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Cinque secoli di storia, cinque lustri di mecenatismo: la collezione dei dipinti della Banca del Monte di Lucca di Roberto Santamaria Arte Sono ormai 2000 anni che si parla di mecenatismo. Dai tempi in cui l’influente consigliere dell’imperatore Ottaviano Augusto, Gaio Cilnio Mecenate, dal quale deriva il termine, trascorreva i suoi pomeriggi nel produttivo ozio delle argomentazioni letterarie con Orazio, Virgilio e Properzio, questo fenomeno di protezione degli artisti e di sostegno concreto delle loro opere ha cambiato più e più volte protagonisti e modalità. LA CASANA 50-59:Layout 1 14-11-2007 19:06 Pagina 50

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Cinque secoli di storia, cinque lustri di mecenatismo: la collezione dei dipinti della Banca del Monte di Lucca

di Roberto SantamariaArte

Sono ormai 2000 anni che si parla di mecenatismo. Dai tempi in cui l’influente consigliere dell’imperatore OttavianoAugusto, Gaio Cilnio Mecenate, dal quale deriva il termine,trascorreva i suoi pomeriggi nel produttivo ozio delle argomentazioniletterarie con Orazio, Virgilio e Properzio, questo fenomeno di protezione degli artisti e di sostegno concreto delle loro opere ha cambiato più e più volte protagonisti e modalità.

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L’epoca d’oro del mecenatismo co-incide con quella che è stata consi-derata l’età insuperata dell’arte, il Ri-nascimento. E non è un caso che imecenati del giorno d’oggi, fra i qua-li vanno senz’altro annoverati gli isti-tuti di credito, abbiano fra i princi-pali obiettivi la ricerca di capolavo-ri di quell’epoca. È questa una delleprincipali direttrici della politicaculturale della Banca del Monte diLucca, città entro le cui mura, in quelperiodo aureo, trovarono accoglien-za artisti come Ghirlandaio, Fra’ Bar-tolomeo e Filippino Lippi.L’istituto, collocato nell’antica Ca-sa dell’Opera di Santa Croce, ha datempo intrapreso un’attività di ac-quisizione di importanti opere d’ar-te, provenienti per lo più dal mercatoantiquario, che ad oggi ha consenti-to di raccogliere alcune decine diopere, essenzialmente dipinti maanche arazzi e mobili. Questo pa-trimonio ha trovato ospitalità e vi-sibilità pubblica proprio nella stori-ca sede di piazza San Martino, nelcuore antico della città, a fianco delduomo, una collocazione che attestal’indiscutibile e affermato ricono-scimento di prestigio dell’istituto findall’inizio della sua cinquecentena-ria storia.La costruzione dell’edificio prendeil via nel 1291, sotto la direzione delmagister lapidum Gianni da Como,area geografica da cui provenivanomolti di quei maestri “antelami” chetanta importanza hanno avuto anchenella storia architettonica e urbani-stica di Genova.

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Matteo Civitali, “Madonna in tronocon il Bambino”, tempera su tavola.

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A fronteAlfredo Meschi, “Piazza San Martino”,pastello su carta.

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La ricchezza del patrimonio artisti-co della Banca si può oggi riscontrarefacilmente grazie al catalogo edito acura dell’istituto stesso nel 19971. Sfo-gliare queste pagine costituisce l’oc-casione per conoscere un corpus diopere che la disparata provenienza ri-esce solo in parte a rendere disomo-geneo. Questo vale soprattutto per lapreziosa sezione dei più antichi di-pinti lucchesi, databili fra la fine delQuattrocento e l’inizio del Cinque-cento, fra i quali spicca la Madonnain trono con il Bambino (tempera sutavola, cm 146 x 74), in catalogo at-tribuita a Baldassarre di Biagio, marecentemente assegnata a MatteoCivitali anche in virtù della stringenteassonanza stilistica con il bassorilie-vo autografo del Civitali “Madonnadel latte” detta anche “Madonna del-la Tosse” conservata presso il MuseoNazionale di Villa Guinigi. Le dueopere, entrambe risalenti agli anniOttanta del Quattrocento, eviden-ziano analogie compositive e stili-stiche che sembrano confermare aglistorici dell’arte il Civitali come au-tore anche del dipinto; senza dubbiouno dei capolavori della pitturaquattrocentesca lucchese, forse daidentificare con l’opera che egli di-pinse per la chiesa domenicana di SanRomano nel 1480.Oltre ai “primitivi” lucchesi, la colle-zione annovera altri interessanti esem-pi della scuola locale, a partire da undipinto che costituisce un punto im-prescindibile nel catalogo delle operedel raro Pietro Sigismondi (Lucca, ?– Roma 1623), il Sansone e Dalila (oliosu tela, cm 152 x 132), datato 1606 equindi fra le prime prove dell’artistache, in questa come in altre opere, sifirmava “Lucensis”, di Lucca.Un riferimento ad un primo, ipote-tico ma probabilissimo caso di me-cenatismo dell’istituto è costituitodalla intensa tela che raffigura il Bea-

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Pietro Sigismondi, “Sansone e Dalila”,olio su tela.

Paolo Biancucci, “Il Beato Bernardinoda Feltre”, olio su tela.

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to Bernardino da Feltre (cm 71,5 x53), attribuito a Paolo Biancucci(Lucca 1596-1650/51), pittore che so-lo adesso viene rivalutato e che in vi-ta fu concorrente dell’oggi più notoconterraneo Pietro Paolini. Il Santo,ripreso frontalmente, addita conl’indice della mano destra uno sten-dardo recante l’immagine del Cristosofferente e retto da un’asta impo-stata su tre sassi, simbolo appunto delMonte di Pietà, antesignano dellaBanca del Monte di Lucca, con sede- dal 1517 - nella Casa dell’Opera diSanta Croce. In questa sezione dedicata agli arti-sti locali trovano spazio anche alcu-ne opere contemporanee fra le qualii pastelli su carta di Alfredo Meschi(Lucca 1905-1981), raffiguranti trepunti di vista assai cari ai lucchesi: lapiazza del Duomo (cm 40 x 50), fian-cheggiato proprio dall’antico palaz-

zo dell’Opera con il suo alternarsi deirossi del cotto e dei bianchi del mar-mo apuano; una veduta dall’alto del-le celebri mura verso la città (cm 35x 49), con le case filtrate attraverso glialberi e le piante; infine, uno scorcioprospettico del canale della Burla-macca (cm 35 x 49), simbolo dell’a-spirazione marittima di una città chenel Quattrocento scrutava l’oriz-zonte del Tirreno.

Il legame con il territorio e l’atten-zione per i nomi certo meno noti main qualche maniera documentati, si ri-trovano nelle due tavolette con Mi-racoli di San Frediano (cm 29 x 65,5),titolare del seggio vescovile della cit-tà dal 560 al 588. La coppia di tem-pere è ciò che resta della predella diuna pala d’altare, forse quella dipin-ta nel 1483 per la cappella della Com-pagnia di San Frediano, detta “della

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Alfredo Meschi, “Dalle Mura”, pastello su carta.

“La Burlamacca”, pastello su carta.

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Bruciata”, nella omonima chiesa fio-rentina. Autore dell’ancona, distrut-ta nel secondo conflitto bellico, eraun allievo di Filippo Lippi, Jacopo delSellaio, alla bottega del quale si for-mò il figlio Arcangelo (Firenze1477/78-1532), pittore che, come re-cita il contratto di commissione,portò a termine nel 1506 l’opera la-sciata incompiuta dal padre, in par-ticolare eseguendo la predella, alloramancante, e di cui queste due formelleverosimilmente costituiscono quan-to sopravvissuto alle vicende deltempo.Certo più noto è Jacopo Negretti, det-to Palma il Giovane (Venezia 1548 –1628), al quale, anche sulla scorta di

un disegno recentemente pubblicatoche pare esserne il bozzetto prepara-torio, è attribuita la scena con Giudittae Oloferne (olio su tela, cm 98,2 x122,5). Erede della generazione deigrandi veneziani cinquecenteschi, ilpittore si misura qui con un tema chesarà tanto caro a Caravaggio e ai suoiseguaci, artisti che muovevano i loropassi quasi in contemporanea conquesta tela, da porre cronologica-mente già nel secolo XVII. Pienamente caravaggesco, almenoper quanto riguarda l’ambientazionenotturna della scena rischiarata dal-la luce di una lanterna, è la Catturadi Cristo (olio su tela, cm 96 x 134),il cui autore è sicuramente da ricer-

care fra i molti “franzesi e fiamenghiche vanno e vengono” e “non li si puòdar regola”, come affermava - nel1620 circa - Giulio Mancini, scritto-re d’arte nonché medico di papa Ur-bano VIII. Roma, meta obbligata peril completamento degli studi artisti-ci, è infatti anche il luogo di conver-genza di numerosi giovani d’Oltral-pe, la cui sensibilità è stimolata – nelprimo decennio del Seicento – dallarivoluzionaria figura del Merisi. E,come il loro ideale capo-scuola, an-che questi pittori, che avevano resi-

Arcangelo di Jacopo del Sellaio, “Due miracoli di San Frediano”,tempere su tavola.

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denza e ritrovo nei pressi di piazza diSpagna, erano personaggi fuori daglischemi che sfuggivano alle conven-zioni e che, pertanto, sono di preca-ria identificazione. È, quella di Luc-ca, una scena di ambientazione not-turna, tenebrosa, un quadro “di not-te”, come venivano definiti allora di-pinti del genere. Il “campione” diquesto genere fu l’olandese GerritVan Honthorst, la cui fortuna nel pe-riodo italiano è testimoniata dal so-prannome che gli fu attribuito, Ghe-rardo delle Notti. La sua è una ma-niera che ha precedenti anche nostrali,poiché fu Luca Cambiaso uno dei pri-mi sperimentatori del notturno. Enon è improbabile che l’artista di

Utrecht abbia potuto ammirare talidipinti proprio a Genova, forse nelcorso del viaggio di andata verso Ro-ma, attorno al 1610, o in quello di ri-

torno in patria, nel 1620. Certo è chei suoi modi determinarono l’esplo-sione di un gusto che il dipinto diLucca ben testimonia.

Jacopo Negretti detto Palma il Giovane,“Giuditta e Oloferne”, olio su tela.

Pittore franco-fiammingo “La Cattura di Cristo”, olio su tela.

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Pittore genovese, “Ritratto del Cardinal Guido Bentivoglio”, olio su tela (copia da Van Dyck).

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Giovanni Maria Delle Piane, detto il Mulinaretto “Ritratto di condottiero”, olio su tela.

Pittore italiano del Centro Nord,“Ritratto di gentiluomo”, olio su tela.

Ottavio Vannini, “David con la testa di Golia”, olio su tela.

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L’importanza di alcuni temi trattati daartisti celeberrimi già al loro tempoo la reinterpretazione degli stessi èevidente nel David con la testa di Go-lia (olio su tela, cm 144 x 115) del fio-rentino Ottavio Vannini (1585-1644),un dipinto che nasce nella mente delpittore con una contaminazione pre-cisa, quella derivata dalla Giuditta conla testa di Oloferne di Cristofano Al-lori, conservata alla Galleria Palatinadi Firenze. Anche la temperie cultu-rale è quella del neoclassicismo del-l’Allori: in un’epoca ormai “violen-tata” dalla luce caravaggesca, questodipinto, pur nella crudezza della sce-na rappresentata, è impostato sullastatica e fissa figura di David, con ilcorpo in leggera torsione, quasi aspingere in primo piano la testa delgigante filisteo sconfitto.L’affascinante e dibattuta questione dei

modelli e delle copie o repliche deri-vate da un prototipo, si ripresenta nel-la raccolta di Lucca in due dipinti. Ilprimo è la settecentesca Adorazionedei Magi (olio su tela, cm 90 x 74) ri-calcante l’opera di Carlo Maratta nel-la chiesa di San Marco a Roma. La te-la, di autore ignoto, è un omaggio fe-dele ad uno dei più affermati pittoridel suo tempo, soprattutto negli am-bienti che perseguivano la ricerca del“Bello” teorizzata dal suo amico e bio-grafo Giovan Pietro Bellori. Il secon-do dipinto in copia è il Ritratto delCardinale Guido Bentivoglio (olio sutela, cm 198 x 145), ottima riprodu-zione dell’originale di Anthon VanDyck, oggi alla Galleria Palatina di Fi-renze, realizzato per l’influente e dot-to prelato ferrarese dopo il 1621, an-no della nomina cardinalizia. Rispet-to all’originale, è da evidenziare nel-

la copia, con buona probabilità coeva,un minore approfondimento di alcu-ni particolari decorativi (si vedano, peresempio, la trama dei tessuti trattatipiù in superficie e con una gradazio-ne dello stesso colore del fondo o lasemplificazione dello schienale dellapoltrona). Ma i graduali e delicati pas-saggi dalla penombra alla luce e so-prattutto lo sguardo vivido e argutodel cardinale sono indizi della spicca-ta personalità dell’ignoto copista, daricercare nell’ambiente genovese an-che se non necessariamente fra gli ar-tisti della scuola locale, quanto – for-se – fra i numerosi conterranei del pit-tore di Anversa che soggiornavano sta-bilmente sotto la Lanterna.Il genere ritrattistico, così aulico e ne-cessario per attestare il prestigio e lostatus politico-sociale raggiunto dapersonaggi immortalati dai pennelli diartisti più o meno noti, è testimonia-to nella raccolta di Lucca da ulterio-ri due tele, la prima delle quali rap-presenta un gentiluomo (olio su tela,cm 127 x 102). L’opera è databile al-l’ultimo quarto del secolo XVIII eascrivibile alla mano di un autore nonignaro dei modi del più grande ri-trattista dell’epoca, il lucchese Pom-peo Batoni. Quale autore dell’effigiedel condottiero idealmente dipinto sulcampo di battaglia che compare allesue spalle (olio su tela, cm 126 x 101),è stato fatto il nome del più noto ri-trattista genovese fra Sei e Settecento,vale a dire Giovanni Maria Delle Pia-ne, detto il Mulinaretto (1660-1745).Oltre alla supposta scuola meridionale,la genesi nell’area emiliana non è daescludere a priori per un’altra operacon cui si conclude questa breve ras-segna dei dipinti della Banca delMonte di Lucca, e cioè la seicentescaSuonatrice di liuto (olio su tela, cm 70x 55) che forse altro non è che una pa-cata e languida allegoria della musica.

Nota

1 La Banca del Monte di Lucca. L’edificio e lecollezioni d’arte, a cura di Maria Teresa Filieri,Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca 1997. Per iriferimenti bibliografici delle opere illustrate inquesta sede si rimanda alle schede del catalogo.

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A frontePittore dell’Italia Meridionale,“Suonatrice di liuto”, olio su tela.

Pittore dell’Italia Centrale,“Adorazione dei Magi”, olio su tela.

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