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Chimica Fisica I Seconda Parte di Corso Alessandro Erba [email protected] 10 giugno 2019

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  • Chimica Fisica ISeconda Parte di Corso

    Alessandro [email protected]

    10 giugno 2019

  • Indice

    1 Equilibri di Fase per Sistemi ad un Solo Componente 31.1 Il Diagramma di Fase . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

    1.1.1 Il Polimorfismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41.2 Il Ruolo del Potenziale Chimico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.3 La Varianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121.4 Le Curve di Coesistenza tra Due Fasi (o di Monovarianza) . . . . 14

    1.4.1 L’Equazione di Clapeyron . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141.4.2 Implicazioni dell’Equazione di Clapeyron . . . . . . . . . 181.4.3 Equilibrio tra Due Fasi Condensate (Solido-Solido o Solido-

    Liquido) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221.4.4 Equilibrio tra una Fase Condensata (Liquido o Solido) e

    il Vapore: l’Equazione di Clausius-Clapeyron . . . . . . . 231.4.5 Dipendenza dell’Entalpia di Transizione dalla Temperatura 271.4.6 Equilibrio Liquido-Vapore: il Punto Critico . . . . . . . . 28

    1.5 Ordine delle Transizioni di Fase . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

    2 Sistemi Omogenei a Molti Componenti 382.1 Le Grandezze Molari Parziali e l’Equazione di Gibbs-Duhem . . . 39

    2.1.1 La Relazione di Gibbs-Duhem per Miscugli Binari . . . . 452.1.2 Come si Misurano i Volumi Molari Parziali? . . . . . . . . 47

    2.2 Equazioni Fondamentali della Termodinamica per Sistemi Omo-genei Aperti a più Componenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 512.2.1 Relazioni tra Grandezze Molari Parziali . . . . . . . . . . 53

    2.3 Miscugli Gassosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 542.3.1 Miscugli di Gas Perfetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 542.3.2 Miscugli di Gas Reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61

    2.4 Miscugli Condensati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 652.4.1 Ideali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 652.4.2 Reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66

    2.5 Miscugli Omogenei Chimicamente Reagenti: L’Equilibrio Chimico 692.5.1 Naturalità ed Equilibrio di una Reazione Chimica . . . . 702.5.2 Miscugli Gassosi Reagenti: Le Costanti di Equilibrio . . . 722.5.3 Cenni su Stati Standard e Grandezze Standard di Reazione 772.5.4 La Dipendenza dell’Equilibrio dalla Temperatura . . . . . 782.5.5 La Dipendenza dell’Equilibrio dalla Pressione . . . . . . . 82

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  • 3 Equilibri di Fase in Sistemi a Più Componenti 843.1 Il Ruolo del Potenziale Chimico negli Equilibri di Fase . . . . . . 85

    3.1.1 L’Equilibrio Completo nella Ripartizione della Materia . . 883.2 Equilibrio Liquido-Vapore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88

    3.2.1 Soluzioni Ideali: La Legge di Raoult . . . . . . . . . . . . 893.2.2 Soluzioni Reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90

    3.3 Diagrammi di Fase per Miscugli Binari . . . . . . . . . . . . . . . 913.3.1 Equilibrio Liquido-Vapore per un Sistema Binario Ideale . 933.3.2 La Regola della Leva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1003.3.3 Equilibrio Liquido-Vapore per un Sistema Binario Reale . 1013.3.4 Cenni su Lacuna di Miscibilità allo Stato Liquido . . . . . 1083.3.5 Soluzioni Diluite: La Legge di Henry . . . . . . . . . . . . 110

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  • Capitolo 1

    Equilibri di Fase per Sistemiad un Solo Componente

    Si è già data ampia evidenza nella prima parte del corso del fatto che una sostan-za pura possa presentarsi sotto forma di diverse fasi: vapore, liquida e solida.In questo capitolo, ricorrendo alle equazioni fondamentali della termodinamicaricavate nella prima parte del corso, ci occuperemo di discutere gli equilibri trale diverse fasi di una sostanza pura. Ovvero, studieremo sistemi eterogeneiad un solo componente.

    1.1 Il Diagramma di FaseRisulta noto dall’esame sperimentalmente del comportamento delle sostanzepure che esse possono esistere in fasi fisiche diverse (in diversi stati di aggre-gazione della materia) a diverse condizioni di temperatura T e pressione p:solida, liquida o vapore. E’ altresì noto che, per alcune condizioni di T e p, moltisistemi ad un solo componente consistono di due o più fasi in equilibrio fra diloro. E’ possibile riportare i domini di stabilità degli stati di equilibrio diuna sostanza pura graficamente nel cosiddetto spazio delle fasi (3 dimensioni).Tuttavia, si fa in genere riferimento allo spazio delle fasi ridotto (2 dimensioni)perchè si presta ad una più facilmente interpretabile rappresentazione grafica nelpiano; in particolare il piano p-T è quello più comunemente usato (dal momentoche pressione e temperatura sono le due grandezze più facilmente controllabi-li). Questa rappresentazione, nota come diagramma di fase (o diagrammadi stato), sintetizza il comportamento solido-liquido-vapore di una sostanza edindica in quali condizioni di pressione e di temperatura i diversi stati fisici diuna sostanza pura esistono in equilibrio.

    La Figura 1.1 riporta il diagramma di fase del biossido di carbonio CO2. Sinota immediatamente che vi sono tre regioni principali in questo diagramma,indicate con solido, liquido e vapore. Ogni punto completamente interno ad unadi queste regioni (o domini) corrisponde a valori di pressione e temperatura allequali la singola fase si trova in equilibrio termodinamico. Le linee che separanole tre regioni indicano le pressioni e le temperature alle quali due fasi possonocoesistere in equilibrio. Ad esempio, per ogni temperatura e pressione lungo lacurva che separa la regione del solido e del vapore, la CO2 si trova sotto forma

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  • Figura 1.1: Diagramma di fase nel piano pressione-temperatura del biossido dicarbonio CO2.

    sia solida che gassosa, le due fasi essendo entrambe in equilibrio. Questa curvadi coesistenza tra solido e vapore prende il nome di curva di sublimazionee di fatto fornisce la pressione a cui il vapore di CO2 è in equilibrio con il solidoin funzione della temperatura (tensione di sublimazione). Analogamente perogni temperatura e pressione della curva che separa la regione del liquido edel gas, la CO2 si trova sotto forma sia liquida che vapore, le due fasi essendoentrambe in equilibrio. Questa curva di evaporazione fornisce la pressione acui il vapore è in equilibrio con il liquido in funzione della temperatura (tensionedi vaporizzazione del liquido). Analogamente la curva che separa le regioni delsolido e del liquido fornisce i valori di T e p di coesistenza della fase solida edella fase liquida in equilibrio (curva di fusione).

    Si noti che le tre curve del diagramma di fase appena discusse si intersecanoin un punto che rappresenta uno stato del sistema in cui la fase solida, la faseliquida e la fase vapore della sostanza pura coesistono in equilibrio. Questopunto viene chiamato punto triplo e, per la CO2, si verifica a p = 5.11 atm eT = 216.6 K. Possiamo ancora notare che la curva di coesistenza liquido-vaporetermina bruscamente in un punto detto punto critico.

    1.1.1 Il PolimorfismoE’ noto sperimentalmente che molte sostanze allo stato solido possono presen-tare il fenomeno del polimorfismo; ovvero, possono dare origine a diverse fasisolide, tipicamente caratterizzate da una diversa forma cristallina e con proprie-tà fisiche e chimiche anche molto diverse le une dalle altre. Una discussionedettagliata dei principi chimico-fisici che guidano la cristallizzazione di una so-stanza pura in fasi solide diverse ci porterebbe molto lontano e richiederebbel’introduzione di concetti di cristallografia e fisica della materia condensata. Af-

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  • Figura 1.2: Diagramma di fase nel piano pressione-temperatura del carbonio.

    fronterete questi aspetti più nel dettaglio nei corsi di strutturistica degli anni avenire. Qui basterà ricordare che, come già discusso, la mobilità delle molecole(o atomi) di una sostanza decresce al passare da fase vapore a liquida a solida.In particolare, in prima approssimazione, nella fase solida gli atomi possono es-sere considerati come fermi nelle loro posizioni di equilibrio. In realtà gli atomivibrano per moto termico ma comunque attorno ad una posizione di equilibrioben identificabile. Ne consegue che, a disposizioni spaziali diverse degli atomidi una stessa sostanza, corrispondano fasi solide diverse.

    Un esempio emblematico in tal senso è rappresentato dal diagramma di fasedel carbonio, che è riportato in Figura 1.2. Il carbonio ha un ricco polimorfismo,in particolare per sistemi a bassa dimensionalità (ovvero a periodicità ridotta):nanotubi di carbonio, grafene, fullereni, etc. Le due fasi solide convenzionali delcarbonio sono grafite e diamante, i cui domini di stabilità sono rappresentati inFigura 1.2. In condizioni di temperatura e pressione ambiente, la fase termodina-micamente stabile del carbonio è la grafite. Il diamante è termodinamicamentestabile ad alte pressioni. In condizioni ambiente, il diamante è metastabile pervia di una cinetica di trasformazione diamante→ grafite molto lenta. Per tempimolto lunghi, il sistema evolverà verso l’equilibrio termodinamico ed il diamantesi trasformerà dunque in grafite (lo slogan “un diamante è per sempre” non è

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  • Figura 1.3: Rappresentazione schematica della differente struttura atomica delledue fasi solide del carbonio: grafite e diamante.

    dunque termodinamicamente accurato, a meno che non si viva ad una pressionedi qualche GPa).

    Grafite e diamante sono entrambi materiali costituiti interamente da atomidi carbonio ma differiscono per il modo in cui gli atomi sono disposti nellospazio. Questi due materiali sono caratterizzati da proprietà chimico-fisicheradicalmente diverse (basti pensare che la grafite è il materiale usato per lemine delle matite). La Figura 1.3 schematizza la struttura delle due fasi. Ildiamante è caratterizzato da legami perfettamente covalenti dove ogni carbonio(ibridizzato sp3), grazie ai suoi 4 elettroni di valenza, è legato ad altri 4 atomidi carbonio con una simmetria tetraedrica. Nella grafite, gli atomi di carbonio(ibridizzati sp2) formano dei piani con anelli esagonali a nido d’ape caratterizzatida legami covalenti al loro interno. Diversi piani sono impilati nella direzioneortogonale ai piani stessi, con interazioni deboli dispersive (di tipo London ovan der Waals) interplanari.

    Molte molecole cristallizzano in cosiddetti cristalli molecolari, ovvero infasi solide che mantengono al loro interno le unità molecolari come distinguibili.A seconda della conformazione e disposizione spaziale di queste molecole, si pos-sono formare diverse fasi solide. I cristalli molecolari sono spesso caratterizzatida un ricco polimorfismo (si veda il caso dell’acqua più sotto). Anche per que-sta classe di sistemi, polimorfi diversi possono avere proprietà chimico-fisichemolto diverse. Un caso emblematico in tal senso è rappresentato dal cristal-lo molecolare che costituisce il farmaco ritonavir: un farmaco antiretroviraleappartenente alla classe degli inibitori della proteasi, utilizzato nel trattamen-to della infezione del virus HIV. Inizialmente si pensava che questa molecolacristallizzasse in un’unica forma (forma I). Solo in seguito ci si è accorti chequesta molecola presentava anche un secondo polimorfo (la forma II), termo-dinamicamente più stabile, meno solubile e completamente inattiva dal punto

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  • Figura 1.4: Rappresentazione schematica della differente struttura atomica delledue conformazioni del ritonavir che cristallizzando danno luogo alla forma I eII del solido.

    di vista farmacologico. Era sufficiente che la forma I (metastabile) entrasse incontatto anche con piccole quantità della forma II perchè tutta la forma I ve-nisse trasformata nella più stabile ed inattiva forma II. Alla fine degli anni ’90la casa farmaceutica Abbott dovette ritirare il farmaco dal mercato. La Figura1.4 riporta una rappresentazione schematica della differente struttura atomicadelle due conformazioni del ritonavir che cristallizzando danno luogo alla formaI e II del solido.

    Un cristallo molecolare di cui abbiamo tutti esperienza quasi quotidiana è ilghiaccio. La Figura 1.5 riporta il diagramma di fase dell’acqua in un intervalloabbastanza ampio di temperatura e pressione. L’acqua può cristallizzare indiverse fasi polimorfe. La fase solida “normale” che noi conosciamo, nota comeghiaccio I (o Ih, per via della sua simmetria esagonale) è infatti solo una diqueste. Tutte le altre sono stabili a pressioni molto elevate (o a bassissimetemperature, come il ghiaccio XI, non riportato in figura). Le fasi polimorfe delghiaccio più note sono 5, riportate in questo diagramma come fase I, II, III, V,VI. Studi più recenti a più elevate pressioni e/o a più basse temperature indicano

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  • la presenza di altre fasi polimorfe note con il nome di ghiaccio VI’, VII, VIII,IX, XI (non riportate in figura). Una fase solida inizialmente individuata comedifferente dalle altre e indicata come ghiaccio IV si è poi rivelata in realtà unerrore (da qui l’assenza di una fase ufficiale IV). Nel diagramma di fase, possiamoquindi individuare le zone di esistenza di queste diverse fasi solide, separate dacurve di coesistenza fra loro o con la fase liquida. Possiamo parlare di punti diintersezione di coesistenza di tre fasi solide differenti o di due fasi solide e di unafase liquida (nuovi punti tripli). Per l’acqua possiamo quindi parlare di puntitripli ulteriori rispetto a quello solido-liquido-vapore prima citato.

    Figura 1.5: Diagramma di fase nel piano pressione-temperatura dell’acqua.

    Ogni sostanza pura mostra comportamenti simili a quelli descritti sin qui. Laforma del diagramma di fase sarà più o meno complessa a seconda del numerodelle fasi solide che possono esistere o coesistere tra di loro e con le altre. Ma,per ogni sostanza pura, possiamo dire che le regioni di esistenza di una sola fasesono rappresentate da porzioni della superficie p-T .

    Nel seguito di questo capitolo daremo una descrizione termodinamica deidiversi aspetti del diagramma di fase di una sostanza pura, ricorrendo ai princi-

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  • pi della termodinamica discussi in precedenza ed alle corrispondenti equazionifondamentali.

    1.2 Il Ruolo del Potenziale ChimicoAbbiamo visto nelle sezioni precedenti, e sappiamo dall’esperienza, che unastessa sostanza chimica può occorrere in natura in diverse fasi, a seconda dellecondizioni di temperatura e pressione considerate. In questa sezione ci chiedia-mo quali siano le proprietà termodinamiche che governano i diversi aspetti di undiagramma di fase. In particolare, ricorreremo agli strumenti formali e concet-tuali introdotti in precedenza nel Corso per descrivere i diversi comportamentidi una sostanza pura che, in certe condizioni di p e T potrà essere stabile in unacerta fase (solida, liquida o gassosa), oppure potrà presentarsi in equilibrio tradue fasi (ad esempio solida e liquida) o ancora potrà mostrare un equilibrio tratre fasi distinte (solida, liquida e gassosa, ad esempio). Cercheremo di rispon-dere ad alcune domande: perchè la compresenza di due fasi è descritta da curvenel diagramma di fase? Perchè tre fasi possono coesistere in equilibrio solo perdeterminati valori di T e p? Perchè alcune curve hanno pendenze positive edaltre negative? Perchè alcune curve hanno pendenze maggiori ed altre minori?

    Per introdurre una descrizione formale della possibile coesistenza di più fasidi una stessa sostanza chimica, ricorriamo all’esempio seguente: consideriamoil caso in cui una sostanza chimica ripartita in due fasi α e β sia posta inun contenitore diatermico e deformabile, in modo che il sistema possa porsi inequilibrio termico e meccanico con un ambiente esterno ad una certa T e p (siveda lo schema riportato in Figura 1.6). Questo esempio potrebbe riferirsi ad:

    • un solido in contatto con il suo liquido;

    • un liquido in contatto con il suo vapore;

    • un solido in contatto con il suo vapore;

    • un solido in contatto con un altro solido con differente natura cristallina.

    Figura 1.6: Una sostanza chimica ripartita in due fasi α e β posta in un con-tenitore diatermico e deformabile, in contatto con un ambiente esterno ad unacerta T e p.

    Si potranno verificare due fenomeni distinti:

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  • 1. Potremmo assistere ad una spontanea trasformazione della fase α nellafase β (o viceversa);

    2. La sostanza potrebbe rimanere ripartita nelle due fasi.

    Quale principio termodinamico è alla base di questi differenti comportamenti?La risposta ci viene fornita dall’analisi delle condizioni di naturalità ed equilibrioper i sistemi chiusi:

    dGT,p ≤ 0 (1.1)

    Le due fasi α e β, se considerate separatamente, costituiscono due sistemi aperti(possono infatti scambiare materia con l’altra fase) ad un solo componente. Adogni fase possiamo quindi associare un’energia libera di Gibbs (ricordando chele variabili naturali di G sono T e p):

    Gα(T, p, nα) e Gβ(T, p, nβ)

    Per il sistema chiuso formato dalle due fasi sarà:

    G = Gα +Gβ

    Una variazione infinitesima della funzione G sarà quindi data da:

    dG = dGα + dGβ (1.2)

    dove ricordiamo che, in termini molto generali, per ciascuna fase σ = α, β si puòscrivere:

    dGσ =

    (∂Gσ

    ∂T

    )p,nσ

    dT +

    (∂Gσ

    ∂p

    )T,nσ

    dp+

    (∂Gσ

    ∂nσ

    )T,p

    dnσ

    Siccome stiamo considerando un processo a temperatura e pressione costantedove potrebbe avvenire un trasferimento di materia tra le due fasi, la (1.2)potrà essere riscritta come:

    dGT,p =

    (∂Gα

    ∂nα

    )T,p

    dnα +

    (∂Gβ

    ∂nβ

    )T,p

    dnβ (1.3)

    Le derivate parziali nell’Eq. (1.3) sono quantità fondamentali nella trattazionedei problemi di equilibrio e vengono chiamate potenziali chimici:

    µσ ≡ µσ(T, p) =(∂Gσ

    ∂nσ

    )T,p

    (1.4)

    Le condizioni (1.1) di naturalità e di equilibrio per il sistema chiuso, compostodai due sottosistemi, diventano quindi:

    dGT,p = µαdnα + µβdnβ ≤ 0 (1.5)

    Poichè il sistema nel suo complesso è chiuso (non può esserci trasferimento dimateria con l’ambiente) dovrà essere:

    dnα + dnβ = 0 ovvero dnα = −dnβ

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  • La (1.5) diventa quindi:

    dGT,p = (µβ − µα)dnβ ≤ 0 (1.6)

    Questa è l’espressione che ci interessa per descrivere l’equilibrio tra due fasi diuna stessa sostanza chimica o la naturalità della transizione dall’una all’altra.In condizioni di equilibrio dinamico tra le due fasi, e quindi di reversibilità, lasostanza può passare indifferentemente dalla fase α alla fase β e viceversa aseconda di piccole perturbazioni locali. Quindi potrà essere dnβ = −dnα > 0 odnβ = −dnα < 0 ma non potrà mai essere dnβ = dnα = 0. All’equilibrio deveessere dG = 0, ovvero:

    dGT,p = (µβ − µα)dnβ = 0

    In base alle considerazioni precedenti, deve quindi valere:

    µβ = µα (1.7)

    Questo significa che il potenziale chimico di una sostanza pura, distri-buita in due fasi diverse, in condizioni di equilibrio termodinamico, èuguale nelle due fasi.

    Torniamo all’Eq. (1.6) e consideriamo il caso in cui le due fasi non siano inequilibrio tra loro. Si avrà quindi un trasferimento spontaneo di materia, nelladirezione per la quale si abbia dG < 0. Consideriamo una transizione α → βcosicchè dnβ > 0 per definizione. Dall’analisi dell’Eq. (1.6), risulta evidente chela transizione sarà spontanea (ovvero dG < 0) solo se:

    µβ − µα < 0 ovvero µα > µβ

    Questo significa che, a certe condizioni di T e p, una sostanza chimica ripar-tita in due fasi subirà un trasferimento spontaneo di materia dalla fasea potenziale chimico maggiore a quella a potenziale chimico minore.A certe T e p, la fase più stabile di una sostanza chimica è dunque quella conil potenziale chimico più basso. Questo comportamento è analogo a quanto os-servato in elettromagnetismo, dove la corrente elettrica scorre da un potenzialeelettrico maggiore ad un potenziale elettrico minore.

    Nell’Eq. (1.4) abbiamo dato una definizione piuttosto generale di potenzialechimico. Tuttavia, nel caso di una sostanza pura esso assume una forma ancorapiù semplice e conveniente:

    µσ ≡ µσ(T, p) = Gσ

    nσ= G

    σ(1.8)

    Per una sostanza pura, il potenziale chimico coincide con l’energia diGibbs molare; risulta dunque evidente che il potenziale chimico sia una gran-dezza intensiva. Verifichiamo che la relazione (1.8) sia coerente con la definizionegenerale data nella (1.4). Dalla (1.8) potremo scrivere Gσ = nσµσ(T, p) (ovveroG ∝ n che è coerente con la natura estensiva dell’energia libera di Gibbs chesappiamo essere proporzionale alle dimensioni del sistema). In base alla (1.4) è:

    µσ =

    (∂Gσ

    ∂nσ

    )T,p

    =

    (∂nσµσ(T, p)

    ∂nσ

    )T,p

    = µσ(T, p)

    come volevasi dimostrare.

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  • 1.3 La VarianzaNell’introdurre il diagramma di fase, abbiamo scelto di rappresentarlo nel pia-no pressione-temperatura, ovvero in funzione delle due variabili indipendentip e T .

    Consideriamo ora il caso in cui siano presenti due fasi α e β in equilibrioad una certa temperatura T e ad una certa pressione p. Abbiamo visto che,all’equilibrio, o in condizioni di reversibilità tali per cui la sostanza può passareindifferentemente dalla fase α alla fase β e viceversa, deve verificarsi: µα(T, p) =µβ(T, p). Poiché per ogni fase omogenea pura l’energia libera di Gibbs molare(G, ovvero il potenziale chimico) è una funzione di T e p, la relazione (1.7)è di fatto una relazione che lega implicitamente la temperatura e la pressionedelle due fasi all’equilibrio. Questo significa che, in condizioni di equilibrio tradue fasi di una sostanza pura, T e p non saranno più variabili indipendenti.Se esiste una relazione fra T e p, allora solo una di esse potrà essere fissataarbitrariamente, mentre il valore dell’ altra seguirà dalla relazione funzionalecontenuta implicitamente nella relazione (1.7). Sarà quindi T = f(p) o p = f(T ).

    Questo comporta che, rispetto al caso in cui una singola fase sia stabile, lacomparsa di una seconda fase abbassi di uno il numero delle variabili indipen-denti, facendole passare da 2 ad 1. Infatti, è sufficiente fissare una sola variabileper realizzare uno stato di equilibrio in cui due fasi siano presenti. Si dice an-che che nel caso di una singola fase pura la varianza del sistema è v = 2 (o,equivalentemente, che il sistema è bivariante); nel caso in cui vi siano duefasi pure in equilibrio, la varianza è v = 1 (o il sistema è monovariante).

    E’ noto che ogni sostanza pura può presentarsi almeno sotto tre fasi stabili(solido, liquido e vapore), a seconda degli intervalli di temperatura e pressioneconsiderati. Quali sono le condizioni di equilibrio se vogliamo che ad una certaT e p le tre fasi α, β e γ siano contemporaneamente presenti in equilibrio?Possiamo estendere le considerazioni appena viste per la coppia α-β ad un’altraqualsiasi delle coppie, ad esempio β-γ, ottenendo le condizioni di equilibrio:µβ = µγ . Quindi poiché siano in equilibrio contemporaneamente tre fasi dovràessere contemporaneamente:

    µα(T, p) = µβ(T, p)

    µβ(T, p) = µγ(T, p)

    In base alla proprietà transitiva, sarà evidentemente anche:

    µα(T, p) = µγ(T, p)

    Ovvero la sostanza dovrà avere lo stesso potenziale chimico nelle tre fasi presenti.Poiché ora all’equilibrio esistono contemporaneamente due relazioni funzionalidifferenti che legano T e p, contenute implicitamente nelle relazioni qui sopra,non sarà più possibile fissare arbitrariamente nessuna delle 2 variabili fisicheintensive per realizzare la coesistenza delle tre fasi. L’equilibrio sarà possibilesolo per determinati valori di T e p che dipenderanno dal tipo di sostanza edi fasi all’equilibrio. Si dice anche che nel caso di equilibrio di tre fasi di unasostanza pura (ovvero per sistemi ad un solo componente) la varianza è v = 0,ovvero che il sistema è invariante.

    Si può scrivere una relazione (regola delle fasi) che fornisca automati-camente la varianza di un sistema costituito da una sostanza pura (un solo

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  • componente chimico) e da un certo numero di fasi all’equilibrio. Da quanto os-servato fino ad ora la varianza è data dal numero delle variabili fisiche intensiveche descrivono lo stato termodinamico di un sistema (2, ovvero T e p), sottrattodel numero di relazioni che legano tali variabili all’equilibrio:

    • Una fase sola in equilibrio a T , p; nessuna relazione che lega T e p: v =2− 0 = 2.

    • Due fasi in equilibrio a T , p; una relazione che lega T e p: v = 2− 1 = 1.

    • Tre fasi in equilibrio a T , p; due relazioni che legano T e p: v = 2− 2 = 0.

    Questi stessi valori della varianza si possono ottenere anche dalla regola piùgenerale, nota con il nome di regola delle fasi di Gibbs:

    v = 2 + c− ϕ

    dove c rappresenta il numero di componenti chimici indipendenti del sistema(c = 1 nel nostro caso, dato che studiamo equilibri di fase per sostanze pure) eϕ il numero delle fasi presenti. Questa regola, come vedremo, è molto generale.Infatti, anche nel caso di un sistema costituito da più componenti indipendentic > 1 e distribuite all’equilibrio in più fasi ϕ, questa relazione fornisce la varian-za del sistema, cioè il numero di variabili intensive indipendenti, ovvero ancoraquelle che è necessario (o si possono) fissare arbitrariamente affinché sia comple-tamente definito lo stato di equilibrio termodinamico del sistema. Ricaveremotale regola nel caso generale nel Capitolo 3 seguendo lo stesso ragionamentoseguito per una sostanza pura: la varianza infatti si ottiene dal numero dellevariabili fisiche e chimiche intensive che descrivono lo stato termodinamico delsistema, sottratto del numero di relazioni che legano tali variabili all’equilibrio.

    Ritornando ora alla nostra sostanza pura, poiché la varianza v rappresentail numero di variabili che si possono fissare e non avrebbe significato fisico unnumero di variabili da fissare negativo, dalla condizione v ≥ 0 segue che ilnumero massimo di fasi simultaneamente stabili presenti in equilibrioper una sostanza pura non potrà essere maggiore di tre.

    Poiché molte sostanze pure possono essere stabili in differenti forme solide, aseconda dell’intervallo di temperatura e pressione considerato, questo vuol direche potranno essere prese in considerazione differenti situazioni di invarianza:

    a) 1 fase solida, 1 liquida ed 1 vapore in equilibrio;

    b) 2 fasi solide ed 1 vapore in equilibrio;

    c) 2 fasi solide ed 1 liquida in equilibrio;

    d) 3 fasi solide in equilibrio.

    Nel diagramma di fase dell’acqua che abbiamo discusso qualitativamente nelCapitolo 1.1 e che è riportato nella Figura 1.5, si possono osservare punti triplidi tre tipologie diverse: a), c) e d).

    Riassumendo, possiamo dunque interpretare il diagramma di fase nel pianopressione-temperatura come costituito da regioni del piano in cui sia stabile unasingola fase (zone di bivarianza), separate tra di loro da curve (linee di mo-novarianza) che costituiscono l’insieme di punti per cui si realizza l’equilibrio

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  • tra due fasi. Quando tre curve di monovarianza si intersecano in un punto,danno origine ad un punto invariante detto anche punto triplo. Nel caso del-l’acqua, ad esempio, il punto triplo dell’equilibrio tra acqua solida, liquida evapore, si verifica a p = 0.006028 atm e T = 273.16 K.

    Nella sezione seguente vedremo che cosa si può dedurre di generale circal’andamento delle curve p(T ) di monovarianza, in base alle conoscenze termodi-namiche finora acquisite e alle proprietà generali delle sostanze pure.

    1.4 Le Curve di Coesistenza tra Due Fasi (o diMonovarianza)

    In questa sezione, ricaveremo l’equazione di Clapeyron e quella diClausius-Clapeyron e ne discuteremo le implicazioni chimico-fisiche. Queste equazionirisultano particolarmente utili nel descrivere le curve p(T ) di monovarianza deidiagrammi di fase. In particolare, permettono di mettere in relazione la pen-denza delle curve di monovarianza (ovvero di quell’insieme di punti nel pianopressione-temperatura in cui due fasi coesistono all’equilibrio) con le variazio-ni di entalpia e di volume che avvengono durante la transizione da una faseall’altra.

    1.4.1 L’Equazione di ClapeyronConsideriamo un cambiamento di fase α → β che avvenga alle T e p di transi-zione. Generalmente, la transizione di fase è accompagnata da una variazionedelle proprietà termodinamiche del sistema. Ad esempio, se V

    αe V

    βsono i

    volumi molari della sostanza pura nelle due fasi, si avrà una variazione molaredi volume durante la transizione che indicheremo con:

    ∆Vα→β

    = Vβ − V α

    Analogamente, si avrà una variazione di entalpia molare durante la transizione(anche detta calore latente):

    ∆Hα→β

    = Hβ −Hα

    che, a seconda della natura delle fasi coinvolte nella transizione, potrà essereun’entalpia di fusione (solido→ liquido), entalpia di sublimazione (solido→ va-pore), entalpia di evaporazione (liquido → vapore), entalpia di trasformazioneallotropica (solido → solido). Questa quantità rappresenta il calore necessarioper trasformare una mole di sostanza pura da una fase α ad una fase β a pressio-ne costante ed in condizioni di reversibilità. Grazie alle relazioni fondamentalidella termodinamica ricavate in precedenza, potremo anche scrivere:

    ∆Hα→β

    = ∆Uα→β

    + p∆Vα→β

    e anche, ricordando che, per una sostanza pura, µ ≡ G:

    µβ − µα = ∆Hα→β − T∆Sα→β

    14

  • dove abbiamo introdotto l’entropia di transizione. All’equilibrio, dovrà essereµβ = µα e quindi:

    ∆Hα→β

    = T∆Sα→β

    (1.9)

    In base a quanto visto in precedenza, sappiamo che in ogni punto di una curvadi monovarianza deve valere la condizione:

    µα(T, p) = µβ(T, p)

    Consideriamo ora una variazione infinitesima di temperatura dT ed una variazio-ne infinitesima di pressione dp tali che le due fasi rimangano in equilibrio (si vedala Figura 1.7). Ovvero, i nuovi valori di µα(T + dT, p+ dp) e µβ(T + dT, p+ dp)dovranno essere ancora uguali in corrispondenza dei nuovi valori di T e p. Diconseguenza, dovranno essere uguali le variazioni infinitesime dei due potenzialichimici, cioè:

    dµα = dµβ (1.10)

    Figura 1.7: Variazione infinitesima di temperatura e pressione lungo una curvadi monovarianza.

    Espandiamo i due differenziali precedenti come segue:(∂µα

    ∂p

    )T

    dp+

    (∂µα

    ∂T

    )p

    dT =

    (∂µβ

    ∂p

    )T

    dp+

    (∂µβ

    ∂T

    )p

    dT (1.11)

    Ma, ricordando le equazioni fondamentali della termodinamica che abbiamoricavato in precedenza, per ciascuna fase σ = α, β di una sostanza pura inequilibrio interno potremo scrivere:

    dGσ = −SσdT + V σdp

    ovvero che: (∂Gσ

    ∂p

    )T

    = V σ e(∂Gσ

    ∂T

    )p

    = −Sσ

    15

  • Ricordando che, per una sostanza pura, si ha µσ ≡ Gσ, avremo:(∂µσ

    ∂p

    )T

    (∂G

    σ

    ∂p

    )T

    = Vσ

    e(∂µσ

    ∂T

    )p

    (∂G

    σ

    ∂T

    )p

    = −Sσ

    Sostituendo queste relazioni nella (1.11), otteniamo:

    Vαdp− SαdT = V βdp− SβdT

    Riscriviamo l’uguaglianza precedente come segue:

    (Vα − V β)dp = (Sα − Sβ)dT

    Ora, risolvendo rispetto a dp/dT , otteniamo:

    dp

    dT=

    (Sβ − Sα)

    (Vβ − V α)

    ≡ ∆Sα→β

    ∆Vα→β (1.12)

    L’Eq. (1.12) è nota come equazione di Clapeyron e lega la pendenza dellacurva di monovarianza alle variazioni di entropia e di volume per il passaggio diuna mole di sostanza pura dalla fase α alla fase β ad una pressione costante p e aduna temperatura costante T in condizioni di equilibrio. Invertendo la relazione(1.9) che abbiamo ricavato poco sopra, è possibile eliminare la variazione dientropia da questa importante relazione, sostituendola con una grandezza piùdirettamente misurabile:

    dp

    dT=

    ∆Hα→β

    T∆Vα→β (1.13)

    Questa è la forma più utile dell’equazione di Clapeyron e lega la pendenzadella curva di monovarianza alla variazione di entalpia e volume alla transizione:due quantità misurabili sperimentalmente. Si noti che ∆H

    α→βe ∆V

    α→βin

    generale sono funzioni di T e p.

    Esercizio Si calcoli la pendenza (in atm/K) della curva p(T ) di coesistenzasolido-liquido per il benzene alla pressione di 1 atm, sapendo che la sua entalpiamolare di fusione al suo punto di fusione normale (278.7 K) vale 9.95 kJ mol−1

    e che ∆Vfus

    = 10.3 cm3 mol−1 nelle stesse condizioni. Quindi al punto normaledi fusione per il benzene sarà:

    dp

    dT=

    9950J mol−1

    (278.7K)(10.3cm3mol−1)=

    9950J mol−1 × 1000(278.7K)(10.3L mol−1)

    Ora si tratta solo di fare le conversioni giuste. Ricordando che 1 L = 10−3 m3 e1 atm = 1.013 105 N/m2, allora 1 L atm = 1.013 102 Nm = 101.3 Nm = 101.3J. Di conseguenza:

    dp

    dT=

    9950L atm mol−1 × 1000(278.7K)(10.3L mol−1)(101.3)

    = 34.2 atm/K

    Per ora notiamo che si tratta di un valore positivo (ovvero di una penden-za positiva della curva p(T ) di monovarianza). Torneremo a discutere questo

    16

  • aspetto più nel dettaglio a breve. Il reciproco di questa relazione ci da la va-riazione della temperatura di fusione del benzene con la pressione, al punto difusione normale:

    dT

    dp= 0.0292K/atm

    Questo risultato ci dice che, in prossimità di 1 atm di pressione, la temperaturadi fusione del benzene aumenta di 0.0292 K ad atmosfera di pressione. Se ∆S

    fus

    e ∆Vfus

    fossero indipendenti dalla pressione (cosa che in realtà non sono com-pletamente), allora questa derivata appena calcolata ad 1 atm sarebbe costantea tutte le pressioni e la curva di coesistenza solido-liquido sarebbe una retta;potremmo quindi usare questo risultato per stimare la temperatura di fusionea diverse pressioni:

    T (p) = T (p0) +

    (dT

    dp

    )p0

    p

    Ad esempio, a 1000 atm, stimeremmo una temperatura di fusione di 278.7 K+ 29.2 K = 307.9 K. Il valore sperimentale a quella pressione è 306.4 K, il chemostra che in questo caso aver assunto ∆S

    fuse ∆V

    fuscome indipendenti dalla

    pressione è stata una valida approssimazione per descrivere la transizione finoa 1000 atm. Assumere che ∆S

    fuse ∆V

    fussiano costanti in funzione di T e p

    risulta quindi nella stima di una variazione lineare di p(T ) o T (p), come vistosopra. La Figura 1.8 riporta la temperatura di fusione del benzene in funzionedella pressione fino a 10000 atm: risulta chiaro che l’andamento non è linearesull’intero intervallo, il che conferma la dipendenza da T e p di ∆S

    fuse ∆V

    fus.

    (a) Benzene (b) Acqua

    Figura 1.8: Dipendenza dalla pressione della temperatura di fusione di (a)benzene e (b) acqua.

    Esercizio Determinare il valore di dT/dp per il ghiaccio al suo punto di fusionenormale. L’entalpia molare di fusione del ghiaccio a 273.15 K e 1 atm è 6010 Jmol−1 e ∆V

    fusnelle stesse condizioni vale -1.63 cm3 mol−1. Si stimi quindi la

    17

  • temperatura di fusione del ghiaccio a 1000 atm.

    dT

    dp=T∆V

    fus

    ∆Hfus =

    (273.15K)(−1.63cm3mol−1)6010J mol−1

    =(273.15K)(−1.63Lmol−1)

    6010J mol−1 × 1000

    =(273.15K)(−1.63Lmol−1)(101.3)

    6010L atm mol−1 × 1000= −0.00751K/atm

    Innanzitutto notiamo che, a differenza di quanto trovato per il benzene (e diquanto si troverebbe per la maggioranza dei sistemi puri) per il ghiaccio si hauna pendenza negativa delle curve di monovarianza T (p) e p(T ). Facendol’ipotesi che ∆S

    fuse ∆V

    fussiano indipendenti da T e p, possiamo stimare la

    temperatura di fusione del ghiaccio a 1000 atm: 273.15 K -7.51 K = 265.6 K.Il valore sperimentale è di 263.7 K. Ancora una volta la discrepanza è dovutaalla non costanza di ∆S

    fuse ∆V

    fuscon la pressione. La Figura 1.8 riporta la

    temperatura di fusione dell’acqua in funzione della pressione.

    Esercizio La tensione di vapore dell’ammoniaca liquida in vicinanza del puntotriplo segue questa relazione empirica:

    ln(p/Torr) = 8.46− 1330 KT

    Si calcoli la pendenza (in Torr/K) della curva di coesistenza liquido-vapore a500 K.

    Di fatto si vuole calcolare: (dp

    dT

    )T=500 K

    Prendendo l’esponenziale di ambo i membri della relazione empirica di partenzasi ottiene l’espressione della pressione (in Torr):

    p = e8.46−1330 KT

    Se ne fa quindi la derivata rispetto alla temperatura:

    dp

    dT= e8.46−

    1330 KT

    (1330 KT 2

    )E poi la si valuta a T = 500 K:(

    dp

    dT

    )T=500 K

    = 1.75 Torr/K

    1.4.2 Implicazioni dell’Equazione di ClapeyronL’integrazione dell’equazione di Clapeyron (1.13) ci permetterebbe di ottenerel’andamento delle curve p(T ). Tale integrazione non è tuttavia semplice poichéle quantità ∆H

    α→βe ∆V

    α→βdipendono dalla temperatura e bisogna dunque

    conoscere tale dipendenza oppure fare delle opportune assunzioni.

    18

  • Tuttavia, l’equazione (1.13), anche senza essere esplicitamente integrata, cipermette di fare alcune importanti considerazioni circa i diagrammi di fase disostanze pure. In particolare, analizziamo l’equazione di Clapeyron per poterdedurre qualche comportamento generale circa la pendenza delle curve di mo-novarianza. Essendo la temperatura T una grandezza sempre positiva (sullascala assoluta di Kelvin), il segno di dp/dT dipenderà solo dal segno relativo di∆H

    α→βe ∆V

    α→β. Se le due quantità hanno entrambe segno positivo o negati-

    vo, la pressione sarà una funzione crescente della temperatura. Se invece le duequantità hanno segno opposto allora la pressione sarà una funzione decrescentedella temperatura. Si veda la Figura 1.9 per una schematizzazione di quantodetto.

    (a) ∆Hα→β > 0 e ∆V α→β > 0oppure ∆Hα→β < 0 e ∆V α→β < 0

    (b) ∆Hα→β > 0 e ∆V α→β < 0oppure ∆Hα→β < 0 e ∆V α→β > 0

    Figura 1.9: Curve di monovarianza p(T ) ed interpretazione della loro pendenzain base all’equazione di Clapeyron

    Poiché quando si passa da una fase a minore mobilità ad un’altra dimaggiore mobilità il calore di transizione è sempre positivo, assumendoche la fase β sia quella di maggiore mobilità, sarà sempre:

    ∆Hα→β

    > 0 (1.14)

    ed il segno della pendenza delle corrispondenti curve di monovarianza sarà datodal solo segno di ∆V

    α→β. Questa considerazione si applica dunque a transizioni

    del tipo:

    • solido → vapore (curva di sublimazione);

    • solido → liquido (curva di fusione);

    • liquido → vapore (curva di evaporazione);

    Per queste transizioni di fase per sostanze pure quindi se ∆Vα→β

    > 0 alloradp/dT > 0 e la pressione sarà una funzione crescente della temperatura; seinvece ∆V

    α→β< 0 allora dp/dT < 0 e la pressione sarà una funzione decrescente

    della temperatura. Nella maggior parte delle sostanze pure, in tutto l’intervallodi coesistenza, si ha che:

    Vvapore

    >> Vliquido

    > Vsolido

    (1.15)

    il che comporta che ∆Vα→β

    sia positivo per transizioni da fasi a mobilità minorea fasi a mobilità maggiore (ad esempio ∆V

    s→v= V

    v−V s > 0) e di conseguenzache la pressione sia una funzione crescente della temperatura.

    19

  • Figura 1.10: Rappresentazione schematica di un diagramma di fase per unasostanza pura nell’intorno del punto triplo (solido-liquido-vapore) nei due casiin cui (a) sia V

    liquido> V

    solidoe (b) sia V

    liquido< V

    solido.

    Per alcune (relativamente poche) sostanze pure, si verifica un’espansione du-rante la solidificazione dal liquido. Il caso più noto di questo comportamento“anomalo” è sicuramente l’acqua che nel ghiacciare aumenta il proprio volume.In questo caso cioè si ha:

    Vliquido

    < Vsolido

    e la pressione risulta una funzione decrescente della temperatura. La Figura1.10 mostra una rappresentazione schematica di un diagramma di fase per unasostanza pura nell’intorno del punto triplo (solido-liquido-vapore) nei due casiappena descritti.

    Abbiamo visto che, siccome il volume molare di una sostanza pura in fase vaporeè sempre maggiore del volume molare della stessa sostanza in fase condensata(solido o liquido), la pendenza delle curve p(T ) di coesistenza solido-vapore eliquido-vapore è sempre positiva. Analizzando ulteriormente l’equazione diClapeyron possiamo dedurre un altro aspetto generale dei diagrammi di fase disostanze pure, in prossimità del punto triplo (solido-liquido-vapore), ovvero che:(

    dp

    dT

    )sub

    >

    (dp

    dT

    )evap

    (1.16)

    La pendenza della curva di sublimazione (solido → vapore) è sempre maggioredella pendenza della curva di evaporazione (liquido → vapore). Infatti, essendol’entalpia una funzione di stato potremo spezzare la definizione dell’entalpiadi sublimazione in due cammini:

    ∆Hsub

    = ∆Hfus

    + ∆Hevap

    20

  • Figura 1.11: Rappresentazione schematica di un diagramma di fase per una so-stanza pura nell’intorno del punto triplo (solido-liquido-vapore). Le linee trat-teggiate mostrano la maggiore pendenza della curva solido-vapore rispetto aquella liquido-vapore.

    Ricordando le considerazioni fatte nell’introdurre la proprietà (1.14), risulta chetutte le quantità nell’espressione precedente sono positive e quindi:

    ∆Hsub

    > ∆Hevap

    Inoltre, come introdotto nella (1.15), il volume molare della fase vapore è sempremolto maggiore dei volumi molari delle fasi condensate (che sono piuttosto similitra loro, rispetto alla fase vapore). Quindi, in generale, sarà:

    ∆Vsub

    = Vv − V s ' V v

    ∆Vevap

    = Vv − V l ' V v

    E quindi:∆V

    sub ' ∆V evap ' V v

    Di conseguenza, potremo scrivere:(dp

    dT

    )sub' ∆H

    sub

    TVv

    (dp

    dT

    )evap' ∆H

    evap

    TVv

    Per confronto diretto delle due espressioni, ricordando che ∆Hsub

    > ∆Hevap

    , siverifica quanto anticipato nella (1.16). Questa proprietà è schematizzata nellaFigura 1.11.

    Per verifica, si torni ad analizzare i diagrammi di fase discussi in precedenzaper CO2 ed H2O alla luce delle considerazioni fatte sin qui.

    21

  • 1.4.3 Equilibrio tra Due Fasi Condensate (Solido-Solido oSolido-Liquido)

    Nel caso di equilibrio tra due fasi condensate (solido-solido o solido-liquido), gliandamenti delle corrispondenti curve di monovarianza nel diagramma di fase sipossono ottenere facilmente a partire dall’equazione di Clapeyron assumendo cheentalpia e volume di transizione siano costanti in certi intervalli di temperatura:(

    dp

    dT

    )α→β

    =∆H

    α→β

    T∆Vα→β con ∆H

    α→β= costante e ∆V

    α→β= costante

    Questa relazione si presta ad essere integrata. Separiamo le variabili:

    dp =∆H

    α→β

    ∆Vα→β

    dT

    T(1.17)

    Integrando in modo indefinito la (1.17)∫dp =

    ∆Hα→β

    ∆Vα→β

    ∫dT

    T

    otteniamo:

    p =∆H

    α→β

    ∆Vα→β ln(T ) + costante

    Integrando la (1.17) in modo definito tra valori iniziali e finali di pressione etemperatura ∫ p1

    p0

    dp =∆H

    α→β

    ∆Vα→β

    ∫ T1T0

    dT

    T

    si ottiene invece la seguente relazione:

    p1 − p0 =∆H

    α→β

    ∆Vα→β ln

    (T1T0

    )Queste curve p(T ) che descrivono l’equilibrio solido-liquido non terminano inpunti critici ma proseguono indefinitamente oppure convergono con altre inpunti tripli.

    Esercizio Le pressioni al confine di coesistenza solido-liquido del propano sonodate dalla seguente equazione empirica: p = −718 + 2.38565T 1.283, dove lapressione è data in bar e la temperatura in K. La temperatura di fusione delpropano è di 85.46 K e ∆H

    fus= 3.53 kJ mol−1. Si calcoli ∆V

    fusalla stessa

    temperatura.

    Scriviamo p = a + bT c, per cui sarà dp/dT = bcT c−1. In base all’equazione diClapeyron potremo scrivere: (

    dp

    dT

    )fus

    =∆H

    fus

    T∆Vfus

    22

  • e quindi:

    ∆Vfus

    =∆H

    fus

    T(dpdT

    )fus

    =∆H

    fus

    TbcT c−1=

    ∆Hfus

    bcT c=

    (3530J mol−1)(2.38565× 1.283× 85.461.283bar)

    E quindi, ricordando che 1J = 0.01 L bar:

    ∆Vfus

    =(35.30L bar mol−1)

    (2.38565× 1.283× 85.461.283bar)= 0.03833L mol−1

    1.4.4 Equilibrio tra una Fase Condensata (Liquido o Soli-do) e il Vapore: l’Equazione di Clausius-Clapeyron

    Nella sezione precedente abbiamo ricavato, analizzato ed usato l’equazione diClapeyron. In particolare, nell’utilizzarla per gli esercizi su benzene e acqua,abbiamo più volte assunto che ∆H e ∆V fossero indipendenti dalla pressione.Questa approssimazione risulta abbastanza valida, in intervalli di temperaturelimitati, per transizioni solido-liquido o solido-solido. Tuttavia, essa non lo è piùper transizioni solido-vapore e liquido-vapore perchè in questo caso chiaramenteil volume molare del vapore cambia drasticamente con la pressione.

    Se non ci si avvicina troppo al punto critico (che discuteremo nel dettaglioin seguito), l’equazione di Clapeyron può essere adattata alla descrizione ditransizioni da una fase condensata α (solido o liquido) alla fase vapore. Partiamodall’equazione di Clapeyron:(

    dp

    dT

    )α→v

    =∆H

    α→v

    T∆Vα→v (1.18)

    Ora consideriamo un intervallo di temperatura in cui siano verificate le treipotesi seguenti:

    1. Si assume che, come già fatto in precedenza, ∆Vsub ' ∆V evap ' V v

    (ovvero che ∆Vα→v ' V v);

    2. Si assume che il vapore si comporti come un gas ideale, ovvero cheV

    v= RT/p;

    3. Si assume che ∆Hα→v

    sia indipendente dalla temperatura.

    Si tratta di tre approssimazioni piuttosto pesanti, come discuteremo in seguito.In particolare possono risultare valide solo se non ci si avvicina troppo al puntocritico. L’equazione (1.18) viene dunque trasformata in questo modo:(

    dp

    dT

    )α→v

    =∆H

    α→v

    TVv =

    ∆Hα→v

    p

    RT 2(1.19)

    Questa relazione prende il nome di equazione di Clausius-Clapeyron, servea descrivere il comportamento di una fase condensata in equilibrio con il propriovapor saturo ed ha il vantaggio di essere facilmente integrabile (come vedremotra poco). Riscriviamo la (1.19) per le due transizioni considerate:(

    dp

    dT

    )sub

    =∆H

    sub

    TVv =

    ∆Hsubp

    RT 2

    23

  • (dp

    dT

    )evap

    =∆H

    evap

    TVv =

    ∆Hevap

    p

    RT 2

    Come anticipato, il grande vantaggio dell’equazione di Clausius-Clapeyron èrappresentato dal fatto che risulta facilmente integrabile, dopo averne separatole variabili:

    dp

    p=

    ∆Hα→v

    RT 2dT (1.20)

    Consideriamo un’integrazione definita da p0 a p1 per la pressione e da T0 a T1per la temperatura: ∫ p1

    p0

    dp

    p=

    ∫ T1T0

    ∆Hα→v

    RT 2dT

    Sfruttando la terza ipotesi enunciata in alto, ovvero l’indipendenza dalla tem-peratura dell’entalpia di trasformazione, si potrà scrivere:∫ p1

    p0

    dp

    p=

    ∆Hα→v

    R

    ∫ T1T0

    dT

    T 2

    Questa integrazione ci fornisce la seguente relazione:

    ln

    (p1p0

    )=

    ∆Hα→v

    R×(

    1

    T0− 1T1

    )(1.21)

    Questa relazione, ottenuta per integrazione definita dell’equazione di Cla-usius-Clapeyron è molto utile. Ci permette, ad esempio, di stimare la pres-sione di vapore a diverse temperature, data l’entalpia di sublimazione o di eva-porazione (a seconda che si considerino trasformazioni solido → vapore o li-quido → vapore) e la pressione di vapore ad una temperatura data. Primadi applicare questa importante relazione a qualche esercizio, riscriviamola nellaforma seguente per evidenziare il legame con un’altra proprietà (l’entropia ditransizione):

    ln

    (p1p0

    )=

    ∆Hα→v

    RT0− ∆H

    α→v

    RT1=

    ∆Sα→v

    R− ∆H

    α→v

    RT1

    Come detto, queste forme della Clausius-Clapeyron possono essere utilizzatequando non sia noto il diagramma di fase di una sostanza pura ma solo unacoppia di valori p0 e T0 di equilibrio tra le due fasi ed il valore corrispondentedi ∆H

    α→ve si voglia determinare il valore della tensione di vapore ad una

    generica T non troppo lontana da T0. Oppure, possono essere utilizzate quandosi conoscano alcuni valori di tensione di vapore in un intervallo non troppoampio di T per determinare il valore di ∆H

    α→ve ∆S

    α→vin quell’intervallo di

    temperatura. Vedremo tra poco un esempio per ciascuna di queste applicazioni.

    24

  • Figura 1.12: Tensione di vapore della CO2 solida e liquida in funzione dellatemperatura.

    Torniamo all’equazione (1.20) ed integriamola in modo indefinito anzichè inmodo definito in un intervallo ben preciso di temperatura e pressione comefatto sin qui. Siccome dp/p ≡ dln(p) e dT/T 2 ≡ −d(1/T ), potremo riscriverlacome:

    dln(p) = −∆Hα→v

    Rd(1/T )

    Integrandola in modo indefinito si ottiene:∫dln(p) = −∆H

    α→v

    R

    ∫d(1/T )

    ln(p) = −∆Hα→v

    RT+ costante (1.22)

    Questa relazione (approssimata) ci dice che, qualora ∆Hα→v

    sia indipendentedalla temperatura, allora il diagramma del logaritmo della pressione di vaporein funzione dell’inverso della temperatura (espressa in gradi Kelvin) è una linearetta con pendenza −∆Hα→v/R. Verifichiamo la correttezza di questa relazionein un paio di casi. La Figura 1.12 riporta un diagramma di ln(p) rispetto a 1/Tper la tensione di vapore della CO2 solida e liquida. Per entrambi gli equilibri difase (solido/vapore e liquido/vapore) si osserva una pendenza lineare costante.La Figura 1.13 riporta la pressione di vapore del CHClF2 liquido in funzionedella temperatura. In particolare, il pannello in basso è un diagramma di ln(p)rispetto a 1/T (nell’intervallo di temperature 220-330 K): si osserva un chiaroandamento lineare, il che conferma che il calore di vaporizzazione è costante inquesto intervallo e lo si può dedurre dalla pendenza della retta.

    25

  • Figura 1.13: Pressione (tensione) di vapore del CHClF2 liquido in funzione dellatemperatura.

    Esercizio Il punto normale di ebollizione del benzene è 353.2 K e ∆Hevap

    = 30.8kJ mol−1. Assumendo che l’entalpia di evaporazione non vari con la tempera-tura, si calcoli la pressione di vapore del benzene ad una temperatura di 20 Kpiù alta rispetto al punto normale di ebollizione (373.2 K). Chiaramente, p0 =1 atm.

    ln

    (p1p0

    )=

    (30800J mol−1)8.314J K−1mol−1

    ×(

    1

    353.2K− 1

    373.2K

    )= 0.556

    Quindi p1 = p0e0.556 = 1.744 atm. Il valore sperimentale è di 1.789 atm.

    Esercizio La pressione di vapore dell’acqua a 363.2 K è di 529 torr. Si determiniil valore medio dell’entalpia di evaporazione tra 363.2 K e 373.2 K.

    Sappiamo che il punto di ebollizione normale dell’acqua è 373.2 K (alla pressionedi 760 torr). Quindi potremo scrivere:

    ln

    (760

    529

    )=

    ∆Hevap

    8.314J K−1mol−1×(

    1

    363.2K− 1

    373.2K

    )

    26

  • Di conseguenza:

    ∆Hevap

    = ln

    (760

    529

    )× 8.314J K

    −1mol−1(1

    363.2K −1

    373.2K

    ) = 40.8 kJ mol−1Per confronto, l’entalpia di evaporazione sperimentale dell’acqua al punto nor-male di ebollizione è di 40.65 kJ mol−1.

    1.4.5 Dipendenza dell’Entalpia di Transizione dalla Tem-peratura

    Nelle sezioni precedenti, nell’integrare e quindi usare le equazioni di Clapeyrone di Clausius-Clapeyron, si è sempre fatta l’ipotesi che l’entalpia di transizio-ne ∆H

    α→βfosse indipendente dalla temperatura. Si è trattato, ovviamente,

    di un’approssimazione, che può risultare valida in alcuni intervalli (tipicamentepiuttosto ristretti) di temperatura. Quando non si possa (o non si voglia) ricor-rere a questa approssimazione, si può fare ricorso a relazioni empiriche che forni-scono la dipendenza della entalpia di transizione dalla temperatura ∆H

    α→β(T )

    in certi intervalli definiti di temperatura (tra una temperatura iniziale Ti eduna finale Tf ). Tipicamente queste relazioni vengono fornite in rappresentazionipolinomiali attraverso coefficienti numerici dati, del tipo:

    ∆Hα→β

    (T ) = A+BT + CT 2 + · · · per Ti < T < Tf

    Sostituendo questo tipo di espressioni nelle equazioni di Clapeyron e di Clausius-Clapeyron e poi integrando si possono ottenere espressioni meno approssimateper le curve di monovarianza. Ad esempio, consideriamo l’equilibrio tra unafase condensata (solido o liquido) ed il vapore e consideriamo che sia:

    ∆Hα→β

    (T ) = A+BT per Ti < T < Tf

    Sostituendo questa espressione nell’equazione di Clausius-Clapeyron (1.20) siavrà:

    dp

    p=

    ∆Hα→β

    RT 2dT =

    A+BT

    RT 2dT (1.23)

    che, integrata in modo indefinito darà:∫dp

    p=

    ∫A+BT

    RT 2dT∫

    dln(p) =

    ∫A

    RT 2dT +

    ∫B

    RTdT∫

    dln(p) =A

    R

    ∫1

    T 2dT +

    B

    R

    ∫1

    TdT∫

    dln(p) = −AR

    ∫d(1/T ) +

    B

    R

    ∫dln(T )

    ln(p) = − ART

    +B

    Rln(T ) + costante (1.24)

    La (1.24) fornisce una dipendenza funzionale del tipo:

    ln(p) =A′

    T+B′ln(T ) + costante

    27

  • Ad esempio, tra 146 K e 195 K, la tensione di vapore dell’ammoniaca solidaespressa in torr ubbidisce all’equazione empirica (per T in Kelvin):

    ln(p) = −4124.4/T − 1.81630ln(T ) + 34.4834 (1.25)

    Si vede chiaramente che, nel momento in cui l’entalpia di transizione non è piùindipendente dalla temperatura, un diagramma del logaritmo della pressione infunzione dell’inverso della temperatura non sarà più una semplice retta, comeavevamo discusso at termine della Sezione 1.4.4. Alternativamente, la (1.23)potrà essere integrata in modo definito tra due valori di pressione e di tempe-rature all’interno dell’intervallo di validità dell’espressione empirica (ovvero perTi < T < Tf ).

    Esercizio Sulla base della relazione (1.25), determinare l’espressione in funzionedella temperatura dell’entalpia molare di sublimazione dell’ammoniaca fra 146K e 195 K.

    Ricordando che (dall’equazione di Clausius-Clapeyron):

    dp

    p=

    ∆Hsub

    RT 2dT

    Segue che:

    dln(p)

    dT=

    ∆Hsub

    RT 2e quindi ∆H

    sub= RT 2

    dln(p)

    dT

    Prendendo la derivata dell’espressione (1.25), si ottiene:

    ∆Hsub

    = RT 2(

    4124.4

    T 2− 1.81630

    T

    )Ovvero:

    ∆Hsub

    = 4124.4R− 1.81630RT

    1.4.6 Equilibrio Liquido-Vapore: il Punto CriticoOccorre ricordare che le relazioni utilizzate in precedenza derivano da una seriedi forti approssimazioni e che valgono quindi solo in intervalli di T e p limitati.In particolare, per quanto riguarda la curva di equilibrio liquido-vapore, que-ste considerazioni valgono per valori di T non troppo lontani dal punto triplo(solido-liquido-vapore) e sufficientemente lontani dal punto critico. Infatti, av-vicinandoci al punto critico, la differenza tra i valori assunti dalle proprietà delledue fasi va man mano diminuendo per scomparire del tutto in corrispondenzadel punto critico.

    L’esperienza mostra infatti che per tutte le sostanze pure la curva di vapo-rizzazione termina bruscamente al punto critico, che identifica i valori di tem-peratura e pressione, Tc e pc, tali per cui al di sopra di essi la fase vapore e lafase liquida diventino indistinguibili, dando origine ad una fase fluida. Sopra ivalori critici di temperatura e pressione, cui la curva termina bruscamente, nonè dunque più possibile parlare di due fasi con proprietà distinte. Aumentando,

    28

  • Figura 1.14: Pannello in alto: densità del benzene in fase liquida e vapore infunzione della temperatura fino al punto critico. Pannello inferiore: entalpiamolare di evaporazione del benzene in funzione della temperatura, fino al puntocritico.

    infatti, la temperatura e la pressione di equilibrio, le varie proprietà delle duefasi (entalpia, entropia, volume, etc.) vanno, prima lentamente, poi via via piùrapidamente avvicinandosi fino a coincidere alla Tc e alla pc.

    Il pannello in alto della Figura 1.14 riporta la densità della fase liquida edella fase vapore del benzene al variare della temperatura di equilibrio, fino allatemperatura critica Tc. Si vede bene che, all’aumentare della temperatura (i.e.all’avvicinarsi al punto critico) la densità del vapore e del liquido diventanosempre più simili, fino a diventare identiche alla temperatura critica. Poiché ledensità del liquido e del vapore tendono a coincidere al limite per T tendente aTc, la differenza di volumi molari ∆V

    evaptenderà a zero al punto critico:

    limT→Tc

    ∆Vevap

    = 0

    All’avvicinarsi del punto critico viene quindi meno la prima delle ipotesi cheavevamo fatto nel ricavare l’equazione di Clausius-Clapeyron.

    L’evidenza sperimentale ci dice che la curva di vaporizzazione ha una pen-denza finita in corrispondenza del punto critico. Ricordando l’equazione di

    29

  • Clapeyron, potremo quindi scrivere che è:

    limT→Tc

    (dp

    dT

    )evap

    = limT→Tc

    ∆Hevap

    T∆Vevap = valore finito

    Ma siccome sappiamo che ∆Vevap

    tende a zero al tendere di T a Tc, allora sene deduce che anche ∆H

    evapdebba tendere a zero al tendere di T a Tc. Infatti,

    se così non fosse, e se ∆Hevap

    avesse un valore diverso da zero per T → Tc,il limite nella relazione precedente darebbe una pendenza infinita, quando inrealtà è finita. Con questo ragionamento, si deduce che deve per forza essere:

    limT→Tc

    ∆Hevap

    = 0

    In effetti è così. Si veda il pannello in basso della Figura 1.14 dove l’entalpiamolare di evaporazione del benzene è riportata in funzione della temperatura.Si osserva che questa quantità diventa nulla al punto critico. Questo implicache si verifichino anche le altre seguenti condizioni:

    limT→Tc

    ∆Sevap

    = 0 limT→Tc

    ∆Uevap

    = 0 limT→Tc

    ∆Aevap

    = 0

    Questo comportamento di tutte le proprietà sopra elencate si osserva per qual-siasi sostanza pura di cui si conosca sperimentalmente il comportamento intornoai valori critici. Al punto critico non esiste più alcuna differenza tra proprietàdel liquido e del vapore, scompare quindi la discontinuità caratteristica dellatransizione.

    Esercizio Sperimentalmente, la tensione di vapore del benzene liquido (inprossimità del punto triplo) è data da:

    ln(p/Torr) = −4110 KT

    + 18.33

    e la tensione di vapore del benzene solido (sempre in prossimità del punto triplo)è data da:

    ln(p/Torr) = −5319 KT

    + 22.67

    Si determinino la pressione e la temperatura del punto triplo del benzene.

    Esercizio Sperimentalmente, la tensione di vapore del benzene liquido (a pres-sioni un po’ più alte del punto triplo) è data da:

    ln(p/Torr) = −3884 KT

    + 17.63

    Usare questa formula per dimostrare che il benzene bolle a 67 ◦C quando lapressione a cui è sottoposto è pari a 500 Torr.

    1.5 Ordine delle Transizioni di FaseNelle sezioni precedenti abbiamo descritto diversi aspetti del diagramma di faseper sostanze pure. Abbiamo visto che le diverse regioni bivarianti del diagram-ma di fase rappresentano i domini di pressione e temperatura nei quali diverse

    30

  • fasi di una stessa sostanza (polimorfi solidi, liquida e vapore) risultano termo-dinamicamente stabili. Abbiamo poi discusso nel dettaglio diversi aspetti dellecurve di monovarianza che descrivono i valori di temperatura e pressione diequilibrio tra due fasi α e β e ne abbiamo legato le proprietà (ad esempio lapendenza) con le variazioni di varie grandezze termodinamiche alla transizione:∆V

    α→β,∆H

    α→β,∆S

    α→β,∆U

    α→β,∆A

    α→β.

    In questa sezione, classifichiamo diversi tipi di transizione di fase in baseal comportamento delle diverse grandezze termodinamiche in prossimità dellapressione e temperatura di transizione. Le transizioni di fase più comuni solido-vapore, solido-liquido e liquido-vapore sono note come transizioni di fase delprimo ordine. Una grande parte delle transizioni di fase solido-solido sonoancora transizioni di fase del primo ordine. Tuttavia, ci sono alcune transizio-ni di fase solido-solido e le transizioni di fase liquido-liquido superfluido (4He,3He) che differiscono da quelle del primo ordine per alcuni aspetti significativie vengono classificate come transizioni di fase di ordine superiore.

    Un aspetto comune a tutte le transizioni di fase è che il potenziale chimicoµ(T, p) (ovvero l’energia libera di Gibbs molare G(T, p) per sostanze pure) delledue fasi sia uguale, alla transizione (ovvero per quei valori di temperatura Tα→βe di pressione pα→β che caratterizzano la transizione):

    µα(Tα→β , pα→β) = µβ(Tα→β , pα→β)

    Le transizioni di fase del primo ordine sono caratterizzate da discontinui-tà finite delle grandezze termodinamiche V , H, S, U , A. Cominciamo con ilconsiderare la variazione di potenziale chimico in funzione della pressione, allatemperatura di transizione per transizioni del primo ordine. Questa situazioneè schematizzate in Figura 1.15.

    Figura 1.15: Potenziale chimico in funzione della pressione, alla temperatura ditransizione tra una fase α ed una fase β per una transizione del primo ordine.

    Ricordando che per ciascuna fase σ = α, β di una sostanza pura in equilibriointerno è:

    dGσ ≡ dµσ = −SσdT + V σdp

    Ne consegue che, alla temperatura costante di transizione, potremo scrivere:(∂µα

    ∂p

    )T=Tα→β

    = Vα

    e(∂µβ

    ∂p

    )T=Tα→β

    = Vβ

    31

  • doveVα 6= V β ovvero ∆V α→β 6= 0

    Si tratta delle pendenze delle curve disegnate in Figura 1.15. Analogamen-te, considerando la variazione di potenziale chimico in funzione della tempera-tura, alla pressione di transizione per transizioni del primo ordine, si osservauna discontinuità dell’entropia e quindi delle altre grandezze termodinamichecorrelate. Questa situazione è schematizzate in Figura 1.16.

    Figura 1.16: Potenziale chimico in funzione della temperatura, alla pressione ditransizione tra una fase α ed una fase β per una transizione del primo ordine.

    Alla luce delle considerazioni precedenti, si potrà scrivere infatti:(∂µα

    ∂T

    )p=pα→β

    = −Sα e(∂µβ

    ∂T

    )p=pα→β

    = −Sβ

    doveSα 6= Sβ ovvero ∆Sα→β 6= 0

    In questo caso, si tratta delle pendenze delle curve disegnate in Figura 1.16.Da queste discontinuità e dalle equazioni fondamentali della termodinamica, di-scendono anche le discontinuità di altre grandezze (ricordiamo che all’equilibriotra due fasi ∆G

    α→β= ∆H

    α→β − Tα→β∆Sα→β = 0):

    ∆Hα→β

    = Tα→β∆Sα→β

    ∆Uα→β

    = ∆Hα→β − pα→β∆V α→β

    ∆Aα→β

    = ∆Uα→β − Tα→β∆Sα→β

    Ovvero anche:∆H

    α→β 6= 0 ∆Uα→β 6= 0 ∆Aα→β 6= 0

    In definitiva, le transizioni di fase del primo ordine mostrano una di-scontinuità nelle derivate prime (o del primo ordine appunto) delpotenziale chimico: S e V . Anche le altre grandezze legate ad esse mostranouna discontinuità finita alla transizione.

    32

  • Consideriamo ora un’altra importante proprietà termodinamica: il calorespecifico molare a pressione costante Cp. Questa grandezza è una deri-vata seconda (o del secondo ordine) del potenziale chimico. Infatti laabbiamo definita come:

    Cp =

    (∂H

    ∂T

    )p

    = T

    (∂S

    ∂T

    )p

    (1.26)

    Ma dal momento che èS = −

    (∂µ

    ∂T

    )p

    sarà anche (prendendo la derivata rispetto alla temperatura di ambo i membri):(∂S

    ∂T

    )p

    = −(∂2µ

    ∂T 2

    )p

    Sostituendo nella (1.26) si ottiene:

    Cp = −T(∂2µ

    ∂T 2

    )p

    (1.27)

    Abbiamo quindi verificato che il calore specifico a pressione costante è propor-zionale alla derivata seconda del potenziale chimico rispetto alla temperatura.

    Figura 1.17: Andamento del calore specifico a pressione costante in funzionedella temperatura, in prossimità della transizione tra due fasi α e β.

    La Figura 1.17 riporta un andamento schematizzato del calore specifico a pres-sione costante in funzione della temperatura attorno alla transizione. Per valoridi temperatura infinitesimamente più piccoli o più grandi della temperatura ditransizione Tα→β , il calore specifico assume valori finiti e diversi nelle due fa-si. Ci si potrebbe quindi aspettare che a T = Tα→β il calore specifico mostriuna discontinuità finita simile a quelle delle proprietà termodinamiche del primoordine discusse in precedenza. Invece:

    A T = Tα→β Cp =∞

    Questo comportamento può essere facilmente dedotto dall’analisi delle ugua-glianze nella (1.26). Siccome sia H che S presentano delle discontinuità finite

    33

  • alla temperatura e pressione di transizione (funzione scalino), la loro derivataprima in quel punto sarà infinita (la pendenza del tratto verticale dello scalinoè infinita).

    Considerazioni analoghe valgono anche per altre proprietà termodinamichedel secondo ordine: il modulo di compressibilità isoterma κT ed il coef-ficiente di espansione termica a pressione costante αp. Verifichiamo chesiano effettivamente grandezze del secondo ordine (ovvero derivate seconde delpotenziale chimico). Abbiamo definito il modulo di compressibilità isotermacome:

    κT = −1

    V

    (∂V

    ∂p

    )T

    (1.28)

    Ma dal momento che èV =

    (∂µ

    ∂p

    )T

    sarà anche (prendendo la derivata rispetto alla pressione di ambo i membri):(∂V

    ∂p

    )T

    =

    (∂2µ

    ∂p2

    )T

    Sostituendo nella (1.28) si ottiene:

    κT = −1

    V

    (∂2µ

    ∂p2

    )T

    (1.29)

    Abbiamo quindi verificato che il modulo di compressibilità isoterma è pro-porzionale alla derivata seconda del potenziale chimico rispetto alla pressione.Avevamo definito il coefficiente di espansione termica a pressione costante come:

    αp =1

    V

    (∂V

    ∂T

    )p

    (1.30)

    Ma dal momento che èV =

    (∂µ

    ∂p

    )T

    sarà anche (prendendo la derivata rispetto alla temperatura di ambo i membri):(∂V

    ∂T

    )p

    =

    (∂2µ

    ∂p∂T

    )Sostituendo nella (1.30) si ottiene:

    αp =1

    V

    (∂2µ

    ∂p∂T

    )(1.31)

    Abbiamo quindi verificato che il coefficiente di espansione termica a pressionecostante è proporzionale alla derivata seconda mista del potenziale chimico ri-spetto alla pressione ed alla temperatura. Dall’analisi delle equazioni (1.28) ed(1.30) e dalla discontinuità finita alla transizione di V , risulta chiaro che an-che queste proprietà assumeranno un valore infinito al punto di transizione, intransizioni di fase del primo ordine:

    κT =∞ e αp =∞ alla transizione del primo ordine

    Quindi riassumendo, gli aspetti caratteristici di una transizione di fasedel primo ordine sono:

    34

  • • La continuità alla transizione della funzione G = µ;

    • La discontinuità finita (a scalino) delle funzioni termodinamiche che sonoderivate prime del potenziale chimico (S e V ) e delle grandezze da esseottenibili: H, U e A;

    • Valore infinito alla transizione delle proprietà che sono derivate secondedel potenziale chimico: Cp, κT e αp.

    Sapreste dire perchè κT e αp, a differenza di Cp, non hanno la barra ad indicarnela natura molare?

    Vediamo ora alcuni aspetti delle transizioni di fase di ordine superiore.Come già anticipato, una proprietà comune a tutte le transizioni di fase è ilcarattere continuo del potenziale chimico in funzione di temperatura e pressionealla transizione. Ovvero è sempre µα = µβ . In transizioni di fase di ordinesuperiore al primo, le funzioni derivate prime del potenziale chimico (S e V ) equelle da esse derivabili (H, U e A) sono continue alla transizione e quindi nonmostrano alcuna discontinuità:

    ∆Vα→β

    = 0 ∆Sα→β

    = 0 ∆Hα→β

    = 0 ∆Uα→β

    = 0 ∆Aα→β

    = 0

    Fu il fisico Ehrenfest a classificare le transizioni di fase in termini della funzionederivata del potenziale chimico di più basso ordine che presenti discontinuità.Le transizioni di fase del secondo ordine sono dunque quelle che non mo-strano alcuna discontinuità nelle derivate prime di µ e mostrano invece unadiscontinuità nelle funzioni che ne sono derivate seconde: ovvero, quelle percui Cp, κT e αp presentano una variazione finita alla transizione (si vedaschematizzazione in Figura 1.18). Sono esempi di transizioni di fase del secondoordine:

    • La transizione dell’ 3He liquido normale a 3He liquido superfluido;

    • Le transizioni dei metalli da conduttori a superconduttori.

    Quindi riassumendo, gli aspetti caratteristici di una transizione di fasedel secondo ordine sono:

    • La continuità alla transizione della funzione G = µ;

    • La continuità delle funzioni termodinamiche che sono derivate prime delpotenziale chimico (S e V ) e delle grandezze da esse ottenibili: H, U e A;

    • La discontinuità finita (andamento a scalino) alla transizione delle pro-prietà che sono derivate seconde del potenziale chimico: Cp, κT e αp.

    Per un certo tempo si pensò che esistessero un certo numero di transizioni difase del secondo ordine. Tuttavia, le misure delle grandezze derivate del se-condo ordine Cp, κT e αp hanno poi messo in evidenza che molte transizioniinizialmente classificate di secondo ordine non presentano una variazione finitadi queste grandezze, che invece vanno ad infinito alla transizione, sebbene conun andamento differente da quello presentato dalle transizioni di fase del primo

    35

  • Figura 1.18: Andamento schematico in transizioni di fase del secondo ordinedel calore specifico a pressione costante, del modulo di compressibilità isoter-mo e del coefficiente di espansione termica a pressione costante in funzione ditemperatura o pressione, in prossimità della transizione tra due fasi α e β.

    Figura 1.19: Andamento schematico in transizioni di fase di ordine superiore ditipo λ del calore specifico a pressione costante in funzione di temperatura (maanche del modulo di compressibilità isotermo e del coefficiente di espansionetermica a pressione costante) in prossimità della transizione tra due fasi α e β.

    ordine. Queste transizioni sono quindi state riclassificate sulla base di questoandamento come transizioni di ordine superiore di tipo λ.Le proprietà Cp, κT e αp in queste transizioni infatti non variano improvvi-samente da un valore finito ad infinito alla transizione, ma bensì cominciano adiventare molto grandi prima del punto di transizione, preannunciando la transi-zione stessa. Si veda Figura 1.19 per una rappresentazione schematica di questocomportamento. Questo andamento per Cp è dovuto al fatto che, pur non es-sendoci un vero e proprio calore di transizione, le grandezze S e H presentanoun punto di flesso quasi verticale alla transizione (si veda Figura 1.20).Lo stesso dicasi per gli andamenti di κT e αp, dovuti al fatto che V presentaun punto di flesso quasi verticale alla transizione. Sono esempi di transizioni difase di ordine superiore di tipo λ:

    • La transizione dell’ 4He liquido normale a 4He liquido superfluido;

    36

  • Figura 1.20: Andamento schematico di S e H in prossimità di una transizionedi fase del primo ordine (a destra) e di ordine superiore di tipo λ (a sinistra).

    • La transizione ordine-disordine in alcune leghe (tipiche Zn-Cu);

    • Cambio di orientazione di uno ione in un reticolo cristallino (NH4Cl oNaCN);

    • Alcune transizioni solido-solido (nel quarzo e nelle perovskiti);

    • La transizione ferromagnetismo-paramagnetismo (ad esempio per Fe e Ni);

    • La transizione da semiconduttore a conduttore in alcuni ossidi (TiO2);

    Quindi riassumendo, gli aspetti caratteristici di una transizione di fasedi ordine superiore di tipo λ sono:

    • La continuità alla transizione della funzione G = µ;

    • La continuità delle funzioni termodinamiche che sono derivate prime delpotenziale chimico (S e V ) e delle grandezze da esse ottenibili: H, U e A;

    • Valore infinito, nel senso prima illustrato (andamento che ricorda la formadella lettera dell’alfabeto greco λ), delle funzioni che sono le derivate delsecondo ordine del potenziale chimico: Cp, κT e αp.

    37

  • Capitolo 2

    Sistemi Omogenei a MoltiComponenti

    Nel Capitolo precedente abbiamo discusso le proprietà di sistemi eterogenei adun solo componente, ovvero gli equilibri di fase tra diversi stati di aggregazionedi una sostanza pura. Ora ci apprestiamo a discutere le proprietà termodinami-che di sistemi omogenei (ovvero caratterizzati da un unico stato di aggregazionedella materia) costituiti da diverse componenti dove la composizione possa va-riare. Affinchè la composizione cambi si dovrà essere in una delle due seguenticondizioni:

    • Il sistema è aperto all’ingresso o all’uscita di materia;

    • Il sistema è chiuso ma reagente, ovvero le sue componenti possono dareluogo ad una reazione chimica che ne cambia la composizione.

    Infatti, in un sistema chiuso la composizione può variare solo se abbiamo a chefare con un miscuglio di differenti componenti capaci di reagire chimicamente.Questo caso è chiaramente più complesso da trattare rispetto al primo. Infatti,Se in un sistema chiuso avviene spontaneamente una reazione chimica, gli statiattraverso a cui passa il sistema non sono stati di equilibrio. Inoltre, durantel’evoluzione verso l‘equilibrio, la variazione della composizione avviene seguen-do la stechiometria della reazione il che introduce dei vincoli sulle variazionirelative delle composizioni dei diversi componenti. Per queste ragioni comince-remo con l’analizzare sistemi aperti (e dunque a composizione variabile)omogenei non reagenti a molti componenti.

    Come nel caso dei sistemi omogenei ad un solo componente, ogni grandezzache sia funzione di stato sarà definita quando sia fissato il valore delle variabiliindipendenti necessarie e sufficienti per definire lo stato del sistema. Sia c ilnumero dei componenti del sistema; lo stato del sistema e qualsiasi grandezzaestensiva funzione di stato Y saranno definiti quando siano definite T , p ed ilnumero di moli di ognuno dei c componenti il miscuglio. Se non avvengonoreazioni chimiche tra questi c componenti ed il sistema è aperto si possono im-maginare tutte le possibili composizioni variando indipendentemente il numerodi moli dei c componenti senza vincoli. Potremo scrivere:

    Y ≡ Y (T, p, n1, n2, · · · , ni, · · · , nc) ≡ Y (T, p, |n〉)

    38

  • dove Y potrà essere V,H, S, U,G,A. Considerando quindi una variazione infi-nitesima di Y , il suo differenziale potrà essere scritto come:

    dY =

    (∂Y

    ∂T

    )p,|n〉

    dT +

    (∂Y

    ∂p

    )T,|n〉

    dp+

    (∂Y

    ∂n1

    )T,p,nj 6=1

    dn1

    +

    (∂Y

    ∂n2

    )T,p,nj 6=2

    dn2 + · · ·+(∂Y

    ∂nc

    )T,p,nj 6=c

    dnc (2.1)

    dove j = 1, . . . , c. Oppure, in modo più compatto:

    dY =

    (∂Y

    ∂T

    )p,|n〉

    dT +

    (∂Y

    ∂p

    )T,|n〉

    dp+

    c∑i=1

    (∂Y

    ∂ni

    )T,p,nj 6=i

    dni

    2.1 Le Grandezze Molari Parziali e l’Equazionedi Gibbs-Duhem

    Quando si esamina un miscuglio risulta naturale cercare di valutare i singo-li contributi che provengono dai differenti componenti alle proprietà estensivein esame. A titolo esemplificativo, nella discussione seguente considereremo ilvolume in quanto si presta in modo intuitivo alla razionalizzazione di quantoavviene ed è una proprietà di facile misurazione. Tutte le conclusioni che trar-remo potranno essere estese alle altre proprietà estensive del sistema omogeneoa molti componenti.

    Supponiamo di essere in condizioni di temperatura e pressione costanti esupponiamo di formare un miscuglio miscelando n1, n2, · · · , ni, · · · , nc moli deicomponenti 1, 2, · · · , i, · · · , c. Consideriamo cioè uno stato iniziale in cui si abbiaun ambiente in cui siano fissate T e p ed un contenitore con pareti diatermiche edeformabili costituito da c scomparti con pareti impermeabili, ognuno contenen-te le ni moli dell’i-esimo componente con cui vogliamo realizzare il miscuglio:

    Siano V∗1, V

    ∗2, · · · , V

    ∗c i volumi molari dei c componenti puri alla T e p conside-

    rata e sia V ∗ il volume iniziale del sistema costituito dai componenti puri nonmiscelati (d’ora in poi l’asterisco indicherà la proprietà di una sostanza pura odella collezione di sostanze pure non miscelate):

    V ∗ = n1V∗1 + n2V

    ∗2 + · · ·+ niV

    ∗i + · · ·+ ncV

    ∗c =

    c∑i=1

    niV∗i

    Ora togliamo le pareti interne del sistema e supponiamo che miscelando le variecomponenti non avvengano reazioni chimiche e si ottenga un miscuglio omogeneo(ovvero che sia presente un’unica fase). Aspettiamo che sia raggiunto l’equilibrioe quindi misuriamo il volume V occupato dal miscuglio.

    39

  • In generale si trova che il volume del miscuglio differisce dal volume dellacollezione delle sostanze pure:

    V 6= V ∗

    La differenza ∆mixV = V −V ∗ è la variazione di volume dovuta al mescolamento.Solo in casi particolari ∆mixV = 0 e si parla di miscugli ideali. La differenzafra il volume V del miscuglio ed il volume V ∗ delle componenti non miscelate èdovuto alla differenza fra le forze intermolecolari nel miscuglio rispetto a quellenei componenti puri e alla differenza fra l’impaccamento (il modo di disporsinello spazio) delle molecole nel miscuglio e nei componenti puri, dovuto alladifferenza fra dimensione e forma delle molecole miscelate.

    Ad esempio, consideriamo l’addizione di 50.0 cm3 di acqua a 50.0 cm3 dietanolo alla temperatura di 293 K ed alla pressione di 1 atm. In questo casoquindi è V ∗ = nacquaV

    ∗acqua + netanoloV

    ∗etanolo = 100 cm3. Dopo aver mescolato

    le due componenti si ottiene un volume di equilibrio per il miscuglio V = 96.5cm3. Inoltre si osserva sperimentalmente che, variando i rapporti acqua/etanolo,si ottengono variazioni di volume differenti. Si veda la Figura 2.1 che riportail volume del miscuglio formato miscelando diversi volumi iniziali di acqua edetanolo a 293 K ed 1 atm tali che V ∗ = nacquaV

    ∗acqua + netanoloV

    ∗etanolo = 100

    cm3.

    Figura 2.1: Volume del miscuglio formato miscelando diversi volumi inizia-li di acqua ed etanolo a 293 K ed 1 atm tali che V ∗ = nacquaV

    ∗acqua +

    netanoloV∗etanolo = 100 cm3.

    Per poter descrivere il nostro sistema, cerchiamo un’espressione per il volumeV del miscuglio (e per tutte le altre proprietà del miscuglio) come somma di

    40

  • contributi che provengano dai suoi differenti componenti. Poiché il volume è unagrandezza facilmente misurabile, ragioneremo ancora su questa proprietà. Tuttii risultati ottenuti per il volume saranno poi estesi alle altre grandezze estensive,funzioni di stato del sistema. In analogia a quanto fatto in precedenza per unagenerica proprietà Y , potremo scrivere per il volume:

    V ≡ V (T, p, n1, n2, · · · , ni, · · · , nc) ≡ V (T, p, |n〉)

    Considerando quindi una variazione infinitesima di V , il suo differenziale potràessere scritto come:

    dV =

    (∂V

    ∂T

    )p,|n〉

    dT +

    (∂V

    ∂p

    )T,|n〉

    dp+

    c∑i=1

    (∂V

    ∂ni

    )T,p,nj 6=i

    dni (2.2)

    Le derivate parziali nel terzo termine di questa relazione assumono una grandeimportanza nella descrizione dei sistemi a più componenti a composizione va-riabile. Definiamo quindi il volume molare parziale dell’i-esimo componentedel miscuglio come segue:

    V i =

    (∂V

    ∂ni

    )T,p,nj 6=i

    (2.3)

    Si tratta della velocità alla quale il volume V del miscuglio cambia al variare delnumero di moli del componente i-esimo quando siano fissate T e p ed il numerodi moli di tutte le altre componenti del sistema. Si veda la Figura 2.2 per unadefinizione grafica di questa quantità.

    Figura 2.2: Definizione grafica del volume molare parziale della i-esimacomponente di un miscuglio.

    Possiamo anche dire che il volume molare parziale dell’i-esimo componente ci di-ce come il volume del miscuglio risponde all’aggiunta di dni moli a temperatura,pressione e numero di moli di tutti gli altri componenti costanti:

    dVT,p,nj 6=i = V idni

    Infatti si può riscrivere la (2.2) come segue:

    dV =

    (∂V

    ∂T

    )p,|n〉

    dT +

    (∂V

    ∂p

    )T,|n〉

    dp+

    c∑i=1

    V idni (2.4)

    41

  • I volumi molari parziali sono grandezze intensive, in quanto rapporto traincrementi infinitesimi di due grandezze estensive e quindi saranno funzioni diT , p e delle frazioni molari dei componenti del miscuglio:

    V i ≡ V i(T, p, x1, x2, · · · , xi, · · · , xc) ≡ V i(T, p, |x〉)

    ricordando che

    xi =nin

    con n =c∑j=1

    nj

    Dimostreremo qui sotto che i volumi molari parziali sono proprio le grandezzedi cui abbiamo bisogno per poter esprimere il volume totale del miscuglio intermini di proprietà dei singoli componenti. Infatti dimostreremo che vale laseguente relazione fondamentale:

    V =

    c∑i=1

    niV i (2.5)

    A tal fine, cominciamo con l’osservare che, per valori fissati di T , p e dellacomposizione del sistema |x〉, il volume V del miscuglio deve essere direttamenteproporzionale al numero totale di moli n =

    ∑i ni. Infatti, se si raddoppiano,

    triplicano, dimezzano, etc. tutte le moli individuali ni dei componenti presentinel miscuglio a temperatura e pressione costante, le xi non variano, ma il volumedella soluzione raddoppia, triplica, dimezza, etc. Quindi V è proporzionale adn in queste condizioni e si potrà dunque scrivere:

    V = nf(T, p, |x〉) per T, p, |x〉 costanti (2.6)

    dove f(T, p, |x〉) è una generica funzione di T , p e |x〉. Consideriamo ora unavariazione infinitesima di V in queste condizioni, ovvero una pura variazione diestensione del sistema, ma non delle sue proprietà intensive:

    dV = f(T, p, |x〉)dn per T, p, |x〉 costanti (2.7)

    Ma a temperatura e pressione costanti, la (2.4) si riduce a:

    dV =

    c∑i=1

    V idni per T, p costanti (2.8)

    La (2.7) e la (2.8) non possono ancora essere confrontate perchè si riferiscono acondizioni diverse. In particolare, nella (2.8) bisogna ancora imporre la costanzadelle frazioni molari. Essendo xi = ni/n, segue che sia ni = xin e quindidni = xidn + ndxi. Imponendo che sia xi = costante seguirà che dxi = 0 equindi dni = xidn. Ovvero, imponendo la costanza delle frazioni molari, la(2.8) potrà essere riscritta come:

    dV =

    c∑i=1

    xiV idn per T, p, |x〉 costanti (2.9)

    Questa relazione può essere confrontata con la (2.7), dalla quale risulta chef(T, p, |x〉) =

    ∑i xiV i. Tornando alla (2.6) potremo scrivere:

    V = n

    c∑i=1

    xiV i ovvero V =c∑i=1

    niV i ovvero V =c∑i=1

    xiV i (2.10)

    42

  • dove V è il volume molare del miscuglio. Abbiamo quindi dimostrato la relazioneche cercavamo. Possiamo quindi dare una definizione più esplicita del volumedi mescolamento:

    ∆mixV = V − V ∗ =c∑i=1

    niV i −c∑i=1

    niV∗i =

    c∑i=1

    ni(V i − V∗i )

    Analogamente, la sua versione molare sarà data da:

    ∆mixV =∆mixV

    n= V − V ∗ =

    c∑i=1

    xiV i −c∑i=1

    xiV∗i =

    c∑i=1

    xi(V i − V∗i )

    Esercizio Vediamo un esempio di applicazione della (2.5) che abbiamo appenadimostrato. La Figura 2.3 riporta i volumi molari parziali dell’1-propanolo edell’acqua in una soluzione di 1-propanolo/acqua a 293 K in funzione dellafrazione molare di 1-propanolo presente nella soluzione. La si usi per stimare ilvolume finale V del miscuglio quando si mescolino 100 mL di 1-propanolo con100 mL di acqua a 293 K. Ovvero è V ∗ = 200 mL.

    Figura 2.3: Volumi molari parziali dell’1-propanolo e dell’acqua in una soluzionedi 1-propanolo/acqua a 293 K in funzione della frazione molare di 1-propanolopresente nella soluzione.

    Le densità dell’1-propanolo e dell’acqua a 293 K sono rispettivamente 0.803 gmL−1 e 0.998 g mL−1 e le loro masse molecolari sono 60.09 g mol−1 e 18.02 gmol−1. Cominciamo con il calcolare il numero di moli di 1-propanolo ed acqua:

    n1-propanolo =(0.803g mL−1100mL)

    (60.09g mol−1)= 1.336mol

    nacqua =(0.998g mL−1100mL)

    (18.02g mol−1)= 5.538mol

    Per un totale di n = 6.874 mol. Quindi, la frazione molare di 1-propanolo èx1-propanolo = 1.336/6.874 = 0.194. Dalla Figura 2.3 si vede che, per questa

    43

  • frazione molare di 1-propanolo, i volumi molari parziali delle due componentisono circa V 1-propanolo = 72 mL mol−1 e V acqua = 18 mL mol−1. Dall’equazione(2.5) seguirà che:

    V = 1.336mol72mL mol−1 + 5.538mol18mL mol−1 = 196mL

    Ora siamo nelle condizioni di poter ricavare una delle relazioni più importanticirca i volumi molari parziali, che estenderemo in seguito alle altre proprietàtermodinamiche estensive del sistema (ed in particolare al potenziale chimico).Differenziando la (2.5) otteniamo:

    dV =

    c∑i=1

    nidV i +

    c∑i=1

    V idni (2.11)

    che, confrontata con la (2.8) ci dice che, a temperatura e pressione costanti,deve essere:

    c∑i=1

    nidV i = 0

    oppure, dividendo per n:

    c∑i=1

    xidV i = 0 per T, p costanti (2.12)

    Questa equazione è una delle proprietà più importanti dei sistemi apertiomogenei a molte componenti perchè ci dice che i volumi molari parziali non sonoindipendenti. Conoscendo i valori di c−1 volumi molari parziali in funzione dellefrazioni molari, si può integrare e trovare il volume molare parziale dell’ultimocomponente.

    Come già anticipato più volte, tutte le relazioni ottenute nelle pagine prece-denti circa il volume sono valide per qualsiasi proprietà termodinamica estensivadel sistema Y = H,S,U,G,A