VII 349

area materana, dove si sviluppò una coeva scuola che produsse numerosi esempi di alta qualità; testimonianze della scuola brindisina si conservano nei territorio di Monopoli (fig. 7.17) e Fa-sano; infine la scuola salentina, caratterizzata da una diversità attribuibile alle tradizioni edilizie della diocesi grecofona (figg. 7.18 e 7.19).

L’aspetto dei complessi rupestri è dunque fortemente determinato dalla morfologia del contesto in cui essi sono ubicati: le pareti verticali di roccia di gravine e canali permettono lo scavo immediato degli ambienti, spesso disposti su vari livelli collegati tra loro tramite scale esterne tagliate nella roccia e assi viari interni all’insediamento che mettevano in comunicazione con arterie maggiori di collegamento. Articolati sistemi di approvvigionamento idrico, con fonti al centro dell’abitato e a servizio delle aree artigianali, garantivano la vivibilità dei villaggi, che talvolta erano protetti da cinte difensive dotate di torrioni e porte d’accesso.

La ricerca sull’edilizia rupestre civile, aspetto insediativo finora trascurato dai rilevamenti sistematici, è ancora agli inizi, ma si presenta come un campo estremamente promettente nell’ot-tica dello studio del popolamento medievale delle campagne. Sono state individuate differenti tipologie abitative: la casa con atrio e criptoportico, documentata nel barese, che prevedeva soluzioni planimetriche complesse, con corridoi e cubicoli di collegamento tra i vari ambienti; la tipologia più diffusa è quella della casa con camino, peculiare degli insediamenti dell’arco ionico tarantino, che presenta una divisione interna degli spazi abitativi articolati in soggiorno, cucina e alcova, spesso fornite di un silos scavato nel piano pavimentale, per la conservazione delle derrate alimentari. Una terza tipologia di casa-grotta è quella della casa mista, in cui si materializza una convivenza tra uomini ed animali, con stalla ed abitazione comprese nel me-desimo spazio (fig. 7.20).

Oltre alle abitazioni civili e agli eventuali laboratori artigianali, nel villaggio era poi spes-so compreso il luogo di culto, la cui ubicazione risponde ad una scelta urbanistica ben precisa. Per lo più le chiese sono posizionate in zone periferiche dell’abitato, o perché scavate in un mo-mento successivo rispetto alle abitazioni civili, o semplicemente per assicurare la sacralità del

7.20. Mottola, Casale Petruscio. Abitazioni con planimetria a ventaglio.

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350 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

luogo di culto, mentre nell’insediamento di gravina di solito la cripta è posta alla sommità, nel pianoro superiore o nel gradone centrale senza altre escavazioni sopra di essa per una consape-vole gerarchia di valori. Spesso poi accanto vi era la casa del prete o del custode, mentre ricorre spesso la presenza di un sepolcreto nell’area antistante la cripta.

Il vivere in grotta, con le sue molteplici forme artistiche, architettoniche e d’organizzazio-ne degli spazi, ha dunque rappresentato non uno stato di subalternità, quanto invece costituisce la manifestazione pratica di uno stato di necessità che non fa perdere nulla in termini di cultura, di rapporti sociali e di fatti istituzionali rispetto alle realtà costruite.

M.s.

bibLioGrAFiAFonseCA 1970; FonseCA et alii 1979; FonseCA 1980; Ad Ovest di Bisanzio 1990; FALLACAsteLFrAnChi1991;

Bisanzio e l’Occidente 1996; DeLL’AQuiLA,MessinA 1998; Atti Convegno Internazionale Civiltà Rupe-stre I-V.

VII.13. Insediamenti

Monte Sant’AngeloLa visita dell’insediamento di

Monte Sant’Angelo trova nel santuario di San Michele Arcangelo l’elemento centrale. Il santuario, visitabile in ogni sua parte, si connota come uno dei mag-giori centri religiosi medievali dell’Italia meridionale e dell’intera Europa, ponen-dosi come tappa obbligata del viaggio dei pellegrini verso la Terra Santa. La fondazione del santuario e il relativo cul-to micaelico sono legati alle apparizioni dell’Arcangelo che vengono comune-mente collocate nella seconda metà del V secolo.

Il santuario, dipendente politica-mente e religiosamente da Benevento, fu riconosciuto nella metà del VII secolo come santuario nazionale dei Longobar-di del meridione d’Italia in seguito alla difesa di Grimoaldo I, duca di Beneven-to, dall’attacco bizantino. In origine il complesso era costituito da una grotta divisa in due cavità in una delle quali

l’Arcangelo avrebbe lasciato con la sua apparizione l’impronta dei piedi su una roccia, ma tra VII e VIII secolo fu sottoposto a numerosi rimaneggiamenti che alterarono l’originaria struttura.

7.21. Monte Sant’Angelo, santuario di San Michele Arcangelo. Porta di bronzo datata al 1076.

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Capitolo VII 351

Grande valore rivestono le epigrafi e i segni lasciati sulle pareti del nucleo più antico tra la metà del VII e la metà del IX secolo prima del violento attacco saraceno dell’869. Alla riconqui-sta bizantina del luogo di culto, inquadrabile tra fine IX e XI seco-lo, segue l’intervento normanno, che trova la massima espressione nel portale di accesso alla chiesa e nella porta bronzea che lo chiu-de, eseguita a Costantinopoli nel 1076 su commissione del nobi-le Pantaleone, il cui programma iconografico propone l’Apparitio Sancti Michaelis. A età normanna si riconduce anche la sistemazio-ne della chiesa-grotta secondo lo schema attuale, mentre la monu-mentalizzazione dell’intero com-plesso avviene in epoca angioina (figg. 7.21-22).

La visita dell’abitato di Monte Sant’Angelo continua con un altro notevole polo religioso costituito dalla chiesa altomedievale di San Pietro, di cui resta solo l’abside, dal Battiste-ro di San Giovanni in Tumba e dalla chiesa di Santa Maria Maggiore, realizzati agli inizi del XII su committenza pri-vata. Il percorso di visi-ta è completato dal Ca-stello le cui più antiche testimonianze risalgono all’833-838, anni in cui il vescovo di Beneven-to Ursus avviò la co-struzione. La cosiddetta

7.22. Monte Sant’Angelo, santuario di San Michele Arcangelo. Campanile.

7.23. Monte Sant’Angelo. La Torre dei Giganti.

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352 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

Torre dei Giganti è considerata la parte più antica dell’edificio (fig. 7.23), cui segue il rifacimen-to normanno dell’intera cinta muraria che viene munita di torri angolari. Altri lavori seguirono in età federiciana fino alle profonde trasformazioni effettuate in epoca angioina e aragonese in relazione alla minaccia turca.

bibLioGrAFiAIn generale per il culto micaelico in Italia meridionale si rinvia a CArLetti,otrAnto 1994. Una sintesi sul culto

e sul santuario inbeLLiD’eLiA1999. Per il santuario di San Michele nel Medioevo CArLetti,otrAnto 1980; per le porte bronzee berteLLi 1990 e relativa bibliografia. Per l’abitato di Monte Sant’Angelo ber-teLLibuQuiCChio 1997b. Sul pellegrinaggio e l’itinerario micaelico inFAnte 2009.

Castel Fiorentino L’insediamento di Castel Fiorentino, nel territorio di Torremaggiore (Foggia), rientra nel

gruppo di fondazioni bizantine (Civitate, Dragonara, Montecorvino, Troia) utilizzate per argina-re l’avanzata longobarda nella parte settentrionale della regione. Sulla città, fondata da Basilio Boiannes agli inizi del secolo XI, esistono numerosi documenti scritti. Gli scavi archeologici condotti nell’area hanno portato alla luce i resti dell’abitato bassomedievale, in particolare una domus identificata con la residenza imperiale di Federico II in cui l’imperatore muore nel 1250. Sulla collina è stato messo in evidenza anche una porzione dell’abitato medievale, caratterizza-to da case di consistenti dimensioni, completate da pozzi e silos, e da un edificio di culto, con annesso cimitero, identificato con la chiesa di Sant’Angelo citata in alcuni documenti. L’edificio

7.24 Torremaggiore, insediamento di Castel Fiorentino. L’area archeologica.

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Capitolo VII 353

presenta un impianto semplice, ad aula unica completata da un’abside, affiancato su di un lato da un ambiente interpretato come sacrestia. Al periodo di grande crescita inquadrabile tra XI e XIII secolo segue, a partire dall’età angioina, un lento e inesorabile declino della città che giunge fino ad epoca moderna. La visita dell’area archeologica di Fiorentino permette di vedere una torre, la domus federiciana, la zona urbana con le abitazioni, la strada e la chiesa dedicata a San Michele Arcangelo (figg. 7.24-25).

bibLioGrAFiASu Fiorentino MArtin1993;PiPonnier1995, pp. 176-189; CALòMAriAni1998. Sulle forme insediative medievali

della Capitanata MArtin,noyé 1988. Sulle ceramiche restituite dagli scavi archeologici LAGAnArA 2004.

SipontoAntico porto della città di Arpi e principale scalo marittimo della zona settentrionale

della provincia, Siponto riveste in età tardoantica un importante ruolo commerciale ed econo-mico. Della città tardoromana sono visibili solamente gli edifici di culto: la basilica episcopale di Santa Maria e il battistero di San Giovanni, nella cui area fu edificata la chiesa medievale di Santa Maria.

La chiesa di Santa Maria, il cui impianto originario risale al IV-V secolo, presenta una pianta a tre navate con abside; a età altomedievale viene attribuita la ristrutturazione e la realizzazione di un nuovo pavimento musivo. La cattedrale paleocristiana rimase in uso probabilmente fino

7.25 Torremaggiore, insediamento di Castel Fiorentino. La torre.

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354 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

al secolo XI, quando viene sostituita dalla nuova chiesa a pianta quadrata e due absidi (fig. 7.26). Lungo la “strada di pellegrinaggio” che da Monte Sant’Angelo giunge a Siponto sorge la chiesa di San Leonardo con annesso convento e domus hospitalis. La decorazione dell’edificio rimanda a modelli d’Oltralpe e suggerisce una datazione dell’edificio alla fine del XII secolo (fig. 7.27).

I continui impaludamenti della costa e i ter-remoti succedutisi nel corso della prima metà del XIII secolo hanno favorito l’abbandono dell’in-sediamento di Siponto e il trasferimento della po-polazione in un’area vicina nella quale Manfredi, nel 1256, fonda la città di Manfredonia, i cui due poli d’attrazione sono il castello e la chiesa di San Domenico, entrambi fondati nel XIII secolo.

bibLioGrAFiAbeLLi D’eLiA 1975, pp. 47-67; beLLi D’eLiA 1998, pp. 780-782; berteLLi 1999a; CALò MAriAni 1991; FAbbri1994b;MAzzei1999;voLPe1998b; LAGAnArA 2011.

7.26. Siponto. Veduta aerea della chiesa paleocristiana a pianta basilicale rinvenuta negli scavi e della chiesa medievale di Santa Maria.

7.27. Siponto, chiesa di San Leonardo. Portale laterale.

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Capitolo VII 355

Lucera

L’importanza di Lucera in età tardoantica è documentata da alcune epigrafi che sottoline-ano la presenza periodica nella città del corrector provinciale per amministrare la giustizia nel circostante distretto; la città doveva quindi avere importanti edifici pubblici pertinenti all’ammi-nistrazione provinciale. Al momento tuttavia rimane ancora poco nota l’organizzazione urbana della città tardoromana, in quanto nascosta dall’impianto medievale e moderno. Probabilmente alcuni edifici pubblici più antichi restano ancora in uso come le terme e l’anfiteatro, mentre il ri-trovamento di alcuni mosaici nei pressi dell’odierna Porta Troia, datati al V-VI secolo, attestano l’esistenza nel tessuto urbano di una ecclesia.

Con la conquista longobarda Lucera diviene sede di gastaldato alla fine del VI secolo. Scarse sono le testimonianze della città altomedievale, di cui è nota la distruzione nel 663 per opera dell’imperatore bizantino Costante II. Ritornata in mano longobarda nel 743, la città viene riconquistata dai Bizantini nel 982 e con i centri di Ascoli Satriano, Bovino, Troia, Fiorentino, Dragonara, Civitate e Melfi rientra nella linea di fortificazione bizantina in difesa dei Longo-bardi stabili in Campania. Nel 1060 Lucera cade in mano normanna ma di questa fase non resta alcuna testimonianza archeologica.

L’importanza politica ed economica della cittadina è legata alla figura dell’Imperatore Federico II, che tra il 1233 e il 1246 trasferì in città numerose colonie di Saraceni dalla Sicilia e

7.28. Lucera. Veduta aerea del castello.

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356 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

dalla Tunisia. Di questo periodo rimango-no visibili i resti del palacium federiciano eretto sull’acropoli preromana e succes-sivamente inglobato nella cinta muraria che circonda il castello angioino. Al 1302 si data la consacrazione della Cattedrale, sorta probabilmente sul luogo della mo-schea costruita dai Saraceni. Tra i reperti archeologici restituiti dagli scavi condotti nell’area del castello, conservati presso il Museo Civico Archeologico “G. Fiorelli”, si segnalano le ceramiche e i vetri basso-medievali di produzione locale, nei quali si riscontrano influenze delle maestranze di cultura araba da collegare alle colonie saracene qui dedotte da Federico II (figg. 7.28-30).

bibLioGrAFiAberteLLibuQuiCChio 1997a; CALòMAriAni,CAs-sAno 1995; D’AnGeLA 1982a; D’AnGeLA 1986;LiPPoLis,MAzzei1991;Whitehouse 1983.

7.29. Lucera, il castello. Le torri delle mura di età angioina.

7.30. Lucera. Piatto in protomaiolica con decorazione zoomorfa (fine XIII-XIV secolo).

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Capitolo VII 357

San Giusto Del complesso archeologico di San Giusto, nel territorio di Lucera, è possibile visitare

solamente il luogo ma non vedere i monumentali resti in quanto sommersi dalle acque della diga realizzata sul Celone (fig. 7.31).

L’insediamento si presenta articolato in diverse fasi: a una fattoria del I sec. d.C. segue l’impianto, nel II secolo, di una villa composta da una parte residenziale, arricchita da mosaici pavimentali, e da una parte rustica, destinata alla produzione del vino. Alla metà del V secolo viene realizzato nell’area l’imponente nucleo religioso costituito da una chiesa, a tre navate e abside centrale, da un battistero, a pianta centrale e vasca battesimale quadrilobata, e da altri ambienti annessi. La chiesa presentava un apparato decorativo (architettonico, pavimentale, pa-rietale) particolarmente ricco (fig. 7.32).

Tra la fine del V e gli inizi del VI secolo, accanto alla originaria chiesa, viene edificato un nuovo edificio di uguale planimetria. La nuova chiesa ha destinazione funeraria, come rivelano le tombe individuate al suo interno. Il complesso di culto articolato in questa maniera, unico esem-pio di basilica doppia al momento noto in Puglia, ha una breve vita. Infatti nel corso del VI secolo un incendio danneggia la chiesa originaria che viene abbandonata a vantaggio della chiesa fune-raria che, ristrutturata, assomma anche le funzioni liturgiche. Il complesso di culto, nella forma della seconda chiesa e del battistero, continua a vivere ancora per poco tempo fino all’abbandono nel corso del VII secolo. Per le dimensioni considerevoli e per l’articolazione dell’impianto risul-ta difficile interpretare questo complesso di culto rurale. Potrebbe trattarsi di una ecclesia baptesi-malis destinata alla cura delle anime della diocesi di Lucera o di Aecae; oppure di una fondazione privata di un personaggio di elevato rango; o ancora della sede di una diocesi rurale e quindi della

7.31. San Giusto (Lucera). Veduta aerea del sito all’interno della diga del Celone.

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358 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

chiesa di un vescovo di campagna. L’ipotesi che possa trattarsi della sede del vescovo Probo pare al momento abbastanza verosimile anche in relazione ai dati forniti dai concili di Roma del 501-502 e dalla lettera di papa Gelasio I destinata al vescovo del saltus Carminianensis, localizzato nell’alto Tavoliere in un’area non molto distante dal sito di San Giusto. Se questa interpretazione risulta esatta San Giusto rappresenterebbe il primo esempio archeologicamente documentato di una diocesi rurale insediata su una statio di cui sono noti altri esempi in area laziale.

bibLioGrAFiAPer la presentazione dei risultati preliminari delle ricerche voLPe 1996, pp. 160-181; voLPe,biFFino,PietroPAoLo

1996;voLPeet alii 1997; VoLPe,FAviA,GiuLiAni1999. Per la monografia sugli scavi di San Giusto voLPe 1998a.

Troia-Aecae

Su Aecae tardoantica i dati sono molto scarsi, ma l’importanza e il ruolo della città si evincono sia dal posto che occupava lungo il tracciato della via Traiana sia dal precoce impianto della sede vescovile attestata tra III e IV secolo e attiva fino al VI. Tuttavia al momento non è stata ritrovata alcuna traccia archeologica della chiesa paleocristiana o di altri edifici riferibili a età tardoromana.

Sullo stesso luogo della città romana viene edificata nel 1019, per volere del catapano Ba-silio Boioannes, la città medievale con il nome di Troia. A questo momento viene attribuita la co-struzione della Cattedrale anche se la prima citazione documentaria risale al 1083. La chiesa ha impianto a croce latina, a tre navate concluse da una sola abside centrale. Degni di nota nell’ap-

7.32. San Giusto (Lucera). Pianta generale del complesso paleocristiano.

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Capitolo VII 359

parato decorativo dell’edifico sono il rosone traforato e le due porte bronzee commissionate dal vescovo Guglielmo II e realizza-te da Oderisio da Benevento nel XII secolo, come documentano le iscrizioni presenti sui manu-fatti (figg. 7.33-35).

Probabilmente anteceden-te alla costruzione della cattedra-le è la chiesa di San Basilio, la cui prima menzione è riportata in una pergamena del 1087. L’edifi-cio, a tre navate con transetto ag-gettante e abside centrale, trova confronti generici per l’impianto in area campana e apula. Nume-rosi rimaneggiamenti e restauri impediscono di fornire una lettu-ra puntuale dell’impianto origi-nario di questa chiesa.

7.33. Troia. Veduta aerea obliqua della cattedrale.

7.34. Troia. La cattedrale.

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360 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

bibLioGrAFiAvoLPe 1996, pp. 126-127. Sulla città tardoromana e sull’ubicazione della chiesa paleocristiana D’AnGeLA 1982b e D’AnGeLA 1984, p. 331; sulla città medievale MArtin 1990. Per la chiesa di San Basilio beLLiD’eLiA 1975, pp. 21-26.

Ordona

La città romana, dopo un periodo di grande splendore, se-guito alla riforma dioclezianea, che vede la città occupare un posto di primo piano tra i centri dell’intera provincia, vive a par-tire dal IV secolo una graduale trasformazione, manifesta nel cambiamento della destinazione e dell’impianto di molti edifici pubblici riutilizzati principalmen-te come magazzini.

Il declino fu lento e il cen-tro rivestiva ancora un’impor-tanza religiosa notevole nel cor-so del V secolo, come attesta la presenza di un vescovo e di una

probabile chiesa episcopale. Una ruralizzazione dell’insediamento, seguita da un ridimensiona-mento demografico, si riscontra a partire dalla fine del V secolo, quando la città viene sostituita verosimilmente da un vicus.

Le conoscenze per l’Alto Medioevo sono minime. Gli scavi effettuati nell’area della città suggeriscono la presenza di un insediamento caratterizzato da nuclei di semplici strutture abi-tative, con annessi cimiteri, distribuiti all’interno di ampi spazi abbandonati della città antica. A questo lungo periodo di scarsa frequentazione e degrado segue la ripresa e il ripopolamento dell’area a partire dal X-XI secolo. A questa fase risale probabilmente l’interramento del noto tesoretto costituito da 148 monete d’oro di tipo musulmano e da una moneta bizantina di Basilio II. Allo stesso periodo viene inoltre riferita la costruzione della chiesa a tre navate e tre absidi, individuata sulla collina settentrionale fuori dell’antica area urbana, e probabilmente da identi-ficare con la chiesa di San Pietro in castello Dordano (figg. 7.36-38).

Tra XII e XIII secolo si sviluppa il casale il cui impulso costruttivo viene favorito dalla trasformazione, operata da Federico II, della citata chiesa di San Pietro in domus fortificata e dall’arrivo di nuovi gruppi umani appositamente trasferiti in questi luoghi dall’autorità imperia-le. L’abbandono del villaggio medievale, fondato su un’economia agraria dedita alla cerealicol-tura e all’allevamento, si colloca nel corso del XV secolo.

7.35. Troia, la cattedrale. Porta bronzea di Oderisio da Benevento.

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Capitolo VII 361

bibLioGrAFiAIn generale per i risultati del-

le diverse campagne di scavo condotte a partire dal 1962 dalla missione archeologica belga e successivamente anche da quella italiana cfr. i vari volumi Ordona I-X. Per una sintesi sto-rico-archeologica sulla città Mertens 1995; per una recente lettura archeologica di Ordona tardoantica e medieva-le si rinvia a Ordona X, pp. 507-554.

7.36. Herdonia, il castellum. Veduta aerea del 2006.

7.37. Herdonia. Planimetria del castellum.

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362 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

FaragolaLo scavo del sito di Faragola rientra in un ampio progetto di archeologia dei paesaggi che

interessa la valle del Carapelle e che prevede ricerche sistematiche che coniugano allo scavo archeologico le ricognizioni di superficie e le prospezioni aeree e geofisiche. In questo ampio e intenso panorama di studi e ricerche la villa di Faragola costituisce l’evidenza più spettacolare. A un impianto di età imperiale ancora non ben definibile nell’assetto planimetrico segue una trasformazione di ampie proporzioni che trova nel V secolo il momento di massima espressione con la realizzazione di una grande e articolata villa.

Di questa lussuosa residenza costituiscono elementi di rilievo del settore residenziale un ricco impianto termale e una grande sala da pranzo (cenatio) completa di stibadium (sedile per i banchetti) in muratura, dalla caratteristica forma semicircolare, dotato di una fontana e rivestito nella parte frontale da una ricercata e originale decorazione in opus sectile marmoreo e mosaico con inserzione di elementi scultorei. Il complesso decorativo della sala è completato da una pavimentazione in lastre di marmo con pannelli in opus sectile vitreo e marmoreo di alta fattura posizionati sull’asse centrale dell’ambiente. Nel complesso la varietà e la qualità delle decorazioni musive dell’intera villa costituiscono uno dei contesti tardoantichi più importanti del territorio pugliese.

7.38. Herdonia. Strutture murarie nell’area del castellum.

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Capitolo VII 363

La villa rappresenta una delle testimonianze più significative delle ricche residenze rurali tardoantiche dell’Italia meridionale. Seppure non sia ancor possibile identificare il dominus pro-prietario di certo i caratteri architettonici e decorativi suggeriscono l’appartenenza a una ricca e potente gens dell’Impero.

La fisionomia della villa tardoantica non ebbe lunga vita. Tra la fine del VI e il VII secolo si impianta sulle strutture esistenti un abitato altomedievale cui segue l’abbandono nel secolo VIII.

Nel sito è stato realizzato un percorso di visita che si snoda all’interno delle strutture an-tiche, completo di sistema didattico e informativo. Particolare rilievo riveste il progetto di visita virtuale che mediante la “Time Machine” permette di effettuare il viaggio attraverso le fasi sto-riche dell’insediamento (figg. 7.39-41).

bibLioGrAFiASugli scavi di Faragola voLPe,DeFeLiCe,turChiAno 2004; voLPe,DeFeLiCe,turChiAno2005;voLPe,DeFeLi-

Ce,turChiAno2006 e da ultimo voLPe,turChiAno2009. Per il progetto di visita virtuale DeFeLiCe 2008 e da ultimo DeFeLiCe 2012.

7.39. Faragola (Ascoli Satriano). Pianta della villa tardoantica

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364 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

Canosa

In età tardoantica la città, capoluogo della provincia e sede del governatore, ha svolto, nella regione Apulia et Calabria ma anche in Italia meridionale, un importante ruolo sia economico sia politico e religioso, quest’ul-timo manifesto negli edifici di culto realizzati tra IV e VI seco-lo. Alla figura del vescovo Sabi-nus e alla sua attività costruttiva, documentata negli anni centrali del VI secolo, risale il momento di maggiore gloria della dioce-si, che assomma numerosi pos-sedimenti in Italia meridionale e in Sicilia. All’attività edilizia di Sabinus è da collegare la ri-strutturazione della basilica di San Leucio, con pianta a doppio tetraconco e ricca decorazione musiva (fig. 7.42); l’edificazio-ne del battistero di San Giovan-ni, a pianta dodecagonale con quattro ambienti posti sugli assi principali (fig. 7.43), e la ristrut-turazione della cattedrale di San Pietro con annesso complesso episcopale, la cui costruzione viene fatta risalire al IV secolo. L’area di San Pietro, sottoposta a indagini archeologiche in anni recenti, ha messo in evidenza un articolato complesso religioso con caratteri funerari, residen-ziali, liturgici e cerimoniali (fig. 7.44). Il periodo compreso tra la morte del vescovo Sabinus e i secoli VIII e IX documenta un forte crollo del potere religioso nella città e un generale fenome-no di crisi.

7.40. Faragola (Ascoli Satriano), villa tardoantica. La cenatio.

7.41. Faragola (Ascoli Satriano), villa tardoantica. I pannelli in opus sectile della cenatio.

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Capitolo VII 365

7.42. Canosa. La basilica di San Leucio.

7.43. Canosa, battistero di San Giovanni. Veduta aerea del 2005.

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366 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

Nella seconda metà del VI secolo si registra un deca-dimento da riferire alla Guerra Greco-Gotica e all’invasio-ne franco-alamanna. Nel VII secolo Canosa entra a far parte del gastaldato di Benevento. Gli interventi di età longobar-da sono visibili nelle ristrutturazioni operate sui monumenti preesistenti (San Leucio, San Giovanni) e nella costruzione di nuovi edifici di culto quale ad esempio la chiesa di Santa Sofia. A età altomedievale sono da riferire anche la costru-zione della nuova cattedrale nell’area del foro della città ro-mana, di un edificio absidato sul luogo del tempio di Giove Toro, e del monastero di San Quirico, menzionato nei docu-menti dal X secolo. All’XI secolo risale la realizzazione della cattedrale attuale, impiantata sul sito di quella altomedievale, che custodisce all’interno l’ambone di Accetto e la cattedra di Romualdo. La cattedrale fu sede del vescovo di Canosa e di Bari fino alla fine del secolo XI, a sottolineare il notevo-le ruolo religioso rivestito dalla città nei secoli centrali del Medioevo, nonostante l’accresciuto potere di Bari dopo la riconquista bizantina dell’876.

7.44. Canosa. Veduta aerea del complesso episcopale di San Pietro.

7.45. Canosa. Mausoleo di Boemondo.

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Capitolo VII 367

Tra gli edifici medievali di Canosa non va tralasciato nella visita il Mausoleo di Boemon-do, un piccolo edificio marmoreo quadrangolare concluso da un’abside e completato da una cupoletta innestata su un tamburo ottagonale, che conserva una pregevole porta bronzea (fig. 7.45). Del castello, di probabile fondazione normanna, si conoscono soprattutto la fase sveva e angioina.

Strettamente legato a Canosa è il vicus di Bardulos (Barletta), che in età tardoantica svolge il ruolo di approdo portuale del capoluogo di provincia. Gli scavi archeologici condotti all’inter-no della cattedrale medievale di Barletta hanno intercettato una precedente chiesa a tre navate, con una ricca pavimentazione musiva, la cui costruzione è da riferire alla operosità di Sabinus per la presenza dei mattoni con il monogramma del vescovo.

bibLioGrAFiAbeLLiD’eLiA1975;beLLiD’eLiA2003;berteLLi,FALLACAsteLFrAnChi1981;CAssAno1992a;FALLACAsteL-

FrAnChi1993;GreLLe1992c;voLPe2006;voLPe2007;voLPeet alii 2002, pp. 133-190; voLPe et alii 2003, pp. 107-164. Sugli scavi di Barletta GiuLiAni,FAviA 1997 e GiuLiAni 1999.

TraniSede episcopale in età pa-

leocristiana e successivamente di gastaldato longobardo, la cit-tà conserva poche testimonianze archeologiche e artistiche rela-tive alle fasi di vita più antiche. Tra queste si segnala la chiesa altomedievale di San Martino, ubicata a breve distanza dalla cattedrale. Trani accrebbe mol-to la propria importanza dopo la distruzione di Canosa (IX se-colo) quando il porto costituì un centro nodale per le attività ma-rinare della costa adriatica pu-gliese che aumentarono in modo considerevole a partire dall’età normanna. Il centro conserva notevoli evidenze di età roma-nica, ponendosi come una tappa fondamentale nel percorso del romanico pugliese.

La bellezza della chiesa di Ognissanti, eretta nella prima metà del XII secolo nel cortile dell’Ospedale dei Templari, vie- 7.46. Trani. La cattedrale.

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368 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

ne messa in ombra dalla imponenza della cattedrale, isolata e dominante sul mare (figg. 7.46-48). Dedicata a San Nicola Pellegrino la chiesa è il risultato della sovrapposizione e fusione di diversi edifici di culto. L’edificio romanico (fondazione del 1097) infatti ingloba e custodisce la precedente chiesa di Santa Maria, a tre navate divise da colonne romane di reimpiego di marmo e granito, nel cui ipogeo sono conservate le reliquie di San Leucio. Di particolare rilievo la cripta e la porta bronzea, opera di Barisano da Trani, oltre al ricco apparato scultoreo in particolare del portale maggiore. All’interno della chiesa superiore, divisa in tre navate da dodici coppie di co-lonne (carattere unico nella regione), si distinguono i matronei e i resti del mosaico pavimentale del XII secolo.

A breve distanza dalla cattedrale, lungo il mare, sorge il castello, costruito da Federico II nel 1233, a pianta quadrangolare con quattro torri quadrate ai vertici.

bibLioGrAFiAbeLLiD’eLiA1975;berteLLi2002;berteLLi 2004, pp. 85-89 e 237-240;CAssAno,CArLetti 1992, pp. 901-906;

ronChi 1985.

7.47. Trani, la cattedrale. Zona absidale. 7.48. Trani, la cattedrale. Particolare del portale.

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Capitolo VII 369

Castel del MonteL’edificio, noto per la sua insolita planimetria, sorge su una bassa collina della Murgia che

domina il paesaggio circostante. Al castello è legata la figura di Federico II di Svevia, probabile progettista dello stesso mentre ignoto rimane l’architetto, il quale con un documento datato 29 gennaio 1240 avvia le procedure per la costruzione nel luogo in cui sorgeva l’abbazia benedet-tina di Santa Maria del Monte (fig. 7.49).

Tra gli elementi principali che caratterizzano il monumento si ricorda il ricorrere del nu-mero otto nelle soluzioni architettoniche e il contrasto cromatico ottenuto utilizzando materiali differenti: la pietra calcarea e la breccia corallina cui si accostano i marmi orientali. L’edifico è caratterizzato da una pianta a ottagono regolare, conclusa agli spigoli da otto torrioni anche ottagonali, e si articola su due piani composti ciascuno da otto stanze uguali.

Sulla destinazione funzionale della costruzione sono state avanzate diverse proposte: ri-trovo di caccia, edificio militare, ma l’ingegnoso sistema di approvvigionamento idrico e i gran-di camini suggeriscono la natura prevalentemente residenziale dell’edificio.

Di particolare interesse l’apparato decorativo scultoreo, in cui primeggiano le influenze gotiche, e il forte simbolismo geometrico legato alle conoscenze astronomiche e matematiche di matrice orientale (figg. 7.50-51).

bibLioGrAFiAbertAuX1903;MusCA1981;CADei1993;FonseCA1997, pp. 161-165 e relativa bibliografia. Da ultimo LiCinio

2010.

7.49. Andria. Veduta aerea obliqua di Castel del Monte.

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370 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

7.50. Andria. Castel del Monte.

7.51. Andria, Castel del Monte. Il portale principale.

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Capitolo VII 371

BariLa documentazione relativa a Bari in età tardoantica è poco consistente. La presenza della

sede vescovile è documentata a partire dal V secolo, quando il vescovo Concordio è citato tra i membri del concilio di Roma del 465. A una basilica paleocristiana, da identificare forse con la chiesa episcopale, sono da riferire i resti rinvenuti sotto la cattedrale romanica e il cui uso pare si possa collocare tra V e XI secolo. Numerose sono le fonti documentarie che riferiscono delle vicende della città a partire dall’Alto Medieovo. Alla metà del VII secolo Bari fu devastata dal passaggio di Costante II impegnato nella guerra contro i Longobardi. Rientrata nel gastaldato di Canosa, la città fu longobarda tra la fine dell’VIII e gli inizi del IX secolo; tra l’847 e l’871 cadde in mano saracena fino a quando, tra X e XI secolo, acquistò un importante ruolo come capitale del tema di Longobardia. Con l’età normanna la città accresce la sua importanza e alla fine del secolo XI il porto acquista un ruolo di rilievo per la partenza dei Crociati verso la Ter-rasanta. A questo periodo e al secolo seguente risale un attivo intervento costruttivo che investe l’intero centro urbano e che vede la realizzazione dei principali luoghi di culto: la basilica di San Nicola e la cattedrale. Al 1087 si data l’inizio della costruzione della basilica di San Nicola in concomitanza con l’arrivo delle reliquie di San Nicola da Mira (figg. 7.52-54). All’abate Elia

7.52. Bari. Veduta aerea obliqua della città vecchia: in primo piano il castello, in alto la chiesa di San Nicola, a destra la cattedrale.

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372 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

si deve la costruzione dell’edificio, termi-nata nel 1197, nel luogo in cui si trovava la sede del governatore bizantino. A tre navate e tre absidi interne con transetto sporgente, è completata da una cripta a oratorio e da due torri quadrangolari in facciata. Di particolare rilievo l’apparato scultoreo dei portali e dei capitelli, il ciborio e la cattedra episcopale di Elia (1098).

I lavori di costruzione della cattedra-le, avviati nel 1034 dal vescovo Bisanzio, si conclusero alla fine del XII secolo dopo vi-cende alterne che videro anche la distruzione della fabbrica da parte di Guglielmo il Malo nel 1156. La chiesa, dotata di cripta, si arti-cola in tre navate e possedeva in origine un notevole apparato scultoreo. I due principali edifici ecclesiastici della città furono com-pletati da un esemplare apparato decorativo scultoreo ascrivibile ai secoli XI e XII.

Ai margini della città bizantina fu edi-ficato in età normanna il castello. A età sveva e alla volontà di Federico II si deve il poten-ziamento e la ristrutturazione dell’edificio, mentre una seconda consistente trasforma-zione risale a Carlo I d’Angiò. L’impianto attuale munito della cinta con bastioni risale all’epoca di Isabella d’Aragona (1501-1504).

bibLioGrAFiASu Bari paleocristiana la sintesi in voLPe 1996, pp. 137-141. Sulla chiesa paleocristiana presente sotto la catte-

drale berteLLi 1994a, per la cattedrale beLLiD’eLiA 1975, pp. 99-112 e beLLiD’eLiA2003. Per gli edifici preromanici della città berteLLi 2004. Per una sintesi sulla città medievale AnDreAssi,rADinA1988 e berteLLibuQuiCChio1992.

EgnaziaCivitas dislocata lungo la via Traiana, Egnazia riveste un ruolo rilevante come insedia-

mento portuale tra tardoantico e altomedioevo, affiancandosi a Brindisi e Otranto come punto di imbarco verso l’Oriente. Sede di diocesi almeno dal VI secolo come attestano le fonti documen-tarie e i dati archeologici che registrano l’esistenza di un complesso di culto tra V e VI secolo. La basilica episcopale, individuata lungo la via Traiana, presenta un impianto basilicale a tre navate con abside centrale e nartece, arricchita da pavimenti musivi. Alla chiesa sono annessi alcuni ambienti di servizio e un battistero corredato di una vasca battesimale di modeste dimensioni.

7.53. Bari, chiesa di San Nicola. La facciata.

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Capitolo VII 373

Sempre sulla via Traiana si affaccia un’altra grande chiesa, datata al VI secolo, anche questa a pianta basilicale a tre navate e abside centrale, che si sovrappone a un precedente edificio di culto, absidato e dotato di una ricca decorazione musiva policroma, riferibile al IV-V secolo (figg. 7.55-56).

In età altomedievale l’insediamento viene riportato come mansio nell’itinerario dell’Anoni-mo di Ravenna, ma le conseguenze del conflitto greco-gotico dovettero essere notevoli anche per Egnazia se a partire dal VII secolo la città non è più sede di diocesi, ed è da riferire a un momento non meglio precisabile dell’Alto Medioevo la nascita di un insediamento fortificato di ridotte dimensioni in una porzione circoscritta della collina su cui sorgeva l’acropoli della città antica.

bibLioGrAFiAPer i mosaici paleocristiani MorenoCAssAno 1976 e LAbeLLArte 1989. Per una sintesi su Egnazia AnDreAssi et

alii 2000, CinQuePALMi,CoCChiAro 2000. Per la nascita dell’insediamento fortificato medievale LiCinio 1979 e AnDreAssi 1983, p. 41. Per una sintesi dei recenti scavi archeologici CAssAno 2009 e CAssAno2011 con relativa bibliografia.

7.54. Bari. Veduta aerea del 1974. In primo piano il complesso della cattedrale.

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374 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

OtrantoL’importanza di Otranto tra

età tardoantica e Medioevo è le-gata al suo porto che si caratteriz-za, a partire dal V secolo, come lo scalo principale per i collegamenti con l’Oriente. Nel VI secolo la cit-tà è sede di diocesi e alla basilica episcopale paleocristiana sono pro-babilmente da riferire i resti di pa-vimento musivo rinvenuti sotto il mosaico della cattedrale normanna. Ma a partire dal VI secolo si regi-stra un declino dovuto alla Guerra Greco-Gotica (535-554) a cui si ag-giungerà l’insicurezza della pene-trazione longobarda.

Della città tardoantica e alto-medievale si conosce poco. Tutta-via le ricerche archeologiche hanno evidenziato l’esistenza di un’impor-

7.55. Egnazia, area archeologica. La basilica episcopale.

7.56. Egnazia, area archeologica. Particolare della basilica paleocristiana.

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Capitolo VII 375

tante produzione ceramica locale, databile tra VII e X-XI secolo, di cui sono stati individuati gli impianti produttivi in proprietà Mitello. La città vive appieno la rinascita economica che si verifica intorno al Mille e il ruolo rivestito è ben evidente nelle merci importate dall’Oriente e in generale dal bacino mediterraneo. Otranto occupa inoltre un importante posto nella gerarchia ecclesiastica dell’Impero d’Oriente come è manifesto nella funzione di sede metropolita che riveste nel X secolo, con cinque diocesi suffraganee. Simbolo di questa crescita è la costruzione della chiesa di San Pietro, edificata durante il X secolo, con funzione di cattedrale bizantina ovvero come edificio di fondazione privata, con destinazione funeraria a partire dal secolo XI. La chiesa, dall’impianto a croce greca inscritta, è arricchita all’interno da uno splendido ciclo di affreschi risultato di cinque interventi decorativi ascrivibili alla fine del X-inizi dell’XI secolo (Lavanda dei Piedi, Ultima cena, Tradimento di Giuda) e al XIII secolo (fig. 7.57).

Con la conquista normanna del 1068 inizia il lento declino della città. Pur conservando la supremazia religiosa si affievolisce quella politica e commerciale. A età normanna, intorno al 1080, risale la fondazione della cattedrale al cui primo impianto, che presenta pianta lon-gitudinale a tre navate absidate e transetto ad aula unica, appartiene anche la cripta a orato-

7.57. Otranto. Chiesa di San Pietro.

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376 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

rio con capitelli, in parte di reimpiego, databili dal V-VI secolo alla fine dell’XI. Nel XII secolo furono realizzati consistenti trasformazioni che si conclu-sero con la realizzazione del grandioso pavimento musivo esteso nelle tre navate e nel transetto (fig. 7.58). Le complesse e articolate figurazioni (un grande albero, animali e figure mostruose, perso-naggi storici, scene del Diluvio universale, raffigu-razioni dei Mesi e dei segni dello Zodiaco, cacciata dal Paradiso Terrestre) sono frutto di una conoscen-za profonda di fonti occidentali, bizantine e arabe, sia sacre sia profane (fig. 7.59). Le raffigurazioni sono completate da quattro iscrizioni che riportano il nome del committente, l’arcivescovo Gionata, e dell’esecutore, Pantaleone, e gli anni dell’esecuzio-ne dell’opera (1163-1165).

In età aragonese Otranto si caratterizza come la città più popolosa della Terra d’Otranto, in piena espansione demografica. Nell’agosto del 1480 cade in mano ai Turchi che ne detengono il controllo fino al 1481, quando gli Aragonesi si riappropriano della

7.58. Otranto. Le maggiori emergenze architettoniche d’età normanna in piazza Basilica: la cattedrale e la torre campanaria.

7.59. Otranto, la cattedrale. Particolare del mosaico pavi-mentale.

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Capitolo VII 377

città. La riconquista comporta una intensa attività di ricostruzione che interessa la cattedrale, la cinta muraria e il castello. Quest’ultimo, di fondazione aragonese e in origine separato dall’abi-tato da un profondo fossato, ha subito varie trasformazioni e modifiche nel corso dei secoli (fig. 7.60).

A poca distanza da Otranto sorgono i resti del monastero greco di San Nicola di Casole, fondato nel 1099, il cui scriptorium ebbe un ruolo di primo piano come centro di diffusione della cultura greca tra XII e XIII secolo.

bibLioGrAFiAIn generale per una sintesi su Otranto berteLLibuQuiCChio1998. L’edizione degli scavi archeologici è in D’An-

DriA,Whitehouse1992 e MiChAeLiDes,WiLkinson 1992; per le fornaci di proprietà Mitello Arthur et alii 1992, LeoiMPeriALe 2003. Per la chiesa di San Pietro sAFrAn 1992 e FALLACAsteLFrAnChi 2004b e relativa bibliografia; per gli affreschi di San Pietro da ultimo FALLACAsteLFrAnChi 1991, pp. 45-53 e 153-158. Per la cattedrale e il mosaico beLLiD’eLiA 1975, pp. 153-173; beLLiD’eLiA 1980, pp. 101-154; beLLiD’eLiA2003;WiLLeMsen 1980. Per una lettura storica di Otranto nel Medioevo si rimanda a hou-ben 2007 e houben 2008.

7.60. Otranto. Veduta aerea della città: il complesso della cattedrale, le fortificazioni di età aragonese (fine XV secolo) che racchiudono la città e, sulla destra, il castello aragonese.

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378 Dall’età tardoantica al Basso Medioevo

Le CentoporteA breve distanza da

Otranto, nel territorio del co-mune di Giurdignano (Lecce), sono visibili i resti della chie-sa nota come “Le Centoporte”, dedicata ai santi Cosma e Da-miano (figg. 7.61-62). L’edifi-cio presenta pianta basilicale a tre navate, preceduta da nartece e conclusa da un’abside poli-gonale all’esterno. Un piccolo ambiente addossato alla navata settentrionale completa l’im-

pianto di prima fase, databile tra fine V e inizi del VI secolo. Il prototipo architettonico proviene dal mondo bizantino orientale dove si trovano numerosi confronti, a partire dalla stessa Costan-tinopoli. Tuttavia pare verosimile che la costruzione della chiesa, che utilizza molto materiale lapideo di reimpiego, non sia mai stata portata a termine. All’interno della chiesa e nelle im-mediate vicinanze si estendeva un cimitero per il quale è possibile suggerire un uso protratto nel tempo dal Tardoantico all’Alto Medioevo. Tra il VII e gli inizi dell’VIII secolo la chiesa paleocristiana fu trasformata in un piccolo monastero fortificato caratterizzato da due edifici con funzione probabilmente di chiesa e di refettorio/dormitorio.

Il complesso risulta abbandonato a partire dall’XI o dagli inizi del XII secolo. In età tar-domedievale è verosimile una dipendenza del sito dal monastero italo-greco di San Nicola di Casole.

bibLioGrAFiAPer i risultati preliminari dello scavo e in generale per un’analisi archeologica e storica dell’insediamento si

rimanda a Arthur 1994 e Arthur et alii 1996, pp. 185-194. Da ultimo, l’edizione completa dello scavo: Arthur,bruno 2009a e Arthur,bruno 2009b.

7.61. Giurdignano. La chiesa de Le Centoporte.

7.62. Giurdignano, Le Centoporte. Restituzioni tridimensionali della chiesa di 1° fase.

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Capitolo VII 379

Casaranello

La chiesa di Santa Maria della Croce a Casa-ranello (Lecce), realizzata nel V secolo e modifica-ta in età altomedievale, costituiva probabilmente il centro di un vicus. L’impianto originario era carat-terizzato da una pianta a croce latina, a tre navate, coronata da una cupola all’incrocio dei bracci del transetto.

L’importanza della chiesetta è dovuta alla presenza di un mosaico parietale policromo che riveste la cupola e la volta a botte del presbiterio. Per il carattere qualitativo dell’opera, che impiega tessere di marmo e vitree, e in particolare per la resa coloristica dei motivi figurati, la realizzazione dei mosaici, datati al pieno V secolo, viene attribu-ita a maestranze orientali, forse di Salonicco (fig. 7.63). Nella cupola è celebrata simbolicamente la vittoria di Cristo sulla morte mentre la volta a botte del braccio absidale presenta una decorazione con motivi animali e vegetali inseriti in riquadri geo-metrici e suddivisi in registri. L’edificio ha subi-to delle modifiche nell’impianto architettonico e nell’apparato decorativo in età bassomedievale con l’aggiunta di affreschi inquadrabili tra X e XIII se-colo (fig. 7.64).

bibLioGrAFiAtrinCiCeCCheLLi1974;buCCiMoriChi1983;voLPe 1996,

pp. 242-244; berteLLi 1999b, pp. 232-233.e.L.

7.63. Casaranello, chiesa di Santa Maria della Croce. Par-ticolare del mosaico policromo che riveste la volta a botte del presbiterio.

7.64. Casaranello, chiesa di Santa Maria della Croce. Ulti-mo pilastro a sud: Santa Barbara.

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VIII.1. Provincia di Foggia

Ascoli Satriano

MuseoCiviCoArCheoLoGiCo“P.rosArio”Via Santa Maria del Popolo, 68Tel. 0885 651756Sito web: http://www.ascolisatrianofg.it

Nell’ambito del “Polo Museale città di Ascoli Satriano”, il Museo Civico presenta uno spaccato dell’archeologia ascolana, in un continuum che va dal IX sec. a.C. all’età medievale.

Al suo interno sono conservati i materiali della collezione privata che l’Ispettore dei Mo- numenti e degli Scavi di Antichità Pasquale Rosario donò al Comune nel 1899 e della quale è stata pressoché ricostruita l’originaria composizione.

Tra i reperti più significativi si segnalano la raccolta di oggetti in bronzo risalenti al perio- do tra l’età del Bronzo e l’età del Ferro, la scultura in marmo raffigurante un bambino cacciatore rinvenuta durante gli scavi della Villa di Faragola e databile al II sec. d.C., gli esemplari di cera- mica geometrica dauna dalla necropoli del Parco Archeologico dei Dauni e la statua di Apollo in stile arcaistico, della prima metà del II sec. d.C.

Di particolare interesse la sezione numismatica, che offre l’occasione per un percorso nella storia della moneta antica, all’interno della quale si inserisce la zecca locale attiva in epoca preromana.

Al primo piano del Museo è allestita la mostra permanente “Policromie del Sublime”, comprendente il gruppo dei marmi policromi, ovvero 11 esemplari da mensa dipinti provenienti da un contesto funerario del IV sec. a.C. nel territorio di Ascoli Satriano. I materiali, trafugati nel 1978, in parte emigrati e poi restituiti, in parte sequestrati e poi dimenticati, rappresentano un caso unico nel panorama dell’archeologia della Magna Grecia di età tardoclassica. Destinati al corredo funebre di un personaggio di alto rango, la loro originalità risiede tanto nella pregevole realizzazione in marmo di Paro, quanto nella variegata gamma di colori delle decorazioni.

bibLioGrAFiAsiCiLiAno 1997; A. bottini,e.setAri (a cura di), I marmi dipinti di Ascoli Satriano, Milano 2009.

viii.MuseiArCheoLoGiCi

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382 Musei archeologici

Bovino

MuseoCiviCo“C.G.niCAstro”Piazza Marino Boffa, 12Tel. 0881 961025Sito web: http://www.bovino.musenet.it

Il nucleo delle raccolte archeologiche custodite all’interno del Museo Civico, allestito nell’antico Palazzo Pisani, è costituito dalla collezione di Carlo Gaetano Nicastro, formatasi con l’acquisizione di materiali provenienti da Bovino e dal territorio provinciale di Foggia a cavallo tra il XIX e il XX secolo, dai quali nel 1925 prese vita il primo allestimento museale.

Il percorso di visita si articola in quattro sezioni espositive. La prima comprende reperti di epoca preistorica rinvenuti casualmente nel territorio, tra i quali una serie di strumenti litici in selce o in ossidiana e frammenti ceramici decorati a impressione e a incisione, riferibili al Neolitico dauno. I manufatti litici di maggior rilievo sono rappresentati da una collezione di stele antropomorfe di varia tipologia, distinte in femminili (con seni plastici e collana) e ma-schili (con l’indicazione del pugnale inciso e inguainato), diversamente datate all’età del Bronzo finale-inizio dell’età del Ferro o all’età del Ferro.

La sezione preromana include testimonianze archeologiche che coprono un arco crono- logico dal IX-VIII al IV sec. a.C., tra cui due fibule in bronzo (una di tipo “siciliano”, l’altra “a occhiali”); esemplari di ceramica daunia a decorazione geometrica (monocroma e bicroma); antefisse fittili di tipo gorgonico ed etrusco-campano; un’ampia raccolta di ceramica in stile di Gnathia e alcuni elementi di armatura in bronzo.

Il periodo romano è testimoniato da una significativa raccolta epigrafica che ricorda le ma- gistrature e i sacerdozi locali – duoviri, duoviri quinquennalis e augustales – oltre che da fram- menti di ceramica sigillata, lucerne, unguentari, capitelli, fistulae fittili e frammenti di pavimenti musivi, a cui si aggiungono alcune macine di pietra lavica e attrezzi agricoli in ferro, provenienti da alcune delle numerose ville distribuite in epoca romana presso la valle del Cervaro.

Nell’ultima sezione, dedicata all’età medievale, sono esposti un gruppo di brocche a ver- nice rosso-bruna e frammenti lapidei di transenne, mensole, plutei e capitelli insieme a sculture altomedievali provenienti dall’antica cattedrale e dalla chiesa di San Pietro.

Foggia

MuseoCiviCo

Piazza Vincenzo Nigri, 1Tel. 0881 814042Sito web: http://www.foggia.musenet.it

Il Museo Civico, istituito nel 1931 e originariamente allestito nel Palazzo San Gaetano, ha la sua sede attuale nelle sale di Palazzo Arpi, che conserva murati nel prospetto laterale destro un archivolto sorretto da due aquile – opera di Bartolomeo da Foggia – e una lastra marmorea iscritta, uniche testimonianze superstiti del palazzo imperiale di Federico II, distrutto da un vio-

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Capitolo VIII 383

lento terremoto nel 1731.Il Museo si articola in diverse sezioni. La Sezione Archeologica, intitolata all’archeologa

Marina Mazzei, si apre con l’esposizione di reperti neolitici provenienti dagli scavi nella Villa comunale di Foggia e a Passo di Corvo, e di plastici ricostruttivi che offrono un’idea generale del periodo e delle attività che caratterizzavano i villaggi sparsi nel Tavoliere. Dopo le due sale riservate all’età preistorica, il percorso di visita è dedicato essenzialmente alla storia della civiltà daunia, che caratterizzò il territorio della provincia di Foggia a partire dal X sec. a.C. I materiali esposti si riferiscono soprattutto a corredi funerari provenienti da antiche città daune, quali Arpi, Salapia, Ascoli Satriano, Herdonia, in un excursus che spazia dalla ceramica a de-corazione geometrica e dagli oggetti personali in bronzo di VIII-VII sec. a.C. alle tipiche stele daunie di VII-VI sec. a.C. e alle terrecotte architettoniche di VI secolo fino alle testimonianze dei contatti con il mondo greco, documentato dai vasi apuli a figure rosse e in stile Gnathia (IV sec. a.C.). Due sale ospitano reperti risalenti all’età della romanizzazione: di particolare interesse l’esposizione di parte del complesso di ex-voto fittili dalla Stipe di San Salvatore di Lucera, databili tra il pieno IV e la prima metà del II sec. a.C., e i materiali provenienti dagli scavi effettuati nella Ordona romana, tra cui una tomba a incinerazione completa del corredo, due frammenti scultorei riferibili a Ercole (assegnati al II sec. d.C.) rinvenuti durante gli scavi nel macellum e un trapezoforo configurato a busto di erote che nasce da una zampa di felino, proveniente dall’area delle Terme.

Nell’atrio del Museo sono ricostruite due importanti testimonianze provenienti da Arpi: la Tomba dei Cavalieri, datata alla fine del IV sec. a.C. e caratterizzata da importanti pitture che l’avvicinano all’area pestana, e la Tomba della Medusa (III-II sec. a.C.), il più imponente e sug-gestivo ipogeo rinvenuto ad Arpi.

La Pinacoteca, caratterizzata dalla presenza di opere realizzate per la maggior parte da au-tori pugliesi o di formazione meridionale, conserva dipinti, sculture, disegni e incisioni databili dal XV al XX secolo. La sezione annovera nelle sue raccolte, tra gli altri, una Maddalena peni-tente di Francesco de Mura (Napoli 1696-1782), e un grande Ritratto di Ferdinando IV e Maria Carolina d’Asburgo, sovrani delle Due Sicilie, attribuito alla cerchia di Francesco Liani (1770 circa). La pittura dell’Ottocento è rappresentata in primis dal noto artista foggiano Francesco Saverio Altamura (1822-1897), del quale si conserva una rappresentativa raccolta di dipinti e disegni, ma non mancano opere dei maestri pugliesi e napoletani del XIX secolo, da Domeni-co Morelli a Edoardo Dalbono, da Filippo Palizzi a Gioacchino Toma e Giuseppe de Nigris. L’esposizione termina con una collezione di dipinti del Novecento che annovera, accanto a ope-re di Carlo Levi e Renato Guttuso, interessanti artisti pugliesi, da Giuseppe Ar a Luigi Schingo, da Alberto Testi a Gustavo Valentini.

Di particolare valore, la ricca collezione di incisioni custodite nella Sezione Stampe, com-posta prevalentemente da stampe all’acquaforte e al bulino del XVII e XVIII secolo. Tra queste, due esemplari di Giovanni Battista Piranesi, una serie di scenografie teatrali del bolognese An-tonio Basoli e varie riproduzioni di sculture antiche.

La Sezione Etnografica, che occupa quattro sale, è dedicata alle espressioni dell’artigia-nato locale: l’oreficeria di Monte Sant’Angelo; l’attività della tessitura, tipica di San Marco in Lamis, e ceramiche da mensa del Settecento e dell’Ottocento, mentre nell’ultima sala viene proposta una selezione di abiti femminili del primo Novecento.

Al piano terra, è stato istituito nel 2006 il Lapidario medievale e moderno, che ospita

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384 Musei archeologici

opere marmoree e litiche dal VI al XIX secolo: di particolare interesse uno stemma della città di Foggia riportante un’antica iconografia dell’arme civica e due statue in pietra raffiguranti San Michele Arcangelo.

Lucera

MuseoCiviCo“G.FioreLLi”Via De Nicastri, 74Numero verde 800 767606Sito web: http://www.comune.lucera.fg.it/museo/museo.html

Fondato nel 1905 e ospitato dal 1936 nelle suggestive sale del palazzo settecentesco De Nicastri-Cavalli, nel centro storico della città, il Museo Civico dedicato a Giuseppe Fiorelli consente al visitatore di ripercorrere – attraverso la ricchezza delle sue raccolte archeologiche e la suggestione di ambientazioni ricostruite – la storia di Lucera, dalla Preistoria al Medioevo.

Le testimonianze riferibili ai periodi antecedenti la fase romana sono costituite essenzial- mente da reperti ceramici: accanto a vasi d’impasto con decorazione impressa di età preistorica (alla quale si riferiscono anche strumenti in selce), l’esposizione propone esemplari databili al Geometrico Daunio e ceramica a figure rosse e a vernice nera, spaziando cronologicamente dall’età del Ferro al IV sec. a.C.

Il periodo romano è rappresentato da una ricca collezione di reperti di varia natura: alle fasi più antiche del processo di romanizzazione si riferiscono alcuni degli ex-voto fittili (teste, parti anatomiche e bambini in fasce realizzati a stampo) dalla Stipe di San Salvatore, rinvenuta sul colle del Belvedere e relativa a un edificio sacro consacrato al culto di Atena Iliaca. Nume-rose epigrafi provenienti da monumenti pubblici (come l’iscrizione che attesta l’esistenza di un tempio dedicato ad Apollo e Augusto, altrimenti ignoto) o funerari e la ricca collezione di ritratti integrano le informazioni sulla storia della città in età imperiale, documentando una fervida attività edilizia e la presenza di un ceto dirigente locale di crescente importanza. Da segnalare inoltre la collezione numismatica romana, nella quale compaiono monete della zecca imperiale di Luceria.

Il periodo federiciano, durante il quale la città conosce un fervido sviluppo, è l’orizzon-te cronologico di riferimento della collezione di ceramica medievale del Museo, nella quale spiccano le brocche provviste di un filtro per le impurità dell’acqua reso con un fine traforo ornamentale di chiara tradizione islamica. Un posto di rilievo occupa inoltre la raccolta di ce-ramica fine da tavola (boccali, piatti e ciotole), ricoperta da un rivestimento vetroso e ravvivata da motivi decorativi animalistici (uccelli, cervi, leoni), che arricchisce il panorama lucerino e definisce un vero e proprio stile caratteristico della città, inserita a pieno titolo nel quadro vitale dei commerci e delle influenze culturali che interessano in questa epoca il bacino mediterraneo.

bibLioGrAFiAG. LeGrottAGLie, Ritratti e statue iconiche di età romana nel Museo Civico G. Fiorelli di Lucera, Bari 1999.

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Capitolo VIII 385

Manfredonia

MuseoArCheoLoGiConAzionALeDeLGArGAno

Castello Svevo Angioino Tel. 0884 587838Sito web: http://www.comune.manfredonia.fg.it

Il Castello Svevo Angioino, fatto costruire da Manfredi nel 1256 con mastio quadrilatero e quattro torri angolari, completato sotto i D’Angiò da Pietro d’Angicourt e arricchito nel Cinque-cento di un baluardo pentagonale, è oggi sede del Museo Nazionale del Gargano, che raccoglie preziose testimonianze delle civiltà della Daunia in epoca preistorica e protostorica.

I materiali più antichi si datano al Neolitico: l’esposizione comprende vasi in argilla figu-lina dipinta dal luogo di culto individuato all’interno della Grotta Scaloria, mentre dall’insedia-mento di Coppa Nevigata provengono esemplari di ceramica impressa e strumenti in selce, oltre a frammenti micenei che attestano la continuità di vita del sito nell’età del Bronzo e l’esistenza di rapporti con il mondo egeo.

Il punto di forza del Museo è senza dubbio la collezione composta dalle oltre 1.500 stele daunie databili tra il VII e il VI sec. a.C., rinvenute a partire dagli anni ’60 del XX secolo e tutt’og-gi oggetto di studi interpretativi da parte degli esperti. Lavorate nella pietra calcarea estratta dalle vicine cave garganiche, le stele rappresentano in modo schematico una figura con gli avambracci piegati all’altezza della vita, ricoperta da una lunga veste con ricche decorazioni geometriche che racchiudono scene di vita quotidiana, combattimenti o rituali funerari, il tutto realizzato a inci-sione, excisione o a graffito. Completate da teste iconiche o aniconiche, mostrano sulle superfici principali l’indicazione di armi o ornamenti che le qualificano come maschili o femminili.

Il nucleo più consistente delle stele proviene dall’insediamento di Cupola-Beccarini e dalla vicina Salapia: il rinvenimento piuttosto superficiale, al di fuori dell’originario contesto di provenienza, ne impedisce l’esatta comprensione; una delle ipotesi più accreditate è che fossero utilizzate come segnacoli di tombe di ricchi personaggi, conficcate nel terreno nella parte infe-riore, lasciata ruvida per meglio aderire al suolo.

Il Museo ospita un Lapidario in cui sono custoditi elementi architettonici con iscrizioni e altre epigrafi dall’area dell’antica colonia di Siponto, e un’ulteriore sezione dedicata alla Daunia antica e il mare, che offre un’introduzione generale all’archeologia subacquea, alle metodologie e alle tecniche di ricerca e illustra le scoperte effettuate lungo il litorale.

bibLioGrAFiAnAvA 1980.

Mattinata

MuseoCiviCo

Via G. Di Vittorio, 1Tel. 0884 551001

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386 Musei archeologici

Il percorso di visita del Museo, istituito nel 1982 e aperto al pubblico dal 1990, è incen-trato essenzialmente sulle testimonianze della civiltà daunia nell’età del Ferro, con particolare riguardo ai materiali dei corredi funerari (soprattutto oggetti personali in bronzo e ceramica d’impasto) deposti nelle tombe della necropoli di Monte Saraceno.

Dalla stessa località provengono le cosiddette “Pietre del Gargano”, venti sculture lapi-dee alle quali è dedicata una mostra permanente. Gli esemplari esposti sono costituiti da un semplice pilastrino di base e da una testa con faccia anteriore liscia, sulla quale sono segnate, incise o in rilievo, le principali parti anatomiche del volto (occhi, naso, bocca), con un effetto espressivo straordinariamente efficace. Alcune teste presentano orecchie ornate da anelli e una lunga treccia posteriore che scende sul dorso, mentre un altro gruppo rientra nella tipologia “a scudo”. L’ipotesi più accreditata è che si tratti di segnacoli tombali, nei quali andrebbero riconosciuti gli antecedenti – datati all’inizio dell’età del Ferro – delle ben note stele daune di VII-VI sec. a.C.

bibLioGrAFiADeJuLiis 1996a, pp. 91-92.

Rignano Garganico

MuseoArCheoLoGiCoDiPAGLiCCiCorso Giannone, 10Tel. 340 3364762; 349 4009003Sito web: http://www.paglicci.net

Il Museo è stato costituito di recente e raccoglie materiale proveniente da Paglicci e da altri siti preistorici del Gargano; è caratterizzato da un ricco apparato didattico, all’interno del quale si segnala in particolare il calco di una sepoltura femminile di epoca gravettiana realizzato durante la campagna di scavi del 1988.

bibLioGrAFiAMAzzei 2004, p. 182.

San Paolo di Civitate

MuseoCiviCo

Piazza Padre Pio, 1 Tel. 0882 551025

Allestito nell’Ex Convento di Sant’Antonio, il museo illustra la storia del territorio at-traverso i materiali relativi alle diverse fasi insediative (daunia, romana e medievale) di Tiati-Teanum Apulum-Civitate. Tra i reperti in mostra figurano stele daunie, ceramica nello stile di Gnathia e terrecotte architettoniche; ceramica da mensa, unguentari e balsamari di età romana e tardoantica, nonché produzioni ceramiche medievali.

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Capitolo VIII 387

bibLioGrAFiAMAzzei 2004, p. 185.

San Severo

MuseoDeLL’ALtotAvoLiere(MAt)Piazza San Francesco, 48Tel. 0882 334409Sito web: http://www.comune.san-severo.fg.it

Il Museo Civico di San Severo, o MAT, è stato istituito nel 1989 nelle sale di Palazzo San Francesco, sede monastica dei padri conventuali costruita nella seconda metà del Settecento sulle rovine del cenobio francescano del 1232, parzialmente distrutto da un terremoto nel 1627. L’edificio ospita anche la Biblioteca comunale “A. Minuziano” e l’Archivio storico comunale.

L’allestimento museale odierno, inaugurato nel 2009, vede esposti reperti archeologici provenienti da donazioni e da recuperi effettuati nel territorio che coprono un arco temporale dalla Preistoria al Medioevo. L’esposizione è organizzata secondo un percorso cronologico che illustra le fasi evolutive della civiltà daunia, con particolare attenzione ai reperti provenienti da San Severo e dalle zone circostanti.

La documentazione relativa al periodo più antico è rappresentata dalle amigdale acheu-leane provenienti dal Gargano (località Mannarelle) e datate al Paleolitico inferiore, mentre all’epoca neolitica risalgono frammenti di ceramica impressa, incisa e dipinta. L’esposizione comprende inoltre vasi in stile geometrico daunio, con datazione compresa tra il IX e il VI sec. a.C., dai contesti funerari scoperti nell’attuale area urbana.

La parte più cospicua della collezione museale è rappresentata dai materiali d’età ellenisti-ca rinvenuti nel corso degli scavi presso la masseria Casone e in località Pedincone. Dalle tombe a grotticella del primo sito provengono esemplari di ceramica acroma e da fuoco, vasi a vernice nera, a figure rosse e in stile Gnathia, insieme a collane di pasta vitrea, fibule in ferro e in bronzo, cuspidi, giavellotti e cinturoni in lamina di bronzo. Tra gli oggetti dei corredi funerari rinvenuti a Pedincone si segnalano un cinturone in lamina bronzea, una kylix a vernice nera con decorazione floreale sovradipinta in rosso, una coppetta biansata con cuori e palmette su fondo rosso, e uno specchio in bronzo con coperchio a cerniera decorato con motivi geometrici punteggiati.

L’epoca romana, infine, è attestata da lucerne di età imperiale, recipienti in vetro, fram-menti di sigillata recanti il bollo con l’indicazione del fabbricante e anfore da trasporto vinarie.

Il Museo ospita inoltre la Pinacoteca “L. Schingo”, che custodisce una collezione di di-pinti d’età moderna.

bibLioGrAFiAe.AntonACCi, Trame di storia. Un racconto al museo, Guida alle collezioni archeologiche del Museo dell’Alto

Tavoliere di San Severo, Foggia 2009.

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388 Musei archeologici

Troia

MuseoCiviCoVia Regina Margherita, 72Tel. 0881 978440Sito web: http://www.comune.troia.fg.it

Il Museo Civico, allestito nel 1971 nei locali del cinquecentesco Palazzo d’Avalos, riuni-sce in cinque sezioni materiali di varie epoche, dal periodo preromano all’età contemporanea.

Il pianterreno è interamente dedicato alle mostre permanenti di due artisti troiani del No-vecento, il pittore Vincenzo Curcetti e lo scultore Nicola Fiore.

Le collezioni archeologiche, esposte nel seminterrato, annoverano reperti d’età preroma-na, romana, medievale e moderna. Tra i materiali più antichi, le teste maschili in pietra calcarea pertinenti a stele di età protostorica; alle fasi precedenti la romanizzazione si riferiscono inoltre coppette, gutti e kylikes biansate a vernice nera; pissidi e coperchi a figure rosse; kyathoi dauni e crateri a campana italioti, oltre a oggetti personali in bronzo quali punte di lancia, orecchioni e spilloni, tutti ascrivibili a un orizzonte cronologico di IV sec. a.C.

La seziona romana comprende epigrafi funerarie, elementi architettonici, un tratto della pa-vimentazione della via Traiana ritrovato a Troia lungo corso Regina Margherita durante i lavori di manutenzione del 1956 e la lastra sepolcrale del sarcofago di Rubria Marcella (II-III sec d.C.).

La raccolta medievale è costituita da croci bizantine, mosaici e sarcofagi, il più interessante dei quali – il sarcofago di San Secondino – proviene da Costantinopoli e si data al VII secolo d.C.

Il percorso di visita termina con l’esposizione di reperti d’epoca moderna. Di particolare interesse la collezione di stemmi gentilizi dei secoli XVI e XVII; la fontana della Canfora – del 1588 – e i busti marmorei di Alfonso I d’Aragona e della moglie, realizzati da F. Prinzi nel 1883.

Vico del Gargano

MuseoCiviCo

Biblioteca Comunale, Via A. Moro Tel. 0884 994666 (Municipio, Biblioteca Comunale)

Il Museo, fondato nella seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso dal Gruppo Ar-cheologico S. Ferri, raccoglie reperti archeologici provenienti dal territorio e dalla necropoli di Monte Tabor risalenti al Paleolitico Inferiore, al Mesolitico, al Neolitico e all’età del Ferro.

Vieste

MuseoCiviCoArCheoLoGiCo“M.Petrone”Via Celestino V, 67Tel. 0884 708578

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Capitolo VIII 389

Il Museo è allestito in un vecchio frantoio, nei pressi della cattedrale. Al suo interno è conservata parte della collezione archeologica dei primi del Novecento di proprietà del medico locale Michele Petrone. Si segnalano materiali dell’età del Ferro, di età romana e, in particolare, alcune iscrizioni votive in alfabeto messapico.

bibLioGrAFiAMAzzei 2004, p. 189.

VIII.2. Provincia di BAT (Barletta-Andria-Trani)

Barletta

PoLoMuseALeePinACoteCA“G.Denittis”Polo MusealeCastello SvevoTel. 0883 578612 Sito web: http://www.barlettamusei.it

Istituito di recente riorganizzando il ricco patrimonio d’arte acquisito dal comune attra-

verso donazioni private nel corso del Novecento e già esposto nel preesistente Museo Civico, il Polo Museale di Barletta ha sede nell’imponente castello.

Il monumento fu costruito su fortificazioni normanne da Federico II – come testimonia l’aquila sveva scolpita nella lunetta di una finestra dell’atrio – e successivamente modificato e ampliato dagli angioini, che verso la fine del XIII secolo affidarono al celebre architetto Pietro d’Angicourt la costruzione del nuovo palatium e delle mura difensive. Il castello nella sua forma attuale è il risultato della risistemazione cinquecentesca voluta da Carlo V, che lo trasformò in una fortezza inespugnabile, con un’imponente struttura a pianta quadrata dotata di un grande cortile interno, bastioni angolari a punta di lancia e due piani di casematte a pianta circolare e copertura emisferica.

Il Museo annovera materiali archeologici piuttosto eterogenei, acquisiti attraverso dona-zioni e lasciti testamentari, tra cui vasi in ceramica e corredi funerari datati tra il V e il III sec. a.C. provenienti da scavi a Barletta, Canosa e territori limitrofi; ceramica messapica e apula di V-IV sec. a.C.; monete di varia datazione e materiale lapideo medievale. Degno di nota il busto in pietra di Federico II di Svevia (del XIII secolo), raffigurato con corona d’alloro e abbiglia-mento d’ispirazione classica: secondo la tradizione, escludendo le raffigurazioni sulle monete, si tratterebbe dell’unico ritratto a noi pervenuto dell’imperatore.

Il nucleo più consistente delle raccolte museali è costituito dal ricco patrimonio di opere d’arte appartenute a illustri collezionisti locali ed esposte in tre sezioni: la Galleria Antica, la Galleria dell’Ottocento e la Galleria F. Cafiero.

La Galleria Antica comprende più di cinquanta opere pittoriche databili fra la fine del 1300 e la seconda metà del 1700, provenienti in gran parte dal lascito di Giuseppe Gabbiani.

La Galleria dell’Ottocento annovera oltre quaranta dipinti e nasce da un’altra consistente

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390 Musei archeologici

parte della donazione di Giuseppe Gabbiani e dai lasciti e acquisizioni di opere di Vincenzo De Stefano e Raffaele Girondi. Particolarmente significativa la produzione di tre artisti barlettani, quasi contemporanei di Giuseppe De Nittis, tutti allievi di Giambattista Calò.

Nell’ultima sezione è possibile ammirare una selezione degli oggetti collezionati da Fer-dinando Cafiero, tra cui materiali in legno, argento, ferro, bronzo, rame, marmo, ceramica, ter-racotta, dipinti, stampe e incisioni, che danno un’idea esemplificativa delle mode legate al col-lezionismo dell’Ottocento.

bibLioGrAFiAb.vAnDenDriessChe, Les bijoux de la donation F. Cafiero au Musée Comunal de Barletta, in Bulletin de l’In-

stitut historique belge de Rome, fasc. 45 (1975).

Bisceglie

MuseoCiviCoArCheoLoGiCo“FrAnCesCosAverioMAJeLLAro”Via Giulio Frisari, 5Tel. 080 3957576Sito web: http://www.comune.bisceglie.bt.it

La storia del Museo, istituito nel 1973, è strettamente connessa alla scoperta dei primi giacimenti preistorici presso le Grotte di Santa Croce negli anni ’30 dello scorso secolo ad opera dello studioso locale Francesco Saverio Majellaro e agli scavi sistematici avviati dal Professor Luigi Cardini nell’area delle Grotte di Santa Croce e nell’insediamento di Cave Mastrodonato intorno alla metà del secolo scorso.

La collezione museale, in gran parte di vecchia formazione ma arricchita dalle testimo-nianze portate alla luce nel corso di recenti campagne di scavo nel territorio, rappresenta un continuo richiamo alla storia della ricerca paletnologica italiana. Il percorso espositivo – che si avvale di un allestimento provvisto di un adeguato corredo didattico, pannelli illustrativi e ricostruzioni grafiche dei manufatti – documenta compiutamente, attraverso sei sezioni, la lunga sequenza di fasi di insediamento tra costa, lame ed immediato entroterra, con attestazioni uniche per alcune fasi come i dolmen, emergenze funerarie di carattere monumentale della piena età del Bronzo.

L’esposizione si apre con i materiali provenienti dal complesso carsico delle Grotte di Santa Croce, da cui provengono le tracce della più antiche fasi di vita attualmente documentate nell’area, inquadrabili nell’orizzonte cronologico del Paleolitico Medio, a cui risale il calco di un femore umano neandertaliano rinvenuto nel 1955. A una fase insediativa più recente – da collocare nel Paleolitico Superiore – si riferiscono invece le industrie litiche e la fauna pleisto-cenica dei livelli musteriano ed epigravettiano del sito.

Il Neolitico è il periodo meglio rappresentato nel Museo. L’insediamento più rappresen-tativo per la continuità di occupazione fino al Neolitico Finale doveva essere quello di Cave Mastrodonato: in esposizione le ceramiche impresse, incise e dipinte riferibili alle principali classi del Neolitico meridionale, le industrie litiche, nonché una selezione degli intonaci più rappresentativi delle capanne degli insediamenti noti.

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Capitolo VIII 391

Di eccezionale interesse la stuoia in fibre vegetali intrecciate di forma ovale dalle Grotte di Santa Croce, rinvenuta all’interno della cavità principale, su un piano d’uso alla base dei livelli neolitici, nei pressi di due fossette in cui si raccoglieva l’acqua di stillicidio dalla volta della grotta. Il reperto, riferibile ad una fase evoluta del Neolitico Antico, è probabilmente da mettere in connessione con forme di rituali religiosi, forse legati anche al culto dell’acqua, per propiziarsi la prosperità del raccolto.

Il percorso di visita si conclude con alcuni materiali della Collezione Dell’Olio provenienti da varie zone della Puglia e donati al Museo in anni recenti: tra questi, epigrafi romane e una testa virile in marmo da Brindisi, del III sec. a.C. Degna di menzione è un’urna cineraria romana in marmo bianco, collocata originariamente nella Chiesa di Santa Margherita di Bisceglie, dove era stata reimpiegata come acquasantiera. Il reperto, datato al I sec. d.C., mostra un’elegante decora-zione tripartita, con al centro l’iscrizione funeraria di due liberti legati da vincolo matrimoniale.

bibLioGrAFiA:L. toDisCo, Ceramica neolitica nel Museo di Bisceglie, Bari 1980; R. CALiGiuri (a cura di), Guida del Museo

Civico Archeologico “F.S. Majellaro”, Avola 2002.

Canosa di Puglia

MuseoCiviCoArCheoLoGiCo

Via Trieste e Trento, 16Tel. 0883 664729Sito web: http://www.canosa.cchnet.it

Palazzo Iliceto, edificio storico tra i più antichi della città, è dal 2007 la sede ufficiale del Museo Civico di Canosa, che ospita la mostra permanente Tu in daunios, il cui allestimento ha restituito al pubblico i materiali della dauna Canusium sopravvissuti al saccheggio del patrimo-nio archeologico.

I materiali conservati sono stati acquisiti mediante donazioni, sequestri e recuperi occa- sionali e provengono solo in minima parte da scavi regolari. In assenza di riferimenti topografici e contesti di provenienza, il percorso espositivo ricostruisce, attraverso le produzioni specifica-mente canosine, gli aspetti culturali dell’opulenta città antica.

La visita inizia al primo piano con la sezione dauna, dove l’esposizione ruota intorno a sei temi principali. Nella sala I sono custoditi un’olla del Subgeometrico daunio II e capitelli d’anta figurati, legati al costume funerario. L’inserimento dell’insediamento indigeno nell’orizzonte culturale medioadriatico è esemplificato dall’evoluzione del repertorio decorativo della produ-zione vascolare in mostra nella sala II – soprattutto olle e askoi – dal Subgeometrico daunio I fino alla Listata C. La sala III è dedicata all’ostentazione del rango nei corredi funerari dell’età del Ferro e nel periodo arcaico attraverso gli oggetti personali: specchi, fibule, spilloni e pen-dagli in bronzo deposti nelle sepolture femminili; cinturoni in lamina bronzea e ganci facenti parte del corredo di armi e armature dei defunti di sesso maschile. Dalle tombe monumentali a camera che documentano il ruolo economico e culturale raggiunto da Canosa nella seconda metà del IV sec. a.C. provengono esemplari di ceramiche a vernice nera e a figure rosse, oltre a

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392 Musei archeologici

nuove tradizioni di fabbrica locale, come la ceramica “dorata” e quella listata (sala IV). Seguono l’esposizione dei materiali dall’Ipogeo Sant’Aloia, della prima metà del II sec. a.C. (sala V); la raccolta di ceramica con decorazioni plastiche (sala VI), produzione tipicamente canosina a partire dalla metà del IV sec. a.C., e la collezione di reperti d’età ellenistica che conservano iscrizioni (sala VII).

Il percorso museale termina al pian terreno con la sezione romana, allestita con una se-lezione di epigrafi, il nucleo più corposo delle quali è costituito da lastre funerarie del periodo imperiale.

San Ferdinando di Puglia

MuseoCiviCoP.zza Trieste, 11 Tel. 0883 621310

Il Museo Civico, istituito nel 1984 e allestito all’interno della sede del vecchio Municipio, è diviso in una sezione archeologica e in una sezione etnografica con utensili e attrezzi della tra-dizione contadina. La sezione archeologica annovera una ricca collezione di materiali che vanno dal Neolitico all’Alto Medioevo, tra i quali selci e manufatti litici, ceramica daunia, epigrafi e monete di età romana e ceramiche medievali.

bibLioGrAFiAMAzzei 2004, p. 183.

Trani

MuseoDioCesAno

Piazza Duomo, 8/9Tel. 0883 491938Sito web: http://www.museotrani.sistemab.it

Nato nel 1975 per ospitare il materiale lapideo e scultoreo proveniente dalle demolizioni operate nella cattedrale e in altre chiese tranesi, il Museo dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie-Nazareth ha visto il suo patrimonio arricchirsi nel corso degli anni di opere e reperti di grande valore artistico e storico.

Le collezioni museali, ospitate nei due piani espositivi del settecentesco Palazzo Lodispo-to, sono organizzate in nove sezioni. Al primo piano, oltre a una piccola biblioteca specializzata in storia dell’arte e archeologia della Puglia e del mezzogiorno d’Italia è custodita una parte del tesoro della cattedrale, composto da arredi sacri e argenti finemente lavorati, tra i quali crocette funerarie longobarde del VII secolo. Particolare risalto riveste il prezioso altare d’avorio donato da Carlo d’Angiò al clero di Trani nel XIII secolo, dopo la sepoltura nella cattedrale del figlio Filippo. Lungo le pareti espositive sono inoltre sistemati alcuni frammenti lapidei di notevole

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Capitolo VIII 393

pregio attraverso i quali è possibile ripercorrere un segmento di storia dell’edificio di culto. Il primo piano ospita anche una sezione dedicata ai manufatti d’uso liturgico: un pergamo intaglia-to dalla chiesa di Santa Chiara e un tempietto ligneo affiancato da una muta di diciotto candelieri in legno intagliato (datati al XVII secolo), nonché una raccolta di preziosi paramenti liturgici. Un’ulteriore sezione è dedicata ai busti reliquiari in legno dipinto (dei secoli XVII e XVIII) e a una consistente collezione di reliquie.

Al secondo piano, dopo uno spazio espositivo riservato a ritratti, busti, stemmi, epigrafi e lastre tombali dedicati agli Arcivescovi della diocesi, quattro sale custodiscono la ricca collezio-ne archeologica “Lillo-Rapisardi”, che annovera manufatti di ceramica attica, corinzia e apula, oltre ad avori, oggetti in bronzo, frammenti architettonici e rilievi scultorei che coprono un arco cronologico dal VI sec. a.C. al III sec. d.C.

Una grande sala ospita la Pinacoteca, con opere provenienti dalla cattedrale e da altre chiese del territorio diocesano. Tra i dipinti, si segnala una tavola trecentesca di ispirazione bizantina raffigurante San Nicola pellegrino e altre opere che illustrano la vita del santo, tra le quali le lunette settecentesche attribuite al pittore bitontino Nicola Gliri. Il percorso di visita si conclude con la riproduzione fotografica della bolla di canonizzazione di San Nicola, avvenuta nell’XI secolo sotto Papa Urbano II e per intercessione dell’Arcivescovo di Bisanzio.

Trinitapoli

MuseoArCheoLoGiCoVia Guglielmo Marconi, 24Tel. 0883 630117

Ospitato all’interno del palazzo ottocentesco noto come “Ospedaletto”, il “Museo degli Ipogei” custodisce i corredi funerari dal “santuario” necropolare situato nell’area dell’attuale Parco Archeologico. Dagli ipogei ricavati nel banco di calcare e utilizzati come luoghi di sepol-tura provengono infatti materiali in avorio, bronzo, ambra e pasta vitrea datati al Bronzo Medio.

bibLioGrAFiAMAzzei 2004, p. 187.

VIII.3. Provincia di Bari

Altamura

MuseoArCheoLoGiConAzionALeVia Santeramo, 88Tel. 080 3146409Sito web: http://www.altamura.cchnet.it

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394 Musei archeologici

Il Museo, aperto al pubblico nel 1993, propone ai visitatori un percorso incentrato sul po-polamento antico dell’alta Murgia. L’esposizione, sviluppata su un unico piano, comprende sei sezioni: Paleolitica, Preistorica, Arcaica, Classica, Ellenistica e Tardoantica.

L’itinerario ha inizio con la sezione dedicata alla scoperta del cosiddetto “Uomo di Alta-mura”, la più antica testimonianza della presenza umana nel territorio – risalente al Paleolitico Medio – il cui scheletro si trova nella Grotta di Lamalunga, inglobato nelle concrezioni calciti-che e calcaree coralliformi alla fine di un’angusta galleria. L’allestimento della sala, attraverso manufatti, calchi e ricostruzioni, ricrea l’ambiente nel quale l’Uomo di Altamura visse, insieme ai reperti faunistici del suo tempo.

Nella sezione Preistorica sono esposti materiali riferibili alle varie fasi del lungo arco di tempo che va dal Paleolitico all’età del Ferro: la visita ha inizio con un “osso a globuli” deco-rato, ricavato dalla zampa di un ovino, che ha strettissime somiglianze con un oggetto uguale trovato a Troia, il che evidenzia il precoce contatto con le civiltà del mediterraneo orientale in tempi preistorici (Eneolitico). La sezione spazia poi dai ritrovamenti paleolitici del Pulo di Alta-mura, ai materiali neolitici provenienti da Gravina, Altamura e Laterza, fino alle testimonianze dell’età del Bronzo rappresentate dai corredi tombali di Grotta Nisco, Casal Sabini, Pisciulo, della Grotta I del Pulo e dell’insediamento di La Croce, composti da ceramiche, industria litica e oggetti in bronzo e osso.

Nella sezione arcaica vengono evidenziati i rapporti commerciali con i greci della colonia di Metaponto e con le culture tirreniche. I materiali esposti sono prevalentemente ceramiche e bronzi di provenienza funeraria, tra i quali un elmo corinzio bronzeo con patera sbalzata.

Al periodo classico risalgono i vasi a figure rosse, a vernice nera e in stile Gnathia dalla ricchissima tomba di via Bari ad Altamura, e gli esemplari di ceramica attica dai corredi dalle necropoli di Botromagno, Toritto, Casal Sabini e Gravina. Altri corredi, provenienti dalla città e datati al II sec. a.C., sono esposti nella sezione Ellenistica: di particolare interesse lo sfarzoso corredo di oreficeria ritrovato presso via Genova, con una collana con protomi di antilopi, orec-chini con pendente raffigurante Eros, tre anelli con pietre di granato e altri oggetti da toeletta.

La sezione Tardoantica, infine, espone ricchi gioielli in oro e argento, lampade di vetro e tegole bollate da Belmonte.

Sotto il portico del Museo è allestita una piccola sezione epigrafica con iscrizioni funera-rie romane, mentre sul retro dell’edificio sono visibili resti degli scavi archeologici condotti in località La Croce con strutture riferibili ad un abitato del VI secolo a.C.

bibLioGrAFiAIl Museo Nazionale Archeologico di Altamura, Roma 2002.

Bari

MuseoArCheoLoGiCoProvinCiALeComplesso di Santa Scolastica, Via VeneziaSito web: http://www.provincia.ba.it

Il Museo, inaugurato nel 1890 nelle sale del Palazzo Ateneo dove è rimasto sino all’anno

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Capitolo VIII 395

2000, è attualmente in fase di ristrutturazione. Le collezioni archeologiche di proprietà della provincia sono state trasferite presso il complesso monumentale di Santa Scolastica, nel borgo antico, destinato a essere la nuova sede museale; le collezioni statali sono invece custodite pres-so il Nucleo operativo della Soprintendenza Archeologica.

I materiali che saranno esposti nel futuro allestimento a Santa Scolastica sono quelli che provengono dalle acquisizioni dei padri fondatori e da donazioni private, insieme ai rinveni-menti effettuati nel corso degli scavi condotti nel territorio provinciale nel corso degli anni. Al momento il Museo dispone di depositi riordinati nei quali è stata operata la ricomposizione dei nuclei originari dei reperti e di un database digitale per la consultazione delle schede inventaria-li comprensive di testi e immagini per ogni oggetto.

La collezione archeologica, ampia e diversificata, consta di più sezioni, per un totale com- plessivo di oltre 30.000 reperti, suddivisi in: materiale preistorico comprendente strumenti litici e ceramica impressa; ceramica indigena geometrica dauna, peuceta e messapica; ceramica apula di derivazione greca a vernice nera, sovradipinta, a figure rosse e in stile Gnathia; ceramica greca, corinzia e attica; terrecotte figurate e architettoniche; sculture in pietra; vasellame, armi, armature, utensili in bronzo; oreficerie; epigrafi greche e latine; monete greche, romane, bizan- tine, medievali e moderne; gemme incise; oggetti di osso e di avorio; vetri e ambre.

Tra i principali manufatti figurano, per la Preistoria, i reperti rinvenuti nel Pulo di Molfet- ta e risalenti all’età neolitica, mentre tra le testimonianze di età storica – per lo più a carattere funerario – si segnalano gli esemplari di ceramica greca a figure nere e rosse prodotti nel VI-V sec. a.C. da officine corinzie, attiche, apule e lucane; i vasi a decorazione geometrica prodotti a Canosa nel VI sec. a.C. e quelli in stile Gnathia. Una menzione particolare meritano il corredo di una sepoltura arcaica di Noicattaro e quello dalla tomba Varrese di Canosa (IV-III sec. a.C.).

Degna di interesse è infine la collezione numismatica, raggruppata in ordine cronologico e per zecca d’emissione, dagli incusi d’argento di Metaponto, Crotone, Sibari e Caulonia (VI sec. a.C.), attraverso i bronzi dei Bretti, dei Lucani e dei vari centri apuli e campani, fino ai denari romani.

bibLioGrAFiAM.DeJuLiis, I musei archeologici della provincia di Bari. Archeologia in Puglia, Bari 1983; G. tAMMA, Le

gemme del Museo archeologico di Bari, Bari 1991; F.FerrAnDinitroisi, Epigrafi mobili del Museo ar-cheologico di Bari, Bari 1992.

Bitonto

MuseoCiviCo“G.D.roGADeo”Via G. Rogadeo, 52Tel. 080 3751877Sito web: http://www.bibliotecacomunalerogadeobitonto.it

L’elegante Palazzo Rogadeo, ristrutturazione settecentesca di un edificio medievale, rappre-senta la sede della Biblioteca comunale e del Museo Civico. La Biblioteca, tra le più importanti della Puglia per incunaboli, cinquecentine, edizioni rare, manoscritti e pergamene (per un totale di circa

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396 Musei archeologici

50.000 volumi) custodisce il Libro Rosso della Universitas di Bitonto, contenente notizie storiche relative all’arco cronologico che va dal XIII secolo al 1890. Non meno importanti sono l’Evangelario miniato del XVII secolo, in scrittura beneventana, e il Res Gestae Ferdinandi Regi del Beccadelli.

Nel Museo è esposta una piccola raccolta archeologica di reperti d’età preclassica e classi-ca, provenienti dall’antico territorio bitontino, tra cui il raro esemplare di una moneta della zecca di Butuntum del III sec. a.C.

Al pianterreno è allestita la Pinacoteca, costituita dalla donazione Cuonzo, che comprende 92 dipinti di artisti pugliesi del XIX secolo.

MuseoArCheoLoGiCoDeLLAFonDAzioneDePALo-unGAroVia G. Mazzini, 44Tel. 080 3715402Sito web: http://www.fondazionedepaloungaro.jimdo.com

Il Museo, che sorge nel cuore della città a pochi passi dal centro antico, è sede delle mostre permanenti Gli antichi Peucezi, documenti e immagini dalla necropoli di Via Traiana e Donne e Guerrieri da Ruvo di Puglia e Bitonto, con reperti preromani datati tra il VI e il III sec. a.C. provenienti dalla necropoli di via Traiana.

Alla prima sono dedicate due sezioni, che consentono di ripercorrere le tappe della storia antica di Bitonto. Ciascuno dei corredi funerari esposti è rappresentativo di una fase cronologica della necropoli e permette di delineare le forme del rito funerario e di ricostruire l’evoluzione e l’influenza delle civiltà limitrofe sull’artigianato locale.

Altre due sezioni vertono sulla figura del guerriero nel IV sec. a.C. – attraverso l’esposi-zione di armi, strigili e mortai – e sulla sfera muliebre, alla quale si riferiscono fibule, collane d’argento, pesi da telaio e grandi anfore a figure rosse su cui compaiono figure femminili.

Canne della Battaglia

AntiquAriumDiCAnneStrada provinciale 142Tel. 0883 510992Sito web: http://www.puglia.beniculturali.it

L’Antiquarium, inaugurato nel 1957, si trova all’interno dell’area archeologica, ai piedi dell’altura su cui sorgeva l’insediamento antico. Riaperto al pubblico nel 1999 dopo un periodo di chiusura per riallestimento, propone un percorso espositivo articolato in 5 sezioni cronolo-giche, più un’ulteriore sezione tematica dedicata alla presenza annibalica in Italia. Le testimo-nianze raccolte si riferiscono a un ampio arco cronologico, che va dall’età neolitica a quella medievale.

Alle collezioni storiche già in possesso del Museo, costituite da frammenti di cerami-ca neolitica, utensili dell’età del Bronzo – asce provenienti da un deposito votivo – corredi funerari dauni e peucezi di IV-III sec. a.C. provenienti dagli scavi effettuati negli anni ’30 e

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Capitolo VIII 397

’40 del secolo scorso, si sono aggiunti i reperti rinvenuti nel corso delle ricerche più recenti. Fra questi, i materiali ceramici dell’insediamento protostorico in località Madonna del Petto e di quello daunio in località Antenisi, datato all’età del Ferro. Di particolare interesse una statuetta neolitica raffigurante la Dea Madre, (datata al VI millennio a.C.), un elmo di bronzo corinzio (VI sec. a.C.) un caratteristico askos canosino con decorazione plastica configurata a testa di Medusa (IV sec. a.C.), la raccolta di anfore medievali e il tesoretto composto da 700 monete bizantine.

bibLioGrAFiAAntiquarium di Canne della Battaglia, Barletta 1999.

Conversano

MuseoCiviCoArCheoLoGiCo

Via San Benedetto, 16Tel. 080 4959510Sito web: http://www.cooparmida.org

Il Museo Archeologico, che insieme alla Pinacoteca Comunale – con sede indipendente nel castello – fa parte del Museo Civico della città, è ospitato all’interno dell’ex monastero di San Benedetto, risalente nel suo impianto originario all’XI secolo e celebre come Monstrum Apuliae per aver riunito prerogative giuridiche e spirituali che ne facevano la sede del potere feudale sulla vicina Castellana. Nel 1266 vi si insediarono infatti le “badesse mitrate” (i cui attributi erano la mitra e il pastorale), monstrum più unico che raro nel mondo cristiano di tutti tempi: detentrici di un’inusitata autorità religiosa e temporale – avendo ricevuto dal Papa il pote-re abbaziale – furono in conflitto con i vescovi locali per quasi seicento anni, fino all’abolizione definitiva del loro potere e il passaggio del convento sotto il vescovato di Mons. Carelli, vescovo di Conversano, nel 1810.

Il Museo Archeologico, allestito in alcuni ambienti del complesso monumentale, com-prende reperti provenienti dall’area del sud-est barese che coprono un arco cronologico dalla Preistoria all’età ellenistico-romana.

I materiali più antichi consistono in strumenti litici del Paleolitico Medio e Superiore dal-le grotte di Conversano e Monopoli, mentre numerosi materiali in selce e ossidiana, strumenti in pietra arenaria (asce, scalpelli, macine, percussori) e varie tipologie ceramiche – fra le quali spiccano gli esemplari riferibili alla cultura di Serra d’Alto – provenienti dagli insediamenti nei dintorni di Rutigliano, Polignano e Monopoli rappresentano le testimonianze neolitiche nel ter-ritorio. L’esposizione comprende inoltre materiali della Civiltà Appenninica e Subappenninica che testimoniano un’intensa distribuzione del popolamento in tutta l’area del sud-est barese nel corso del II millennio a.C.

Gli stanziamenti di età arcaica e di piena età storica sono documentati da reperti iapigi e peuceti (con datazione dal IX al VI a.C.), cui si accompagnano manufatti di importazione greca e coloniale. Dall’altura di Castiglione provengono esemplari di ceramica in stile geometrico iapigio (X-VIII sec. a.C.) e peuceta (VII-VI sec. a.C.), oltre a pendagli in ambra, fibule, punte

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398 Musei archeologici

di lancia e frammenti di armature rinvenuti nelle tombe dallo stesso sito. Il periodo meglio rappresentato è quello compreso tra il V e il III sec. a.C., evidenziato da una ricca collezione di ceramica apula del IV sec. a.C., i cui pezzi più significativi sono stati attribuiti a ceramisti attivi in area tarantina. L’esposizione annovera inoltre materiali in bronzo (cinturoni, tripodi, bracieri, strigili, ecc.) e in ferro (punte di lancia e di giavellotto, lame, fibule), piccole terrecotte figurate, monete greche e romane e oggetti ornamentali e di culto.

Gioia del Colle

MuseoArCheoLoGiConAzionALe

Castello Normanno-SvevoTel. 080 3481305Sito web: http://www.archeopuglia.beniculturali.it

Istituito nel 1977 allo scopo di illustrare i risultati degli scavi dell’abitato peuceta sul Monte Sannace e della relativa necropoli, il Museo è situato nel cuore del paese, al piano terra del Castello Normanno-Svevo, fondato sul finire dell’XI secolo e ampliato e abbellito nel 1230 da Federico II di ritorno dalla sesta crociata.

Attraverso l’allestimento espositivo è possibile ripercorrere le fasi della presenza umana sul Monte Sannace, iniziando con una lama di selce del Neolitico, ceramiche dell’età del Bronzo e del Ferro, fino a una oinochoe protocorinzia (datata all’VIII sec. a.C.).

Dalle abitazioni e dalle mura cittadine provengono ceramiche apule e oggetti d’uso quoti- diano e domestico come chiodi, pesi da telaio, bacili e terrecotte architettoniche.

Il nucleo più consistente della collezione museale è rappresentato dai materiali provenienti dallo scavo della necropoli. Di particolare pregio alcuni bronzi che facevano parte dell’armatura di guerrieri del V sec. a. C. (un elmo corinzio e un omerale) e un gruppo di ceramiche figurate di produzione attica e italiota, del V-IV sec. a.C. Da un corredo funerario recuperato nel 1976 nella zona bassa proviene un cratere a colonnette attico a figure rosse con la rappresentazione di Teseo e il Toro di Maratona, opera di scuola severa degli anni 470-460 a.C. (Pittore dei Porci), mentre dall’area delle grandi tombe monumentali scavate nel 1960 sull’acropoli proviene un grande cratere a colonnette attico a figure nere degli anni finali del VI sec. a.C., su cui si ricono-sce, benché lacunosa, una raffigurazione di Eracle in lotta con le Amazzoni.

La produzione figurata protolucana è attestata da diversi esemplari ceramici, attribuiti al Pittore di Pisticci e al Pittore di Amykos, quella apula è rappresentata da vasi frammentari della fase più antica, assegnati al Pittore della Danzatrice di Berlino e al Pittore di Sisifo, nonché da vasi integri della seconda metà del IV sec. a.C., fra i quali spicca un grande cratere a mascheroni attribuito al Pittore di Gioia del Colle, con la raffigurazione del defunto eroizzato dentro il tem-pietto funerario. Completano la documentazione delle produzioni artigianali locali i numerosi vasi a decorazione geometrica presenti nei corredi tombali di VII-VI sec. a.C., alcuni dei quali di particolare originalità e vivacità espressiva (olle con inserimento di figure di gallinacei o di figure umane stilizzate tra i motivi geometrico-lineari), affiancati da oggetti d’importazione greca o coloniale.

Tra i materiali di epoca ellenistica spiccano le caratteristiche ceramiche in stile di Gnathia

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Capitolo VIII 399

e un cratere con anse a protome leonina.Il percorso termina con l’esposizione di materiali rinvenuti nelle tombe dell’acropoli (ce-

ramica attica a figure nere e rosse e ceramica peuceta). Da segnalare, un notevole cratere a campana dell’italiota Pittore di Amykos, della metà del V sec. a.C., oltre ad alcuni frammenti di ceramica romana.

bibLioGrAFiAe.M.DeJuLiis, I musei archeologici della provincia di Bari. Archeologia in Puglia, Bari 1983; A. CiAnCio (a

cura di), Corpus vasorum antiquorum. Italia. Gioia del Colle, Museo archeologico nazionale, fasc. 1, Roma 1995.

Gravina di Puglia

MuseoDeLLAFonDAzioneettorePoMAriCi-sAntoMAsi

Via Museo, 20Tel. 080 3251021Sito: http://www.fondazionesantomasi.it

La Fondazione, ubicata nel seicentesco Palazzo del Barone, è l’esito della volontà del barone Ettore Pomarici Santomasi, ultimo esponente maschile della famiglia, che dopo la sua morte – avvenuta nel 1917 – con specifica disposizione testamentaria dispose il lascito in favore della città di Gravina. Attualmente ospita al suo interno il Museo, la Pinacoteca, la Biblioteca e l’Archivio Storico.

Il percorso espositivo del Museo svela, attraverso una grande quantità di opere, la varietà dei diversi generi raccolti nei novant’anni di vita della Fondazione. La visita si snoda attraverso più sezioni e si articola su tre piani, al secondo dei quali è custodita la collezione archeologica, costituita da oltre 2.600 reperti.

La sezione archeologica ospita la mostra archeologica permanente Aristocrazia e Mito, inaugurata nel settembre 1995 previo accordo con la Soprintendenza Archeologica della Pu-glia, che ha reso possibile esporre i reperti più prestigiosi rinvenuti durante gli scavi nelle varie aree archeologiche della città, soprattutto a Botromagno: attraverso i corredi esposti, databili dal VII al IV sec. a.C., è possibile apprezzare i primi segni dei contatti con il mondo greco e l’emergere di distinzioni sociali. Nel corredo della Tomba 3/1994, fra i vasi attici e protoitalioti spicca per dimensioni monumentali e raffinatezza della raffigurazione il grande e raro cratere a volute del Pittore di Boreas, la cui scena principale riporta, in un’inconsueta variante, il mito del sacrificio di Ifigenia.

Dalla Tomba 1/1974 proviene uno straordinario complesso di vasi attici e protoitalioti le cui raffigurazioni rimandano al mondo omerico: la vestizione di Ettore sul kantharos del Pittore di Eretria, Bellerofonte su un’anfora del Pittore di Gravina, la caccia al cinghiale calidonio e, forse, l’ambasceria a Sparta di Paride sul grande cratere a volute. La Tomba 2/1994, nella parte non depredata, ha restituito splendidi vasi del Pittore di Amykos: sull’hydria il mondo omerico ritorna con gli eroi che difendono Patroclo morente. Su un cratere da via San Vito Vecchio, Dioniso – quale signore degli Inferi – accoglie Eracle al banchetto riservato ai suoi adepti che conduce nel mondo dei beati.

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400 Musei archeologici

bibLioGrAFiAA. CiAnCio (a cura di), Museo civico archeologico, Gravina in Puglia, Gravina di Puglia [s.d.].

Molfetta

MuseoArCheoLoGiCoePinACoteCA“A.sALvuCCi”Piazza Garibaldi, 65Tel. 080 3971559Sito web: http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it

Il Museo-Pinacoteca “A. Salvucci”, istituito nel 1976, è ospitato all’interno del Seminario Vescovile, nel centro storico della città. La Sezione Archeologica raccoglie i reperti delle cam-pagne di scavo effettuate nel Pulo e in altri siti archeologici circostanti. Il primo nucleo museale si deve all’Arciprete e letterato molfettese G.M. Giovene (1753-1837), che raccolse il materiale archeologico proveniente dal Pulo. Il secondo nucleo è legato al nome di Don Francesco Sma-relli, che tra il 1908 e il 1910 concentrò le sue ricerche in alcune località nell’agro di Molfetta (Chiancarella, Torre di Pettine, Navarino), Bisceglie (Albarosa) e Terlizzi (Cicalito, Montever-de) rinvenendo manufatti litici e ceramici cronologicamente e culturalmente assimilabili a quelli del Pulo.

Il Museo si articola in quattro sezioni: Archeologia, Galleria dei Paramenti Liturgici, La-pidarium, Statuaria Antichi Misteri e Statuaria Lignea. La sezione archeologica comprende ma-nufatti litici (asce in pietra levigata, lame e schegge in selce, macine in arenaria) e frammenti di ceramica impressa e dipinta provenienti dal sito neolitico del Pulo di Molfetta e da altre stazioni in grotta nel territorio di Bisceglie e di Terlizzi. La sezione ospita anche reperti risalenti all’età del Bronzo, sempre dal Pulo: si tratta di frammenti d’impasto buccheroide con forme tipiche del repertorio vascolare subappenninico (vasi carenati con ornamenti plastici, con impressioni a ditate).

All’età preromana si riferiscono invece i reperti di ceramica indigena iapigia (a partire dall’VIII sec. a.C.) e di ceramica apula, prodotta da officine attive dagli ultimi decenni del V secolo a tutto il IV sec. a.C. nelle colonie greche più fiorenti dell’Italia meridionale, oltre che di ceramica di Gnathia (IV-III sec. a.C.).

Il Lapidarium ospita frammenti erratici relativi alle sculture architettoniche e di arredo provenienti dall’antico Duomo, dalle chiese e dall’arredo urbano. Fra questi, le due statue pro-venienti dall’antica porta urbica – detta “Porta della Terra” – della città di Molfetta, ricostruita nel 1714 e raffiguranti San Nicola e San Corrado con il rilievo della Madonna dei Martiri, opere del maestro giovinazzese Carlo Giacinto Altieri.

La sezione dedicata alla statuaria lignea ospita i due frammenti degli stalli del coro dell’an- tico duomo di Molfetta commissionato dal vescovo Andrea de Rocha tra il 1464 e il 1471. Degni di nota, inoltre, i reliquiari a busto in legno dipinto e le statue lignee di San Giovanni Evangelista e San Luigi Gonzaga, attribuiti agli scultori napoletani Giovanni e Francesco Verzella, tra i più noti scultori lignei napoletani operanti tra XVIII e XIX secolo.

Il secondo piano del Museo ospita la Pinacoteca, il cui patrimonio abbraccia un arco di tempo che va dal Cinquecento ai giorni nostri. Particolarmente rilevanti la tavola dipinta con

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Capitolo VIII 401

la Dormitio Virginis attribuita al pittore calabrese Marco Cardisco (1530-1532) e la Pietà di Bernardo Cavallino, uno dei più raffinati pittori napoletani del Seicento. A queste si aggiunge la grande tela, recentemente restaurata, del Compianto sul Cristo morto, datata al XVII secolo e attribuita a Massimo Stanzione o alla sua scuola.

Monopoli

CoLLezione“L.Meo-evoLi”Contrada Cozzana, 154Tel. e fax: 080 803805Sito web: http://www.meoevoli.it

Nella splendida cornice di Villa Meo-Evoli, costruita nella seconda metà del Settecento sulle colline in località Sant’Oceano, è possibile visitare l’omonimo Museo, ospitato nel padi-glione centrale del giardino annesso all’elegante residenza di gusto neoclassico.

La collezione archeologica conservata al suo interno proviene da due nuclei fondamentali che portano il nome dei proprietari fondatori Martinelli e Palmieri.

Il primo nucleo risale probabilmente al periodo in cui la nobile famiglia salernitana Mar-tinelli si trasferì nel territorio di Monopoli, cioè agli ultimi decenni del XVIII secolo ed esisteva già nel 1837, anno in cui il proprietario Francesco Paolo Martinelli fece affiggere una lapide sul-la porta centrale del Museo. Il nucleo Palmieri ha invece origine ottocentesca, come si desume dalle citazioni dello storico locale del XIX secolo L. Finamore Pepe.

Le due raccolte conservate nelle stesse sale del Museo Meo-Evoli hanno finito col mesco-larsi, sicché non è possibile allo stato attuale stabilire a quale gruppo appartenga ogni singolo pezzo, né tentare di ricostruire i complessi tombali o votivi, non potendo usufruire dei dati di scavo. Nella maggior parte dei casi è però probabile che le due famiglie abbiano attinto alle aree di Monopoli e di Egnazia, Ruvo e Canosa.

La collezione comprende un cospicuo numero di sculture in marmo (alcune antiche, la maggior parte invece del XIX secolo), oggetti di metallo, alcune terrecotte figurate e molto va-sellame. Di particolare pregio la serie delle ceramiche apule, lucane e campane a figure rosse, i vasi corinzi e la collezione dei ritratti ellenistici e romani.

Fra i viali del giardino si scorgono inoltre altri elementi architettonici di spoglio, colonne e capitelli, oltre al sarcofago di Petilia Secondina, sacerdotessa bambina di Minerva, ritrovato nell’agro di Giovinazzo.

Polignano a Mare

CentroMuseoLAborAtorioDiPALetnoLoGiAPalazzo Pino Pascali, via Mulini, 1 Tel. 080 4249239

Nato dall’intesa fra la cattedra di Paletnologia dell’Università degli Studi di Bari e il Co-

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402 Musei archeologici

mune di Polignano a Mare, il Museo espone in mostra permanente i reperti provenienti dai vicini siti archeologici di Mortara Zupparello e Madonna di Grottole, oltre ai materiali provenienti dall’importante sito neolitico rappresentato dall’Ipogeo Manfredi, situato in località Scorza di Santa Barbara.

La raccolta archeologica è costituita in prevalenza da frammenti ceramici di epoca prei- storica – circa 3.000 pezzi – molti dei quali del tipo Serra d’Alto, con decorazioni a fasce di colore rosso-arancio. L’esposizione comprende inoltre selci, ossidiana, pietre dure e reperti faunistici.

Attualmente il Museo, che promuove seminari e convegni, ospita anche un laboratorio di restauro.

Putignano

MuseoCiviCo

Piazza Plebiscito, 16Tel. 080 4056111

Situato accanto alla Chiesa di San Pietro, Palazzo Romanazzi – già dimora del Balì dei Cava-lieri di Malta, passato alla famiglia Romanazzi Carducci nel XIX secolo e definitivamente donato dal principe Guglielmo al Comune di Putignano nel 1967 – costituisce la sede del Museo Civico.

Le collezioni, suddivise in quattro sezioni (Preistorica, Archeologia e numismatica, Pina-coteca e sculture, del Folklore e storia locale) comprendono 1.500 pezzi raccolti dalla passione antiquaria del principe. Particolarmente significative la raccolta di quadri del Seicento e del Set-tecento, gli arredi del XVIII secolo, le oreficerie, una splendida collezione d’armi, manoscritti ed edizioni a stampa di pregio e la collezione di carrozze della famiglia.

Rutigliano

MuseoCiviCoArCheoLoGiCo

Piazza XX Settembre, 1Tel. 080 4762216

Ospitato in origine nell’ex convento di San Domenico e attualmente trasferito nelle sale dell’edificio donato al comune da N. Didonna, il Museo raccoglie parte dei materiali archeologi-ci provenienti da scavi e ricerche nel territorio di Rutigliano (gran parte dei reperti è conservata nei Musei di Bari e di Taranto).

All’interno della sezione preistorica è esposta una collezione ceramica con cronologia compresa tra l’XI e l’VIII sec. a.C. – tra cui esemplari del tipo Serra d’Alto – provenienti dai siti di Lama dell’Annunziata, Giotta, Madonna delle Grazie e Torre delle monache.

All’età classica si riferiscono invece i corredi funerari dalle ricche necropoli di Azetium-Castiello, Purgatorio e Bigetti, comprendenti vasi attici e corinzi a vernice nera; crateri apuli a figure rosse, ceramica da mensa, dolia e anfore da trasporto. Dell’esposizione fanno parte inoltre

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Capitolo VIII 403

recipienti in bronzo, armi e gioielli in ambra figurata e un tesoretto di monete d’argento datate tra la seconda metà del V e la fine del II sec. a.C.

Il percorso di visita include anche i materiali provenienti dalle donazioni Colamussi e Dioguardi: della prima fanno parte crateri e vasi apuli; la seconda è costituita da ceramiche di produzione indigena datate tra il VI e il III sec. a.C. e da vasi miniaturistici e terrecotte figurate di IV-III sec. a.C.

In occasione dell’inaugurazione dopo gli ultimi lavori di restauro, la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia ha curato l’allestimento della mostra Giochi e culti oltre la vita, che consente di ammirare i corredi funerari dei sepolcri infantili di V sec. a.C. rinvenuti durante gli scavi nella necropoli di Purgatorio.

Ruvo di Puglia

MuseoArCheoLoGiConAzionALe“JAttA”Piazza G. Bovio, 35Tel. 080 3612848Sito web: http://www.palazzojatta.org

Il Museo Nazionale Jatta, ideato come una vera e propria casa-museo, ospita una presti-giosa collezione archeologica di formazione ottocentesca, composta da oltre 2.000 reperti pro-venienti in massima parte dalla necropoli dell’antica Ruvo. Della vitalità economica e sociale del centro tra il VI e il III sec. a.C. sono testimonianza i corredi funerari che restituiscono l’im-magine di una comunità articolata, con ai vertici un ceto aristocratico per il quale l’esibizione nelle sepolture di oggetti di lusso (armature, vasi figurati e oreficerie) corrispondeva a un’esi-genza di rappresentazione della propria condizione privilegiata.

La collezione andò formandosi dal 1820 al 1842 per opera dei fratelli ruvesi Giovanni e Giulio Jatta, appassionati cultori dell’antichità e successivamente fu arricchita e catalogata da Giovanni Jatta junior – figlio di Giulio – a cui si deve la creazione di un voluminoso catalogo, ancora oggi importante punto di riferimento, pubblicato a Napoli nel 1869.

Le raccolte sono patrimonio pubblico dal 1991, anno della loro acquisizione da parte del Ministero per i Beni Culturali, seguita nel 1993 dall’apertura del Museo.

Il Museo Jatta restituisce un raro documento di cultura museografica ottocentesca, avendo preservato sostanzialmente immutata l’originaria impostazione espositiva di gusto neoclassico con i reperti ordinati in base al loro valore e secondo un criterio ‘di bellezza’, lungo un percorso che si snoda in progressione dalla prima stanza, dove furono collocati gli esemplari ceramici ritenuti di minor pregio, fino all’ultima – la quarta – che accoglie il vaso più emblematico della collezione: il celebre cratere attico a figure rosse con raffigurazione di Talos morente. La stessa sala ospita inoltre vasi a figure nere, elementi di armature in bronzo e gioielli in pasta vitrea.

bibLioGrAFiAC. buCCi, Il Museo Nazionale Jatta. La storia, i personaggi, la collezione, Bari 1994; G. AnDreAssi, Jatta di

Ruvo: la famiglia, la collezione, il Museo nazionale, Bari 1996.

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404 Musei archeologici

VIII.4. Provincia di Taranto

Grottaglie

MuseoDeLLeCerAMiChe

Largo Maria Immacolata Tel.: 099 5620222Sito web: http://www.museogrottaglie.it

Il Museo della Ceramica, ospitato nell’area sud-orientale del castello Episcopio – mastio medievale della fine del XIV secolo – è interamente dedicato all’artigianato figulino, per secoli settore trainante della vita e del commercio di Grottaglie.

I manufatti in mostra, provenienti da collezioni pubbliche e private, coprono un arco tem-porale assai ampio, che va dall’VIII sec. a.C. ai giorni nostri.

Organizzata secondo un criterio cronologico, la raccolta illustra le varie tipologie ceramiche e le diverse caratteristiche tecniche e decorative dei manufatti, suddivisi in cinque differenti se-zioni: Archeologica, Maioliche, Ceramica tradizionale d’uso, Ceramica contemporanea e Presepi.

In particolare, nella Sezione Archeologica sono esposti numerosi reperti provenienti dal sito di Masseria Vicentino, individuato per la prima volta intorno alla metà degli anni ’60 del Novecento. Le campagne di scavo hanno portato alla luce abbondanti reperti ceramici, datati tra l’VIII e il IV sec. a.C., fra cui spiccano olle globulari decorate con motivi geometrici e patere dipinte o incise.

Il Museo espone anche materiali provenienti dal Museo Archeologico di Taranto, rinve-nuti presso il monastero delle Benedettine di Manduria durante la campagna di scavo del 1990. I reperti in questione – maioliche monocrome bianche, ceramica dipinta acroma, ceramica da fuoco invetriata e incisa – sono riconducibili per la maggior parte al XV e al XVI secolo, ma non mancano testimonianze più antiche, rappresentate da alcune lucerne datate al V-VI sec. d.C.

Manduria

MostrAPerMAnente“oLtreLeMurA”Via XX Settembre, 110Tel. 099 9702245Sito web: http:// www.messapi.org

Inaugurata nel giugno del 1977 e allestita nella sede distaccata della Soprintendenza Ar-cheologica, la mostra espone i materiali riportati alla luce da Nevio Degrassi nel corso degli scavi condotti a Manduria tra il 1955 e il 1960 nell’estesa necropoli che si sviluppa all’esterno dell’impianto di fortificazione.

L’esposizione comprende una selezione di 57 corredi ritenuti – in base al valore degli oggetti e alle caratteristiche del complesso – particolarmente significativi per illustrare, per ogni fase cronologica documentata, il rito funerario e gli aspetti della società messapica alla quale vanno ricondotte le deposizioni. A questi materiali si aggiungono alcuni significativi complessi

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Capitolo VIII 405

di provenienza diversa che attestano, peraltro, la presenza di settori di necropoli anche all’inter-no del circuito murario.

Tra i reperti in mostra, datati tra la fine del VI e l’inizio del II sec. a.C., il nucleo più con-sistente è rappresentato dalla ceramica, con una grande varietà formale e tipologica: è possibile ammirare vasi a figure rosse, a vernice nera, esemplari di ceramica apula a figure rosse, in stile Gnathia, nonché forme tipiche del repertorio messapico, come le trozzelle, simbolo di una cul-tura indigena che ha saputo conservare i suoi tratti peculiari pur a contatto con influssi continui della confinante civiltà magnogreca. I corredi esposti annoverano inoltre terrecotte figurate, oggetti personali in bronzo quali fibule e strigili, orecchini in terracotta e monete d’argento.

Taranto

MArtA–MuseonAzionALeArCheoLoGiCoDitArAntoVia Cavour 10Tel. 099 4532112Sito web: http://www.museotaranto.org

Il Museo Nazionale Archeologico di Taranto, istituito nel 1887, occupa fin dalle origini l’ex convento dei Frati Alcantarini (costruito intorno alla metà del XVIII secolo) e – in seguito a interventi di ingrandimento alla metà del XX secolo – l’adiacente corpo settentrionale dell’Ala Ceschi.

A partire dal 1998 sono iniziati i lavori di ristrutturazione che hanno portato alla parziale riapertura al pubblico del Museo, avvenuta il 21 dicembre 2007.

Il nuovo itinerario di visita, strettamente legato ai riferimenti territoriali, mira a rappre- sentare – avvalendosi delle moderne tecnologie multimediali – tematiche specifiche legate agli aspetti più significativi del popolamento antico dell’area di Taranto. Il percorso di visita si svi-luppa per fasce cronologiche.

Attualmente è visitabile il primo piano, che ospita le collezioni greche, romane e apule, inclusi gli ori che hanno reso celebre il Museo in tutto il mondo.

L’esposizione parte dall’architettura funeraria della città greca tra IV e III sec. a.C. con la ricostruzione del naiskos di via Umbria e si estende a quella del mondo apulo, ben rappresen-tata dalla ricostruzione dell’Ipogeo delle Cariatidi di Vaste. I corredi permettono di ammirare la pregiatissima oreficeria tarantina, le cui creazioni più originali, spesso, erano destinate a una clientela indigena, come dimostrano i rinvenimenti nelle tombe di Canosa, San Paolo Civitate, Carbonara, Egnazia.

La mostra prosegue con la sezione romana e una panoramica degli arredi e degli elementi decorativi delle residenze private tra III sec. a.C. e I sec. d.C.: supporti in marmo o pietra per mense, pavimenti a mosaico policromo; fontane, vasche e bacini in marmo. Con la sala XVII, che ospita pavimentazioni musive provenienti da edifici pubblici (Terme Pentascinensi) e privati datati al II sec. d.C. termina la sezione romana che sarà integrata da un quadro esaustivo della città tra fine III sec. a.C. e IV sec. d.C. In particolare saranno approfonditi gli aspetti riguardanti l’economia e la produzione, la cultura funeraria, con riferimento alla necropoli monumentale di Piazza d’Armi, e le iscrizioni funerarie. Infine, ampio spazio sarà dedicato a Taranto tra tar-

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406 Musei archeologici

doantico ed età bizantina (dal V all’XI sec. d.C.), e, nello specifico, alla domus di casa Basile e all’oreficeria bizantina. L’itinerario di visita si conclude con le sale dedicate alla storia del Museo e della formazione delle raccolte, illustrata dai quadri donati dal vescovo Giuseppe Ric-ciardi, inquadrabili tra XVII e XVIII secolo e da altri reperti confluiti nelle collezioni attraverso acquisti e lasciti.

Il secondo piano, ancora in fase di allestimento, prevede una vasta esposizione riguardante la città arcaica e le civiltà preclassiche, la chora tarantina e il mondo indigeno, con sale dedicate anche all’inquadramento territoriale della città opportunamente accompagnato dalla cartografia del suo territorio.

bibLioGrAFiAA. DeLL’AGLio, Il Museo nazionale archeologico di Taranto, Taranto 2008.

VIII.5. Provincia di Brindisi

Brindisi

MuseoArCheoLoGiCoProvinCiALe“F.ribezzo”Piazza Duomo, 7Tel. 0831 565501Sito web: http://www.provincia.brindisi.it

Il Museo, intitolato all’archeologo e glottologo Francesco Ribezzo (1875-1952), è stato istituito nel 1884 per ospitare le donazioni di alcuni collezionisti locali e i materiali rinvenuti negli scavi cittadini. Nel corso del Novecento la raccolta archeologica ha conosciuto, soprattutto a partire dalla fine degli anni ’70, uno straordinario incremento grazie alle ricerche sistematiche che hanno portato alla progressiva scoperta dell’insula romana di San Pietro degli Schiavoni, della domus di San Giovanni al Sepolcro, delle necropoli di via Cappuccini, oltreché di fastosi elementi architettonici, vasellame, monete e sculture, entrati a far parte del patrimonio cittadino.

Dal 2009 il Museo presenta una veste museografica e museologica nuova, con un allesti-mento innovativo il cui obiettivo fondamentale è quello della piena reversibilità, che permette di intervenire con eventuali modifiche e nuove proposte a seguito del progresso degli scavi e degli studi archeologici. L’esposizione si sviluppa attraverso un percorso di visita che dal porticato si snoda su tre piani che ospitano reperti datati dall’età preistorica alla tarda età romana.

L’itinerario di visita inizia al pianterreno, dove è situato l’Antiquarium – dedicato alle do-nazioni dei privati – comprendenti le collezioni Civica-De Leo e Marzano-Gorga. Tra i materiali in mostra, vasi di importazione greca, corinzi e attici, ma soprattutto vasellame di produzione locale (trozzelle, vasi apuli a figure rosse, vasi in stile Gnathia), databili fra il VII e il III sec. a.C. Segue la ricca documentazione coroplastica votiva facente parte della Collezione Gorga, con matrici, statuette femminili e maschili, pinakes, antefisse e dischi votivi che si collegano a manifestazioni cultuali o funerarie, con cronologia tra il VI e il II sec. a.C.

Nella sezione epigrafica e statuaria sono ospitate lastre, edicole di carattere funerario e

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Capitolo VIII 407

stele provenienti dalle necropoli di Brindisi, ubicate lungo il percorso della via Appia e della via Traiana. Degne di interesse le iscrizioni di carattere onorario e quelle che ricordano opere pub-bliche, documenti fondamentale per la conoscenza del tessuto socioeconomico del municipium tra il I sec. a.C. e il III-IV sec. d.C. Della sezione fanno parte anche sculture romane di carattere funerario e statue-ritratto, a volte copie di originali famosi, che attestano lo sviluppo della pla-stica figurativa dal I sec. a.C. al II sec. d.C.

La sezione preistorica raccoglie i risultati di varie campagne di scavo effettuate nella provincia di Brindisi. L’esposizione ruota attorno a diversi aspetti della vita e delle attività pro-duttive, con l’ausilio di pannelli che fanno riferimento al contesto storico-topografico e di ripro-duzioni fotografiche e grafiche.

Al primo piano, la sezione messapica ospita abbondante materiale archeologico prove-niente dai corredi funerari rinvenuti a Brindisi e nel territorio provinciale. Il percorso espositivo continua al piano superiore che ospita in quattro sale la sezione dedicata alla città in età romana, dove sono conservati capitelli, sculture, epigrafi, mosaici e monete provenienti in gran parte da edifici pubblici e privati. L’ingresso alla sezione è segnato da due capitelli di ordine corinzio figurato rinvenuti in piazza Duomo e facenti parte di un sacello dedicato a Dioniso.

Il percorso museale si conclude con la sezione dedicata allo scavo subacqueo di Punta del Serrone, località situata due miglia a nord dell’imboccatura del porto di Brindisi, dove nel 1992 a seguito di un’occasionale immersione furono recuperati duecento frammenti bronzei di varia tipologia e dimensione, eterogenei dal punto di vista cronologico, che costituivano il ricco cari-co di sculture di una nave, smembrate già al momento dell’imbarco e forse destinate a qualche fonderia. Tra i frammenti si segnalano una statua raffigurante Lucio Emilio Paolo, e un’altra che rappresenta il civis romanus nelle vesti di togato.

bibLioGrAFiAA. MArinAzzo, Museo archeologico provinciale Francesco Ribezzo, Roma 2009.

Fasano

MuseonAzionALeDieGnAziAVia degli Scavi, 84Tel. e fax 080 4829056Sito web: http://www.egnazia.cchnet.it/; http://www.egnaziaonline.it

Il Museo Nazionale, parte integrante del Parco Archeologico di Egnazia, è ubicato all’esterno del circuito murario difensivo del IV sec. a.C. che racchiude l’area della città an-tica. La sua istituzione risale agli anni ’70 del secolo scorso, allorché si decise di raccogliere ed esporre al pubblico la ricca documentazione proveniente dagli scavi effettuati a Egnazia a partire dal 1912, nel corso dei quali erano stati messi in luce tombe messapiche, resti della città romana e tardoantica e, sull’acropoli, una fortificazione medievale, le fondazioni di un tempio del III sec. a.C. e strutture abitative dell’età del Bronzo.

L’attuale allestimento espositivo, organizzato in base a criteri cronologici e territoriali, documenta le fasi storiche di Egnazia nello svolgersi delle sue vicende, delle sue trasformazioni

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408 Musei archeologici

e delle sue relazioni con le realtà insediative presenti nel contesto regionale sud-orientale: si parte dalle prime forme di popolamento nel XVI sec. a.C., per poi proseguire con gli aspetti relativi alla realtà urbana del sito e alla sua progressiva monumentalizzazione in epoca messa-pica, romana e tardoantica, fino al suo arroccarsi sull’acropoli, intorno all’VIII secolo, con un insediamento fortificato in vita ancora nel XII secolo.

Il percorso di visita si articola in sette sezioni, la prima delle quali è dedicata all’età del Bronzo e al ruolo svolto dagli insediamenti dislocati lungo la costa adriatica nel II millennio a.C. Oltre ad Egnazia sono presentati i siti di Monopoli, Torre S. Sabina e Punta le Terrare, che hanno restituito, tra gli altri reperti, ceramica d’importazione egea. La sezione successiva illustra per il periodo compreso tra il IX e il VII sec. a.C. la distribuzione dei siti nel Salento, le caratteristiche di alcuni insediamenti (San Vito dei Normanni, Mesagne) ed espone per la prima volta al pub-blico le stele funerarie in pietra rinvenute a Mesagne, Muro Tenente e Cavallino.

Nelle sale focalizzate sull’età arcaica la ceramica peuceta e messapica, proveniente da Egnazia, testimonia l’iniziale inserimento (sul finire del VII sec. a.C.) del centro nella duplice sfera culturale rappresentata dalla Puglia centrale e dal Salento. I corredi funerari esposti, in cui è documentata la trozzella, forma tipica messapica, associata a ceramica d’importazione attica e corinzia, consentono di definire Egnazia, a partire dal V sec. a.C., un abitato indigeno messapico. Seguono la sezione messapica, con l’esposizione di numerosi corredi funerari tra i quali spiccano i materiali da una tomba che ha restituito una hydria a figure rosse ricoperta da sfoglia aurea e quelli da una sepoltura con terrecotte figurate e un sigillo in cristallo di rocca; la sezione romana – che ospita l’altare del Sacello delle Divinità Orientali e una testa del dio Attis – e quella tardoantica, dove è possibile ammirare gli elementi architettonici e i resti di mosaici pavimentali provenienti dalle tre basiliche paleocristiane rinvenute nella città.

L’esposizione si chiude con la documentazione relativa all’età medievale, proveniente principalmente dall’acropoli, dove in seguito alla distruzione della città venne edificata una struttura fortificata e un ampio circuito murario intorno alla collina.

Latiano

CAsA-Museo“ribezzi-PetrosiLLo”Via Angelo Ribezzi, 1Tel. 0831 725239Sito web: http://www.museoribezzipetrosillo.it/esposizioni

La Casa-Museo, inaugurata nel 2003 in un’ala del settecentesco Palazzo Ribezzi, nel cuo-re del centro storico di Latiano è nata con lo scopo di valorizzare la collezione privata apparte-nuta all’omonima famiglia e costituita per la maggior parte dai reperti rinvenuti nel XIX secolo nel sito archeologico di Muro Tenente.

L’itinerario di visita ha inizio al piano inferiore, dov’è attualmente allestita la mostra per-manente Muro Tenente, un sito archeologico conteso, che presenta i risultati degli scavi condotti nell’insediamento messapico negli anni 1969-1977 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologi-ci della Puglia, e negli anni 1992-2002 dalla Libera Università di Amsterdam. I corredi funerari esposti, databili fra il VI e il III sec. a.C. comprendono reperti di produzione indigena messapica

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Capitolo VIII 409

(trozzelle), vasi sovradipinti, vasi apuli a figure rosse e ceramica a vernice nera.Sempre al piano inferiore, la sala della numismatica ospita la Collezione “Benvenuto

Ribezzi” che annovera 400 monete, mentre nella sala della musica sono presenti strumenti mu-sicali, dischi, spartiti, libretti d’opera dei secoli XIX-XX e una collezione di cappelli e ventagli d’epoca.

Il percorso museale prosegue al primo piano, dedicato alla storia delle famiglie borghesi di Latiano in età moderna: nella sala della caccia e delle armi sono esposte armi bianche, oggetti da caccia, pannelli e cimeli del ‘900; la sala delle pergamene ospita, oltre ad antichi documenti giuridici, abiti ottocenteschi. La visita continua con il salone dedicato all’avvocato Benvenuto Ribezzi cui appartenevano i reperti archeologici della collezione; la sala della medicina, con strumenti medici, foto, libri e pergamene relativi alla medicina e alla farmacia nel passato; la sala dei libri antichi e degli oggetti sacri.

Mesagne

MuseoCiviCoArCheoLoGiCo“u.GrAnAFei”Piazza IV NovembreTel. 0831 735198Sito web: http://www.comune.mesagne.br.it

Il Museo Civico “Ugo Granafei”, attualmente allestito all’interno del Castello Normanno-Svevo, fu istituito nel 1935 grazie alla donazione privata della famiglia Granafei e si è arricchito nel tempo dei materiali provenienti da altre donazioni, rinvenimenti fortuiti e campagne di scavo che a partire dagli anni ’70 del Novecento hanno portato alla luce importanti siti extra-urbani come Muro Maurizio, Malvindi e Muro Tenente.

La raccolta museale è formata prevalentemente da ceramica messapica, da prodotti impor-tati dal mondo greco e da vasellame imitante le produzioni greche.

I materiali esposti nelle prime due sale fanno parte dei corredi funerari dalle necropoli individuate a sud e a nord dell’attuale centro storico, databili complessivamente tra VI e II sec. a.C. Nelle sale IV e V si possono ammirare le donazioni e i rinvenimenti fortuiti da parte di privati, costituiti prevalentemente da ceramica e oggetti in terracotta, molti dei quali giocattoli o giochi usati in età messapica e romana. Un posto particolare è occupato dal pavimento a mo-saico rinvenuto nel tepidarium dell’impianto termale di Malvindi e la collezione numismatica di monete magno greche, romane e medievali esposte nella sala VII.

Il Museo dispone inoltre di una ricca sezione epigrafica (sala VIII), costituita da lastre funerarie d’età messapica e romana.

Oria

CentroDiDoCuMentAzioneMessAPiCA

Piazza D. Albanese, c/o Palazzo MartiniTel. 0831 845703

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410 Musei archeologici

Sito web: http://www.comune.oria.br.it/cittaterritorio/archeologia.php

Il Centro di Documentazione Messapica, situato all’interno di Palazzo Martini – tipico esempio dell’architettura barocca del XVIII secolo – raccoglie i reperti rinvenuti dal 1950 ad oggi nel corso delle campagne di scavo avviate, talvolta casualmente, in via Dragonetti Bo- ni-facio, viale Regina Margherita, via Pascoli e via Erodoto. L’esposizione, composta da oltre 350 reperti riferibili quasi esclusivamente a contesti funerari, offre un quadro generale dell’antica civiltà messapica, testimoniata da ceramica di importazione (vasi attici e figure nere), ceramica locale (incluse le tipiche trozzelle), manufatti in bronzo e oggetti personali dei defunti.

La visita al Museo offre l’occasione di ammirare l’area archeologica venuta alla luce durante i lavori di rifacimento del piazzale antistante la basilica cattedrale, che ha restituito materiali datati tra la seconda metà del VI e il III secolo a.C., con un’ampia gamma di ceramica d’importazione.

Ostuni

MuseoDiCiviLtàPreCLAssiCheDeLLAMurGiAMeriDionALeVia Cattedrale, 15Tel 0831 303973Sito web: http://www.urpcomunediostuni.it

Il Museo di Civiltà Preclassiche della Murgia meridionale ha sede nell’ex monastero car-melitano di Santa Maria Maddalena dei Pazzi, con l’annessa chiesa di San Vito Martire. Aperto dal 1989, raccoglie reperti archeologici della zona rinvenuti nel territorio ostunese e datati dalla Preistoria all’età messapica.

Tra i materiali più antichi figurano ceramica e oggetti di ornamento, selci e utensili di pietra, testimonianze del lungo arco cronologico compreso tra il Paleolitico e l’età dei metalli. Di particolare interesse il calco e la ricostruzione della sepoltura di “Ostuni 1”, nome scientifico di una giovane donna morta di parto nel Pleistocene superiore e sepolta nella Grotta di Agnano con un corredo contenente, oltre a oggetti litici, bracciali di conchiglie forate e un copricapo realizzato con conchiglie impastate con ocra rossa.

Nel Museo sono inoltre presentate le ricerche topografiche condotte nei siti neolitici più significativi della costa adriatica, come quello di Fontanelle, dove oltre a numerosi resti di cerea- li contenuti in grumi di intonaco di capanna sono state rinvenute ceramiche impresse arcaiche e manufatti di industria litica laminare di ridotte dimensioni, come perforatori e geometrici. Tra le grotte frequentate nel IV-III millennio particolare importanza riveste quella di San Biagio, dove sono stati portati alla luce numerosi frammenti di ceramica dipinta in bruno nello stile di Serra d’Alto.

L’esposizione si completa con la sezione dedicata all’epoca messapica, a cui si riferiscono gli esemplari di ceramica messapica – tra cui le tipiche trozzelle a decorazione geometrica – mo- nete e terrecotte votive provenienti soprattutto da contesti funerari.

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Capitolo VIII 411

VIII.6. Provincia di Lecce

Alezio

MuseoCiviCoMessAPiCo

Via Kennedy, 1Tel. 0833 282402E-mail: [email protected]

Il Museo Civico Messapico, situato nel palazzo settecentesco un tempo di proprietà della famiglia Tafuri di Gallipoli, è stato istituito nel 1982.

Larga parte della collezione è costituita da corredi funerari, databili tra gli inizi del IV e gli inizi del III sec. a.C., provenienti da rinvenimenti occasionali nell’area della città e dalla necro-poli di Monte d’Elia, ricostruita nel plastico in scala al centro della sala ottagonale. Dell’espo-sizione fanno parte esemplari di ceramica di produzione locale, unguentari, un cratere, fibule in bronzo, coppe ioniche, un guttus a vernice nera, skyphoi a vernice nera, un vaso antropomorfo e altri materiali riferibili alla sfera funeraria. Allo stesso arco cronologico rimanda la documen-tazione epigrafica, che comprende un’epigrafe messapica con andamento bustrofedico, datata al VI sec. a.C. Di particolare interesse la vetrina degli ori, con splendidi gioielli del I secolo a.C.

Antistante il Museo è il parco archeologico all’aperto, dove è possibile ammirare i resti di tombe messapiche databili tra il VI ed il II sec. a.C.

Cutrofiano

MuseoCoMunALeDeLLACerAMiCA

Piazza Municipio, 12Tel. 0836 512461Sito web: http://www.comune.cutrofiano.le.it

Il Museo della Ceramica, ospitato nella vecchia sede del Municipio, è stato istituito nel 1985 per esporre le terrecotte tradizionali prodotte dagli artigiani locali, allo scopo di valorizzare l’attività che ha caratterizzato il paese fin da tempi lontanissimi. La raccolta iniziale si è arricchita nel tempo per successive donazioni e tramite l’acquisto di una piccola collezione di maioliche.

Attualmente il Museo si compone di 4 sezioni: storico-archeologica, che accoglie mate- riale ceramico – in gran parte frammentario – dalla Preistoria al periodo postmedievale, pro- veniente dal territorio di Cutrofiano e di altri centri vicini; storico-artistica, in cui sono esposte ceramiche invetriate e smaltate; antropologica, che comprende oggetti d’uso sia grezzi che in- vetriati, prodotti quasi esclusivamente in loco nel corso del XIX secolo e nella prima metà del XX e divisi per ambiti d’uso; tecnologica, con attrezzi e strumenti usati per la produzione della terracotta e provenienti da botteghe locali ormai scomparse.

Il Museo, fin dalla sua istituzione, convive con la Biblioteca Comunale, dotata di una se- zione speciale dedicata agli studi sulla ceramica.

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412 Musei archeologici

bibLioGrAFiAS. MAtteo (a cura di), Museo della ceramica di Cutrofiano, Galatina 2002.

PArCoDeiFossiLieMuseoMALACoLoGiCoDeLLeArGiLLe

S.S. Aradeo-Cutrofiano, località LustrelleTel. 0836 512461Sito web: http://www.japigia.com/parcodeifossili

Il Parco dei Fossili, a pochi chilometri dal centro abitato, in contrada Lustrelle, si estende per circa 12 ettari all’interno di un’ex cava d’argilla recuperata negli anni ’90 come sito paleon-tologico e naturalistico di straordinario interesse. Gli strati geologici sono tutti di origine marina, a eccezione del più superficiale (terreno agricolo e humus) e del più profondo (la piattaforma di graniti su cui poggia tutta la serie sedimentaria di Cutrofiano e, più ingenerale, di tutta la Puglia). La specificità di Cava Lustrelle è data dall’eccezionale ricchezza delle argille, che presentano una quantità di fossili raramente rintracciabile in altri siti: in alcuni tratti si possono addirittura stimare migliaia di reperti per singolo metro quadrato. La fauna delle argille è rappresentata quasi esclusivamente da conchiglie in perfetto stato di conservazione, tanto da recare ancora la colorazione originaria.

Nel Museo, situato in una cascina seicentesca ricadente nella proprietà, sono esposti i fossili dei molluschi – appartenenti alle classi dei gasteropodi, dei bivalvi e degli scafopodi – e alcune stereofotografie di micro conchiglie. L’esposizione comprende inoltre un plastico in scala 1:100 dell’intera cava in sezione, un plastico in scala 1:75 di un’antica cava a galleria per l’estrazione della calcarenite, e la ricostruzione di uno strato di argilla azzurra.

Gallipoli

MuseoCiviCo“e.bArbA”Via A. De Pace, 108/118Tel. 0833 2642424Sito web: http://www.museocivicogallipoli.it

Il Museo Civico fu istituito nel 1878 per volontà di Emanuele Barba, medico naturalista, nonché bibliotecario comunale, che donò al Comune le sue collezioni mineralogiche, naturali-stiche e archeologiche.

Il nucleo originario della sezione archeologica, risalente alla fondazione del Museo, è sta- to incrementato negli anni successivi con altre acquisizioni e consta attualmente di 511 reperti che coprono un arco cronologico che va dall’età del Bronzo al Medioevo. La maggior parte dei materiali conservati, datati tra VII e II sec. a.C., si riferisce alla civiltà messapica ed è rappre-sentata da ceramica subgeometrica, di cui la trozzella è la forma vascolare caratterizzante. Allo stesso ambito culturale rimandano anche una lastra con iscrizione in lingua messapica e due sarcofagi provenienti dalla vicina Alezio.

Della collezione archeologica fanno parte anche reperti d’età romana, come piatti in sigil-

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Capitolo VIII 413

lata, vetri e alcuni esemplari di anfore da trasporto e lucerne a disco e a volute, nonché monete di età repubblicana e imperiale, esposte nella sezione numismatica. Non mancano materiali di età più tarda, bizantina e medievale, come brocche e lucerne in ceramica acroma, invetriata e dipinta in rosso.

Il Museo conserva inoltre armi e vestiti tipici del XVIII-XIX secolo, esemplari di fauna e flora locali, fossili e minerali, conchiglie di tutti i mari del mondo, ceramiche e terraglie so- prattutto di produzione locale.

Lecce

MuseoProvinCiALe“siGisMonDoCAstroMeDiAno”Viale Gallipoli, 28Tel. 0832 683503Sito web: http://www.comune.lecce.it

Il Museo Archeologico Provinciale, fondato nel 1868 da Sigismondo Castromediano, duca di Cavallino, è ospitato tra le mura dell’ex “Collegio Argento”, costruito dai padri gesuiti nel 1888. L’edificio è stato appositamente acquistato dalla provincia di Lecce nel 1967 perché fosse trasformato nella dimora del patrimonio artistico e storico del Salento, precedentemente custodito nell’ex convento dei Celestini. La nuova sede ha permesso di allestire le cospicue collezioni archeologiche in chiave didattica, impostazione più adatta a valorizzare i reperti, spesso purtroppo privi del contesto di rinvenimento, e a illustrare la storia del Salento dall’età del Bronzo all’età tardoantica.

L’allestimento attuale, organizzato secondo un criterio cronologico, si svolge lungo un suggestivo percorso a spirale: lungo la rampa d’accesso è ospitata la sezione didattica, mentre al primo piano è il grande racconto della Preistoria, all’interno del quale uno spazio a sé è occupato dalla ricostruzione della Grotta dei Cervi di Porto Badisco; la sezione si conclude con lo spazio dedicato alla tarda età del Bronzo.

Al primo piano è l’Antiquarium, che ospita la consistente raccolta ceramica costituita da vasi attici a figure nere del VI sec. a.C. e a figure rosse del V sec. a.C., vasi apuli (datati al V-IV sec. a.C.), esemplari messapici e in stile Gnathia, oltre a terrecotte, statuette fittili, iscrizioni messapiche e romane, e la collezione numismatica. Una sezione a parte è dedicata a Lupiae e ai rinvenimenti nell’area della città antica: tra questi, si segnalano le statue marmoree – un’Amaz-zone ferita, Ares e un’Athena con lo scudo – di età antoniniana, rinvenuti nell’aera del teatro.

Il piano terra ospita la sezione topografica e la Pinacoteca, con dipinti dal XV al XVIII secolo di scuola veneziana, napoletana e romana.

MuseoDeLteAtroroMAno

Via degli AmmiratiTel. 0832 279196Sito web: http://www.itersalento.it

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414 Musei archeologici

Il Museo è ospitato nel prestigioso palazzo seicentesco appartenuto alla famiglia Roma-no, ubicato alle spalle della scaena teatrale e con la suggestiva veduta sulla cavea del Teatro Romano. La Fondazione Memmo ha acquisito, restaurato l’edificio e lo ha reso disponibile ai visitatori, accogliendo opere e iniziative collegate al teatro romano di Lecce, e più in generale, al tema della rappresentazione nell’antichità.

È stato inaugurato nel settembre 1999 con la mostra permanente Roma. La scena della vita, realizzata in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Roma e la Soprinten-denza Archeologica della Puglia.

Dispone di sei sale al piano terra, e di tre al piano interrato, dal quale è possibile accedere direttamente alla scaena.

La prima parte del Museo offre la visione degli affreschi provenienti da una domus bal-nea, venuta alla luce a Roma e conseguentemente distrutta durante la costruzione della prima stazione ferroviaria del 1862 e quindi della Stazione Termini del 1947-1949. Sulle pareti della domus vi erano diversi strati pittorici risalenti all’età compresa tra il II e il III sec. d.C. Altri due affreschi provengono dal complesso delle terme. Nelle prime quattro sale, oltre agli affreschi, vi sono alcune statue di provenienza del Museo Nazionale Romano, che raffigurano Dioniso e personaggi a lui legati.

La sala 5 comprende una serie di nove maschere legate alla rappresentazione teatrale anti-ca, provenienti dalla Villa Adriana di Tivoli. Nella stessa sala è la ricostruzione in scala dell’area urbana dell’antica Lupiae in età imperiale romana.

Nella sala 6, al piano inferiore, alcuni vasi fliacici riproducono scene di teatro comico dell’Italia meridionale del IV-III secolo a.C. con caricature, parodie di tragedie o di divinità ed eroi, e scene di vita quotidiana. Fa inoltre parte dell’esposizione un modello di fronte scena su altorilievo, proveniente dal Museo Nazionale Romano, ma di origine incerta.

Maglie

MuseoDiPALeontoLoGiAePALetnoLoGiA“D.DeLorentiis”Via Vittorio Emanuele, 117Tel. 0836 485820Sito web: http://www.maglie.cchnet.it

Il Museo ha sede presso Palazzo Sticchi, risalente al primo Novecento. La sua istituzione, avvenuta nel 1965, nasce dalla necessità di raccogliere le testimonianze preistoriche provenienti dal territorio salentino.

I materiali presenti sono il risultato di indagini di scavo, consegne e donazioni relative ai più importanti siti e depositi stratigrafici della Preistoria dell’Italia meridionale, quali i Laghi Alimi- ni, Santa Maria della Grotta di Presicce, i siti di Maglie e Scorrano, la Falconiera di Su-persano, la Grotta dei Cervi e la Grotta Romanelli.

Lo spazio espositivo è interamente dedicato ai diversi temi disciplinari della Preistoria, delle scienze naturali e bioarcheologiche e si sviluppa in quattro sezioni tematiche.

La prima parte è dedicata alla Geologia e alla Paleontologia: l’esposizione annovera i reperti litologici, faunistici e fossili indicatori dei cambiamenti paleoambientali e climatici nelle

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Capitolo VIII 415

diverse ere geologiche. Di particolare interesse è la ricostruzione del paleoambiente dell’ultimo periodo interglaciale pleistocenico, il Riss-Würm.

La seconda sezione è dedicata al Paleolitico e all’arte preistorica: protagonista è l’Homo di Neandertal, la sua comparsa in Italia meridionale e gli strumenti litici da lui prodotti; nelle sale sono esposti numerosi strumenti di industria musteriana caratterizzati da un ampio uso della selce per realizzare strumenti e raschiatoi. Di particolare riguardo è l’esposizione delle industrie microlitiche, caratterizzate da grattatoi, strumenti a dorso e geometrici da Grotta Romanelli, che costituiscono uno dei capisaldi dello studio delle fasi finali del Paleolitico centromeridionale.

La terza sezione comprende il Neolitico e l’età dei Metalli, epoca in cui si assiste al cambiamento economico irreversibile da predazione a produzione, testimoniato dalla vivace e capillare occupazione del territorio salentino con insediamenti a carattere residenziale fisso sin dalle fasi iniziali nel Neolitico Antico. L’indicatore principale è la ceramica presente in maniera cospicua nell’esposizione con pezzi di altissimo pregio, dai vasi della Grotta Zinzulusa alla ce-ramica proveniente dai villaggi dell’età del Bronzo.

La quarta sezione, inaugurata a luglio 2009, comprende una collezione etnografica di arte africana subsahariana, composta da 120 reperti in bronzo, argento, avorio, legno e pietra, donate nel 2003 al Museo dal letterato lucchese Florio Santini.

bibLioGrAFiAM.A. orLAnDo, L’Alca. Città di Maglie. Guida al Museo Civico di Paleontologia e Paletnologia, Maglie 2003;

E. inGrAvALLo (a cura di), La passione dell’origine. Giuliano cremonesi e la ricerca preistorica nel Sa-lento, Lecce 1997.

Poggiardo

MuseoDeGLiAFFresChiDeLLACriPtADisAntAMAriADeGLiAnGeLi

Piazza G. EpiscopoTel. 0836 904350

Il Museo degli Affreschi è ospitato nella Villa Comunale G. Episcopio in un suggestivo padiglione che richiama la pianta originale della cripta sotterranea della basilica bizantina di Santa Maria degli Angeli, riportata alla luce e resa agibile nel 1929 e dalle cui pareti le pitture sono state rimosse, restaurate e collocate nel Museo. Questa sistemazione consente al visitatore di percorrere il ciclo raffigurativo nell’ordine originario inquadrandolo nel contesto di prove-nienza.

I nuclei agiografici, per caratterizzazione e realizzazione, rivestono un particolare inte-resse: i santi sono legati all’ambito militare, medico, sacerdotale e a quello diaconale; sfera quest’ultima presente con la raffigurazione dei santi diaconi romani Stefano e Lorenzo, signi-ficativamente affrescati ai lati dell’abside centrale. Il ciclo pittorico è stato datato tra l’XI e il XIII secolo.

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416 Musei archeologici

MuseoDeLLACiviLtàMessAPiCA

Piazza Dante, Frazione di Vaste Tel. 0836 904350Sito web: http://www.poggiardo.com

Il percorso di visita del Museo è incentrato essenzialmente sulle testimonianze della ci-viltà messapica a Vaste a partire dall’età del Ferro, con particolare riguardo ai rinvenimenti dell’abitato e dei luoghi di culto, scavati nel corso delle ricerche sistematiche degli ultimi anni.

La presentazione dell’abitato è realizzata attraverso un video con restituzioni virtuali, nel quale vengono proposte le ricostruzioni di due luoghi di culto, di età arcaica ed ellenistica. Nelle prime sale è esposta una selezione di materiali relativi alle capanne dell’età del Ferro, all’abitato e alla necropoli di fase arcaica; all’interno della stessa sala è possibile ammirare i complessi funerari della necropoli a tumulo di età classica ed ellenistica di Fondo Melliche. Tra i ricchi corredi delle tombe a sarcofago e dei depositi, spiccano il cratere a colonnette attico a figure rosse con scena dionisiaca e il bacile di bronzo di fabbrica etrusca, che indicano chiaramente l’alto livello sociale e di scambio di doni del gruppo a cui appartengono le sepolture. Rilevante è anche la presenza di oggetti quali le tipiche trozzelle di produzione indigena, a decorazione geometrica o floreale, che connotano le tombe femminili.

La sala C presenta due fra i pezzi architettonici più importanti rinvenuti a Vaste: un capi-tello con abaco decorato da rosette e un frammento di fregio, entrambi di età arcaica.

All’ingresso della sala D è collocata la ricostruzione in legno, a grandezza naturale, della facciata dell’Ipogeo delle Cariatidi. Oltrepassato l’Ipogeo, il visitatore è introdotto nella sala D in cui sono allestite le ricostruzioni delle due sepolture meglio conservate della necropoli di Fondo Melliche, quella “del Cavaliere” e quella “dell’Atleta”. Il percorso prosegue con la pre-sentazione dei materiali provenienti dai depositi funerari di età ellenistica, messi in luce durante lo scavo di trincee urbane nelle zone centrali dell’abitato moderno. L’esposizione comprende anche una lekythos con l’immagine di Eros, attribuita alla cerchia del Pittore di Dario.

L’ultima sala è dedicata alle fasi romane e medievali. Si segnala il tesoretto di stateri d’ar-gento (II sec. a.C.), rinvenuto nel 1989 negli scavi di Fondo Sant’Antonio.

Ugento

sisteMAMuseALeDeLLACittàDiuGento

Tel. 0833 555819 / 554843Sito web: http://www.sistemamusealeugento.it

I Beni Culturali del territorio ugentino sono stati organizzati nel 2011 in un sistema muse-ale integrato di cui fanno parte, oltre al Nuovo Museo Archeologico e alla Collezione “Adolfo Colosso”, il Complesso Monumentale della Cripta del Crocifisso e della Chiesa della Madonna di Costantinopoli e il Castello dei principi d’Amore.

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Capitolo VIII 417

nuovoMuseoArCheoLoGiCo

Largo Sant’Antonio, 1

Il Nuovo Museo Archeologico, riaperto al pubblico nel 2009, si trova all’interno dell’ex convento dei Francescani, nel centro storico della città. L’esposizione comprende testimonianze che spaziano dalla Preistoria al Medioevo, distribuite in un percorso museale su due piani.

Il piano terra, dove si trova un grande plastico dell’antica Ugento, ospita la famosa Tomba dell’Atleta, della fine del VI sec. a.C. Al primo piano, un’ala è dedicata ai corredi prove-nienti dalle necropoli di IV e III sec. a.C., ai cippi funerari e alle mura difensive della città, cui appartengono enormi blocchi di carparo in mostra. Nella seconda ala, riservata ai culti indigeni della Messapia, si trovano oggetti votivi e statuette fittili di età ellenistica provenienti dal San-tuario di Artemide di Torre S. Giovanni e materiali dal santuario arcaico di Monte Papalucio a Oria. Tra i reperti un posto a sé è occupato dalla copia della statua bronzea dello Zeus Stilita, capolavoro dell’arte magnogreca realizzato con il metodo della fusione a cera persa alla fine del VI sec. a.C. Le ultime tre sale raccolgono testimonianze preistoriche e protostoriche, ceramica medievale e la collezione numismatica.

CoLLezione“ADoLFoCoLosso”Via Messapica, 28

La collezione storica, iniziata dal Barone Colosso e conservata nell’omonimo palazzo cin-quentecesco, si compone di reperti rinvenuti nel territorio di Ugento nel XIX secolo. La raccolta comprende 794 pezzi datati tra il VI secolo a.C. e l’età medievale, più esemplari di età moderna come armature, armi e palle di cannone.

Il nucleo più cospicuo di materiali è rappresentato da classi ceramiche del repertorio indi-geno messapico – quali trozzelle e lekanai – e di importazione, come le lekythoi attiche, a cui si affiancano testimonianze coroplastiche e reperti scultorei. Tra questi ultimi spiccano una testa di impronta scopadea della fine del VI secolo a.C. e frammenti scultorei in marmo riferibili ad una statua colossale di Ercole risalente all’epoca romana.

Ch.M.

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N.B. Questa lista contiene notizie estremamente sintetiche, in quanto le aree e i monu-menti sono stati già trattati nei capitoli precedenti.

IX.1. Provincia di Foggia

Ascoli Satriano

PArCoArCheoLoGiCoDeiDAuni“PAsQuALerosArio”Ascoli Satriano (Fg), largo Maria Teresa di Lascia 1, località Serpente.

La collina del Serpente, abitata già nel Neolitico, fu un importante luogo di riferimento per le comunità preromane di Ausculum. Dell’edificio-santuario, dove si tenevano riunioni pub-bliche e religiose, è visibile ancora un’ampia pavimentazione con composizione geometrica di ciottoli fluviali. La collina cessò di essere un luogo di aggregazione tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., per assolvere all’esclusiva funzione di necropoli con tombe da cui provengono pregevoli corredi funerari, oggi conservati nell’annesso Museo archeologico. Recente è il ritro-vamento in un’area esterna all’ingresso del parco di una necropoli di età imperiale.

AreAArCheoLoGiCADiFArAGoLAAscoli Satriano (Fg), Scalo ferroviario di Ascoli Satriano, località Faragola.

Nell’area, attualmente in corso di scavo, sono visibili i resti di un abitato daunio, di una

fattoria di età romana, di una villa tardoantica e infine di un villaggio di età altomedievale. L’ele-mento di maggior rilievo è sicuramente la sontuosa residenza aristocratica di età tardoantica, di cui è stata indagata solo una limitata porzione, corrispondente in particolare alle terme e a una lussuosa cenatio estiva, decorata da pavimenti di marmo policromo e da preziosi tappeti in opus sectile con elementi di pasta vitrea, marmo, osso e legno.

iX.PrinCiPALiAreeeMonuMentiDiinteresseArCheoLoGiCo

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420 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

Bovino

ACQueDottoroMAno

Bovino (Fg), S.P. 121 Bovino-Panni.

I resti dell’acquedotto romano, realizzato in opus reticulatum, sono visibili sulla strada che da Bovino conduce a Panni.

Foggia

iPoGeoDeLLAMeDusA

Foggia (Fg), Borgo Arpinova, località Arpetta. Si tratta di una monumentale tomba a camera costruita intorno alla prima metà del III-II

sec. a.C., in un’area già adibita a uso funerario. L’ipogeo detto della “Medusa” è costituito da un dromos a piano inclinato, fronte tetrastila con capitelli figurati e frontone campito da una testa di Medusa in rilievo. Nel vestibolo erano scene figurate: sulle pareti, immagini dipinte di oltretom-ba con Cerbero o pantera e pìnax con personaggio togato stante, preceduto da un palafreniere; sul pavimento, un animale marino. L’interno, cui si accedeva attraverso una porta a doppio battente, si articolava in tre ambienti voltati a botte, i due laterali con i letti deposizionali, quello centrale pavimentato in cocciopesto con un èmblema con un rettangolo quadripartito al centro e pistrici e delfini lungo i bordi. Attualmente la struttura non è aperta al pubblico.

PArCoArCheoLoGiCoPAssoDiCorvoFoggia, nei pressi del km 23 della S.P. 26 Foggia-San Marco in Lamis, contrada Arpinova.

Nell’area archeologica sono visibili i resti di un insediamento neolitico attivo fra il V e il IV millennio a.C.; sono inoltre presenti le ricostruzioni dei luoghi e della vita quotidiana dell’epoca, con la possibilità di visitare una capanna a grandezza naturale cinta da un fossato a “C”.

Ischitella

AreAArCheoLoGiCADiMonteCivitA

Ischitella (Fg), località Civita.

Nell’area, frequentata già in età preistorica, è visibile una vasta necropoli datata al V-IV secolo a.C. con tombe definite a “bisaccia”.

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Capitolo IX 421

Lucera

AnFiteAtroroMAnoAuGusteoLucera (Fg), viale Augusto.

L’anfiteatro romano fu realizzato tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. in onore di Cesare Au-gusto. All’edificio si accede attraverso due grandi portali, identici nella struttura, abbelliti con colonne ioniche sormontate da un maestoso architrave e da un frontone decorato a bassorilievo; l’arena è delimitata da un canale di displuvio e da un podio, all’interno del quale si aprono i carceres, locali adibiti alla custodia delle fiere.

Manfredonia

PArCoArCheoLoGiCoDisiPontoManfredonia (Fg), piazza Santa Maria Regina 11, località Lido di Siponto.

Nell’area circostante la basilica romanica di Santa Maria Maggiore (fine XI-inizi XII seco-lo), si conservano i resti della città romano-medievale di Siponto. Alla colonia romana si riferi-scono alcuni tratti della cinta muraria in blocchi squadrati, i setti murari in opera reticolata attri-buiti all’anfiteatro e i resti di due impianti termali; gli scavi hanno inoltre portato alla luce, nella medesima area, i resti di una basilica paleocristiana a tre navate con abside centrale e pavimento a mosaico. Fuori dalle mura di cinta sorsero in età tardoantica complessi funerari ipogei come quelli di Capparelli e Minonno, e, nel villaggio turistico di Siponto, Santa Maria Regina e Scoppa.

Mattinata

PArCoArCheoLoGiCoDiMontesArACenoMattinata (Fg), circa 4 km dal centro abitato, lungo la S.S. 89.

Nell’area, frequentata sin dall’età del Bronzo, è visibile una vasta necropoli costituita da più di 500 tombe daune scavate nella roccia. Le tombe, a sezione troncopiramidale, presentano una stretta imboccatura subrettangolare, spesso delimitata da una canaletta per il deflusso delle acque; in origine dovevano essere chiuse da grosse lastre di pietra, rozzamente squadrate e se-gnalate da sculture in pietra.

viLLAroMAnADiAGnuLi

Mattinata (Fg), località Agnuli, zona porto.

Della grande villa romana di I sec. a.C. sono stati portati alla luce i settori legati alla produzione olearia e vinicola e alcuni ambienti di servizio utilizzati per la conservazione dei prodotti agricoli.

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422 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

Monte Sant’Angelo

AbbAziADisAntAMAriADiPuLsAnoMonte Sant’Angelo (Fg), circa 9 km a sud-ovest dal centro abitato.

La chiesa, in stile romanico, ricavata in parte nella roccia che funge da abside, fu edifi-cata sul finire del VI sec. d.C. dai monaci dell’ordine di Sant’Equizio; distrutta dai Saraceni, agli inizi del XII secolo fu ricostruita per opera di San Giovanni Salcione da Matera, nel luogo espressamente indicato dalla Vergine apparsagli in sogno. Nei dintorni dell’abbazia si trovano gli eremi di Pulsano.

Ordona

PArCoArCheoLoGiCoDiHerdoniA

Ordona (Fg), contrada Valle Scodella, nei pressi di Masseria Cacciaguerra.

L’area comprende importanti testimonianze relative all’antico municipium di Herdonia; sono infatti visibili lunghi tratti della cinta muraria, l’anfiteatro, il foro, la basilica, i templi, il macellum, la via Traiana, la palestra, edifici pubblici e privati, nonché un complesso termale e un quartiere artigianale. Sulla collina settentrionale si conservano invece i resti di un castellum del XIII secolo.

Peschici

AreAArCheoLoGiCADiPuntAMAnACCorA

Peschici (Fg), Baia di Manaccora.

Nell’area sono presenti rilevanti testimonianze archeologiche risalenti all’età del Bronzo. Il Grottone di Manaccora è una cavità naturale all’interno della quale è stata accertata la pre-senza di un nucleo umano databile tra il XII e l’XI sec. a.C.; i rinvenimenti hanno permesso di documentare attività legate sia alla tessitura e alla filatura che alla lavorazione del latte e dei suoi derivati. Oltre a questo tipo di lavorazioni è documenta anche la pratica della metallurgia, comprovata dal ritrovamento di attrezzi specifici per la fusione. Sulle pareti e sul fondo della grotta sono visibili strutture ipogeiche connesse a riti propiziatori e, talvolta utilizzate a scopo funerario. Sulla Punta di Manaccora è ubicato un insediamento composto da 66 capanne della stessa epoca, di cui rimangono le buche per l’alloggiamento dei pali e le canalette perimetrali.

Rignano Garganico

GrottAPAGLiCCiRignano Garganico (Fg), S.P. Villanova, località Grotta Paglicci.

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Capitolo IX 423

La grotta, fondamentale per la conoscenza del Paleolitico, conserva sulle pareti pitture in ocra rossa, uniche in Italia, rappresentanti figure di cavalli e impronte positive e negative di mani, riferibili a rituali propiziatori. Nel corso degli scavi il giacimento ha restituito 45.000 reperti, tra cui graffiti di soggetti zoomorfi su frammenti di osso e di pietra, resti ossei umani e animali, reperti litici e ceramici. La grotta, aperta solo durante le campagne di scavo, non è fruibile per motivi conservativi. È tuttavia possibile visitare la mostra-museo di Grotta Paglicci sita in corso Giannone 10.

San Nicandro Garganico

PArCoArCheoLoGiCoeAMbientALeDiMonteD’eLioSan Nicandro Garganico (Fg), località Monte d’Elio.

Il Parco Archeologico e Ambientale di Monte d’Elio, situato tra la laguna di Lesina e quella di Varano, è costituito dalla chiesa romanica di Santa Maria, a tre navate, con tre absidi semicircolari e affreschi datati tra il XII e XIII secolo, dalle rovine della città medievale di Devia e da alcuni sentieri che ricalcano in parte antichi tracciati viari.

Vico del Gargano

neCroPoLiDiMontetAborVico del Gargano (Fg), località Tabor.

La necropoli rupestre, datata all’età del Ferro (VII-V sec. a.C.), è caratterizzata da tombe definite ‘a sacco’ o ‘a pozzo’, disposte in filari concentrici; le sepolture presentano un’imboccatura rettangolare o ellittica, attorno alla quale è incisa una canaletta per il deflusso delle acque piovane.

neCroPoLiDiMontePuCCiVico del Gargano (Fg), tra San Menaio e Peschici, nei pressi della stazione ferroviaria “Peschi-ci-Calenella”.

Si tratta di un complesso di ipogei paleocristiani, costituito da oltre 800 sepolture a fossa, spesso sormontate da arcosolii, databili tra il IV e il VII secolo d.C. Di particolare interesse la cavità detta delle “cento colonne”, al cui interno si trovano tombe a fossa ricavate ai piedi delle colonne e tombe a baldacchino.

Vieste

PArConAturAListiCo-ArCheoLoGiCoLAsALAtAVieste (Fg), S.P. 52 Vieste-Peschici-km 8, località la Salata o la Salatella.

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424 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

Il sito comprende un’importante necropoli paleocristiana di III-IV sec. d.C., costituita da ol-tre 300 tombe scavate all’interno di grotte naturali. È considerata la più grande e suggestiva dell’in-tero bacino mediterraneo e la più antica testimonianza dell’arrivo del Cristianesimo sul Gargano.

viLLAroMAnADisAntAMAriADiMerino

Vieste (Fg), località Santa Maria di Merino, presso l’omonima chiesa rurale.

Nell’area dove oggi sorge il santuario di Santa Maria di Merino sono visibili i resti di una grande villa attiva tra il I sec. a.C. e il V-VI sec. d.C.; in particolare alcuni ambienti utilizzati sia per la produzione olearia sia per la conservazione dei prodotti agricoli, un ninfeo e un lungo muro che delimitava il viridarium della villa.

s.L.,r.M.

IX.2 Provincia di BAT (Barletta-Andria-Trani)

Andria

CAsteLDeLMonte

Andria (Bt), 18 km da Andria, località Castel del Monte.

Il castello, voluto e commissionato dall’imperatore Federico II di Svevia e presumibilmen-te completato intorno al 1240, è stato dichiarato nel 1996 Patrimonio dell’umanità dall’UNE-SCO. L’edificio è comunemente noto per la sua forma ottagonale, con otto torri di forma analoga in corrispondenza degli spigoli. Lo spazio interno è suddiviso in due piani, collegati mediante scale a chiocciola, in cui le stanze, trapezoidali, sono divise da muri che congiungono gli spigoli dell’ottagono interno con gli spigoli di quello esterno, dove si impostano le torri.

Barletta

CoLossoDibArLettA

Barletta (Bt), corso Vittorio Emanuele, dinanzi alla basilica del Santo Sepolcro.

La monumentale statua di bronzo, nota a livello locale come Eraclio o Arè, è un’opera di fattura bizantina raffigurante l’imperatore Teodosio II; alta 4,50 m, la statua fu fatta erigere con molta probabilità da Valentiniano III a Ravenna nel 439.

AreAArCheoLoGiCAeAntiquAriumDiCAnneDeLLAbAttAGLiABarletta (Bt), S.P. 142, circa 10 km da Barletta in direzione di Canosa di Puglia, località Canne della Battaglia.

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Capitolo IX 425

Nell’area archeologica si possono individuare i resti dell’abitato romano su parte del qua-le sorse, in epoca medievale, una cittadella fortificata. Di particolare rilievo è l’Antiquarium allestito all’interno del Parco che raccoglie reperti archeologici dal Neolitico al Medioevo, e in particolare vasi dipinti a disegni geometrici dauno-peuceti (IV-III sec. a.C.) provenienti dai sepolcreti di Canne. L’Antiquarium dispone di plastici, grafici e pannelli didattici sulla battaglia e sui ritrovamenti nell’area archeologica.

Bisceglie

DoLMenDeiPALADiniBisceglie (Bt), via Sant’Andrea, contrada Colonnella.

Si tratta di un dolmen costituito da tre lastroni infissi verticalmente nel suolo, su cui pog-gia un enorme lastra di copertura di circa otto tonnellate.

DoLMenDibisCeGLieBisceglie (Bt), via Ruvo, contrada Albarosa.

Si tratta di un dolmen costituito da sette lastroni infissi verticalmente nel suolo, che costi-tuiscono le pareti laterali del sepolcro.

DoLMenDeLLAChiAnCA

Bisceglie (Bt), S.P. per Corato, via Sant’Andrea.

Il dolmen, particolarmente ben conservato, è costituito da una cella sepolcrale quadran-golare formata da tre lastroni verticali in pietra calcarea, sui quali è disposto orizzontalmente un quarto lastrone più grande. Alla cella si accede attraverso un corridoio scoperto delimitato da piccole lastre di pietre.

Canosa

iPoGeoDeLCerbero

Canosa di Puglia (Bt), via Settembrini, presso Liceo Scientifico “E. Fermi”, Contrada Costan-tinopoli.

L’ipogeo, datato al IV sec. a.C., è costituito da un corridoio di accesso che conduce in un vestibolo nel quale si aprono quattro camere sepolcrali. Al di sopra della porta di una di queste camere sepolcrali è visibile un fregio che raffigura una deductio ad Inferos, in cui risalta la figura del Cerbero.

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426 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

iPoGeoDeLL’oPLitA

Canosa di Puglia (Bt), Contrada Costantinopoli, in prossimità del Regio Tratturo.

L’ipogeo si presenta interamente scavato nel banco di tufo ed è costituito da un dromos che conduce in un vestibolo scoperto e, da qui, nel vano sepolcrale. Elemento caratterizzante della struttura è la decorazione che adorna la parete di fondo della camera funebre, raffigurante un guerriero in armamento oplitico che precede un cavaliere. Il monumento è datato intorno alla metà del IV sec. a.C.

CoMPLessoDeGLiiPoGeiLAGrAstACanosa di Puglia (Bt), via Generale Cadorna.

Si tratta di un complesso funerario composto da tre ipogei scavati nel banco roccioso, datati tra la fine del IV e il I sec. a.C. L’Ipogeo Lagrasta I si compone di cinque gruppi di am-bienti (per un totale di nove vani) che si diramano da un corridoio comune. L’Ipogeo Lagrasta II è costituito da due camere coassiali situate al termine di un dromos, lungo la cui parete sinistra si apre un ulteriore ambiente. L’Ipogeo Lagrasta III è costituito da un dromos che conduce a un ambiente in asse e a un secondo vano ricavato nella parete destra del corridoio d’accesso.

iPoGeoMonterisi-rossiGnoLi

Canosa di Puglia (Bt), via Agli Avelli, presso il cimitero comunale.

L’Ipogeo Monterisi-Rossignoli, datato alla fine del IV-inizi del III sec. a.C., è compostο da un ripido dromos che immette nel vestibolo e, da qui, nella camera sepolcrale a pianta rettango-lare e col soffitto a doppio spiovente. Il letto funebre è ricavato nel tufo ed è decorato con rilievi di animali a grandezza naturale.

iPoGeosCoCCherAAeiPoGeosCoCCherAbCanosa di Puglia (Bt), via Grandi, località Piano San Giovanni.

Gli ipogei, datati al IV sec. a.C., sono posti a 10 m circa l’uno dall’altro; purtroppo, dell’Ipogeo Scocchera A non si possiedono notizie relative alla struttura, eccetto uno schizzo degli inumati in esso rinvenuti e alcune fotografie degli oggetti di corredo, principalmente vasi a figure rosse. Anche l’Ipogeo Scocchera B conteneva, all’epoca della scoperta (1895), un me-raviglioso corredo composto da vasi, statue e oggetti preziosi, confluiti in vari musei europei, nonché al Metropolitan Museum di New York. Quest’ultimo ipogeo (detto anche Mandorleto-Grotticelle e Boccaforno) è costituito da un lungo dromos e da sei ambienti con decorazioni architettoniche e dipinte; nella camera principale in asse con il dromos, preceduta da un ingresso con semicolonne, capitelli e frontone, si conservano ancora tracce di pittura con scena di deduc-tio ad Inferos.

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Capitolo IX 427

iPoGeovArrese

Canosa di Puglia (Bt), via Lavello.

L’ipogeo, datato al IV sec. a.C., è costituito da un dromos e da cinque ambienti scavati interamente nel banco tufaceo; alle camere si accede attraverso un ingresso monumentale carat-terizzato da semicolonne e capitelli, sormontati da un timpano con acroteri. Il corredo, composto da oltre 400 reperti, è attualmente esposto nella sede museale di Palazzo Sinesi.

terMeLoMusCioCanosa di Puglia (Bt), via Generale la Marmora, presso il Tempio di Giove Toro.

Le terme, di età imperiale, sono situate in pieno centro cittadino e attualmente sono in fase di recupero. Sono visibili diversi ambienti quali frigidarium, tepidarium, calidarium e gli spogliatoi.

AreAArCheoLoGiCADisAnGiovAnniCanosa di Puglia (Bt), via Piano San Giovanni.

Il parco, ubicato nel tessuto urbano di Canosa, prende il nome dall’edificio più imponente, il battistero di San Giovanni (VI secolo), attribuito al vescovo Sabino e parte integrante di un complesso di edifici cristiani comprendente la basilica del Salvatore (VII-VIII sec. d.C.) e quella di Santa Maria (IV-VI sec. d.C.). Il battistero, a pianta poligonale con ampio nartece e atrio por-ticato, si è conservato grazie alla presenza di un frantoio che, nell’Ottocento, ne ha riutilizzato le antiche strutture senza stravolgerne la pianta. L’interno, sormontato da una volta a botte, è suddiviso in quattro ambienti simmetrici, dislocati intorno a un’aula centrale che conserva i resti del fonte battesimale di forma eptagonale.

bAsiLiCADisAnPietroCanosa di Puglia (Bt), via San Pietro, località Colle di San Pietro.

La chiesa di San Pietro, costruita nel VI secolo dal vescovo Sabino, è considerata la prima cattedrale cristiana della città; essa sorge all’interno di un ampio e articolato complesso episco-pale che comprendeva anche edifici residenziali, strutture funerarie e artigianali. La basilica, articolata in tre navate con abside e nartece, preceduta da un ampio atrio porticato, era infatti affiancata da un edificio residenziale su due piani, con ambienti destinati ad attività ammini-strative e di rappresentanza, e da varie altre strutture: un lussuoso mausoleo, probabilmente il sepulchrum dello stesso vescovo Sabino, una grande fornace dedita alla cottura di laterizi e una domus, utilizzata probabilmente come dimora vescovile.

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428 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

teMPioDiGiovetoroCanosa di Puglia (Bt), via Imbriani.

Si tratta di un tempio periptero con dieci colonne sui lati lunghi e sei sulla fronte e sul re-tro, su podio al quale si accedeva attraverso un’ampia scalinata. Datato al II sec. d.C., l’edificio di culto prende il nome da una statua di Giove rinvenuta in loco durante gli scavi. Nell’Antiqua-rium sono esposti i reperti riportati alla luce durante le numerose campagne di scavo realizzate nel sito, da quelle dei primi del Novecento alle più recenti effettuate dall’Università di Roma.

teMPioitALiCoebAsiLiCADisAnLeuCioCanosa di Puglia (Bt), collina di San Leucio.

Nel luogo era presente un tempio di età ellenistica, dedicato a Minerva, attivo fino al II sec. d.C. e successivamente trasformato in basilica cristiana tra il V e il VI sec. d.C. La basilica, considerata uno dei maggiori esempi dell’architettura paleocristiana in Puglia, fu dedicata dap-prima ai SS. Cosma e Damiano e solo successivamente a San Leucio.

PonteroMAno

Canosa di Puglia (Bt), lungo la S.P. 231 Canosa-Cerignola.

Il ponte, datato al I sec. d.C., consentiva il passaggio della via Traiana da una sponda all’altra del fiume Ofanto ed è stato utilizzato fino agli anni ’70 del Novecento. Il manufatto, con il caratteristico profilo a schiena d’asino, si compone di cinque arcate di luci differenti sorrette da quattro pile di diverse dimensioni. Dell’originale costruzione restano soltanto i pilastri, le spalle e la platea di fondazione, mentre l’elevato, pur conservando forse il profilo antico, è frutto di varie ricostruzioni nel corso del tempo.

MAusoLeobAGnoLi

Canosa di Puglia (Bt), nei pressi del km X della S.P. 231 Canosa-Cerignola, in corrispondenza del bivio per Lavello, località San Paolo.

Le caratteristiche architettoniche del mausoleo permettono di inserire il monumento nella classe delle tombe definite “a podio” o “a tempio” e di datarlo agli ultimi anni del II sec. d.C. Co-struito interamente in opus caementicium rivestito da una cortina laterizia, l’edificio, a pianta rettan-golare, è a due piani, collegati per mezzo di una scala in mattoni, di cui si conservano ancora i resti.

MAusoLeobArbArossA(DettoAnCheMAusoLeoDizosiMo)Canosa di Puglia (Bt), lungo via Cerignola, circa 200 m a ovest di Torre Casieri, località San Paolo.

Il monumento sepolcrale, edificato su un ipogeo di IV sec. a.C. di cui rimangono il dro-mos e parte della cella, si sviluppa su due piani: il piano inferiore è costituito da un basamento

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Capitolo IX 429

quadrangolare con camera a croce greca, quello superiore, di cui rimane solo l’impronta, era costituito da un torrione circolare. Il mausoleo è datato tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.

torreCAsieri

Canosa di Puglia (Bt), lungo via Cerignola, 60 m circa a ovest dell’arco onorario, all’interno del vivaio A. Caporale.

Si tratta di un monumento funerario in opus coementicium, costituito dalla sovrapposi-zione di tre corpi: un basamento, un corpo centrale lavorato a riquadri e un piccolo tamburo cilindrico; al suo interno è la camera sepolcrale rettangolare, voltata a botte. Il mausoleo è datato negli anni a cavallo tra il I e il II sec. d.C.

ArCotrAiAno(DettoAnCheDivArrone)Canosa di Puglia (Bt), lungo via Cerignola, a 1 km dal centro abitato, all’interno del vivaio A. Caporale.

L’arco onorario, a un solo fornice, fu eretto intorno alla metà del II sec. d.C. nel punto in cui la via Traiana entrava in città, in un’area utilizzata come necropoli; il monumento, alto 8,50 m, risulta rivestito da una cortina laterizia molto rimaneggiata, quasi interamente ricostruita nel corso dei numerosi restauri.

San Ferdinando di Puglia

AreAArCheoLoGiCADeGLiiPoGeiDiterrADiCorte

San Ferdinando di Puglia (Bt), località Terra di Corte.

Nell’area di Terra di Corte sono venuti alla luce numerosi ipogei, la cui frequentazione a scopo rituale risalirebbe a una fase avanzata della media età del Bronzo. Gli ipogei finora esplorati si compongono di un ambiente principale (camera) preceduto da un vestibolo, cui si accedeva per mezzo di un dromos a cielo aperto e di un corridoio interrato (stomion).

Trinitapoli

PArCoArCheoLoGiCoDeGLiiPoGeiTrinitapoli (Bt), S.S. 544 Foggia-Trinitapoli, via Mare, località Madonna di Loreto.

Gli ipogei, la cui destinazione d’uso è stata dapprima cultuale e poi funebre, sono costitui-ti da un dromos che conduce, attraverso uno stretto corridoio sotterraneo (stomion), in una vasta sala, da cui si accede a un vano minore; le strutture sono state datate alla media età del Bronzo.

s.L.,r.M.

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430 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

IX.3. Provincia di Bari

Corato

DoLMenLAChiAnCADeiPALADiniCorato (Ba), S.P. 85 Bisceglie-Ruvo, Contrada Colonnelle, 5 km da Corato.

All’età del Bronzo risale il Dolmen Chianca dei Paladini, ubicato al confine tra il territo-rio comunale di Bisceglie e quello di Corato, in Contrada Colonnelle, il cui nome è legato alla leggenda che rievoca le gesta e gli sforzi dei giganti del posto che fecero a gara per innalzare la pietra più pesante. In realtà si tratta di un monumento funerario destinato alla sepoltura di per-sonaggi di rilievo, eretto con possenti lastroni calcarei di notevole spessore e originariamente inglobato in un tumulo di pietrame di forma ellittica.

Gioia del Colle

PArCoArCheoLoGiCoDiMontesAnnACeGioia del Colle (Ba), S.P. 61 Gioia del Colle-Turi, 5 km da Gioia del Colle.

A 5 km da Gioia, tra la strada provinciale per Turi e quella per Putignano, su un’altura che s’innalza fino a 382 m s.l.m. e che prende il nome di Monte Sannace, sono visibili i resti di uno dei più antichi insediamenti peuceti, sorto su un precedente insediamento di età neolitica. Il Parco Archeologico di Monte Sannace comprende estese aree insediative del centro peuceta, particolarmente florido fra VI e IV sec. a.C. Sulla collina sorge l’acropoli con edifici pubblici, residenze aristocratiche e grandi tombe decorate in stile greco-orientale. Numerose abitazioni e gruppi di sepolture si collocano nella zona pianeggiante, il tutto variamente racchiuso da un imponente sistema difensivo formato da una triplice cinta muraria. In area extraurbana ricade la necropoli con ricchi corredi funerari dal pregevole vasellame.

Giovinazzo

DoLMenDisAnsiLvestroGiovinazzo (Ba), S.P. 107 Giovinazzo-Terlizzi, 6 km da Giovinazzo, località San Silvestro.

L’area archeologica di San Silvestro si trova lungo la strada provinciale Giovinazzo-Ter-lizzi, circa 6 km a sud di Giovinazzo. Fu scoperto casualmente nel 1961 in occasione della de-molizione di un cumulo di pietre (specchia), e costituisce uno dei monumenti funerari tra i più completi ed esemplari di architettura megalitica del II millennio a.C.; si distingue inoltre tra le tombe a galleria (tipologia di cui fa parte) per le considerevoli dimensioni e lo stato di conserva-zione. All’interno del tumulo si sviluppa un lungo vano a galleria (dromos) con andamento nord-sud, eretto con l’impiego di lastroni infissi verticalmente nel terreno e coperti da analoge lastre

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Capitolo IX 431

poste in orizzontale. Sul lato sud della galleria si trova, nella muratura a secco, un ambiente scoperto a pianta circolare con forma di tronco di cono rovesciato (tholos). Sul lato nord si trova invece il piano di deposizione, elevato di circa 50 cm, su un riempimento di pietre. Qui sono stati trovati i resti di 13 individui con frammenti di corredo, ascrivibili alla facies protoappeninnica.

Modugno

AreAArCheoLoGiCADibALsiGnAno

Modugno (Ba), S.P. 92 Modugno-Bitritto, località Balsignano.

L’insediamento di località Balsignano ricade nel versante costiero centrosettentrionale dell’altopiano delle Murge, a sud-ovest di Bari, circa 8 km dalla costa adriatica, nel comune di Modugno. Localizzato a 82 m s.l.m., si estende su un’area di ca. 2 ettari, su un ampio pianoro calcareo prospiciente l’antico corso della Lama Lamasinata. L’insediamento è ben caratterizza-bile ormai, nei suoi aspetti complessivi, grazie al discreto stato di conservazione. Nel sito, infat-ti, sono state messe in luce tre capanne (due a pianta rettangolare e una di forma subcircolare) e i relativi livelli di frequentazione esterni. La documentazione funeraria, in stretta connessione con gli spazi di vita, è costituita da due sepolture del Neolitico Antico e da una del Neolitico Medio.

Molfetta

PuLoDiMoLFettA

Molfetta (Ba), S.P. 56 Molfetta-Ruvo, 2,5 km da Molfetta, località Pulo.

Il Pulo di Molfetta è una caratteristica dolina ubicata a due chilometri dal centro urbano di Molfetta. Si tratta di un’ampia formazione di origine carsica con ripidissime pareti calcaree nella sezione di nord-est, lunghe 170 m, entro cui si aprono numerose cavità di origine naturale. Un sentiero scende nell’interno della cavità e permette di visitare il noto complesso di grande interesse storico-archeologico: nel sito è infatti attestata una frequentazione umana che copre un ampio arco cronologico, a partire dall’VIII sec. a.C. fino al XIX secolo. L’età preistorica, in special modo il Neolitico, è il periodo storico meglio documentato dagli scavi archeologici, data la presenza di numerosissimi manufatti litici e ceramici e decine di sepolture. In età moderna (XVI secolo) una comunità religiosa di monaci cappuccini costruisce sul ciglio occidentale della dolina un piccolo monastero, che, dominando dall’alto il territorio, costituisce non solo un luogo di meditazione ma anche un osservatorio privilegiato dei singolari fenomeni naturalistici del luogo. Recente è la scoperta di una fabbrica di salnitro (nitriera), costruita sul fondo della dolina alla metà del Settecento, per la produzione della polvere da sparo, grazie alla la presenza in loco di nitrati nelle grotte laterali.

G.CAL.,r.M.

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432 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

IX.4. Provincia di Taranto

Crispiano

AreAArCheoLoGiCADiMAsseriAL’AMAstuoLA

Crispiano (Ta), S.P. 42, Contrada l’Amastuola.

L’area, posta a ca. 14 km a nord-ovest di Taranto su un pianoro di forma allungata (200-213 m s.l.m.), nei pressi dell’omonima masseria, è interessata dalla presenza di un abitato antico dotato di circuito murario difensivo, databile dall’VIII fino al III sec. a.C. Gli scavi hanno messo in luce una serie di strutture abitative risalenti al periodo che va dalla fine dell’VIII e gli inizi del VII sec. a.C.; è stata inoltre individuata una vasta necropoli di circa un migliaio di tombe a fossa, posta a 700 m a sud dell’insediamento. Molte tombe sono tagliate da carrarecce di epoca successiva, che con andamento nord-sud attraversano la zona dirigendosi verso la parte alta.

Leporano

PArCoArCheoLoGiCoDisAturoLeporano (Ta), Litoranea Ionica, Baia di Saturo, 12 km da Taranto.

Su un rilievo prospiciente la baia di Porto Pirrone, a 12,5 km a sud di Taranto, vi è l’abitato protostorico di Satyrion. Le indagini archeologiche hanno permesso di accertare l’esistenza di un aggere lungo il margine orientale del rilievo e di un muro di fortificazione a nord-nord-ovest dell’abitato. Dopo una cesura determinata dalla distruzione del villaggio alla fine dell’VIII sec. a.C., la parte alta della collina viene adibita ad area sacra nel corso dell’età arcaica e sino a quella ellenistica, con un sacello in opera quadrata, dedicato alla fonte Satyria.

Manduria

PArCoArCheoLoGiCoDeLLeMurAMessAPiChe

Manduria (Ta), viale Scegno.

L’area nord-orientale dell’attuale città di Manduria sorge sui resti di un centro messapico. Le mura sono i resti dell’antica città più cospicui, meglio conservati e ancora oggi visibili. Si tratta di due cinte murarie concentriche conservatesi soprattutto nel tratto settentrionale (ne è stata ultimamente individuata una terza che corre tra le due), ove corrono parallele a una distan-za grossomodo regolare l’una dall’altra. La cerchia esterna si sovrappone in più punti a tombe della necropoli databili tra IV e III sec. a.C. Contiguo alla cortina esterna è un ampio fossato. Immediatamente a sud del convento di Sant’Antonio sorge il monumento simbolo della città, il Fonte Pliniano. Risale all’epoca messapica e si trova all’interno delle aree ove si sviluppa l’antico abitato, a poca distanza dalle cerchie murarie. Prende nome da Plinio il Vecchio, che lo

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Capitolo IX 433

descrive nella Historia Naturalis. Si tratta di una grande caverna naturale, accessibile da una larga scala a due rampe.

AreAArCheoLoGiCADiLiCAsteLLi

Manduria (Ta), S.P. 137 Manduria-San Pietro in Bevagna, 5 km da Manduria.

Circa 5 km a sud di Manduria, lungo la strada provinciale per San Pietro in Bevagna vi è l’abitato antico di Li Castelli. Strutture murarie in blocchi squadrati si allineano lungo i livelli orografici della collina, integrandone il percorso con i muretti a secco esistenti. È pos-sibile ricostruire il percorso di tre cerchie concentriche di fortificazione databili al IV sec. a.C. All’interno dell’abitato è stato indagato anche un ampio settore della necropoli costituita per lo più da tombe a cassa.

Massafra

CriPteruPestriMassafra (Ta), Gravina di San Marco.

Situata nell’entroterra a nord di Taranto, nelle vicinanze di Palagiano, Massafra è solcata da una serie di gravine e di lame di origine carsica. La gravina di San Marco divide il paese in due parti collegate da ponti. Con il passare dei secoli nel suo territorio si sono alternati il culto pagano e quello cristiano, determinando la nascita delle abitazioni in grotta e lo sviluppo della civiltà rupestre. Nella Gravina di San Marco si trovano tre chiese di grande rilievo: Santa Mari-na, San Marco e la più nota cripta della Candelora. Nella più scenografica Gravina della Scala si ricordano invece, il santuario della Madonna della Scala, la chiesa rupestre Madonna della Buona Nuova, le grotte del Ciclope e del mago Greguro.

Palagiano

AreAArCheoLoGiCADiPAretePintoPalagiano (Ta), S.C. Palagiano-Palagianello, 2 km da Palagiano.

Circa 2 km a nord-ovest di Palagiano sono visibili i resti di una struttura risalente al I se-colo a.C., costituita da un recinto in opus reticolatum che presenta tre ingressi. Il rinvenimento, al suo interno, di abbondanti resti ossei di animali avvalora l’ipotesi che la struttura fosse un recinto per bestiame connesso alla pars rustica (ambienti di servizio collegati ai lavori agricoli e all’allevamento del bestiame) di una grande villa romana. Qualche centinaio di metri più a ovest è visibile, nascosta da vigneti, una coeva cisterna, anch’essa probabilmente connessa alla pars rustica della villa.

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434 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

Taranto

neCroPoLiMAGnoGreCA

Taranto, via Polibio, via Sardegna, via Alto Adige.

La riorganizzazione urbanistica di Taranto, inquadrabile nel V sec. a.C., in seguito alla quale si registrano l’ampliamento dell’abitato, la creazione del sistema difensivo e di un tessuto stradale regolare estensibile alla necropoli, sembra aver rispettato in questo settore assi viari esi-stenti già in età arcaica. Nei punti nodali degli isolati o all’incrocio degli assi stradali sono state messe in luce otto tombe a camera, inquadrabili fra il IV e il III sec. a.C. fra cui:

• la tomba di via Polibio n. 75. La tomba monumentale, nota come “Ipogeo Genoviva” è oggi accessibile da un cortile parcheggio di proprietà privata. Un dromos immette in un lungo vesti-bolo, su cui si aprono quattro celle funerarie affiancate. Le pareti sono intonacate e la cornice è dipinta con partiti decorativi geometrici in rosso e azzurro su fondo chiaro (linguette marginate, fascia a meandro). La fronte delle camere funerarie è caratterizzata dalla presenza di tre semico-lonne. Una kline (letto funebre) realizzata con un blocco monolitico di carparo a margini rilevati in corrispondenza delle testate, è conservata all’interno della camera in asse con l’ingresso, mentre nelle altre il sarcofago o letto funebre doveva essere realizzato in legno, come documen-tano le quattro fossette angolari per l’incastro dei piedi. L’ipogeo pertinente a una famiglia di ceto sociale elvato, sembra sia databile fra il 330 a.C. ca. e il III sec. a.C.

• La tomba di Via Sardegna. Attualmente di tutte le tombe riconosciute nel complesso religio-so SS. Maria Ausiliatrice, sono ancora visibili soltanto due strutture monumentali ipogee, con-servate in un ambiente seminterrato accessibile dal corridoio di collegamento, adiacente a via Sardegna, fra i due cortili interni dell’istituto. L’accesso, in realtà non molto agevole, attraverso una botola in ferro che si apre all’esterno sul pavimento, immette allo stretto disimpegno da cui è possibile scendere nella camera funeraria meridionale e guardare dall’alto l’attigua camera funeraria non accessibile. Si tratta di due tombe a camera affiancate e costruite contestualmente, destinate a uno stesso nucleo familiare. A entrambe le strutture monumentali si accede attraverso un dromos. In entrambi i vani, il letto funebre è addossato alla parete di fondo e poggia su un so-stegno. Le pareti delle due celle sono in parte ricavate nella roccia e in parte costruite. I corredi rinvenuti consentono di inquadrare la sepoltura nell’ultimo trentennio del IV sec. a.C.

• La tomba di via Alto Adige. La tomba di trova all’interno di un edificio scolastico, con accessibilità dal cortile per mezzo di una botola, visibile anche dalla palestra attraverso una co-pertura di plexiglass. È a fossa rettangolare ricavata nella roccia e presenta le pareti intonacate; il piano deposizionale doveva essere rialzato con materiale deperibile. I resti del corredo e dei frammenti architettonici del monumento esterno permettono di proporre una datazione nella seconda metà del III sec. a.C.

toMbAACAMerA

Taranto, via Crispi 2.

Conosciuta come la “Tomba degli atleti”, si trova in un ambiente a piano terra all’interno della Scuola Media “G. Mazzini”, all’angolo fra le vie Pitagora e Crispi. Si tratta di una tomba

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Capitolo IX 435

a camera con sette sarcofagi e costituisce il più rilevante monumento dell’architettura funera-ria tarantina di età arcaica (fine VI-inizi V sec. a.C.); di pianta quadrangolare, era interamente costruita in opera quadrata e pavimentata con blocchi di carparo locale. Il ricco corredo di ac-compagnamento, esposto nel Museo Nazionale di Taranto, rinvenuto all’esterno e all’interno dei sarcofagi, definisce così, in maniera completa, il modello rappresentativo della cultura aristocra-tica tarantina: atletismo e banchetto sono gli aspetti più evidenti.

teMPioDoriCoTaranto, piazza Castello

In piazza Castello, nella città vecchia di Taranto, si conservano tre colonne doriche scanalate relative al colonnato settentrionale di un grande tempio. Le colonne sono costruite con rocchi di carparo, cavati in parte nelle immediate vicinanze della struttura, come è stato possibile riscontrare al di sotto del battuto pavimentale esterno al monumento. I saggi di sca-vo più recenti hanno confermato la datazione dell’edificio sacro all’età arcaica, precisamente alla fine del primo venticinquennio del VI sec. a.C.; nessun dato rilevante è emerso, invece, per la ricostruzione planimetrica dell’edificio, lasciando ancora valida l’ipotesi dell’originaria presenza di una cella lignea.

neCroPoLiTaranto, via Marche

Le ricerche condotte in via Marche, nell’area antistante il Tribunale, hanno permesso di individuare, nel corso di più campagne di scavo, circa più di cento sepolture riferibili a uno dei settori più rappresentativi della necropoli tardoclassica ed ellenistica, documentando un’utiliz-zazione del sito, prevalentemente per usi funerari, già a partire dalla fine del VII-prima metà VI sec. a.C. Si tratta di tombe a sarcofago, ricavate nella roccia, scavate nella terra o rivestite da lastre di carparo, generalmente con doppio lastrone di copertura a superfici piane o a spiovente.

toMbAACAMerA

Taranto, via Acton

Nel settore nord-orientale dell’abitato antico, a poche centinaia di metri dalle mura che cingevano a oriente la città greca, è stata individuata, nel corso di lavori di edilizia scolastica, un’area adibita a usi funerari caratterizzata da piccoli nuclei di sepolture, a distanza variabile fra loro. Essa è connessa a una necropoli molto più ampia. All’interno di un edificio scolastico è possibile visitare due tombe a camera. La prima tomba presenta un vestibolo in parte ricavato nella roccia e in parte realizzato con pietrame a secco. Dal vestibolo si accede alla camera fu-neraria a pianta rettangolare, scavata nella roccia, con una bassa banchina lungo le pareti. Due klinai (letti funebri) intonacate e parzialmente dipinte, sono intagliate nel banco naturale, con cuscino e piedi. Il lato est dell’ambiente è occupato, invece, da un piccolo sarcofago. L’altro ipogeo funerario, rinvenuto però in cattivo stato di conservazione, sempre a pianta rettangolare,

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436 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

originariamente doveva presentare le pareti rivestite di blocchi. Le tombe possono essere datate al III sec. a.C.

CintADiFensivATaranto, via Emilia.

Sono ancora visibili alcuni tratti del circuito difensivo della città greca, relativi al setto-re sud-orientale che raggiungeva in linea retta la costa del Mar Grande, non lontano da Torre d’Ayala. Si conserva un tratto di ca. 70 m, costituito da un doppio paramento di blocchi tufacei con riempimento interno e setti trasversali di collegamento. Diversi blocchi presentano incassi laterali per il sollevamento e segni di cava: lettere dell’alfabeto greco, simboli e sigle. Sia i dati epigrafici che stratigrafici consentono di inquadrare questa prima fase costruttiva fra il 450 e il 430 a.C. A un rifacimento successivo, invece, va riferita un’altra opera muraria in carparo che si sovrappone al muro di età classica, conservandone l’orientamento. È costruita in blocchi irre-golari che definiscono una struttura a sacco, larga ca. 2 m, realizzata in maniera poco accurata e inquadrabile nel III sec. a.C., probabilmente in relazione alla conquista romana.

CintADiFensivAeAreADineCroPoLiTaranto, Masseria Collepasso

Altri resti del circuito murario di età greca (V sec. a.C.), che proteggeva l’abitato verso est e che raggiungeva la costa del Mar Piccolo, si trovano in località Collepasso, nei pressi dell’omonima masseria. Le mura, conservate a livello di fondazione, erano costruite con blocchi di carparo, a doppio paramento, con setti trasversali di collegamento e riempimento interno. In alcuni settori si conserva anche un’assise relativa all’elevato.

CintADiFensivAeAreADineCroPoLiTaranto, località Solito-Corvisea.

Immediatamente alle spalle del Campo Mazzola sono visibili altri resti del circuito mura-rio, meglio noti come le mura di Solito-Corvisea. Attualmente l’area versa in uno stato di com-pleto abbandono. Le caratteristiche costruttive della fortificazione sono simili a quelle dei tratti già descritti; va segnalata, comunque, l’individuazione di torri e di una porta in corrispondenza di un percorso viario. Inoltre, all’esterno delle mura, parallelo a esse, è stata accertata la presen-za di un fossato difensivo largo ca. 15 m.

Statte

ACQueDottoroMAno

Taranto, S.P. 48 Taranto-Statte.

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Capitolo IX 437

L’acquedotto, visibile attualmente lungo la strada provinciale 48 nei pressi dell’ILVA, è in parte sotterraneo e in parte in elevato. Sono visibili una serie di archi canale che un tempo trasportavano acqua alla città di Taranto. Si tratta di una delle più imponenti opere di inge-gneria idraulica di epoca romana presenti nel territorio tarantino e percorre il territorio di tre comuni (Statte, Crispiano e Taranto). L’acquedotto fu probabilmente costruito per uso privato, al servizio delle ville e dei templi dell’epoca, nell’anno 123 a.C., quando fu fondata la colonia Neptunia. L’acqua divenne di uso pubblico dopo la caduta di Roma e fu introdotta a Taranto sotto Totila, re dei Goti (intorno al 545 d.C.). Gli archi attuali sono però un rifacimento di quelli originali; l’ultima ricostruzione si deve a un progetto dell’ingegnere tarantino Marco Orlando alla fine dell’Ottocento.

F.DeL.,r.M.

IX.5 Provincia di Brindisi

Brindisi

CoLonneterMinALiDeLLAviA AppiA

Brindisi, Porto interno.

Le colonne, ubicate al termine della scalinata che si affaccia sul porto interno, sono consi-derate il simbolo della città di Brindisi e sono conosciute come il termine dell’antica via Appia. Originariamente si trattava di due colonne gemelle, in marmo cipollino africano, realizzate dopo la metà del II secolo. Attualmente solo una è integra ed è costituita da otto rocchi, per un’altezza complessiva di 18,74 m (4,44 di base, 11,45 dei rocchi, 1,85 il capitello e 1 m per il pulvino); è sormontata da un capitello decorato con foglie di acanto, teste di divinità (Nettuno, Giove, Pallade Atena e Marte), e otto tritoni agli angoli. Dell’altra colonna, crollata nel 1528, rimane la base e uno dei rocchi; la restante parte fu donata alla città di Lecce (ed è ubicata nella piazza principale, piazza Sant’Oronzo).

rionesAnPietroDeGLisChiAvoniBrindisi, Teatro “G. Verdi”.

Così denominato per la presenza di una chiesa frequentata dagli abitanti di origine slava e albanese (gli “Schiavoni”) qui residenti dalla seconda metà del XV secolo, l’antico quartiere di San Pietro degli Schiavoni si trova tutt’ora nel pieno centro storico della città. Nei primi anni ’60, con l’abbattimento di alcuni edifici fatiscenti, vennero in luce i primi rinvenimenti archeologici; nel 1966 vennero asportati dall’area quasi 2.000 metri cubi di terreno per isolare le strutture murarie superstiti e interrate, e scoprire pavimenti e una via basolata, portando così alla luce un’interessantissima insula della Brindisi romana. L’anno successivo il comune di Brindisi deliberò la costruzione di un teatro-cinema dalla struttura in acciaio e dalla capienza di 1.700 posti: il progetto prevedeva che la costruzione fosse “sospesa” sugli scavi archeologici,

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438 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

che sarebbero stati meglio conservati ed esposti alla vista di cittadini e turisti. Ai lati della via basolata, con crepidini laterali, si affacciano alcuni edifici pubblici e privati con aree scoperte e ambienti coperti caratterizzati da pavimenti a mosaico o a lastre di marmo e da pavimenti più semplici in opus spicatum e opus signinum. A sud-est è presente un ampio ambiente scoperto, probabile il peristilio di un’abitazione patrizia con pareti intonacate e dipinte, circondato da un portico. Adiacente a nord l’interessante complesso termale, di cui si conserva parte del sistema di riscaldamento su suspensurae. Numerosi gli oggetti ritrovati durante le fasi dello scavo: sculture marmoree, oggetti ornamentali, statuette e ceramiche, molte delle quali sono esposte nel Museo Provinciale “F. Ribezzo” di Brindisi.

Carovigno

AreAArCheoLoGiCADitorreGuACeto

Carovigno (Br), circa 17 km a nord di Brindisi.

All’interno dell’ampia riserva naturale, sul promontorio di Torre Guaceto e sui due Scogli di Apani, si conservano antichissime testimonianze che risalgono all’età del Bronzo (II millennio a.C.). Si tratta di villaggi difesi da grandi muri di fortificazione e costituiti da capanne realizzate con elementi lignei e vegetali, le cui pareti erano coperte da un intonaco d’argilla; all’interno vi erano spesso focolari e fornelli d’argilla. All’età romana si data un’importante fase di vita della località costiera, che divenne un “porto canale”, ovvero luogo di imbarco funzionale alla raccol-ta della produzione di olio e vino dell’entroterra, e alle attività produttive delle vicine fornaci.

Fasano

AreAArCheoLoGiCAeAntiquAriumDieGnAziASavelletri (frazione di Fasano, Br), via Egnazia-Savelletri.

Importante città messapica posta al confine settentrionale tra Peucezia e Messapia, di cui costituiva un importante porto; in età romana fu arricchita dal foro e da edifici pubblici e in età paleocristiana divenne sede vescovile. Notevoli sono i resti archeologici visibili: la necropoli con le tombe della fase messapica, l’acropoli sul porto, l’area del foro e l’anfiteatro, il sacello dedicato alle divinità orientali, le due basiliche paleocristiane. La città inoltre è attraversata dalla via Traiana.

Ostuni

PArCoArCheoLoGiCoDisAntAMAriADiAGnAnoOstuni (Br), accesso dalla S.P. Ostuni-Fasano.

Istituito dal comune di Ostuni nel 1991 e gestito dall’Istituzione Museo, il Parco ricopre

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Capitolo IX 439

una superficie di circa 13 ettari di terreno di proprietà comunale. All’interno, in un suggestivo pa-esaggio naturale, si apre la grotta dedicata a Santa Maria di Agnano, sede per migliaia di anni di riti e culti dedicati ad una divinità femminile. Da qui provengono le straordinarie testimonianze funerarie del Paleolitico, tra cui la nota “donna di Ostuni” o Ostuni 1, una giovane deposta 25.000 anni fa con il suo feto e un ricco corredo funebre costituito da bracciali di conchiglie forate, un copricapo e strumenti in pietra che documentano una ritualità di divinizzazione della defunta.

San Donaci

AreAArCheoLoGiCADisAnMiserino

San Donaci (Br), S.P. 51 Oria-Cellino San Marco, Contrada Monticello, 5 km da San Donaci.

La chiesa paleocristiana dedicata a San Miserino sorse sulle rovine di una prestigiosa domus romana. Si tratta di un edificio a cupola datato tra VI e VII secolo, un tempo parte di un casale al quale sono da riferire alcuni frammenti scultorei rinvenuti nell’area. L’edificio ha un impianto ottagonale iscritto in un quadrato con copertura a cupola impostata su pila-stri arricchiti da capitelli con foglie d’acanto. L’interno presenta quattro nicchie semicircolari contrapposte. Il pavimento conserva ancora tracce del mosaico che originariamente copriva interamente il piano di calpestio. Alcune tracce rosse sulle pareti testimoniano la presenza di pitture, purtroppo perdute.

San Vito dei Normanni

MuseoDiFFusoDeLCAsteLLoD’ALCeste

San Vito dei Normanni (Br), contrada Castello d’Alceste.

La collina del Castello di Alceste sorge a poche centinaia di metri a sud del centro abitato di San Vito dei Normanni. La lunga attività di scavo archeologico condotta dall’Università del Sa-lento ha permesso di identificare le tracce di un villaggio a capanne della seconda metà dell’VIII sec. a.C. caratterizzato da abitazioni a pianta ovale, con copertura in materiale deperibile. A esse si sovrappone nel VI sec. a.C. un nuovo impianto, con caratteri che riflettono l’avvento di nuove tecniche costruttive e un nuovo modo di concepire lo spazio abitativo. L’insediamento viene abbandonato agli inizi del V sec.a.C. e mai più occupato. L’area archeologica offre la rara possi-bilità di studiare in estensione un abitato arcaico, relativo cioè al momento in cui cominciano a manifestarsi nuove forme di organizzazione insediativa. Ciò ha portato all’acquisizione, da par-te dell’Amministrazione comunale, di un’area di circa 10 ettari ora Museo Diffuso. I percorsi di visita, pedonali, ciclabili e illuminati, corredati da pannelli informativi e supportati da strutture di arredo urbano, consentono di muoversi all’interno dell’area archeologica.

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440 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

Torre Santa Susanna

ChiesAeAreAArCheoLoGiCADisAntAMAriADiCrePACore

Torre Santa Susanna (Br), circa 4 km dall’abitato moderno, località Crepacore.

Considerato uno dei più bei monumenti pugliesi di età bizantina, la chiesa di Santa Maria (o San Pietro) di Crepacuore è un edificio particolare, caratterizzato dalla pianta a tre navate, di cui, quella centrale è composta dallo spazio di due cupole in asse a tholos di tipo orientale. L’interno è arricchito da un meraviglioso ciclo di affreschi, purtroppo lacunosi, datati tra l’VIII e il XII secolo. All’esterno sono visibili sepolture coeve all’edificio sacro.

r.M.,M.s.

IX.6. Provincia di Lecce

Cavallino

MuseoDiFFusoCavallino (Le), piazza Fratelli Cervi.

Inaugurato nel 2003, il Museo Diffuso di Cavallino racchiude un’area di circa 30 ettari in cui, attraverso un sistema di percorsi di visita pedonali e ciclabili, si ha la possibilità di accostar-si ai resti delle poderose mura di cinta, a nuclei di abitazioni, sistemi di raccolta delle acque e piccole aree funerarie, testimonianza del vasto abitato d’età arcaica. Nato come cantiere-scuola di archeologia dell’Università del Salento, il Museo Diffuso si presenta all’entrata con una im-ponente terrazza in metallo alta 10 metri, conosciuta come il “Balcone sulla storia”, dalla quale si può compiere una visita guidata virtuale.

Lecce

AnFiteAtroroMAno

Lecce, piazza Sant’Oronzo

Noto già nel Cinquecento, l’anfiteatro romano di Lecce, localizzato nella centrale piazza Sant’Oronzo, solo nel 1901 fu nuovamente riportato alla luce, diventando la testimonianza più significativa dell’antica città romana di Lupiae. Attualmente è visibile poco meno della metà dell’intero edificio di forma ellittica, il resto è totalmente interrato e a una quota inferiore rispet-to al piano stradale; manca inoltre l’intera summa cavea. L’anfiteatro poteva contenere fino a 20.000 spettatori, dunque, oltre ai cittadini lupiensi, anche gli abitanti del circondario vi afflui-vano. L’edificio, in pietra leccese, in parte scavato nella roccia, presenta tre tecniche costruttive: opus quadratum nell’ambulacro esterno e nei pilastri di sostegno, opus caementicium o incer-tum nelle volte, opus reticulatum nei paramenti. Buona parte del monumento era rivestita, oltre

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Capitolo IX 441

che di intonaco, di cui non restano tracce, di marmi bianchi e policromi. Tutto il rivestimento era coronato da un fregio marmoreo decorato con scene di caccia e combattimenti di gladiatori. Nella parte superiore dell’anfiteatro si nota una stele in pietra di Trani con aquile e fregi in bron-zo, innalzata a ricordo di Quinto Ennio, poeta nativo della vicina Rudiae.

teAtroroMAno

Lecce, via Arte della Cartapesta.

Insieme al coevo anfiteatro, il teatro costituisce la principale attestazione della fase roma-na di Lecce. La struttura è datata alla prima metà del II sec. d.C., anche se l’impianto originario potrebbe collocarsi in età augustea. Il monumento, ricavato in gran parte nel pendio roccioso naturale, fu in seguito riutilizzato come fondazione per un palazzo, per questo rimase nascosto fino al 1929, quando, durante lavori edili tra i giardini dei palazzi Romano e D’Arpe, è stato sca-vato e nel 1935-1940 e successivamente restaurato. La cavea, semicircolare e con la gradinata realizzata in blocchi di pietra squadrata, è suddivisa in sei cunei da scalette radiali: era questa l’area riservata agli spettatori. L’orchestra, pavimentata con grandi lastroni di calcare bianco, accoglieva il coro; la scena, di cui rimane il banco di roccia spianato, ospitava il palco. Il ritro-vamento di sculture e di frammenti di lastre di marmo policromo testimonia la ricchezza della facciata, di cui però non è rimasta traccia. Altri reperti provenienti dal monumento sono visibili nell’attiguo Museo.

PArCoArCheoLoGiCoDirudiAe

Lecce, località Rudiae, via San Pietro in Lama.

Nell’area centrale della città antica, fondo Acchiatura, di fronte alla scuola agraria, si tro-va un’area archeologica (terreni di proprietà comunale) in cui è possibile vedere alcuni settori d’abitato, parte dell’imponente anfiteatro e un tratto di una strada urbana basolata; da segnalare anche i recenti scavi dell’Università del Salento, che hanno messo in luce l’anfiteatro, imponen-te edificio a struttura piena lunga 80 m e larga 40, realizzato sfruttando l’invaso di una dolina. Al momento l’area non è ancora aperta al pubblico, ma è in corso di realizzazione un vasto parco archeologico. Alcuni tratti delle imponenti mura in opera quadrata si conservano fuori terra, in terreni di proprietà privata; scavi dell’Università ne stanno mettendo in luce un settore ben con-servato nell’area nord-occidentale della città.

Melendugno

AreAArCheoLoGiCADiroCAveCChiA

Melendugno (Le), località Rocavecchia, lungo la litoranea adriatica.

Dal 1987 le ricerche estensive promosse annualmente dall’Università del Salento hanno permesso di proporre una puntuale definizione della complessa sequenza di fasi di occupazione,

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442 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

distruzione e trasformazione planimetrica del sito, inquadrabili in un arco cronologico di circa 3.500 anni. La recente sistemazione dell’area archeologica, attrezzata con passerelle lignee e apparato didattico, avviano su un percorso di conoscenza dell’imponente opera di fortificazione relativa al villaggio protostorico, eretta a difesa dell’insediamento durante il periodo del Bron-zo Medio (XVII-XV sec. a.C.) e più volte ricostruita nelle successive fasi del Bronzo Recente (XVI-XIII sec. a.C.) e Finale (XII-XI sec. a.C.). Il percorso continua poi tra le testimonianze monumentali dell’abitato medievale (strutture abitative, castello, torre di guardia).

Montesardo

trAttiDiMurAMessAPiChe

Montesardo (Le), fraz. di Alessano, nei pressi del Castello Romasi.

Lungo la suggestiva via Muraglie, alla base della poderosa cinta muraria tardoquattrocen-tesca, si conserva un breve tratto di mura messapiche in blocchi squadrati, datato al IV sec. a.C.

Muro Leccese

PArCoArCheoLoGiCoDiLoCALitàCuneLLA,PALoMbArAesitrieMuro Leccese (Le), settori orientale e settentrionale della città.

Il parco archeologico che si sviluppa nelle località Sitrie e Palombara conserva la memo-ria architettonica della città messapica e offre la possibilità di ammirarne i resti delle mura, che con la loro monumentalità e stato di conservazione segnano ancora fortemente il paesaggio at-tuale di Muro Leccese e sono il simbolo del momento più importante della storia antica del cen-tro. La imponente cinta muraria in opera quadrata, costruita nella seconda metà del IV sec. a.C. e lunga 4 km, definisce l’estensione della città messapica (107 ettari). Nell’area di Cunella si conserva invece l’articolazione planimetrica di età arcaica, con un grande edificio residenziale, dotato di una sala da banchetto con altare centrale, allineato su una strada orientata est-ovest. La strada corrisponde al tratto urbano di una importante via che collegava la costa ionica con quella adriatica e il cui tracciato tra Muro e Otranto ha avuto una continuità d’uso fino a età moderna.

Patù

AreAArCheoLoGiCADivereto

Patù (Le), località Serra di Vereto.

Resti della città messapica e della fase romana di Veretum si conservano sulla sommità della collina che domina la piana pericostiera, offrendo un suggestivo panorama. Attualmente sono fruibili alcuni settori dell’area archeologica posizionati lungo la via interpoderale Uscapa-gliare, dove si conservano settori della cinta muraria messapica, lungo la via vicinale Serre II e

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Capitolo IX 443

ancora presso la cappella dedicata alla Madonna di Vereto.

Poggiardo

PArCoArCheoLoGiCoDeiGuerrieri

Vaste, fraz. di Poggiardo (Le), località Santi Stefani, Maglie-Castro.

Gli scavi sistematici iniziati negli anni ’80 hanno portato alla luce l’abitato iapigio dell’VIII-VII sec. a.C., che si sovrappone al precedente impianto dell’età del Bronzo. Ben vi-sibili sono le mura di fortificazione, datate al IV sec. a.C., in cui si aprono le c.d. “porta nord” e “porta est”. Interessanti sono le ricostruzioni a grandezza naturale di una torre d’assedio e di una capanna japigia.

ChiesAPALeoCristiAnADeisAntisteFAniVaste, fraz. di Poggiardo (Le), località Santi Stefani.

I lavori di scavo iniziati nel 1986 hanno riportato in luce la chiesa, distinguendone quattro fasi. La chiesa di V secolo è a pianta a croce latina, con piccola abside semicircolare nella parte terminale del transetto; la copertura doveva essere a capriate. Probabilmente l’edificio era legato al culto di Santo Stefano Protomartire. La seconda fase risale al VI secolo, quando la chiesetta si presentava a pianta rettangolare, divisa in tre navate da due filari di pilastri quadrangolari; il soffitto era voltato a botte. La terza chiesa, relativa ai secoli VII-VIII, presentava una sola navata, quella centrale del vecchio edificio di cui si conservò l’abside. Gli spazi tra i pilastri quadrangolari vennero murati ottenendo una struttura più piccola. Durante l’ultima fase, datata ai secoli IX-X, la chiesa era un piccolo edificio a navata unica, di cui restano pochi ruderi. Suc-cessivamente la chiesa fu abbandonata e nei pressi di questa venne costruita l’attuale cripta dei Santi Stefani, datata ai secoli X-XI.

Ugento

PArCoArCheoLoGiCoDiFFusoDiuGento

Ugento (Le), lungo la S.P. 206.

La realizzazione del Parco Archeologico di Ugento è strettamente legato all’attuale centro urbano e occupa l’unica zona che la moderna espansione urbanistica della città ha risparmiato. Tante le peculiarità storiche, archeologiche, geologiche e botaniche presenti nella zona: in un’area di 50 ettari circa è, infatti, possibile visitare la necropoli messapica sita in località Sant’Antonio, portata alla luce in seguito a scavi effettuati tra 1986 e 1987, che si compone di circa 30 tombe a fossa scavate nella roccia affiorante e chiuse con grandi lastroni litici, datate tra il VI e III sec. a.C.; alcuni tratti delle mura messapiche in opera quadrata in località Porchiano; il complesso monu-mentale della cripta del Crocefisso e della Madonna di Costantinopoli.

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444 Principali aree e monumenti di interesse archeologico

Vernole

eCoMuseoDeiPAesAGGiDiPietrADiACQuAriCADiLeCCeAcquarica di Lecce, fraz. di Vernole (Le), ex Scuola elementare, piazza Caduti d’Italia.

L’Ecomuseo dei Paesaggi di Pietra si struttura intorno all’area archeologica di Pozzo Sec-cato, dove le indagini, condotte dall’Università del Salento, hanno rilevato la presenza di un cen-tro fortificato di piccole dimensioni, costruito verso la fine del IV sec. a.C. lungo l’antico asse stradale che univa i centri di Cavallino, Lecce e Rudiae con la costa adriatica. Gli scavi hanno messo in luce una grande fattoria fornita di torre, costruita con muri in grandi blocchi di calca-re e tetti coperti con tegole. Un grande muro di fortificazione, largo 4 m, costruito con grandi pietre unite a secco e foderato da un paramento in grandi blocchi squadrati di calcare, circonda completamente la struttura abitativa. Attorno all’insediamento notevoli sono le testimonianze del patrimonio culturale, distribuite nelle campagne che circondano l’abitato di Acquarica che si inseriscono all’interno del caratteristico paesaggio salentino, punteggiato di architetture rurali: masserie, trulli, pagliare, specchie, muri a secco e tratturi. La peculiarità di questo paesaggio risiede nella vastità e nelle potenzialità di sviluppo dei diversi temi e luoghi, che occupano un arco cronologico di migliaia di anni.

r.M.,M.s.

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Per le riviste periodiche si sono impiegate, laddove possibile, le abbreviazioni in uso nell’Ar-chäologischer Anzeiger (Deutsches Archäologisches Institut), mentre sono stati resi per esteso i titoli non compresi in suddetta lista.

AAerea Archeologia Aerea. Studi di Aerotopografia Archeologica.

ADAMesteAnu1979 D.ADAMesteAnu, La colonizzazione greca in Puglia, in Pu-glia 1979, pp. 193-269.

Ad Ovest di Bisanzio 1990 B. vetere (a cura di), Ad Ovest di Bisanzio. Il Salento me-dievale, Atti del seminario internazionale di studio (Marta-no, 29-30 aprile 1988), Galatina 1990.

AION Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Di-partimento di Studi del Mondo Classico e del Mediterraneo Antico.

AGresti1998 G.AGresti, Kailia, la città e la storia: la fase preromana e romana, in Kailinon-Kailia-Caeliae 1998, pp. 20-24.

ALberti,bettini,Lorenzi1981 M.A.ALberti,A. bettini, i. Lorenzi, Salapia (Foggia). Notizia preliminare sugli scavi nella città dauna di Salapia. Campagna 1978-79, in NSc XXXV, 1981, pp. 159-182.

ALessio1986 A.ALessio, Area archeologica di Manduria: inquadramen-to storico e analisi dei resti monumentali, in Progetto per un Parco Archeologico, Manduria 1986, pp. 23-72.

ALessio 1990a A. ALessio, Manduria, in Archeologia dei Messapi 1990, pp. 307-321.

ALessio 1990b A. ALessio, Li Castelli, in Archeologia dei Messapi 1990, pp. 323-330.

ALessio 1990c A. ALessio, s.v. Laterza, in BTCGI VIII, Pisa-Roma 1990, pp. 448-453.

AbbreviAzionibibLioGrAFiChe

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446 Abbreviazioni Bibliografiche

ALessio 1991 A. ALessio, s.v. Li Castelli, in BTCGI IX, Pisa-Roma 1991, pp. 19-23.

ALessio1993a A. ALessio, La ricerca archeologica nella chiesa di S. Gio-vanni Battista del Monastero delle Benedettine, in Frag-menta, Prima Rassegna Nazionale del Restauro Ceramico negli Istituti di Istruzione Artistica (Taranto, 27 Marzo-10 Aprile 1993), Lama 1993.

ALessio1993b A. ALessio, Fonte Pliniano (Manduria), in Taras XIII, 1-2, 1993, p. 123.

ALessio1993c A. ALessio, Loc. Scegnu (Manduria), in Taras XIII, 1-2, 1993, pp. 123-124.

ALessio1993d A. ALessio, Le aree archeologiche. Geografia distributiva degli insediamenti, in b.FeDeLe,A.ALessio,o.DeLMo-nACo (a cura di), Archeologia, civiltà e culture nell’area ionico-tarantina, Fasano 1993, pp. 177-347.

ALessio 1993e A. ALessio, s.v. Monte Sant’Elia, in BTCGI XII, Pisa-Roma 1993, pp. 8-9.

ALessio 1998 A. ALessio, s.v. Roccaforzata (Taranto), Monte Sant’Elia, in Taras, XVIII, 1, 1998, pp. 84-85.

ALessio 1999 A. ALessio, Acquasantara, in Taras XIX, 1, 1999, p. 81.

ALessio 2000 A. ALessio, La ricerca archeologica della Soprintendenza della Puglia, in LePore 2000, pp. 19-89.

ALessio 2001 A. ALessio, Manduria (Taranto), via per Lecce, in Taras XXI, 1, 2001, pp. 108-110.

ALessio 2003 A. ALessio, Li Castelli, Masseria Piacentini, in Taras XXIII, 1-2, 2002-2003 (2003), pp. 161-164.

ALessio,Guzzo1989-1990 A.ALessio,P.G.Guzzo, Santuari e fattorie ad Est di Taran-to. Elementi archeologici per un modello di interpretazio-ne, in ScAnt 3-4, 1989-1990, pp. 363-396.

ALessio,zACCAriA1997 A.ALessio,A.zACCAriA, Nuove ricerche sul relitto di San Pietro in Bevagna (Manduria-Taranto), in Atti del Conve-gno Internazionale di Archeologia Subacquea (Anzio, 30 maggio-1 giugno 1996), Bari 1997, pp. 211-244.

ALvisi1962 G.ALvisi, Problemi di viabilità nell’Apulia settentrionale, in ArchCl XIV, vol. 2, Roma 1962, pp. 148-161.

ALvisi1970 G.ALvisi, La viabilità romana della Daunia, Roma 1970.

AMediev Archaeologia medievale. Cultura materiale, insediamenti, territorio.

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Capitolo X 447

AMiCi1997 C.M. AMiCi, Iter progettuale e problemi architettonici dell’anfiteatro di Lecce, in BACT 1.2, 1997, pp. 181-198.

AMiCi1999 C.M.AMiCi, L’anfiteatro romano, in F. D’AnDriA (a cura di), Lecce romana e il suo teatro, Lavello 1999, pp. 95-104.

AnDreAssi1978 G.AnDreAssi, Salentino ed Egnazia, in Magna Grecia bi-zantina e tradizione classica, Atti del XVII Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 9-14 ottobre 1977), Na-poli 1978, pp. 513-521.

AnDreAssi1979 G.AnDreAssi, Scavi a Gravina, Salentino ed Egnazia, in Gli Eubei in Occidente, Atti del XVIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 8-12 ottobre 1978), Taranto 1979, pp. 437-443.

AnDreAssi 1981a G. AnDreAssi, Oria (Brindisi), in StEtr XLIX, 1981, pp. 466-468.

AnDreAssi 1981b G. AnDreAssi, Salentino (Com. di Acquaviva delle Fonti, Bari), in StEtr XLIX, 1981, pp. 472-473.

AnDreAssi 1983 G. AnDreAssi, Egnazia, in V. LAbAte (a cura di), Il popo-lamento a sud-est di Bari in età medievale. Società e am-bienti, Catalogo della mostra (Conversano, Museo Civico, maggio-ottobre 1983), Fasano 1983, pp. 37-42.

AnDreAssi 1985 G. AnDreAssi, L’attività archeologica in Puglia, in Neapo-lis, Atti del XXV Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 3-7 ottobre 1985), Taranto 1986, pp. 371-397.

AnDreAssi 1987 G. AnDreAssi, L’attività archeologica in Puglia nel 1986, in Lo stretto crocevia di culture, Atti del XXVI Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto-Reggio Calabria, 9-14 ottobre 1986), Taranto 1987, pp. 625-672.

AnDreAssi1999 G.AnDreAssi, L’attività archeologica in Puglia nel 1998, in L’Italia Meridionale in età Tardo Antica, Atti del XXXVIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 2-6 otto-bre 1998), Taranto 1999, pp. 759-797.

AnDreAssi2001 G.AnDreAssi, L’attività archeologica in Puglia nel 2000, in Problemi della Chora Coloniale dall’Occidente al Mar Nero, Atti del XL Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 29 settembre-3 ottobre 2000), Taranto 2001, pp. 1008-1033.

AnDreAssi 2003a G. AnDreAssi, L’attività archeologica in Puglia nel 2002, in Ambiente e paesaggio nella Magna Grecia, Atti del XLII Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 5-8 otto-bre 2002), Taranto 2003, pp. 741-770.

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448 Abbreviazioni Bibliografiche

AnDreAssi 2003b G. AnDreAssi, Egnazia, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 305-307.

AnDreAssi 2004 G. AnDreAssi, L’attività archeologica in Puglia nel 2003, in Alessandro il Molosso e i “Condottieri” in Magna Gre-cia, Atti del XLIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto-Cosenza, 26-30 settembre 2003), Taranto 2004, pp. 1037-1063.

AnDreAssi 2005 G. AnDreAssi, L’attività archeologica in Puglia nel 2004, in Tramonto della Magna Grecia, Atti del XLIV Conve-gno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 24-28 settembre 2004), Taranto 2005, pp. 203-234.

AnDreAssi 2006 G. AnDreAssi, L’attività archeologica in Puglia nel 2005, in Velia, Atti del XLV Convegno di Studi sulla Magna Gre-cia (Taranto-Marina di Ascea, 21-25 settembre 2005), Ta-ranto 2006, pp. 771-805.

AnDreAssi 2008 G. AnDreAssi, L’attività archeologica in Puglia nel 2007, in Atene e la Magna Grecia dall’età arcaica all’ellenismo, Atti del XLVII Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Ta-ranto, 27-30 settembre 2007), Taranto 2008, pp. 953-977.

AnDreAssi,CAtALDi1984 G.AnDreAssi,s.CAtALDi, s.v. Bari, in BTCGI III, Pisa-Ro-ma 1984, pp. 406-428.

AnDreAssi,CoCChiAro1999 G. AnDreAssi, A. CoCChiAro, Tecnica stradale romana: esperienze dalla Puglia, in ATTA 1, pp. 11-18.

AnDreAssi,rADinA1988 G.AnDreAssi, F.rADinA (a cura di), Archeologia di una città. Bari dalle origini al X secolo, Bari 1988.

AnDreAssi et alii 2000 G. AnDreAssi,A.CoCChiAro,A.CinQuePALMi,A.MAruCA, Il parco archeologico di Egnazia, Valenzano 2000.

AnDreAssi et alii 2002 G. AnDreAssi,A.CoCChiAro,A.MAruCA, Egnazia. Dalla terra al mare, Bari 2002.

AneLLi1954 F.AneLLi, Castellana. Arcano mondo sotterraneo in terra di Bari, Castellana-Grotte 1954 (rist. 1992, XIa ediz.).

AnnAcEtr Annuario. Accademia etrusca di Cortona.

AnnBari Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari.

AnnLecce Annali dell’Università di Lecce. Facoltà di Lettere e Filo-sofia e di Magistero.

AnnPisa Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia.

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Capitolo X 449

AntonACCisAnPAoLo1991 e.AntonACCisAnPAoLo, Indagini topografiche nel territo-rio di Ascoli Satriano, in Profili Daunia Antica 7, pp. 117-142.

AntonACCisAnPAoLo1995 e.AntonACCisAnPAoLo, Dalla terra ai nostri occhi. Tiati, Teanum Apulum, Civitate. Topografia storica e archeologi-ca del territorio (Guida alla mostra), Foggia 1995.

AntonACCisAnPAoLo,QuiLiCi1995 e.AntonACCisAnPAoLo,L.QuiLiCi, Tiati-Teanum Apulum-Civitate: Topografia Storica del territorio, in Atti San Seve-ro XV, 1995, pp. 81-99.

Anzivino2003 M.C.M.Anzivino, Casone. San Severo, Foggia, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 106-108.

AProsio2008 M.AProsio, Archeologia dei paesaggi a Brindisi: dalla ro-manizzazione al Medioevo, Bari 2008.

ArchCl Archeologia Classica.

ArchStorPugl Archivio Storico Pugliese.

Archeologia dei Messapi 1990 F. D’AnDriA (a cura di), Archeologia dei Messapi, Catalo-go della Mostra, Bari 1990.

ArenA1997 e.ArenA, Satùriòn toi dòka: il problema storico-topografi-co di Satyrion nella tradizione degli oracoli delfici relativi alla fondazione di Taranto, in StAnt 10, pp. 256-290.

Arthur1994 P.Arthur, Giurdignano (Lecce), Le Centoporte; Giurdi-gnano (Lecce), Masseria Quattro Macine, in Taras XIV, 1994, pp. 175-179.

Arthur1997 P.Arthur, Tra Giustiniano e Roberto il Guiscardo. Approc-ci all’archeologia del Salento in età bizantina, in S. GeLiChi (a cura di), Atti del I Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Pisa, 29-31 maggio 1997), Firenze 1997, pp. 194-199.

Arthur 1998a P. Arthur, Un casale medioevale tra Bisanzio e l’Occiden-te: Quattro Macine, Giuggianello (Lecce), in S. PAtituCCiuGGeri (a cura di), Scavi medievali in Italia 1994-1995, Atti della Prima Conferenza Italiana di Archeologia Me-dievale (Cassino 1995), Roma 1998, pp. 167-174.

Arthur 1998b P. Arthur, Eastern Mediterranean amphorae between 500 and 700: a view from Italy, in L. sAGuì (a cura di), Cerami-ca in Italia: VI-VII secolo, Firenze 1998, pp. 157-184.

Arthur 1999a P. Arthur, Grubenhauser nella Puglia bizantina. A propo-sito di recenti scavi a Supersano (Le), in AMediev XXVI, 1999, pp. 171-177.

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450 Abbreviazioni Bibliografiche

Arthur 1999b P. Arthur, La città in Italia meridionale in età tardoantica: riflessioni intorno alle evidenze materiali, in L’Italia meri-dionale in età Tardo Antica, Atti del XXXVIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 2-6 ottobre 1998), Taranto 1999, pp. 167-200.

Arthur 2003a P. Arthur (a cura di), Muro Leccese. Archeologia di un borgo medievale, Maglie 2003.

Arthur 2003b P. Arthur, Saraceni, schiavi e il Salento, in R. FioriLLo,P.PeDuto(a cura di), Atti del III Congresso Nazionale di Ar-cheologia Medievale (Salerno, 2-5 ottobre 2003), Firenze 2003, pp. 443-445.

Arthur2004 P.Arthur, La chiesa bizantina detta Le Centoporte a Giur-dignano, in G. berteLLi (a cura di), Puglia preromanica, Milano 2004, pp. 177-180.

Arthur,bruno2007 P.Arthur,b.bruno, Alla scoperta di una Terra Medieva-le. Muro Leccese, Galatina 2007.

Arthur,bruno2009a P.Arthur,b.bruno (a cura di), Apigliano. Un villaggio bizantino e medievale in Terra d’Otranto. L’ambiente, il villaggio, la popolazione, Galatina 2009.

Arthur,bruno2009b P.Arthur,b.bruno (a cura di), Il complesso tardo-anti-co ed altomedievale dei SS. Cosma e Damiano, detto “Le Centoporte”, Giurdignano (Le). Scavi 1993-1996, Galatina 2009.

Arthur et alii 1992 P. Arthur, P. CAGGiA, G.P. CionGoLi, v. MeLissAno, h.PAtterson,P.roberts, Fornaci altomedievali ad Otranto. Nota preliminare, in AMediev XIX, 1992, pp. 91-122.

Arthur et alii 1996 P.Arthur, u.ALbAreLLA, b. bruno, s. kinG, Masseria Quattro Macine - a deserted medieval village and its ter-ritory in Southern Puglia. An interim report on field sur-vey, excavation and document analysis, in PBSR LXIV, pp. 181-237.

Arthur et alii 2011 P.Arthur,G.Fiorentino,A.M.GrAsso,M.LeoiMPeriALe (a cura di),La storia nel pozzo. Ambiente ed economia di un villaggio bizantino in terra d’Otranto, Lecce 2011.

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Ascoli Satriano 1995 Ascoli Satriano. La domus dei mosaici di Piazza San Poti-to, Taranto 1995.

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Capitolo X 451

Ashby,GArDner1916 th.Ashby,r.GArDner, The Via Traiana, in PBSR VIII, 1916, pp. 104-171.

ATTA Atlante Tematico di Topografia Antica.

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velletri di Fasano-Brindisi, 27-29 novembre 2003), Spoleto 2004, pp. XII-270.

Atti Convegno Internazionale e.Menestò (a cura di), Puglia tra grotte e borghi. InsediamentiCiviltà Rupestre II rupestri e insediamenti urbani: persistenze e differenze,

Atti del II Convegno Internazionale sulla Civiltà Rupe-stre (Savelletri di Fasano-Brindisi, 24-26 novembre 2005), Spoleto 2007.

Atti Convegno Internazionale e.Menestò (a cura di), Dall’habitat rupestre all’organizzazioneCiviltà Rupestre III insediativa del territorio pugliese (secoli X-XV), Atti del III

Convegno Internazionale sulla Civiltà Rupestre (Savelletri di Fasano-Brindisi, 22-24 novembre 2007), Spoleto 2009.

Atti Convegno Internazionale e.Menestò (a cura di), Dall’habitat rupestre all’organizzazioneCiviltà Rupestre III insediativa del territorio pugliese (secoli X-XV), Atti del III

Convegno Internazionale sulla Civiltà Rupestre (Savelletri di Fasano-Brindisi, 22-24 novembre 2007), Spoleto 2009.

Atti Convegno Internazionale e.Menestò (a cura di), Le aree rupestri dell’Italia centro-Civiltà Rupestre IV meridionale nell’ambito delle civiltà italiche: conoscenza,

salvaguardia, tutela, Atti del IV Convegno Internazionale sulla Civiltà Rupestre (Savelletri di Fasano-Brindisi, 26-28 novembre 2009), Spoleto 2011.

Atti Convegno Internazionale e.Menestò (a cura di), Agiografia e iconografia nelle aree.Civiltà Rupestre V della Civiltà rupestre, Atti del V Convegno Internazionale

sulla Civiltà Rupestre (Savelletri di Fasano-Brindisi, 17-19 novembre 2011), Spoleto 2013.

AttiMemMagnaGr Atti e memorie della Società Magna Grecia.

Atti San Severo Atti del Convegno Nazionale sulla Preistoria-Protostoria-Storia della Daunia, San Severo.

AurieMMA1998 r.AurieMMA, Archeologia della costa salentina: l’approdo di Torre S. Gregorio, in StAnt 11, pp. 127-148.

AurieMMA2004 r. AurieMMA, Salentum a salo. Porti, approdi, merci e scambi lungo la costa adriatica del Salento, Galatina 2004.

AversAet alii2011 F.AversA,e.M.DeJuLiis,v.A.MAriGGiò,r.vitALe, s.v. Taranto, in BTCGI XX, 2011, pp. 113-234.

BA Bollettino d’Arte.

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452 Abbreviazioni Bibliografiche

BABesch Bulletin antieke beschaving. Annual Papers on Classical Archaeology.

BACT Beni archeologici Conoscenza e Tecnologie, Bari-Lecce.

bAMbACiGno1971 v. bAMbACiGno, Pietre e pergamene di Troia in Daunia, Napoli 1971.

bAMbACiGno1975-1976 A.i. bAMbACiGno, Indagine archeologico-topografica su Aecae in età romana e sui rapporti con Troia bizantina, Tesi di Laurea Anno Accademico 1975-76, Università degli Studi di Bari, Facoltà di Magistero, Laurea in Materie Let-terarie (Relatore Prof. Gennaro Lomiento).

Banzi 2006 Banzi un museo all’aperto. Frammenti di storia, Catalogo della Mostra, Genzano (Pz) 2006.

bArChettA1996 e.bArChettA, Canosa di Puglia (Bari). Mausoleo Bagnoli, in Taras XVI, 1, 1996, pp. 42-43.

bArChettA,D’ALoiA2000 e.bArChettA,F.D’ALoiA, Canosa di Puglia (Bari), Mau-soleo Bagnoli, in Taras XX, 1-2, 2000, pp. 54-57.

bArtoLoni,DeLPino2005 G.bArtoLoni,F.DeLPino, Oriente e Occidente: metodi e discipline a confronto. Riflessioni sulla cronologia dell’età del Ferro in Italia, Atti dell’Incontro di Studi (Roma, 30-31 ottobre 2003), Pisa-Roma 2005.

bAttisti1986 A. bAttisti, Contributo alla conoscenza della necropoli antica di Conversano, in Storia e cultura in terra di Bari. Studi e Ricerche, Conversano 1986, pp. 111-116.

beAzLey1956 J.D. beAzLey, Attic Black-Figures Vase Painters, II ed., Oxford 1956.

beLLiD’eLiA1975 P.beLLiD’eLiA (a cura di), Alle sorgenti del Romanico. Puglia XI secolo, Bari 1975.

beLLiD’eLiA1980 P.beLLiD’eLiA, Il Romanico, in La Puglia fra Bisanzio e l’Occidente, Milano 1980.

beLLiD’eLiA1992 P.beLLiD’eLiA, s.v. Barletta, in EAM III, Roma 1992.

beLLiD’eLiA1998 P.beLLiD’eLiA, s.v. Puglia, in EAM IX, Roma 1998, pp. 780-796.

beLLiD’eLiA1999 P.beLLiD’eLiA (a cura di), L’Angelo, la montagna, il pelle-grino. Monte Sant’Angelo e il santuario di San Michele del Gargano, Catalogo della mostra (Monte Sant’Angelo, Mu-seo “G. Tancredi”, 25 settembre-5 novembre 1999), Foggia 1999.

beLLiD’eLiA2003 P.beLLiD’eLiA, Puglia romanica, Milano 2003.

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Capitolo X 453

beLLiD’eLiA2006 P.beLLiD’eLiA, Il Crocifisso ligneo di San Leonardo di Siponto, in H. houben (a cura di), San Leonardo di Sipon-to. Cella monastica, canonica, Domus Theutonicorum, Atti del Convengo Internazionale (Manfredonia 18-19 marzo 2005),Galatina 2006, pp. 167-204.

berArD1963 J.berArD, La colonisation grecque de l’Italie mèridionale et de la Sicile dans l’antiquitè. L’histoire et la legende, Pa-ris 1957 (trad. it. Torino 1963).

bernArDini1955 M.bernArDini, La Rudiae salentina, Lecce 1955.

bernArDini1965 M.bernArDini, I vasi Attici del Museo Provinciale di Lec-ce, Bari 1965.

bertAuX1903 e.bertAuX, L’art dans l’Italie meridionale, Paris 1903.

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berteLLi 1994a G. berteLLi, S. Maria que est episcopio, la cattedrale di Bari dalle origini al 1034, Bari 1994.

berteLLi 1994b G. berteLLi, Cultura longobarda nella Puglia altomedieva-le. Il Tempietto di Seppannibale presso Fasano, Bari 1994.

berteLLi 1999a G. berteLLi, s.v. Siponto, in EAM X, Roma 1999, pp. 698-700.

berteLLi 1999b G. berteLLi, La Calabria, in P. PerGoLA (a cura di), Alle origini della parrocchia rurale (IV-VIII sec.), Atti della giornata tematica dei Seminari di Archeologia Cristiana (Roma, 19 marzo 1998), Roma 1999, pp. 225-249.

berteLLi2002 G.berteLLi, Le diocesi della Puglia centro-settentrionale. Aecae, Bari, Bovino, Canosa, Egnathia, Herdonia, Lucera, Siponto, Trani, Vieste, in Corpus della scultura altomedie-vale, XV, Spoleto 2002, pp. 356-378.

berteLLi2004 G.berteLLi (a cura di), Puglia preromanica, dal V secolo agli inizi dell’XI, Milano 2004.

berteLLi2013 G.berteLLi, Modelli iconografici nelle chiese rupestri di Puglia e Basilicata. I cicli affrescati con storie bibliche e cristologiche, in Atti Convegno Internazionale Civiltà Ru-pestre V, pp. 121-146.

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454 Abbreviazioni Bibliografiche

berteLLibuQuiCChio1992 G.berteLLibuQuiCChio, s.v. Bari, in EAM III, Roma 1992, pp. 82-91.

berteLLibuQuiCChio1997a G.berteLLibuQuiCChio, s.v. Lucera, in EAM VIII, Roma 1997, pp. 35-39.

berteLLibuQuiCChio1997b G. berteLLibuQuiCChio, s.v. Monte Sant’Angelo, in EAM VIII, Roma 1997, pp. 532-533.

berteLLibuQuiCChio 1998 G. berteLLibuQuiCChio, s.v. Otranto, in EAM IX, Roma 1998, pp. 7-10.

berteLLi,FALLACAsteLFrAnChi1981 G.berteLLi,M.FALLACAsteLFrAnChi, Canosa di Puglia fra Tardoantico e Medioevo, Roma 1981.

bertoLDiLenoCi2003 L.bertoLDiLenoCi (a cura di), Canosa: ricerche storiche 2003, Convegno di studio (14 dicembre 2002), Fasano 2003.

betteLLi2002 M.betteLLi, Italia meridionale e mondo miceneo: ricerche su dinamiche di acculturazione e aspetti archeologici con particolare riferimento ai versanti adriatico e ionico della penisola italiana, Firenze 2002.

biAnChi2005 v.biAnChi, La Via dell’Arcangelo, in Medioevo 8, 2005, pp. 93 ss.

biAnCoFiore1955 F.biAnCoFiore, Azetium (Bari), in NSc IX, 1955, pp. 217-220.

biAnCoFiore1960 F.biAnCoFiore, Lo scavo di Altamura (Bari) e l’epoca di transizione nell’Italia protostorica, in L. LAurenzi et alii, Civiltà del Ferro. Studi pubblicati nella ricorrenza cente-naria della scoperta di Villanova, Bologna 1960, pp. 167-231.

biAnCoFiore1962 F.biAnCoFiore, La viabilità antica nel tratto a sud-est di Bari e i suoi centri culturali, in AnnPisa XV, 1962, pp. 233-240.

biAnCoFiore1963 F.biAnCoFiore, La civiltà Micenea nell’Italia Meridionale (I. La Ceramica), Roma 1963.

biAnCoFiore1971 F.biAnCoFiore, Origini e sviluppo nell’Italia sud-orientale, in Origini V, Roma 1971, pp. 193-312.

biAnCoFiore 1979a F. biAnCoFiore, L’Età del Bronzo nella Puglia centro-set-tentrionale, in Puglia 1979, pp. 150-178.

biAnCoFiore 1979b F. biAnCoFiore, La civiltà Eneolitica di Laterza, in Puglia 1979, pp. 128-149.

biAnCoFiore,MArin, F.biAnCoFiore,M.D.MArin,o.PArLAnGeLi, Daunia

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Capitolo X 455

PArLAnGeLi1970 antica: dalle origini all’età dei Romani, Foggia 1970.

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biettisestieri2010 A.M.biettisestieri, L’Italia nell’età del bronzo e del fer-ro. Dalle palafitte a Romolo (2200-700 a.C.), Roma 2010.

biettisestieri,sCArDozzi2010 A.M.biettisestieri,G.sCArDozzi (a cura di), La Specchia Artanisi (Ugento). Campagna di scavo 2009, Ugento 2010.

Bisanzio e l’Occidente 1996 Bisanzio e l’Occidente: arte, archeologia, storia. Studi in onore di Fernanda de’ Maffei, Roma 1996.

bLunDo1992 A.G.bLunDo, La sfinge funeraria del Museo Civico di Bo-vino, in Taras XII, 1, 1992, pp. 143-151.

BNum Bollettino di Numismatica, Roma.

boCCuCCiA1997 P.boCCuCCiA, Nuovi dati sulla frequentazione protostorica di Coppa Nevigata, in Atti San Severo XV, 1997, pp. 117-144.

boenzi,CALDArA1990 G.boenzi,M.CALDArA, Appunti sul paesaggio carsico pu-gliese, in Itinerari Speleologici ser. II, n. 4, Martina Franca 1990, pp. 17-30.

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boersMA1995 J.boersMA, Mutatio Valentia. The Late Roman Bath at Va-lesio, Salento, Thesis Publisher, Amsterdam 1995.

boersMA,burGers1994 J. boersMA, G.J. burGers, Fortificazioni messapiche nel Brindisino, in MArAnGio,nitti 1994, pp. 27-37.

boersMA,Prins1994 J.boersMA,J.Prins, Valesio and the Mint of Brindisi, in StAnt 7, 1994, pp. 303-325.

boersMA,yteMA1987 J.boersMA,D.ynteMA, Valesio. Storia di un insediamen-to apulo dall’età del Ferro all’epoca tardoromana, Fasano 1987.

boersMA,ynteMA1989 J.boersMA,D.ynteMA, The Valesio Project: Fourth In-terim Report (campaigns of 1987 and 1988), in BABesch LXIV, 1989, pp. 134-159.

boersMA,burGers,ynteMA1991 J.boersMA,G.J.burGers,D.ynteMA, The Valesio Project: Final Interim Report (campaign of 1990), in BABesch 66, 1991, pp. 115-131.

boersMAet alii1990 J.boersMA,h.vAnWiJGAArDen,D.ynteMA,L.zoMer,

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456 Abbreviazioni Bibliografiche

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boLDrini1996 s.boLDrini, Canosa di Puglia (Bari). Via S. Paolo, in Ta-ras XVI, 1, 1996, pp. 45-48.

boLoGnese1969 s. boLoGnese, La tomba messapica di Alezio, Galatina 1969.

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borzAttivonLöWenstern1967 e. borzAtti von LöWenstern, Ricerche preistoriche ese-guite dall’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria nel Salento dal 1964 al 1967, in RivStorSal XXVIII, 1967, pp. 1-4.

bottini1982 Abottini, Principi guerrieri della Daunia del VII secolo: le tombe principesche di Lavello, Bari 1982.

bottini,FresA1991 A.bottini,M.P.FresA, Forentum 2: l’acropoli in età clas-sica, Venosa 1991.

Bovino 1989 Bovino dal Paleolitico all’alto Medioevo, 1° Ciclo di con-ferenze (Bovino, 22 aprile-15 maggio 1987), Foggia 1989.

Bovino 1994 Bovino. Studi per la storia della città antica. La collezione Museale, Taranto 1994.

BPI Bullettino di Paletnologia Italiana.

brACCesi,rAvioLA2008 L.brACCesi,F.rAvioLA, La Magna Grecia, Bologna 2008.

brACCio1996 b. brACCio, Brindisi, S. Giovanni al Sepolcro, in Taras XVI, 1, 1996, pp. 60-62.

brADForD1949 J.b. brADForD, Buried Landscapes in Southern Italy, in Antiquity XXIII, 1949, pp. 58-72.

brADForD1950 J.b.brADForD, The Apulian Expedition: an interim Report, in Antiquity XXIV, 1950, pp. 84-95.

brADForD1957 J.b.brADForD, Ancient landscapes, Londra 1957.

broWn1974 P.broWn, Il mondo tardoantico, Torino 1974.

bruno 2004a B. bruno, La Chiesa di S. Pietro Mandurino a Manduria, in berteLLi 2004, pp. 257-259.

bruno2004b b. bruno, La chiesa bizantina a Giuggianello, casale Quattro Macine, in berteLLi 2004, pp. 278-279.

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Capitolo X 457

PBSR Papers of the British School at Rome.

BTCGI Bibliografia Topografica della Colonizzazione Greca in Italia e nelle Isole Tirreniche, Pisa-Roma.

buCCiMoriChi1983 C.buCCiMoriChi, Casaranello (Le), Chiesa di Santa Ma-ria della Croce, in Restauri in Puglia 1971-1983, II, Fasa-no 1983, pp. 402-407.

burGers1997 G.J.burGers, Mesagne (Brindisi), Muro Tenente, in Taras XVII, 1, 1997, p. 68.

burGers1998 G.J. burGers, Constructing messapian Landscapes, Am-sterdam 1998.

burGers1999 G.J.burGers, L’abitato di Muro Tenente nel IV e III sec. a.C., in Muro Tenente centro messapico nel territorio di Mesagne, Mesagne 1999, pp. 57-65.

burGers 2001 G.J. burGers, L’archeologia e l’Italia meridionale post-annibalica: una prospettiva regionale e diacronica, in LoCAsCio,storChiMArino 2001, pp. 249-266.

burGers2005 G.J. burGers, Sulle orme dei Messapi (versione prelimina-re II), Amsterdam 2005.

burGers2009a G.J. burGers, Sistemi abitativi dell’epoca ellenistico-ro-mana, in G.J.burGers,G.reCChiA (a cura di), Ricogni-zioni archeologiche sull’altopiano delle Murge. La carta archeologica del territorio di Cisternino, Foggia 2009, pp. 89-93.

burGers2009b G.J.burGers, Forme insediative e organizzazione del pae-saggio nell’istmo salentino, in osAnnA 2009, pp. 277-288.

burGers,nAPoLitAno2010 G.J.burGers,C.nAPoLitAno (a cura di), L’insediamento messapico di Muro Tenente. Scavi e ricerche 1998-2009, Mesagne 2010.

burGers,reCChiA2009 G.J.burGers,G.reCChiA (a cura di), Ricognizioni archeo-logiche sull’altopiano delle Murge. La carta archeologica del territorio di Cisternino, Foggia 2009.

burGers,ynteMA1999 G.J.burGers,D.ynteMA, Muro Tenente, in Taras XIX, 1, 1999, pp. 71-72.

bustoet alii 1997 A.busto,L.CeCi,v.nAtALi,G.LAverMiCoCCA, Bari, Fortino Sant’Antonio, in Taras XVII, 1, 1997, pp. 113-116.

CADei1993 A.CADei, s.v. Castel del Monte, in EAM IV, Roma 1993, pp. 377-382.

CALAttini1981 M.CALAttini, Nuovi contributi alla conoscenza del neo-

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458 Abbreviazioni Bibliografiche

eneolitico del Gargano. Tipologia e struttura delle indu-strie litiche dell’Arciprete “A” e di Campi (Vieste), in Atti San Severo III, 1981, pp. 39-71.

CALDAroLA2012 r. CALDAroLA, Ricerche archeologiche a Vaste, Fondo Melliche. L’età del Ferro, inr.D’AnDriA,k.MAnnino (a cura di), Gli allievi raccontano, Galatina 2012, pp. 65-78.

CALDAroLA et alii 2011 G.CALDAroLA, P. GentiLe,M. sAMMArCo,A.vALCherA, Indagini aerotopografiche a Sipontum (Manfredonia, Fog-gia), in CerAuDo 2011, pp. 360-362.

CALDAroLA,LAnDrisCinA2011 G.CALDAroLA,s.LAnDrisCinA, Ricerche aerotopografiche lungo la via Traiana da Herdonia a Barium, in CerAuDo 2011, pp. 365-367.

CALDAroLA,MAstronuzzi2011 r.CALDAroLA,G.MAstronuzzi, Indagini archeologiche a San Cesario di Lecce, in FastiOnLine, Folder-it-2011-216, pp. 1-26.

CALiAnDro2001 G.CALiAnDro, Brindisi, Via Duomo, Palazzo Nervegna, in Taras XXI, 1, 2001, pp. 88-90.

CALiAnDro,CoCChiAro2002-2003 G.CALiAnDro,A.CoCChiAro, Ostuni (Brindisi), Piazza Li-bertà, in Taras XXIII, 1-2, 2002-2003, pp. 136-137.

CALòMAriAni1991 M.s.CALòMAriAni, L’arte medievale e il Gargano, in G. bronzini (a cura di), La montagna sacra. S. Michele, Mon-te Sant’Angelo, il Gargano, Foggia 1991.

CALòMAriAni1998 M.s.CALòMAriAni (a cura di), Fiorentino. Il recupero di una città medievale, Bari 1998.

CALòMAriAni,CAssAno1995 M.s.CALòMAriAni,r.CAssAno, Federico II. Immagine e potere, Catalogo della mostra (Bari, Castello Svevo, 4 febbraio-17 aprile 1995), Venezia 1995.

CAMiLLeri,D’AnGeLA2011 v.CAMiLLeri,P.D’AnGeLA, Presenza e circolazione mone-taria, in Monetazione 2011, pp. 221-257.

CAMoDeCA1997 G.CAMoDeCA, M. Aemilius Lepidus, cos. 126 a.C., le asse-gnazioni graccane e la via Aemilia in Irpinia, in ZPE 115, 1997, pp. 263-270.

CAPoGrossiCoLoGnesi2002 L.CAPoGrossiCoLoGnesi, Persistenza e innovazione nelle strutture territoriali dell’Italia romana, Napoli 2002.

CAPone2006 L.CAPone, Puglia archeologica, Lecce 2006.

CAPrArA2001 r.CAPrArA, Società ed economia nei villaggi rupestri. La vita quotidiana nelle gravine dell’arco ionico tarantino, Fasano 2001.

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Capitolo X 459

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CArAnDini1995 A. CArAnDini, Il latifondo in epoca romana, fra Italia e province, in Du Latifundium au Latifondo. Un héritage de Rome, una creation médiévale ou moderné?, Actes de la table ronde (Bordeaux 1992), Paris 1995, pp. 31-36.

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CArDuCCi2003a A.CArDuCCi, Sulle ascendenze fiamminghe dell’affresco di Santa Sofronia in S. Pietro Mandurino, in CArDuCCi 2003b, I, pp. 137-148.

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CArito1988 G.CArito, L’urbanistica di Brindisi in età repubblicana, in MArAnGio 1988, pp. 173-179.

CArito,bArone1981 G.CArito, s.bArone, Brindisi cristiana dalle origini ai Normanni, Brindisi 1981.

CArLetti,otrAnto1980 C. CArLetti, G. otrAnto (a cura di), Il santuario di S. Michele sul Gargano dal VI al IX secolo. Contributo alla storia della Langobardia meridionale, Atti del Convegno (Monte Sant’Angelo, 9-10 dicembre 1978), Bari 1980.

CArLetti,otrAnto1994 C.CArLetti,G.otrAnto (a cura di), Culto e insediamenti micaelici nell’Italia meridionale fra tarda antichità e Me-dioevo, Atti del Convegno Internazionale (Monte Sant’An-gelo, 18-21 novembre 1992), Bari 1994.

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460 Abbreviazioni Bibliografiche

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CArrié1993 J.MCArrié, Le riforme economiche da Aureliano a Co-stantino, in CArAnDini,CrACCoruGGini,GiArDinA 1993a, pp. 283-322.

CArrieri1980-1987 M.CArrieri, Ostuni (Brindisi). Località Spirito Santo, in RicStBrindisi XIII, 1980-1987, pp. 269-270.

CArrieri1987 M.CArrieri, Ostuni (Brindisi). Spirito Santo, in Taras VII, 1987, pp. 135-136.

CAssAno1986 r.CAssAno, Canosa, in Profili Daunia Antica 2, pp. 49-75.

CAssAno 1987 R. CAssAno, Frammenti di storia della città dallo scavo della Cattedrale di Ruvo, in Epigrafia e territorio II, pp. 139-169.

CAssAno 1992a R. CAssAno(a cura di), Principi, imperatori, vescovi. Due-mila anni di storia a Canosa, Catalogo della Mostra (Bari, Monastero di Santa Scolastica, 27 gennaio-17 maggio 1992), Venezia 1992.

CAssAno 1992b R. CAssAno, Il Ponte sull’Ofanto, in CAssAno1992a, pp. 708-711.

CAssAno 1996 R. CAssAno, La tomba delle danzatrici, in Magna Grecia 1996, pp. 117-119.

CAssAno 1999 R. CAssAno, Canosa: Tempio di Giove Toro-Il Ponte roma-no, in Profili Daunia Antica. Rassegna antologica dei cicli di conferenze sulle più recenti campagne di scavo (1985-1995), Foggia 1999, pp. 77-92.

CAssAno 2004 R. CAssAno, Scoperte e collezioni di vasi a Ruvo di Puglia tra XIX e XX secolo, in Miti Greci 2004, pp. 98-100.

CAssAno2005 r.CAssAno, La cultura artistica preromana e romana, in MAssAFrA,sALveMini 2005, pp. 68-75.

CAssAno 2008a R. CAssAno, Conoscere, valorizzare, comunicare la storia dell’antico scalo adriatico di Egnazia (con approfondi-menti di F.MoDuGno,M.sCutAri,G.MAstroCinQue,M.CuCCoviLLo), in C.siLvioFiorieLLo (a cura di), Rotte me-diterranee della cultura. Turismo integrato e riuso delle architetture, Atti del Convegno Internazionale di Studi le-gato al Progetto Interreg SIRiAr (Fasano, 18-19 settembre 2008), Bari 2008, pp. 71-113.

CAssAno 2008b R. CAssAno, Riflessioni sulla storia del collezionismo a Ruvo di Puglia, in senAChiesA 2008, pp. 79-98.

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Capitolo X 461

CAssAno2009 r. CAssAno, La vicenda urbana di Egnazia ridisegnata dalle recenti indagini, in FastiOnline 161, 2009, pp. 1-20.

CAssAno2011 r.CAssAno, Egnazia tardoantica: nuove indagini e pro-spettive di ricerca, in voLPe,GiuLiAni 2011, pp. 91-106.

CAssAno,CArLetti1992 r. CAssAno, C. CArLetti, Trani, in CAssAno 1992a, pp. 901-906.

CAssAno,Corrente1992 r.CAssAno,M.Corrente, La necropoli, in CAssAno 1992a, pp. 145-148.

CAssAnoet alii 1987 s.M.CAssAno,A.CAzzeLLA,A.MAnFreDini,M.MosCoLoni, Coppa Nevigata e il suo territorio, Roma 1987.

CAssAno et alii 2004 r.CAssAno,v.DiGrAziA,C.s.FiorieLLo,A.PeDone,L.teDesChi, Ricerche archeologiche nell’area del foro di Egnazia. Scavi 2001-2003. Relazione preliminare, in Epi-grafia e territorio 2004.

CAssAno et alii 2007 r.CAssAno,C.s.FiorieLLo,A.MAnGiAtori,G.MAstroCin-Que, Ricerche archeologiche nella città di Egnazia. Scavi 2004-2006. Relazione preliminare, in Epigrafia e territorio 2007, pp. 7-136.

CAssAno,LorussoroMito, r.CAssAno,r.LorussoroMito,M.MiLeLLA (a cura di),MiLeLLA1998 Andar per mare. Puglia e Mediterraneo tra mito e storia,

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CAssAno,MAnFreDini2005 s.M.CAssAno,A.MAnFreDini(a cura di), Masseria Can-delaro: vita quotidiana e mondo ideologico in un villaggio neolitico sul Tavoliere, Foggia 2005.

CAstAGnoLi1958 F. CAstAGnoLi, Le ricerche sui resti della centuriazione, Roma 1958.

CAstoLDi et alii 2011 M.CAstoLDi,s.DeFrAnCesCo,C.LAMbruGo,A.PACe, Nel-la terra dei Peuceti: scavo dell’abitato di Jazzo Fornasiello (Ba), poster presentato al LI Convegno di Studi sulla Ma-gna Grecia (Taranto, 29 settembre-2 ottobre 2011), 2011.

CAstriAnni2008 L.CAstriAnni, Appendice A. Nota storico-topografica pre-liminare alla carta archeologica di Aecae-Troia; Appendi-ce B. Schede della documentazione archeologica, in Ce-rAuDo 2008a, pp. 67-113.

CAzzAto1989 v.CAzzAto, Atlante Storico della Puglia. 4. La provincia di Lecce, Cavallino 1989.

CAzzeLLA,MosCoLoni1997 A.CAzzeLLA,M.MosCoLoni, Gli scavi nell’insediamento dell’età del Bronzo di Coppa Nevigata: nuovi risultati, in Atti San Severo XV, 1997, pp. 103-116.

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462 Abbreviazioni Bibliografiche

CAzzeLLA,MosCoLoni1999 A.CAzzeLLA,M.MosCoLoni, Coppa Nevigata: i risultati degli scavi in estensione 1983-97, in Ipogei della Daunia 1999, pp. 102-107.

CAzzeLLA,MosCoLoni, A.CAzzeLLA,M.MosCoLoni,G.reCChiA, Coppa Nevigata reCChiA2012 e l’area umida alla foce del Candelaro durante l’età del

Bronzo, Foggia 2012.

CAzzeLLA,MosCoLoni, A.CAzzeLLA,M.MosCoLoni,b.WiLkens, Coppa Nevigata: WiLkens1996 campagna di scavo 1990, in Atti San Severo XII, I, 1996,

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Cavallino 1979 O. PAnCrAzzi, Cavallino I. Scavi e ricerche 1964-1967, Ga-latina 1979.

Ceglie Messapica 1992 Ceglie Messapica. Collezioni ed Archeologia, Catalogo della mostra, Latiano 1992.

CentoDuCAti2001 M.CentoDuCAti, Sviluppo urbanistico di Altamura nel XIII secolo, in Altamura Bollettino Biblioteca-Museo Civico XLII, Altamura 2001, pp. 95-120.

CerA2006 G.CerA, Il sistema di approvvigionamento idrico urbano di Brundisium, in ATTA 15, pp. 135-156.

CerA2008a G.CerA, L’acquedotto romano di Brindisi, in RTopAnt 16, pp. 107-126.

CerA 2008b G. CerA, Il contributo della fotografia aerea alla defini-zione della viabilità antica nel territorio di Mesagne, in AAerea 3, 2008, pp. 135-146.

Céramique 2005 M.DenoyeLLe,e.LiPPoLis,M.MAzzei,C.PouzADouX (a cura di), La céramique apulienne, bilan et perspectives, Actes de la table ronde organisée par l’École Française de Rome en collaboration avec la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia et le Centre Jean Bérard de Na-ples (Napoli, 30 novembre-2 dicembre 2000), Napoli 2005.

CerAuDo1997 G.CerAuDo, Applicazioni di fotogrammetria finalizzata tra prese programmate e reperimento di voli storici: il caso di Valesio, in StAnt X, 1997, pp. 39-45.

CerAuDo2003 G. CerAuDo, Balesium-Mutatio Valentia, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 329-331.

CerAuDo 2008a G. CerAuDo, Sulle tracce della Via Traiana. Indagini aero-topografiche da Aecae a Herdonia, Foggia 2008.

CerAuDo 2008b G. CerAuDo,L’antico sistema stradale della Penisola Sa-lentina, in PrAnzo 2008, pp. 31-35.

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Capitolo X 463

CerAuDo 2008c G. CerAuDo, Via Gellia: una strada fantasma in Puglia centrale, in StAnt 12, 2008, pp. 187-203.

CerAuDo 2011 G. CerAuDo (a cura di), 100 anni di Archeologia Aerea in Italia, Atti del Convegno Internazionale (Roma 15-17 apri-le 2009), AAerea 4-5, 2010-2011 (2011).

CerAuDo 2012a G. CerAuDo, A proposito delle lastre iscritte dei ponti della Via Traiana, in ATTA 22, pp. 143-153.

CerAuDo 2012b G. CerAuDo, Tra città e territorio: nuovi dati dalla fotoin-terpretazione, in C. LAGAnArA, Case e cose nella Siponto medievale. Da una ricerca archeologica, Foggia 2012, pp. 17-23.

CerAuDo,FerrAri 2010 G.CerAuDo,v.FerrAri, Fonti tradizionali e nuove meto-dologie d’indagine per la ricostruzione della centuriazione attribuita all’ager Aecanus nel Tavoliere di Puglia, in P.L.DALL’AGLio,G.rosADA (a cura di), Atti del Convegno Si-stemi centuriali e opere di assetto agrario tra età romana e primo medioevo (Borgoricco, Padova-Lugo, Ravenna, 10-12 Settembre 2009), Agri Centuriati. An International Journal of Landscape Archaeology I, Pisa-Roma, 2010, pp. 125-141.

CerAuDo,FoGAGnoLo1997 G. CerAuDo, s. FoGAGnoLo, Contributo alla topografia dell’abitato messapico di Muro Leccese, in BACT 1.2, 1997, pp. 85-98.

CheLotti1987 M. CheLotti, Epigrafi latine e monumentali di Ruvo, in Epigrafia e territorio 1987, pp. 15-103.

CheLotti1989 M.CheLotti, Ruvo in età romana, in A. CiAnCio (a cura di), Archeologia e territorio, l’area peuceta, Atti del Seminario di Studi (Gioia del Colle, 12-14 novembre 1987), Gioia del Colle 1989, pp. 147-150.

CheLotti1990 M.CheLotti, Mobilità sociale e legami familiari alla luce dell’albo dei decurioni di Canosa (CIL IX, 338), in ME-FRA 102, 1990, pp. 603-609.

CheLotti1991 M.CheLotti, Regio II. Apulia et Calabria. Barium, in Sup-plementa Italica 8, Roma 1991, pp. 25-44.

CheLotti1993 M.CheLotti, Regio II. Apulia et Calabria. Gnathia, in Sup-plementa Italica 11, Roma 1993, pp. 11-58.

CheLotti1994 M.CheLotti, Nuove iscrizioni latine dal territorio di Cano-sa, in Taras XIV, 2, 1994, pp. 465-472.

CheLottiet alii1985 M.CheLotti,r.GAetA,v.Morizio,M.siLvestrini, Le epigrafi romane di Canosa I, Bari 1985.

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464 Abbreviazioni Bibliografiche

CheLotti,Morizio,siLvestrini1990M.CheLotti,v.Morizio,M.siLvestrini, Le epigrafi roma-ne di Canosa II, Bari 1990.

ChevALLier1997 r.ChevALLier, Les Voies Romaines, Paris 1997.

ChieCobiAnChiMArtini1964 A.M.ChieCobiAnChiMArtini, Conversano (Bari). Scavi in via T. Pantaleo, in NSc 1964, pp. 100-176.

ChieCobiAnChiMArtini1965 A.M.ChieCobiAnChiMArtini, s.v. Ruvo di Puglia, in EAA VI, Roma 1965, pp. 1039-1040.

ChioCCi,PoMPiLio1997 P.F.ChioCCi,F.PoMPiLio, Osservazioni sulla centuriazione del Salento, in BACT 1.2, 1997, pp. 159-175.

ChionnA2001 A.ChionnA, Gli insediamenti rupestri della provincia di Brindisi, Fasano 2001, pp. 38-45.

CiACeri1928 e.CiACeri, Storia della Magna Grecia I, Napoli 1928.

CiAnCio1987 A. CiAnCio, Conversano (Bari), Via Rutigliano, in Taras VII, 1987, pp. 125-126.

CiAnCio1988 A.CiAnCio, Conversano (Bari), Via Vanvitelli, Largo Fal-conieri, in Taras VIII, 1-2, pp. 107-110.

CiAnCio 1989a A. CiAnCio, Conversano (Bari), Via Torino, Via Lippolis, in Taras IX, 1989, pp. 201-202.

CiAnCio1989b A.CiAnCio (a cura di), Archeologia e territorio. L’area peu-ceta, Atti del Seminario di Studi (Gioia del Colle, 1987), Putignano 1989.

CiAnCio 1990a A. CiAnCio, Conversano. La ricerca archeologica nella cit-tà, Fasano 1990.

CiAnCio 1990b A. CiAnCio, Conversano (Bari), Via L. Vanvitelli, Via Ca-stellana, Via D. Ramunni, Via G. Verdi angolo Via L. Mer-cadante, Via G. Piantone, Via Dante, in Taras X, 2, 1990, pp. 352-358.

CiAnCio 1991 A. CiAnCio, Conversano (Bari), Via Torino, Via Rutigliano, Via D. Ramunni, Via Bari angolo Via Simplicio, in Taras XI, 2, 1991, pp. 264-268.

CiAnCio1992 A.CiAnCio, Conversano (Bari), Via Bari, Via vescovo Sim-plicio, Via A. Nobel, in Taras XII, 2, 1992, pp. 263-265.

CiAnCio1996 A.CiAnCio, Monte Sannace e l’area peuceta, in D’AnDriA,MAnnino 1996, pp. 355-377.

CiAnCio1997 A. CiAnCio, Silbìon. Una città tra Greci ed indigeni. La documentazione archeologica del territorio di Gravina di Puglia dall’VIII al V sec a.C., Bari 1997.

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Capitolo X 465

CiAnCio1999 A. CiAnCio, Conversano (Bari), Via Circolo Fratellanza Conversanesi d’America, in Taras XIX, 1999, pp. 56.

CiAnCio2001 A.CiAnCio (a cura di), Monte Sannace, città dei Peuceti, Cassano Murge (Bari) 2001.

CiAnCio2002 A.CiAnCio (a cura di), La Peucezia in età romana, Bari 2002.

CiAnCio2003-2004 A.CiAnCio, Gioia del Colle (Bari), Monte Sannace, F. III NO, IV SO, IV NO I.G.M., Acropoli, in Taras XXIII, 1-2, 2003-2004, pp. 85-86.

CiAnCio2013 A.CiAnCio, Le specchie Scattone e Accolti: il corredo ar-caico del cavaliere, in CiAnCio,L’AbbAte 2013, pp. 449-455.

CiAnCio,GALeAnDro, A.CiAnCio,F.GALeAnDro,P.PALMentoLA, Monte SannacePALMentoLA2009 e l’urbanizzazione della Peucezia, in osAnnA 2009, pp.

307-326.

CiAnCio,L’AbbAte2013 A.CiAnCio,v. L’AbbAte (a cura di), Norba-Conversano. Archeologia e storia della città e del territorio, Bari 2013.

CiAnCio,rADinA1990 A.CiAnCio,F.rADinA, Conversano (Bari), Largo G. Falco-nieri, in Taras X, 2, 1990, pp. 358-359.

CiAnCio,riCCArDi2005 A.CiAnCio,r.riCCArDi, I siti della Peucezia, in A. CiAnCio(a cura di), I fili della meraviglia. L’abbigliamento di greci ed apuli tra funzionalità e comunicazione, Bari 2005, pp. 57-84.

CiAnCio,ursi 2002 A. CiAnCio, V. ursi, Conversano (Bari), via Nobel, in Taras XXII, 1-2, 2002, pp. 52-53.

CiCCone1999 A.CiCCone, Testimonianze di cultura greca e romana sul territorio di Mottola, Mottola 1999.

CiMinALe2010 D.CiMinALe, Bari. 3, S. Pietro, in Taras I, 1-2, 2010, pp. 251-252.

CiMinALe,CioCe2002 D.CiMinALe,M.CioCe, Bari. Basilica di San Nicola, Strada Lamberti, in Taras XXII, 1-2, 2002, pp. 140-145.

CinQuePALMi,CoCChiAro2000 A.CinQuePALMi,A.CoCChiAro, Egnazia nel tempo. Dal vil-laggio protostorico al borgo medievale, Valenzano 2000.

CinQuePALMi,CoCChiAro2003 A.CinQuePALMi,A.CoCChiAro (a cura di), Egnazia: trenta secoli di storia, Bari 2003.

CinQuePALMi,rADinA1998 A.CinQuePALMi,F.rADinA (a cura di), Documenti dell’età del Bronzo. Ricerche lungo il versante adriatico pugliese, Fasano 1998.

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466 Abbreviazioni Bibliografiche

CionGoLi1989 G.P.CionGoLi, Il relitto di Santa Caterina di Nardò: situa-zione attuale e progetto di recupero e valorizzazione, in Itinerari turistico-culturali (V). Il territorio tra passato e futuro, Nardò 1989, pp. 29-30.

CionGoLi1990 G.P.CionGoLi, Rudiae, in Archeologia dei Messapi 1990, pp. 217-218.

CionGoLi1998 G.P.CionGoLi, Notiziario, in Taras XVIII, 1, 1998, p. 73.

CionGoLi1999 G.P.CionGoLi, Notiziario, in Taras XIX, 1, 1999, p. 84.

CionGoLi2000a G.P.CionGoLi, Gli scavi archeologici del 1998, in GiArDi-no,Arthur,CionGoLi 2000, pp. 65-74.

CionGoLi2000b G.P.CionGoLi, Lecce, Rudiae, Via San Pietro in Lama, in Taras XX, 2000, pp. 83-84.

CiPoLLonisAMPò1987 M.CiPoLLonisAMPò, Manifestazioni funerarie e struttura sociale, in ScAnt 1, 1987, pp. 55-119.

CiPoLLonisAMPò1990 M.CiPoLLonisAMPò, Dolmen. Architetture preistoriche in Europa, Roma 1990.

Civiltà dei Dauni 1984 La civiltà dei Dauni nel quadro del mondo italico, Atti del XIII Convegno di Studi etruschi e italici (Manfredonia, 21-27 giugno 1980), Firenze 1984.

CivitA1979 M.CivitA, La cattedrale di Ruvo, vecchi restauri e nuovi rinvenimenti, Bari 1979.

CivitA1993 M. CivitA, Stagioni di una Cattedrale. Ruvo di Puglia, Brindisi 1993.

CLeMente1988 G.CLeMente, Introduzione alla storia della Puglia roma-na, in MArAnGio 1988.

CoCChiAro1981 A. CoCChiAro, Contributo per la carta archeologica del territorio a Sud-Est di Taranto, in Taras I, 1, 1981, pp. 53-75.

CoCChiAro1984 A.CoCChiAro, La necropoli in Brindisi. Via Cappuccini. Un anno di scavo per seicento anni di storia: introduzione alla mostra (Museo Nazionale di Egnazia, 1984-1985), Fa-sano 1984.

CoCChiAro 1991a A. CoCChiAro, La viabilità di età romana in Puglia, in Viae Publicae Romanae 1991, pp. 139-141.

CoCChiAro 1991b A. CoCChiAro, Brindisi, Via Bastioni San Giorgio, Notizia-rio delle attività di tutela: giugno 1990-maggio 1991, in Taras XI, 2, 1991, pp. 283-284.

CoCChiAro 1992a A. CoCChiAro, Brindisi, in Taras XII, 2, 1992, pp. 276-279.

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Capitolo X 467

CoCChiAro 1992b A. CoCChiAro, Mesagne (Brindisi), Muro Tenente, in Taras XII, 2, 1992, p. 279.

CoCChiAro 1994a A. CoCChiAro, Ostuni (Brindisi), Sant’Angela, in Taras XIV, 1, 1994, pp. 103-104.

CoCChiAro 1994b A.CoCChiAro, Tutela e conoscenza di Valesio, in MArAn-Gio,nitti 1994, pp.115-132.

CoCChiAro 1994c A. CoCChiAro, Brindisi, Scavi e scoperte. Archeologia su-bacquea, in Taras XIV, 1, 1994, pp. 109-110.

CoCChiAro 1996 A. CoCChiAro, Brindisi, Via Provinciale San Vito, in Taras XVI, 1, 1996, pp. 59-60.

CoCChiAro 1998 A. CoCChiAro, La ricerca archeologica in località Castello a S. Vito dei Normanni (1994-1995), in S. Vito dei Norman-ni 1988, pp. 13-25.

CoCChiAro 1999 A. CoCChiAro, Brindisi, Via San Benedetto, Scavi e scoper-te, in Taras XIX, 1, 1999, pp. 67-68.

CoCChiAro 2002 A. CoCChiAro, Brindisi, in Taras XXII, 1-2, 2002, pp. 72-79.

CoCChiAro 2002-2003 A. CoCChiAro, Ostuni (Brindisi). 1, Via Vitale; 2, Via Tom-masi, in Taras XXIII, 1-2, 2002-2003, pp. 134-136.

CoCChiAro 2004-2005 A. CoCChiAro, Brindisi. Via Osanna 49, in Taras XXIV, 1-2, 2004-2005, pp. 145-149.

CoCChiAro,AnDreAssi1988 A.CoCChiAro,G.AnDreAssi (a cura di), La necropoli di Via Cappuccini a Brindisi, Fasano 1988.

CoCChiAroet alii2006 A.CoCChiAro,A.GALiAno,L.GiArDino,A.zinGArieLLo, Museo del territorio “Ugo Granafei”, Mesagne (Le), 2006.

CoCChiAro,sCiArrAbArDAro1988A.CoCChiAro,b.sCiArrAbArDAro, Per una Carta Arche-ologica di Brindisi. Repertorio dei rinvenimenti, in CoC-ChiAro,AnDreAssi 1988, pp. 11-39.

CoLAMoniCo1917 C.CoLAMoniCo, Il Pulo di Altamura, in Mondo Sotterra-neo, Udine 1917, pp. 3-14.

CoLAMoniCo1933 C.CoLAMoniCo, Lame e gravine in Puglia, in Le Vie d’Ita-lia, Milano 1933, pp. 699-706.

CoLAsAnto1894 b.CoLAsAnto, Storia dell’antica Lucera, Lucera 1894.

CoLizzi2003 D.CoLizzi, I Messapi nel basso Salento: fonti letterarie ed archeologiche, in L’Idomedeo 5, 2003, pp. 9-38.

CoMPAtAnGeLo-soussiGnAn1989 r.CoMPAtAnGeLo-soussiGnAn, Un cadastre de pierre. Le Salento romain. Paysage et structures agraire, Paris 1989.

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468 Abbreviazioni Bibliografiche

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CoMPAtAnGeLo-soussiGnAn1999 r.CoMPAtAnGeLo-soussiGnAn, Sur les routes d’Hannibal. Paysages de Campania et d’Apulie, Paris 1999.

CoMPAtAnGeLo-soussiGnAn2001 r.CoMPAtAnGeLo-soussiGnAn, Modificazioni ambientali e sistemazioni territoriali nella Puglia romana, in Lo CA-sCio,storChiMArino2001, pp. 285-303.

CoPPA1968 M.CoPPA, Storia dell’urbanistica dalle origini all’elleni-smo, Torino 1968.

CoPPoLA1983 D.CoPPoLA, Le origini di Ostuni. Testimonianze archeolo-giche degli avvicendamenti culturali, Martina Franca 1983.

CoPPoLA1992 D.CoPPoLA, Nota preliminare sui rinvenimenti nella grotta di S. Maria di Agnano (Ostuni, Brindisi): i seppellimen-ti paleolitici ed il luogo di culto, in RScPreist XLIV, 1-2, 1992, pp. 211-223.

CoPPoLA2012 D.CoPPoLA, Il riparo di Agnano nel Paleolotico superiore. La sepoltura Ostuni 1 ed i suoi simboli, Mottola 2012.

CoPPoLA,trAvAGLini1994 D.CoPPoLA,A.trAvAGLini, s.v. Ostuni, in BTCGI XIII, Pi-sa-Roma 1994, pp. 110-119.

CoPPoLA,L’AbbAte,rADinA1981 D.CoPPoLA,v.L’AbbAte,F.rADinA, Il popolamento antico nel sud-est barese, Monopoli 1981.

CorChiA1981 r.CorChiA, Rudiae. Problemi archeologici: una messa a punto, in Taras I, 1, 1981, pp. 115-128.

CorrADo,inGrAvALLo1988 A.CorrADo, e. inGrAvALLo, L’insediamento di Masseria Le Fiatte (Manduria) nel popolamento neolitico del nord-ovest del Salento, in StAnt 5, 1988, pp. 5-78.

Corrente1991 M.Corrente, Canosa di Puglia (Bari), Via di Cerignola, in Taras XI, 2, pp. 243-245.

Corrente 1992a M. Corrente, L’insediamento di Toppicelli, in CAssAno 1992a, pp. 63-71.

Corrente 1992b M. Corrente, Nuovi dati per lo studio del sito arcaico di Canosa Toppicelli, in Profili Daunia antica 4, Foggia 1992, pp. 87-100.

Corrente1994 M.Corrente (a cura di), Canne Fontanella: nei luoghi del-la Battaglia, Barletta 1994.

Corrente1997 M.Corrente, Canosa di Puglia (Bari), Via Cerignola, in Taras XVII, 1, pp. 42-43.

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Capitolo X 469

Corrente 1999a M. Corrente, Canosa: il Municipio, in Atti San Severo XVII, 1999, pp. 41-68.

Corrente 1999b M. Corrente, Canosa di Puglia (Bari), Mausoleo Bagnoli, in Taras XIX, 1, p. 125.

Corrente2001 M.Corrente, Barletta (Bari), Madama F. 176 I NO I.G.M., in Taras XXI, 1, 2001, p. 48.

Corrente2003 M. Corrente, Canusium: l’ipogeo dei serpenti piumati, Canosa di Puglia 2003.

Corrente2009 M.Corrente, La formazione della città di Canusium, in osAnnA 2009, pp. 391-413.

Corrente 2012 M. Corrente (a cura di), Lo spreco necessario: il lusso nel-le tombe di Ascoli Satriano, Foggia 2012.

Corrente 2013 M. Corrente, Corredo funerario, in C.berteLLi,G.bon-sAnti (a cura di), Restituzioni 2013. Tesori d’arte restaura-ti, Catalogo della Mostra, Napoli 2013, pp. 52-58.

Corrente,DistAsi,Liseno2008 M.Corrente,v.DistAsi,M.G.Liseno, Produzioni cerami-che arcaiche, Lavello 2008.

Corrente et alii 2010a M.Corrente, s.CAMAiAni,n.GAsPeri, L.QuAGLiA, Per una storia della presenza sannita nella Daunia del IV sec. a.C.: i recenti scavi tra Aecae e Arpi in località Macchia di Pierno e la Murgetta, in Atti San Severo XXX, 2010, pp. 326-356.

Corrente et alii 2010b M.Corrente,D.bubbA, n.GAsPeri, F.M.MArtino, L.QuAGLiA, La ricerca archeologica ad Arpi (Masseria Spa-gnoli), in Atti San Severo XXX, 2010, pp. 357-378.

Corrente,Liseno2010 M.Corrente,M.G.Liseno, Osservazioni sulla storia del popolamento di Ausculum preromana: la comunità di Valle Castagna, in Atti San Severo XXX, 2010, pp. 259-290.

Corretti1984 A.Corretti, s.v. Apani, in BTCGI III, Pisa-Roma 1984, pp. 266-269.

CreMonesi 1979a G. CreMonesi, Il Neolitico e l’inizio dell’età dei metalli, in Puglia 1979, pp. 94-121.

CreMonesi 1979b G. CreMonesi, L’età del Bronzo nella Puglia meridionale (province di Brindisi e Lecce), in Puglia 1979, pp. 179-191.

CreMonesi 1979c G. CreMonesi, Note sul primo eneolitico salentino, in Ri-cStBrindisi XII, 1979, pp. 23-44.

CreMonesi1991 G.CreMonesi, Insediamenti e territorio nell’estremo sud del Salento durante la tarda età del Bronzo, in I Messapi

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470 Abbreviazioni Bibliografiche

1991, pp. 353-362.

CristoFAni1967 M.CristoFAni, Il fregio d’armi della tomba Giglioli di Tar-quinia, in DdA I, 1967, pp. 291-293.

CruPi2008 u.CruPi, Contributi alla ricostruzione del porto antico di Otranto, in Archeologia Marittima mediterranea. An In-ternational Journal of Underwater Archaeology 5, 2008, pp. 91-137.

D’AGostino1974 b.D’AGostino, La civiltà del ferro nell’Italia meridionale e nella Sicilia, in Popoli e civiltà dell’Italia antica 2, Roma 1974.

DALenA2003 P.DALenA, Dagli Itinera ai percorsi, Bari 2003.

DALLy2000 o.DALLy, Canosa località San Leucio: untersuchungen zu akkulturationsprozessen, Heidelberg 2000.

DAMAto1996 A.DAMAto, Un luogo della Peucezia: le scoperte archeolo-giche in contrada Bigetti, Bari 1996.

D’AnDriA1978 F.D’AnDriA, Ugento-Torre S. Giovanni (Lecce), in StEtr XLVI, 1978, pp. 564-565.

D’AnDriA1979 F.D’AnDriA, La Puglia romana, in Puglia 1979, pp. 273-360.

D’AnDriA1987 F.D’AnDriA, s.v. Castro, in BTCGI V, Pisa-Roma 1987, pp. 141-142.

D’AnDriA 1988a F. D’AnDriA, Puglia, Roma 1988.

D’AnDriA 1988b F. D’AnDriA, Messapi e Peuceti, in PuGLieseCArrAteLLi 1988, pp. 653-715.

D’AnDriA 1990 F. D’AnDriA, Cavallino, in Archeologia dei Messapi 1990, pp. 201-216.

D’AnDriA1991a F.D’AnDriA, I Messapi. Insediamenti e territorio: l’età sto-rica, in I Messapi 1991, pp. 393-478.

D’AnDriA 1991b F.D’AnDriA, Manduria, in BTCGI IX, Pisa-Roma 1991, pp. 329-330.

D’AnDriA 1994 F. D’AnDriA, s.v. Cavallino, in EAA, II suppl., 1971-1994, Roma 1994, pp. 69-71.

D’AnDriA1995 F.D’AnDriA, s.v. Lecce, in EAA, II suppl. 1971-1994 III, pp. 323-325.

D’AnDriA1996 F.D’AnDriA, La casa in Messapia, in D’AnDriA,MAnnino1996, pp. 403-438.

D’AnDriA1997 F.D’AnDriA, s.v. Vaste, in EAA, II suppl., V, Roma 1997,

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Capitolo X 471

pp. 951-954.

D’AnDriA1998 F.D’AnDriA, Frequentazione greca e insediamenti in Mes-sapia, in CAssAno,LorussoroMito,MiLeLLA 1998, pp. 87-92.

D’AnDriA1999 F.D’AnDriA, Il teatro romano, in F. D’AnDriA (a cura di), Lecce romana e il suo teatro, Lavello 1999, pp. 15-38.

D’AnDriA2001 F.D’AnDriA, Il santuario di Monte Papalucio, in MAruGGi 2001c, pp. 77-86.

D’AnDriA2005 F.D’AnDriA (a cura di), Cavallino, pietre, case e città della Messapia arcaica, Ceglie Messapica 2005.

D’AnDriA2009 F.D’AnDriA (a cura di), Castrum Minervae, Galatina 2009.

D’AnDriA 2011a F. D’AnDriA, Le indagini archeologiche, in Città di Lecce. Settore Lavori Pubblici. Interventi di restauro e recupero funzionale. Palazzo Castromediano-Vernazza. L’architet-tura civile, Galatina 2011.

D’AnDriA 2011b F. D’AnDriA, La Mappa di Soleto nel contesto archeolo-gico e topografico del Salento (V sec. a.C.), in LoMbArDo,MArAnGio 2011, pp. 57-66.

D’AnDriA,DeLL’AGLio2002 F.D’AnDriA,A.DeLL’AGLio (a cura di), Klahoi Zis. Il culto di Zeus a Ugento, Cavallino 2002.

D’AnDriA,Guzzo, F.D’AnDriA,P.G.Guzzo,G.tAGLiAMonte (a cura di), MagnatAGLiAMonte2012 Grecia: città greche di Magna Grecia e Sicilia, Roma 2012.

D’AnDriA,MAnnino1996 F.D’AnDriA,k.MAnnino (a cura di), Ricerche sulla casa in Magna Grecia e in Sicilia, Atti del Colloquio (Lecce, 23-24 giugno 1992), Galatina 1996.

D’AnDriA,Whitehouse1992 F.D’AnDriA,D.Whitehouse, (a cura di), Excavations at Otranto, II, The Finds, Galatina 1992.

D’AnDriA,PAGLiArA,siCiLiAno1980 F.D’AnDriA,C.PAGLiArA,F.siCiLiAno, La pianta di Lecce, in StAnt 2, pp. 103-115.

D’AnGeLA1975 C.D’AnGeLA, Un saggio di scavo in località S. Pietro Man-durino (Ta), in VeteraChr 12, 1975, pp. 139-154.

D’AnGeLA1975-76 C.D’AnGeLA, Un saggio di scavo a “Li Castelli” in agro di Manduria (Taranto), in Il Cenacolo V-VI, 1975-76, pp. 13-21.

D’AnGeLA 1982a C. D’AnGeLA, Note su Lucera tardoantica e altomedievale, in Atti del V Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana (Torino, Valle di Susa, Cuneo, Asti, Valle d’Aosta, Novara, 22-29 settembre 1979), Roma 1982, pp. 587-600.

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472 Abbreviazioni Bibliografiche

D’AnGeLA 1982b C. D’AnGeLA, Ubicazione e dedicazione delle cattedrali nella Capitanata dal V all’XI secolo, in Taras II, 1982, pp. 157-158.

D’AnGeLA1984 C. D’AnGeLA, Dall’era costantiniana ai Longobardi, in MAzzei 1984, pp. 315-364.

D’AnGeLA1986 C.D’AnGeLA, Nota sulla topografia di Lucera tardoantica (scoperte archeologiche in archivio), in ArchStorPugl 39, 1-4 (1986), pp. 335-344.

D’AnGeLA1991 C.D’AnGeLA, Nuovi reperti tardoantichi e altomedievali dalla Puglia centrosettentrionale, in Taras XI, 1991, pp. 131-142.

D’AnGeLA,voLPe1994 C. D’AnGeLA, G. voLPe, Aspetti storici e archeologici dell’Alto Medioevo in Puglia, in FrAnCoviCh,noyé1994, pp. 299-332.

Daunia Antica 1984 M. MAzzei (a cura di), La Daunia antica. Dalla preistoria all’alto medioevo, Milano 1984.

DdA Dialoghi di Archeologia.

DeFeLiCe2008 G.DeFeLiCe, Il progetto Itinera. Ricerca e comunicazione attraverso nuovi metodi di documentazione archeologica, in G.DeFeLiCe,M.G.sibiLAno,G.voLPe (a cura di), L’in-formatica e il metodo della stratigrafia, Atti del Workshop (Foggia 2008), Bari 2008, pp. 13-24.

DeFeLiCe2012 G.DeFeLiCe, Una macchina del tempo per l’archeologia. Metodologie e tecnologie per la ricerca e la fruizione vir-tuale del sito di Faragola, Bari 2012.

DeGrAssi1957 A.DeGrAssi, Un nuovo decreto municipale di Brindisi, in Atti III Congresso Internazionale Epigrafia Greca e Latina (Roma 1957), Roma 1959, pp. 303-312.

DeGrAssi1960 n.DeGrAssi, Le recenti scoperte archeologiche della pro-vincia di Taranto, in La ricerca archeologica nell’Italia meridionale, Napoli 1960, pp. 109-123.

DeGrAssi1961-64 n.DeGrAssi, La zona archeologica di Canne della Batta-glia, in AnnAcEtr XII, 1961-64, pp. 83-91.

DeGrAssi1962 n.DeGrAssi, La documentazione archeologica in Puglia, in Greci e italici in Magna Grercia, Atti del I Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto 1961), Napoli 1962.

DeGrAssi1965 n. DeGrAssi, s.v. Salapia, in EAA, VI, Roma 1965, pp. 1072-1073.

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Capitolo X 473

DeGrAssi1966 n.DeGrAssi, s.v. Taranto, in EAA, VII, Roma 1966, pp. 603-617.

DeGrAssi1967 n.DeGrAssi, Epigraphica, II, in Scritti vari di antichità, III, Venezia-Trieste 1967, pp. 83-85.

DeGrAssi1981 n.DeGrAssi, Lo Zeus stilita di Ugento, Roma 1981.

DeJuLiis1973 e.M.De JuLiis, Ricerche ad Arpi e a Salapia, in Econo-mia e società nella Magna Grecia, Atti del XII Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 8-14 ottobre 1972), Napoli 1973, pp. 389-395.

DeJuLiis 1975a E.M. DeJuLiis, Caratteri della civiltà dauna dal VI a.C. all’arrivo dei Romani, in Atti del Colloquio Internaziona-le di Preistoria e Protostoria della Daunia (Foggia 24-29 aprile 1973), Firenze 1975, pp. 286-297.

DeJuLiis 1975b E.M DeJuLiis, Considerazioni sull’età del ferro nella Pu-glia settentrionale, in ArchStorPugl XXVIII, 1975, pp. 55-79.

DeJuLiis 1977 E.M. DeJuLiis, La ceramica geometrica della Daunia, Fi-renze 1977.

DeJuLiis 1978 E.M. DeJuLiis, Scavi e scoperte a Monte Sannace, in StEtr XLVI, 1978, pp. 559-561.

DeJuLiis1979 e.M.DeJuLiis, L’attività archeologica in Puglia, in Gli Eu-bei in Occidente, Atti del XVIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 8-12 ottobre 1978), Taranto 1979, pp. 419-437.

DeJuLiis1983 e.M.DeJuLiis, Attività archeologica in Puglia, in Magna Graecia XVIII, 1-2, 1983, pp. 23-26.

DeJuLiis 1984a E.M. DeJuLiis, Le antichità sommerse, in C.D. FonseCA (a cura di), La Puglia e il mare, Milano 1984, pp. 121-130.

DeJuLiis 1984b E.M. DeJuLiis, s.v. Arpi, in BTCGI III, Pisa-Roma, 1984, pp. 314-320.

DeJuLiis 1984c E.M. DeJuLiis, L’età del Ferro, in MAzzei 1984, pp. 137-184.

DeJuLiis 1985a E.M. De JuLiis, Un quindicennio di ricerche archeologi-che in Puglia: 1970-1984. Parte I: 1970-77, in Taras V, 1, 1985, pp. 7-36.

DeJuLiis 1985b E.M. De JuLiis, Un quindicennio di ricerche archeologi-che in Puglia: 1970-1984. Parte II: 1978-84, in Taras V, 2, 1985, pp. 177-224.

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474 Abbreviazioni Bibliografiche

DeJuLiis 1988a E.M. DeJuLiis, Gli Iapigi. Storia e civiltà della Puglia pre-romana, Milano 1988.

DeJuLiis1988b e.M.DeJuLiis, L’origine delle genti iapigie e la civiltà dei Dauni, in PuGLieseCArrAteLLi1988, pp. 591-650.

DeJuLiis 1988c E.M. DeJuLiis, Bilancio degli studi e delle conoscenze at-tuali sulla civiltà daunia, in VeteraChr 25, 1988, pp. 661-676.

DeJuLiis1989 e.M.DeJuLiis, Le origini della civiltà iapigia, in S. Mo-sCAti (a cura di), Salento porta d’Italia, Atti del Convegno Internazionale (Lecce, 27-30 novembre 1986), Galatina 1989, pp. 75-84.

DeJuLiis1990 e.M.DeJuLiis, Le arti suntuarie, in PuGLieseCArrAteLLi 1990, pp. 391-411.

DeJuLiis 1992a E.M. De JuLiis, L’assetto urbano, in CAssAno 1992a, pp. 142-144.

DeJuLiis 1992b E.M. DeJuLiis, La tomba del vaso dei Niobidi, Bari 1992.

DeJuLiis 1994a E.M. DeJuLiis, Importazioni e influenze etrusche in Puglia, in Magna Grecia, Etruschi e Fenici, Atti del XXXIII Con-vegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 8-13 ottobre 1993), Taranto 1994, pp. 529-560.

DeJuLiis 1994b E.M. DeJuLiis, s.v. Teano Apulo, in EAA, II suppl., 1971-1994, V, 1997, pp. 545-546.

DeJuLiis 1995a E.M. De JuLiis, La ceramica geometrica della Peucezia, Firenze 1995.

DeJuLiis 1995b E.M. DeJuLiis, s.v. Messapici vasi, in EAA, II suppl., III, 1995, pp. 623-625.

DeJuLiis 1996a E.M. DeJuLiis, Magna Grecia. L’Italia meridionale dalle origini leggendarie alla conquista romana, Bari 1996.

DeJuLiis 1996b E.M. DeJuLiis, L’incontro dei Greci con le genti anelleni-che della Puglia, in Greci in Occidente 1996, pp. 549-554.

DeJuLiis 1996c E.M. DeJuLiis, San Severo: la necropoli di masseria Caso-ne, Bari 1996.

DeJuLiis2000 e.M.DeJuLiis, Taranto, Bari 2000.

DeJuLiis2001 e.M.DeJuLiis, s.v. Ruvo di Puglia, in BTCGI XVII, Pisa-Roma 2001, pp. 158-178.

DeJuLiis2002 e.M.DeJuLiis, La ceramica sovradipinta apula, Bari 2002.

DeJuLiis2005 e.M.DeJuLiis, Popoli e culture della Puglia preromana.

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Capitolo X 475

La preistoria, le genti indigene, i coloni greci, in MAssA-FrA,sALveMini 2005, pp. 10-14.

DeJuLiis2008 e.M.De JuLiis (a cura di), Rutigliano I. La necropoli di Contrada Purgatorio. Scavo 1978, Catalogo del Museo Ar-cheologico Nazionale di Taranto, Taranto 2008.

DeJuLiis,CAtALDi1985 e.M.DeJuLiis,s.CAtALDi, s.v. Brindisi, in BTCGI IV, Pi-sa-Roma 1985, pp. 150-190.

DeJuLiis,GALeAnDro, e.M.DeJuLiis,F.GALeAnDro,P.PALMentoLA, La ceramicaPALMentoLA2006 geometrica della Messapia, Roma 2006.

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DesAntis2003b v.DesAntis, Li Castelli, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 317-319.

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Capitolo X 477

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DialHistAnc Dialogues d’HistoireAncienne.

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Epigrafia e territorio 1987 Epigrafia e territorio. Politica e società (serie a cura di M. PAni), II, Bari 1987.

Epigrafia e territorio 1996 Epigrafia e territorio. Politica e società (serie a cura di M. PAni), IV, Bari 1996.

Epigrafia e territorio 2004 Epigrafia e territorio. Politica e società (serie a cura di M. PAni), VII, Bari, 2004.

Epigrafia e territorio 2007 Epigrafia e territorio. Politica e società (serie a cura di M. PAni), VIII, Bari 2007.

Epigrafia e territorio 2013 Epigrafia e territorio. Politica e società (serie a cura di M. PAni), IX, Bari 2013.

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FAbbri1994b M. FAbbri, La basilica paleocristiana di Siponto: nuove acquisizioni, in VeteraChr 31, 1994, pp. 189-196.

FAbbriet alii 2002 M.FAbbri,M.MAzzei,M.osAnnA,t.virtuoso, Sacrificio

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478 Abbreviazioni Bibliografiche

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FAbbri,MAzzei1995 M.FAbbri,M.MAzzei, Lucera. Castello, in Taras XIV, 1, 1995, pp. 114-116.

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FALLACAsteLFrAnChi 2004b M.FALLACAsteLFrAnChi, La chiesa di San Pietro a Otran-to, in berteLLi 2004, pp. 181-192.

FALLACAsteLFrAnChi 2004c M. FALLA CAsteLFrAnChi, La Cripta delle Sante Marina e Cristina a Carpignano Salentino, in berteLLi 2004, pp. 207-219.

FALLACAsteLFrAnChi 2004d M. FALLA CAsteLFrAnChi, La chiesa di Santa Marina a Muro Leccese, in berteLLi 2004, pp. 193-205.

FAviA2010 P.FAviA, Dalla frontiera del Catepanato alla “Magna Ca-pitana”. Evoluzione dei poteri e modellazione dei quadri insediativi e rurali nel paesaggio della Puglia settentrio-nale fra X e XIII secolo, in AMediev XXXVII, 2010, pp. 197-214.

FAviA,Devenuto2011 P.FAviA,G.Devenuto (a cura di), La Capitanata e l’Italia

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Capitolo X 479

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FeDeLe1992 b. FeDeLe, Insediamenti, economia, civiltà e culture dal VII al III millennio a.C., in FeDeLe,ALessio,DeLMonACo 1992, pp. 9-160.

FeDeLe,ALessio, b. FeDeLe, A. ALessio, o. DeL MonACo, Archeologia eDeLMonACo1992 culture nell’area ionico-tarantina. Origini e sviluppo

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FiorieLLo 2008b C.S. FiorieLLo, Su una nuova epigrafe dal Botontinus ager e la proprietà imperiale nella Puglia centrale, in StAnt 12, 2008, pp. 205-221.

FiorieLLo 2010 C.S. FiorieLLo, Il paesaggio urbano, in Puglia centrale 2010, pp. 391-402.

FiorieLLo,MAnGiAtorDi2012 C.s.FiorieLLo,A.MAnGiAtorDi, Regio II Apulia et Cala-bria. Caelia, in Supplementa Italica 26, Roma 2012, pp. 27-54.

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480 Abbreviazioni Bibliografiche

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GALeAnDro,PALMentoLA, F.GALeAnDro,P.PALMentoLA,C.LAGAnArAFAbiAno, GioiaLAGAnArAFAbiAno2001 del Colle (Bari), Monte Sannace. F. 190 IV NO I.G.M., in

Taras XXI, 1, 2001, pp. 76-84.

GArrAFFo2002 s.GArrAFFo, Aspetti e momenti della monetazione taranti-na trent’anni dopo, in Taranto e il Mediterraneo 2002, pp. 469-482.

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482 Abbreviazioni Bibliografiche

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GiAnnottA1990a M.t.GiAnnottA, s.v. Ginosa, in BTCGI VIII, Pisa-Roma 1990, pp. 137-142.

GiAnnottA1990b M.t.GiAnnottA, Supersano (loc. Falconiera). Evidenze di occupazione tardoantica, in StAnt 6, pp. 299-309.

GiAnnottA1998 M.t.GiAnnottA, Una tomba rinvenuta a Vaste nel 1915 e il ruolo della trozzella nei corredi funerari messapici, in StAnt 11, 1998, pp. 169-178.

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GiArDinA1993 A.GiArDinA, La formazione dell’Italia provinciale, in CA-rAnDini,CrACCoruGGini,GiArDinA 1993a, pp. 51-68.

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GiArDino,Meo2008 L.GiArDino,F.Meo, Muro Leccese. Recupero di un pa-trimonio, Catalogo della Mostra Fotografica (Muro Lecce-se, Palazzo del Principe, agosto-settembre 2008), Maglie 2008, pp. 1-24.

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484 Abbreviazioni Bibliografiche

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Capitolo X 485

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486 Abbreviazioni Bibliografiche

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GuAsteLLA2003 P.GuAsteLLA, Saturo, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 227-229.

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Capitolo X 487

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inGrAvALLo2002 e.inGrAvALLo, Grotta Cappuccini (Galatone) tra eneoliti-co e primo bronzo, Lavello 2002.

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490 Abbreviazioni Bibliografiche

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Capitolo X 491

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492 Abbreviazioni Bibliografiche

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494 Abbreviazioni Bibliografiche

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Capitolo X 495

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MArtino2004 C.MArtino, L’insediamento protostorico di San Donato di Lecce, in AAerea I, Roma 2004, pp. 183-192.

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496 Abbreviazioni Bibliografiche

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MAruGGi 2001b G.A. MAruGGi, Oria (Brindisi), via Epitaffio, in Taras XXI, 1, 2001, pp. 107-108.

MAruGGi 2001c G.A. MAruGGi (a cura di), Oria e l’archeologia. Percorsi di ricerca, Oria 2001.

MAruGGi2002 G.A.MAruGGi, Oria (Brindisi), Via Cuturi, in Taras XXII, 1-2, 2002, pp. 82-84.

MAruGGi,burGers2001 G.A.MAruGGi, G.J. burGers (a cura di), Archeologia di una comunità messapica nel Salento centrale, San Pancra-zio Salentino 2001.

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MAstronuzzi 2005b G. MAstronuzzi, L’archeologia di un luogo di culto in

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Capitolo X 497

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MAstronuzzi2011 G.MAstronuzzi, La tomba del giardino Faccenna ed altri contesti arcaici di Vaste, nella Messapia, in FastiOnline 235, 2011, pp. 1-22.

MAstronuzzi2013 G.MAstronuzzi, Il luogo di culto di monte Papalucio ad Oria, Bari 2013.

MAstronuzzi,MeLissAno, G.MAstronuzzi,v.MeLissAno,G.CArLuCCio, s.v. Vaste, CArLuCCio2012 in BTCGI XXI, Pisa-Roma 2012, pp. 534-552.

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498 Abbreviazioni Bibliografiche

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MAzzei 2001 M. MAzzei, Lucera in età preromana e romana: l’area ur-bana alla luce dei dati archeologici. Contributo prelimina-re, in Lucera antica 2001, pp. 15-49.

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MAzzei2004 M.MAzzei, Nella Daunia antica. Passeggiate archeologi-che in provincia di Foggia, Foggia 2004 (ristampa Foggia 2006).

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MAzzei,FAbbri1997 M.MAzzei,M.FAbbri, Lucera. Castello, in Taras XVII, 1, 1997, pp. 106-108.

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MAzzei,LiPPoLis1984 M.MAzzei,e.LiPPoLis, Dall’ellenizzazione all’età tardo-repubblicana, in MAzzei 1984, pp. 185-252.

MAzzei,tunzi2006 M. MAzzei, A.M. tunzi, Gargano Antico. Testimonian-ze archeologiche dalla preistoria al Tardo antico, Foggia 2006, pp. 53-62.

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MeDeA1939 A.MeDeA, Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, Roma 1939.

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MEFRA Mélanges d’Archéologie et d’Histoire de l’École Francaise de Rome. Antiquité.

MeLe2002 A.MeLe, Taranto dal IV secolo a.C. alla conquista roma-

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Capitolo X 499

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MeLissAno 1990b V. MeLissAno, Oria, in Archeologia dei Messapi 1990, p. 237.

MeLissAno1995 v.MeLissAno, Nuovi dati sulla topografia di Vaste, in StAnt 8,1, 1995, pp. 229-258.

MeLissAno2005 v.MeLissAno, Cavallino e la Messapia nel quadro dell’ar-cheologia del genere, in F. D’AnDriA 2005, pp. 71-75.

MeLissAno2010 v.MeLissAno, La chiesa di Fondo Giuliano, in F. D’AnDriA (a cura di), Parco dei Guerrieri, Lecce 2010, pp. 22-24.

MeLissAno2012 v. MeLissAno, Ricerche archeologiche a Vaste, fondo Melliche: l’età ellenistica, in r. D’AnDriA, k.MAnnino (a cura di), Gli allievi raccontano, Atti dell’incontro di studio per i trent’anni della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici-Università del Salento (Cavallino, 29-30 gennaio 2010), Galatina 2012, pp.79-92.

MenCheLLi1996 s.MenCheLLi, Porto Perone, in BTCGI XIV, Pisa-Roma-Napoli 1996, pp. 273-286.

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Mertens1995 J.Mertens (a cura di), Herdonia. Scoperta di una città, Bari 1995.

Mertens1999 J.Mertens, Appunti per la topografia di Bovino in epoca romana, in Atti San Severo XVII, 1999, pp. 93-108.

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I Messapi 1991 I Messapi, Atti del XXX Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto-Lecce, 4-9 ottobre 1990), Napoli 1991.

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500 Abbreviazioni Bibliografiche

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MoDuGno1992 M.MoDuGno, L’arco onorario, in CAssAno 1992a, pp. 720-721.

MoLA1796 e.MoLA, Peregrinazione letteraria per una parte dell’Apu-lia, Bari 1796.

Monetazione 2009 La monetazione pugliese dall’età classica al Medioevo. 1. La monetazione della Daunia, le monete normanne dell’Italia meridionale, Atti del 1° Congresso di Numisma-tica (Bari, 21-22 novembre 2008), Bari 2009.

Monetazione 2010 La monetazione pugliese dall’età classica al Medioevo. 2. Le monete della Peucezia, la monetazione sveva nel Regno di Napoli, Atti del 2° Congresso Nazionale di Numismatica (Bari, 13-14 novembre 2009), Bari 2010.

Monetazione 2011 La monetazione pugliese dall’età classica al Medioevo. 3. Le monete della Messapia, la monetazione angioina nel Regno di Napoli, Atti del 3° Congresso Nazionale di Nu-mismatica, Bari 12-13 novembre 2010, Bari 2011.

MonGieLLo1988 L.MonGieLLo, Chiese di Puglia. Il fenomeno delle chiese a cupola, Bari 1988.

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Capitolo X 501

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502 Abbreviazioni Bibliografiche

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Capitolo X 503

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504 Abbreviazioni Bibliografiche

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PAGLiArA2005 C.PAGLiArA, Rocavecchia: il sito dell’età del Bronzo, in LAFFineur,GreCo 2005, pp. 629-635.

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PALMADiCesnoLA1999 A.PALMADiCesnoLA, Il giacimento paleolitico di Paglicci, in Ipogei della Daunia 1999, pp. 21-22.

PALMADiCesnoLA2003 A.PALMADiCesnoLA, Paglicci e il Paleolitico del Garga-no, Foggia 2003.

PALMADiCesnoLA2004 A.PALMADiCesnoLA (a cura di), Paglicci: l’aurignaziano e il gravettiano antico, Foggia 2004.

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PALMADiCesnoLA,viGLiArDi1984 A.PALMADiCesnoLA,A.viGLiArDi, Il Neo-eneolitico del promontorio del Gargano, in Daunia antica 1984, pp. 55-74.

PALMentoLA2002 G.PALMentoLA, Il paesaggio carsico della Puglia, in Grotte e dintorni, 4, Atti del III Convegno di Speleologia Pugliese (Castellana-Grotte, 6-8 dicembre 2002), Fasano 2002, pp.

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Capitolo X 505

203-220.

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PAni1990 M. PAni, La tradizione letteraria, in CheLotti, Morizio,siLvestrini1990, pp. 169-173.

PAni1991 M.PAni, Colonia Vibina, in ZPE 87, 1991, pp. 125-131.

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PArise2011 M. PArise, Surface and subsurface karst geomorphology in the Murge (Apulia, Southern Italy), in Acta Carsologica 40, 1, 2011, pp. 79-93.

PArisebADoni1970 F.PArisebADoni, s.v. Conversano, in EAA, suppl. 1970, p. 259.

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PAriseet alii2003 M. PArise,A. FeDeriCo,M. DeLLe rose,M. sAMMArCo, Karst terminology in Apulia (southern Italy), in Acta Car-sologica 32, 2, 2003, pp. 65-82.

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506 Abbreviazioni Bibliografiche

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PiCCArretA2003a F.PiCCArretA, Rocavecchia, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 236-237.

PiCCArretA 2003b F. PiCCArretA, Rudiae. Lecce, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 332-333.

PiCCArretA,CerAuDo2000 F. PiCCArretA, G. CerAuDo, Manuale di aerofotografia archeologica. Metodologia, tecniche e applicazioni, Bari 2000.

PietroPAoLo,toCCi2003 L.PietroPAoLo,M.toCCi (a cura di), Alla corte di Federico II. Le ceramiche sveve di Lucera a Castel del Monte, Cata-logo della mostra (Castel del Monte, Andria, 30 maggio-30 dicembre 2003), Bari 2003.

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Pizzurro2002 A.Pizzurro, Ozan. Ugento dalla Preistoria all’Età Roma-na, Lecce 2002.

PoMPiLio2003 F.PoMPiLio, Penisola salentina, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 475-478.

PontrAnDoLFo1990 A.PontrAnDoLFo, La pittura funeraria, in PuGLieseCArrA-teLLi 1990, pp. 351-390.

Ponzetti1980 F.M.Ponzetti, L’insediamento capannicolo preprotostori-co di La Croce e il suo divenire un centro peuceta fortifica-to, in Atti del V Convegno dei Comuni Messapici, Peuceti e Dauni (Altamura, 26-27 maggio 1973), Bari 1980, pp. 164-282.

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Capitolo X 507

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PrinCiGALLi 2010a E.C. PrinCiGALLi, Torre Castelluccia, in rADinA,reCChiA 2010, pp. 243-244.

PrinCiGALLi 2010b E.C. PrinCiGALLi, Saturo, in rADinA, reCChiA 2010, pp. 245-246.

Profili Daunia Antica Profili della Daunia Antica.

PronterA1998 F.PronterA, Identità etnica, confini e frontiere nel mondo greco, in Confini e frontiera nella Grecità d’Occidente, Atti del XXXVII Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Ta-ranto, 3-6 ottobre 1997), Taranto 1998, pp. 147-166.

PuGLisi1959 s.M.PuGLisi, La civiltà Appenninica, Firenze 1959.

PuGLisi1975 s.M. PuGLisi, L’età del Bronzo nella Daunia, in Atti del Colloquio Internazionale di Preistoria e Protostoria della Daunia (Foggia 1973), Firenze 1975, pp. 229-233.

Puglia 1979 La Puglia dal Paleolitico al Tardoromano, Milano 1979.

Puglia 1981 La Puglia tra Medioevo ed età Moderna. Città e campa-gna, Milano 1981.

Puglia centrale 2010 L. toDisCo (a cura di), La Puglia centrale dall’età del Bronzo all’alto Medioevo. Archeologia e storia, Atti del Convegno di Studi, Università degli Studi di Bari (Bari, 15-16 giugno 2009), Roma 2010.

PuGLieseCArrAteLLi1988 G.PuGLieseCArrAteLLi (a cura di), Italia Omnium Terra-rum Alumna. La civiltà dei Veneti, Reti, Liguri, Celti, Pice-ni, Umbri ,Latini, Campani e Iapigi, Roma 1988.

PuGLieseCArrAteLLi1990 G. PuGLieseCArrAteLLi (a cura di), Magna Grecia. Arte e artigianato IV, Milano 1990.

QuadStor Quaderni di storia.

QuiLiCi1989 L. QuiLiCi, Via Appia dalla Pianura Pontina a Brindisi, Roma 1989.

QuiLiCi,AntonACCisAnPAoLo1994 L.QuiLiCi,e.AntonACCisAnPAoLo, San Paolo di Civitate (Foggia). Ricognizione topografica, in Taras XIV, 1, 1994, pp. 57-61.

rADinA1998 F.rADinA, L’insediamento dell’età del Bronzo di Punta le Terrare, in CAssAno,LorussoroMito,MiLeLLA 1998, pp.

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508 Abbreviazioni Bibliografiche

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rADke1981 G.rADke, Viae publicae romanae, (trad. it.) Bologna 1981.

RBelgPhilHist Revue belge de philologie et d’histoire.

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riCCArDi1989 A.riCCArDi, Rutigliano (Bari), Torre Castello, in Taras IX, 1-2, 1989, pp. 233-234.

riCCArDi1990 A.riCCArDi, Rutigliano (Bari), Torre Castello, in Taras X, 2, 1990, pp. 349-350.

riCCArDi2000 A.riCCArDi, L’insediamento di Azetium, in BNum 34-35, 2000, pp. 145-160.

riCCArDi2001 A.riCCArDi, Bari, Città Vecchia. Piazza Federico II di Sve-via, Piazza del Ferrarese, Piazza Mercantile, in Taras XXI, 1, 2001, pp. 63-69.

riCCArDi2003 A.riCCArDi(a cura di), Gli antichi Peucezi a Bitonto. Do-cumenti ed immagini dalla necropoli di via Traiana, Cata-logo del Museo Archeologico della Fondazione De Palo- Ungaro, Bari 2003.

riCCArDi2008 A. riCCArDi, Donne e guerrieri da Ruvo e Bitonto, Bari 2008.

RicStBrindisi Ricerche e Studi. Quaderni del Museo Archeologico Pro-vinciale “F. Ribrezzo” di Brindisi.

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riontino1942 A.riontino, Canne, Trani 1942.

RivStorSalent Rivista Storica Salentina.

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Capitolo X 509

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roPPo1921 v.roPPo, Caeliae. Ricerche topografiche, archeologiche e storiche sull’antichissima Ceglie del Campo, Bari 1921.

rouGé1966 J.rouGé, Recherches sur l’organisation du commerce ma-ritime en Mediterranée sous l’Empire Romain, Paris 1966.

RTopAnt Rivista di topografia antica.

RScPreist Rivista di Scienze Preistoriche.

russi1976 A.russi, Teanum Apulum. Le iscrizioni e la storia del mu-nicipio, Roma 1976.

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rutter2001 k. rutter (a cura di), Historia Numorum Italy, London 2001.

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sAbbAtini1992 G.sAbbAtini, La forma urbana, in CAssAno 1992a, pp. 692-697.

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510 Abbreviazioni Bibliografiche

meridionale, Roma 1992.

sAMMArCo2003 M.sAMMArCo, Vereto, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 346-349.

sAMMArCo2012 M.sAMMArCo, s.v. Vereto, in BTCGI XXI, Pisa-Roma-Na-poli 2012, pp. 817-825.

sAMMArCo,MArChi2008 M.sAMMArCo,s.MArChi, Il porto antico di San Cataldo di Lecce. Indagini tradizionali e nuove metodologie per uno studio topografico, in AAerea III, Foggia 2008, pp. 147-176.

sAntoro1982 C.sAntoro, Nuovi studi messapici, I, Mesagne 1982.

sAntoro1984 C. sAntoro, Nuovi studi messapici. Primo Supplemento, Galatina 1984.

sAntoro1989-1990 C.sAntoro, Nuovi studi messapici. Secondo Supplemento, in StEtr LVI, 1989-1990, pp. 369-440.

sAntoro1993-1994 C.sAntoro, Manduria nell’ambito della civiltà messapica, in Studi Linguistici Salentini 20, 1993-1994, pp. 157-186.

sArCineLLi2010 G.sArCineLLi, Prima e dopo Manfredi. Monete tra Siponto e Manfredonia nella collezione civica, Manfredonia 2010.

ScAnt Scienze dell’Antichità. Storia, Archeologia, Antropologia.

sCArAno2006 t.sCArAno, La ceramica decorata di tipo appenninico dei livelli del Bronzo Medio di Roca (Lecce): contributo per una rilettura di alcuni aspetti archeologici e cronologici della facies appenninica nella Puglia centro-meridionale, in Studi di Protostoria in onore di Renato Peroni, Firenze 2006, pp. 133-145.

sCArAno2012 t.sCArAno, Roca I. Le fortificazioni della media età del Bronzo: Strutture, contesti, materiali, Foggia 2012.

sCArDozzi2002 G.sCArDozzi, L’impianto urbano e le mura, in D’AnDriA,DeLL’AGLio2002, pp. 18-25.

sCArDozzi 2003a G. sCArDozzi, Ostuni, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 322-326.

sCArDozzi2003b G.sCArDozzi, Ugento, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 343-346.

sCArDozzi 2003c G. sCArDozzi, Ceglie Messapica, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 326-328.

sCArDozzi2007 G.sCArDozzi, La cinta muraria di Ugento, Presicce 2007.

sCArDozzi 2012a G. sCArDozzi, L’abitato antico di Ugento, in Ugento 2012,

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Capitolo X 511

pp. 43-58.

sCArDozzi 2012b G. sCArDozzi, Il territorio di Ugento tra la Preistoria ed il Medioevo, in Ugento 2012, pp. 59-68.

sCArFì1962 b.M.sCArFì, Gioia del Colle (Bari). L’abitato peucetico di Monte Sannace, in NSc XVI, 1962, pp. 1-288.

sChMieDt1970 G.sChMieDt, Atlante aereofotografico delle sedi umane in Italia. Parte II: Le sedi antiche scomparse, Firenze 1970.

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sChMieDt1985 G.sChMieDt, Le centuriazioni di Lucera e Aecae, in L’Uni-verso 65, 2, 1985, pp. 263-269.

sChMieDt1989 G.sChMieDt, Atlante aerofotografico delle sedi umane in Italia. Parte III: la centuriazione romana, Firenze 1989.

sCiArrA1967 b.sCiArrA, Scavi e scoperte dell’area urbana di Brindisi, in RicStBrindisi 3, 1967, pp. 77-86.

sChoJer1997 t. sChoJer, Mottola (Taranto) via D’Acquisito, in Taras XVII, 1, 1997, pp. 125-127.

sChoJer2000 t.sChoJer, Mottola (Taranto), viale Turi, in Taras XX, 1, 2000, pp. 89-90.

sChoJer2002 t.sChoJer, Il N.W. tarentino, in Taranto e il Mediterraneo 2002, pp. 65-86.

sCionti,tArentini1990 r.sCionti,P.tArentini, Manduria. Emergenze archeologi-che fra Preistoria e Medioevo, in Emergenze e problemi ar-cheologici. Manduria-Taranto-Heraclea, Manduria 1990, pp. 127-292.

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seMerAro 1995 G. seMerAro, s.v. Muro Leccese, in EAA, II suppl., III, Roma 1995, pp. 833-835.

seMerAro1997 G.seMerAro, ‘εν νηυσί. Le ceramiche di importazione gre-ca e coloniale nel Salento durante il periodo arcaico (600-480 a.C.), Lecce-Bari 1997.

seMerAro 1998a G. seMerAro, S. Vito dei Normanni (1996), in S. Vito dei Normanni 1988, pp. 26-32.

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512 Abbreviazioni Bibliografiche

seMerAro 1998b G. seMerAro, San Vito dei Normanni (Brindisi), località Castello, in Taras XVIII, 1, 1998, pp. 60-61.

seMerAro1999 G. seMerAro, San Vito dei Normanni (Brindisi), località Castello, in Taras XIX, 1, 1999, pp. 63-64.

seMerAro2000 G. seMerAro, San Vito dei Normanni (Brindisi), località Castello, in Taras XX, 1, 2000, pp. 70-72.

seMerAro2003 G.seMerAro, S. Vito dei Normanni, in Sguardo di Icaro 2003, pp. 320-322.

seMerAro2005 G.seMerAro, Le necropoli, in D’AnDriA 2005, pp. 61-90.

seMerAro2009a G.seMerAro, Forme e funzioni dei vasi attici in contesti cultuali di età arcaica: nuovi dati dall’insediamento mes-sapico del Castello di Alceste (S. Vito dei Normanni-BR), in S.FortuneLLi,C.MAsseriA (a cura di), Ceramica attica dai Santuari della Grecia, della Ionia e dell’Italia, Atti del Convegno Internazionale (Perugia 14-16 marzo 2007), Ve-nosa 2009, pp. 405-506.

seMerAro 2009b G. seMerAro, Strumenti per l’analisi dei paesaggi archeo-logici. Il caso della Messapia ellenistica, in osAnnA 2009, pp. 289-306.

seMerAro2012 G.seMerAro, Taranto, in D’AnDriA,Guzzo,tAGLiAMonte2012, pp. 160-164.

seMerAroherrMAnn1982 M.L.seMerAroherrMAnn, Il Santuario rupestre di S. Bia-gio a San Vito dei Normanni, Fasano 1982.

seMerAro,MonAstero2010 G.seMerAro,A.MonAstero, Itinerario di visita del Ca-stello di Alceste (S. Vito dei Normanni-BR), San Vito dei Normanni 2010.

senAChiesA2004 G.senAChiesA (a cura di), La collezione Lagioia. Una rac-colta storica dalla Magna Grecia al Museo Archeologico di Milano, Milano 2004.

senAChiesA2008 G.senAChiesA (a cura di), Vasi, immagini, collezionismo, Atti delle Giornate di Studio “La Collezione Intesa San-paolo e i nuovi indirizzi di ricerca sulla ceramica greca e magnogreca” (Milano, 7-8 novembre 2007), Milano 2008.

Sguardo di Icaro 2003 M. GuAitoLi (a cura di), Lo sguardo di Icaro. Le collezioni dell’Aerofototeca Nazionale per la conoscenza del territo-rio, Catalogo della Mostra, Roma 2003.

siCiLiAno 1988a A. siCiLiAno, La monetazione di Barion/Barium, in AnDreAssi,rADinA 1988, pp. 233-235.

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Capitolo X 513

siCiLiAno 1988b A. siCiLiAno, La monetazione di Kailia/Caelia, in AnDreAs-si,rADinA 1988, pp. 302-303.

siCiLiAno1989 A.siCiLiAno, Monetazione della Peucezia, in Storia di Bari: dalla Preistoria al Mille, Roma-Bari 1989, pp. 164-175.

siCiLiAno1991 A.siCiLiAno, Le zecche della Messapia, in I Messapi 1991, pp. 224-254.

siCiLiAno 1992a A. siCiLiAno, Alcune considerazioni sulle emissioni in bronzo di Taranto, in L’età annibalica e la Puglia, Atti del II Congresso di Studi sulla Puglia romana (Mesagne, 24-26 marzo 1988), Fasano 1992, pp. 117-126.

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siCiLiAno 1992c A. siCiLiAno, La zecca canosina, in CAssAno 1992a, pp. 555-556.

siCiLiAno1995 A. siCiLiAno, La monetazione di Arpi, in Arpi. L’ipogeo della Medusa e la necropoli, Bari 1995, pp.73-80.

siCiLiAno1997 A.siCiLiAno (a cura di), Il museo archeologico di Ascoli Satriano, la sezione numismatica, Foggia 1997.

siCiLiAno 1998a A. siCiLiAno, La monetazione di Uria, in Uria Garganica e la grotta di Venere sull’isolotto del faro di Vieste (III sec. a.C.), Atti del Convegno Internazionale di Studi (Vieste, 17-18 ottobre 1987), Vieste 1998, pp. 57-64.

siCiLiAno1998b A.siCiLiAno, Le emissioni monetali a leggenda GRAXA-GRA, in Il territorio brundisino dall’età messapica all’età romana, Atti del IV Convegno di Studi sulla Puglia romana (Mesagne, 19-20 gennaio 1996), Galatina 1998, pp. 151-158.

siCiLiAno2002 A.siCiLiAno, La circolazione monetale, in Taranto e il Me-diterraneo 2002, pp. 483-517.

siCiLiAno2011 A.siCiLiAno, Produzioni monetali tra V e IV sec. a.C. in Messapia, in Monetazione 2011, pp. 53-80.

siLvestrini1983 M.siLvestrini, Miliari della via Traiana, in Epigrafia e ter-ritorio 1983, pp. 107-110.

siLvestrini1988 M. siLvestrini, La viabilità, in AnDreAssi, rADinA 1988, pp. 379-383.

siLvestrini1990 M.siLvestrini, I miliari della via Traiana, in Epigrafi di Canosa II, Bari 1990.

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514 Abbreviazioni Bibliografiche

siLvestrini1999 M.siLvestrini, Un itinerario epigrafico lungo la via Traia-na. Aecae, Herdonia, Canusium, Bari 1999.

siLvestrini2005 M. siLvestrini, Le città della Puglia romana. Un profilo sociale, Bari 2005.

siLvestrini2011 M.siLvestrini (a cura di), Le tribù romane, Atti della XVI Rencontre sur l’épigraphie, Bari 2011.

siMone1887 s.siMone, Norba e Ad Veneris, Trani 1887.

sirAGo1993 v.A.sirAGo, Puglia romana, Bari 1993.

sirAGo1999 v.A.sirAGo, Puglia antica, Bari 1999.

sivo1987 v. sivo, Da Aecae a Troia, in Quaderni Medievali XXIV/1987, pp. 155-160.

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sPAGnoLettA1996 P.sPAGnoLettA, Bari, Chiesa di San Martino, in Taras XVI, 1, 1996, pp. 102-104.

StAnt Studi di Antichità.

stAzio1972 A.stAzio, Per una storia della monetazione antica in Pu-glia, in Atti del Convegno dei Comuni Messapici Peuceti e Dauni (Manduria, 15-16 maggio 1971), Bari 1972, pp. 39-47.

stAzio1973 A.stAzio, Monetazione e circolazione monetale dell’anti-co Salento, in AnnLecce 1969-71 [1973], pp. 71-99.

stAzio1983 A.stAzio, Moneta e scambi, in Megale Hellas. Storia e ci-viltà della Magna Grecia, Milano 1983, pp. 105-169.

stAzio,siCiLiAno,trAvAGLini1991 A.stAzio,A.siCiLiAno,A.trAvAGLini, La moneta nell’area messapica, in I Messapi 1991, pp. 221-286.

StEtr Studi Etruschi

stoPAni1992 r.stoPAni, La via Francigena del Sud. L’Appia Traiana nel Medioevo, Firenze 1992.

strAnieri2000 G.strAnieri, Un limes bizantino nel Salento? La frontiera bizantino-longobarda nella Puglia meridionale. Realtà e mito del Limitone dei greci, in AMediev XXVII, 2000, pp. 333-355.

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Capitolo X 515

susini1962 G.susini, Fonti per la storia greca e romana del Salento, Bologna 1962.

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Taras Taras. Rivista di Archeologia.

tAteo1989 F.tAteo (a cura di), Storia di Bari. Dalla preistoria al mil-le, Bari 1989.

Taranto e il Mediterraneo 2002 Taranto e il Mediterraneo, Atti del XLI Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 12-16 ottobre 2001), Taranto 2002 (con CD).

tAyLor1958 W.tAyLor, Mycenean pottery in Italy, Cambridge 1958.

tCherniA1986 A.tCherniA, Le vin de l’Italie romanie, Roma 1986.

testini1967 P.testini, Le prime memorie cristiane e la cripta detta di S. Cleto a Ruvo, in VeteraChr IV, 1967, pp. 185-210.

testini1973 P.testini, La statua di bronzo o “Colosso” di Barletta, in VeteraChr X, 1973, pp. 127-152.

tiberi2007 i. tiberi (a cura di), Sant’Anna (Oria-Brindisi). Un sito specializzato del VI millennio a.C., Galatina 2007.

tiberi2011 i.tiberi (a cura di), Serra Cicora tra VI e V millennio a.C., in Origines IIPP 32, Firenze 2011.

Tinè 1973 S. Tinè, Gli scavi del 1967-68 a Salapia, in ArchStorPugl XXVI, 1973, pp. 131-158.

Tinè 1983 S. Tinè, Passo di Corvo e la civiltà neolitica del Tavoliere, Genova 1983.

Tinè,siMone1984 s.tinè,L.siMone, Il Neolitico, in Daunia antica 1984, pp. 75-100.

tinèbertoCChi1961-64 F.tinèbertoCChi, Recenti scavi ai sepolcreti di Canne, in AnnAcEtr XII, 1961-64, pp. 93-109.

tinèbertoCChi1964 F.tinèbertoCChi, La pittura funeraria apula, Napoli 1964.

tinèbertoCChi 1973a F. tinèbertoCChi, s.v. Arpi, in EAA, I suppl., Roma 1973, pp. 78-81.

tinèbertoCChi1973b F.tinèbertoCChi, s.v. Canne, in EAA, suppl. 1970, Roma 1973, pp. 178-179.

tinèbertoCChi1975 F.tinèbertoCChi, Formazione della civiltà daunia dal X al VI sec. a.C., in Atti del Colloquio Internazionale di Preisto-ria e Protostoria della Daunia (Foggia, 24-29 aprile 1973), Firenze 1975, pp. 271-285.

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516 Abbreviazioni Bibliografiche

tinèbertoCChi1985 F.tinèbertoCChi, Le necropoli daunie di Ascoli Satriano e Arpi, Genova 1985.

tinèbertoCChi1989 F.tinèbertoCChi, Elpia, in BTCGI VII, Pisa-Roma 1989, pp. 166-174.

tinèbertoCChi 1992a F. tinè bertoCChi, Mausoleo Barbarossa, in CAssAno 1992a, p. 714-715.

tinèbertoCChi 1992b F. tinèbertoCChi, Aree cimiteriali lungo la via Traiana, in CAssAno 1992a, pp. 716-717.

tinèbertoCChi et alii 2008 F.tinèbertoCChi,r.CoMPAtAnGeLo,A.Monnet,A.vi-Gnot, Il sito, la storia e la riscoperta, in LiPPoLis,GiAMMAt-teo 2008, pp. 43-76.

toDisCo1996 e. toDisCo, Veterani a Lucera, in Epigrafia e territorio 1996, pp. 163-187.

trAMontAnA2000 s.trAMontAnA, Il Mezzogiorno medievale. Normanni, sve-vi, angioini, aragonesi nei secoli XI-XV, Roma 2000.

trAvAGLini 1973 A. trAvAGLini, Tesoretti monetali di Valesio, in AIIN XX, 1973, pp. 9-30.

trAvAGLini 1982 A. trAvAGLini, Inventario dei rinvenimenti monetali del Sa-lento. Problemi di circolazione, Roma 1982.

trAvAGLini 1990 A. trAvAGLini, La monetazione di Orra, in StAnt 6, 1990, pp. 235-255.

trAvAGLini2010 A.trAvAGLini, Produzione e circolazione monetale, in Pu-glia Centrale 2010, pp. 383-390.

trAvAGLini,CAMiLLeri2010 A.trAvAGLini,v.G.CAMiLLeri, La documentazione numi-smatica, in Puglia centrale 2010, pp. 359-363.

trAverso1999 A.trAverso (a cura di), Una guida per vedere oltre. Passo di Corvo, il più grande villaggio dei primi agricoltori eu-ropei, Foggia 1999.

trenDALL,CAMbitoGLou1982 A.D.trenDALL,A.CAMbitoGLou, The Red-figured Vases of Apulia, Oxford 1982.

trinCiCeCCheLLi1974 M.trinCiCeCCheLLi, I mosaici di Santa Maria della Croce a Casaranello, in VeteraChr 11, 1974, pp. 167-186.

truMP1975 D.truMP, Vecchi scavi nel villaggio neolitico di Passo di Corvo (Foggia), in Atti del Colloquio Internazionale di Preistoria e Protostoria della Daunia (Foggia, 24-29 aprile 1973), Firenze 1975, pp. 130 ss.

tunzi2011 A.M.tunzi, Pagine di pietra. I Dauni tra VII e VI seco-lo a.C., Catalogo della Mostra (Roma, 2-18 marzo 2011),

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Capitolo X 517

Foggia 2011.

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uGGeri1968 G.uGGeri, La terminologia portuale romana e la docu-mentazione dell’«Itinerarium Antonini», Firenze 1968.

uGGeri1983 G.uGGeri, La viabilità romana nel Salento, Fasano 1983.

uGGeri1988 G.uGGeri, Il porto di Brindisi in età repubblicana, in MA-rAnGio 1988, pp. 47-64.

ursi1998 v. ursi, Conversano (Bari), Via Don Minzoni, in Taras XVIII, 1, 1998, pp. 52-53.

ursi1999 v.ursi, Conversano (Bari), Monastero di San Benedetto, in Taras XIX, 1, 1999, p. 57.

vAGnetti1985 L.vAGnetti (a cura di), Magna Grecia e Mondo Miceneo: nuovi documenti, Atti del XXII Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto 7-11 ottobre 1982), Taranto 1985.

vAGnetti1991 L. vAGnetti, Aspetti della presenza micenea nel sud-est italiano, in I Messapi 1991, pp. 363-382.

vAGnetti1996 L.vAGnetti, Primi contatti fra il mondo minoico-miceneo e il Mediterraneo occidentale, in G. PuGLieseCArrAteLLi (a cura di), Greci in Occidente 1996, pp. 109-116.

vAGnetti1998 L.vAGnetti, Le relazioni fra il versante adriatico pugliese e l’area egea alla luce delle ricerche recenti, in A.CinQue-PALMi,F.rADinA (a cura di), Documenti dell’età del Bronzo. Ricerche lungo il versante adriatico pugliese, Fasano 1998, pp. 273-276.

vAGnettiet alii 2009 L.vAGnetti,r.e.Jones,s.t.Levi,M.betteLLi,L.ALber-ti, Ceramiche egee e di tipo egeo lungo i versanti adriatico e ionico della penisola italiana: situazioni a confronto, in E.borGnA,P.G.CAssoLA (a cura di), Dall’Egeo all’Adria-tico: organizzazioni sociali, modi di scambio e interazioni in età postpalaziale (XII-XI sec. a.C.), Atti del Seminario Internazionale (Udine, 1-2 dicembre 2006), Roma 2009, pp. 171-183.

vAGnetti,betteLLi2005 L.vAGnetti,M.betteLLi, I Micenei in Italia meridionale. Appunti per una storia degli studi, in S. settis,M.C.PArrA (a cura di), Magna Grecia. Archeologia di un sapere, Cata-logo della mostra (Catanzaro 19 giugno-31 ottobre 2005),

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518 Abbreviazioni Bibliografiche

Milano 2005, pp. 288-297.

vAnCoMPernoLLe1994 th.vAnCoMPernoLLe, Primo contributo alla carta arche-ologica di Soleto (Lecce), in StAnt 7, 1994, pp. 327-354.

vAnCoMPernoLLe1998 th.vAnCoMPernoLLe, Dall’insediamento iapigio alla cit-tà messapica: dieci anni di scavi e ricerche archeologiche a Soleto (Lecce), in StAnt 11, 1998, pp. 149-167.

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vAnCoMPernoLLe2012 th. vAn CoMPernoLLe, Topografia e insediamenti nella Messapia interna. Ricerche e studi storico-archeologici a Soleto (Lecce) e nel territorio, Pisa 2012.

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vAnGuLik,bernhArDt1987 k.vAnGuLik,b.bernhArDt, Georadar scanning at Vale-sio, in BABesch LXII, 1987, pp. 103-108.

venturorubino1976 D.venturorubino, Rassegna archeologica, in Altamura, Bollettino Biblioteca e Museo Civico, XVII-XVIII, Alta-mura 1976, pp. 169-171.

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verA1995 D.verA, Dalla ‘villa perfecta’ alla villa di Palladio. Sulle trasformazioni del sistema agrario in Italia fra Principato e Dominato, in Athenaeum 83, 1995, 1, pp. 189-211, 2, pp. 331-356.

verGArA1981 P.verGArA, Elementi di spoglio nella Chiesa di San Basilio a Troia, in Prospettiva XXVI/1981, pp. 57-60.

VeteraChr Vetera Christianorum.

Vigna di Dioniso 2011 M.LoMbArDo,A.siCiLiAno,A.ALessio, La vigna di Dioni-so: vite, vino e culti in Magna Grecia, Atti del XLIX Con-vegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 24-28 settem-bre 2009), Taranto 2011.

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Capitolo X 519

voLPe 1985 G. voLPe, Rinvenimenti subacquei a Barletta, in Taras V, 2, 1985, p. 290.

voLPe1989 G.voLPe, Ricerche subacquee lungo il litorale di Salapia, in Profili Daunia Antica 5, pp. 49-80.

voLPe 1990a G. voLPe, La Daunia nell’età della romanizzazione. Pae-saggio agrario, produzione, scambi, Bari 1990.

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voLPe 1996 G. voLPe, Contadini, pastori e mercanti nell’Apulia tardo-antica, Bari 1996.

voLPe 1998a G. voLPe (a cura di), San Giusto. La villa, le ecclesiae. Pri-mi risultati dagli scavi nel sito rurale di San Giusto (Luce-ra): 1995-1997, Bari 1998.

voLPe 1998b G. voLPe, La chiesa paleocristiana di Siponto, in M.S. CALòMAriAni, Capitanata medievale, Foggia 1998, p. 12.

voLPe 1999a G. voLPe, Considerazioni generali, in P. PerGoLA (a cura di), Alle origini della parrocchia rurale (IV-VIII sec.), Atti della Giornata tematica dei Seminari di Archeologia Cri-stiana (Roma, 19 marzo 1998), Roma 1999, pp. 298-311.

voLPe 1999b G. voLPe, Paesaggi della Puglia tardoantica, in L’Italia meridionale in età Tardo Antica, Atti del XXXVIII Con-vegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 2-6 ottobre 1998), Taranto 1999, pp. 267-329.

voLPe2006 G.voLPe, Città apule fra destrutturazione e trasformazio-ne: i casi di Canusium ed Herdonia, in A. AuGenti (a cura di), Le città italiane tra la tarda antichità e l’altomedioe-vo, Atti del Convegno di Studi (Ravenna, 26-28 febbraio 2004), Firenze 2006, pp. 559-587.

voLPe2007 G.voLPe, Architecture and Church Power in Late Antiqui-ty: Canosa and San Giusto (Apulia), in L.LAvAn,L.oz-GeneL,A.sArAntis (a cura di), Housing in Late Antiquity. From Palaces to Shops, Leiden-Boston 2007, pp. 131-168.

voLPe2009 G. voLPe, L’iniziativa vescovile nella trasformazione dei paesaggi urbani e rurali in Apulia: i casi di Canusium e di San Giusto, in r.FArioLiCAMPAnAti,C.rizzArDi,P.Por-tA,A.AuGenti,i.bALDiniLiPPoLis (a cura di), Ideologia e cultura artistica tra Adriatico e Mediterraneo Orientale (IV-X secolo). Il ruolo dell’autorità ecclesiastica alla luce

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520 Abbreviazioni Bibliografiche

di nuovi scavi e ricerche, Atti del Convegno Internazionale (Bologna-Ravenna, 26-29 novembre 2007), Bologna 2009, pp. 405-423.

voLPe2010 G.voLPe, L’Apulia tardoantica: vie di contadini, pastori, briganti e pellegrini, in F.M.siMón,F.P.PoLo,J.r.roDri-Guez (a cura di), Viajeros, peregrinos y aventureros en el mundo antiguo, Barcelona 2010, pp. 267-304.

voLPe,AurieMMA1998 G. voLPe, r.AurieMMA, Rotte, itinerari e commerci, in CAssAno,LorussoroMito,MiLeLLA 1998, pp. 199-211.

voLPe,biFFino,PietroPAoLo1996 G.voLPe,A.biFFino,L.PietroPAoLo, La villa, la statio, l’ecclesia. Scavi nel sito tardoantico di San Giusto (Luce-ra): relazione preliminare 1995, in VeteraChr 33, 1996, pp. 163-218.

voLPe,buGLione,Devenuto2011 G.voLPe,A.buGLione,G.Devenuto (a cura di), Vie degli animali. Vie degli uomini. Transumanza e altri spostamen-ti di animali nell’Europa tardoantica e medievale, Atti del Secondo Seminario Internazionale di Studi (Foggia, 7 otto-bre 2006), Bari 2011.

voLPe,DeFeLiCe,turChiAno2004 G.voLPe,G.DeFeLiCe,M.turChiAno, Musiva e sectilia in una lussuosa residenza rurale dell’Apulia tardoantica: la villa di Faragola (Ascoli Satriano), in Musiva&Sectilia I, 2004, pp. 127-158.

voLPe,DeFeLiCe,turChiAno2005 G.voLPe,G.DeFeLiCe,M.turChiAno, Faragola (Asco-li Satriano). Una residenza aristocratica tardoantica e un villaggio altomedievale nella Valle del Carapelle: primi dati, in G. voLPe,M.turChiAno (a cura di), Paesaggi e insediamenti rurali in Italia meridionale fra Tardoantico e Altomedioevo, Atti del Primo Seminario sul Tardoantico e l’Altomedioevo in Italia meridionale (Foggia 12-14 febbra-io 2004), Bari 2005, pp. 265-297.

voLPe,DeFeLiCe,turChiAno2006 G.voLPe,G.DeFeLiCe,M.turChiAno, La villa tardo anti-ca di Faragola (Ascoli Satriano) in Apulia, in A.ChAvAr-rìA,J.ArCe,G.broGioLo (a cura di), Villas Tardoantiguas en el Mediterràneo Occidental, Anejos de Archivo Espaňol de Arqeologìa XXXIX, pp. 221-251.

voLPe et alii 1997 G.voLPe,A.biFFino,P.DesAnCtis,P.FAviA,r.GiuLiAni,e. LAPADuLA, L. PietroPAoLo, Il complesso paleocristia-no di San Giusto (Lucera). Seconda relazione preliminare (scavi 1996), in VeteraChr 34, 1997, pp. 111-152.

voLPe et alii 2002 G.voLPe,C.Annese,M.CiMinALe,M.Corrente,G.De

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Capitolo X 521

FeLiCe,P.DesAnCtis,P.FAviA,D.GALLo,r.GiuLiAni,D.Leone,D.nuzzo,A.roCCo,M.turChiAno, Il complesso episcopale paleocristiano di San Pietro a Canosa. Prima relazione preliminare (campagna di scavi 2001), in Vetera-Chr 39, 1, 2002, pp. 133-190.

voLPe et alii 2003 G. voLPe,C.Annese,M.Corrente,G.DeFeLiCe,P.DesAnCtis,P.FAviA,r.GiuLiAni,D.Leone,D.nuzzo,A.roC-Co,M.turChiAno, Il complesso episcopale paleocristiano di San Pietro a Canosa. Seconda relazione preliminare (cam-pagna di scavi 2002), in AMediev XXX, 2003, pp. 107-164.

voLPe et alii 2009 G. voLPe, G. De venuto, r. GoFFreDo, M. turChiAno, L’abitato altomedievale di Faragola (Ascoli Satriano), in G.voLPe,P.FAviA (a cura di), Atti del V Congresso Na-zionale di Archeologia Medievale (Foggia-Manfredonia 30/09-3/10 2009), Firenze 2009, pp. 284-290.

voLPe,FAviA,GiuLiAni1999 G.voLPe,P.FAviA,r.GiuLiAni,Chiese rurali dell’Apulia tardoantica e altomedievale, in P. PerGoLA (a cura di), Alle origini della parrocchia rurale (IV-VIII sec.), Atti della Giornata tematica dei Seminari di Archeologia Cristiana (Roma, 19 marzo 1998), Roma 1999, pp. 261-311.

voLPe,GiuLiAni2011 G.voLPe,r.GiuLiAni (a cura di), Paesaggi e insediamenti urbani in Italia meridionale fra Tardoantico e Altomedioe-vo, Atti del Secondo Seminario sul Tardoantico e l’Altome-dioevo in Italia Meridionale (Foggia-Monte Sant’Angelo, 27-28 maggio 2006), Bari 2011.

voLPe,GiuLiAni2010 G.voLPe,r.GiuLiAni (a cura di), Paesaggi e insediamenti urbani in Italia meridionale fra Tardoantico e Altomedioe-vo, Atti del secondo seminario sul Tardoantico e l’Alto Me-dioevo in Italia meridionale (Foggia, Monte Sant’Angelo, 27-28 maggio 2006), Bari 2010.

voLPe,strAzzuLLA,Leone2008 G.voLPe,M.J.strAzzuLLA,D.Leone (a cura di), Storia e Archeologia della Daunia: in ricordo di Marina Mazzei, Atti delle Giornate di Studio (Foggia, 19-21 maggio 2005), Bari 2008.

voLPe,turChiAno2005 G.voLPe,M.turChiAno (a cura di), Paesaggi e insedia-menti rurali in Italia Meridionale fra Tardoantico e Alto-medioevo, Atti del Primo Seminario sul Tardoantico e l’Al-tomedioevo in Italia Meridionale (Foggia, 12-14 febbraio 2004), Bari 2005.

voLPe,turChiAno2006 G. voLPe,M. turChiAno, Faragola di Puglia, una villa nel tramonto dell’Impero, in Archeologia Viva 120, Anno

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522 Abbreviazioni Bibliografiche

XXV, novembre/dicembre 2006, pp. 40-53.

voLPe,turChiAno2009 G.voLPe,M.turChiAno (a cura di), Faragola 1. Un inse-diamento nella valle del Carapelle. Ricerche e studi (Insu-lae Diomedeae 12), Bari 2009.

voLPe,turChiAno2010 G.voLPe,M.turChiAno (a cura di), Faragola di Ascoli Satriano. Guida agli scavi archeologici, Foggia 2010.

WiLLeMsen1980 C.A.WiLLeMsen, L’enigma di Otranto. Il mosaico pavi-mentale del presbitero Pantaleone nella Cattedrale, Lecce 1980.

Whitehouse1983 D.Whitehouse, Le ceramiche medievali dal castello di Lu-cera, in Atti del XII Convegno internazionale della cerami-ca (Albisola 1979), Genova 1983, pp. 75-81.

Whitehouse,WiLkins, r. Whitehouse, J. WiLkins, e. herrinG, Botromagno. herrinG2000 Excavation and Survey at Gravina in Puglia, 1979-1985,

London 2000.

WoLFrAM1979 G.WoLFrAM, Storia dei Goti, Roma 1979.

WuiLLeuMier1939 P.WuiLLeuMier, Tarante des origines à la conquête romai-ne, Paris 1939 (trad. dal francese di G. Ettorre, Taranto 1987).

ynteMA 1986 D. ynteMA, La ricerca topografica nel territorio oritano, in ArchStorPugl 39, 1986, 1-4, pp. 3-26.

ynteMA 1990 D. ynteMA, The Matt-Painted Pottery of Southern Italy, Galatina 1990.

ynteMA 1991 D. ynteMA, Le ceramiche e l’artigianato del Salento tra l’età del Ferro e la romanizzazione, in I Messapi 1991, pp. 139-183.

ynteMA 1993a D. ynteMA, The settlement of Valesio, Southern Italy. Final report of field survey, in BABesch 68, 1993, pp. 49-70.

ynteMA 1993b D. ynteMA, In Search of an Ancient Countryside. The Free University Field Survey at Oria, Province of Brindisi, South Italy (1981-1983), Amsterdam 1993.

zAnini1998 e.zAnini, Le Italie bizantine. Territorio, insediamenti ed economia nella provincia bizantina d’Italia (VI-VIII seco-lo), Bari 1998.

zorzi1963 F. zorzi, Pitture parietali e oggetti d’arte mobiliare del Paleolitico scoperti nella Grotta Paglicci presso Rignano Garganico, in RScPreist XVII, 1963, pp.1-4.

ZPE Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik.

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Fonti delle illustrazioniI volumi o gli articoli da cui sono tratte le illustrazioni sono indicati in forma abbreviata (Titolo/Cognome autore, anno) nel caso in cui la citazione estesa sia presente nella sezione bibliografica del capitolo cui l’illustrazione è riferita o nel caso di opere frequentemente citate per cui esista una citazione estesa nelle Abbreviazioni bibliografiche. Nel caso in cui i volumi o gli articoli non siano citati nella sezione bibliografica del capitolo cui l’illustrazione è riferita, essi sono indicati in forma estesa.

Cap. I. IntroduzIone

Fig. 1.1. Le regioni naturali della Puglia (Archivio LabTAF).

Fig. 1.2. Il Capo di Santa Maria di Leuca (anno 1968), promontorio Iapigio, akra Iapygias (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 1.3. Il Gargano nella rappresentazione cartografica di Egnazio Danti (sec. XVI), Galleria delle Carte Geografiche presso i Palazzi Vaticani a Roma (Archivio LabTAF).

Fig. 1.4. I trulli di Alberobello (anno 1964) (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 1.5. Il Golfo di Taranto e la Terra d’Otranto nella carta geografica disegnata da Giovanni Antonio Magini e tratta dall’Atlante edito da Fabio Magini a Bologna nel 1620 (da CArLone,bLAsi 1987, fig. 1).

Fig. 1.6. Una suggestiva immagine del faro Capo d’Otranto, edificio ottocentesco costruito su Punta Palascìa, il promontorio più orientale d’Italia (foto Archivio LabTAF).

Fig. 1.7. La Torre dell’Alto sorge su uno sperone roccioso a strapiombo sul mare, nell’area del Parco Naturale di Porto Selvaggio e Palude del Capitano. L’edificio fu costruito nella seconda metà del XVI secolo con funzioni difensive, parte di un complesso sistema di controllo delle coste della penisola salentina realizzato durante la domi-nazione spagnola (foto M. Sammarco, Archivio LabTAF).

Fig. 1.8. Un settore della costa adriatica salentina, a sud di Otranto. In primo piano la cinque-centesca Torre di Minervino (foto M. Sammarco, Archivio LabTAF).

Fig. 1.9. Otranto. Il castello e il centro storico (foto Archivio LabTAF).

reFerenzeiConoGrAFiChe

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524 Referenze Iconografiche

Fig. 1.10. Foggia (anno 1953). In primo piano il Palazzo di Città (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 1.11. Bari. Particolare della città vecchia (foto Archivio LabTAF).

Fig. 1.12. Lecce. Il centro storico (foto Archivio LabTAF).

Fig. 1.13. Brindisi. Veduta panoramica della città e del porto (foto G. Ceraudo, Archivio Lab-TAF).

Fig. 1.14. Taranto. Palazzo del Governo e il Lungomare (foto AM 1935) (Archivio AFN-IC-CD).

Fig. 1.15. Foto aerea che ritrae uno scorcio del tipico paesaggio pugliese (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Cap. II. AmbIente e pAesAggIo

Fig. 2.1. Schema geologico della Puglia, con indicazione delle principali sub-regioni geogra-fiche. Legenda: 1) coperture clastiche recenti (Pliocene-Pleistocene); 2) rocce car-bonatiche bioclastiche (Paleogene) e calcareniti (Miocene); 3) rocce di piattaforma carbonatica (Giurassico superiore-Cretaceo); 4) rocce carbonatiche di scarpata e di bacino (Giurassico superiore-Cretaceo) (elaborazione M. Parise).

Fig. 2.2. Tratto di costa Adriatica a nord di Otranto: la presenza di litologie calcarenitiche, meno resistenti dei più antichi calcari del Cretaceo, determina frequenti fenomeni di instabilità lungo la costa (depositi da crollo sono visibili in più punti nell’immagine) e la formazione di articolate baie (foto M. Sammarco, Archivio LabTAF).

Fig. 2.3. Parte del centro abitato di Polignano a Mare, costruito su successioni stratificate di calcari del Cretaceo che in questo settore della costa adriatica barese danno origine ad alte falesie costiere (foto M. Parise).

Fig. 2.4. Il paesaggio costiero presso Torre Guaceto, sul litorale adriatico a nord di Brindisi, che rappresenta una tra le più importanti zone umide della regione (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 2.5. Immagine aerea obliqua del Pulo di Altamura (anno 1966): in evidenza, sul lato destro dell’immagine, gli arrivi nel Pulo delle due principali valli carsiche (lame) dell’area. La roccia in affioramento al margine della imponente depressione è costi-tuita da calcare di epoca cretacea (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 2.6. Immagine aerea obliqua del Pulo di Molfetta (anno 1966), tra le maggiori doline del territorio delle Murge. Sulle ripide pareti della depressione si notano alcune tra le numerose cavità carsiche che lo caratterizzano, mentre sul fondo sono visibili i resti della nitriera (fabbrica per la produzione di polvere da sparo) di epoca borbonica (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 2.7. Il fiume Celone, che si sviluppa con andamento meandriforme nel territorio a basse pendenze della provincia di Foggia (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 2.8. Settore mediano della Gravina di Riggio a Grottaglie (Taranto), una tra le maggiori

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Capitolo XI 525

gravine dell’arco ionico tarantino. L’immagine evidenzia le pareti sub-verticali del-la gravina e l’ampio fondo piatto dove attecchisce una folta vegetazione (foto M. Parise).

Fig. 2.9. Vista dall’alto dei laghi di bauxite nei pressi di Otranto, in corrispondenza di una vecchia miniera dismessa (foto M. Sammarco, Archivio LabTAF).

Fig. 2.10. Il Canale di Badisco, valle esoreica di origine carsica che sfocia nel Mar Adriatico. Al pari di molte analoghe valli carsiche del territorio pugliese, il Canale si sviluppa con andamento sinuoso, ed è caratterizzato da pareti ripide e fondo piatto (foto M. Sammarco, Archivio LabTAF).

Fig. 2.11. Gravina in Puglia. Il settecentesco Ponte-Canale che portava acqua in città collegan-do il terminale dell’acquedotto ipogeo con la Fontana della Stella (foto M. Parise).

Cap. III. QuAdro storIco. dAlle orIgInI leggendArIe Al medIoevo

Fig. 3.1. Altamura. Osso a globuli da Casal Sabini (www.altamura.cchnet.it/percorsi-di-visi-ta/leta-preistorica).

Fig. 3.2. Suddivisione dei comparti etnici attestati nella Puglia antica (Archivio LabTAF).

Fig. 3.3. Veduta aerea obliqua di un ampio settore del Tavoliere con l’importante nodo viario di Aecae, la moderna Troia, sullo sfondo Lucera (la colonia latina di Luceria) e il profilo del promontorio del Gargano (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 3.4. Isole Tremiti. L’isola di San Nicola (Archivio LabTAF).

Fig. 3.5. Pianta del Mar Piccolo di Taranto disegnata dal Pacelli nel 1807 (CArLone,bLAsi 1987, fig. 24).

Fig. 3.6. Gallipoli. Veduta aerea obliqua dell’isola; in primo piano, la fortezza aragonese e il seicentesco ponte di collegamento con la terraferma (foto Archivio LabTAF).

Fig. 3.7. Taranto, scavi Arsenale Militare 1913. Cratere a campana apulo a figure rosse sul quale è raffigurato l’incontro di Elettra e Oreste presso la tomba di Agamennone. Attribuito al Pittore di Sarpedonte, 390-370 a.C. (da kerényi 2004, p. 277, fig. 274).

Fig. 3.8. Orecchino aureo da Taranto (da Gli ori di Taranto 1985, p.160, fig.73).

Fig. 3.9. Arpi, ipogeo della Medusa (da MAzzei 1995b, fig. 50).

Fig. 3.10. Battaglia di Canne. Fase iniziale dell’attacco romano (in alto), accerchiamento e distruzione dell’esercito romano (in basso) (da http://it.wikipedia.org/wiki/Batta-glia_di_Canne).

Fig. 3.11. Regio II Apulia et Calabria. Genesi dell’identità amministrativa regionale da Augu-sto al Tardoantico (Archivio LabTAF)

Fig. 3.12. Copia in bronzo della tavola dell’albo dei decurioni di Canosa del 223 d.C. (da siL-vestrini 1999, p. 116).

Fig. 3.13. Canne. Veduta aerea prospettica della città e del Castello (foto 1962) (AFN-ICCD).

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526 Referenze Iconografiche

Fig. 3.14. Arazzo di Bayeux (XI sec.). Particolare. La flotta di Guglielmo duca di Normandia attraversa la Manica (da Medioevo 2005, p. 239, fig. IV).

Fig. 3.15. Castel del Monte. Veduta aerea prospettica (AFN-ICCD).

Cap. IV. preIstorIA e protostorIA

Fig. 4.1. Bisceglie, Grotta di Santa Croce. Tratto iniziale della galleria con scallops (foto D. Lorusso, Archivio “Terrae”).

Fig. 4.2. Bisceglie. Veduta notturna dell’ingresso di Grotta di Santa Croce (foto D. Lorusso, Archivio “Terrae”).

Fig. 4.3. Bisceglie. Pitture in ocra rossa d’età neolitica sulle pareti di Grotta di Santa Croce (foto D. Lorusso, Archivio “Terrae”).

Fig. 4.4. Tazza in ceramica dipinta dal fossato del villaggio neolitico di Masseria Candelaro (da CAssAno,MAnFreDini 2005, p. 175).

Fig. 4.5. Porto Perone. Brocchetta dipinta del Miceneo IIIB (da FeDeLe,ALessio,DeLMonA-Co 1992, p. 131).

Fig. 4.6. Ingresso del Grottone di Punta Manaccora, presso Peschici (foto C. Fusilli).

Fig. 4.7. Preistoria e Protostoria: carta delle principali località della Puglia settentrionale ci-tate nel testo (elaborazione S. Landriscina, Archivio LabTAF).

Fig. 4.8. Imboccatura della Grotta Spagnoli (da MAzzei 1984, p. 32).

Fig. 4.9. Grotta Scaloria (Manfredonia). Laghetto nella Scaloria Bassa (foto C. Fusilli).

Fig. 4.10. Veduta aerea verticale (RAF 1943) del villaggio neolitico di Passo di Corvo, edita da J.B. Bradford (da FrAnChin rADCLiFFe 2006, p. 72).

Fig. 4.11. Resti di un villaggio neolitico visibili in traccia presso Masseria Fongo, a sud di Foggia (Archivio LabTAF).

Fig. 4.12. Grotta Scaloria. Vaso concrezionato che raccoglieva le acque di stillicidio della grotta (da MAzzei 2004, p. 107).

Fig. 4.13. La collina di Ripalta, lungo il basso corso dell’Ofanto, sede di un insediamento protostorico (da MAzzei 2004, p. 117).

Fig. 4.14. Peschici. Il villaggio capannicolo di Punta Manaccora (da MAzzei2004, p. 155)

Fig. 4.15. Trinitapoli. Fermatrecce e vasi di corredo provenienti dall’Ipogeo dei Bronzi (da MAzzei 2004, p. 115).

Fig. 4.16. Trinitapoli. Pianta dell’Ipogeo dei Bronzi (modificato da Ipogei della Daunia 1999, p. 201, fig. 21)

Fig. 4.17. San Ferdinando, località Terra di Corte. Un’immagine dell’ipogeo 3 (da MAzzei 2004, p. 112).

Fig. 4.18. Monte Saraceno. Necropoli con tombe a fossa (da MAzzei 2004, p. 155).

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Capitolo XI 527

Fig. 4.19. Preistoria e Protostoria: carta delle principali località della Puglia centrale citate nel testo (elaborazione S. Landriscina, Archivio LabTAF).

Fig. 4.20. Ostuni, Grotta di Santa Maria di Agnano. Ingresso (foto M. Parise).

Fig. 4.21. Ostuni, Grotta di Santa Maria di Agnano. Il calco di una delle sepolture epigravet-tiane (foto M. Parise).

Fig. 4.22. Altamura, Cava Pontrelli. Il sito paleontologico di Cava Pontrelli, scoperto nel giu-gno 1999, ha restituito circa 30.000 impronte di dinosauro distribuite in un’area di 12.000 metri quadrati. La roccia su cui sono impresse le impronte risalirebbe al Cretacico superiore (circa ottanta milioni di anni fa); la conservazione delle orme, molto nitide e particolarmente durature, è stata possibile probabilmente grazie alla presenza di una mucillagine microbica in grado di conferire plasticità al terreno (foto M. Parise).

Fig. 4.23. Il dolmen di Bisceglie (foto G. Ruggieri).

Fig. 4.24. Preistoria e Protostoria: carta delle principali località dell’area tarantina citate nel testo (elaborazione S. Landriscina, Archivio LabTAF).

Fig. 4.25. Scoglio del Tonno. Brocca a staffa frammentaria del Miceneo IIIC, decorata con il motivo dell’“octopus” (da FeDeLe,ALessio,DeLMonACo 1992, p. 133, fig. 163).

Fig. 4.26. Preistoria e Protostoria: carta delle principali località salentine citate nel testo (ela-borazione S. Landriscina, Archivio LabTAF).

Fig. 4.27. Nardò. L’ingresso di Grotta del Cavallo (foto M. Sammarco).

Fig. 4.28. Statuine muliebri dalla Grotta delle Veneri di Parabita (da inGrAvALLo 1997).

Fig. 4.29. La sepoltura neolitica di Carpignano (foto R. Puce).

Fig. 4.30. Castro. L’ingresso di Grotta Zinzulusa (foto S. Inguscio).

Fig. 4.31. San Donato di Lecce. Veduta aerea IGM 1972, le frecce indicano il percorso della fortificazione dell’insediamento protoappenninico (rielaborazione C. Martino, Ar-chivio LabTAF).

Fig. 4.32. Il dolmen Grassi di Giurdignano (foto F. De Luca, Archivio LabTAF).

Fig. 4.33. Immagine aerea obliqua del promontorio costiero di Torre Guaceto (foto G. Cerau-do, Archivio LabTAF).

Fig. 4.34. Planimetria schematica di Grotta Paglicci (modificato da Ipogei della Daunia 1999).

Fig. 4.35. Grotta Paglicci. Saletta interna, uno dei cavalli dipinti (da PALMADiCesnoLA 1999, p. 23).

Fig. 4.36. Coppa Nevigata. Vasi databili alla fine del Protoappenninico, provenienti da una struttura abitativa (da CAzzeLLA,MosCoLoni 1999, p. 103).

Fig. 4.37. Le mura protoappenniniche del villaggio di Coppa Nevigata (modificato da Ipogei della Daunia 1999).

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528 Referenze Iconografiche

Fig. 4.38. Un tratto delle mura protoappenniniche dell’insediamento di Coppa Nevigata (da CAzzeLLA,MosCoLoni 1999, p. 103).

Fig. 4.39. Coppa Nevigata. Veduta dall’alto delle torri con fronte semicircolare, databili al Protoappenninico con rifacimenti del periodo Appenninico (da CAzzeLLA,MosCo-Loni 1999, p. 106).

Fig. 4.40. Le tracce del villaggio neolitico di Passo di Corvo in una foto RAF del 1943, edita da J.B. Bradford (da FrAnChinrADCLiFFe 2006, p. 72).

Fig. 4.41. Passo di Corvo. Veduta aerea dello scavo di un settore del villaggio (da trAverso 1999, p. 94).

Fig. 4.42. Passo di Corvo. Planimetria della capanna absidata e ricostruzione dell’elevato (da trAverso 1999, p. 95).

Fig. 4.43. Passo di Corvo. Statuine femminili rinvenute durante gli scavi; probabilmente rap-presentano la “Dea Madre” o la “Madre Terra” (da trAverso 1999, p. 97).

Fig. 4.44. Un settore del villaggio neolitico di Passo di Corvo in una immagine aerea obliqua. Al centro, le strutture del Parco Archeologico (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 4.45. Parco Archeologico di Passo di Corvo. Ricostruzione di una scena di vita (da trA-verso 1999, p. 12).

Fig. 4.46. Leporano. Veduta aerea del promontorio costiero fra le baie di Porto Pirrone e Porto Saturo (da Sguardo di Icaro 2003, p. 227, fig. 423).

Fig. 4.47. Torre Castelluccia. Veduta aerea verticale della baia (da Sguardo di Icaro 2003, p. 231, fig. 427).

Fig. 4.48. Torre Castelluccia. Planimetria dell’area di scavo del villaggio protostorico (da Fe-DeLe,ALessio,DeLMonACo 1992, p. 62, fig. 28).

Fig. 4.49. Rocavecchia. Immagine aerea obliqua del promontorio costiero. Sulla destra, l’an-damento semilunato delle fortificazioni del Bronzo Medio; al centro, in evidenza, l’area degli scavi recenti (foto A. Rizzo, Archivio LabTAF).

Fig. 4.50. Rocavecchia. Disco solare in lamina d’oro proveniente da ripostigli scavati nella c.d. “capanna-tempio” (da PAGLiArA,GuGLieLMino 2005, p. 315, fig. II.220).

Fig. 4.51. Schema planimetrico della Grotta dei Cervi con l’indicazione delle zone in cui sono stati ritrovati i dipinti (PU 902, Catasto delle Grotte Pugliese, a cura della Federa-zione Speleologica Pugliese; elaborazione: M. Sammarco).

Fig. 4.52. Grotta dei Cervi. Il pittogramma che rappresenta il cosiddetto “stregone” (foto M. Parise).

Cap. V. età grecA

Fig. 5.1. Scoglio del Tonno. Frammento di giara “a staffa” di forma globulare databile al XII-XI sec. a.C. (Tardo Elladico IIIC ) (da vAGnetti,betteLLi 2005, p. 293, II.149).

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Capitolo XI 529

Fig. 5.2. Torre Santa Sabina. Brocca in argilla depurata databile al XV-XIV sec. a.C. (Tardo Elladico IIIA ) (da vAGnetti,betteLLi 2005, p. 295, II.160).

Fig. 5.3. I più importanti insediamenti sia greci che indigeni situati lungo i confini della cho-ra di Taranto (elaborazione S. Landriscina, Archivio LabTAF).

Fig. 5.4. I principali insediamenti della Daunia (elaborazione S. Landriscina, Archivio Lab-TAF).

Fig. 5.5. I principali insediamenti della Peucezia (elaborazione S. Landriscina, Archivio Lab-TAF).

Fig. 5.6. I principali insediamenti della Messapia (elaborazione S. Landriscina, Archivio LabTAF).

Fig. 5.7. Arpi. Antefissa del tipo a testa di Gorgone, databile al V sec. a.C. (da MAzzei 1995b, p. 47, fig. 22).

Fig. 5.8. Herdonia. Veduta generale di parte dell’abitato indigeno, in primo piano un ambien-te a pianta rettangolare in mattoni crudi (da Mertens 1995, pp. 54-55, fig. 33).

Fig. 5.9. Vasi geometrici di produzione locale, del VI sec. a.C., da una tomba di Herdonia (da Mertens 1995, p. 117, fig. 84).

Fig. 5.10. Salapia. Tombe a enchytrismos dell’età del Ferro (da LiPPoLis,GiAMMAtteo2008, p. 89).

Fig. 5.11. Arpi. Tomba “a grotticella” in cui è visibile il dromos, la chiusura della porta ancora in posto e la camera priva della volta (Arpi scavo 2005, Tomba 5, Archivio Lab-TAF).

Fig. 5.12. Arpi. Ipogeo della Medusa: ingresso (fine IV-inizi III sec. a.C.) (da MAzzei 1995b, p. 97).

Fig. 5.13. Stele funeraria in pietra databile al VI sec. a.C (Manfredonia, Museo Archeologico Nazionale del Gargano) (da nAvA 1988, p. 146).

Fig. 5.14. Ruvo di Puglia, Museo Archeologico Nazionale “Jatta”. Cratere a volute a figure rosse di produzione attica, attribuito al Pittore di Talos (fine V sec. a.C.) (da DiPALo 1987).

Fig. 5.15. Ruvo di Puglia, Collezione Lagioia (Milano, Civico Museo Archeologico). Attin-gitoio subgeometrico di produzione peuceta, realizzato al tornio lento (metà del VI sec. a.C.) (da E. CALAnDrA, La ceramica indigena. Ceramica indigena di derivazio-ne greca nella Puglia settentrionale e centrale, in Miti greci 2004, p. 144, fig. 109).

Fig. 5.16. Ruvo di Puglia (Collezione Banca Intesa). Cratere a volute apulo a figure rosse con scena di amazzonomachia, officina dei Pittori della Patera e di Baltimora (340-320 a.C.) (da M. CAstoLDi, Il mestiere del vasaio e la destinazione dei vasi. Tecniche produttive e funzioni della ceramica figurata, in Miti greci 2004, p. 178, fig. 150).

Fig. 5.17. Ruvo di Puglia. Tomba delle Danzatrici: lastra dipinta con scena di danza funebre. Fine V-prima metà IV sec. a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale) (da http://

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530 Referenze Iconografiche

marcheo.napolibeniculturali.it).

Fig. 5.18. Ruvo di Puglia. Sostegni in oro per balsamari databili al VI-V sec. a.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale) (da Magna Grecia 1996, p. 141).

Fig. 5.19. Ruvo di Puglia. Orecchino in lamina d’oro con decorazione in filigrana, granulazio-ne e pulviscolo, databile al VI-V sec. a.C. (Londra, British Museum) (daMontAnA-ro 2006, pp. 58-59, fig. 3.7).

Fig. 5.20. Cavallino, Fondo Pero, zona B. Planimetria generale delle abitazioni di VI sec. a.C (da C. notArio, Edilizia domestica, in D’AnDriA 2005, p. 48).

Fig. 5.21. Rudiae. Tratto nord-occidentale delle mura in opera quadrata (prima metà IV sec. a.C.); in primo piano le sottofondazioni in grandi blocchi (Archivio LabTAF 2011).

Fig. 5.22. Rocavecchia. Restituzione aerofotogrammetrica finalizzata; in rosso il circuito mu-rario e i resti archeologici, in rosa le tracce dei fossati esterni (restituzione F. Piccar-reta-G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 5.23. Rocavecchia. Tratto settentrionale della cinta muraria in opera quadrata di calcare (IV-III sec. a.C.) (foto D. De Giosa).

Fig. 5.24. Vereto. Tratto sud-occidentale della cinta muraria in opera quadrata, visibile alla base di un imponente muro a secco (foto M. Sammarco, Archvio LabTAF).

Fig. 5.25. Montesardo. Resti delle mura sotto le fortificazioni cinquecentesche (foto F. De Luca).

Fig. 5.26. Castro. Veduta aerea del promontorio su cui si sviluppa l’insediamento (foto O. Braasch 2006).

Fig. 5.27. Castro. Il tracciato delle fortificazioni aragonesi che ricalca il circuito murario di epoca messapica, i numeri indicano i rinvenimenti archeologici (da C.DeMitri, Castro. Lo scavo in località Muraglie: nuovi dati sul circuito murario di età messa-pica, in D’AnDriA 2009, p. 122, fig. 1).

Fig. 5.28. Ceglie Messapica. Foto aerea verticale: le frecce indicano i resti e le tracce della cerchia muraria messapica (Archivio IGM, volo anno 1955).

Fig. 5.29. Ceglie Messapica. Schema planimetrico dell’insediamento messapico (da sCArDoz-zi 2003c, fig. 589).

Fig. 5.30. Baia di Leuca, Punta Ristola. L’area antistante l’ingresso a Grotta Porcinara (foto M. Parise).

Fig. 5.31. Ugento. Statua di Zeus in bronzo, alta quasi 70 cm, rinvenuta insieme al capitello in pietra leccese su cui doveva essere collocata; databile nella seconda metà del VI sec. a.C. (da D’AnDriA,DeLL’AGLio 2002, p. 37).

Fig. 5.32. Rocavecchia. Grotta della Poesia (a sin. nell’immagine): la grotta-santuario, situata all’interno del circuito murario di età messapica, fa parte di un complesso di cavità di origine carsica collegate tra loro, è priva della volta e invasa dall’acqua (foto M. Guaitoli, Archivio LabTAF).

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Capitolo XI 531

Fig. 5.33. Rocavecchia. Grotta della Poesia: l’attuale ingresso alla grotta (Foto R. Scarano).

Fig. 5.34. Rocavecchia. L’interno di Grotta della Poesia con il sistema di passerelle che con-sente di analizzare le iscrizioni graffite sulle pareti (Foto R. Scarano).

Fig. 5.35. Rocavecchia. Particolare delle iscrizioni graffite sulle pareti di Grotta della Poesia (da PAGLiArA,GuGLieLMino 2005, p. 303, fig. 8).

Fig. 5.36. Baia di Torre dell’Orso, Grotta di San Cristoforo. Situata all’estremità meridionale della baia, la cavità venne scavata nel banco di calcarenite nel IV sec. a.C., anche se i materiali rinvenuti nel terrazzo artificiale antistante permettono di ipotizzare una frequentazione dell’area in età arcaica; sulle pareti si trovano iscrizioni e graffiti databili dal I sec. a.C. al XIII secolo. Alla fine dell’Ottocento il De Simone fece pre-levare alcune delle iscrizioni, provocando il danneggiamento della maggior parte dei testi (foto M. Gigante).

Fig. 5.37. Cavallino. Trozzella a decorazione bicroma (inizi V sec. a.C.) (da MeLissAno 2005, p. 73).

Fig. 5.38. Cavallino, Fondo Maratunde. Cippo in calcare locale con iscrizione messapica di età arcaica (fine VI-inizi V sec. a.C.) (da D’AnDriA 2005, p. 84).

Fig. 5.39. Valesio. Lastra di calcare con iscrizione funeraria messapica, pertinente a una tomba a cassone (fine IV-inizi III sec. a.C.) (da DesiMone,MArChesini2002, pp. 101-102).

Fig. 5.40. Asse di Uzentum con testa femminile bifronte / Herakles coronato da Nike alata e iscrizione OZAN (II sec. a.C.) (da “Triton Sale” V (15.01.2002), lot. 58).

Fig. 5.41. Tiati-Teanum Apulum. Ricostruzione dell’edificio sacro del “Regio Tratturo” (da MAzzei 2004, p. 88).

Fig. 5.42. Tiati-Teanum Apulum. Il c.d. “Torrione”, monumento funerario romano (seconda metà I a.C.- inizi I sec. d.C.) ubicato all’esterno della città romana (da MAzzei 2004, p. 91).

Fig. 5.43. Tiati-Teanum Apulum. La c.d. “ Chiesa di Civitate”, torre di fortificazione dell’abi-tato medievale (da MAzzei 2004, p. 86).

Fig. 5.44. Arpi. La città antica in una foto del 1954: le frecce indicano il percorso della cinta muraria antica e dei fossati difensivi (da GuAitoLi 2003b, p. 187, fig. 346).

Fig. 5.45. Arpi. Cartografia finalizzata: in rosso le fortificazioni e la viabilità interna, in aran-cio le tracce dei grandi assi stradali (da GuAitoLi 2003b, p. 190, fig. 352).

Fig. 5.46. Arpi. Foto aerea del 1954: particolare della zona nord-occidentale della città in cui sono visibili le tracce della viabilità interna particolarmente tortuosa, in basso a sinistra la freccia indica la traccia dell’aggere e di una porta (da GuAitoLi 2003b, p. 191, fig. 354).

Fig. 5.47. Salapia. Schema grafico generale (da GuAitoLi 2003a, p. 122, fig. 226).

Fig. 5.48. L’area archeologica di Salapia in un mosaico IGM del giugno 1955. Ben visibile la situazione topografica generale, i due bacini impaludati a est e a ovest dell’abitato,

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532 Referenze Iconografiche

le fortificazioni e la viabilità esterna (da GuAitoLi 2003a, p. 122, fig. 225).

Fig. 5.49. Veduta aerea obliqua degli scavi di Salapia del 1968. Le ricerche hanno documen-tato l’utilizzo dell’area della seconda penisola prima come abitato (VIII sec. a.C.) e poi come necropoli (fine VI-III-II a.C.) (foto Soprintendenza Archeologica della Puglia, da GuAitoLi 2003a, p. 122, fig. 224).

Fig. 5.50. Ascoli Satriano. Planimetria del santuario sulla collina del Serpente (da MAzzei 2004, p. 73).

Fig. 5.51. Ascoli Satriano. Ricostruzione assonometrica della casa n. 1 di località Serpente (da FAbbri,osAnnA 2002).

Fig. 5.52. Ascoli Satriano. Leone collocato nei pressi di Piazza Duomo (da MAzzei 2004, p. 74).

Fig. 5.53. Ascoli Satriano. Bassorilievo funerario di epoca romana reimpiegato presso l’Arco dell’Orologio (da MAzzei 2004, p. 76)

Fig. 5.54. Canne. Veduta prospettica dell’abitato in una foto dell’Aeronautica Militare scattata nel 1962 (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 5.55. Barletta. Pianta della città del 1793 di G. Pastore: sono rappresentati i maggiori mo-numenti della città ed evidenziate in nero le principali chiese (da D’erCoLe 1990, tav. 34).

Fig. 5.56. Barletta. Il “Colosso di Barletta” e un particolare del volto incorniciato dal diadema in perle (da testini 1973, figg. 2 e 3).

Fig. 5.57. Ruvo di Puglia. Foto aerea obliqua del centro storico con l’espansione edilizia otto-centesca; l’asse principale della città ricalca il percorso dell’antica via Traiana (da CivitA 1993, p. 168, fig. 123).

Fig. 5.58. Ruvo di Puglia. Iscrizione con dedica a Gordiano III, databile al 239 d.C., collocata alla base della Torre dell’Orologio in Piazza Menotti Garibaldi (foto G. Caldarola).

Fig. 5.59. Ruvo di Puglia. In primo piano mosaico pavimentale riferibile alla domus rinvenuta durante gli scavi sotto la cattedrale (foto G. Caldarola).

Fig. 5.60. Bari. Foto aerea del 1943: 1. Basilica di San Nicola; 2. Santa Maria del Buon Con-siglio; 3. Santa Scolastica; 4. Piazza San Pietro; 5. San Francesco della Scarpa; 6. Cattedrale di San Sabino; 7. Piazza Federico II; 8. Castello svevo; 9. Piazza Mer-cantile (Archivio IGM).

Fig. 5.61. Bari, rione Sant’Angelo: tombe del V-IV sec. a.C. messe in luce nel 1929 (da An-DreAssi,rADinA 1988, fig. 490).

Fig. 5.62. Ceglie del Campo. L’abitato moderno e l’area della città antica in una foto del 1947; le frecce indicano il percorso del circuito murario, ricostruibile in base ai resti rin-venuti e alle tracce da fotografia aerea (Archivio IGM).

Fig. 5.63. Ceglie del Campo. Schema ricostruttivo dell’abitato antico di Caelia: le lettere A-F indicano i resti del circuito murario, mentre la linea tratteggiata, a nord, indica il

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Capitolo XI 533

percorso ipotetico; le lettere H e M individuano le lame che delimitano a ovest e a est l’abitato antico (da MArin 1982, p. 30, fig. 5).

Fig. 5.64. Rutigliano-Azetium. Foto aerea del 1954; le frecce indicano l’andamento del circui-to murario sopravvissuto nei muretti a secco e nei limiti di coltura (Archivio IGM).

Fig. 5.65. Rutigliano-Azetium. Riutilizzo di blocchi della cinta muraria della città antica in una struttura moderna (Foto O. Frate).

Fig. 5.66. Conversano-Norba. Tratto del circuito murario realizzato in grandi blocchi di calca-re locale, visibile nei pressi del monastero di San Benedetto (foto P. Perfido).

Fig. 5.67. Conversano-Norba. Particolare del tratto del circuito murario visibile nei pressi del monastero di San Benedetto (da CAPone 2006, p. 59).

Fig. 5.68. Conversano-Norba, via Vanvitelli. Tomba a fossa scavata nel banco di roccia con defunto in posizione rannicchiata; il corredo funerario è inquadrabile alla fine del del IV sec. a.C. (da L’AbbAte 1990, p. 101, fig. 66).

Fig. 5.69. Gravina di Puglia. Sulla destra si nota parte della città moderna di Gravina, lungo il margine orientale della gravina. A sinistra, la collina di Botromagno attraversata da due tratturi (strada della Madonna delle Stelle e della Maddalena), su cui si sviluppa l’insediamento antico (foto A. Rizzo 2006, Archivio LabTAB).

Fig. 5.70. Gravina di Puglia. La collina di Botromagno, localizzazione delle aree oggetto di in-dagine archeologica. Ricerche sistematiche sono state realizzate nel 1966-1968 dalla Scuola Britannica di Roma, negli anni ’70 e ’80 dalla Soprintendenza Archeologica e da una missione congiunta dell’Università di Lancaster e dal Queen Mary College dell’Università di Londra (1979-1985). Dal 1990 al 1995 le attività di scavo si sono concentrate nella zona orientale, ai piedi del pianoro, nelle località Padre Eterno e S. Stefano, dove sono state individuate aree di necropoli (da CiAnCio 1997, tav. I).

Fig. 5.71. Altamura. Foto aerea del 1947; le frecce indicano il percorso della cinta muraria esterna (Archivio IGM).

Fig. 5.72. Altamura. Tratto della cinta muraria esterna, localizzato immediatamente a sud del-la Porta Aurea (foto R. Del Monte).

Fig. 5.73. Monte Sannace. Foto aerea del 1943; le frecce indicano il percorso dei circuiti mu-rari dell’insediamento (Archivio IGM).

Fig. 5.74. Monte Sannace. Tratto del secondo circuito murario nei pressi della porta. Si nota la tecnica costruttiva a doppia cortina con emplecton e i setti murari trasversali che legano i due paramenti (foto R. Del Monte).

Fig. 5.75. Foto aerea della città di Taranto (1943) (Archivio IGM).

Fig. 5.76. Taranto, contrada Solito-Corvisea. Resti del muro di cinta (da Taranto e il Mediter-raneo 2002, CD).

Fig. 5.77. Taranto. Resti di due strade sovrapposte scoperte in via Duomo nel 1931. La strada inferiore è di età romana e quella superiore di età bizantina; forse entrambe ricalca-

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534 Referenze Iconografiche

vano un tracciato di età greca (da PorsiA,sCionti 1989, p. 10, fig. 11).

Fig. 5.78. Aerofotogrammetrico del comune di Taranto. In rosso il probabile percorso della cinta muraria antica. A. L’insediamento di Scoglio del Tonno; B. Isola/Acropoli; C. Borgo Nuovo; D. Quartieri artigianali e necropoli urbana (rielaborazione F. De Luca).

Fig. 5.79. Taranto. Le colonne doriche del c.d. tempio di Poseidon, databile al VI sec. a.C. (da CAPone 2006, p. 68.) .

Fig. 5.80. Taranto, via Emilia. Resti del muro di cinta con blocchi iscritti (da Taranto e il Me-diterraneo 2002, CD).

Fig. 5.81. Taranto. Veduta aerea di dettaglio dell’Isola; ben visibili i due ponti che la collegano alla terraferma. Aereonautica Militare 1957 (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 5.82. Taranto, via Marche. Tombe a fossa con copertura a lastroni, relative forse a un medesimo nucleo familiare (da Taranto e il Mediterraneo 2002, CD).

Fig. 5.83. Taranto, corso Italia. Resti dell’acquedotto dell’Aqua Nymphalis durante i lavori di restauro e sistemazione realizzati nel 1987 (da Taranto e il Mediterraneo 2002, CD).

Fig. 5.84. Taranto, via Duca di Genova. Scavo della piscina esterna delle terme (da Taranto e il Mediterraneo 2002, CD).

Fig. 5.85. Li Castelli. Foto aerea scattata nel 1973; le frecce indicano l’andamento dei circuiti murari difensivi (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 5.86. Li Castelli. Veduta aerea dell’acropoli (Archivio LabTAF).

Fig. 5.87. Li Castelli. La necropoli di tombe a fossa rivestite da lastroni.

Fig. 5.88. Li Castelli. Iscrizione messapica dipinta su lastra tombale con fiaccola demetriaca (fine III sec. a.C.) (da ALessio 2000, p. 70, fig. 117).

Fig. 5.89. Manduria. Schema planimetrico dell’abitato messapico (da De sAntis 2003a, p. 312, fig. 570).

Fig. 5.90. Manduria. Cerchia muraria esterna. La doppia cortina di mura con riempimento e l’antistante fossato (da CAPone 2006, p. 31).

Fig. 5.91. Manduria. Una veduta di dettaglio della cerchia difensiva esterna, che in più punti si sovrappone a tombe con corredi inquadrabili tra IV e III sec. a.C. (da CAPone 2006, p. 32).

Fig. 5.92. Manduria. Foto aerea obliqua: ben visibile un tratto del circuito murario esterno nei pressi del convento di Sant’Antonio, lungo la circonvallazione Taranto-Lecce, a cui s’affianca il fossato, parte della necropoli e fasci di antiche carraie (Areonautica Militare 1964).

Fig. 5.93. Manduria. Il Fonte Pliniano citato da Plinio il Vecchio come “fonte prodigiosa”; si trova all’interno del circuito murario, in una grotta naturale poco profonda alla qua-le si accede da una gradinata tagliata in parte nella roccia (da CAPone 2006, p. 80).

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Capitolo XI 535

Fig. 5.94. Veduta aerea obliqua della città di Oria. Si notano l’estensione del centro storico medioevale che ricalca la città antica, l’acropoli caratterizzata dalla presenza della Cattedrale e del castello, l’espansione urbanistica moderna (foto P. Della Corte, anno 2009).

Fig. 5.95. Oria, santuario di Monte Papalucio. Vasi miniaturistici di un deposito votivo del VI sec. a.C. situato sotto la parete di roccia nella quale è scavata una grotta (da D’An-DriA 2001, p. 86).

Fig. 5.96. Oria, piazza Cattedrale. Resti di strutture murarie riferibili forse alla cinta muraria dell’acropoli; sulla sinistra della foto sono visibili alcune sepolture a fossa rivestite da lastroni databili al IV sec. a.C. (da MAruGGi 2001c, p. 12).

Fig. 5.97. Ostuni. Schema planimetrico dell’insediamento messapico (da sCArDozzi 2003a, p. 322, fig. 582).

Fig. 5.98. Ostuni. Foto aerea del 1943: le frecce indicano i resti e le sopravvivenze della cinta muraria messapica a nord-ovest, nord e nord-est del centro storico. A. Mercato Bo-ario; B. località Santo Stefano; C. località Rosara; D. ex convento del Carmine; E. piazza Libertà; F. località Spirito Santo (Archivio IGM).

Fig. 5.99. Il “monte” di Ostuni da est in una ripresa aerea Fotocielo degli anni ’60 del XX sec.: si notano il complesso di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi (1), piazza Libertà (2), l’ex Convento del Carmine (3) e l’ex Manifattura Tabacchi (Archivio AFN-ICCD)

Fig. 5.100. San Vito dei Normanni. L’abitato antico di località Alceste in una foto aerea del 1977: l’andamento curvilineo dei muretti a secco ricalca il percorso del circuito murario antico (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 5.101. San Vito dei Normanni. Abitato antico di località Alceste: strutture in blocchi rela-tive al “grande edificio” esteso su un’area di circa 700 mq e interpretato come una struttura di tipo “palaziale”; in primo piano il vano rettangolare ubicato nell’angolo nord-est (da seMerAro,MonAstero 2010, fig. 8.5).

Fig. 5.102. San Vito dei Normanni. Cripta di San Biagio: Annunciazione, particolare della testa della Vergine (da FALLACAsteLFrAnChi 1991, p. 114, fig. 97).

Fig. 5.103. San Vito dei Normanni. Cripta di San Biagio: particolare della Fuga in Egitto (da FALLACAsteLFrAnChi1991, p. 115, fig. 98).

Fig. 5.104. Muro Tenente. Foto aerea del 1972; le frecce indicano il circuito della cinta muraria dell’antico abitato (Archivio IGM).

Fig. 5.105. Muro Tenente. Foto aerea scattata nel 1986 (particolare), in evidenza l’area di scavo situata nella parte centrale della città (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 5.106. Valesio. Foto aerea (1943) dell’area della città antica; le frecce indicano il percorso della cinta muraria (Archivio IGM).

Fig. 5.107. Valesio. Restituzione aerofotogrammetrica; in rosso il circuito murario e i resti ar-cheologici (restituzione G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

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536 Referenze Iconografiche

Fig. 5.108. Valesio. Pianta degli scavi effettuati negli anni 1984-1990 in località Santo Stefano, nell’area centrale della città antica (da boersMA 1995, p. 11).

Fig. 5.109. Valesio. La cinta muraria sul lato settentrionale, in uno dei tratti meglio conservati (foto A. Merico).

Fig. 5.110. Cavallino. Restituzione aerofotogrammetrica finalizzata; in rosso il circuito murario e i resti archeologici (restituzione G. Ceraudo, V. Ferrari, F. Piccarreta; Archivio LabTAF).

Fig. 5.111. Cavallino. Fondo Casino, zona H: l’edificio H1 in corso di scavo (gennaio 2005) (da D’AnDriA 2005, p. 41).

Fig. 5.112. Cavallino. Fondo Aiera Vecchia-zona A: ricostruzione delle case di età arcaica (U. Kellersmann) (da D’AnDriA 2005, p. 41).

Fig. 5.113. Cavallino. Veduta aerea dell’insediamento (Archivio LabTAF, anno 2008).

Fig. 5.114. Cavallino. Particolare della cd. “Porta Nord-Est” (foto C. Martino).

Fig. 5.115. Muro Leccese. Schema planimetrico dell’insediamento messapico (da GiArDino,Meo 2008, p. 16).

Fig. 5.116. Muro Leccese, località Sitrie. Foto aerea del tratto nord delle mura messapiche (foto A. Rizzo 2008).

Fig. 5.117. Muro Leccese, località Palombara. Tratto delle mura messapiche (foto C. Martino).

Fig. 5.118. Muro Leccese, località Cunella. Un settore dell’abitato con impianto regolare, at-traversato da una strada fiancheggiata a Sud da un complesso residenziale (foto A. Rizzo 2008, Archivio LabTAF).

Fig. 5.119. Vaste. Cippo iscritto di età arcaica da Fondo Melliche (seconda metà del VI sec. a.C.) (da D’AnDriA,DeLL’AGLio 2002, p. 53).

Fig. 5.120. Vaste. La porta est che si apre lungo il percorso della cinta muraria in opera quadrata (foto F. Ghio).

Fig. 5.121. Vaste, Parco dei Guerrieri. La silhouette in ferro di un guerriero indigeno e, sullo sfondo, una torre in legno sono parte della rappresentazione evocativa di una scena difensiva lungo il percorso delle mura antiche (foto F. Ghio).

Fig. 5.122. Vaste. Tesoretto monetale da Fondo Sant’Antonio (da D’AnDriA 1990, p. 171).

Fig. 5.123. Ugento. La cinta muraria messapica: i numeri indicano le porte (da sCArDozzi 2007, tav. I).

Fig. 5.124. Ugento, località Sant’Antonio. Veduta della necropoli (foto G. Scardozzi).

Fig. 5.125. Ugento, località Porchiano. Resti della cortina esterna della cinta muraria messapica (foto G. Scardozzi).

Fig. 5.126. Ugento. Veduta aerea del 1968: compaiono in primo piano Torre San Giovanni (A) e in lontananza Ugento (B) (Archivio AFN-ICCD).

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Capitolo XI 537

Cap. VI. età romAnA

Fig. 6.1. Schema delle persistenze centuriali individuate nei territori antichi della Puglia e menzionati nel Liber Coloniarum I e II (Archivio LabTAF).

Fig. 6.2. Schema grafico ricostruttivo degli assi centuriali individuati nell’ager Lucerinus (da sChMieDt 1989, Tav. X).

Fig. 6.3. Resti della divisione agraria individuati nell’ager Lucerinus in località Palmori (da Jones 1987, p. 46, fig. 16).

Fig. 6.4. Territorio di Lucera. Tracce di divisione agrarie della colonia romana. Si legge con chiarezza l’asse stradale principale, marcato dalle canalette di scolo (A), di insedia-menti lungo la strada e di impianti agricoli (C). Nel territorio si notano anche tracce circolari di fossati relativi a villaggi neolitici (B e D) (da GuAitoLi 2003c, p. 469, fig. 835).

Fig. 6.5. Masseria Villano (Lucera). Tracce di divisione agraria e strutture di età romana so-vrapposte ad un piccolo recinto circolare (villaggio neolitico?): nella foto RAF 1943 edita dal Bradford, si leggono la viabilità secondaria e le diverse colture; evidenti in alto e a destra le tracce degli scassi paralleli dei vigneti e il puntinato regolare delle buche per la messa in sede di ulivi e alberi da frutto (da F. DeLuCA, Masseria Villano, in Sguardo di Icaro 2003, p. 106, fig. 192).

Fig. 6.6. Schema grafico delle attestazioni degli agri centuriati citati nel Liber Coloniarum I e II (Archivio LabTAF).

Fig. 6.7. Ipotesi ricostruttiva della centuriazione dell’ager Canusinum sulla base dei do-cumenti d’archivio e della lettura delle foto aeree (da CoMPAtAnGeLo-soussiGnAn 1994, fig. 2).

Fig. 6.8. Tavoliere di Foggia. Restituzione grafica delle griglie centuriali ipotizzate da Jones (da Jones 1980, p. 101, fig. 1).

Fig. 6.9. Ascoli Satriano. Schema grafico di un settore della centuriazione dell’antico territo-rio di Ausculum (da sChMieDt 1989, Tav. XVIII).

Fig. 6.10. Sistemi di divisione agraria che presentano medesimo modulo e orientamento nei territori di Aecae, Luceria, Arpi, Collatia, Herdonia (da CerAuDo,FerrAri 2010, p. 46, fig. 30).

Fig. 6.11. Rappresentazione tridimensionale del territorio compreso tra i torrenti Salsola e Carapelle. A) Tracce della divisione agraria dell’ager Aecanus restituita da Sch-miedt; B) restituzione fotogrammetrica delle tracce visibili nelle foto aeree verticali e restituzione grafica delle tracce dalle foto oblique alla luce delle recenti indagini aerotopografiche; C) sopravvivenze moderne della limitatio tra Aecae e Arpi; D) sintesi grafica (tracce/sopravvivenze) dei resti delle divisioni agrarie nei territori di Aecae, Luceria, Arpi, Collatia, Herdonia (da CerAuDo,FerrAri 2010, p. 132, fig. 4).

Fig. 6.12. Tracce di divisione agraria nell’ager Aecanus (da sChMieDt 1989, Tav. XIV).

Fig. 6.13. Tavoliere di Puglia. Tracce di assi centuriali e di colture d’età romana poco a est di

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538 Referenze Iconografiche

Borgo Segezia (Fg) (Archivio LabTAF).

Fig. 6.14. Tavoliere di Puglia. Tracce di assi centuriali nei pressi di Masseria Fongo, circa 6 km a sud di Foggia (Archivio LabTAF).

Fig. 6.15. Ipotesi di ricostruzione della centuriazione di Brindisi (da AProsio 2008, fig. 21).

Fig. 6.16. Ipotesi di ricostruzione della centuriazione di Ruvo e di Bitonto (da FiorieLLo 2008b, fig. 21).

Fig. 6.17. Schema tridimensionale di una parte del territorio tarantino con le indicazioni delle sopravvivenze centuriali (elaborazione grafica S. Landriscina).

Fig. 6.18. Schema tridimensionale della penisola salentina con l’indicazione delle sopravvi-venze centuriali (da PoMPiLio 2003, p. 476, fig. 848).

Fig. 6.19. Sopravvivenze di limites centuriali nella zona Lecce-Rudiae; a tratto marcato gli assi ritenuti principali, a tratto sottile le divisioni interne (da ChioCCi,PoMPiLio 1997, p. 164, fig. 124).

Fig. 6.20. Lecce. Veduta aerea prospettica del settore settentrionale dell’antica città di Rudiae. Limite centuriale che interseca la cinta muraria e sopravvive come muro a secco sia all’interno dell’area urbana che all’esterno verso Lecce (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.21. Ipotesi ricostruttiva della viabilità principale di età romana in Puglia (elaborazione G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.22. Veduta prospettica della città di Troia, l’antica Aecae, sullo sfondo Lucera (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.23. Veduta aerea prospettica di Gravina (Bari). Sullo sfondo è visibile l’insediamento di Botromagno (foto A. Rizzo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.24. Altamura. Tracce della via Appia presso Masseria Domini (da DALenA 2003).

Fig. 6.25. Veduta dei resti della via Appia nei pressi di Taranto (da DALenA 2003).

Fig. 6.26. Stralcio cartografico del territorio compreso tra San Vito dei Normanni, Latiano, Mesagne e Brindisi, con il posizionamento delle evidenze archeologiche rinvenute nei pressi del tratto terminale della via Appia (da CerA 2008b, p. 144, fig. 12).

Fig. 6.27. Il territorio a sud-ovest di Bari (A) in una foto aerea del VB 1955 dagli archivi IGM. Le frecce con il n. 1 indicano il percorso della via Minucia/Traiana a ovest di Bi-tonto (B); con il n. 2 il tracciato della via Traiana da Bitonto a Bari (in D la località Misciano nei pressi della Lama Balice); il n. 3 indica la moderna S.P. 231 possibile sopravvivenza della via Minucia tra Bitonto e Modugno (C); le frecce con il n. 4 indicano la possibile traccia da sopravvivenza della via Gellia (l’asterisco indica il luogo di rinvenimento del cippo miliario in località Masseria Lo Iacono) (da CerAu-Do 2008c, p. 194, fig. 4).

Fig. 6.28. Manduria. Venduta prospettica della cinta muraria e di un settore della necropoli, inizio anni ’60 (DesAntis 2003, p. 315, fig. 573).

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Capitolo XI 539

Fig. 6.29. Cerignola. Colonna miliaria della via Traiana (da CerAuDo 2008a, p. 54, fig. 22).

Fig. 6.30. Denario di Traiano della zecca di Roma, in cui è raffigurata al rovescio la personifi-cazione della via Traiana (archivio LabTAF).

Fig. 6.31. Foto verticale del maggio 2008. A sinistra la città di Troia, l’antica Aecae con il percorso della via Traiana che, prima di arrivare in città da ovest, sopravvive nel Tratturo Foggia-Camporeale, in uscita in direzione est nel Tratturo dell’Incoronata. A destra è visibile il sito della villa romana in località Muro Rotto, a ridosso del Tratturo San Paolo e della statio di Ad Pirum in località Perazzone (da CerAuDo,FerrAri 2010, pp. 26-27, fig. 10).

Fig. 6.32. Foto aerea verticale (RAF 1943) in cui è indicato dalle frecce il percorso della via Traiana in ingresso alla città di Bari (da CerAuDo 2008c, p. 197, fig. 6).

Fig. 6.33. Resti del viadotto della via Traiana sull’antico letto del fiume Carapelle nei pressi di Herdonia (in alto; foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF) e ricostruzione 3D (elabo-razione I. Ferrari).

Fig. 6.34. Veduta aerea storica del territorio di Herdonia (AM 1962): ben evidenti i ruderi del pilone del ponte (A), attraverso il quale la via Traiana oltrepassava l’antico letto del Carapelle (B). A est del moderno corso del Carapelle sono visibili le tre colline su cui si estendeva la città di Herdonia e la traccia della via Traiana in uscita dalla città (C) (da CerAuDo 2008a, pp. 46-47, fig. 35).

Fig. 6.35. Veduta aerea prospettica del ponte sul fiume Ofanto nei pressi di Canosa (da CerAu-Do 2003, p. 452, fig. 814).

Fig. 6.36. Trani, villa comunale. Alcuni miliari della via Traiana (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.37. Cerignola. Iscrizioni appartenenti ad un ponte della via Traiana rinvenute nei pressi del Canale Marana Castello (da siLvestrini 1999, pp. 88-89).

Fig. 6.38. Mesagne. Colonna miliare della via Traiana (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.39. Otranto. Basi iscritte di due statue onorarie dedicate a Marco Aurelio e a Lucio Vero (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.40. Herdonia. Particolare dell’area centrale della città con i resti del basolato della via Traiana che, in corrispondenza dell’angolo settentrionale del foro, piega ad angolo retto in direzione della Porta Nord-Est (da CerAuDo 2008a, p. 51, fig. 39).

Fig. 6.41. Egnazia. La via Traiana nel suo percorso urbano (foto L. Pradella).

Fig. 6.42. Breve tratto glareato della via Traiana scavato di recente dalla SBAP nei pressi di Posta San Nicola, in località Masseria Ponte Albanito (Foggia) (foto F. Rossi).

Fig. 6.43. La via per compendium presso Mottola (da DALenA 2003).

Fig. 6.44. Foto aerea prospettica di un settore a nord di Egnazia. In primo piano sono visibili resti di carraie appartenenti alla via Traiana (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.45. Foto aerea obliqua del territorio compreso tra Lecce e San Cataldo, nei pressi di

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540 Referenze Iconografiche

Masseria Ramanno. Sono evidenti fasce di carraie nei punti in cui la roccia è affio-rante (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.46. Antica carraia nei pressi di Martano (da CerAuDo 2008b, p. 35).

Fig. 6.47. Stralcio della Tabula Peutingeriana in cui è visibile, nella fascia centrale, la viabili-tà principale in Italia centro-meridionale (da CerAuDo 2008a, p. 62, fig. 49).

Fig. 6.48. Carta dei principali porti antichi (elaborazione S. Landriscina, Archivio LabTAF).

Fig. 6.49. Veduta aerea prospettica dell’area archeologica di Egnazia e il suo porto (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.50. Veduta aerea prospettica del porto moderno di Otranto (Archivio LabTAF).

Fig. 6.51. L’area archeologica di Sipontum. Sullo sfondo il porto moderno di Manfredonia (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.52. Pianta schematica di Sipontum e del suo territorio con la ricostruzione della laguna interna (elaborazione G. Caldarola da MAzzei 1999, p. 22, fig. 8, Archivio LabTAF).

Fig. 6.53. Resti del porto antico di Sipontum nell’area della “sorgente Manzini” (foto G. Ce-raudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.54. Il porto moderno di Bari (foto R. Guglielmi).

Fig. 6.55. Il porto antico di Egnazia con resti dei due moli visibili in mare (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.56. Il porto antico di Egnazia. Rilievo dei moli (da Mare d’Egnazia 1982, fig. 82, p. 109).

Fig. 6.57. Egnazia, insenatura meridionale. Prospetto meridionale del plinto B (foto cortesia R. Auriemma).

Fig. 6.58. Egnazia. Schema ricostruttivo della tecnica e delle fasi edilizie del molo meridiona-le (da AurieMMA 2004, p. 52, fig. 35).

Fig. 6.59. Brindisi. Immagine aerea verticale del 1943 in cui sono ben visibili i due bracci di mare che definiscono l’area della città antica (archivio IGM 1943).

Fig. 6.60. Brindisi, veduta panoramica del porto. In primo piano il “Seno di Ponente” (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.61. Otranto. Veduta aerea prospettica dell’area del borgo antico e del porto (foto Archi-vio LabTAF).

Fig. 6.62. Pianta del Mar Piccolo di Taranto disegnata dal Pacelli nel 1807 (CArLone,bLAsi 1987, fig. 24).

Fig. 6.63. Tabula Peutingeriana. Particolare del tratto di costa tra Sipontum e Barium (Archi-vio LabTAF).

Fig. 6.64. San Cataldo. Veduta aerea prospettica del molo romano e dell’imponente antemu-rale a forma di L realizzato nei primi anni del Novecento (foto di M. Sammarco,

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Capitolo XI 541

Archivio LabTAF).

Fig. 6.65. San Cataldo. Planimetria generale e prospetti del molo d’età romana (elaborazione S. Marchi).

Fig. 6.66. Il molo romano di San Cataldo. Prospetto sud-occidentale (foto M. Sammarco).

Fig. 6.67. Castro. Veduta aerea prospettica del promontorio dove si sviluppò il centro antico e dell’area portuale (foto Archivio LabTAF).

Fig. 6.68. Veduta aerea prospettica della baia di San Gregorio. Sullo sfondo la collina di Vere-to (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 6.69. San Gregorio. Veduta aerea del promontorio est. Indicato dalla freccia, l’antemurale sommerso (foto G. Negro).

Fig. 6.70. Leuca. Veduta aerea prospettica di Punta Meliso e dell’ampio bacino portuale mo-derno (foto Archivio LabTAF).

Fig. 6.71. Veduta aerea obliqua dell’insenatura antistante la Grotta di Capelvenere (foto M. Sammarco, Archivio LabTAF).

Fig. 6.72. Il promontorio di Torre Guaceto e un tratto della costa a nord (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.73. Veduta aerea prospettica del breve promontorio di San Foca (foto M. Sammarco, Archivio LabTAF).

Fig. 6.74. Veduta aerea prospettica del tratto di costa a sud di Rocavecchia con la Grotta della Poesia (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.75. Iscrizione latina votiva sulle pareti della Grotta di San Cristoforo (Archivio Labora-torio di Scienze applicate all’archeologia).

Fig. 6.76. Carta dei principali centri d’età romana citati nel testo (elaborazione S. Landrisci-na).

Fig. 6.77. Pianta della colonia di Luceria.

Fig. 6.78. Sipontum. Planimetria generale della città romana (da CALDAroLAet alii 2011, p. 360, fig. 1).

Fig. 6.79. Herdonia. Tracce ed evidenze archeologiche della città antica e della viabilità prin-cipale su base aerofotogrammetrica (in CerAuDo 2008a, p. 53, fig. 41).

Fig. 6.80. Bovino. Immagine aerea della città (foto M. Sammarco, Archivio LabTAF).

Fig. 6.81. Foto aerea prospettica di Canosa e della valle dell’Ofanto (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 6.82. Brundisium. Schema ricostruttivo dell’impianto urbanistico d’età romana (elabora-zione da LiPPoLis,bALDiniLiPPoLis 1997).

Fig. 6.83. Egnazia. Veduta aerea prospettica di un settore abitativo, dell’area del foro e dell’an-fiteatro; al centro, la via Traiana (foto di G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.84. Canusium. Pianta della città romana (da CAssAno 1992a, p. 695).

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542 Referenze Iconografiche

Fig. 6.85. Lucera. Anfiteatro (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.86. Herdonia. Veduta prospettica dei resti della città antica (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.87. Bovino. Resti dell’acquedotto di età romana (foto S. Landriscina).

Fig. 6.88. Rudiae. Veduta prospettica (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.89. Lecce. Il centro storico (foto Archivio LabTAF).

Fig. 6.90. Troia. Il tracciato della via Traiana, ricalcato dall’attuale corso Regina Margherita, è ben visibile (come traccia da sopravvivenza) in questa veduta aerea prospettica del centro urbano; in primo piano, il settore orientale dell’abitato (da CAstriAnni 2008, p. 77, fig. 59).

Fig. 6.91. Troia. Lastra onoraria in marmo, riutilizzata come mola, attualmente conservata al Museo Civico (da CAstriAnni 2008, p. 95, fig. 88).

Fig. 6.92. Troia. Carta delle evidenze archeologiche di Aecae (da CAstriAnni2008, p. 81, fig. 62).

Fig. 6.93. Troia. Ex castello Normanno visto da sud-ovest (da CAstriAnni2008, p. 84, fig. 65).

Fig. 6.94. Herdonia. Veduta aerea prospettica della città da sud-ovest, in cui è visibile la trac-cia da vegetazione della via Traiana (in alto), della via extra-muranea di collega-mento tra la Porta Nord e la Porta Sud-Ovest (al centro) e un asse di raccordo alla via Herdonitana (in basso) (da CerAuDo2008a, p. 50, fig. 38).

Fig. 6.95. Herdonia. Basi onorarie presso l’area del foro (foto S. Landriscina).

Fig. 6.96. Herdonia. Particolare del basolato della via Traiana che attraversa la città (foto S. Landriscina).

Fig. 6.97. Herdonia. Particolare dell’area centrale della città con i resti del basolato della via Traiana che in corrispondenza del foro piega ad angolo retto in direzione della Porta Nord-Est (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.98. Herdonia. Pianta generale dell’area centrale con l’assetto urbanistico d’età romana (da Mertens,voLPe 1999, p. 35, fig. 26).

Fig. 6.99. Lucera nel 1955 (Archivio IGM).

Fig. 6.100. Lucera. Foto aerea prospettica del centro urbano (foto G. Ceraudo, Archivio Lab-TAF).

Fig. 6.101. Lucera. Immagine prospettica del 2007, in primo piano l’anfiteatro romano (foto S. Landriscina).

Fig. 6.102. Lucera, Museo Civico. Statuette di gladiatori dalla necropoli scoperta nell’area dell’odierno cimitero (da MAzzei 2004, p. 47).

Fig. 6.103. Salapia, particolare dell’area urbana. Sono evidenti la fortificazione ad aggere con terrapieno e fossato esterno e le porte. Infine le tracce della viabilità extraurbana (foto M. Guaitoli, Archivio LabTAF).

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Capitolo XI 543

Fig. 6.104. Abitato di Salapia romana presso le saline di Trinitapoli e schema grafico generale dell’area (in alto a destra). Nella foto verticale IGM 1955 (in alto a sinistra) sono evidenti i limiti nord-occidentale e orientale del recinto che delimitava l’area urba-na (B) e la fortificazione dell’acropoli (A); le frecce indicano la traccia di un asse stradale proveniente da sud-est e che attraversava l’abitato procedendo in direzione dell’acropoli. In un dettaglio dello stesso fotogramma (in basso a sinistra) è visibi-le una traccia riconducibile, probabilmente, alla presenza di una torre con fossato esterno. In basso a destra un dettaglio dell’acropoli in una foto AM 1968 (da Genti-Le 2011, p. 183, fig. 7).

Fig. 6.105. Veduta aerea prospettica della città antica di Sipontum (A) e della laguna bonificata (B e C) (Archivio AFN-ICCD).

Fig. 6.106. Sipontum. Restituzione aerofotogrammetrica finalizzata della città antica (Foto-grammetria G. Ceraudo).

Fig. 6.107. Siponto. Immagine aerea obliqua del settore nord-orientale della città antica. Sono ben evidenti tracce archeologiche relative alla cinta muraria (A) e all’edificio ellit-tico dell’anfiteatro (B) (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.108. Siponto. Le strutture in opera reticolata reimpiegate nelle murature di Masseria Gar-zia (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.109. Pianta schematica della città romana di Vibinum-Bovino (da Mertens 1999, p. 100, fig. 2).

Fig. 6.110. Vibinum. Ipogei rilevati nel centro urbano (da Mertens 1999, p. 103, fig. 6).

Fig. 6.111. Bovino. Resti di un’arcata dell’acquedotto (da Mertens 1999, p. 107, fig. 10).

Fig. 6.112. Bovino. Sfinge funeraria (età tardorepubblicana-augustea) dalla necropoli di locali-tà Campo (da bovino.musenet.it/oggetti-3D).

Fig. 6.113. Canosa. Veduta aerea prospettica della città: in alto l’area dell’acropoli, parte antica del paese, in cui sono visibili i ruderi del castello medievale che incorpora i resti di un bastione di epoca romana (foto G. Ceraudo, archivio LabTAF).

Fig. 6.114. Canosa. Statua femminile rinvenuta nell’ipogeo Scocchiera B, oggi conservata presso il Museo Archeologico di Bari (da CAssAno 1992a, p. 235, fig. 7).

Fig. 6.115. Canosa. Arco onorario in laterizio di II sec. d.C. (foto S. Landriscina).

Fig. 6.116. Canosa. Veduta aerea prospettica del ponte romano sul fiume Ofanto (foto G. Ce-raudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.117. Egnazia (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.118. Egnazia. La cinta muraria nel settore settentrionale (foto V. Randino).

Fig. 6.119. Egnazia. L’acropoli (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.120. Egnazia. L’area centrale (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.121. Egnazia. La via Traiana (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

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544 Referenze Iconografiche

Fig. 6.122. Brindisi. Le cosiddette colonne terminali delle vie Appia e Traiana che dominano il porto della città antica e moderna (foto G. Ceraudo, archivio LabTAF).

Fig. 6.123. Brindisi. Capitello di una delle colonne (foto G. Ceraudo, archivio LabTAF).

Fig. 6.124. Brindisi, via dei Cappuccini. Corredo della tomba 177 (da CoCChiAro 1984, tav. XI).

Fig. 6.125. Brindisi. Torso loricato rinvenuto nelle vicinanze di Piazza Mercato, area del foro monumentale della città romana (da MArinAzzo 2004, p. 183, fig. 112).

Fig. 6.126. Lecce. Veduta aerea della città da nord-ovest. In primo piano la Porta Napoli (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.127. Le mura di Lecce (Lecchie) in un disegno della fine del sec. XVI. Napoli, Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” (CAzzAto 1989, fig. 32).

Fig. 6.128. Lecce. Veduta aerea obliqua di un settore del centro storico con il teatro e l’anfitea-tro (foto archivio LabTAF).

Fig. 6.129. Lecce. Veduta dell’anfiteatro dall’alto (foto G. Caldarola).

Fig. 6.130. Lecce. Il teatro romano (da PrAnzo 2008, p. 66).

Fig. 6.131. Rudiae. Restituzione aerofotogrammetrica dell’area archeologica (restituzione F. Piccarreta, Archivio LabTAF).

Fig. 6.132. Rudiae. Il settore nord-occidentale delle mura (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 6.133. Rudiae. Strada basolata nel Fondo Acchiatura (foto Archivio LabTAF).

Fig. 6.134. Rudiae. Anfiteatro (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Cap. VII. dAll’età tArdoAntIcA Al bAsso medIoevo

Fig. 7.1. Età medioevale. Carta delle principali località citate nel testo (elaborazione S. Lan-driscina, Archivio LabTAF).

Fig. 7.2. Rutigliano, Masseria Purgatorio. La chiesa di Sant’Apollinare, nei cui pressi sono state rinvenute alcune tombe altomedievali, sorge sui resti di una villa abbandonata in età tardoantica. (da LePore 2004a, p. 110, fig. 70).

Fig. 7.3. Oria. Chiesa di Santa Maria di Gallana: veduta del prospetto e delle coperture (da berteLLi 2004, p. 255).

Fig. 7.4. Campi Salentina. Chiesa di Santa Maria dell’Alto, zona absidale (da berteLLi 2004, p. 266).

Fig. 7.5. Vaste. Chiesa di Fondo Giuliano, caratterizzata da più fasi costruttive comprese tra la fine del IV e il IX secolo (da MeLissAno 2010, p. 22).

Fig. 7.6. San Donaci, Masseria Ponticello. Il tempietto di San Miserino (da LePore 2004b, p. 244, fig. 219).

Fig. 7.7. Fasano. Chiesa di San Pietro della Masseria Seppannibale Grande (foto M. Limon-celli).

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Capitolo XI 545

Fig. 7.8. Otranto. Ruderi di San Nicola di Casole (foto M. Limoncelli).

Fig. 7.9. Ruvo di Puglia. La cattedrale (foto G. Caldarola).

Fig. 7.10. Ruvo di Puglia. Particolare del portale della cattedrale (foto G. Caldarola).

Fig. 7.11. Foggia. Particolare del portale del Palazzo di Federico II (foto E. Lapadula).

Fig. 7.12. Ginosa. Insediamento in rupe del quartiere Rivolta (foto M. Parise).

Fig. 7.13. Massafra. Insediamento rupestre della Madonna della Scala (foto M. Parise).

Fig. 7.14. Mottola, Cripta di San Nicola. Il Santo eponimo (foto M. Parise).

Fig. 7.15. Vaste, Cripta dei Santi Stefani. La complessa planimetria a croce greca articolata in nove campate (da DeLL’AQuiLA,MessinA 1998, p. 68, fig. f).

Fig. 7.16. Bari, Chiesa di Santa Candida. La chiesa presenta una planimetria spiccatamente a ventaglio (da DeLL’AQuiLA,MessinA 1998, p. 46, fig. b).

Fig. 7.17. Monopoli, cripta dei SS. Andrea e Procopio. L’ingresso con iscrizione dedicatoria collocata sulla lunetta (foto M. Sammarco).

Fig. 7.18. Giurdignano, cripta di San Salvatore. Interno (foto M. Sammarco).

Fig. 7.19. Carpignano, cripta delle Sante Marina e Cristina. Abside meridionale con Annun-ciazione e Cristo in trono (da FALLACAsteLFrAnChi 2004c, p. 210).

Fig. 7.20. Mottola, Casale Petruscio. Abitazioni con planimetria a ventaglio (da CAPrArA2001, p. 176, fig. 61).

Fig. 7.21. Monte Sant’Angelo, santuario di San Michele Arcangelo. Porta di bronzo datata al 1076 (foto E. Lapadula).

Fig. 7.22. Monte Sant’Angelo, santuario di San Michele Arcangelo. Campanile (foto E. Lapa-dula).

Fig. 7.23. Monte Sant’Angelo. La Torre dei Giganti (foto E. Lapadula).

Fig. 7.24. Torremaggiore, insediamento di Castel Fiorentino. L’area archeologica (foto E. La-padula).

Fig. 7.25. Torremaggiore, insediamento di Castel Fiorentino. La torre (foto E. Lapadula).

Fig. 7.26. Siponto. Veduta aerea della chiesa paleocristiana a pianta basilicale rinvenuta negli scavi e della chiesa medievale di Santa Maria (foto M. Guaitoli, Archivio LabTAF).

Fig. 7.27. Siponto, chiesa di San Leonardo. Portale laterale (foto E. Lapadula).

Fig. 7.28. Lucera. Veduta aerea del castello (foto S. Landriscina).

Fig. 7.29. Lucera, il castello. Le torri delle mura di età angioina (da FonseCA 1997).

Fig. 7.30. Lucera. Piatto in protomaiolica con decorazione zoomorfa (fine XIII-XIV secolo) (da PietroPAoLo,toCCi2003).

Fig. 7.31. San Giusto (Lucera). Veduta aerea del sito all’interno della diga del Celone (da voL-Pe 2009, p. 462, tav. 28).

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546 Referenze Iconografiche

Fig. 7.32. San Giusto (Lucera). Pianta generale del complesso paleocristiano (da voLPe 1998a).

Fig. 7.33. Troia. Veduta aerea obliqua della cattedrale (foto Archivio LabTAF).

Fig. 7.34. Troia. La cattedrale (foto Archivio LabTAF).

Fig. 7.35. Troia, la cattedrale. Porta bronzea di Oderisio da Benevento (foto E. Lapadula).

Fig. 7.36. Herdonia, il castellum. Veduta aerea del 2006 (foto G. Ceraudo, Archivio LabTAF).

Fig. 7.37. Herdonia. Planimetria del castellum (da Mertens,voLPe 1999, p. 100 fig. 125).

Fig. 7.38. Herdonia. Strutture murarie nell’area del castellum (foto S. Landriscina).

Fig. 7.39. Faragola (Ascoli Satriano). Pianta della villa tardoantica (da voLPe, turChiAno 2009).

Fig. 7.40. Faragola (Ascoli Satriano), villa tardoantica. La cenatio (da voLPe, turChiAno 2009).

Fig. 7.41. Faragola (Ascoli Satriano), villa tardoantica. I pannelli in opus sectile della cenatio (da voLPe,turChiAno 2009).

Fig. 7.42. Canosa. La basilica di San Leucio (da FALLACAsteLFrAnChi 2004a, p. 70).

Fig. 7.43. Canosa, battistero di San Giovanni. Veduta aerea del 2005 (foto G. Ceraudo, Archi-vio LabTAF).

Fig. 7.44. Canosa. Veduta aerea del complesso episcopale di San Pietro (da voLPe 2009, p. 462, tav. 27).

Fig. 7.45. Canosa. Mausoleo di Boemondo (foto E. Lapadula).

Fig. 7.46. Trani. La cattedrale (foto G. Ceraudo).

Fig. 7.47. Trani, la cattedrale. Zona absidale (foto E. Lapadula) .

Fig. 7.48. Trani, la cattedrale. Particolare del portale (foto E. Lapadula).

Fig. 7.49. Andria. Veduta aerea obliqua di Castel del Monte (foto M. Guaitoli, Archivio Lab-TAF).

Fig. 7.50. Andria. Castel del Monte (foto E. Lapadula).

Fig. 7.51. Andria, Castel del Monte. Il portale principale (foto E. Lapadula).

Fig. 7.52. Bari. Veduta aerea obliqua della città vecchia: in primo piano il castello, in alto la chiesa di San Nicola, a destra la cattedrale (da FonseCA 1997).

Fig. 7.53. Bari, chiesa di San Nicola. La facciata (foto E. Lapadula).

Fig. 7.54. Bari. Veduta aerea del 1974. In primo piano il complesso della cattedrale (foto Ae-ronautica Militare, Archivio AFN-ICCD).

Fig. 7.55. Egnazia, area archeologica. La basilica episcopale (da berteLLi 2004).

Fig. 7.56. Egnazia, area archeologica. Particolare della basilica paleocristiana (foto G. Cerau-

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Capitolo XI 547

do, Archivio LabTAF).

Fig. 7.57. Otranto. Chiesa di San Pietro (cartolina Edizione Mariano di Galatina-Lecce, anno 1990 ca.).

Fig. 7.58. Otranto. Le maggiori emergenze architettoniche d’età normanna in piazza Basilica: la cattedrale e la torre campanaria (foto J. Puretti).

Fig. 7.59. Otranto, la cattedrale. Particolare del mosaico pavimentale (da Medioevo 2005).

Fig. 7.60. Otranto. Veduta aerea della città: il complesso della cattedrale, le fortificazioni di età aragonese (fine XV secolo) che racchiudono la città e, sulla destra, il castello di età aragonese (foto O. Braasch, 2006).

Fig. 7.61. Giurdignano. La chiesa de Le Centoporte (foto M. Limoncelli).

Fig. 7.62. Giurdignano, Le Centoporte. Restituzioni tridimensionali della chiesa di 1° fase (Restituzione 3D: M. Limoncelli, 2005).

Fig. 7.63. Casaranello, chiesa di Santa Maria della Croce. Particolare del mosaico policromo che riveste la volta a botte del presbiterio (da berteLLi 2004, p. 167).

Fig. 7.64. Casaranello, chiesa di Santa Maria della Croce. Ultimo pilastro a sud: Santa Barba-ra (da berteLLi 2004, p. 172).

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Collana diretta da Sergio Rinaldi Tufi

Archeologia delle Regioni d’Italia

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