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COLLANA “MAGISTERO DEL VESCOVO” a cura di Domenico Amato

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Raffaello Sanzio, Il discorso di Paolo all’Areopago Rielaborazione grafica: Pasquale Modugno

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LUIGI MARTELLAVESCOVO DI MOLFETTA-RUVO-GIOVINAZZO-TERLIZZI

«Sulla tua parola»

Indicazioni pastorali per l'Anno 2002-2003

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Carissimi,già nelle indicazioni pastorali dello scorso

anno, primo del mio ministero episcopale tra voi, indicavo la parrocchia tra i «soggetti» della co­municazione della fede. Nel riprendere il cammi­no, in questo nuovo anno, propongo di mettere a fuoco il tema della parrocchia come luogo di rin­novamento della nostra azione pastorale e centro propulsore della nuova evangelizzazione.

La scelta è motivata dalla convinzione offer­taci da Giovanni Paolo li nella Christifideles laici: «La comunione ecclesiale, pur avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione più immediata e visibile nella parrocchia: essa è l'ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alla case dei suoi figli e della sue figlie»1.

Come si vede, la parrocchia si configura come cellula fondamentale della diocesi e come la strut­tura di base secondo la quale si attua e si articola, raggiungendo tutti i raggruppamenti umani del territorio in cui è inserita la Chiesa. Circa il pro­blema della relazione tra la Chiesa e la parrocchia significativo mi sembra quanto afferma uno dei

1 Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 26: EV 11/1709.

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più grandi e noti teologi del secolo appena tra­montato, K. Rahner: «La parrocchia — egli dice — è, in senso compiutamente esatto, l'attualità rappresentativa della Chiesa»2.

La parrocchia ha quindi, nella realtà ecclesia­le, una funzione primaria e irrinunciabile, e dalla sua rinnovata vitalità dipende per larga parte l'ef­ficacia della presenza cristiana nel tessuto socia­le. È molto importante che la parrocchia riscopra la sua natura di centro propulsivo dell’azione evangelizzatrice nella specifica maturità in cui viene a trovarsi. Ai Vescovi della Lombardia, Gio­vanni Paolo II, richiamando il ruolo materno del­la Chiesa nei confronti della gente che abita un determinato territorio, diceva che «(la Chiesa) si fa particolarmente visibile nella parrocchia, qua­le vera madre di tutti, qualunque sia il sesso, l'età, la condizione sociale economica e culturale, non escludendo nessuno, anzi cercando con ogni sfor­zo di raggiungere anche chi è lontano da essa»3.

Tutti i suoi appartenenti perciò devono essere sempre più convinti del particolare significato che assume l'impegno apostolico nella loro parroc­chia, e devono collaborare a «ridestare lo slancio missionario verso i non credenti e verso gli stessi

2 H. Rahner (a cura), La Parrocchia, Paoline, Roma 1965, p. 42.

3 Giovanni Paolo II, Ai Vescovi della Lombardia, 18-12-86.

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credenti che hanno abbandonato o affievolito la pratica della vita cristiana»4.

Nel programmare il lavoro ci fanno da guida soprattutto due documenti recenti: la lettera del Papa Novo millennio ineunte (NMI) e gli orienta­menti pastorali della CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (CV).

Prendendo questi due testi come riferimento essenziale della nostra riflessione intendiamo co­struire un cammino che sia insieme scuola di santificazione e servizio pastorale alla nostra Chie­sa. Tentiamo così di concretizzare l'invito che il Papa rivolge a tutta la Chiesa con le parole del Signore: Due in altum! (cf NMI 1). Anche la nostra risposta vuole essere quella dell'apostolo Pietro: «Sulla tua parola...» (Le 5, 5).

Consideriamo allora tre punti che ci sembra­no qualificanti per il nostro cammino pastorale; ad essi seguirà una breve conclusione e infine sarà tratteggiata qualche linea operativa.

La Parrocchia in un mondo che cambia

La Parrocchia casa e scuola di comunione

La Parrocchia comunità missionaria.

4 Id., Christifideles laici, 27: EV 11/1714.

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I

LA PARROCCHIA IN UN MONDO CHE CAMBIA

Negli ultimi tempi, spesso, si è avanzato il dubbio circa la validità di questa istituzione, ma più recentemente e ancora di più oggi si rivaluta enormemente. Le inchieste sociologiche ad esem­pio, dimostrano che non solo questa istituzione non è morta, ma che addirittura gode di una di­screta salute e di una considerazione ancora alta tra la gente5. L'autorità ecclesiastica, ribadisce il ruolo primario, essenziale ed insostituibile (an­che se non unico), di questa struttura all'interno della vita della Chiesa, e rilancia di conseguenza il progetto di una sua riforma6. Ne parlano, con il loro linguaggio e i loro strumenti di ricerca, la teo­logia e il diritto7.

Ma noi, ovvero coloro che direttamente si sen-

5 Cf F. Garelli, La religiosità in Italia, Mondadori, Milano 1995, p. 254-257.

6 Cf CEI, Con il dono della carità dentro la storia, 1996, 23: ECEI 6/151.

7 Cf N. Ciola (ed), La parrocchia in una ecclesiologia di comu­nione, Dehoniane, Bologna 1995; A. Borras, La parrocchia. Dirit­to canonico e prospettive pastorali, Dehoniane, Bologna 1997.

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tono implicati nella vita quotidiana di questa istitu­zione, coloro che sono chiamati a portare, con fatica il peso delle sue strutture e della sua conduzione, cosa possiamo dire della parrocchia? Quali sono le ragioni che ci inducono ad affermare l'importanza e il valore della parrocchia? È evidente che non pos­siamo non tener conto del cambiamento cui ci ob­bliga il trascorrere inesorabile del tempo e che è ne­cessario raccogliere la sfida dell'oggi: occorre costrui­re un nuovo spazio, un nuovo luogo a partire dal quale parlare in positivo della parrocchia e del suo futuro. Bisogna riconoscere che, se da una parte stia­mo per chiudere definitivamente alcune pagine di vita pastorale che nel passato hanno dato frutti ab­bondanti, d'altra parte contiamo già di intravedere l'apertura di nuovi spazi d'azione per la vita e la testimonianza cristiana.

1. Una nuova immagine di parrocchia

L’istituzione parrocchiale, grazie a tutte le pro­vocazioni e alle riflessioni maturate sulla base del Concilio e degli orientamenti dell'Episcopato Italiano, ha a disposizione ormai un numero im­pressionante di concetti e di immagini per poter­si definire. Paragonata alla definizione tradi­zionale e classica che di essa si aveva e si dava, fino a non molti anni fa (come porzione di terri­torio affidata alle cure di un pastore, il suo par­

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roco)8, il prontuario a disposizione attualmente si è meravigliosamente e notevolmente arricchito. La parrocchia è stata via via definita e identifica­ta da più parti con termini ed immagini quali co­munità di fedeli, fontana del villaggio, comunità cri­stiana, casa di Dio tra gli uomini, chiesa locale, as­semblea eucaristica, chiesa sul territorio e tra la gen­te, cellula della diocesi, lampada e città sul monte, locanda che accoglie tutti, comunità ecclesiale di base, cellula evangelizzatrice, comunità alternativa, soggetto della nuova evangelizzazione... partico­larmente suggestive mi sembrano le immagini del nostro don Tonino Bello: parrocchia «tenda che si gonfia» sotto l’urto dello Spirito, e «tenda che si ar­rotola», pronta sempre per un nuovo cammino.

In questo momento non ci interessa tanto sa­pere quanto queste definizioni siano corrette, o quanto riescano ad incarnare un'idea esatta ed ecclesiologicamente compatibile di parrocchia. Al­cune di esse infatti sono sorte come alternativa, e dunque in chiave di contestazione ad una istitu­zione parrocchiale nella quale non ci si riconosce­va più. Ci interessa piuttosto sottolineare il fatto che queste idee hanno aiutato dei cristiani a co­struire un'immagine di parrocchia, a capire in che modo questa istituzione rendesse visibile la Chie­sa per loro in quel luogo.

8 Cf cari. 216 del C1C del 1917.

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Grazie ad alcuni termini utilizzati per definir­la, la parrocchia di oggi si è vista paragonata alla comunità ideale descritta nel libro degli Atti, si è vista ridefinita e ricostruita sullo sfondo delle vi­cende per noi fondamentali e costitutive delle comunità cristiane del Nuovo Testamento.

È evidente che il rimando alla Chiesa degli apostoli ha dilatato la dimensione del concetto di parrocchia conferendole uno spazio molto più ampio e vario assegnato dalla definizione tradi­zionale e classica. Uno spazio molto più abitato a livello di figure di riferimento, ad esempio: la par­rocchia ha scoperto che per vivere ha bisogno non soltanto della figura e della funzione del parroco ma anche di una pluralità di ministeri allo stesso tempo frutto e segno del suo radicamento in un territorio, figure che già condividono di fatto col parroco il ruolo di soggetto dell’azione pastorale: i catechisti, gli animatori liturgici, i tanti volonta­ri impegnati nella conduzione e nella gestione delle più diverse strutture e delle diverse iniziative, le fi­gure dei diaconi permanenti; ma anche tutto il mon­do della vita religiosa che opera in silenzio e con molto frutto nelle nostre strutture parrocchiali.

2. Realtà dinamica

Il nuovo modo di concepire la parrocchia ci chiede, pertanto, di osare un passo nuovo nel no­stro modo di pensare. Le molte nuove definizioni

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per esprimere l'identità della parrocchia ci chie­dono di tornare ad immaginare tale istituzione come una realtà viva, capace di produrre lei stes­sa i nuovi significati di cui ha bisogno per abitare una cultura che sta mutando, capace ancora di suscitare nuovi attori, i nuovi spazi sociali e i nuo­vi strumenti culturali per continuare a trasmette­re quelle buone notizie e quella fede che l'hanno fatta nascere e per le quali continua a vivere. Pren­dere sul serio dal punto di vista pastorale alme­no, la riflessione sviluppata significa non rasse­gnarsi al compito meramente esecutivo di appli­care (senza la fatica del pensiero) una figura isti­tuzionale già definitiva di parrocchia; significa piuttosto accettare la sfida e la fatica di costruire l'istituzione parrocchiale dall'interno, insieme alla comunità che la costituisce, partendo dai pilastri che la tradizione ecclesiale ci consegna come luo­ghi fondamentali della nostra fede: Parola ed Eu­caristia. Da queste fonti si origina e si sviluppa un dinamismo che porta la comunità ad essere presente e fattivamente operante nelle varie situa­zioni della vita. Nello stesso tempo stimolano la fantasia a ricercare forme nuove di missionarietà nella società odierna. In questo senso si dovran­no intendere le indicazioni degli orientamenti CEI circa una pastorale d'ambiente. Essa «richiederà che le parrocchie ripensino le proprie forme di presenza e di missione e il loro rapporto con il territorio» (CV 61).

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3. Spazio di vita cristiana

Un simile modo di pensare e di definire la par­rocchia richiede di operare un cambiamento in­terno, delle sue dinamiche, della sua funzione, del suo modo stesso di pensarsi; ma cambiamento anche esterno, dovuto al mutamento del quadro culturale più generale. Non si può non tener con­to che sta mutando il clima religioso generale, il modo di percepire e di interpretare da parte della cultura la figura del sacro, e quindi il ruolo e la funzione dell’elemento religioso nella società. Tale cambiamento, considerato da molti studiosi epo­cale, chiede alla Chiesa di rivedere e di richiama­re quelle operazioni pastorali fondamentali che le consentivano fino a pochi anni fa una presenza stabile nella società. Una rilettura del funziona­mento della parrocchia, in quanto figura ecclesia­le, non può prescindere da questo clima globale di revisione in atto dell'immagine della Chiesa nella società. Si eviterebbero sterili e isterici irri­gidimenti su posizioni di difesa dello statu quo e si consentirebbe alla parrocchia di divenire uno spazio di vita cristiana, capace di entrare in con­tatto con la cultura, favorendo la continua riat- tualizzazione della memoria della vicenda di Gesù Cristo tra noi.

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II

LA PARROCCHIA CASA E SCUOLA DI COMUNIONE

Nella NMI il Papa ci dà un obiettivo al quale indirizzare tutta la nostra attenzione e dirigere il nostro cammino: «fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione». La casa dove si vive e sperimenta la comunione; la scuola dove la comu­nione è imparata e insegnata. Proprio la parroc­chia è chiamata ad essere insieme casa e scuola. Il che non significa — avverte ancora il Papa — pre­occuparsi prima di tutto di iniziative concrete, bensì di promuovere una «spiritualità di comu­nione», «facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo e il cristiano» (n. 43).

Nella prospettiva delle comunione, mons. Do­nato Negro, mio predecessore, ha scritto riguar­do alla parrocchia: «Occorre passare dalla parroc­chia-azienda alla parrocchia-condominio [...]. Non c'è un solo "don", un solo "dominus" insie­me a tutti gli altri. Insomma la parrocchia non è il nostro negoziante di fiducia, ma realtà di co­munione. La parrocchia è il nostro condominio: il condominio della fede, della speranza e della

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carità»9. Mi pare che le cose debbano essere pro­prio così: la condivisione dei beni soprannaturali e la collaborazione che ne consegue, conferisce alla comunità parrocchiale quella dimensione che ri­vela il «volto materno» della Chiesa.

1. L'ottica teologica: il mistero trinitario fonte della comunione

Se vogliamo impostare correttamente il discor­so sulla comunione nella Chiesa lo dobbiamo an­corare strettamente nella comunione trinitaria. Si legge nella Costituzione del Concilio sulla Divi­na Rivelazione: «Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, rivelare se stesso e far conoscere il mi­stero della sua volontà, mediante il quale gli uo­mini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo, hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura» (DV 2). I padri conciliari fanno chiaramente intendere che la co­munione è anzitutto dono; che essa è impegno nostro solo perché è anzitutto dono di Dio; che non si tratta di crearla attingendo al patrimonio delle nostre capacità o costruendola con la ten­sione dei nostri sforzi, ma si tratta di manifestar­la con la trasparenza della fede permettendo al

9 D. Negro, Un cuore nuovo, Luce e Vita, Molfetta, 1995, p. 28.

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mistero che Dio ha scritto nel nostro cuore di espri­mersi in parole e gesti umani. Questa convinzio­ne ci libera da tutti quei timori che salgono inevi­tabilmente dalla nostra fragilità: il timore che la comunione sia impossibile per gente come noi e che ogni progetto si riduca inevitabilmente a illu­sione e delusione. Non è così: Gesù Cristo ha dato la vita per noi e questo gesto di offerta è entrato in modo irrevocabile nella storia. E proprio per questa offerta Egli ha distrutto l'autosufficienza per cui possiamo andare oltre l'egoismo, possia­mo vivere dell'amore che abbiamo ricevuto e quindi camminare verso la pienezza della comu­nione.

2. La centralità della Parola di Dio

La comunione ecclesiale ha nell'ascolto della parola di Dio la sua origine e la sua norma. Come l'antico popolo d'Israele scopre la sua identità di «popolo di Dio» attraverso l'ascolto della legge al Sinai (cf Es 24, 7), così la Chiesa nasce non dalla volontà comune di mettersi insieme, ma dal­l'ascolto della medesima Parola (cf GS 24).

Il senso della centralità della Parola è ricorda­to autorevolmente e con chiarezza nel capitolo sesto della Dei Verbum, ma per riconoscere con­cretamente l'importanza della Parola non basta­no i testi autorevoli del magistero. Occorre farne

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l'esperienza nella propria vita e nella propria at­tività di testimonianza.

Se vogliamo rifare, come si ripete oggi, il tes­suto lacerato delle nostre comunità — lacerate per­ché indebolite e confuse nella fede — non si può che ripartire dalla Parola.

Si riconosce concretamente la centralità della Parola se in tutte le attività formative e pastorali si fa spazio, costi quello che costi, all’ascolto. Il documento pastorale dei Vescovi Comunicare il Vangelo, denuncia coraggiosamente già nella sua introduzione (n. 2) un gravissimo difetto nella pastorale: «Preferiamo fare molte cose o cercare distrazioni. Eppure sono l'ascolto, la memoria e il pensare a dischiudere il futuro». Se quanto ab­biamo detto è vero, ne deriva l'importanza della liturgia della parola e dell'omelia che deve accom­pagnarla. Qui la comunione ecclesiale viene nu­trita, orientata, sottoposta alla volontà del Signo­re e quindi si esprime non solo come comunione orizzontale ma insieme anche verticale: quest'ul- tima, anzi, sostiene la prima.

Accanto alla liturgia della parola possono svol­gere un compito prezioso i gruppi di ascolto del vangelo. Ho gioito molto nel vedere che qualche parrocchia ha fatto la scelta di proporli, ma sa­rebbe bello che tali gruppi avessero maggiore dif­fusione con l'aiuto e l’accompagnamento del­l'Apostolato biblico.

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3. L'Eucaristia produce la comunione ecclesiale

Non c'è dubbio che il cuore pulsante di una comunità parrocchiale è l'Eucaristia. E non c'è dubbio che l'Eucaristia fa la Chiesa e produce quella comunione di cui la Chiesa vive. Viene alla mente l'immagine della comunità cristiana di Gerusalemme descritta negli Atti degli Apostoli: «Erano perseveranti nell'insegnamento degli apo­stoli, nella comunione, nella frazione del pane e nella preghiera... la moltitudine di coloro che era­no venuti alla fede aveva un cuor solo e un'ani­ma sola» (At 2, 42; 4, 32). È evidente come la par­tecipazione all'Eucaristia costruisce davvero un'autentica comunione tra tutti coloro che vi partecipano e produce inevitabilmente una serie di gesti nei quali questa comunione si manifesta e si esprime. E per questo che non possiamo per­metterci di «bistrattare» l'Eucaristia, di renderla «noiosa», lasciando che non produca effetti pre­cisi nella vita della comunità cristiana. L'Eucari­stia è un tesoro immenso che la Chiesa ha ricevu­to ed è un'esperienza che deve lasciare il segno sui partecipanti.

Bisogna perciò esaminare il modo in cui l'Eu­caristia viene celebrata, e occorre considerare an­che il numero delle Eucaristie per vedere se è pro­prio necessario moltiplicarle, evitando il facile ma non convincente pretesto di rendere un servizio ai fedeli.

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Sempre più in questa prospettiva dobbiamo recuperare con forza l'attenzione al Giorno del Signore. Qualche anno fa il Papa ci ha donato una bellissima Lettera apostolica che porta proprio questo titolo: Dies Domini (1998). E in precedenza anche i Vescovi italiani emanarono un altro docu­mento sull'argomento: Il giorno del Signore (1984). Credo che dovremmo riprenderli per coglierne tutti gli spunti pastorali che sono davvero tanti. Ma questo argomento richiederebbe di diventare oggetto di un intero anno di programmazione pastorale, ciò che pensiamo di fare in sèguito.

4. Uno «stile» di comunione nei rapporti intraecclesiali

La comunione esige anche uno stile nuovo nei rapporti intraecclesiali. Si tratta di un cammino difficile e rischioso perché scommette sulla since­rità, la trasparenza, il distacco, il disinteresse. Nello stesso tempo però è un cammino liberante se percorso con coerenza. Un primo livello di co­munione è quello testimoniato tra sacerdoti che operano in una stessa parrocchia e quindi tra sa­cerdoti di una stessa città. Essi rappresentano la comunione presbiterale con il vescovo e gli altri presbiteri in quella porzione di Chiesa locale. Non è difficile pensare quanto sia edificante per la gen­te questa testimonianza e quanta credibilità su­sciti il loro apostolato.

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C’è poi la comunione tra associazioni e movi­menti ecclesiali, comunione resa talvolta difficile per l’emergere di atteggiamenti che più che favo­rire un pensare e agire «secondo lo Spirito», ali­mentano un pensare ed agire «secondo la carne». Il protagonismo non di rado nasconde sentimen­ti di chiusura e di non accoglienza degli altri. Si­mile modo di fare è strettamente imparentato con l'egoismo, il quale non è solo un peccato perso­nale, ma una forza che distrugge la comunione, che finisce per suscitare negli altri atteggiamenti di difesa e di risentimento, e mette così in moto un circolo vizioso di disgregazione e di sospetto. La comunione esige un caro prezzo; non è da iden­tificare con un clima ovattato e sereno, dove nes­suno disturba e dove si vive romanticamente in pace. L'icona della vera comunione è piuttosto la croce di Cristo dove le divisioni sono annullate ma a prezzo della vita. Non è superfluo ricordare che la comunione sarà tanto più solida quanto più si accetta e si vive la logica della croce.

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PARROCCHIA COMUNITÀ MISSIONARIA

La comunione assume rilevanza storica nella comunicazione della fede. Significativa a riguar­do è l'esperienza trasmessa dall’apostolo Giovan­ni nella Prima delle sue lettere: «Quello che ab­biamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (cf lGv 1, 1-4). L'esperienza del­l'incontro con Gesù, che gli apostoli hanno con­diviso, ha permesso di intrecciare fili di fraternità tra di loro e li ha spinti a comunicare oltre, quan­to avevano vissuto. Paolo con la sua Chiesa di Co­rinto, tentata di rinchiudersi nel godimento delle sue esperienze mistiche, è molto deciso ed espli­cito: «Forse la parola di Dio è partita da voi? O è giunta soltanto a voi?» (ICor 14, 36). La sollecita­zione dell'apostolo ci richiama alla mente un con­cetto espresso in maniera concisa ed efficace dai nostri Vescovi nel documento programmatico Comunione e comunità del 1981: «Solo una Chiesa che vive e celebra in se stessa il mistero della co­munione traducendolo in una realtà vitale sem-

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pre più organica e articolata, può essere soggetto di una efficace evangelizzazione» (n. 3). Una tale visione delle cose, porta necessariamente a rite­nere che «l'ambizione di una comunità parroc­chiale, dopo aver offerto a tutti la proposta della fede, dovrebbe essere quella di essere considera­ta dalla popolazione del suo territorio, anche da parte dei non credenti, come un vero patrimonio di umanità e di cultura, un punto di riferimento dell'universale fraternità»10. Perciò, il territorio per la comunità parrocchiale non può essere lo spa­zio del suo possesso, né il contenitore nel quale collocarsi e dal quale pescare i membri per la co­munità. Il territorio segna invece lo spazio uma­no della responsabilità e della missione della Chie­sa in ordine al suo servizio all'uomo.

1. La visione di Chiesa che ci deve animare

Ci sono due versetti nel Vangelo di Marco (3, 14-15) che esprimono la Chiesa pensata, voluta e attuata da Cristo: «Li chiamò (= i discepoli di allora e di tutti i tempi) perché stessero con Lui (= per co­noscerlo, per fare amicizia con Lui, per imparare a vivere «come» Lui; per vivere in amicizia tra

10 S. Dianich, La teologia della parrocchia, in Parrocchia e pa­storale parrocchiale, Dehoniane, Bologna 1986, p. 86.

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loro e con tutti) e per inviarli (= missione) a predica­re (= ad annunciare l'Amore di Dio) e a scacciare i demoni (= ad attuare una solidarietà «liberante»).

Qui troviamo il paradigma originario di ogni comunità che desideri porsi come prolungamen­to autentico della missione di Gesù. La Chiesa è missionaria per sua natura, non perché indotta dalla crescente tendenza agli abbandoni e all’in­differenza, alle forme di sincretismo religioso che pure interessano le nostre popolazioni. E il Signore che manda (cf Mt 28) a tutte le genti. «Evangeliz­zare è la grazia e la vocazione propria della Chie­sa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare» (EN14). Dall'inizio del suo ponti­ficato Giovanni Paolo II insiste sulla «nuova evangelizzazione», invitando a rinnovare l'entu­siasmo e lo slancio dell'annuncio e della testimo­nianza. In una convergenza di prospettive si pon­gono i Vescovi italiani, ritenendo la missione un tema strutturale, come si comprende dal titolo del documento Comunicare il Vangelo.

2. La parrocchia al servizio della missione di Cristo

Uno dei temi forti del documento dei Vescovi Comunicare il Vangelo è la «conversione della pa­storale». Cosa si vuole intendere? La risposta vie­ne da quell'indicazione collocata all'inizio della seconda parte, allorquando, i Vescovi dicono che

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«l'evangelizzazione può avvenire solo seguendo lo stile di Gesù» (n. 34). Il termine stile non lascia dub­bio: è lo sòie che ha caratterizzato l'esistenza terre­na di Gesù: i suoi rapporti, le sue priorità, le sue de­nunce, il suo destino. Non dimentichiamo che Gesù Cristo è il primo missionario del Padre, nella sua persona e con la vita: «Bisogna che io annunzi il Regno di Dio...; per questo sono stato mandato» (Le 4,43). Una missione quella di Gesù fatta di parole e di gesti, di testimonianza piena, fino al martirio11.

La NMI, da parte sua, pone un principio basi­lare, chiaramente espresso al n. 29: «Non una for­mula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!». E afferma che questa Persona — che ci salverà — va conosciuta. Ci propone quindi una via di conoscenza, in una serie di paragrafi che partono dal n. 16, dove si richiamano le parole rivolte da alcuni greci a Fi­lippo: «Vogliamo vedere Gesù». È la contempla­zione del volto del Signore, infatti, che spinge la Chiesa, i cristiani alla missione. La connessione contemplazione-missione è messa in rilievo dai nostri Vescovi quando affermano che «la Chiesa può affrontare il compito dell'evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte a Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne» (n. 10).

" Cf CEI, Comunione e comunità missionaria, 1986, n. 6: ECEI 3/242.

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Page 29: COLLANA “MAGISTERO DEL VESCOVO” a cura di D A · 2016. 6. 29. · 6 Cf CEI, Con il dono della carità dentro la storia, 1996, 23: ECEI 6/151. 7 Cf N. Ciola (ed), La parrocchia

3. In mezzo alle case

Può tornare utile ricordare il significato etimo­logico del termine parrocchia. Nella lingua greca, dalla quale deriva, parrocchia (=paroikìa) contie­ne un duplice significato che disvela due dimen­sioni le quali rinviano direttamente alla missione da svolgere.

Un primo significato è quello legato al senso di precarietà, tipico di chi è senza dimora fissa. Una condizione che richiama quella del popolo di Dio in cammino, tema assai caro al Concilio Vaticano II. Un secondo significato attesta il suo stare presso le case o in mezzo ad esse (parà-oikia). L'idea aiuta a pensare la Chiesa vicina alla gente; una Chiesa dunque immersa nel vissuto delle per­sone, attenta a condividere «le gioie e le speran­ze, le tristezze e le angosce» dell'umanità. Non dunque una parrocchia «ghetto» ma grembo; accogliente, non rinchiusa nelle sagrestie ma aper­ta sulle strade; non esposta alla finestra aspettan­do rientri, ma premurosamente in servizio a do­micilio; non ripiegata a conservare l'esistente, ma protesa verso chi vive le varie marginalità.

Un simile modo di intendere la realtà, mette in crisi una concezione di parrocchia rigidamen­te chiusa da un territorio circoscritto geografica­mente ed assume una visione di apertura alla interparrocchialità, che si esprime in fruttuose collaborazioni e programmazioni. Rivolgendosi

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ai presbiteri nell'omelia per la Messa Crismale 1983, don Tonino Bello così si esprimeva: «Com­prendete bene che una concezione così atomizzata della parrocchia, come feudo dato in appalto a un titolare, geloso della sua autonomia e puntiglioso custode della sua indipendenza, non corrispon­de agli orientamenti conciliari... Dobbiamo tro­vare lo stile della comunione, il gusto della co­munione, il puntiglio della comunione»12.

La nostra diocesi, per la sua configurazione, ben si presterebbe ad una simile collaborazione. Le parrocchie nelle nostre città, senza perdere la propria identità, potrebbero stabilire legami più fecondi dando vita a quella nuova figura di co­munità cristiana di cui tanto si parla, l'unità pa­storale. Ne deriverebbero vantaggi molteplici con la garanzia di un migliore servizio sul territorio, intendendo per territorio non solo l’aspetto topografico, geografico-spaziale, ma anche l'aspetto socio-culturale.

4. Con il dono della carità dentro la storia

La nota pastorale della CEI, prodotta a segui­to del Convegno di Palermo, suggerisce la moda­

12A. Bello, Omelie e Scritti quaresimali, LuceeVita, Molfetta 1994, p. 16.

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lità dell'impegno della Chiesa nella storia del mondo. La carità non è da intendersi innanzitutto come il complesso dei servizi e degli interventi sulle emergenze; essa invece ha un significato ben più profondo, legato intimamente alla natura stes­sa della Chiesa che riflette nel tempo l'amore di Dio per l'umanità. Essa assume molteplici volti, ma esprime sempre prossimità come il buon samaritano. La carità è il «luogo» dove l'annun­cio della Chiesa diviene più credibile. Ogni gesto ecclesiale deve nascere dall'ascolto del fratello, nel rispetto dell’altro, nell'attenzione e nel servizio ai più piccoli, nella magnanimità verso i limiti e le necessità dei più deboli e degli ultimi. Nulla nel­la Chiesa andrebbe progettato, pensato, attuato senza l'altro, e tanto meno contro l'altro. Il docu­mento dei Vescovi Comunicare il Vangelo sottoli­nea tutto ciò con una forza che sorprende (n. 34): «Il cristianesimo non può accettare la logica del più forte, l'idea che la presenza dei poveri, sfrut­tati e umiliati sia frutto dell'inesorabile fluire del­la storia: Gesù ha annunciato che saranno proprio i poveri a regnare, a precederci nel regno dei cieli. Sono essi i nostri "signori". Su questo punto il cri­stianesimo non può scendere affatto a compro­messi: il povero, il viandante, lo straniero non sono cittadini qualunque per la Chiesa, proprio perché essa è mossa verso di loro dalla carità di Cristo e non da altre ragioni».

Consentitemi di ribadire — anche a costo di

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ripetermi — che questa dimensione della carità è assolutamente decisiva per il cammino e la cre­scita della nostra Chiesa locale così per tutta la Chie­sa. Le caritas parrocchiali hanno un compito deter­minante nel ricordare a tutti questa dimensione di amore e di servizio all'interno delle comunità.

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CONCLUSIONE

Le indicazioni che ho cercato di tracciare non hanno alcuna pretesa di completezza. Sono, ap­punto, semplici indicazioni che hanno l'unico obiettivo di incoraggiare la nostra Chiesa dioce­sana nelle sue varie componenti ed articolazioni a camminare con il desiderio di servire il Vangelo di Gesù nel mondo che cambia.

L'ho fatto con molta semplicità, ma anche con la consapevolezza di tutta la responsabilità che mi deriva dall'essere pastore di questa amata chie­sa che è in Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi.

Il pensiero, mentre siglo la chiusura di que­ste pagine, raggiunge spontaneo tutti i parroci e tutti i sacerdoti verso i quali non sarò mai ab­bastanza riconoscente per il prezioso lavoro che svolgono.

A voi tutti, cari sacerdoti, mi rivolgo con l’in­vito dell'apostolo Paolo a Timoteo e dico: «Ricor­dati di ravvivare il dono che è in te» [2Tm 1, 6). E il dono del ministero che dobbiamo investire in tempi difficili, ma altrettanto carichi di promesse e della grazia del Signore.

Attraverso di voi, consegno queste indicazio­ni pastorali a tutte le parrocchiane e i parrocchia­

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ni, alle associazioni, ai gruppi, ai movimenti, nel­la speranza che siano accolte come segno di pa­terno e fraterno affetto.

Molfetta, 21 settembre 2002Festa di San Matteo Apostolo ed Evangelista

+ don GINO Vescovo

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LINEE OPERATIVE

1. Rimotivare i soggetti

Molte persone che operano nelle comunità svolgono servizi preziosi, ma spesso rischiano di prosciugarsi spiritualmente. Occorre, per così dire, versare olio nelle loro lampade perché ritrovino lucentezza riscoprendo Cristo, fonte del loro es­sere e del loro agire e siano spinti ad una offerta più credibile del loro servizio.

2. Formazione per tutti

È una necessità avvertita diffusamente: quel­la della formazione e cioè l'offerta dei diversi iti­nerari di arricchimento, approfondimento della fede, di preparazione ai diversi servizi e ministe­ri. «Ci sembra importante — si legge nel docu­mento dei Vescovi — che la comunità sia corag­giosamente aiutata a maturare una fede adulta, "pensata", capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo. Solo così i cristiani saranno capaci di vivere nel quoti­diano, nel feriale — fatto di famiglia, lavoro, stu­dio, tempo libero — la sequela del Signore, fino a rendere conto della speranza che li abita (cf lPt 3,

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15)» (CV 50). La formazione tende, perciò, a dar luogo a «forme di vita» vissute in senso cristiano, passando soprattutto attraverso scelte e compor­tamenti quotidiani delle singole persone, delle famiglie, dell'intera comunità.

3. Spiritualità di comunione

La parrocchia non è un micro-ambiente suffi­ciente a se stesso e non vive di intuizioni più o meno geniali, ma di legami, di relazioni che crea­no comunione. Questa comunione si realizza con la diocesi, con le altre parrocchie dello stesso terri­torio, tra gruppi all'interno della parrocchia. È ne­cessario che siano rilanciati i consigli pastorali nelle parrocchie, ma è soprattutto necessario che tutte le componenti della comunità, a partire dai presbiteri, convergano verso l'unità. «Dobbiamo alimentare una cultura della reciprocità e della partecipazione e at­tivare un'incessante comunicazione e collaborazio­ne, per esprimere concretamente la comunione»13.

4. Puntare sulla famiglia e sui giovani

Sono le priorità indicate dai Vescovi nel docu­

13 CEI, Con il dono della carità dentro la storia, 1996, 20: ECEI 6/142.

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mento e non è difficile convincersi che scommet­tere sulla famiglia e sui giovani oggi è essenziale. I due ambiti sono strettamente connessi per cui non si può pensare ad uno e prescindere dall'al­tro. Il cammino finora fatto in questi settori è in­coraggiante, grazie all'impegno perspicace dei miei immediati predecessori don Tonino e don Donato, ma occorre continuare con fedeltà e te­nacia sapendo di giocare una carta decisiva della pastorale ecclesiale.

5. Farsi «prossimo» ai lontani e ai poveri

La carità di Cristo deve suscitare in noi una salutare inquietudine. Sapere che tanti altri po­trebbero condividere gioiosamente con noi la gra­zia della fede, la forza della speranza e il dono della carità non può lasciarci inerti. La missiona- rietà ci deve spingere verso tutti, verso ogni uomo, verso tutto l'uomo. Lecaritas parrocchiali, perciò, avranno cura di suscitare, incoraggiare e coordi­nare le varie attenzioni alle persone in difficoltà.

6. Favorire occasioni di collaborazione

Le quattro città della nostra diocesi hanno più parrocchie: sarebbe sicuramente fruttuosa una collaborazione di esperienze concrete, almeno in quei settori nei quali è più avvertita la necessità.

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Opportunità in questo senso ritengo possano es­sere favorite dalla istituzione dei Consigli pasto­rali foraniali. Essi rappresentano uno strumento di collegamento tra le varie comunità parrocchiali e nello stesso tempo di programmazione unitaria.

Per quanto riguarda le attività concrete si rin­via al Calendario diocesano predisposto per l'an­no 2002-2003. Tali proposte dovranno conciliarsi con altre iniziative a livello parrocchiale o inter- parrocchiale, evitando possibilmente sovrappo­sizioni e sovraccarichi.

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Indice

9 I - La parrocchia in un mondo che cambia

15 II - La parrocchia casa e scuola di comunione

23 III - Parrocchia comunità missionaria

31 Conclusione

33 Linee operative

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Collana "Magistero del Vescovo"

4 Luigi Martella, «Va' dai miei fratelli e di’ loro». Parola e territorio - Comunicare il Vangelo oggiIndicazioni pastorali per l'Anno 2001-2002

5 Luigi Martella, «Sulla tua parola»Indicazioni pastorali per l'Anno 2002-2003

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Digitalizzato da

Finito di stampare nel mese di settembre 2002 nella Tipografia Mezzina - Molfetta

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