Che rumore fa la Carità? - WebDiocesi · 2014. 4. 7. · 12 da rendere sempre nuo-va nelle diverse...

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  • Che rumore fa la Carità?La Casa della Carità è un fermento, una cellula iniziale di un ritorno del genere umano alla sua unità nell’Amore, alla Co-munità, nel senso più evangelico e positivo di questa parola.

    (Don Mario 26-11-1952)

    pArroCChiA di s. AndreA ApostoLovitrioLA (Mo)

  • Fu detto ad Elia: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore».

    Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da

    spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore

    non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non

    era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non

    era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come

    l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso

    della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: «Che fai qui, Elia?». Egli rispose: «Sono pieno

    di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno

    abbandonato la tua alleanza».

    (1 Re 19,11-14)

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    PRESENTAZIONE

    e’ con intima compiacenza e commozione che benedico questa pic-cola, semplice e commovente raccolta di pensieri sparsi e di testimo-nianze in occasione del 50° di fondazione della Casa della Carità di vitriola. e’ un bell’inno di grazie al signore, autore e perfezionatore di ogni bene, che l’ha ispirata, fatta nascere e crescere, a cui ha condotto con tenerezza tanta gente, a volte per vie strane e misteriose, ignara di tutta la ricchezza di cui Lui la voleva arricchire nell’incontro nei poveri.ringrazio di cuore coloro che con molta semplicità e sentimento han-no condiviso la loro esperienza, il racconto del loro incontro con la Casa, gli ospiti, i parroci, le suore, gli Ausiliari… se è vero il detto: “chi perde la memoria del suo passato compromette il suo futuro”… questo libretto è un servizio prezioso fatto alle Comu-nità, ai vari gruppi, per i più giovani, per coloro che vengono in con-tatto oggi con questa realtà che compie 50 anni e francamente non li dimostra. Anzi, scorrendo i racconti sembrano eventi e ricordi di ieri, ieri l’altro tutt’al più. Ma soprattutto sono racconti “di bene” che ci fanno bene; in un tempo che pare dominato dall’egoismo e da tante forme di poca attenzione, dall’indifferenza generalizzata… ci dicono che l’amore e la solidarietà sono possibili, che un altro stile di vita è possibile, che è possibile cambiare la mentalità, i luoghi comuni… Coincidenza felice (preferisco provvidenziale), con il Centenario del-la nascita di don Mario prandi che l’ha voluta, accondiscendendo al desiderio/intuito del parroco don pietro Cassanelli, per rispolverare lo spirito autentico e originale della Casa, dei suoi principi fondanti, perché sia onorata “in verità” la memoria dei nostri padri.purtroppo il giorno della festa non potrò essere fisicamente presente, in quanto, se dio lo vorrà, sarò in visita in Madagascar; colgo l’occa-sione per esprimere le felicitazioni e gli auguri più belli per moltissimi anni ancora, perché la Casa della Carità possa continuare a seminare con larghezza e fecondità la “Civiltà dell’Amore”, anche per la pre-ghiera e la benedizione di don Mario.

    don Romano Zanni(Superiore della Congregazione Mariana delle Case della Carità)

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    50 ANNI dEllA CASA E 100 ANNI dI dON MARIO

    Ci pare che il signore con questa coincidenza ci voglia fare un duplice dono. Un giubileo è sempre un anno di grazia, in cui il signore vuole aiutarci a scoprire e ad accogliere sempre più profondamente la sua misericor-dia, a vedere con occhi nuovi le meraviglie dei doni che ci ha fatto per poterci aprire ad un sincero rendimento di grazie.Attraverso il far memoria della vita di don Mario e della vita della no-stra Casa della Carità, ci mettiamo nella disponibilità per

    aprire il cuore al signore nel “rendimento di grazie” per il dono della vita di don Mario, che ha saputo rispondere alla chiamata del signore, accogliendo l’intuizione dello spirito santo per la Chiesa e a nome della Chiesa;

    aprire il cuore al signore nel “rendimento di grazie” per la vita della Casa della Carità, segno della presenza di Gesù nelle tre mense, cele-brate nella parrocchia;

    aprire il cuore all’umiltà per cercare di penetrare e scoprire sempre più profondamente il dono della Casa della Carità, così come il signo-re l’ha pensata e voluta attraverso don Mario;

    aprire il cuore per potere ricevere la misericordia del signore, il suo amore, il suo dono di salvezza, che ci vuole dare con ancor più abbon-danza attraverso la Casa della Carità, tabernacolo della sua presenza nella parola, nell’eucaristia, nei poveri;

    aprire il cuore a questo Banchetto al quale Gesù ci convoca per forma-re intorno a Lui una comunità evangelica della Carità;

    aprire il cuore allo spirito santo, perchè ciascuno di noi possa diven-tare missionario della Carità, perchè si diffonda nel mondo la Civiltà dell’Amore.

  • la Carità

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    “dIO è AMORE, ChI STA NEll’AMORE vIvE IN dIO”!

    CARITà, una parola pie-na, una parola forte, una parola da pronunciare e sentire in punta di pie-di e con circospezione, perché potrebbe trarre in inganno. e’ come il suo equivalente: Amore, così abusata ed idolatrata ed a volte ridicolizzata, ma deus Caritas est = dio è Amore, così recita la pri-ma lettera di s. Giovanni Apostolo.e’ la grande, somma, pie-na rivelazione che ci ha dato Gesù di dio come Abbà: papà.parlare di Carità, allora, è parlare di dio, della sua natura e intimità, del suo sguardo benevolo e misericordioso verso di noi, uno sguardo che ti dice: “ti amo e per questo esisti”, ti dice: “ti amo e per questo sei nuova creatura, figlio nel Figlio, pieno dello spirito santo Amore”.e’ questo il dono del dio Amore-Carità: padre, Figlio, spirito santo. Ma non ne potremmo parlare con verità e consapevolezza se prima egli non ce lo avesse fatto sperimentare, toccare con mano; è la rispo-sta di Gesù risorto a tommaso: tocca e credi.e’ una costante nella Bibbia: dio è un dio che fa sperimentare, tocca-re con mano, la sua è parola efficace: quello che proclama si realizza; fin dalla creazione: “e dio disse... e... fu!”

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    e’ per questo che quando si parla di Gesù in una sintesi della sua attività si dice che: “egli passò facendo del bene a tutti... e inse-gnando nelle loro sinagoghe”; e quando san paolo nella 1 Corinti 13 ci traccia la “via migliore di tutte”, l’inno alla Carità, egli la qualifica con 15 aggettivi, atteggiamenti concreti che non lasciano scampo: l’Amore, la Carità, non è belle parole, teorema da studiare, disquisire, insegnare, ma vera esperienza di compassione, concreto sporcarsi le mani, compromis-sione con chi è nella necessità.La parabola del buon samaritano rimarrà sempre il faro che illumina la vita di ogni discepolo nel suo doversi fare prossimo e non amare il prossimo. il segreto è proprio questo: sapersi fare prossimo a chi il signore fa incontrare lungo il sentiero della vita, nostro pellegrinaggio verso l’in-contro definitivo con l’eterno. e’ un incontro che va preparato e lo possiamo fare solo adeguando i nostri occhi alla “luce dell’Amore di dio” e dio Carità-Amore è possibile vederlo solo nell’amore.penso che dietro alla grande intuizione di don Mario e del suo far na-scere le Case della Carità ci stia questa convinzione, via via maturata sul campo della vita, in quella costante e continua capacità di adattarsi nel cammino storico della Chiesa.in duemila anni di storia quanti esempi e modi di vivere la Carità, è una eredità che don Mario ha saputo cogliere ed attualizzare. Questa diventa per noi: persone, famiglie, parrocchie, diocesi, Chiesa intera, una eredità da mettere nel tesoro della grande esperienza cristiana,

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    da rendere sempre nuo-va nelle diverse e concre-te situazioni della vita, là dove questa è impiantata e vissuta.Avere una Casa della Ca-rità a portata di mano, di-venta l’occasione propi-zia per rendere possibile, toccabile e sperimentabi-le quell’ Amore di dio di cui siamo fatti sacramen-to là dove il signore ci ha posti, questo perchè il signore, Amore infinito, ha voluto avere bisogno di noi per mostrare e do-nare la sua provvidenza di padre.il mondo nel peccato è mondo diviso, frantu-

    mato da odio e da lacerazioni, frutti dell’orgoglio e della superbia; l’umanità in questa condizione non potrebbe che attirarsi le “ire di dio”, solo l’Amore-Carità spezzato come buon pane, può stornare questa ira, può riparare al male, coprire le frantumazioni, facendoci scoprire la vera fraternità che solo in dio ha la sua sorgente e punto di riferimento, così fare superare le divisioni del peccato e le lacerazioni dell’odio.sperimentare l’Amore è accogliere l’altro con fiducia, cuore aperto e senza paura; e l’Amore, proprio perchè è capace di ricostruire comu-nione, è motivo e fonte di gioia, una gioia interiore, una gioia e pace che nulla e nessuno può rubarci, perchè sono dio in noi. ricordiamo l’Apostolo: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere!”Casa della Carità, luogo di crescita, di formazione all’amore, all’au-

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    tentico servizio al povero e al bisognoso, come allo sfiduciato, al delu-so, all’avvilito, senza speranza! sta a noi servircene e servire, per farla diventare ciò che è e deve essere.La Casa della Carità diventa, soprattutto per i suoi frequentatori, mo-tivo di verifica dell’autenticità del servizio, che può essere dono, via della croce, o interesse, come quello che Manzoni dice di napoleone nella celebre poesia (5 maggio 1821).La cartina di tornasole è proprio l’ultimo dei cinque punti di don Ma-rio: fonte e costruttrice di fraternità e comunità. La vera Carità unisce e, se così non è, rischia di non essere Carità.e’ questa fragilità e debolezza della via della Croce, perchè si manife-sti la potenza di dio.resta per tutti, però lapidario: “dio è Amore, chi sta nell’Amore vive in dio”!

    don Lauro Longagnani (vicario foraneo della Val Dragone)

  • Maria E la CaSa DElla Carità

    Dio ha chiamato Maria ad accendere il primo “focolare della Carità” a Betlem-me… poi a Nazaret… poi a Gerusalemme… poi… poi… poi… alla Casa della Carità

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    ESSERE MARIA

    sono dieci anni che celebro quasi ogni giorno alla Casa della Carità di vitriola. premetto che essendo un sessantottino non ho mai avuto particolari simpatie per le suore, ma alla Casa ne notai subito una. non vedevo in lei la suora come le altre, come tante che ho incontrato, forse trop-po clericalizzate e formali, ma ho visto subito la donna; non una don-na qualunque, ma la donna. Una piccola Maria per capirci. silenziosa, delicata, essenziale, aperta a tutti senza distinzioni, ferma. e’ ricordando lei, suor Chiara, che penso alle Case della Carità e chiunque in esse ci vive come “altre piccole Maria”.ripetere Maria sulla terra: ecco la vocazione di ogni cristiano, di chi si

    mette a servizio dei piccoli, dei poveri, dei rifiutati. non si concepisce un servizio che non sia discreto, umile, nascosto. non trascina, non affascina se non ha questo stile. Questo non si inventa e non si impara da soli. essere Maria esige, come appunto ha fatto lei, vivere le parole del suo Figlio: “Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli…”. “sono coloro che

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    ascoltano la mia parola e la mettono in pratica”.Un servizio lo si dà esclusivamente così, appunto come suor Chiara: in lei ho visto Maria all’opera dentro la Casa! ricordo che durante la celebrazione stava vicino alla Franca e solo con il suo atteggiamento lei capiva che non doveva parlare o mostrare le carte che sempre teneva strette in mano.essere Maria dun-que! essere van-gelo vivo, essere la sua parola. e se Gesù “è” quel-lo che esprime, se Gesù è il suo van-gelo, le sue parole non sono un optional che posso accettare solo se desidero vivere più spiritualmente, ma valori da interiorizzare e da vi-vere per realizzarmi uomo o donna che sia.e Maria è la donna perfetta, la madre cara, la regina dei martiri…e Maria ci aiuterà a vivere dentro la Casa come altre piccole lei se in ogni ospite vedremo Lui l’Abbandonato; così in ogni situazione pe-sante, ogni stanchezza eccessiva, ogni scoraggiamento.“Siamo stanchi Signore,siamo stanchi sotto la croce (…) e il pianto ci prende la golae beviamo lacrime amare.Affretta Signore l’ora dell’arrivo, che qui per noi non c’è più stazione di gioia, non c’è che desolazione”(Dottrina spirituale, cit. p.150)in queste parole di Chiara Lubich si sente il buio che l’anima attraver-sa. Anche alla Casa si sperimenta questo. Allora tutto è inutile: Gesù Abbandonato sarebbe dunque l’oppio dei popoli? no, amandoLo

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    siamo introdotti in una vita di fede che ci fa vivi, autentici, credenti, salvati, giustificati. (Cf. 2 ts 2,13; rm 3,22.28.30)“E’ col tuo incontro (Gesù Abbandonato) che si diventa altra Maria”.dove non c’è più niente di nostro, se non la fede pura nell’amore di dio che può ridare la vita a ciò che è morto, Maria, “colei che ha cre-duto”, è presente. dove non c’è più niente di nostro, se non la parola viva, e Gesù Ab-bandonato è parola che riassume un po’ tutto il vangelo, Maria, rive-stita di parola, è presente. dove siamo solo amore per i nostri fratelli, Maria, madre di tutti, è presente. dove l’eucaristia realizza i suoi effetti e ci trasforma in Gesù, Maria è presente. dove le diversità non sono mortificate ma valorizzate ed elevate nell’unità, Maria è presente.se lo abbracciamo nel suo abbandono e nella sua morte, Maria non solo ci accompagnerà, ma rivivrà in noi. e con lei, in lei, noi popolo di sacerdoti, Chiesa, possiamo dire con tutta l’anima e in verità: “nell’at-tesa della tua venuta”.Maria, la madre del Bell’Amore, Maria la tutta Bella è presente alla Casa quando non vedo l’ospite irritante, loquace, testardo, appicci-caticcio o bavoso, ma lo riconosco e lo amo perché il mio dio, il mio signore Crocifisso e Abbandonato è lì in quel volto e membra. siamo destinati tutti alla trasformazione e alla bellezza della risurrezione se passiamo attraverso appunto la stretta del “dio mio, dio mio perché mi hai abbandonato?”. Ma occorre essere Lui nel momento presente della vita.

    Padre Dario Ganarin (Parroco pro tempore di Vitriola)

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    Ogni Casa della Carità è intitolata a un Mistero del Santo Rosario

    Quello può diventare l’ispiratore del “clima spirituale” della Casa del-la Carità. e’ il modesto omaggio alla nostra regina.LA nostRA CAsA e’ dediCAtA AL iv Mistero GLorioso “L’AssUnZione di MAriA AL CieLo”

    GesU’ portA in CieLo MAriA sUA MAdre, trionFAndo sULLA MAteriA.

    e’ il trionfo sulla materia e su ogni materialità, sia sensibile, sia “scien-tifica”, sia progressista, sia tecnologica, sia filosofica, sia sociopolitica, sia razionale, sia umana. nessuna legge che regola l’universo è qui ri-spettata: dio fa l’unica eccezione per la madre santissima, che non può conoscere la corruzione.

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    Maria in ante-prima è arrivata in Cielo, prima creatura a varcare le porte del paradiso anche col corpo, proprio per la grandezza della sua missione…ma anche per ricordarci che la vita eterna è un dono per tutti e che il padre ci attende tutti nella sua Casa.La Chiesa, nostra Madre, seguendo l’esempio di Maria, continua a se-minare nel mondo fuochi di carità, perché non soccombiamo schiac-ciati dal peso dei peccati, delle tribolazioni, della sofferenza…… que-sta luce della carità ci ricorda che al di là di ogni miseria umana, c’è la consolazione del padre, c’è il dono della vita eterna, che comincia quaggiù sulla terra e ha compimento in Cielo.

  • UN PO’ Di StOria

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    CENTENARIO dI dON MARIO

    don Mario prandi, nato a reggio e. il 6/2/1910 è stato parroco a Fontanaluccia dal 1938 al 1986, anno della sua morte.nella sua vita di parroco ha cercato di sviluppare un progetto, che ave-va pensato negli anni del seminario (1933):“Se Dio lo volesse!... col suo aiuto io mi sentirei di mettervi mano.”IL REGNO DI DIO - CARITA’“...il clero si unisce e, partendo dal principio seguente: “il povero è Cristo - quanto più bisognoso e sofferente, tanto più Cristo - quello che è fatto a uno di questi minimi è fatto a me; si tira questa importantissima conclu-sione: non agisco per fare del bene al prossimo, non cerco di risolvere dei problemi sociali di umanità - questo rimane vero, ma viene come corol-lario), io parto di qui: Gesù Cristo mi fa l’immenso piacere di venirmi incontro nel povero, nel sofferente, per farmi capire il più grande precetto della legge “Ama”.... Può servire quello come primo nucleo per costituire in una o più parrocchie una Casa della Carità ... la Casa dovrà vivere di carità; e a sua volta fomenterà la carità nelle parrocchie. Per arredamenti, suppellettili ecc. interessarne la parrocchia. - Cominciare a parlarne come di una Casa che deve essere il Parafulmine della Parrocchia, un modo di coprire tante magagne - una palestra delle Opere di misericordia. (A.M.G. d.D. pag.23)don Mario custodisce questo progetto che il signore gli ha messo nel cuore fin dagli anni del seminario e cammin facendo lo approfondisce. “e’ la carità che gli urge dentro come un fuoco!... C’è da diffondere il regno di dio Carità”.nei primi anni, in cui è parroco a Fontanaluccia, cerca di dare con-sistenza al piano di dio, formando i suoi parrocchiani prima singo-larmente, poi comunitariamente nelle celebrazioni e nelle adunanze catechizzando rispetto alla carità e cercando di formare ad una men-talità comunitaria e di comunione. Allargare il tabernacolo della parola e dell’eucaristia con quello della Casa della Carità che custodisce i più poveri, vuol dire mettere al cen-tro Gesù nelle tre presenze.

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    La Casa della Carità diven-ta così il luogo dove con-cretamente i parrocchiani, anche se non a tempo pie-no, hanno la possibilità di vivere la comunità, il far famiglia.Le varie realtà della par-rocchia, le varie vocazioni, tutte le associazioni par-rocchiali si trovano unite nella carità in una unità di intenti e di fraternità.don Mario, con la sua intel-ligenza e con le capacità di coinvolgere e familiarizzare con tutti, doti che probabil-

    mente il signore gli ha donato per attuare il suo progetto, gli permet-tono di concretizzare una intuizione originale: mettere al centro della parrocchia i poveri nel tabernacolo allargato che è la Casa della Carità.La Casa della Carità diventa il luogo dell’incontro con Cristo nei po-veri, che investe la vita stessa del cristiano e che deve investire la vita di ogni cristiano, che infine deve investire la Chiesa tutta, come comu-nità visibile di coloro che sono legati da una medesima fede e da un medesimo amore.il parroco, don Mario, è riuscito a far ruotare la vita della parrocchia intorno a questo nucleo di poveri derelitti, apparentemente spento, ma in realtà capace di essere il motore spirituale, la ragione di vita di una comunità. e’ qui che i cristiani vivono l’analogia tra il mistero di Cristo nell’eu-caristia e quello di Cristo nei poveri.e’ qui dove i poveri vivono il riconoscimento di un loro posto e di una funzione privilegiata nella vita della Chiesa (cfr. servizio RAi del 1962).

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    dONO dEllA CASA dEllA CARITà

    L’obiettivo di mettere al centro i poveri, per trovare in loro un incon-tro con Cristo, fa sì che la vita nella Casa della Carità si svolga in ma-niera diversa rispetto a quella delle altre istituzioni. intanto la Casa è aperta a tutti in qualsiasi momento della giornata. Chi entra si inserisce e partecipa, come facente parte della famiglia, a quello che si sta vivendo in quel preciso momento:servizio, preghiera, svago o altro. Qualsiasi persona che entra alla Casa, anche se per poco tempo, vi entra per fare famiglia, cosa già diversa rispetto all’entrare per fare sol-tanto un servizio.

    e’ un momento per partecipare al culto della carità che segna il ritmo della giornata. sia quando si serve, sia quando si prega, sia quando si mangia insieme, si lavora insieme, ci si ricrea insieme, sia quando si fa qualsiasi tipo di servizio, compresi anche i più umili fatti a coloro che, nella Casa, hanno più bisogno, sia quando viene celebrata la santa Messa o quando si fa l’adorazione eucaristica, ogni momento è una celebrazione di lode a dio, è vivere la carità, è stare seduti al Banchet-

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    to di Gesù che convoca tutti alla sua mensa. Cambiano i modi, ma tutto è sempre lode a dio.ecco allora che la comunità parrocchiale, mettendo al centro i suoi poveri in questo tabernacolo allargato che è la Casa della Carità trova o mette in luce, evidenzia:a. un “parafulmine, della divina giustizia” come risposta di Amo-

    re al male, e come partecipazione visibile al sacrificio redentivo della Croce, poichè il segno e la manifestazione suprema della Mi-sericordia è la Croce-risurrezione;

    b. un “grande lenzuolo” che copre e ripara molte miserie perchè il signore perdona molto a chi molto ama;

    c. una “scuola e palestra” di carità e fraternità cristiana per tutti i fedeli, secondo la tradizione delle 14 opere di misericordia;

    d. una dimostrazione della bontà e premura della Provvidenza di dio;

    e. un “fermento” di ricostruzione comunitaria nella Carità di Cristo. La Casa della Carità è un fermento, una cellula iniziale di un ritorno del genere umano alla sua unità nell’amore e ad una vita comunitaria evangelica.

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    lE MEravIglIE ChE OPEra Il SIgNORE

    se don Mario è il depositario dell’intuizione della Casa della Carità, i parrocchiani e, in un secondo tempo, le suore sono stati i suoi col-laboratori, quelli che hanno permesso di concretizzare la Casa e di diffonderla. La Casa della Carità è una comunità parrocchiale, che vuol dire co-munità di Chiesa. può nascere, se la comunità e il parroco desiderano avere questo se-gno di carità, mettendo al centro i poveri.

    non è la Casa di una congregazione religiosa, che si apre al volonta-riato per fare assistenza. Quando nasce la Casa della Carità a Fontanaluccia, il 28 settembre 1941, è affidata alla provvidenza e completamente gestita dai parroc-chiani, soprattutto dalle giovani di Azione Cattolica, che a turno si alternano per il servizio che è coordinato da una giovane di un paese vicino, romanoro, che dà la sua disponibilità per un po’ di tempo.

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    Cammin facendo però si è capito che la Casa ha bisogno di una pre-senza fissa, di un punto di riferimento non solo per quel che riguarda l’andamento materiale della Casa, ma soprattutto per quel che riguar-da il suo obiettivo spirituale, quello di essere una comunità parroc-chiale che mette al centro i poveri per potere fare famiglia con Gesù presente nelle tre Mense: parola, eucaristia e poveri.in altre parole ha bisogno di una consacrazione che garantisca il culto della carità in ogni momento della giornata e della notte e che lo faccia anche a nome del parroco e di tutti i parrocchiani, anche nei momenti in cui non c’è la presenza di qualcuno della comunità parrocchiale.ha bisogno di una consacrazione, che, avendo la stessa vocazione della Casa della Carità, cioè quella di essere una comunità evangeli-ca della Carità nello spirito di preghiera adorazione e di famiglia, ne garantisce uno stile di vita diverso da quello puramente assistenziale.ecco perchè nascono il 16 luglio 1942 le prime carmelitane Minori e il 27 settembre 1972 i Fratelli della Carità. Una vocazione particolare per garantire il culto continuato delle tre Mense nelle parrocchie, per camminare con la comunità parrocchiale alla sequela autentica di Gesù uniti nella carità e negli stessi intenti, testimoniando la Misericordia di dio, insieme alla gioia e fraternità cristiana. Una vocazione semplice e povera senza nessuna pretesa, soltanto quella di essere parrocchiani come tutti gli altri con un compito e un ruolo ben specifico all’interno della Casa:a. punto di riferimento per il far famigliab. per dare uno stile di preghiera, di adorazione c. per costituire una comunità parrocchiale che desidera giorno

    dopo giorno formarsi ad una mentalità evangelica della carità come quella della Chiesa dei primi tempi, quando i cristiani vive-vano insieme, condividendo tutto, pregando e spezzando il pane.

    Quindi una vocazione nata non per fare delle opere di assistenza, ma per vivere e aiutare a vivere la carità.rendiamo grazie allora al signore che ha scelto questi suoi strumenti:a. don Mario

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    b. la parrocchia di Fontanalucciac. e le prime suore... i pionieri quelli che per primi hanno detto “sì” al signore, permetten-do anche a noi di ricevere il dono della Casa della Carità.

    Grazie al signore anche per questa coincidenza di celebrare il 50° del-la nostra Casa della Carità nello stesso anno del centenario della na-scita di don Mario. doppio motivo per rendere grazie, una possibilità in più per ap-profondire la ricchezza del dono che abbiamo ricevuto e celebrare le meraviglie che opera il Signore.

    1957, gli ospiti e l’ospizio S.Lucia di Fontanaluccia dopo 15 anni dai primi inizi; gruppo davanti all’entrata. La prima a destra è suor Teresa

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    lA PARROCChIA dI vITRIOlA

    La nostra fede non si basa su una teoria filosofica, ma sulla concretez-za di un dio che è amore e che per far conoscere il suo infinito Amore non ha esitato a sacrificare il suo Figlio per salvarci, per ricondurci alla Casa del padre, per indicarci la strada, la legge, il comandamento nuovo: Amatevi come io vi ho amati. Ama il prossimo tuo come te stesso.i nostri nonni, i nostri genitori hanno saputo credere e vivere que-sta fede, la “legge dell’Amore”, nella semplicità, nella solidarietà, nel-la condivisione di quel poco che possedevano con chi stava peggio, nell’aiutarsi nelle tribolazioni, nel consolare ed aiutare chi si trovava nella sofferenza o nella malattia, nell’accogliere o ospitare chi rimane-va orfano o senza un tetto.Forse non hanno avuto la possibilità, come abbiamo noi oggi, di leg-gere la Bibbia, il vangelo, ma qualcuno ha saputo trasmettere loro lo spirito del vangelo attraverso la carità e hanno saputo testimoniare l’Amore di dio e riconoscere nei fratelli Gesù e amarlo e servirlo in loro.Con semplicità e povertà sono però riusciti a custodire e a lasciarci dei segni profondi della loro carità, del loro rapporto con Gesù, della conoscenza della sua parola. hanno saputo seguirlo sulla strada del “Come vi ho amato io, così “amatevi gli uni con gli altri”.Gesù ci giudicherà sull’Amore, come abbiamo amato Lui?… come abbiamo amato i Fratelli?…“Venite benedetti dal padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perchè ho avuto fame, e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Quando Signo-re ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti ab-biamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?” E il re risponderà loro:”In

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    verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me.” (Mt. 25, 34-40)ripercorrendo, anche se molto semplicemente un po’ la storia della nostra parrocchia, possiamo dire che ci è rimasto un segno visibile per ricordarci che la carità è la vita della Chiesa e che i poveri devono essere al primo posto nelle attenzioni della Chiesa.

    Ci riferiamo all’“opera pia Lenzini”, donata dal parroco don dome-nico Lenzini a favore dei bambini poveri perchè potessero avere una istruzione adeguata e una formazione alla vita cristiana attraverso il catechismo, in un’epoca dove non tutti avevano la possibilità di po-tere andare a scuola per mancanza di mezzi e per la lontananza dalle scuole stesse.Questo pastore, che ha cercato di vivere e di trasmettere il vangelo della Carità ai suoi parrocchiani durante tutta la sua vita, ha voluto fare qualcosa che li potesse aiutare anche dopo la sua morte.

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    OPEra PIA lENZINI dI vITRIOlA

    lasciamo parlare il prof. Ruggi luciano profondo conoscitore del-la storia del nostro paese.

    Fu fondata da don domenico Lenzini di Fiumalbo con testamento del 6 marzo 1819 depositato presso il notaio Giacomo Bellucci di vi-triola.Quest’opera pia doveva occuparsi della fondazione di due scuole, uno per i fanciulli e l’altra per le fanciulle di vitriola da tenersi per due ore una volta al giorno per tutto l’anno ad eccezione dei mesi di ottobre e novembre per insegnare agli allievi a leggere e scrivere, la storia sacra e la dottrina cristiana, alle fanciulle veni-vano impartiti insegnamenti riguardanti i lavori dome-stici.in questo atto di istituzione sono contenu-te disposizio-ni dettagliate sui metodi da usare nell’insegnamento, sui libri di testo da adottare e sulla nomina degli insegnanti che dovranno essere preferibilmente sacerdoti. dispone inoltre che le maestre non potevano essere scelte fra le donne coabitanti col parroco o cappellano.il patrimonio dell’opera consisteva in circa 16.000 lire modenesi che producevano una rendita annua di mille lire modenesi. i due terzi del-la rendita, tolte le spese, dovevano erogarsi per due terzi al maestro e un terzo alla maestra. se il maestro era il parroco di vitriola aveva diritto alla metà dei due terzi.eventuali avanzi di amministrazione, metà di essi dovevano essere

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    utilizzati per piccoli premi a favore dei fanciulli e fanciulle che fre-quentavano la dottrina cristiana, l’altra metà nell’acquisto di libri e carta per scrivere per i fanciulli bisognosi.se il reddito superava la rendita prevista, la differenza spettava agli insegnanti della dottrina cristiana ai fanciulli che abitavano aldilà della serra e che non potevano recarsi ogni festa alla parrocchia oppure per l’acquisto di coperte e pagliericci per le famiglie più povere del pae-se nelle quali si verificava la prossimità dei due sessi nello medesimo letto.Amministratori dell’opera pia dovevano essere il parroco “pro tem-pore” di vitriola, il podestà di Montefiorino ed il maggiore e più pro-bo possidenti di vitriola che avrebbe svolto anche la funzione di cas-siere con un aggio sulle riscossioni non maggiore del 5%.Gli amministratori dovevano radunarsi una volta all’anno per la ve-rifica del bilancio e procedere alla nomina dei maestri. per ogni adu-nanza i presenti avevano diritto ad una gratifica a 5 lire modenesi.nel 1815 l’amministrazione dell’opera venne affidata alla Congrega-zione di Carità di Montefiorino.

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    il fondatore di questa opera pia don domenico Lenzini era nato a Fiumalbo il 9 novembre 1761. di famiglia povera fu aiutato dal giu-reconsulto pier Luigi Morelli che, accortosi del suo ingegno e del suo amore per lo studio, gli somministrò i mezzi per compiere gli studi. divenuto sacerdote insegnò per cinque anni grammatica latina a Fiu-malbo. in seguito fu istitutore presso nobili pistoiesi. ebbe lì occasio-ne di conoscere illustri letterati. il vescovo di Modena tiburzio Cor-tese, conosciute le sue qualità, lo chiamò al governo della parrocchia di vitriola nel 1809. impiegò tutte le rendite parrocchiali nel restauro della chiesa, della canonica e nel soccorso dei poveri, specialmente durante l’epidemia di tifo e la carestia del 1817. nei ritagli di tempo si dedicava allo studio e alla preghiera.Morì il 22 aprile 1821. nel suo testamento lasciava la sua libreria al seminario di Fiumalbo e alla parrocchia di vitriola la rendita per la fondazione dell’opera pia che porta il suo nome. La scuola istituita con questo lascito era ubicata in un edificio attiguo all’oratorio di san Giuseppe e chiamato ospizio, perché un tempo ospitava i Cappucci-ni quaresimalisti.Questo ospizio fu restaurato nel 1876 e serviva a quell’epoca per le scuole delle donne. esso venne distrutto nel corso della seconda guer-ra mondiale. L’odierno edificio fu fatto costruire dall’Arciprete di vitriola don pie-tro Cassanelli negli anni cinquanta e ospitò per diversi anni l’Asilo parrocchiale per poi divenire in seguito Casa della Carità.

    don Pietro Cassanelli

    La Chiesa non esaurisce mai la sua missione, come una madre è atten-ta alle esigenze dei propri figli e li cura perchè possano avere l’alimen-to necessario per crescere nella carità e nella vita cristiana.Con lo sviluppo, avvenuto dopo la guerra, il comune riesce a costruire una nuova scuola nel paese e a provvedere all’istruzione dei bambini.L’opera pia don Lenzini sembrerebbe destinata a scomparire.Ma anche se i tempi cambiano e il benessere riesce a far fronte a tanti problemi della società, c’è sempre qualcuno che rimane escluso, c’è

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    sempre qualche povero, più povero di altri che ha bisogno della solidarietà e dell’aiuto dei fratelli. in qualsiasi tempo, c’è e ci sarà sempre il bisogno per i cristia-ni di vivere la Carità, di vive-re l’Amore a dio e ai Fratelli, quindi ci sarà sempre bisogno di una formazione alla Carità, all’amare dio e il prossimo.ecco allora l’intuizione del parroco don pietro Cassanelli.Capisce che l’opera pia don Lenzini nata nella parrocchia di vitriola per l’istruzione e la catechesi dei fanciulli poveri,

    deve continuare in un’altra opera di carità. La carità è la vita stessa della Chiesa e non può venire meno questo segno di carità che l’ ope-ra pia ha sempre rappresentato. Che ci tenesse ad avere questo segno lo dimostra il fatto che anche quando la scuola è stata distrutta durante la guerra e così pure il be-stiame che era il sostentamento dell’opera pia, don Cassanelli, assie-me al lavoro e al contributo dei parrocchiani ha ricostruito, in un luo-go vicino, un’altra Casa, adibendola a scuola, perché rimanesse quel segno di carità che è sempre stato visto nell’ opera pia Lenzini.essendo a conoscenza che nella parrocchia di Fontanaluccia, una fra-zione del comune di Frassinoro, ma in diocesi di reggio e., era nata la prima Casa della Carità, che aveva la caratteristica di essere un’opera diversa da tanti ospizi o ricoveri, si rivolge a don Mario per chiedere le suore che lo aiutassero ad aprire anche nella sua parrocchia la Casa della Carità.riesce così a trasformare la scuola in un altro tipo di scuola, cioè in una palestra della Carità.

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    la Casa della Carità

    La Casa della Carità è un altro tipo di scuola, ma può dare continuità all’intuizione e alle finalità del suo predecessore don domenico Len-zini, in quanto la finalità è quella della Carità.non saranno più bambini che necessitano di istruzione, ma bambini disabili o deformi o ammalati che chiedono di avere una famiglia che si prenda cura di loro, oppure anziani soli, poveretti senza casa, am-malati mentali o disabili, che scartati dalle istituzioni o dalle famiglie, cercano qualcuno che li ami e che li accolga, cercano una famiglia in cui vivere.

    L’accogliere i più poveri della parrocchia o delle parrocchie vicine o anche chi viene da lontano, perchè non riesce a trovare ospitalità da altre parti, vuol dire accogliere la presenza di Gesù.Allora nella Casa della Carità non ci sono più maestri o maestre per insegnare ai poveri. Qui le cose si ribaltano, ad avere bisogno di maestri siamo noi, i par-rocchiani e non, e alla scuola dei poveri ci andiamo proprio noi.e’ una scuola veramente speciale dove i poveri sono i veri maestri, che

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    ci allenano alla semplicità e al valore della povertà, che ci portano ai valori veri della vita, che ci aiutano a scoprire l’amore di Gesù e per lui donare qualche momento della nostra vita per fare famiglia con lui che si nasconde in modo del tutto particolare in chi è più bisognoso. sono loro che ci aiutano a capire che abbiamo bisogno di una palestra per allenarci alle 14 opere di misericordia, andando a visitare, andan-do a prenderci cura, andando a fare qualche servizio… ma soprattutto andando a fare famiglia con loro per qualche momento, o per qualche ora o per qualche giorno.Chiunque può entrare in questa palestra ed esperimentare la parola di Gesù e viverla anche concretamente.“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli l’avete fatto a me.”Questo allenamento fatto alla Casa della Carità, non è per farci sentire a posto, per farci sentire bravi, perché abbiamo fatto del bene. Ma è un allenamento! Quando si va in palestra, si va per allenarsi, per ir-robustire i muscoli, per poi potere giocare la partita in forma. Così anche alla Casa della Carità ci si va per allenarsi, formarsi a una men-talità evangelica di carità per potere vivere nella vita quotidiana della propria famiglia, del proprio lavoro, della scuola, nella vita sociale con uno stile di carità, di amore verso i fratelli in particolare verso chi è più bisognoso, più ammalato,più piccolo, più indifeso, più povero...don Cassanelli, ragguagliato da don Mario sull’identità e le finalità della Casa della Carità l’accoglie, accettandone anche le finalità, e ot-tiene due suore in aiuto alla comunità, le Carmelitane Minori della Carità.

    Il 15 ottobre 1960 è inaugurata la Casa della Carità

    Le prime due suore che si inseriscono nella parrocchia per dedicarsi al culto della carità nella Casa della Carità sono suor Margherita e suor teresa.ha inizio così un nuovo segno che dà continuità alla carità già presen-te nella parrocchia.

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    lA ChIESA SI RICONOSCENEllA CASA dEllA CARITà

    il centenario di don Mario e il 50° della Casa della Carità di vitrio-la, proprio attraverso il fare memoria, ci ha aperto lo sguardo anche sull’importanza dell’Autorità nella Chiesa.il signore ha un modo tutto suo di agire e si serve di chi vuole per far calare nel mondo i suoi progetti di salvezza. però questi suoi progetti hanno un marchio, necessitano di una obbedienza all’Autorità, cioè ai vescovi, che alla luce del discernimento, possono accoglierci come doni elargiti dal signore.Questo è quanto è avvenuto nella storia del dono della Casa della Ca-rità.per primo mons. Brettoni, vescovo della diocesi di reggio e., che dopo aver messo alla prova don Mario, gli permette l’apertura della Casa della Carità, in una situazione di assoluta precarietà, perché è già scoppiata la guerra, c’è molta povertà, e perché tutto è affidato alla provvidenza e non c’è nessuna garanzia di mezzi e di personale... Con spirito di discernimento e con l’autorità che gli compete, può leggere che quella carità che urge dentro il cuore di don Mario come un fuoco, è un dono dello spirito santo, è Lui che vuole la Casa della Carità.poi in un secondo tempo è sempre il vescovo mons. Brettoni che con-siglia don Mario: “falle tu le suore”.Aveva colto che ci voleva uno stile nuovo e una regola diversa da quel-la degli altri istituti religiosi. C’era bisogno di una consacrazione che facesse famiglia, comunità con i poveri e con chi desidera fare la pale-stra della carità. La Chiesa,come una madre attenta alla crescita e alle necessità dei propri Figli, è attenta ad aiutarli perché possano acco-gliere il dono del signore.poi mons. socche, successore di mons. Brettoni accoglie l’eredità e l’attenzione per la Casa della Carità e cerca di ufficializzare l’intui-zione e ne approva un regolamento nel 1956 impensabile per quegli anni.

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    siamo prima del Concilio e non era allora pensabile una comunità formata da diverse vocazioni. Le suore non potevano esistere con la formula di fare famiglia con i poveri e senza clausura.Fino a quel momento la Chiesa, con i suoi istituti religiosi ha sempre messo in primo piano i poveri, cercando di fare fronte a qualsiasi loro necessità, facendo così un servizio importantissimo e provvidenziale anche per la società… ma senza far famiglia con loro.non era allora previsto nel Codice di diritto canonico la possibilità di fare una congregazione di fedeli che comprendesse religiosi, religio-se e parrocchiani di qualsiasi altra vocazione uniti nell’intento della Carità.il fatto che mons. socche sia riuscito in quell’epoca ad approvare la Congregazione Mariana della Casa della Carità ha quasi del miraco-loso. e’ come se Gesù attraverso i suoi rappresentanti abbia voluto chiudere gli occhi a canonisti ecc. …La volontà del padre è molto più importante di tutto il resto... e di qualsiasi genere di burocrazia.

    * * *

    Quando nasce la Casa della Carità di vitriola non è ancora iniziato il Concilio, ma nell’aria si avvertono segni di rinnovamento. Uno di questo potrebbe essere quello della Casa della Carità.il nostro far memoria della nostra Casa della Carità ci ha portato a vedere che cosa succedeva nella Chiesa in quegli anni in cui è nata.il 25 gennaio 1959 il papa Giovanni XXiii aveva dato l’annuncio dell’indizione del Concilio ecumenico vaticano ii, dicendo anche che i principali compiti del Concilio erano il completamento della ri-flessione sulla Chiesa, sia nel rapporto col mondo, sia nella definizio-ne della sua identità e natura.L’11 ottobre 1962 viene aperto ufficialmente il Concilio vaticano ii dal papa Giovanni XXiii.La Casa della Carità di vitriola nasce proprio nel mezzo di questi due eventi: l’annuncio e l’inizio del Concilio vaticano ii.sono gli anni in cui in una fetta della Chiesa, forse piccola, ma con

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    una grande carica di fede, sen-te molto forte il discorso dei poveri proprio come aiuto per rinnovare il volto della Chie-sa e per rifarsi alle origini della Chiesa. vorremmo qui allora ricordare alcuni discorsi del card. Ler-caro, vescovo della diocesi di Bologna, stralciandone alcuni brani per mettere in luce la pro-fondità di certi fermenti che ri-guardano l’importanza di met-tere al centro i poveri.nel gennaio del 1961, in una re-lazione al seminario internazio-nale di servizio sociale tenuto a Bologna, il card. Lercaro dice:“E’ finalmente il momento in cui il povero e l’indigente di tutte le ore, di tutte le civiltà, di tutti i popoli... scopre il suo nome e il suo volto: il nome di Gesù Nazzareno e il volto del Figlio di Dio, incarnato e confitto nudo sulla Croce... Nel povero...è la stessa divina Presenza nel suo più immediato e concreto offrirsi alla vista, al riconoscimento e all’accoglienza degli uomini... Questo è il nucleo assolutamente proprio al cristianesimo: che sta a segnare una indicibile distanza da qualunque metafisica; ... che inquieta e fa violenza ad ogni dottrina filantropica e a ogni forma di servizio sociale umanisticamente intesi, costringendole a misurarsi con il paradosso di un Dio incarnato e con lo scandalo di un Dio morto in Croce; che imprime alle opere di mise-ricordia cristiana, nelle loro realizzazioni più genuine, un orientamento e un tono assolutamente sovrumano, divino.”in questo suo penetrare sempre più profondamente il Mistero di Cri-sto, partendo dall’eucaristia il Cardinale diceva:“La Messa deve sfociare nell’agape, nella carità operante... sento che anco-

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    ra non ho inteso la Messa; e - per quanto l’ho intesa- ancora non ho consentito che essa prenda seriamen-te, profondamente, total-mente la mia vita.” Questa tematica su “Chiesa e povertà” lo impegna fortemente per preparare un suo inter-vento al Concilio. Col-laborano alla stesura di questo intervento mons. Baroni allora suo ausilia-

    re e don Giuseppe dossetti, fondatore di una comunità monastica “La piccola famiglia dell’Annunziata” presente nella sua diocesi, inoltre amico e probabilmente all’epoca confessore di don Mario.da uno stralcio del suo discorso al Concilio:“che nel lavoro da svolgere... trovi non soltanto un posto, la formulazio-ne della dottrina evangelica della divina povertà del Cristo nella Chiesa... (che) trovi posto e giusta priorità la formulazione della dottrina evangeli-ca della eminente dignità dei poveri come membra elette della Chiesa, per-chè sono le membra nelle quali a preferenza il Verbo di Dio incarnato na-sconde il fulgore della sua Gloria che si rivelerà solo alla fine del tempo”.sebbene impegnato al Concilio mons. Lercaro non tralascia di essere pastore appassionato della sua diocesi e nel 1962 indice un piccolo sinodo diocesano.probabilmente attraverso don Giuseppe dossetti era venuto a co-noscenza dell’esistenza delle Case della Carità e con sorpresa di tut-ti esprime un suo desiderio. da una sua relazione al piccolo sinodo diocesano di Bologna nel 1962:...ora che veniamo a sottolineare... l’essenza di ogni azione pastorale... la carità,... intesa nel suo senso vero e vasto di amore a Dio, che si riversa sui suoi figli, per i quali il Padre non ha esitato a dare il suo Unigenito e per

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    i quali Christus mortus est... Vogliamo qui suggerire...una istituzione che rite-niamo quanto mai atta a coltivare nella comunità parrocchiale uno spirito di au-tentica e concreta fraternità cristiana: la Casa della Carità dove trovino ospitali-tà in clima di famiglia i più sventurati e bisognosi... circondati dalle premure della comunità che li sente suoi membri prediletti. La Casa della Carità realiz-za in forma concreta e adeguata una istanza profonda della S.Messa che è la famiglia di Dio riunita attorno al Padre, per goderne la Parola e riceverne il pane; come a Gerusalemme nei primi giorni della Chiesa la predicazione apostolica e la fractio panis determinarono il sorgere delle mense per le vedove e gli orfani e “non c’era tra loro alcun bisognoso”.per aiutare i parroci ad entrare in questo ordine di idee e a tentare qualche realizzazione, scrive la cronaca bolognese, alla fine del feb-braio 1962 il card. Lercaro con 15 vicari foranei e sotto la guida di don Giuseppe dossetti, visita alcune Case della Carità della diocesi di reggio, perchè desidera che ne possano cogliere il ruolo pastorale all’interno delle parrocchie; Lui desidera e vuole molte Case nella sua diocesi.e’ impressionante come le cose si intrecciano, come il signore scrive le trame dei suoi progetti.pur senza essersi incontrati il cardinal Lercaro come vescovo, don Mario come semplice sacerdote, parroco di montagna, hanno la stes-sa intuizione per quel che riguarda i poveri, quasi lo stesso linguaggio:esprimono in maniera ravvicinata il grande mistero della Chiesa come autentica “Casa della Carità” così voluta dal disegno divino, e in cui si suggella in una mirabile continuità di gesti e di intenti la grande proposta avanzata al Concilio, di mettere al centro di ogni opera e in-

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    segnamento il mistero di Cristo nei poveri: “riuniti intorno all’altare, partecipi della tavola del signore... chiediamo come una grazia gran-de di potere umilmente servire i nostri fratelli più bisognosi”.e’ la prima approvazione a livello ufficiale della Casa della Carità ve-nuta da un vescovo fuori dalla diocesi di reggio emilia.

    la Casa della Carità oltrepassa i confini della diocesi di Reggio Emilia

    La Casa della Carità di vitriola segna la prima espansione fuori dalla diocesi di reggio emilia. viene accolta dal vescovo di Modena mons. Giuseppe Amici e voluta dal parroco don pietro Cassanelli. Qualche anno più tardi la Casa della Carità inizia una nuova espansio-ne nella diocesi di Bologna, voluta dal cardinal Lercaro che la riconfer-ma nella sua identità e nel suo ruolo pastorale.tra i vescovi che hanno approvato e accolto la Casa della Carità, non possiamo tralasciare mons. Gilberto Baroni, diventato nel 1965 ve-scovo di reggio e., succedendo a mons. socche.Gli anni della sua vicinanza al Card. Lercaro, prima come segretario, poi come vescovo ausiliare sono stati anni preziosi in cui ha potuto collaborare e approfondire l’intuizione di una Chiesa nuova.Questo gli ha permesso di accogliere la Casa della Carità, cercando di approfondirne l’aspetto ecclesiale e la centralità dell’eucaristia: Case eucaristiche.Ci sono molte lettere e omelie che confermano il suo pensiero rispetto alla Casa della Carità, sempre con l’intento di aiutarci ad entrare sem-pre più nella profondità della Carità e nella vita della Chiesa.il 1° ottobre 1966 scrive a don Mario:“Davvero le Case della Carità sono il frutto profetico del Concilio, e direi parte integrante della liturgia della S.Messa. In questa chiave vanno viste, intese, vissute, impostate e dirette, ed è grave compito e responsabilità tua, dei parroci e dei sacerdoti e delle religiose conservarle e approfondirle in questo solco, in questo fondamento, in questo spirito”.il 24 settembre 1968:“L’Eucaristia aiuta a vivere inscindibilmente l’amore di Dio e l’amore dei

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    fratelli, così come questi due comandamenti sono un’uni-ca e indivisibile volontà del Signore.La Chiesa ha sempre avu-to le sue opere sociali, sono però ben altra cosa della “Casa della Carita”.A noi di portare innanzi questa idea forza per ani-marne la comunità, che solo così potrà presentarsi con volto autenticamente cri-stiano”.e in una omelia alla Casa della Carità di villa Cella:“La Casa della Carità è la Chiesa totale, la Chiesa in-tera, la chiesa dell’Eucari-stia e la Chiesa dei fratelli, la Chiesa di Gesù presente nell’Eucaristia e presente nei fratelli che Gesù ha scelto come presenza privilegiata accanto a noi per l’esercizio del nostro amore”.

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    Mons. Baroni oltrepassa i confini della Chiesa italiana per espande-re la Casa della Carità in Madagascar e india. La Chiesa di reggio si riconosce nella Casa della Carità e parte con una equipe, formata da diverse vocazioni, che si riunisce a far famiglia nella Casa della Carità e si mette a fianco e a servizio delle Chiese sorelle.

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    giubileo = Raccolta di frutti abbondanti di grazia

    Allora grazie al signore per tutti i nostri vescovi, anche per quelli che non abbiamo citato, per il servizio che svolgono e che continuano a svolgere, portandoci sulla strada di una maggior conoscenza dello spi-rito santo che Gesù ha donato a don Mario per portare nella Chiesa la Casa della Carità, cioè il culto delle tre mense.Grazie alla Chiesa tutta al popolo di dio che unito ai propri vescovi forma una unica famiglia.Grazie a questo piccolo segno che è la Casa della Carità che nella sua piccolezza vorrebbe manifestare una cosa grande: il volto della Chie-sa, Una, santa, cattolica e Apostolica per allargare e espandere nel mondo la carità per potere diffondere la Civiltà dell’Amore, per coin-volgere tutti al banchetto del regno di dio - Carità.

    se in questi 50 anni della Casa della Carità di vitriola o nella storia di tutte le Case della Carità, ci sono stati peccati, limiti, incompren-sioni, incapacità... se non siamo riusciti ad essere fedeli alla sua vera identità ... se a volte non siamo riusciti a cogliere e abbiamo sciupato la ricchezza del dono, a causa della nostra fragilità umana... abbiamo la certezza che il signore stende il “lenzuolo” (della carità) e copre la nostra moltitudine di peccati…e abbiamo la certezza che in questo anno giubilare per avvenimenti così importanti sia pronto ad elargire la sua misericordia con abbon-danza infinita...prepariamoci allora con il cuore aperto per non lasciare cadere nulla dei frutti di grazia che ha preparato per noi.

  • tEStiMONiaNZE

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    EufEMIA Era fElICE!

    deo gratias!ho qui davanti una bella foto di eufemia arrivata alla Casa della Cari-tà con un bagaglio pieno di tante pene e incomprensioni.sordomuta, la mamma si era preoccupata di questa piccola e l’aveva

    messa a Modena presso un istituto di suore proprio preparate ad insegnare a questi bimbi senza udito.Un giorno eufemia va in cucina e vede una gallina morta, spennata che spic-cava, in lei, un grosso goz-zo. evidentemente aveva mangiato poco prima di morire. eufemia la guar-da poi dice: “Morta per intemperanza!” era vera-mente religiosa tanto che un giorno era un po’ messa male, ma non grave, chiese subito l’estrema Unzione. Già dai primi tempi ave-vamo notato che ciò che metteva a lavare, prima lo

    passava sotto il rubinetto. Un giorno aveva una bella maglietta: “Que-sta non si lava” le dissi io... non fu necessario porgere l’altra guancia, le trovò subito tutte e due! Me ne andai in silenzio, ma con un pensiero che ricordo ancora molto bene “...e adesso signore cosa c’è che non va?”. Un richiamo è sempre prezioso!Un inverno eufemia si ammalò di bronco-polmonite. il medico ordi-nò esami più approfonditi e la mandò a Modena. il responso: vecchie cicatrici, si consiglia un soggiorno a Gaiato.

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    Gaiato è un paese sull’Appennino Modenese per la posizione e l’al-titudine, molto consigliato per l’apparato respiratorio. dopo alcuni giorni si parte con deanna per Gaiato. L’ambiente sembra quasi di-sabitato. Ci portano a vedere la stanza di eufemia: grande, arieggiata, due letti; con lei una donna abbastanza assente. si scende, io entro in ufficio per i documenti, eufemia rimane seduta su una seggiola pro-prio lì davanti e a mani giunte si china su e giù fino alle ginocchia ripe-tendo “Basta la Carità”, “Basta la Carità”.Mi consiglio con deanna, autista, ausiliare preziosa, conoscitrice dell’ambiente e con lei si decide di portarla a Casa. eufemia era felice!Ciao eufemia, ricordaci al signore.Grazie!di tutto grazie signore!

    suor M. Angela

    NON MANCAvA MAI lA PROvvIdENZA

    gli iniziLa casa era molto più piccola, mancava tutta la parte nuova che guar-da verso la Chiesa e la villa tonelli. non c’era l’ascensore ma c’era il pollaio di cui la suora andava fiera. A piano terra c’era l’asilo parroc-chiale voluto dal canonico don pietro Cassanelli e da don Mauro, il “cappellano”. Frequentavano più che cinquanta bimbi, altro che de-natalità, nel 1954 in prima elementare c’erano trentadue ragazzi!

    un po’ di volontariatoeravamo “la meglio gioventù”.Facevamo volontariato alla C.d.C.: servizio agli ospiti, momenti di preghiera, pulizie, lavanderia. proprio la lavanderia era il nostro salot-to. Allora si lavava molto a mano, tra una sbattuta e l’altra di traverse sul lavatoio di cemento si parlava di tutto.Le signore di palagano non portavano come fanno oggi per pasqua e per natale i “tortellini”, li facevamo noi.

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    Le suore quell’anno avevano preparato la pasta ed il pesto. dopo cena ci mettemmo all’opera. Gettavamo di tanto in tanto qualche occhiata furtiva alla pasta che sembrava non calare mai. verso le tre eravamo esauste! Confezionammo un unico “tortellino” gigante e lo lasciam-mo sul tavolo, coperto con una tovaglia.non mancavano mai, accanto ai momenti di preghiera momenti di allegria condivisa cogli ospiti.

    Il rapporto con il paeseLa gente ha voluto bene alla C.d.C. in modo un po’ schivo come è proprio dei montanari. Le primizie degli orti erano sempre per la Casa della Carità.non mancava mai la provvidenza.ricordo che un giorno la suora di cucina era rimasta senza prezzemo-lo e si lamentava “possibile che in questo paese non ci sia un gambo di prezzemolo?”. proprio in quel momento suonò il campanello. si presentò una vecchietta con una gran borsa di prezzemolo. da allora la parola prezzemolo diventò sinonimo di provvidenza.

    gli ospitie’ quasi impossibile ricordare tutti gli ospiti conosciuti alla C.d.C., ognuno unico e irripetibile con la propria storia, ma tutti dono grande del signore.C’era chi verso sera saliva in camera a cambiarsi e a mettersi la colla-na: aspettava un medico dall’ospedale di sassuolo che doveva venire a prenderla per sposarla!......e chi tornava dall’ufficio postale piangendo perchè le avevano pa-gato la pensione con pezzi di grosso taglio e le sembrava che i soldi fossero pochi.C’era chi si alzava all’alba, imbracciava la sua fisarmonica e se ne andava suonando fino alla borgata vicina. si era innamorato di una signora felicemente sposata e andava a farle la serenata sotto la fine-stra... novello don Chisciotte, aveva trovato la sua dulcinea.C’era chi andava a farsi la barba nel prato anche d’inverno. Accendeva il fuoco tra le pietre e scaldava l’acqua in un barattolo. poi legava lo

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    specchio ad un pioppo... la libertà non ha prezzo. …recitava il rosario davanti alla finestra che dà sulla piazza rammen-dando le calze. tra un’Ave Maria e l’altra faceva sottovoce le sue me-ditazioni che di religioso non avevano niente.

    Una vecchietta mi scambiava per un ragazzo e mi diceva: “sei pro-prio un somaro. se tu avessi avuto voglia di studiare non saresti qui a spingere le carrozzine!”. Mi guardavo bene dal dirle che avevo fatto l’Università, non sarebbe servito.non era riuscita suor Gemma con la sua pazienza quando andava ad alzarla al pomeriggio a dirle che aveva mangiato a mezzogiorno. La sua protesta era sempre la stessa: “Mi date sempre solo la colazione! i miei soldi non pagano come quelli degli altri?”Un’altra era convinta che le suore la notte le rubassero le maglie. in cappella, davanti al santissimo, un giorno pregava così: “signore, ti prego, castigale col castigo più terribile che conosci!”il signore, “dives in misericordia”, avrà gradito ugualmente.don Giosuè roli, dopo la morte del canonico, è rimasto per molto tempo a vitriola. Aveva un ottimo rapporto con la C.d.C. C’era un

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    ospite in particolare che era suo grande amico, se lo portava sempre con sè nei suoi viaggi sulla mitica 500 beige.

    un ricordo commovente oggi non lo fanno più ma un tempo arrivavano spesso gli zingari.si accampavano vicino all’oratorio di s. Giuseppe per qualche gior-no. Ad una famiglia di nomadi morì un bimbo molto piccolo, aveva qualche mese: era bellissimo. il padre e la madre lo portarono alla C.d.C. Lo mettemmo in Cappella.Una signora conservava il vestitino bianco che aveva usato per il bat-tesimo di uno dei suoi figli. vestimmo un angelo.i bambini del paese affollarono la cappella, era una processione conti-nua. entravano e appoggiavano sulle finestre mazzi di fiori che aveva-no raccolto nei campi. Fu sepolto qui nel cimitero.i suoi genitori si fermavano tutti gli anni per fargli visita e venivano a ringraziare le suore e gli ospiti.i bambini hanno continuato per anni a portare i fiori sulla tomba dello “zingarino” come lo chiamavano.

    Deanna

    AuSIlIARIO OCCASIONAlE

    Quando è stata aperta la Casa della Carità di vitriola io incominciavo ad andare all’asilo. Allora l’asilo era nello stesso edificio della Casa della Carità, a pian terreno; e nei miei ricordi di bambino per un certo tempo le due immagini si sono sovrapposte.ormai da tanti anni sono molto di più a Modena che a vitriola. Con la Casa della Carità ho un rapporto un po’ anomalo; non so se si può dire così, ma forse sono un ausiliario “occasionale”. Mi fermo quasi tutte le volte che posso, ma sempre per poco: magari per aiutare l’Anna a mangiare, per fare qualche lavoretto, per dare una mano per la festa, o anche solo per fare quattro chiacchiere (anche se le suore avrebbero ben altro da fare che parlare con me…). A proposito di Anna: mi ha sempre divertito che tutti dicano “la

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    bimba”: in realtà ha la mia età; si vede che lei gli anni li porta meglio!per me - e forse anche per altri come me che fanno poco - è quasi in-credibile vedere che ci sono delle persone che hanno dedicato la vita a fare qualcosa di concreto per la povera gente, per aiutare le persone che nella nostra società sono “gli ultimi”. e’ quasi incredibile che una persona - don Mario - abbia avuto l’intuizione di realizzare una cosa come le Case della Carità per stare sempre vicino a chi è più povero e più bisognoso di cure; e che altre persone - le suore in particolare - portino avanti tutti i giorni questa realtà.e quante volte vediamo che quelli che sembrano gli ultimi sono sem-pre capaci di darci qualcosa!

    Angelo Mucci

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    dON gIOSuè E lA CASA

    ho cominciato a frequentare la Casa della Carità di vitriola all’età di 6 anni nel 1971 e tuttora essa rappresenta per me un punto di riferi-mento fondamentale nonché la mia “seconda Casa”. Col trasferimen-to della mia famiglia da “Casa Quaranta”(piccola borgata della frazio-ne di rubbiano) a Caldana (località situata nella frazione di vitriola) cambiai parrocchia e anche parroco. passai dall’austero e riservato don Alberto Zanaroli all’amorevole e paterno don Giosuè roli. Avevo già conosciuto il mio futuro parroco nelle Messe che sovente veniva a celebrare all’oratorio di Monte stefano vicino alla mia prima casa, e avevo già potuto notare il suo amore per la gente: tutti per lui erano importanti e li trattava come fossero dei familiari. Appena saputo che eravamo nuovi parrocchiani don Giosuè ci venne a salutare dandoci appuntamento alla messa della domenica e aggiungendo: “ricordate di passare dalla Casa della Carità per salutare le suore e gli ospiti”.Così quella domenica facemmo la nostra conoscenza con la Casa e con gli ospiti e divenne una consuetudine passare di lì, anche solo per un saluto, ogni volta che andavamo in parrocchia.Canonica e Casa della Carità erano un tutt’uno e per noi bimbi il don era come un papà, passava a prenderci a casa con la sua “Cinquecento super” per portarci alle prove di canto o a catechismo, ci preparava personalmente una buona merenda e il pomeriggio terminava sempre con una bella partita a pallone di cui lui era l’arbitro, chi non giocava faceva il tifo e lo guardava correre come un matto col fischietto sem-pre pronto a rilevare la minima irregolarità, poiché era molto appas-sionato di calcio e ne conosceva alla perfezione le regole.Le sue origini contadine gli avevano lasciato una grande passione per piante e animali: aveva un giardino bellissimo con ortensie gigantesche e fiori di ogni tipo e un branco di conigli, in cantina, che si radunava lungo la scala per ascoltare i suoi complimenti. in tutte le sue attività era accompagnato dal suo inseparabile aiutante Berto (mitico ospite della Casa della Carità e originario proprio di vitriola), fedelissimo “braccio destro”, sempre pronto con la sua carriola a fare mille lavori.

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    Berto era simpaticissimo intagliava dei fischietti di legno (che ci regalava) e tesseva le sedie con la paglia, raccontava cose improbabili (come quella di aver mangiato un gufo in umido che passò alla storia!) e ci metteva sem-pre di buon umore. il don amava fare delle rime e lo chiamava sempre “Um-berto Camerini Capitano degli Alpini” e lui era or-gogliosissimo; giravano quasi sempre in coppia e alla sera capitavano tutti e due a casa nostra per una partita a briscola che fini-va fra mille risate.La prima suora che ho co-nosciuto alla Casa è stata suor teresa: era già anziana ma piena di vita e con uno spirito “giovane e allegro”; io e mia sorella andavamo vo-lentieri a salutarla, insieme a nostra madre, anche durante la settima-na, perché era simpaticissima e ci offriva sempre caramelle e ciocco-late Kinder (che a casa nostra non vedevamo quasi mai).Ci chiedeva sempre “Chi comanda a casa vostra?” e poi continuava rivolta a mia sorella che era più piccola di me di 5 anni: “tu pesta i piedi e fatti vale-re! devi comandare tu che sei la più piccola!” A quelle parole io ride-vo divertita perché mia madre era molto severa e pensavo “Magari!”.Gli ospiti erano molti e diversissimi, ma ognuno aveva la sua carica di simpatia e di “fascino”. don Giosuè si dava sempre un gran da fare per aiutare le suore nel risolvere i problemi quotidiani:le sua macchina era sempre a disposizione per le visite mediche e le spese varie; quan-

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    do la Bice andava in “crisi” (depressiva) la caricava insieme alla Luisa e le portava in giro passando sovente da casa nostra; loro due erano molto amiche e amavano molto i bambini. Luisa teneva da parte spille e oggettini vari di bigiotteria per regalar-meli e io non vedevo l’ora. nei giorni di maggior festa (natale, primo dell’Anno e pasqua), dopo la s.Messa, venivano a casa nostra a pran-zo e si fermavano con noi tutto il pomeriggio; quando mia madre le riaccompagnava andavamo con lei e rimanevamo a chiacchierare con suor teresa ascoltando le sue bellissime storie. Lei amava raccontare dei primi tempi delle Case e dei problemi che aveva affrontato e su-perato con l’aiuto della provvidenza. Aveva un carattere allegro e uno spirito sempre pronto ad arginare le situazioni più estreme.

    Un giorno assistem-mo ad una scena bellissima: un’ospite (non ricordo chi fos-se) la disse con tono tragico: “suora mi butto dalla finestra!” e lei rispose subito seria: “va bene, vieni che ti aiuto perché da sola non riesci…” a quelle parole l’ospite

    rispose terrorizzata e risentita. “Ma scusi è impazzita? non vorrà far-mi morire, vero?” e tutto si risolse in una risata generale.Mi ricordo che la “regina della cucina” era la Gioiella detta “Gioia”, una signora della parrocchia: aveva un viso dolce e sorridente incorni-ciato da una bella chioma di capelli candidi come la neve, era addetta alla cottura dei cibi e specializzata nell’assaggiare il sale e nelle quanti-tà di pastina da cuocere. La Franca (da poco tornata in cielo) e l’An-namaria erano due bimbe e mi colpivano per il fatto che comunicava-no poco. don Giosuè stravedeva per la Franca, amava molto la sua frase più ricorrente “t’è un oca” e ci teneva a farsela ripetere spesso.

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    Una volta era venuto il vescovo di Modena per la Cresima e l’aveva subito presentata anche a lui che ricevette l’appellativo di “oca” fra le risate generali. devo dire che anche lei gli voleva un gran bene e dopo il suo trasferimento (in una parrocchia di città) alla domanda “dov’è andato il prete?” rispon-deva senza indugio: ”L’è andà a Modna”, e penso che ne sentisse la mancanza. ricordo con gioia quegli anni, era bello il clima che si respirava, il don considerava la Casa come la sua famiglia, facen-dola sentire come tale anche a noi.dopo di lui arrivò don vincenzo

    Bosi, anziano ma molto attivo che voleva bene agli ospiti e ammi-rava l’impegno delle suore. Anche se ero molto giovane mi sentivo coinvolta dalle sue numerose iniziative e mi piaceva il suo modo di proporre le cose. Quando don Bosi si trasferì a renno arrivò dalla cit-tà il giovane don Livio Bellotti che portò in parrocchia e alla Casa il suo stile “originale”. Gli piaceva scherzare con gli ospiti e soprattutto con l’Angiolina che chiamava “l’à mà tucà” per il suo terrore di essere anche solo sfiorata, gli piaceva ricamare a punto croce e voleva con-vincere suor Angela a farsi ricamare da lui un festone sulla cuffia bian-ca; lei reagiva con le sue solite esclamazioni disperate e noi ridevamo “sotto i baffi”.ricordo con piacere quegli anni e suor Angela che assomigliava mol-to a mia madre nei modi di fare e nonostante le sue scene teatrali ci dimostrava un gran bene. Appena fatta la prima professione arrivò da noi suor M. paola davoli e insieme erano una coppia spassosissima, la deanna che era sempre lì fungeva da ago della bilancia.

    Elena Giannini

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    raCCONTIAMO SIgNORE lE TuE MEravIglIE

    Compleanno di una si-gnora Montanara: 50 anni di meraviglie.suor Maria da Fontana-luccia mi mandava spesso in questa Casa della Cari-tà dell’Assunzione.Mi diceva che dovevo aiutare suor teresa, ma la realtà era che doveva togliersi dai piedi una sua fan.non ero né probanda, né novizia ma suor teresa me li ha donati tutti e due insieme e anche di più: le giornate passate a prega-re, a lavorare con gli ospi-ti ricchi di tanti doni uno più dell’altro, ad acco-gliere ogni persona man-data dalla provvidenza, tutti dovevano uscire con il “dio tl’armirta”, perfino l’omino che veniva a leggere il contatore della luce.La fortuna di essere una Casa della Carità in mezzo alle case e alla gente. Alla sera sbucavano bimbi, giovani e non più giovani con tanta voglia di divertirsi con scherzetti e dolcetti e tanta allegria da far ridere tutta la casa. Un’altra meraviglia da raccontare è quando la Casa della Carità ha do-vuto traslocare in una casetta piccolina in Canadà, non lontano dalla piazza, un posto da Carmelo, ospitati per alcuni anni.

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    siamo poi ritornati sempre in mezzo alle case e alla gente con molto spazio fatto apposta per fare accoglienze diverse come la Comunità di Modena e il soggiorno estivo degli ospiti della casa di roma (dove mi trovo ora), che portano un ricordo nel cuore molto forte e pure loro fanno gli auguri per queste nozze d’oro.Grazie C.d.C. per le tue meraviglie ancora tante da raccontare.

    Un’innamorata della C.d.C.

    ANIMAZIONE PASTOralE

    suor silvia mi ha chiesto di scrivere un articolo in occasione del 50° della Casa della Carità di vitriola. i miei ricordi risalgono ormai a qualche anno fa quando, credo nel novembre del 1992, proprio suor silvia mi accompagnò in quella Casa della Carità dove trascorsi un periodo di circa un annetto con suor Angela prima, con suor Chiara ed all’intramontabile suor Agnese in seconda battuta.il parroco di allora era come adesso un padre dehoniano che si chia-mava Augusto. di lui in particolare mi colpirono il desiderio e l’im-pegno che i parrocchiani coltivassero la vita interiore e la vita di pre-ghiera. padre Augusto ci chiese un aiuto per l’animazione pastorale della pic-cola comunità cristiana e le mie sorelle maggiori mi invitarono ad es-sere disponibile e a dire di sì.La domenica mattina elena della Bianca ed io partecipavamo alla Messa domenicale suonando e cantando insieme ai ragazzi di cate-chismo che padre Augusto ci aveva affidato.Quell’anno preparai 6 bambine a ricevere il sacramento della ricon-ciliazione e dell’eucarestia.i loro nomi sono: Laura, valentina, Giovanna, sara, elisa ed Alessia. Quell’esperienza fu per me occasione di crescita e di arricchimento personale; in particolare mi piacque molto parlare del signore e del suo grande Amore attraverso la Casa della Carità.Gli incontri di catechismo si svolgevano negli ambienti spaziosi ed

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    appena rinnovati della Casa, abitudine che si è protratta anche negli anni successivi. vorrei fare memoria di alcuni momenti belli del nostro percorso: un mattino luminoso trascorso a parlare di dio, padre buono, attraverso la parabola dell’evangelista Luca. Avevamo disegnato su un grande cartellone e colorato a mosaico con infiniti pezzettini di plastica l’ab-braccio tra il padre ed il figlio che tornava a casa.Un pranzo festoso con il tocco culinario di suor Chiara dove le bimbe e gli ospiti ci avevano stupito per la loro gioia di stare insieme tanto da invogliare le mamme a ritornare oltre l’occasione: e così è stato!infine il ritiro spirituale alla vigilia della i Comunione: ricordo anco-ra lo sguardo limpido e l’interesse delle bimbe mentre padre Augusto spiegava come la Grazia di dio trasforma le persone avvalendosi di disegni simpatici e colorati, così eloquenti da far impallidire una mo-dernissima proiezione in power point!Un grazie a chi mi ha dato la possibilità di condividire questi piccoli ma preziosi ricordi.

    suor Maria Teresa

    Suor M. Teresa con Marta, Rosa, Maria

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    dIOCESANITà COMuNIONE… NEllA CARITà!

    1993: La Casa della Carità di Modena, per rimettersi “a norma”, si trasferisce temporaneamente al terzo piano della grande C.d.C. di vi-triola, nell’attesa della costruzione di un nuovo edificio…inizia un’avventura molto particolare, fatta di amicizia, diocesanità e comunione.impossibile per me parlare della ricchezza di quel tempo senza pensa-re a suor Chiara, “regina” di accoglienza, di fede, di larghezza di cuore (nemmeno un nugolo di ragazzetti che dormivano coi materassi per terra davanti alla cappella la mattina della festa della Casa potevano scomporla più di tanto – tutto pur di dar lode insieMe al signore!).impossibile non ringraziare il signore per la possibilità particolarissi-ma di comunione fra due Case che all’improvviso parevano a tutti una sola e fra due comunità che si scoprivano quasi “automaticamente” sorelle.per me personalmente la Casa ha anche significato la nascita e la crescita della mia vocazione: dai bagni del sabato mattina, alle giornate condivise nella Liturgia continua, all’in-terrogarsi (magari un po’ tardivo – ma solo per i tempi umani!) su quel-la pienezza di vita che mi sembrava di sperimentare e di portarmi a casa.“La Carità mi urge dentro” ...quanti piccoli miracoli quotidiani ho visto susci-tare dal signore nel cuore

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    di tanti: l’assistenza ventiquattr’ore su ventiquattro dell’emanuela in ospedale per alcuni mesi che ha “disturbato” la vita di chi forse non sapeva nemmeno bene cosa fosse la Casa della Carità (esempio di se-mina “scriteriata” dello spirito…!), la pace del sentirsi a casa propria e nella propria famiglia quando forse poco prima eravamo solo “estra-nei”, la crescita di legami fraterni forti come quelli di sangue…nell’anno centenario della nascita di don Mario e cinquantesimo del-la Casa di vitriola mi sembra ancora più semplice far salire al signo-re un rendimento di grazie appassionato per le cose “grandi” che mi ha permesso di respirare: la larghezza di orizzonti, l’universalità della Chiesa, la comunione fraterna estesa alla Famiglia più numerosa che sia possibile… e tutto questo attraverso piccolissimi gesti quotidia-ni come la cura dei poveri, le celebrazioni comunitarie, gli scherzi, le risate, le gite…e tutte quelle esperienze che rendono la nostra vita gioiosa e amabile; totalmente immersi nell’atmosfera delle tre Men-se, percepite, assorbite, digerite (o qualche volta mal digerite, ci sta anche quello, no?)…nel ringraziare profondamente il signore per questa Casa e per tutta

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    la vitA che è passata attraverso di essa, approfitto per ricordargli che, anche se fin qui siamo stati molto bene, siamo pronti ad accogliere al-tri doni e altre avventure (per esempio una nuova Casa della Carità a Modena…?!?) e a lasciarci “scomodare” dal regno di dio CAritÀ!

    suor Gabriella Chiara

    hO INIZIATO Ad ANdARE AllA “CASA dI CARITà” NEl lONTANO 1992

    La Casa di Carità c’era sempre stata nel mio paese, ma mai neanche lontanamente mi era passato per la testa il pensiero di entrarci.“Ci andrà chi non ha altro da fare... pensavo...”, io devo lavorare e non ho tempo; fino a quando un’estate passando lì davanti ho sentito suo-nare una chitarra allegramente. La suonava una giovane e simpatica suorona che fin da subito mi ha colpito. era suor Maria paola, arrivata a vitriola con tutti gli ospiti della C.d.C. di Modena perchè dovevano ristrutturare la casa. il lavoro era aumentato in più, suor Chiara, che allora era la superiora, si era sentita poco bene e non doveva affaticarsi troppo.La casa era un po’ in difficoltà, anche in paese si era sparsa la voce che c’era bisogno di aiuto.poi per caso, ho incontrato suor paola che mi ha detto: “rita, mettiti una mano sul cuore, se puoi vieni alla casa ad aiutare!...” Ci penserò, ho risposto. il giorno dopo mi sono fatta forza e sono andata ed è così che ho iniziato. devo ancora smettere!... penso proprio che non smet-terò mai più.subito, devo essere sincera, ero in difficoltà, a volte non riuscivo a cambiare il pannolone inzuppato di “pipì” oppure di qualcos’altro... dovevo andare in un’altra stanza e fermarmi un attimo. invece poi con l’aiuto del signore ho superato tutto.in quel periodo ho conosciuto l’emanuela, una bimba celebrolesa. non parlava, ma parlava il suo sorriso aperto e allegro e parlavano

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    anche i suoi occhi dolci e azzurri. Quando ha fatto la Cresima ero la sua madrina.ero emozionatissima, agitata.La festa e la cerimonia in chiesa organizzata da suor rita e don danie-le era stata bellissima. non c’era dubbio... mi ero molto affezionata a lei e pensavo quanto erano fortunate le mie figlie che avevano tutto e tante volte non erano contente. poi c’era l’isa, anzi c’è ancora, a cui voglio molto bene. e’ ancora birichina, un po’ disubbidiente, però è così simpatica... dice sempre che è figlia di down. Aiutava “dice lei” a studiare mia figlia Giovy, quando doveva preparare un esame, le dava coraggio e forza e le diceva: “studia! ripeti! ripeti che sei promos-sa!!!...” troppo simpatica.e’ stata sua madrina alla Cresima e testimone quando si è sposata.A tutti però: Bice, vittoria, Marta, dina, Angiolina, nina, Maria, Mer-nusch, Lella, Mimma, ezio, unico uomo di casa, voglio davvero bene. La Casa di Carità per me è un vero punto di riferimento, è la mia se-conda casa e la mia seconda famiglia. Condivido con loro le gioie e purtroppo anche i dispiaceri. La malattia, la morte di un ospite è una

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    perdita grande, anche se so che è in paradiso vicino al signore. Ad esempio da poco ci ha lasciato la Franca cioè la “Francona” e ades-so si sente un vuoto incredibile, ci manca il suo saluto “oca, pisuna, malnetta” e lo sbattere delle porte. Mi sembra sempre di vederla nel suo letto con sopra il suo quadro preferito “un gatto” e come diceva lei “un gat”.devo io ringraziare gli ospiti che mi hanno fatto conoscere la carità, a rispettare il più povero, mi danno la forza di affrontare la mia giornata e le mie difficoltà. Loro mi danno molto di più di quello che io posso dargli, per renderli felici basta proprio poco: una carezza, un sorriso, passare un pomeriggio giocando a carte.io vado tutte le sere alle sei per mettere a letto, organizzo la mia gior-nata per essere libera a quell’ora, perchè quando vado mi sento con-tenta, utile e cerco di fare tutto con amore, con pazienza, perchè in ogni ospite che curo, che cambio, che mi parla, che mi sorride sento che è il signore.sono passati 18 anni sono arrivate e partite tante suore: suor Loren-za, suor paola Francesca, suor teresa, suor... e tante altre e le ricordo tutte con tanto affetto.io sono diventata nonna di tre splendide nipotine: Marta, teresa e Agata, sono la mia gioia.Marta che ha 4 anni vuole venire sempre con me alla casa, mi aiuta a portare i pannolini per la vittoria e la dina, schiaccia il pulsante del sollevatore e mi aiuta a preparare i vestiti per la domenica agli ospiti, perchè dimenticavo: suor silvia “la nostra superiora” mi ha passato di grado: sono “guardarobiera” un compito molto importante... di cui mi piace molto occuparmi...per finire questa mia chiacchierata lancio uno slogan:“venite alla Casa di Carità perchè è per davvero una palestra e una scuola di vita, dove ci si sente amati... proprio come a casa...!”

    Rita di Vitriola

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    SEdICI ANNI dOPO

    Abbiamo conosciuto la C.d.C. di vitriola tramite due suore per noi particolari:- suor Lorenza intima ed affezionata amica delle nostre famiglie, che ci ha visto crescere e con lei siamo rimasti affezionati anche dopo che lei ha preso i voti.- suor Chiara alla quale eravamo molto legati perchè trascorremmo vicino a lei parte della nostra giovinezza quando ella condusse come Madre superiore la C.d.C. di villa Cella.

    entrambe le suore erano contente quando venivamo quassù a fare vi-sita: con piacere ricordavamo il tempo passato e suor Chiara diceva: “Quando vedo voi mi sento più giovane”.durante una visita nel ’93 dicemmo che andavamo in pensione. suor Lorenza disse solo: “non dico molto ma penso che abbiate capito cosa dovrete fare al termine del vostro lavoro”.dall’autunno iniziammo la nostra avventura a questa C.d.C.

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    subito fu un po’ difficile adattarci a questa nuova vita che un po’ ave-vamo vissuto nella nostra giovinezza.però grazie alle attenzioni, i consigli delle suore e l’accoglienza degli ospiti, ci siamo sempre più innamorati di questa realtà aprendo i no-stri cuori ad amare il prossimo in modo più completo.Anche la partecipazione alla vita di preghiera ci ha reso la vita religiosa più piena.ora, che da tanti anni viviamo questa nostra avventura, e che dio sempre ci ha voluto bene, speriamo che egli continui a darci la sua protezione e noi continueremo a non far mancare a questa bella fami-glia il nostro impegno e tanto affetto.

    I Cindi

    CASA E PARROCChIA

    sono passati più di quindici anni dal mio arrivo a vitriola nell’ottobre del 1994 e mentre mi accingo a scrivere mi accorgo che il tempo fa brutti scherzi. La memoria si appanna e i ricordi fanno fatica ad af-fiorare o si confondono. Ma rammento distintamente la sensazione positiva che in quel primo giorno mi fece l’edificio, che pur già co-noscevo: mi sembrò pieno di luce, spazioso, accogliente e capace di trasmettere il calore di una vera ‘casa’. purtroppo vi giunsi in un momento difficile e di vera emergenza per l’aggravarsi delle condizioni di alcuni ospiti. La stessa notte del mio arrivo morì la nonna ester, assistita, con infinito affetto, dalla figlia Anna. Anche la piccola emanuela era stata ricoverata d’urgenza in rianimazione. dopo un mese sarebbe stata trasferita nel reparto di pneumatologia del policlinico di Modena dove sarebbe stata seguita con dedizione e competenza dal dottor Moretti e vegliata, 24 ore su 24, da ragazzi, mamme e nonni, coordinati da un gruppo di ausiliari della parrocchia di san pio X e dall’allora cappellano, don paolo Bo-schini. Questa “custodia” durò fino all’aprile del 1995 quando ema-nuela fece ritorno alla Casa della Carità tutta “equipaggiata” per poter

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    respirare e nutrirsi, pronta a far festa con i suoi versetti e la sua voglia di vivere. Qualche giorno prima del mio arrivo poi si era rotta il femore la si-gnora roma (si chiamava proprio così!), una signora inglese dai modi gentili e aristocratici, con alle spalle una vita dedicata alla danza. rive-do ancora la sua stanza con le pareti ricoperte da tante fotografie che la ritraevano sul palcoscenico o in mezzo ai tanti giovani che, come insegnante, aveva avviato a quella difficile arte. per non parlare poi delle tazzine da tea e dei tanti soprammobili che custodiva come te-sori e che la riportavano a un passato lontano ma ancora vivo nei suoi ricordi.A questo punto debbo ricordare che nel 1993 il vescovo di Modena, monsignor Benito Cocchi, aveva affidato la cura pastorale della par-rocchia di vitriola ai nostri Fratelli della Carità don Luigi Gibellini e don daniele, già parroci a quel tempo di alcune parrocchie limitrofe appartenenti alla diocesi di reggio emilia. in questa “avventura” pa-storale era coinvolta pienamente la Casa che, eccezionalmente, pote-va contare sulla presenza di ben quattro suore, una delle quali aveva

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    il mandato di avere un’attenzione particolare alla vita e alle necessità della parrocchia. poiché quell’incarico toccò a me, mi trovai ad affrontare una realtà del tutto nuova e a operare in un campo imprevisto e un po’ anomalo come quello della pastorale parrocchiale. Ammetto che non fu facile ma ripensando ora, a distanza di tempo, a tutte le esperienze pastorali e di catechesi che ne scaturirono, posso dire che non ci mancò l’entu-siasmo, l’iniziativa e la fantasia. Furono anni fervidi e operosi durante i quali la Casa divenne di fatto la nuova canonica, luogo di incontro e punto di riferimento dei parrocchiani.oltre alla celebrazione quotidiana dell’eucaristia, anche le attività or-dinarie, come il catechismo e l’oratorio, si svolgevano alla Casa, che si riempì così dell’allegria e delle voci festose di tanti bimbi. si speri-mentarono forme nuove di catechesi insegnando ai ragazzi ad anima-re la Messa e a comprendere il significato della liturgia.Anche nel campo della pastorale non mancarono le iniziative. il de-siderio di avvicinare tanti al signore fece nascere l’idea di celebrare e vivere nelle famiglie alcuni momenti di preghiera (la novena dell’im-macolata, la novena del natale, la via Crucis…). inoltre, una volta

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    alla settimana, la santa Messa veniva celebrata presso una famiglia, con una speciale attenzione per quelle in cui vivevano persone amma-late o anziane. ricordo con tenerezza i pomeriggi trascorsi accanto ai parrocchiani malati o provati dagli anni e l’emozione che provavo nel farli comunicare al Corpo di Cristo. d’estate poi, durante le settimane del campo estivo, la Casa si anima-va non solo per la presenza dei bambini (che potevano arrivare fino a ottanta!!) ma anche per il coinvolgimento di tanti volontari, pro-venienti da altre parrocchie e dal comune di Montefiorino. Genitori, nonni, famiglie intere, residenti e villeggianti, tutti si improvvisavano animatori ed educatori, impegnandosi sul campo in prima persona!! tra i tanti volti che, mentre scrivo, riaffiorano alla mente ce ne è uno che mi è particolarmente caro, quello di suor Chiara che allora era re-sponsabile della Casa. difficile dimenticare la sua squisita accoglien-za, il suo stile pieno di garbo, la sua disponibilità ad ascoltare tutti, senza eccezione, come se avesse solo quello da fare. era attentissima ai bisogni degli ospiti e aveva verso di loro alcune delicatezze che mi lasciavano stupita e piena di ammirazione. Agli ausiliari ripeteva sem-pre “prima pensate a casa, poi a noi”, dimostrando così la sua grande premura anche nei loro confronti e delle loro famiglie. e’ stata insom-ma una vera madre, per noi suore, per gli ospiti, per tutti. Grazie signore per questi anni un po’ “speciali” in cui ho potuto ve-dere le meraviglie che tu sai compiere in un piccolo paese dell’Appen-nino modenese!

    Suor Rita

    dAl RICOvEROAllA CASA dEllA CARITà

    sembra facile ma passare dal ricovero alla Casa della Carità non è sta-to semplice.Ci sono passato davanti per più di trent’anni e per me, quello era solo il ricovero, che tradotto in parole povere, significava una struttura dove ci finivano quelli abbandonati da tutti, o persone gravemente

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    ammalate, che pensavo, era meglio non fossero mai nate. La gente parlava delle suore e si stupiva della vita che facevano d’inverno a la-vare i panni al lavatoio esterno vicino alla casa, e di come facessero da sole a tirare avanti un baraccone così. Mi aveva colpito la Bice con dei capelli nerissimi che veniva alla mes-sa e mi chiedevo come mai così giovane fosse arrivata a vitriola. La parrocchia ci richiamava alla solidarietà alla casa ma un piede che un piede per trent’anni non ce l’ho messo dentro. poi nel 1993, già sposato con prole, con l’arrivo di don daniele e don Luigi f.d.c. e con l’accoppiata suor Chiara e suor Maria paola abbiamo iniziato ad avvicinarci ed a conoscere la casa, anche perchè i nostri figli ci raccontavano stupiti che c’era una suora che giocava a calcio con loro al campetto. Una volta messo piede in casa, è stato per noi uno scoprire, giorno dopo giorno, che quello che prima ci sembrava l’ultimo posto dove andare a finire, era invece una famiglia dove regnava serenità, cordia-lità e gioia di vivere. si rimaneva stupiti nel vedere persone che nono-stante handicap gravissimi si aiutavano tra di loro, contribuendo tutte nelle loro possibilità a fare lavori di casa. si rimaneva colpiti dalla gio-

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    iosità degli ospiti e dalle loro calorose accoglienze, che pian pianino ti facevano sentire parte della famiglia. di episodi da raccont