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CLUB MILANO N. 57 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/MI 3,00 euro Renato Sarti, il fondatore del Teatro della Cooperativa, ci parla dell’importanza della memoria storica A Milano manca il mare. Ma per fortuna ci sono piscine di ogni sorta: schiette e accessibili, cool ed esclusive Le serate estive invogliano a ritrovarsi e in tema food, tra bowl e tipicità varie, le proposte abbondano Lo sapevate che tra le vie della città “vivono” cinque sirene? Alcune dall’Ottocento proteggono gli innamorati LUGLIO - AGOSTO 2020 Ivan Capelli: «La Formula Uno attuale è diventata un affare ricchissimo. E altrettanto costoso» pagina 16

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club milano n. 57

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Renato Sarti, il fondatore del Teatro della Cooperativa, ci parla dell’importanza della memoria storicaA Milano manca il mare. Ma per fortuna ci sono piscine di ogni sorta: schiette e accessibili, cool ed esclusive

Le serate estive invogliano a ritrovarsi e in tema food, tra bowl e tipicità varie, le proposte abbondanoLo sapevate che tra le vie della città “vivono” cinque sirene? Alcune dall’Ottocento proteggono gli innamorati

luglio - agosto 2020

Ivan Capelli: «La Formula Uno attuale è diventata un affare ricchissimo. E altrettanto costoso»− pagina 16

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Stefano Ampollini

Nel 1974 Seymour Bernard Sarason, professore emerito di Psicologia alla Yale Uni-versity, fu il primo a fornire una definizione di “senso di comunità”. Per Sarason non è altro che “la percezione di similarità con altri individui, una riconosciuta interdi-pendenza, una disponibilità a mantenere tale interdipendenza offrendo o facendo per altri ciò che ci si aspetta da loro, la sensazione di appartenere a una struttura piena-mente stabile e affidabile”. Qualche anno dopo altri due studiosi, McMillan e Chavis, entrarono ancor più nel dettaglio descrivendo il senso di comunità come l’insieme di quattro elementi: il senso di appartenenza (belonging), che corrisponde al sentimento di fare parte di una comunità; l’influenza (influence), identificata con la possibilità del singolo di partecipare e dare il proprio contributo alla vita della comunità in un rapporto di reciprocità; la soddisfazione dei bisogni (fulfillment of needs) che esprime il concetto secondo cui la relazione tra individuo e comunità deve essere positiva per l’individuo, che può soddisfare alcuni bisogni in ragione dell’appartenenza alla comunità; infine la connessione emotiva condivisa (shared emotional connection), de-finita dalla qualità dei legami e dalla condivisione di una storia comune. È evidente che una comunità in quanto tale non può esistere se non si fonda su un forte e radi-cato senso di comunità, sia essa un continente, una nazione, una città, un quartiere. Abbiamo assistito in questi anni a quanto è complicato costruire l’Europa attorno a valori condivisi, dell’Italia conosciamo perfettamente tutte le difficoltà di riconoscersi in un’identità comune (“Fatta l’Italia, ora dobbiamo fare gli Italiani”, riconobbe Mas-simo d’Azeglio dopo l’Unità d’Italia nel 1861), ma la comunità più importante, su cui si fondano tutte le altre, è certamente la città. Per i Greci, fondatori della cultura e della civiltà moderna, la polis era tutto: la stessa politica altro non era che l’arte di amministrare la città, intesa proprio come comunità. Una città come la nostra vive oggi una delle sfide più importanti della sua storia: Milano è accogliente per natura, permette a chiunque di esprimersi e ha una storia di cadute e ripartenze che hanno rafforzato il senso di appartenenza di chi ne ha fatto parte. Sentirsi milanesi è facile, regala grosse soddisfazioni, ma richiede anche impegno e forse persino sacrificio. Il Covid ha smontato molte nostre certezze, ma forse più di tutto ha minato quel senso di comunità che pensavamo di avere e che va ritrovato nelle piccole cose, andando oltre alla partecipazione agli eventi, al Fuorisalone, alle fashion week, agli aperitivi, ai vernissage o al tifo da stadio.

senso di comunità

editorial

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contents

point of view 10il giorno del ricordo

di Roberto Perrone

inside 12Brevi dalla città

a cura di Elisa Zanetti

outside 14Brevi dal mondo

a cura di Elisa Zanetti

portfolio 20il mondo che cambia

foto Photofestival

cover story 16ivan capelli

di Simone Sacco

focus 32un tuffo contro il logorio

di Marco Agustoni

focus 36a ritmo d’acque

di Marilena Roncarà

interview 38sofia goggia

di Nadia Afragola

focus 40cono o coppetta?

di Enrico S. Benincasa

focus 28ritrovarsi d’estate

di Simone Zeni

interview 30gabriele Ferraresi

di Matilde Quarti

interview 34Paco salvini

di Enrico S. Benincasa

interview 26renato sarti

di Marilena Roncarà

Via Sant’Andrea 12, Milano

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contents

In copertina

Ivan Capelli

foto di Francesco Pizzo

free time 62da non perdere

a cura di Marilena Roncarà

secret milano 64sirene in città

di Elisa Zanetti

hi tech 54sportech da passeggio

di Paolo Crespi

food 60takeshi iwai

di Simone Zeni

overseas 58la regina del sud

di Cristina Buonerba

weekend 56intima ortigia

di Carolina Saporiti

memories 46 Massimo turatto

di Marilena Roncarà

memories 44l’altra realtà

di Elisa Zanetti

style 48un’estate full color

di Monica Codegoni Bessi

design 50Jungle Fever

di Marzia Nicolini

wheels 52 Buona la prima

di Ilaria Salzano

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Point oF view

Mai come nel periodo da cui siamo usciti (speriamo), abbiamo sfiorato la com-prensione del valore del ricordo. Questa è un’epoca distratta, dove tutto si consu-ma in fretta. I leoni da tastiera, i promotori di sé stessi scrivono in continuazione, in modo febbrile, dimentichi, oggi, di quello che hanno fatto ieri. Emettono sen-tenze, postano foto, filmati, raccontano i fatti loro e commentano, non sempre ci-vilmente, quelli degli altri. Nel periodo della quarantena, le poche foto che descri-vevano la “prigionia” a cui eravamo sottoposti, si alternavano alle più numerose immagini del passato, spesso recente. Abbracci, mare, feste, montagna, bermuda, bikini, spiagge e locali affollati, brindisi tintinnanti, foto in cui le distanze erano inesistenti. Ho riflettuto molto sul valore della memoria, su quanto ricordiamo di quello che è accaduto a noi e al mondo in cui viviamo. Durante il periodo più cupo della pandemia sembrava che avessimo ricompreso il valore dei ricordi, ma ora siamo tornati di nuovo a perdere la memoria. La realtà maligna di questo nostro tempo è che vive di presente, non ha radici, non ha cultura. Dovremmo concederci un esercizio quotidiano di memoria, rinfrescare i ricordi, permettere a chi ne ha più di noi di raccontarceli. Imparare ad ascoltare: un altro beneficio del ricordo. Perché il potere evocativo della memoria porta in dono la conoscenza. Quando eravamo chiusi in casa, erano i ricordi, quei ricordi di una vita non stabilita per decreto a permetterci di andare avanti nella speranza ripren-derci quello che al momento ci era negato. Il valore del ricordo sta nel darci un passato che è spesso un passato comune. In tutti i Paesi ci sono giornate del ricor-do, per gli eventi storici più disparati, quasi sempre drammatici. Anche ognuno di noi, dovrebbe istituire una giornata del ricordo privato che permetta di conserva-re volti che abbiamo guardato, le persone che hanno lasciato un segno nelle nostre esistenze, momenti che ci hanno fatto riflettere. I nostri ricordi, le nostre storie personali, poi, dovrebbero confluire in una storia comune. Una storia di popolo. Il nostro peccato più grande è l’assenza di memoria. Mentre scrivo queste righe, rivedo i volti di mia nonna, dei miei genitori, li sento parlare. Li sento raccontare le loro vite intrecciate in una vita più grande, quella dell’Italia. È bellissimo, è appagante. Più di un selfie bruciato in un click.

il giorno del ricordo

Roberto Perrone

roberto perroneGiornalista e scrittore, vive a Milano ma ha solide radici “zeneisi”. Si è occupato a lungo di sport, food e viaggi a Il Corriere della Sera. Ora giornalista freelance. È autore della saga noir di Annibale Canessa e il suo nuovo romanzo si intitola L’ultima volontà (Rizzoli)

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inside

Simbolo dello sportswear e dello streetwear inglese, Fred Per-ry sbarca a Milano con il suo primo store in Corso di Porta Ti-cinese 76. Spazi essenziali, illluminati da luci LED e arredati con mobili su misura in legno, acciaio grezzo, vetro e marmo raccolgono tutte le collezioni e alcune tra le collaborazioni più apprezzate, tra cui quella con il designer Raf Simons e con la Amy Winehouse Foundation. Il negozio ospita anche l’exhibition room, uno spazio dove rivivere la storia del brand. www.fredperry.com

New opening

Cin cin Milano trionfa nell’edizione 2020 della Guida Locali storici d’Italia con ben 14 location selezionate. Il volume, disponibile anche in versione app con geolocalizzazione individua i luoghi culto dell’ospita-lità italiana con almeno 70 anni di attività e guida alla scoperta di caffè letterari, alberghi, ristoranti… Non resta che brindare con un aperitivo al Caffè Camparino o un Rosso Usellini al Bar Jamaica. www.localistorici.it

Estate SforzescaOltre ottanta spettacoli di teatro, musica e danza di cui godere sotto le stelle: i giardini del Castello Sforzesco sono un porto sicuro nelle sere d’estate. Il ricco calendario di concerti e appuntamenti della rassegna Estate Sforzesca ci accompagna infatti da giugno fino a primi di settembre con proposte gratuite e a pagamento, in programma sia nel weekend sia durante la settimana. www.milanocastello.it

Un picnic nel parco Un cesto di vimini e sei diverse proposte per accontentare tutti i gusti. È la formula picnic di Peck CityLife per godersi un pranzo nel parco. La celebre gastronomia offre tutto ciò che serve per una pausa all’aperto e il cesto, oltre alle pietanze, include coperta, posate e bicchieri. Il servizio è disponibile anche per l’aperitivo e il brunch nel weekend. Non resta che scegliere il proprio angolo preferito. www.peck.it

Colour your city Riscoprire la città e guardarla con occhi nuovi. Dopo il lockdown è tempo di tornare all’aperto e lasciare spazio ai propri pensieri, senza farseli sfuggire. Moleskine celebra Milano con il proget-to Colour your city, realizzato con l’artista Carlo Stanga e dà vita a una versione coloratissima dei suoi taccuini. I disegni di Stanga trovano posto anche nella collana di libri I am… che racconta Milano, Londra e New York. www.moleskine.com

C

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ATPCO_CLUBMILANO_AGO2020.pdf 1 7/29/20 11:09 AM

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outside

Ovidio / Elena

gli occhiali senza tempo

Family Affair Sette famiglie guidate dal collettivo bolognese ZimmerFrei hanno dato vita a un progetto di teatro documentario e partecipativo che s’interroga sulla famiglia contemporanea. Piccoli e grandi nuclei, coppie senza figli, genitori single, famiglie arcobaleno e di ogni tipo hanno animato gli appuntamenti del 16 e 17 luglio di Family Affair | Santarcangelo, tappa di un progetto europeo avviato da oltre quattro anni. www.santarcangelofestival.com

Una gita in collinaUna passeggiata in collina, un pranzo all’aperto o una visita a un’antica cantina. Quest’estate Open Air ci invita a scoprire Monferrato, Langhe e Roero riunendo aziende vinicole, ristoranti, ar-tigiani del gusto, antichi borghi e parchi tematici all’interno di un unico progetto turistico per la riscoperta del territorio. Pronti per un weekend?www.openairmonferratolangheroero.it

Save The Duck, brand di piumini 100% animal friendly, si è lasciato ispirare dalla cultura più nascosta dell’Himalaya, dalle meravigliose terre incontaminate del Tibet e della Valle di Ladakh in Kashmir per creare la nuova collezione autun-no inverno 2020/21. Una linea che rispecchia i valori prima-ri della natura e del suo incessante cambiamento. L’intento è portare in città, attraverso capi altamente tecnologici e mo-derni, uno stile evoluto e caratterizzante: il fashion outdoor.www.savetheduck.it

Ispirazione Himalaya

Estate nei borghi Vuole raccontare e sostenere i piccoli comuni certificati con la Bandiera Aran-cione la campagna di promozione digitale di Touring Club Italiano Estate nei borghi. Attraverso una vetrina e-commerce e numerose interviste ai protago-nisti, l’iniziativa porta sul web un assaggio delle peculiarità del nostro territorio, fatte di prodotti tipici, persone e pratiche virtuose. www.benvenuto.bandierearancioni.it

Bentornati a Palazzo!Appuntamenti serali nel Giardino Ducale, musica dal vivo nel rinnovato Boschetto, visite guidate con storici dell’arte all’Armeria e alla Galleria della Sindone e poi ancora aperitivi con dj set, workshop e tour alla scoperta delle specie floreali che impreziosiscono le aree verdi. Con la loro ricca agenda, i Musei Reali di Torino promettono di non annoiare mai.www.museireali.beniculturali.it

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cover story cover story

In occasione dell’atteso Gran Premio di Monza, ottava gara a porte chiuse di una stagione oltremodo anomala per la Formula Uno, abbiamo raggiunto il sincero pilota milanese che, nei suoi anni d’oro, ha dato gas alla velocità meneghina già nobilitata, tra gli altri, da due indimenticabili: Alberto Ascari e Michele Alboreto. Un’esistenza da seria biografia sportiva, la sua. Un libro che nessuno ha ancora scritto per davvero. Ci pensiamo noi a darvene un sunto super aggiornato

di Simone Sacco - foto di Francesco Pizzo

IvAN CAPELLI

SFRECCIANdO OLtRE IL CAvALLINO BIZZOSO

Una vita spesa per il motorsport, ma non solo. Ivan Capelli ha passato meno di una decina d’anni rocamboleschi in Formula Uno (dal 1985 al 1993) cor-rendo per cinque scuderie diverse: Tyr-rell, AGS, March-Leyton House, Ferra-ri (il suo annus horribilis) e un veloce passaggio in Jordan. Poi altre cose belle (campione italiano ed europeo in F3, campione in Formula 3000), un po’ di Gran Turismo e pure un’avventura a Le Mans. Prima di diventare apprez-zato giornalista televisivo e presidente per quattro anni dell’ACI Milano, dove ha lavorato per la riconferma di Monza nel circus di una F1 sempre più costosa e ingorda. Sempre con quel rammari-co nel cuore: l’uomo giusto nel posto sbagliato. A Maranello, nel 1992, top driver qualche stagione dopo la scom-parsa del Drake e prima, molto prima dei ritrovati e ripetuti trionfi con Mi-chael Schumacher.Capelli, ma è vero che lei è nato a Mi-lano in viale Monza? Quando si dice la predestinazione...Sì, sono nato proprio lì: al 117, per la precisione. E le prime esperienze con-nesse al mondo dei motori le ho vissute al campeggio dell’autodromo di Monza dove mio padre era solito parcheggiare

la nostra roulotte delle vacanze. Anda-vamo lì e, quand’era giorno di prove, vedevo queste macchie di colore che sfrecciavano a pochi metri da noi. Io me ne stavo appeso alla rete di recinzione e un “qualcosa” inevitabilmente si è im-possessato di me.Altre zone del cuore del capoluogo lombardo?Da ragazzino il Parco Lambro dove passavo interi pomeriggi a giocare. Cre-scendo direi la zona tra Sesto San Gio-vanni e viale Monza che ormai conosco come le mie tasche. Ultimamente mi sto affezionando a piazza Gae Aulenti perché adoro il concetto di Milano in verticale: una città che assomiglia sem-pre di più alle grandi capitali internazio-nali. Capitali che, grazie al motorsport, ho avuto la fortuna di frequentare fin da quando avevo quattordici anni, ai tempi delle mie prime gare.Oggi quanti anni ha?57 compiuti lo scorso maggio.Lei comunque comincia l’attività spor-tiva facendo il calciatore, giusto?Confermo. Il mio primo team fu il mi-tico Santo Domingo, una squadretta dell’oratorio, e poi feci due anni nelle giovanili della Pro Sesto. Senta questa: io giocavo ala sinistra e un giorno ci toc-

ca affrontare i pari età dell’Inter. Quella volta fui completamente annullato dal loro terzino destro e lì capii che nel calcio non avevo un futuro. Il nome di quel difensore? Un certo Beppe Bergo-mi... (Sorride, NdR).Torniamo al mito di Monza: mi rac-conta la sua esperienza da presidente dell’ACI Milano (dal 2014 al 2018) dove ha lottato per la riconferma del Gran Premio d’Italia?Quella è stata una trattativa davvero delicata. Nel 2014, appena eletto pre-sidente, come prima cosa ho ricucito il dialogo con Bernie Ecclestone, allora patron della Formula Uno. Dopo la di-plomazia è arrivata la fase della tratta-tiva economica e in quel caso ho dovu-to far intervenire l’intero Automobile Club d’Italia – nella persona del suo presidente Angelo Sticchi Damiani – in quanto le richieste dello stesso Eccle-stone andavano ben oltre le possibilità di Milano...Questo fino al gennaio 2017 quando Chase Carey, a capo di Liberty Media, subentra a Bernie e diventa il nuovo padrone della Formula Uno?Già. Con l’ingresso di Carey e Liberty Media siamo praticamente ripartiti da capo. Io me ne sono andato nel 2018 e

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cover story cover story

solo nel settembre 2019 siamo arrivati all’obbiettivo finale (rinnovo del con-tratto con l’autodromo di Monza fino al 2024, NdR). Però, ripeto, si è trattato di un braccio di ferro molto molto one-roso. Perché la Formula Uno attuale è diventata questo: un affare ricchissimo. E altrettanto costoso.Tra l’altro la stagione 2020 della F1, causa coronavirus, ha come spartiac-que proprio il GP di Monza. Dopo si capirà meglio il da farsi.Sicuramente ci saranno altri gran premi (non ancora confermati al momento di andare in stampa, NdR) perché dubito che con un Abu Dhabi pronto a spen-dere 50 milioni di euro non si vada a correre pure là. Allo stesso tempo e con tutto il rispetto per la tragedia del Co-vid è interessante notare come le gare europee abbiano ripreso quota rispetto ad altre destinazioni asiatiche o ameri-cane. La logistica per organizzare grand prix in questa parte del mondo, si sta rivelando decisamente meno complica-ta che altrove.Torniamo alla trattativa con Ecclesto-ne prima e Liberty Media poi che è stata, appunto, impervia. Ci ha rivisto metaforicamente un po’ della sua car-riera, soprattutto gli anni complicati con la March prima e la Ferrari poi?In realtà quasi tutta la mia carriera è stata imperniata sulle difficoltà econo-miche! Una volta, in Formula 3000, avevo la macchina incidentata, una March del team Genoa Racing, e il mio compianto manager Cesare Gariboldi – mancato nel 1989 – dovette vende-re il suo camion per ripararla. Faccia

impresso la sua firma su vetture da so-gno (Williams, McLaren, Red Bull) fa-cendosi copiare da chiunque. Da quella March 881, che guidai nel 1988, New-ey si è solo evoluto.Flavio Briatore. Forse una sliding door della sua carriera...Ebbene sì. Flavio mi chiamò subito dopo che Alessandro Nannini ebbe quello spaventoso incidente in elicot-tero chiedendomi se volevo prendere il suo posto in Benetton. Io ero anco-ra sotto contratto per un anno con la March e gli chiesi un briciolo di tempo per ragionare. Quel tempo ovviamen-te non ci fu. E comunque io non avrei mai avuto lo stomaco per piantare in asso Akira Akagi, il proprietario della Leyton House che così tanto aveva cre-duto in me. Se lo avessi fatto forse la storia sarebbe andata diversamente.Chiudiamo con Jean Alesi, suo com-pagno di team in quell’anno terribile che è stato il 1992 alla Ferrari.

conto che a quel punto non dispone-vo nemmeno di un bullone di ricam-bio, ma riuscii comunque a vincere il GP d’Austria. Nel 1987, al mio primo anno in March-Leyton House, c’erano 17 persone a libro paga. Quando lasciai la scuderia, a fine ‘91, erano diventate 190. Evidentemente qualcosa di buono l’avevo fatto.Per tradizione e luogo comune l’Emilia è terra di piloti, ma direi che anche Mi-lano si difende bene: Antonio Ascari, suo figlio Alberto, Arturo Merzario, il povero Michele Alboreto, lei ecc.Citerei anche i fratelli Fabi (Teo e Cor-rado) e Fabrizio Barbazza. Non so da cosa dipenda questa particolarità me-neghina. Nel mio caso la scintilla me l’ha accesa mio padre che, negli anni Settanta, realizzava spot pubblicitari. Spot per una nota azienda di latte che aveva sotto contratto piloti come Clay Regazzoni e Niki Lauda. Un giorno papà va a Maranello per delle riprese e mi raccomanda di starmene buono in un angolo. Sarà stato il 1976 o il ‘77. A un certo punto mi nota Ermanno Cuoghi, il capo-meccanico di Lauda, che mi fa: «Ragazzino, ti va di osservare da vicino una vera meraviglia?». E in un batter d’occhio mi piazza nell’abitacolo della Ferrari 312 T2: proprio quella di Niki! Ricordo che fissai il logo del ca-vallino, in mezzo al volante, e da lì co-minciò il sogno di diventare, un giorno, un driver affermato...Ora le faccio cinque nomi e lei mi ri-sponde di getto senza star troppo a riflettere, ok?Molto volentieri.

Un compagno anomalo. Jean era veloce in pista e scaltro nelle pubbliche rela-zioni. Probabilmente si era fatto le ossa vedendo coi suoi occhi cos’era successo ad Alain Prost l’anno prima (il france-se fu licenziato dalla Ferrari a una gara dal termine della stagione perché definì “un camion” la sua vettura, NdR). Io, all’epoca, venivo da cinque stagioni di amicizia vera con Mauricio Gugelmin alla March: tutta quella politica, am-ministrata molto bene da Alesi, non mi apparteneva proprio. Tant’è che nei pri-mi test invernali Capelli era quello che segnalava i problemi reali della F92A mentre per Jean era sempre tutto fan-tastico e très bien...Mi dica la spudorata verità: sono sta-te tutte quelle malignità mediatiche, nel suo anno in Ferrari, a tramutarla suc-cessivamente in un giornalista televisi-vo obiettivo e lontano dalle polemiche?No. Credo semplicemente che l’onestà intellettuale faccia parte di me. In quel

Ken Tyrrell che, nel 1985, la fece debut-tare in Formula Uno.Una figura imperiosa. Ho fatto appena due gare in quel team, ma i famosi si-lenzi di Ken sono stati importantissimi per me. Mi hanno fatto riflettere sui miei primi errori in pista.Enzo Ferrari. Lei ebbe la fortuna di conoscerlo appena ventenne mentre il Drake aveva già 85 anni. Cosa vi siete detti in quell’occasione?Sì, gli parlai durante la consegna del premio giornalistico Tartaruga d’Oro. Quando Ferrari discorreva sembrava stesse leggendo un libro dato che in ogni sua parola non c’era la benché mi-nima ombra d’esitazione. Lo vuole sen-tire un aneddoto?Prego.A un certo punto Ferrari mi chiese quali fossero le mie ambizioni. «Beh, Commendatore, sicuramente correre in Formula Uno». «Allora, Capelli, segua il mio consiglio: resti in Europa. Non vada a perdersi nei circuiti americani che quelli i grandi manager non li con-siderano. Anzi, faccia così: mi richiami quando avrà preso la sua decisione». Passano sei mesi, io resto a correre nel Vecchio Continente e mi decido a fare quella famosa telefonata. La sua segre-taria me lo passò subito e lui, alla sua età, si ricordava perfettamente di quelle poche battute scambiate nell’aprile ‘84. «Bravo Capelli, ha fatto bene! Ora la terrò d’occhio...».Che mi dice di Adrian Newey che pro-gettò quella fantastica aerodinamica sulla March 881?Un genio assoluto. Nella sua carriera ha

‘92 alla Ferrari ne successero di cotte e di crude. Addirittura prima del GP di Monaco, una gara già tesa di per sé, uscì quella voce assurda che avevo contrat-to l’anemia mediterranea; e nessuno mi difese smentendo quella panzana. Anni dopo, ai microfoni della Rai, avrei an-che potuto levarmi qualche sassolino dalla scarpa punzecchiando qualche ri-sultato sotto le attese della casa di Ma-ranello, ma non lo feci mai. Perché non era nel mio stile.Ultima domanda: c’è qualcuno in cui si rivede nel 2020?In un pilota come Daniel Ricciardo. Per me ha tutto: velocità nel piede, de-terminazione e gran cuore nel vivere la F1. Uno sempre allegro nonostante qualche sgambetto glielo abbiano fatto anche a lui. Io sono arrivato in Ferrari a 29 anni; Daniel, a 31, insegue ancora quel sogno. Insomma, eccone un altro che non è stato granché favorito dagli eventi...

“Ero un bambino quando mi piazzarono nell’abitacolo della Ferrari 312 T2. Ricordo che fissai il logo del cavallino, in mezzo al volante, e da lì cominciò il sogno…”

Le immagini di queste

pagine insieme a quella

della copertina sono

state scattate all’inizio

di luglio sulla pista di

Cervesina, durante un

trackday che ha visto

Ivan Capelli alla guida di

alcune vetture

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PortFolio PortFolio

È un inedito palcoscenico autunnale quello pronto ad accogliere, dal 7 settembre al 15 novembre 2020, la quindicesima edizione di Photofestival, la rassegna di fotografia d’autore che tradizionalmente anima la primavera culturale milanese, me che quest’anno, in seguito all’emergenza sanitaria, ha dovuto far slittare in avanti la programmazione. Scenari, orizzonti, sfide. Il mondo che cambia è il titolo del festival con la direzione artistica di Roberto Mutti, un’occasione di ripartire per la città e per quella cultura che ne è linfa vitale. Centoquaranta le mostre fotografiche previste, con un programma espositivo che spazia tra personali e collettive di autori di fama e talenti emergenti. Ve ne proponiamo un’anteprima

testo di Marilena Roncarà - foto Photofestival

il mondo che cambia

In questa pagina:

Enrica Gjuzi, Svestirsi.

Nella pagina a fianco:

Alessandro Gallo,

Con le migliori

intenzioni, 2018

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PortFolio PortFolio

In questa pagina: Mauro

Scarpanti Brick Factory.

Nella pagina a fianco:

Riccardo Marino,

Vanitas

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In questa pagina:

Franco Fontana, 1970.

Nella pagina a fianco:

daria Martinoni,

Bahnhof Oerlikon

photofestivalRealizzato in collaborazione con Confcommercio Milano, patro-cinato da Comune di Milano e Regione Lombardia, Photofestival è promosso da AIF - Associazione Italiana Foto & Digital Imaging, che

rappresenta l’intera filiera della fotografia e dell’imaging. Fondata nel 1979 AIF realizza iniziative per professionisti, per appassionati di fotografia e per chi si avvicina per la prima volta a questo universo. www.milanophotofestival.it

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interview

Triestino di nascita e milanese d’ado-zione, quando è arrivato a Milano?Era il 1969 e avevo 17 anni. Sono venu-to per studiare all’Accademia di Brera e in seguito ho frequentato anche l’Isti-tuto Europeo di Design. Poi mio padre si è ammalato e sono tornato a Trieste. Lì mi sono iscritto a un’accademia di teatro e ho anche partecipato alla fondazione di un teatrino all’interno dell’ospedale psichiatrico della città, lo stesso in cui, dal 1971, lavorava Franco Basaglia. In quel contesto l’arte era in-tesa come terapia, elemento di solida-rietà e di fratellanza. Ma presto ho ca-pito che se cercavo un confronto vero, il posto in cui stare era Milano, dove nel frattempo ero stato ammesso alla Civica Scuola di Arte Drammatica. È avvenuto così, nel 1974, il mio ritorno.Andando poi avanti nel tempo, nel corso della sua carriera è stato attore, drammaturgo, regista, direttore di tea-tro. Quale ruolo le appartiene di più?Sono tre dimensioni molto diverse, la profondità della scrittura non te la dà a volte la macchina registica e la sod-disfazione immediata dell’attore non te la dà la continuità della scrittura. È bello alternare.Nel 2001 fonda il Teatro della Coo-perativa. Ci racconta come è iniziato questo progetto?È stato un confluire naturale di tutte le esperienze precedenti. A partire dalla passione per la nostra storia recente, nata all’università grazie a dei professo-ri illuminati che mi hanno fatto scopri-re, tra l’altro, che abitavo in linea d’aria a circa un chilometro di distanza dalla Risiera di San Sabba, l’unico lager ita-

liano con forno crematorio. Una consa-pevolezza che mi ha cambiato la vita. Prima camminavo senza sapere che cosa avevo alle spalle. Da tempo faccio parte dell’Aned, Associazione Nazio-nale Ex Deportati: conoscere queste persone mi ha dato una grande voglia di fare e tanta sostanza per la vita.E poi cosa è successo?Poi c’è stato il Piccolo Teatro con Gior-gio Strehler e la grande palestra dell’El-fo, dove ho fatto anche teatro comico. Tutte queste passioni sono confluite naturalmente in un unico progetto gra-zie alla Cooperativa Abitare. A proposito, qual è il ruolo della Coo-perativa Abitare?La Cooperativa Abitare che quando è nata, nel 1894, si chiamava Edificatri-ce di Niguarda, ha sempre fatto opere di solidarietà al servizio di categorie professionali come artigiani, falegnami, operai e contadini che abitavano nella zona, offrendo loro un appartamento a condizioni non così gravose dal punto di vista economico. È la prima coo-perativa indivisa in Italia, i cui alloggi vengono assegnati ai soci mediante contratto di godimento. Altra sua pecu-liarità è destinare, da sempre, una parte del proprio bilancio alla cultura, non solo al teatro, ma anche alla musica, come a soddisfare il naturale bisogno di nutrimento spirituale delle persone. E questo mi piace molto. E poi c’è l’a-spetto politico legato all’antifascismo, alla storia della resistenza, che sono pure temi a me molto cari.Se dovesse fare un bilancio?Sono passati 20 anni dall’apertura e devo dire che non pensavo sarebbe sta-

ta un’esperienza così arricchente. Avere una casa, a livello di teatro, è una liber-tà enorme. All’inizio forse avevamo più energie, però ogni anno alla ripartenza mi chiedo se ha senso quello che faccio e il senso lo trovo perché poi le energie, non si sa da dove, vengono fuori. Evi-dentemente c’è una necessità, non solo mia, ma di tutto il teatro di confrontar-si con la vita. Quest’anno dal 9 al 20 di-cembre siamo ospiti della stagione del Piccolo con Coppia aperta, quasi spa-lancata, uno spettacolo comico da un testo di Dario Fo e Franca Rame. Uno spettacolo importante, ancora attuale, ma leggero: quello di cui abbiamo tutti bisogno in un momento come questo.I prossimi appuntamenti del Teatro della Cooperativa? Per ora continua la rassegna Teatro nei Cortili, abbiamo già fatto tre serate con nomi del calibro di Debora Villa, Antonello Taurino e Paolo Rossi. Il 10 settembre siamo in scena io e Marino Zerbin con uno spettacolo di burattini, mentre il 15 sono confermati i Duper-du, un duo comico molto legato terri-torio che fa teatro canzone.Un pensiero per Milano... L’impatto causato dal Covid è stato tremendo. Ma a Milano non si viene perché c’è il mare bello, si viene perché si lavora con una certa intensità, al pun-to che ti fa dimenticare il mare, dove magari comunque poi ci si va. Sono fi-ducioso che ci riprenderemo perché il milanese è tenace. E la fiducia è anco-ra più forte perché Milano non è fatta solo da milanesi, ma anche da pugliesi, liguri, veneti, friulani, sardi, siciliani… insomma è una summa dell’italianità.

interview

Dal 2001 dirige il Teatro della Cooperativa di Niguarda, ma lui è prima di tutto attore, drammaturgo e regista, appassionato di teatro comico e di memoria storica, perché

“camminare senza sapere cosa si ha alle spalle” non porta lontano

di Marilena Roncarà

RENAtO SARtI

UNA GRANdE vOGLIA dI FARE “Ogni anno alla ripartenza della stagione, mi chiedose ha senso quello che faccio e il senso lo trovo sempre.Evidentemente c’è una necessità, non solo mia, madi tutto il teatro di confrontarsi con la vita”

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FocusFocus

02. é aperta tutta

l’estate la pizzeria dry,

in vittorio veneto

03. L’anatra alla

pechinese tra i piatti di

MU Paolo Sarpi

01. Gud darsena

d’estate tra bowl,

focacce, fish & chips

All’Origine: il ristorante di Fabio Titone introduce un menu aperitivo che va avanti fino a chiusura, tra crudità di mare e chicche gourmet. Happy hour firmato anche da VOCE in Giardino, allestito nel Giardino di Alessandro Manzoni. Qui, tra le Gal-lerie d’Italia e la Casa del Manzoni, l’informalità di VOCE Aimo e Nadia si circonda di opere d’ar-te, da Joan Mirò a Giò Pomodoro, e alle proposte food vengono affiancati i cocktail di Filippo Si-sti. Carne e pesce – sempre impeccabili – anche nel menu estivo de La Bottega di Casa Lucia che, accanto alle portate principali, prevede sezioni più smart come la Salumeria, con affettati e for-maggi, e le Tentazioni, porzioni ridotte di piatti importanti che consentono di sperimentare in cu-

Un’estate, quella del 2020, quanto mai agognata, attesa, che coincide con il primo timido ritorno alla normalità dopo i mesi del lockdown. Se nu-merosi indirizzi meneghini hanno deciso di at-tendere la fine dell’estate per la riapertura, altret-tanti hanno tirato su la saracinesca quanto prima per ricominciare ad accogliere i propri clienti. E cosa c’è di meglio di uno spuntino di pomerig-gio, all’ora dell’aperitivo o persino a notte inol-trata, per godersi le giornate di bel tempo? Chi dispone di spazi all’aperto importanti quest’anno è certamente avvantaggiato. Come GUD, con le sue focacce e le sue bowl, che, se in via Eustachi gode di un piccolo dehors su strada, in CityLife ha un bel pezzetto di parco a disposizione. Così come in Darsena, dove alla sua classica offer-ta aggiunge Fish & Chips. A CityLife, all’interno della FoodCourt, si amplia anche il dehors di Bo-maki, dove si possono provare un sacco di nuovi piatti dello chef Jeric Bautista, tra assaggini chic e copiose portate nippobrasiliane. Per un pasto easy e chic c’è poi DistrEAT che, con pochi po-

cina come a tavola. Gli affezionati alle bombet-te di Fratelli Torcinelli possono trovare alternati-ve più fresche come le friselle, mentre il nuovo La Forgiatura Bistro propone carne alla brace, sa-lumi, formaggi e pinsa. Infine, se parliamo di spun-tini non possiamo che pensare allo street food tan-to trasversale a ogni generazione. Nell’estate 2020 non manca l’italianissima pizza, da quella di Dry – sempre aperto in Vittorio Veneto, Ferragosto in-cluso – a quella ispirata agli anni Ottanta di Croc-ca (ma anche la limited edition di Berberè firmata dallo stellato Luca Abbruzzino), né il tocco asiati-co di MU Corso Como, dedicato al cibo di strada di Hong Kong, e MU Paolo Sarpi, focalizzato su anatra alla pechinese e carne.

sti all’interno o in giardino, apre la mattina presto con la colazione e si conclude alle due di notte (con una carta di cocktail e after dinner che ri-mangono disponibili fino a chiusura). Due propo-ste di spuntini healthy e pasti informali arrivano dal nuovissimo Prima Cafè di corso Garibaldi, dove l’ispirazione californiana introduce nel menu avocado toast e bowl di frutta, e dai Poke House Kiosk, il nuovo formato del brand che approda al Parco Sempione e al Parco Ravizza. Ma un’offerta più informale e open air arriva anche dai più rino-mati nomi dell’alta cucina. Da Emporio Armani Giardino il menu estivo dell’executive chef Ferdi-nando Palomba comprende classici come gli spa-ghetti al pomodoro e i tortelli piacentini, ma anche assaggi di pesce crudo. Raw fish, ostriche e bollici-ne italiane sono la formula pensata da Viviana Va-rese per il suo VIVA in Piazza, spin off del suo ri-storante stellato che si apre su piazza XXV aprile. Gli amanti del pesce a 360 gradi non possono poi rinunciare ad una tappa all’iconico chiosco Mimì Gourmet. Calici di champagne, rossi o bianchi per

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sul webwww.gudmilano.comwww.bomaki.itwww.distreat.itwww.pokehouse.itwww.armani.com/restaurant/itwww.vivavivianavarese.itwww.ilchioscodimimi.comwww.voceaimoenadia.comwww.bottegalucia.euwww.fratellitorcinelli.itwww.crocca.itwww.berberepizza.itwww.murestaurants.com/itwww. drymilano.it

di Simone Zeni

RItROvARSI d’EStAtELe serate estive invogliano a ritrovarsi tra amici per un pasto semplice, un aperitivo, una proposta food anche dopo cena, meglio se all’aperto. Milano non lascia nulla di intentato

tra bowl, fish & chips, crudi di mare, salumi, tipicità italiane o cinesi. E naturalmente pizza

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Con Mad in Italy (il Saggiatore 2020) Gabriele Ferraresi ha portato in libreria una sfilata di personaggi, fatti, eventi, che raccontano meglio di qualsiasi li-bro di storia gli ultimi quarant’anni del nostro Paese. E tra politica, spettacolo, musica e attualità nessuno sembra sfug-gire alla trappola del trash.Il trash come lente d’ingrandimento. Come mai questa scelta?Perché è una chiave di lettura che non è mai stata usata per raccontare la sto-ria del costume italiano. Secondo un grande maestro, Tommaso Labranca, il trash è lo scarto tra l’intenzione che porta all’emulazione di un determinato fenomeno e il risultato finale: l’emula-zione fallita. Ma l’uso della parola si è trasformato, andando a inglobare anche tanti altri aspetti, come nel caso della televisione nazional-popolare di Barba-ra D’Urso o anche di Salvini e di Bersa-ni del “giaguaro da smacchiare”.Nel libro ci sono due filoni: lo spetta-colo e la politica, che spesso non man-cano di incontrarsi.I politici andavano in televisione an-che prima, ma dagli anni Novanta è cambiato qualcosa. La prima svolta è stata nel 1992, con Tangentopoli e l’e-voluzione del personaggio di Antonio Di Pietro. In una copertina incredibile Tv Sorrisi e Canzoni titolava: Di Pietro facci sognare. Un altro punto di svolta è stato nel 2013, quando ha comincia-to ad affermarsi il Movimento 5 Stelle. Invece negli ultimi anni ha iniziato a prevalere quello che chiamo “trolling di Stato”, che prima era rappresentato da Bossi che voleva riprendersi la Pada-nia con i fucili e oggi da Salvini che fa cose sbagliatissime solo per scatenare

una serie di reazioni a catena e vivere di feedback e indignazione social.Con i social media i politici sono di-ventati meme.Lo vediamo quando Pier Ferdinando Casini usa FaceApp su Instagram, o quando Antonio Razzi fa i balletti su TikTok.In passato ha lavorato per Cronaca Vera. Com’è stata questa esperienza?È stato un privilegio enorme: dal 2006 al 2009 ho girato l’Italia per incontra-re quelli che davvero non hanno santi in paradiso. Sono entrato in casa loro, li ho fotografati, ci ho parlato… mi ha permesso di conoscere persone che, vi-vendo a Milano in una certa bolla, non avrei mai incrociato. È stato un lavoro cruciale per capire molti meccanismi.Quindi per Mad in Italy hai ripreso anche storie di cui ti eri già occupato.Anche, ma dandogli un’altra forma. La cosa più importante è stata collegare le epoche, soprattutto nel passaggio al se-condo decennio del 2000: tra il 2009 e il 2010 internet e i social media diven-tano davvero un fenomeno di massa an-che in Italia. Se per i decenni preceden-ti dovevo spulciare annuari dell’Ansa e annate dell’Espresso, improvvisamente c’era l’imbarazzo della scelta. Forse il momento in cui per la prima volta dai social media esce qualcosa in forma memetica è la vicenda delle gemelle Cappa, dopo il delitto di Garlasco. Le gemelle Cappa erano le cugine di Chia-ra Poggi e avevano attaccato fuori dal cancello di casa una foto che le ritraeva con la vittima. Il problema è che era il fotomontaggio di un’immagine di loro due, probabilmente in discoteca, e una Chiara Poggi in accappatoio. Questo

è stato uno dei primi meme usciti dal sottobosco di internet e poi discusso in televisione addirittura in programmi di prima serata.C’è un aneddoto di “Mad in Italy” che racconta in modo privilegiato “lo spiri-to del popolo italiano”?Nel 2006 l’Italia vince i mondiali di calcio e, sempre nel 2006, il business delle suonerie personalizzate per il cel-lulare è al suo apice: a pubblicizzarle in televisione c’è Wladimiro Tallini, detto Wlady. Nei giorni successivi alla vitto-ria dell’Italia inizia a essere mandato in onda a un ritmo martellante uno spot in cui Wlady gira in macchina per Tori-no cantando una canzoncina che, sulla melodia di Garibaldi fu ferito, intima ai francesi di restituirci la Gioconda.In questo momento ci troviamo in Bi-cocca, cosa c’è di Mad in Italy in que-sto quartiere?Per me la Bicocca è un principato, come Monaco, e la nostra Grace Kelly è Mau-rizia Paradiso. Io ho avuto la fortuna, nel 2007, di seguirla per alcuni mesi per lavoro, anche se in quel periodo era meno popolare di quanto fosse ne-gli anni Ottanta e Novanta. Poi ci sono posti incredibili, come la trattoria Arla-ti, dove negli anni Settanta si è esibito Battisti e tutt’oggi passano i famosi di cinema e televisione.E quali sono i “suoi” posti in Bicocca?Je Suis Jambon, un piccolo pub nel cuore del quartiere, in piazza della Tri-vulziana. Poi c’è Fuorimano, un locale che ultimamente è diventato famoso perché ci hanno girato delle puntate di Deal With It, e il bar Tempi Moderni, nel borgo Pirelli, un quartiere liberty purtroppo tenuto molto male.

interview

“Il trash è una chiave mai usata per raccontare quarant’anni di storia del costume italiano”. Da Zelig a Umberto Bossi, da Lapo Elkann a Luigi Di Maio. Il giornalista e scrittore Gabriele Ferraresi racconta lo spirito del nostro Paese attraverso questa lente

di Matilde Quarti - foto di Giorgia Polo

GABRIELE FERRARESI

PAZZI PER IL tRAShLa cover di Mad in

Italy. Manuale del trash

italiano 1980-2020 di

Gabriele Ferraresi,

edito da Il Saggiatore

nel 2020

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FocusFocus

02. La piscina sul

rooftop di Ceresio

7 offre una visuale

panoramica della città

01. La piscina esterna

di QC - termemilano,

circondata dalle mura

spagnole

da esperti mixologist a portata di mano. Proprio perché la scelta non manca e l’intera città è tutto sommato “coperta”, il consiglio è di non rassegnar-si, per inerzia, alla piscina più vicina e di affron-tare qualche spostamento per trovare quella che meglio rispecchia l’identità di ciascuno. Se quello che cerchiamo è una semplice nuotata senza tanti fronzoli, l’ideale è andare sul classico scegliendo i già citati impianti di Milanosport: tra quelli at-tualmente aperti figurano anche Cozzi, Murat e Saini. Per chi invece fosse in cerca di un ambiente suggestivo in cui fare vita sociale (pur rispettando le dovute distanze imposte dal Covid) e, più che nuotare, chiacchierare a bordo vasca o sdraiati in amaca, l’opzione suggerita è quella dei Bagni Mi-steriosi di via Botta. Chi aspirasse non solo a un bagno, ma a un’esperienza completa di benessere, potrebbe invece valutare l’acquisto di un ingresso a QC - Termemilano di piazzale Medaglie d’Oro,

In qualsiasi disputa fra un milanese e un genove-se, a un certo punto, inevitabilmente, di fronte ai primati cittadini sbandierati dal lombardo, il ligu-re ribatterà: «Sì, ma comunque voi non avete il mare». Una specie di arma segreta dialettica, di fronte alla quale il meneghino, spiazzato, non avrà modo di ribattere. Perché sì, abbiamo i Navigli, ma quelli ormai non sono balneabili da tempi re-moti. E d’accordo, c’è l’Idroscalo, ma chiamarlo, anche solo scherzosamente, il “mare di Milano” ci attirerebbe la derisione dei nostri amici di Genova e dintorni. E quindi ci tocca incassare. Per fortu-na, a consolarci di questa inferiorità ontologica in fatto di acqua salata, ci pensano le tante, talvolta meravigliose piscine di cui la città è più che forni-ta. Certo, con la pandemia da coronavirus ancora in corso, qualcuno potrebbe farsi degli scrupoli a recarsi in ambienti dove il distanziamento non è sempre facile. In proposito c’è da dire che le strut-ture balneari hanno avuto il via libera alla riaper-tura, ma solo a patto di seguire una serie di rigide linee guida. Detto questo, se sia il caso o meno di concedersi un tuffo in piscina è una scelta che,

dove al termine del percorso SPA – ma senza sau-na e bagno turco, al momento chiusi – è possibile rilassarsi in una piscina all’aperto con vista sulle mura spagnole. La scelta è molteplice, sempre te-nendo conto del discrimine fra piscine al chiuso accessibili tendenzialmente tutto l’anno e quel-le all’aperto attive per lo più durante il periodo estivo (su questo secondo fronte è possibile citare l’amatissima Argelati di via Segantini, con le sue vasche su più livelli). Certo, nessuna piscina potrà mai sostituire la sensazione di tuffarsi nell’acqua salata. Eppure mantenere, anche quando si è in città, un legame costante con l’acqua, per quanto confinata in un alveo artificiale, può rappresenta-re un efficace rimedio contro il logorio della vita urbana. Perciò preparate la borsa con accappatoio, costume, cuffia e occhialini, trovate la piscina che fa per voi e, quando verranno a trovarvi a Milano, invitateci anche i vostri amici liguri.

con tutte le dovute precauzioni, sta alla sensibilità di ogni singola persona. Archiviata questa dovero-sa premessa, dicevamo: piscine. Piscine per tutti i gusti, peraltro: impianti di lunga tradizione come la piscina Romano di via Ampère, costruita nel 1929 e riqualificata mantenendo la sua architet-tura originale (nella quale fra l’altro dal lunedì al venerdì è ora possibile nuotare fino alle 21). E al-tri più recenti, o addirittura ancora in corso di rea-lizzazione, come la nuovissima piscina che sorgerà in zona Moscova, in via Fatebenesorelle, e quella di via Gassman, nel quartiere Adriano. Si può sce-gliere un impianto più inclusivo come i tanti parte del circuito Milanosport, tra cui ad esempio Solari e Bacone – anche se con un paio di accortezze: a causa della pandemia è necessario acquistare il biglietto in anticipo e rispettare determinate fasce orarie, senza contare che alcune vasche, come ad esempio quelle di solito bazzicatissime del Lido, quest’anno rimarranno chiuse. Oppure si può optare per piscine più cool come quella situata sul rooftop di via Ceresio 7, con vista panorami-ca sullo skyline di Porta Nuova e cocktail studiati

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di Marco Agustoni

UN tUFFO CONtRO IL LOGORIOIl grande assente del capoluogo lombardo è, e resterà sempre, il mare. Per fortuna, anche in tempi post lockdown, la città mette a disposizione piscine di ogni sorta, da quelle più

schiette e accessibili a quelle più cool ed esclusive

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il “mare” di milanoCome si è detto non è un mare. E peraltro pure definirlo lago sarebbe eccessivo (laghetto è forse più appropriato). Ma l’Idroscalo, il bacino artificiale inaugurato nel 1930 per fungere, come suggerisce il nome, da scalo per gli idrovolanti, oltre che per ospitare manifestazioni sportive, rimane un punto di riferimento fondamentale per i milanesi, anche grazie alle sue piscine all’aperto e alle tante attività sportive praticabili.

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Come è nato Ride?Ride è nato quasi per caso. Parlando con quello che poi è diventato uno dei miei due soci in questa avventura, Da-niele Marchetti (l’altro è Alberto Cos-su, NdR), è venuta fuori l’idea di creare un drive-in per promuovere uno degli artisti della sua etichetta discografica. Era il 4 maggio, meno di tre mesi dal 15 luglio, il giorno in cui abbiamo aper-to. Ci siamo subito resi conto che non era possibile realizzare una one shot, ma sapevamo che in città c’erano altri sog-getti interessati a creare contenuti lega-ti alla musica, al cinema, all’arte e al te-atro in un momento di ripartenza come questo. Abbiamo quindi progettato Ride come un contenitore di eventi di questo tipo, sviluppati da noi o in col-laborazione con altre realtà. Il Comune ha accolto la nostra proposta di utilizzo dello scalo ferroviario di Porta Genova e ci ha dato il patrocinio territoriale di zona 6; FS ci ha dato la disponibilità dell’area per tre mesi alla volta, poi sarà indetto un bando. Tutto si combinava e quindi siamo partiti. Com’è andata la fase iniziale di pro-gettazione?È stato difficile coinvolgere sponsor in così breve tempo, ma chi ha creduto al progetto si è messo d’impegno con la voglia di dare una mano. Abbiamo avu-to ottime risposte e consensi da parte delle tante realtà di Milano che svi-luppano contenuti. L’idea del drive-in è stata poi messa da parte, non era in linea con il concetto di giardino urbano che volevamo creare. In ogni caso, nei

nostri eventi riusciamo a rispettare tutti i criteri di distanziamento sociale. Perché lo avete chiamato Ride?Il nome provvisorio era “Ride into the culture”, poi per esigenze di brevità lo abbiamo ridotto a Ride. Ci piace per-ché evoca la corsa e il movimento se letto in inglese, ma anche in italiano ha un’accezione che ben si presta allo spi-rito di questa avventura.Come ha reagito il quartiere di Porta Genova alla vostra presenza? Non sono mancate critiche inizialmen-te. La nostra intenzione non è mai stata quella di concentrare il pubblico dei Navigli nello scalo, ma dare un valore aggiunto a tutta l’area. Abbiamo limita-to la capienza a 800 persone nello stes-so momento, ma in questi primi giorni siamo arrivati anche a 2400 ingressi nell’arco dell’intera serata. Numeri che spiegano come le persone si muovano e magari, dopo essere passati da noi, con-tinuino la loro serata in altri posti. Avete aperto da poco, ma è possibile definire in qualche modo il pubblico di Ride? Avete già individuato un target?Ride riunisce un sacco di persone diver-se per età e provenienza. Ci sono, a se-conda del momento, bambini, genitori, ragazzi, ma anche nonni. È quello che speravamo diventasse: non solo un hub di contenuti, ma anche un posto dove stare insieme. Abbiamo pensato alle fa-miglie che passeranno l’estate a Milano, dando loro uno spazio aperto anche ad agosto, dove decidere se farsi stimolare o meno dai contenuti che propone. Ride è un progetto che restituisce il

senso di comunità all’intera zona?È uno spazio che è stato ripulito e oggi restituito alla città. Ha una forte conno-tazione territoriale, tanto che l’offerta food & beverage viene tutta da posti dell’area. Lo abbiamo realizzato con l’idea che, alle volte, basta cominciare: da quando siamo passati dal “render al reale”, per farti un esempio, abbiamo meno difficoltà a proporci a chi fa con-tenuti e anche a potenziali partner. È un progetto che forse può apparire a prima vista un po’ bizzarro, ma abbia-mo dato vita a qualcosa che avremmo sempre voluto fosse presente a Milano. Cosa succede dopo l’11 ottobre?Abbiamo la possibilità di utilizzare l’a-rea fino a marzo dell’anno prossimo per periodi di tre mesi. Dopo questa prima fase chiuderemo qualche giorno per al-lestire lo spazio per l’inverno. L’idea è riaprire in contemporanea con la mu-sic week, sempre proponendo la nostra idea di intrattenimento.E dopo marzo? Dopo marzo lo scalo tornerà a bando per un’assegnazione a lungo termine. Ci proporremo con un progetto che non si discosti tanto da quello che stia-mo facendo e che bilanci bene il discor-so economico con l’impatto culturale. Ci piacerebbe ovviamente rimanere e sviluppare altri contenuti perché la mattina, quando entriamo a mettere a posto, ci sentiamo già a casa. Che ri-manga in mano nostra o meno, comun-que, è importante per la città che l’area dello scalo ferroviario sia utilizzata e viva in un modo intelligente.

interview

È uno dei tre imprenditori che ha dato vita a Ride, contenitore di eventi e cultura nell’area dell’ex Scalo Ferroviario di Porta Genova. Uno spazio che rivive questa estate diversi anni

dopo Expo, sperando che continui a farlo anche dopo

di Enrico S. Benincasa

PACO SALvINI

RIdERE E CORRERE “È davvero importante per la città che l’area dello scalo ferroviario sia utilizzata e viva in un modo intelligente”

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Focus Focus

Canali, cascine e antiche manifatture, realtà e sog-getti che anche in modo innovativo abitano e la-vorano in quest’area e soprattutto corsi d’acqua che attraversano i campi delimitandone i confini e garantendone la prosperità: ecco il territorio a sud di Milano. Un paesaggio avvolgente nella sua pace, fatta di lievi e rassicuranti pendii che si per-dono in mezzo a tanto verde. A farcelo conoscere ci pensa il progetto ARDA - A Ritmo d’Acque che, lanciato da BASE Milano (in collaborazione con altre realtà), vede la nascita di una serie di itinerari ciclabili che dai navigli arrivano a toccare Abbia-tegrasso, Vigevano e Pavia passando per le vecchie corti della “bassa” milanese, costeggiando i luoghi di culto, fino a incontrare le nuove aziende agri-cole con produzione a chilometro zero e le tante realtà della zona. Un modo inedito per raccontare il territorio milanese e soprattutto per creare un legame tra il centro della città e la campagna cir-costante, da scoprire pedalando, appunto, “a ritmo d’acque”. È infatti la rete dei navigli fino al Ticino a costruire la mappa da esplorare in 16 percorsi, anche utilizzando il servizio di noleggio biciclette

con ritiro in via Bergognone 34, la sede di BASE Milano e prenotabile dalla app già disponibile. È così che BASE sconfina ed esce dal quartiere di Tortona per espandersi lungo i navigli, verso sud. A questo punto c’è solo l’imbarazzo della scelta: ci si può dedicare a un itinerario “Sponda a sponda del Ticino” tra Magenta e Vigevano alla scoperta delle biodiversità del Parco. Un totale di 58 chi-lometri che prevede anche un tratto, fino a Bof-falora, sul tradizionale “barchett” del naviglio, te-stimonianza delle rotte di un tempo del trasporto posta e passeggeri per Milano. Anche se è solo una volta tornati in sella che si può godere della vera magia del Ticino. Tra i percorsi disponibili non è da sottovalutare la classica “Milano-Pavia” con i suoi onestissimi 35 chilometri. In questo caso l’itinera-rio segue in parte la ciclabile del Naviglio Pavese e in parte le piccole strade di campagna a sud di Binasco. Quando si arriva in località Samperone è possibile optare per una breve deviazione e visita-re la Certosa di Pavia. Nel mezzo la campagna è punteggiata da cascine dove fermarsi per un buon ristoro, mentre quando si arriva nel centro storico

01. La campagna che

costeggia il naviglio nei

dintorni di Bereguardo di quella che fu la capitale del regno Longobar-do, sono imperdibili il Castello Visconteo, le Torri Medievali, il Duomo, le splendide basiliche e il suggestivo Ponte Coperto che attraversa il Ticino. Per i più affaticati la vicina stazione garantisce poi un comodo rientro in treno. Adatto agli sportivi, ma godibile da tutti i cicloturisti, è l’itinerario dedicato a Renzo Zanazzi, ciclista lombardo, tre giorni in Maglia Rosa, gregario di Coppi e Barta-li, milanese acquisito e conosciuto da tutti gli ap-passionati frequentatori di queste strade. Qui gli oltre 64 chilometri di percorso offrono piacevoli dettagli di paesaggio rurale, come il tratto lungo il Fosso Morto tra Fallavecchia e l’abbazia cistercen-se di Morimondo, tappa obbligata per una visita. Tra cascine e trattorie, i ristori lungo la via non mancano. C’è poi la possibilità di accorciare utiliz-zando il treno che collega Milano a Gaggiano. Per i meno confident con la bici, c’è il “Giro da ragazzi” abbordabilissimo nei suoi 37 chilometri o poco più. L’abbazia di Morimondo, i ponti sul Ticino,

Robecco sul Naviglio, da sempre meta di villeggia-tura delle più importanti famiglie nobili milanesi, sono solo alcuni dei punti di interesse dei 16 per-corsi già disponibili sulla app scaricabile in tutti gli store. Il progetto, che ha avuto più di un anno di gestazione, dalla prima mappatura del territorio di marzo 2019 alle esplorazioni per testare gli iti-nerari durante Milano Bike City dello scorso set-tembre, è ora attivo dopo lo stop per il lockdown. Nel corso dell’estate i percorsi saranno arricchiti anche da opere in realtà virtuale con segnaletiche animate e da installazioni che prendono vita come opere narranti e musei a cielo aperto realizzati da otto artisti ospitati a BASE da dicembre a gennaio 2020. L’obiettivo si conferma mappare e valoriz-zare il territorio, mettendo in rete operatori loca-li e sviluppando nuovi e tecnologici strumenti di racconto del paesaggio. Il risultato sono itinerari in bici a ritmo d’acqua, o meglio a ritmo lento, con la possibilità di divagazioni inaspettate nella natura. Alla scoperta della bellezza che ci circonda.

02. Ciclisti nella

campagna lombarda

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Focus

di Marilena Roncarà - foto di vittorio Sciosia

A RItMO d’ACQUERipartire è quello di cui abbiamo bisogno in questo periodo e una

possibilità è farlo in sella a una bicicletta alla scoperta di una Milano inedita, pedalando a sud lungo i navigli. Laddove canali e corsi d’acqua

disegnano, solcandolo, il paesaggio agricolo

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interview

Come ha passato il lockdown? Nel mio appartamento, sui colli di Ber-gamo. Al netto della tragedia e dei nu-meri atroci, è stato particolare vivere quella normalità casalinga che mai ci è concessa durante la vita sportiva.Come pensa che ne sia uscito il Paese? Abbastanza in ginocchio dal punto di vista economico. Confido nel fatto che noi italiani cercheremo di rialzarci nel migliore dei modi. Sarà una rinascita, se tutti daranno il proprio contributo.I limiti, per un atleta del suo livello, esistono? Quali sono?Tra osare e rischiare c’è una grande dif-ferenza, io sono sempre per l’osare, an-che se qualche volta ho rischiato, e ho avuto, in certe situazioni, la peggio.Cos’è la velocità per lei? Un elemento imprescindibile della mia vita. Quello che la caratterizza e ciò che ricerco quando ho gli sci ai piedi. Nella vita privata invece, l’approccio è contrario, molto più lento e pacato.È lei a creare la velocità. Non ha mai avuto paura di spingersi troppo oltre?Mi è capitato di andare troppo veloce e perdermi tutto il resto. In quei casi ho dovuto frenare per capire quello che mi stava sfuggendo di mano. A volte è necessario ricalibrare il tiro, per poi ri-partire ancora più forti e in sicurezza. Le sue vittorie e quelle delle sue com-pagne di squadra, in particolare il successo della sua collega Brignone, hanno riportato l’attenzione sullo sci, quasi come ai tempi di Tomba e della Compagnoni. Che effetto le fa?Sono molto lusingata da questa atten-zione. In parte è vero, ma d’altro canto è il frutto di un lavoro di squadra.In Italia piacciono i campioni, i perso-naggi, ma anche il leader che trascina.

Si sente pronta per raccogliere questo tipo di eredità in questo momento? Forse è vero che sono un po’ la leader del gruppo, ma in squadra ci sono fuo-riclasse come appunto la Brignone che quest’anno ha vinto la Coppa del mon-do generale e ha compiuto un’impresa che nessuna italiana prima di lei aveva realizzato, entrando nella storia. Anche lei penso abbia doti da leader.La pressione come la tiene a bada? Imponendomela anche quando non c’è. Mi metto pressione quotidianamente, anche in estate, cercando di dare sem-pre il meglio in tutti gli allenamenti, in tutti i contesti, dall’alimentazione al riposo. Quando arriva l’inverno, grazie alla continuità in questo approccio, ho sviluppato un’attitudine alla pressione che mi consente un controllo maggiore del normale.E la leggerezza? La leggerezza è qualcosa che ho cono-sciuto raramente in vita mia. Per questo la ricerco sempre disperatamente. Ne ho bisogno. Me la tengo come un obiet-tivo per il futuro, sapendo che sarà una delle mie più grandi conquiste.Mondiali di sci alpino, Cortina al 2021. Si torna a fare sul serio? Dobbiamo ancora entrare nel vivo della preparazione. Sto lavorando fisicamen-te per essere pronta. Cerco di mettere tutto il meglio di me, in primis per riu-scire a qualificarmi, dal momento che il livello in squadra è alto, e poi natural-mente perché ai mondiali si va per una ragione sola. L’obiettivo è palese.Una parte fondamentale della prepa-razione di un atleta è l’alimentazione. A cosa non rinuncia? Mi concedo qualche bicchiere di vino in compagnia, ma quello è un aspetto

legato alla condivisione che fa bene all’anima. Poi non so resistere al tortino di cioccolato fondente. Un centesimo di secondo può fare la differenza. Per lei cosa fa la differenza oggi, anche come persona? Si è vero, un centesimo di secon-do fa la differenza su una pista di 3 chilometri. Un centesimo, sep-pur minuscolo nell’ordine tempo-rale, in termini di dimensione nello spazio vale circa 27 centimetri. Per me oggi la differenza la fa la serenità che si costruisce giorno dopo giorno vi-vendo bene nel quotidiano, alimentan-do buone relazioni e svolgendo bene il proprio dovere.In diverse interviste ha dichiarato: «Lo sci è espressione del proprio caratte-re». E lei ha un bel carattere. Crede che in qualche modo l’abbia aiutata a di-ventare la donna che è oggi? C’è una stretta correlazione tra il mio modo di affrontare la pista e il mio carattere. Di questo sono certissima, tanto che amo ripetere e ripetermi che viene prima la donna dell’atleta. Chi è quando sveste i panni della cam-pionessa mondiale? Un pendolo che passa da pulsioni pas-sionali fortissime alla tranquillità, un mix perfetto tra adrenalina e pacatezza. Penso anche di incutere timore, ma for-se quello è il mio personalissimo scu-do difensivo con cui mi presento a chi non conosco, per poi deporlo una volta entrata in confidenza. Quando tengo a qualcuno il mio cuore non si risparmia. Cosa vede nel suo futuro? Nel mio cognome, Goggia, è contenu-ta la parola “oggi”. Penso sempre che il futuro sia oggi. Vivo nel presente e mi piace molto.

interview

Sciatrice alpina, campionessa olimpica nella discesa libera a Pyeongchang 2018, vincitrice della Coppa del Mondo di discesa libera nel 2018 e di due medaglie mondiali, Sofia Goggia si conferma tra le protagoniste più attese dei prossimi Mondiali di sci alpino

di Nadia Afragola - foto FISI/Pentaphoto

SOFIA GOGGIA

ASPEttANdO CORtINA 2021 “A volte è necessario ricalibrare il tiro, per poi ripartire ancora più forti e più in sicurezza”

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FocusFocus

02. La Gelateria

Rigoletto, presente

in città con tre punti

vendita

03. Il sorbetto al

peperone arrostito di

Ciacco, foto di Roberto

Savio

01. Un cono della

Gelateria La Romana

situata a due passi da

piazza XXIv Maggio

stata la quinta “cucina” più ordinata in città e tra le principali in crescita (per avere un metro di para-gone, in un periodo normale non è nella top ten). Con l’arrivo di maggio e della fine delle limitazio-ni al movimento delle persone c’è stata una “corsa al gelato”, la voglia di uscire e il clima favorevo-le sono stati d’aiuto. La città più vuota rispetto al solito e le scuole chiuse sono fattori, però, che incidono e incideranno sulla stagione: «È un pe-riodo che per molti di noi gelatieri è stato di ri-flessione – prosegue Morgese – abbiamo pensato a gusti nuovi, ma abbiamo fatto qualcosa per il settore con “I magnifici del gelato”, un’associazio-ne che riunisce 96 gelatieri in tutta Italia che si sono messi assieme per diffondere la cultura del gelato artigianale».Le 500 insegne presenti in città sono sparse per tutto il territorio, con concentrazioni maggio-ri nelle zone di più afflusso. L’area Navigli-Boc-coni vede la conferma di Riva Reno in viale Col di Lana, brand bolognese oggi diffuso in tutto il mondo che è in questa location dal 2005, a realtà

È il dolce che accompagna le nostre estati, un rito che si consuma quando le temperature iniziano a salire. Il gelato fa parte della nostra tradizione gastronomica e nella sua versione artigianale fa numeri importanti e crea posti di lavoro, anche a Milano. La concentrazione di imprese di que-sto settore – secondo i dati del registro imprese si contano, all’interno del comune, circa 500 punti vendita tra pasticcerie e gelaterie, una ogni 2.800 abitanti – e il continuo “sbarco” di nuove insegne in città sono chiari segni della rilevanza che il ca-poluogo lombardo ha acquisito in questo mercato. «Milano da qualche anno è la piazza per eccellen-za del gelato artigianale in Italia – ci dice Antonio Morgese, consigliere di Assofood e titolare delle gelaterie Rigoletto di piazza Po, via San Siro e via Cola di Rienzo – i grandi gruppi che hanno in-vestito nel settore hanno aperto qui. L’espansione post Expo è stato il motivo principale, ma anche la qualità media del prodotto che si poteva già trovare in città. Gli artigiani più bravi si vogliono confrontare con chi è al loro livello e a Milano è

più recenti come Latte Neve di via Vigevano, Km Zero in Porta Lodovica e la riminese La Roma-na, arrivata sempre in viale Col di Lana nel 2018. All’Isola si insegna e si fa il gelato da Artico, in via Porro Lambertenghi, che si può trovare anche in via Dogana, in centro. A pochi passi da qui, in via Spadari, c’è la parmense Ciacco, nome che non la-scia indifferenti gli appassionati di coni e coppette. La Gelateria della Musica con la sua insegna aran-cione di via Lodovico il Moro è conosciuta da tut-ti, così come il Massimo del Gelato di via Castel-vetro, a due passi da Corso Sempione. Istituzione cittadina è la Gelateria Marghera, attiva dal 1979, ma lo è altrettanto Sartori, che con il suo chiosco è in zona Centrale dal 1937. A poca distanza si trova Paganelli, in via Fara, altra bottega con tanta storia alle spalle fatta di creme e sorbetti. Chiu-diamo questa lista, per forza di cose incompleta, citando altri due nomi spesso ricordati come Pavè in via Cesare Battisti e Il Gelato Giusto di via San Gregorio. Attenzione, lista, non classifica: quella la lasciamo fare volentieri a tutti voi e ai vostri palati.

possibile. A tutto beneficio di chi ama il gelato». È un processo simile a quello che è successo con la pizza: i migliori “esponenti” del settore hanno scelto di sfidarsi qui e non altrove. Nel mondo del gelato meneghino c’è spazio per chi sperimenta, per chi rimane fedele alla tradizione e anche per chi mixa questi due approcci: «Nelle mie gelaterie cerco di mantenere un equilibrio, perché crema, nocciola e cioccolato vanno fatti in un certo modo, sono la cartina tornasole di un’insegna», continua Morgese. Com’è facile pensare lo tsunami sanitario che ci ha investito ha intaccato anche questo settore. La programmazione della stagione inizia molto prima e non sono pochi gli artigiani che si sono trovati in difficoltà con il lockdown, tra investimenti fatti e non messi a frutto e quasi totale assenza di cliente-la. È opportuno aggiungere “quasi” perché, quando le autorità hanno consentito il food delivery, il set-tore ne ha tratto beneficio. Secondo i dati di Just Eat, sono 60 le gelaterie milanesi presenti sulla sua piattaforma e, durante la quarantena, il gelato è

03

02

01

di Enrico S. Benincasa

In città il gelato artigianale ha una diffusione capillare e negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita della competizione tra nuove e

vecchie insegne. Il lockdown ha inciso sulla stagione, ma non sulla voglia di Milano di confermarsi un riferimento per tutti

CONO O COPPEttA?

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tI RICORdI QUELLA vOLtA?Sembrerebbe semplice, nell’assenso o nel diniego, la risposta a questa domanda. Ma come spesso accade, la realtà è diversa dal previsto e il ricordo o meglio la memoria, non è unmonolite definito e concluso una volta per tutte, bensì qualcosa in continua evoluzione. Nondimeno, anche se è appurato che non sono oggettivi, i ricordi restano fondamentali per costruire le nostre conoscenze, definire chi siamo e dare un senso di continuità alla vita

MeMories

illustrazione di valère Mougeot

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Per Porsche è sempre tempo di schiacciare sull’acceleratore, ma non solo in pista. La filiale italia-na della celebre casa di Stoccarda è infatti al fianco di Caritas, l’or-ganismo pastorale della CEI per la promozione della carità e il soste-gno dello sviluppo dell’uomo, che da sempre si dedica a chi si trova maggiormente in difficoltà.La collaborazione, che prende il nome di “Uniti per Ripartire”, è nata dal desiderio di offrire sup-porto e aiuto alle fasce più deboli della popolazione, in questo mo-mento di particolare crisi, legato all’emergenza sanitaria che ne-gli ultimi mesi ha colpito l’intero Pianeta. Ma come funziona “Uniti per Ripartire”? Protagonisti attivi dell’iniziativa sono i 30 centri Por-sche italiani e le 218 Caritas dio-cesane sparsi per tutto il territorio nazionale. Dal 1° giugno al 10 ago-sto, per ogni vettura nuova conse-gnata, il centro Porsche coinvolto

nella vendita devolve alla Caritas del territorio di appartenenza una somma che, a scelta del cliente, sarà destinata ad aiutare 40 fami-glie o 10 ragazzi. Online, sul sito unitiperripartire.porscheitalia.com è possibile segui-re l’andamento della campagna solidale e vedere quante persone sono state coinvolte giorno dopo giorno nell’iniziativa. I Centri Por-sche di Milano sostengono con le loro donazioni la Fondazione Cari-tas Ambrosiana che si occupa della zona di Milano e Monza Brianza.Diversi i fronti sui cui vengono impiegati i fondi raccolti: si va dal contrasto della povertà alimenta-re attraverso la fornitura di generi di prima necessità a iniziative di socializzazione e insegnamento o ancora alla lotta al digital gap attra-verso l’acquisto di device come pc, tablet e stampanti che favoriscano la scolarità a distanza. In seguito a una prima donazione

traguardi solidali

advertorial

Porsche Italia e Caritas insieme con “Uniti per Ripartire”, l’iniziativa che sostiene famiglie e ragazzi in difficoltà fornendo generi di prima necessità e strumenti per la scolarizzazione a distanza

a favore della Protezione civile nel corso del lockdown per i generi di prima necessità, oggi Porsche Italia e la rete dei suoi concessionari tor-nano in pista con una nuova sfida solidale, in un gioco di squadra che unisce e punta con entusiasmo al traguardo. «Questa volta per vin-cere non dobbiamo lasciare indie-tro nessuno – commenta Pietro In-nocenti, Amministratore Delegato di Porsche Italia – e la ripartenza ha bisogno del contributo e del coinvolgimento di tutti. È necessa-rio aiutare i più deboli a ritrovare dignità e voglia di ripartire».  La meta è ambiziosa, ma del resto i grandi obiettivi sono i preferiti di Porsche e gli ottimi tempi di ripre-sa rappresentano da sempre uno dei punti di forza della casa auto-mobilistica, da sfruttare anche in nuove modalità. Non resta che te-nere il piede sull’acceleratore fino al traguardo.www.milano.porsche.it

indirizziCentro Porsche Milano Nord via Stephenson 53 - MilanoCentro Porsche Milano Estvia Rubattino 94 - Milano

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MeMories MeMories

«Quante cose che abbiamo già vissuto, servireb-be un’altra vita per ricordarsele tutte». Un’altra vita solo per ricordare, dice così “lei”, protagonista femminile di Ricordi?, delicata pellicola del 2018 di Valerio Mieli che riflette sulla memoria e sull’e-volversi dei sentimenti. E a ciascuno di noi sembra difficile darle torto, soprattutto in estate, quando viaggi e nuovi incontri ci portano a vivere emozio-ni più intense che si traducono in batticuori e scat-ti che si rincorrono senza fine nei rullini digitali dei nostri smartphone, pronti a essere scorsi o, nei casi più fortunati, stampati per continuare a par-larci di momenti che mentre li viviamo sembrano indelebili. Ma è davvero così? Non proprio. Attimi che sanno di acqua salata o di un’aria più fresca, di aromi lontani e colori preziosi, così forti e travol-genti nel momento in cui sono presente, una volta trasformatisi in ricordi sono destinati a mutare,

soggetti al nostro evolverci e al logorio del tempo. Con il passare di giorni, mesi e anni, i ricordi si deteriorano, si fanno meno definiti e, soprattutto, cambiano perché soggetti al processo ricostruttivo della memoria, che non scatta fotografie immu-tabili, ma ricostruisce quanto accaduto alla luce non solo degli avvenimenti vissuti, ma anche delle esperienze successive, che vanno a modificare il fatto originario e a dargli nuove forme. Realtà e ri-cordo insomma non coincidono. Riflette su queste tematiche The Affair, che nel 2015 si è aggiudicata un Golden Globe come miglior serie drammatica. Le puntate raccontano quella che potrebbe essere una banale storia di adulterio, ma lo fanno attra-verso una formula insolita: ogni episodio è diviso in due parti che mostrano gli stessi fatti visti dalla prospettiva di Alison e di Noah, i due protagonisti. Una noiosa ripetizione? Per nulla. Molto è quello

01

di Elisa Zanetti

Quando li viviamo sembrano destinati a essere indelebili, eppure i ricordi subiscono il logorio del tempo e il nostro evolverci. Diversi dalla realtà sono oggetto di interesse per film e mostre. A noi il compito di viverli con intensità e trattenerli nella memoria

L’ALtRA REALtà

01. Il villino è una

delle opere di

Postcards from Italy di

Carolina Sandretto,

in esposizione a

viareggio, al Plaza

Project Art Room, fino

al 1 settembre

che cambia nelle rievocazioni dei due, che ripor-tando il passato in maniera così differente (sino all’inserimento di episodi che non trovano riscon-tro nella versione dell’altro, tanto da impedire di dare per certo il loro accadimento) instillano non pochi dubbi nello spettatore, catturandone l’at-tenzione. Per combattere la labilità dei ricordi e preservarne la bellezza sono tante le strade che nel tempo abbiamo provato a percorrere: dalle pagine del diario, alle fotografie, dalle cartoline ai post sui social. Con quest’ultimi occorre però fare attenzione: in un certo senso più ci affidiamo a loro, più tendiamo a dimenticare, a essere meno attivi. L’influenza di internet e delle tecnologie sulle nostre capacità mnemoniche è un fenomeno che possiamo riscontrare facilmente: per esem-pio avere sempre a disposizione la possibilità di reperire un’informazione attraverso un motore di ricerca fa sì che si tenda ad abbandonarsi a que-sta opzione, al posto che cercare di assimilare un concetto memorizzandolo. A preservare i ricordi di tutti presta la sua bravura Irene Ferri, giovane fotografa che con Italia sta dando vita a un pro-getto “personale e collettivo”, spostandosi per lo Stivale per trasformare le memorie in immagini in grado di sfidare il tempo. Ciascuno può proporre

il proprio ricordo legato al Paese e l’artista ne darà un’interpretazione visiva: gli scatti più belli si tra-sformeranno in una mostra e in un libro. Mescola invece cartoline e scatti la mostra Postcards from Italy di Carolina Sandretto, che partendo dalla suggestione del Gran Tour, il viaggio che nel XVII secolo portava in Italia i rampolli delle più presti-giose famiglie europee alla scoperta delle bellezze italiane, mostra come a cambiare non siano i luo-ghi, ma il nostro modo di guardarli. I giovani di allora non disponevano di macchine fotografiche e imprimevano attraverso scritti, disegni e cartoline i loro ricordi. Nell’esposizione – al Plaza Project Art Room di Viareggio, fino all’1 settembre – la fotografa racconta il suo Gran Tour, indagando l’evolversi del rapporto con il viaggio e la meravi-glia. In contrasto con le bulimiche abitudini che ci portano a scattare foto per i social più che a vivere realmente un luogo, l’artista sceglie i tempi lenti dell’analogico e sovrappone agli scatti vecchie car-toline che ritraggono quegli stessi posti, mostran-do come a cambiare sia il nostro modo di viverli, spesso troppo veloce e superficiale. E così se è vero che i ricordi mentono e sono destinati a mutare, è altrettanto vero che possiamo però cercare di assa-porare più intensamente ogni momento.

02. Con Italia la

fotografa Irene Ferri

trasforma in immagini i

ricordi della collettività.

In questo scatto Rimini

02

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Contrariamente a un certo senso comune, ricordare non è mai un fatto assoluto, ma è legato a tantissimi fattori: all’attenzione, al contesto, al vissuto. Ce lo spiega bene Massimo Turatto, professore di psicologia sperimentale e ricercatore presso il CIMeC dell’Università di Trento

massimo turatto SCANdAGLIANdO

Gabriel García Márquez scriveva: «La vita non è quella vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricor-da per raccontarla» come a sottolinea-re una differenza tra il nostro vissuto e quello che ricordiamo. È così?Sicuramente c’è una differenza tra quello che abbiamo vissuto e il ricordo che ne abbiamo, le due cose non coin-cidono. Tutti abbiamo avuto l’occasio-ne di notare come la nostra memoria sia a volte difettosa, come quando, per esempio, riteniamo di aver lasciato le chiavi della macchina in un posto e invece poi le ritroviamo in un altro. Di solito pensiamo che questi errori siano frutto di situazioni contingenti: siamo stanchi, distratti, ma non è solo così. Il fatto è che il ricordo cambia nel tempo. Per due motivi: perché si dete-riora e quindi può essere meno preci-so e perché la memoria è un processo ricostruttivo, non è una fotografia che rimane inalterata nel tempo, ma è un processo dinamico che ricostruisce l’evento originale. In qualche modo è sempre in evoluzione.Perché ci sono cose che ricordiamo ni-tidamente e altre che dimentichiamo?La memoria dipende dall’attenzione, ovvero dal fatto che codifichiamo qual-cosa. Poi questo qualcosa può modifi-carsi tanto o poco, e questo dipende dal vissuto. Altra cosa da non sottovalutare è il contesto, ovvero la probabilità di ri-portare una certa informazione corret-tamente dipende anche dal fatto che io mi ritrovi, per esempio, nello stesso contesto in cui quella cosa è avvenuta.A cosa servono i ricordi?Per rispondere userei il sinonimo ri-

cordi/memoria, che è più semplice. Innanzi tutto la memoria serve alla sopravvivenza. Basti pensare agli ani-mali che se non avessero delle forme di memoria su cosa è commestibile e cosa no, su quali luoghi possono favori-re l’incontro con un predatore e quali no, avrebbero una vita molto più breve. Lo stesso vale per noi, ma sicuramente nel nostro caso la memoria serve anche a definire chi siamo, a dare un senso di coerenza e continuità alla vita. L’etimologia ci dice che ricordare vie-ne dal latino e significa “riportare al cuore” e in effetti ogni volta che evo-chiamo un ricordo sembra che con lui attiviamo uno stato d’animo…Questo succede se nel momento in cui si era formato quel ricordo era pre-sente anche un certo stato d’animo e quindi si è creata un’associazione tra la memoria dell’evento e quello che ab-biamo provato. Mentre ciò non è vero in altre circostanze, per esempio rie-vocare la formula della circonferenza durante lo studio di geometria, non per forza suscita particolari emozioni. Che importanza hanno i ricordi per la nostra vita presente? Nonostante la possibilità della memo-ria di cristallizzare certi modi di pensa-re per tenerci ancorati magari al passa-to, non c’è dubbio che senza memoria non ci può essere una vita normale. Basti pensare alle persone affette da Alzheimer, una malattia che fa svanire i ricordi, incluso l’affetto per i propri cari e in più si arriva anche a perdere il riconoscimento di sé stessi.Ogni estate ci sono delle hit che diven-tano dei veri e propri tormentoni che

si stampano nei nostri ricordi. Come è possibile questo fenomeno?Mi viene da dire che se le canzoni piacciono, vengono trasmesse frequen-temente e più sono trasmesse, più sono ricordate, perché uno dei principi car-dine della memoria è essere esposti in maniera ripetitiva alle informazioni.Nella nostra quotidianità anche i so-cial che ci mandano degli alert per i compleanni esercitano una funzione che ha a che fare con i ricordi…Esistono vari software che ci aiutano a ricordare scadenze e simili e questo tutto sommato è un bene. Ma c’è un prezzo da pagare, perché è evidente che delegando a un calendario elet-tronico la gestione dei nostri eventi, stiamo di fatto dando un diario della nostra vita a chi gestisce da dietro le quinte quel calendario, come Google o Facebook, e quindi c’è un aspetto di privacy da tenere presente. Inoltre, tan-to più ci affidiamo a sistemi informatici per svolgere una certa funzione, tanto meno avremo la possibilità di allenare quella funzione, rischiando di perdere la sua efficienza. Ricordo e conoscenza: in che rapporto stanno questi due elementi?Fondamentale. In generale ricordare si-gnifica avere conoscenza, il problema è caso mai cosa vogliamo ricordare, qua-li informazioni vogliamo registrare in memoria. Ricordare e conoscere cose futili non pare particolarmente utile, eppure spesso accade, ma questo di-pende dal tipo di cultura che uno de-cide di avere. In qualche modo si può dire che quello che siamo dipende dal tipo di ricordi che vogliamo avere.

di Marilena Roncarà

“La memoria non è una fotografia che rimane inalterata nel tempo, ma è un processo dinamico che ricostruisce l’evento originale”

MeMories MeMories

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style stylestyle

Capo immancabile,

in ufficio e d’estate,

la camicia in cotone

a righe è stata anche

protagonista della

sfilata SS 2020 di Etro,

che l’ha mandata in

scena con Pegaso

ricamato e in molte

versioni di colore

Riservare una menzione d’onore al colore nel pe-riodo estivo potrà sembrare scontato. Eppure non esiste un altro elemento dei capi di abbigliamento che sia più rappresentativo in fatto di forza ico-nografica, stilistica e salutare in grado di osannare nel contempo la spensieratezza e l’allegria. Non c’è nulla, infatti, come una decisa incursione di colore che sia in grado di regalarci buonumore e benessere. Quando poi diventa significato, ovve-ro sostanza oltre l’apparenza, il colore può esse-re anche usato come sinonimo di libertà. E così, esattamente come in un quadro, anche nell’outfit della stagione calda rivendica puntualmente il suo ruolo di primo piano. E se ormai il suo posto di rilievo è fuori discussione, è pure assodato che non stanca mai, ed è anzi rassicurante. In questa primavera estate 2020 poi, il bisogno di allegria è più vivo che mai: ancora in stato di emergenza per l’epidemia Covid-19, alleviata ma non del tut-to sconfitta, il colore ci riporta alla bellezza della natura e all’intensità delle sue tinte emoziona-li. Inteso come concetto ampio e punto cardine del mondo fashion, il colore porta con sé quanti più trend di stagione possibili: diventando porta-voce del successo delle tinte pastello – delicate e

leggiadre – fino a farsi interprete audace dei toni pop decisamente più accesi, anche in versione monocromo, come da Dior Homme, Paul Smith e Loewe, Berluti ed Emporio Armani. Per dedi-carsi, infine, a vestire i pattern optical, passando dai motivi geometrici e alle bande a contrasto, fino ad arrivare ai dettagli 3D. Colorati sono anche i tanti omaggi al mondo tropicale con i ricami o, come succede in passerella da Dolce & Gabbana, con le stampe, che ci parlano di vacanze in zone equatoriali e orientali. Tanta è anche la voglia di avventura e safari tra la giungla e la savana raccon-tata dai pattern hawaiani, dai motivi floreali e dai tocchi animalier per Versace, MSGM, Dries Van Noten, fino ad approdare ai camouflage di Marni, che non guastano mai. Ma pure l’omaggio al cine-ma di Marcelo Burlon nella collezione County of Milan con pattern, stampe e loghi parla di colore, così come le fantasie hippie, o le sfumature ever-green optical tie-dye proposte da Palm Angels. Non mancano omaggi diretti al mondo pittorico tra citazioni colte e virtuosismi artistici. Insomma non c’è che l’imbarazzo della scelta: la cosa certa è che, qualunque sia, il colore è il sicuro comune denominatore di stile.

di Monica Codegoni Bessi

C’è chi lo teme e chi lo ama senza mezzi termini. Sia d’inverno, sia d’estate. Ma non ci sono dubbi: questo è il momento per osare con il colore, perché regala leggerezza e allegria. Di cui c’è sempre bisogno

UN’EStAtE FULL COLOR

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Berwich

Pantaloni in puro lino con disegno regimental e

doppia pinces, con tasca america

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satinato, quadrante sfumato e dettagli

dorati, cinturino in pelle invecchiata

www.tudorwatch.comMarni

Sandalo modello multilistino in pelle

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Fresca ventata estiva con giacca in seta stampa

patchwork, canottiera in lino jersey e pantaloni con

fascia elastica in vita in cotone poplin

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Occhiale in bio acetato, ecologico

e riciclabile al 100%, con lenti in

cristallo minerale Barberini

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Colore in libertà

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Camicia in cotone con silhouette iconica, spacchi

laterali e colletto tipico dello stile virgil Abloh

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design design

tra piante

lussureggianti, liane

e rampicanti la carta

da parati Polly di

tecnografica, con la

collezione I Decorativi,

ci trasporta in una

foresta tropicale

Se è vero che oggi siamo liberi di muoverci e usci-re di casa, la lunga e per molti versi opprimente quarentena ci ha lasciato addosso una forte voglia di natura, un desiderio di evasione e di luoghi in-contaminati che non accenna a diminuire, anzi. È con ogni probabilità per questa ragione e per que-sto passato recente di semi-cattività che sulla piat-taforma Pinterest stanno aumentando le ricerche aventi per tema “decorazioni e arredi in stile giun-gla”, “arredamento d’interni con erba” e “progetta-zioni di giardini da interno”. Il richiamo della na-tura e, in particolare, della giungla – foresta fitta e lussureggiante che nell’immaginario di tutti noi è quanto di più esotico e selvaggio – si traduce quin-di in scelte di interior design ben precise, che ci guidano nella scelta di mobili, ma anche e soprat-tutto di rivestimenti, tessili, carte da parati, com-plementi di arredo e oggettistica. Come ricreare un jungle mood che non cada nella pacchianeria (è sempre un attimo scivolare nel troppo che strop-pia, con questi temi molto connotati)? Se il libro da tenere sul comodino per sognare e ispirarsi è il volume La giungla in casa di Taschen, ecco alcune

linee guida da memorizzare se l’idea di una casa tropicale ha solleticato il vostro interesse. Come precisano gli architetti e interior designer Paolo Rota e Sabina Giorgino di studio RotaGiorgino: «Il mood forest-like riferito allo spazio abitativo non attrae solo i Millennial, ma rappresenta un tema che, in maniera ciclica, ha ispirato moltissimi pro-gettisti, per i quali si tratta di esplorare il classico rapporto uomo-natura, partendo dal presupposto che il contatto con il verde, e con quello che sa evocare la vegetazione, ha il potere di renderci più felici, sereni e vitali». Il primo consiglio, sempre a detta di esperti è: «Investire in una carta da para-ti signature, che teletrasporti in ambienti esotici e lontani, creando lo sfondo vegetale perfetto. Rap-presentativa di questo filone è la raffinata Palm Leaves di Cole & Son, con decorazione a foglie di palma. Nella casa-giungla non possono poi man-care spessi tappeti, meglio se in bambù o cocco intrecciato. Mentre il vocabolario cromatico ha il verde come protagonista, impreziosito da toni di beige e marroni, più tocchi di giallo e arancione per richiamare i riflessi del sole tra le piante».

Storie dalla giunglaMobili in legno scuro si accompagnano a tessuti e rivestimenti nei toni del verde-marrone, uniti a piante tropicali XXL

di Marzia Nicolini

Per portare un tocco di giungla tra le pareti domestiche, sì a mobili in legno dark, carte da parati a tema vegetale, spessi tappeti di cocco e bambù. Approvati anche i toni di verde e marrone per ricreare uno sfondo cromatico ispirato alla foresta più impenetrabile

JUNGLE FEvER

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Sulla storia di Tesla e delle auto a 30.000 euro nessuno (o quasi) tra gli addetti ai lavori ci avreb-be scommesso un soldo. Eppure quella storia è servita a dare fiducia alle auto alla spina e, nel contempo, a riportare in auge il sogno ormai quasi obsoleto (considerati i noleggi, il leasing, il carsharing e l’usato) di tornare a mettersi in ga-rage una vettura nuova di zecca. Non si sa come, infatti, la gente poi le Model 3 se le è comprate davvero e il modello è diventato l’elettrica più venduta in Europa. Questo, nonostante il prez-zo fosse lievitato incredibilmente. Già, una volta conquistati ed entrati nel loop, quasi nessuno, tra chi aveva dato l’acconto, è tornato indietro. Un input quello di Elon Musk, che è servito a molti brand automotive: considerata l’epoca e il plus di una schiera folta di fedeli, infatti, sono stati tanti quelli che poi si sono decisi, una volta per tutte, ad allungare il passo.Per il mercato di nicchia va citata Mustang, che

in nome dell’elettrico ha pensato di coinvolgere gli appassionati con il lancio della Mach-E. Oc-chio: niente a che vedere con le versioni speciali Mach-I e Mach-II del passato. Si tratta, invece, del primo modello alla spina del marchio che punta a stupire gli amanti delle ruote alte. Nello specifico stiamo parlando di un SUV emozionale con 600 km di autonomia, affinché i brividi al volante non durino solo un battito di ciglia. Tra le modalità di guida, ecco disponibili whisper, engage e unbridled, che potremmo tradurre con “sussurrare”, “essere coinvolti” e “senza freni”. Tutto per offrire un’e-sperienza dinamica sensoriale e distintiva, arric-chita da una diversa animazione del pannello di controllo e dell’illuminazione interna. Per chi ama le performance dure e pure, non mancherà la versione GT da 465 CV e 830 Nm, che passa da 0 a 100 km/h in meno di 5 secondi.Anche i giapponesi di Lexus si attaccano per la prima volta alla spina, proponendo – non prima

di Ilaria Salzano

È quella che non si scorda mai, la prima volta. Non si sanno i propri limiti, ma si sa dove si vorrebbe arrivare. È successo anche ai carmakers e a chi ha acquistato un’auto alla spina: hanno osato. Soprattutto quando hanno visto il proprio “vicino” godersela senza un domani

BUONA LA PRIMA

01. La Lexus Ux300e

usa sofisticati

accorgimenti per le

prestazioni, come le

ruote aero-ventilate

che regolano il flusso

d’aria per creare una

maggiore deportanza

01

wHeels

di fine anno – l’UX300e, in questo caso un vero e proprio gentle-crossover. Il modello si distingue dalla concorrenza per l’assoluta silenziosità su cui hanno lavorato al dettaglio ingegneri e desi-gner. Un esempio? Il team giapponese ha rifinito la forma dello sportello al decimo di millime-tro per produrre una sonorità piacevole e rassi-curante. Alla  base di tutto c’è una ricerca sulle onde cerebrali  che si creano alla chiusura della portiera:  non a caso i maestri artigiani Takumi di Lexus ascoltano e regolano ogni porta UX in una specifica “Quiet Room” prima che l’auto lasci lo stabilimento di Kyushu, dove viene costruita per garantire il giusto sound. Non solo. Secondo lo spirito Omotenashi (in giapponese: ospitalità e servizio cortese) di Lexus, anche i tergicristal-li si fermano automaticamente quando si apre lo sportello, per evitare che gli ospiti che entrano o escono dall’auto vengano bagnati. In tutto ciò sotto il cofano, il motore full electric da 204 CV (150 kW) arriva fino ai 160 km/h, con un’auto-nomia da 300 km e uno scatto da 0 a 100 km/h in soli 7,5 secondi. Il merito? Anche di accorgimenti

come le ruote aero-ventilate, dotate di alette ae-rodinamiche a raggi simili ai Gurney flap installati sulle F1. Tali dispostivi regolano il flusso d’aria in modo da creare una maggiore deportanza e ga-rantire così una migliore tenuta di strada della vettura. Non male per un crossover.Dai tedeschi di Porsche, per Taycan – la prima 100% green della storia del marchio – la ricetta è molto semplice: zero compromessi. Non per nulla è la prima vettura di serie a usare la rete di ricarica a 800 Volt. Che significa? Il sistema può assorbire fino a 270 kW (in futuro anche 500 kW) quando si collega a una colonnina, e con-seguentemente “fare il pieno” di 450 km in 22 minuti: pensata, dunque, anche per i lunghi viag-gi. Taycan, del resto, è a tutti gli effetti una limou-sine di 5 metri – corredata di schermi e comfort – (per oltre 2.200 kg di peso!), fornita di trazione integrale e due motori elettrici: raggiunge anche i 761 CV (a seconda delle versioni), per uno 0-100 in 2,8 secondi e una velocità massima fino a 260 km/h. Neanche a dirlo, un’esperienza che non si dimentica. Neanche la seconda volta.

02. Porsche taycan è

la prima diretta rivale

di tesla Model S. Il

listino in Italia parte

da 157.000 euro circa

03. Mach-E avrà come

principale concorrente

tesla Y. Causa

Covid-19, questo

modello arriverà sul

mercato nel 2021

wHeels

02

03

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Hi tecH

trendy e raffinato,

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Watch Gt 2e ci

accompagna ovunque

monitorandoci con

le sue 85 modalità di

training personalizzato

Non ci sono più alibi “sanitari”. D’ora in poi, se rinunceremo a controllare il nostro peso-forma riprendendo a fare un po’ di sana attività fisica, sarà per pura pigrizia. Complici l’estate e la fine per tutti del lockdown, con la possibilità di godere finalmente di spazi ampi e luminosi senza doverci guardare reciprocamente con sospetto ogni qual volta i nostri corpi si sfiorano in palestra per sce-gliere un attrezzo o stendere un tappetino, siamo finalmente padroni di esprimerci al meglio. Attra-verso lo sport, se ne pratichiamo uno, o ciò che dalle ultime decadi del secolo scorso chiamiamo fitness. La tecnologia, anche in questo caso, può venirci in soccorso, aiutandoci a liberare le nostre energie, a programmare l’allenamento, a tracciare percorsi, a monitorare prestazioni e risultati, ad al-lietare il tempo della corsa o dell’escursione con le nostre playlist musicali o i nostri podcast pre-feriti (vedi “Elio e le Storie Tech”, che ha appena debuttato su Spotify) direttamente in cuffia o ac-canto a noi sul prato che abbiamo scelto per fare stretching o semplicemente respirare…Le possibilità offerte dal mercato hi-tech sono nu-merose e tutte degne di attenzione. In pole posi-

tion ci sono naturalmente i nuovi smartwatch de-dicati allo sport, che si arricchiscono di funzioni, ma continuano ad avere nella geolocalizzazione e nei sensori di movimento i loro principali punti di forza. Evoluzione dei tradizionali orologi da pol-so digitali, sono sempre con noi e danno il ritmo alla nostra giornata e al nostro impegno per incre-mentare le performance, ma soprattutto il grado di benessere. In qualche caso li vediamo all’opera anche a bordo delle bici da corsa o da trekking, dove sommano potenti strumenti di navigazione, monitoraggio del fitness (tempi, distanze, veloci-tà, calorie) e persino allarme antifurto di quella che possiamo ormai definire senza mezzi termini la nostra “smartbike”, spesso a pedalata assistita. Il tutto in accoppiamento con il cellulare di ultima generazione, versatile cuore applicativo dell’intero sistema. E poi ci sono i tecno-gadget. Dalle power-bank a energia solare per ricaricare tutti i nostri di-spositivi elettronici, alle varianti pressoché infinite di auricolari Bluetooth impermeabili e antivento. Il brevetto più strano? Una borraccia antibatterica che purifica l’acqua con i raggi UV-C sprigionati dal tappo. Davvero non abbiamo più scuse.

di Paolo Crespi

Per aiutarci a recuperare la forma fisica nel post lockdown, la tecnologiaci mette a disposizione una serie di gadget che servono a calibrarel’allenamento ed evitarci di strafare dopo la lunga astinenza forzata.Ecco alcune delle trovate più utili e curiose scovate e provate per voi

SPORtECh dA PASSEGGIO

On the moveQualche incentivo per aumentare Il nostro tasso di sportività

smartHalo 2

Montato sul manubrio della nostra due ruote preferita, il nuovo dispositivo la

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Ci sono luoghi in cui non ci si stanca mai di torna-re, che diventano presto quelli del cuore, dove ci si sente subito come a casa… E tutto questo senza apparente motivo. Ma un motivo, sappiamo, c’è sempre. È questa la sensazione che si prova ogni volta che si arriva o si torna a Ortigia. Il centro storico di Siracusa è sinonimo di Mediterraneo, è sud Italia, ma allo stesso tempo è un mondo a sé. Sarà perché non circolano automobili – fatta ec-cezione per alcune ristrette zone – ma l’atmosfera di Ortigia è così intima che ci accoglie immedia-tamente. E sarà anche per i suoi sapori, intensi e veraci, come sono anche i caratteri di chi lì abita, “isolani” nell’animo. Ortigia si raggiunge solo con un ponte, vicino ai resti del tempio di Apollo. Da qui può cominciare il tour dell’isola. Rigorosa-mente da fare senza meta, lasciandosi affascinare da incroci, profumi, scorci e incontri.Quella di Siracusa è una storia millenaria ed è testimonianza di tante epoche: greca, romana, araba, normanna e barocca. Lo si vede nel suo monumento storico più maestoso, il Duomo. La

cattedrale dedicata alla Natività di Maria Santissi-ma accoglie in facciata anche la martire e patrona siracusana, santa Lucia – le cui spoglie sono però custodite a Venezia – e san Marciano – primo vescovo della città. Ma è osservando il lato sini-stro della cattedrale che si scopre qualcosa in più della storia di questa città. Sono infatti visibili le antiche colonne del peristilio che costituivano il tempo di Atena in stile dorico e risalente al 480 a.C. Queste stesse colonne furono inglobate nella chiesa bizantina. Successivamente, durante il IX secolo, sotto la dominazione araba, l’edificio fu adibito a moschea, mentre nel XII secolo tornò al culto cristiano divenendo chiesa normanna. La facciata di questo periodo venne completamente perduta nel terribile terremoto del 1693 e quella attuale, barocca, risale ai primi del Settecento. A pochi passi da lì, nella chiesa dedicata alla patro-na della città, è custodito Il seppellimento di santa Lucia di Caravaggio. Da lì andando verso il mare si trova la Fonte Aretusa che ha riaperto al pubblico solo lo scorso anno. I Greci, ispirati da questo luo-

di Carolina Saporiti

È l’estate per scoprire i nostri tesori più belli, quella per ripartire, per ripensare e ripensarci. Da dove iniziare se non dai luoghi storici? Meglio ancora se vista mare. E allora ecco una breve guida a Siracusa e a al suo cuore millenario: Ortigia

INtIMA ORtIGIA

01. Sul lungomare Alfeo

di Ortigia si susseguono

bar e ristoranti. All’ora

dell’aperitivo tappa

obbligata è il Sunset.

Foto di Anna Auza su

Unsplash

01

weeKend

go e dalle acque dolci che scorrono nel sottosuolo a pochissimi metri dal mare, narrarono la storia della bellissima ninfa Aretusa, trasformata in sor-gente da Artemide, e di Alfeo, divinità fluviale che si innamorò perdutamente della giovane, tanto da ottenere da Zeus di unirsi eternamente con l’a-mata. Fate in modo di visitarle a fine giornata, per Cicerone era uno dei tramonti più belli al mondo. Ma come si diceva Ortigia è da vivere… e da man-giare! Farlo bene qui non è difficile e certo non si può perdere un giro e qualche assaggio al mercato. E non si può partire senza aver mangiato un pa-nino con il pesce. Quelli più famosi sono quelli del Caseificio Borderi, ma in alta stagione potreste fare più di un’ora di coda. Accanto ci sono i Fra-telli Burgio, che hanno un locale anche alla mari-na. Ma la bellezza di Ortigia risiede anche nei suoi palazzi che custodiscono cortili magnifici, come quello barocco del ristorante con bar Cortile Ver-ga. Qui si viene a bere, a mangiare e soprattut-to a passare il tempo con grande calma. In carta piatti di pesce crudo, ma anche panini per i più

affamati. Se passerete davanti alla Trattoria Foglia la riconoscerete, anche senza insegna. Eccentri-ca, con piccoli tavoli in legno, centrini di pizzo, chincaglieria e bambole antiche, sembra quasi di stare nella vecchia casa di una nonna. E la cucina è proprio quella: pasta fatta in casa, pesce spada grigliato e polpette di tonno, granita di mandari-no e torta alla ricotta. Anche se come canterebbe Dalla, “Ortigia non basta mai,” anche la città di Si-racusa non è da trascurare. È qui che si trovano gli scavi del Parco Archeologico della Neapolis che conserva i più importanti monumenti del quar-tiere. Oltre al Teatro Greco di Siracusa, dove ogni estate vengono messi in scena spettacoli classici (per la programmazione di quest’anno www.inda-fondazione.org), il Parco comprende l’Ara di Iero-ne II, l’Anfiteatro romano del III-IV secolo d.C., la più importante opera pubblica dell’epoca e il famoso Orecchio di Dionisio. Tempo di ripartire? La sentite quella sensazione? Quella di voler tor-nare, quella di lasciare casa… è la magia di Ortigia che è entrata nel cuore.

02. A pochi passi

dal duomo si trova

la chiesa di Santa

Lucia alla Badia che

custodisce un dipinto

di Caravaggio. Foto di

Luigi Crosti su Pixabay

03. L’orecchio di

dioniso è una grotta

artificiale che si trova

nella cava di pietra

detta del Paradiso,

sotto il teatro Greco

di Siracusa. Foto di

hilmar Buschow su

Pixabay

weeKend

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overseas overseas

di Cristina Buonerba

Tramonti dalle mille sfumature di arancio, rosso e viola, spiagge chilometriche, tanta natura, un’economia stabile e un approccio alla vita che sposa la filosofia del no worries, mate! Un sogno? Assolutamente no, si tratta semplicemente di Sydney

LA REGINA dEL SUd

Se l’idea di affrontare ventiquattro ore di volo per atterrare dall’altra parte del mondo sarebbe in grado di intimorire anche il più audace dei viag-giatori, una cosa è certa: una volta giunti a desti-nazione, la bellissima Sydney troverà sicuramente il giusto modo per farsi perdonare. Non c’è jet lag che tenga davanti alla regina del Nuovo Galles del Sud che tra il verde dei suoi parchi nazionali, la vastità delle sue spiagge oceaniche e l’atmosfe-ra unica dei quartieri dal sapore tropical chic, non tarda poi molto a stregare il cuore di chiunque. Perché in fondo parliamoci chiaro: in quale altra città al mondo si ha la possibilità di godere di un clima caldo circa dieci mesi all’anno, fare colazio-ne in balcone con stormi di pappagalli che volano liberi nel cielo, godere di una scena food interna-zionale da leccarsi i baffi e, soprattutto, vivere uno stile di vita che non teme il confronto con nessun altro Paese al mondo?La prima, imperdibile tappa per chiunque si trovi in città per la prima volta è un salto al famosis-simo Teatro dell’Opera, anche conosciuto come Opera House, uno dei simboli indiscussi della città australiana. Le bianche vele che portano la

firma degli architetti Jørn Oberg e Peter Hall si affacciano sulla baia di Sydney e sul famoso Har-bour Bridge. Una volta qui è facile perdersi con lo sguardo tra gruppi di turisti armati di smartphone intenti a portare a casa lo scatto perfetto, men-tre ci si lascia cullare dall’immancabile suono del didgeridoo, uno dei tradizionali strumenti abori-geni suonato dall’immancabile gruppo di artisti di strada che ogni giorno intrattiene passanti, cu-riosi e visitatori. Da qui è possibile anche salire a bordo di uno dei numerosi ferry che permettono di osservare la splendida Opera House dall’acqua, per godere di una prospettiva ancora più unica. C’è chi dice che Sydney sia come tante città una dentro l’altra, e ognuna racchiude un’atmosfera e un sapore differente. Chi desidera immergersi nel tanto chiacchierato mondo dei surfisti australia-ni non deve assolutamente perdersi una capatina a Bondi Beach che, nonostante non possa essere definita la spiaggia più bella in assoluto della cit-tà, rimane pur sempre la mecca indiscussa degli amanti della tavola da surf. Il mood che si respira qui è un inno all’oceano, alla libertà e a quella magia che richiama ogni anno la curiosità di viag-

01. Il teatro

dell’Opera, detto

anche Opera house,

è un appuntamento

imperdibile per

chiunque si rechi a

Sydney. Foto di Johnny

Bhalla su Unsplash

02. Per godersi

un assaggio della

maestosità della natura

australiana, è d’obbligo

una tappa al Royal

Botanic Gardens

03. Il Paddington

Reservoir è un parco

pubblico patrimonio

dell’umanità situato

nel sobborgo orientale

di Paddington. Foto di

david Lochlin su Flickr

giatori provenienti da tutto il globo. Eserciti di surfisti dai lunghi capelli biondi se ne vanno in giro senza scarpe, pronti a scendere in mare per catturare l’onda perfetta. E per chi avesse troppa paura di sfidare l’oceano e i suoi famosi squali, è pur sempre possibile perdersi tra localini dove fare il pieno di sushi, fish and chips e litri di bir-ra ghiacciata. Bastano poche fermate di autobus dalla trafficata Bondi per catapultarsi in un mon-do dal sapore completamente differente. Il sale sulla pelle e le tavole da surf vengono sostituite da tacchi alti, negozietti decisamente posh, case dall’architettura vittoriana, gallerie d’arte e risto-ranti alla moda frequentati da giovani gruppi di uomini e donne in carriera e da coppie che scel-gono di concedersi una serata romantica. Siamo nei quartieri di Surry Hills e Paddington, perfetti per vivere una vera esperienza da local. Se invece si prediligono le atmosfere suggestive della vicina Asia, non ci si può perdere un giretto a China Town, dove ci si lascerà accogliere da una ben radicata comunità cinese pronta a conquista-re qualsiasi visitatore a suon di ravioli al vapore e altre prelibatezze da intingere in litri di salsa

di soia. Altra attrazione sono le miriadi di nego-zi dove c’è praticamente di tutto, dalle cliniche di esperti di medicina cinese e agopuntura, erbe, massaggi, alle librerie e a tante particolarità Made in China. I visitatori dall’animo più alternativo, invece, faranno bene a spostare la propria bussola verso il quartiere di New Town, caratterizzato da un’atmosfera decisamente più hip, ma pur sem-pre di grande stile. Questa, infatti, è la zona pre-ferita da artisti e creativi che trovano la propria ispirazione tra i tanti piccoli caffè così incredibil-mente caratteristici, i suoi negozietti di designer locali, gallerie d’arte e librerie.Per finire, il consiglio è quello di non lasciarsi sfuggire una capatina al Royal Botanic Gardens, dove fare un piccolo assaggio della maestosità della natura australiana senza preoccupazioni: qui non si incontrerà, infatti, nessun coccodrillo, serpente, canguro o ragno assassino, ma solo tanto verde, qualche pappagallo e si potrà godere della bellissima vista dello skyline della città.A pensarci bene la terra promessa non è poi così distante, si trova solo a circa 24 ore di volo da casa!

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Food

La ricetta dello chefCreatività allo stato puro: contrasti apparenti creano un equilibrio garbato

Food

Dalla campagna lombarda ai grattacieli di Porta Nuova, lo chef giapponese è la new entry di Aalto Part of Iyo, nuovissimo progetto di alta cucina di Claudio Liu, già titolare di Iyo Experience, una stella Michelin, e del delivery Aji, entrambi specializzati in sushi e cucina nipponica creativa. Qui può dare libero sfogo alla sua “cucina libera”, in cui omaggia il Giappone, l’Italia e non solo. Scoprendo a poco a poco anche la città che gli sta facendo cambiare le abitudini

di Simone Zeni - foto di Brambilla Serrani

takeshi iwai

La sua filosofia in cucina si sviluppa in equilibrio tra tradizione giappone-se e italiana. Com’è arrivato a questo risultato?Sono venuto in questo Paese nel 2007 per imparare la cucina italiana. La mia prima tappa è stata Roma, poi mi sono spostato in Liguria, in Sicilia, in Puglia e in Piemonte. Ho girato davvero un po’ per tutto lo Stivale nel tentativo di imparare a realizzare le ricette tradizio-nali più autentiche, passando dall’alta cucina alla trattoria. Un giorno ho ri-cevuto un grande insegnamento da uno chef: alla domanda se avessi memoria del ragù della domenica di mamma, ho risposto chiaramente di no, in Giappo-ne non esiste alcun piatto che abbia un gusto simile. Così ho capito, ed è stata come una svolta. Non dovevo diventare un cuoco “italiano”, ma semplicemente potevo essere influenzato e ispirato dal-la cucina italiana. Quindi il menu che propone da Aalto Part of Iyo non è di cucina nostrana?Ma nemmeno nipponica. Direi piutto-sto che quella di Aalto Part of Iyo è una cucina libera. Ho imparato nel tempo a lasciarmi piacevolmente influenzare da ciò che mi piace, durante i viaggi per esempio. Quindi è possibile trovare nei miei piatti, qualcosa, che so, di tipico

imbattuto è stata avere sia un percorso degustazione sia un menu alla carta, ma alla fine ho ultimato un menu che mi soddisfa molto. Se dovessi individuare il piatto che preferisco, direi cannolic-chi, asparagi bianchi e camomilla. Se dovessi, invece, pensare al piatto che rappresenta maggiormente la mia cuci-na, direi gli spaghetti con vongole alla tsukemen. Sono italianissimi e al dente, ma il modo di mangiarli è giapponese, con la salsa di vongole e altri condimen-ti serviti in ciotoline. E si usano rigoro-samente le bacchette. Un cambiamento radicale non soltan-to professionale. Com’è stato passa-re dalla vita bucolica di campagna a quella frenetica di città? Una grande rivoluzione anche nel-le abitudini. Ho vissuto all’interno di Cascina Guzzafame per cinque anni, passavo i miei giorni liberi a passeggiare tra i campi e a contatto con gli animali. Oggi abito vicino ad Aalto Part of Iyo, circondato dai grattacieli di Porta Nuo-va. Devo ancora abituarmi, lo ammetto, ma è un quartiere che mi affascina mol-to. Come ho spiegato, ho girato diverse regioni e spesso, quando sono a Milano, ho la sensazione di non essere in Italia. È senza alcun dubbio la città più inter-nazionale del Paese.

francese, così come di ispirazione tai-wanese, senza limitazione alcuna.Come è arrivato a capo della cucina di questo ristorante?Ho iniziato a lavorare qui davvero da poco, una manciata di settimane. Ma ambientarmi è stato facile, naturale. Ho un’idea precisa di cucina e ho avuto fin dal principio la possibilità di lavorarci senza nessun vincolo. Ho conosciuto Claudio Liu, titolare di questo risto-rante, qualche anno fa, quando venne a provare i miei piatti al ristorante ga-stronomico Ada e Augusto, all’interno di Cascina Guzzafame a Gaggiano. Quell’avventura si è conclusa alla fine del 2019, con la decisione di chiudere Ada e Augusto e continuare l’offerta dell’agriturismo di piatti locali. Dove-vo trovare lavoro. In breve tempo ho ricevuto diverse proposte importanti e ho riflettuto molto. Non potevo sba-gliare. Ho incontrato Claudio più volte, ci siamo confrontati e abbiamo capito di guardare a certi obiettivi nello stesso modo. Per me è fondamentale l’aspetto umano e ritengo che Claudio Liu sia una bellissima persona. Per questo ho deciso di dire di sì ad Aalto Part of Iyo. Tra i piatti in menu, ce n’è uno che la rappresenta più degli altri?Forse l’unica difficoltà in cui mi sono

internazionale L’ultima creatura di Claudio Liu si trova all’interno della Torre Solaria. Nato come Iyo Aalto ora gli ambienti e l’offerta si scindo-no definitivamente e se da Iyo Omakase si mangia sushi al banco, da Aalto Part of Iyo è bello lasciarsi guidare dalla creatività di Takeshi Iwai, che gioca di sponda tra cucina giapponese e italiana. L’ambiente, progettato dall’architetto Maurizio Lai, è cosmopolita, impeccabile, posh. Merito anche del servizio di Savio Bina, primo maître e head sommelier, affiancato dal secondo maître Matteo Coltelli. Aalto Part of Iyopiazza Alvar Aaltoviale della Liberazione 15 - Milanowww.iyo.it/aalto

Ingredienti: 120 g di cannolicchi, 20 g di boccioli di camomilla sotto sale, 60 g di panna acida, 40 g di asparagi bianchi, 20 g di olio di tagete, 12 foglie di tagete, q.b. succo di limone

Cannolicchi, asparagi bianchi e camomilla

Far spurgare i cannolicchi immergen-doli in acqua salata. Saltarli rapidamen-te in padella, togliendoli dal fuoco non appena si aprono. Rimuovere la sacca nera e separare il mollusco dalle valve. Sciacquare per eliminare gli ultimi re-sidui di sabbia presenti tra il mollusco e le valve. Tagliare il mollusco a tocchet-ti. Allungare la panna acida con l’acqua di cottura dei cannolicchi precedente-mente filtrata e il succo di limone. Fer-

mentare gli asparagi bianchi aggiun-gendo il 50% di acqua, il 2% di sale e l’1% di zucchero. Per 100 g di asparagi, utilizzare quindi 50 g di acqua, 3 g di sale e 1,5 g di zucchero. Disporre i toc-chetti di cannolicchi alla base, aggiun-gere la panna acida e gli asparagi bian-chi fermentati in modo da creare una decorazione. Completare con boccioli di camomilla sotto sale, foglie di tagete e un filo di olio di tagete all’esterno.

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Apre il 10 ottobre a Milano, negli spazi della Fabbrica del Vapore, la mostra Fri-da Kahlo. Il caos dentro,  un percorso sensoriale tecnologico e spettacola-re che immerge il visitatore nella vita dell’artista messicana, esplorandone la dimensione artistica, umana, spirituale. Prodotta da Navigare e curata da Anto-nio Arèvalo, Alejandra Matiz, Milagros Ancheita  e  Maria Rosso, l’esposizione inizia con una sezione multimediale, per poi entrare nel vivo con  la ripro-duzione minuziosa dei tre ambienti più vissuti da Frida a Casa Azul: la camera da letto, il giardino e lo studio realizzato nel 1946 al secondo piano. Nella sezio-ne I colori dell’anima, curata da Alejan-

dra Matiz, direttrice della Fondazione Leo Matiz di Bogotà, si possono ammi-rare gli intensi ritratti realizzati per lei dal fotografo colombiano Leonet Ma-tiz Espinoza. Non manca una  sezione dedicata a Diego Rivera con le lettere più evocative che Frida scrisse per lui, mentre ampio spazio è dedicato anche alla cultura e all’arte popolare in Messi-co. Per vedere le riproduzioni di 15 tra i più conosciuti autoritratti bisogna spo-starsi nella sezione Frida e il suo doppio, mentre una chicca da non perdere è la collezione di francobolli con la sua effige. Il percorso espositivo si chiude, infine, con un’emozionante esperienza sensoriale di realtà aumentata.

Frida Khalo

Fabbrica del Vapore - Milanodal 10 ottobre 2020 al 28 marzo 2021www.fabbricadelvapore.org

Una selezione dei migliori eventi che animeranno la città nei prossimi mesi

da non perdere...

a cura di Marilena Roncarà

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Orientarsi con le stelleNove autori, sei italiani e tre stranieri, per trenta opere tra fotografie, video e installazioni che svelano differenti modi di riflettere sulle figurazioni magiche e poetiche attraverso cui l’uomo si rivolge e interpreta le stelle. Appuntamento alla Casa Museo Boschi Di Stefano per la mostra curata da Gigliola Foschi e Lucia Pezzulla. Casa Museo Boschi Di Stefano - Milanodal 18 settembre al 31 ottobrewww.fondazioneboschidistefano.it

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Proprio laddove durante Expo c’era il mercato metropolitano, ha aperto lo scorso 15 luglio Ride Milano, un pro-getto ambizioso grazie al quale gli ol-tre 5.000 metri quadrati ormai semi abbandonati dello scalo ferroviario di Porta Genova, sono stati riqualifi-cati, trasformando la zona in un vero e proprio hub dedicato alla cultura e all’intrattenimento, con un’area ristoro per il food e attività speciali per i più piccoli. Si tratta di un vero e proprio villaggio nel cuore dell’area Navigli-Tortona concepito per offrire ai citta-dini un nuovo posto in cui darsi ap-puntamento per passare del tempo in compagnia tra relax e intrattenimento, gustando ottimo cibo, curiosando tra

gli stand di artisti ed espositori, sor-seggiando un drink e ascoltando buona musica, il tutto in piena sicurezza nel rispetto delle norme vigenti. All’inter-no dell’area trovano spazio  due pal-chi, su cui si alternano performance di artisti contemporanei, musica dal vivo, spettacoli di cinema serale e dj set in cuffia, oltre a stand-up comedy e rappresentazioni teatrali realizzate in collaborazione con Municipio 6 della città di Milano. Ospite d’eccezione il Wunder Mrkt che, con il nuovo format di temporary market e una selezione dei suoi migliori espositori, propone un universo di creazioni artigianali, abbi-gliamento vintage, pezzi unici, oggetti d’arte e di design.

Ride Milano

via Valenza 2 - Milanodal 15 luglio al 15 ottobrewww.ridemilano.com

Enzo MariSi chiama Falce e martello. Tre dei modi con cui un artista può contri-buire alla lotta di classe la persona-le dedicata a Enzo Mari riproposta, a distanza di quasi cinquant’anni, nella sede della Galleria Milano che aveva inaugurato nel 1973. E la visione di un autore illumina-to come Mari diventa chiave di lettura per leggere il cambiamento epocale. Galleria Milano - Milano dal 10 settembre al 28 novembrewww.galleriamilano.com

Cuori impavidiMI AMI Festival & Circolo Magnolia ripartono dalla musica dal vivo con otto concerti a cadenza settimanale che dal 16 luglio ci accompagnano fino a settembre. L’appuntamento è con Cuori Impavidi - Rassegna estiva di concerti acquatici alle tribune dell’Idroscalo di Milano. Tra gli ospiti anche Dardust, Francesca Michelin e Vasco Brondi. Idroscalo - Milano dal 16 luglio al 10 settembre www.idroscalo.org

La luce oltre La personale di Laura Giardino è la prima mostra che apre a settem-bre la prossima stagione espositiva della galleria Area\B. In La luce oltre, con la curatela di Elena Pontiggia, l’artista presenta i nuovi approdi della sua ricerca pittorica. Protagonista è la città di Milano nei suoi scorci più intimi e privati.Galleria Area\B - Milanodal 19 settembre al 31 ottobrewww.areab.org

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A Milano il mare non c’è, ma la voglia di lasciarsi trasportare dalla fantasia non manca e così è facile scoprire che tra le sue vie vivono ben cinque sirene. Una, dall’alto, ci racconta antiche storie mitologiche, mentre le altre dall’Ottocento proteggono tutti gli innamorati

Sirene in città

di Elisa Zanetti - foto di Alberto Fogliata

C’è un luogo a Milano in cui giurarsi amore eterno è più facile. Un tempo quel posto era collocato nell’attuale via Visconti di Modrone, oggi per trovarlo bisogna spostarsi fra le fronde degli al-beri di Parco Sempione e raggiungere il suo laghetto. È qui che campeggia il ponte delle Sirenette. Questa antica struttura un tempo solcava il naviglio di San Damiano, interrato nel 1930 in-sieme a gran parte dei canali milanesi. Primo ponte in ghisa italiano, fu pro-gettato dall’ingegnere Francesco Tetta-manzi e fuso dalla Rubini-Scalini-Falck, sul Lago di Como, per essere poi inau-gurato nel 1842 alla presenza dell’arci-duca d’Austria Ranieri. All’epoca a fare clamore non fu solo l’uso della ghisa, la lega metallica composta da ferro e car-bonio che aveva già conquistato Francia e Inghilterra e che veniva vista come il materiale delle architetture più innova-tive, ma anche le procaci forme delle

sirene che adornavano i quattro pilastri di granito della struttura. Si dice che le pudiche gentildonne milanesi passando fossero solite coprirsi gli occhi per non guardare i seni nudi delle statue, ma anche che gli innamorati presto scel-sero di farne il loro luogo d’incontro, diffondendo l’usanza di accarezzare le statue in segno di buon augurio. Chi si promette amore al cospetto di queste figure mitologiche non vedrà mai senti-mento e passione spegnersi. Al di là de-gli innamorati, le statue conquistarono presto il favore di tutti i cittadini, che le soprannominarono con affetto e ironia “sorelle Ghisini”, proprio per il materia-le di cui erano fatte. In origine, alla base delle statue, erano presenti decorazioni di cigni, festoni, ancore e teste leonine, purtroppo andate perdute durante il trasporto e a causa di successive razzie. Non furono gli unici danni a interessa-re il ponte: la ringhiera in ghisa venne

sostituita con tubolari di ferro e fu ne-cessario attendere il restauro del 2001-2003 per vederla ricostruita secondo i disegni originali. Inoltre nel 1943 una delle sirene fu gravemente danneggia-ta durante un  bombardamento, men-tre una seconda fu rubata nel 1948, entrambe furono sostituite con delle copie. In attesa magari un giorno di tor-nare a vedere tutti i Navigli riaperti e le sirene “nuotare” ancora fra le vie della città, c’è un’altra donna dalla coda di pesce che merita di essere ammirata: per trovarla dovete salire fra le guglie del Duomo, lì fra le tante statue della cattedrale, fa capolino una sirena dalla duplice coda. La leggenda associa que-sta decorazione scultorea alla fiaba di Hans Christian Andersen, ma in realtà la sua realizzazione risale al XV secolo, ben prima della nascita dello scrittore danese. Poco male, quello che è certo è che in città c’è spazio per sognare.

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Presto Club Milano tornerà in oltre 200 location selezionate a Milano

night & restaurant: Al fresco Via Savona 50 Angolomilano Via Boltraffio18 Antica trattoria della Pesa V.le Pasubio 10 Bar Magenta Largo D’Ancona Beda house Via Murat 2 Bento Bar C.so Garibaldi 104 Bhangra Bar C.so Sempione 1 Blanco Via Morgagni 2 Blue Note Via Borsieri 37 Caffè della Pusterla Via De Amicis 24 Café Gorille Via De Castillia 20 Caffè Savona Via Montevideo 4 Cape town Via Vigevano 3 Capo verde Via Leoncavallo 16 Cheese Via Celestino IV 11 Chocolat Via Boccaccio 9 Circle Via Stendhal 36 Colonial Cafè C.so Magenta 85 Combines XL Via Montevideo 9 Cubo Lungo Via San Galdino 5 dada Cafè / Superstudio Più Via Tortona 27 deseo C.so Sempione 2 design Library Via Savona 11 Elettrauto Cadore Via Cadore ang. Pinaroli 3 El Galo Negro Via Taverna Executive Lounge Via Di Tocqueville 3 Exploit Via Pioppette 3 Fashion Cafè Via San Marco 1 FoodArt Via Vigevano 34 Fusco Via Solferino 48 G Lounge Via Larga 8 Giamaica Via Brera 32 God Save the Food Via Tortona 34 Goganga Via Cadolini 39 Grand’Italia Via Palermo 5 hB Bistrot hangar Bicocca Via Chiese 2 Il Coriandolo Via dell’Orso 1 Innvilllà Via Pegaso 11 Jazz Cafè C.so Sempione 4 Kamarina Via Pier Capponi 1 Kisho Via Morosini 12 Kohinoor Via Decembrio 26 Kyoto Via Bixio 29 La Fabbrica V.le Pasubio 2 La rosa nera Via Solferino 12 La tradizionale Via Bergognone 16 Le Biciclette Via Torti 1 Le Coquetel Via Vetere 14 Le jardin au bord du lac Via Circonvallazione 51 (Idroscalo) Leopardi 13 Via Leopardi 13 Les Gitanes Bistrot Via Tortona 15 Lifegate Cafè Via della Commenda 43 Living P.zza Sempione 2 Luca e Andrea Alzaia Naviglio Grande 34 MAG Cafè Ripa Porta Ticinese 43 Mandarin 2 Via Garofano 22 Milano Via Procaccini 37 Mono Via Lecco 6 My Sushi Via Casati 1 - V.le Certosa 63 N’ombra de vin Via San Marco 2 Noon Via Boccaccio 4 Noy Via Soresina 4 O’ Fuoco Via Palermo 11 Origami Via Rosales 4 Ozium t7 café - via Tortona 7 Palo Alto Café C.so di Porta Romana 106 Panino Giusto P.zza Beccaria 4 - P.zza 24 Maggio Parco Via Spallanzani - C.so Magenta 14 Patchouli Cafè C.so Lodi 51 Posteria de Amicis Via De Amicis 33 Qor Via Elba 30 Radetzky C.so Garibaldi 105 Ratanà Via De Castillia 28 Refeel Via Sabotino 20 Rigolo Via Solferino 11 Marghera Via Marghera 37 Rita Via Fumagalli 1 Roialto Via Piero della Francesca 55 Serendepity C.so di Porta Ticinese 100 Seven C.so Colombo 11 - V.le Montenero 29 - Via Bertelli 4 Smeraldino P.zza XXV Aprile 1 Smooth Via Buonarroti 15 Superstudio Café Via Forcella 13 Stendhal Via Ancona 1 tasca C.so Porta Ticinese 14 that’s Wine P.zza Velasca 5 timè Via S.Marco 5 tortona 36 Via Tortona 36 trattoria toscana C.so di Porta Ticinese 58 tripburger Via Cornalia 8 Union Club Via Moretto da Brescia 36 van Gogh Cafè Via Bertani 2 volo Via Torricelli 16 Zerodue_Restaurant C.so di Porta Ticinese 6 3Jolie Via Induno 1 stores: Ago Via San Pietro All’Orto 17 Al.ive Via Burlamacchi 11 Ana Pires Via Solferino 46 Antonia Via Pontevetero 1 ang. Via Cusani Bagatt P.zza San Marco 1 Banner Via Sant’Andrea 8/a Biffi C.so Genova 6 Brand Largo Zandonai 3 Brian&Barry via Durini 28 Brooksfield C.so Venezia 1 Buscemi dischi C.so Magenta 31 Centro Porsche Milano Nord Via

Stephenson 53 Centro Porsche Milano Est Via Rubattino 94 C.P. Company C.so Venezia Calligaris Via Tivoli ang. Foro Buonaparte dantone C.so Matteotti 20 Eleven Store Via Tocqueville 11 Fgf store Piazza xxv Aprile1 Germano Zama Via Solferino 1 Gioielleria verga Via Mazzini 1 Joost Via Cesare Correnti 12 Jump Via Sciesa 2/a Kartell Via Turati ang. Via Porta 1 La tenda 3 Piazza San Marco 1 Le Moustache Via Amadeo 24 Le vintage Via Garigliano 4 Libreria hoepli Via Hoepli 5 MCS Marlboro Classics C.so Venezia 2 - Via Torino 21 - C.so Vercelli 25 Moroso Via Pontaccio 8/10 Native Alzaia Naviglio Grande 36 Open viale Monte Nero 6 Paul Smith Via Manzoni 30 Pepe Jeans C.so Europa 18 Pinko Via Torino 47 Rubertelli Via Vincenzo Monti 56 the Store Via Solferino 11 valcucine (Bookshop) C.so Garibaldi 99showroom: Alberta Ferretti Via Donizetti 48 Alessandro Falconieri Via Uberti 6 And’s Studio Via Colletta 69 AutoRigoldi Showroom Skoda Via Pecchio10 AutoRigoldi Showroom volkswagen Via Novara 235 Bagutta Via Tortona 35 Casile&Casile Via Mascheroni 19 damiano Boiocchi Via San Primo 4 daniela Gerini Via Sant’Andrea 8 Gap Studio C.so P.ta Romana 98 Gallo Evolution Via Andegari 15 ang. Via Manzoni Gruppo Moda Via Ferrini 3 Guess Via Lambro 5 Guffanti Concept Via Corridoni 37 IF Italian Fashion Via Vittadini 11 In Style Via Cola Montano 36 Interga V.le Faenza 12/13 Jean’s Paul Gaultier Via Montebello 30 Love Sex Money Via Giovan Battista Morgagni 33 Massimo Bonini Via Montenapoleone 2 Miroglio Via Burlamacchi 4 Missoni Via Solferino 9 Moschino Via San Gregorio 28 Parini 11 Via Parini 11 Red Fish Lab Via Malpighi 4 Sapi C.so Plebisciti 12 Spazio + Meet2Biz Alzaia Naviglio Grande 14 Studio Zeta Via Friuli 26 Who’s Who Via Serbelloni 7beauty & fitness: Accademia del Bell’Essere Via Mecenate 76/24 Adorè C.so XXII Marzo 48 Aspria harbour Club Milano Via Cascina Bellaria 19 Caroli health Club Via Senato 1Centro Sportivo San Carlo Via Zenale 6 damasco Via Tortona 19 Get Fit Via Lambrate 20 - Via Piranesi 9 - V.le Stelvio 65 - Via Piacenza 4 - Via Ravizza 4 - Via Meda 52 - Via Vico 38 - Via Cenisio 10 Greenline Via Procaccini 36/38 Gym Plus Via Friuli 10 Intrecci Via Larga 2 Le Garcons de la rue Via Lagrange 1 Le terme in città Via Vigevano 3 Orea Malià Via Castaldi 42 - Via Marghera 18 Romans Club Corso Sempione 30 Spy hair Via Palermo 1 tennis Club Milano Alberto Bonacossa Via Giuseppe Arimondi 15 terme Milano P.zza Medaglie d’Oro 2, ang. Via Filippetti tony&Guy Gall. Passerella 1 virgin Active Milano diaz Piazza Diaz 6 art & entertainment: PAC (Padiglione Arte Contemporanea) Via Palestro 14 Pack Foro Bonaparte 60 Palazzo Reale P.zza Duomo teatro Carcano C.so di Porta Romana 63 teatro derby Via Pietro Mascagni 8 teatro Libero Via Savona 10 teatro Litta C.so Magenta 24 teatro Smeraldo P.zza XXV Aprile 10 teatro Strehler Largo Greppi 1 triennale V.le Alemagna 6 triennale Bovisa Via Lambruschini 31hotel: Admiral Via Domodossola 16 Astoria V.le Murillo 9 Boscolo C.so Matteotti 4 Bronzino house Via Bronzino 20 Bulgari Via Fratelli Gabba 7/a domenichino Via Domenichino 41 Four Season Via Gesù 8 Galileo C.so Europa 9 Nhow Via Tortona 35 Park hyatt (Park Restaurant) Via T. Grossi 1 Residence Romana C.so P.ta Romana 64 Sheraton diana Majestic V.le Piave 42inoltre: Bagni vecchi e Bagni Nuovi di Bormio (SO) terme di Pre-Saint-didier (AO)

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