Cinetografia e ballo popolare

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BIBLIOTECA DELLE ARTI CINETOGRAFIA E BALLO POPOLARE

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La cinetografia Laban, chiamata anche Labanotation, è riconosciuta come il sistema più profondo e più efficace di analisi e trascrizione grafica del movimento. Ideata agli inizi del Novecento dal grande teorico Rudolph Laban, fu in seguito sviluppata e perfezionata dai suoi allievi, tra i quali Albrecht Knust che ne divenne il principale esperto in Germania.

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CINETOGRAFIA E BALLO POPOLARE

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Bruno Ravnikar

CINETOGRAFIA E

BALLO POPOLAREANALISI E RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA DANZA

A cura di Noretta Nori

Progetto dell’Unione Folclorica Italiana

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Copertina: Patrizia Marrocco

In copertina: a destra, due ballerini del gruppo folkloristico “Danzerini di Lucinico” (foto di Andrea Mocchiutti); a sinistra, rielaborazione grafica di un cinetogramma realiz-zata da Meta Podobnikar

Fotocomposizione: emMeCiPi – Roma

Stampa: Tipografica Artigiana s.r.l. – Roma

Copyright GREMESE2012 © New Books s.r.l. – Roma

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo volume può essere registrata, riprodotta o trasmessa, in qualunque modo e con qualunque mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore.

ISBN 978-88-8440-646-0

BIBLIOTECA DELLE ARTI

Testi e strumenti per la scuola e l’universitàSezione Danza diretta da Flavia Pappacena

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Sommario

Prefazione 7

Il progetto dell’Unione Folclorica Italiana per la danza popolare 8

Nota dell’Autore 10

Ringraziamenti della Curatrice 12

Noretta Nori INTRODUZIONE A CINETOGRAFIA E BALLO POPOLARE 13

Introduzione. I fili della memoria. Un approccio sloveno alla cinetografia Laban 15

Trascrizione, notazione, analisi: sperimentazioni e sistemi tra passato e presente 33

Introduzione all’analisi della forma e della struttura della danza di tradizione orale 63

Bruno RavnikarCINETOGRAFIA E BALLO POPOLARE 75

La terminologia 77

La cinetografia 83

ANTOLOGIA DI BALLI POPOLARI ITALIANI 157

Dai ‘balli legati’ o in ‘presa di liscio’: polke, mazurke, schottisch, ecc.Elaborazione popolare dei ‘balli di società’ e diffusione nei repertori tradizionali locali del territorio italiano 159

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Dai repertori tradizionali umbro-toscani ed emiliano-romagnoli. I ‘balli staccati’: tresconi, manfrine, veneziane, ballinsei ecc. 191

Dal repertorio tradizionale delle ‘Quattro Province’. I ‘balli da piffero’: un repertorio omogeneo condiviso tra quattro province di diverse regioni (Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna) 223

Dal repertorio tradizionale piemontese. Il ballo nelle Valli Occitane 239

Dal repertorio tradizionale friulano. I balli friulani tra identità e folklorismi 251

Dal repertorio tradizionale delle comunità italiane in Istria. Danze di confine 271

Dal repertorio tradizionale abruzzese. Danze e storia 285 Dai repertori dell’Italia meridionale: le tarantelle. La varietà in danza 299

Dai repertori tradizionali sardi. Ballare in sardo: particolarità stilistiche e strutturali 317

Bibliografia 337

Sitografia 342

Nota biografica di Bruno Ravnikar 345

Indice alfabetico 349

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Prefazione

Con grande entusiasmo saluto l’edizione italiana del manuale di Bruno Ravnikar Cinetografia e Ballo Popolare realizzata grazie all’interessamento e alla sollecitudine dell’Unione Folclorica Italiana. Quanto questa opera possa essere preziosa per una impostazione di tipo scientifico allo studio della danza di tutte le culture può esse-re riassunto nelle parole di Kurt Jooss, primo presidente del Consiglio Internazio-nale della Danza CID-UNESCO, scritte nell’ormai lontano 1955 in occasione della pubblicazione di Abriss der Kinetographie Laban di Albrecht Knust.

Laban ha pubblicato la sua scrittura della danza in occasione del Secondo Congresso dei danzatori tedeschi a Essen, consegnando la sua cinetografia a tutto il mondo per utilizzarla. Con questo la nostra eredità spirituale è stata arricchita con un modo com-pletamente nuovo di scrittura che dovrebbe rendere finalmente possibile descrivere il ballo, la più sfuggente delle arti.

La cinetografia è dunque uno degli strumenti che contribuiscono alla salvaguardia, protezione, conservazione e trasmissione del patrimonio culturale etnocoreutico. Essa costituisce, inoltre, un primo livello analitico indispensabile per poter con-durre ricerche di tipo sistematico, basate sul metodo comparativo con la finalità di individuare e mettere in evidenza da un lato la variabilità delle danze, dall’altro le analogie e le differenze. Un approccio analitico che, affiancato dalle dovute inda-gini storiche, filologiche, socio-economiche e etnografiche, può essere finalizzato ad ordinare l’enorme materiale che oggi sempre più, nonostante il procedere del livellamento culturale effetto della mondializzazione e globalizzazione del sapere, viene riscoperto, recuperato, rivitalizzato presso molte comunità locali.L’Unione Folclorica Italiana con quest’opera porta a conoscenza del pubblico ita-liano l’esperienza di un insigne maestro della danza folklorica che ha approfondi-to e sviluppato l’approccio sloveno alla cinetografia Laban, costituitosi all’interno della tradizione di studi e di ricerca sulle danze popolari di quell’area. Noretta Nori, da parte sua, nel curare la presente edizione ha ricostruito la storia di questo particolare indirizzo della cinetografia Laban e si è impegnata ad armonizzare il materiale elaborato dall’autore all’interno della tradizione di studi italiani. Impor-tante è stato anche l’apporto di Peter Suhadolc, per la sua conoscenza tecnica della materia, alla traduzione e all’analisi delle movenze.

Alkis RaftisPresidente International Dance Council CID

UNESCO, Paris

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Il progetto dell’Unione Folclorica Italiana per la danza popolare

Per la realizzazione di quest’opera l’Unione Folclorica Italiana ha tenacemente la-vorato e creduto ed è motivo di orgoglio la sua pubblicazione. Questo manuale vuole essere un fondamentale strumento a supporto di tutte le organizzazioni e istituzioni della penisola Italica tendenti a mantenere viva l’an-tica vocazione per la danza. Un lembo di terra avvolto dal mare Mediterraneo, punto d’incontro di genti e culture: asiatiche, celtiche, greche, latine, slave, arabe, vichinghe, ecc. In questo incrocio di popoli, il movimento corporeo ha avuto una funzione fonda-mentale per comunicare ed esprimere i sentimenti, le passioni, gli stati d’animo. Caratteristica rimasta sempre presente nello spiccato ‘gesticolio’ che caratterizza il trasmettere degli italiani. Ancora oggi, ogni regione, ogni vallata, ogni paese, nelle movenze mantiene le caratteristiche arcaiche, come la diversa ricchezza dei linguaggi. Questa spontaneità ha ispirato molti musicisti, coreografi e scenografi, ma le vi-cissitudini storico-politiche del nostro Paese non hanno favorito la conservazione scientifica dell’immenso e variegato patrimonio della cultura popolare. Dobbiamo tuttavia ringraziare i molti ricercatori, alcuni dei quali hanno dato un contributo alla realizzazione di quest’opera, che, con molta passione, in modo sia professio-nale sia amatoriale, hanno operato sul campo alla ricerca delle testimonianze, re-gistrando con i mezzi tecnologici a loro disposizione molte tra le principali carat-teristiche della nostra tradizione. Queste iniziative spontanee, però, non sono state suffragate dalle istituzioni, com’è avvenuto in altri paesi.Davanti alla ‘sete’ di conoscenza e alla necessità di approfondire e motivare il la-voro e la difficoltà di recuperare la documentazione, per altro disomogenea nella grafia, l’Unione Folclorica Italiana, prendendo l’esempio da esperienze di altri pa-esi, ha sentito la necessità di creare una scuola per il folklore dove poter dare una formazione di base, con tutte le difficoltà derivanti dalla mancanza di adeguati supporti didattici.Per la risoluzione di questo deficit si è resa indispensabile l’esperienza e la prepa-razione del Direttore dei nostri corsi di formazione, Bruno Ravnikar, Ordinario alla cattedra di Acustica e Informatica musicale all’Università di Lubiana (Slovenia) e membro fondatore del CIOFF (Conseil International des Organisations de Festi-vals de Folklore et d’Arts Traditionnelles). Nella sua lunga esperienza nella formazione di artisti, coreografi ed esperti, ha co-

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IL PROGETTO DELL’UNIONE FOLCLORICA ITALIANA PER LA DANZA POPOLARE 9

dificato un considerevole numero di danze ed ha creato un fondamentale supporto didattico, già pubblicato nel suo Paese.Per realizzare l’idea di trasporre il manuale in italiano le difficoltà non erano poche. Dapprima si doveva utilizzare una precisa terminologia, ostacolo superato inizial-mente con l’aiuto di Piergiorgio Tomasini, già Segretario Generale dell’UFI, poi di Peter Suhadolc, docente presso il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Trieste e collaboratore dell’autore per la formazione di folkloristi, infine grazie alla collaborazione di Noretta Nori, ricercatrice, etnocoreologa e antropologa della danza, laureata presso l’Accademia Nazionale di Danza e presso ‘La Sapienza’, Università di Roma. L’altro grosso ostacolo consisteva nel reperire le danze più rappresentative delle varie regioni e trasporle nella codifica ‘Laban’, riconosciuta a livello mondiale tra i metodi che permettono la registrazione tridimensionale delle movenze di tutte le parti del corpo umano. Il materiale, in parte, è stato messo a disposizione dai ricercatori e maestri di dan-za dei gruppi folkloristici, in parte è frutto delle ricerche dello stesso Autore. Si è anche voluto evidenziare il meritorio lavoro di ricerca di studiosi di appassionati della cultura immateriale, citati nella bibliografia, che con la loro passione per le tradizioni e l’amore verso la propria terra, hanno fatto rivivere il messaggio del-la danza, della musica, della poesia, espressioni popolari dell’anima, rilanciando questa eredità verso i più giovani per diffonderla fra i contemporanei, qui e nelle tante contrade del mondo.Giunti a questo punto, un lavoro così importante doveva essere pubblicato da un editore altrettanto importante, specializzato e capace di dargli la massima diffusio-ne, ma per fare questo era necessario una nuova revisione storico linguistica, faci-litata dai sapienti suggerimenti di Flavia Pappacena, docente di Teoria della danza e di Estetica della danza presso l’Accademia Nazionale di Danza di Roma e presso la facoltà di Lettere de ‘La Sapienza’, dalla dedizione di Noretta Nori, che ha altresì curato la presentazione dell’Autore e l’approccio analitico alle danze.All’Autore, a Noretta Nori e a Peter Suhadolc vada una particolare menzione per la realizzazione di quest’opera e un ringraziamento a tutti coloro che hanno dato un contributo alla stessa.

Maurizio NegroPresidente Nazionale UFI

Membro del CID-UNESCO (International Dance Council)

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Nota dell’Autore

All’uscita di questo manuale devo innanzitutto ricordare Stojan Petaros che in ve-ste di direttore artistico e coreografo del Gruppo folkloristico triestino “Stu ledi”, propagò in svariate aree italiane l’uso della cinetografia come uno dei modi più affidabili per annotare il ballo popolare. Il suo interesse a divulgare questo me-todo in Italia fu tale, da indurlo a sollecitarmi innumerevoli volte a collaborare all’organizzazione di un seminario tecnico che, secondo lui, doveva ricalcare il tipo di seminario che organizziamo in Slovenia. Purtroppo Stojan ci ha lasciati ancora prima che si realizzasse la sua idea. Il progetto venne riportato in vita da Maurizio Negro, Presidente dell’Unione Folclorica Italiana, in qualità di organizzatore con l’aiuto di Peter Suhadolc di Trieste, maestro di ballo e coreografo presso il gruppo folkloristico triestino “Stu ledi” che riprese il lavoro di Stojan Petaros. Durante l’in-verno 2006-2007, a Russi vicino a Ravenna si tennero tre corsi di cinetografia di 12 ore ciascuno ai quali parteciparono 53 seminaristi provenienti da tutta Italia. Alla fine si constatò con grande piacere come la maggioranza dei partecipanti avesse acquisito una buona conoscenza di questo sistema internazionale di notazione dei balli. Al termine dei corsi i partecipanti espressero il desiderio di un ulteriore corso di approfondimento ma anche l’esigenza di avere a disposizione un manuale di cinetografia.Ci siamo pertanto trovati davanti ad un compito oltremodo gravoso. Già durante la stesura del capitolo principale ci si è resi conto che non esisteva una termino-logia univoca per tutti i termini tecnici. Inoltre un manuale tecnico di cinetografia sarebbe stato di poca utilità se non fosse stato accompagnato da esempi pratici. Ho pertanto deciso di arricchirlo con un’antologia di trascrizioni di balli popolari italiani. Il problema che ho avuto è stato dove reperire le fonti necessarie e le de-scrizioni attendibili. Una fonte interessante mi sono sembrati gli articoli pubblicati saltuariamente nella rivista “Choreola”. Molti membri di gruppi folkloristici mi hanno dato DVD con le registrazioni dei loro balli, ma poiché quest’ultimo ap-proccio avrebbe potuto portarci su una strada ‘dubbia’, in quanto molti dei balli dei gruppi folkloristici sono inventati o stilizzati in modo eccessivo o errato (sono cioè coreografati), ho scelto solo pochi balli di questo tipo, in verità solo quelli che ho ritenuto avessero mantenuto come base il passo e lo stile originari. Ho incluso anche una serie di balli che erano registrati ed annotati in Internet. Infine anche Noretta Nori, con la quale ho condiviso momenti di scambio di reciproche cono-scenze nella mia casa a Ljubljana e nella sua a Roma, mi ha dato alcuni frutti della sua ricerca.

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NOTA DELL’AUTORE 11

La purezza linguistica, la terminologia e la parte prevalentemente tecnico-fisica sono state perseguite in modo accurato dalla curatrice del presente manuale No-retta Nori e da Peter Suhadolc. Ad entrambi i miei più sinceri ringraziamenti per il loro impegno e la loro collaborazione. Non posso inoltre tralasciare di menzionare Giuseppe Michele Gala, autore di innumerevoli studi sui balli popolari italiani, che ha gentilmente concesso di utilizzare le sue annotazioni pubblicate in “Choreola“, tuttavia senza concedermi la visione diretta dei video!

A chi è rivolto il trattato? Chi lo adopererà? Sono certo che verrà in primo luogo usato da ben motivati dirigenti di gruppi folkloristici che potranno conoscere ed usare materiale relativamente originale per le loro coreografie. Inoltre sarà certa-mente utile ai maestri di scuola che potranno in tal modo educare i bambini ed i giovani alla conoscenza dei balli popolari. Ho pensato a loro quando talvolta ho aggiunto al ballo un’adeguata melodia di accompagnamento, non proprio origi-nale, poiché un ballo senza accompagnamento non è un vero ballo. Pertanto il manuale è scritto in modo da essere letto e capito anche da autodidatti.

Alla fine un ringraziamento particolare è dovuto al Presidente dell’Unione Fol-clorica Italiana, Maurizio Negro, e ai suoi molti collaboratori il cui contributo ha portato alla pubblicazione di quest’opera.

Bruno Ravnikar

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Ringraziamenti della Curatrice

Un grazie particolare all’autore Bruno Ravnikar per aver consentito di ricostruire con paziente collaborazione le tappe fondamentali del delinearsi di un approccio sloveno alla cinetografia Laban e per aver supportato la ricerca delle fonti bibliografiche della letteratura folklorica dell’ex Jugoslavia. Ringrazio Flavia Pappacena e Elena Bertuzzi per i preziosi consigli di impostazione teorica e analitica, Ina von Puttkamer per le traduzioni dal tedesco, Peter Suhadolc per la sua indispensabile opera di mediazione con l’autore sia dal punto di vista linguistico che tecnico, Maurizio Negro che in qualità di presidente dell’UFI ha sostenuto con fermezza la realizzazione dell’edizione italiana del manuale. Ed ancora Placida Staro, Salvatorangelo Pisanu, Francesca Falcone, Giovanni Giuriati, Luigi D’Agnese, Franca Tarantino, Anna Cinzia Villani, Giuseppe Biondo, Venizio Licio Bregant e Alessandro Fascetti per scambi e confronti di idee. Infine Mario Ligas, Tonino Spanu, Marco Cignitti, Gino Ricca, Michele Gasparetto, Cristina e Franco Falasca, Roberto D’Agnese, Antonella Bonetto e molti altri suonatori e danzatori tradizionali per avermi introdotto alla conoscenza di saperi relativi alle loro tradizioni danzate.

Noretta Nori

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Noretta Nori

INTRODUZIONE A

CINETOGRAFIA E BALLO POPOLARE

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Introduzione. I fili della memoria: un approccio sloveno alla cinetografia Laban

Rudolf von Laban […] ha consegnato la sua cinetografia ai danzatori di tutto il mondo per utilizzarla. Con questo la nostra eredità spirituale è stata arricchita di un modo completamente nuovo di scrittura che dovrebbe rendere finalmente possibile descri-vere il ballo, la più fuggente di tutte le arti.Kurt Jooss, Essen, dicembre 19551

Legami e tracce e di storia Nel ripensare il legame tra la cinetografia Laban e il diffondersi nell’attuale Slo-venia di una consistente applicazione di questo metodo di trascrizione del movi-mento nel campo degli studi folklorici, il maestro e cinetografo Bruno Ravnikar (nato a Lubiana nel 1930) tratteggia con decisione quegli eventi, per altro già noti ai conoscitori della biografia di Rudolf Laban, in cui si intrecciano le personalità po-liedriche dell’ideatore del sistema e di Albrecht Knust, l’allievo che continuò a ela-borare la cinetografia in Germania, dopo il trasferimento di Laban in Inghilterra. L’intento è quello di rintracciare le figure di artisti e ricercatori che nell’ambiente culturale della ex Jugoslavia, dagli anni Trenta in poi, hanno veicolato e favorito il delinearsi di un approccio jugoslavo alla cinetografia Laban sviluppatosi all’inter-no del campo di studi e di ricerche sulle danze popolari in questo paese. Insieme andiamo alla ricerca di dati bibliografici e tracce delle biografie di Laban e Knust che confermano il percorso della memoria del maestro Ravnikar.

Note biografiche a confronto Rudolf von Laban (1879-1958) nasce a Pozsony nell’allora Regno di Ungheria, par-te dell’Impero Austro-Ungarico, e dal 1919 capitale della Slovacchia con il nome di Bratislava. Presto dimostra un grande interesse per l’arte. Grazie al padre, generale dell’esercito austroungarico, conosce la grande varietà delle coreografie legate alle marce e parate militari e ha la possibilità di viaggiare visitando i Balcani, le coste adriatiche, la Bosnia e l’Erzegovina. L’esperienza del viaggio influenzerà in modo determinante la sua personalità portandolo alla conoscenza diretta di tradizioni rituali e cerimoniali, come i rituali sufi dei dervisci rotanti, le danze rituali della spada e le danze popolari in genere2. Inizia intanto a condurre le prime esperienze artistiche nel campo del teatro e del disegno. Nel 1899, incoraggiato dai genito-

1 Jooss, (1956, pagg. VII-VIII, traduzione di Ina von Puttkamer).2 Cfr. Laban (1975) e (1999), Maletic (1987) e (2011), ecc.

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ri, è cadetto presso l’Accademia Militare di Vienna che abbandonerà però l’anno successivo per studiare all’Accademia di Arte di Monaco assecondando le proprie inclinazioni. Si avvia qui allo studio dell’anatomia e della fisiologia iniziandosi an-che alle avanguardie artistiche. Raggiunge Parigi dove conosce l’estetica applicata e la teoria sulla riscoperta del corpo espressivo di François Delsarte (1811-1871). Molto probabilmente già durante il soggiorno a Parigi (1904-1909) inizia a pensare a un sistema di simboli per trascrivere il movimento e più tardi si dedicherà allo studio del sistema Beauchamps-Feuillet, di cui elaborerà una trasposizione in cine-tografia nel 19363. Sin dai primi tempi il suo intento è quello di ideare un sistema in grado di rappresentare graficamente qualsiasi tipo di movimento, e quindi non legato ad un particolare stile4. Torna a Monaco dove continua a studiare gli antichi sistemi di trascrizione del mo-vimento e le teorie di Noverre. Conosce i metodi di Emile Jaques Dalcroze (1865-1950) e della Körperkultur. Decide di dedicarsi in maniera totale all’arte della danza e del movimento. In località Monte Verità nei pressi di Ascona, comune svizzero del Canton Ticino sul Lago Maggiore, polo magnetico di convergenza di idee, ten-denze, sperimentazioni, in qualità di direttore di un festival estivo realizza i suoi i primi esperimenti sulle improvvisazioni, sulle danze all’aria aperta con costumi ru-dimentali. Sempre a Monaco fonda l’Atelier Rudolf von Laban-Varaja per la danza e l’arte scenica e attua i primi lavori sperimentali senza la musica e con la pratica della voce. Allo scoppio della prima guerra mondiale si trasferisce a Zurigo dove partecipa alle ‘soirées dada’, fonda una Laban School, lavora sull’armonia dello spazio e la pedagogia del movimento, e continua i suoi tentativi di notazione5. Dopo il conflitto si trasferisce a Stoccarda dove fonda la compagnia Tanzbühne Laban, e pubblica Die Welt des Tänzers (The Dancer’s World). Nel 1921 avviene l’incontro con Albrecht Knust (1896-1978), Kurt Jooss (1901-1979), Sigurd Leeder (1902-1981). Stabilisce ad Amburgo la sede centrale della sua scuola. Seguono varie tournées in Europa e negli Stati Uniti. Nel 1926 pubblica Des Kindes Gymnastik und Tanz (Children’s Gymnastic and Dance), Gymnastik und Tanz (Gymnastic and Dance), e il suo primo libro sulla scrittura del movimento, Choreographie6. Fonda a Würzburg il Choreographiches Institut che nel 1928 è trasferito a Berlino. In questo stesso anno, durante il II Congresso Nazionale dei danzatori, organizzato da Kurt Jooss a Essen, avviene la presentazione ufficiale di Choreographie e di Choreologie, il primo come sistema di notazione, il secondo come sistema teorico. Viene anche fondata una società per la promozione della scrittura che ha come organo di diffusione il periodico “Schrifttanz”7.

3 Cfr. Lecomte, Louppe, Poudru, Roucher, Rousier, Schwartz, Seguin (2009, pagg.107-123).4 Cfr. Laban (2009, pag. XI).5 Cfr. Laban (2007, pagg. 194-196).6 Laban (1926).7 Laban (1928).

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INTRODUZIONE. I FILI DELLA MEMORIA: UN APPROCCIO SLOVENO ALLA CINETOGRAFIA LABAN 17

Prima della seconda guerra mondiale è attivo all’Opera di Berlino, nonostante la sua impopolarità presso la direzione. Com’è noto, in quegli anni il teatro in Ger-mania è sotto il controllo del Reichskulturkammer, e Lizi Maudrick, compagna della moglie di Göring, allontana Laban e la sua scuola dall’Opera di Berlino. Nel 1936, infatti, dopo aver ricevuto l’incarico di organizzare un evento di danza per l’apertura dei giochi olimpici di Berlino, la sua coreografia è proibita dal regime nazista. Perseguitato dalla Gestapo, vengono chiuse tutte le sue scuole e nel 1938 emigra in Inghilterra accolto da Jooss, che già emigrato aveva fondato una scuola a Dartington Hall. Laban riprende la sua attività e insieme a Lisa Ullmann fonda a Manchester l’Art of Movement Studio8. Durante i suoi ultimi anni continua a dedicarsi a molteplici campi di indagine sul movimento: formula la teoria dell’ef-fort e indaga con F.C. Lawrence sui percorsi ottimali nella produzione manuale e industriale pubblicando sull’argomento Effort (1947); torna a sviluppare le sue idee sulla danza educativa nelle scuole pubblicando Modern Educational Dance (1948); riprende ad elaborare le sue idee sulla relazione tra la motivazione interiore del movimento e le funzioni del corpo riaffermando la consapevolezza del movimento come forma di pensiero in The Mastering of Movement on the Stage (1950). Pubblica Principles of Dance and Movement Notation nel 1956. Muore nel 1958 a Addlestone9. Albrecht Knust10, dal 1922 assistente di Laban e grande appassionato di cineto-grafia, rimasto a Berlino prosegue l’elaborazione della scrittura del movimento e già nella seconda metà degli anni Trenta inizia a pubblicare alcuni supplementi al nuovo sistema. Nel 1934, quando Kurt Jooss, dopo aver vinto il concorso degli Archives internationales de la danse del 1932 con la famosa coreografia La table verte (Der Grüne Tisch), lascia la Germania per trasferirsi in Inghilterra, Knust assume la direzione del Central Laban School11 Folkwangschule12 di Essen. Nel 1935 fonda a Berlino il Bureau de la notation. Tornato ad Amburgo per motivi politici si dedica soprattutto alla scrittura del suo primo libro. Nel 1938 scrive quello che può essere considerato la prima stesura del Dictionary. Negli anni tra il 1938 e il 1945 è ‘nota-tore’ alla Bayerische Staatsoper, una delle prime compagnie a rendere pienamente effettiva l’applicazione professionale della notazione. Nel 1951 Jooss, tornato in Germania, lo richiama alla Folkwangschule per fondare il Kinetographisches In-stitut. Nel 1956 Knust pubblica il suo primo libro di cinetografia, Abriss der Kineto-

8 Nel 1958 la scuola si spostò da Manchester a Addlestone nel Surrey, ed ancora nel 1975 in New Cross a Londra dove fu rinominata Laban Centre for Movement and Dance. Nel 1997 diventò Laban Centre London.

9 Cfr. Delfini (1994); Hodgson (2001, pagg. XV-IX); Laban (2007, pagg. 194-196); Laban (2009, pag. VII).

10 Da Knust (1956). 11 Il Central Laban School di Berlino era stato spostato ad Essen sotto la direzione di Jooss.12 La Folkwang Università delle Arti oggi è la sede della compagnia di danza internazionale Folk-

wang Tanz Studio (FTS). Fondata come il nome di Folkwangschule, dal 1963 fino al 2009 il suo nome è stato Folkwang Hochschule.

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graphie Laban, nel 1979 è pubblicato postumo il secondo, A Dictionary of Kinetography Laban (Labanotation), in cui al sistema di trascrizione dei balli viene dato il nome ‘kinetography Laban’ in memoria del suo creatore. Tra i fondatori dell’International Council of Kinetography Laban (ICKL), ne diviene il presidente nel 1969. Continua a lavorare alla Folkwangschule e muore improvvisamente nel 1978. Nelle note sulla biografia di Knust del Dictionary leggiamo che mentre Laban dedicò solamente una parte delle sue energie allo sviluppo della notazione, Knust si dedicò a tempo pieno a questo compito e presto diventò il principale esperto in Germania13.

Fig. 2 – Albrecht Knust. Foto tratta dalla copertina di A Dictionary of Kinetography pubblicato postumo nel 1979.

Fig. 1 – Rudolf Laban presenta il suo sistema di cinetografia. Foto tratta, senza data e luogo, dal libro di Pino Mlakar, Ples kot umetnost in gledališče, Srečne zgodbe bolečina (La danza come arte e teatro, Storie felici e di dolore) del 1999.

Kinetographie Laban e LabanotationIn questo paragrafo è tratteggiato un breve percorso delle motivazioni storico-culturali che hanno portato alla differenziazione tra l’approccio alla cinetografia Laban praticata nell’Europa Centro Orientale e la Labanotation in uso nei paesi di lingua inglese. L’intento esplicito non è quello di analizzare analogie e differenze tra i due indirizzi di uno stesso sistema di trascrizione del movimento, che rima-ne integro nei suoi principi basilari, ma solo comprendere gli eventi che hanno accompagnato il processo di diversificazione della scrittura, perché utile a dare continuità culturale al filone jugoslavo strettamente legato all’opera di Knust e di alcuni suoi allievi. La lettura dell’Introduzione di Abriss (Amburgo 1956) scrit-ta dall’autore, assieme a quella della Prefazione firmata da Kurt Jooss, rende con

13 Biografia di Knust (1979) in copertina.

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chiarezza lo svolgersi di questa storia. Se nelle parole di Knust sono evidenti i segni dell’isolamento culturale dovuto agli eventi storici, il riconoscimento del proces-so di differenziazione e il tentativo di superamento attraverso una forte tensione all’incontro e alla comprensione, Jooss, invece, rende evidente che, anche se alcuni simboli della cinetografia hanno subito delle modificazioni a livello grafico, l’idea base del sistema rimane inalterata. Egli sembra offrirci, con quel distacco necessa-rio ad uno sguardo più obiettivo, un quadro sintetico del processo di elaborazione e successiva evoluzione della cinetografia, in cui emergono la matrice originaria e unificatrice del pensiero labaniano e il successivo sviluppo del sistema ad opera dei suoi discepoli di ‘seconda’ e ‘terza’ generazione. Ma entriamo nei particolari. Knust riconosce che, se i ‘principi’ della cinetografia Laban, grazie alla loro sempli-cità, chiarezza e precisione, continuano nel tempo a dare prova di grande validità mantenendosi invariati, nell’ambito dell’ortografia, invece, l’aumento della pratica della scrittura ad opera dei diversi studiosi rende il sistema “vario e raffinatamente differenziato”. Per questo motivo – racconta – sin dai primi anni della sua ideazio-ne, furono organizzate varie conferenze sulle modalità di scrittura al fine di con-frontarne le diverse esperienze pratiche e unificarne le regole: a Bayreuth nel 1930, a Essen nel 1934, a Berlin nel 1935, nel 1937 a Dartington Hall in Inghilterra. Pro-prio in occasione di quest’ultima conferenza, Knust pubblicò una prima edizione di Abriss da utilizzare come libro di riferimento e base per gli incontri con Sigurd Leeder, che nel frattempo operava in Inghilterra14. Egli rileva che proprio gli eventi politici tra il 1938 e il ’48, secondo decennio dall’invenzione della cinetografia, ne influenzarono fortemente lo sviluppo. Infatti se da un lato l’emigrazione di molti allievi ne facilitò la diffusione, in particolare in Inghilterra e negli USA, dall’altro gli anni della guerra, con la sospensione delle conferenze sulla scrittura, impediro-no la comunicazione tra gli studiosi, provocando un isolamento che compromise lo sviluppo omogeneo dell’applicazione in dettaglio delle sue regole. Knust racconta di aver dedicato gli anni 1946-1950 esclusivamente alla scrittura di quella che riteneva la sua opera più importante, A Dictionary of Kinetography La-ban (Labanotation), una produzione vastissima che verrà pubblicata solo nel 1979 a Plymouth in Inghilterra. Consapevole che la mole di quest’opera (otto volumi, 2400 pagine, 20.000 esempi) avrebbe reso improbabile una sua pubblicazione a stampa in tempi brevi, e tuttavia, per renderla comunque accessibile, dato il va-lore di fondamento e di riferimento che le attribuiva al fine della reciproca com-prensione tra i rappresentanti dei diversi indirizzi, Knust elaborò cinque copie del manoscritto originario per consegnarle, intanto, a quelle persone che riteneva fossero più interessate. Nella Introduzione egli elenca i destinatari di queste co-pie e i luoghi in cui furono conservate: un esemplare dato a Rudolf von Laban in

14 Nel 1942 una seconda edizione viene pubblicata a Monaco durante la sua attività di cinetografo dell’Opera Statale Bavarese (Knust 1956, pag. IX).

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occasione del suo settantesimo compleanno fu depositato presso l’Art of Move-ment Centre di Addlestone in Inghilterra; due esemplari si trovano invece negli Stati Uniti, l’uno consegnato ad Ann Hutchinson, direttrice del New York Dance Notation Bureau, l’altro a Juana de Laban, che lo donò alla Harvard University. Il quarto esemplare – notizia per noi interessante – fu regalato ai maestri di balletto Pia e Pino Mlakar, che operavano in Jugoslavia ed in particolare a Lubiana. Men-tre il quinto, tenuto per sé, venne affidato alla biblioteca del Kinetographisches Institut alla Folkwangschule di Essen. Infine, una copia in microfilm si trova nella New York Public Library. Il processo di diversificazione continuò anche se, non appena le condizioni politi-che lo consentirono, ripresero le conferenze sulla scrittura: nel 1950 a Manchester, nel 1951 a Londra, nel 1952 ad Essen, nel 1953 e 1954 ad Addleston, nel 1954 ad Essen. Knust le considerava occasioni di stimolo e d’incontro, ma le sue parole “nell’attesa di poter trovare una soluzione soddisfacente per tutti” denunciano la differenza e il mantenimento di posizioni proprie da parte degli esponenti dei due indirizzi. In definitiva, riconoscendo l’inevitabile differenziazione, Knust conclu-de constatando che il libro di Ann Hutchinson, Labanotation, pubblicato nel 1954, contiene le regole di scrittura cinetografiche sviluppate e raccolte dal New Yorker Dance Notation Bureau, mentre il suo libro riunisce le regole di scrittura che egli stesso ha raccolto e presentato in Germania. Quindi, Abriss, nato nel 1937 come libro di sostegno teorico per l’incontro con l’amico Leeder, riedito nel 1942 con finalità didattiche per l’apprendimento autodidatta, nell’edizione del ’56, intorno agli anni della guerra fredda e del blocco sovietico, si carica di un terzo compi-to: mostrare le differenze ancora esistenti tra i due indirizzi “attraverso esempi e contro esempi”. Le parole di Knust sono il segno di quanto già a quei tempi potesse essere marcato il processo di differenziazione. Egli dichiara di essersi im-pegnato, già in Abriss, a mettere il più possibile in evidenza le differenze tra le sue versioni e quelle della Labanotation e spera che, grazie alla sua pubblicazione, i colleghi americani e inglesi possano trovare i cinetogrammi scritti in Germania comprensibili, così come i colleghi tedeschi possano decodificare i cinetogrammi scritti secondo le regole della Labanotation15. Vale la pena qui ricordare che Knust, dopo pochi anni dalla pubblicazione dell’Abriss, divenne cofondatore dell’Inter-national Council of Kinetography Laban / Labanotation (ICKL), nato nel 1959 al fine di promuovere l’uso del sistema, favorire l’informazione e lo scambio fra i centri e gli studiosi che lo utilizzavano, sorvegliare l’uniformità e la coerenza dell’applicazione delle regole ortografiche e delle norme di condotta all’interno del sistema16.

15 Knust (1956, pag. XI).16 Da: http://www.ickl.org/Pages/ickl03.html.

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Il quadro di Knust è confermato da Jooss che conclude la sua prefazione attraver-so una sintesi in cui viene resa, come in un albero genealogico, la discendenza della cinetografia labaniana. Secondo Jooss il merito dell’ulteriore sviluppo del sistema, naturalmente sotto la guida di Rudolph von Laban, è da attribuire ad Albrecht Knust in Germania e a Sigurd Leeder, suo collaboratore da tanti anni alla Jooss-Leeder School of Dance, a Dartington Hall in Inghilterra. A loro il merito di aver reso la cinetografia un tipo di scrittura utilizzabile. Mentre Knust continuò a realiz-zare il suo impegno presso l’Istituto Cinetografico alla Folklwangschule di Essen, Leeder operava in Inghilterra insieme a Laban e la sua collaboratrice Lisa Ullman. Un particolare riconoscimento attribuisce ad Ann Hutchinson che considera come guida di quella che chiama ‘terza generazione’. Formatasi a Dartington Hall, allie-va di Sigurd Leeder, la Hutchinson ha giocato un ruolo di enorme importanza nel New York Dance Notation Bureau per avere introdotto la scrittura in America e aver contribuito al suo sviluppo. Al suo libro Labanotation va il merito di aver reso popolare la scrittura di danza nel mondo di lingua inglese. Nell’intento di soste-nere il valore della cinetografia Laban, Jooss scrive che molte partiture complete di grandi ‘balletti polifonici’ con tutti i loro movimenti, sia solistici che di gruppo, sono stati utilizzati da maestri come George Balanchine, Martha Graham, Agnes de Mille, Doris Humphrey, Charles Weidman e molti altri in America. Per quanto riguarda la Germania egli fa riferimento esclusivamente all’operato di Pia e Pino Mlakar che durante la loro attività artistica a Monaco, secondo un’impostazione data dal Maestro, trascrissero le partiture complete dei loro balletti, continuando anche a Lubiana in Slovenia, loro paese d’origine. Conclude esprimendo la sua gratitudine a Knust, pedagogo di danza e maestro di balletto, per l’adempimento e la realizzazione di un sogno di innumerevoli generazioni di ballerini.

I fili della memoria: Mlakar e la ricerca sulle danze folkloriche nell’ex Jugoslavia

La copia del manoscritto del manuale di cinetografia consegnata da Knust a Pia e Pino Mlakar è il filo che in questa narrazione congiunge l’indirizzo di Knust all’approccio etnografico jugoslavo. Pino e Pia Mlakar17, considerati promotori e fondatori della danza teatrale in Slo-venia, contribuirono a diffondere l’uso della cinetografia in Jugoslavia. Trovo conferma in una recente e bellissima opera autobiografica di Mlakar mostra-tami dallo stesso Ravnikar nella sua casa a Lubiana. Insieme leggiamo ed ammi-riamo le foto dei due danzatori che raccontano ancor più della scrittura l’intensità della loro vita. Pino nel 1926 si reca a studiare al Rudolf Laban Choreographic In-stitute di Amburgo dove prende parte alle coreografie realizzate da Laban. Tra le

17 Pino Mlakar era sloveno, nato a Novo Mesto (1907-2006). Pia Maria Luiza, Beatrice Scholz (1910-2000).

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altre materie apprende la cinetografia e confessa che per la prima volta “la danza gli apparve come un complesso di corpo, spazio e tempo”18. Nel 1927 si diploma e conosce la moglie Pia. Tra il 1928 e 1929, insieme, raggiungono il Choreographisches Institut Laban di Berlino, dando inizio ad un brillante sodalizio nella vita e nell’arte che li vedrà uniti per 73 anni19. Tornati in Slovenia vi introducono tra l’altro la cinetografia sviluppandone una forte tradizione in ambito teatrale, ma recepita anche tra i folk-loristi come metodo di trascrizione e di ricerca.Ancora nella casa di Lubiana proseguiamo con Ravnikar a leggere tra le sue me-morie sfogliando pubblicazioni in sloveno20. Dato il ricchissimo patrimonio folk-lorico, in Jugoslavia si sviluppa un interessante clima di fermento per la raccolta e catalogazione dei repertori di danze dei vari gruppi etnici. Molti ricercatori di balli popolari, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, utilizzano nelle loro pubblicazioni sistemi diversi di notazione ed analisi, che prendono il nome da folkloristi ed etnocoreologi di emergenza nelle varie aree regionali. Tra questi van-no ricordati in Slovenia l’attività della folklorista Tončka Marolt21, in Croazia quel-

18 Mlakar (1999, pag. 92).19 Sempre insieme ebbero un ruolo di spicco nell’ambiente della danza tra gli anni Trenta e Quaran-

ta, ricordati tra i maggiori interpreti, coreografi e maîtres de ballets nei maggiori teatri della Ger-mania, Svizzera, Jugoslavia e Cecoslovacchia. Dopo la guerra Mlakar fu il primo presidente della Ballet Society di Jugoslavia ed è stato per 25 anni professore presso l'Accademia di Teatro, Radio, Cinema e Televisione di Lubiana. Per il suo lavoro ha ricevuto per tre volte il Premio Prešeren ed è stato anche cittadino onorario di Lubiana e Novo Mesto.

20 Ravnikar (1969, 1980, 2004).21 Marolt (1935/1954).

Fig. 3 – Pia e Pino Mlakar durante il balletto di repertorio jugoslavo Vrag na vasi (Il diavolo nel villaggio), musica di Lhotka Franz, nel ruolo di Jela e Mirko, nel 1935, anno in cui Pino era maestro di balletto a Zurigo.

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la di Vinko Žganec22, in Serbia Ljubica e Danica Janković23, in Macedonia Gančo Pajtondjiev24. Ma già nel 1956 il noto folklorista Ivan Ivančan25 pubblica il primo libro dei balli popolari croati utilizzando anche la cinetografia Laban.Nel 1955 viene organizzata a Bjelašnica in Bosnia l’Assemblea dell’Unione dei Folkloristi jugoslavi alla cui realizzazione collabora lo stesso Pino Mlakar. In que-sta sede si decide di accettare la cinetografia come sistema unico di notazione dei balli popolari e, poiché viene osservato che questi balli non utilizzano una gran parte di movimenti complessi e di posizioni del balletto classico, si conviene di uti-lizzare un sistema cinetografico semplificato il cui grado di semplificazione viene lasciato alla discrezione del notatore. Il maestro Ravnikar racconta divertito:

Non si può certamente sostenere che in quella occasione non vi fosse, tra gli studiosi jugoslavi, chi sollevava forti dubbi riguardo all’adozione del nuovo sistema. Ma Valens Vodušek, diretto-re dell’Istituto per il Folklore di Ljubljana e convinto sostenitore del metodo, organizzò durante l’Assemblea un interessante esperimento realizzato da Pino Mlakar e dal suo assistente Henrik Neubauer. Mentre l’assistente si recava fuori della sala dell’assemblea, Pino Mlakar invitò qualcuno dei folkloristi presenti a mostrare una danza popolare che egli prontamente trascrisse su una grossa lavagna. Richiamato l’assistente nella sala, questi, tra la sorpresa dei presenti leggendo i cinetogrammi eseguì il ballo alla perfezione.26

Ravnikar sorride soddisfatto e continua il suo racconto mostrandomi i testi scrit-ti dai folkloristi delle varie regioni della Jugoslavia, che dopo l’Assemblea di Bjelašnica, anche se con tempi diversi, iniziano a pubblicare e catalogare le raccolte dei repertori etnici in cinetografia Laban. Così nel 1958 in Slovenia vengono pub-blicate la raccolta di Marija Šuštar27 e quella di Iko Otrin e Marija Jagodič28, nel 1977 appare il primo libro di balli macedoni ad opera di Mihajlo Dimoski29 e nel 1980 di Olivera Vasić30 sulle danze popolari della Serbia. Vladimir Šoć31 trascrive i balli del Montenegro nel 1984. Sinora sul territorio dell’ex Jugoslavia sono stati scritti con cinetogrammi e pubblicati più di mille balli popolari. Siamo così giunti a parlare di Bruno Ravnikar, autore della presente pubblicazione Cinetografia e Ballo Popolare, ma poiché il nostro compito è solo quello di tendere i fili della memoria al fine di ricostruire il percorso che ci conduce alla comprensione

22 Žganec (1916).23 Janković (1934-1964). 24 Pajtondjiev (1953).25 Ivan Ivančan (1956, 1963). 26 Da una intervista a Lubiana nella casa dell’autore nel novembre 2009.27 Šuštar (1958).28 Otrin, Jagodič (1958).29 Dimoski (1977).30 Vasić, Golemović (1980).31 Šoć (1984).

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di un approccio jugoslavo alla cinetografia Laban, rimandiamo la lettura della sua biografia più particolareggiata in appendice, mentre ci limiteremo in questa sede a ripercorrere solo quelle tracce necessarie a completare il nostro quadro. Ravnikar racconta che dopo il 1957 attraverso l’amicizia di Valens Vodušek viene a conoscenza del sistema di cinetografia Laban e comincia ad apprenderlo – sottoli-nea – dalla “fonte diretta” ovvero dalle pubblicazioni di Knust, secondo quella tra-dizione di studi cinetografici che si era sviluppata in Jugoslavia dopo l’Assemblea di Bjelašnica. Divenuto presidente del neonato Comitato per l’attività folklorica della Slovenia, pubblica il suo primo libro Koreografija ljudskega plesa (La coreogra-fia del ballo popolare) nel 196932 al fine di fornire ai responsabili dei gruppi folclo-ristici sloveni un manuale di studio che contenesse le basi della cinetografia. Nel 1970 nella cittadina francese di Confolens33 è tra i dieci fondatori della nuova orga-nizzazione folkloristica internazionale, il CIOFF (Conseil International des Organi-sations de Festivals de Folklore et d’Arts Traditionels). Nello stesso anno organizza in Slovenia i primi corsi specialistici per responsabili di gruppi folkloristici e negli anni successivi (dal 1971 al 1990) è chiamato come esperto di cinetografia presso la scuola jugoslava estiva di folklore, che si teneva ogni anno nell’isola di Badi-ja presso Korčula (Curzola), divenendone professore stabile. In questa occasione, per offrire un supporto didattico ai suoi allievi, pubblica nel 1980 Kinetografija34, il suo lavoro più noto dotato di una raccolta di 300 balli popolari jugoslavi. Nel 2004 pubblica Kinetografija, ples in gib35 (Cinetografia, ballo e movimento). La sua brillante carriera di docente di cinetografia lo vede impegnato inoltre in Gran Bre-tagna (Sidmouth 1990), in Svizzera (Martigny 1994), in Russia (Novosibirsk 1995) e attualmente anche in Italia.

Alcune particolarità dell’approccio jugoslavo alla cinetografia presentata da Bruno Ravnikar

Il manuale di Bruno Ravnikar si pone come guida all’insegnamento della cineto-grafia seguendo – secondo la tradizione jugoslava – i principi basilari formulati da Albrecht Knust, allievo di Laban, ma attraverso un approccio semplificato perché finalizzato allo studio delle danze popolari secondo i comuni accordi adottati dai folkloristi jugoslavi nel 1955 durante l’Assemblea di Bjelašnica. Il libro vuole essere un testo di riferimento per i propri corsisti36, ma anche di insegnamento per chi, in forma autodidattica, voglia avvicinarsi alla scrittura della danza. Lo stesso Knust

32 Ravnikar (1969). 33 Confolens in Francia è famosa per l’organizzazione del Festival des Arts e Traditions Populaires

du Monde, ormai alla sua 53a edizione.34 Ravnikar (1980).35 Ravnikar (2004).36 Dal 2006 il Maestro Ravnikar conduce in Italia corsi di formazione sulla cinetografia Laban rivolti

a gruppi folkloristici e organizzati dall’Unione Folclorica Italiana (UFI).

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d’altra parte – come spiegava nell’introduzione di Abriss – considerava il suo trat-tato come “una linea guida per l’insegnamento della cinetografia” e prevedeva la possibilità che ogni istruttore di cinetografia potesse elaborare, secondo le proprie finalità e metodologie didattiche, l’organizzazione del materiale37. Le modalità metodologiche con cui il nostro autore propone l’apprendimento dei segni e delle regole di scrittura, con relative esemplificazioni, attribuiscono alla pubblicazione le caratteristiche del manuale pratico, che si sostanzia della lunga esperienza e competenza, maturata sul campo, in qualità di istruttore di corsi spe-cialistici di cinetografia organizzati nell’ambito folkloristico, non solo nei paesi dell’ex Jugoslavia, ma anche in campo internazionale. Abile danzatore, conoscitore ed esecutore dei repertori delle danze di area jugoslava, egli coniuga la sua compe-tenza in materia di movimento con una metodologia di insegnamento fortemente basata su un’applicazione mnemonica della modalità di scrittura, come è evidente dalle parole con cui dà il via al suo manuale: “La costruzione della cinetografia è molto semplice e logica ed è basata su pochi segni e principi che possono essere ricordati senza difficoltà”38. Di conseguenza il suo approccio, più che poggiare su un’approfondita analisi del movimento e dei principi analitici attraverso cui si è sviluppato il sistema cinetografico, presenta rapide soluzioni di scrittura raggiunte attraverso una prassi consolidata. È per questo motivo che, nel manuale pratico che stiamo presentando, non vengo-no affrontate alcune basilari argomentazioni quali i concetti di cinesfera39 e delle distanze prossimali e distali relative al punto di origine da cui si determinano le direzioni del movimento; le definizioni delle componenti che costituiscono la for-ma del movimento (spazio, tempo, peso, flusso); le definizioni di asse del corpo e degli ideali piani geometrici40 con cui di solito vengono impostate le analisi sul movimento. In altre parole quei concetti attraverso cui è possibile esplorare l’orga-nizzazione del movimento nello spazio. Come una lingua che si evolve e si modifica in relazione al contesto in cui viene parlata, la cinetografia presentata da Ravnikar, pur in un’estrema coerenza al siste-ma originario di regole d’indirizzo europeo, presenta alcune particolarità nell’uso dei segni legate all’approccio jugoslavo, ed evidenziate nel manuale per mezzo di note. In particolare si possono osservare delle differenze in relazione ad alcune del-

37 Knust (1956, pag. XI).38 Cfr. nel capitolo La cinetografia a pag. 73. 39 La cinesfera o sfera di movimento è la parte di spazio attorno al corpo formata dall’insieme di

punti che si possono raggiungere con gli arti, normalmente tesi, senza modificare la propria posi-zione, ovvero il punto di supporto. (Laban 2009, pag. 56).

40 Il piano sagittale, piano verticale che attraversa il corpo anteroposteriormente e lo divide nella metà destra e nella metà sinistra; il piano laterale o frontale che attraversa il corpo lateralmente e lo divide nella metà anteriore e nella metà posteriore; il piano orizzontale che lo attraversa a metà nella sua altezza e lo divide nelle metà inferiore e superiore.

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le terminologie comuni in altri manuali di cinetografia41. Ad esempio, per indicare il livello ‘medio’ è stato adottato il termine ‘normale’, modalità che l’autore pone in relazione alle consuetudine pratica, sviluppatasi in Jugoslavia sin dalle prime tra-scrizioni descrittive dei balli popolari, che utilizzava il termine ‘passo normale’ per indicare un passo eseguito senza una particolare flessione o senza alzare il tallone da terra per camminare sull’avampiede. Di conseguenza, nella prassi della scrit-tura, il termine ‘normale’ è stato applicato anche ai gesti. Tra le altre particolarità, dal punto di vista della terminologia, si può rilevare che, in linea con l’indirizzo di Knust42, è stato adottato il rigoroso uso del termine ‘segno’ per indicare sia i segni ‘primari’ che quelli ‘secondari’43. I cosiddetti ‘segni di ampiezza’ vengono chiamati ‘segni aggiuntivi per corto e per lungo’44; le denominazioni delle direzioni oblique (diagonali) e le combinazioni di direzione e di livello, sia in relazione ai supporti che ai gesti, sono rese per mezzo di un trattino: avanti-alto, sul posto-basso, indie-tro-sinistro-basso, ecc. Di conseguenza i termini diagonale o direzione obliqua non vengono usati45. Particolarmente interessante è la convenzione utilizzata per definire gli angoli di flessione del ginocchio e del gomito ottenuta calcolando il grado di ampiezza del movimento piuttosto che l’angolo che si forma tra il segmento in movimento e quello adiacente, come indicano Knust46 e altri manuali europei quale quello di Challet-Haas47. Ne consegue che ciò che Knust rappresenta come 150 gradi che se-parano la coscia dalla gamba nel punto del ginocchio o il braccio dall’avambraccio nel punto del gomito, Ravnikar lo visualizza come 30° di ampiezza del movimento di flessione. Si tratta – come precisa lo stesso autore – di una semplificazione volta a rendere in modo più intuitivo e immediato la piccola flessione con un piccolo angolo di flessione48.Per quanto invece riguarda l’uso di un approccio semplificato alla cinetografia – a cui si è già accennato e rispondente alla finalità della trascrizione di danze popo-lari secondo i comuni accordi adottati dai folkloristi jugoslavi nel 1955 –, esso può

41 Cfr. i manuali nelle lingue inglese, francese, italiana e tedesca Knust (1979), Hutchinson Guest (2005), Challet-Haas (1999), Carbone, Staro (1987).

42 Anche nel manuale francese di Jaqueline Challet-Haas, una delle allieve dirette di Knust, viene utilizzato esclusivamente il termine ‘segno’. Cfr. Challet-Haas (1999).

43 Per segni ‘primari’ intendiamo quei segni che rappresentano la direzione, il livello e la durata del passo o del gesto, i segni di rotazione e i segni che indicano le parti del corpo. In alcuni manuali questi segni sono chiamati ‘simboli’. Per segni ‘secondari’ intendiamo tutti quei piccoli segni (di deviazione, di posizione, di relazione, ecc.) che servono a modificare i segni primari. Cfr. Hutchinson Guest (2005) e Carbone, Staro (1987).

44 Cfr. nel capitolo La cinetografia, nota 4 a pag. 92.45 Cfr. nel capitolo La cinetografia, alle pagg. 84-85.46 Challet-Haas (1979 II, pag. 112, I pag. 256).47 Challet-Haas (1999 I, pag. 93).48 Cfr. nel capitolo La cinetografia, nota 5 a pag. 99 e nota 6 a pag. 102.

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essere rinvenuto nell’assenza di tutte quelle modalità complesse di scrittura del movimento relative alle trascrizioni di danza in ambito accademico e teatrale. Ma altri esempi di semplificazione sono: l’uso di soli tre segni per la descrizione delle parti della pianta del piede49, di due soli tipi di archi verticali50, il particolare uti-lizzo dei segni di orientamento51, l’uso di porre il tracciato del percorso circolare a destra sulla destra del rigo e quello del tracciato circolare a sinistra sulla sinistra52, l’uso di inscrivere i percorsi spaziali in un rettangolo chiuso, mentre in altri ma-nuali53 gli schemi spaziali sono inscritti in un rettangolo in cui il lato aperto simbo-lizza il lato del pubblico nella scena. Infine, anche per quanto riguarda i segni di ripetizione e di ripresa si potrebbero evidenziare particolarità che si aggiungono alle differenziazioni grafiche già presenti tra l’indirizzo americano e quello euro-peo ma che, sostanzialmente, lasciano inalterata l’efficacia del sistema54. Si riman-da quindi ai lettori più esperti la possibilità di individuarle. Vorrei infine specificare che, per ciò che riguarda l’esposizione del testo in italiano, ho ritenuto spesso di non dover modificare alcune modalità di espressione della scrittura dell’autore, per esempio il modo in cui sono formulati gli enunciati o sono presentati i simboli o descritti i movimenti, in quanto rivelatori della sua persona-lità essenziale e della sua didattica caratterizzata – come si è detto – da una impo-stazione pratica e legata ad una lunghissima esperienza di formatore di giovani generazioni di ‘danzerini’.

L’edizione italiana Alcune puntualizzazioni sull’impostazione adottata in questa edizione italiana del manuale. Poiché l’applicazione della cinetografia qui proposta è diretta – come mette in evidenza lo stesso titolo – alla scrittura di danze che vengono definite ‘balli popolari’, è bene specificare che il termine ‘ballo’, in questa pubblicazione, viene utilizzato come sinonimo di ‘danza’. L’aggettivo ‘popolare’ serve invece a connota-re una forma coreutica (danza o ballo) di larga diffusione presso una fascia socio-economica di abitanti di una medesima area geografica e con modelli di vita e di

49 Cfr. nel capitolo La cinetografia, nota 3 a pag. 88.50 Cfr. nel capitolo La cinetografia, nota 9 a pag. 128.51 Cfr. nel capitolo La cinetografia, nota 10 a pag. 134.52 Anche questa modalità deriva direttamenta da Knust (1979, pagg. 36-37), mentre secondo altri

manuali il tracciato del percorso, sia dritto che circolare, deve essere scritto esclusivamente sulla destra del rigo. Cfr. nel capitolo La cinetografia, nota 12 a pag. 143, Carbone, Staro (1987 I, pag. 38), Challet-Haas (1999 I, pag. 79), ecc.

53 Cfr. Challet-Haas (1999 I, pagg. 82-83), Hutchinson Guest (2004, pagg. 158-159). Cfr. nel capitolo La cinetografia, nota 11 a pag. 137.

54 Cfr. nel capitolo La cinetografia, nota 14 a pag. 150, Challet-Haas (1999 I, pagg. 73-74), Carbone, Staro (1987, pagg. 65-71).

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cultura omogenei. Possiamo chiamare popolari sia le danze originarie di una deter-minata area (ovvero ‘vecchi balli’, ‘etnici’, come per esempio le tarantelle nell’Italia del Sud, il trescone in area tosco-emiliana, i saltarelli e le saltarelle nel Centro Italia, ecc.), sia quelle ‘danze di società’ di larga diffusione europea che, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, furono apprese dagli strati popolari di varie comunità lo-cali e trasformate in modalità stilistiche autonome e creative (ovvero i ‘nuovi balli’, come venivano chiamati dai danzatori tradizionali, la polka, la mazurka, il valzer, lo schottisch, ecc.). Entrambi i tipi di balli possono essere considerati tradizionali55 se trasmessi da una generazione all’altra e ancora in uso in momenti aggregativi a carattere sia ricreativo che rituale. Secondo la prospettiva di studio dell’antropologia culturale la danza è concepita come una ‘pratica espressiva’ sia individuale che collettiva all’interno di un codice di linguaggio condiviso dalla comunità. Abbracciando questa linea interpretativa la parte intitolata Antologia di balli popolari italiani è stato strutturata non come una mera esemplificazione di trascrizioni di balli, ma come una possibilità di documen-tare in forma scritta, anche se in modo non esaustivo, balli che fanno parte di un repertorio condiviso da una data cultura locale. Per questo motivo – ad eccezione dei ‘balli legati o in presa di liscio’ – le partiture dei balli sono state raggruppate in repertori di appartenenza a determinate aree culturali di cui sono state evidenziate le principali caratteristiche territoriali, sociali e culturali. All’interno dei vari reper-tori gli stessi balli sono stati presentati secondo il criterio didattico dal più semplice al più complesso. Nell’organizzazione complessiva si è reso perciò necessario strutturare l’antologia tenendo conto di molteplici criteri che coniugassero l’esigenza didattica di avviare la lettura dei cinetogrammi – da quelli più semplici e simili tra loro a quelli più impegnativi – con la grande varietà, complessità e differenza formale delle danze popolari distribuite sul territorio italiano. Il tutto con la finalità di dare uno svi-

55 Poiché saranno termini ricorrenti, è d’obbligo accennare alla differenza tra ‘tradizionale’ ed ‘et-nico’. Intendiamo come danza (o ballo) tradizionale una forma coreutica legata ad una trasmis-sione del sapere in senso verticale, ossia dalla generazione degli anziani a quella dei giovani, da padre in figlio. Per essere considerata tale una danza deve essere in uso da più generazioni fino ad assumere valore e cadenza di consuetudine all’interno della pratica sociale di un gruppo di appartenenza, sviluppando forme espressive proprie del gruppo stesso. Da questo punto di vista sia una danza etnica sia una danza popolare possono essere definite tradizionali. Ma un ballo caduto dall’uso nella pratica comune (es. il perigordino), anche se eccezionalmente eseguito, non è più tradizionale perché l’idea di tradizionale è collegata all’idea di consuetudinarietà. Il ballo tradizionale è popolare quando oltrepassa i confini del ristretto gruppo sociale o etnico per essere riconosciuto all’‘esterno’ (es. la tarantella). Intendiamo per danza (o ballo) etnica una forma coreu-tica che connota la cultura del gruppo etnico di appartenenza fino a diventarne tratto distintivo e identificatore della identità di quel gruppo. Anche la danza etnica viene trasmessa da una gene-razione all’altra, quindi è danza tradizionale e nella pratica sociale è portatrice di valori simbolici cerimoniali. Il prefisso ‘etno’ fa riferimento al termine greco ethnos che indica i raggruppamenti umani distinti sulla base delle loro caratteristiche geografiche, linguistiche e culturali.

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luppo espositivo organico ed omogeneo alle danze scelte dall’autore. Per questo motivo sono state raccolte in un primo capitolo intitolato Dai ‘balli legati’ o ‘in presa di liscio’ molti balli dalla struttura semplice e simili tra loro, diffusi in molte regioni italiane. Questi balli chiamati dai danzatori tradizionali anche ‘nuovi balli’ sono tutte elaborazioni autoctone di quelle cosiddette ‘danze di società’ (valzer, mazurke, quadriglie, schottisch56, polke, ecc.) discese negli ambienti rurali e contadini – come so-pra accennato – dove si sono conservate fino ad oggi assimilando le caratteristiche stilistiche dei diversi repertori locali. Si tratta di trascrizioni facili di ‘varianti locali’ spesso di uno stesso genere di ballo che offrono la possibilità di iniziare il lettore all’individuazione della struttura dei ‘motivi coreutici’ (passi) semplici e di altret-tanto semplici impianti coreografici, e contemporaneamente avviarsi a pratiche di analisi e comparazione, con la finalità di cogliere analogie e differenze tra tipologie di danze simili anche se appartenenti a repertori di culture diverse. Nelle sezioni successive, invece, sono state raccolte danze appartenenti ad uno stesso territorio o area culturale a partire dai ‘balli staccati’ dell’Appennino tosco-emiliano, al repertorio delle Quattro Province, a quello piemontese, friulano, delle comunità italiane in Istria, quello abruzzese e quello sardo. In una sezione a parte sono state raccolte quelle danze afferenti alla famiglia etnocoreutica delle tarantelle dell’Italia meridionale, diffuse tra quelle popolazioni che nel passato abitavano il vasto territorio del Regno delle due Sicilie. Vorrei inoltre specificare che di ogni trascrizione è stata riportata la fonte perché, per una corretta impostazione analitica, ogni trasposizione di un ballo in un siste-ma simbolico è un’operazione di ‘interpretazione’ di un fenomeno ad opera del notatore a cui deve corrispondere un riscontro filmico. Nel reperire fonti filmiche, l’autore – anche se ancora non addentrato nella conoscenza della musica e danza di tradizione orale italiana, ma al fine di dimostrare l’efficacia e la spendibilità del suo sistema – ha scelto di ricorrere e confrontarsi con la trascrizione di differenti tipolo-gie di materiali documentari: dalle esecuzioni di riproposte di balli tradizionali ad opera di associazioni culturali facilmente consultabili in rete, a stralci di coreografie tratte da DVD messi a disposizione da gruppi folkloristici. Tale materiale docu-mentario può essere confrontato con danze trascritte da fonti di valore scientifico, come quelle pubblicate in “Choreola – Rivista di Danza Popolare Italiana”, esiti di accurate indagini sul campo; o da documentazioni video, sempre registrate sul campo, raccolte da chi scrive. Come ampliamento del lavoro analitico attuato dall’autore durante la trascrizione Laban, ho ritenuto di completare le sue partiture, al fine di facilitarne la lettura, con schede di analisi formale e strutturale, in cui sono state riassunte con intento com-

56 La grafia di schottisch è in linea con quella adottata da Mollica (1995, pagg. 117-118) secondo la modalità che si riscontra nei manuali italiani di danze di società in cui il termine ‘schottisch’ è scritto senza la “e” finale che ritroviamo invece nel vocabolario tedesco e inglese.

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parativo le caratteristiche di ogni danza. La modalità di realizzazione e di lettura di queste schede è esposta nel capitolo Per un approccio all’analisi della forma e della struttura della danza di tradizione orale. Molti dei balli trascritti, tuttavia, devono essere considerati versioni semplificate in quanto non sempre si è tenuto conto degli elementi stilistici, e non sempre sono state inserite le varianti qualitative individuali ad eccezione di quei casi in cui le varianti stesse sono parti costitutive della struttura coreutica (es. la pizzica). A volte è stato anche possibile fare brevi riferimenti di tipo comparativo tra varianti di uno stesso ballo di località diverse – come si può notare nella sezione Dai balli legati o in presa di liscio nel caso di più forme locali di schottisch. L’aver assunto una prospettiva antropologica ci dà l’occasione di aderire alla de-finizione interculturale di danza, proposta da Staro57, per cui la danza è concepi-ta come una forma espressiva che ha come medium preferenziale il movimento organizzato in un sistema di significazione autonomo e come tale riconosciuto dal gruppo di appartenenza. Questa definizione, oltre a confermare la validità dell’approccio di contestualizzazione culturale scelto per questa edizione italiana del manuale, ci guida ad affrontare alcune ultime considerazioni teoriche sulla utilità e finalità dell’uso della trascrizione del movimento, la cui conoscenza è oggi considerata una competenza indispensabile nel campo degli studi etnologici, non senza però sollevare alcune considerazioni sulle implicazioni che tale operazione comporta. Se lo scopo principale della notazione è l’interesse per la conservazione e trasmissione della conoscenza, notevole è la sua applicazione in campo analiti-co. L’uso della scrittura infatti permette di rappresentare in dettaglio le sequenze di movimenti e quindi poter confrontare agilmente le diverse parti con un sem-plice colpo d’occhio. Ma è necessario ricordare che, dal punto di vista teorico, la notazione della danza è un sistema di scrittura destinato a registrare l’attività fisica, pertanto deve essere considerata una traduzione e trasposizione dal mo-vimento ad un altro medium che è la scrittura. Inoltre poiché perlopiù la scrittura è realizzata da chi osserva essa deve essere considerata una ‘interpretazione del movimento’. Ogni notatore prima di scrivere deve osservare, apprendere, com-prendere il movimento ed infine, in alcune occasioni, fare delle scelte sul modo in cui scriverlo. Ogni partitura può essere considerata un punto di vista del notatore su una danza.

57 Staro (1985, pagg. 134-36 e 1993, pagg. 206).

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