COLLANA “MAGISTERO DEL VESCOVO” a cura di D A · 2016. 6. 29. · 6 Cf CEI, Con il dono della...
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COLLANA “MAGISTERO DEL VESCOVO” a cura di Domenico Amato
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Digitalizzato da
In copertina:
Raffaello Sanzio, Il discorso di Paolo all’Areopago Rielaborazione grafica: Pasquale Modugno
Proprietà letteraria riservata
“LUCE E VITA”Piazza Giovene. 4 - 70056 Moffetta
LUIGI MARTELLAVESCOVO DI MOLFETTA-RUVO-GIOVINAZZO-TERLIZZI
«Sulla tua parola»
Indicazioni pastorali per l'Anno 2002-2003
Carissimi,già nelle indicazioni pastorali dello scorso
anno, primo del mio ministero episcopale tra voi, indicavo la parrocchia tra i «soggetti» della comunicazione della fede. Nel riprendere il cammino, in questo nuovo anno, propongo di mettere a fuoco il tema della parrocchia come luogo di rinnovamento della nostra azione pastorale e centro propulsore della nuova evangelizzazione.
La scelta è motivata dalla convinzione offertaci da Giovanni Paolo li nella Christifideles laici: «La comunione ecclesiale, pur avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione più immediata e visibile nella parrocchia: essa è l'ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alla case dei suoi figli e della sue figlie»1.
Come si vede, la parrocchia si configura come cellula fondamentale della diocesi e come la struttura di base secondo la quale si attua e si articola, raggiungendo tutti i raggruppamenti umani del territorio in cui è inserita la Chiesa. Circa il problema della relazione tra la Chiesa e la parrocchia significativo mi sembra quanto afferma uno dei
1 Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 26: EV 11/1709.
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più grandi e noti teologi del secolo appena tramontato, K. Rahner: «La parrocchia — egli dice — è, in senso compiutamente esatto, l'attualità rappresentativa della Chiesa»2.
La parrocchia ha quindi, nella realtà ecclesiale, una funzione primaria e irrinunciabile, e dalla sua rinnovata vitalità dipende per larga parte l'efficacia della presenza cristiana nel tessuto sociale. È molto importante che la parrocchia riscopra la sua natura di centro propulsivo dell’azione evangelizzatrice nella specifica maturità in cui viene a trovarsi. Ai Vescovi della Lombardia, Giovanni Paolo II, richiamando il ruolo materno della Chiesa nei confronti della gente che abita un determinato territorio, diceva che «(la Chiesa) si fa particolarmente visibile nella parrocchia, quale vera madre di tutti, qualunque sia il sesso, l'età, la condizione sociale economica e culturale, non escludendo nessuno, anzi cercando con ogni sforzo di raggiungere anche chi è lontano da essa»3.
Tutti i suoi appartenenti perciò devono essere sempre più convinti del particolare significato che assume l'impegno apostolico nella loro parrocchia, e devono collaborare a «ridestare lo slancio missionario verso i non credenti e verso gli stessi
2 H. Rahner (a cura), La Parrocchia, Paoline, Roma 1965, p. 42.
3 Giovanni Paolo II, Ai Vescovi della Lombardia, 18-12-86.
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credenti che hanno abbandonato o affievolito la pratica della vita cristiana»4.
Nel programmare il lavoro ci fanno da guida soprattutto due documenti recenti: la lettera del Papa Novo millennio ineunte (NMI) e gli orientamenti pastorali della CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (CV).
Prendendo questi due testi come riferimento essenziale della nostra riflessione intendiamo costruire un cammino che sia insieme scuola di santificazione e servizio pastorale alla nostra Chiesa. Tentiamo così di concretizzare l'invito che il Papa rivolge a tutta la Chiesa con le parole del Signore: Due in altum! (cf NMI 1). Anche la nostra risposta vuole essere quella dell'apostolo Pietro: «Sulla tua parola...» (Le 5, 5).
Consideriamo allora tre punti che ci sembrano qualificanti per il nostro cammino pastorale; ad essi seguirà una breve conclusione e infine sarà tratteggiata qualche linea operativa.
La Parrocchia in un mondo che cambia
La Parrocchia casa e scuola di comunione
La Parrocchia comunità missionaria.
4 Id., Christifideles laici, 27: EV 11/1714.
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LA PARROCCHIA IN UN MONDO CHE CAMBIA
Negli ultimi tempi, spesso, si è avanzato il dubbio circa la validità di questa istituzione, ma più recentemente e ancora di più oggi si rivaluta enormemente. Le inchieste sociologiche ad esempio, dimostrano che non solo questa istituzione non è morta, ma che addirittura gode di una discreta salute e di una considerazione ancora alta tra la gente5. L'autorità ecclesiastica, ribadisce il ruolo primario, essenziale ed insostituibile (anche se non unico), di questa struttura all'interno della vita della Chiesa, e rilancia di conseguenza il progetto di una sua riforma6. Ne parlano, con il loro linguaggio e i loro strumenti di ricerca, la teologia e il diritto7.
Ma noi, ovvero coloro che direttamente si sen-
5 Cf F. Garelli, La religiosità in Italia, Mondadori, Milano 1995, p. 254-257.
6 Cf CEI, Con il dono della carità dentro la storia, 1996, 23: ECEI 6/151.
7 Cf N. Ciola (ed), La parrocchia in una ecclesiologia di comunione, Dehoniane, Bologna 1995; A. Borras, La parrocchia. Diritto canonico e prospettive pastorali, Dehoniane, Bologna 1997.
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tono implicati nella vita quotidiana di questa istituzione, coloro che sono chiamati a portare, con fatica il peso delle sue strutture e della sua conduzione, cosa possiamo dire della parrocchia? Quali sono le ragioni che ci inducono ad affermare l'importanza e il valore della parrocchia? È evidente che non possiamo non tener conto del cambiamento cui ci obbliga il trascorrere inesorabile del tempo e che è necessario raccogliere la sfida dell'oggi: occorre costruire un nuovo spazio, un nuovo luogo a partire dal quale parlare in positivo della parrocchia e del suo futuro. Bisogna riconoscere che, se da una parte stiamo per chiudere definitivamente alcune pagine di vita pastorale che nel passato hanno dato frutti abbondanti, d'altra parte contiamo già di intravedere l'apertura di nuovi spazi d'azione per la vita e la testimonianza cristiana.
1. Una nuova immagine di parrocchia
L’istituzione parrocchiale, grazie a tutte le provocazioni e alle riflessioni maturate sulla base del Concilio e degli orientamenti dell'Episcopato Italiano, ha a disposizione ormai un numero impressionante di concetti e di immagini per potersi definire. Paragonata alla definizione tradizionale e classica che di essa si aveva e si dava, fino a non molti anni fa (come porzione di territorio affidata alle cure di un pastore, il suo par
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roco)8, il prontuario a disposizione attualmente si è meravigliosamente e notevolmente arricchito. La parrocchia è stata via via definita e identificata da più parti con termini ed immagini quali comunità di fedeli, fontana del villaggio, comunità cristiana, casa di Dio tra gli uomini, chiesa locale, assemblea eucaristica, chiesa sul territorio e tra la gente, cellula della diocesi, lampada e città sul monte, locanda che accoglie tutti, comunità ecclesiale di base, cellula evangelizzatrice, comunità alternativa, soggetto della nuova evangelizzazione... particolarmente suggestive mi sembrano le immagini del nostro don Tonino Bello: parrocchia «tenda che si gonfia» sotto l’urto dello Spirito, e «tenda che si arrotola», pronta sempre per un nuovo cammino.
In questo momento non ci interessa tanto sapere quanto queste definizioni siano corrette, o quanto riescano ad incarnare un'idea esatta ed ecclesiologicamente compatibile di parrocchia. Alcune di esse infatti sono sorte come alternativa, e dunque in chiave di contestazione ad una istituzione parrocchiale nella quale non ci si riconosceva più. Ci interessa piuttosto sottolineare il fatto che queste idee hanno aiutato dei cristiani a costruire un'immagine di parrocchia, a capire in che modo questa istituzione rendesse visibile la Chiesa per loro in quel luogo.
8 Cf cari. 216 del C1C del 1917.
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Grazie ad alcuni termini utilizzati per definirla, la parrocchia di oggi si è vista paragonata alla comunità ideale descritta nel libro degli Atti, si è vista ridefinita e ricostruita sullo sfondo delle vicende per noi fondamentali e costitutive delle comunità cristiane del Nuovo Testamento.
È evidente che il rimando alla Chiesa degli apostoli ha dilatato la dimensione del concetto di parrocchia conferendole uno spazio molto più ampio e vario assegnato dalla definizione tradizionale e classica. Uno spazio molto più abitato a livello di figure di riferimento, ad esempio: la parrocchia ha scoperto che per vivere ha bisogno non soltanto della figura e della funzione del parroco ma anche di una pluralità di ministeri allo stesso tempo frutto e segno del suo radicamento in un territorio, figure che già condividono di fatto col parroco il ruolo di soggetto dell’azione pastorale: i catechisti, gli animatori liturgici, i tanti volontari impegnati nella conduzione e nella gestione delle più diverse strutture e delle diverse iniziative, le figure dei diaconi permanenti; ma anche tutto il mondo della vita religiosa che opera in silenzio e con molto frutto nelle nostre strutture parrocchiali.
2. Realtà dinamica
Il nuovo modo di concepire la parrocchia ci chiede, pertanto, di osare un passo nuovo nel nostro modo di pensare. Le molte nuove definizioni
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per esprimere l'identità della parrocchia ci chiedono di tornare ad immaginare tale istituzione come una realtà viva, capace di produrre lei stessa i nuovi significati di cui ha bisogno per abitare una cultura che sta mutando, capace ancora di suscitare nuovi attori, i nuovi spazi sociali e i nuovi strumenti culturali per continuare a trasmettere quelle buone notizie e quella fede che l'hanno fatta nascere e per le quali continua a vivere. Prendere sul serio dal punto di vista pastorale almeno, la riflessione sviluppata significa non rassegnarsi al compito meramente esecutivo di applicare (senza la fatica del pensiero) una figura istituzionale già definitiva di parrocchia; significa piuttosto accettare la sfida e la fatica di costruire l'istituzione parrocchiale dall'interno, insieme alla comunità che la costituisce, partendo dai pilastri che la tradizione ecclesiale ci consegna come luoghi fondamentali della nostra fede: Parola ed Eucaristia. Da queste fonti si origina e si sviluppa un dinamismo che porta la comunità ad essere presente e fattivamente operante nelle varie situazioni della vita. Nello stesso tempo stimolano la fantasia a ricercare forme nuove di missionarietà nella società odierna. In questo senso si dovranno intendere le indicazioni degli orientamenti CEI circa una pastorale d'ambiente. Essa «richiederà che le parrocchie ripensino le proprie forme di presenza e di missione e il loro rapporto con il territorio» (CV 61).
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3. Spazio di vita cristiana
Un simile modo di pensare e di definire la parrocchia richiede di operare un cambiamento interno, delle sue dinamiche, della sua funzione, del suo modo stesso di pensarsi; ma cambiamento anche esterno, dovuto al mutamento del quadro culturale più generale. Non si può non tener conto che sta mutando il clima religioso generale, il modo di percepire e di interpretare da parte della cultura la figura del sacro, e quindi il ruolo e la funzione dell’elemento religioso nella società. Tale cambiamento, considerato da molti studiosi epocale, chiede alla Chiesa di rivedere e di richiamare quelle operazioni pastorali fondamentali che le consentivano fino a pochi anni fa una presenza stabile nella società. Una rilettura del funzionamento della parrocchia, in quanto figura ecclesiale, non può prescindere da questo clima globale di revisione in atto dell'immagine della Chiesa nella società. Si eviterebbero sterili e isterici irrigidimenti su posizioni di difesa dello statu quo e si consentirebbe alla parrocchia di divenire uno spazio di vita cristiana, capace di entrare in contatto con la cultura, favorendo la continua riat- tualizzazione della memoria della vicenda di Gesù Cristo tra noi.
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II
LA PARROCCHIA CASA E SCUOLA DI COMUNIONE
Nella NMI il Papa ci dà un obiettivo al quale indirizzare tutta la nostra attenzione e dirigere il nostro cammino: «fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione». La casa dove si vive e sperimenta la comunione; la scuola dove la comunione è imparata e insegnata. Proprio la parrocchia è chiamata ad essere insieme casa e scuola. Il che non significa — avverte ancora il Papa — preoccuparsi prima di tutto di iniziative concrete, bensì di promuovere una «spiritualità di comunione», «facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo e il cristiano» (n. 43).
Nella prospettiva delle comunione, mons. Donato Negro, mio predecessore, ha scritto riguardo alla parrocchia: «Occorre passare dalla parrocchia-azienda alla parrocchia-condominio [...]. Non c'è un solo "don", un solo "dominus" insieme a tutti gli altri. Insomma la parrocchia non è il nostro negoziante di fiducia, ma realtà di comunione. La parrocchia è il nostro condominio: il condominio della fede, della speranza e della
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carità»9. Mi pare che le cose debbano essere proprio così: la condivisione dei beni soprannaturali e la collaborazione che ne consegue, conferisce alla comunità parrocchiale quella dimensione che rivela il «volto materno» della Chiesa.
1. L'ottica teologica: il mistero trinitario fonte della comunione
Se vogliamo impostare correttamente il discorso sulla comunione nella Chiesa lo dobbiamo ancorare strettamente nella comunione trinitaria. Si legge nella Costituzione del Concilio sulla Divina Rivelazione: «Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo, hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura» (DV 2). I padri conciliari fanno chiaramente intendere che la comunione è anzitutto dono; che essa è impegno nostro solo perché è anzitutto dono di Dio; che non si tratta di crearla attingendo al patrimonio delle nostre capacità o costruendola con la tensione dei nostri sforzi, ma si tratta di manifestarla con la trasparenza della fede permettendo al
9 D. Negro, Un cuore nuovo, Luce e Vita, Molfetta, 1995, p. 28.
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mistero che Dio ha scritto nel nostro cuore di esprimersi in parole e gesti umani. Questa convinzione ci libera da tutti quei timori che salgono inevitabilmente dalla nostra fragilità: il timore che la comunione sia impossibile per gente come noi e che ogni progetto si riduca inevitabilmente a illusione e delusione. Non è così: Gesù Cristo ha dato la vita per noi e questo gesto di offerta è entrato in modo irrevocabile nella storia. E proprio per questa offerta Egli ha distrutto l'autosufficienza per cui possiamo andare oltre l'egoismo, possiamo vivere dell'amore che abbiamo ricevuto e quindi camminare verso la pienezza della comunione.
2. La centralità della Parola di Dio
La comunione ecclesiale ha nell'ascolto della parola di Dio la sua origine e la sua norma. Come l'antico popolo d'Israele scopre la sua identità di «popolo di Dio» attraverso l'ascolto della legge al Sinai (cf Es 24, 7), così la Chiesa nasce non dalla volontà comune di mettersi insieme, ma dall'ascolto della medesima Parola (cf GS 24).
Il senso della centralità della Parola è ricordato autorevolmente e con chiarezza nel capitolo sesto della Dei Verbum, ma per riconoscere concretamente l'importanza della Parola non bastano i testi autorevoli del magistero. Occorre farne
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l'esperienza nella propria vita e nella propria attività di testimonianza.
Se vogliamo rifare, come si ripete oggi, il tessuto lacerato delle nostre comunità — lacerate perché indebolite e confuse nella fede — non si può che ripartire dalla Parola.
Si riconosce concretamente la centralità della Parola se in tutte le attività formative e pastorali si fa spazio, costi quello che costi, all’ascolto. Il documento pastorale dei Vescovi Comunicare il Vangelo, denuncia coraggiosamente già nella sua introduzione (n. 2) un gravissimo difetto nella pastorale: «Preferiamo fare molte cose o cercare distrazioni. Eppure sono l'ascolto, la memoria e il pensare a dischiudere il futuro». Se quanto abbiamo detto è vero, ne deriva l'importanza della liturgia della parola e dell'omelia che deve accompagnarla. Qui la comunione ecclesiale viene nutrita, orientata, sottoposta alla volontà del Signore e quindi si esprime non solo come comunione orizzontale ma insieme anche verticale: quest'ul- tima, anzi, sostiene la prima.
Accanto alla liturgia della parola possono svolgere un compito prezioso i gruppi di ascolto del vangelo. Ho gioito molto nel vedere che qualche parrocchia ha fatto la scelta di proporli, ma sarebbe bello che tali gruppi avessero maggiore diffusione con l'aiuto e l’accompagnamento dell'Apostolato biblico.
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3. L'Eucaristia produce la comunione ecclesiale
Non c'è dubbio che il cuore pulsante di una comunità parrocchiale è l'Eucaristia. E non c'è dubbio che l'Eucaristia fa la Chiesa e produce quella comunione di cui la Chiesa vive. Viene alla mente l'immagine della comunità cristiana di Gerusalemme descritta negli Atti degli Apostoli: «Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli, nella comunione, nella frazione del pane e nella preghiera... la moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un'anima sola» (At 2, 42; 4, 32). È evidente come la partecipazione all'Eucaristia costruisce davvero un'autentica comunione tra tutti coloro che vi partecipano e produce inevitabilmente una serie di gesti nei quali questa comunione si manifesta e si esprime. E per questo che non possiamo permetterci di «bistrattare» l'Eucaristia, di renderla «noiosa», lasciando che non produca effetti precisi nella vita della comunità cristiana. L'Eucaristia è un tesoro immenso che la Chiesa ha ricevuto ed è un'esperienza che deve lasciare il segno sui partecipanti.
Bisogna perciò esaminare il modo in cui l'Eucaristia viene celebrata, e occorre considerare anche il numero delle Eucaristie per vedere se è proprio necessario moltiplicarle, evitando il facile ma non convincente pretesto di rendere un servizio ai fedeli.
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Sempre più in questa prospettiva dobbiamo recuperare con forza l'attenzione al Giorno del Signore. Qualche anno fa il Papa ci ha donato una bellissima Lettera apostolica che porta proprio questo titolo: Dies Domini (1998). E in precedenza anche i Vescovi italiani emanarono un altro documento sull'argomento: Il giorno del Signore (1984). Credo che dovremmo riprenderli per coglierne tutti gli spunti pastorali che sono davvero tanti. Ma questo argomento richiederebbe di diventare oggetto di un intero anno di programmazione pastorale, ciò che pensiamo di fare in sèguito.
4. Uno «stile» di comunione nei rapporti intraecclesiali
La comunione esige anche uno stile nuovo nei rapporti intraecclesiali. Si tratta di un cammino difficile e rischioso perché scommette sulla sincerità, la trasparenza, il distacco, il disinteresse. Nello stesso tempo però è un cammino liberante se percorso con coerenza. Un primo livello di comunione è quello testimoniato tra sacerdoti che operano in una stessa parrocchia e quindi tra sacerdoti di una stessa città. Essi rappresentano la comunione presbiterale con il vescovo e gli altri presbiteri in quella porzione di Chiesa locale. Non è difficile pensare quanto sia edificante per la gente questa testimonianza e quanta credibilità susciti il loro apostolato.
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C’è poi la comunione tra associazioni e movimenti ecclesiali, comunione resa talvolta difficile per l’emergere di atteggiamenti che più che favorire un pensare e agire «secondo lo Spirito», alimentano un pensare ed agire «secondo la carne». Il protagonismo non di rado nasconde sentimenti di chiusura e di non accoglienza degli altri. Simile modo di fare è strettamente imparentato con l'egoismo, il quale non è solo un peccato personale, ma una forza che distrugge la comunione, che finisce per suscitare negli altri atteggiamenti di difesa e di risentimento, e mette così in moto un circolo vizioso di disgregazione e di sospetto. La comunione esige un caro prezzo; non è da identificare con un clima ovattato e sereno, dove nessuno disturba e dove si vive romanticamente in pace. L'icona della vera comunione è piuttosto la croce di Cristo dove le divisioni sono annullate ma a prezzo della vita. Non è superfluo ricordare che la comunione sarà tanto più solida quanto più si accetta e si vive la logica della croce.
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PARROCCHIA COMUNITÀ MISSIONARIA
La comunione assume rilevanza storica nella comunicazione della fede. Significativa a riguardo è l'esperienza trasmessa dall’apostolo Giovanni nella Prima delle sue lettere: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (cf lGv 1, 1-4). L'esperienza dell'incontro con Gesù, che gli apostoli hanno condiviso, ha permesso di intrecciare fili di fraternità tra di loro e li ha spinti a comunicare oltre, quanto avevano vissuto. Paolo con la sua Chiesa di Corinto, tentata di rinchiudersi nel godimento delle sue esperienze mistiche, è molto deciso ed esplicito: «Forse la parola di Dio è partita da voi? O è giunta soltanto a voi?» (ICor 14, 36). La sollecitazione dell'apostolo ci richiama alla mente un concetto espresso in maniera concisa ed efficace dai nostri Vescovi nel documento programmatico Comunione e comunità del 1981: «Solo una Chiesa che vive e celebra in se stessa il mistero della comunione traducendolo in una realtà vitale sem-
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pre più organica e articolata, può essere soggetto di una efficace evangelizzazione» (n. 3). Una tale visione delle cose, porta necessariamente a ritenere che «l'ambizione di una comunità parrocchiale, dopo aver offerto a tutti la proposta della fede, dovrebbe essere quella di essere considerata dalla popolazione del suo territorio, anche da parte dei non credenti, come un vero patrimonio di umanità e di cultura, un punto di riferimento dell'universale fraternità»10. Perciò, il territorio per la comunità parrocchiale non può essere lo spazio del suo possesso, né il contenitore nel quale collocarsi e dal quale pescare i membri per la comunità. Il territorio segna invece lo spazio umano della responsabilità e della missione della Chiesa in ordine al suo servizio all'uomo.
1. La visione di Chiesa che ci deve animare
Ci sono due versetti nel Vangelo di Marco (3, 14-15) che esprimono la Chiesa pensata, voluta e attuata da Cristo: «Li chiamò (= i discepoli di allora e di tutti i tempi) perché stessero con Lui (= per conoscerlo, per fare amicizia con Lui, per imparare a vivere «come» Lui; per vivere in amicizia tra
10 S. Dianich, La teologia della parrocchia, in Parrocchia e pastorale parrocchiale, Dehoniane, Bologna 1986, p. 86.
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loro e con tutti) e per inviarli (= missione) a predicare (= ad annunciare l'Amore di Dio) e a scacciare i demoni (= ad attuare una solidarietà «liberante»).
Qui troviamo il paradigma originario di ogni comunità che desideri porsi come prolungamento autentico della missione di Gesù. La Chiesa è missionaria per sua natura, non perché indotta dalla crescente tendenza agli abbandoni e all’indifferenza, alle forme di sincretismo religioso che pure interessano le nostre popolazioni. E il Signore che manda (cf Mt 28) a tutte le genti. «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare» (EN14). Dall'inizio del suo pontificato Giovanni Paolo II insiste sulla «nuova evangelizzazione», invitando a rinnovare l'entusiasmo e lo slancio dell'annuncio e della testimonianza. In una convergenza di prospettive si pongono i Vescovi italiani, ritenendo la missione un tema strutturale, come si comprende dal titolo del documento Comunicare il Vangelo.
2. La parrocchia al servizio della missione di Cristo
Uno dei temi forti del documento dei Vescovi Comunicare il Vangelo è la «conversione della pastorale». Cosa si vuole intendere? La risposta viene da quell'indicazione collocata all'inizio della seconda parte, allorquando, i Vescovi dicono che
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«l'evangelizzazione può avvenire solo seguendo lo stile di Gesù» (n. 34). Il termine stile non lascia dubbio: è lo sòie che ha caratterizzato l'esistenza terrena di Gesù: i suoi rapporti, le sue priorità, le sue denunce, il suo destino. Non dimentichiamo che Gesù Cristo è il primo missionario del Padre, nella sua persona e con la vita: «Bisogna che io annunzi il Regno di Dio...; per questo sono stato mandato» (Le 4,43). Una missione quella di Gesù fatta di parole e di gesti, di testimonianza piena, fino al martirio11.
La NMI, da parte sua, pone un principio basilare, chiaramente espresso al n. 29: «Non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!». E afferma che questa Persona — che ci salverà — va conosciuta. Ci propone quindi una via di conoscenza, in una serie di paragrafi che partono dal n. 16, dove si richiamano le parole rivolte da alcuni greci a Filippo: «Vogliamo vedere Gesù». È la contemplazione del volto del Signore, infatti, che spinge la Chiesa, i cristiani alla missione. La connessione contemplazione-missione è messa in rilievo dai nostri Vescovi quando affermano che «la Chiesa può affrontare il compito dell'evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte a Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne» (n. 10).
" Cf CEI, Comunione e comunità missionaria, 1986, n. 6: ECEI 3/242.
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3. In mezzo alle case
Può tornare utile ricordare il significato etimologico del termine parrocchia. Nella lingua greca, dalla quale deriva, parrocchia (=paroikìa) contiene un duplice significato che disvela due dimensioni le quali rinviano direttamente alla missione da svolgere.
Un primo significato è quello legato al senso di precarietà, tipico di chi è senza dimora fissa. Una condizione che richiama quella del popolo di Dio in cammino, tema assai caro al Concilio Vaticano II. Un secondo significato attesta il suo stare presso le case o in mezzo ad esse (parà-oikia). L'idea aiuta a pensare la Chiesa vicina alla gente; una Chiesa dunque immersa nel vissuto delle persone, attenta a condividere «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce» dell'umanità. Non dunque una parrocchia «ghetto» ma grembo; accogliente, non rinchiusa nelle sagrestie ma aperta sulle strade; non esposta alla finestra aspettando rientri, ma premurosamente in servizio a domicilio; non ripiegata a conservare l'esistente, ma protesa verso chi vive le varie marginalità.
Un simile modo di intendere la realtà, mette in crisi una concezione di parrocchia rigidamente chiusa da un territorio circoscritto geograficamente ed assume una visione di apertura alla interparrocchialità, che si esprime in fruttuose collaborazioni e programmazioni. Rivolgendosi
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ai presbiteri nell'omelia per la Messa Crismale 1983, don Tonino Bello così si esprimeva: «Comprendete bene che una concezione così atomizzata della parrocchia, come feudo dato in appalto a un titolare, geloso della sua autonomia e puntiglioso custode della sua indipendenza, non corrisponde agli orientamenti conciliari... Dobbiamo trovare lo stile della comunione, il gusto della comunione, il puntiglio della comunione»12.
La nostra diocesi, per la sua configurazione, ben si presterebbe ad una simile collaborazione. Le parrocchie nelle nostre città, senza perdere la propria identità, potrebbero stabilire legami più fecondi dando vita a quella nuova figura di comunità cristiana di cui tanto si parla, l'unità pastorale. Ne deriverebbero vantaggi molteplici con la garanzia di un migliore servizio sul territorio, intendendo per territorio non solo l’aspetto topografico, geografico-spaziale, ma anche l'aspetto socio-culturale.
4. Con il dono della carità dentro la storia
La nota pastorale della CEI, prodotta a seguito del Convegno di Palermo, suggerisce la moda
12A. Bello, Omelie e Scritti quaresimali, LuceeVita, Molfetta 1994, p. 16.
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lità dell'impegno della Chiesa nella storia del mondo. La carità non è da intendersi innanzitutto come il complesso dei servizi e degli interventi sulle emergenze; essa invece ha un significato ben più profondo, legato intimamente alla natura stessa della Chiesa che riflette nel tempo l'amore di Dio per l'umanità. Essa assume molteplici volti, ma esprime sempre prossimità come il buon samaritano. La carità è il «luogo» dove l'annuncio della Chiesa diviene più credibile. Ogni gesto ecclesiale deve nascere dall'ascolto del fratello, nel rispetto dell’altro, nell'attenzione e nel servizio ai più piccoli, nella magnanimità verso i limiti e le necessità dei più deboli e degli ultimi. Nulla nella Chiesa andrebbe progettato, pensato, attuato senza l'altro, e tanto meno contro l'altro. Il documento dei Vescovi Comunicare il Vangelo sottolinea tutto ciò con una forza che sorprende (n. 34): «Il cristianesimo non può accettare la logica del più forte, l'idea che la presenza dei poveri, sfruttati e umiliati sia frutto dell'inesorabile fluire della storia: Gesù ha annunciato che saranno proprio i poveri a regnare, a precederci nel regno dei cieli. Sono essi i nostri "signori". Su questo punto il cristianesimo non può scendere affatto a compromessi: il povero, il viandante, lo straniero non sono cittadini qualunque per la Chiesa, proprio perché essa è mossa verso di loro dalla carità di Cristo e non da altre ragioni».
Consentitemi di ribadire — anche a costo di
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ripetermi — che questa dimensione della carità è assolutamente decisiva per il cammino e la crescita della nostra Chiesa locale così per tutta la Chiesa. Le caritas parrocchiali hanno un compito determinante nel ricordare a tutti questa dimensione di amore e di servizio all'interno delle comunità.
CONCLUSIONE
Le indicazioni che ho cercato di tracciare non hanno alcuna pretesa di completezza. Sono, appunto, semplici indicazioni che hanno l'unico obiettivo di incoraggiare la nostra Chiesa diocesana nelle sue varie componenti ed articolazioni a camminare con il desiderio di servire il Vangelo di Gesù nel mondo che cambia.
L'ho fatto con molta semplicità, ma anche con la consapevolezza di tutta la responsabilità che mi deriva dall'essere pastore di questa amata chiesa che è in Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi.
Il pensiero, mentre siglo la chiusura di queste pagine, raggiunge spontaneo tutti i parroci e tutti i sacerdoti verso i quali non sarò mai abbastanza riconoscente per il prezioso lavoro che svolgono.
A voi tutti, cari sacerdoti, mi rivolgo con l’invito dell'apostolo Paolo a Timoteo e dico: «Ricordati di ravvivare il dono che è in te» [2Tm 1, 6). E il dono del ministero che dobbiamo investire in tempi difficili, ma altrettanto carichi di promesse e della grazia del Signore.
Attraverso di voi, consegno queste indicazioni pastorali a tutte le parrocchiane e i parrocchia
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ni, alle associazioni, ai gruppi, ai movimenti, nella speranza che siano accolte come segno di paterno e fraterno affetto.
Molfetta, 21 settembre 2002Festa di San Matteo Apostolo ed Evangelista
+ don GINO Vescovo
LINEE OPERATIVE
1. Rimotivare i soggetti
Molte persone che operano nelle comunità svolgono servizi preziosi, ma spesso rischiano di prosciugarsi spiritualmente. Occorre, per così dire, versare olio nelle loro lampade perché ritrovino lucentezza riscoprendo Cristo, fonte del loro essere e del loro agire e siano spinti ad una offerta più credibile del loro servizio.
2. Formazione per tutti
È una necessità avvertita diffusamente: quella della formazione e cioè l'offerta dei diversi itinerari di arricchimento, approfondimento della fede, di preparazione ai diversi servizi e ministeri. «Ci sembra importante — si legge nel documento dei Vescovi — che la comunità sia coraggiosamente aiutata a maturare una fede adulta, "pensata", capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo. Solo così i cristiani saranno capaci di vivere nel quotidiano, nel feriale — fatto di famiglia, lavoro, studio, tempo libero — la sequela del Signore, fino a rendere conto della speranza che li abita (cf lPt 3,
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15)» (CV 50). La formazione tende, perciò, a dar luogo a «forme di vita» vissute in senso cristiano, passando soprattutto attraverso scelte e comportamenti quotidiani delle singole persone, delle famiglie, dell'intera comunità.
3. Spiritualità di comunione
La parrocchia non è un micro-ambiente sufficiente a se stesso e non vive di intuizioni più o meno geniali, ma di legami, di relazioni che creano comunione. Questa comunione si realizza con la diocesi, con le altre parrocchie dello stesso territorio, tra gruppi all'interno della parrocchia. È necessario che siano rilanciati i consigli pastorali nelle parrocchie, ma è soprattutto necessario che tutte le componenti della comunità, a partire dai presbiteri, convergano verso l'unità. «Dobbiamo alimentare una cultura della reciprocità e della partecipazione e attivare un'incessante comunicazione e collaborazione, per esprimere concretamente la comunione»13.
4. Puntare sulla famiglia e sui giovani
Sono le priorità indicate dai Vescovi nel docu
13 CEI, Con il dono della carità dentro la storia, 1996, 20: ECEI 6/142.
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mento e non è difficile convincersi che scommettere sulla famiglia e sui giovani oggi è essenziale. I due ambiti sono strettamente connessi per cui non si può pensare ad uno e prescindere dall'altro. Il cammino finora fatto in questi settori è incoraggiante, grazie all'impegno perspicace dei miei immediati predecessori don Tonino e don Donato, ma occorre continuare con fedeltà e tenacia sapendo di giocare una carta decisiva della pastorale ecclesiale.
5. Farsi «prossimo» ai lontani e ai poveri
La carità di Cristo deve suscitare in noi una salutare inquietudine. Sapere che tanti altri potrebbero condividere gioiosamente con noi la grazia della fede, la forza della speranza e il dono della carità non può lasciarci inerti. La missiona- rietà ci deve spingere verso tutti, verso ogni uomo, verso tutto l'uomo. Lecaritas parrocchiali, perciò, avranno cura di suscitare, incoraggiare e coordinare le varie attenzioni alle persone in difficoltà.
6. Favorire occasioni di collaborazione
Le quattro città della nostra diocesi hanno più parrocchie: sarebbe sicuramente fruttuosa una collaborazione di esperienze concrete, almeno in quei settori nei quali è più avvertita la necessità.
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Opportunità in questo senso ritengo possano essere favorite dalla istituzione dei Consigli pastorali foraniali. Essi rappresentano uno strumento di collegamento tra le varie comunità parrocchiali e nello stesso tempo di programmazione unitaria.
Per quanto riguarda le attività concrete si rinvia al Calendario diocesano predisposto per l'anno 2002-2003. Tali proposte dovranno conciliarsi con altre iniziative a livello parrocchiale o inter- parrocchiale, evitando possibilmente sovrapposizioni e sovraccarichi.
Indice
9 I - La parrocchia in un mondo che cambia
15 II - La parrocchia casa e scuola di comunione
23 III - Parrocchia comunità missionaria
31 Conclusione
33 Linee operative
Collana "Magistero del Vescovo"
4 Luigi Martella, «Va' dai miei fratelli e di’ loro». Parola e territorio - Comunicare il Vangelo oggiIndicazioni pastorali per l'Anno 2001-2002
5 Luigi Martella, «Sulla tua parola»Indicazioni pastorali per l'Anno 2002-2003
Digitalizzato da
Finito di stampare nel mese di settembre 2002 nella Tipografia Mezzina - Molfetta