CLARIFICAR LOS ALIMENTOS

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SEPARAR LA PARTE LIQUIDA CON LA SOLIDA DE LOS ALIMENTOS

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Chiarificare l’impossibile con i filtri molecolari

Filtrare è un’operazione abbastanza comune in cucina. Lo scopo è di separare la parte solida sospesa in un liquido. Solitamente si esegue mediante un colino metallico oppure con un filtro di carta o di garza. Lo scopo può essere quello di eliminare un solido indesiderato, come quando filtriamo un infuso, un the, o una salsa, oppure di scolare del liquido in eccesso, preparando ad esempio uno yogurt denso o una ricotta casalinga.

Il meccanismo fisico della filtrazione è semplicissimo: la grandezza delle maglie del filtro determina il diametro massimo delle particelle solide che possono passare assieme al liquido. Particelle più grandi vengono bloccate. C’è ovviamente un limite a quello che si può separare con filtri e colini casalinghi, poiché le maglie non possono essere rese piccole a piacere. Non è possibile, ad esempio, rendere limpido con questi mezzi un brodo di carne torbido perché le particelle che desideriamo filtrare sono più piccole del diametro dei fori. Come ha fatto allora lo Chef a servirvi quel consommé cristallino? Lo ha “chiarificato”, reso limpido cioè, utilizzando un “filtro molecolare” dalle maglie estremamente piccole.

La chiarificazione del brodo si ottiene aggiungendo al liquido dell’albume sbattuto e lasciando sobbollire. Il calore denatura le proteine dell’albume che si distendono e cominciano a coagulare, legandosi tra loro e formando una fitta rete tridimensionale: a tutti gli effetti un “filtro molecolare”. Le particelle che intorbidivano il brodo rimangono intrappolate nella rete proteica che, una volta coagulata, può essere eliminata senza problemi.

Esistono molte altre sostanze che possono formare un reticolo molecolare nel quale possono rimanere imprigionate acqua e altre sostanze. Una di queste è la gelatina, costituita dal collagene e su cui torneremo in modo approfondito in un prossimo articolo. Sono sicuro che tutti voi la conoscete, sia attraverso le preparazioni dolci come, appunto, le “gelatine” o le bavaresi, sia in preparazioni salate come gli aspic, oppure usata come copertura.

Il superfiltro di gelatina

Tornando al brodo di carne, questo contiene gelatina, come forse avrete notato restringendo molto il brodo e mettendolo in frigorifero. Non sarebbe possibile sfruttare la sua presenza per chiarificarlo senza dover ricorrere all’albume, che altera anche sensibilmente il gusto del brodo? Sì è possibile, ed è una tecnica che comincia ad essere utilizzata anche in qualche cucina professionale, almeno all’estero.

La concentrazione di collagene nel brodo non è sufficiente per costruire una maglia fitta come quella dell’albume, e se ci fosse più collagene tutto il liquido verrebbe intrappolato nella formazione della gelatina solida. Si procede invece congelando il brodo nel freezer e successivamente posizionando il blocco solido su di un filtro appoggiato su un colino

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capiente, sopra una bacinella. Il tutto deve essere mantenuto in frigorifero, lasciando sciogliere l’acqua lentamente, goccia a goccia, ma mantenendo solidi sia il grasso sia la gelatina, che tratterrà imprigionate le particelle solide. E’ una tecnica lenta ma di sicuro effetto per ottenere dei brodi limpidissimi e totalmente privi di grasso. Volendo si può reintrodurre un poco di grasso a filtrazione avvenuta. Il sapore non è minimamente alterato, a differenza di quello che accade usando la chiarificazione classica con l’albume.

Questa tecnica, ultimamente, fa furore nei ristoranti di gastronomia molecolare perché può essere utilizzata per chiarificare praticamente di tutto, dai succhi di frutta a quelli di verdure, o per creare “essenze trasparenti” di formaggi o sughi di carne. Se volete provare a rendere limpido un liquido acquoso, preparate una soluzione allo 0.5% circa di gelatina, sciogliendo quella in fogli comunemente in commercio. Congelate per una notte e poi lasciate gocciolare pazientemente in frigorifero su un filtro. Il risultato vi sbalordirà. Non ci credete? Guardate qua:

A sinistra potete vedere del succo di pompelmo preso dalla confezione. Se provate a filtrarlo con un normale filtro non otterrete nulla: le particelle solide sono troppo piccole. A destra invece il risultato della filtrazione a freddo con gelatina. Io lo trovo spettacolare. E se state pensando “non saprà di nulla, tutto il sapore sarà rimasto nella parte solida” vi sbagliate di grosso. Il bicchiere a destra ha un aroma e un sapore piu’ intenso di quello di sinistra, e il fatto è stato confermato con prova bendata di mio figlio e mia moglie che si sono prestati all’esperimento

Vediamo in dettaglio la tecnica, che nell’articolo cartaceo apparso su Le Scienze di marzo ho potuto solo accennare. La gelatina, in concentrazioni opportune, riesce a

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intrappolare in una struttura semisolida tutta l’acqua contenuta. Una tipica confezione di gelatina in fogli riesce a gelificare (questo è il termine tecnico) circa mezzo litro di acqua. Se la gelatina è troppo diluita non riesce a solidificare. Alla concentrazione di circa lo 0.5% una soluzione di gelatina in acqua, se sottoposta a congelamento, si comporta in una maniera particolare: a causa dell’interferenza delle molecole di gelatina (o meglio, di collagene, come vedremo in un prossimo articolo) l’acqua non riesce a formare una struttura continua solida di ghiaccio. Si formano invece milioni e milioni di cristallini di ghiaccio tenuti separati gli uni dagli altri dal debolissimo reticolo di gelatina.

Cominciamo quindi a preparare una soluzione allo 0.5% in peso di gelatina disciolta nel succo di pompelmo. Seguite le istruzioni sulla confezione di gelatina in fogli che potete acquistare in qualsiasi supermercato o negozi di alimentari. Pesate la quantità di succo che volete superfiltare e tagliate un foglio di gelatina in modo da avere circa lo 0.5% in peso. Io ho pesato 150 grammi di succo di pompelmo.

Una volta sciolta la gelatina mettete il succo in freezer in un contenitore di plastica e lasciatelo una notte (io questi esperimenti li faccio solitamente di sera ) Il giorno seguente togliete il liquido congelato dal contenitore .

Preparate un filtro. Io uso quelli comuni di carta per filtrare il caffè, ma potete usare anche della garza o del cotone. Mettetelo in un colino, che servirà solamente per sostenere il peso del liquido congelato. Adagiate il solido nel filtro e mettete tutto in frigorifero.

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Questo procedimento funziona anche per il brodo, come vi ho già accennato, ma ovviamente avrete bisogno di un colino molto più grande.

E’ CRUCIALE che il solido rimanga sempre ben raffreddato. Avevamo lasciato il nostro reticolo di gelatina con milioni di cristalli di ghiaccio intrappolati. Alla temperatura del frigorifero (non troppo superiore ai 4 °C) il ghiaccio comincia a sciogliersi, ma il reticolo di gelatina no. E, nel caso del brodo, neanche i grassi, che rimangono solidi. L’acqua comincia a fluire nei milioni di cunicoli che si formano nel solido congelato, e piano piano delle gocce d’acqua cominciano a raccogliersi in fondo alla tazza. E con l’acqua gocciolano anche tutte le sostanze disciolte, che donano gusto e aroma. E’ una procedura molto lenta: ci ho messo mezza giornata per recuperare un bicchiere di succo. Ma il risultato vale la pazienza necessaria. Io chiamo questa tecnica”superfiltrazione”.

Questa tecnica è molto versatile. Ho provato a superfiltrare dei lamponi. Li ho schiacciati con uno schiacciapatate, ho separato i semi con un setaccio di metallo a maglia fine e una spatola in silicone. Al denso liquido risultante ho aggiunto della gelatina, come per il succo di pompelmo. Dopo il congelamento e il gocciolamento ecco il risultato, perfettamente trasparente.

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Nel filtro rimane la parte solida, ancora trattenuta da quella piccola percentuale di gelatina. La consistenza del filtrato è molto simile a quella di una mousse. Ho messo quindi la mousse di lamponi in un bicchierino, con un po’ di zucchero, e l’ho mangiata

Ma perché limitarsi alla frutta? Ho voluto provare con un pomodoro. Prima l’ho sbucciato. Sapete come si fa vero? Si incide una croce sulla pelle del fondo del pomodoro

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e si butta in acqua bollente per 30 secondi, un minuto al massimo. Si toglie e lo si immerge in acqua fredda, anche ghiacciata. La cottura si deve limitare alla pelle che, per via dello sbalzo di temperatura, si contrae e si stacca che è un piacere, come potete vedere qui sotto

Ho frullato i pomodori e ho sottoposto il succo alla solita procedura. Il risultato mi ha sorpreso:

Il liquido è risultato giallino tendente al verde, e aveva un aroma intenso di pomodoro fresco.

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Sono sicuro che in mano a Chef fantasiosi questa tecnica potrebbe trovare molti utilizzi. Io che non sono uno Chef ho usato questo succo nel modo più semplice ma gustosissimo: ho aggiunto sale, aceto, olio e origano, e con mio figlio … abbiamo fatto la scarpetta

La parte solida, ricomposta in un piccolo cubo, l’ho mangiata con un poco di quel liquido e del sale.

Vi presento il “cubo di pomodoro superfiltrato destrutturato rimolecolarizzato”

Come dite? Preferite i pomodori in insalata classici? A dire la verità anche io

In realtà volevo solo bonariamente prendere un po’ in giro la tendenza attuale di riempire i piatti in modo “minimalista” (altro che i miei 70 grammi di pasta alla carbonara tanto criticati nei commenti all’articolo ) conditi con quelli che Gualtiero Marchesi (primo Chef italiano a guadagnarsi tre stelle Michelin) definisce “pezzetti di cibo sparpagliati nel piatto, righe, punti, virgole… Non se ne può più!“. Mi mancava giusto il piatto di cristallo a forma di ennagono per fare la foto . Se volete potete aderire anche voi alla

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campagna “Liberate i piatti dallo schizzetto“. L’innovazione mi piace, ma solo se l’estetica non prende il sopravvento.

Finisco con l’ultimo esperimento, con dei piselli sbianchiti per 8 minuti e frullati con un po’ d’acqua

Ho tentato anche di filtrare del caffè espresso, ma l’esperimento è riuscito solo parzialmente. Ci dovrò riprovare aumentando la concentrazione di gelatina.

Ma perché uno dovrebbe prendersi la briga di fare queste cose, oltre che per il puro divertimento ovviamente ?

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Pur non essendo uno Chef, intravedo delle possibilità interessanti, oltre ai banali succhi di frutta “cristallini” che vi ho mostrato qui e che potete usare per stupire gli amici (ho superfiltrato con successo anche un succo di pesca). Questa tecnica estrae le “essenze” dei vari cibi, essenze che possono essere utilizzate in altri piatti. Oppure per preparare marinate o delle salse. Magari riutilizzate per produrre gelatine semisolide ma trasparenti. E come vi dicevo, il solido filtrato può essere utilizzato per delle mousse o altro. Il metodo ovviamente non è limitato a frutta e verdura: potete separare l’essenza di qualsiasi cosa, anche piatti completi, a patto che sia solubile almeno parzialmente in acqua. Potete estrarre l’essenza di gamberetti saltati in burro e aglio, o di zucca arrostita, cioccolato o parmigiano, tanto per fare degli esempi che sono davvero stati utilizzati in ristoranti famosi per piatti di gastronomia molecolare, come wd-50 a New York, o da cuochi creativi come Aki e Alexander. Se fate degli esperimenti non mancate di farmi sapere il risultato .

Gastronomia Molecolare e Cucina Scientifica

In questi mesi ho parlato molto raramente di Gastronomia Molecolare (o di Cucina Molecolare, se preferite anche se non sono esattamente sinonimi). Questo perché credo che non sia fattibile, nella cucina di tutti i giorni, procurarsi la carragenina iota, una macchina Gastrovac per cuocere a basse pressioni, o l’azoto liquido (tra parentesi, il gelato all’azoto liquido sono decenni che si fa, per divertimento e diletto degli studenti, in molti laboratori didattici di chimica e fisica nelle università di tutto il mondo, da molto prima che si cominciasse a parlare di Gastronomia Molecolare). La tecnica che vi ho illustrato invece è alla portata di tutti, e non ha nulla di “esoterico”, ed è per questo che ho deciso di descrivervela.

E poi, sinceramente, non mi piace il termine “molecolare” accanto a “cucina” o “gastronomia”. Non significa nulla, è solo un termine che si sono inventati Nikolas Kurti, Hervè This e Harold McGee quando hanno organizzato il primo convegno a Erice dedicato agli aspetti scientifici del cucinare. Un termine, per stessa ammissione di McGee, che suonasse sufficientemente “accademico” e “rispettabile”, e che non sfigurasse accanto ai convegni di cosmologia o biologia molecolare organizzati nel centro siciliano, poiché “Scienza in cucina” non faceva abbastanza colpo. Un espediente di “marketing” insomma, ma senza un vero significato.

Le molecole sono dappertutto, e ogni ricetta presuppone delle reazioni chimiche. Non esiste una cucina che non sia “molecolare”. La cucina E’ CHIMICA, per quanto a molti cuochi italiani questa cosa non piaccia sentirsela ripetere, e preferiscano essere accomunati a degli artisti invece che a degli scienziati, come se fosse una cosa disdicevole. Non a caso gli organizzatori degli incontri biennali in Sicilia, a Erice, non sono Italiani.

Che cosa ha di “molecolare” la tecnica di filtrazione con gelatina che vi ho raccontato che non sia presente anche nella chiarificazione classica del brodo? Ha senso distinguere le due tecniche solo perché una è di invenzione recente mentre l’altra ha qualche secolo sulle spalle? No che non ce l’ha!

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Il famoso gastronomo francese Brillat Savarin, autore del trattato “La fisiologia del gusto”, scrisse che “il futuro della gastronomia appartiene alla chimica“. La mia interpretazione di questa affermazione non è che la cucina debba diventare un laboratorio chimico, cosa che a volte gli interpreti della “cucina molecolare” nel mondo sembrano implicitamente suggerire, ma piuttosto che la chimica, la fisica, e le altre scienze, devono essere considerate alla base di ogni piatto, di ogni ricetta, tradizionale o moderna, semplice o complessa. E quindi approfondire la conoscenza dei meccanismi scientifici in gioco nella preparazione di un piatto può servire a migliorarlo, a perfezionarlo, e magari ad inventarne uno nuovo.

Poiché, nel bene o nel male, il termine “Gastronomia Molecolare” è diventato ormai sinonimo di “cucina con ingredienti esoterici e apparecchiature da laboratorio”, io preferisco usare il termine “Cucina Scientifica”, interessandomi soprattutto alla cucina di tutti i giorni: alla carbonara, al pesto e alla fiorentina, come potete leggere in questo Blog.

Sono sicuro che la cucina molecolare non piace a Gualtiero Marchesi, e forse non apprezzerebbe la mia superfiltrazione, visto cosa ne pensa dell’alta cucina di moda adesso, tutta spume, schiume, schizzetti, sifonature e accostamenti a dir poco sorprendenti (anche se, insomma, chi è senza peccato scagli la prima pietra: Marchesi ha proposto per primo il risotto giallo con la foglia d’oro sopra…).

Vi lascio quindi con una sua provocazione (e gli perdoniamo il “francesismo”)

ho mangiato delle costolette di agnello ottime, ben rosolate e perfette di cottura, sapori netti, puliti. Questa è cucina. Tutto il resto, sono seghe mentali

Arrivederci MANOLO CAMPANA