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N. 249, MAGGIO 2013/ MENSILE, POSTE ITALIANE SPA, SPED. ABB. POST. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1 COMMA 1 - DCB ROMA ISSN 1974-2681 L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA ISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA È STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI www.accademia1953.it C IVILTÀ DELLA T AVOLA ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

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L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINAISTITUZIONE CULTURALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

È STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANI

www.accademia1953.it

CIVILTÀDELLATAVOLAACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

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S O M M A R I O

CARI ACCADEMICI...

3 I ristoranti italiani all’estero in tempo di mondializzazione (Giovanni Ballarini)

FOCUS

4 Perenne attualità dell’Accademia Italiana della Cucina (Paolo Petroni)

CULTURA & RICERCA

5 La cucina dei quattro umori (Gianni Di Giacomo)

7 Piadine e piadinerie (Gianbruno Pollini)

8 Il vino del golfo di Napoli (Filomena Furno)

10 Pesce di montagna (Omar Borettaz)

12 Le fave, cibo ambiguo (Claudio Novelli)

14 La panissa di Vercelli (Renzo Pellati)

16 La nascita della cucina borghese (Nicola Rivani Farolfi)

23 La fame stimolò la fantasia (Elisabetta Cocito)

25 L’acustica nei ristoranti (Maurizio Campiverdi)

26 Frugalità di Pinocchio (Francesco Ricciardi)

29 Cultura e dintorni (Giorgio Cirilli)

30 L’importanza di chiamarsi... (Giorgia Fieni)

33 Un olio di frontiera (Lucio Piombi)

34 I pranzi laici dei cardinali (Hilde Catalano Gonzaga Ponti)

36 Totò e il cibo (Cristina Bragaglia)

38 Gusto e risparmio (Teresa Perissinotto Vendramel e Roberto Robazza)

40 L’agresto toscano (Domenico Saraceno)

42 Intervista a un cuoco storico (Tito Trombacco)

43 Il desco israeliano (Colomba Cicirata)

44 L’albero dei tre liquori (Amedeo Santarelli)

46 Diabolica patata (Sandro Bellei)

CENTRO STUDI “FRANCO MARENGHI”

18 La cucina familiare è ancora viva? (Silvia De Lorenzo)

I NOSTRI CONVEGNI

19 Selvatico di pregio (Antonio Gaddoni)

21 Cucina vicentina: storia e memoria (Renzo Rizzi)

22 L’olio d’oliva ciociaro (Giancarlo Flavi)

SICUREZZA & QUALITÀ

47 Le pentole indiane (Gabriele Gasparro)

LE RUBRICHE

6 Calendario accademico9 Le ricette d’Autore48 Notiziario49 In libreria51 Vita dell’Accademia68 Carnet degli Accademici70 Dalle Delegazioni78 International Summary

L’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINAÈ STATA FONDATA NEL 1953 DA ORIO VERGANIE DA LUIGI BERTETT, DINO BUZZATI TRAVERSO,

CESARE CHIODI, GIANNINO CITTERIO, ERNESTO DONÀDALLE ROSE, MICHELE GUIDO FRANCI, GIANNI MAZZOCCHI

BASTONI, ARNOLDO MONDADORI, ATTILIO NAVA, ARTURO ORVIETO, SEVERINO PAGANI, ALDO PASSANTE, GIAN LUIGI PONTI, GIÒ PONTI, DINO VILLANI,

EDOARDO VISCONTI DI MODRONE, CON MASSIMO ALBERINI E VINCENZO BUONASSISI.

La copertina: le “Aragoste”, dipinte da Pasquarosa Bertoletti Marcelli intorno al 1930 fanno parte della mo-stra “Il fascino discreto dell’oggetto” che resterà aperta alla GNAM, Roma, fino al 2 giugno prossimo. Il sottotito-lo, “La natura morta dalle collezioni della Galleria nazionale d’arte moderna”, ne descrive in maniera esau-riente il taglio. Si tratta di una serie di opere, di proprietà della galleria, esposte raramente e scelte in questa oc-casione perché accomunate dal genere. Numerose (150) e interessanti le nature morte in mostra, tutte realizza-te tra il 1910 e il 1950, tra cui queste di Pasquarosa (1896-1973, il nome d’arte fa a meno dei cognomi), pittri-ce romana di origini contadine nata ad Anticoli Corrado. Venuta a Roma giovanissima, lavorò dapprima co-me modella. L’esordio come pittrice è nel 1915, quando la verve coloristica dei suoi lavori, unita a uno sponta-neo antiaccademismo, la posero subito al centro dell’attenzione. A partire dagli anni Venti, pur occupandouna posizione marginale nel contesto romano, ha partecipato a tutte le principali occasioni espositive.

CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 1

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XXV PREMIO “DINO VILLANI”Carlomaria Balzola, Caffè Pasticceria Balzola, Alassio (Savona) per i baci di Alassio

Marco Santucci, Larderia Marco Santucci, Carrara (Massa Carrara) per il lardo di Colonnata IgpMaurizio Spinello, Forno Santa Rita, Borgo Santa Rita (Caltanissetta) per il pane integrale

Loreto Pacitti, Azienda Agricola Pacitti Loreto, Picinisco (Frosinone) per il formaggio il Conciato di San VittoreGiuseppe Paoli e Pietro Baralla, Il Pandereto panificio e pasticceria, Elba (Livorno) per la schiaccia briaca riese

Gaetano Nicoletti, Il Cavalcatore srl, Assoro (Enna) per il formaggio Piacentinu ennese DopGiuseppe Petris, Prosciuttificio Wolf Sauris spa, Sauris di Sotto (Udine) per il prosciutto di Sauris Igp

Carlo Fabbrini, Antica Macelleria Fabbrini Carlo, San Giovanni Valdarno (Arezzo) per la Tarese del Valdarno

PREMIO “MENU LUIGI VOLPICELLI”per la realizzazione di menu gastronomici ed artistici

Delegazione di NovaraDelegazione di Vigevano e della Lomellina

Delegazione di TrevisoDelegazione di Pordenone

Delegazione di ChietiDelegazione di Isernia

Delegazione di CaltagironeDelegazione di San Paolo

Delegazione di Città del Messico

DIPLOMA DI “CUCINA ECCELLENTE”“Su Gologone” di Su Gologone di Oliena (Nuoro) della famiglia Palimodde

DIPLOMA DI “BUONA CUCINA”“Rendez-Vous da Marcello” di Marciana Marina (Livorno) di Gian Piero Landi & C.

“Il Balivo” di Champoluc-Ayas (Aosta) di Andrea Massazza Gal“Locandabaggio” di Casonetto di Asolo (Treviso) di Nino e Antonietta Baggio

“Trattoria Pomo d’Oro” di Budapest (Ungheria) di Rosario Simeoli“Fellini” di Colonia (Germania) di Nunzio Ascione

“Moreno at Baglioni” di Londra (Regno Unito) dell’Hotel Baglioni“Cotidie” di Londra (Regno Unito) di Bruno Barbieri e Francesco Ortone

“Casa Marco” di Madrid (Spagna) di Marco Di Tullio“Mori Venice Bar” di Parigi (Francia) di Massimo Mori

“Acquerello” di San Francisco (Stati Uniti d’America) di Giancarlo Paterlini“Il Campanile” di Markelo (Paesi Bassi) di Pia e Gaetano Torella

“Sole” di Vienna (Austria) di Aki Nuredini

III PREMIO “GIOVANNI NUVOLETTI”per la valorizzazione della Buona Tavola tradizionale regionale

Oscar, Livia e Diego Tibolla del ristorante “Alle Codole” di Canale D’Agordo (Belluno) Daniele Corte e Angelina Zecchini della trattoria “Ai Cacciatori” di Cavasso Nuovo (Pordenone)

Raffaele Ros del ristorante “San Martino” di Rio San Martino di Scorzè (Venezia)Alvaro Claudi scrittore ed esperto di storia della cucina medievale e rinascimentale (Isola d’Elba)

XXIX PREMIO “ETTORE PEPE”per l’intensa attività culturale 2012

ex aequoDelegazione di AvellinoDelegazione di Udine

I PREMI 2013 DELL’ACCADEMIA

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CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 3

I ristoranti italiani all’esteroin tempo di mondializzazione

C A R I A C C A D E M I C I . . .

DI GIOVANNI BALLARINIPresidente dell’Accademia

L’Accademia ha un ruoloimportante nel segnalare,

all’estero, i ristoranti che possono diffondere, sostenere e difendere

la vera cucina italiana.

C ari Accademici, la cucina re-gionale italiana è tradizionalee si basa sull’uso dei prodotti

locali. Una condizione che trova dif-ficoltà soprattutto all’estero, dandospazio alle imitazioni, con prodottiche richiamano un’inesistente imma-gine italiana, ma che italiani non so-no, il cosiddetto italian sounding.Sono prodotti alimentari general-mente di bassa qualità, confezionaticon un nome o una bandiera italia-na ma che nulla hanno d’italiano.Una situazione da qualche tempolargamente nota e documentata, checomporta un notevole danno al-l’economia italiana e all’immaginestessa del nostro prodotto all’esteroe che oggi, invece di diminuire,sembra vada aumentando anche perla crisi economica mondiale. Daqualche tempo, ad esempio, l’Ar-gentina ha messo in atto una politi-

ca commerciale che potrebbe porta-re alla chiusura del mercato ai nostriprodotti tipici e tradizionali, e nelcontempo incrementare le loro imi-tazioni. Su questa linea è facile im-maginare come, dopo i vini argenti-ni, vi saranno anche un olio d’olivaargentino, una pasta argentina e so-prattutto una serie di formaggi e sa-lumi argentini sempre più conve-nienti e di una qualità che andrà au-mentando. Tutti questi prodotti di ti-po italiano faranno concorrenza aquelli che l’Italia esporta in un mer-cato sempre più globalizzato. Il bennoto caso del formaggio grana mol-davo che sta entrando in Italia, pe-raltro anche di buona qualità, do-vrebbe insegnare.Quanto ora brevemente puntualiz-

zato pone una serie d’interrogativiper quanto riguarda la cucina italia-na all’estero, anzi agli “esteri” con leloro molteplici differenze. Ancheper motivi culturali, diversa è la si-tuazione nordamericana da quellasudamericana, o dell’emergenteOriente e via dicendo. Altrettantodiversa è la condizione di piatti chesono necessariamente legati all’origi-ne italiana, se non regionale, di unoo più ingredienti, da quelli che inve-ce non hanno questa stretta colle-ganza, come gli esempi sopra indi-cati. Delicato è anche l’uso nella cu-cina italiana dei prodotti made byItaly, vale a dire i prodotti di tipoitaliano che, sempre più frequente-mente, imprese italiane produconoall’estero con tecnologie tipicamenteitaliane per quei mercati (pasta, sa-lumi ecc.). In una situazione com-plessa come quella ora tratteggiata,per l’estero è necessario fare una siapur schematica distinzione tra alme-no “tre cucine italiane”: bassa cuci-na, cucina industriale, alta cucina,

ognuna con le sue differenze. Di-stinzione che ricalca, in parte, quan-to è già avvenuto in Italia.Molto difficile è intervenire sulla

bassa cucina che, anche all’estero,come in Italia, si qualifica come “cu-cina italiana”, a iniziare dalle pizze-rie o dai locali che a basso prezzooffrono la “pizza pepperoni” (coninsaccato piccante) o la “pasta bolo-gnese”, dove gli spaghetti sono ac-compagnati da polpette di carne omeatball. È questa una cucina nellaquale i prodotti italian sounding tro-vano uno spazio imposto dal diffe-renziale del loro prezzo rispetto aquello dei prodotti importati. Sottoun certo riguardo, è forse più oppor-tuno che gli americani pensino chela pizza che trovano nei fast food delloro paese sia una loro invenzione eun proprio patrimonio culturale, perpoi scoprire la pizza italiana quandoarrivano in Italia.Altrettanto arduo è intervenire ef-

ficacemente sulla cucina industrialedei “piatti pronti all’italiana”, che,per insormontabili condizioni dieconomia industriale, impiega larga-mente prodotti generici o al massi-mo made by Italy. Una cucina cheinoltre utilizza sistemi di produzio-ne, conservazione, distribuzione econsumo che non possono essereriferiti alle tradizioni d’origine italia-na, partendo dal loro uso tramite ri-scaldamento a microonde, impostodalla ineludibile richiesta del clientedi un “cibo rapido” o conveniencefood anche in casa.Importante per l’Italia, e soprattut-

to per il made in Italy, è - e rimane -l’alta cucina, analogamente a quan-to è per l’alta moda, l’arredamentodi qualità, l’oreficeria e l’orologeriaesclusive, le automobili di pregio,settori nei quali un alto prezzo non

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è un ostacolo, anzi assume un valo-re simbolico elitario e di prestigio. Iprodotti di prestigio, come l’alta cuci-na, non possono e non devono con-tendere con le derrate, i manufatti, leprestazioni e le offerte di servizi dilargo e larghissimo consumo, neiquali il prezzo contenuto ha un ruolodecisivo. Nell’alta cucina tutto deveessere perfetto, o tendere alla perfe-zione, e deve soddisfare le esigenzedi una ristretta cerchia sociale. È

nell’alta cucina che trovano posto imigliori prodotti italiani, per i qualiassumono particolare importanza lamarca o un’elevata specificazione:una semplice Dop o Igp, ad esempio,è insufficiente, come dimostra la DopChampagne, che vede il prevaleredella marca, con tutte le sue diversespecificazioni di qualità, di annata einevitabilmente di prezzo.I ristoranti italiani all’estero, con

un’alta cucina e con i loro grandi

cuochi, sono gli unici che possonodiffondere, sostenere e difendere iprodotti alimentari italiani d’elevataqualità e di élite. Su questa linea lanostra Accademia ha un ruolo digrande importanza nel segnalare i ri-storanti che, all’estero, possono inse-gnare quale è la vera cucina italiana,salvaguardando anche l’identità deinostri alimenti regionali e tradizionali!

GIOVANNI BALLARINISee English text page 78

C A R I A C C A D E M I C I . . .

L ’aggettivo usato nel titolo è un po’ impegnativo,forte, forse provocatorio. Perenne sta qui non pereterna, ma per perdurante, continua, persistente at-

tualità della nostra Accademia. Già il nome fu lungamen-te dibattuto dai nostri fondatori, dapprima indecisi su“Associazione” o “Club” ma poi subito convinti, anchesu suggerimento del bravissimo pubblicitario Dino Villa-ni, che Accademia sarebbe stato il nome giusto. Fu poideciso, con grande saggezza, che non si sarebbe trattatodi un’Accademia della cucina italiana (che non esiste),bensì di un’Accademia Italiana della Cucina. Nome indo-vinatissimo, sicuramente di perenne attualità. Ma perchéAccademia? Un’accademia è un’istituzione destinata aglistudi più raffinati e all’approfondimento delle conoscen-ze di più alto livello. Il termine Accademia deriva dal greco e indicava

la scuola filosofica di Platone, fondata nel 387 a.C. e si-tuata in un luogo appena fuori le mura di Atene, chia-mata così dal nome dell’eroe di guerra Academo, cheaveva donato agli ateniesi un terreno che divenne ungiardino aperto al pubblico dove Platone filosofava con isuoi discepoli. Molto più tardi, essendo le menti piùacute imbrigliate dalle forti censure del potente di turnoe soprattutto dai dogmi della Chiesa, si riunirono ingruppi di appassionati, spesso non eruditi o letterati o fi-losofi di professione, per studiare varie discipline. Ad iniziare dall’Umanesimo e dal Rinascimento (soprat-

tutto a Firenze), nacquero le Accademie moderne, spessomascherate da nomi di fantasia, quasi goliardici, per nonincorrere nei fulmini censori. Ecco così le Accademie deiLincei (che ci vedevano come una lince, per osservare

l’universo), della Crusca (per separare la lingua vera trafarina e crusca), degli Intronati (per uscire dai rumori delmondo e pensare meglio), dei Concordi (con fini di soli-darietà), degli Oscuri (da essi doveva provenire la Lucedel Vero), degli Umidi (amavano la lingua parlata popo-lare contro l’Accademia degli “Infiammati” che sostenevail classicismo legato al latino). Più tardi, con l’Illuminismo, anche la Scienza venne

animata dalle Accademie, come quelle del “Cimento” conil celebre motto “provando e riprovando” e dei “Georgo-fili” con la quale abbiamo di recente firmato un protocol-lo d’intesa. Dunque Accademia è il giusto nome: non siamo pro-

fessionisti, siamo appassionati cultori della nostra materiadi studio, liberi da vincoli, non sottoposti a censure o de-biti di riconoscenza. Ma la libertà deve essere maneggiatacon cura. Dobbiamo essere grati non solo ai nostri padrifondatori, ma anche a chi ha retto l’Accademia fino adoggi, preservandola da camarille, lusinghe, personalismi,coinvolgimenti politici ed economici. Siamo giunti aduna nuova Assemblea in un momento molto delicato perla nostra gastronomia, stretta tra una crisi sempre più vi-rulenta e un desiderio dei cuochi di proporre novità adogni costo. Abbiamo sempre detto che la nostra missione è quella

di salvaguardare le nostre tradizioni migliorandole di ge-nerazione in generazione, ma quello che ci circonda cideve ricordare l’impegno che l’Accademia si è assunta.Ed è in questo senso che la sua opera è vitale e perenne-mente attuale.

See English text page 78

PERENNE ATTUALITÀDELL’ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

DI PAOLO PETRONI

CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 4

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C U L T U R A & R I C E R C A

La cucina dei quattro umoriDI GIANNI DI GIACOMOAccademico di Chieti

Seguendo le teorie di Galeno,i cuochi sceglievano ingredienti e cotture

adatti al temperamento dei commensali.

P er circa 1400 anni, in Occiden-te, come aveva codificato il me-dico Claudio Galeno che aveva

rielaborato il concetto di Ippocrate, siriteneva che il comportamento uma-no dipendesse dall’equilibrio dei“quattro umori”, rappresentandoquesti un cardine della medicina chesi rifletteva anche nel modo di utiliz-zare il cibo, specie nelle fasce piùelevate della popolazione. I cuochi,infatti, dovevano essere osservatori eun po’ psicologi, in grado di valutaregli stati d’animo dei loro commensali,per accontentarli con cibi e bevande,abbinando le preparazioni al “tipo”di commensale in onore del qualeera preparato il banchetto. Alla basedi tale dottrina c’erano quindi i quat-tro umori: sangue, flemma, bile giallae bile nera. Gli umori erano diretta-mente collegati ai quattro elementifondanti della materia: terra, acqua,

fuoco e aria, e possedevano diversegradazioni di due caratteristiche chia-ve: il calore e l’umidità. Il sangue eraritenuto caldo-umido e connesso al-l’aria, la bile gialla era calda e seccae correlata al fuoco, la flemma erafredda e umida come l’acqua, mentrela bile nera era fredda e secca comela terra. Il segreto della buona saluterisiedeva nel perfetto bilanciamentodei quattro umori, mentre una lorocattiva mescolanza, detta discrasia,portava a patologie diverse a secon-da dell’umore prevalente. L’eccesso di bile nera, per esem-

pio, causava la melanconia (intesacome profonda depressione e nonsolo una vaga tristezza), mentre l’ec-cesso di sangue era ritenuto respon-sabile della putrefazione degli organiinterni, uno dei fenomeni allora piùtemuti. Il tipo di umore dominantedeterminava il “temperamento” o“complessione” della persona, dandoorigine ai termini sanguigno, flemma-tico, collerico (per la bile gialla) omelanconico (per la bile nera), di-ventati d’uso così comune da essereutilizzati ancora oggi per indicare ilcarattere delle persone. Se l’ospiteera di umore melanconico, quindidominato dalla bile nera, il cuococercava di preparare piatti caldo-umi-di che ne bilanciassero gli effetti.Erano perfetti in quel caso brodi, car-ne bollita e in generale vivande bol-lenti e brodose. Al contrario, alle per-sone flemmatiche, cioè dominate dalflegma freddo-umido, erano consi-gliati cibi caldi e asciutti come arrostio torte salate ben cotte. Ad ogni pie-tanza erano attribuite caratteristicheben precise in termini di umori, el’arte culinaria divenne ben prestouno dei pilastri della salute, con lascelta di piatti e cotture che contri-buissero a combattere i problemi dei

commensali. Una prima selezione ve-niva effettuata al momento di sceglie-re gli ingredienti, e non si trattava so-lo di accertarsi della loro qualità. Il ti-po di cibo doveva essere commisura-to sia al temperamento umorale, siaal ceto sociale del consumatore: sicredeva infatti che anche questo inci-desse sulle affinità con le pietanze eche la gente di estrazione umile do-vesse mangiare cibi correlati alla ter-ra, come tuberi, radici, ortaggi o car-ne di maiale (disdegnata dall’aristo-crazia se salata e insaccata, accettabi-le invece se cotta), mentre ai nobilifossero più congeniali uccelli, fruttidegli alberi e in generale tutto ciòche si avvicinava di più al cielo. Perquesto motivo, nel passato, si man-giavano uccelli per noi insoliti, comecormorani, cicogne, cigni, gru, aironi,pavoni, pappagalli (la cui carne si ri-teneva non potesse andare a male).Ecco cosa scriveva un autore cinque-centesco:“Noi nobili mangiamo piùpernici e altre carni delicate, e questoci dà un’intelligenza e una sensibilitàpiù elastiche di quelle di coloro chemangiano manzo e maiale”.Un ulteriore livello di scelta dipen-

deva dalla salute. Per chi tendeva adaccumulare umori freddi, per esem-pio, erano sconsigliabili i pesci in ge-nerale ma soprattutto varietà qualianguille e lamprede, ritenute fredde“al quarto grado” (cioè il massimoprevisto dalla scala ideata dai medi-ci). Chi doveva mangiare carni sec-che doveva preferire il manzo al ma-iale o al pesce, mentre chi doveva ri-cercare appena un pizzico di caloree umidità in più poteva optare peranimali selvatici al posto di quellid’allevamento. Anche l’età e il sessodell’animale incidevano: i piccoli era-no ritenuti più umidi degli adulti e lefemmine più dei maschi. Chi pativa

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eccessi di calore, invece, doveva pre-ferire il vino bianco al rosso, soprat-tutto d’estate e in pieno giorno. Dovenon arrivava la scelta dei cibi entrava-no in gioco i cuochi, con le tecnichedi cottura volte a compensare le ca-ratteristiche dell’ingrediente principa-le. Il maiale, caldo e un po’ umido,era un candidato ideale per essere ar-rostito al forno, dato che ciò lo secca-va; mentre il manzo, già secco, veni-va di preferenza bollito affinché ilbrodo lo inumidisse. Le lamprede,che come abbiamo visto erano rite-nute freddissime, richiedevano unapreparazione particolare per annullar-ne la supposta natura velenosa, cau-sata dalla somiglianza con i serpenti:dovevano essere uccise e dissanguatenel vino rosso, venire disseccate, bol-lite due volte in acqua e vino e arro-stite o messe in gelatina per poi esse-re servite con salse molto forti e cal-

de, per esempio al pepe nero. I vege-tali erano ritenuti secchi e perciò an-davano bolliti e tritati affinché potes-sero assorbire l’umidità. La frutta cru-da, invece, era da evitare quasi tuttaperché si riteneva facesse imputridirele viscere, mentre la si poteva man-giare cotta, specialmente se zucchera-ta e speziata. Sembra che il famosopiatto prosciutto e melone sia nato,in deroga all’antipatia dei nobili pergli affettati, proprio per bilanciare idifetti del melone con la natura caldae secca del prosciutto. In alternativa,pare che venissero consigliati ancheformaggi salati, aringhe sotto aceto ecaviale. Il ruolo principe nel bilancia-re i piatti, comunque, spettava alleonnipresenti spezie, impiegate all’in-circa nel 75% delle ricette presenti neitesti a noi pervenuti, che, con la loronatura prevalentemente calda e sec-ca, erano in grado non solo di “asciu-

gare” e “scaldare” i piatti, ma anchedi velocizzare la digestione diminuen-do la possibilità di far imputridire lescorie, e di scaldare lo stomaco perprepararlo ad accogliere il cibo. Lespezie, insieme a vino, aceto e carnemacinata, costituivano la base dellamaggior parte delle salse, che veniva-no scelte non solo e non tanto in ba-se a un abbinamento di sapori, quan-to all’intensità necessaria per contro-bilanciare il piatto d’accompagna-mento. Per questo motivo i bolliti, es-sendo freddi e umidi, avevano biso-gno di salse più corpose rispetto a unpollo o a una gallina fritti, ritenuti piùneutri. Le salse e le cotture erano uti-li, comunque, anche per rendere pia-cevoli piatti in sintonia con i gustipersonali, e per le esigenze di tra-sporto e conservazione.

GIANNI DI GIACOMOSee International Summary page 78

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C U L T U R A & R I C E R C A

MAGGIO

4 maggio Forum Accademico 2013Delegazione di Chieti

5 maggio - Albenga e del Ponente LigurePremiazione del “Piatto blu”Convegno “La cucina italiana. Stato dell’arte”

10-11 maggio - BolzanoCinquantennale della DelegazioneConvegno “Identità della cucina sudtirolese, storia e tradizioni”

17 maggio - Versilia StoricaIII Concorso Enogastronomico in accordo conIpssar “G. Marconi” di Serravezza

24-25-26 maggio XV Assemblea dei Delegati,Consulta Accademica e XXIII Convegno sulla Civiltà della Tavola “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene nel nuovo millennio” a Montecatini Terme

GIUGNO

8-9 giugno - BeneventoConvegno “Eccellenze agro-alimentari sannite”

19-23 giugno - SiracusaIncontro di cultura classica e Convegno “La cucina siracusana ai tempi di Archimede”

22 giugno - ArezzoPremio “Cucina e Cultura” riservato ai piccoli cuochi

28-29 giugno - IserniaV Edizione del Premio Nazionale “Allium cepa” IV Edizione premio Molisani all’esteroConvegno “Gastronomia tra dubbi e certezze”

SETTEMBRE

14-15 settembre - Ancona48° “Verdicchio d’Oro” Staffolo (Ancona)

20 settembre - ModenaCinquantennale della Delegazione

21-22 settembre - Borgo Val di TaroCinquantennale della Delegazione

OTTOBRE

5 ottobre - ViterboVenticinquennale della DelegazioneConvegno sulla nocciola

11-12 ottobre - CosenzaConvegno “Il cedro di Calabria: tradizioni,sapori e salute” a Cetraro (Cosenza)

17 ottobre - Cena ecumenica“La cucina delle carni da non dimenticare”

17 ottobre - PisaVI Premio Delegazione di Pisain accordo con IPSSAR “G. Matteotti”

18-19-20 ottobre - VeneziaConvegno “L’arte d’oggi e la cucina: declinazioni della cultura”

NOVEMBRE

30 novembre - Albenga e del Ponente LigureConvegno “Olio, un filo d’oro tra le Alpi e il mare” ad Albenga

16 novembre - Valdelsa FiorentinaDecennale della DelegazioneConvegno “L’alimentazione dei boscaioli edei carbonai fino alla metà degli anni ’50 delsecolo scorso” a Gambassi Terme (Firenze)

DICEMBRE

7-8 dicembre - RomaSessantennale della Delegazione

CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI ACCADEMICHE 2013

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CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 7

C U L T U R A & R I C E R C A

DI GIANBRUNO POLLINIDelegato di Cervia-Milano Marittima

La piadina, uscendo dall’ambito

della cucina famigliare, viene proposta,

in Italia e all’estero, dalla grande distribuzione.

S i legge nel Masotti (“Vocabola-rio Romagnolo Italiano”, Zani-chelli, 1996): “Piada. È una sot-

tile focaccia di pane azzimo, cotta neltesto rovente, tipica della Romagna. Eper i romagnoli essa è assurta a sim-bolo della Famiglia, della propria Ter-ra e della vita sociale che la comunitàvi ha posto in essere. La sua fragran-za diffonde allegria e sentimenti diamicizia e di amore”. Da semplice fo-caccia di origine contadina, mai mo-dificata nei secoli, perché la piadinanon ha subito nessuna evoluzione,con cui mangiare le “restanze” delgiorno prima e quel poco mangiareche si poteva avere, si è evoluta inun piatto tipico con due anime: quel-la di piatto “souvenir” che caratterizzal’avventura turistica di chi si reca inRomagna, e quella di testimone delgusto e dell’appartenenza italiana perchi, all’estero, va in una piadineria

per sentirsi a casa o per ritrovare il sa-pore di un’esperienza gradita. Se que-ste sono le anime visibili della piadinad’oggi, cos’è rimasto della piada origi-naria? Il nome, forse, quando è anco-ra usato nelle case dell’entroterra, lon-tane dai “bagni” e dalle discoteche, oin certi palazzotti dei borghi più gros-si dove le azdore conservano con af-fetto il testo, sul quale da bambineprovavano a poggiare le loro primepiade, stese dalle robuste braccia del-la mamma. Nome che viene usato an-cora dai romagnoli quando vannonelle piadinerie, anche se sanno cheormai l’impasto è fatto a macchina e iltesto ha il volto freddo e grigio dellapiastra metallica riscaldata da una re-sistenza elettrica. Tuttavia, se la tradi-zione si fa sempre più ricordo, l’abitu-dine ad un cibo e ad un gusto così ti-pici dà vita a quello che si può defini-re il volto moderno della piada. Eccoche la piadineria, nata negli anni delboom economico e del primo turismodi massa, come chiosco provvisorio esemi-ambulante, per soddisfare l’ap-petito veloce soprattutto dei giovani,che proponeva ancora piade prepara-te in casa, cotte al momento su for-nelli ibridi e farcite con gli ingredienticomunque della tradizione, diventaparte ufficiale di quel vasto e ramifica-to sistema di ristorazione globale, afianco delle già diffuse pizzerie, dellepaninerie e infine dei kebab. Certo, lecatene che offrono in franchising,chiavi in mano, l’esperienza gastrono-mica della piadena (come la chiama-va il Morri) sono ben consapevoli cheil gusto viene in primis dagli ingre-dienti e si fanno premura di proporreun impasto “sempre fresco e mai con-gelato” e ingredienti per la farcitura,nel migliore dei casi di produzionesemi-artigianale. L’elenco storico diquesti ingredienti si è abbastanza

mantenuto, compatibilmente con lareperibilità di alcuni di essi, resa pro-blematica dall’evoluzione delle coltu-re: “erbe di orto e di campo, come ca-voli, stridoli, ortiche, rosolacci, radic-chi ecc.; e le erbe padellate con aglio,cipolla, scalogno, pancetta, lardo,strutto, odori e aromi naturali. Il for-maggio raviggiolo, o squacquarone,oppure pecorini, caprini, misti, o vac-cini più stagionati. Affettati in genere:lardo, pancetta, ciccioli o sapa”. Ac-canto a queste farciture, le uniche chepossono richiamare il sapore primige-nio di questo piatto, l’evoluzione delgusto ha introdotto sottili cambiamen-ti, come l’aggiunta di bicarbonato perrendere l’impasto più morbido, e veree proprie mutazioni che, pur appa-rendo attualmente improbabili, fini-ranno forse per imporsi nei gusti. As-sistiamo così a piadine farcite di cre-ma di nocciole e cacao, frutti tropicali,marmellate e confetture (quando, didolce, si usava solo il miele e limitata-mente alla zona di Cervia), fino agliabbinamenti con cibi di tutt’altre tradi-zioni culturali. Si potrebbe difenderequesta tendenza ricordando che lapiada, nella sua essenza, non è altroche un pane e, da che mondo è mon-do, è accompagnata da quanto è nelledisponibilità (economiche e culturali)di chi deve nutrirsene, perciò benvengano anche le farciture più impen-sabili perché il gusto è gusto. Ma chicrede che il cibo sia anche civiltà, sache solo cercando tra le radici dellatradizione, può capire che cosa haprodotto questa civiltà e che solo i sa-pori e il gusto di una piada “originale”possono parlare di Romagna e di Ita-lia. Ben lo sanno i piadinari che al-l’estero, pur piegandosi alle voglie lo-cali, sanno ancora offrire un pezzettod’Italia genuina.See International Summary page 78

Piadine e piadinerie

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Il vino del golfo di NapoliDI FILOMENA FURNO

Accademica della Penisola Sorrentina

È il Lacryma Christi, che deve il suo gusto particolare

alle caratteristiche vulcaniche del terreno

dove sono coltivate le uve.

Aseguito delle tre guerre sanni-tiche (343 - 290 a.C.), i Roma-ni occuparono la Campania e

ne sorvegliarono la crescita econo-mica dovuta, in gran parte, all’ampiosviluppo dell’agricoltura nelle suefertilissime terre. La regione raggiun-se altissimi livelli di produzione e di-venne una tra le zone più ricche del-l’Impero romano e del mondo classi-co. Ciò le valse l’appellativo di Cam-pania Felix.I vini del Vesuvio erano, dunque,

già famosi presso i Romani: numero-si senatori, che abitavano le lussuoseville lungo le coste del golfo di Na-poli, amavano rallegrare le loro tavo-le con questi vini buoni e corposi. Vari miti e leggende ne avvolgeva-

no (e tuttora avvolgono) la prove-nienza. Il Lacryma Christi, ad esem-pio, trova le radici del suo nome nelpianto che Gesù riversò sul Vesuvioquando Lucifero gli rubò un pezzet-to di Paradiso per plasmare il golfodi Napoli. Le lacrime del Signore im-preziosirono le terre e permisero lacrescita di una vite nobile, dalle qua-lità quasi divine. Un’altra storia narrainvece della nascita del LacrymaChristi in seguito alla visita che Cri-sto avrebbe fatto ad un eremita: pri-ma del commiato, il Signore avrebbetrasformato la bevanda dell’asceta invino eccellente. Esistono poi svariatianeddoti cristiani ereditati dalla mi-tologia pagana: l’affresco di Baccosul Vesuvio (visibile nella Casa delCentenario a Pompei) ne è una chia-ra dimostrazione.Dal punto di vista della produzio-

ne, sappiamo che, nei tempi antichi,il Lacryma Christi era prodotto da al-cuni monaci, il cui convento sorgevaalle pendici del Vesuvio. Più tardi, iPadri Gesuiti - padroni di vaste terrenelle località circumvesuviane - di-

vennero produttori e detentori esclu-sivi di questo prezioso nettare.Sebbene la tradizione faccia risali-

re la produzione del Lacryma Christialla notte dei tempi, l’ottenimentodel marchio Doc è recente: solo nel1983 questo vino ha ottenuto dirientrare nella speciale categoria chene salvaguarda la produzione. Il La-cryma Christi o Lacryma Christi delVesuvio si trova in commercio anchecon il nome di Vesuvio. Tecnicamen-te, l’appellativo di Lacryma Christi èla sottodenominazione di cui il vinopuò fregiarsi quando la resa è conte-nuta al 65% dell’uva e quando il tito-lo alcolometrico raggiunge almeno il12%. Oltre il 90% del prodotto in cir-colazione rientra nella sottodenomi-nazione, mentre il restante 10%, cir-ca 2000 ettolitri di vino, viene imbot-tigliato col solo nome di Vesuvio.Le uve del Lacryma Christi vengo-

no coltivate solo in 15 dei comunidella provincia di Napoli, ad alta vo-cazione vitivinicola e localizzati sututta la fascia pedemontana del Ve-suvio; in questa zona i vigneti ospi-tano varietà autoctone da semprecoltivate quali: il “Coda di Volpe”(localmente noto come Caprettone oCrapettone); “Verdeca”, “Falanghina”e “Greco”: varietà che concorronoper la realizzazione del LacrymaChristi Bianco; il “Piedirosso”, puredetto “Per’ ‘e Palummo” (localmentechiamato Palombina o Palummina);lo “Sciascinoso” (localmente chiama-to Olivella) e l’“Aglianico”: varietàche concorrono per la realizzazionedel Lacryma Christi Rosso.Il Lacryma Christi del Vesuvio

Bianco è un vino rinomato in tutto ilmondo. Il suo sapore inconfondibile,pieno e morbido, lo rende un vinodi grande versatilità e di facile abbi-namento; ha colore giallo paglierino

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e profumo lieve che ricorda fiori diginestra e frutti maturi. La vinifica-zione avviene mediante pigiaturasoffice, vinificazione in bianco, fer-mentazione a temperatura controlla-ta. La temperatura di servizio è di 10°C e si accompagna bene a pietanzea base di pesce, frutti di mare e cro-stacei.Il Lacryma Christi del Vesuvio Ros-

so è un vino pregiato, ottenuto conuve di vitigni coltivati sui declivi delvulcano. Il suo colore, rubino inten-so, presenta riflessi violacei e il pro-fumo ricorda la violetta e i fiori dimammola, cui si accompagnano no-te di liquirizia e di legni nobili. Hagusto gradevole, di grande strutturae morbidezza. La vinificazione avvie-ne mediante pigiatura soffice, mace-razione a temperatura controllata. Siserve a temperatura ambiente e siconsiglia di stappare la bottigliaqualche ora prima per farlo megliodecantare. È un vino indicato per ac-compagnare primi piatti saporiti, car-ni rosse elaborate e formaggi stagio-nati.Il Lacryma Christi del Vesuvio Ro-

sato, infine, è ottenuto dalla fermen-tazione in bianco delle uve Agliani-co e Piedirosso coltivate sui declividel Vesuvio. Vino fragrante dal sa-pore inconfondibile, accoppia in séla freschezza del bianco e la giustacorposità del rosso giovane. Dal sa-pore asciutto e armonico, il suo pro-fumo è intenso e gradevole; ricordala ginestra e la zagara. La vinifica-zione avviene mediante pigiaturasoffice, vinificazione in bianco, fer-mentazione a temperatura controlla-ta. La temperatura di servizio è 18°C ed è ideale per accompagnarecarni bianche, stufati con verdure eselvaggina.L’origine del gusto così nobile e

particolare del Lacryma Christi stasenza dubbio nella coltivazione “aspalliera” delle uve ma, ancor prima,nelle caratteristiche vulcaniche delterreno che ospita le vigne. Ancorauna volta il Vesuvio ha reso grandeil suo territorio. See International Summary page 78

LE RICETTE D’AUTORE

COME CONDIRE LE CIPOLLE

Le cipolle si cuociono sotto la cenere e le bracie, fino a quando nonsia svanito ciò che contengono di aspro; non appena si sono raffred-date si tagliano a piccoli pezzi aggiungendo sale e olio e versandovisopra vino cotto o sapa. C’è anche chi vi sparge sopra pepe o cannella.

BARTOLOMEO PLATINAda “Il piacere onesto e la buona salute” (1474)

PIATTO DI CIPOLLE RIPIENE

Togliete alle cipolle il cattivo di sotto e di sopra, levategli li fili, ma nonle radete tanto verso le radiche, tanto che stiano bene uniti li primicontorni di esse; lessatele, ma non tanto cotte, fatele scolare, poi leva-tegli il di dentro, prendete una mollica di pane, bagnatela con latte, obrodo di pesce, spremetela, e ponetela in un piatto; prendete due rossidi uova lessate, due oncie di parmigiano, cinque amandorle abbru-stolite affinate bene, sale, e speziaria dolce, due garofoli pesti, e duerossi di uova sbattuti, fate la composizione mischiandola bene, empi-teci le cipolle, infarinatele, poi indoratele e friggetele, ponetele poi inuna cazzaruola con un buon cazzaruolo di colì di pesce, fatele arri-vare a cottura, poneteci un poco di colletta, sugo di limone e raspatu-ra di esso; cavatele con diligenza, aggiustatele nel piatto, e sopra get-tategli la composizione, e mandatele in tavola.

ANTONIO NEBBIAda “Il cuoco maceratese” (1786)

SCALOPPE DI VACCA ALLA CIPOLLA

Si tagliano le Scaloppe, o sieno pezzi di carne magra senza nervi, esottili quanto una braciuola, e col taglio del coltello si battono, e poi sitengono in adobbo per quattro, o cinque ore nelle seguenti dosi; cipol-le minutamente tritate, alici salse in pezzetti, capperini, erbette, olivenere senz’osso, aromi, succo di limone, ed olio. Poi si cuocerà il tuttodentro una cassarola a fuoco lento, badando di non farle mancaredell’umido, e sarà una vivanda gustosa.

M.F.da “La cucina casereccia” (1828)

CIPOLLE GLASSATE

Monde che saranno delle cipolle di media grossezza, si allesserannoin acqua abbondante e sale, e poi messe in cassarola, con burro, zuc-chero, sale e brodo bianco o sugo, quando saranno cotte e ristrette, silascieranno glassare, col mettervi poco aceto, e un pizzico di cannellaregina, si serviranno per guarnizione a genio.

GIUSEPPE RIVA “IL BIONDO”da “Trattato di cucina semplice” (1878)

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Pesce di montagnaDI OMAR BORETTAZ

Membro del Centro Studi Territorialedella Valle d’Aosta.

Le fonti tardomedievali valdostane raccontano…

L ’iconografia di San Cristoforo,protettore dei viandanti, pre-senta il Santo “portatore di Cri-

sto” con, su una spalla, il Gesù bam-bino, in una mano il bastone ricava-to da una palma di datteri e i piediimmersi in uno specchio d’acqua ric-co di vita.In Valle d’Aosta, terra attraversata

dai pellegrini francigeni, le rappre-sentazioni di questo “gigante buo-no”, diffusissime nel Medioevo sullefacciate delle chiese che si trovavanolungo il percorso, sono in gran partesopravvissute. Tra le più interessantisi segnala quella presente sulla pare-te esterna della cappella del castelloSarriod-de-La Tour di Saint-Pierre:qui, nella parte anteriore dell’affre-sco, è raffigurata una grande quanti-tà di pesci e crostacei - resa estrema-mente varia anche dalla benefica im-mersione dei piedi del Santo - che

non è detto sia semplicemente ricon-ducibile a immagini “di repertorio”.Le fonti tardomedievali locali ci in-

formano che anche i corsi d’acquadelle montagne valdostane brulica-vano di pesci e che questi, freschi oconservati, facevano parte della dietadei valligiani più di quanto si po-trebbe pensare. L’idea che le popo-lazioni di montagna non mangiasse-ro che formaggi stagionati, polentedi grani poveri e tuberi, corrisponde-rebbe dunque solo parzialmente allaverità e limitatamente agli strati so-ciali più poveri.La documentazione storica perve-

nuta fino a noi, pur mutilata neltempo delle carte non attestanti azio-ni giuridiche e titoli nobiliari, rivelaancora, all’attento ricercatore, impor-tanti informazioni sulla vita econo-mica delle nostre comunità. La stessabibliografia recente offre spunti cu-riosi sul cibo a disposizione sulle ta-vole valdostane d’autrefois e anchesul consumo di pesce, tutt’altro cheoccasionale.L’esigenza di sostituire la carne, in

determinati periodi dell’anno liturgico(in particolare Avvento e Quaresima),con pietanze per così dire “autorizza-te” faceva sì che il pesce - locale oimportato - fosse consumato in gran-di quantità soprattutto presso le co-munità religiose e il clero secolare.Nei conti della Collegiata aostana

di S. Orso, relativi al tempo del prio-re Giorgio di Challant (… 1509), so-no annotati quantitativi ragguardevo-li di aringhe e cheppie salate, affu-micate o essiccate, acquistate ingrandi casse sui mercati di Lione eGinevra, ma anche trote, tinche,ghiozzi e gamberi di fiume freschi,pescati nelle acque del torrente Bu-thier e della Dora Baltea dai pesca-tori di Roisan, Aosta e Quart-Ville-

franche e portati direttamente suibanconi della cucina del priorato,gestita da tali Michel e Babolin.La stessa fonte ci informa su alcuni

modi di preparare il pesce.Le pastillia, ad esempio, consiste-

vano in grossi pesci freschi, soprat-tutto trote provenienti dal Lago Le-mano, insaporiti con noce moscata,chiodi di garofano, pepe e zafferano,e cotti in forno avvolti in una sfogliadi pasta di frumento. La funzioneprincipale di quest’ultima, che neltempo ordinario poteva essere farci-ta di carne di maiale, vitello o sel-vaggina, era soprattutto di protezio-ne del contenuto dall’eccessivo calo-re del forno. Sappiamo anche che ilpesce veniva cucinato in salamoia(sellery) e “all’aglio”. Negli stessi conti si parla anche di

anguille (che notiamo pure dipintetra i piedi di San Cristoforo nel citatoaffresco di Sarriod-de-La Tour), il cuiprezzo poteva variare, a secondadella disponibilità e delle dimensio-ni, dall’equivalente di una pernice aquello di mezzo capretto.Sulle tavole di S. Orso compariva-

no anche pesci di grandi dimensioni,come un pesce del Rodano di seichili, due trote rispettivamente di un-dici e nove chili, e persino un tonnoarrivato dal mercato di Lione.Le quantità di pesce provenienti

anche dal Nord Europa erano a lorovolta davvero notevoli: una volta sa-rebbe giunto al priorato un carico ditremila aringhe affumicate.Se è vero che le pietanze più preli-

bate a base di pesce erano cucinateper il priore e per i suoi ospiti, non-ché per i canonici di nobili origini,pesci di minore pregio, quali aringhesalate ed essiccate, appartenevanoalla “dotazione” periodica anche delrefettorio dei religiosi poveri, il cui

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regime alimentare non si discostavaprobabilmente di molto da quellodella parte più consistente della po-polazione. A questo riguardo, nellabottega del formaggiaio e salumiere,affrescata sotto il porticato del castel-lo di Issogne - la cui risistemazionequattrocentesca è dovuta alla com-mittenza dello stesso Giorgio diChallant - fanno bella mostra di sé,poggiate in terra, due grosse botticontenenti, probabilmente, grandiquantitativi di acciughe sotto sale.Fonti più recenti affermano che

Aosta possedeva, tra il 1600 e il

1700, ben sei pescherie e che nel1633, sul mercato cittadino, si ven-devano comunemente “trote, lam-prede, ombrine, anguille, pesci chas-sot o ghigioni, albarelle, gamberi,granchi”. Nel secolo successivo sitrovavano, presso i pescivendoli ao-stani, merluzzo umido, baccalà, an-guille, fricon, pesce in carpione e leimmancabili acciughe.Infine una curiosità: tra i regali con

cui i nobili e i borghesi di Aostaomaggiarono il notaio Martin Philip-pon e la nobile Françoise Regis inoccasione delle loro nozze, avvenute

il 16 febbraio 1544, figura - insiemead altri prodotti in natura - un un-bloz, vale a dire un’ombrina o unsalmerino, donato da tale P. Excof-fier. Vale la pena segnalare il com-mento dell’autore dell’articolo del1921, in cui è pubblicata quella lista,preoccupato dei giudizi affrettati deisuoi contemporanei sulla società delpassato e delle loro facili ironie: “Illettore è pregato di non fare parago-ni con i tempi attuali e di credereche si viveva quasi meglio quando sistava peggio”.See International Summary page 78

Milioni di persone nascono, vivono e lavorano ad al-tezze tra i 3000 e i 5000 metri: il loro organismo,grazie ad un adattamento genetico sviluppatosi neltempo, si è ben adattato all’ambiente ostile dell’altamontagna, ma per le popolazioni non residenti,l’esposizione a simili altezze può causare danni irre-parabili. Il consumo calorico, per un’attività alpini-stica ed escursionistica di media entità, si aggira in-torno alle 4000 calorie al giorno, e poiché la perditadi liquidi può essere notevole, l’idratazione deve ini-ziare ancor prima di avere sete. La quota in carboi-drati deve rappresentare il 55% dell’apporto caloricototale; i grassi rappresentano la miglior riserva dienergia dell’organismo: la quota consigliata è del30%. Le proteine (15% delle calorie totali) sono ne-cessarie per l’apporto in aminoacidi essenziali. Glieffetti del freddo nel consumo energetico, l’esposizio-ne ai raggi ultravioletti, l’atmosfera ridotta richiedo-no un supplemento di vitamine antiossidanti e unsupplemento in ferro può risultare benefico ad altaquota per sostenere la sintesi di emoglobina. Una cor-retta alimentazione prevede due pasti caldi, varia-mente arricchiti per soddisfare il palato, e più spunti-ni “volanti” di cioccolato e frutta secca, oltre a suc-chi di frutta e tè. È proprio sulle cime che si distin-guono abili cuochi, perché dipende anche da loro ilbuon esito di una spedizione.E allora cosa ordinare per una colazione tra le nuvo-le? Sull’Himalaya si può iniziare la giornata conuna tazza di tè molto fermentato, in chicchi e non infoglie, servito con sale e burro, gallette di pane di fa-rina d’orzo impastata con tè e biscotti, snack di fari-na di riso basmati; la cena, che deve fornire il calorenecessario per affrontare la notte, prevede il bhat(zuppa di riso e lenticchia), minestre di grano dolcee verdure miste, i momos (ravioli di farina d’orzo ri-

pieni di carne e verdure) fritti o al vapore, germoglidi bambù, pollo al limone e miele, carne di yak almasala (salsa al cumino, peperoncino, cardamomo emango), arrosto di bufalo o di porcellino d’India. Sulle Ande si può godere di una maggiore varietà, inquanto la cucina peruviana è una delle più variega-te al mondo. Una gustosa colazione prevede il matede coca, l’infuso tradizionale ottimo per evitare lanausea da alta quota, con fette di mazamorra mora-da (dolce di farina di mais e cannella), picarones(ciambelle di zucca, farina e miele) o biscotti al-l’ananas e arachidi. La cena è gustosissima e la pa-tata è l’ingrediente base di una enorme varietà dizuppe, arricchite dai sapori forti di salse speziate alpeperoncino rosso e giallo, aglio, alghe, chinotto, ci-polla rossa, erbe aromatiche autoctone. La carne nonmanca mai, di lama, di alpaca ma è da preferirequella di cuy, un maialino fortemente legato allacultura locale andina da epoche millenarie. Il pane èpreparato prevalentemente con farina di mais e qui-noa, arricchito con lupini tritati e profumato al sam-buco; esso accompagna le zuppe e i tuberi misti cottial vapore. E i cuochi Watussi della Tanzania? Lattedi cocco, succhi di mango e tamarindo, banane ver-di bollite, polenta di mais bianco e di manioca, zup-pe e stufati di papaia al profumo di cumino e carda-momo, agnello e manzo stufato. Sul Kilimangiaro lacucina è povera e non differisce da quella del restan-te continente africano: gli agricoltori hanno da sem-pre coltivato pochi prodotti di sussistenza e gli alleva-tori non macellano quasi mai il bestiame, il cui pos-sesso garantisce lo status sociale, limitandosi a con-sumare latte e sangue salassato. Questi due motivinon hanno aiutato a creare una cultura del cibo, ipiatti sono semplici e speziati ma serviti con amore.(Paola Natali Capobianco)

NUTRIRSI TRA LE NUVOLE

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Le fave, cibo ambiguoDI CLAUDIO NOVELLI

Accademico di Napoli-Capri

Odiate da Pitagora, ma amate dai Romani, ipocaloriche fresche, ipercaloriche secche.

C oltivata tradizionalmente nellazona flegrea e sulla collina diPosillipo, in un tempo felice

quando ancora c’era del verde nellanostra città, la fava annunzia l’arrivodella primavera.Si dice che sia vecchia quanto il

mondo; se pensate sia un’esagera-zione, diciamo allora che era notaagli uomini del Neolitico. Insomma,la fava era coltivata duemila anniprima di Cristo nell’Egitto dei farao-ni, in Africa, Asia, Italia e Spagna. IGreci erano devotissimi a questapianta, alla quale avevano destinatoun vero e proprio rituale di cultoche si svolgeva in un tempio atenie-se, nel mese di giugno, nonostanteil filosofo Pitagora, fondatore e stre-nuo sostenitore di quella che oggidefiniremmo “cucina vegetariana”,proibisse ai suoi seguaci di man-giarla. Perché Pitagora ce l’aveva tanto

con le fave? È dal VI secolo avantiCristo che il dibattito va avanti, conun incredibile numero di spiegazio-ni che vanno dalla superstizione allareincarnazione, fino al simbolismofallico. Gli orfici erano convinti chele proibisse ai suoi discepoli perchécontenevano le anime dei morti:“Mangiar fave o sgranocchiare il cra-nio del defunto genitore è esatta-mente la stessa cosa”. Aristotele, perrendere più ameno il dibattito, neascriveva l’interdizione a motiviestetici, “o perché assomigliavano atesticoli, o perché ricordavano leporte dell’Ade o perché gli oligarchile usavano (quelle secche) per vota-re le condanne all’esilio”. Diogene,da parte sua, per sdrammatizzare,avanzava l’evidente tesi che Pitagoradetestava le fave perché causavanoflatulenza eccessiva e dichiarava: “Cisi dovrebbe astenere dal mangiare

fave, dal momento che esse sonocariche di vento e insieme ad essoportano via parte dell’anima, e se cisi astiene dall’usarle lo stomaco saràmeno rumoroso ed i sogni più lietie tranquilli”.Soluzioni alternative, suggerite da-

gli studiosi rinascimentali, oscillava-no dal mediamente ridicolo all’estre-mamente ridicolo. Si è dovutoaspettare l’inizio del secolo scorsoper intravedere una soluzione con-vincente del problema. Solo allora,infatti, i medici cominciarono a no-tare, in alcuni individui, l’insorgenzadi malesseri improvvisi dopo la con-sumazione di fave fresche. Oggi tut-to sembra ovvio, ma non bisognadimenticare che solo nel 1904 Cle-mens von Pirquet definì clinicamen-te le allergie; fino a quel momentodoveva essere stato complicato per imedici constatare che ciò che erautile per qualcuno era dannoso peraltri. Quando la medicina cominciòa investigare sul favismo, scoprì neisoggetti malati una deficienza gene-tica di un certo enzima del sangue.A controlli statistico-geografici, learee più interessate dal fenomenoerano la Grecia, il Sud Italia e le iso-le dell’Egeo: quella che noi cono-sciamo come Magna Grecia. A que-sto punto sorge spontanea una do-manda: perché la gente avrebbecontinuato a consumare fave freschein un’area dove, ragionevolmente,una certa percentuale di loro si sa-rebbe ammalata? Una plausibilespiegazione compare nel 1920,quando gli scienziati trovarono chela mancanza di quel famoso enzimanel sangue, che riduceva la quantitàdi ossigeno nei globuli rossi, costi-tuiva la miglior difesa dell’organi-smo contro la malaria, storicamenteuno dei maggiori problemi della

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Grecia e dell’Italia meridionale. Lecose si fecero ancora più interessan-ti durante la Seconda guerra mon-diale, quando i medici, trattando lamalaria con prodotti a base di chini-no, scoprirono che molte personeche soffrivano di favismo avevanolo stesso tipo di reazione allergicaassumendo i farmaci antimalarici.Con ulteriori studi si appurò che lefave contengono molti elementi chi-mici (che “naturalmente” riduconol’ossigeno nel sangue) simili a quellicontenuti nei medicinali a base dichinino. Appare quindi evidente chequando una popolazione, non affet-ta da favismo, fa largo consumo difave fresche, aumenta le difese orga-niche contro la malaria. Pericoloseper un numero ristretto di individui,sono di gran beneficio per la mag-gior parte di essi. Pitagora, potendo-si basare solo sull’osservazione di-retta e immediata del fenomeno, neaveva quindi scorto facilmente iguasti, ma non i vantaggi, e per pro-teggere i propri simili, ne aveva fat-to divieto ai discepoli. Le fave sono comunque cibo am-

biguo, sia nel nome, sia nel nutri-mento: ipocaloriche fresche, iperca-loriche secche, in proporzione diuno a dieci.I ricchi Etruschi si nutrivano con

una dieta a base di frumento, nondisdegnando però insalate di fave ecarne secca, oppure le stesse cottecon cipolla e carne di maiale, men-tre i più poveri si arrangiavano conuna polentina di farina di fave, lafabata o puls fabacia. “Pulte, non pane, longo tempo

Romani vixerunt”, testimonia Plinioil Vecchio, il che ci lascia intendereche anche i Romani furono devotialla vecchia, cara leguminosa. “Ser-vi le fave con senape in polvere,miele, pinoli, ruta, cumino e aceto”,raccomandava Apicio come rinfre-scante piatto primaverile. Anche aRoma un tabù pitagorico: al Fla-men Dialis, il Flamine di Giove, ca-po dei sacerdoti, era proibito man-giar fave: temendo forse di perder-lo prematuramente? Certo per il

sant’uomo doveva essere un bel sa-crificio se Marziale scriveva “Se lapallida fava bolle nella tua pentolarossa di coccio,/puoi rifiutare spes-so gli inviti a cena dei ricconi”.(Epigrammi, XIII-7).Nel 1614 Giacomo Castelvetro, nel

suo “Breve racconto di tutte le radi-ci, di tutte l’erbe e di tutti i frutti checrudi o cotti in Italia si mangiano”,descrivendo i prodotti primaverili,“…nel medesimo tempo vengono lefave verdi, d’alcuni chiamate casali-ne e d’altri capodiche, le quali noimangiamo dopo pasto con formag-gio salato; e non avendone di tale,usiamo del parmegiano, e semprecol pepe (…). Quando poi comin-

ciano a divenir dure, le mangiamocotte… con olio o con butiro fresco,con erbe buone, sale e pepe; e la-sciate quivi adagio cuocere, riesceun manicheretto buono”. Curnonsky, in un recente passato,

le ha ritenute addirittura cibo eroti-co, non perché si erano dimostratetali, ma per una considerazione acontrariis: San Girolamo, seguendoil suo fiuto da asceta, le aveva inter-dette ai religiosi perché il loro con-sumo metteva il fuoco e “in partibusgenitalibus titilationes producunt”.Aggiunge comunque, che quellodelle fave è afrodisiaco da zuppa,erotismo per poverelli e contadine.See International Summary page 78

ZUPPA DI FAVE FRESCHEIngredienti (per 6 persone): 500 g di patate, 6 carciofi, 1 Kg di favefresche tenere sgranate, 750 g di piselli sgranati, 6 cipolle fresche pic-cole, 100 g di pancetta, 100 g di olio extravergine d’oliva, 1 ciuffo diprezzemolo, 500 g di asparagi, sale, pepe. Preparazione: Tagliare i carciofi in otto spicchi asportandone tutte leparti dure; metterli in acqua e limone e, al momento di porli al fuoco,scolarli. Lavare e asciugare le fave e i piselli. Lasciare da parte 4 ci-polle intere, tagliare le altre a metà e la pancetta a dadi. In una pen-tola mettere l’olio, la pancetta, le cipolle divise a metà e rosolare tuttoa fuoco moderato. Quando le cipolle cominceranno a diventare bion-de, calarvi le patate, le fave, con il pepe, il sale e le quattro cipolle in-tere. Coprire e stufare lentamente per 10 minuti, aggiungendo poi ipiselli e i carciofi, mescolando e facendo in modo che questi ultimisiano completamente coperti dagli altri legumi, perché non abbianoad annerire. Aggiungere infine le punte degli asparagi. Lasciare stu-fare a pentola coperta e aggiungere poca acqua bollente ogni voltache ve ne sarà bisogno. Aggiungere il prezzemolo tritato, due minutiprima di togliere la minestra dal fuoco. Le verdure dovranno essereun poco scotte e leggermente brodose.

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La panissa di VercelliDI RENZO PELLATI

Accademico di Torino

Un binomio,squisito e salutare,

di riso e fagioli.

L a “panissa” è il piatto più ca-ratteristico del Vercellese e diVercelli in particolare. Questa

città è considerata ancora oggi la“capitale europea del riso” sia per laquantità prodotta nel territorio (rap-presenta il 31,5% della superficiecoltivata a riso in Italia), sia perl’origine storica (nell’abbazia di San-ta Maria di Lucedio, i frati Cistercen-si avevano iniziato la coltivazione diquesto cereale, proveniente dal Me-dio Oriente, fin dal Medioevo). Sen-za dimenticare la costruzione delcanale Cavour (1866), che consentìla diffusione di grandi sistemi irri-gui, per cui il riso (che ha bisognodi acqua per crescere) divenne uncereale molto importante: potevasostituire il pane nei pasti quotidia-ni come elemento nutritivo.Per cucinare un ottimo riso, la

saggezza contadina utilizzò anchealtri alimenti caratteristici del territo-rio, come i fagioli di Saluggia (cheaumentavano l’apporto proteico).Nei giorni di festa, venivano ag-giunti anche il “salam d’la doja” (ilsalame conservato sotto grasso), unbuon bicchiere di vino delle vicinecolline di Gattinara, oltre al burro ealla cipolla per il soffritto.Il nome “panissa” deriva da un al-

tro cereale, simile al miglio, il pani-co (Panicum miliaceum), un tempomolto utilizzato per l’alimentazioneumana, oggi riservato solo agli uc-celli. Dal latino panicum deriva laforma femminile “panissa”, comeminestra a base di riso. In altre pa-role, la coltivazione del riso, dopola costruzione del canale Cavour,considerata la maggior redditivitàche consentiva all’agricoltore, misein ombra la coltivazione di altri ce-reali. Inoltre il riso era facile da cu-cinare, più gustoso, godeva di

un’ottima immagine (era presentenelle tavole delle fasce sociali ele-vate ed era considerato un ciboadatto per malati e convalescenti) eben presto sostituì il panico.L’associazione del riso con i fagio-

li è stata una scelta casuale, ma for-tunata, perché ha consentito di evi-tare estesi fenomeni di malnutrizio-ne, che nei secoli scorsi crearonomolti problemi nell’area padana perla carenza di proteine di origineanimale. Nella Pianura padana, in-fatti, l’alimentazione dei secoli scor-si, basata quasi esclusivamente sulconsumo di mais e di altri cerealiminori come il sorgo, il miglio, ilpanico, era molto diffusa, e, graziealla sensazione di sazietà che pro-ducevano alcuni piatti facili da cuci-nare (come la polenta), provocavanumerosi casi di pellagra. Oggi sap-piamo che la pellagra è dovuta allacarenza di una specifica sostanza, laniacina, una vitamina del gruppo B,che, per questa funzione, ha ricevu-to il nome di “vitamina PP” (Pella-gra Preventing). Il mais, il sorgo, ilpanico non contenevano sostanzetossiche, ma una quantità di vitami-na PP inferiore al fabbisogno uma-no. Del resto, qualunque tipo di ali-mentazione, composta da un solo eunico cibo, protratta per diversi me-si, porta notevoli disturbi all’organi-smo umano. La carenza di vitaminaPP provoca una patologia caratteri-stica per le tre “D”, vale a dire: der-matite, diarrea, demenza.Fra i cibi di origine vegetale, i le-

gumi meritano una particolare con-siderazione perché, oltre a vitami-ne, sali minerali e fibra, sono ricchidi proteine che, essendo di originevegetale, non sono identiche aquelle di origine animale ma costi-tuiscono una valida risorsa per la

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composizione del menu quotidiano.Infatti, le proteine dei fagioli con-tengono gli aminoacidi carenti nelleproteine dei cereali e quindi questidue prodotti del mondo vegetale(cereali e legumi), ingeriti contem-poraneamente, si integrano a vicen-da in modo equilibrato.Fino al 1850, l’unico riso utilizzato

per la panissa era il “Nostrale”.Questo riso però aveva scarsa resi-stenza alle erbe e ai microrganismiinfestanti, per cui gradatamente fumesso da parte. Grazie alla moder-na risicoltura, oggi possiamo di-sporre di 17 varietà di riso che pos-

sono soddisfare tutte le esigenzedella cucina tradizionale. Per la pa-nissa, la maggioranza dei grandichef utilizza il “Carnaroli”, il cuiamido è particolarmente ricco diamilosio, che rende i chicchi consi-stenti, resistenti alla cottura, con ec-cellenti capacità di assorbimentodei condimenti. A pochi chilometri da Vercelli, nel

Novarese, si gusta invece “la pani-scia” che si distingue dalla consorel-la vercellese per la presenza di ver-dure, fra cui la verza e le carote.Esiste anche un’altra variante, nellavicina Valsesia, chiamata “panicia”,

che è un minestrone di riso in bro-do, con verdure e formaggio. In pratica, per 4 persone, oggi la

panissa si ottiene facendo bollire inacqua i fagioli borlotti secchi, prefe-ribilmente di Saluggia (circa 250 g,precedentemente ammollati in ac-qua per 12 ore: in pratica una not-te), con il salame conservato sottograsso (di suino) tagliuzzato. In pa-della si prepara un soffritto conburro e cipolla affettata. Al soffrittosi aggiungono il riso, possibilmenteCarnaroli (circa 80-90 g a persona),un bicchiere di vino Barbera supe-riore o di Gattinara e si porta a cot-tura con il brodo dei fagioli ancorabollente, mescolando con un cuc-chiaio di legno, per evitare che il ri-so attacchi sul fondo della padella.Si aggiunge qualche cucchiaio diconcentrato di pomodoro e alla fineformaggio grana grattugiato. Evitaredi mettere in padella i fagioli trop-po cotti: si spappolano e rendonola panissa pastosa. In tavola, i fagio-li devono essere possibilmente an-cora interi.La “Confraternita del risotto” rac-

comanda che, per ottenere un buonrisotto, il riso va messo crudo nelsoffritto, per avere un’ottima tosta-tura. Così facendo, il chicco mantie-ne al meglio la consistenza e il gu-sto durante il procedimento di cot-tura.L’utilizzo del riso parboiled non è

consigliato. Dice l’Ente Risi: è prefe-ribile che voi aspettiate la panissa,piuttosto che sia la panissa adaspettare voi.La scrittrice Margherita Oggero ci-

ta sovente la panissa dolcemente“mitonata” (cotta a fuoco lento, dalfrancese “mitonner”) come piattoprelibato preparato dalla nonna de-finita “cuoca di risaia”. I vercellesidicono che Silvio Piola, il loro fa-moso concittadino che ha portatol’Italia a vincere i Campionati delmondo di calcio nel 1936, non èmai stato accusato di doping. Trae-va l’energia necessaria per fare i go-al dalla panissa, che gustava spesso.See International Summary page 78

INDIRIZZI DI POSTA ELETTRONICARicordiamo che il vecchio indirizzo di posta elettronica, già da tempo

non più utilizzato, è stato definitivamente eliminato.Per semplificare i contatti con i vari settori dell’Accademia,

ecco gli indirizzi e-mail ai quali inoltrare la posta.

e-mail per il Presidente:[email protected]

e-mail per il Segretario generale:[email protected]

e-mail per la Segreteria nazionale e redazione milanese della rivista:[email protected]

e-mail per la Direzione e redazione romana della rivista:[email protected]

e-mail per la Biblioteca nazionale “Giuseppe Dell’Osso”:[email protected]

Ricordiamo che l’Accademia ha un proprio sito Internet:www.accademia1953.it

da cui è possibile, tra l’altro, consultare e scaricare gli ultimi tre numeri pubblicati di “Civiltà della Tavola” in formato Pdf.

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La nascita della cucina borgheseDI NICOLA RIVANI FAROLFI

Accademico di Milano Brera

Già dagli inizi del Settecentosi avverte forte la richiesta

di un cambiamento nel modo di far cucina.

È opinione abbastanza diffusache la nascita della cucinaborghese sia una diretta con-

seguenza della Rivoluzione France-se. L’abbattimento del ceto nobiliareavrebbe obbligato il personale dicucina delle grandi famiglie a ricer-care una nuova occupazione e adaprire dei locali. Questo è in partevero e spiega perché in Francia latradizione dei grandi ristoranti si siasviluppata prima che altrove.Se però solo ci soffermiamo sulla

realtà storica, ci rendiamo contoche la borghesia, come ceto sociale,si era sviluppata già molto prima,tanto da acquisire quella forza di-rompente che le permise di sovver-tire l’ordine precedente.La borghesia, in Francia, ma ancor

di più nei Paesi Bassi, aveva unruolo fondamentale nell’economiagià nel Seicento (pensiamo ai qua-dri fiamminghi che ritraevano leconfraternite dei ricchi borghesi) egià dagli inizi del Settecento si av-verte forte la richiesta di un cambia-mento nel modo di far cucina.Vincent La Chapelle, nel suo “Cui-

sinier Moderne” edito nel 1733, rile-va che si era presentato nella cuci-na un forte desiderio di rinnova-mento. La cucina rinascimentale, ristretta

all’ambito delle corti, si basavasull’ostentazione, doveva dimostrarel’opulenza del signore, utilizzandoquanti più ingredienti e sempre piùrari e ricercati. La scoperta delleAmeriche e la costituzione dellaCompagnia delle Indie portavanonelle cucine di corte sempre nuoviprodotti, ma di difficile abbinamen-to. È un trionfo di cacciagione, dicontrasti dolce-salato o agro-dolce,che sopravvivono in alcuni piattistorici, soprattutto nella pasticceria

(si pensi al panforte senese o alpanpepato ferrarese), ma si tratta diprodotti per una élite ristretta.Nasce appunto in Francia un’esi-

genza di rinnovamento, che allegge-risca i piatti, li renda fruibili per unapiù ampia cerchia di persone; è unpassaggio simile a quello che nellaseconda metà del secolo scorso daràorigine alla nouvelle cuisine. Si al-leggeriscono le salse, si introduconole erbe aromatiche, si dà maggiorediffusione alle verdure come com-plemento del piatto principale.In sostanza, si sostituisce alla tec-

nica dell’arricchimento del piatto,quella del contrappunto. Si elaboraun ingrediente principale e lo si va-lorizza con altri ingredienti che loesaltano.Il termine “borghese” già dal

1745, con la pubblicazione de “LaCuisinière bourgeoise” di FrançoisMenon, identifica una cucina mo-derna, contrapposta polemicamentea quella “all’antica” e non una cuci-na provinciale. La nuova moda sidiffonde velocemente in tutta Euro-pa, come si può rilevare dai vari ri-cettari pubblicati un po’ ovunque.In Italia, abbiamo l’edizione del“Cuoco galante”, del napoletanoVincenzo Corrado, e quella del“Nuovo cuoco milanese economi-co”, di Giovan Felice Luraschi(1829).Il maggiore cambiamento lo si

avrà però nell’Ottocento, per meritodelle grandi e piccole invenzioniche hanno trasformato la nostra so-cietà. L’invenzione della macchina avapore consentirà, nelle economiepiù progredite come Francia, Inghil-terra e Germania, di sviluppare unarete di trasporto fluviale e su rotaia,tale da permettere il rapido trasferi-mento delle merci da una parte al-

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l’altra del Paese e specialmente dallacampagna alla città. Sempre nuovematerie prime arrivano al mercato ea prezzi sempre più accessibili.Questo scambio permette di diffon-dere piatti di altre tradizioni e di am-pliare il panorama gastronomico.Un’altra piccola invenzione, ma dienorme portata per la cucina, fuquella che permise a Nicolas Appert,nel 1810, di brevettare un sistemaper la conservazione ermetica deglialimenti. Nello stesso anno, l’inglesePierre Durand brevettò un metodoper la conservazione dei cibi in reci-pienti di stagno. Queste due inven-zioni consentirono di mettere a di-sposizione dei cuochi prodotti con-servati che sono diventati elementiinsostituibili nella cucina moderna,se solo pensiamo alla diffusione del-le conserve di tonno, acciughe ecapperi, oltre a quella del pomodoronei ricettari dell’Ottocento.Da noi, il processo di rinnova-

mento sarà molto più lento, compli-ce una conformazione del territoriomolto più complessa e una fram-mentazione politica, che solo nel1861 troverà uno sbocco nella costi-tuzione del Regno d’Italia. Gli scam-bi di prodotti sono molto limitati,anche se decisamente importantiper la nascita di piatti particolari.Ancora nella metà dell’Ottocento, itrasporti di vino dal Piemonte allaLiguria o alla Val d’Aosta avveniva-no con carri tirati da cavalli e i bi-rocciai, per non ritornare con i carrivuoti, caricavano barili di acciughesotto sale o forme di fontina. Daqueste materie prime, inesistenti inPiemonte, sono nati due grandipiatti come la “bagna caoda” e la“fonduta”.La nostra cucina è quella delle fa-

miglie abbienti, nobili o borghesi,che si mettono in concorrenza e daqui nascono molti dei grandi piattiche danno al nostro Paese una qua-lifica d’eccellenza. Sono piatti di di-versa tradizione, che sfruttano le va-rie componenti di un territorio oro-graficamente complesso e dai ri-svolti climatici così diversi. È una

cucina a carattere prevalentementeregionale, in cui le variabili costitui-scono un fattore di ricchezza ine-guagliabile. La cucina borghese, intesa come

alla portata di tutti, trova la suaesaltazione con la diffusione di ri-cettari a carattere divulgativo che siverifica dopo l’Unità d’Italia. Nel1864, Giovanni Vialardi, cuoco dicorte di Casa Savoia per oltre cin-quant’anni, dà alle stampe il libro“Una cucina borghese semplice edeconomica” dove possiamo trovaremolte delle ricette della tradizionepiemontese realizzabili anche dacuochi non professionisti. Il princi-pale epigono della cucina borgheseè senza dubbio Pellegrino Artusicon il suo manuale “La scienza incucina e l’arte di mangiar bene”che, edito una prima volta nel 1891,è rimasto in stampa per oltre centoanni e tradotto in moltissime lingue.

Alla cucina borghese dobbiamoaffiancare una cucina, forse menonobile nel senso dell’equilibrio disapori, ma certamente non menoimportante per la nostra tradizione,che è quella contadina. Qui, tutti gliingredienti nascono in cascina evengono utilizzati nell’ottica delmassimo risparmio, in termini ditempo e denaro. I prodotti sonoperlopiù poveri, ma di sapori straor-dinari e hanno generato alcuni deipiatti più succulenti della nostra cu-cina, dai pizzoccheri valtellinesi, al-la ribollita toscana, dalla cassoeulalombarda alle crescentine emilianeo ai testaroli pontremolesi.Sicuramente, sia la cucina borghe-

se sia la cucina contadina hannocontribuito a dare alla nostra artegastronomica quel carattere di ec-cellenza che le è riconosciuto nelmondo intero.See International Summary page 78

ACCADEMICI IN PRIMO PIANO

L’Accademico Vito Amendolara, della Delegazione di Napoli, è statonominato Presidente dell’Osservatorio Regionale per la Dieta Mediter-ranea.

L’Accademico Germano Berteotti, della Delegazione di Trento, èstato nominato Presidente dell’Azienda per il turismo di Rovereto eVallagarina.

L’Accademico Roberto Fusco, della Delegazione di Brindisi, è statoeletto Presidente della Camera Civile presso il Tribunale di Brindisi.

All’Accademico di Avezzano Franco Santellocco Gargano è statoconferito, dalla Regione Abruzzo, il titolo di “Ambasciatore del-l’Abruzzo nel mondo” per l’attività di alto valore culturale, morale esociale svolta.

L’Accademico Roberto Zuccato, della Delegazione Alto Vicentino, èstato nominato, per il prossimo quadriennio (2013-2017), Presidentedi Confindustria del Veneto.

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La cucina familiare è ancora viva?DI SILVIA DE LORENZO

Un interrogativo che rifletteun aspetto preoccupante

della nostra cucina, messo in evidenza

nella riunione del Centro Studi

“Franco Marenghi”.

I l Presidente del Centro Studi Pao-lo Petroni ha presentato il nuovoDCST del Veneto, Roberto Robaz-

za e l’Accademico di Borgo Val diTaro, Pierluigi Fedele, Comandantedel Corpo forestale di Parma, prossi-ma probabile acquisizione del Cen-tro Studi “Franco Marenghi”.Si entra, quindi, con la prima riu-

nione dell’anno, nel vivo dei temiche caratterizzeranno il 2013, soprat-tutto per quanto riguarda gli aspetticulturali, ai quali l’Accademia - comeha sottolineato il Presidente Ballarini- vuole porre sempre più attenzione,oltre a quelli umani e conviviali. Dieci anni fa, quando si pubblicò

il primo dei volumi della Collana diCultura Gastronomica - ricorreva ilcinquantenario dell’Accademia - siguardò alla cucina dei cinquantaanni precedenti, alla sua evoluzio-ne, alle nuove tendenze. Quest’an-

no, con il compimento del suo ses-santesimo anniversario, l’Accademiaguarda alla cucina italiana oggi. Esarà proprio questo il titolo delnuovo volume della Collana, chesarà presentato al convegno diMontecatini. Ed è proprio l’“oggi” iltema culturale che dovrà ispirarel’attività accademica di quest’anno,tenendo conto, ha proseguito il Pre-sidente Ballarini, che la cucina ita-liana, che pure sta vivendo, nelmondo, un momento felice, in real-tà si trova di fronte a un cambia-mento epocale, quello del crollodella cucina familiare. Diversi sonoi motivi che contribuiscono a que-sto fenomeno; tra questi, il fattore“tempo”, che porta all’utilizzo diprodotti industriali preconfezionati,e anche, come evidenziato dal Se-gretario del CSFM, Alfredo Pelle, laviolenza di alcune trasmissioni tele-visive, che uccidono l’amore per lacucina. L’Accademia, ha concluso ilPresidente Ballarini, dovrà valutaremolto seriamente lo stato della no-stra cucina vigilando e lavorandocon grande impegno.Riallacciandosi al libro “La cucina

italiana oggi”, realizzato anche con inumerosi articoli di Accademici emembri dei Centri Studi Territoriali,Paolo Petroni ha messo in evidenzail risultato positivo del lavoro siner-gico del CSMF e dei CST, che nelcorso degli anni è arrivato a costitui-re la struttura portante dell’Accade-mia per la cultura. Il Presidente delCentro Studi ha poi sottolineato che,proprio grazie a questa sinergia, staprendendo corpo un’opera impo-nente di cultura gastronomica: ilnuovo Ricettario accademico. Giàoggi, ancora senza i contorni e i dol-ci, esso comprende più di duemilaricette, che costituiscono un patrimo-

nio unico, attuale e ricco dei saperie dei sapori della nostra cucina re-gionale. Carla Chiaramoni, che se-gue la redazione del Ricettario, haquindi aggiornato sullo stato dell’artedell’opera.Paolo Petroni si è poi soffermato

sulla Guida ai ristoranti on line, che,come sappiamo, può essere scaricataanche su oltre il 75% dei telefonicellulari e che conta ben 5.000 visita-tori in media, al mese, del nostro si-to internet e 90.000 utenti sui cellu-lari e tablet. Proprio perché possia-mo considerarla la guida ai ristorantiitaliani più consultata al mondo, ènecessario che sia sempre aggiornatae che contenga riferimenti validi.Dopo un breve dibattito circa i prov-vedimenti da adottare a questo fine,si è deciso di nominare dei respon-sabili regionali della Guida, sceltiall’interno dei CST, con il compito ditenere aggiornati i dati dei ristoranti,le schede descrittive, curando anchenuovi inserimenti ed eventuali can-cellazioni, lavorando in armonia coni Delegati. Nella riunione di ottobre,si affronterà il tema della Guida car-tacea delle Buone Tavole della Tra-dizione, che ormai ha una strutturaben consolidata.Ultimo argomento, la collana degli

Itinerari di Cultura Gastronomica.Dopo aver fatto il punto sul volumedel 2013, dedicato alle “Carni da nondimenticare”, si è passati alle propo-ste per il tema dell’anno 2014, conl’invito del Presidente Ballarini a sce-gliere un argomento che rivaluti lacucina di famiglia. Tra i vari temiproposti, sono stati definiti i seguentiargomenti da sottoporre al nuovoConsiglio di Presidenza, per la deci-sione finale: la cucina del riso, la cu-cina dei legumi, la cucina di strada.See International Summary page 78

C E N R O S T U D I “ F R A N C O M A R E N G H I ”

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Selvatico di pregioDI ANTONIO GADDONI

Delegato di Imola

Viaggio nella cucina adriatica del pesce

e delle erbe spontanee.

È un abbraccio forte, quello chelega il pesce alle erbe. Lo con-ferma un recente convegno,

ospitato nel Grand Hotel di Rimini,dove si sono dati appuntamento ol-tre duecento Accademici delle Dele-gazioni di Romagna, Marche, Bolo-gna San Luca e Bologna dei Bentivo-glio. Al centro degli interventi e del-le riflessioni, il “Selvatico di pregio”,con uno stimolante “viaggio nellacucina adriatica del pesce e delle er-be spontanee”, privilegiando gli aro-mi e i sapori di un areale che affon-da le sue radici nel fortunato incro-cio tra le acque dolci dei fiumi equelle tipicamente marine.A far salpare la “barca”, alzando

l’ancora dei lavori, è stato il Coordi-natore Territoriale della RomagnaGianni Carciofi, seguito dal Vice Pre-sidente Vicario Severino Sani: “assi-stiamo oggi ad un lavoro serio, esem-

pio per tutti gli Accademici italiani” edal Segretario Generale Paolo Petro-ni: “nella promozione e nel migliora-mento della cucina italiana - ha preci-sato - la tradizione va utilizzata comeesperienza, come passaggio tra unagenerazione e l’altra. A noi competedi mantenere il timone fermo, senzafarci impressionare dalle innovazioni,purché abbiano radici nel buon gustoe nelle nostre conoscenze”.Con al timone il giornalista Giu-

seppe Gonni, la prima “remata” ègiunta da Marco Dalla Rosa citandol’Artusi, che utilizzava sempre ilprezzemolo nella preparazione delpesce: “nell’areale gastronomicoadriatico c’è un connubio tra erbecon azione antimicrobica (tarassaco,luppolo, carciofo moretto di Brisi-ghella, barba di becco, ortiche, stri-doli, asparagina ecc) e prodotto itti-co (scampi giganti, mazzancolleecc.), frutto del come si mescolanotra i territori di Romagna e Marche,con acque marine e interne, regimidi vento e climatici, tipi di fondalecomunque diversi”.Ma il consumo e la quantità di pe-

scato come procedono? Non bene,ascoltando i numeri forniti da Corra-do Piccinetti: “nell’ultimo decenniola pesca nei nostri mari ha denuncia-to un calo di 150 mila tonnellate, afronte di una produzione italiana at-tuale di 450 mila tonnellate, prove-niente per metà dall’allevamento.Con un consumo complessivo di ol-tre un milione di tonnellate, quindi,solo un quarto del pescato è italia-no”. E la qualità? “La prima - ha ri-sposto - è la freschezza: il pesce ha24 virtù ma ne perde una l’ora”. PoiPiccinetti ha passato in rassegna laproduzione ittica nell’Adriatico con icefalopodi, i molluschi, i crostacei epesci come la sogliola o il rarissimo

e pregiatissimo rombo, di cui arrivanei nostri piatti solo l’1%, in quantoil restante 99% è d’allevamento.C’è poi l’aspetto salutare, ma qui le

notizie sono rassicuranti: “l’assunzio-ne di pesce produce benefici per lanostra salute - ha spiegato Silvia Bur-zacchini parlando delle proprietà nu-trizionali - rilevante appare, special-mente, l’incidenza percentuale degliacidi grassi della serie omega-3 cheprivilegia il pesce selvatico”. I benefi-ci si ritrovano assumendo pesce al-meno un paio di volte a settimana,più specificamente nel “contrasto alcancro alla prostata, nella riduzionedel colesterolo nel sangue, nel mi-glior funzionamento cardiocircolato-rio o con un’azione rimineralizzantedi cui beneficiano in particolare lemamme nel periodo di gravidanza”.Poi un consiglio: “cuocere il pesceper poco tempo e a temperature nonelevate; meglio se al forno, al vapo-re, al cartoccio o marinato, meno sa-lutare se fritto o conservato sott’olio”.E se guardiamo retrospettivamente aparecchi secoli fa, ecco che ritrovia-mo nelle diete, come ha raccontatoMassimo Montanari, “il pesce comecibo di magro”, di assoluto rilievonel calendario liturgico e quaresimalein “opposizione alla dieta di carnedella nobiltà”. La “penitenza e l’asti-nenza” non disdegnavano, però, nelMedioevo, “il pesce di lusso come lostorione del Po”, anche se, nei mo-nasteri, a prevalere erano “pesci pic-coli”. E la conservabilità e la fre-schezza si ottenevano pescando nelvicino torrente o allestendo veri epropri vivai e pescherie nei conventie ai margini delle abitazioni, anchese l’aggettivo di “popolare” ha ragio-ne d’essere solo nel basso Medioevo,con la diffusione del “pesce salato”come, ad esempio, il baccalà.

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Le verdure e le erbe, per molti se-coli considerate emblema della cuci-na povera, hanno visto, comunque,riconosciuto il loro ruolo anchenell’“alta cucina di Maestro Martinonel Quattrocento e di BartolomeoScappi nel Cinquecento”, figurandoappieno in alcuni piatti impreziositidalle spezie. Infine, un’annotazionesul ruolo del “selvatico”, che appar-tiene alla cultura “moderna”, inquanto solo dal Settecento la naturavenne assunta come elemento positi-vo. “Prima - ha ricordato Montanari -la natura era buona ma era anchequalcosa di cui si doveva diffidare ecertamente era molto più facile alle-vare pesce dietro la porta di casache avventurarsi in mari aperti, lon-tani e sconosciuti”.Sull’incontro con il pesce del-

l’Adriatico si è intrattenuto GiuseppeBenelli, sottolineando “il valore sim-bolico e l’aspetto culturale del cibo”come elementi fondamentali del ge-nius loci, in quanto “non si può vive-re a lungo in un luogo se non se necoglie l’animo”. Così la mente correalle “terre che si affacciano sul mare”esprimendo i profumi del marino;agli ortaggi e alle erbe che si ritrova-no con forza nei condimenti. Infine,tra le tante citazioni di illustri perso-

naggi di Romagna, Benelli ha ricorda-to una delle tante perle del poeta To-nino Guerra: “La mia tavola è sull’er-ba”, amava dire questo romagnolo diSant’Arcangelo che poi concludeva:“a tavola il mondo è più bello”. “Selvatico di pregio o di pregio in

quanto selvatico?”. Risposte e com-menti su questa domanda sono statilasciati liberamente ad altri cultori dicibo e cucina, affiancati dal Coordi-natore delle Marche, l’AccademicoMauro Magagnini, timoroso “che ilpesce selvatico non ci sia più”. Così,dopo il commento di Corrado Picci-netti sul “sapore del pesce fresco” esullo stretto rapporto della cucina colterritorio, tocca a Piero Meldini pas-sare in rassegna alcuni piatti estinti,ricordando gli anfiossi, la “sponza” otartufo di mare, gli storioncini del-l’Adriatico o il fritto di paranza nellostrutto. Quindi un salto, con MarcoZanasi, nel simbolismo dei pesci siain campo religioso che in quello deinostri sogni, per il loro linguaggiometaforico. Non è mancato un omag-gio alla laguna veneta: “Furono i pe-scatori del Veneziano - ha chiaritoLucia De Nicolò - ad arrivare sullenostre sponde tra Romagna e Mar-che, a metà del Seicento, avviandoun percorso lavorativo, consumistico

ed educativo ancora non affrontatodalle popolazioni locali”. Concreto poi il commento del cuo-

co Igles Corelli: “Il nostro compito èquello di esaltare le qualità del pescein funzione della cottura e del tipo dicondimento. Per questo il cuoco ne-cessita di conoscenze e deve esseresempre in movimento pur sapendoche l’ambiente e i territori sono de-terminanti nella qualità del cibo”.Vale a questo punto rammentare

l’estremo interesse suscitato dal fil-mato “Flora edule spontanea”, messoa punto dal ravennate Franco Chiari-ni raccogliendo e mostrando un riccopatrimonio di erbe selvatiche, la cuiidentità e il cui recupero naturale siritrovano sempre più nella nuova cu-cina basata sull’“ex povertà”. È citando uno scritto di Leonardo

da Vinci: “Salvatico è quel che si sal-va”, che il Presidente Giovanni Balla-rini ha aperto le porte alla sfida checonsente all’Accademia di rimanereviva “perché si occupa dell’attualità ecerca di capire al meglio i problemidi oggi, interpretando il succedersidegli eventi sull’esperienza del passa-to. Ora - ha concluso - ci stiamo in-camminando su un percorso delinea-to da tre ‘S’, ovvero sulla sicurezza dipoter disporre di cibo oggi e domani;sulla salubrità, in quanto ciò chemangiamo deve essere apportatore dibontà e di salute; sulla soddisfazioneche, se manca, ci fa mangiar male”. Pesantissima la rete a maglia larga

alzata al termine del convegno nel-l’ospitale salone del Grand Hotel diRimini. Il pescato del giorno, ovverol’alto livello di gradimento e di inte-resse che ha sedotto tutti i parteci-panti, ha premiato l’impegno profuso,nell’arco di non pochi mesi, dai Coor-dinatori Territoriali Gianni Carciofi eMauro Magagnini, dal Centro StudiTerritoriale e Nazionale attraversol’opera fattiva di Gianni Mita e Ales-sandro Cantagalli, dai Delegati coin-volti, non tralasciando il valore ag-giunto fornito dall’Accademico Fran-co Chiarini.

ANTONIO GADDONISee International Summary page 78

IL MENUIl menu della riunione conviviale ha rispecchiato l’anima del conve-gno. A curarlo è stato lo chef Claudio Di Bernardo, affiancando aipiatti i gradevoli vini dell’Istituto Marchigiano di Tutela, con una “la-crima”, in finale, di buon “Varnelli”.Zuppa di cicale in brodetto, tenera polpa di cannocchie servita inguazzetto di frutti di mare, il loro fumetto, piccole verdure segnatecon olio di oliva extravergine e aneto.Taglierini con gallinella di mare e maggiorana, tradizionale pastafatta in casa servita con ragù di gallinella di mare (mazzola), zucchi-ne e salsa di pomodoro aromatico alla maggiorana.Bianco di sogliole selvatiche con vongole e cuori di carciofi al timo, fi-letti di soglioline dell’Adriatico cucinati all’uso di Romagna, serviticon vongoline nostrane, cuori di carciofi in casseruola allo scalogno efoglie di timo. Sorbetto al limone e basilico.Cestino croccante con crema chantilly e tagliata di frutta fresca, cre-mosa mousse di crema e panna montata, servita in un cestino croc-cante di mandorle, ripieno di pezzettoni di frutta fresca.

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I N O S T R I C O N V E G N I

Cucina vicentina: storia e memoriaDI RENZO RIZZI

Delegato dell’Alto Vicentino

La Delegazione dell’Alto Vicentino ha organizzato,

nella villa Trissino-Marzotto,il convegno “Alla ricerca

della tradizione. Storia e memoria

della cucina vicentina in età contemporanea”.

P er festeggiare i 10 anni dellafondazione della Delegazione eper valorizzare i piatti della tra-

dizione del territorio, hanno parteci-pato all’incontro, con moderatore ilprof. Mario Bagnara, Presidente dellaBiblioteca internazionale La Vigna, ilPresidente dell’Accademia GiovanniBallarini e il Vice Presidente VicarioSeverino Sani. La mattinata si è aper-ta nel Salone della musica della villa,con i saluti e una breve prolusionedel Delegato Renzo Rizzi, che ringra-ziava tutti coloro che avevano volutofortemente costituire la Delegazionee soprattutto il compianto PresidenteGiuseppe Dell’Osso, l’Accademicoonorario Luciano Rizzi, primo Dele-gato e socio fondatore, Giorgio Tas-sotti, l’allora Delegato di Vicenza el’“Accademico guida” Gigi Costa cheha condiviso per un anno la vita del-la nuova nata Delegazione.

Il relatore prof. Danilo Gasparini haesposto un’interessante excursus stori-co sulla cucina e sui cibi del Veneto,dal titolo suggestivo “Dalla fame al-l’abbondanza: italiani e veneti a tavoladall’Unità a oggi”. A seguire, il mae-stro cuoco Amedeo Sandri ha parlatosu “I piatti vicentini dimenticati, dal ri-cordo per ritornare al presente”. Do-po la pausa, il maestro pasticciere Ro-berto Agosti ha illustrato “I dolci delVicentino, fra montagne, colline e pia-nura”. Seguiva, da parte del noto eno-logo piemontese, ma veneto di ado-zione, dott. Franco Giacosa, una sti-molante relazione, sul tema “I vini delVicentino, abbinamento ai piatti tradi-zionali del territorio”. Il PresidenteBallarini ha concluso la mattinata condelle riflessioni su quanto esposto dairelatori nel corso del convegno.Al termine della giornata di studi, i

partecipanti, provenienti anche da al-tre Delegazioni, si sono trasferiti nel-le cucine della villa, per “passare dal-la teoria alla pratica”, degustandoprodotti e piatti tipici del territorio.Con l’aperitivo sono stati serviti: lanota sopressa vicentina Dop con panbiscotto, cotto come nei tempi andatinel forno a legna; una selezione diformaggi del territorio, prodotti dapiccole latterie di montagna fra cuianche quelli con latte di vacca borli-na, per poi spaziare sul celeberrimobaccalà alla vicentina con polenta, ebaccalà mantecato con crostini.Al piano superiore, nel Salone degli

Arazzi, si è preso posto ai tavoli e ilVice Delegato Paolo Dall’Igna ha in-trodotto i piatti proposti per il pran-zo, parlando della loro storia, delcontesto territoriale e dell’abbinamen-to con i vini. Tra le preparazioni tipi-che del territorio, è stata servita laclassica minestra di tagliatelle in bro-do con i fegatini di pollo, un piatto

molto semplice, perché i fegatini ven-gono passati solo al burro e tenuti aparte, in una salsiera, di modo che,chi lo desidera, possa aggiungerli nelsuo piatto fumante di tagliatelle inbrodo. A seguire, il piatto forte delpranzo, il torresan (piccione) allospiedo con polenta onta (unta) e ver-dura cotta di stagione. I torresani diBreganze, piccolo paese dell’Alto Vi-centino, sono dei piccioni di nido, epoiché questo è collocato di solito suuna torretta, ecco spiegata l’originedel nome. I torresani devono esserepiccioni “di primo pelo”, cioè nondevono aver ancora volato, perchésolo così le loro carni possono esseredolci, delicate e tali da sciogliersi inbocca. Nelle antiche osterie di Bre-ganze, lo spiedo girava lento sul fo-colare dove ardeva un fuoco allegro,e gli addetti dovevano sorvegliare lospiedo dove si rosolavano i piccionci-ni e controllare che nella leccardasottostante friggesse, fino a diventarcroccante, la polenta “onta”.Prima del dessert, il Delegato ha

preso la parola per lo scambio deidoni: al Presidente Ballarini e al VicePresidente Vicario Severino Sani so-no state donate due pubblicazioni,una dal titolo “Trissino nel Novecen-to” vincitore del XXVI Premio Bru-nacci per la storia veneta, e una inti-tolata “10 anni di Gusto”, edito dallaDelegazione per festeggiare il de-cennale. A sua volta, il Presidente hadonato al Delegato Renzo Rizzi, percelebrare l’evento, una medagliad’argento dell’Accademia. Immedia-tamente dopo è stato servito il dolcetradizionale di Schio: il classico gat-tò, cui è stato abbinato, per il brindi-si, un vino spumante del territorio, ilRecioto Spumante di GambellaraDocg della Casa vinicola Zonin. See International Summary page 78

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I N O S T R I C O N V E G N I

L’olio d’oliva ciociaroDI GIANCARLO FLAVI

Giornalista

Un prodotto d’eccellenza che ancora non riesce

ad avere la Dop.

I n provincia di Frosinone ci sono18.000 ettari di terreni che pro-ducono un reddito di 350 milioni

di euro; il 15% è coltivato a uliveto.34.000 aziende agricole producono350 mila tonnellate di olio che svi-luppano un volume di affari di 42milioni di euro concentrati ad Ala-tri, Veroli Boville, Sant’Elia e NordCiociaria, in prevalenza Moraiolo(60%) e Leccino (20%), con alcunealtre qualità tipiche come la Roscio-la a Paliano, Piglio, Serrone, e lamaggior parte è prodotto in zone dimontagna.La Dop Ciociaria è ferma al Mini-

stero dal 2007. Sono questi i dati sa-lienti emersi dall’incontro “L’olio dioliva in terra di Ciociaria”, organizza-to dalla Delegazione di Frosinone,guidata dal Delegato Carlo Marsella,presso la sala conferenze della Ca-mera di commercio ciociara.

Nel portare il saluto e coordinare ilavori, il Delegato ha affermato:“Sulla base dei principi fondanti del-la nostra associazione, e sull’espe-rienza del convegno ‘Sua maestàl’olio’, tenutosi lo scorso anno aCassino, cui demmo il nostro patro-cinio, per spirito di servizio a favoredel nostro territorio, ci siamo attivatiad organizzare il convegno odierno,di più ampio respiro, con la deter-minante collaborazione delle Asso-ciazioni di categoria. E con l’intentodi sostenere e promuovere l’olio dioliva ciociaro, l’unico nel Lazio anon avere ancora un marchio Dop,pur essendo un prodotto eccellente,tanto che ad un nostro produttore èstato assegnato il premio ‘Flos Olei2013’, quale miglior olio biologicodel mondo”. Carlo Marsella ha rivol-to inoltre un appello alle Autoritàpreposte perché insistano, nelle op-portune sedi, per ottenere l’anelatoriconoscimento. Il 31 gennaio scor-so, infatti, sarebbe dovuta entrare invigore la legge “salva olio made inItaly”, la cui applicazione però èstata sospesa dall’Unione europea fi-no al 22 novembre 2013: un insiemedi norme sulla qualità e la traspa-renza della filiera degli oli di olivavergini, per tutelare nel mondo lecaratteristiche di questo importantis-simo prodotto italiano. “Purtroppo -ha evidenziato ancora il Delegato -nel nostro territorio mancanoun’adeguata rete commerciale, unastruttura aziendale diffusa e un siste-ma di comunicazione di supportoper cui, da parte delle Associazionidi categoria, si potrebbe stimolare ipiccoli produttori a cooperare fra lo-ro per meglio affrontare le varieproblematiche. Magari sull’esempiodell’Associazione olivicoltori “Oliodi Terra di Cicerone”, in Arpino, che

da qualche anno mira a coordinareil lavoro di piccole e medie aziendeagricole per raggiungere l’eccellenzadell’olio extravergine di oliva pro-dotto nel territorio”. È stata quindi la volta del presi-

dente della Camera di commercio,Marcello Pigliacelli, che ha assicuratoil suo intervento in favore della Dop.Paolo Di Cesare, della Coldiretti, haillustrato alla platea la normativa atutela dei consumatori, ribadendoche il prezzo dell’olio d’oliva deveaggirarsi intorno ai 6 euro al litro, sesi vuole avere la garanzia che sia ex-travergine, e cioè molito entro le 24ore dalla raccolta e con una duratanon oltre i 18 mesi.Ettore Togneri, Presidente della

Confederazione Italiana Agricoltoridi Frosinone, ha lanciato una nuovaidea in favore e per la salvaguardiadel territorio, perché le piante d’oli-vo servono anche a questo e ha lan-ciato l’idea del “baratto fiscale”, ossiadi pagare in natura gli enti comunalie sovracomunali che riscuotono inmodo diretto.Il dott. Antonello Lancia, presiden-

te As.p.ol., ha poi illustrato le oppor-tunità per l’olivicoltura ciociara. Infi-ne, la relazione della dott.ssa PatriziaPapetti, responsabile scientifica delLaMeT (Laboratorio analisi merceo-logiche e territoriali) dell’Universitàdi Cassino, ha sviluppato l’interes-sante tema “Il ruolo del LaMeT nel-l’analisi chimica e sensoriale degli olidi oliva”. Nel dibattito è intervenutoanche un agricoltore, Lucio Parlottoda Serrone, che ha raccontato la suaesperienza con l’olio d’oliva. Unconvegno molto illuminante, con lasperanza che possa servire a sveltireil percorso verso la Dop dell’oliociociaro.See International Summary page 78

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C U L T U R A & R I C E R C A

La fame stimolò la fantasiaDI ELISABETTA COCITOAccademica di Torino

Nella terminologia gastronomica contadina,

piatti semplici della tradizione popolare

assumevano nomi importanti ed evocativi.

R icordando il proverbio contadi-no “La fame muta le fave inmandorle”, si può lungamente

discutere di quanto la fame, la verafame, quella patita da popolazioniper via di accadimenti vari, sociali,climatici, epocali, abbia piegato leenergie dilagando come una piaga,ma, pur nella disperazione, abbia pa-radossalmente stimolato la fantasia ela capacità di industriarsi per la so-pravvivenza. Non per niente, in dia-letto piemontese, la fame è “la bruta”.Vorrei qui ricordare alcuni piatti

della tradizione piemontese, princi-palmente ricavati da parti povereanimali (quinto quarto), che oggi-giorno pochi propongono e merite-rebbero invece di essere ricordateanche solo per i loro nomi. Questoper non dimenticare che anche l’eti-mologia culinaria fa parte del baga-glio storico/culturale e non va persa

o disprezzata. Piatti poveri, di recu-pero, ma talvolta associati ad un no-me importante, poetico o evocativo,così da riscattarli e farli assurgere adun livello illusoriamente “nobile”. Proviamo a comporre un ideale

menu. Per creare l’illusione di porta-re in tavola carni pregiate: i “batsoà”,che dietro alla soavità del nome (dalfrancese bas de soie, calze di seta),celano piedini di maiale disossati,poi avvolti in panatura e fritti, piattorobusto e saporito; i “caponèt” (pic-coli capponi), involtini di verza ri-pieni di avanzi di carni e verdure; le“grive” (tordi), fegato fresco di maia-le unito a polmone e cuore, cucinatocon bacche e aromi, avvolto a pac-chettini nell’omento del maiale e frit-to. Ci sono poi le “quajette” (qua-gliette), involtini di cotica o di carnecon erbe; il “flan ed brod ed crin”,sformato di sanguinacci di sangue dimaiale; l’“orjion”, testina di maiale,compresa di orecchio, lessata, taglia-ta a fettine e ripassata in padella conpeperoni e con una salsa all’acetoaromatizzata. Per chiudere: la “supasabauda”, dietro il nobile nome sicela una semplice zuppa di vino, im-preziosita da un po’ di zucchero; il“pan canéj”, il pane diventa miraco-losamente un dolce grazie ad un’ag-giunta di fantasia e di quel poco digoloso che si possedeva (vino, zuc-chero, frutta secca...).Anche lo spirito popolaresco, a

volte dissacrante, trova posto nellaterminologia gastronomica contadina:pensiamo alla “saussa del povr’om”(salsa del pover’uomo), creata dalnulla con cipolle, aglio e scalogno,oppure alle “ciape d’nona” (natichedella nonna) che identificavano dellepesche cotte al forno o seccate.Questi piatti sono stati per lungo

tempo accantonati, in quanto evocativi

di tempi grami, di mense contadine, di”pasti da villani”. Scorrendo testi deisecoli passati, si nota come agronomiautorevoli, medici di corte, dietologid’antan facessero passare il messag-gio che il mangiare bene o male, leg-gero o pesante, non fosse legato albenessere individuale, ma costituisseun identificativo del ceto sociale. Venivano ventilate malattie a chi si

nutriva di cibi non consoni al propriostatus: i ricchi dovevano astenersi, adesempio, dalle frattaglie, mentre i po-veri dovevano evitare cibi raffinatiche non sarebbero stati in grado diassimilare. Ogni infrazione a quest’or-dine non costituiva solo un rischioper la salute ma un attentato all’ordi-ne costituito. Il pane era lo spartiac-que sociale, un vero e proprio statussymbol, la cui composizione identifi-cava, più di ogni altro alimento, il ce-to di appartenenza: pane di frumentoper i benestanti, pane di mistura e dicereali inferiori per i poveri.Già nel Trecento, il celebre agro-

nomo Piero de’ Crescenzi consiglia-va ai contadini, e a tutti coloro chesvolgevano un lavoro pesante, unpane fatto di sorgo, secondo lui“adattissimo anche per i porci, i buoied i cavalli”. Nel primo Settecento, agli albori

dell’Illuminismo, subentra un nuovosubdolo concetto, cioè che la popo-lazione contadina mangi male persua volontà, scegliendo cibi pesantie indigesti per risparmiare sullaquantità e scongiurare la fame. Si ra-senta il grottesco quando tale MarcoLastri, autore di opuscoli divulgativisull’agricoltura, insinua che il villanoè indotto a praticare una “rea econo-mia” per stupidità; per stupiditàmangia anche cibi avariati o noncommestibili, e non per disperazioneo fame come sicuramente accadeva.

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Questa perversa distorsione dell’in-formazione, dettata dall’opportuni-smo di un ceto dominante, ha con-notato e marchiato i “villani” permolto tempo e con essi i cibi da loroconsumati. Per fortuna, si parla ditempi lontani, ma indubbiamentel’ambizione ad un riscatto sociale piùo meno consapevole, unita a nuoviconcetti di dietetica, ha pian pianoallontanato dalle nostre tavole i cibiumili; alcuni cereali sono caduti indisuso e molte ricette dimenticate.Si deve alla trasmissione orale con-

tadina, alla volontà di pochi se que-sto bagaglio non si è perso del tutto.Con ostinazione e orgoglio, alcunetrattorie di campagna hanno conti-nuato a proporre piatti della tradizio-ne più antica, come quelli citati adesempio, magari ingentiliti e allegge-riti, ma pur sempre nel rispetto delleorigini. Dopo anni di benessere, dispensierata abbondanza e sicuramen-te anche di sprechi, il momento didifficoltà economica che stiamo vi-vendo ci sta lentamente riconducen-do a comportamenti etici e alimentari

più severi, costringendoci a ripensaree a ritornare a modelli e stili più so-bri, che inevitabilmente si riflettonoanche sulla spesa per il desco.Ben venga quindi la rivalutazione

o la riscoperta di quei cereali e diquelle parti animali che nessuno piùvoleva, di quella sapienza tramanda-ta nel saper “accomodare” un piattofino a renderlo gustoso e nutriente,anche se composto da elementisemplici o desueti.

ELISABETTA COCITOSee International Summary page 78

Winston Churchill, nel 1931, affermava che bisogna-va superare l’assurdità di allevare un pollo per poimangiare solo il petto o le cosce, mentre sarebbe statomeglio far crescere solo queste parti in un adatto am-biente, e che questo sarebbe avvenuto nei successivicinquanta anni. Quindi entro il 1981. Un’idea chenasceva dalla diffusione, in tutto il mondo occiden-tale, delle idee sulla nuova biologia, come quelle con-tenute anche nel libro di Aldous Leonard Huxley, fi-glio del biologo Thomas Henry, che proprio in queglianni pubblica il romanzo di fantascienza biologica“Il Mondo Nuovo” (Brave New World).Produrre alimenti, e soprattutto proteine, attraversole biotecnologie trova una prima realizzazione neglianni Settanta del XX secolo, e siamo a quaranta an-ni dopo la “profezia” di Winston Churchill. È in quelperiodo che nasce e si sviluppa il progetto industrialedi creare proteine (bioproteine) ricavandole da lieviticoltivati su alcani del petrolio o da batteri fatti cre-scere su metanolo ottenuto per sintesi. Questi progettisuscitano accese polemiche e sfumano di fronte alprogressivo aumento del prezzo del petrolio e del me-tanolo, ma soprattutto perché le coltivazioni di soia earachide, vegetali molto proteici, si dimostrano moltopiù vantaggiose, sicure e soprattutto ricche di signifi-cati e valori tradizionali.Oggi l’ipotesi o il mito di produrre carne in laborato-rio, per poi trasferire il sistema su scala industriale,sembra risorgere (Bryan Walsh, Grow a burgher, Ti-me, 25 marzo 2013). A questo proposito e per un lorouso si è già creato il termine di “Frankenburger” o“Hamburger di Frankenstein” o “Franken Nuggets”,perché s’ipotizza che la “carne”, così ottenuta, sarebbedestinata soprattutto ad un’alimentazione a basso co-sto e di massa. Indubbiamente, oggi, le conoscenze dibiologia sono molto migliori di quelle di solo qualchedecennio fa, e coltivare e produrre cellule muscolari(“carne”) in laboratorio è certamente molto importan-

te per l’avanzamento della conoscenza. Questo non si-gnifica che sia poi possibile anche sotto l’aspetto econo-mico, oltre che di qualità, per arrivare alla produzio-ne industriale. Il semplice sviluppo della tecnologiasembra oggi richiedere un investimento di centomiladollari. Quanto avvenuto con le bioproteine degli an-ni Settanta e Ottanta del secolo scorso, dovrebbe peròinsegnare che non tutto quello che è ipotizzabile oanche realizzabile in una provetta di laboratorio èpoi applicabile industrialmente e, soprattutto, accet-tato dai consumatori. Oltre ai costi, essenziale e deci-siva è l’opinione dei consumatori riguardo agli “ali-menti sintetici”, soprattutto quelli di alto valore sim-bolico come la carne. Già vediamo come i coloranti egli aromi di sintesi non sono graditi, e in che modo lecarni separate meccanicamente (CSM) suscitanoproblemi: figurarsi il modo in cui sarebbe vista una“carne chimica”! Altrettanto importante è la qualitàdi questa ipotetica “carne”: ma potremo chiamarlaancora carne? Quale sarebbe il suo aroma e soprat-tutto la sua struttura, che ne determina la texture ecioè consistenza, tenerezza e via dicendo? Produrrecellule muscolari non significa produrre anche ilconnettivo che le tiene unite e determina importanticaratteristiche della carne, basta pensare alle diffe-renze che vi sono tra la carne di un animale allevatoall’aperto e in movimento e quella di un animale chesta sempre fermo! Non è certamente un caso che sipensi di usare questo eventuale alimento proteico ne-gli hamburger, dove già sono usate le CSM di pollo,carni completamente destrutturate, e dove il prezzo èdecisivo. Inoltre, ben difficilmente il costo di produ-zione di questo nuovo, ipotizzato alimento proteicosarà inferiore alla vera carne naturale. Quanto av-venuto per le bioproteine dovrebbe insegnare!Un pericolo in pratica inesistente o ancora solo moltolontano? Forse, ma non è male vigilare e tenere altal’attenzione! (G.B.)

CARNE SINTETICA, GRAZIE NO!

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L’acustica nei ristorantiDI MAURIZIO CAMPIVERDI

Delegato di Bologna-San Luca

Erano forse tutti dei genidella insonorizzazione

i ristoratori di un tempo?

È capitato a tutti noi di sedersi altavolo di un ristorante e scopri-re, inorriditi, che si è soverchia-

ti da un frastuono terribile e rimbom-bante che ci costringe a cercare dileggere sulle labbra le parole chepronuncia il nostro dirimpettaio. Ciguardiamo intorno e notiamo una sa-la quasi piena di persone apparente-mente civili, senza la presenza di co-mitive scomposte e vocianti. Tuttisembrano parlare a bassa voce, male loro parole rimbalzano sulle pare-ti, deflagrano sul soffitto e ripiomba-no su di noi amplificate e fastidiosa-mente fragorose. Come è possibile tutto ciò, specie

in ristoranti di recente apertura, in unmondo che va sempre di più verso laparcellizzazione di ogni possibilecompetenza? Il gestore di un localeprossimo al debutto non si dovrebbepreoccupare soltanto della cucina,del servizio e dell’ambiente, ma do-vrebbe estendere la sua attenzioneall’illuminazione, anche qui quantipunti dolenti, e alla insonorizzazioneche è di importanza fondamentale,perché al ristorante si va non soltan-to per mangiare ma anche per socia-lizzare e quindi conversare. Ogginon mancano correttivi tecnici, nonparticolarmente costosi e invasivi,che attenuano in maniera sostanzialei problemi di acustica e che restitui-scono, pertanto, ad una sala vocataal cibo la sua complementare funzio-ne conviviale.Esaminiamo due città che conosco

molto bene: Bologna e Parigi. A Bo-logna tutti i locali storici non hannoproblemi di acustica. Sarà perché isoffitti sono alti, spesso a volta; saràperché vi sono tendaggi e bottigliealle pareti, ma un fatto è certo: an-che a sala stracolma si conversa age-volmente. Assai diverso è il caso di

ristoranti recenti. Uno è emblemati-co. È stato aperto in città un localeche può accogliere sino a 400 com-mensali in un’unica sala, non dimen-tichiamo che Bologna è città fieristi-ca. Questa sala è divisibile, da paretimobili, in 4 sezioni e in questo casol’acustica è accettabile. Quando, pe-rò, si utilizza l’intera vastissima su-perficie, è un disastro. È evidente che l’acustica non vie-

ne considerata una priorità. Per mol-ti piccoli ristoranti, aperti con entu-siasmo e spirito di sacrificio da gio-vani gestori, la situazione è analoga.Una considerazione si impone: èprobabile che in passato venisseroadibiti a ristorante locali già preven-tivamente idonei e non riciclati daaltre attività quali negozi e uffici.Analogo il discorso per Parigi che,

forse, continua ad essere la capitalemondiale della ristorazione. Non vi èun solo ristorante antico e nessunadelle tipiche brasserie che abbianoproblemi di acustica. Erano forse tut-ti dei geni della insonorizzazione iristoratori di un tempo? Non mi parepossibile! Nei ristoranti di aperturarecente invece, anche qui i probleminon mancano. Il più emblematico èil caso di un ristorante, aperto seianni fa nel quartiere latino, che haconquistato quest’anno la secondastella Michelin. È assolutamente im-possibile conversare. È vero che es-sere sordi offre il vantaggio di nonsentire molte sciocchezze, ma essereassordati mentre si mangia non ètollerabile. I clienti dovrebbero ribel-larsi! Per quanto concerne noi Acca-demici, dovremmo scartare senzaesitazione tutti quei locali che, perproblemi di acustica, rendono im-possibile una normale e civile con-versazione.See International Summary page 78

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Frugalità di PinocchioDI FRANCESCO RICCIARDI

Il burattino di Collodi è parco e sensibile.

Se preoccupato o preso da pensieri perde l’appetito,

se affamato si adatta a mangiare di tutto. Ma sa essere anche schifiltoso; alla fine

mangia quello che c’è manon prima di avere opposto

una certa resistenza.

I n occasione dei 150 anni dell’Uni-tà d’Italia e del coincidente cente-nario della morte di Pellegrino Ar-

tusi (2011), si è molto parlato dei li-bri che hanno contribuito alla forma-zione di una nostra identità naziona-le. Si è anche detto come il successotravolgente de “La scienza in cucinae l’arte di mangiar bene” (1891, quat-tordici edizioni nei primi vent’anni),ne abbia fatto uno dei libri più diffu-si nelle case degli italiani, sui cuiscaffali il celebre manuale di cucinaandava a occupare un legittimo po-sto accanto a “I Promessi Sposi”(1840, versione definitiva), a “Cuore”(1886), a “Pinocchio” (1883).È di quest’ultimo, capolavoro di

Collodi, al secolo Carlo Lorenzini,che desideriamo ora occuparci.Qualcuno lo ha definito la primapresenza di una nuova didattica li-bertaria e di una nuova gioventù. Sipuò essere d’accordo o meno ma in“Pinocchio” c’è anche dell’altro, qual-

cosa che tocca più direttamente an-che le persone più mature, la cui for-mazione didattica, buona o cattivache sia stata, è ormai cosa fatta e lacui fanciullezza è solo un ricordo. Nel narrare le avventure del burat-

tino più famoso del mondo, infatti, ilsuo artefice parla anche di altro, co-me di cucina, e non da sprovveduto.Collodi lo fa qua e là, citando orapiatti comuni ora preparazioni piùelaborate, proprie della nascente bor-ghesia nazionale più che del popolo,ma lo fa sempre con notazioni pun-tuali, quasi da esperto della materia.Della conoscenza di alcune prepa-

razioni “borghesi”, per esempio, l’au-tore dà un saggio nel capitolo 13,quando fa sedere Pinocchio, in com-pagnia del Gatto e della Volpe, al ta-volo dell’osteria del “Gambero Ros-so”. I tre sono stanchi morti: “Fer-miamoci un po’ qui - disse la Volpe -tanto per mangiare un boccone eper riposarci qualche ora”. Con la consueta ironia, Collodi rife-

risce come, una volta seduti a tavola,nessuno di loro affermasse di averegrande appetito: “Il povero Gatto,sentendosi gravemente indisposto distomaco, non poté mangiare altroche trentacinque triglie con salsa dipomodoro e quattro porzioni di trip-pa alla parmigiana: e perché la trippanon gli pareva condita abbastanza, sirifece tre volte a chiedere il burro e ilformaggio grattato!”. La Volpe, poi,«avrebbe spelluzzicato volentieri qual-che cosa anche lei: ma siccome ilmedico le aveva ordinato una gran-dissima dieta, così dové contentarsi diuna semplice lepre dolce forte, conun leggerissimo contorno di pollastreingrassate e di galletti di primo canto.Dopo la lepre, si fece portare per tor-nagusto un cibreino di pernici, distarne, di conigli, di ranocchi, di lu-

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certole e d’uva paradisa; e poi nonvolle altro. Aveva tanta nausea per ilcibo, diceva lei, che non poteva ac-costarsi nulla alla bocca”. La ricetta della “lepre dolce forte”

è presente anche nell’Artusi, l’epocaè quella... È un piatto complesso,piuttosto robusto, che richiede unalunga preparazione. La pietanza, abase di selvaggina, è propria di

un’alimentazione di lusso e la salsautilizzata, il “dolce forte”, è compo-sta da uvapassa, cioccolata, pinoli,canditi a pezzetti, zucchero e aceto.Anche il contorno a base di pollame(che però non sappiamo come fossecucinato) rafforza l’idea di un pastodi tipo elitario.Ma alla Volpe non basta, poiché

“per tornagusto” si fa portare un ci-breino “di pernici, di starne, di coni-gli, di ranocchi, di lucertole, e d’uvaparadisa”. Si tratta del “cibreo”, spe-cialità toscana, una sorta di fricasseadi rigaglie di pollo (a cui talvoltavengono aggiunti anche creste e bar-gigli), cotta nel coccio e servita caldasu crostini. Neanche di questo piattoArtusi tralascia di inserire la ricetta,definendolo però come un “intingo-lo semplice, ma delicato e gentile,opportuno alle signore di stomacosvogliato e ai convalescenti”. Il deli-cato piatto artusiano non è, dunque,il cibreino ordinato dalla Volpe...Di fronte a tanta voracità l’ironia di

Collodi sta tutta negli aggettivi e nei

diminutivi: “semplice” lepre, “legge-rissimo” contorno. Il cibreo diventa“cibreino” per contrapposizione conla ricchezza del piatto: starne, perni-ci, conigli... tralasceremo lucertole eranocchi, che appartengono alla di-mensione fantastica del racconto. Al contrario della Volpe, il Gatto si

rivolgerà a preparazioni più popolarie di uso comune, accontentandosi di

triglie al pomodoro (ma trentacin-que) e di una supercondita trippa al-la parmigiana che, come sostienel’Artusi, “comunque cucinata e con-dita, è sempre un piatto ordinario”. Chi all’osteria del “Gambero Rosso”

aveva davvero scarso appetito eraproprio Pinocchio: col pensiero fissoal Campo dei miracoli, «chiese unospicchio di noce e un cantuccino dipane e lasciò nel piatto ogni cosa».Tra i piatti di cucina borghese pre-

senti nel libro vanno anche ricordatii petti di pollo e il cappone in galan-tina citati nell’episodio di Pinocchiotrasformato in somaro (capitolo 33),dove al rifiuto del burattino di nutrir-si appunto da somaro, mangiandocioè paglia e fieno, il direttore dellacompagnia dei pagliacci chiede sfer-zante (non solo in senso figurato) seun quadrupede come lui pretendes-se di essere mantenuto «a petti dipollo e cappone in galantina» . E così un affamato Pinocchio si

adatterà a mangiare ciò che c’è nellagreppia, accorgendosi, come è ov-

vio, «che il sapore della paglia tritatanon somigliava punto né al risottoalla milanese, né ai maccheroni allanapoletana». Cappone in galantina, risotto alla

milanese, maccheroni alla napoleta-na... sono tutte pietanze della cucinaborghese, più o meno sofisticate madalla preparazione articolata, ricchedi sapori e di odori. Non è roba daPinocchio, per lui ci sono il fieno ela paglia. Come ha acutamente fatto notare

Mariano Fresta (“Interni e dintornidel Pinocchio”, dal Convegno “Fol-kloristi italiani del tempo del Collo-di”, 1986), nella favola di Pinocchio,l’aspetto realistico e quello fiabescovivono in stretta simbiosi; anzi, sipuò dire che l’originalità e la naturapoetica dell’opera collodiana stianoproprio in questa commistione difantasia e realtà: da un lato, la fale-gnameria di mastro Ciliegia, i carabi-nieri, la scuola... dall’altro, gli anima-li parlanti, la fata Turchina, il pesce-cane eccetera. Realtà e favola, duepiani che non si sovrappongono macoesistono, intrecciandosi tra loro:dalla realtà scaturisce l’immaginarioe viceversa, senza soste, fino alla fi-ne; e in questo quadro capita che ipersonaggi realistici e fantastici man-gino e bevano cibi ora fantastici ora“normali”, quelli cioè che apparten-gono all’alimentazione umana. Fin qui sono stati presi in esame

un paio di casi in cui fanno la loroapparizione piatti di una cucina nonquotidiana (almeno per le classi so-ciali in cui si collocano i personaggidella storia). Collodi, però, cita an-che una serie di cibi e di pietanzeche appartengono proprio all’ali-mentazione quotidiana, specialmentequella delle classi meno agiate.Proprio questi ultimi, cibi modesti,

se non perfino poveri, sono gli uniciche Pinocchio e i personaggi realisti-ci del libro mangiano effettivamente(o, almeno, sono i soli che hannorealmente a disposizione). Se ne co-mincia a parlare fin dal primo capi-tolo, in cui vediamo un pensoso Ma-stro Ciliegia, al cospetto del pezzo di

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legno che sarebbe divenuto il burat-tino, considerare che questo potreb-be essere sufficiente a «far bollireuna pentola di fagioli», alimento,quest’ultimo, da sempre alla basedella dieta contadina.Nel capitolo 5, invece, Collodi si

sofferma sull’uovo, altro cibo di tuttii giorni, spingendosi a proporne per-fino alcuni modi per cucinarlo. Ve-diamo così un affamato Pinocchio,con un solo uovo a disposizione,chiedersi indeciso: «Ne farò una frit-tata... no, è meglio cuocerlo nel piat-to... o non sarebbe più saporito se lofriggessi in padella? o se invece locuocessi a uso uovo da bere?... No,la più lesta di tutte è di cuocerlo nelpiatto o nel tegamino...». Presa la de-cisione, il burattino «pose un tegami-no sopra un caldano pieno di braceaccesa, mise nel tegamino, inveced’olio o burro, un po’ d’acqua, equando l’acqua principiò a fumare,tac!... spezzò il guscio dell’uovo e fe-ce l’atto di scodellarvelo dentro». Il lettore viene dunque informato

anche sulle operazioni da compiereper cucinare un uovo in tegamino;che poi l’Autore, dopo il clima d’at-tesa creato dall’elenco delle opera-zioni necessarie alla preparazione,manifesti una sua “dote” particolare,

quella della crudeltà, facendo uscireun pulcino dall’uovo (rendendolodunque inefficace per placare la fa-me di Pinocchio) è un altro discorso.Alla fine il burattino si dovrà accon-tentare delle tre pere a disposizione,mangiandosele però per intero, buc-ce e torsoli compresi. Del resto, per tutto il racconto del-

le avventure che lo riguardano, Pi-nocchio sarà sempre costretto ad ac-contentarsi di cibi basici, anchequando ci sarebbe la possibilità dimangiare meglio: abbiamo vistoquanto accaduto all’osteria del Gam-bero rosso dove, pur potendo ordi-nare piatti prelibati, si è accontentatodi «uno spicchio di noce e un can-tuccio di pane», poi neppure toccati.Se ricordiamo poi l’“uva paradisa”mangiata dalla Volpe in quell’occa-sione, possiamo apprezzare megliola frugalità del burattino a cui, nelcapitolo 22, basterebbero “pocheciocche” di uva moscatella, una va-rietà di un certo pregio ma comune,niente a che vedere con la ricerca-tezza dell’uva ordinata dalla Volpe.Pinocchio - lo abbiamo visto - è

parco e sensibile. Se preoccupato opreso da pensieri perde l’appetito, seaffamato si adatta a mangiare di tut-to. Ma sa essere anche schifiltoso; al-la fine mangia quello che c’è ma nonprima di avere opposto una certa re-sistenza. Come quando, trasformatoin somaro, viene costretto a mangia-re paglia tritata oppure quando (ca-pitolo 24) viene sfamato da “unabuona donnina” che gli offre del pa-ne e «un bel piatto di cavolfiore con-dito con l’olio e l’aceto». Nonostantela fame Pinocchio resta interdetto, ilcavolfiore proprio non gli piace e so-lo la promessa di «un bel confetto ri-pieno di rosolio» lo convincerà. Accanto ai cibi ricchi e ai cibi po-

veri c’è un terzo modo - è sempreFresta a farlo notare - con il qualeCollodi affronta l’argomento gastro-nomico e sta nell’uso delle espres-sioni tratte dal lessico alimentare.Queste, in generale, vengono ado-perate in funzione metaforica attin-gendo, di solito, alla tradizione ali-

mentare quotidiana, in prevalenzapovera: Mastr’Antonio viene chiama-to da tutti “maestro Ciliegia” «per viadella punta del suo naso che erasempre lustra e paonazza come unaciliegia matura» e Geppetto è so-prannominato d’ufficio “Polendina”per via «della sua parrucca gialla chesomigliava moltissimo alla polendi-na di granturco». Nel capitolo 34 Collodi, nel descri-

vere Pinocchio nell’atto di venire in-goiato dal Pescecane, scrive che «ilmostro, tirando il fiato a sé, si bevveil povero burattino come avrebbe be-vuto un uovo di gallina». Nel capitoloseguente Geppetto, nel raccontare alburattino come si fosse venuto a tro-vare nel ventre del grande pesce, ri-ferisce che questi, «tirata fuori la lin-gua, mi prese pari pari e m’inghiottìcome un tortellino di Bologna». Sem-pre nella stessa situazione, stesso ca-pitolo, Pinocchio sente i piedi sguaz-zare «in una pozzanghera d’acquagrassa e sdrucciolona, e quella sape-va di odore così acuto di pesce fritto,che gli pareva d’essere a mezza qua-resima». La qual cosa informa ancheil lettore di oggi che a quel tempo ein quel periodo dell’anno, in osse-quio alle prescrizioni di magro detta-te dalla chiesa cattolica, veniva abi-tualmente cucinato pesce fritto, il cuiprepotente odore, evidentemente,permeava di sé le dimore più umili.Sarebbe lungo elencare tutti i modi

di dire legati all’alimentazione usati in“Pinocchio”. Ne citeremo, per conclu-dere, solo altri tre: quello del capitolo14, quando il burattino afferma chenon intende «fare la fine del piccionearrosto»; del capitolo 25, quando si la-menta, usando un’espressione del lin-guaggio comune (che forse si deveallo stesso Collodi) di essere «semprerimasto alto come un soldo di cacio»;del capitolo 31, nel quale, per defini-re il modo in cui un gruppo di ragaz-zini è caricato su un carretto, vieneusata l’espressione «ammonticchiatigli uni sugli altri come tante acciughein salamoia».

FRANCESCO RICCIARDISee International Summary page 78

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Cultura e dintorniDI GIORGIO CIRILLIDelegato del Tigullio

Considerazioni sullo stato attuale

della cultura del cibo.

I l termine cultura trae origine dal la-tino colere, nel primitivo significatodi coltivare: ecco che tutto ritorna

al nostro bisogno primario di alimen-tarci. Da che mondo è mondo, il pro-blema dei problemi è stato sempre ri-conducibile alla necessità quotidianadi assumere il cibo per soddisfare lafame. Il cibo è il carburante con ilquale la macchina uomo funziona, al-meno un “pieno” al giorno (circa2500/3000 calorie): senza, si muore!Non è qui il caso di considerare lepratiche ascetiche o i digiuni. La famenel mondo è presente e assilla lamaggior parte dei sette miliardi di abi-tanti del pianeta; perfino in Italia cre-scono i furti di prodotti alimentari neisupermercati per il dilagare delle nuo-ve povertà. Mentre oggi le statistichefissano in oltre 80 kg il consumo an-nuale di carne a persona, nel 1870 eradi circa 15 kg. La ricerca del cibo ani-

male o vegetale, con la caccia o laraccolta, poi razionalizzata con l’alle-vamento e la coltivazione, ha consen-tito all’evoluzione umana un progres-so civile. In conseguenza, la cultura,in senso antropologico, è il comples-so non solo delle manifestazioni dellavita materiale ma diviene espressionesociale e spirituale di un popolo nelsuo sviluppo storico. “Dimmi cosamangi e ti dirò chi sei!”. La cultura delcibo è un carattere distintivo di epo-che e gruppi sociali. La gerarchia è ri-gorosa: il pranzo reale, le mense degliaristocratici e degli ecclesiastici, la ta-vola dei borghesi e, alla fine della ca-tena, il desco dei poveri. Anche oggilo studio dell’alimentazione di unacomunità fornisce importanti indica-zioni sullo stato della società, il suogrado di integrazione e il suo livellodi salute. L’annullarsi della storia nellapura e semplice contemporaneità faperdere la cognizione del passato,anche recente. La civiltà urbana, dila-gata nel mondo occidentale, Italiacompresa, ha visto la maggioranzadella popolazione concentrarsi nellecittà, con il conseguente annullamen-to del rapporto secolare tra città ecampagna, sempre più spopolata eabbandonata ad un degrado ambien-tale disastroso. Ogni giorno vengonourbanizzati circa 370 ettari! Le nuove

generazioni, nella grande maggioran-za, non hanno mai visto gli animalidal vivo, escludendo quelli domestici,ma solo le loro immagini. Incerte om-bre proiettate nella parete di fondodella caverna di platonica memoria.Non sanno riconoscere gli alberi ehanno perfino difficoltà a indicarne lereali misure. Le ciclicità stagionali e lefasi lunari restano conoscenze relega-te al 3% di popolazione che si occupadi agricoltura. La scomparsa delle bot-teghe, la stentata sopravvivenza dibancarelle e mercati rionali, dovuta al-l’invasione della grande distribuzione,ha drogato abitudini alimentari stori-che. Oggi, in ambito alimentare, trovitutta una sorta di prodotti e cibi estra-nei, etnici, artatamente tradizionali; lastagionalità dei prodotti è rimossa.Quello che arriva sulla tavola, il piùdelle volte, non sai da dove arriva: ènaturale? È artefatto? È Ogm? Assistia-mo ad un progressivo processo di mi-tridatizzazione, a base di inquinanti,insetticidi e fertilizzanti e chissà se nescamperemo. Il nostro Dna, plasmatoda generazioni, rischia; l’organismo,fino a 50-60 anni fa, assumeva cibisperimentati da secoli o anche millen-ni, ora ci stiamo avviando a digerireanche la plastica! Alla fine ci trovere-mo tutti “sottovuoto”.See International Summary page 78

L’Accademia ha fatto realizzare un piatto in silver plate, in formatogrande ed elegante, che reca inciso, sul fondo, il tempietto accademi-co, il tutto circondato da una corona di stelle traforate che intendonorappresentare l’universalità della nostra Accademia. Questo oggettosimbolico è consigliato come omaggio da consegnare ai ristoratori vi-sitati che si siano dimostrati particolarmente meritevoli. Per ogni ulte-riore notizia in merito e per le eventuali richieste i Delegati possono ri-volgersi alla Segreteria di Milano ([email protected]).

IL PIATTO D’ARGENTO DELL’ACCADEMIA

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L’importanza di chiamarsi…DI GIORGIA FIENI

Ricercatrice in Scienze e TecnologieAlimentari - Università di Parma

Un appellativo tende a personalizzare, anche in cucina,

un elementoin mezzo ad altri simili.

A vrebbe detto Oscar Wilde,autore della commedia“L’importanza di chiamarsi

Ernesto”, rappresentata per la primavolta a Londra il 14 febbraio 1895:“Ma cos’è un nome?”. Gli avrebbepotuto rispondere William Shake-speare, tre secoli prima (visto che il“Romeo e Giulietta” è stato compo-sto nel 1594-96): “Quella che noichiamiamo rosa, anche con un altronome conserva sempre il suo profu-mo”. Eppure, un appellativo tendea personalizzare, a far riconoscereun elemento in mezzo ad altri simi-li. Anche in cucina. Esistono, infatti, determinate pre-

parazioni, soprattutto della gastro-nomia classica, che sono state de-nominate con una particolare termi-nologia, poi universalmente ricono-sciuta, e che bisognerebbe conosce-re per potersi correttamente avvici-nare alla materia. Si tratta di un ar-gomento particolarmente interes-sante e capace di destare molta cu-riosità, in quanto abbraccia diversirami dello scibile umano. Iniziamo dalla geografia. La pre-

parazione “all’americana” (anche seè dubbia l’origine del vocabolo: siriferisce all’omonimo continente oad Armorica, sito localizzato tra lefoci della Senna e della Loira?) è ri-servata ai crostacei. Anche New-burgh crea problemi di locazione,visto che in molti Stati americaniesiste una cittadina col medesimonome, ma non di attribuzione: an-che questi sono crostacei, ma primafarciti a crudo con salse piccanti epoi riposti accuratamente nel pro-prio guscio. Nessun dubbio invecese leggiamo “alla bolognese” perchépensiamo subito alle lasagne e alletagliatelle, entrambe condite da unsaporito sugo a base di carne, e co-

sì dovrebbe essere, anche se negliultimi anni il termine è stato più ge-neralmente attribuito a preparazionisaporite e corpose che ricordano “lagrassa” Bologna. Lo stesso dicasi per “alla piemon-

tese”, che è genericamente conces-so a specialità a base di riso (ancorapiù evidente se nella ricetta è indi-cata la compresenza del tartufo),per “alla greca”, riguardo le cotturein court bouillon di olio, limone ederbe aromatiche; per “alla parmigia-na” nelle quali non può mancarel’omonimo formaggio e per “allaparigina”, attribuibile a tutte quellecontraddistinte da raffinatezza esontuosità. Differente invece è il ca-so di “alla norvegese”, l’omelettesoffiata en surprise e farcita con ungelato che, a dispetto del nome, èinvece comune in tutto il territoriofrancese. Geograficamente moltoben localizzato è il castello di Belle-vue, di proprietà della marchesa diPompadour: lì la bella cortigiana ri-ceveva il Re Sole Luigi XIV, incan-tandolo anche con le sue doti culi-narie, ben esplicitate da medaglionidi pesce o carne, decorati con ma-ionese, uova sode, dadini di tartufoe verdure intagliate e coperti da ge-latina: una tale magnificenza anchenella presentazione oggi la chiamia-mo appunto “in bellavista”. Sempre in territorio francese, ma

a poca distanza da Parigi, è situatoMontmorency, famoso per le sueaigrelettes, ottime se sotto spirito: sidice siano così gustose che col no-me della località vengano battezzatetutte le preparazioni a base, appun-to, di ciliegie. E lo stesso dicasi perArgenteuil, dove invece è prosperala coltivazione di asparagi. Nellastessa Parigi, poi, si trova l’ippodro-mo Longchamp, nei pressi del Bois

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de Boulogne, ed evidentemente co-là veniva servito un ottimo potagedi piselli, panna, tuorli d’uovo evermicelli, se quel titolo è passatoalla storia, così come la bourgui-gnonne, il cui elemento caratteriz-zante è l’utilizzo, in cottura, del vi-no rosso locale. Per l’ultimo luogo storico della

nostra lista, ci spostiamo dall’altraparte dell’oceano per la Waldorf-Astoria, un’insalata di sedano rapa,mele renette, mandorle, maionese,limone, sale, pepe, battezzata inonore dell ’omonimo albergo diNew York in cui era solita essereservita, all’inizio del XX secolo.Passiamo ora ai personaggi storici.

A Otto von Bismarck (1815-1898),primo cancelliere dell’Impero tede-sco, il quale ha dato il nome a unabistecca sormontata da un uovo frit-to: una pietanza energetica e robu-sta che ben rappresenta il suo carat-tere e il territorio su cui esercitava lasua carica politica. A Karl Vasil’evicNesselrode (1780-1862), diplomaticoe politico russo, che ha ispirato (manemmeno il dizionario Larousse sa ilperché) pietanze che contengonomarroni, sia in purezza che in pu-rea. A Maximilien de Robespierre(1758-1794), celebre rivoluzionarioche terminò la sua esistenza sotto lalama di una ghigliottina: si dice chenella cesta che conteneva la sua te-sta fossero stati posti aglio, rosmari-no e pepe verde, così da confonder-la con quella di un maiale. L’episo-dio caratterizza perciò una bisteccapiuttosto alta e cotta in modo che ri-sulti arrostita all’esterno e al sangueall’interno, insaporita dai medesimiaromi. A Gioacchino Rossini (1792-1868), noto per le sue innegabili do-ti sia di compositore sia di buongu-staio, che ricordiamo nelle prepara-zioni a base di fegato grasso e tartu-fi neri, i suoi cibi preferiti, passioneche condivideva col principe AnatoliDemidoff (1813-1870), il quale ap-prezzava pure pollo o fagiano salta-to in padella e servito in mezzo alriso. A Maria Walewska (1786-1817),amante di Napoleone Bonaparte,

pensiamo quando assaggiamo filettidi sogliola guarniti con fette di ara-gosta in salsa Mornay (è una bescia-mella al formaggio). Al conte Saint-Germain (1712-1784), alchimista eavventuriero, ricordato nelle prepa-razioni a base di piselli… pure se neignoriamo la motivazione, così co-me poche certezze abbiamo sullasua figura. Agli stivali di Arthur Wel-lesley (1769-1852), duca di Wellin-gton, perché quest’immagine è statadeterminante la prima volta che èstato gustato un filetto avvolto inpasta sfoglia e farcito con prosciuttocrudo e foie gras. A Jean-BaptisteColbert (1619-1683), politico ed eco-nomista, perché gli sono stati dedi-cati i filetti di sogliola impanati efritti nel burro “maître d’hôtel” (alleerbe). A Camillo Benso Conte di Ca-vour (1810-1861), politico e patriota,a cui sono ispirate ben due ricette:le crocchette di semolino fritte e lefettine di polenta, fritte e ricopertedi carne nappata del proprio fondodi cottura, servite con un accompa-gnamento di funghi alla griglia e pu-rè di fegatini di pollo. A Honoré Ga-briel Riqueti de Mirabeau (1749-1791), politico e agente segreto, fa-moso per aver scritto “Solo gli imbe-cilli non cambiano mai opinione” eper pietanze in cui compaiono leacciughe.Non mancano appellativi di origi-

ne francese, ereditati da quel mo-mento storico in cui, Oltralpe, la ga-stronomia aveva raggiunto i massimilivelli e i menu in tutto il mondoerano scritti in francese. Alcune del-le portate in essi presenti sono statecapaci di superare le epoche succes-sive e di giungere intatte fino a noi.Come il magret, petto d’anatra cottoal sangue in padella o alla griglia; lapaille, patatine tagliate a julienne fi-nissima (sottili quanto fili di paglia,appunto) e fritte; la ramequin, pre-parazione al forno a base di formag-gio (ma nei tempi moderni ci si rife-risce per lo più ad un contenitore didiametro 8-10 cm e altezza 4-5 cm,in ceramica, adatto appunto alla cot-tura in forno); la soubise, purea di

cipolle; la suprême, filetti (un tempoerano solo petto e inizio d’ala disos-sati dei volatili, poi petto di selvag-gina e infine pure pesci fini qualisogliola e rombo) serviti con salsee/o tartufo; il chaud-froid, carne opesce coperti dalla salsa omonima(una vellutata calda, aggiunta a fred-do, di panna e gelatina) che deve ilsuo nome al maresciallo di Lussem-burgo, il quale così battezzò una fri-cassea di pollo in salsa bianca che,per ragioni di stato (la convocazioneal Consiglio del Re - correva l’anno1759) aveva dovuto consumare nonal momento in cui gli era stata servi-ta, bensì diverse ore dopo. E anco-ra, il confit, detto di ogni alimentoda cuocersi e conservarsi nei proprisucchi; il coulis, relativo ad una pas-sata di frutta, verdura o crostacei; lamarquise, una bevanda di vinobianco, zucchero, selz e fette di li-mone, ma anche granite di frutta ogelati presentati con una guarnizio-ne di panna montata o crema ingle-se; la reine, pollame accompagnatoda animelle di vitello e/o funghi,tartufi, uova; la bisque, brodo di cro-stacei sovente arricchito con burro epanna.Tutte specialità degne di una cu-

cina di rango elevato o di una hau-te cuisine, niente da dire. Perché èin ambienti aristocratici che si è fat-ta strada la gastronomia francese.Quella italiana, invece, è cresciutadalla fantasia dei meno abbienti,che si sono ritrovati a dover arran-giare pasti nutrienti con ciò cheavevano a disposizione (ovvero,quello che nel tempo verrà conside-rato il più ricco e variegato patrimo-nio gastronomico del mondo). E lafantasia manifestata nel crearli è sta-ta anche ovviamente messa a dispo-sizione delle relative denominazio-ni. Indichiamo perciò con “capric-ciosa” la preparazione che richiedeverdure sott’olio o sott’aceto, per-ché il condimento regala un indefi-nibile gusto in più. Con “diavola”sia la cottura sulla fiamma, com’èproprio degli inferi, sia le pietanzeparticolarmente ricche in peperonci-

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no o in spezie o composti ugual-mente… infiammabili. Pellegrino Ar-tusi, presentando il Pollo alla diavo-la, ne esprime bene il significato: “Sichiama così perché si dovrebbecondire con pepe forte di Cayennae servire con una salsa molto pic-cante, cosicché, a chi lo mangia, nelsentirsi accendere la bocca, verreb-be la tentazione di mandare al dia-volo il pollo e chi l’ha cucinato”.Con “boscaiola”, la presenza di fun-ghi, e la motivazione è evidente. In-vece, sempre per rimanere in tema,il significato di “cacciatora” è dupli-ce: in Italia settentrionale, gli ingre-dienti sono cipolla, pomodoro, lar-do o pancetta, funghi; in quella cen-trale aceto, aglio e rosmarino… seb-bene in entrambi i casi la rusticitàdella preparazione non sia in di-

scussione. A proposito, col termine“rustico” è piuttosto immediato ilpensare al pane farcito e/o presen-tato con modalità non troppo raffi-nate. E intendiamo più o meno lostesso concetto quando definiamouna ricetta “alla carrettiera” o “allapaesana”, anche se il termine fran-cese paysanne è invece proprio diuna dadolata di verdure utile perminestre, brasati e fondi di cotturain genere. Con “bomba” invece ci ri-feriamo a preparazioni ipercalori-che, quali il krapfen fritto e farcitocon creme, oppure l’omonima pie-tanza emiliana, a base di riso e umi-do di piccione. Con “nido” due ri-cette, una raccolta nell’altra, comepuò essere la pasta lunga o le stri-scioline di frittata o di patate colproprio condimento. Se quest’ultimo

è un intingolo di farina e burro, lodefiniamo “alla mugnaia”; se di salsadi pomodoro ed erbe aromatiche,“alla marinara”; se di frutti di mare,sugo di pomodoro, aglio e basilico“alla pescatora”. Ma se è tutta la pre-parazione a risaltare per varietà diforme e colori, allora sarà un “giar-dinetto” (ed è la stessa ispirazionebucolica a designare il tradizionalecontorno di sottoli e sottaceti).La fantasia degli italiani riesce

dunque a portare avanti una tradi-zione non solo gastronomica maanche storica, ricordandoci che il ci-bo non è solo sinonimo di mangia-re, ma anche di storie. E le denomi-nazioni sono il titolo perfetto pertutti questi racconti.

GIORGIA FIENISee International Summary page 78

Mi trovavo in visita a Mantova in compagnia di ami-ci. La bellezza del Palazzo Ducale e le raffinatezzedel Palazzo Tè avevano dato a tutti l’impressione ditornare indietro nel tempo. Sugli affreschi del Mante-gna ci sembrava di ritrovare i visi di quei personaggiche furono protagonisti di un’epoca in cui le cortiitaliane erano le prime d’Europa. La mensa sontuosadegli dei, raffigurata da Giulio Romano, riportava ilnostro pensiero a un’epoca in cui il banchetto era ilvero protagonista della vita sociale. La marchesanaIsabella Gonzaga sembrava invitarci alla sua mensasu cui brillavano i vetri veneziani, le ceramiche diFaenza e gli argenti elegantissimi nella forma. Elabo-rate costruzioni in zucchero e centri tavola, ideati daarchitetti famosi, decoravano la tavola. Fra le innu-merevoli portate, immaginammo di vedere un enor-me piatto dal colore ambrato ripieno di tortelli profu-mati, dolci e saporiti: i tortelli di zucca. L’atmosferaera impregnata di umori caldi e intensi e non pote-vamo pensarla senza quel piatto “d’oro” che è l’orgo-glio di Mantova. In questa città i tortelli di zucca sipreparano da tempo immemorabile. Usciti dal Palazzo Ducale, pensammo che fosse giun-to il momento di andare al ristorante a gustare unabella porzione di quella prelibatezza aristocratica edecidemmo di fermarci al “Cigno”, uno dei miglioriristoranti della città, dove le antiche tradizioni culi-narie mantovane sono proposte con amore. Il risto-rante è situato in un palazzo cinquecentesco affre-scato con fregi d’epoca, ha splendidi soffitti a casset-

toni ed è arredato con mobili d’antiquariato. In que-sto stesso posto esisteva già, nel Settecento, una locan-da con stallo. Scorrendo il menu, mi incuriosirono estuzzicarono l’appetito il paté d’anatra, i nervetti divitello caldi, il luccio in salsa, il risotto alla pilota e ifamosi tortelli. Pregai il proprietario di portarmi incucina a vedere le donne che li preparavano. Sorri-denti e ciarliere, tiravano le grandi sfoglie gialle cheuscivano come per incanto dalle loro abili mani. Leavvolgevano al matterello e con la pressione dellemani facevano rullare il bastone e poi lo rigiravanocon maestria e… “plaf”, la sfoglia si spiegava in tuttala sua grandezza sul tagliere. Rettangoli di pastalunghi cinque o sei centimetri, alti cinque, venivanotagliati con la rotella e su di essi cadevano mucchiet-ti d’impasto di zucca dorato, profumato agli amaret-ti, alle mandorle e alla sublime mostarda mantovana(di mele), dal sapore dolce e forte al contempo per lapresenza della senape. “Guardi, sono fatti a velo dimonaca, da sempre li facciamo così. Sono grossi egustosi”, mi disse con un sorriso ammiccante la sim-patica “resdora”. Sul piano faceva cadere morbida-mente parte del lembo della pasta e lo fermava ai lati.Tornai a tavola e finalmente ecco giungere in sala lafiamminga piena di tortelli fumanti e profumati diantichi sapori. Una cucchiaiata di formaggio parmi-giano cadde a pioggia ad imbiancare le cime dorate.Portammo alla bocca il primo tortello cremoso diburro fuso e ci scambiammo un lungo sguardo golo-so. (Maria Attilia Fabbri Dall’Oglio)

I TORTELLI DEI GONZAGA

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Un olio di frontieraDI LUCIO PIOMBI

Delegato di Bergamo

Una coltura praticata in condizioni ambientali,

a volte, estreme.

G eneralmente tutti pensano chela terra bergamasca non siaideale per la coltivazione

dell’olivo. Si tratta, infatti, di una col-tura tipica dell’area mediterranea e laLombardia è lontana dal mare.Se invece si cerca un po’ di appro-

fondire la ricerca, si scopre che l’oli-vo, nel territorio, era coltivato sin dal-l’epoca romana. Questo vuol dire chel’olivicoltura fu probabilmente unadelle coltivazioni più antiche, anchese il poco olio ottenuto era per lo piùper autoconsumo e usato per scopisacri e per le lampade votive negliantichi monasteri.Nel territorio bergamasco, tuttavia,

la coltivazione del’olivo è ancora og-gi per lo più basata su una cono-scenza empirica e tradizionale deimetodi di coltivazione e ancora nonè entrata nel mondo contadino unamoderna conoscenza delle pratiche

di coltivazione e di trasformazionedelle olive. Questo a causa di un’ata-vica diffidenza reciproca degli agri-coltori e di una caparbia incapacitàdi aggregazione.Un’accurata ricerca storica, attraver-

so il confronto fra le mappe catastaliredatte a partire dai primi anni del-l’Ottocento e la lettura delle diverserilevazioni delle caratteristiche territo-riali e delle qualità agrarie dei territoricomunali, che, pure se in forme mol-to discontinue, esistono in varie testi-monianze scritte in diversi comunibergamaschi, ha evidenziato che laquasi totalità dei comuni censuari, invario modo interessati alla coltivazio-ne dell’olivo, era disposta sulla spon-da occidentale del Lago d’Iseo. Unosolo, Vercurago, oggi passato allaprovincia di Lecco, era posizionato,appunto, vicino al Lago di Lecco, edue si trovavano all’inizio della Valle-camonica. Ci sembra interessante ci-tare quanto Giovanni Mairone daPonte (scienziato e scrittore) scrissenelle sue “Osservazioni” nel 1803:«Cinque sono le specie di olio che neldipartimento del Serio si usano co-munemente, cioè di olivo, di noce, dilino, di ravizzone e di vinaccioli… Ilconsumo però più copioso e univer-sale è quello dell’olio di olivo. Essoanche da noi si adopera molto a con-dimento di vivande, è necessario a’fabbricanti di panni ed a’ lavoratori disete nel filatoio, oltre l’uso grandeche se ne fa nei Templi».Benché praticata in condizioni am-

bientali estreme, tali da farle meritarel’appellativo di “coltura di frontiera”,l’olivicoltura moderna, nella Berga-masca, vanta la riscoperta di una cul-tivar autoctona denominata “sbresa”esistente nella zona di Scanzorosciatee Cenate sin dall’epoca romana, co-me dimostrano alcuni ceppi presenti

nel territorio. Detta cultivar sopportail freddo, la rogna e un normalestress idrico. Buona parte del territo-rio bergamasco è inserita nelle Dop“Laghi Lombardi” secondo il cui disci-plinare, nella composizione dell’ex-travergine, in percentuali diverse, en-trano le varietà Leccino, Frantoio, Ca-saliva, Pendolino e Sbresa. L’extraver-gine così classificato deve avere colo-re verde-giallo, odore fruttato-legge-ro, sapore fruttato con sensazioni gra-devoli abbastanza leggere di amaro epiccante. Inutile sottolineare che que-sti extravergini lombardi “lacustri”possono trovare un impiego esclusi-vamente sul crudo o su fettine di pa-ne caldo che ne esaltino il profumounico e persistente.Va infine segnalato un extravergine

davvero di nicchia, che è quello diMontisola, vera rarità per il buongusto.Verso la fine dell’Ottocento, erano

censiti ventisette piccoli frantoi nellaBergamasca, tutti dismessi nel corsodel 1900. Uno di questi è stato sco-perto per caso sul pavimento di unacantina del Cinquecento, in una zonaparticolarmente riparata sui colli diCittà Alta: la zona di Valverde. In se-guito a questo rinvenimento e con laripresa dell’interesse per l’agricoltura,sono stati realizzati impianti di centi-naia di ulivi, che stanno da alcuni an-ni resistendo egregiamente ai rigoriinvernali e rendono particolarmenteattraenti le colline della zona.Negli scorsi anni è stato rifondato

un nuovo frantoio, gestito della Coo-perativa olivicoltori bergamaschi, cheopera nella zona di Scanzorosciate eche sta lavorando con grande passio-ne per ridare valore culturale, anchese non economico, visto che può es-sere solo una produzione di nicchia,all’olivicoltura bergamasca.See International Summary page 78

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I pranzi laici dei cardinaliDI HILDE CATALANO GONZAGA PONTI

Accademica di Roma Valle del Tevere- Flaminia

Qualche indiscrezione sui locali e sui menu preferiti dai porporati

giunti in Vaticano per l’elezione del Papa.

R oma è da sempre teatro di av-venimenti di universale impor-tanza, e quest’anno, dopo l’ab-

dicazione di Benedetto XVI, 115 car-dinali di tutto il mondo sono statichiamati per dar seguito al Conclave.Eleggere un successore alla cattedradi San Pietro, significa dar luogo ailavori per congregazioni generali, riu-nioni e confronti per conoscersi me-glio, valutare situazioni geopolitico-religiose, addivenire a primi accordi. Durante la settimana che ha prece-

duto il Conclave, proprio in vista delloro ritiro nella casa di Santa Marta -mensa comune dignitosa e parca - iporporati dove hanno consumato iloro “pranzi laici”? Uno dei passaggipiù frequentati per accedere alla Cittàdel Vaticano è Porta di Santa Marta,quasi di fronte c’è Borgo Pio, medie-vale borgo papale che unisce CastelSant’Angelo a San Pietro. Al Borgo,

uno dei recapiti quasi d’obbligo si tro-va al numero civico 60: il “Passetto diBorgo”, un ristorante d’angolo, di si-gnorile tradizione. Cucina romana-abruzzese: bucatini all’amatriciana, ri-gatoni alla norcina, cannelloni di ri-cotta impastata con erbe della Maiella,abbacchio arrosto, bocconcini di vitel-la alla cacciatora, pollo ruspante in te-game. Aperto negli anni Sessanta, eraanche uno dei locali frequentati da Jo-seph Ratzinger. Antonello Fulvimari, ilfiglio del proprietari, confida che l’al-lora cardinale prediligeva una certaqualità di vita e, alla domenica, con lasorella, se non andava a pranzo fuoriporta, mangiava spesso nel suo loca-le. Adesso è stato la trattoria di riferi-mento del cardinale Francesco Cocco-palmero, che ama spaghetti al pomo-doro, sogliola arrosto o calamaretti aiferri. Lo ha frequentato spesso ancheil cardinale arcivescovo di Washin-gton, Donald-William Wuerl, che dasempre, quando è nella capitale, pre-ferisce la pasta, magari doppio assag-gio: lasagne al forno, rigatoni alla nor-cina (crema di panna, salsicce degliAbruzzi, funghi porcini), squisitezzeche, qualche volta, rimpiangerà unpo’ negli Usa, come ha scritto nelladedica della foto che lo ritrae, appesaproprio in sala. Al “Passetto” è rima-sto affezionato anche l’arcivescovo diBoston, Sean Patrick O’Malley, il fratecappuccino conosciuto a Borgo perla sua barba bianca, il saio e i sandali:le sue pietanze predilette sono il risoalla pescatora e i saltimbocca alla ro-mana, con puntarelle in salsa di alici,parecchio riposata.Un po’ più avanti, sul marciapiede

opposto, si trova “Il Pozzetto”, unabuona trattoria gestita da giovani,con cucina tradizionale: coda allavaccinara, rigatoni alla pajata, taglio-lini alla gricia, fettuccine ai funghi

porcini, abbacchio a scottadito, maanche frittura di pesce, sogliola allamugnaia. Da ricordare anche i dolcifatti in casa: panna cotta, torta dimele, ciambella del Pozzetto, moltosimile alla torta allo yogurt. Il localeè frequentato da svariati prelati dellaCuria romana, e saltuariamente, inquest’ultimo soggiorno, anche dalcardinale Christoph Schönborn, arci-vescovo di Vienna, cui sono piaciutefettuccine ai fungi porcini o al ragù.Schönborn, finissimo teologo dellascuola di Ratzinger, buongustaio raf-finato, apprezza sia la cucina italia-na, sia quella romana, per aver tra-scorso parecchi anni in Vaticano. Dall’alto dei suoi enciclopedici stu-

di teologici, si deve osservare cheanche Ratzinger coltiva tradizione eciviltà della tavola: infatti, ad ognisuo compleanno (16 aprile), non famai mancare ai suoi ospiti, quasifosse la rituale torta con le candeli-ne, un pane speciale, fatto solo coningredienti bavaresi, da un fornaiodella sua cittadina natale, Regen-sburg. Un ritorno ai sapori dell’infan-zia, quale migliore auspicio?Tornando ai pranzi laici dei porpo-

rati, al ristorante “Il Pozzetto”, abba-stanza assiduo è stato l’espansivocardinale honduregno Oscar Rodri-guez Maradiaga: in una foto che loritrae, elogia la gricia, “speciale”, el’abbacchio, “unico”.Una ventina di passi più in là, ci si

ritrova da “La Venerina”, un grandelocale, con salette appartate e giardi-no a ridosso del vero passetto diBorgo, un passaggio che il Papa feceripristinare nel Cinquecento ed è tut-t’oggi praticabile. La specialità è ilpesce fresco della costa laziale e me-diterranea. Altro locale frequentatoassiduamente - “più di quindici anni”-, come tiene a precisare la proprie-

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taria, la dolce e accogliente signoraVenerina, da Ratzinger, che avevapredilezione per fettuccine, gambe-retti, zucchine e zafferano. Nel 2005,quando giunse la notizia della suaelezione, per Venerina fu una gioiaindescrivibile, tanto grande la suacommozione, da chiudere il locale,correre in piazza San Pietro, per ve-dere Benedetto XVI vestito da Papa,mentre impartiva la sua prima bene-dizione. Comunque, anche questavolta “La Venerina” è stato il puntod’incontro dei porporati francofoni.Sua eminenza Jean-Louis-Pierre Tau-ran, Protodiacono di Santa RomanaChiesa (che ha annunciato dalla log-gia di San Pietro l’Habemus Papam),è da parecchio un cliente affeziona-

to, e gusta in maniera particolare:tonnarelli ortomare, o risotto all’asti-ce, filetto di spigola al rosmarino epachino. Un altro frequentatore èstato l’arcivescovo di Lione, PhilippeBarbarin, che per spostarsi dall’auladel Sinodo ha scelto la bicicletta, unmezzo alquanto insolito per i porpo-rati. Sua eminenza, di solito moltoparco, ha chiesto quasi sempre lostesso menu: grigliata mista di pesceo spigola di Licata, accompagnata daverdure grigliate, con preferenza peril radicchio tardivo. Tuttavia, l’arcive-scovo è stato almeno due volte,sempre arrivando in bicicletta, in viadelle Grazie, per gustarsi, con tantadeferenza, un magnifico panino (ro-setta) al salame e brie.

“La Venerina” è stato comunque ilrecapito cucinario di elezione anchedel cardinale canadese Marc Quellet,che, pur avendo poco tempo permangiare, ordinava nella saletta pri-vata, con il più soave dei sorrisi, qua-si sempre: una tagliata di manzo, in-salata mista e torta Venerina, un dol-ce molto semplice, con pan di Spa-gna, crema pasticciera e panna, il tut-to bagnato da una mistura compostada tre quarti di Alkermes e una po-zione di… (è il segreto della casa!). Ora ogni porporato è tornato alla

propria sede e allora, addio ai rom-bi, alle spigole di Licata, alla tartaredi tonno, ai rigatoni alla norcina. Èstato bello, e così sia. See International Summary page 78

Il gusto è uno dei cinque sensi. Forse nemmeno il piùimportante: vista, udito, olfatto, gusto, tatto, messi in-sieme fanno un tutto. Esperienze sensoriali. Li eserci-tiamo anche nel sonno. E gli attori siamo noi, semprein scena. Il cibo entra nella nostra vita prima ancorache essa abbia inizio. È appartenenza. Il feto si nutredi quello che mangia la sua mamma. E la sua mam-ma si nutre di quello che offre il territorio in cui vive,primo teatro di cui calchiamo le scene. Un passo do-po l’altro andiamo avanti. L’infanzia e la scuola.L’adolescenza, l’età adulta. Le esperienze diventanoricordo e i ricordi diventano base per nuove strade.Sempre, al centro, noi. Sempre, al centro, il cibo. Pri-ma quello di casa, poi le mense scolastiche, le pizzecon gli amici, i compleanni, le feste. Le ricorrenze, levacanze, i viaggi. Tutto si stratifica come creazionedi ere geologiche, spazio e tempo. Poi diventiamo at-tori e spettatori. Ci guardiamo intorno. Oppure stia-mo immobili davanti a uno schermo, osservando al-tri “noi” che mangiano, che parlano, che cucinano eservono ad altri il prodotto finale del loro lavoro. Ilcibo diventa simbolo, pensiero e forma. Espressioneconscia o inconscia di pulsioni interiori. Peccati digola. “La gola” è uno dei sette peccati capitali, eppu-re, tra tutti, è il più tollerato. Quello verso il quale siprova maggiore indulgenza; quello che a volte non èconsiderato nemmeno un peccato. Eppure quanto èsimbolico un dolce al cucchiaio? Mangiare un fruttoo portare alla bocca il cibo con le mani spolpandolocon gusto? Non riporta ai primordi in cui non esiste-vano le posate e il tatto era il primo senso ad essereesercitato? Mangiare la carne al sangue, cotta sullabrace, non riporta alla mente i tempi bui di un pas-

sato non troppo lontano? Tempi in cui per fame si po-teva uccidere. Tempi in cui le carestie hanno portatoi popoli ad abbandonare un territorio o a invaderneun altro per appropriarsi di nuove risorse. E il cine-ma in tutto questo che ruolo ha? Nel treno della vita,sul quale noi viaggiamo, seduti nel nostro scomparti-mento, dal finestrino del quale osserviamo il fluiredel tempo, le immagini scorrono come fotogrammilenti che si fissano nei nostri occhi. Fermiamo qual-che immagine. La povertà del primo dopoguerra.Chaplin che mangia spaghetti, gli stessi spaghetti delsecondo dopoguerra di un Alberto Sordi che li aggre-disce con la forchetta dopo aver tentato un’improba-bile fusione tra cucina italiana e americana. La com-parsa Stracci nel film “La ricotta” di Pier Paolo Paso-lini, che muore di indigestione sulla croce dopo avermangiato fino a scoppiare per dimenticare la fameche lo affliggeva. La stessa fame che aleggia in “Um-berto D”, capolavoro di Vittorio De Sica, in cui il pro-tagonista si avvicina con dignità a una mensa per ipoveri. Morire ancora di cibo, ma con la lussuria chesi accompagna alla gola ne “La grande abbuffata” diFerreri, in cui quattro compagni di avventura si chiu-dono in una villa per morire per il troppo cibo, unitiin un patto scellerato. Il treno corre. Le immagini sisusseguono. Si costruisce “l’immensa cattedrale del ri-cordo” di proustiana memoria. E noi, attori della vita,portiamo le nostre madeleine per formare un quadroin cui colori, profumi, sapori diventano una sculturasenza forma, fatta della stessa materia del pensiero,ultima dissolvenza di un’immagine, come quella diNoodles (De Niro), che sorride alla vita, mentre la vitasi spegne. (Roberto Pirino)

GLI ATTORI DEL GUSTO

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Totò e il ciboDI CRISTINA BRAGAGLIA

Docente di Storia del CinemaUniversità di Bologna

Sequenze di gola e storia gastronomica degli anni Cinquanta.

S i sa che il cibo fa la sua com-parsa al cinema sin dalla primaproiezione pubblica, quella del

28 dicembre 1895, al Grand Café, inBoulevard des Italiens: uno dei fra-telli Lumière aveva ripreso il suobambino mentre faceva merenda.Anche se in Francia il cibo gode diuna diversa valutazione rispetto adaltre nazioni e ha già dato origine ariflessioni sulla sua appartenenza allastoria del costume (Brillat Savarin,Grimod de la Reynière), per lungotempo la sua messa in scena cine-matografica resta relegata ai genericonsiderati “bassi”, come il comico. In Italia, agli inizi del Novecento,

la rappresentazione della fame odell’ingordigia (attualizzazione delcontrasto tra Quaresima e Carnevale)

è relegata all’interno dei confini diuna comicità mutuata dagli spettaco-li del teatro di varietà e del circo.Nel 1910, due i titoli in cui compaio-no riferimenti al cibo: “Tontolini amala cuoca” e “Come fu che l’ingordi-gia rovinò il Natale a Cretinetti”. So-no filmati costruiti addosso a due deicomici più popolari, Ferdinand Guil-laume e André Deed, tutti e due diorigine francese e con un passatonel circo. Se allarghiamo lo sguardo alle co-

miche chapliniane, emerge la veraprotagonista del genere comico, nonsolo cinematografico: la fame. Lastoria dell’alimentazione ha registra-to come, sin dall’antichità, la mag-gioranza della popolazione abbiasofferto la fame e come le carestieabbiano fortemente scandito le tap-pe del percorso dell’umanità (si pen-si solo ai movimenti migratori versoil Nuovo Mondo e le altre terre). Il teatro e la letteratura (Matilde

Serao fece scuola con “Il paese diCuccagna”) si erano serviti della fa-me per caratterizzare personaggi esituazioni: basti pensare alla comme-dia dell’arte, a Pulcinella e Arlecchi-no in particolare, modelli di riferi-mento per molte caratterizzazioni ci-nematografiche. Chaplin, in particolare, aggiunge

una sofferta consapevolezza che di-venta anche un’accusa contro un si-stema economico-sociale indifferen-te, emarginante e ingiusto. Citiamosolo “Vita da cani” del 1918, doveCharlot attende invano un atto di ca-rità davanti a un ambulante che ven-de cibo. Nel cinema italiano dell’anteguer-

ra, il cibo compare solo in scene dicontorno. Quando si impone sulloschermo, appare il più delle volte le-gato alla comicità e a particolari fi-

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gure di comici, appassionati gastro-nomi, come Aldo Fabrizi che, in pie-na guerra, nel 1943, nel film “Campode’ fiori” di Mario Bonnard, insegnaa una scettica domestica la ricettadella zuppa di pesce, facendo so-gnare gli affamati spettatori. La scena è tuttavia dominata dalla

figura di Totò, marionetta comica,che unisce spunti colti provenientidal futurismo a una sapienza dram-maturgica secolare. Il cibo o la suamancanza gli offrono il destro perelaborare abili strategie comiche,che in un crescendo guidano il pub-blico a una risata liberatoria. L’Italia degli anni Cinquanta, grazie

anche agli aiuti del piano Marshall,si sta risollevando e a poco a pocola fame sta diminuendo. Il paese siavvia verso il boom economico: il ci-nema ne riflette i primi segni. Ancora nel 1950 si può così ridere

dell’avarizia esagerata del baroneAntonio Peletti, che acquista minu-scole bistecche dal macellaio, ten-tando di ingannarlo sia sul peso chesul pagamento, e che tiene in cassa-forte la bottiglietta dell’olio: sonoscene di “47 morto che parla”, doveTotò è diretto da Carlo LudovicoBragaglia. Il cibo, la fame e l’ab-bondanza sono centrali in “Miseriae nobiltà” (1954), rivisitazione diuna commedia ottocentesca diEduardo Scarpetta a opera del regi-sta Mario Mattoli, dove i protagoni-sti parlano solo di come trovare ri-medio alla fame. Il cibo, allora, può essere segno

distintivo di identità: olio e burro di-ventano il perno su cui orchestrareun battibecco ironico e gentile, trauna modista torinese e i due compa-ri napoletani, ovvero tra Nord e Sud,tra i vincitori sabaudi e i vinti, chenon hanno di che mangiare. Oppurepuò assumere le parvenze di un so-gno: si può immaginare di acquistareingredienti di grande qualità per unpranzo a base di spaghetti, mozza-rella di Aversa e vino frizzante diGragnano, che non solo soddisfi lafame, ma che ribadisca la specificitàgastronomica del territorio. Il cibo,

infine, può essere sinonimo di ab-bondanza: è quella che compare sul-la spoglia tavola dei due, grazie allagenerosità di uno spasimante dellafiglia di Pasquale. Sembra un sogno

ed è invece realtà: una zuppiera fu-mante piena di spaghetti, branzino epollo arrosto. Tutti conoscono il se-guito. Il cinema, più e meglio di altre ar-

ti, attraverso la comicità e l’attenzio-ne al cibo, riesce a stabilire un im-mediato rapporto con le condizionidella società contemporanea, met-tendone in rilievo i problemi e anti-cipandone, talvolta, le soluzioni. Ne-gli anni Cinquanta riflette i muta-menti in atto nel paese, che passeràda un’economia prevalentementeagricola a una industriale e che ga-stronomicamente mescolerà le cartee le ricette tra Nord e Sud, arrivandoa costruire una composita identitàculinaria nazionale. Solo il cinema,grazie alle immagini e alla sua forzadi diffusione (è il decennio in cuiraggiunge il più alto numero dispettatori), poteva registrare e alcontempo giocare un ruolo di rilie-vo nella storia gastronomica dell’Ita-lia di allora. Oggi le sue inquadratu-re, anche quelle meno esplicite, cipossono far conoscere molto su unpassato prossimo ancora tutto da in-dagare per la sociologia dell’alimen-tazione. See International Summary page 78

CENA ECUMENICA 2013Quest’anno, la riunione conviviale ecumeni-ca, che vede alla stessa mensa virtuale tutti gliAccademici in Italia e nel mondo, si svolgeràil 17 ottobre alle 20,30, e avrà come tema “Lacucina delle carni da non dimenticare”. Untema, quello scelto dal Centro Studi “FrancoMarenghi” e approvato dal Consiglio di Presi-denza, che comprende la cucina del quintoquarto, ma anche di altre carni o prodotti di

origine animale, presenti nella cucina del popolo e oggi sempre menousati, anche perché espressione di un’ormai superata cucina della fame.L’obiettivo sarà dunque quello di recuperare le tradizioni della cucina difrattaglie, visceri, rigaglie, trippe e non solo, che oggi possono ancora ave-re un ruolo in una moderna cucina italiana sobria. I Delegati cureran-no che la cena ecumenica sia accompagnata da una idonea relazionedi carattere culturale che illustri l’importante tema proposto e che, sullemense, il menu sia composto in omaggio agli alimenti scelti.

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Gusto e risparmioDI TERESA PERISSINOTTO VENDRAMEL

Delegata di TrevisoE ROBERTO ROBAZZAAccademico di Treviso

Consumare il pesce poveroè un piacere per il palato

e per il portafoglio.

È credenza comune che mangia-re pesce, con la frequenza chei nutrizionisti suggeriscono, sia

proibitivo per i costi. Niente di menovero in assoluto. Mangiare pescepresenta gli stessi inconvenienti eco-nomici della carne, della frutta e del-la verdura.Quando pretendiamo il cocomero

a Natale o le zucchine a gennaio, si-curamente faremo soffrire assai ilportafoglio, ma se scegliamo la fruttae la verdura di stagione e del territo-rio, la “spesa” non sarà così doloro-sa. Con i dovuti distinguo, anche lacarne può costituire un alimento daicosti sostenibili, purché non si pre-tendano sempre e solo gli stessi tagli(filetto, sottofiletto, costata ecc..) e siusino tante altre parti, consideratemeno nobili, ma sicuramente più sa-porite. Così è per il pesce. Evitando astici e aragoste, scampi

e branzini, dentici od orate (di pe-scata) e senza doversi adattare al pe-sce d’allevamento, si può trovare del“pescato” di grande qualità, sia nutri-zionali che di sapore, a costi decisa-mente contenuti. Anche in questocaso è questione di territorio e distagionalità. Ma quali sono questipesci?Tanti sono i tipi di “pesce dimenti-

cato”, tanto dimenticati da essere di-venuti “specie eccedentaria”, quindi“utile”, se pescati, a non creare ulte-riori disastri alla fauna ittica. Questespecie sono presenti in tutti i nostrimari e particolarmente abbondantisulle coste ioniche calabro-sicule.Eccone un’elencazione: aguglia (giu-gno-ottobre), alaccia (maggio-set-tembre), alalunga (tra estate e autun-no). Costardella (autunno), fasolaro(tutto l’anno), lampuga (aprile-giu-gno), lanzardo (giugno-agosto), pa-gello (inverno), palamita (agosto-di-

cembre/gennaio-maggio), patella(tutto l’anno), pesce sciabola o spa-tola (luglio-ottobre). Pesce serra (pri-mavera-autunno), spratto (inverno),sugherello (tutto l’anno), tombarello(estate), tonnetto (primavera-estate).Queste specie sono reperibili tutto

l’anno, tra parentesi è indicato il pe-riodo di maggior affluenza lungo lenostre coste.Parecchie delle specie elencate ap-

partengono alla categoria del “pesceazzurro”, ma in genere tutti questipesci sono ricchi di omega-3 (tocca-sana per il sistema cardio-circolato-rio), di fosforo, selenio, iodio, saliminerali, proteine di alta qualità e,soprattutto, di acidi grassi insaturi, ilche li rende particolarmente indicatiper una dieta sana ed equilibrata perbambini, adulti e anziani. Oltre aiben noti e appena richiamati valorinutrizionali, i vantaggi di rivolgere lanostra attenzione a queste “specieeccedentarie” sono anche altri: inprimis, acquistare questo pesce si-gnifica garantirsi l’acquisto di pescefresco. Evidentemente più breve è iltragitto dal mare alla tavola, più vi èla garanzia che il prodotto sia fresco(e meno gravato da costi di traspor-to) e se, per di più, lo si acquista nelperiodo di massima presenza nei no-stri mari, non vi sarà nemmeno con-venienza, da parte del rivenditore, aproporlo “conservato”. Come individuarne la freschezza?

Prima di tutto dalla consistenza dellecarni: vi siete mai chiesti perché alcu-ni “banchi” espongano in bella vistadei pesci arcuati? È per dimostrare laconsistenza delle carni che, essendo“sode”, riescono a mantenere la cur-vatura (il pesce “vecchio” ha carnimolli che non riescono a restare in“forma”). Poi, e soprattutto, dall’odo-re: il pesce fresco sa di mare e quan-

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do comincia ad avere sentori di am-moniaca (o peggio) è meglio evitarlo.In secundis, la scelta di queste speciecomporta il rispetto dell’ambiente, ilrecupero delle nostre tradizioni e unariaffermazione della nostra identitàcorrelata al territorio.Il motivo economico che ci do-

vrebbe spingere a consumare le“specie eccedentarie”, anche se im-portante e di grande consistenza(costano effettivamente molto me-no!), non è quindi l’unico, ci sonoanche motivi di “civiltà” come il noncontinuare a contribuire alla devasta-zione ittica in atto da tanti anni neinostri mari.Se il prezzo è una motivazione si-

cura per farci propendere verso ilconsumo di queste specie, se i moti-vi “ecologico-sociali” sono, forse, più

importanti ma meno immediatamen-te percepiti, vi è un vero fondamen-tale motivo per cominciare a privile-giare questo prodotto: è buono! Nella tradizione della cucina italia-

na, vi sono infinite ricette che valo-rizzano questi pesci; vi sono dellestraordinarie preparazioni che so-pravvivono ancora in limitate “encla-ve gastronomiche” che andrebberofatte conoscere (ad esempio, l’alacciain guazzetto, le costardelle imbottite,i fasolari ripieni o gli spaghetti con ifasolari, il palamita grigliato con allo-ro, e molte altre), non solo per dif-fondere il consumo delle specie dicui si è parlato, ma anche per salva-guardare una tradizione gastronomi-ca che, mai come in questo caso, po-trebbe essere proiettata verso un fu-turo “intelligente e compatibile”.

In momenti come questi, cosa dimeglio che rivisitare, magari supe-randola, una consolidata tradizione,che poggia su elementi di poco co-sto, di grande valore nutrizionale edi grande effetto per il palato? Inquest’ottica è tempo, non solo diplaudire all’iniziativa del Ministerodelle Politiche Agricole, in corso inalcune regioni italiane (Veneto, Pu-glia, Calabria, Campania e Sicilia),tesa a far conoscere (o ricordare)questi pesci “poveri” e a stimolare iristoratori locali a proporre prepara-zioni a base degli stessi, integrandoe vivacizzando una secolare e con-solidata tradizione, ma anche di ini-ziare ad essere protagonisti di un’in-telligente riconversione dei nostriconsumi.See International Summary page 78

Originario dell’Asia e dell’Africa, dove è ancora pos-sibile trovare piante spontanee della coltura, comequelle che il botanico A. Chevalier ha riscontrato nel1901 sulle sponde del Nilo, il melone è tipicamenteestivo e oltre al suo gusto delizioso e al suo profumo,disseta, rigenera, rimineralizza e adduce un sensibi-le rifornimento di provitamina A e C. La Bibbiaparla del melone e ricorda che fu uno deifrutti che la regina di Saba portò al reSalomone. Gli egiziani raffigurano ilfrutto tra i doni per il faraone. Nel-l’antica Roma il melone era cono-sciutissimo. Plinio definisce i meloni“Popones focus”, mentre Columellali cita come “melones”. L’imperatoreTiberio era così ghiotto di meloneda farlo coltivare in tunnel peraverlo tutto l’anno. Più ghiotti di Ti-berio due illustri personaggi storici, ilre Alberto II di Germania e il papaPaolo II, che per un’indigestione di me-lone morirono entrambi, il primo nel 1439e l’altro nel 1471. In Francia, il melone fu in-trodotto da Carlo VIII. I cinesi ancora oggi sfruttanole virtù terapeutiche del melone intuite sin dai tempiantichi. Oltre alle prerogative accennate, il meloneha un effetto eupeptico, lassativo e diuretico. È indi-cato nelle anemie, nelle stipsi e nella tubercolosi pol-monare, nelle litiasi urinarie, nella gotta e nei reu-matismi. È anche indicato nella pulizia del viso, ec-

cellente rimedio per pelli secche, usando ogni serasucco di melone, acqua distillata e latte fresco nonbollito, in parti uguali. I semi di melone fanno parte,con quelli di zucca, zucchine e cetrioli, “delle quattrosementi fredde”, atte a preparare emulsioni emollien-ti, calmanti e pettorali. Indicato anche il cataplasma

di polpa, applicato sulle scottature leggere e alleinfiammazioni. Una curiosità da ricordareè che, acquistando questo frutto, va prefe-rito possibilmente il cosiddetto melonemaschio, molto più gustoso, riconosci-bile per un punto nero nella parte op-posta rispetto al picciolo. Questo frut-to contiene proteine, lipidi, glucidi,fibre, vitamina A, C, PP, calcio, fer-ro. Oltre al consumo fresco, il melo-ne trova impiego per preparare i no-ti antipasti al prosciutto crudo, affet-tato o a dadini, macedonia di frutta,dolci, gelati e frullati. Meno note sono

altre ricette come il melone con i lampo-ni, l’avocado, i fagottini di melone, paglia

e fieno al melone e spiedini di melone al for-maggio. E ancora salmone affumicato al melonebianco, insalata di lattuga, melone e mozzarella,melone ripieno. La suddivisione fondamentale delmelone è in frutti estivi e frutti invernali. I primi sonoa buccia solcata o reticolata, con polpa rosa dolce eprofumata, i secondi a polpa bianca, meno profuma-ti ma più dolci. (A.S.)

UN FRUTTO DELIZIOSO

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L’agresto toscanoDI DOMENICO SARACENO

Accademico della Maremma-Grosseto

“Quando sol est in leone,bonum vinum cum popone,et agrestum cum pipione”.

C osì Pellegrino Artusi, nel suocelebre trattato “La scienza incucina”, cita l’agresto, eviden-

temente come saporito condimentoda consigliare sulle carni di piccione.Del resto, il dizionario Devoto Oli,alla voce agresto recita: “succo rica-vato dall’uva acerba, che si adoperacome condimento in luogo dell’ace-to”. Insomma, si tratta di un partico-lare condimento, dal sapore agro-dolce, oggi ritornato presente nellavetrina dei prodotti toscani grazieall’opera di alcuni appassionati cul-tori, preparato in base ad una ricettaantichissima che, secondo alcune te-stimonianze, viene fatta risalire adepoca medievale. L’usanza di ricavare dall’uva verde

un mosto dal gusto acidulo derivasicuramente dalla necessità di sfrut-tare tutta l’uva, anche quella rimastaacerba perché coperta dai pampini.Da qui l’idea di creare un condi-mento speciale, ottenuto mediantel’aggiunta di odori, spezie, miele ealtri ingredienti tipicamente mediter-ranei. Dall’unione di tali sapori edall’abilità di alcuni gastronomi to-scani, possiamo dire che sia rinatol’agresto toscano, oggi prodotto sol-tanto da due aziende del territorio eper ora destinato essenzialmente almondo della ristorazione. Per preparare l’agresto, l’uva ver-

de, raccolta a mano, viene selezio-nata, diraspata e spremuta. Il succoottenuto viene posto a bollire incasseruola insieme ad aglio, cipollae altre spezie. Infine, sono aggiuntil’aceto di vino e il miele, ingredien-te che rende più dolce e balsamicoil sapore del condimento. Si trattadunque di un condimento intensa-mente profumato, ideale per confe-rire un gusto aromatico all’insalata eper impreziosire piatti a base di car-

ne, pesce e uova. L’agresto era, giàprima del Rinascimento, un succodi uva acerba, lavorato e conserva-to, che serviva a insaporire certe vi-vande; aveva lo stesso ruolo cheoggi ha il limone, che però eraspesso difficile e troppo costoso dareperire. Caduto in disuso per ladiffusione del limone, oggi è dive-nuto una salsa piuttosto ricercata,perfetta sulle carni suine, gli arrosti,la selvaggina.L’agresto attualmente viene pro-

dotto in diverse versioni, si tratta co-munque di una conserva più o me-no densa, dal sapore acidulo.Dagli antichi trattati di gastrono-

mia e da altre numerose testimo-nianze, sappiamo che, un tempo, ilgusto prediligeva le note acidule;l’agresto era abbastanza diffuso findall’epoca romana e rappresentavaun prodotto tipico delle zone di col-tivazione della vite. La preparazionedi questa salsina, presente nellemense dei ricchi come su quelle deipoveri, era piuttosto semplice: nelmese di luglio si raccoglieva l’uvaancora acerba, poi la si pestava inpiccoli tini e se ne ricavava il succo.Il mosto così ottenuto veniva lascia-to fermentare al sole per qualchegiorno o fatto bollire sino a ridurlodi un terzo. Tale sugo poteva essereutilizzato al naturale o passato al se-taccio, aveva una consistenza piutto-sto densa e si scioglieva in acqua oin brodo. Serviva anche per prepa-rare bibite dissetanti alle quali veni-vano riconosciute particolari pro-prietà terapeutiche. Soprattutto nelle campagne lom-

barde, attualmente l’agresto è pro-dotto quasi solamente per l’utilizzofamiliare. In Italia, infatti, non è an-cora molto reperibile sul mercato,mentre in Francia, nelle buone dro-

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gherie o in quelle di lusso, è in ven-dita, a prezzi da capogiro, in botti-gliette di appena 33 cl, un agrestodetto “delle Charentes”. Non èesclusa comunque la possibilità diacquistarlo a prezzi più ragionevolidirettamente nelle regioni in cui vie-ne prodotto, come appunto le Cha-rentes o il Périgord, dove viene tut-tora utilizzato in cucina.Se siamo costretti a sostituirlo nel-

la preparazione delle nostre ricette,possiamo ottenere degli ottimi risul-tati utilizzando al suo posto del suc-co di mele aspre o anche quello diun qualsiasi agrume, preferibilmen-te non innestato, come arance ama-re o mandarini. Si può anche usaredel succo di limone diluito in unterzo di acqua. Anche l’aceto di me-le, diluito in acqua nelle stesse pro-porzioni, conferisce un ottimo sapo-re ai piatti.L’agresto toscano, nelle sue ag-

giornate versioni, si accompagnabene alla carne, in particolare aquella di maiale, alla cacciagione,alle grigliate, oppure a verdure les-se o cotte in padella; riesce inoltrea conferire un gusto particolare alpinzimonio.La Regione Toscana ha lavorato

molto sul censimento dei prodotti ti-pici, tra i quali troviamo anche que-sto condimento tradizionale. In par-ticolare si conoscono due zone incui questa specialità viene prodotta:San Miniato, in provincia di Pisa, eAbbadia San Salvatore, nel versantesenese del Monte Amiata. Oggi le due facoltà toscane di

Scienze Agrarie, quella di Pisa equella di Firenze, insieme all’Acca-demia dei Georgofili e ad alcuni ar-tigiani produttori, stanno portandoavanti delle ricerche e delle speri-mentazioni sull’agresto toscano, sulquale entro la fine dell’anno saràpronta un’interessante monografiache affronterà l’argomento a tuttotondo: dagli aspetti storici a quellichimici, senza trascurare, ovviamen-te, l’essenziale ruolo in gastronomiadi questo antico condimento.See International Summary page 78

I DONATORI DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE “GIUSEPPE DELL’OSSO”

Mario Boeri - Delegato di Santo Domingo“La cucina macrobiotica Zen” di Michel Abehsera (Sugarco - Milano, 1978)“Pollame e Conigli in cucina” di Renzo Portalupi (Nord - Milano, 1971)“Cuisine” (Santo Domingo, 1992)

Giorgio Cirilli - Delegato del Tigullio“La cucina ligure di mare” di Valeria Melucci(Roma - Newton Compton, 2007)

Mimmo D’Alessio - Delegato di Chieti“Un sogno chiamato Italia. Guida turistica e gastronomica alla scopertadel Bel Paese” di Renato Di Carlo (Chieti - Tabula Fati, 2012)

Gabriele Franciosi - Accademico di Teramo“Cibo, che passione! Compagno di viaggio, maestro di storia” di PaoloMichetti (Roma - Editio, 2010)

Mauro Felice Frascisco - Delegato di Torino“Pasta e basta” di Paolo De Maria (Korea - B&C World, 2009)

Carlo A. Marsilio - Accademico di Pescara“Ricordi. Raccolta delle lettere, dei menu, delle relazioni e delle attivitàaccademiche durante l’anno” a cura di Carlo A. Marsilio(Pescara - Tipografia Terenzio, 2013)

Renzo Mattioni - Delegato di Udine“La cucina delle Comunità alloglotte in Friuli” a cura di Nadia Innocente(Forum - Udine, 2013)

Maurizio Moreno - Accademico di Roma Nomentana“Estonian national cuisine” di Anne Kersna, Sirje Rekkor, Reet Piir et al.(Tallinn - Estonian Greenfingers, 2006)“Cocina panameña” (Panamá - Distribuidora Lewis, S. A.)“Les Cuisines de nos grand-mères” di Jean-Noël Mouret (Paris - Hatier, 1995)“Un Tartufo nel cuore” di Georges Renoy, Luigi Ciciriello(Bruxelles - Les edition de la Truffe Noire, 1999)

Paolo Petroni - Segretario Generale“Cucina toscana” di Gustavo Pierotti (Il Centauro - Firenze, 1994)“Ricette toscane: i sapori di ieri i gusti di oggi” di Paolo Petroni(Il Centauro - Firenze, 2007)“Il grande libro della vera cucina toscana: ricette, prodotti tipici, storia,tradizioni” di Paolo Petroni (Giunti - Firenze, 2008)“Il grande libro dei primi piatti: pasta gnocchi riso zuppe e minestre” diPaolo Petroni (Giunti - Firenze, 2012)“Il libro della vera cucina marinara. Oltre 320 ricette originali dei nostripescatori” di Paolo Petroni (Il Centauro - Firenze, 2005)“Il libro della vera cucina emiliana e romagnola. Oltre 340 ricette tradi-zionali” di Paolo Petroni (Il Centauro - Firenze, 2000)

Angelo Tamburini - Delegato di Siracusa“La Cucina Siracusana e le antiche seduzioni dell’Oro degli Iblei”(Atti del Convegno della Delegazione di Siracusa, 2012)

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Intervista a un cuoco storicoDI TITO TROMBACCO

Accademico di Bologna dei Bentivoglio

Nel tortellinoil lombo va rosolato? Nella lasagna gialla,besciamella o panna?

I l valore e la particolarità della cu-cina italiana, che la distinguono datutte le altre, sono tutti racchiusi

nella sua territorialità, nelle tante va-rianti che ogni suo piatto localmentepersonalizza. A Bologna, ogni fami-glia, ha la sua particolare ricetta, tan-to che, nell’ambito della tradizione dicasa, è assurta al ruolo di unica, verae originale. Questo ha creato un di-battito sulla presenza o meno di unprodotto, sulle sue quantità e dosag-gi, sulle procedure di preparazione ecottura, e da tutto ciò deriva il fattoche ci potrebbero essere ancora nodida districare, dubbi e interrogativi darisolvere. Tante sono le componentiche hanno resa famosa la classica etradizionale cucina bolognese, e uncontributo fondamentale è da attri-buire al lavoro, impegno e fantasia,che dagli anni Venti del secolo scor-so, cuochi e cuoche hanno profuso

con la loro attività, in alcuni storici lo-cali bolognesi. La celebrità e la famahanno legato in modo indissolubile inomi dei ristoranti con quello deicuochi che vi hanno lavorato, tantoche al buongustaio di qualsiasi luogodi provenienza, l’uno identificava l’al-tro, e viceversa. Come esempio valecitare quello che, negli anni dal 1930al 1980, è stato il più famoso e rino-mato locale della grande ristorazionebolognese: il “Pappagallo”, un localedove i legami che univano l’arte delbuon mangiare alla cultura erano piùsolidi che altrove; dove le ricette ri-spettavano i cardini fondamentali del-l’arte culinaria bolognese. Dire “Pap-pagallo”, voleva dire, prima, il fonda-tore Giovanni Zurla, poi, quandoquesti ha smesso di stare in cucina, lochef Bruno Tasselli.Il nome di Bruno Tasselli, dopo

cinquantatre anni capo cuoco del“Pappagallo”, è legato in particolare adue classici piatti bolognesi: il tortelli-no e le lasagne gialle con i funghi.Due piatti, e qui ritorniamo al dilem-ma iniziale, esemplificativi. La testi-monianza di Bruno Tasselli dovrebbeessere determinante per fare una vol-ta per tutte, chiarezza e lasciare unpunto fermo per le future generazio-ni. Il primo interrogativo riguarda laricetta del “tortellino e del suo ripie-no”: usare o non usare il sale? rosola-re o non rosolare il lombo? Il secon-do è riferito alla presenza della pan-na, in alternativa alla besciamella,nelle “lasagne gialle bolognesi”.“Fui accusato di essere il cuoco

che non adoperava il sale nei tortel-lini, ma il mio segreto era semplice:usando il lombo di maiale, prosciut-to buono, mortadella di prima quali-tà e ottimo parmigiano reggiano, gliingredienti erano sufficienti per con-cedere il loro sapore al tortellino.

Scottavo il lombo e quando non eraancora cotto lo aggiungevo al pro-sciutto e lasciavo scaldare per due otre minuti sul fuoco, aggiungevo pe-pe e due foglie di alloro. Tirando viadal fuoco il recipiente, aggiungevola mortadella che non deve assoluta-mente cuocersi; dopo aver macinatobene l’impasto di carne, univo il for-maggio appena grattugiato”.Per quanto concerne le lasagne

gialle coi funghi: “La sfoglina preparala sfoglia, che poi in cucina deve es-sere scottata, raffreddata e quindiasciugata, prima di tagliarla a quadri aseconda della teglia da forno che siusa. Poi si prepara una besciamellamolto tirata, ricca e saporita, più vel-lutata, mentre a parte si preparanofunghi trifolati, preferibilmente porci-ni, con olio, aglio, prezzemolo e conuna foglia di alloro, una spruzzata divino bianco di gran nome. Per quantoriguarda il ragù, in un tegame si pre-para una base di burro con sedano,carota, pochissima cipolla tritata, duefoglie di alloro che si lasciano per al-cuni minuti per consentire di dare ilprofumo, quindi si taglia a dadini dellombo di maiale che si rosola con ungoccio di Chateau e Cognac. Si lasciaasciugare, e si aggiungono, infine, glischienali di vitello, le animelle, le ovi-ne di pollo, un poco di besciamella,sale e pepe, noce moscata e formag-gio grana, mescolando bene il tutto, elasciando cuocere a fuoco lento comeun normale ragù. Per la preparazionedelle lasagne, si imburra la teglia, sidepone uno strato di pasta e si coprecon un filo di besciamella, poi unostrato di funghi e infine il condimentoappena preparato. Cinque, sei strati,non di più, rispettando la tradizionedei cinque centimetri di spessore”. Er-go, niente panna!See International Summary page 78

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Il desco israelianoDI COLOMBA CICIRATA

Accademica di Caltagirone

Una profonda ritualità connota la consumazione

dei pasti.

G li israeliani hanno molta curaper il desco: il pasto si aprecon una variopinta parata di

“meze” e insalate, dove l’aggiuntadi spezie fa di ogni ortaggio unasorpresa. Il pane, ottimo, è un altroelemento fondamentale del pasto,spesso intinto in olio speziato oriempito di “hummus”, l’immanca-bile purea di ceci conditi con olio,sale, limone, sesamo (tahina) eaglio. Sul “ptitim” (cous cous israeliano

di farina di grano arrostita in for-no) vengono presentate le carni,arrosto o kebab di capretto, agnel-lo o manzo, ma anche il pesce,preferibilmente quello con pinne escaglie. I dolci, molti preparati con miele

e sesamo, spesso sono di tradizioneturca o araba. Infine, caffè nerocon cardamomo. Accanto a cibi della cucina araba

e nordafricana, molte sono le pie-tanze importate dal Nord e dall’Estdell’Europa che rendono il descoisraeliano estremamente ibrido, ti-pico di un popolo che proviene daogni parte della Terra e che vive acontatto con diverse etnie. Eppure, nella gastronomia ebrai-

ca, tutto sembra riportato ad unaperfetta unità dalla profonda ritua-lità che connota la consumazionedei pasti, la loro preparazione, lacoltivazione, regole che trovanol’espressione più compiuta nellacucina kasher, ossia adeguata aiprincipi della Torah, nella qualegli animali sono rigidamente sud-divisi tra puri e impuri, quindi nonedibili. Regola fondamentale della cucina

kasher è di non servire insieme car-ne e latticini (come tollerare dimangiare nello stesso pasto il latte

che proviene dalla madre dell‘ani-male sacrificato?) e, per evitare lecontaminazioni, spesso si fa uso diutensili e posate diverse. Il vino è ammesso sulle tavole

ebraiche, ma la coltivazione deverispettare le regole kasher, ossia:terreno coltivato unicamente a viti-gno; raccolta dopo i tre anni con ri-poso della vite ogni sette anni; sologli ebrei osservanti possono ma-neggiare i grappoli e solo alcunecantine sono autorizzate alla vinifi-cazione. L’importanza del convivio si rive-

la in occasione dello “Shabbat”.All’imbrunire del venerdì sera, aGerusalemme, gli ebrei sospendo-no le consuete occupazioni prepa-randosi alla preghiera e a consuma-re un pasto speciale insieme alla fa-miglia. Nel rispetto del riposo delsabato, tutto deve essere stato pre-parato prima e tenuto in caldo. Tipico piatto dello Shabbat è il

“cholent”, l’insieme di cibo nonconsumato nel corso della settima-na, messo a cuocere lentamenteper ore e poi servito. Non si capi-rebbe sino in fondo la bontà dellacucina ebraica senza l’attenzioneche Israele ha dedicato all’agricol-tura. La coltivazione di una propriaterra, per un popolo senza terra eal quale erano state vietate le attivi-tà agricole, rappresenta il raggiun-gimento di un desiderio ancestraleche ha permesso di superare le dif-ficili condizioni orografiche e cli-matiche della Palestina. Inventori dell’irrigazione a goccia,

gli israeliani hanno trasformato an-che il deserto in floride piantagioni,ottenendo una grande varietà difrutta e ortaggi che tanto contribui-sce alla qualità della loro cucina.See International Summary page 78

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L’albero dei tre liquoriDI AMEDEO SANTARELLI

Accademico onorario di Termoli

Tante sonole varietà di ciliegie,

usate in gastronomia, in pasticceria e in liquoreria.

I l ciliegio è un albero antichissimo,addirittura preistorico, come atte-stano rinvenimenti di noccioli in

stazioni neolitiche e negli scavi dicittà lacustri. Nei secoli passati le ci-liegie hanno avuto un ruolo alimen-tare importante per quelle popola-zioni, come nel centro Europa, aimargini delle rilevanti masse boschi-ve di ciliegi selvatici. Per esse il piat-to forte abituale era la zuppa di cilie-gie, cioè pane bollito nell’acqua diciliegie secche, e un po’ di burro.Per tre mesi, da maggio a luglio,questi popoli vivevano con le cilie-gie fresche, e il resto dell’anno conquelle essiccate, raccolte, per la con-servazione, dagli alberi numerosissi-mi e stracarichi.Antichi medici hanno riconosciuto

alle ciliegie delle virtù sedative de-gne di interesse. In Inghilterra, se-condo il sapiente naturalista JohnRay, le mamme di famiglia tenevanoin grande stima le ciliegie selvatiche,

efficaci nelle convulsioni che colpi-scono i bambini. L’acqua distillatadalle ciliegie nere era, nel XVIII se-colo, alla base di molte pozioni se-dative. Scrive F. Hell, amministratoredell’Alto Reno, che nel suo diparti-mento si distillavano le ciliegie nonfermentate che davano “un liquorealtrettanto utile e gradevole”, eviden-temente non alcolico, chiamato “ac-qua di ciliegie dolci”, eccellente peril petto, per tutte le tossi violente ele pertossi dei bambini.I Romani prima di Cristo conosce-

vano le ciliegie, ma solo quelle sel-vatiche. Le forme coltivate delle va-rie specie, visciole comprese, furonointrodotte da Lucullo, al rientro aRoma dalle guerre mitridatiche, nel71 a.C. Plinio il Vecchio, nella sua“Naturalis Historia”, ne descrive 10varietà. Che i ciliegi, nella Roma an-tica, prima del rientro di Lucullo,fossero selvatici, lo conferma Virgi-lio: “Pullulat ab radice aliis densissi-

ZUPPA DI VISCIOLE DELL’ARTUSIQuesta zuppa si può fare con fettine sottili di pane fine arrostito, op-pure con pan di Spagna o con savoiardi. Levate il nocciolo a quellaquantità di ciliegie visciole che crederete sufficienti e mettetele al fuo-co con pochissima acqua e un pezzetto di cannella che poi getteretevia. Quando cominciano a bollire aggiungete zucchero quanto ba-sta, mescolate adagino per non guastarle e allorché cominciano asciroppare assaggiatele se hanno zucchero a sufficienza e levatele dalfuoco quando le vedrete aggrinzite ed avranno perduto il crudo. Do-po che avrete leggermente intinto le fette del pane o i savoiardi nel ro-solio, collocateli suolo per suolo, insieme con le ciliegie, in un piatto oin un vassoio in modo che facciano la colma. Potete anche dare aquesta zuppa la forma più regolare in uno stampo liscio e tenerlo inghiaccio avanti di sformarla, giacché nella stagione delle ciliegie sicominciano a gradire i cibi refrigerati. Un terzo di zucchero del pesolordo delle ciliegie è sufficiente. (Pellegrino Artusi, La scienza in cuci-na e l’arte di mangiar bene)

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ma sylva ut cerasis, ulmisque…”(Georg. II, 17).Comunque, altre testimonianze

della presenza del ciliegio in Italia ri-salgono al II secolo a.C. Teofrasto ci-ta le ciliegie nel 300 a.C. Il ciliegioselvatico (Prunus avium) è il por-tainnesto preferito dei ciliegi coltiva-ti. Ed avendo fiori molto melliferi èancor più utilizzato.Difilo di Sinope, greco del tempo

di Lisippo (IV sec. a.C.), riteneva leciliegie gradevoli e ricche di virtùmedicinali. Spengono la sete, dannol’appetito, eliminano i calcoli e fan-no buon sangue. Virtù ricordate an-che nel precetto della scuola salerni-tana: “Cerasa si comedas, tibi con-fert grandia dona: expurgat stoma-chum, nucleus lapidem tibi tollit, etde carne sua sanguis eritque bonu”(La cerasa assai purga il grave sto-maco, e i noccioli di lei scaccia lapietra, e ancor fa nelle vene ottimoil sangue). Sono infatti molti gli au-tori che, nel passato, hanno attestatole virtù litontriptiche dei noccioli uti-lizzati, appunto, frantumati e messia macerare in vino bianco. Citazioniin tal senso, nel 1751, si ritrovano inN. Alexandre, che indicava, per icalcoli, di mettere a macerare in vi-no bianco ciliegie amare con i loronoccioli frantumati, o anche l’infusodi 30 noccioli frantumati, in un bic-chiere di vino da prendere a digiu-no, efficace anche per pulire i reni.Virtù medicinali si attribuivano inquel tempo anche alla gomma checola a volte abbondantemente daltronco o dai rami, indicata per usoaperitivo, dolcificante, pettorale ediuretico. Dioscoride riferiva cheacuiva anche la vista. “Il jardin deSanté”, del 1539, raccomandava diberla sciolta nel vino dolce per“sciogliere in sabbia e rottami le pie-tre che chiudono il condotto dellavescica”.Anche i piccioli, ultimi utilizzati dal-

la medicina popolare per il loro effet-to diuretico, per altro comprovato dasperimentatori di fama, non furonoda meno nella cura delle calcolosi.Oggi conosciamo dettagliatamente

la composizione chimica delle cilie-gie, ricche di flavonoidi - utili controi radicali liberi - fibre, zuccheri, vita-mine A, C, B1, B2, PP, acido folico,sali minerali di potassio, fosforo, fer-ro, magnesio, calcio.Questo frutto sgargiante ha oggi

una ricchezza varietale da cui la ga-stronomia, la pasticceria e la liquore-ria hanno ampia possibilità di sceltaper approntare le ricette volute.Per cui abbiamo ciliegie ottime per

marmellate e sciroppi, succhi, canditie sorbetti, ma soprattutto per consu-mo fresco, per torte, crostate e altro.L’uso da ricordare per le ciliegie,certamente tra i più rilevanti, è quel-lo della liquoreria.In primis ricordiamo il Maraschino,

ottenuto dall’infusione in alcol dellevisciole, ciliegie marasca di anticatradizione, prodotto quasi esclusiva-mente in Italia. Nato nei silenziosiconventi medievali, ottimo come li-quore e molto usato nei dessert inpasticceria. Le ciliegie marasche han-no uso in cucina perché attenuano ilsapore selvatico della selvaggina: le-pre in salmì, arrosti di cinghiale, ca-priolo, fagiano.

Classico derivato delle ciliegie è ilfamoso Kirsch, prodotto notoriamen-te in Francia, distillando il vino di ci-liegie. È un’acquavite forte, di gustomolto delicato. Il procedimento perottenerlo è facile: si lasciano fermen-tare le ciliegie come l’uva, vi si ag-giungono noccioli frantumati e siporta all’alambicco. Altro liquore no-tissimo, prodotto dalle ciliegie vi-sciole, è lo Cherry, mentre in Fran-cia, ma anche in Italia, con opportu-ne variazioni, si produce l’altrettantonoto Ratafià. La bellezza splendente delle cilie-

gie, nel tempo, ha ispirato poeti emusicisti. Ad esempio, nel “Ninfaled’Ameto” di Giovanni Boccaccio, ilprotagonista, venuta la primavera,invoca la sua amata dicendo: “Le ci-liegie ti serbo, e già per poco non siriscaldano per la tua distanza”. E, delgrande Salvatore Di Giacomo: “L’an-no passato, ‘o tiempo d’ ‘e cerase fa-cevo ‘ammore cu na porticesa…”.Per quanto descritto, può apparirci

opportuna e condivisibile la defini-zione data in passato del ciliegio di“albero benefico”.See International Summary page 78

RATAFIÀIngredienti: 1 kg di ciliegie, 2 litri di grappa, 1/2 litro di alcol per li-quori a 90°, 500 ml di acqua, 800 g di zucchero.Preparazione: Lavare le ciliegie, togliere il picciolo e denocciolarle te-nendole sopra ad una ciotola in modo da raccogliere il succo che ca-de. Tenere da parte i noccioli. Mettere le ciliegie in un vaso, aggiun-gere la grappa, chiuderlo ermeticamemte e lasciarlo al sole per unmese, scuotendolo ogni tanto. Su un tagliere pulito pestare la metàdei noccioli riducendoli in poltiglia. Metterli in un secondo vaso conl’alcol da liquori, chiuderlo ermeticamente e metterlo al sole vicinoall’altro. Dopo un mese fare uno sciroppo con l’acqua e lo zucchero equando lo zucchero si sarà sciolto, lasciarlo raffreddare in un luogofresco. Unire lo sciroppo raffreddato a temperatura ambiente all’alcol,per ottenere un liquore limpido, altrimenti se sarà tiepido, diventeràtorbido. Lasciare riposare ancora un mese. Trascorsi due mesi, filtra-re il liquore dei due vasi in una terrina, passandoli al colino fine fo-derato con un panno pulito. Aggiungere lo sciroppo di alcol e zucche-ro, mescolare molto a lungo e versare il liquore in bottiglie perfetta-mente pulite, asciugate e chiuse con un tappo di sughero. Conservareil liquore in luogo fresco e al buio, almeno per quattro o cinque mesiprima di berlo.

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CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 46

C U L T U R A & R I C E R C A

DI SANDRO BELLEIAccademico di Modena

Considerata in passato il cibo dei poveri, è diventataun alimento indispensabile

per tanti piatti, sia della cucina popolare sia di quella più raffinata.

C i sono degli alimenti che nonsono soltanto “cibo”, ma han-no alle spalle una storia che

merita di essere ricordata per l’im-portanza che ha avuto nel debellarela fame in tutto il mondo. Il più im-portante di questi, forse, è la patata.L’Onu, poiché questo tubero ha rap-presentato - e in molti casi rappre-senta ancora - la principale fonte disostentamento per milioni di personenel mondo, decretò il 2008 “Anno in-ternazionale della patata”.La sua vita, però, non è stata facile.

Quando fu importata in Europa dalPerù, la patata non incontrò imme-diatamente il favore della popolazio-ne. Per molto tempo, fu consumatasolamente da chi vi era costretto perragioni economiche, non potendomangiare verdure più costose. Le ra-gioni erano tante: la sua strana formabitorzoluta ricordava le eruzioni della

lebbra ed era mal visto persino l’ori-ginario color vinaccia. Tutto questo creò, intorno all’inno-

cuo tubero, un alone quasi diabolico,tanto che furono intentati persinoesorcismi, processi e condanne al ro-go ai danni di sacchi di patate. Senzasapere che alcuni secoli dopo, eva-porati i dubbi sulle origini della pata-ta, questa sarebbe stata più volte of-ferta al calore delle fiamme, ma perragioni ben diverse.In Russia si preferì a lungo morire

di fame piuttosto che cibarsi del“frutto del diavolo”, mentre in Prus-sia, al fine di incoraggiarne l’uso e lacoltivazione, nel 1651 fu emanato uneditto in cui si condannava al tagliodel naso e delle orecchie chiunque sifosse rifiutato di coltivare le patate.In Europa le patate furono importatedai frati dell’ordine dei CarmelitaniScalzi, che le introdussero fra il 1580e il 1585, portando i semi dal Porto-gallo e dalla Spagna, che a loro voltali avevano ricevuti dal Cile. In Italia come in altri paesi, tutta-

via, quei semi furono all’inizio utiliz-zati soltanto nei giardini e negli ortibotanici. Nel 1601, il botanico Char-les de l’Ecluse affermava che i tuberidella nuova pianta, sulla quale stavafacendo osservazioni, erano noti inItalia come “tartuffoli” e il loro con-sumo era già comunemente diffusocome “foraggio per maiali”.Nel 1700, la diffidenza dei contadi-

ni verso la patata fu combattuta invari modi sia dai proprietari terrierisia dagli intellettuali. Il grande meri-to di aver dimostrato l’alto valore ali-mentare del tubero va riconosciutosoprattutto all’agronomo franceseAntoine-Augustin Parmentier (1737-1813). Egli ne propagò l’uso con ilsostegno del re di Francia Luigi XVI,che in quel periodo doveva risolvere

per il paese gravi problemi alimenta-ri. Parmentier si occupò anche delmais, delle castagne e dei vari meto-di per macinare il grano. In suo ono-re, numerosi piatti francesi a base dipatate portano il nome di chi seppevalorizzare questo tubero così pove-ro ma anche così ricco di proprietànutritive. A onor del vero, ancheuno scienziato statunitense, Benja-min Thompson conte di Rumford,studiò le patate e i modi per rispon-dere alla carenza di alimenti in gra-do di nutrire una popolazione in au-mento.Nel XIX secolo, la patata entrò fi-

nalmente con successo nella culturaalimentare dell’Europa settentrionale.In alcuni paesi, anzi, diventò il ciboprevalente o unico delle popolazionirurali, con conseguenze anche dram-matiche e un precario equilibrio pro-duttivo-demografico, come nelle ca-restie del 1845 e 1848 in Irlanda. Fuproprio a causa della mancanza di ci-bo che gli abitanti della verde isolafurono costretti a emigrare in massanegli Stati Uniti.In epoca più recente, l’area d’im-

piego della patata si è estesa anchealle regioni dell’Europa meridionalee della fascia centrale dell’Asia, gra-zie alla surgelazione. La produzione di semilavorati per

la friggitrice industriale, addirittura,ha reso le patate fritte uno dei piattipiù standardizzati dell’alimentazioneglobalizzata, fornita dalle catene in-ternazionali di ristorazione veloce, icosiddetti fast food. Con le patate,così eclettiche, non va dimenticato,infine, che è prodotta in Polonia, maanche in Russia e in Finlandia, unafamosa acquavite, conosciuta e ap-prezzata in tutto il mondo, come laVodka.See International Summary page 78

Diabolica patata

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Le pentole indiane

N egli anni bui si donò il “ramealla Patria”, e scomparverodalle nostre cucine i bei rami

lucidi, che provenivano direttamentedai secoli passati. L’interno stagnatonon garantiva il pericolo di una cer-ta tossicità proveniente dal formarsidel verderame, ma erano l’orgogliodelle famiglie che se li tramandava-no da madre in figlia. Negli ultimi cinquanta anni, hanno

trionfato l’alluminio e l’acciaio inos-sidabile, anche se, ancora qualchedecennio addietro, i vecchi buongu-stai volevano che il ragù bollisselentamente nel tegame di terracotta. Pur avendo una solida tradizione

nella produzione nazionale di pen-tolame, la globalizzazione rendeconveniente importare anche questiutensili di cucina dai più lontanipaesi. Non si è dato molto rilievo al-la recente notizia, venuta da Taran-to, dove la locale Asl ha trovato unagrossa partita di pentole, mestoli ealtri utensili di cucina, provenientidall’India, positiva agli esami sullaradioattività. Scattato il sequestro, siè accertato che questi oggetti erano

stati prodotti con una lega d’acciaioscadente, con tracce di un isotoporadioattivo di cobalto, pericolosoper l’uomo. Gran parte della merce, entrata in

Italia con regolare documentazione,era ancora in magazzino, ma unaparte potrebbe essere entrata incommercio sul territorio nazionale,anche se si è provveduto in parte arintracciarla e a ritirarla, ma non c’èancora alcuna certezza che sia stataritirata tutta. Il pericolo, se si usano tali utensi-

li, è la possibile migrazione della so-stanza radioattiva nei cibi durante lacottura, con conseguenze molto gra-vi per l’organismo. Sembra che ilmateriale usato per la fabbricazionedi tali utensili derivi dai rottami del-le navi demolite, di cui esiste unamassiccia presenza lungo le costeindiane.È comunque un dato di fatto che i

porti di Taranto e Bari sono gli scalidove più è frequente il traffico dimerci illecite provenienti dall’Orien-te e soprattutto dalla Cina. Spesso siha notizia di sequestri di prodotti ir-

regolari o potenzialmente pericolosiper la salute, non solo alimentari,ma anche giocattoli prodotti conmateriali tossici, cosmetici ecc. Ungiro che supera il miliardo di euro.

IL PIATTO UNICO

Sembra che la nuova tendenza delconsumatore nostrano sia per il pa-sto composto di un piatto unico. Lacircostanza, rilevata dai soliti “son-daggisti”, è ampiamente riportata ecommentata dai media. Il consumo di un piatto non è solo

quello durante l’intervallo del lavoro,ma anche nelle cene fuori casa. Siparla di tendenza al risparmio, ma-scherata da esigenze di dieta o forsedi evoluzione dei gusti. Sta di fattoche raramente, se non nelle circo-stanze di ricorrenza, il pasto si svol-ge secondo la tradizionale cadenza:antipasto, primo, secondo e infinefrutta e dessert. Nei ristoranti, gli chef si ingegnano

a proporre nuove composizioni cheincontrino il favore della loro clien-tela a “piatto unico”.Viene da ricordare che, durante gli

anni bui del periodo bellico, il Regi-me impose il “piatto unico” che, se-condo le direttive, “non mirava sol-tanto ad un provvido risparmio deiconsumi ma a una sensata sommini-strazione di una quantità di vivande:si tratti di pasti d’albergo, di pranzi ainvito o famigliari”. Le raccomandazioni, con motiva-

te disposizioni anche per limitare ilconsumo carneo, concludevanoche “una disubbidienza si risolvepoi a tutto svantaggio salutare indi-viduale”.

GABRIELE GASPARRODelegato di Roma

CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 47

S I C U R E Z Z A E Q U A L I T À

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CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 48

N O T I Z I A R I O

VINITALY IN SINTESI

Nel corso della quarantasette-sima edizione del Vinitaly,molte sono state le iniziativevolte alla valorizzazione dellepeculiarità dell’enologia italia-na, ma numerosi sono stati an-che gli eventi che ne hannomesso in luce opportunità ecriticità. Dalla ricerca di Sym-phonyIRI Group sull’anda-mento del mercato del vino esui vini più venduti nellaGrande Distribuzione (che or-mai vale il 70% delle vendite)nel 2012, è risultato, ad esem-pio, che diminuiscono le ven-dite di vino nei supermercati,per la prima volta negli ultimi10 anni, con un calo, perquanto riguarda il totale delvino confezionato, del 3,6% avolume rispetto al 2011. No-nostante la tendenza negativa,aumentano del 3,3% le venditedel vino in bottiglia a Denomi-nazione d’origine nella fasciadi prezzo superiore ai 6 euro.Flessione più contenuta per ilvino in brik, che perde l’1,7%,mentre ancora tengono “lebollicine” con un - 0,6%. L’ana-lisi delle statistiche evidenziache il 2012 è stato un anno ca-ratterizzato da un forte au-mento dei prezzi dei vini nellaGdo: del 5,5% per il totale delvino confezionato, del 4,5% alitro per le bottiglie di 75 cl aDenominazione d’origine edel 10,1% per i brik. Il vinopiù venduto nei supermercatiitaliani è il Lambrusco, con piùdi 14 milioni di litri per un va-lore di 44 milioni di euro. Se-guono Chianti, Montepulcianod’Abruzzo, Barbera, Bonarda.Va sottolineato il calo dellevendite a volume del Nerod’Avola (-30,2%), dovuto adun aumento del prezzo del20,8%, un fenomeno che si ri-pete anche per altri vini. Tra ivini “emergenti”, cioè quelliche fanno registrare una mag-gior crescita a volume, boomdel Pecorino, prodotto nelleMarche e in Abruzzo, con un+23,8%, seguito da Pignoletto,

Grillo, Traminer, Falanghina.Numeri da leggere con atten-zione e su cui riflettere. Tuttigli operatori hanno, inoltre,evidenziato, come è emersoanche dalle parole del presi-dente di Verona Fiere, EttoreRiello, che più della crescitadell’export, più delle difficoltàeconomiche attuali, nei pen-sieri del mondo del vino, chein Italia è un mondo fatto da384.000 aziende per un fattu-rato di 10 miliardi di euro, c’èl’agognata soluzione del pro-blema della burocrazia, checosta 6 centesimi a bottiglia, 8euro a ettolitro, o due chili dicarta al litro. Segnale chiaro,che, insieme ad una pressionefiscale arrivata al 52%, è il ve-ro freno alla crescita del vinoitaliano.

È SCATTATO IL “FISH DEPENDENCE DAY”

È già finito il pesce italiano peril 2013. Immaginando di con-sumare per prima tutta la pro-duzione nazionale annua, gliitaliani avrebbero trovato la ta-vola priva di pesce già dalloscorso mese di aprile. E se in-vece, nella realtà, continuiamotutto l’anno a mettere al fornoorate e a preparare zuppe digamberetti è perché le impor-tazioni crescono. Rispetto alloscorso anno, la disponibilitànazionale di pesce è terminatacon una settimana di anticipo,a conferma delle crescenti dif-ficoltà che devono affrontare ipescatori italiani che impiega-no circa 13.500 imbarcazioninella raccolta soprattutto di ali-ci, vongole, sardine, naselli,gamberi bianchi, seppie, pan-nocchie, triglie, pesce spada esugarelli. Per effetto della crisi,la forbice tra prezzo all’originee prezzo al consumo si è sem-pre più allargata; mediamente,su ogni euro del prezzo alconsumo, agli operatori di set-tore sono destinati solo 25centesimi. È Impresa PescaColdiretti a lanciare l’allarmesull’accresciuta dipendenza

dall’estero per i consumi di pe-sce, con il grado di autosuffi-cienza dell’Italia che è scesodal 32,8% al 30,2% negli ultimidue anni, secondo il report diOcean2012. Secondo elabora-zioni Impresa Pesca Coldirettisu dati Ismea, anche per effet-to della crisi, il consumo do-mestico di prodotti ittici è di-minuito complessivamentedell’1,5% nel 2012. In calo, so-prattutto, gli acquisti di pescefresco, scesi del 3% rispetto al-lo scorso anno e in particolaredi alici (-9,9%), calamari (-8%)e vongole. Ad aumentare ledifficoltà, il fatto che due pescisu tre consumati in Italia pro-vengono dall’estero, ma attual-mente la legge sull’etichettatu-ra prevede la sola indicazionedella zona di pesca che peral-tro non è prevista obbligatoria-mente per il pesce servito al ri-storante. Si moltiplicano, infat-ti, i casi di pesce stranierospacciato per italiano. Bastapensare al pangasio del Me-kong venduto come cernia, oal polpo del Vietnam spacciatoper nostrano. Ma ci sono an-che l’halibut atlantico spacciatoper sogliola, il dentice dallaMauritania e le vongole turche,mentre i gamberetti sono spes-so targati Cina, Argentina, Mo-zambico o, ancora, Vietnam,dove peraltro è permesso untrattamento con antibiotici chein Europa è vietato in quantopericoloso per la salute.

FALSO BIO

Un recente maxisequestro haeliminato dal mercato prodottibase che sarebbero finiti in ali-menti venduti come bio: soia,mais e grano tenero contraffat-ti o contaminati con pesticidi eOgm, provenienti da Ucraina,Moldavia e India. L’operazioneeffettuata dall’Icqrf (Ispettoratocentrale della tutela della qua-lità e repressioni frodi dei pro-dotti agroalimentari) in colla-borazione con il Comandoprovinciale della Guardia di fi-nanza di Pesaro, ha portato a

numerose perquisizioni nelleMarche, in Emilia Romagna,Sardegna, Molise e Abruzzo acarico di operatori del settoredei prodotti da agricoltura bio-logica che importavano, daPaesi terzi limitrofi all’Ue, gra-naglie destinate al compartozootecnico e, in taluni casi,all’alimentazione umana, falsa-mente certificate come “bio”ma in realtà non conformi allanormativa comunitaria e na-zionale. L’indagine ha postosotto sequestro 1.500 tonnella-te di mais proveniente dal-l’Ucraina, falsamente certifica-to come biologico, e 30 ton-nellate di soia indiana lavora-ta, verosimilmente contenenteprodotti chimici vietati, desti-nata all’industria mangimistica,per l’alimentazione zootecnica.Tra esportazioni e consumi in-terni, il giro d’affari complessi-vo del biologico ammonta inItalia, secondo la Coldiretti, acirca 3 miliardi di euro. Un fat-turato che pone l’Italia al quar-to posto, in Europa, dietroGermania, Francia e RegnoUnito e in sesta posizione nel-la classifica mondiale. Ad esse-re danneggiate sono anche lecirca 50 mila aziende agricoleitaliane che coltivano biologi-co, che garantiscono all’Italiala leadership europea nei bioper numero di imprese pre-senti. Di fronte al ripetersi difrodi che riguardano l’importa-zione di prodotti falsamentebiologici è necessario che siafacilmente riconoscibile in eti-chetta la produzione ottenutacon materia prima e standardnazionali, per consentire aiconsumatori di fare scelte diacquisto consapevoli sulla rea-le origine del prodotto acqui-stato. Con un aumento deiconsumi bio del 7,3%, in Italianel 2012, sono aumentate, ne-gli ultimi anni, le importazionidi prodotti biologici, con ilconseguente moltiplicarsi ditruffe a danno dei produttoriitaliani e dei consumatori.

a cura diSILVIA DE LORENZO

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CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 49

I N L I B R E R I A

I CIBI CHE AIUTANOA CRESCEREdi Marco Bianchi e LucillaTittaA cura della Fondazione Umberto Veronesi

Mondadoriwww.librimondadori.it€ 14,90

Il libro intende essere d’aiutoai genitori per acquisire unanuova consapevolezza incampo nutrizionale. Seguen-do i consigli dello chef MarcoBianchi potranno preparareai bambini tra i 6 e i 12 annipranzi, merende e cene gu-stosi, semplici e veloci, ricchidi frutta, verdura, semi oleosie fibre. È un ricettario all’in-segna della salute, il cuiobiettivo è quello di trasmet-tere anche ai bambini l’amoreper la buona tavola, appas-sionandoli al cibo e diverten-dosi con loro nella prepara-zione di ricette semplici e ge-nuine, che educhino il loropalato al gusto per le cosesalutari.Fornire ai genitori gli stru-menti utili a operare quoti-dianamente una scelta ali-mentare consapevole per ipropri figli è lo scopo di unnuovo progetto della Fonda-zione Umberto Veronesi, chesi avvale di ricercatori e me-dici di altissimo profilo. Traquesti: il già citato MarcoBianchi, chef scienziato, Lu-cilla Titta, nutrizionista ricer-

catrice della Fondazione, Ga-briella Pravettoni, professoreordinario di Scienze Cogniti-ve all’Università di Milano,Pier Giuseppe Pelicci, Presi-dente del Comitato Etico del-la Fondazione, Claudio Luc-chiari, Docente di PsicologiaCognitiva alla Cattolica di Mi-lano. La Fondazione Veronesidiffonde da sempre il mes-saggio dell’alimentazione co-me un alleato indispensabilealla salute. Per questo i suoiprogetti, nell’ambito della di-vulgazione scientifica preven-tiva, sono particolarmente at-tenti all’insegnamento di unasana e corretta alimentazionefin dalla nascita dell’essereumano.

FANTASTIC CAKESdi Mich Turner

Giunti Editore - Firenzewww.giunti.it € 24,90

In questo illustratissimo volu-me, molti esempi, belli e rea-lizzabili, perché ben spiegati,di dolci, biscotti e minicakesfinemente decorati. L’autrice,d’altronde, è considerata laregina del cake design, ed èconosciuta in tutto il mondoanche per i suoi illustri clien-ti: dalla regina Elisabetta aPaul McCartney, per i qualicrea e decora dolci spettaco-lari, adatti ad ogni grande oc-

casione. Oltre alle originalidecorazioni di ogni sorta didolce, in questo libro vi sonodue capitoli - “Basi per torte”e “Tecniche di base avanzate”- molto esaustivi sia per iprincipianti sia per chi è piùabile. L’ultima sezione riguar-da poi i disegni e i modelli(templates) per realizzare ledecorazioni delle torte pre-sentate.

EMOZIONI A TAVOLAa cura di Ivana Ruggiero eLeda Urbanucci

Casa Editrice TinariContrada Fonte Grande, 30 Villamagna (CH)€ 15,00

Un fondamentale aspetto,che rende questo allegro vo-lumetto differente da altri ri-cettari, è quello umano: parladi emozioni. E infatti in essoci sono l’amore e l’impegnodei ragazzi disabili dell’AnffasOnlus di Ortona per l’arte cu-linaria, che veicola nei piattirealizzati tutta la loro passio-ne. Amando la loro terra,inoltre, i ragazzi hanno cerca-to di utilizzare e valorizzareal meglio i prodotti del terri-torio, come i fagioli tondinidel Tavo o i pomodori a perad’Abruzzo, riscoprendo, avolte, anche sapori oggi unpo’ dimenticati, come la“scrucchiata”. E il riferimento

alla cultura gastronomica lo-cale, nelle quaranta ricettepresentate, ci parla della vita-lità tipica di un popolo, delquale questi ragazzi fannoparte, e di un territorio in bi-lico tra il mare e la monta-gna.

LA CUCINA CONTADINAMODENESEdi Sandro Bellei

Edizioni CDL Opere di Cultura LocaleVia Rovere, 2 - Finale Emilia(MO)€ 24,90

Nel terzo volume della Colla-na dedicata alla cucina conta-dina, l’autore parla dei secon-di piatti, anche se, precisa,questa dizione è piuttosto“un’invenzione moderna”. Disolito, infatti, dopo la mine-stra, nell’ambito della cucinacontadina di un tempo, il se-condo piatto in quanto talenon esisteva. Dopo la mine-stra, si tornava a lavorare neicampi! Eppure, la terra mo-denese è ricca di quei piattiche oggi chiamiamo “secon-di” e che erano allora consi-derati piuttosto piatti unici omerende. Ed ecco, quindi,nel bel volume ad essi dedi-cato, corredato di immagini avolte struggenti - quelle deitempi andati -, a volte cosìvere da farci sentire profumi

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CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 50

I N L I B R E R I A

e sapori, snodarsi un percor-so pieno di storia e di tradi-zione. Dall’uccisione del ma-iale e i vari riti ad essa colle-gati, una lunga serie di suc-culente ricette di frittatine dicervello, rognoni in umido,

fegato, salsicce con verdure elegumi, filetto in “galera” dipancetta. E poi il trionfo deibolliti, con le numerose salsedi accompagnamento. Nonsolo maiale nella cucina con-tadina, ma anche ricette di

stufati, di brasati, di stracotti,di arrosti di carne bovina,prima di passare al pollaio,che offriva uova e delicatecarni bianche di animali ac-cuditi dalle “rezdore”. Senzadimenticare la cacciagione,

frutto di una tradizione vena-toria plurisecolare. Non man-cano, infine, in questo ricetta-rio, prezioso di memorie econsuetudini, i piatti “di recu-pero” che ripropongono inmaniera gustosa gli avanzi.

Delegazione di Pordenone

AL BORDO DELL’ORTOdi Giorgio Viel

Il sottotitolo di questo bel vo-lume, realizzato dal DCST delFriuli-Venezia Giulia, GiorgioViel, è “Ortiche in cucina”, adindicare che proprio a questovegetale, che cresce in unaterra di confine tra il colto el’incolto, è volto l’interessedella pubblicazione. Come harilevato il Presidente Ballarini,nella presentazione, “l’ortica èqui proposta a tutto tondo, inuna ricerca che travalica iconfini della cucina, e ches’inoltra nel vasto mondo del-la cultura umanistica e dellesagge tradizioni popolari”. Einfatti l’autore spazia tra sim-boli e letture, tra mito e su-perstizioni, tra medicina, bota-nica e agricoltura, mettendoin luce, in una parola, la cul-tura legata all’ortica, prima dipassare al suo uso in cucina,di cui fornisce più di 150 inte-ressanti ricette.

Delegazione di Verona

QUATTRO CHIACCHIERE INTORNO AD UN TAVOLO

Le conversazioni svolte, nelcorso delle serate accademi-che degli ultimi anni, dagliAccademici della Delegazione,e dai loro amici, sono riporta-te in questo interessante volu-metto, che spazia da “argo-menti a volte molto seri escientifici, ad altri leggeri escanzonati ma sempre di no-tevole interesse”. “Un po’ perricordare, un po’ per riflettere,un po’ per programmare lefuture attività”. Vi sono ancheinserite alcune ricette da nondimenticare e tre menu: unotipico veronese della tradizio-ne e delle stagioni, uno divecchi piatti veneziani attua-lizzati, e quello di un pranzoorganizzato da studenti di cu-cina con erbe e aromi.

Delegazione di Siracusa

LA CUCINA SIRACUSANAa cura di Angelo Tamburini

In occasione del cinquantena-rio della Delegazione, si èsvolto a Siracusa il convegno“La cucina siracusana e le an-tiche seduzioni dell’Oro degliIblei”, i cui atti sono riportatiin questa pubblicazione, riccadi argomenti sulla storia delterritorio. Seguendo il filoconduttore dell’olio dei MontiIblei Dop, ma anche quellodegli altri extravergine sicilia-ni, infatti, gusto, memoria,identità e integrazione di cul-ture ricorrono in una selezio-ne di ricette siracusane e disaggezze popolari. Fanno se-guito le manifestazioni più si-gnificative dei cinquant’annidi storia della Delegazione ele varie pubblicazioni che neillustrano i contenuti.

Delegazioni di Caltagirone e Gela

UNA FESTA CON CENA E BALLO IN ONORE DILORD WILLIAM BENTINCKdi Domenico Amoroso

Silvio Di Pasquale Editore-Caltagirone (CT)www.silviodipasquale.it

I festeggiamenti congiunti peril decennale delle due Delega-zioni hanno portato alla pub-blicazione, corredata da im-magini e documentazione sto-rica, di alcuni importanti avve-nimenti che hanno avuto luo-go nelle due città. Uno è co-stituito dalla sontuosa cenacelebrata a Caltagirone, il 18dicembre 1813, in onore diLord William Bentinck, co-mandante delle forze inglesi eambasciatore in Sicilia. Gli al-tri due avvenimenti riguarda-no il soggiorno di altri illustripersonaggi a Terranova e aNiscemi.

LO SCAFFALE DELLE DELEGAZIONI

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

MONTEROSA22 febbraio 2013

Ristorante “Il Giunco” di To-squin - Polacchini, fondatonel 2011. �Località Les Iles -Golf House, Brissogne (Ao-sta); � e fax 0165 762932;coperti 60. �Parcheggio in-custodito, sufficiente; preno-tazione consigliabile; feriegennaio; chiusura martedì(mai da aprile a settembre).�Valutazione 7,8; prezzo €42; accogliente.

Le vivande servite: amusebouche della casa; maltaglia-ti bicolore con friarielli, mol-luschi, la loro bisque e trigliaarrostita; tonno scottato conmelanzane grigliate e mar-mellata di cipolle rosse al-l’agro; meringa con cremachantilly e amarene.

I vini in tavola: ProseccoValdobbiadene Doc 2011(Nardi Giordano); Gewürz-traminer Docg 2010 (CantinaValle Isarco).

Commenti: Menu “marina-ro” per il primo incontro con“Il Giunco”, accogliente lo-cale aperto presso la GolfHouse del Club “Le Iles diBrissogne”, al centro dellaValle d’Aosta. Piccolo cartoc-cio di fritto di pesce e verdu-re per un “amuse bouche”fragrante, accompagnato daun gran Prosecco. Maltagliatioriginali, in un piatto ricco ecomposito, saporoso, un po’penalizzato dalla lentezzadell’uscita dalla cucina. Im-peccabile il tonno, di grandequalità e di cottura perfetta;indovinato il contrasto tral’amabilità della marmellatadi cipolle e le melanzanegrigliate, entrambe ottimecompagne del pesce. Merin-ga e crema gradevoli maperfettibili, magari frutta fre-sca al posto delle amarene.Vini eccellenti, un Gewürz-traminer di grande equilibrioanche a tutto pasto. Grande

affabilità nell’accoglienza enel servizio, quest’ultimoun po’ lento.

ALESSANDRIA23 febbraio 2013

Ristorante “Locanda di SanMartino” di Gian Piero e Ste-fano Masini, fondato nel1987. �Via Roma 26, Pastu-rana (Alessandria); �014358444, fax 0143 58445; co-perti 60. �Parcheggio insuffi-ciente; prenotazione consi-

gliabile; ferie due settimanea gennaio; chiusura lunedìsera e martedì. �Valutazione7,5; prezzo € 40; elegante,accogliente.

Le vivande servite: focacciacalda con salsine; terrina diselvaggina; carne saladatrentina con cuori di sedano;sformato di broccoli confonduta; risotto con zucca especk; agnolotti del plin alsugo; coppa di maialino alCortese con patate al forno;dolce al caffè e zabaione.

I vini in tavola: Gavi (VillaBanfi); Dolcetto d’Ovada.

Commenti: Serata riuscitamalgrado la forte nevicatache non ha scoraggiato gliAccademici dal partecipare aquesta cena. Il ristorante, giànoto per i precedenti gestori

(la mitica signora Heidi) chel hanno lanciato, sembra es-sere rimasto quello di allora.I due fratelli Masini, unochef in cucina e l’altro chesovrintende alla sala, chehanno cominciato a collabo-rare a quei tempi, sembranoaver assorbito quella vitalitàe cortesia che si riscontrava-no alla fondazione, appor-tando comunque qualcheaggiustamento e novità chenon guastano. In conclusio-ne, Accademici contenti, ot-tima serata in convivialità,servizio puntuale e ottimovoto finale.

CUNEO - SALUZZO15 marzo 2013

Ristorante “Osteria DueGrappoli”, fondato nel 2012.�Via Santa Croce 38, Cuneo;

�0171 698178; coperti 55.�Parcheggio incustodito;prenotazione necessaria; fe-rie una settimana ad agostoe una a gennaio; chiusuralunedì. �Valutazione 7,20;prezzo € 35; tradizionale,famigliare.

Le vivande servite: carnecruda battuta al coltello; vi-tello tonnato della tradizione;cipolla novella ripiena di sal-siccia e fonduta; ravioli “ris ecoi”; cappello da prete stra-cotto al vino rosso su purè dipatate; cremino al miele dicastagno e torta di nocciole;sorbetto alla mela verde.

I vini in tavola: Dolcetto2011 (Marziano Abbona);Barbera d’Alba Granera Alta2011 (Cascina Chicco); Mo-scato 2012 (Saracco).

Commenti: Serata dedicataalla cucina tradizionale delPiemonte, che gli Accademi-ci hanno potuto apprezzare,grazie agli chef MaurizioMeinero e Matteo Prato, inun locale aperto nel 2012ma che di fatto ha continua-to l’attività svolta, a partiredal 2003, in altri locali, daifratelli Meinero e da MatteoPrato. Il Simposiarca, Ferruc-cio Franza, ha introdotto laserata, rammentando la sto-ria dei fratelli Meinero. Ipiatti “forti” sono stati sicura-mente gli antipasti, con unabattuta di fassone strepitosae la cipolla novella. Di parti-colare menzione anche ilcappello da prete stracottonel vino rosso su purè di pa-tate, di cui lo chef, MatteoPrato, a fine serata ha de-scritto le caratteristiche, indi-cando un tempo di cotturadi circa due ore e mezza.Ottimo anche il dolce.

NOVARA21 febbraio 2013

Ristorante “La Vecchia Trat-toria della Pace” di DavideGrosso, fondato nel 1945.�Piazza Regina Margherita1, Mandello Vitta (Novara);� e fax 0321 835195; co-perti 70. �Parcheggio incu-stodito, sufficiente; prenota-zione consigliabile; ferie 3settimane tra agosto e settem-bre; chiusura lunedì e dome-

VALLE D’AOSTA

PIEMONTE

VITA DELL’ACCADEMIA INDICE

Valle d’Aosta, Piemonte pagina 51Liguria 52Lombardia 53Trentino-Alto Adige, Veneto 54Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna 55Toscana 56Marche, Umbria 59Lazio 60Abruzzo 61Molise, Campania 62Puglia, Basilicata, Calabria 63Sicilia 64Sardegna, Europa 65Nel mondo 67

CARNET DEGLI ACCADEMICI 68

DALLE DELEGAZIONI 70

Ai Delegati: imprescindibili ragioni editoriali rendono necessariomantenere i “Commenti” delle riunioni conviviali in uno spaziolimitato. La direzione della rivista ha provveduto a tagliare i“Commenti” che superano il limite, indicato (peraltro da sempre)sulle schede prestampate, di 800 (massimo 1000) caratteri, spaziinclusi. La decisione è stata presa nella convinzione che le ragionidi fondo che l’hanno determinata verranno comprese e applicate.

CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 51

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nica sera. �Valutazione7,50; prezzo € 40; tradizio-nale, famigliare.

Le vivande servite: antipa-sto misto alla novarese conciccioli, salumi nostrani caldie freddi, insalata russa e sot-taceti; paniscia classica; ocae verze; torta di mele casa-linga; bonet.

I vini in tavola: SpumanteClassico Extra Brut CuvéeZero Rosé (Cascina Chicco);Barbera d’Asti Madonna del-la Neve (Azienda VinicolaGhignone); Roero Valmag-giore Docg (Cascina Chicco);Calvados Rum Le Cacique.

Commenti: La prima riunio-ne conviviale del 2013 s’è te-nuta all’insegna della piùclassica tradizione novarese,in un antico locale, che al-meno tre generazioni dellastessa famiglia hanno porta-to ad essere un vero e pro-prio scrigno della migliorecucina tipica del territorio.Lo chef Davide Grosso, at-tingendo ad insegnamentiantichi e lavorando materieautoctone, tramanda piattidel tempo che fu, ma ren-dendoli compatibili con lenecessità caloriche dei nostrigiorni, senza nulla togliere alpiacere d’una tavola genui-na, sapida e vigorosa. Un ri-sultato che si può otteneresolo dedicando alla cucinatutto il tempo che occorre,per seguire tutte le tappe diun percorso che parte dal-l’orto, dal cortile, dal merca-to locale: un’occasione con-viviale che ha rappresentato,per i numerosi Accademici eper i loro ospiti, motivo diapprezzamento per una rarae filologica cura della piùgenuina tradizione novarese.

PINEROLO22 febbraio 2013

Ristorante “D’La Picocarda”di Beppe e Caterina Picotti,fondato nel 1996. �Via Car-dè 71, Crocera di Barge (Cu-neo); �0175 30300, [email protected]; coperti100+100. �Parcheggio incu-stodito, sufficiente; prenota-zione consigliabile; ferie ago-sto; chiusura lunedì sera emartedì. �Valutazione 7;

prezzo € 50; elegante, tradi-zionale.

Le vivande servite: aperitivicon stuzzichini; polpo affo-gato con biscotto croccantedi polenta di pignolet; taglia-telle impastate al “nero” conragù di mare; trancio di pe-scato con pomodoro frescoe carciofi padellati; peremartin al Moscato con il suosorbetto.

I vini in tavola: Prosecco; Pi-gato Le Russeghine 2011(Bruna); Sauvignon BlancWinkl 2011 (Cantina Terlan);Moscato d’Asti 2012 (Saracco).

Commenti: La prima riunio-ne conviviale del 2013 si èsvolta in un grande cascina-le, ottimamente ristrutturato,ubicato nel territorio cunee-se. Peculiarità di questo ri-storante è la grande varietàdi pescato disponibile gior-nalmente nel menu, anchese si tratta di un ristorante si-tuato in mezzo alla campa-gna piemontese. Il menu,coordinato dal SimposiarcaAlberto Negro, è una chiaraevidenza di quanto prece-dentemente esposto. Dopoun ricco e originale aperiti-vo, molto apprezzato, gli Ac-cademici sono stati abilmen-te condotti in un percorso it-tico, degustando la freschez-za del polpo affogato allapolenta. Particolare soddisfa-zione per il trancio di pesca-to. Cortese e solerte il servi-zio a tavola, impeccabilel’accoglienza.

ALBENGAE DEL PONENTE LIGURE

14 febbraio 2013

Ristorante “Conte Rosso” del-la famiglia Capograsso, fon-dato nel 1996. �Via Torlaro30, Albenga (Savona);�0182 53699, fax 0182559054; coperti 45. �Par-cheggio scomodo, in zona

pedonale in centro storico;prenotazione consigliabile;ferie novembre (variabili);chiusura lunedì. �Valutazio-ne 7,8; prezzo € 45; acco-gliente, caratteristico.

Le vivande servite: juliennedi cavolo viola in agrodolcesu “cogna” e scaglie di peco-rino romano; spadellata dicarciofi di Albenga e uovobarzotto con fonduta al for-maggio suola del Colle diNava; risotto all’Amarone“Santi” con salsiccia di Bra ecastagne; stinco di agnellosu patate di Calizzano e car-ciofi di Albenga; semifreddoal Marsala “Vecchio Samperi”e mele fiammate.

I vini in tavola: ValpolicellaRipasso “Le Poiane” Doc2010 (Azienda Bolla); Am-bar Moscato di Sicilia Igt(Florio).

Commenti: Un bel localenel centro storico di Alben-ga, con pavimenti in legno,muri di pietra a vista e conun caldo camino acceso, haaccolto gli Accademici perquesta riunione conviviale.Dopo una breve relazioneintroduttiva del Delegato euna presentazione dell’Acca-demico onorario Pier FrancoQuaglieni, storico, il prof.Massimo Coco, figlio delmagistrato Francesco Coco,vittima delle Brigate Rosse,ha ricordato le sue memoriegastronomiche. Come prota-gonisti del menu della sera-ta, i carciofi di Albenga,un’ottima carne e un buonrisotto al vino Amarone.Questo è stato lo spunto perun breve intervento del De-legato Roberto Pirino sulletradizioni alimentari italiane,che ha poi concluso con leriflessioni positive scaturitedalle valutazioni dei nume-rosi Accademici intervenuti, iquali hanno trovato la seratapositiva e piacevole.

GENOVA EST13 febbraio 2013

Ristorante “Antica Osteriadella Castagna” di GiorgioBove, fondato nel 1981.�Via Romana della Casta-gna 20r, Genova; �0103990265, fax 010 3733507;

coperti 100. �Parcheggio in-custodito; prenotazione con-sigliabile; ferie 15 -31 agosto;chiusura domenica sera elunedì. �Valutazione 7,50;prezzo € 40; tradizionale.

Le vivande servite: aperiti-vo con cuculli, anisette, zuc-chine, anelli di cipolla diTropea; antipasto caldo dimare con polpo, cozze, von-gole, gamberi e rossetti; pac-cheri di Gragnano al ragù dicrostacei e astice; ricciola sfi-lettata in tegame con pinolie olivette taggiasche; tortacasalinga di mele con cremacalda al Calvados.

I vini in tavola: CourteisaBrut Alto Monferrato; Ver-mentino di Ponente (PoggioCervo); Moscato Passito diSicilia.

Commenti: Situato nel latoorientale di Genova e collo-cato su un’antica stazionedelle poste, che ristorava iviandanti nella loro discesasul litorale, questo locale si èdedicato, da oltre trent’anni,alla cucina del mare. Con iltrascorrere del tempo, i gustidella clientela sono andatisempre più affinandosi, eoggi l’offerta del menu puòsicuramente incontrare il fa-vore degli intenditori più esi-genti. Veramente apprezzatol’antipasto, con gran varietàdi pescato, confezionato se-condo la migliore tradizionegenovese. Ottimo è stato ilprimo piatto, con una quali-tà di pasta campana che stariscuotendo molto successoanche in Liguria prestandosia valorizzare eccellentemen-te il sapore dei crostacei e inparticolare dell’astice. Il des-sert, rigorosamente fatto incasa, merita una particolaremenzione per l’accostamen-to con una gustosa cremacalda al Calvados. Appro-priata la scelta dei vini cheha beneficiato della buonaofferta di etichette del locale.

SAVONA24 febbraio 2013

Ristorante “Molino” di Gio-vanni Rossello, fondato nel1956. �Piazza Cairoli 1, Al-bisola Superiore (Savona);� e fax 019 49043; coperti

80. �Parcheggio sufficiente;prenotazione consigliabile;ferie occasionali; chiusuramartedì. �Valutazione 7,35;prezzo € 30; famigliare.

Le vivande servite: frittinicaldi con carciofi; frittatina dicarciofi; cima alla genovese;frittelle di baccalà; formag-getta con paté di olive; fun-ghi in insalata; pansotti diborragine con le noci; taglie-rini al coniglio; coniglio alleolive con patate al forno;agnello ai carciofi; crostatadi frutta.

I vini in tavola: Rapallino;Rossese; Brachetto; Prosecco.

Commenti: Il ristorante, si-tuato nell’entroterra savone-se, accogliente e sobrio, hamantenuto da tempo la pro-pria gestione, rimasta fami-gliare e accurata. Si è avutomodo di apprezzare la cuci-na tradizionale della Valledel Sansobbia rivisitata conaccuratezza e misura, spo-sando in armonica con-gruenza la tradizione pie-montese con tocchi magi-strali di quella ligure. Le vi-vande, tutte semplici ma raf-finate, hanno rivelato come igestori si prodighino nella ri-cerca e nell’utilizzo di mate-rie prime altamente selezio-nate, di origine locale, e lecombinino con maestria ecura per presentarle conestro e originalità. Unanimeapprezzamento hanno ri-scosso la cortesia, la cordiali-tà e le premure dei gestori,che da soli avrebbero giàmeritato il piatto dell’Acca-demia.

TIGULLIO22 marzo 2013

Ristorante “E’ Taggejne” diMohamed Samir, fondatonel 1996. �Via Raggio 11,Chiavari (Genova); �0185322834; coperti 35. �Par-cheggio comodo, in prossimi-tà, non custodito; prenota-zione consigliabile; feriemai; chiusura lunedì a mez-zogiorno e mercoledì. �Valu-tazione 7,50; prezzo € 35.

Le vivande servite: antipa-sti di salmone impanato, ac-ciughe al limone, totanetti

LIGURIA

PIEMONTE segue

V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

CIVILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 247 • PAGINA 52

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

CIVILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 53

con piselli; “taggeine” conscampi; fritto misto del gol-fo; dolce della casa.

I vini in tavola: Vino rossoe bianco della casa.

Commenti: La cena dedica-ta alla “cultura” si è svolta inun locale caratterizzato dauna cucina prettamente ligu-re, dove sono apprezzati so-prattutto i piatti di pesce. IlDelegato ha presentato unarelazione dal titolo “Culturae dintorni”. Simposiarca, nel-l’occasione, è stato il ViceDelegato Giacinto Saverino,cui va il ringraziamento perl’organizzazione. Il locale hapresentato un’adeguata ap-parecchiatura e l’accoglienzae il servizio sono stati accu-rati. Tutte le portate hannoavuto eccellente apprezza-mento per l’attenta sceltaproposta e per gli accosta-menti secondo una collauda-ta tradizione gastronomicadel territorio. Vino in abbi-namento adeguato; prezzocontenuto in rapporto aquanto proposto.

ALTO MANTOVANOE GARDA BRESCIANO

27 febbraio 2013

Ristorante “Hostaria del tea-tro” di Claudio Truzzi, fon-dato nel 2006. �Via Ordani-no 5B, Castiglione delle Sti-viere (Mantova); �0376670813, [email protected]; coperti 22+15. �Par-cheggio sulla strada; prenota-zione consigliata; ferie 1-10gennaio e 2 settimane in ago-sto; chiusura giovedì. �Valu-tazione 7,29; prezzo € 40.

Le vivande servite: filetto disgombro in padella con ca-volo bianco grattugiato; risot-to vialone nano mantovanocon zucca, scorze di limonee gamberi al vapore; tranciodi salmone grigliato su lettodi patate profumate al curry;

gelato fior di latte della casacon frutti rossi caldi.

I vini in tavola: Lugana (LaMaddalena); Lugana (Azien-da Agricola Citari); LuganaRiserva del lupo 2003 (CàLojera); Lugana (Provenza).

Commenti: La riunioneconviviale si è svolta all’inse-gna dell’approfondimento diuna delle realtà più impor-tanti del territorio della Dele-gazione: il vino di Lugana.L’argomento è stato trattato,in modo esauriente e inte-ressante, dal giornalista An-gelo Peretti, profondo cono-scitore della storia e dellecaratteristiche del territorio,del vitigno e del vino da cuiprende origine un Trebbianodalle singolarissime caratteri-stiche organolettiche e dilongevità. Egli ha guidato gliAccademici alla scoperta delvino di Lugana e dei suoiabbinamenti, con la propo-sta di quattro prodotti chesono stati affiancati ai piattipreparati dallo chef, che hainterpretato in modo elegan-te una cucina di pesce e delterritorio. Tra tutti, il maggio-re apprezzamento è andatoal dolce e, particolarmente,agli abbinamenti cibo-vino.Buono il servizio.

BERGAMO26 marzo 2013

Ristorante “Mille Storie e Sa-pori” di Paolo Stefanetti ePaola Capelli, fondato nel2012. �Viale Papa GiovanniXXIII 8, Bergamo; � e fax035 42201219; coperti50+40. �Parcheggio incusto-dito, insufficiente; prenota-zione non necessaria; ferienon programmate; chiusuramai. �Valutazione 8; prezzo€ 30; accogliente, caratteri-stico.

Le vivande servite: pasta difagioli con le cotiche (7,6);mezzi rigatoni con pasta disalame (7,9); maialino al for-no (8,6); dolce (8).

I vini in tavola: ValcalepioDoc Magnum (Eligio Magri)(8,3).

Commenti: Ottimo succes-so, ancora una volta, sia del-

la riunione conviviale siadell’originale relazione del-l’avv. Moretti che, nel suoantico palazzo di Città Alta,ha raccolto migliaia di vi-gnette satiriche degli ultimi150 anni: pezzi unici chehanno dato luogo ad unamostra che sta girando l’Ita-lia. Menu improntato e scel-to dal Delegato, sull’argo-mento della cena ecumeni-ca, e realizzato da uno chefdi alta classe e servito da ra-gazze sorridenti ed efficienti.Supervisione ineccepibiledei gestori. Maialino superboche, disossato e con una cot-tura di 38 ore a fuoco bassis-simo, si scioglieva in bocca.Unico neo: locale luminosoe riservato, ma rumoroso.Rapporto qualità/prezzodavvero incredibile. Nume-rosa la presenza degli Acca-demici con amici. Il vino(unica Doc bergamasca) eraabbinato perfettamente aipiatti serviti. Apprezzata laregia in sala del Vice Dele-gato Paolo Fuzier. Alla fine,torta pasquale offerta da Lui-sella.

BRESCIA14 febbraio 2013

Ristorante “Trattoria da Ro-sy” di Giorgio Spezzano, fon-dato nel 1955. �Via SanGiovanni 124, Vighizzolo diMontichiari (Brescia); �030961010; coperti 70. �Par-cheggio incustodito, insuffi-ciente, scomodo; prenotazio-ne consigliabile; ferie mai;chiusura mercoledì. �Valu-tazione 7; prezzo € 55; ac-cogliente, caratteristico.

Le vivande servite: entréedi frittatine di bianchetti;trippa di baccalà su crema diasparagi e crostini al lardo;moscardini cotti al forno suspuma di piselli e germoglidi porri; risotto ai gamberirossi ed erba cipollina; bran-zino selvaggio cotto conl’aria di mare con base di ri-so nero e insalatina liquida;sorbetto dell’amore ai fruttidella passione con fragolecaramellate al peperoncino.

I vini in tavola: Rosé brutFranciacorta Docg millesima-to 2008; Brut EmozioneFranciacorta Doc millesimato

2008; Satèn Brut FranciacortaDoc millesimato 2008 (tuttiVilla Franciacorta).

Commenti: La serata dedi-cata all’amore, come vuoleSan Valentino, ha goduto diuna brillante relazione delDelegato dedicata proprio altema della particolare ricor-renza: “La cucina del cuore:dalle emozioni del cuore aipiaceri del palato”, con rife-rimento ai cinque sensi. Dalcolpo d’occhio al dolce ru-more della vita, dall’olfatto algusto e al tatto, con lo scopocomune di prendere l’amoreper la gola scegliendo le ri-cette giuste per “cucinare” ilpartner a puntino. I cibi, so-vente sorprendenti, hannosuscitato il particolare inte-resse degli Accademici; i vi-ni, superlativi, sono statimolto graditi.

CREMONA14 febbraio 2013

Ristorante “Villa Belussi” diFabio Belussi, fondato nel2012. �Via Alcide De Gaspe-ri 17/19, Corte de’ Cortesicon Cignone (Cremona);�0372 926003; coperti 170.�Parcheggio custodito; pre-notazione consigliabile; ferie10-18 agosto; chiusura dalunedì a mercoledì. �Valuta-zione 6,4; prezzo € 45; ele-gante.

Le vivande servite: tris dicarni affumicate della casasu misticanza; biscotti difrolla salata e olio profumatoal timo; gnocchetti di ricottaaffumicata con salsa al taleg-gio, zucchine e tartufo; co-stolette di agnello con pi-stacchi di Bronte e pomodo-ri alla provenzale; tortino difarina di farro tiepido consalsa allo zabaglione e vinSanto.

I vini in tavola: Prosecco diValdobbiadene; Lugana LeMorette (Azienda AgricolaValerio Zenato); Falesco Sy-rah Tellus 2010.

Commenti: “Villa Belussi” èuno dei locali più accoglientidella zona di Cremona, adat-to sia a banchetti che a ceneintime o in famiglia. L’immo-bile, che prende il nome

dell’attuale proprietario, èuna villa di inizio 900 che,dopo cinque anni di radicalee accurata ristrutturazione,ora ospita un elegante risto-rante e un hotel. Il menunon ha riscontrato un gran-de successo, non tanto perla qualità delle materie pri-me, quanto per la prepara-zione poco curata.

LODI1° marzo 2013

Ristorante “Osteria Sant’Am-brogio” di Donato Gamba eIvana Delfanti, fondato nel1986. �Frazione Mostiola 8,San Colombano al Lambro(Milano); �0371 898675,[email protected]; coperti 45+40. �Par-cheggio scomodo; prenota-zione consigliabile; ferie 15giorni a gennaio e agosto;chiusura lunedì e martedì.�Valutazione 7; prezzo €50; rustico.

Le vivande servite: frittataal taleggio; salsiccia; spiedinie costine di maiale; cipolli-ne; cervella fritte; anolini inbrodo; costata di scottonacon verdure di stagione; cro-stata di pesche e crostata diarance e amaretti.

I vini in tavola: Gutturniofrizzante (Il Poggiarello); Ba-nino Vigna della Merla Riser-va (Azienda Agricola Anto-nio Panigada); Moscatod’Asti (Saracco).

Commenti: Una nota tratto-ria che vanta una solida re-putazione nella selezionedelle carni e nell’accuratapreparazione sulle braci, nelgrande camino della sala apianterreno. Già negli anti-pasti, molto ricchi, c’è statoun gradito assaggio di costi-ne e spiedini, insieme adun’ottima cervella fritta e auna freschissima salsicciacruda. Doveroso il brodo dialleggerimento, forse ecces-sivamente allungato. Ottimala costata, presentata a fetti-ne in porzioni non abbon-danti, ben accompagnata dacontorni molto curati e se-guita dalle classiche crostatecasalinghe. Di assoluto rilie-vo la raspadura e il grana of-ferti dall’ospite e relatore

LOMBARDIA

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CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 54

V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

Ambrogio Abbà del caseifi-cio Zucchelli. Il grana, pre-sentato in 3 diverse stagiona-ture (24, 46 e 60 mesi), hapermesso di approfondirnela storia e le tecniche di pre-parazione, e di riassumere lacultura, le tradizioni e l’eco-nomia del territorio lodigia-no, quando l’allevamentodelle bovine e le praticheagricole rappresentavano unmodello di sintonia tra l’uo-mo, il territorio e i suoi pro-dotti.

VALLECAMONICA22 marzo 2013

Ristorante “Osteria Gabossi”di Eugenia Raimondi, fon-dato nel 1997. �Via F.lliBandiera 277, Angone diDarfo, Boario Terme (Bre-scia); �0364 534148; coper-ti 55. �Parcheggio sufficien-te; prenotazione consigliabi-le; ferie da fine luglio a metàagosto; chiusura martedì emercoledì. �Valutazione 7;prezzo € 45; famigliare, ca-ratteristico.

Le vivande servite: cruditédi pesce; catalana di crosta-cei; spongadina corretta.

I vini in tavola: CurtefrancaBianco Doc 2011 (Cavalleri).

Commenti: Il locale, consala caratteristica ricoperta inpietra, alla quale si accedescendendo alcuni gradini, sipresenta come una tipicaosteria nella quale mangiarecibi di qualità. La semplicitàdel cibo ha convinto tutti icommensali, in quanto neveniva esaltata la freschezza.Più arditi gli accostamentidelle crudité di pesce con lafrutta, che hanno solleticatoil palato degli Accademici.

La presentazione della cata-lana di crostacei in piattienormi, ripieni fino all’inve-rosimile, ha appagato l’oc-chio, facendone pregustarein anticipo la bontà.

BRESSANONE21 marzo 2013

Ristorante “Andreas Hofer”della famiglia Ganterer, fon-dato nel 2009. �Sackweg 1,Fortezza (Bolzano); �0472837837, fax 0472 837877;coperti 80+80. �Parcheggiocomodo, privato; prenotazio-ne non necessaria; ferie va-riabili; chiusura mai. �Valu-tazione 7,65; prezzo € 45;birreria artigianale con ri-storante.

Le vivande servite: mine-stra con birra chiara biologi-ca e croutons di formaggiogrigio del maso; rabenstein efettine tostate di pane almalto fatto in casa; frittelle dipasta di patate pusteresi concrauti della Val Venosta; filet-to di manzo Charolais conpurè cremoso di sedano ra-pa; birramisù.

Commenti: L’originale orga-nizzazione del SimposiarcaMatteo Valdemarin ha porta-to la Delegazione in uno deinove birrifici artigianali al-toatesini. Dopo la visita ailocali di produzione e stoc-caggio, la cena si è svolta inmaniera estremamente sod-

disfacente. Tutti i piatti sonostati accompagnati dalle bir-re biologiche, non filtrate ecrude, di propria produzio-ne. La minestra è risultata unpunto di eccellenza per l’ori-ginale e riuscito amalgamadegli ingredienti; le frittellecoi crauti, tipica e rara ricettadel territorio, erano nella for-ma una spiritosa rivisitazionedi un famoso hamburger; ilfiletto, molto tenero e gusto-so, era cotto in maniera im-peccabile; il dessert, forse unpo’ troppo dolce, conclude-va una riuscita serata specia-le e diversa dal solito.

TRENTO27 febbraio 2013

Ristorante “Novecento Hotel Ro-vereto” della famiglia Zani.�Corso Rosmini 82/d, Rovereto(Trento); �0464 435222, in-fo@hotelrovereto it; coperti 60-140. �Parcheggio comodo;prenotazione consigliabile;chiusura domenica. �Valu-tazione 8; prezzo € 50; tra-dizionale.

Le vivande servite: insalatatiepida di merluzzo e cremadi patate; tortelloni ripieni alpesce di lago e verdure; pet-to di faraona al tartufo nerodella Vallagarina; rostì di pa-tate; degustazione di baccalàalla trentina; sorbetto al mo-sto di Lagrein di Castel Noar-na; tortelli di castagne.

I vini in tavola: Blanc deBlancs (Castel Noarna); No-siola 2010 (Castel Noarna);Romeo 2007 (Castel Noar-na); San Martim (AziendaAgricola Grigoletti).

Commenti: L’incontro con-viviale, all’insegna del bacca-là alla trentina, è stato un

evento davvero speciale, or-ganizzato dai SimposiarchiAccademici Patricia DeiniesBenussi e Nino Fioroni, chehanno illustrato il tema dellaserata dando spunti sull’ori-gine del baccalà nel Trenti-no. Era presente, come ospi-te, il Presidente regionaledell’Associazione italiana deiSommelier Mariano France-sconi, che ha parlato dell’in-teressante abbinamento tracibo e vino e in particolarecon il baccalà. Le squisitepreparazioni sono state pre-sentate dal bravo ristoratoreMarco Zani. Molto apprezza-ti tutti i piatti, indicati in unbellissimo menu con coperti-na disegnata dalla signoraSusanna, moglie di MarcoZani. Eccellente la degusta-zione del baccalà alla trenti-na. Ottima anche la valuta-zione dei vini.

PADOVA28 febbraio 2013

Ristorante “Da Giovanni”della famiglia Parpaiola.�Via Pietro Maroncelli 22,Padova; � e fax 049772620; coperti 180. �Par-cheggio custodito; prenota-zione consigliabile; ferie ago-sto e due settimane a Natale;chiusura sabato a mezzo-giorno e domenica. �Valuta-zione 7,5; prezzo € 45; tra-dizionale, famigliare.

Le vivande servite: pastafatta in casa da condire a ta-vola con varie salse a scelta;risotto con funghi; selezionedi bolliti serviti al carrello;selezione di arrosti serviti alcarrello; contorni vari; dolcidella casa.

I vini in tavola: Cabernetdella casa servito in brocca.

Commenti: Ristorante tipi-co, attivo dal 1950, non visi-tato dalla Delegazione da ol-tre vent’anni. Il locale si ca-

ratterizza per un menu tipi-camente veneto, costituitoda paste fatte in casa, risi,bolliti e arrosti con qualchevariante stagionale. Ognipiatto offre elevate qualitàper una scelta accurata degliingredienti. Tavolata unicaper quaranta persone, ad-dobbata con tulipani poli-cromi, atmosfera festosa;piuttosto lento il servizio. Ungrazie ai Siniscalchi MariaPavanato Bandelloni e PieroDal Bello che hanno dato unnotevole contributo all’otti-ma riuscita della riunioneconviviale.

TREVISO23 marzo 2013

Ristorante “Disarò” di Paolae Francesco Disarò, fondatonel 1920. �Via Riviera Scar-pa 1, Motta di Livenza (Tre-viso); � e fax 0422 280067;coperti 130. �Parcheggio in-custodito; prenotazione con-sigliabile; ferie secondaquindicina di agosto; chiu-sura domenica sera e lunedì.�Valutazione 7,25; prezzo €35; famigliare.

Le vivande servite: verduri-ne a sorpresa; nervetti in in-salata; minestra di risi e bisi;faraona in pevarada; focac-cia pasquale.

I vini in tavola: IncrocioManzoni Igt Veneto (AziendaAgricola Furlan); Raboso IgtVeneto e Verduzzo frizzanteIgt Veneto (ambedue del-l’Azienda Giuseppe Rigoni).

Commenti: Ambiente quan-to più tradizionale possibile,fondato nel 1920, e mante-nuto sempre su un piano dibuona qualità nella propostadi pietanze molto legate alpassato, anche se “ingentili-te” nei condimenti. Cortese epuntuale il servizio; modesti,rispetto al cibo, i vini. Le mi-gliori proposte risultanoquelle legate al territorio, al-la stagione e alla tradizione.Appassionata la signora Pao-la, in cucina, prosegue conamore una storia familiarelunga un secolo. I piatti pro-posti, tutti apprezzabili, han-no avuto punte di eccellenzanel fritto di verdure e nellafaraona con la pevarada, ma

TRENTINO - ALTO ADIGE

VENETO

LOMBARDIA segue

Altro che cavallo!Se l’“horsegate” ha suscitato reazioni contrastanti nella popolazione,non è certo la carne più insolita da mangiare. Nel mondo, infatti, unpo’ per cultura, sopravvivenza o moda c’è chi ne “gusta” di più inusuali.Un esempio è la “bushmeat”, la “carne di foresta”: gorilla, lama, tartaruga, tigre, ma anche leone. Proprio quest’ultimo è un piatto “esotico”usato negli Usa, dove a far emergere il fenomeno è la proposta di messaal bando della carne del felino del deputato dell’Illinois Luis Arroyo.

CURIOSITÀ

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

ad ottimi livelli si sono rive-lati anche i nervetti e la mi-nestra di riso e piselli. L’am-biente, pur simpatico e cura-to, soffre di un’acustica infe-lice.

TREVISO-ALTA MARCA22 marzo 2013

Ristorante “Bragosso” di Sa-brina Perini e AlessandroPavan, fondato nel 2009.�Via Sant’Anna 9, Cornuda(Treviso); �0423 665473;coperti 80+40. �Parcheggiocustodito, sufficiente; preno-tazione consigliabile; ferie15 giorni ad agosto; chiusu-ra lunedì. �Valutazione 7,5;prezzo € 45; elegante, tradi-zionale.

Le vivande servite: fritto dicalamaretti, gamberi e verdu-re; seppiolina col nero allachioggiotta; risotto di go allamarinara; ombrina di mare alforno con verdure e patate;panna cotta con frutti di bo-sco; biscottini della casa.

I vini in tavola: ProseccoFrizzante Glera (AziendaGraziano Merotto); FriulanoDoc (Conte D’Attimis - Ma-niago); Verduzzo DoratoDoc (Conte D’Attimis - Ma-niago).

Commenti: La Delegazionesi è ritrovata per la primavolta in questo locale, chepropone da molti anni pescedi Chioggia freschissimo. Re-latore il dott. Giomo, espertointernazionale di analisi sen-soriali dei prodotti alimenta-ri, che ha fornito informazio-ni molto interessanti sugli olie in particolare sull’olio ex-travergine di oliva. Il Delega-to ha rimarcato l’importanzadella diffusione della culturadella civiltà della tavola contutte le iniziative possibili. IlSiniscalco Emanuele Mene-guzzi, esperto di pescato, hapresentato i piatti della sera-ta. Apprezzati il fritto servitocon l’aperitivo, le seppie allachioggiotta molto saporite esoprattutto il risotto ricco disapori e perfetto di cottura.L’ombrina, come secondo,ha rappresentato l’espressio-ne più alta della cucina. Car-ne morbidissima e dal sapo-re di mare, evidente garan-

zia della sua freschezza. Aconclusione della serata,l’apprezzamento di tutti conla consegna del guidoncinoe l’intervento del Prefetto diTreviso che ha rimarcato co-me l’Accademia si adoperi amantenere vive le miglioritradizioni della buona tavola.

PORDENONE22 febbraio 2013

Ristorante “Al Colombo” diAdriano Battistella, fondatoalla fine dell’800. �Via Ro-ma 4, San Vito al Taglia-mento (Pordenone); �043480176; coperti 45+15. �Par-cheggio nelle vicinanze; pre-notazione consigliabile; ferie2 settimane a settembre;chiusura martedì sera e mer-coledì. �Valutazione 7; prez-zo € 40; tradizionale, fami-gliare.

Le vivande servite: aringa epolentina, baccalà; gambero-ni ai carciofi e canoce conmaionese al pepe rosa; risot-to con pevarasse, canestrelli,code di scampi e gamberetti;fritto gamberetti e calamari;trancio di rombo al vinobianco e capperi; semifred-do al mandarinetto con insa-lata di frutta.

I vini in tavola: Chardon-nay 2011 Doc Grave (PodereGelisi Antonio); Friulano2011 Doc Grave (Sbaiz).

Commenti: Riunione convi-viale organizzata dal Simpo-siarca Arnaldo Grandi e daAlfredo Taiariol. Nel pienorispetto del tema della sera-ta, riferito ai cibi della tradi-zione quaresimale, sono statidegustati piatti di anticasemplicità ma di qualità con-siderevole, accompagnati daun servizio efficiente e cor-diale, abbinati a vini che sa-pessero esaltare il saporedelle vivande. Pesce, di invi-diabile freschezza, e verdure

sono stati i protagonisti dellacena dove aringa con polen-ta e baccalà, gamberoni aicarciofi e canoce con maio-nese al pepe rosa sono statiserviti con un vino ricco disapori e ben amalgamato aiprofumi forti del cibo: unoChardonnay delle Grave. Ilrisotto arricchito di crostaceipregiati e peverasse ha atti-rato l’attenzione dei com-mensali; il fritto successivo eil trancio di rombo si sonoben sposati con un Friulano,sempre delle Grave, di pro-fumo più delicato, rispettosodella sapidità delle pietanze.La cena si è conclusa con unsemifreddo al mandarinettodegustato con l’unico pro-dotto non autoctono: un vi-vace Moscato dell’Astigiano.

TRIESTE18 marzo 2013

Ristorante “Ai Fiori” di Al-berto e Maria Giovanna Sa-glio Ponci, fondato nel 2013.�Piazza Hortis 7, Trieste;�040 300633; coperti 40.�Parcheggio sufficiente; pre-notazione consigliabile; ferieprima settimana di novem-bre; chiusura domenica e lu-nedì a mezzogiorno. �Valu-tazione 8; prezzo € 40; ele-gante.

Le vivande servite: zuppet-ta di verze con sgombro af-fumicato in casa ai profumidi campo; insalatina di gran-zievole alla triestina; raviolineri ripieni di branzino escampi dalmati in guazzettodi cozze sgusciate e seppio-line di Porto Santo Spirito;gulasch di pesce; sorbetto al-la mela verde Calvados; ri-gojanci con crema inglesetiepida e frutti di bosco.

I vini in tavola: Colli Orien-tali Friuli Doc; Chardonnay2010 (Azienda Specogna);Pinot Grigio Magnum 2011(Azienda Specogna); Sauvi-gnon 2011 (Azienda Speco-gna); Ramandolo 2008(Azienda Specogna).

Commenti: La riunioneconviviale, magistralmenteorganizzata dalla Simposiar-ca Maria Giovanna LizzulHorvic, ha visto la partecipa-zione di numerosi Accade-

mici e ospiti che hanno ap-prezzato il menu preparatosotto l’attenta guida di Artu-ro Rimini, per venticinqueanni gestore del locale. Ilgiovane cuoco FedericoEsposito ha saputo concilia-re sapientemente tradizionee innovazione sia nella pre-sentazione che nell’esecuzio-ne dei piatti. Tra i più gradi-ti, la delicata e saporita zup-petta di verze con lo sgom-bro affumicato, e il gulaschdi pesce dove la carne dimanzo era sostituita dalbranzino. Gli ottimi vini so-no stati gentilmente offertidall’Azienda Specogna, vi-gnaioli in Rocca Bernardadal 1963.

BOLOGNA20 marzo 2013

Ristorante “Antica Trattoriadel Cacciatore” dei fratelliFerrari, fondato nel 1850.�Via Caduti di Casteldebole25, Bologna; �051 564203,fax 051 567128; coperti 200.�Parcheggio incustodito;prenotazione non necessa-ria; ferie 1-31 agosto; chiu-sura domenica sera. �Valu-tazione 8; prezzo € 40; tra-dizionale, accogliente.

Le vivande servite: uovamimosa; ciliegine di pomo-doro appetitose; spaghetti al-la Gennaro; carne alla geno-vese; zucchini alla scapece;pastiera napoletana.

I vini in tavola: Rosé Vignadelle Rose 2011 (Fattoria LaVecchia Quercia); CabernetSauvignon Sopra i Fichi Ri-serva 2004 (Fattoria La Vec-chia Quercia); Grecale (Flo-rio).

Commenti: Per la riunioneconviviale della cultura, ilDelegato Guido Mascioli e ilSimposiarca Piergiulio Gior-dani hanno presentato unaserata dedicata a Totò, con

menu tipicamente parteno-peo, tratto dal libro “Fegatoqua, fegato là, fegato fritto ebaccalà” della figlia Liliana.La prof.ssa Cristina Bragaglia,Ordinario di storia del cine-ma all’Università di Bologna,ha poi tenuto una breve rela-zione su: “Totò e il cibo: se-quenze di gola e storia ga-stronomica degli anni Cin-quanta”, illustrando le se-quenze più significative delcibo e della cucina nella ci-nematografia italiana. Si ècosì delineato uno spaccatodi cultura, arte, società e tra-dizione che ha immortalatola cucina italiana nell’imma-ginario collettivo. Ottima laprestazione del personale disala e della brigata di cucinache hanno assecondato egre-giamente le tempistiche e leesigenze tecniche della sera-ta. Di ottimo livello anchel’interpretazione delle ricette,benché non tipiche del loca-le, impegno premiato con ilpiatto d’argento dell’Accade-mia personalizzato.

BOLOGNA-SAN LUCA6 marzo 2013

Ristorante “Trattoria del Col-legio di Spagna” di SandroMarsili, fondato nel 2012.�Via del Collegio di Spagna12, Bologna; �051 6448825;coperti 40. �Parcheggio diffi-cile; prenotazione consiglia-bile; ferie da definire; chiu-sura lunedì. �Valutazione7,5; prezzo € 35; tradizio-nale e confortevole.

Le vivande servite: assaggidi tortellini in brodo; taglia-telle al ragù; lasagne alla bo-lognese; cotolettine di vitellocon contorno di friggione;torta di riso; zuppa inglese.

I vini in tavola: Pignolettofrizzante dei Colli Bolognesi;Sangiovese di Romagna Ri-serva 2010; Rosso della Val-policella 2010.

Commenti: Seguendo ilsuggerimento del SegretarioGenerale Paolo Petroni, laDelegazione ha organizzatouna riunione conviviale stra-ordinaria per la consegnadel distintivo d’argento per iprimi 25 anni di Accademiadel Consultore Alessandro

FRIULI - VENEZIA GIULIA

EMILIA ROMAGNA

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CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 56

V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

Marcheselli. È il primo dellaDelegazione (oltre al Delega-to che ha 37 anni di anziani-tà accademica) a raggiungerel’ambito traguardo. È statoscelto un ristorante da pocooperante in città, ma prove-niente dalla provincia, cheera già stato visitato e ap-prezzato. Alto il numero deiconvitati, che hanno gustatoun’ottima cena alla bologne-se in un ambiente semplicema accurato e, soprattutto, èstato espresso sincero entu-siasmo e amicizia per un Ac-cademico di valore che hasaputo farsi apprezzare datutti per la sua competenza,il suo ponderato giudizio, lasua innata signorilità.

CENTO-CITTÀDEL GUERCINO10 marzo 2013

Ristorante “Bottega Aleotti”di Demis e Simona Aleotti,fondato nel 2008. �Via Pal-trinieri 62, Crevalcore (Bolo-gna); �051 981651; coperti50. �Parcheggio scomodo;prenotazione consigliabile;ferie 3 settimane ad agosto,Natale e Capodanno; chiu-sura domenica e lunedì sera.�Valutazione 7,25; prezzo €35; tradizionale, famigliare,accogliente.

Le vivande servite: tortinodi patate con dadolata dimortadella alla griglia; tortel-loni di ricotta, burro fuso esalvia; guancia di vitello alluppolo con cipolline boret-tane; pinza con mostardabolognese.

I vini in tavola: ProseccoValdobbiadene Docg Brut(Adami); Pignoletto Colli Bo-lognesi Doc (La Mancina);Cabernet Sauvignon ColliBolognesi Doc 2008 (CorteD’Aibo); Albana di RomagnaSpumante Doc 2011 (Celli).

Commenti: Il SimposiarcaDavide Fiocchi ha sceltoquesto locale, nel centro diCrevalcore, dove tutt’attornosono ancora evidenti i segnidel terremoto dello scorsoanno. Gli Accademici hannopotuto apprezzare la grandeattenzione nella scelta dellematerie prime, sempre lega-te alla tradizione e al territo-

rio, con qualche prudente in-novazione nel loro impiego,suggerita dalla passione edall’inventiva di Demis Ale-otti. Così è stato per la dado-lata di mortadella, fragrante eappetitosa, per i tortellonicon ripieno di ricotta morbi-da e delicatamente pastosa eper il guancialino aromatiz-zato al luppolo. Tradizionepiena per la pinza bologneseche ha riscosso pieno e con-vinto consenso. Cortese epuntuale il servizio. Primadella cena, Sergio Bonsi, Co-ordinatore della SezioneANA Protezione Civile E.R.,ha tenuto una brillante con-versazione sul tema “La cuci-na in un campo di terremo-tati”, che ha suscitato grandeattenzione fra i convenuti eaperto squarci di impensatointeresse.

FAENZAFORLÌ

26 febbraio 2013

Ristorante “FM” di FabrizioMantovani, fondato nel2012. �Corso Garibaldi 2,Faenza (Ravenna); �054624720; coperti 75. �Parcheg-gio comodo, incustodito; pre-notazione consigliabile;chiusura mercoledì (da apri-le 2013 chiuso solo la dome-nica). �Valutazione 7,59;prezzo € 35; accogliente, inhotel, cucina “d’autore”.

Le vivande servite: piccolapasticceria salata; raviolo dipiadina con squacquerone,rucola e fico caramellato;lingua di vitello con tartaredi bollito e bèl e còt di Russicon lenticchie Beluga; fon-dente di patate violette concappelletti e zucca all’origa-no; rana pescatrice in viag-gio dall’Asia a Faenza; ostri-ca; ricotta al forno con cor-niola e composta di rabarba-ro; mousse al cioccolato;piccola pasticceria.

I vini in tavola: Franciacor-ta Satèn (Valliseo); Decugna-no Brut metodo classico(Azienda Agricola Decugna-no dei Barbi); Satrico LazioBianco Igt (Azienda AgricolaCasale del Giglio).

Commenti: Riunione convi-viale congiunta delle Delega-

zioni di Faenza e Forlì, riuni-tesi presso il ristorante “FM”,all’interno dello storico HotelVittoria di Faenza. Ospitedella serata, il giornalista escrittore Graziano Pozzetto,che ha presentato, con laconsueta vivacità, il suo ulti-mo libro “I grandi mangiatoridi Romagna”. La cena, prece-duta da uno sfizioso e curatoaperitivo, è stata caratterizza-ta da una serie di proposteoriginali: tra queste, la piùgradita è stato il piatto dicappelletti su crema di patateviolette. Buono il guazzettocon la rana pescatrice al sa-pore di lime mentre non uni-voco il giudizio ottenuto dal-la lingua di vitello con tartaredi bollito. Tra i vini, i più ap-prezzati sono stati il Decu-gnano Brut e il Satrico, che siè rivelato una bella sorpresa.Lodevoli l’impegno e la pas-sione profusi dal nuovo ge-store, lo chef Fabrizio Manto-vani, ben coadiuvato da unagiovane e titolata brigata dicucina. Accogliente il locale.Adeguato il servizio. Buonoil rapporto qualità/prezzo.

MODENA18 marzo 2013

Ristorante “Osteria degli Obi-ci” di Nardo, Angelo e Gian-mario Pinna, fondato nel1996. �Piazzale Rangoni11/a, Spilamberto (Modena);�059 781250, fax 059781539; coperti 70. �Par-cheggio incustodito; prenota-zione consigliabile; ferie 2settimane centrali di agosto;chiusura martedì. �Valuta-zione 7,49; prezzo € 45; ca-ratteristico.

Le vivande servite: antipa-sto misto mari e monti (fritti,vol au vent, tomino); tortel-lacci ai tre sapori; trionfo dicarni grigliate; porceddu almirto; verdure di stagionegrigliate e gratinate; fruttinigelato; amaretti e torronesardo.

I vini in tavola: Prosecco;Vermentino di Gallura; Can-nonau sardo.

Commenti: Una piacevolis-sima sorpresa. Il ristorante siè recentemente trasferitonelle vecchie cantine della

Rocca di Spilamberto, in unambiente storico e restauratocon gusto. Il ristoratore, diorigine sarda e di consolida-ta esperienza, ha dimostratodi conoscere molto bene siala cucina del territorio chequella della sua terra di ori-gine. Tutti i piatti erano nonsolo buoni ma anche benpresentati. Il porceddu eraveramente ottimo così comei dolci che hanno suscitatoapprezzamento. Locale conun correttissimo rapportoprezzo/qualità, da consiglia-re sicuramente. Anche la va-lutazione, piuttosto alta, hadimostrato l’apprezzamentodi tutti gli Accademici.

PARMA TERRE ALTE28 febbraio 2013

Trattoria “Osteria Mastica-brodo” di Francesco Bigliar-di, fondato nel 2008. �Stra-da Provinciale per Torre-chiara 45/a, Loc. Pilastro diLanghirano (Parma); � efax 0521 639110; coperti 60.�Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazioneconsigliabile; ferie 24 dicem-bre-6 gennaio e 1°-21 ago-sto; chiusura domenica serae lunedì. �Valutazione 8;prezzo € 50; famigliare, tra-dizionale.

Le vivande servite: strol-ghino; sfoglini al formaggio;crudité di verdure; prosciuttodi Parma Leporati 24 mesi eprosciutto di Parma Tanara30 mesi con piccoli pezzi ditorta fritta; anolini in brododi manzo e cappone; tortellid’erbetta; punta di vitello ri-piena al forno con patate ar-rosto; crema di zabaione eamaretti.

I vini in tavola: MalvasiaRiserva Forte Rigoni (Ariola -Vigne e Vini); Lambrusco Igt(Monte delle Vigne); Distorta2006 Conte Brandolini d’Ad-da; Franciacorta Berlucchidemi-sec (Guido Berlucchi).

Commenti: Ospiti d’ecce-zione il Presidente GiovanniBallarini, il Coordinatore Ter-ritoriale Vittorio Brandonisio,nonché i Delegati delle altrequattro Delegazioni dellaprovincia. Dopo i saluti di ri-to del Delegato Luigi Prati, il

Presidente ha intrattenuto gliAccademici e i loro ospiticon una dotta e approfonditarelazione sul tema “La cucinaparmigiana vista dall’estero”.Illustrato dal SimposiarcaGiorgio Oppici, il menu dellaserata è stato improntato allapiù sana tradizione; accom-pagnato da vini del territorio,con qualche digressione nelLombardo-Veneto. Al termi-ne, il Presidente Ballarini, ri-volti i complimenti allo chefBigliardi per la gradevole ce-na, ha invitato i partecipanti,verdianamente, a levare i ca-lici per un brindisi di augurialle fortune dell’Accademiama, soprattutto, dell’Italia,quanto mai bisognosa inquesto momento.

COSTADEGLI ETRUSCHI16 febbraio 2013

Ristorante “La Magona” diOmar Barsacchi e Giona-than D’Alessi, fondato nel2003. �Piazza Ugo 3, Bol-gheri (Livorno); �0565762173; �Parcheggio incu-stodito; prenotazione consi-gliata; ferie novembre; chiu-sura lunedì. �Valutazione7,5; prezzo € 35; caratteri-stico, con piacevole veranda.

Le vivande servite: degu-stazione di tartara di manzoal coltello; spiedini di manzoal rosmarino; arrosticini dicinta senese; tagliere di salu-mi di cinta del podere Agavedi San Vincenzo; crostini to-scani; tortelli di pasta fatta incasa ripieni di ricotta del pa-store locale ed erbe di cam-po selvatiche al ragù di chia-nina; guancia di vitello bra-sata al Bolgheri Doc su po-lentina integrale e patate alforno; dessert al piatto.

I vini in tavola: Tageto Bol-gheri Rosso (Donna Olim-pia); Bolgheri Rosso (LeMacchiole); Moscato d’Asti.

TOSCANA

EMILIA ROMAGNA segue

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CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 57

V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

Commenti: Cucina rigoro-samente del territorio; tuttele portate si sono dimostratedi ottimo livello, sia per labontà della materia impiega-ta sia per la presentazioneaccurata. Particolarmente ap-prezzati gli antipasti, la pastafatta in casa con sfoglia deli-cata. Unanimi consensi haottenuto la guancia di vitellobrasata al rosso di Bolgheri.I vini scelti dal titolare han-no dato una misura della suagenerosità e competenza. Al-la fine della cena, un merita-to ringraziamento ai titolari eal cuoco con consegna dellavetrofania dell’Accademia.

ELBA7 febbraio 2013

Ristorante “Stella Marina” diManuel Lazzerini, fondatonel 1957. �Via Vittorio Ema-nuele II, Portoferraio (Livor-no); � e fax 0565 915983;coperti 60. �Parcheggio in-custodito, sufficiente; preno-tazione consigliabile; ferienovembre; chiusura lunedì.�Valutazione 8; prezzo €35; elegante, accogliente.

Le vivande servite: gambe-ri al vapore con maionese albasilico; cozze ripiene; pun-tine di calamari fritti su pas-sata di ceci; gnocchi allamargherita; dentice alla cata-lana dell’Elba; torta rovescia-ta di mele con gelato alla va-niglia.

I vini in tavola: VermentinoDoc (Azienda Agricola Mola).

Commenti: Simposiarchedella serata Giovanna Villanie Annarita Corsi, che hannoorganizzato un menu che hatenuto conto della tradizio-ne, della stagionalità e so-prattutto dell’assoluta fre-schezza di tutto ciò che èstato proposto. Ottimi gli an-tipasti tradizionali, ben pre-sentati e con ricette innovati-ve. Primizia assoluta per ilprimo piatto, le “margherite”,ossia le granzeole (sono leprime che arrivano sul mer-cato e si pescano in generefino a maggio). Unanime ap-prezzamento per il denticeche, come ha avuto modo dispiegare il titolare-chef, èstato preparato con una cot-

tura in sottovuoto, risultandocosì morbido e mantenendoinalterato il profumo di ma-re, servito con verdure distagione al vapore. Infine ildolce, invernale, accompa-gnato dall’ottimo gelato ser-vito in bicchiere. Ottima riu-scita della serata, con soddi-sfazione da parte di tutti.Nota di merito al servizio,compìto, attento, premurosoed efficiente. Sono stati do-nati al gestore la vetrofania eil piatto dell’Accademia.

EMPOLI13 marzo 2013

Ristorante “Il Piastrino” diDaniela Cavazzini, fondatonel 2002. �Via Piastrino,Vinci (Firenze); �057156148; coperti 50. �Parcheg-gio incustodito, sufficiente;prenotazione necessaria; fe-rie mai. �Valutazione 8;prezzo € 25; tradizionale,caratteristico.

Le vivande servite: crostinidi fegatini e affettati misti; fa-rinata con cavolo nero; trippaa insalata; straccetti fatti in ca-sa all’ortolana; arrosto misto;patate arrosto e insalata; cro-stata alla marmellata di pro-duzione propria e cantuccini.

I vini in tavola: Vino bian-co Igt, Vino rosso Igt, Chian-ti Docg, Vinsanto Docg (tuttiIl Piastrino).

Commenti: La riunioneconviviale ha proposto lacucina di una volta, che cia-scuno può riassaporare inquesto locale tipico e acco-gliente. Apprezzata la farina-ta con cavolo nero, cotta egustosa al punto giusto. Glistraccetti all’ortolana richia-mano la primavera, mentrenell’arrosto misto si è ap-prezzato l’antico sapore del-la campagna toscana. La ce-na, organizzata dal Simpo-siarca Giovanni Mancini, èstata improntata alla sempli-cità e alla genuinità degli in-gredienti, formula vincenteper riscoprire la tradizione evalorizzare i luoghi che la ri-spettano, pur nelle diverse einnovative soluzioni, comequella della trippa in insala-ta, insaporita con erbe dicampo e aromatiche.

FIRENZE28 febbraio 2013

Ristorante “Hostaria Il De-sco” di Mirko Margheri e Ric-cardo Francini, fondato nel2007. �Via delle Terme 23/r,Firenze; �055 294882; co-perti 50. �Parcheggio scomo-do; prenotazione consiglia-bile; ferie settimana di ferra-gosto; chiusura mai. �Valu-tazione 7,75; prezzo € 35;tradizionale, famigliare, ac-cogliente, in pieno centrostorico, adatto anche perpranzi di lavoro.

Le vivande servite: tortinodi lardo con fagioli; pici fattia mano all’aglione; aristacon l’osso e le rapine; semi-freddo al panforte.

I vini in tavola: Contrada diSan Felice 2010.

Commenti: Serata estrema-mente piacevole in un risto-rante a gestione familiaredove si apprezza il piaceredi coltivare le tradizioni dellacucina del territorio. Se tutti ipiatti hanno ricevuto un no-tevole apprezzamento, l’ari-sta con l’osso ha ottenuto unsuccesso del tutto particolareper la bellissima presentazio-ne e la sapiente cottura(8,3). Buona anche la valuta-zione per i pici che, pur nonavendo la ruvidezza e l’irre-golarità della lavorazionemanuale, erano comunquedi buona fattura (7,5). Ancheil servizio, cortese e attento,ha contribuito alla buonariuscita della serata. Alla finedella riunione conviviale, ilgiovane chef Mirko Margheriha ricevuto, insieme al gui-doncino consegnatogli dalDelegato, il sincero plausodegli Accademici.

FIRENZE20 marzo 2013

Ristorante “Harry’s Bar” del-la famiglia Bechi, fondatonel 1952. �Lungarno Ameri-go Vespucci 22/r, Firenze;�055 2396700, fax 055213100; coperti 40. �Par-cheggio incustodito; prenota-zione consigliabile; ferie fer-ragosto; chiusura mai. �Va-lutazione 8; prezzo € 40;raffinato, caratteristico.

Le vivande servite: aperiti-vo di benvenuto con cock-tail Bellini; cocktail di gam-beretti in salsa rosa; crespel-le di ricotta e spinaci gratina-te al forno; scampi al currycon riso pilaf; crêpe alGrand Marnier.

I vini in tavola: Chardon-nay (Lungarotti); Gewürztra-miner (Elena Walch).

Commenti: Per celebrare almeglio il mese della cultura,la riunione conviviale si èsvolta al “Harry’s Bar”, localericco di tradizione, sorto aFirenze nel 1952. Tema delconvivio la cucina degli anniCinquanta. Tutti i piatti, chesi sono susseguiti con pun-tuale servizio, hanno avutoottima accoglienza, dall’ape-ritivo al classico cocktail digamberetti in salsa rosa(7,48), alle crespelle di ricot-ta e spinaci (7,50), agliscampi al curry con riso pilafe mango chutney (8,11). In-fine, la bontà scenica dellecrêpes flambate al GrandMarnier (8,11). A conclusio-ne della cena, il SegretarioGenerale Paolo Petroni habrillantemente trattato il te-ma “La rivoluzione gastrono-mica degli anni Cinquanta:in casa e al ristorante”, met-tendo in evidenza i numero-si prodotti e gli avvenimentiche hanno caratterizzatoquegli anni, a dimostrazionedi un concreto cambiamentonella cucina italiana.

LUCCA6 marzo 2013

Ristorante “Osteria da Pa-squalino Gubitosa” di Pa-squale Gubitosa, fondato nel2010. �Via del Moro 8, Luc-ca; �0583 496506; coperti40. �Parcheggio sufficiente;prenotazione consigliabile;ferie novembre; chiusura lu-nedì. �Valutazione 7,60;prezzo € 30; caratteristico.

Le vivande servite: moussedi ricotta con gamberi e pi-stacchi; polenta di ceci conmantecato di baccalà; panedi castagne con lardo e fe-gatini; caponata siciliana;patata toscana con uova diquaglia e tartufo nero; pastaalla Norma; ravioli con fun-

go porcino su fonduta dipecorino e pistacchio;mousse di ricotta con cioc-colato e pistacchio; cannolosiciliano; torta di cioccolatoe mandorle.

I vini in tavola: VermentinoMontecarlo 2010 (FattoriaEnzo Carmignani); Sangiove-se San Biagio 2010 (AziendaAgricola Lisini).

Commenti: Serata piovosama piacevolmente trascorsain un locale accogliente,proprio nel centro storico diLucca. L’oste, PasqualinoGubitosa, in realtà non èlucchese ma siciliano e do-po aver girato il mondo perlavoro, nell’ambito della ri-storazione e sommellerie, siè stabilito a Lucca dove hadato luogo a quel classico,ma non facile da realizzarenella pratica, esempio di cu-cina locale che importa sa-pori di un’altra terra, la Sici-lia appunto. La passione diPasqualino colora ogni piat-to e ogni bottiglia che sce-glie insieme al cliente, conprofessionale sensibilità. Inumerosi antipasti hanno ri-scosso positivi giudizi masoprattutto la caponata sici-liana, veramente notevole.Tra i primi da segnalare lapasta alla Norma mentre, trai dolci, la mousse di ricottacon cioccolato e pistacchioè stata da tutti riconosciutacome ottimamente realizza-ta. Anche i vini, un biancodi Montecarlo e un Sangio-vese di Montalcino, sono ri-sultati abbinati in modo ar-monico con le pietanze ser-vite.

MONTECATINI TERMEVALDINIEVOLE15 marzo 2013

Ristorante “Casa Gala” di Si-mona Malucchi, fondato nel2012. �Via Talenti 2, Monte-catini Alto (Pistoia); �0572766130, [email protected];coperti 40. �Parcheggio in-custodito, sufficiente, fuoridall’area pedonale; prenota-zione consigliabile; ferie duesettimane a gennaio; chiusu-ra lunedì (in inverno). �Va-lutazione 7,5; prezzo € 40;accogliente, in antico edifi-cio del borgo.

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

Le vivande servite: aperiti-vo con stuzzichini; prosciut-to di Sambuca (Savigni) concrostini di fegato e con lar-do, miele e rosmarino; mu-gellani di prosciutto, salvia ecrema di parmigiano; mac-cheroncini al sugo di chiani-na; peposo dell’Imprunetacon purè di patate bianche;bistecca alla fiorentina concarciofi fritti e fagioli; dessertassortiti.

I vini in tavola: ProseccoExtra Dry (Bellussi); ChiantiBio 2010 (Tenuta Casciani);Montescudaio Rosso Le Pro-de 2011 (Podere della Rego-la); Carmignano 2009 (VillaArtimino); Moscato d’Asti2011 (Balbi Soprani).

Commenti: Su iniziativadell’Accademico Guido Betti,è stato visitato questo localedi recente rinnovato da unagiovane gestione, posto nel-la sempre gradevole cornicedi Montecatini Alto. L’am-biente si presenta curato nel-la dovuta semplicità, acco-gliente e, rara avis, poco ru-moroso. Il servizio è cordia-le, attento e sollecito, cibibuoni e ben cucinati, con in-gredienti biologicamentecertificati. Il menu propostoera perfino troppo ricco,quasi ad esorcizzare, comein epoche che speravamolontane, la tristezza dei tem-pi, completato da un’eccel-lente scelta di vini, che, seha certo inciso sul prezzo,ha anche ben coronato laprestazione complessiva(buono il Montescudaio; otti-mo il Carmignano). Fra i ci-bi, tutti valutati positivamen-te (salvo riserve sulla bistec-ca), hanno meritato specialemenzione i tortelli mugellanie l’ottimo peposo, piatti dav-vero encomiabili; buoni al-cuni dessert. Al termine, pri-ma dei saluti e dei ringrazia-menti del Delegato al Sim-posiarca, si è parlato dellevalenze rituali del pasto.

PISA28 febbraio 2013

Ristorante “Osteria da Cèn-cio” di Federica Maria Ban-ti, fondato nel 2010. �CorsoMatteotti 94, Cascina (Pisa);�050 700520, info@osteria-

dacencio.it; coperti 40+30.�Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazioneconsigliabile; ferie 2 settima-ne tra fine agosto e iniziosettembre; chiusura lunedì,sabato e domenica a mezzo-giorno o la sera. �Valutazio-ne 8; prezzo € 40; acco-gliente, caratteristico.

Le vivande servite: antipa-sti con trippa alla pisanacon parmigiano, pan di spe-zie con mousse di fegatinidi pollo, tortillas, tartufo diverdure, mallegato con ca-volo nero, polpettine di pol-lo e bacon, francesina; tondineri di stoccafisso con salsadi polenta e trevigiano; lin-guine all’anguilla; peposocon cecina; dolci di Carne-vale: cenci, fratini e frittelledi riso.

I vini in tavola: Della StaffaProsecco millesimato Val-dobbiadene Docg (Aziendadella Staffa); Le Bruniche2011 Toscana Igt Chardon-nay (Tenuta di Nozzole); Ri-goleto Montecucco 2010Doc (Castello Colle Massari);Vie Cave 2008 Maremma To-scana Igt Malbèc in purezza(Fattoria Aldobrandesca An-tinori); Armida riserva 2007Vin Santo del Chianti Doc(Azienda Agricola Castelvec-chio).

Commenti: I piatti propostisono preparati utilizzandomaterie prime di qualità, nelrispetto della stagionalità edelle tradizioni culinarie delterritorio. Le preparazioni so-no sempre né comuni nébanali, con il giusto grado diinnovazione. Il menu vieneaggiornato periodicamente:ogni mese sono inserite 2-3preparazioni in sostituzionedi altrettante. Alcuni piattisono comunque sempre pre-senti, come il fritto di cervel-lo, la trippa, il peposo, le an-guille, le carni ai ferri di raz-ze accuratamente seleziona-te. La carta dei vini è beneassortita con più di trentaetichette, principalmente to-scane e del territorio, senzatrascurare altre aree italianeed estere. Dopo i gustosi evariati antipasti, tra i qualimeritano una particolaremenzione la trippa alla pisa-na con parmigiano e il mal-

legato col cavolo nero, sot-tolineando i non convenzio-nali ed estremamente sapori-ti primi, i commensali hannogradito in modo particolareil peposo. Analogo ottimogiudizio per i vini e il loroabbinamento.

PISA VALDERA13 febbraio 2013

Ristorante Country Resort &Golf “Le Sodole” di Aldo-brando degli Azzoni, fonda-to nel 2011. �Via delle Sodo-le 1, Pontedera (Pisa);�0587 484028, fax 0587341056, [email protected]; co-perti 50/60. �Parcheggio in-custodito, sufficiente; preno-tazione consigliabile; feriemai; chiusura mai. �Valuta-zione 7,15; prezzo € 40; ca-ratteristico, accogliente.

Le vivande servite: antipa-sto toscano; affettati misti;crostini; sformatino di verdu-re con fonduta di formaggioe tartufo; torte salate; pap-pardelle di grano saraceno alrosmarino in salsa di lepre;risotto al tartufo in crosta dipane; ventaglio di mucco pi-sano con porcini e tartufonero di Norcia; gelato al VinSanto Baciamano con mieletartufato in cialda dolce.

I vini in tavola: ProseccoConti Riccati; Toscana Igtrosso Le Sodole 2011; Tosca-na Igt rosso Helianthus 2005;Vin Santo “Baciamano” 2007.

Commenti: Riunione convi-viale in una bella strutturasulle colline pisane, nelle vi-cinanze di Pontedera. Cuci-na per molti aspetti del terri-torio, basata su materie pri-me di qualità. Aperitivo ric-co, variegato. A tavola, unaproposta interessante e inparte innovativa: pappardel-le di grano saraceno legate,secondo tradizione, ad unabuona salsa di lepre. A se-guire, un risotto al tartufo incrosta di pane: gradevole macondizionato dal fatto che il“contenitore”, un piccolo“forno”, ha determinatoun’ulteriore cottura del riso.Nella tradizione, un classico,il “mucco” pisano: sapido ecotto correttamente. Partico-lare il dessert, un gelato al

Vin Santo con miele tartufa-to. La riunione conviviale èstata accompagnata da vinidi produzione dell’Aziendaagricola dei titolari del Re-sort. Il Delegato, a fine cena,ha fatto notare allo chef al-cune incongruenze, ma loha incoraggiato a proseguireun percorso di crescita, pre-miando il locale con la ve-trofania dell’Accademica.

PISA VALDERA13 marzo 2013

Ristorante “Agriturismo Col-leoli” di Aldo Bessi, fondatonel 2000. �Via dei Colleoli,Località Colleoli (Pisa);�0587 622621, fax 0571485261; coperti 200. �Par-cheggio incustodito, suffi-ciente; prenotazione consi-gliabile; ferie mai; chiusuramartedì. �Valutazione 7;prezzo € 35; familiare, ac-cogliente.

Le vivande servite: aperiti-vo con vino Rosé, pasta everdure fritte; crostini di fe-gatini, di salsiccia e bru-schetta; formaggio pecorinocon miele e noci; assaggio ditrippa; prosciutto e salaminopiccante tagliati a coltello;pappardelle al cinghiale; mi-nestrone di cavolo; coniglioin crosta di arancia con spi-naci saltati; cinghiale in sal-mì con polenta arrostita;zuppa inglese; tiramisù.

I vini in tavola: Chianti2009 e 2011 (Azienda Agri-cola Fattoria di Usigliano).

Commenti: Riunione convi-viale dedicata alla “Culturadella Tavola”, in una struttu-ra gradevole, sulle colline diPontedera. L’appuntamentoconviviale, pertanto, è statoaperto da una relazione sultema “Desinar co’ giusti”, te-nuta dalla dott.ssa MariaChiara Masoni della Sezionedi Dietologia universitaria diPisa. L’ammonimento ad uncomportamento sano edequilibrato a tavola non haimpedito di degustare alcunibuoni antipasti della tradi-zione e due primi del territo-rio, pappardelle al cinghialee minestrone di cavolo. In-novativo e interessante il co-niglio in crosta di arancia,

ancorché troppo sapido ilconiglio; nella norma il cin-ghiale in salmì. Gradevoli ivini della Fattoria di Usiglia-no. Nel corso della serata, èstato consegnato al Vice De-legato Enrico Braghieri il ri-conoscimento accademicoper i suoi 25 anni di appar-tenenza all’Accademia.

SIENA19 febbraio 2013

Ristorante “Antica TrattoriaBotteganova” di Ettore Silve-stri, fondato nel 1981. �Stra-da Chiantigiana 29, Siena;�0577 284230, fax 0577280414; coperti 46. �Par-cheggio incustodito, insuffi-ciente; prenotazione consi-gliabile. �Valutazione 7,7;prezzo € 40; elegante, tradi-zionale.

Le vivande servite: aperiti-vo di benvenuto con stuzzi-chini: crostini con “salaminodi fico” e gorgonzola piccan-te, prosciutto di cinta tagliatoa mano su sfogliatella di pa-ne croccante, cucchiaio diformaggio di fossa e mostar-da di fichi, crostini di milza,capperi e acciuga, panellinedi pasta fritta con affettati;zuppa di farro e lenticchie;frascarelli alle erbe fini; boc-concini di chianina con vinorosso e cipolla di Certaldo,patate alla fattoressa e cavo-lo nero saltato in padella;mela caramellata; tortino diriso con pinoli; crema calda;frittelle di San Giuseppe.

I vini in tavola: Terra deiBarberi 2009, Breccolo diSolaris 2008.

Commenti: Il locale si tro-va poco fuori le mura di Sie-na, sulla vecchia strada cheporta nel Chianti. Da sem-pre il ristorante offre allaclientela sapori ricchi, unacucina innovativa e ricercatae gustosi piatti toscani di tra-dizione. Proprio da questatradizione di arte culinariahanno preso spunto i Sim-posiarchi della serata per di-mostrare la migliore qualitàche si riesce ad ottenere co-struendo un menu con pro-dotti locali. Gli Accademici,in un clima di vera convivia-lità, hanno apprezzato so-

TOSCANA segue

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

prattutto gli stuzzichini e idue primi piatti, entrambiprovenienti dalla tradizionetoscana. I frascarelli, in par-ticolare, sono una pasta natadalla necessità di utilizzarela farina residua per fare ilpane, alla quale veniva ag-giunta solo l’acqua, creandocosì delle “palline” da farein brodo o con le erbe.

VALDARNO ARETINO13 marzo 2013

Ristorante “La Ferriera” dellafamiglia Rampi, fondato nel1996. �Via Ferriera 4, LoroCiuffenna (Arezzo); �0559174007; coperti 50. �Par-cheggio sufficiente; prenota-zione consigliabile. �Valuta-zione 7,32; prezzo € 35; ca-ratteristico.

Le vivande servite: sforma-to di carciofi; ribollita; pici alsugo di anatra; maialino dalatte arrosto con patate e in-salata; soufflé al limoncello.

I vini in tavola: Castello diBrolio 2010 (Barone Ricaso-li); San Giusto a RentennanoChianti Classico 2010 (Marti-ni di Cigala); Blanc deBlancs (Cantina Angelini).

Commenti: Il ristorantescelto per la riunione convi-viale della cultura è stato ri-cavato da una fonderia, co-struita nell’Ottocento, da cuideriva l’attuale denominazio-ne. Prima della cena, il Pre-sidente del Collegio dei Re-visori Roberto Ariani ha salu-tato il nuovo AccademicoRoldano Romolini. Il Simpo-siarca della serata, l’Accade-mico Marco Gaggi, ha poi il-lustrato la preparazione e lecaratteristiche dei piatti, inparticolare dei “pici alla na-na” come denominati nelValdarno. I piatti, preparatidallo chef Mario Giannotta,sono stati valutati in modovario dagli Accademici, chehanno formulato pareri esuggerimenti sulle prepara-zioni e sulle modalità di ser-vizio. Al termine della cena,l’Accademica Valeria Carbo-ne ha svolto un’interessanterelazione sulla birra, descri-vendone la storia, le similitu-dini che ha con il pane e co-me adesso venga usata in

cucina, facendo assaggiareagli Accademici vari tipi dibirra. Al termine della serata,il Delegato Roberto Vasarriha consegnato allo chef ilguidoncino.

VALDARNOFIORENTINO15 marzo 2013

Ristorante “Villa Pitiana”della Soc. Il Palagio srl, fon-dato nel 1987. �Via Provin-ciale per Tosi 7, Reggello (Fi-renze); �055 860259, fax055 860326; coperti 80.�Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazioneconsigliabile; ferie 7-20 gen-naio; chiusura lunedì. �Va-lutazione 7,78; prezzo € 40;raffinato, elegante.

Le vivande servite: aperiti-vo di benvenuto; menusportivo: verdure croccanticon mozzarella di bufala egocce di aceto balsamico; ri-sotto alla parmigiana; boc-concini di vitella con verdu-re; torta di mele; menu acca-demico: tortino di fagioli insalsa di rigatino e salvia; tor-telloni di erbette di campoallo zafferano e scaglie dipecorino; filetto di maiale ar-rosto con verza stufata efondo al vino rosso; fonden-te al cioccolato con compo-sta di arancia.

I vini in tavola: Prosecco;Chianti Rufina 2011 e Riser-va 2009 (Selvapiana); VinSanto.

Commenti: Prima riunioneconviviale del mese dellacultura per la Delegazione,nata un anno fa. Oltre 60presenze, compresi Delegatie Accademici di altre Dele-gazioni, in questa strutturasettecentesca sulle colline.Argomento della serata“Sport e alimentazione”; re-latori Luca Gatteschi, medicodella Nazionale italiana dicalcio, e Claudio Silvestri,chef della stessa Nazionale edel Centro tecnico federaledi Coverciano. La parte ga-stronomica è stata divisa indue parti: quella “sportiva”,a cura dello chef della Na-zionale, e quella “accademi-ca”, a cura dello chef del ri-storante Mario Perone; i due

menu erano nello stessopiatto, per ogni portata. Al-tissimo il gradimento dellaserata; molto apprezzato,nella sua semplicità, il menu“sportivo” totalmente privodi profumi come aglio e ci-polla. Interessanti e ricchi gliinterventi dei relatori. Ospitianche i Presidenti di due so-cietà sportive fiorentine,Marcello Marchioni dell’ASSIGiglio Rosso e Cristiano Ca-lussi della Canottieri Firenze.Al termine della serata, ilDelegato Ruggero Larco haofferto allo chef di “Villa Pi-tiana” il piatto dell’Accade-mia e a Claudio Silvestri ilguidoncino.

VIAREGGIO VERSILIA21 marzo 2013

Ristorante “Amaro Braceriacon cucina” di Alberto Da-niele Belluomini, fondato nel2004. �Via San Martino 73,Viareggio (Lucca); �0584962183; coperti 55. �Par-cheggio incustodito, suffi-ciente; prenotazione neces-saria (solo nel fine settima-na); ferie variabili in ottobree marzo; chiusura mai. �Va-lutazione 7,50; prezzo € 25;elegante, accogliente.

Le vivande servite: cremaparmentier con scaglie digrana e crostini; tartara dimanzo con riduzione di bal-samico e grana; polpettinepietrasantine al sugo; fiore dizucca ripieno di ricotta everdure; torta salata di zuc-chine; pappa al pomodoroalla frantoiana con pancettacroccante; raviolini di ricottaalla carbonara su fonduta algorgonzola; cinta senese allabrace con rapini saltati, sfor-matine di patate e salsicciot-to; sfogliatine alla crema pa-sticciera e fragole.

I vini in tavola: Vino rosso150 selezione Amaro (Azien-da Agricola Giovanni Chiap-pini).

Commenti: Nel 2004 Alber-to e Massimo Bonuccelli rile-varono una rosticceria stori-ca di Viareggio e pensaronodi aprire un ristorante chepotesse seguirne le orme.Per la riunione conviviale dimarzo, la Delegazione lo ha

scelto per poter esaltare ipiatti tradizionali viareggini.Ottima la pappa al pomodo-ro come pure i raviolini. Isecondi piatti hanno esaltatola cottura della carne allabrace. Fra i commensali al-cuni hanno scelto il secondoalternativo e la tagliata haavuto un successo sbalorditi-vo. Il Delegato si è congratu-lato con i fratelli Bonuccelliper la riuscita della cena. Ungrazie, da parte di tutti gliAccademici e ospiti, al prof.Boris Gannaccini che hapresentato il suo nuovo librodal titolo: “Evoluzione ali-mentare in Toscana: Versilia,Lunigiana e Garfagnana”.

ANCONA14 febbraio 2013

Ristorante “Fiorfrì” di Rober-to Sebastianelli, fondato nel2011. �Via Pancaldo 1,Pongelli di Ostra Vetere (An-cona); �339 3903371, fior-frì@yahoo.it; coperti 60.�Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazione ne-cessaria; ferie gennaio o feb-braio; chiusura lunedì. �Va-lutazione 7,12; prezzo € 30;caratteristico.

Le vivande servite: sgom-bro marinato con croccanti-no di ricotta, margherite, ca-lendula e broccoletto; foglio-line di tacchino alla lavandacon salsa di panna acida eTropea; tortino di fiorettopecorino con crema di caro-te e violette; ravioli di patatacon mille fiori e legumi concrema di tagete; crêpe allaborragine e rose con cremadi zenzero e profumo diarancia e garofano; rosetta dicarne bianca con crema dizafferano, rosmarino conmargherite e primule; giardi-netto di verdure al sauté;crema in pagnotta alla lavan-da con salsa di mirtillo; infu-so di rosa canina e karkadèe sambuco.

I vini in tavola: ProseccoGlera (Bellenda).

Commenti: Roberto Seba-stianelli, coadiuvato da LucaMantoni, ha proposto unacucina dove i fiori si trasfor-mano in cibo e il territorio el’agricoltura sono integratiper valorizzare le tipicità lo-cali, fondendo tradizione einnovazione. I piatti servitihanno destato molta curiosi-tà, vivacizzato la conversa-zione e il confronto sulle no-vità degli abbinamenti. Deidue antipasti, il secondo haottenuto più apprezzamento,come la crêpe tra i primi, matutti i piatti hanno avuto lacapacità di destare l’attenzio-ne dei commensali, intenti agustare, ma anche a valutarele pietanze con spirito criticocostruttivo. Una serata diver-sa, sempre nello spirito cul-turale dell’Accademia. L’inter-vento dello chef Roberto Se-bastianelli è stato un validocontributo per rappresentarela ricerca e il gran lavoro chec’è in questo tipo di cucina,dove gli abbinamenti dei fio-ri ai piatti sono frutto di stu-dio e sperimentazione, di ri-cerca, tecnica, cultura, e pas-sione dello chef. Compli-menti per il percorso e augu-ri per i tanti nuovi progetti.

FOLIGNO21 febbraio 2013

Ristorante “Lo Stiriolo” diNatalina Cori, fondato nel1987. �Località Le Case, Co-ste di Trevi (Perugia);�0742 381958; coperti 70.�Parcheggio incustodito;prenotazione necessaria; fe-rie settembre; chiusura mer-coledì. �Valutazione 6,50;prezzo € 30; famigliare, ru-stico.

Le vivande servite: antipa-sti della casa: prosciutto ecoppa, erba campagnola,zucca marinata, tortino di

MARCHE

UMBRIA

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

bietola, parmigiana di melan-zane, lumache; risotto conzucca gialla e provola; picicon sugo di pachino e fun-ghi porcini; faraona alla lec-carda con verdure gratinate;spezzatino d’agnello in pa-della con tartufo; insalata mi-sta; rocciata e zuppa inglese.

I vini in tavola: Vino sfusodel nonno.

Commenti: D’altri tempi: co-sì si potrebbe definire la cuci-na di questa trattoria di mon-tagna che si apre sul pianorodi Coste di Trevi e si affacciasul panorama della valle um-bra. Cucina che stupisce perabbondanza, e portate che siaggiungono alle altre senzaun filo logico se non quellodella genuinità. Commenti di-sparati da parte degli Accade-mici, che storcono il naso difronte ad una zucca giallamarinata (neppure cattiva...)che si accompagna ad unasapida coppa di maiale e an-ticipa lumache in guazzetto.Antipasti a gogò, che prece-dono due primi spaiati, un ri-sotto di zucca purtroppo pas-sato di cottura e dei pici confunghi e pomodorini che nonlasceranno memoria. Ci si rifàcon un’ottima faraona allaleccarda col suo crostinodavvero ben fatto, e potevafinire lì. Ma questi pranzi im-pongono anche il “secondosecondo”, uno scontatoagnello tartufato senza lode.Zuppa inglese buona, e roc-ciata a finire. Vino del non-no, onesto. Servizio gentile evolenteroso, accoglienza fa-miliare.

GUBBIO7 marzo 2013

Ristorante “Hotel Padule” diMarco Rossi, fondato nel1978. �Via del Giardino 2,Gubbio (Perugia); �0759292113, 0759 292114; co-perti 130. �Parcheggio incu-stodito, sufficiente; prenota-zione consigliabile ma nonnecessaria; ferie mai; chiu-sura mai. �Valutazione 7,2;prezzo € 25; familiare, ac-cogliente.

Le vivande servite: “giro-pizza” (assaggi di vari tipi dipizza cotti in forno a legna);

passatelli in brodo e/oasciutti con pomodorini pa-chino; agnello arrosto al for-no con patate; verdure algratin; vecchia.

I vini in tavola: Prosecco diValdobbiadene, MelanzioIgtp (Cantine Montefalco diAnna Rita Antinori); Rosso diMontefalco; Vermentino diSardegna Doc (Cantine Par-dulas).

Commenti: Dalla sua fon-dazione, la Delegazione, nelgiorno di “mezza Quaresi-ma”, rinnova un’antica usan-za eugubina: “segamo lavecchia”. Sono stati in moltia ricercare le origini e i si-gnificati di quest’usanza, ma,a tutt’oggi, le certezze sonodavvero scarse. La vecchia èun dolce fatto con la stessapasta delle crostate e cotto alforno, ma cambia la forma,in quanto ha aspetto antro-pomorfo con le varie partidel corpo ben evidenziatecon canditi e confettini mul-ticolori oltre all’uso di mar-mellata o crema. La “vec-chia” ha concluso una riu-nione conviviale pienamenteriuscita per la qualità dellacucina. Avvicinandosi la Pa-squa, il menu è stato im-prontato a quanto gli eugu-bini mangiano in quel gior-no. I passatelli sono statiproposti in due versioni: inbrodo (non molto ristrettosecondo alcuni) e asciutti,conditi con un gradevole su-go di pomodori pachino;cotto a dovere e di giustagrandezza, l’agnello arrosto.Gustose anche le verdure algratin. Decisamente buono ilrapporto qualità /prezzo.

TERNI4 marzo 2013

Ristorante “Da Graziano” diGraziano Fazi, fondato nel1973. �Via Alfonsine 17/19,Terni; �0744 800090, cel.340 7124090; coperti 80.�Parcheggio sufficiente e co-modo; prenotazione consi-gliabile; ferie variabili; chiu-sura domenica. �Valutazio-ne 7,50; prezzo € 35; tradi-zionale.

Le vivande servite: aperiti-vo con succo di pomodoro

fresco e Vodka; gazpachoaccompagnato da crostini dipane, uova sode, dadolatadi cetrioli, pomodori secchie fettine di fresca cipolla diCannara (7,50); Serrano epantomate (7,50); pomodoriripieni di riso (7,50); pomo-dori arrosto (7,50); pacchericon pomodori, peperoncinoe ricotta salata (7); spezzati-no di vitello (7) con patate epomodori (7); mix di crosta-te (7).

I vini in tavola: Salina Bian-co 2012 (Carlo Hauner); Bo-narda Oltrepò Pavese 2011Vivace (Tenuta Il Bosco).

Commenti: La riunioneconviviale del mese dellacultura è riservata a Vincen-zo Montalbano e a Pietro Pe-goraro che ogni anno sele-zionano un tema sul qualepreparano una relazione. So-lanum lycopersicum, ovveroil pomodoro, è l’argomentoscelto per quest’anno e alpomodoro è stato dedicato ilmenu. Si inizia con un bene-augurante rosso bicchiere dispremuta di pomodoro fre-sco, corretta da un goccio diVodka che supplisce allascarsa sapidità del pomodorofuori stagione, e un ottimogazpacho. Ottimo il prosciut-to, il Jamon Serrano che siaccompagna a minuscole fet-tine di bruschetta a compor-re un piatto della tradizionespagnola: il Serrano e panto-mate. Seguono i pomodoriarrosto e poi i ripieni di riso:la migliore proposta della se-rata. Il sugo dei paccheri conpomodori, peperoncino e ri-cotta salata soffre per il po-modoro fuori stagione; “nor-male” lo spezzatino di vitellocon contorno “vecchia ma-niera”, patate e pomodori. Altermine, crostate della casa.Grande sorpresa il Salinabianco di Carlo Hauner, per-fettamente vinificato.

VALLI DELL’ALTOTEVERE

23 marzo 2013

Ristorante “Da Mencuccio”di CIEFFE srl di Paolo Casuc-ci e Francesca Fedeli, fonda-to nel 1980. �Viale Parini60, Trestina (Perugia); � efax 075 8642169; coperti

140. �Parcheggio incustodi-to; prenotazione consigliabi-le; ferie mai; chiusura lune-dì. �Valutazione 8; prezzo €25; elegante.

Le vivande servite: torta alformaggio e affettati; coratadi agnello; bruschette; cap-pelletti in brodo; crêpes fun-ghi e tartufo; agnello arrosto;patate arrosto; insalata; me-ringato ai frutti di bosco.

I vini in tavola: GrechettoIgt Umbria (Tiburzi); Rosso diMontalcino Doc (Salcheto).

Commenti: In occasionedella cena della cultura, ilSimposiarca Vittorio Landiha illustrato ai numerosiospiti gli scopi e le finalitàdell’Accademia, spronandoAccademici e ospiti a ricer-care qualche libro inerentela cultura della tavola per labiblioteca dell’Accademia. Inconclusione, Vittorio Landinell’elogiare sia i piatti chel’ottimo servizio, ha definitoil ristorante “nuovo nella ge-stione ma vecchio per tradi-zioni”, come il posto giustodove gustare i veri saporidella cucina umbra.

CIVITAVECCHIA15 febbraio 2013

Ristorante “Archicuoco” diGiorgio Chiricozzi, fondatonel 2012. �Piazza AurelioSaffi 26, Civitavecchia (Ro-ma); �0766 34347; coperti40. �Parcheggio incustodito,comodo; prenotazione consi-gliabile; ferie mai; chiusuralunedì. �Valutazione 8;prezzo € 35; familiare, ac-cogliente, caratteristico, nelcentro storico.

Le vivande servite: timballodi riso basmati al curry; cru-do in tre atti; sformato caldodi salmone e provola affumi-cata; zuppetta di cozze conzenzero e agrumi; crema di

zucca con funghi saltati; fan-tasia di fritti; risotto al nerodi seppia e arance; cannolodi pane carasau con spigolamantecata; panna cotta concaramello salato all’aranciaStreuse.

I vini in tavola: FalanghinaBianco Doc; Prosecco di Val-dobbiadene; Lacrima Christi.

Commenti: La riunioneconviviale è stata organizzatadal Simposiarca Vincenzo DiSarno presso un nuovo risto-rante nel centro storico dellacittà. Il titolare, nonché cuo-co, Giorgio, è un architettocon la passione della cucinae da qui deriva il nome delristorante. Apprezzatissima lavarietà degli antipasti che giàda soli avrebbero potuto es-sere sufficienti a darne la va-lutazione, ma la spigolamantecata in un cannolo dipane carasau ha pienamenteconvinto gli Accademici adare un giudizio positivo al-la cucina di Giorgio. Il loca-le, nel suo interno, è statoarredato con armonia nel ri-spetto dell’ambiente storico,senza disturbare la strutturaantica nella quale è inserito.In conclusione, il Delegatoha rivolto un saluto, espo-nendo il programma dell’an-no accademico.

LATINA1° marzo 2013

Ristorante “Nanè” di Augu-sta Violo, fondato nel 1990.�Via Leonardo da Vinci 12,Pontinia (Latina); �0773868132, fax 0773 869345;coperti 100. �Parcheggio cu-stodito; prenotazione consi-gliabile; ferie mai. �Valuta-zione 7,7; prezzo € 35; raffi-nato, elegante.

Le vivande servite: rotolodi polpettine con cuore diasparago; cerchio di caprinocon dadolata di ortaggi; so-vrapposto di riso croccante;polenta lardellata e tartufatagratin; prosciutto al coltello;tagliolino ai carciofi; vulcanodi riso con scaloppa di stin-co di vitello; faraona por-chettata con insalatina; torti-no al cioccolato con mar-mellata di visciole setine ecrema di latte e frutti rossi.

LAZIO

UMBRIA segue

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

I vini in tavola: Satrico Igt(Casale del Giglio); Sauvi-gnon Igt (Villa Gianna); Cer-vinara Igt (Carpineti); Mosca-to Igt (Sant’Andrea).

Commenti: Una tavola im-periale superbamente im-bandita ha accolto gli Acca-demici. La signora Augusta,vera anima del ristorante, hasaputo rinnovare antichipiatti della cucina ferrarese,di cui è originaria la fami-glia, con dei nuovi che esal-tano, nel migliore dei modi,alcune delle peculiarità delterritorio pontino, quali gliasparagi, i carciofi, le viscio-le e i numerosi vini, tutti dieccellenza, scelti e consiglia-ti dal coniuge, Remo. Il risto-rante è parte integrante emotore propulsore del Clubdel Gusto della provincia diLatina, progetto fortementevoluto dagli imprenditori delsettore, che vede tutti impe-gnati nella valorizzazione deiprodotti locali con il patroci-nio della Camera di Com-mercio. Simposiarca della se-rata Franco Mansutti.

ROMAROMA APPIA

ROMA CASTELLIROMA NOMENTANA22 marzo 2013

Ristorante “Casa Bleve” diTina Bleve. �Via del TeatroValle 48/49, Roma; �066865970, fax 06 6864813,[email protected]; coperti80. �Parcheggio difficile;prenotazione consigliabile;ferie agosto; chiusura dome-nica e lunedì. �Valutazione8; prezzo € 62; elegante, inpalazzo storico nei pressi diPalazzo Madama.

Le vivande servite: pinzi-monio con olio extravergined’oliva e vin cotto di Primiti-vo di Manduria; peperonataalla pugliese con crostoni dipane, mozzarella di bufala diPaestum e pomodori pachi-no al forno; vermicelli fattiin casa con broccoletti pu-gliesi e pasta fritta; tartare dicernia con zucchine, servitatiepida con purè di carote e“lampascioni”; tronchetto pa-squale di pasta di mandorla;croccantini di mandorle alcioccolato.

I vini in tavola: Five Roses2011 (Leone de Castris); Pri-mitivo di Manduria 2009(Azienda Agricola GiuseppeAttanasio); Primitivo di Man-duria 2008 dolce naturale(Azienda Agricola GiuseppeAttanasio).

Commenti: La riunioneconviviale ha concluso l’inte-ressante programma pro-mosso dall’Accademico Ni-cola Benedizione. Si è inizia-to con la visita alla chiesa diSan Luigi dei Francesi, segui-ta poi da quella al Senato. Ilristorante scelto è noto perla sua enoteca con numero-se varietà di vini di alta qua-lità. Ed è stato proprio il vi-no il protagonista della sera-ta: vini pugliesi, serviti neigiusti bicchieri, con un servi-zio accurato e professionale.Ottima la cucina, anche se la“rivisitazione” della cernia intartare da alcuni non è statamolto apprezzata. Numerosigli Accademici delle quattroDelegazioni romane, riunitisiper l’eccezionale occasionedi visitare Palazzo Madama.Il Simposiarca Nicola Bene-dizione ha illustrato la storiadel locale, lo stile della suacucina che si richiama allatradizione pugliese, il menue la gran qualità dei vini ser-viti. Il Coordinatore Territo-riale Gabriele Gasparro, a fi-ne serata, ha ringraziato, an-che a nome degli altri Dele-gati, l’équipe di cucina, i ti-tolari del ristorante e il Sim-posiarca per la perfetta orga-nizzazione.

ROMA APPIA8 marzo 2013

Ristorante “Rinaldo all’Ac-quedotto” di Rinaldo Di Pa-squo. �Via Appia Nuova1267, Roma; �06 7183910,[email protected];coperti 1100. �Parcheggioampio e comodo; prenota-zione non necessaria magradita; ferie 15 giorni a fer-ragosto; chiusura martedì.�Valutazione 8,75; prezzo €50; tradizionale, di mare.

Le vivande servite: antipa-sto di mare con conchigliacon gamberi in salsa rosa esalmone affumicato; risottoalla certosina in cialda con

gamberetti e Champagne; ta-gliolini alla pescatrice; spigo-la, mazzancolle e salmone incrosta di patate; frittura diparanza; insalata misticanza;torta Flaminia.

I vini in tavola: Bianco Fa-langhina e Fiano (AziendaWartalia).

Commenti: Il Delegato Pu-blio Viola ha presentato laserata organizzata in occasio-ne della festa della donna eha salutato gli ospiti di altreDelegazioni romane, tra cuiil Delegato di Roma Giusep-pe Gasparro. Ha dato suc-cessivamente la parola alSimposiarca Claudio Di Vero-li, che ha descritto le caratte-ristiche del locale, il menuscelto con Rinaldo e, in oc-casione della festa della don-na, ha ricordato il sonetto“Tanto gentile e tanto onestapare”. La cena, il cui menuera centrato sul pesce, è ri-sultata eccellente, con le sueraffinate portate. Un grade-vole sapore avevano i taglio-lini alla pescatrice, la spigolacon le mazzancolle e il sal-mone in crosta di patate. Vaanche sottolineata la tortaFlaminia, caratteristica del lo-cale, così come il bianco Fa-langhina. Infine, l’Accademi-ca Viviana Franca Paliotta haricordato l’origine della ricor-renza e si è soffermata, conrichiami letterari, sui diversiruoli femminili. L’incontro èstato gradevole e alle signoreè stata donata un’elegantecomposizione di mimose.

ROMA EUR23 marzo 2013

Ristorante “Satricum” diMassimiliano Cotilli e SoniaTomaselli, fondato nel 2010.�Strada Nettunense 1227,Borgo Le Ferriere - Nettuno(Roma); �349 1923153; co-perti 80. �Parcheggio incu-stodito; prenotazione neces-saria; ferie mai; chiusura dalunedì a sabato a mezzo-giorno e domenica sera.�Valutazione 8; prezzo €42; raffinato.

Le vivande servite: aperiti-vo di benvenuto: stracci diricciola, Martini bianco, melaverde; astice, panzanella, po-

modoro ghiacciato; riso nero,gamberone, asparagi, bisca;orata croccante; carciofi, Cy-nar; millefoglie, mandorlato,zucchero bruciato.

I vini in tavola: Bianco delLazio Igt Bellone 2011; Bian-co del Lazio Igt Maroso 2010e 2011 (Azienda vitivinicolabiologica I Pàmpini); Spu-mante dolce Doc Templum(Cantina Sant’Andrea).

Commenti: Il pranzo è sta-to preceduto da una degu-stazione degli ottimi viniprodotti dall’amica CarmenIemma, titolare di un’azien-da vitivinicola biologica apochi chilometri da Nettuno,alcuni dei quali riproposti inabbinamento con le varieportate del menu. Ogni vinoè stato accompagnato da unmanicaretto confezionato daCarmen, che ha anche svoltoil ruolo di Simposiarca. Ori-ginalità nella presentazionedei piatti, dagli antipasti aldolce, senza dimenticare ilpane e i grissini, confeziona-ti con maestria dallo chefMassimiliano Cotilli. Le ricet-te sono tutte basate sull’uti-lizzo di prodotti tipici delterritorio e con abbinamentidella tradizione culinaria lo-cale. Unica pecca, che haimpedito un giudizio com-plessivo di assoluta eccellen-za, i tempi di attesa, eccessi-vamente lunghi. Ogni piattoè stato preparato da Massi-miliano: le dimensioni dellocale non consentono di di-sporre di uno staff di cucinapiù ampio. Inappuntabili edi eccezionale livello l’appa-recchiatura e il servizio disala, curato da Sonia Toma-selli, sommelier di rango,che ha giustamente valoriz-zato la qualità dei vini.

VITERBO20 febbraio 2013

Ristorante “Trattoria PortaRomana” di AnnunziataPallucca, fondato nel 1971.�Via della Bontà 12, Viterbo;�0761 307118; coperti 40.�Parcheggio incustodito, suf-ficiente; prenotazione consi-gliabile; ferie in agosto varia-bili; chiusura domenica.�Valutazione 6,84; prezzo €35; tradizionale, rustico.

Le vivande servite: filettifritti di baccalà; lombrichellialla amatriciana; galletto ri-pieno alla viterbese; patatearrosto; crostata visciole e ri-cotta; tozzetti.

I vini in tavola: Bianco eRosso (Azienda Agricola Lot-ti); Aleatico di Gradoli.

Commenti: Questa trattoriaè una delle più antiche real-tà tradizionali della città e laDelegazione l ha voluta rivi-sitare per confermare ungiudizio che è stato semprepositivo, pur nelle criticitàstrutturali. Simposiarca il neoAccademico Narduzzi, che ècosì entrato nel vivo dellospirito accademico. Si è de-gustato un baccalà ottimonella sostanza, ma un po’critico nella frittura, non al-l’altezza. Sempre gradevolied equilibrati i lombrichelli(pasta acqua e farina dellazona) e il loro sugo; il pollosoffre dell’allevamento inten-sivo; buono il contorno, otti-mo e apprezzato il dolce.Noti e immutati l’ambiente eil servizio molto “casarec-cio”; meno favorevole il rap-porto qualità/prezzo.

AVEZZANO5 marzo 2013

Ristorante “Locanda dei Prio-ri” di Aldo Paris, fondato nel1978. �Via Sardellino, Cela-no (L’Aquila); � e fax 0863711009; coperti 80. �Par-cheggio incustodito; prenota-zione non necessaria; feriemai; chiusura mai. �Valuta-zione 6,5; prezzo € 30; ca-ratteristico, accogliente.

Le vivande servite: chitarradella tradizione pastoraleabruzzese; anellini mantecatial tartufo nero; agnello incrosta con tortino di brocco-letti e patate del Fucino sab-biate al forno; insalata arlec-chino con prodotti del Fuci-

ABRUZZO

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

ABRUZZO segue

no; torta tradizionale con pe-re al Montepulciano.

I vini in tavola: Montepul-ciano d’Abruzzo Doc (Canti-na Cataldi Madonna).

Commenti: La formazioneintellettuale e il sapere delletradizioni del territorio han-no fatto da guida per la cenadedicata alla Cultura dellaTavola. La proposta gastro-nomica della serata ha riper-corso le tradizioni del territo-rio legate alla transumanza efortemente reinterpretatedallo chef, con libertà di as-secondare le stagioni e iprodotti dell’Abruzzo monta-no legato al mondo della pa-storizia. Gli Accademici han-no apprezzato la buona vo-lontà e la fantasia dello chef,in particolar modo perl’agnello in crosta. Ospited’onore della serata l’Acca-demico e Consigliere nazio-nale Mimmo D’Alessio. L’Ac-cademico Franco Santelloc-co, parlando di cultura e ma-de in Italy, ha precisato co-me in quest’ultimo debba es-sere compreso il settore ali-mentare, voce attiva nell’ex-port italiano.

PESCARA ATERNUM21 marzo 2013

Ristorante “La Corte del tem-po” di Vincenzo Di Nardo,fondato nel 2011. �Vico Pri-mo Municipio 6, Tocco daCasauria (Pescara); � e fax085 880565; coperti 40.�Parcheggio incustodito, suf-ficiente; prenotazione consi-gliabile; chiusura martedì.�Valutazione 7,5; prezzo €35; elegante, accogliente.

Le vivande servite: pallottecace e ove al sugo e pepero-ni; assaggio di trippa; tritticodi crostini con salsiccia di fe-gato nostrana; ventricinaaquilana; zuppetta di indiviacon cannellini e olive neretoccolane; ricottine artigiana-li con olio extravergine e ba-silico; pecorini locali (Cane-strato, Castel del Monte,Scanno) con confetture (pro-duzione artigianale abruzze-se); sagnette di semola conceci (Molino di Moscufo) epistilli di zafferano di Navel-li; agnello nostrano ai ferri;

salsicce nostrane; tagliatinadi filetto su cipollotto rossoal sesamo; patatine novelledi Avezzano al rosmarino;insalata.

I vini in tavola: Pecorino2012 (Terzini); Cerasuolo2012 (Terzini); Montepulcia-no 2011 (Terzini); Vigna Ve-tum 2010 (Terzini); Mosca-tello di Castiglione (AziendaAgricola Angelucci).

Commenti: La Delegazioneha visitato, per la prima volta,questo ristorante dall’ambien-te gradevole e dall’accoglien-za cortese. Guidati dai fratelliTerzini, titolari dell’azienda icui vini hanno accompagnatole pietanze, si è potuto assa-porare un buon menu. Anti-pasto ben assortito, con otti-me pallotte cace e ove, as-saggio di trippa, trittico dicrostini con salsiccia di fega-to, leggerissima, e ventricinaaquilana. Particolarmente ap-prezzata la zuppetta di indi-via con cannellini e olive ne-re toccolane, dai sapori benassortiti. Delicate e morbidele ricottine artigianali; il sapo-re dei pecorini esaltato dasquisite confetture. Particola-re menzione per le sagnettedi semola con ceci, sia per laqualità, sia per l’equilibriodegli ingredienti, segnata-mente lo zafferano e il pepe-rone, nessuno dei quali è ri-sultato prevalere sugli altri.Fra le carni, saporite, si se-gnala il filetto al cipollotto.Ogni piatto è stato accompa-gnato dai vini della CantinaTerzini, illustrati dai produtto-ri. Accoglienza familiare deigiovani titolari del locale eservizio inappuntabile.

CAMPOBASSO24 febbraio 2013

Ristorante “Osteria del porto”di Pasquale Presutti, fondatonel 2012. �Via Roma 67,Campobasso; �347 5396784;coperti 70. �Parcheggio co-modo; prenotazione consi-gliabile; ferie ultima settima-na di ottobre; chiusura lune-dì. �Valutazione 7,67; prez-zo € 35; tipico.

Le vivande servite: calama-ro arrostito con rucola e pa-chino; capasanta gratinata;mazzancolle alle mandorle;risotto al gambero imperiale;paccheri allo scoglio conscaglie di provola affumicata;scaloppa di spigola ai fruttidi mare in cartoccio di cartafata; frittura di paranza coninsalata mista; macedonia difrutta con gelato alla vaniglia.

I vini in tavola: Pinot Gri-gio Venezia Doc 2011 (Tenu-ta Sant’Anna); SauvignonDoc 2011 (Tenuta Sant’An-na); Rosa dei Frati Rosé Doc2011(Ca’ dei Frati).

Commenti: Per questo in-contro conviviale, non ci si èattenuti alla tradizione, quindipesce fresco. Un grazie aiSimposiarchi Raffaele Cicche-se e Mimmo Criscuoli chehanno convinto il sig. Presut-

ti, titolare del ristorante, a re-carsi domenica mattina a Na-poli e a Formia per ritirarepesce freschissimo e frutti dimare. Lo chef Antonio Pao-lucci ha cucinato con moltaprofessionalità e competenza.Interessante il calamaro conrucola e pomodorini; la capa-santa, leggermente mollicatae gratinata, ha conservato in-tegri il corallo, l’umidità e ilsapore. Corretta la cottura delrisotto; originale e riuscitol’accostamento della provolaaffumicata con il sugo biondodi crostacei e molluschi cheha condito i paccheri. Il fagot-tino di carta fata ha permessodi conservare al pesce i profu-mi e il sapore del mare. Cal-da, bionda e croccante la frit-tura di paranza con merluz-zetti, triglie, calamaretti e altripiccoli pesci. Il relatore EnzoNocera ha parlato del mangia-re di Quaresima nella tradizio-ne. Ben abbinati i vini, origi-nali le decorazioni dei tavoli.

PENISOLASORRENTINA16 marzo 2013

Ristorante “Torre Ferano” diAntonio Staiano, fondato nel2001. �Via R. Bosco 810,Frazione Arola di VicoEquense (Napoli); �0818024786, torreferano@hot-

mail.com; coperti 70+35.�Parcheggio sufficiente; pre-notazione necessaria; ferie10 gennaio-10 febbraio;chiusura martedì. �Valuta-zione 8; prezzo € 35; tradi-zionale, accogliente, rustico,caratteristico; antica torre diavvistamento saracena.

Le vivande servite: degu-stazione di latticini del casei-ficio di proprietà del risto-rante; parmigiana di carciofie tartellette al cacio fresco;mezzelune di pasta all’uovoripiene di ricotta con ragù dicarni; risotto alle rape bian-che con provolone del Mo-naco; salsicce di maiale allabrace con patate; zeppole diSan Giuseppe.

I vini in tavola: Rosso TorreFerano 2012.

Commenti: Il Vice DelegatoGiuseppe De Simone, Sim-posiarca per l’occasione, haorganizzato la riunione con-viviale alla quale ha parteci-pato la quasi totalità degliAccademici della Delegazio-ne. Le pietanze preparate adarte dalla brigata di cucina,guidata dallo chef Camillo, eservite velocemente dallabrigata di servizio, nonostan-te le tante scale della torre,hanno ricevuto al terminedella riuscitissima riunioneconviviale il plauso di tutti iconvitati. Il Delegato ha con-segnato al patron del localeil graditissimo guidoncinodell’Accademia. Nel tardopomeriggio, un po’ a malin-cuore, gli Accademici hannolasciato il locale.

SALERNO13 marzo 2013

Ristorante “13” di Raffaele Vi-tale, fondato nel 2013. �CorsoGaribaldi 214, Salerno; �0899951350; coperti 50. �Par-cheggio incustodito; prenota-zione consigliabile; ferie varia-bili. �Valutazione 7; prezzo €35; famigliare, rustico.

Le vivande servite: pizzafritta; cacetti arrostiti con car-ciofi e mosto di vino cotto;pasta e patata gratinata confonduta; straccetti di scottonacon broccoli e patate; scom-posta di pastiera; zeppoline.

MOLISE

CAMPANIA

Pasta sotto esameL’Università di Adelaide (Australia) e gli atenei di Bari e Molise si sono“alleati” per studiare un “super-spaghetto” in grado di apportare beneficialla salute umana. Il progetto verrà portato avanti dall’Arc Centre of Ex-cellence in Plant Cell Walls e dalle università italiane. Il compito dei ricer-catori sarà quello di esaminare il ruolo fondamentale delle pareti cellulari(biomassa) nelle piante, in particolare quella del grano duro, per scoprirecome poterle utilizzare meglio a favore del benessere umano. Lo scopo fi-nale, dicono i ricercatori, è arrivare a produrre un tipo di pasta che “assi-curerà una serie di benefici potenziali per la salute del consumatore, co-me la riduzione del rischio di malattie cardiache o del cancro del colon-retto”. Nell’attesa, meglio gustare un classico piatto di spaghetti.

CURIOSITÀ

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I vini in tavola: Prosecco(Val d’Oca); Primitivo diManduria Le Baccanti (Azien-da Agricola Cantolio).

Commenti: Cena della cul-tura in un locale piuttostopiccolo, di recente apertura.Buoni il menu e le pietanzeservite, anche se non piena-mente soddisfacenti e forseeccessivamente ridotte. Laserata si è aperta con unsuono di sassofono di Raf-faele Lamagna che ha ac-compagnato tutta la cena. IlDelegato Raffaele Martino,con le congratulazioni degliAccademici, ha consegnato aRoberto De Rubertis il diplo-ma di appartenenza venti-cinquennale all’Accademia eha presentato i tre nuovi so-ci Cristina Baldoli, ClaudiaLaiola e Antonio Di Palma.Come al solito, c’è stata unanotevole affluenza di Acca-demici e simpatizzanti.

CASTEL DEL MONTE7 febbraio 2013

Ristorante “Antica Cucina”di Lello Lacerenza e GiuseppeVivo, fondato nel 1983.�Piazza Marina 4/6, Barlet-ta; �0883 521718; coperti50. �Parcheggio incustodito,sufficiente; prenotazioneconsigliabile; ferie variabili;chiusura domenica e lunedìsera. �Valutazione 8; prezzo€ 40; accogliente, nei pressidelle strutture portuali dellacittà.

Le vivande servite: frivo-lezze salate; calamaro farci-to; latticino ed erbe di sta-gione; crema di fagioli; ri-sotto, raia e cozze nere, ve-lo di pecorino e pepe; stra-scinati di grano arso, cimedi rapa, bottarga nostrana;spigola e mazzancolla conodori dell’orto; cassata di ri-cotta; sfizi di Carnevale ac-compagnati da confetti divario tipo.

I vini in tavola: Brut Nevie-ra Doc (Cantina Due Palme);Fiano Minutolo Doc (Polva-nera); Rosé Diamante RosaDoc (Donna Maffione); Mo-scato di Trani In Nomine Pa-tris Moc (C.P. Pastore).

Commenti: La scelta del ri-storante non è stata casualema legata alla ricorrenza delsuo trentennale, essendoglistato riconosciuto, da tanti,apprezzamento per aver va-lorizzato, sempre di più esempre meglio, la cucina pu-gliese, in modo particolarequella del Nord barese, esal-tante nei suoi piatti di pesce.Con una lusinghiera parteci-pazione di Accademici, ilDelegato ha salutato, fra gliospiti, i coniugi Anna Mariae Antonio Giannone, realiz-zatori a Barletta di una scuo-la di cucina. È intervenutopoi il Consultore SegretarioAlfonso Savino per segnalarealcuni momenti importantidella vita delle Delegazioni eper sollecitare l’invio alla re-dazione della rivista di artico-li sulla realtà enogastronomi-ca locale. La qualità e la pre-parazione del menu sonostate curate, per cui alla finedella serata il Delegato haconsegnato ai titolari il gui-doncino dell’Accademia.

FOGGIA15 marzo 2013

Ristorante “Manò”, fondatonel 2009. �Via N. Parisi 91,Foggia; �0881 580422, cel.329 9780943; coperti 25.�Parcheggio incustodito; pre-notazione consigliabile; feriemai; chiusura martedì e do-menica sera. �Valutazione8; prezzo € 35; accogliente.

Le vivande servite: sforma-tino di carciofi su vellutata diparmigiano; paccheri di Gra-gnano con radicchio stufatoal vino rosso e granella dinocciole, su fonduta di taleg-gio; brasato di manzo al vinorosso con patate gratinate eindivia belga stufata; mousseal cioccolato fondente consalsa al peperoncino.

I vini in tavola: Primitivo diManduria Igt Felline (Race-mi); Moscato di Trani (Canti-ne Botta).

Commenti: Gradito ritornodella Delegazione in questopiccolo e curato ristorante,scelto dal Simposiarca Mi-chele Centola per celebrarela serata della cultura. Allapresenza della quasi totalitàdegli Accademici, il Consul-tore Gianni Pompa ha tenu-to un’interessante relazionesul tema “Storia del sale: dabene raro e prezioso a pos-sibile killer”. Subito dopo èstata servita la cena, il cuimenu, in un crescendo disapori, ha riscosso consensopressoché unanime. Al deli-cato sformatino hanno fattoseguito i gustosissimi pac-cheri e l’ottimo brasato, dimorbidezza e sapore note-voli; infine la mousse, coltocco originale del peperon-cino. Una nota di eccellenzava riconosciuta al PrimitivoFelline: morbido, rotondo,corposo, che ha accompa-gnato esemplarmente le por-tate. Sollecito e accurato ilservizio. Al termine dellapiacevole serata, allo chefAntonio Manocchio, la cuiprofessionalità si è distintasia nella scelta delle materieprime, sia nella preparazionee presentazione dei piatti,sono stati consegnati dal De-legato la vetrofania e il gui-doncino.

FOGGIA - LUCERA15 marzo 2013

Ristorante “La nuova canti-na del pozzo” di Rosa Stella,fondato nel 1991. �StradaProvinciale 160 per Troia,Lucera (Foggia); �0881547373; coperti 180. �Par-cheggio incustodito; prenota-zione consigliabile; ferie ago-sto; chiusura lunedì. �Valu-tazione 8; prezzo € 30; ac-cogliente, tradizionale.

Le vivande servite: sforma-tino di carciofi su crema dicicerchie; troccoli spezzatialla campagnola; terrina dibaccalà con patate e lampa-scioni; crostata della nonna;frutta di stagione.

I vini in tavola: Rosato IlMelograno (Cantina La Mar-chesa); Passito di Pantelleria.

Commenti: Una riuscitissi-ma cena della cultura che ha

avuto come Simposiarca ilDelegato e come relatrice ladott.ssa Emilia Vitullo, esper-ta in storia dell’arte e re-sponsabile dei servizi cultu-rali della Provincia di Isernia,che ha trattato brillantemen-te il tema: “Usi e costumiconviviali nelle rappresenta-zioni pittoriche dell’ultimacena”. Un argomento parti-colarmente adatto all’atmo-sfera pasquale, che ha inte-ressato i numerosi convenu-ti. Ottima la realizzazionedel menu, puntuale il servi-zio. L’occasione è stata pro-pizia per lo scambio degliauguri nell’approssimarsidella Santa Pasqua.

POLLINOPOLICASTRO

15 febbraio 2013

Ristorante “Tintobrace” diDaniele Congiusti, fondatonel 2010. �Corso Italia19/20, Sapri (Salerno); � efax 0973 392490; coperti76+12. �Parcheggio incusto-dito, sufficiente; prenotazio-ne consigliabile; ferie genna-io; chiusura martedì. �Valu-tazione 8,27; prezzo € 40;elegante, caratteristico.

Le vivande servite: polentacon calamaretti saltati e pro-vola affumicata; zuppetta diceci di Villalba con vongoleammollicate; paccheri ripienidi baccalà alla salsa di cipol-la di Tropea; spaghettoni diGragnano al nero di seppiae carciofi; filetto di tonnoscottato al limone e patate alprofumo di Cetara; gambe-roni al lardo di Colonnata etrionfo dell’orto; sospiro diTinto al limone.

I vini in tavola: Falanghi-na Roccamonfina Igt ven-demmia tardiva 2011 (Vi-gna Telaro Lavoro & Salutescarl); Fiano San Matteo Igt2011 (Azienda VitivinicolaAlfonso).

Commenti: Annamaria Fer-raro, chef autodidatta, cala-brese di Praia a Mare ma tra-piantata a Sapri da più ditrent’anni, ha preparato unmenu a base di pesce macon continui richiami ad altriprodotti del territorio, abbi-nati in modo egregio alla ba-se delle sue ricette. Il risulta-to è stato eccellente, tantopiù che le pietanze sono sta-te accompagnate da ottimivini, scelti dal patron Danie-le Congiusti e dal sommelierAntonio Pugliese. Simposiar-ca della serata MassimilianoFerro. Servizio in sala velo-ce; unico neo, l’uso di tova-glioli di carta non all’altezzadi tutto il resto. Si è però su-perato questo piccolo disa-gio e si è deciso di tornarecon la scusa di verificare, al-meno nei pranzi e nelle ce-ne importanti, l’utilizzo deitovaglioli di stoffa, ma in re-altà per poter gustsre ancoral’ottima cucina di “Tintobra-ce”. Si tornerà all’inizio del-l’estate per verificare se, inmomenti di maggior afflussoturistico, il risultato è ugual-mente eccellente.

CROTONE10 marzo 2013

Ristorante “Resort Villa Ma-ria” di Maria Greca Guareri,fondato nel 2010. �LocalitàGipso, Belvedere Spinello(Crotone); � e fax 096252441; coperti 150. �Par-cheggio custodito, sufficiente;prenotazione necessaria; fe-rie mai; chiusura lunedì.�Valutazione 8; prezzo €30; tradizionale, accogliente,caratteristico.

Le vivande servite: tenerez-ze di latte, salumi, olive ver-di al finocchietto selvatico,sfogliatine alle lassane selva-tiche e al pomodoro; mac-cheroncelli al profumo deiboschi silani; maialino neroalle erbe aromatiche; gran

PUGLIA

BASILICATA

CALABRIA

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varietà di ortaggi e verdureprimaverili alla griglia; fruttadel podere; sformatino concuore caldo di cioccolato;ciambelline pasquali.

I vini in tavola: Mutrò Ros-so (Cantina Val di Neto); LePassule (Cantine Librandi).

Commenti: Non capitaspesso di andare al ristorantee di essere ricevuti con tantaaffettuosa ospitalità dai suoiproprietari da avere quasi lasensazione di trovarsi nellasala da pranzo di una fami-glia amica. Questo è capitatoagli Accademici riuniti inconvivio, alquanto numerosi,al “Resort Villa Maria”, auten-tico santuario della ristorazio-ne per la sua cucina sempli-ce, genuina e rigorosamenteaderente alle tradizioni delterritorio, con il grande pre-gio che le materie prime uti-lizzate sono prodotte in loco.Altra peculiarità di questo ri-storante è la sua ubicazione:un’antica dimora gentilizia dicampagna. La DelegataAdriana Liguori Proto, a con-clusione dell’incontro convi-viale, si è complimentata conlo staff del ristorante per labontà delle vivande, l’accura-tezza del servizio, garbato eattento, anche se un po’ len-to, e l’equilibrato rapportoqualità/prezzo, requisito,quest’ultimo, quanto mai gra-dito e apprezzabile.

CALTAGIRONE28 febbraio 2013

Ristorante “Hotel Villa Sturzo”di Sebastiano Caniglia, fon-dato nel 2011. �Via Mons.Fasola 3, Caltagirone (Cata-nia); �0933 27196; coperti130. �Parcheggio custodito;prenotazione necessaria; feriemai. �Valutazione 7,50; tra-dizionale, accogliente.

Le vivande servite: zatar emandorle, pane azzimo, olio

d’oliva con battuto di origa-no, pita; harissa, hummus, in-salata di cetriolo, pomodoro esesamo; insalata russa; insala-ta di cavolo; zuppa di verdu-re; tocchetti di pollo fritto conriso pilaf; falafel; torta al ca-cao e semi di papavero.

I vini in tavola: Vino rossoFrappato (Feudo di SantaTresa).

Commenti: Serata all’inse-gna della cucina israeliana.Reduci da un viaggio in Ter-ra Santa, si è voluto ripro-porre una tipica cena di queiluoghi, in una serata in cui,con la proiezione di diaposi-tive, si sono anche rivissuti imomenti più importanti delviaggio. Erano presenti allariunione conviviale il Dele-gato di Tel Aviv Ever Cohene il Coordinatore per la Sici-lia orientale Mario Ursino. LaSimposiarca della serata, Co-lomba Cicirata, oltre a pre-sentare le diapositive realiz-zate dall’Accademico Pa-squale Bizzini, ha illustratole varie portate concordatecon il cuoco Ciro Iacone,messosi a disposizione percimentarsi in piatti a lui po-co familiari, ma che congrande professionalità hapreparato con risultati piùche buoni. Notevole è risul-tata l’interpretazione di piattitipici di una cultura diversa enon facile. La serata è stataallietata dal gruppo musicaleBney Efraim di Caltanissetta,che ha suonato e cantatomusiche tipiche israeliane.

CALTANISSETTA12 febbraio 2013

Ristorante “Centro Storico”di Giuseppe Calì, fondato nel2011. �Via C. Benintendi133, Caltanissetta; �3293114872; coperti 28. �Par-cheggio incustodito, suffi-ciente; prenotazione neces-saria; ferie metà agosto;chiusura mai, domenica solosu prenotazione. �Valuta-zione 7,5; prezzo € 30; tra-dizionale, accogliente.

Le vivande servite: polpet-tine di ricotta, cavolfiore inpastella, olive nere fritte; se-danini al ragù madonita contrito di mandorle e nocciole

tostate; salsiccia, maiale ecotica e patate al sugo; ra-violo di ricotta con scorzad’arancia al miele di zagara.

I vini in tavola: Timperosse(Cantina Mandrarossa); Ros-so Igt Sicilia vendemmia2011.

Commenti: La Delegazioneha scelto un locale sito nelcentro storico, da cui il no-me. Serata organizzata appo-sitamente per poter apprez-zare le pietanze tipiche dellatradizione del martedì grassoin Sicilia. Prima della riunio-ne conviviale, il SimposiarcaGuglielmo Vassallo ha intro-dotto il tema della serata conun’interessante relazione suiriti e le feste del Carnevalein Italia e in particolare in Si-cilia. Il menu è stato un clas-sico della tradizione carna-scialesca tipico dell’entroter-ra siciliano, con un dominioassoluto della carne di maia-le. Particolarmente apprezza-ti i sedanini al ragù madoni-ta, tipica pietanza delle Ma-donie, proposta dallo chefGiuseppe Calì, originario diun paese a ridosso della ca-tena montuosa, conoscitoredi pietanze tradizionali diquel territorio. Da qui l’utiliz-zo delle nocciole (numerosinoccioleti sono presenti nelterritorio delle Madonie), perpreparare un ragù più ricco,tipico per la festa del marte-dì grasso.

CANICATTÌ10 febbraio 2013

Ristorante “Moulin Rouge” diSalvatore Giardina, fondatonel 1975. �Viale della Vitto-ria 208, Canicattì (Agrigen-to); � e fax 0922 856944;coperti 110. �Parcheggio in-custodito, sufficiente; preno-tazione consigliabile; feriesettimana di ferragosto;chiusura mai. �Valutazione8; prezzo € 25; elegante.

Le vivande servite: sforma-to ai carciofi con fonduta digrana; agnolotti di ortaggicon punte di asparagi e spu-ma al parmigiano; fettuccineal ragù di cinghiale e scagliedi ricotta al forno; filetto dimaialino in crosta al peperosa; involtino di carne ai

carciofi e mandorle; tortinodi verdure; composta di frut-ta fresca; semifreddo al pi-stacchio con cioccolata;chiacchiere e frittelle di Car-nevale.

I vini in tavola: Il Giglio In-zolia Igt (Masseria del Feu-do); Aquilae Syrah Igt (Viti-cultori Associati).

Commenti: Riuscitissimariunione conviviale, organiz-zata dalla Simposiarca Mirel-la Munda, in un locale natocome pizzeria e diventatonegli anni ottimo ristorante.Il servizio accurato e veloce,la creatività e la presentazio-ne delle pietanze, cucinatecon ingredienti di qualità,hanno catturato il consensounanime degli Accademici,presenti al completo. Inte-ressante la relazione dellaDelegata Rosetta CartellaCorbo sul dolce di Carnevale“La cuddrireddra di Delia”.

MARSALA12 marzo 2013

Trattoria “Garibaldi” di Ono-frio Arco e Salvatore Rocca-forte, fondata nel 1963.�Piazza Addolorata, Marsala(Trapani); �0923 953006,[email protected];coperti 100+140. �Parcheg-gio pubblico a pochi metri;prenotazione gradita; feriemai; chiusura sabato a mez-zogiorno e domenica sera.�Valutazione 7; prezzo € 25.

Le vivande servite: spatolain agrodolce; sarde a becca-fico; sarde a linguata; timbal-lo classico di pasta con sar-de; bucatini al ragù di sardecon aglio e mollica; sgombropanato arrosto; insalata pan-tesca; pere al Nero d’Avola;scomposto di ricotta.

I vini in tavola: Grillo Par-lante e Nero d’Avola (FondoAntico).

Commenti: La riunioneconviviale dedicata alla cul-tura, organizzata dal Simpo-siarca Giuseppe Polizzotti,che ha scelto come tema: “Ilpesce azzurro”, si è svolta inun ristorante storico di Mar-sala. Avere avuto come pro-tagoniste a tavola alcune va-

rietà di questo pesce ha en-tusiasmato tutti. Le pietanzesono state fedeli alla tradi-zione e il servizio è stato ce-lere e accurato. La Delegata,nell’aprire la riunione convi-viale, ha fatto un tuffo nelpassato storico gastronomicodel pesce azzurro, citandoArchestrato che, nei fram-menti del suo antico poe-metto “Vita di delizie”, loesalta e ne illustra anche imetodi di cottura più appro-priati. Il Simposiarca inveceha, con molta competenza,parlato delle proprietà orga-nolettiche e salutari del pe-sce azzurro e ha illustrato ilmenu con dettagli sulle pie-tanze, legati nel tempo agliinflussi delle varie domina-zioni succedutesi in Sicilia.Ottimi i vini e il rapportoqualità/prezzo.

RAGUSA10 febbraio 2013

Ristorante “Ercole di Cafeo”di Maria Alecci, fondato nel2010. �C.da Lusia Costa deiDiavoli, Mendolilli - S.S. 115km 332,4, Ragusa; �3661596269; coperti 85. �Par-cheggio incustodito, suffi-ciente; prenotazione consi-gliabile; ferie mai; chiusuralunedì. �Valutazione 7,5;prezzo € 25; rustico.

Le vivande servite: frittatacon asparagi selvatici, aran-cini ricotta e pistacchio,crocchette di patate, porri,parmigiana, peperoni, salsic-cia al vino rosso e rosmari-no, olive; zuppa di ceci;macco di fave; cavati al sugodi maiale; stinco di maiale;salsiccia all’arancia; patate alforno; insalata d’arance e fi-nocchi; frittelle.

I vini in tavola: vino rossocaraffato (Nero d’Avola).

Commenti: I SimposiarchiGianni Antoci e Vittorio Sar-torio fanno centro con unottimo esempio di eccellentetradizione locale. Ingredientinaturali nel solco della tradi-zione più rigorosa e condu-zione familiare riconcilianopassato e presente in uncontinuum di grande effica-cia. Insomma, il Carnevalenon poteva meritare miglior

SICILIA

CALABRIA segue

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

festeggiamento nel consuetoe partecipatissimo convivioad esso dedicato.

CAGLIARI CASTELLO23 marzo 2013

Ristorante “Letizia” di Ma-nuele Fanutza, fondato nel1980. �Via San Pietro 12,Nuxis (Carbonia - Iglesias);�0781 957021; coperti 80.�Parcheggio sufficiente; pre-notazione consigliabile; feriemai; chiusura martedì. �Va-lutazione 8,30; prezzo € 35;accogliente.

Le vivande servite: tortinodi malva e ortica con cremadi ceci al dente di leone (ta-rassaco); cannolo al sesamocon ricotta agli asparagi sel-vatici e zafferano di Is Aioas;ravioli di borragine; pesto diortiche e noci; crespella digrano saraceno gratinata conasparagi e pancetta; agnelloin casseruola di civraxedduai semi di finocchio e agliotriqueto; gelato di arance ecannella; panna cotta al pe-pe rosa; spuma di mirto,cioccolato e peperoncino.

I vini in tavola: Grotta Ros-sa (Cantina Santadi).

Commenti: Gli Accademicihanno visitato la cantina diSantadi, guidati dal titolare:visita istruttiva e interessante.Poi si sono recati al ristoran-te “Letizia” dove sono statiserviti piatti con ingredientia km 0, genuini e gustosi.Durante la riunione convi-viale è stata effettuata la di-stillazione del rosmarino; uncampione del distillato è sta-to offerto agli Accademici.Ampia la soddisfazione dellaDelegazione.

FRANCIA

PARIGI14 marzo 2013

Ristorante “Divinamente Ita-liano” di Raffaella Petrillo eInes Di Franco, fondato nel2008. �28 Rue Notre-Dame -des- Victoires, Parigi; �0330147033841; coperti 30.�Parcheggio custodito; pre-notazione consigliabile; feriefine anno e agosto; chiusurasabato e domenica. �Valuta-zione 7,36; prezzo € 60; tra-dizionale.

Le vivande servite: aperiti-vo di benvenuto; tartara dipesce secondo il pescato, li-mone verde e latte, patatadolce e cipolla rossa; risottovialone nano ai gamberi delMadagascar e spinaci; carréd’agnello in salsa piccante aipistacchi, cetriolo e chips dipatate; “Divinamente” zaba-ione.

I vini in tavola: Acaja Malva-sia frizzante secca Igp 2011;Malvasia Puntinata Igt 2011(Piana dei Castelli); PralisBianco delle Venezie Igp2011; Montepulciano d’Abruz-zo Feuduccio Doc 2008; Mal-vasia frizzante dolce.

Commenti: Per la riunioneconviviale di marzo, visita alristorante al quale la Delega-zione si appoggia per la rea-lizzazione dello stage che, incooperazione con la Delega-zione di Ferrara, viene pro-posto ad un allievo merite-vole dell’Ipssar “Orio Verga-ni”. La serata, animata converve e garbo squisito dallaSimposiarca Christine Mou-kheiber, ha riunito Accade-mici e amici attorno ad unmenu in cui tradizione e in-novazione hanno trovato unbuon equilibrio, conferman-do le qualità dello chef e lasua creatività. Molto curatala scelta dei vini, vanto delristorante.

GERMANIA

MONACO DI BAVIERA8 marzo 2013

Ristorante “Al Boccone” diClaudio Zanuttigh e PinoManca, fondato nel 2012.�Hochbrückenstrasse 3,München - Altstadt; �089296383, [email protected]; coperti 50-55. �Par-cheggio scomodo; prenota-zione non necessaria; feriemai; chiusura domenica.�Valutazione 7,9; prezzo €65; familiare, rustico.

Le vivande servite: carciofialla romana; crema di carcio-fi con capesante gratinate;gnocchi di patate con radic-chio trevisano; suprema dirombo in umido con carciofie bisque di astice; sorbettoal limone; guanciale di vitel-lo al vino rosso, purea diprezzemolo e sedano rapa;semifreddo al croccante.

I vini in tavola: Murgo BrutNerello Mascalese MetodoClassico 2009; Murgo Extra-Brut 2006; Murgo Brut Rosè2009; Tenuta S. Michele EtnaBianco 2010; Murgo EtnaRosso 2010; Murgo Etna Bian-co 2011; Tenuta Gelso Bianco2010 Sicilia rosso Igt (tuttiAzienda Agricola EmanueleScammacca del Murgo).

Commenti: Menu di fineinverno programmato dalSimposiarca Roberto Cecchi-ni intorno a tre componenti-simbolo della primavera cheavanza: carciofi, radicchiorosso di Treviso e sedano-ra-pa. La Delegazione si è riu-nita in questo piccolo ma ac-cogliente ristorante, i cui duepatron sono vecchie cono-scenze dell’Accademia, inquanto protagonisti da moltidecenni della ristorazioneitaliana a Monaco. Il Simpo-siarca ha intrattenuto i com-mensali presentando, in ita-liano e in tedesco, curiositàstorico-culturali e proprietànutrizionali di carciofi, radic-chio rosso di Treviso e seda-no-rapa. I vini, tutti appro-priatamente abbinati, sonostati commentati dal titolaredell’azienda Scammacca delMurgo. La cena ha moltosoddisfatto gli Accademiciche hanno espresso, al ter-

mine, il loro plauso al pa-tron/chef Pino Manca e alco-patron Claudio Zanuttighche ha coordinato e diretto ilservizio al tavolo. Un grazie,per la sua presenza, al Con-sole Generale d’Italia in Mo-naco di Baviera.

GRANDUCATODEL LUSSEMBURGO

LUSSEMBURGO7 marzo 2013

Ristorante “Il Gattopardo” diAlfredo Città, fondato nel2012. �107 Rue de l’Alzette,Esch-sur-Alzette; �035226190021, fax 0352 26190022;coperti 50. �Parcheggio cu-stodito con prenotazione;prenotazione consigliabile;chiusura lunedì. �Valutazio-ne 7,77; prezzo € 60; tradi-zionale.

Le vivande servite: olivecunzate, panelle, pomodorisecchi, cipollette in tempura,mini arancini; pasticcio delmonsù; turbante di spigola;mousse peperoni e crosta-cei; sorbetto; testa di turco;crème au lait; bisquits cro-quants.

I vini in tavola: Prosecco;Passomaggio; Zibibbo (tuttiCantina Abbazia Santa Ana-stasia).

Commenti: Per questa riu-nione conviviale è stato alle-stito un interessante menudella Sicilia barocca, grazie aiSimposiarchi Harald Gruber eDaniela Maniscalco e allagrande passione di Alfredoche dal 2012 gestisce il localesito all’interno dell’Hotel dela Poste. Estremamente gu-stosi gli antipasti. Altrettantoottimi il timballo e la freschis-sima e saporita spigola. Unristorante partito con il piedegiusto! La cucina ha ottenutola valutazione di 8,21. Il ser-vizio è da migliorare.

OLANDA

AMSTERDAMLEIDEN

10 marzo 2013

Ristorante “La Donnafuga-ta”. �Leidseweg 46, Voor-

schoten; �031 717512393;coperti 35. �Parcheggio libe-ro, nelle vicinanze; chiusuralunedì e sempre a mezzo-giorno. �Valutazione 7,4;prezzo € 55; familiare, ac-cogliente, con cucina a vista.

Le vivande servite: grissinosiciliano, fatto in casa, al se-samo con ricotta di pecora efave fresche; sarda a beccafi-co stufata in salsa di pomo-doro e finocchietto selvaticosiciliano; caponata; arancinoripieno di carne di cinghialee piselli; couscous di pesce;involtino di melanzana ripie-no di pasta al pomodoro in-fornato; gambero rosso impa-nato alla siciliana; costolettadi agnello con letto di cremaagrodolce di cavolo rosso;cassatina di ricotta con perecaramellate alla cannella.

I vini in tavola: Igt Biancodi Sicilia 2012 Insolia (Bagliodi Pianetto); Igt Bianco di Si-cilia 2012 Catarratto (Bagliodi Pianetto); Igt Bianco di Si-cilia 2010 Ficiligno (Baglio diPianetto); Igt Bianco di Sici-lia 2009 Riflessi di Sole (Avi-de); Igt Rosso di Sicilia 2009Shymer (Baglio di Pianetto);Moscato di Noto semidolce2007 (Baglio di Pianetto).

Commenti: La riunioneconviviale si è svolta in unristorante che la Delegazioneaveva già visitato e che haconfermato l’impressionepositiva. Il patron e chef Vi-to Tumbiolo ha proposto unmenu sicilianissimo, ricco ecolorato, che si è rivelatomolto gustoso e ben bilan-ciato. Gli Accademici hannolodato il livello di qualità ditutte le portate e hanno ap-prezzato in particolare ilcouscous di pesce dai profu-mi esaltanti e le costolette diagnello, cotte alla perfezionee ben combinate con la cre-ma agrodolce di cavolo ros-so. Anche la proposta dei vi-ni, tutti siciliani, si è rivelatamolto ricca e ben armoniz-zata alle vivande. Gli Acca-demici hanno potuto ap-prezzare la ricchezza e l’ori-ginalità delle varietà autocto-ne sicule e la loro versatilità.Un servizio particolarmentecortese e attento ha contri-buito infine alla piacevolez-za della serata.

SARDEGNA

EUROPA

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CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 66

V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

DEN HAAGSCHEVENINGEN16 febbraio 2013

Ristorante “Il Senso” di Massi-mo Hassane. �Nobelstraat13, Den Haag (Zuid Hol-land); �070 345521; coperti60. �Parcheggio in centro, apagamento; prenotazioneconsigliabile nel fine settima-na e festivi; chiusura semprea mezzogiorno. �Valutazio-ne 7,7; prezzo € 67,50; tra-dizionale.

Le vivande servite: “cuor-paccio” (carpaccio di codadi rospo e salmone); risottorosa (risotto ai gamberetti esalmone); pacchetto dell’in-namorato (pasta sfoglia ri-piena di gamberoni con sal-sa al Grand Marnier); cuore(petto di faraona farcito aforma di cuore); duetto fina-le (dolci di San Valentino).

I vini in tavola: Proseccofrizzante Mia Val d’Oca; Gar-da Chardonnay Doc RoccaSveva (Cantina di Soave);Soave Classico Capitel Tenda(Tedeschi); Chianti ClassicoRiserva (Castello Banfi); Pi-not Grigio (Altùris).

Commenti: Tradizionale ce-na di San Valentino. Dopoun bicchiere di Prosecco, si èproseguito con il “cuorpac-cio”: mentre la materia prima(coda di rospo e salmone)era stata lavorata perfetta-mente, questo carpaccio nonè stato al livello del cuocoFrancesco Milella. Il letto diinsalata troppo abbondanteha coperto il sapore del pe-sce, e nessun condimento èstato usato: più sashimi,quindi, che carpaccio. Il li-vello è stato ristabilito dal ri-sotto rosa, che per alcuni Ac-cademici, però, è risultatotroppo cotto. Con i secondi,è continuato il crescendo: lasalsa al Grand Marnier, per ilpesce, è riuscita a coniugareil gusto di arancia con il pic-cante, e, nella faraona,l’equilibrio dei sapori eraperfetto. Da notare lo sfor-matino di purea tricolore cheha accompagnato questipiatti. Il dolce è stato unasorpresa: il duetto è diventa-to un quintetto (cassata, can-nolo siciliano, tiramisù, pan-na cotta, gelato) e Massimo

lo ha accompagnato con ilvino dolce Vino e Visciole:appropriato come tutti gli al-tri abbinamenti. Il serviziopuntuale ha completatoun’altra cena di successo.

UTRECHT16 febbraio 2013

Ristorante “Porto Cervo” diFederico Mocci. �Grotemarkt3, Almere Centrum (Flevo-land); �0031 365300723,fax 0031 618885738; coperti120+72. �Parcheggio incu-stodito, sufficiente; prenota-zione consigliabile, anche senon necessaria; ferie mai;chiusura mai. �Valutazione8; prezzo € 65; tradizionale,famigliare, accogliente.

Le vivande servite: aperiti-vo con gambero in pasta fil-lo; biscotto salato alle nocicon burrida alla cagliaritana;gelato di cipolle rosse; bran-zino affumicato a freddo confinocchietto selvatico e bot-targa di muggine; risotto difregula con agnello, carciofie spuma al pecorino sardo;piccione cotto in due modicon riduzione al Carignano;seadas con miele di arancio.

I vini in tavola: ProseccoCuvée Extra dry (Borgo Mo-lino); Nuragus Ajó 2011(Cantina di Mogoro); Semi-dano di Mogoro Anastasía2011 (Cantina di Mogoro);Cannonau Nero Sardo 2010(Cantina di Mogoro); Cari-gnano del Sulcis Tupei 2009(Cantina Calasetta); Moscatodi Cagliari Amentos 2008(Sardus Pater).

Commenti: Seconda visita aquesto ristorante per il qualele aspettative erano alte dataanche l’importanza della ce-na dovuta alla presenza delnuovo Delegato Aris Spada.Il proprietario del ristorante,Federico Mocci, ha dato ilsuo meglio per mettere intavola un menu sardo dai vi-ni alle pietanze, eccezionfatta per il Prosecco d’aperi-tivo. La creatività della briga-ta di cucina, l’esperienza e ilsapiente uso di diverse tec-niche di preparazione hannocreato una perfetta armoniadi sapori. Eccezionale, sututti, il gustosissimo risotto

di fregola. Interessante an-che la parte culturale curatadai Simposiarchi MarjolijnVermande e Marnix Weustencon la presentazione e lastoria del vino Carignano.Degna di nota la preparatabrigata di servizio. Infine,dato il tema della serata,“San Valentino”, i commen-sali hanno ricevuto un pic-colo omaggio molto gradito.In conclusione, il ristorante“Porto Cervo” merita di esse-re rivisitato.

REGNO UNITO

LONDRA23 marzo 2013

Ristorante “Tinello” di GiorgioLocatelli, fondato nel 2010.�87 Pimlico Road, Londra;�0044 0277303663; coperti80. �Parcheggio incustodito,scomodo; prenotazione ne-cessaria; ferie mai; chiusuradomenica. �Valutazione7,75; prezzo € 60; elegante,famigliare, accogliente.

Le vivande servite: gnoccofritto al parmigiano; pro-sciutto di Parma, parmigianoreggiano, coppa di Parma,strolghino; tagliatelle al pro-sciutto di Parma e parmigia-no; anolini in brodo; rosa diParma, bieta e scalogno bra-sato; sbrisolona e zabaione.

I vini in tavola: ProseccoValdobbiadene Spago (ColVetoraz); Soave Classico Doc2011 (Cantina di Monteforte);Primitivo del Salento 2011(Tenute Rubino); Vin Santodel Chianti Classico Docg2008 (Lamole di Lamole).

Commenti: La Delegazioneha dedicato a Giuseppe Ver-di la riunione conviviale del-la cultura. Dopo l’introduzio-ne al tema del DelegatoMaurizio Fazzari e il suo cor-diale saluto alla dott.ssa Ca-terina Cardona, nuovo Diret-tore dell’Istituto Italiano diCultura di Londra, la Simpo-siarca Rosella Middleton haricordato il costante legamedel Maestro con la propriaterra, il suo gusto per la con-vivialità e la buona cucina, ilsuo impegno politico e so-ciale. L’Accademico onorarioAntonio Caprarica ha sottoli-

neato la profonda umanitàdi Verdi, chiaramente leggi-bile nell’opera così comenella vita, il suo essere gran-de uomo, oltre che grandeartista. Lo chef Federico Saliha onorato Verdi includendonel menu piatti e prodottiemiliani, tra cui lo strolghi-no, salame fresco predilettodal Maestro, e la rosa di Par-ma. Il servizio è stato abil-mente diretto da Massimilia-no Sali, titolare del ristoran-te. Molto apprezzati sia ipiatti che i vini, e l’atmosferadel locale, di familiare maelegante ospitalità.

REPUBBLICADI SAN MARINO

SAN MARINO12 marzo 2013

Ristorante “Agli Antichi Orti”di Terziano Andriani e Vitto-rio Cavezza, fondato nel2009. �Piazzale Giangi 6,San Marino; �0549 992134;coperti 75. �Parcheggio suf-ficiente; prenotazione nonnecessaria; ferie mai; chiu-sura martedì. �Valutazione8,5; prezzo € 35; raffinato eaccogliente.

Le vivande servite: tortinodi melanzane, ricotta e sal-siccia Valsugana; millefogliedi zucchine con prosciuttocotto e provola d’Agerola;purea di ceci; zuppe d’orzoe farro, fagioli e zucca; stroz-zapreti con pistacchi, ricottae scaglie di Orgosolo; coni-glio in pesto di radicchiocontornato da tagliata al saledi Cervia e rosmarino; deli-zie di tiramisù e panna cotta.

I vini in tavola: ValdragoneSuperiore Doc (Consorziodei Vini tipici della Repub-blica di San Marino).

Commenti: Presenti l’Am-basciatore d’Italia, l’Assesso-re alla Cultura del Comunedi San Leo - Montefeltro e ilMinistro della Cultura di SanMarino, la riunione convivia-le è stata introdotta da unabrillante dissertazione su “Lacucina del Montefeltro frastoria e cultura”, tenuta dalprofessor Angelo Turchinidell’Università di Bologna.Ai piaceri del palato, assicu-

rati dai piatti proposti dalcuoco Vittorio che, da buonnapoletano, ha saputo co-niugare, in un dialogo rispet-toso dei diversi sapori, la cu-cina del Sud con quella delCentro Nord, si è passati aipiaceri dello spirito grazie al-la maestria del professorTurchini, il quale ha saputotrasmettere, con dovizia diparticolari, il messaggio cheproviene da secoli dalla nu-merosa schiera di eruditi,viaggiatori e amanti dei pro-dotti del Montefeltro, di cuiSan Marino sovrasta le terre.L’alta qualità del messaggio,che ha coniugato cultura earte del desinare, è stata col-ta con interesse e compiaci-mento non solamente dagliAccademici, ma anche dagliospiti.

SVIZZERA

SVIZZERA ITALIANA12 marzo 2013

Ristorante “Grand Café alPorto” di Anton Froschauer.�Via Pessina 3, Lugano (Ti-cino); �041 0919105135,fax 041 0919105133; coperti80. �Parcheggio scomodo;prenotazione necessaria; fe-rie mai; chiusura domenicae sempre la sera, salvo pre-notazione. �Valutazione 8;prezzo € 100; raffinato, ele-gante, caratteristico.

Le vivande servite: Zibelloe dintorni con gnocchi fritti;mantecato di trota e melan-zane con asparagi e passatodi pomodori al balsamico; ri-sotto Giuseppe Verdi; aloyaude boeuf ringiovanito a carrédi vitello alla giardiniera; mil-le lire; cioccolatini e caffè.

I vini in tavola: Malvasiafrizzante Colli di Parma Doc2011; Sauvignon Colli di Par-ma Doc 2011; Vigna del Gia-sto Rosso Colli di ParmaDoc 2008; Vino del CampoPassito Rosso 2009 (tuttidell’Azienda Agricola Vitivi-nicola Lamoretti).

Commenti: Lo storico risto-rante di Lugano, diretto daAnton Froschauer, ha apertole sue splendide sale allaDelegazione. Particolarmen-te riuscito l’arrosto composto

OLANDA segue

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V I T A D E L L ’ A C C A D E M I A

da due grandi pièces dimanzo e vitello cotti allaperfezione e ben lontani daquegli arrosti secchi e stop-posi che capita di incontrare.Le due carni erano di unastraordinaria morbidezza,ben succose e accompagna-te da varie verdure, e abbi-nate ad un rosso Colli diParma Doc del 2008. In que-sto caffè, ristorante e pastic-ceria, la fanno da padrone ipasticcini, i cioccolati, lefriandises, e un dolce raffi-gurante le vecchie mille lire,con il ritratto di Verdi, cheha conquistato i numerosiconvitati.

UNGHERIA

BUDAPEST21 marzo 2013

Ristorante “Krizia” di Gra-ziano Cattaneo, fondato nel1997. �Mozsár u. 12, Buda-pest; �0361 3318711, [email protected]; co-perti 44. �Parcheggio scomo-do; prenotazione consiglia-bile; ferie 2 settimane a fineluglio; chiusura domenica.�Valutazione 8; prezzo €50; raffinato, accogliente.

Le vivande servite: stuzzi-chini di apertura; tortinocaldo alle cicorie su fondu-ta burrata; tortelloni di fega-to d’oca alla riduzione difunghi porcini; turbante di

rombo e capesante su pu-rea di topinambur all’essen-za di ibisco; sorbetto allampone; guancia di manzoal Barolo su specchio di ta-ragna e chips di prosciuttodella casa; marjolaine alSauternes.

I vini in tavola: SpumanteBrut Riserva del Nonno,Chardonnay Luigi Bosca, Ba-rolo Riserva 2006, MoscatoSpumante d’Asti (tutti Canti-ne Bosca).

Commenti: Il ristorante co-stituisce un punto di riferi-mento importante per chivuole mangiare autentica-mente italiano a Budapest.Per gli Accademici della De-legazione, oltre che di unarivisitazione, si è trattato an-che di celebrare i “primi” 35anni di appartenenza all’Ac-cademia di Luigiterzo Bosca.Per questa speciale occasio-ne, erano presenti S.E. l’Am-basciatore d’Italia, che gen-tilmente ha appuntato il di-stintivo dorato al festeggiato,e inoltre S.E. il Nunzio Apo-stolico, che ha benedetto icibi e formulato a tutti i nu-merosissimi convitati i mi-gliori auguri di Pasqua. Gra-ziano Cattaneo, chef fra i piùconosciuti in città, ha piena-mente soddisfatto le aspetta-tive in questa serata dovepietanze a base di pesce e dicarne si sono alternate in unperfetto equilibrio, accompa-

gnate dai vini delle CantineBosca, scelti e gentilmenteofferti dal festeggiato. Inun’atmosfera di autenticaconvivialità, si è quindi con-clusa la serata con un calo-roso plauso sia al festeggiatosia allo chef.

CILE

SANTIAGO DEL CILE30 marzo 2013

Trattoria “Capperi” di FrancoDe Berardinis, fondata nel2012. �Avenida Italia 1463,Santiago; �56 223419105;coperti 65. �Parcheggio in-sufficiente; prenotazioneconsigliabile; chiusura lune-dì e domenica sera. �Valuta-zione 7,5; prezzo € 40; ac-cogliente, luminoso, semplicee allegro.

Le vivande servite: sottilifette di tonno marinato al-l’olio d’oliva accompagnateda focaccina al rosmarino;gnocchi di patate piuttostograndi al pesto, con piccolipomodori cherry tagliati a

metà; lasagna vegetariana dimelanzane e zucchini, pepe-rone e olive nere con salsaal pomodoro; ravioli di gran-chio; pizze di patate, cipolla,verdure e le tradizionali na-poletana e margherita.

I vini in tavola: Merlot Re-serva Santa Ema.

Commenti: Serata convi-viale dedicata alla pizza,specialità preparata dal ge-store Franco, un ex ban-chiere italiano arrivato in Ci-le. Locale simpatico, nelquartiere “fashion-giovanile”di Santiago, con un’ottimapizza preparata con farinaitaliana. Un locale da segui-re nel tempo.

STATI UNITI

SACRAMENTO27 febbraio 2013

Trattoria “Vaiano”. �7160Douglas Blvd., Granite Bay;�916 7800888; coperti 48.�Parcheggio ampio, incusto-dito; prenotazione consiglia-bile; ferie principali festivitàamericane; chiusura sabatoe domenica a pranzo. �Va-lutazione 7,5; prezzo $ 30.

Le vivande servite: carpac-cio di salmone affumicatocon cipolle rosse e capperi;pappardelle al cinghiale;scaloppine di vitello confunghi e Marsala servite concontorno di verdure miste;panna cotta al limone.

I vini in tavola: Campo-grande 2009 (Antinori);D’Arcangelo 2009 (Palamà);Il Bruciato 2009 (Antinori);Moscato D’Asti 2011 (Pru-notto).

Commenti: La prima visitadella Delegazione ad unatrattoria si è rivelata l’occa-sione per introdurre gli Ac-cademici all’ambiente infor-male di questo tipo di risto-razione, grazie anche allaproprietaria Patrizia, di origi-ne toscana, che ha presenta-to un menu significativo.Ospite d’onore Elaine Corn,giornalista enogastronomicae autrice di numerosi libri disuccesso. La cena è iniziatacon un delizioso antipasto di

carpaccio di salmone affumi-cato magnificamente bagna-to con un vino perfetto. Lepappardelle al cinghiale so-no risultate un po’ blandecosì come le scaloppine divitello con funghi e Marsala,un po’ troppo dolciastre.Un’amabile panna cotta haconcluso una cena dal servi-zio cordiale e attento.

SILICON VALLEY19 febbraio 2013

Ristorante “Figo” di GianniChiloiro, fondato nel 2013.�326 University Ave., PaloAlto (California); �6503214075; coperti 60. �Par-cheggio incustodito, suffi-ciente; prenotazione consi-gliabile; ferie mai; chiusuramai. �Valutazione 8,10;prezzo $ 95; elegante, acco-gliente.

Le vivande servite: tris dipesce affumicato in casa; ca-lamaretti sulla piastra; flan dipatate e zucchine; flan digamberi e asparagi; burratapugliese e la sua bruschettaclassica; risottino al Merlotcon salsiccia e scaglie di sca-morza affumicata; gnocchettidi patate con asparagi, bran-zino e concassé di pomodo-rini; medaglioni di manzo alpepe verde con ratatouille diverdure e purè di patate allavaniglia; filetto di branzinoscottato alla piastra con salsaal prezzemolo e mandorletostate; torta di cioccolatodella casa con gelato alla va-niglia.

I vini in tavola: Prosecco diValdobbiadene; CoenobiumRusticum (Monastero delleSuore Cistercensi 2010);Aglianico Donnaluna 2010.

Commenti: Altro nuovo ri-storante nella centrale Uni-versity Avenue di Palo Alto(la “University” è quella diStanford). Ambiente moder-no e curato, così come tutti ipiatti presentati, con partico-lare merito al risottino alMerlot veramente ottimo. Al-tro particolare degno di no-ta: una proposta a prima vi-sta azzardata del purè di pa-tate alla vaniglia che si è ri-velato invece particolarmen-te piacevole.

NEL MONDO

LA VIGNA PIÙ ANTICA L’Impero Romano ruotava economicamente intorno al settore pri-mario, e l’importanza della vite era enorme, essendo il vino unodei prodotti più preziosi, destinato quasi unicamente ai patrizi. NelI secolo dopo Cristo, intorno alla ricca Pompei si distendevano aperdita d’occhio, ettari coltivati a vite e qui, vicino alla tomba delricco Trimalcione, è stato ritrovato quello che si può probabilmentedefinire come il vigneto meglio conservato dell’età romana. A por-tarlo alla luce una campagna di scavo condotta dall’Istituto ar-cheologico di Berlino, e finanziata dal “Deutsche Forschungsge-meinschaft” (il Cnr tedesco), su un terreno demaniale che si trovaa soli 350 metri dalla villa romana di Numerius Popidius NarcissusMaior e a 50 metri dalla cosiddetta villa della “cartucciera”: tuttolascerebbe pensare che quel terreno coltivato a vite appartenesse auna di queste due “fattorie” dell’antichità, offrendo ancora la sug-gestione dei solchi prodotti dalla zappa di chissà quale schiavo e ifori in cui erano piantati i pali.

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NUOVI ACCADEMICI

VALLE D’AOSTA

AostaLuigi D’Aquino

PIEMONTE

AlessandriaNatale Spineto

Cuneo - SaluzzoFranco Bottero Valerio Ghibaudo Mario Rosso

LIGURIA

Albenga e del Ponente LigureFrancesca AscheroCarlomaria Balzola Emanuele GarozzoAlessandro Geddo Leila Mawjee Marco Servetto

LOMBARDIA

LeccoRoberto Bonati Cesare Colnaghi Mario Invernizzi

Milano BreraSimonetta Betti Erica Susanna Consonni

Vigevano e della LomellinaGiuseppe Di Caro Elena Martelli

FRIULI-VENEZIA GIULIA

UdinePietro Cosatti

VENETO

Treviso-Alta Marca Giovanni Carmignola

EMILIA ROMAGNA

BolognaFrancesco Bragagni Filippo Giorgini

Bologna dei BentivoglioMaria Cristina Bertondini Gian Paolo Grandi

ImolaGianluca Lelli

RavennaFedora Savini

TOSCANA

ChiancianoLaura Trezza Montana

ElbaBarbara Aquaro Paola De Muro Gentini

LuccaFrancesco Maria Bovenzi Francesca Fazzi Giancarlo Nolledi

PratoClaudio Denio Gori

Valdelsa Fiorentina Roberto Verdiani

Viareggio Versilia Carlo Passaglia

UMBRIA

GubbioIsabella Mattia

MARCHE

Ancona Aurelio Giacomelli

LAZIO

LatinaRomilda Giacoia Gaetano Muzio

Roma Eur Maria Gaetana de Vecchi Braico

Roma Valle del Tevere - FlaminiaSandra DragonettiTiziana Nocco

CAMPANIA

Napoli-CapriBianca D’Antonio

Penisola SorrentinaLiberato D’Esposito

PUGLIA

FoggiaMaria Teresa D’Orsi

CALABRIA

Reggio CalabriaEzio Pizzi

SARDEGNA

OristanoRosella BisontiRiccardo Fantacci

SICILIA

EnnaPaolo Savoca

MarsalaGiuseppe GalfanoVincenza Pipitone

C A R N E T D E G L I A C C A D E M I C I

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SiracusaFabio Barucco

AUSTRALIA

SydneyGiancarla Guareschi Montagna

BRASILE

San PaoloGian Paolo Aslan

CINA

ShanghaiMarilina CastiglioniKyoko Morishita

GIAPPONE

TokyoDomenico Giorgi (Accademico Onorario)

ROMANIA

BucarestDiego Brasioli (Accademico Onorario)

STATI UNITI

Houston-TexasAnna Grassini

New JerseyEdward S. Johnson

SVIZZERA

Svizzera ItalianaPier Franco Gaggini

TRASFERIMENTI

EMILIA ROMAGNA

Imola Elio Naldi (da Cervia-Milano Marittima)

AUSTRALIA

SydneyAntonietta Muscillo (da Brisbane)

STATI UNITI

Houston-TexasGiulio Pappalardo (da Los Angeles)

VARIAZIONE INCARICHI

STATI UNITI

Houston-TexasVice DelegatoJohn CasbarianConsultore-SegretarioAnna GrassiniConsultore-TesoriereRobert Swanson

New York ConsultorePeter Anthony Lombardi

SacramentoConsultore- SegretariaTania FawlerConsultore- TesorieraJudith Polakoff

NON SONO PIÙ TRA NOI

TOSCANA

FirenzeVittorio Uzzani

Lunigiana Gianfranco Mazzini

PratoPietro Vestri

LAZIO

RomaAnnunziatina Messina

CAMPANIA

AvellinoDisia Sarno

Errata corrigeNel numero di marzo è stata erroneamenteattribuita la variazione degli incarichi, se-gnalata per il Veneto, alla Delegazione diTreviso anziché a quella di Treviso AltaMarca. Ci scusiamo con gli interessati peril disguido.

Aggiornamenti a cura diCarmen Soga

Ilenia CallegaroMarina Palena

C A R N E T D E G L I A C C A D E M I C I

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D A L L E D E L E G A Z I O N I

LIGURIA

ALBENGA E DEL PONENTE LIGURE, SAVONA

AL PORTO DI SAVONA

Il “Porto di Savona” è il nomedi un antico e famoso risto-rante di Torino in piazza Vit-torio, già caro a Mario Soldati.In questo caso, invece, ci si ri-ferisce al porto della città diSavona. Un luogo che, dopoanni di trascuratezza, è torna-to a splendere e ad accoglieretutti coloro che amano guar-dare il mare, sentirne il profu-mo, e fantasticare di viaggi,semplicemente mangiandodel buon pesce appena pe-scato in uno dei locali che sitrovano sulle banchine. Pro-prio in uno di questi, il risto-rante “da Giorgio”, si sono ri-trovate le due Delegazioni diAlbenga e del Ponente Ligure,e di Savona, guidate dai Dele-gati Roberto Pirino e SalvatorePiacenza, per celebrare inamicizia le tradizioni della cu-cina marinara di Ponente. I pesci di passo, le prepara-zioni semplici, le verdure distagione, il vino sardo, sonostati molto apprezzati da tutti icommensali e hanno creatoun’atmosfera che sarebbe pia-ciuta allo storico DelegatoGiuseppe Robatto, recente-mente scomparso, ricordatocon affetto da tutti i parteci-panti. Roberto Pirino, nel suocommento sulla serata, ha ci-tato Giuseppe Cava, scrittoresavonese, che aveva scritto unlibro “Macchiette e osterie del-la vecchia Savona”. Cava nac-que nel 1870 a pochi metri

dal porto, vicino all’anticaTorre del Brandale. Di quelleosterie rimangono i ricordi, ri-cordi che rinnoviamo oggi,con la passione dell’Accade-mia, che protegge e diffondela nostra storia e la nostra cu-cina. (R.P.)

ALBENGA E DEL PONENTELIGURE

RICORDI GASTRONOMICIDELLA FAMIGLIADI UN MAGISTRATO

Ricordi vari di momenti felicie della cucina di casa, tipica-mente sarda, nella conversa-zione che il violinista MassimoCoco, figlio del magistratoFrancesco Coco, vittima delleBrigate Rosse, ha tenuto inoccasione di una riunioneconviviale della Delegazione.Ricordi che nascono in Sarde-gna, terra d’origine della fami-glia, poi si sviluppano in varieprocure d’Italia, con la cono-scenza progressiva delle realtàgastronomiche delle varie re-gioni visitate, attraverso le ce-rimonie pubbliche e le ricor-renze con i relativi ricevimen-ti. Cucina tradizionale, con in-troduzione di ingredienti loca-li, e sviluppo di un rinnova-mento oggi via via più visibilein ogni famiglia. Molto interessati gli Accade-mici, sia dal punto di vista ga-stronomico, sia dal punto divista storico, come ha benevidenziato Pier Franco Qua-glieni, Accademico onorariodella Delegazione, il quale haricordato anche i periodi buidegli anni di piombo dellanostra storia, che speriamosiano di monito alle giovanigenerazioni affinché non si ri-petano più. La cena al risto-rante “Conte Rosso” è statamolto gradita, ha rispettato letradizioni invernali e, in unambiente caldo e accogliente,la conversazione si è svolta inamicizia e cordialità. (RobertoPirino)

LOMBARDIA

CREMONA

IN ONOREDI GIUSEPPE VERDI

La riunione conviviale dellacultura si è tenuta all’agrituri-smo “Cascina nuova del Bo-schetto” (Cremona), dove si ècelebrato in modo originale ilbicentenario della nascita diGiuseppe Verdi. Roberto Co-dazzi, critico musicale delgiornale “La Provincia”, haraccontato episodi curiosi le-gati al rapporto tra il grandeMaestro e la buona tavola,parlando delle sue preferenzeenogastronomiche, delle suericette preferite e di quelle cheegli stesso creava. La vita diGiuseppe Verdi è stata sempreimprontata alla massima sem-plicità, ma, quando si trattavadi buona cucina, aveva gustiraffinati, sintetizzando i saporidella campagna padana con leprelibatezze conosciute a Pari-gi. Gli studenti della IV classedella Scuola alberghiera “LuigiEinaudi” di Cremona, guidatidai loro insegnanti, hanno rea-lizzato un menu adatto al-l’evento, dopo aver fatto ricer-che su vari testi e incontri conristoratori delle zone in cuivisse il grande Maestro. Dopoun aperitivo a buffet con tortafritta con salumi tipici, crosto-ne di pane casereccio con uo-va di quaglia e tartufo, frittati-ne rustiche, polentine con lar-do e piccole delizie dell’orto epolpettine miste, sono statiserviti: risotto alla GiuseppeVerdi; arista di maialino da lat-te alla moda delle terre verdia-ne; dariole di spinaci; pere alLambrusco; parfait allo zabaio-ne; spongata di Busseto. I viniscelti: Brut Franciacorta (canti-na Faccoli); Dolcetto d’Alba(cantina Ada Naga); Moscatod’Alba (cantina Pino Gatti). IlDelegato e i numerosi Accade-mici hanno espresso vivo ap-prezzamento al relatore, han-no riconosciuto la qualità dei

cibi (unico neo la cottura delrisotto), l’eleganza delle prepa-razioni, la scelta delle propo-ste del menu e hanno applau-dito i ragazzi, i loro insegnantie il Preside della scuola.

VARESE

VISITA AL BIRRIFICIO

Riunione conviviale insolita,organizzata, a Induno Olona,all’interno dello stabilimentoPoretti, uno tra i più antichiproduttori italiani di birra. Ol-tre a visitare reparti di imbotti-gliatura, caldaie di cottura, lie-vitazione, organizzazione logi-stica, gli Accademici hannodegustato la birra provenientedal nuovo sistema di spillatu-ra, unico al mondo che nonutilizza l’anidride carbonica.Al termine della visita, la De-legazione è stata accolta all’in-terno della Villa Magnani perun assaggio delle storiche bir-re Poretti 4, 5, 6 e 7, in abbi-namento ad alcune portateproposte dalla società di cate-ring cui si appoggia il birrifi-cio. Purtroppo, il dilungarsidelle presentazioni ha reso unpo’ secchi i salumi pronti al-l’assaggio molto tempo prima.Da sottolineare l’impegno delresponsabile della qualità, Fla-vio Boero, che ha accompa-gnato gli Accademici all’inter-no dello stabilimento e hatentato di dare alcune indica-zioni per assaggiare le birre inaccompagnamento al cibo:ahimè, la poca attenzione de-gli intervenuti e l’angusta salanon hanno favorito l’operazio-ne. (Claudio Borroni)

VOGHERA-OLTREPÒ PAVESE

LA BAGNA CAODAIN CANTINA

Gli Accademici si sono riunitinella bellissima cantina Monte-lio di Codevilla, un’affascinan-te struttura antica dove le pro-

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CIV ILTÀ DELLA TAVOLA 2013 • N. 249 • PAGINA 71

D A L L E D E L E G A Z I O N I

prietarie Caterina e GiovannaBrazzola, con estrema cortesia,hanno messo a disposizionel’accogliente sala di degustazio-ne e la bella cucina antica perdare la possibilità, oltre che didegustare i vini di loro produ-zione, di preparare una fanta-stica “bagna caoda”. Infatti, lasignora Celestina, moglie del-l’Accademico Giorgio Fois, haacconsentito ad approntarequesto piatto per tutta la Dele-gazione, avvalendosi ovvia-mente dell’aiuto di alcuni Acca-demici volenterosi. La signoraCelestina, di origine astigiana,ha seguito scrupolosamente laricetta depositata dalla Delega-zione di Asti con atto notarilenel 2005, ottenendo un succes-so strepitoso. Bisogna dire cheanche tutta la parte precedente,dall’acquisto dei prodotti allasbucciatura dell’aglio (tanto!Più di quaranta teste!), dal la-vaggio delle verdure alla siste-mazione delle stesse nei piattidi portata (bellissimi, da fareinvidia ad Arcimboldo), è stataalquanto divertente e... profu-mata. Anche la signora Alma,moglie dell’Accademico MarioZucchi, ha dato il suo contribu-to preparando il dessert: unafantastica torta alla panna dicirca un metro quadrato, unadeliziosa torta di mele, dolcettivari, scorze d’arancia candite.Un vero trionfo!

VENETO

TREVISO

LA STORIA CONTINUA

Lo scorso anno è iniziato ilpercorso della Delegazione al-la scoperta delle radici romanedel suo territorio, con la visitaagli scavi di Altino e al suomuseo. Quest’anno si è pensa-to di continuare tale percorso,esplorando un’altra significati-va testimonianza romana dellaprovincia di Treviso: Oderzo.Qui gli scavi sono molto este-si: i resti dell’insediamento ro-

mano furono rinvenuti in pie-no centro e, per poter erigereun’importante struttura com-mercial-residenziale, il “priva-to” concorse al recupero deireperti, consentendo di ripor-tare alla luce buona partedell’impianto urbanistico diquello che si è rivelato, forse,il più importante centro abita-to dell’epoca romana nellaprovincia. Una guida d’ecce-zione, l’architetto PierantonioApolloni, ha illustrato i reperticon dovizia di particolari. Cosìil “decumano maggiore” nonrimaneva solo una strada in-tersecata dal “cardo massimo”,ma diventavano, entrambi,luoghi frequentati dai clientidelle botteghe artigiane ecommerciali che si affacciava-no sulla strada; il “triclinium”non era solamente la stanzadella “domus” dove si ban-chettava, ma era animatodell’evocazione degli adiacentilocali dove i servi confeziona-vano vivande e bevande; il“calidarium” prendeva vita im-maginando il forno in funzio-ne (cosa facile dati i resti si-gnificativi). Altrettanto sugge-stivi e importanti i resti del Fo-ro (la grande piazza lastricata)e delle costruzioni collegate,come il “capitolium” (il tempiocittadino) e la “basilica” (co-struzione civile), che hanno la-sciato immaginare una vitadell’epoca non molto dissimileda quella attuale. Si è pensato,poi, prima di sedersi a tavola,di concludere la parte “dotta”della giornata della cultura vi-sitando, presso il “Museo Fo-scolo”, la sezione dedicata adAlberto Martini, importanterappresentante delle avanguar-die dei primi del Novecento.La scelta si è dimostrata unaconclusione ideale: un mo-mento magico, per conoscerela figura di un pittore (e fineincisore) per molti versi in-quietante, qui rappresentataampiamente e illustrata, conpersonale e femminile passio-ne, dal Conservatore del Mu-seo stesso, la dott.ssa Paola

Bonifacio. All’altezza di tutto ilresto, la conclusione gastrono-mica in una trattoria di grandetradizione, dove si è riflettutosui valori gastronomici che ènostro compito riscoprire e ri-proporre, per quanto possibile,per consolidare le nostre radi-ci, guardando, però, ancheavanti. (Teresa PerissinottoVendramel e Roberto Robazza)

VENEZIA

RIUNIONE CONVIVIALEDI PASQUA

La Delegazione si è riunita inun intimo e caldo locale vicinoall’Arsenale, “Al covo”, dove ilpatron Cesare Benelli con lamoglie Diana, cui si deve laparte “dolce”, hanno allestito,in una elegante saletta esclusi-vamente dedicata agli Accade-mici, una splendida cena. L’in-tero menu è stato costruito peressere insieme un tributo al te-ma dell’anno, il quinto quarto,e un’anticipazione della vicinaPasqua. Si è voluto iniziarel’incontro con l’augurio agliAccademici di nome Giuseppe(era il 19 marzo), ricordando ilsignificato della figura del San-to come patrono della fami-glia. Ha aperto la cena la squi-sita “moriola con gialletti dellaVal Belluna” e “rosa di Gorizia”che ha suscitato un grato ap-plauso al festeggiato quarto,che nobilitava un piatto tipicoveneziano, costituito da erbedi campo, fagioli e lardo. A se-guire, un piatto tipico della Pa-squa dogale: “risi e bisi” di untenero verde e di una sapienteconsistenza fra l’onda e il “bro-doso” (né risotto né minestra),proprio come deve essere unriso di verdura nell’antica tradi-zione della Serenissima, cosìbuono e dolce che qualcheAccademico ha chiesto il bis.L’“agnello sambucano”, che se-guiva, non è stato da meno,dove il sapore amarognolo deicarciofi di contorno stempera-va il gusto pieno e ricco del-

l’agnello. Ancora un omaggioal tema dell’anno con la “trip-pa di bianca piemontese”, nel-la squisita combinazione deitre tagli, accostata a delle pro-fumate losanghe di polentabianca abbrustolita. Finiva de-gnamente un “sorbetto di melaverde al Calvados”, fatto in ca-sa, anch’esso perfetto nell’esse-re non troppo dolce e galva-nizzato dal liquore. Un Valpoli-cella Cà La Bionada (2011) haaccompagnato il tutto, unen-dosi armoniosamente alle varieportate senza sovrastarle. Ungrazie va alla Simposiarca Te-resa Croze. (Lelia Passi)

VENEZIA MESTRE

SERATA DEDICATAALLA CACCIA

È straordinario che in un pic-colo borgo di un comune del-la terraferma, ai margini dellalaguna veneziana, in località“Lughetto” di Campagna Lu-pia, si possano incontrare, apochi metri di distanza unodall’altro, due locali preziosiper la cultura della civiltà del-la tavola. Si tratta dell’“AnticaOsteria da Cera”, locale stella-to Michelin che rappresentaun unicum nell’universo dellaristorazione a base di pesce, edella “Locanda da Vito”, con-sueto “buen retiro” della Dele-gazione per la riunione convi-viale della caccia, tradizioneconfermata anche quest’anno.Il Delegato ha parlato dell’atti-vità del 2012 e presentato ilprogramma 2013; ha dato poiil benvenuto a tre nuovi soci:Roberto Stevanato, ClaudiaMocellin e Alberto Donadel.Proprio a Roberto Stevanato,professore ordinario presso ilDipartimento di Scienze mole-colari e nanosistemi e respon-sabile del master in Scienzedell’alimentazione all’universi-tà Cà Foscari di Venezia, nellagiornata accademica della cul-tura, è stato affidato il compi-to di tenere una lezione acca-

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demica sul tema: “Gli antiossi-danti contro l’invecchiamen-to”. Dopo l’applaudita lezioneaccademica, trasferimento nel-la sala da pranzo della locan-da. Quest’anno, come già inaltre occasioni, i prodotti dellacaccia serviti sono stati offertidall’Accademico Ugo Ticozzi,essendo gli stessi il risultatodelle sue battute di caccia. Si-niscalco, come da tradizione,il consultore Carmine Guada-gno, che ha concordato conVito un menu di successo:crostoni e polpettine di sel-vaggina; salame con aceto epolenta; risotto di folaga. Sitratta di un’autentica difficilis-sima ricetta che Vito ha eredi-tato dalla sua mamma, giàcuoca regina dell’antica locan-da. A seguire: alzavole e allo-dole con ripieno, tagliere dimarzaiole e fagiano, accompa-gnati da un contorno di deli-ziose “verze sofegà” e biete.Per concludere, sorbetto allaliquirizia, semifreddo concioccolato caldo e biscottinicon Vin Santo. In abbinamen-to, i vini dell’azienda Farina diPedemonte (Verona): Bardoli-no Doc e Valpolicella Ripasso.Una riunione conviviale eccel-lente, vissuta in una calda at-mosfera di amicizia.

FRIULI-VENEZIA GIULIA

PORDENONE

I CIBI DELLA QUARESIMA

All’esterno delle antiche muradi S. Vito al Tagliamento, il ri-storante “Al Colombo”, picco-lo e accogliente ritrovo perbuongustai, dall’atmosferasemplice delle trattorie di unavolta, ha rinnovato, per la De-legazione pordenonese, le tra-dizioni di quella cucina quare-simale che, nei secoli, ha sa-puto trasformare la povertàdei cibi prescritti in prelibateofferte culinarie, secondoquanto il territorio sapeva of-frire. La serata, organizzata dal

Consultore Alfredo Taiariol edal Simposiarca Arnaldo Gran-di, è iniziata con una breveconferenza tenuta dallo stessoSimposiarca, che ha trattato iltema del significato della Qua-resima e della tipologia dei ci-bi della tradizione quaresima-le. Ha accompagnato l’analisistorica con commenti sulla ca-pacità intuitiva e innovativa diquanti hanno saputo creare unpercorso culinario di elevatopregio, partendo dalle esigen-ze di una cucina così detta“povera”. Grandi ha rilevatoche il “mangiar di magro”, es-sendo ritenuto cibo sostitutivo,è sempre stato accompagnatoda una certa insofferenza, pro-prio per il suo carattere costrit-tivo, eppure, con la sua osser-vanza, si è aperta la strada adimpegni gastronomici di gran-de rilievo e il mangiar di ma-gro si è rivelato come un’in-credibile proposta in riferi-mento alla cultura culinaria.Nella necessità di impegnarsiper dar sapore ai cibi, si è svi-luppata quella fantasia, soprat-tutto italica, che, a secondadei prodotti a disposizione, hacreato favolosi piatti della cu-cina tradizionale. A chiusura,un riferimento letterario di Bri-get Ann Henisch, che in un“calendario medievale”, di-chiara: “Fa parte della naturaumana costruire le più compli-cate gabbie di regole e regola-menti, in cui rinchiudere sestessa e poi, con la stessa in-genuità e gusto, spremersi ilcervello su come riuscire asfuggirne di nuovo. Il digiunodiventa una sfida, il gioco

consiste nel trovare le scappa-toie”. La serata è proseguita inun’atmosfera cordiale, che bensi sposava con l’ambiente incui il proprietario si prodigavaper un servizio efficiente e,nel contempo, amabile, secon-do vecchie tradizioni di acco-glienza. I cibi, rigorosamenterispettosi della tradizione qua-resimale, si sono succeduti of-frendo pesce e verdure, amal-gamati con vini in grado di es-sere validi supporti alla qualitàdel cibo. Un semifreddo almandarinetto con insalata difrutta, degustato con un Mo-scato d’Asti, ha concluso la se-rata. (Arnaldo Grandi)

EMILIA ROMAGNA

CERVIA-MILANOMARITTIMA

L’ORTO A SCUOLA

L’Istituto Alberghiero (Ips-Eoa)di Cervia è stato il punto d’in-contro della riunione dellaConsulta della Delegazione.Nell’occasione, la scuola haorganizzato degli eventi for-mativi per gli allievi delle clas-si IV dove, su tematiche diver-se e con la presenza di unochef esterno dal contestoscuola, è stato proposto unmenu dedicato ai prodottidell’orto. A questa serata han-no collaborato gli allievi delleclassi IV A, IV D e IV E, ac-compagnati dallo chef Vincen-zo Cammerucci (del ristoranteagriturismo “CaMì”), il prof.Magnifico e altri docenti del-

l’Istituto. Dopo un aperitivocon coniglio sott’olio, insalatadi cavolo cappuccio rosso,schiacciata di patate con cipol-la rossa, porri e scalogno diRomagna, sono stati serviti: la-sagnette di farro con verdure ecrema al parmigiano; stracottodi manzo al Sangiovese conpurea di sedano e rapa; bi-scotto con cioccolato e spezie,gelato allo zenzero. Alle pie-tanze proposte, sono stati benabbinati vini diversi. Ottimainiziativa e un plauso a tutti gliallievi dell’Istituto.

PARMA-BASSA PARMENSE

CULTURA E GASTRONOMIA DEL TERRITORIO

Serata dedicata alla cultura,per la quale la Delegazione èandata in trasferta nelle zonelimitrofe, al confine tra la Bas-sa e la Pedemontana. La cena,presso il ristorante “Romanini”di Parola di Noceto, è statapreceduta da un elevato mo-mento culturale: la presenta-zione agli Accademici dellacollana “Cucine del territorio”dell’editore Orme/Tarka. Que-sta collana, giunta oggi a 16titoli, ma che proseguirà finoa oltre 40, tocca territori ditutta Italia, con notizie stori-che, ricette, citazioni, che fan-no di questi libri la fotografiadella complessità della nostragastronomia. Sfogliando i titolisi possono vedere le firme dimolti Accademici come Cap-nist, Maffioli, Bellei, Truini Pa-lomba. Il Delegato MassimoGelati ha introdotto gli ospitidella serata: il Presidente Gio-vanni Ballarini, Franco Muz-zio, direttore della collana, Al-fredo Pelle, membro del Cen-tro Studi “Franco Marenghi”, eMarino Marini (autore de “Lecucine di Parma” e “La cucinabresciana”), in rappresentanzadegli autori. Il menu della riu-nione conviviale, organizzatadal Simposiarca Roberto Sira-

DA FERRARA A PARIGIÈ stata felicemente varata l’iniziativa congiunta tra le dueDelegazioni di Parigi e Ferrara, che prevedeva uno stagein Francia per un allievo meritevole dell’Ipssar “OrioVergani” di Ferrara. E così il giovane Federico Guriolieffettuerà il suo stage presso il ristorante “DivinamenteItaliano”, nella capitale francese. (Luisa Polto)

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gusa, ha riscosso apprezza-menti ma anche critiche: buo-ni i salumi, ottime le lasagneverdi, anonimi invece gli ano-lini e anche i dolci. Interessan-ti i vini della cantina MasoneMannu. La serata si è conclusacon il brindisi del PresidenteBallarini, dedicato alla cultura,all’Accademia, all’Italia.

PARMA TERRE ALTE

CUCINA PARMIGIANA

Cena di gala presso l’osteriatrattoria “Masticabrodo” di Pi-lastro di Langhirano. Ospitid’eccezione il Presidente Gio-vanni Ballarini, il Coordinato-re Territoriale Vittorio Brando-nisio, i Delegati delle altrequattro Delegazioni della pro-vincia, Giovanni Spartà, Ro-berto Tanzi, Gioacchino G. Ia-pichino e Massimo Gelati, eGiorgio Orlandini membro delCST. In apertura di serata, ilDelegato Luigi Prati ha trac-ciato un bilancio dell’attivitàdella Delegazione, mettendoin risalto come, in questi anni,il gruppo degli Accademiciaderenti si sia rinnovato e am-pliato e come la Delegazione,nella sua attività di monitorag-gio della ristorazione del terri-torio, abbia cercato di valoriz-zare anche le realtà più peri-feriche, e in particolare quelledella montagna, con le suespecificità. Al termine, haquindi annunciato ufficial-mente la sua intenzione, dopo10 anni, di rinunciare all’inca-rico e chiedere l’avvicenda-mento. Il Coordinatore Terri-toriale Brandonisio ha rivolto,quindi, a Luigi Prati un ringra-ziamento sentito da parte ditutta l’Associazione per l’in-tensa attività profusa, facendo-gli omaggio di un piatto ricor-do autografato anche da tutti iresponsabili delle altre Dele-gazioni. La parola è quindipassata al Presidente Ballarini,il quale ha intrattenuto gli Ac-cademici e i loro ospiti con

una dotta e approfondita rela-zione sul tema “La cucina par-migiana vista dall’estero”. Gio-vanni Ballarini ha fatto un am-pio excursus storico circal’evoluzione della gastronomiae dell’enologia parmigiana,non senza metterne in risaltole criticità, evidenziando comeall’eccellenza dei prodotti delterritorio non sia corrispostauna crescita parallela dellaqualità complessiva della risto-razione, per quanto sia fonda-to luogo comune l’idea che, aParma, si mangi comunquebene: “Il territorio non ha maisaputo esprimere alcun gran-de chef di fama internaziona-le”. Forse, proprio perché lacucina tradizionale parmigianaè, ancora oggi, saldamentenelle mani delle rezdore dellefamiglie. Illustrato dal Simpo-siarca, il Vice Delegato Gior-gio Oppici, il menu della sera-ta, improntato alla più sanatradizione. Al termine, il Presi-dente Ballarini, dopo aver ri-volto, con il Delegato Prati, icomplimenti allo chef Bigliardiper la gradevole cena, ha invi-tato tutti i partecipanti ad unbrindisi augurale all’Accade-mia. (Luigi Delendati)

RICCIONE E CATTOLICA

SERATA BIO

Alla presenza dell’AccademicoConsultore Floro Bisello dellaDelegazione di Pesaro-Urbinoe dei graditi ospiti, la Delega-zione ha organizzato una riu-nione conviviale presso il risto-rante “Urbino dei laghi e natu-ralmente pizza”, che si trovaall’interno della vasta TenutaSanti Giacomo e Filippo, nellaquale vengono prodotte, consistemi biologici, numerosematerie prime, utilizzate nel ri-storante. La serata si è svoltacon generale soddisfazione, fa-vorita dall’ambiente ampio eaccogliente e dalla gradevolez-za dei piatti proposti: baccalà,patate e capperi; carciofo, uo-

vo colante, crema di piselli emaggiorana; cannelloni ripienidi squacquerone biologico erosole con strigoli croccanti;agnello, limone candito, erbet-te e patate; sfoglia croccante,chantilly allo squacquerone efragole al balsamico tradiziona-le. I piatti erano abbinati a trevini ottenuti da uve prodottebiologicamente dall’Aziendaagricola Marianna Bruscoli al-l’interno della Tenuta. Ogniportata si è rivelata originale egustosa e ha fatto emergerel’estro di Stefano Ciotti (cheera tra i relatori del convegno“Educazione al gusto e cono-scenza degli alimenti” tenutosia Riccione lo scorso anno), lasua raffinata tecnica di cottura,la fragranza e l’alto livello dellematerie prime utilizzate. Dettodel servizio al tavolo, attento ediscreto, è doveroso ricordarela nutrita brigata di cucinacomposta da: Tomas Morazzi-ni, pasticciere e panificatore,Antonio Laudati, maestro piz-zaiolo, Luca ed Edoardo, stretticollaboratori dello chef, non-ché gli stagisti dell’ALMA diColorno. Ha concluso la riu-nione conviviale il caffè conpiccola pasticcerie gustati in-sieme allo chef Stefano Ciottiche ha illustrato, con doviziadi particolari, le sue ottimepreparazioni. Piacevolissimaserata. (Massimo Mancini)

TOSCANA

AREZZO

PROFUMO DI PANE

Una serata veramente inusua-le, che ha entusiasmato tutti,quella dedicata alla cultura,che si è svolta a Cesa, un pic-colo paese vicino ad Arezzo,al “Forno Menchetti”. Si trattadi un famoso panificio chevede le sue origini nel 1948 eche dal 1990 produce anchepasticceria da forno ed è ge-stito da Santino e SantinaMenchetti e dai figli Marco e

Corrado. Protagonista dellariunione conviviale “il granoVerna”: l’intera filiera è curatadalla famiglia Menchetti cheda sette anni si occupa del re-cupero di grani antichi. Rela-tore della serata Roberto Neri,responsabile dei servizi ali-mentari al consorzio agrariodi Siena ed esperto di graniantichi, che ha parlato dellastoria e dei pregi del granoVerna. La cucina era stata affi-data alla signora Laura, sorelladi Santina Menchetti. Il menu,rigorosamente legato al granoVerna come tutte le farine, ilpane a lievitazione naturale euna birra prodotta con lo stes-so grano. Si sono gustate bru-schette di pane con olio, po-modoro, sugo di fegatini; pap-pa al pomodoro; una minestradi pane (che parlava!); taglia-telle fatte a mano olio e par-migiano (indimenticabili). Su-perba la costata al forno conpatate e cipolle; e che dire didolci e dolcetti? Una vera fe-sta! Piatti di grande semplicitàma stupendi; una cena da ot-to. È stato bellissimo il caloredella serata, con un costante,sottile profumo di pane appe-na sfornato. Sembrava di esse-re a casa e di vivere la convi-vialità di una famiglia piena diamore per una cucina ricca ditradizioni. La serata si è con-clusa con un’affascinante visi-ta ai forni, dove gli Accademi-ci hanno potuto assistere aivari passaggi della panifica-zione, e quando, intorno amezzanotte, è arrivato il mo-mento del congedo, il panifi-cio cominciava ad animarsisempre di più: si lavorava peril pane e per i dolci del gior-no dopo! (Giovanna Moretti)

VALDARNO FIORENTINO

SPORT E ALIMENTAZIONE A VILLA PITIANA

La Toscana è ricca di tantebellezze artistiche e naturali esulle colline, attraverso i seco-

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li, sono sorte costruzioni divario tipo e di diverso utiliz-zo. Tra questi edifici si trovala bellissima Villa Pitiana chesorge maestosa, nella Frazio-ne Donnini del Comune diReggello. Qui si è svolta lariunione conviviale dedicataalla cultura, e in particolare altema “Sport e Alimentazione”.La struttura è stata aperta ap-positamente per l’occasione eper la Delegazione (non è an-cora iniziata la stagione), gra-zie all’intervento del gentilissi-mo Direttore Alessandro Mi-nuzzo. Ospiti principali dellariunione conviviale sono statiil dott. Luca Gatteschi e Clau-dio Silvestri, rispettivamentemedico e chef della Nazionaleitaliana di calcio. Per la cenasono stati messi a confrontodue tipi di menu (uno sporti-vo, l’altro accademico) realiz-zati dallo chef executive diVilla Pitiana Mario Perone, chevanta una lunga esperienzanella ristorazione in Italia eall’estero. La brigata di sala èstata diretta con molta profes-sionalità dal restaurant mana-ger Biagio Iorio. Prima, duran-te e alla fine del servizio, sisono svolti gli interventi deirelatori. Ha introdotto e chiusola serata il Delegato RuggeroLarco; molto ampio, specificoe dettagliato l’intervento deldott. Luca Gatteschi, supporta-to da simpatici inserimenti del-lo chef Claudio Silvestri. Ilpubblico, molto interessato,ha rivolto ai due ospiti anchemolte domande. Altri interven-ti sono stati effettuati dal prof.Marcello Marchioni, dall’avv.Cristiano Calussi, e dal ViceDelegato Giovanni Gerini.

UMBRIA

FOLIGNO

MENU PASQUALE NELLA FATTORIA

Nelle splendide colline delFolignate e precisamente ad

Aghi, in località Pontecentesi-mo (centesimo ponte da Ro-ma), si è riunita la Delegazio-ne per il tradizionale scambiodegli auguri pasquali. In unabucolica cornice, l’Accademi-co Walter Crucianelli e suamoglie Angela hanno ospitatogli Accademici nella loro fat-toria “Michi”, vera “arca diNoè”, dove razzolano felici glianimali dell’aia, mentre nellaghetto, sorto da una dellesorgenti più ricche di Aghi(anticamente denominata “Ac-qui”), trovano il loro habitatnaturale trote e gamberi. Wal-ter e Angela hanno curatopersonalmente il menu di Pa-squa, coinvolgendo in cucinagli Accademici più volentero-si. Nella terrazza, dove si puògodere di una vista mozzafia-to, è stato servito l’antipastopreparato rispolverando anti-che ricette, tradizionali tortepasquali al formaggio e roc-ciate di verdura, bruschettetartufate con uova di quagliae prosciutto di spalla di cintasenese. Da notare che il tartu-fo proviene dalla tartufaiadella fattoria, che produce an-che olio e vino di ottima qua-lità. Dopo il ricco antipasto,all’interno della casa, in unnuovo, accogliente salone,sono state servite le tagliatellefatte a mano con sugo deiprimi asparagi e pomodorini,mentre Luisa Mattonelli, da-vanti al forno a legna, con-trollava la cottura del caprettopoi servito con patate e pun-tarelle. Per finire, dolci pa-squali casalinghi, tra cui spic-cavano le splendide “pesche”alla crema della Vice DelegataSara Vagaggini. (MarcelloRonconi)

TERNI

IL MONDO VARIEGATO E COLORATO DEL POMODORO

Da più di quindici anni, laDelegazione affida la riunione

conviviale della cultura agliAccademici Montalbano e Pe-goraro che selezionano il te-ma, curano la ricerca, relazio-nano e infine pubblicano unpiccolo “quaderno” (quest’an-no in splendidi colori ed ele-gante carta patinata) che vie-ne distribuito agli Accademicial termine della serata.Quest’anno si è parlato delpomodoro. Il Delegato GuidoSchiaroli ha scelto per la pri-ma pagina del menu un parti-colare della “Vucciria” di Re-nato Guttuso, i Simposiarchihanno adeguato l’apparec-chiatura della tavola e i piattial “rosso” del pomodoro. Co-lori forti e splendenti, che ri-chiamano le parole di Anna,la protagonista dell’omonimoracconto di Andrea Camilleri,che racconta che in quellostretto spazio, il vicolo dellaVucciria, dove si reca a far laspesa, lei “si senti assuffucarinon per mancanza d’aria, maè la violenza dei colori che fafirriare la testa”. È il fascinodei mercati del Sud, con i lorocolori e profumi, sensazionicondivise con il SimposiarcaVincenzo Montalbano, sicilia-no di Mazara. Sensazioni cheil Delegato ha esternato nellapresentazione della riunioneconviviale, illustrando le moti-vazioni della scelta del parti-colare della grande tela di Re-nato Guttuso: in primo pianoil rosso della cassetta di po-modori, in basso a destra, lafigura di donna in bianco, cheattira l’occhio e divide il qua-dro. (Guido Schiaroli)

LAZIO

ROMA APPIA

PER LA FESTADELLA DONNA

Il ristorante “Rinaldo all’Ac-quedotto” di Rinaldo Di Pa-squo deriva da un antico fieni-le del 1581. Esso conserva ilfascino di un locale di campa-

gna ubicato vicino ai restidell’acquedotto Claudio (312a.C.) e arricchito dal panoramadei Castelli Romani. Nel 1972Rinaldo ha acquistato il localee sin dall’inizio lo ha gestitocon intelligenza, ma è nel1988, dopo una radicale ri-strutturazione, che il ristoranteha assunto le caratteristiche at-tuali, dove è possibile consu-mare con soddisfazione un pa-sto eccellente. L’abilità deicuochi e la professionalità diRinaldo propongono ottimipiatti di carne e di pesce. Sisottolineano l’abbacchio ascottadito, i torcinelli all’impe-riale, i filetti di rombo in crostadi patate e il risotto alla certo-sina. Merita ricordare la qualitàdei gelati e i dolci artigianalipreparati con ingredienti ge-nuini. È disponibile inoltre unavarietà di vini in bottiglia di ot-tima marca. Nel ristorante, in uno spazioche Rinaldo ha dedicato allaDelegazione, è stato festeggia-to l’8 marzo. Il Delegato Pu-blio Viola ha salutato gli Acca-demici e, successivamente, ilSimposiarca della serata Clau-dio Di Veroli ha illustrato ilmenu di pesce. Prima della fi-ne della cena, ha preso la pa-rola l’Accademica VivianaFranca Paliotta che in modobrillante si è soffermata su dif-ferenti richiami letterari e stori-ci riguardanti la figura femmi-nile. La giusta ambizione delledonne le ha portate, “per ten-tare di essere socialmente co-me gli uomini”, a vari espe-dienti come quello di mimetiz-zarsi, cioè vestirsi da marinaio,da frate, da soldato, da mo-schettiere ecc. Una per tutte laleggendaria papessa Giovanna.Dopo alcune vicissitudini, l’8marzo è diventata in tutto ilmondo la “Giornata internazio-nale della Donna”. Soltanto nel1946, in Italia, è stata presa co-me simbolo la mimosa, un fio-re che germoglia nei primigiorni di marzo e che in que-sta occasione è stata offerta al-le signore. (Claudio Di Veroli)

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ABRUZZO

AVEZZANO

CIBO E VINO: DUE MONDIA CONFRONTO

La Delegazione ha organizza-to una riunione conviviale in-sieme all’AIS (AssociazioneItaliana Sommelier) sul tema:“Cibo e vino: passioni comu-ni, due mondi a confronto”.La cena si è svolta al ristoran-te “La Villetta” a Capistrello edè stata l’occasione per appro-fondire l’arte dell’abbinamen-to vino-cibo, che viene affron-tata in maniera differente dal-le diverse scuole di pensiero.La serata è stata aperta dalSimposiarca Massimo Nicolaie, dopo i saluti di rito da par-te del Delegato Giuseppe Cri-stofaro, la parola è stata la-sciata al presidente dell’AISMassimo Iafrate, che ha evi-denziato i principi dell’abbina-mento vino-cibo, messi poi inatto nel corso della cena. Ro-berta Accardo, responsabilecommerciale della casa vini-cola Farnese, ha presentato ivini abbinati al menu realizza-to dallo chef Tonino. La cenasi è aperta con uno scrigno dipomodorini dolci con alici, alquale è stato abbinato un Cu-vée Fantini vitigno Cococcio-la; a seguire una lasagnetta difinocchio con zenzero e moz-zarella di bufala alla quale èstato abbinato un Gran CuvéeFantini rosé; con i ravioli distracciata in cestino di parmi-giano con zenzero e noce mo-scata è stato servito un Pecori-no Igt Terre di Chieti e con ilsecondo piatto, fagottino diverza con ragù fantasia, è statoabbinato un nuovo vino rossocorposo Edizione 5 Autoctoni,ottenuto da cinque vitignidell’Italia meridionale, dalMontepulciano al Nero d’Avo-la. Con il dolce, un saccottinodi pasta fillo con pere, ciocco-lato e riduzione di vino rosso,è stato servito un Montepulcia-no d’Abruzzo: questo abbina-

mento è risultato nuovo emolto “azzardato” ma alla fineben accolto da tutti. Il presi-dente dell’AIS e la responsabi-le commerciale della cantinaFarnese hanno risposto allenumerose domande, mettendoin risalto, ad esempio, che:“ad un piatto tipicamente re-gionale o locale va general-mente abbinato un vino dellastessa zona, per creare un’affi-nità di profumi e di sapori” o,ancora, “il corpo del vino de-ve essere proporzionale allastruttura del piatto e quindi unpiatto che necessita di unapreparazione elaborata va ab-binato ad un vino altrettantocomplesso e robusto”, per fini-re con: “ogni piatto dovrebbeessere accompagnato ideal-mente da un vino diverso”. La riunione conviviale si èchiusa con alcune considera-zioni tratte da aforismi e mas-sime su vino e cibo: “non c’èamore più sincero che l’amoreper il cibo” (G.B. Shaw) e perfinire con Aristotele: “è bene,nella vita come ad un ban-chetto, non alzarsi né assetatiné ubriachi”. (Giuseppe Cri-stofaro)

CAMPANIA

NAPOLI

CULTURA E SALUTE

Tutela della salute pubblica,stili di vita, valore culturale esociale da preservare e diffon-dere. Questi sono stati gli ar-gomenti di approfondimentode “La dieta mediterranea”,evento culturale organizzatodal Delegato Leonardo Bian-chi con la partecipazione di il-lustri relatori. Tra questi, ilprof. Mario Mancini, fisiologodella nutrizione dell’UniversitàFederico II, e Gabriele Riccar-di, titolare della cattedra diEndocrinologia e Metabolismopresso la stessa Università, el’Accademico Vito Amendola-ra, presidente dell’Osservato-

rio regionale della Campaniaper la dieta mediterranea.L’incontro è avvenuto pressoil Circolo Savoia, in occasionedella “giornata della cultura”.Tra i dati principali, il richia-mo del prof. Mancini aglistandard di salute e alimenta-zione comparati con i paesiscandinavi; il video sulla KeysEquation del 1965, lo scree-ning su infarti e problemati-che dovute al colesterolo ri-scontrati in sette paesi delmondo. L’Accademico VitoAmendolara, dopo aver rico-nosciuto la bontà e i vantaggidella dieta mediterranea, haesposto la sua idea di intro-durre nelle scuole l’educazio-ne alimentare, al fine di sensi-bilizzare i ragazzi sui proble-mi dell’obesità infantile in pe-ricolosa espansione. Il prof. Riccardi ha distribuitoun questionario di grande in-teresse per valutare la qualitàdella dieta che ciascuno di noiosserva. L’avvenimento ha tro-vato eco anche sulla stampacittadina. Il giornalista Pasqua-le Esposito, sul “Mattino”, adesempio, ha ricordato AncelKeys, il profeta della dietamediterranea, e i continuicontatti che ebbe con i grandimedici dell’Università di Na-poli. In Italia meridionale simangia sano e bene, afferma-va Keys, il cui slogan era “Eatwell, Stay well” (mangia beneche starai bene). Il “Roma”, al-tro giornale cittadino, conLaura Caico, parte da una sen-tenza latina “quod me nutritme destruit” (ciò che mi nutremi può anche distruggere)usata da Nietzsche, per illu-strare il tema dell’obesità edell’importanza di mangiaresano e bene e quello dei ri-schi alimentari cui la societàcontemporanea è esposta.Dopo il convegno, la cucinadel circolo Savoia ha prepara-to un menu, concordato con ilDelegato, all’insegna dei pri-mari alimenti previsti dalladieta mediterranea: ziti spez-zati con salsa di pomodoro

fresco, filetti di sgombro, ver-dure cotte, mozzarella con lat-te di bufala campana, pasticci-ni con crema di amarene.(Leonardo Bianchi)

PUGLIA

ALTAMURA

TÈ E TISANE

Presso il bar pasticceria “Fie-schi” di Altamura si è tenutoun interessante incontro orga-nizzato dalla Delegazione sultema: “Tè e Tisane”. L’Accade-mico Piero Scalera, esperto fi-tologo, ha commentato unaserie di diapositive sulla storiadel tè, le leggende, le caratte-ristiche organolettiche e l’uti-lizzo di questa antichissima ediffusissima bevanda. Dietroquesta comune infusione, sinasconde una storia affasci-nante, radicata nel tessuto cul-turale e sociale di molti paesi.Mentre si sorseggia il tè biso-gna prestare attenzione al-l’aroma, al colore, alle perce-zioni gustative, al bouquet ealla persistenza che rimane altermine della degustazione. Siè chiarita anche la differenzatra infusi di frutta, bevandedal gusto gradevole e salutarigeneralmente a base di fiorid’ibisco (karkadè) e tisane,miscele di erbe officinali condeterminati effetti curativi. Eproprio sul rapporto tra il tè ela salute, il relatore ha eviden-ziato che, fin dalla sua primascoperta, al tè sono state attri-buite diverse proprietà medi-cinali. Un prodotto naturale,che non contiene calorie epuò contribuire a mantenere ilgiusto equilibrio di liquidi nel-l’organismo. Contenendo fluo-ruro, esso è utilissimo nellaprevenzione delle affezionigengivali, ha un buon potereantiossidante, ha effetti bene-fici contro le malattie cardia-che, l’infarto e la trombosigrazie alle proprietà della tei-na, che aiuta anche la concen-

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D A L L E D E L E G A Z I O N I

trazione e l’attenzione. La se-conda parte della relazione,condotta dalla Delegata Im-macolata Portoghese, è statadedicata alla descrizione delrituale del tè pomeridiano,con riferimenti storici e curio-sità legate alla cultura anglo-sassone. La Delegata ha inol-tre illustrato le varie fasi dellapreparazione del tè e ha for-nito alcune regole di bon tonsu come effettuare una corret-ta mise en place per servirlo.Le interessanti relazioni e gliarmoniosi sapori della degu-stazione hanno offerto a tuttiun momento di riflessione sulfatto che ciò che rende vera-mente speciale questo rito èl’atmosfera intima e pacatache, nella frenetica società dioggi, andrebbe riscoperta evalorizzata. (Immacolata Por-toghese)

BARI

TUTTO SULLA PIZZA

Un’intera serata dedicata allapizza. O meglio, dedicata alledifferenze tra la pizza napole-tana e quella barese. Il relato-re, il Delegato Nicola Sbisà,ha illustrato le origini antichis-sime di questo alimento, ri-percorrendone la storia attra-verso i secoli. In particolare,attraverso alcuni fondamentalimomenti di svolta, come lanascita della pizza margherita,in onore dell’omonima neo-regina dell’Italia unita, o comela “contaminazione” del po-modoro, conosciuto e diffusoin Europa soltanto dopo lascoperta dell’America. Sbisàha inoltre parlato delle specifi-che tecniche di preparazionein uso in Campania e in Pu-glia, per concludere che sial’una che l’altra versione dipizza sono apprezzabili se gliingredienti impiegati sono diqualità. La riunione convivia-le, che si è svolta nella pizze-ria “Continental” di Bari, èproseguita con la degustazio-

ne di diversi tipi di pizza: dal-la margherita come piace aibaresi, e dalla napoletana conmozzarella di bufala, fino allasimpatica variante con salsic-cia di Norcia e patate. Tuttemolto apprezzate dagli Acca-demici e dagli ospiti, e tuttepreparate da Mimmo Lorusso,titolare del locale e già cam-pione europeo dei pizzaioli.(Vincenzo Rizzi)

CALABRIA

CROTONE

CONVIVIO DI PRIMAVERA NELLE TERRE DI HYPSO

La Valle del Neto, situata nelcuore verde della Calabria, aNord-Ovest di Crotone, rac-chiude aspetti naturali e stori-ci di grande interesse e unavarietà di paesaggi e di coloripieni di fascino e di mistero.Vista dall’alto, la valle ricordaun enorme anfiteatro naturaleche, dal versante ionico dellaSila grande, degrada verso ilpiano dove si incontrano lefertilissime terre di Hypso,un’area affascinante sotto ilprofilo paesaggistico, per lepeculiari caratteristiche geo-morfologiche e per gli elevativalori di biodiversità. In que-sto dedalo di antiche terre,sorge un bel complesso agri-turistico di 160 ettari in cui sierge, in tutta la sua severabellezza architettonica, un’an-tica dimora gentilizia del XIIIsecolo, oggi adibita a luogo diristorazione dai suoi attualiproprietari. “Resort Villa Ma-ria” è il nome del ristoranteche ha accolto un folto nume-ro di Accademici della Dele-gazione, riuniti in assembleaper la programmazione deivari eventi celebrativi del 60°anniversario della fondazionedell’Accademia. Alla riunioneè seguito un ricco pranzo in-centrato sulle primizie dei sa-pori primaverili e i prodotti ti-

pici dell’azienda agrituristica.Una giornata intensa, impron-tata sul recupero di tesori diconoscenza, simboli, sapori,odori, elementi della tradizio-ne in rapporto con la culturadel territorio. Educazione algusto, al sano vivere, nel rifiu-to dell’omologazione in unasocietà multiculturale delle di-verse identità alimentari chegli Accademici della Delega-zione promuovono e diffon-dono con spirito volontaristi-co, particolarmente a chi sioccupa della ristorazione e al-le giovani generazioni. (Adria-na Liguori Proto)

SICILIA

CALTAGIRONE

SERATA DEDICATA ALLACUCINA ISRAELIANA

Doveva essere un incontro traAccademici per commentare ilrecente viaggio ad Israele, si ètrasformato invece in un’indi-menticabile serata, grazie allapartecipazione al convivio delDelegato di Tel Aviv, Ever Co-hen. In suo onore le notedell’inno nazionale di Israele,suonato e cantato dal gruppomusicale “Bney Efraim” diCaltanissetta, hanno dato ini-zio al simposio che si è tenutonell’accogliente sala dell’HotelVilla Sturzo, a Caltagirone.Dopo il saluto della Delegata,Gaetana Bartoli Gravina, e delCoordinatore della Siciliaorientale, Mario Ursino, laSimposiarca Colomba Cicirata,con il prezioso ausilio dellediapositive scattate dall’Acca-demico Pasquale Bizzini, hanarrato le tappe di un viaggioche, per la familiarità di luo-ghi e città - Gerusalemme, Na-zareth, Bethlemme -, da sem-pre nel nostro immaginario,ha avuto quasi il sapore di unritorno. Gli Accademici, hasottolineato Cicirata, avevanoavuto uno strumento privile-giato per conoscere Israele:

gustare la sua cucina. Graziealla disponibilità dello chef Ci-ro, che si è cimentato a speri-mentare nuove pietanze, sonostati presentati ai commensalialcuni piatti, che solitamentecompongono il desco delle fa-miglie israeliane, che hannofatto sentire a casa il DelegatoEver Cohen il quale, a conclu-sione della serata, ha moltoapprezzato la sensibilità e l’at-tenzione dedicate dalla Dele-gazione di Caltagirone al po-polo di Israele. (Colomba Ci-cirata)

SIRACUSA

PRESSO LA FONTEARETUSA

In un luogo che sembra tra-sportare lontano nel tempo,che attiva ricordi del periododella colonizzazione greca, edella fondazione di Siracusa,si è tenuto il simposio dellaDelegazione. Un aperitivo dibenvenuto ha fatto da prodro-mo festoso all’incontro degliauguri di Pasqua. Il ristorante“Al Vecchio Lavatoio”, neipressi della Fonte Aretusa, haun ambiente interno, ricavatoproprio dagli antichi lavatoi:la sala ha la caratteristica voltaa botte e il pavimento traspa-rente, sotto il quale si scorgo-no le rovine del vecchio lava-toio e dove scorre l’acquaproveniente proprio dalla mi-tica fonte. Antonino Bucolo,Simposiarca dell’incontro, hapresentato “Le virtù nutrizio-nali della melagrana”, con unattento e puntuale excursussugli aspetti legati al mito, allecredenze, alle origini territo-riali e storiche, alle citazioniletterarie e alle proprietà nu-trizionali e terapeutiche relati-ve alla melagrana. L’interventoculturale ha riscosso attenzio-ne e un lungo applauso. IlDelegato Angelo Tamburiniha ricordato le peculiarità delluogo storico, sede dell’incon-tro accademico, e ha rivolto i

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voti augurali per le festivitàpasquali unitamente ad undono simbolico. Ha fatto se-guito la cena: tortino di cer-nia; spaghetti alla Paolina; pe-scespada alla siracusana; pol-pettine di patata e di riso al fi-nocchietto selvatico; sorbettoal limone di Siracusa; fantasiapasquale (cassatina siciliana,mela cotta al miele e croccan-te di mandorla tiepido). Lebrigate di cucina, con i mae-stri Michele Cristina e CristianFileccia, e di sala, con il coor-dinatore Fabio Mensa, hannoricevuto dal Delegato Tambu-rini il guidoncino e la vetrofa-nia dell’Accademia assieme adun convinto applauso. (Ange-lo Tamburini)

SVIZZERA

SVIZZERA ITALIANA

UN LUOGO PERFETTOPER PARLARE DI VERDI

È proprio vero che a volte sicerca lontano per trovare ciòche si ha sotto al naso. Per lacena di marzo della Delega-zione, Paolo Grandi ha con-vocato gli Accademici per unaserata “sulla porta di casa”, epiù precisamente al “GrandCafé al Porto”, nel cuore dellavecchia Lugano, dove un tem-po si svolgeva il mercato. Perla serata, iniziata al piano su-periore, dove un tempo sisvolgevano incontri letterari(una piacevole consuetudineche ora si va rinnovando), illocale era tutto a disposizionedella Delegazione. Tema cul-turale per l’occasione, la pre-

sentazione di un GiuseppeVerdi un po’ fuori dal comunee cioè dal punto di vista ga-stronomico. A questo si èdunque ispirata la cena, a co-minciare da un ricco aperitivoa base di culatello, salame diFelino e molte altre delizie,senza dimenticare il perfettoaccompagnamento dello gnoc-co fritto e del Malvasia dellazona di Parma. Prima della ce-na vera e propria, un piacevo-lissimo intermezzo è stato l’in-tervento del dottor GiorgioApollonia, noto medico musi-cologo, che ha parlato, in ma-niera quanto mai gradevole,del Verdi gastronomico, manon solo. Discesi poi al pianodi sotto, si è preso posto in-torno a due grandi tavoli: am-biente perfetto, tranquillo, conun’ottima acustica, tale dapermettere ai commensali digodere della conversazione.Anche il menu è stato all’al-tezza della serata. Lo chef Sa-ro Arrichiello ha dato una va-lidissima prova delle sue virtùculinarie. Non va dimenticato,inoltre, il servizio di ottimaqualità e scorrevolezza. (SussyErrera)

AUSTRALIA

MELBOURNE

CUCINA ITALIANAALL’ESTERO

Lo chef Paolo Recinella, del ri-storante “Va Tutto”, ha propo-sto una cucina i cui piatti pie-namente riconducevano al te-ma scelto per la serata: “La cu-cina delle regioni italiane... più

remote”. In apertura, il Delega-to Miro Gjergja ha illustrato iltema della serata con il qualesi intendeva evidenziare comesia interpretata la cucina regio-nale italiana all’estero, nellecosiddette “regioni italiane piùremote”, tra le quali l’Australia.A questo proposito, a tutti icommensali è stato propostodi cercare di individuare quale,tra le vivande servite, mostravacon maggiore evidenza l’in-fluenza della cucina locale, in-dicandola con un commentonella scheda. Lo chef, che havolentieri accettato il tema del-la serata, ha proposto dei piattidove ha cercato di evidenziarel’uso della materia prima loca-le, come pure l’eventuale in-fluenza della “regione più re-mota”, quella della Delegazio-ne australiana. I deliziosi fioridi zucchini, ripieni con del ca-prino al pesto, hanno suscitatoparticolare interesse. Il raviolo-ne con l’aragosta della Tasma-nia ha avuto il consenso di tut-ti ottenendo il voto più alto.L’anatra arrosto, avvolta in uncrostino e abbinata al paté e alpurè di pastinaca, è stata indi-cata quale piatto maggiormen-te influenzato dalla “regioneitaliana più remota”. Il dessertha completato la serata in unvero crescendo di sapori. Tuttihanno apprezzato il tema, par-tecipandovi con interesse. Mol-to buono l’abbinamento dei vi-ni che questa volta erano tuttidi produzione australiana, dauve di provenienza italiana. Il servizio, veloce e premuro-so, è stato molto ben curatodalla titolare sig.ra Myrto Reci-nella. In conclusione della se-rata, lo chef Paolo Recinella haminuziosamente descritto lascelta delle materie prime e lapreparazione e la composizio-ne dei vari piatti, evidenziandol’influenza locale e risponden-do alle domande dei parteci-panti. Al termine, il Delegatoha consegnato allo chef il gui-doncino dell’Accademia qualeringraziamento per la piacevo-le serata.

STATI UNITI

SAN FRANCISCO

RICORDO DI UN ACCADEMICO SCRITTORE

Per il marzo culturale, la Dele-gazione ha pensato di rendereomaggio alla figura dell’ex De-legato Gian Paolo Biasin,scomparso prematuramenteormai da quindici anni, a tut-t’oggi ancora l’unico vincitore,in California, del Premio acca-demico “Orio Vergani” per illibro “I sapori della moderni-tà’’ edito da Il Mulino nel1991. Alla cena, presso il risto-rante “Oliveto” di Berkeley, al-la quale ha partecipato la si-gnora Rita Biasin, il DelegatoClaudio Tarchi ha ricordato lafigura di Biasin leggendo da unsuo libro postumo (“Il Cantodelle Sirene”) un passaggio, daltitolo “Altri cibi, altre istanze”,che particolarmente ne illustra-va il pensiero. Sono seguiti gliinterventi dell’AccademicaAmelia Antonucci, ex direttricedell’Istituto Italiano di Culturadi San Francisco, e del Delega-to Onorario della Silicon ValleyWalter Romanini. Rita Biasinha donato ai convenuti una fo-tocopia a colori della litografia“VII Premio Orio Vergani” as-segnata al marito e ha lettouna poesia di St. Thomas More(1478-1535), tratta dal “Librod’Oro” e intitolata “Preghieradel Buon Umore”, che era tan-to cara a Gian Paolo. Semprein tema del mese della cultura,l’Accademico Carlo di Ruoccoha presentato, a fine pranzo,delle gustosissime sfogliatelle,che per qualche istante hannoriportato tutti a Napoli, insiemead un testo di cucina parteno-pea del Delegato della Peniso-la Sorrentina Sergio Corbino.Una serata piena di ricordi edagli alti contenuti culturali,accompagnata dal piatto pre-ferito di Gian Paolo (la bistec-ca) preparata in modo subli-me dallo chef Jonah Rhodeha-mel. (C. T.)

NEL MONDO

EUROPA

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I N T E R N A T I O N A L S U M M A R Y

Dear Academicians, regional Italiancuisine is traditional and is based on

the use of local products. This conditioncreates difficulties abroad, given the largenumber of so-called “Italian sounding”imitations - products that conjure up a non-existent Italian image but are not Italian atall. They are generally low quality products,packaged using an Italian name or flag buthaving nothing to do with Italy. For quitesome time we have observed and noted thissituation, which has caused considerableharm to the Italian economy and indeed tothe very image of our products abroad.Today, rather than diminishing, the problemhas increased owing to the global economiccrisis. One example is Argentina, whichsome time ago enacted a commercial policythat could lead to the closing of its marketsto our typical and traditional products, andat the same time foster an increase in theirimitations. Along these lines it is easy toimagine how, in addition to Argentinewines, we will soon see the emergence ofArgentine olive oil, pasta, and especially aseries of Argentine cheeses and salamis thatare of lower cost and of increasingly goodquality. All these Italian style productscompete with those that Italy exports in anincreasingly globalized market. The wellknown example of good quality Moldaviangrana cheese that is available in Italy is acase in point.What I have briefly outlined suggests aseries of questions regarding Italian cuisineabroad in so many countries with their owndifferent cuisines. For cultural reasons, thesituation in North America is different fromthat in South America, or from the emergingcountries of the Orient, and so on. Equallydifferent is the condition of those dishesthat are of necessity tied to the Italian, if notregional, origin of one or more ingredients,from that of those dishes that do notnecessarily have that requirement, as insome of the above mentioned examples.There is also the delicate issue of the use inItalian cuisine of “made by Italy” products;that is, those Italian style products thatItalian companies are increasinglyproducing abroad using Italian equipmentexported for those markets (pasta, salami,etc.). In a complex situation like the oneoutlined above it is necessarily to make aschematic distinction among at least threetypes of Italian cuisine abroad: low cuisine,

industrial cuisine, and high cuisine, each ofwhich is different from the other. Thesedifferences in part reflect a situation that hasalready taken place in Italy.It is very difficult to affect low cuisine that,both in Italy and abroad qualifies itself as“Italian cuisine”, starting with pizzerias orplaces that offer low cost “pepperoni pizza”made with sausage (NB: In Italian, peperonimeans green peppers) or “pasta Bolognese”,in which the spaghetti are served withmeatballs. This is a cuisine in which “Italiansounding” products are used because theircost is much lower than the importedproduct. To some degree, perhaps it’s moreopportune for Americans to believe that thepizza they order in a their local fast foodrestaurants is their own invention and aunique American patrimony, only todiscover what real Italian pizza is when theyarrive in Italy.It is equally difficult tointervene effectively in the industrial cuisineof Italian style processed ready-to-eat foods,which owing to insurmountable conditionsimposed by the industrial economy,primarily use generic products, or at bestthose “made by Italy.” It is also a cuisinethat utilizes production, conservation,distribution and consumer systems that arenot part of traditional Italian cuisine, startingwith heating by microwave, that arerequired by customers who demand “fast”or “convenience” foods even at home.Most important for Italy, and especially“made by Italy” firms, remains high cuisine,which is analogous to high fashion, qualityinterior furnishings, exclusive jewelry, andluxury car sectors in which price is not seenas an obstacle, but rather confers an eliteand prestigious symbolic value to theproduct. High prestige products, like highcuisine, cannot and should not competewith mass produced and broadly consumedones, for which price plays a decisive role.In high cuisine everything must be perfect,or near perfect, and it must satisfy the needsof a relatively restricted social group. It is inhigh cuisine that we find the best Italianproducts, in which the brand name or highspecification assume particular importance:a simple DOP or IGP denotation will notsuffice. A perfect example is DOPChampagne, in which the brand name, withthe quality specifications, vintage, andinevitably price, predominate. High cuisineItalian restaurants abroad, with their “great

chefs” are the only ones that are able topromote, sustain and defend high qualityand elite Italian food products. OurAcademy has an important role to play bypointing out which restaurants abroad canteach people about true Italian cuisine,thereby safeguarding the identity of ourtraditional and regional foods.

GIOVANNI BALLARINI

FOCUSTHE PERENNIAL TOPICALITYOF THE ITALIAN ACADEMY

OF CUISINEsee page 4

The adjective in the title may appear a tadimposing, strong and almost a provocation.Perennial here does not mean eternal, butrather it stands for the enduring, continuouspresence of our Academy. The name wasdebated long and hard by our founders, whoat first were hesitant about “Association” or“Club” but then became convinced, at thesuggestion of the talented publicity guru DinoVillani, that “Academy” was the correctdesignation. With great wisdom it wasdecided that it would not be the Academy ofItalian Cuisine, which does not exist, butrather the Italian Academy of Cuisine. Thename stuck and surely was endowed withperennial “up-to-dateness”. But why academy?An academy is an institution dedicated to themost refined studies and to elevatingknowledge to new heights. The term Academyderives from the Greek to describe thephilosophical school of Plato, founded in 387BC and located just outside the Athenian walls,named after the war hero Academus, who haddonated to the city a plot of land that becamea public garden. It was here that Platoconducted his philosophical discussions withhis disciples. Later on, as the sharper mindswere curbed by the powerful censorship ofthe men in power and most decidedly by thedogma of the church, the place became ameeting point for groups of people stimulatedby diverse disciplines, not all of them learnedminds or practitioners of literature andphilosophy by profession. Starting with Humanism and the Renaissance,most notably in Florence, the modernacademies came to l fe, oftentimes masked byimaginative names with a student’s mockingtwist, in order to escape the blows ofcensorship. This is how academies cameabout, such as the Academy of Lincei thatcould apply the acuity of sight of the lynx inobserving the universe; the Academy of Cruscathat aimed at protecting the true language byseparating the wheat from the chaff; theAcademy of the Intronati that strove to be freefrom the noises of the world and to harbor

D E A R A C C A D E M I A M E M B E R S . . .see page 3

ITALIAN RESTAURANTS ABROADIN A TIME OF GLOBALIZATION

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I N T E R N A T I O N A L S U M M A R Y

sharper thoughts; the Academy of Concordithat had solidarity on its mind; the Academy ofOscuri that was devoted to emanating the lightof truth; the Academy of Umidi that celebratedthe plain language of the populace inopposition to the Academy of Infiammati thatupheld the classicism entwined with Latin. Indue time, with the advent of theEnlightenment, science too became enthralledwith the academies, particularly those of“Cimento” that adopted the famous motto of“trying and retrying”, and the Georgophileswith whom we have recently signed amemorandum of understanding. All thingsconsidered, Academy is the correct definition:we are not professionals, we are passionatelovers of our subject, free from encumbrancesand not bound by censorship or moral debts.Freedom, however, must be handled withgreat care. We should be grateful not only toour founding fathers, but also to those whohave led the Academy until now, preserving itfrom cliques, blandishments, egos and politicaland economic involvements. We have come toa new convocation in a delicate phase for ourgastronomy, squeezed by an ever worseningcrisis and the striving by the chef to introducenovelties at all costs. We have always said thatour mission is to protect our traditions byimproving them from generation togeneration, but everything that surrounds usmust remind us of the commitmentundertaken by the Academy. In this spirit, itswork is vital and perennially up to date.

PAOLO PETRONI

THE CUISINE OF THE FOUR HUMORSsee page 5

The doctrine of the four humors outlined byGalen profoundly influenced how cooks usedand prepared food for many centuries. ChietiAcademician Gianni Di Giacomo explains thecriteria for choosing ingredients and cookingtechniques best suited to maintaining aninternal equilibrium and the overall health ofthe human body.

PIADINAS AND PIADINERIASsee page 7

Peasant focaccia has not changed over thecourse of the centuries, but its popularity haswaned with the rhythms and tastes of modernsociety. Cervia- Milan Marittima DelegateGianbruno Pollini asks what is left today ofthe original piada bread.

WINE FROM THE GULF OF NAPLESsee page 8

Wine production in Campania can be tracedback to the Roman occupation. Starting with

its origins, Sorrento Peninsula AcademicianFilomena Furno describes in depth thefamous Lacryma Christi (Tears of Christ), awine shaped by the volcanic soil of the Gulf.

MOUNTAIN FISHsee page 10

Using some important evidence includingiconography of St. Christopher and historicaldocumentation from the collegiate church ofSt. Orso, Omar Borettaz, a member of theRegional Study Center of Valle D’Aosta,discusses the diffusion of many varieties offish in this mountain area, in both lakes andstreams, as well as those found in the greatmarkets of northern Europe.

FAVA BEANS: A VERSATILE FOODsee page 12

Naples-Capri Academician Claudio Novelliretraces the history of the fava bean, atraditional crop from the Campi Flegrei areaoutside Naples. An object of worship,prohibition and false myths in antiquity, it hasonly recently received acclaim for its chemicalcharacteristics: delicious fresh and low caloriewhen eaten dried.

PANISSA FROM VERCELLIsee page 14

The most characteristic dish from the areaaround Vercelli combines two typical localproducts: rice and beans. For centuries theyhave provided balanced and genuinenutrition. Turin Academician Renzo Pellatidistinguishes among the regional nuances andprovides the original recipe as well as somepractical advice for its preparation.

THE BIRTH OF MIDDLE CLASS CUISINEsee page 16

Through an historical excursus Milan-BreraAcademician Nicola Rivani Farolfi establishesthe birth of bourgeois cuisine in post-revolutionary France. Over the course of the19th century a great change took place thanksto the invention of the steam engine and newtechniques for preserving food.

IS FAMILY CUISINE STILL ALIVE AND WELL?see page 18

This question arose during the course of thisyear’s first meeting of the Franco MarenghiStudy Center. The theme of the latest issue inthe Gastronomic Culture Collection, “ItalianCuisine Today”, examines the changesimposed by modern society and whether ornot the traditions and love for cuisine are stillpresent in Italian families.

THE CALL OF THE WILDsee page 19

Imola Delegate Antonio Gaddoni discussesthe development of a conference onPrestigious Wild Produce. A well attendedevent during which the strong link betweenfish and wild herbs of the Adriatic wasdiscussed.

THE CUISINE OF VICENZA: HISTORY AND MEMORIES

see page 21

On the occasion of the tenth anniversary of itsfounding the Upper Vicentino Delegation helda conference entitled The Quest for Tradition:History and Memories of the ContemporaryCuisine of Vicenza. Delegate Renzo Rizzidescribes some of the event’s most importantmoments.

OLIVE OIL FROM CIOCIARIAsee page 22

The olive oil from Ciociaria is the only one inthe region of Lazio that still is not designatedDOP. A meeting organized by the FrosinoneDelegation brought together experts and localauthorities to analyze the problems andprospects in the hopes of accelerating theprocedure to gain that designation.

HUNGER STIMULATES THE IMAGINATION

see page 23

The current economic crisis is bringing backto the table some long-forgotten grains, meats,and dishes. Turin Academician ElisabettaCocito traces some salient milestones in thisstory, identifying their peasant roots andillustrating the etymology of popular dishes.

RESTAURANT ACOUSTICSsee page 25

Bologna-San Luca Delegate MaurizioCampiverdi focuses attention on the problemof acoustics in restaurants by analyzing twoimportant examples: Bologna and Paris. Heidentifies several causes and proposes somesolutions.

THE FRUGALITY OF PINOCCHIOsee page 26

Collodi’s work is filled with culinary passagesand citations. In fact, the author demonstrateshis expertise by suggesting some dishes frombourgeois cuisine, including both elaboratepreparations and modest foods as well asusing an alimentary lexicon metaphorically.Many of the dishes he cites also appear in thework of his contemporary, Artusi.

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MAGGIO 2013 / N. 249

DIRETTORE RESPONSABILE

GIOVANNI BALLARINI

VICEDIRETTORE E DIRETTORE ARTISTICO

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COORDINAMENTO REDAZIONALE

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SEGRETERIA DI REDAZIONE

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IMPAGINAZIONE

MARIA TERESA PASQUALI

IN QUESTO NUMERO SCRITTI E RICETTE DISandro Bellei, Omar Borettaz, Cristina Bragaglia,Maurizio Campiverdi, Hilde Catalano GonzagaPonti, Colomba Cicirata, Giorgio Cirilli, ElisabettaCocito, Silvia De Lorenzo, Gianni Di Giacomo,Maria Attilia Fabbri Dall’Oglio, Giorgia Fieni, Giancarlo Flavi, Filomena Furno, Antonio Gaddoni, Gabriele Gasparro, Paola Natali Capobianco, Claudio Novelli, Renzo Pellati, Teresa Perissinotto Vendramel, Paolo Petroni,Lucio Piombi, Roberto Pirino, Gianbruno Pollini,

Francesco Ricciardi, Nicola Rivani Farolfi, Renzo Rizzi, Roberto Robazza, Amedeo Santarelli,

Domenico Saraceno, Tito Trombacco.

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Rivista associataall’Unione StampaPeriodica Italiana

CIVILTÀDELLATAVOLAACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA

CULTURE AND ITS ENVIRONSsee page 29

Tigullio Delegate Giorgio Cirilli reflects on theculture of food, focusing on contemporarytimes and the new generations. Superficial, ortotal lack of knowledge, and scientificinnovation have led them away from thegenuine rituals of eating.

WHAT’S IN A NAME?see page 30

In cuisine, names are necessary for us todistinguish different preparations: the name isoften inspired by the historic or geographicalorigin of the dish. Italian gastronomy however,often suggests names that are inspired bypopular imagination, thereby maintainingregional traditions and habits.

OLIVE OIL FROM THE BORDER REGIONsee page 33

Bergamo Delegate Lucio Piombi delves intoolive cultivation around Bergamo. Active since the Roman era, it boastsautoctonous varieties and niche oils. Recentactivity has focused on reviving the culturalvalue of this cultivation.

THE LAY MEALS OF THE CARDINALS

see page 34

In the days leading up to the Conclave, Romewas host to cardinals from around the world.Valle del Tevere-Flaminia Academician HildeCatalano Gonzaga Ponti describes some of thecardinals’ favorite restaurants and dishes.

TOTÒ AND FOODsee page 36

Food has been an important element of Italiancinema since its first film. At the beginning ofthe 20th century in Italy, food was presented ina comic and circus like light. With the success of the famous actor Totòfood became a distinctive factor in identity,immortalizing the society of the time on thebig screen.

TASTE AND SAVINGSsee page 38

Treviso Delegate Teresa PerissinottoVendramel and Academician Roberto Robazzalist some types of “forgotten” fish, and pointout some advantages of their consumption:they provide a healthy and balanced diet,guarantee a better level of freshness, areenvironmentally sound and they reflectregional traditions and recipes.

TUSCAN “AGRESTO”see page 40

Agresto is a bittersweet condiment made fromacerbic grapes and herbs, spices, and honey.It was born from the need to utilize the entiregrape as well as from the predominant tastesof the time. Maremma-Grosseto AcademicianDomenico Saraceno previews the publicationof a monograph on the subject, produced incollaboration with the Academy of theGeorgeophiles.

AN INTERVIEW WITH AN HISTORIC CHEFsee page 42

Bologna Bentivoglio Academician TitoTrombacco approached the historic chef ofthe most famous restaurant in Bologna todefinitively clarify some issues regarding twotraditional Bolognese dishes: tortellini andyellow lasagne with mushrooms. Hissuggestions provide a guarantee ofauthenticity.

THE ISRAELI TABLEsee page 43

The Israeli table, usually characterized byhummus, meats, fish, and spices, has also beeninfluenced by some typical dishes of northernand eastern Europe, thus replicating theheterogeneity of its people. CaltagironeAcademician Colomba Cicirata illustrates severaldishes and characteristics of kosher food.

THE TREE OF THREE LIQUORSsee page 44

The Cherry Tree has ancient roots and itscultivation was fundamental for some peopleof central Europe. Honorary TermoliAcademician Amedeo Santarelli presents thehealth characteristics and virtues of this fruit,then turns to its use in gastronomy and theproduction of liquors.

THE DIABOLICAL POTATOsee page 46

Modena Academician Sandro Bellei takes uson the historical journey of this tuber that wasimported to Europe from Peru. Initiallyopposed because it was considered the“devil’s fruit”, it became essential to thenutrition of the poorer classes and isomnipresent in the cuisine of Europe today.

TranslatorsNICOLA LEA FURLAN AND DONALD J. CLARK

SummarizedELISA CIATTI

I N T E R N A T I O N A L S U M M A R Y