CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA - Ministero della Difesa ... · Capitolo II – ISLAMIC STATE 1....

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1 CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA ISTITUTO SUPERIORE DI STATO MAGGIORE INTERFORZE 17° CORSO SUPERIORE DI STATO MAGGIORE INTERFORZE TESI DI GRUPPO DI SMD 10° Gruppo di Lavoro 3 ^ Sezione Anno Accademico 2014-2015 La minaccia ibrida: il caso IS

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CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA ISTITUTO SUPERIORE DI STATO MAGGIORE INTERFORZE

17° CORSO SUPERIORE DI STATO MAGGIORE INTERFORZE

TESI DI GRUPPO DI SMD

10° Gruppo di Lavoro – 3^ Sezione

Anno Accademico 2014-2015

La minaccia ibrida: il caso IS

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COMPOSIZIONE DEL GRUPPO DI LAVORO

Ten. Col. Paolo SANSONE Tutor Ten. Col. Antonio MUNARETTO Presidente

Ten. Col. Mario NUCCI Frequentatore

C.F. Bruno VIAFORA Frequentatore

Ten. Col. Francesco NAPOLI Frequentatore

C.C. Umberto SCORZAFAVE Frequentatore

Magg. Giuseppe ECCELLENTE Frequentatore

Magg. Virginio CAMELI Frequentatore

Magg. Marco DEL NEVO Segretario

Magg. Marco NANNI Frequentatore

Ten. Col. George FARHAT Frequentatore

Magg. Arber KAKELI Frequentatore

F.A. Alessandro GRASSADONIA Frequentatore

F.A. Rita Sofia MANCA Frequentatrice

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Anno Accademico 2014-2015

INDICE

INTRODUZIONE Capitolo I – LA MINACCIA IBRIDA

1. Definizione di minaccia ibrida 2. Il fenomeno della minaccia ibrida dalla fine della Guerra Fredda all'IS 3. Caratteristiche della minaccia ibrida dell’IS

Capitolo II – ISLAMIC STATE

1. Nascita del movimento IS 2. Linee strategiche ed ambizioni politiche 3. Elementi ideologici dell’Islamic State ed i suoi legami con l’Islamismo 4. Attuale organizzazione statuale 5. Il fenomeno dei Foreign Fighters 6. Caratteri e strategia comunicativa dell’IS

Capitolo III – ESPANSIONE DEL FENOMENO IS

1. Evoluzione del movimento jihadista in Iraq e in Siria 2. L’avanzata dello Stato Islamico in Iraq 3. L’avanzata dello Stato Islamico in Siria 4. L’avanzata dello Stato Islamico in Libia

a. Derna b. Arriva l’ISIS c. Sirte

5 L’avanzata dello Stato Islamico in area afghano-pakistana a. Situazione attuale b. Rapporti tra IS, Gruppi Talebani e Al Qaeda c. IS – Presenza attuale in territorioafghano-pakistano e possibili sviluppi

CONCLUSIONI

1. Linee di azione dell’IS a. Punti di forza b. Vulnerabilità

2. End State e Centro di Gravità a. End State b. Centro di Gravità

3. Strategia di intervento

BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

La proclamazione dello Stato Islamico (IS) nel Giugno del 2014 ha segnato una nuova fase delle crisi che dagli inizi del 2011 hanno coinvolto la gran parte del bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente. Una fase in cui la componente radicale, estremista e violenta dell’Islam ha trovato un elemento di catalizzazione e riconoscimento globale.

Sfruttando tecniche militari, strategie comunicative, tattiche di penetrazione nel

tessuto sociale ed economico dei territori controllati, l’Islamic State si sta progressivamente radicando non solo negli Stati che lo hanno visto nascere come movimento terroristico (Iraq e Siria) ma anche presso aree ormai sfuggite al controllo imposto dall’Occidente (Libia) o che si stanno apprestando verso un cammino di indipendenza ed autonomia reso difficile dalle continue crisi interne (Afghanistan e, con caratteristiche peculiari, Pakistan).

In questo senso, l’Islamic State si presenta come una minaccia che, in modo

globale ed estremamente efficace, l’Occidente ha difficoltà a caratterizzare in modo corretto. Tale incapacità di comprensione si riflette ad oggi in una situazione di generale stallo dove l’azione militare, ancorchè già avviata, rappresenta solo un parziale rimedio ad un fenomeno che ha dalla sua parte:

il fattore tempo (se si considerano gli effetti devastanti che la capillare opera di indottrinamento al radicalismo religioso ed odio etnico, avviata dall’IS in tutti i territori da esso controllati a favore di bambini e ragazzi, avrà nel prossimo futuro);

l’appoggio, più o meno aperto, di Nazioni vicine alle aree di crisi che cercano di sfruttare l’azione dell’IS per ottenere vantaggi di carattere politico e/o economico;

la necessità che alla coalizione occidentale si affianchi, in modo deciso e chiaro, una coalizione di Stati Islamici moderati superando millenarie divisioni (nell’ambito Islamico tra sunniti e sciiti) e decennali inimicizie (USA/Israele ed Iran).

Nell’attuale panorama internazionale, denso di preoccupazione per quello che

potrebbe essere il diretto coinvolgimento dell’Occidente e dell’Europa in un conflitto che, giorno dopo giorno, si è avvicinato ai suoi confini meridionali, l’unico elemento positivo è proprio la possibilità che la “minaccia IS” possa fungere da elemento di catalizzazione ed avvicinamento degli Stati moderati interessati alle vicende del Medio Oriente e del Bacino del Mediterraneo. Avvicinamento che dovrà tendere a risolvere, per quanto possibile, gli elementi di criticità legati alle incongruenze dell’Accordo Sykes-Picot del 1916 ed alla convivenza tra Occidente e mondo musulmano moderato.

In tale contesto, la presente tesi si pone come obiettivo quello di proporre azioni

che, a livello strategico e condotte a livello di Comunità Internazionale, possano progressivamente contenere, ridurre e neutralizzare le capacità che l’IS ha dimostrato di possedere nel campo militare, sociale, finanziario e politico.

La formulazione delle specifiche linee di azione proposte in conclusione, e riassunte

in un dettagliato “Operational Plan”, verranno sviluppate attraverso l’analisi dei seguenti aspetti:

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caratterizzazione dell’IS in termini di minaccia ibrida al fine di individuarne elementi peculiari e possibili azioni di contrasto, già utilizzate in contesti analoghi in ambito italiano (lotta al terrorismo nazionale e contrasto ai flussi finanziari della mafia);

definizione dell’IS nei suoi elementi costitutivi di carattere religioso, politico, sociale, finanziario;

analisi degli aspetti peculiari legati alle aree in cui l’IS si è al momento insediato (Siria, Iraq, Libia) e in cui si sta manifestando attraverso le prime cellule terroristiche (Afghanistan, Pakistan).

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CAPITOLO I

La minaccia ibrida

1. DEFINIZIONE DI MINACCIA IBRIDA

Sebbene non esista una definizione universale di “minaccia ibrida”, la NATO1 usa questo termine per descrivere “avversari capaci di impiegare contemporaneamente mezzi convenzionali e non-convenzionali adattandoli alle caratteristiche dei propri obiettivi”.

La nozione di minaccia ibrida è stata molto controversa da quando è entrata a far

parte del lessico della Difesa. Parte della dottrina la definisce, semplicisticamente, come l’ultimo termine utilizzato

per identificare i metodi irregolari o asimmetrici per combattere contro una forza convenzionale superiore. Invero, nel corso degli anni, sia insurgents che stati-nazione hanno impiegato combinazioni molto creative di capacità convenzionali e non per raggiungere i propri obiettivi.

I critici restano però dell’idea che la locuzione “minaccia ibrida” sia troppo astratta,

correndo il rischio di utilizzarla come termine generale per descrivere tutte le minacce non lineari e convenzionali.

Tuttavia il termine “ibrido” è stato utilizzato per descrivere formazioni amiche, come per esempio ha fatto il Comando delle Special Forces USA, per descrivere strutture e organizzazioni che mettono a sistema l’impiego delle forze speciali con le forze convenzionali.

I sostenitori del concetto di minaccia ibrida affermano che gli attori che utilizzano questo nuovo tipo di minaccia stiano creando un nuovo modo di fare la guerra utilizzando le tecnologie del 21° secolo, i social network, alcuni degli strumenti propri delle guerre convenzionali e non convenzionali, che però sono impiegati secondo metodologie che non ricalcano quelle comunemente utilizzate in guerra.

Frank G. Hoffman2, uno dei teorici più attivi nello sviluppo di nuovi concetti strategici capaci di contrastare la “minaccia ibrida”, è stato il primo a proporre un elenco di quelle che possono essere definite le caratteristiche proprie di questo tipo di minaccia:

a. Insieme di tattiche di combattimento - la minaccia ibrida usa un insieme di

tattiche convenzionali e non convenzionali unite con attività criminali e terroristiche; b. simultaneità - avversari ibridi utilizzano metodologie differenti di conflitto

simultaneamente ed in maniera coerente e coordinata; c. fusione - la minaccia ibrida vede l’impiego contemporaneo di militari professionisti,

terroristi, guerriglieri, e organizzazioni criminali; d. criminalità - la minaccia ibrida usa attività criminali per sostenere le proprie

operazioni e, talvolta, le utilizza palesemente come metodo di conflitto.

1www.nato.int, NATO Review Magazine, Hybrid war - Hybrid response?,

2Autore di numerosi testi sull’argomento, tra cui “Future thoughts on Hybrid Wars”, Small Wars Journal , e “Hybrid warfare and challanges”, Joint Force Qurterly, 2009

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2. IL FENOMENO DELLA MINACCIA IBRIDA DALLA FINE DELLA GUERRA FREDDA ALL’IS

In generale, il concetto di minaccia ibrida ha preceduto di molti anni l’emergenza IS ma resta comunque collegato alla destabilizzazione globale dell’era post Guerra Fredda che ne ha creato le condizioni per lo sviluppo, insieme alla rapida espansione di tecnologie distruttive e di mezzi di comunicazione di massa che hanno offerto a questi gruppi nascenti la disponibilità di eccezionali mezzi di propaganda e moderni strumenti militari.

Il Medio Oriente e la sua lunga storia d’intrecci tra differenti etnie e religioni, è un terreno estremamente fertile per la nascita e lo sviluppo delle tattiche proprie della minaccia ibrida. “Hezbollah”, l’entità militante islamica basata in Libano, è un chiaro esempio di minaccia ibrida. Il fenomeno “Hezbollah” è emerso all’inizio degli anni ‘80 in risposta all’occupazione israeliana del Libano. Dopo un esordio da modesto movimento di resistenza paramilitare, si è trasformato in una potente organizzazione con un’ampia frangia militare.

Hezbollah è stata la prima moderna organizzazione definita “terroristica” a scoprire i vantaggi derivanti dall’utilizzo contemporaneo di tattiche differenti.

Durante la seconda guerra del Libano del 2006, Hezbollah ha posto in campo cellule capaci di respingere le moderne truppe israeliane, utilizzando una combinazione di tattiche proprie della guerriglia e di moderne armi ed equipaggiamenti. L’utilizzo di missili anti-carro AT 13/14 ha permesso ad Hezbollah di ottenere successi contro le truppe corazzate israeliane, infliggendo ad Israele un numero di vittime tale da rendere frustrante la propria avanzata.

Questi sforzi sul piano tattico seguono l’obiettivo strategico di portare il governo israeliano ad una condizione di stallo, terrorizzando la popolazione israeliana con la minaccia dell’impiego di missili.

La campagna di Hezbollah del 2006 ha beneficiato in modo considerevole dell’addestramento e degli approvvigionamenti di armi tecnologicamente avanzate. L’accesso ai missili a medio raggio e alle moderne armi anti-carro ha incrementato notevolmente le capacità di Hezbollah di fronteggiare uno degli eserciti più organizzati al mondo. Sponsor esterni e una rete ben organizzata di finanziamenti, provenienti anche da attività criminali, hanno permesso ad Hezbollah di sostenere le proprie operazioni.

Si stima che i finanziamenti da attività criminali, legate a contraffazioni, furti e frodi sulle carte di credito, abbiano inoltre procurato ogni anno decine di milioni di dollari di profitto.

Al pari di Hezbollah e di altre organizzazioni conosciute come “al Shabab”, “BokoHaram”, “Al-Qaeda”, etc., anche lo Stato Islamico (IS) mostra caratteristiche di minaccia ibrida, combinate con nuove tecnologie capaci di supportare operazioni indipendenti.

L’ISè stato condannato dalla comunità internazionale per la brutalità delle sue operazioni militari motivate da fini etnici e religiosi. La loro tecnica, definita “Shock and awe” (colpisci e terrorizza), utilizzata in Iraq ed in Siria, ha colto di sorpresa il Mondo intero.

L’approccio degli USA evidenzia la difficoltà di articolare una strategia di contrasto. Le quasi 870 missioni su obiettivi dei militanti di IS ad opera degli aerei americani a partire dall’estate 2014, non sono bastate a fermare la rapida espansione dell’IS. Anche le dimissioni del Segretario per la Difesa sono indicative della attuale criticità in seno all’amministrazione USA, che ha in corso una verifica per la rimodulazione della propria politica estera e l’avvio di una vera e propria guerra. A tal fine, capire come l’IS si strutturi e si manifesti nella sua globalità è indispensabile per sviluppare una strategia di contrasto adeguata ed multidimensionale.

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Risulta comunque evidente che le aspirazioni transnazionali di IS, la molteplicità delle tattiche offensive, la struttura delle formazioni impiegate e lo spropositato uso del terrore come una delle tante “armi” utilizzate, connotano l’IS quale minaccia ibrida, cosi come definito precedentemente.

A settembre dello scorso anno, lo stesso Presidente Barack Obama ha utilizzato il termine “ibrido” evidenziando come l’IS rappresenti una nuova tipologia di minaccia, caratterizzata dall’uso di reti terroristiche, ambizioni territoriali e dalla molteplicità delle tattiche e delle strategie utilizzate, sia militari che criminali.

3. CARATTERISTICHE DELLA MINACCIA IBRIDA IS

Se Hezbollah rappresenta l’esempio “tradizionale” di minaccia ibrida, vale la pena confrontarlo con le attività dello Stato Islamico per aggiornare le definizioni dottrinali e le caratteristiche delineate di minaccia ibrida.

L’attività dell’IS è infatti caratterizzata dall’uso combinato di: differenti tattiche, struttura flessibile e adattabile, attività terroristiche, propaganda e guerra dell'informazione, finanziamento tramite attività criminali, mancato rispetto del diritto internazionale.

L’analisi del fenomeno IS consente di individuare, almeno ad un esame preliminare,

le seguenti caratteristiche peculiari: a. Complesso delle tattiche impiegate

Lo Stato islamico ha la capacità di formare, implementare e sostenere forze di

manovra convenzionali e di adottare allo stesso tempo tattiche “cellulari” e dirompenti capaci di adattarsi fluidamente alle mutevoli condizioni del campo di battaglia, riducendo al minimo la propria vulnerabilità da parte di controffensive e attacchi aerei. Nelle sue manovre estive, le incursioni iniziali portate dall’IS in Iraq sono state caratterizzate da una robusta potenza di fuoco convenzionale e dalla grande mobilità che ha permesso di prendere e controllare rapidamente importanti centri urbani, strade e terreni. Quando l’avanzata di IS è stata bloccata dagli attacchi aerei della coalizione internazionale alla fine dell'estate, i militanti di IS si sono dispersi nei centri urbani ed hanno operato durante la notte, riorganizzando le loro forze in unità tattiche più piccole limitando l’uso dei cellulari e delle comunicazioni radio. Hanno inoltre evidenziato la capacità di impiegare mine e produrre ordigni esplosivi improvvisati per interdire la mobilità e rallentare la controffensiva delle forze nemiche, cosi come effettuato a Tikrit e Jalawla contro le forze irachene e curde.

b. Struttura di Comando e Controllo e tattica flessibile e adattabile

IS ha la capacità di attrarre ed integrare, nelle proprie linee, forze sempre nuove,

nonchè finanziamenti ed equipaggiamenti requisiti durante l’avanzata. Le stime ufficiali dell’Intelligence3 indicano una continua crescita delle forze di IS che, partendo da una forza iniziale di circa 10.000 combattenti stranieri e gruppi di iracheni ha raggiunto, in breve tempo, le 50.000 unità. I leader militari dell’IS provengono in larga parte dai corpi di elite dell’Esercito di Saddam Hussein e, affiancati da capi religiosi carismatici, sono in grado di fornire e consolidare l’aspetto ideologico legato all’affermarsi dell’IS.

3 Ms. J. Skidmore, “Foreign Fighters Involvement in Syria”, International Institue for Counter Terrorism, Gennaio 2014

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Questa combinazione di carisma e competenza garantisce buoni risultati nelle operazioni militari ma anche la capacità di esercitare una forte attrazione di forze nuove presso le tribù locali o da Stati esteri (fenomeno dei cosiddetti foreing fighters).

Lo sfruttamento delle aree su cui l’IS esercita il controllo sono soggette a tassazione specifica, cosi come vedremo nel secondo Capitolo, nonché ad una governance marziale ed efficace, che assicura il sostegno delle successive operazioni militari.

Anche in questo caso, sono ex Ufficiali e funzionari del governo Hussein a sovraintendere settori fondamentali quali la finanza, la governance locale, le pubbliche relazioni, il reclutamento di nuovo personale e, in generale, tutte le attività volte a consolidare i guadagni ed il coordinamento delle operazioni in vaste aree. c. Terrorismo

All'interno della propria sfera di controllo, lo Stato Islamico utilizza la violenza quale

strumento di sottomissione delle popolazioni locali ed elemento per far proliferare la propaganda dell’odio e del terrore. La brutalità dei metodi con cui l’IS occupa le città segue un rituale consolidato: i combattenti distruggono santuari e luoghi religiosi non direttamente riconducibili alla tradizione sunnita ortodossa, passano per le armi chi tenta di resistere, destituiscono le forze di sicurezza ed issano la bandiera nera dell’IS sopra gli edifici governativi.

Le minoranze sono oggetto di campagne genocide che includono crocifissioni, lapidazioni e massacri pubblici che sino ad ora hanno comportato più di 4.000 vittime.

Alle esecuzioni e persecuzioni di massa si affiancano le distruzioni dei siti archeologici con l'obiettivo di cancellare i simboli di un patrimonio storico e religioso comune alle religioni monoteiste che hanno avuto origine proprio in Medio Oriente. d. Propaganda e Information Warfare4

Nella sua lotta contro l’Occidente, l’IS sfrutta gli odi radicati e predilige un linguaggio

mirato a provocare tensioni locali e internazionali, mettendo in discussione il sistema di valorie gli ideali occidentali attraverso gli strumenti mediatici tipici della cultura contemporanea.

Lo Stato islamico si è dimostrato particolarmente abile nell’utilizzo di social media per realizzare una efficiente rete per il reclutamento, la raccolta dei fondi ed il marketing ideologico.

Le sue campagne di propaganda mostrano in tempo reale immagini di militanti vittoriosi che sollevano bandiere nere e pattugliano le città conquistate, mostrando nemici impauriti, soggiogati e umiliati. Utilizza film di propaganda, realizzati con tecniche cinematografiche all’avanguardia, per ostentare determinazione ed enfatizzare l’aspetto eroico dei propri combattenti.

La comunità internazionale ha finora affrontato la cosiddetta 'guerra del racconto' in modo piuttosto cauto.

Non sembra infatti essere stata avviata una decisa campagna di controinformazione da parte della Comunità Internazionale mentre, pur mancando una chiara condanna dell’IS da parte delle comunità islamiche presenti nei Paesi dell’Occidente del Mondo, si avvertono i segni di una crescente diffidenza, all’interno delle società europee, verso i cittadini di religione islamica.

4www.nationalinterest.org, “The information warfare: the key to destroying ISIS”, 25 Marzo 2015

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e. Finanziamento tramite attività criminali Lo Stato islamico è uno dei gruppi terroristici più ricchi al mondo. Si tratta di

un’economia autosufficiente basata soprattutto sulla vendita illegale di petrolio, ma anche sulle estorsioni, i rapimenti, il traffico di reperti archeologici e le tasse imposte ai cittadini delle aree poste sotto il controllo. I gruppi minoritari pagano tributi in un sistema di estorsione organizzata.

La prima fonte di guadagno dell’IS è senza dubbio il greggio che, da solo, fattura 2-3 milioni di dollari al giorno. I pozzi presso i territori occupati in Siria (Deir Al Zor) producono circa 50 mila barili al giorno, a cui si aggiungono altri 40 mila barili provenienti dai giacimenti del Nord Iraq5.

I bombardamenti ad opera della Coalizione stanno riducendo i volumi di produzione in maniera significativa, ma il flusso economico esistente assicura all’IS un supporto ancora rilevante.

Il petrolio raffinato viene successivamente venduto in Siria, in Turchia, in Iraq e in Kurdistan a prezzi pari a 1/5 rispetto al valore di mercato. Nel caso della Turchia, sebbene ufficialmente sia stata attivata un’azione di contrasto allo specifico contrabbando, numerosi sono ancora i villaggi ed i piccoli centri abitati di confine che vivono quasi totalmente di tale commercio illegale.

Un’ulteriore significativa fonte di finanziamento deriva dai riscatti richiesti e pagati per liberare personale, straniero e non, preso in ostaggio dai terroristi dell’IS.

f. Disprezzo per il diritto internazionale

Lo Stato islamico mostra un completo disprezzo per le leggi internazionali edi diritti

umanitari universali che, nella sostanza, rappresentano invece un vincolo per le forze della Coalizione.

Esempi di crudeltà si ripetono quotidianamente e contribuiscono ad accrescere la sinistra fama dell’IS che in battaglia si è visto talvolta consegnare intere città (questo è stato il caso di Mosul in Iraq) dalle truppe avversarie senza dover combattere.

Tra le altre violazioni, le più aberranti risultano inoltre quelle relative alla:

- individuazione di bambini e ragazzi quali attori attivi e passivi di crudeltà,

uccisioni e violenze: i bambini e ragazzi vengono avviati all’odio etnico religioso e all’addestramento al combattimento sin dai primi anni di vita. In questo la strategia dell’IS prevede una forte pressione ed il controllo del sistema educativo scolastico esistente in ciascuno dei territori occupati. Gli insegnanti, sottoposti al controllo sull’applicazione scrupolosa degli insegnamenti coranici radicali, sono di fatto un asse strategico di tutto il sistema di insediamento, diffusione ed espansione del fenomeno terroristico;

- considerazione della donna, in senso generale: le donne sono soggette ad una

particolare polizia femminile che ne controlla azioni ed atti e la loro aderenza alla legge coranica oltranzista; le donne straniere o non di tradizione radicale non godono di diritti civili e sono alla mercè dei combattenti IS;

5Patanè Vittoria, “IS: petrolio, reperti, contanti. Una fortuna da 3 mln di dollari al giorno. Ecco quanto

«fattura» lo Stato Islamico”, 17 Settembre 2014, http://www.forexinfo.it/IS-petrolio-reperti-contanti-Una?lang=it

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- la schiavitù è praticata in modo esteso e brutale ai danni, in particolar modo, di tutte le popolazioni non sunnite; queste, infatti, sono oggetto di riduzione in schiavitù, commercializzazione come schiavi ed a servizio della popolazione sunnita (in particolare ai combattenti che godono di potere di vita e di morte su di essi).

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CAPITOLO II

Islamic State

1. NASCITA DEL MOVIMENTO IS

Lo Stato Islamico (abbreviato “IS”, in arabo: , al-Dawla al-Islāmiyya) nasce ufficialmente il 29 giugno 2014, in seguito alla conquista di un territorio di confine fra Iraq e Siria e alla proclamazione unilaterale della costituzione di un Califfato da parte di Abu Bakr Al-Baghdadi6.

L’IS rappresenta l’evoluzione dell’organizzazione che lo stesso Al-Baghdadi aveva costituito nel 2013: lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) detto anche Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL).

Al Adnani, portavoce di Al-Baghdadi, ha indicato lo stesso Al-Baghdadi come successore di Maometto proclamando la “Restaurazione del Califfato”7.

In forza di questa interpretazione, Al Adnani fa appello alle altre organizzazioni jihadiste - da al-Qaida a Jabhat al-Nusra fino ai gruppi salafiti del Maghreb – al fine di farle confluire nello Stato Islamico per il suo rafforzamento e preparazionealle sfide militari presenti e future.

2. LINEE STRATEGICHE ED AMBIZIONI POLITICHE

Come annunciato da Al-Baghdadi in un editto in occasione della nascita del Califfato, il territorio dell’IS si estende da Aleppo, in Siria, alla periferia di Baghdad, in Iraq.

Il cambiamento del nome da Stato Islamico in Iraq, quindi a Stato Islamico di Iraq e Siria, infine a Stato Islamico (IS) o Califfato, così come l’abbattimento virtuale delle frontiere tra Siria ed Iraq compiuta dal Califfo (prima vera espansione del movimento), mostra chiaramente quanto le ambizioni del gruppo di al-Baghdadi siano cresciute nel tempo, talvolta anche in modo svincolato dalla effettiva influenza o occupazione dei territori ai quali fa riferimento.

La ragione è strettamente legata alle motivazioni politico-religiose ed alla volontà di creare un unico Stato jihadista, indipendentemente dalla geografia definita dalle potenze occidentali negli accordi di Sykes-Picot, risalenti al 1916, seguenti la caduta dell’impero Ottomano.

La motivazione è esplicitata nel video “La fine di Sykes-Picot” che l’IS ha pubblicato a metà del 2014, nel quale vengono annunciate le intenzioni di eliminare gli attuali confini tra gli Stati creati all’indomani della fine della prima guerra mondiale dalle potenze coloniali europee.

L’accordo Sykes-Picot (o Accordo sull’Asia Minore) aveva infatti determinatola spartizione dello sconfitto Impero Ottomano fra Inghilterra e Francia, portando alla nascita di Iraq, Siria, Libano, Palestina, Transgiordania e Arabia Saudita.

La mappa in figura, aggiornata al 15 gennaio 2015 ed adattata dal lavoro dell’Istituto per lo Studio della guerra, mostra il territorio sotto controllo del Califfato insieme con le aree attaccate.

6 Al-Baghdadi succedette nel 2006 ad Abu Musab al Zarqawi, ucciso in Iraq e fino ad allora capo di Al Qaeda

in Iraq, falange qaedista attiva in territorio iracheno. 7www.assadakah.it, Centro Italo-arabo e del Mediterraneo, “ISIS dalla proclamazione del califfato alla battaglia di Kobane”, 3 Ottobre 2014

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Laddove detiene il potere, l’IS riscuote le tasse, regola i prezzi e gestisce servizi che vanno dalla sanità, all’istruzione e alle telecomunicazioni. Le ambizioni dello Stato Islamico sono, infatti, quelle di realizzare un vero e proprio apparato statale di tipo moderno, in grado di assistere i propri sudditi e fornire tutti i servizi necessari; tale ambizione è, al momento, già in parte realizzata per quanto riguarda la componente politico-sociale, malgrado la mancanza di un riconoscimento internazionale quale elemento statuale.

Il controllo del territorio è comunque una condizione indispensabile per ottenere l’autorità dello Stato islamico agli occhi dei suoi sostenitori.

Il territorio dell’IS a Gennaio 2015 (fonte: Wood, 2015)8

Dal punto di vista del Califfo, lo Stato Islamico è e rimarrà una realtà geopolitica dai

confini mobili: Iraq e Siria costituiscono soltanto il punto di partenza del territorio su cui si estende. L’occupazione reale dei territori arriverà sino a dove IS sarà in grado di spingersi, sulla

base dello slogan popolare “baqiyyawatatamaddad” (restare ed espandersi), che trova fondamento nei dettami coranici più radicali, proiettando l’immagine di uno Stato in continua crescita. La tabella di marcia dell’IS parte dagli attuali territori per arrivare fino a Roma, la capitale del Cristianesimo.

Al momento, la Comunità internazionale è al lavoro per adottare una strategia che consenta di fermare le conquiste territoriali dell’IS in Libia, proteggendo la sponda sud del Mediterraneo, canale di accesso privilegiato all’Europa. L’Egitto e la Giordania sono impegnate in bombardamenti a tappeto sia in risposta ad

atrocità commesse verso loro cittadini che per difendere/prevenire contaminazioni dei loro ambiti territoriali.

8www.theatlantic.com, Greame Wood, “What ISIS really wants”, Marzo 2015

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3. ELEMENTI IDEOLOGICI DELL’ISLAMIC STATE ED I SUOI LEGAMI CON L’ISLAMISMO

L’elemento fondamentale sul quale l’ideologia dell’IS ha fatto leva per generare il consenso tra la popolazione musulmana è il richiamo alle origini dell’Islam come fonte di legittimazione e di emulazione.

In pratica, ogni decisione importante ed ogni legge promulgata dallo Stato islamico si conforma a quella che viene definita “la metodologia profetica”, ovvero l’adesione alla Profezia e all’esempio di Maometto, con l’obiettivo di purificare la religione musulmana da tutte le novità introdotte dopo la sua morte.

- L’Umma come ragion d’essere di un unico Stato Islamico. L’Islam, in quanto religione universale, riguarda ogni aspetto della vita quotidiana, non solo personale ma anche collettiva. È il principio di umma, secondo il quale tutti i musulmani, a prescindere dai confini territoriali, sono legati dalla fede, a giustificare la creazione di uno Stato Islamico che domini su tutti, musulmani e non. Dal momento che i musulmani credono che Allah, attraverso il Profeta Maometto, abbia rivelato tutte le leggi relative alle questioni religiose e laiche, l’intera ummaè governata dalla sharia, la legge divinache deriva dalla interpretazione del Corano, applicabile in ogni tempo e in ogni luogo. Dai concetti di umma e sharia deriva la distinzione tra “Casa dell’Islam” e “Casa della guerra”: la prima è il territorio in cui risiedono i musulmani e la sharia viene rispettata, la seconda è la zona sotto controllo altrui, nella quale obiettivo dei jihadisti è la conquista e l’unificazione in un unico Stato sotto la legge di Allah. La Jihad, o “Guerra Santa”, dal punto di vista del mondo occidentale, trova una definizione premonitrice nelle parole di Oriana Fallaci: «Una guerra che essi chiamano Jihad: Jihad o Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio forse, (forse?), ma che certamente guida alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All’annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e informarci… Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po’ più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto»9.

- La fedeltà incondizionata al Califfo. La terminologia utilizzata dall’IS è un voluto richiamo alle origini dell’Islam: il termine “Califfo”, pronunciato per la prima volta il 29 giugno 2014 da Al-Baghdadi, ha un grandissimo valore nella tradizione islamica. Il Califfo (khalifa) letteralmente significa “successore” (di Maometto), e in quanto tale è considerato il leader supremo, può legittimamente chiedere fedeltà assoluta a tutti i musulmani e ha il compito di far rispettare la sharia. In tale processo, l’esistenza di confini internazionali non pone alcun ostacolo al messaggio religioso che vorrebbe che, all’ingresso delle “truppe” del Califfo in un nuovo Stato, la popolazione islamica sunnita, disconosca il proprio Stato ed i propri governanti per aderire all’IS. In tale ottica, l’IS ricorre spesso al termine Califfo e Califfato (khilafa) e i sostenitori dell’IS ritmano lo slogan “Il Califfato è stato fondato”. Il Califfo è infatti considerato il “principe dei fedeli” che guida l’unità di tutti i musulmani, così come i quattro “Califfi giusti” guidarono i musulmani dalla morte di Maometto nel 632 fino al 661. Questo periodo di tempo viene ricordato dai musulmani come “l’età dell’oro” dal momento

9Fallaci, (2001), p. 78.

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che il regno dell’Islam si espanse fino agli angoli più lontani dell’Iran e della Libia di oggi, riuscendo ad imporsi come dominatore dello spazio globale dell’epoca, nonostante le sue origini affondassero nella Penisola Arabica.

- La promessa di una inarrestabile espansione. Al-Baghdadi riesce ad attirare volontari da tutto il mondo attraverso l’utilizzo di un messaggio efficace, enfatizzato dalle dotte citazioni coraniche, che consente di accarezzare sogni di grandezza ormai dimenticati. Secondo lo storico Fred Donner, alla base della capacità del Califfo c’è «la convinzione mistica in base alla quale, creando un Califfato nella giusta maniera, i musulmani confluiranno naturalmente sotto il suo dominio, e ogni tassello del mosaico andrà al suo posto prestabilito» 10 . Grazie al potere della propaganda e dei social media, il Califfo sta diffondendo il suo messaggio tra i giovani in patria e soprattutto all’estero. Una tattica molto efficace per i programmi di reclutamento, la raccolta dei fondi e l’addestramento militare. Come affermava Oriana Fallaci: «Il guaio è che la cosa non si risolve, non si esaurisce, con la morte di Usama Bin Laden. Perché gli Usama Bin Laden sono decine di migliaia ormai e non stanno soltanto in Afghanistan o negli altri paesi mussulmani. Stanno dappertutto e i più agguerriti stanno proprio in Occidente. Nelle nostre città, nelle nostre strade, nelle nostre università, nei gangli della nostra tecnologia»11.

- L’interpretazione radicale del salafismo per giustificare il ricorso sistematico alla violenza. Perfino il ricorso dell’IS a pratiche che oggi appaiono barbariche, come decapitazioni, lapidazioni, crocefissioni, schiavitù e “dhimmitudine” (tassazione di coloro che rifiutano di convertirsi) deriva da un richiamo alle origini e all’asfissiante interpretazione della legge islamica. In particolare i salafiti, gruppo di musulmani fedeli alla dottrina islamica che propugna un’adesione letterale alle norme dell’Islam, ritengono che sia necessario resuscitare le pratiche militari e politiche dei guerriglieri e condottieri del tempo dei quattro Califfi. A tal proposito è emblematico un video girato da un miliziano di origine russa che giustifica i massacri e le barbarie dell’IS con riferimenti alla vita di Maometto: «Voi ci accusate di commettere stragi di massa di musulmani affermando che siamo assassini a sangue freddo, ma non risponde a verità il fatto che il profeta Maometto e i suoi compagni sparsero il sangue? Non avete letto la sua biografia, scritta da IbnHisham, nella quale si afferma che il messaggero di Allah uccise settecento persone in una singola battaglia? Massacrò settecento persone ed è il Profeta della nostra fede» 12 . Il miliziano russo fa riferimento ad un episodio della biografia del Profeta legato alla battaglia contro una tribù ebraica nel nord dell’Arabia durante la quale gli uomini furono giustiziati in pubblico, mentre le donne e i bambini venduti come schiavi. Il miliziano russo giustifica così il ricorso alla violenza anche da parte del Califfo visto che lo stesso “Maometto prese parte alle esecuzioni”. Quello che più distingue il ricorso alla violenza da parte dello Stato Islamico è la diffusione virale di queste barbarie attraverso l’ausilio della tecnologia al fine di divulgare la propaganda alla violenza a livello globale.

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New Republic, 1° settembre 2014. 11

Fallaci, (2001), pp. 90-91. 12

Breitbart, 5 novembre 2014.

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4. ATTUALE ORGANIZZAZIONE STATUALE

L’organizzazione statuale dello Stato Islamico è rigidamente definita e fortemente centralizzata. Dietro le apparenze di un gruppo di spietati sanguinari, si cela difatti un progetto ben definito per realizzare una società islamica retta dal potere assoluto13. Dalla proclamazione della nascita del Califfato, le terre conquistate sono saldamente governate a livello amministrativo, politico e giudiziario, e sottoposte alla legge della sharia.

L’architettura dello Stato islamico è piramidale e vede al vertice il Califfo, capo assoluto, autorità politica e religiosa, fonte unica della verità e della giustizia, sovrano incontestabile della vita e della morte, nonché diretto discendente di Maometto.

Il Califfo è affiancato dal Consiglio della Shura (consultazione), un organo consultivo composto dai membri anziani e più importanti della comunità incaricato di fare rispettare le sue decisioni, e governa con editti firmati “Il principe dei fedeli”, fatti rispettare dai suoi miliziani con la violenza. L’IS infatti si proclama “Stato”, ed in quanto tale, attraverso gli editti, rende pubblico il proprio funzionamento.

Il Consiglio della Sharia è, invece, la suprema autorità religiosa, costituita da sei membri a cui spetta di nominare il Califfo e interpretare la legge islamica per creare le basi legali di una corretta amministrazione.

Considerata la situazione di “stato di guerra”, rivestono una particolare importanza il Consiglio per la Difesa e il più ristretto Gabinetto militare del Califfato, guidato dal Califfo, a cui fanno capo duecomandanti militari, uno per l’Iraq ed uno per la Siria, che a loro volta comandano su un esecutivo composto da dodici governatori locali in entrambi i Paesi. Al di sotto vi sono i comandanti militari locali, i capi delle polizie religiose maschile e femminile, i responsabili della raccolta di tasse e zakat (offerte) e gli uffici non militari. Vi sono poi circa mille comandanti di campo veterani (in gran parte iracheni, ma non solo) che offrono la loro esperienza tecnica, militare e di sicurezza.

La forza militare, oltre ai jihadisti arabi del Califfo e ai volontari stranieri (foreign fighters), è formata dalle unità tribali sunnite composte da miliziani provenienti da ambiti sociali lontani dalla jihad. Ogni unità è guidata da ufficiali il cui compito è di armonizzare le differenze tra i combattenti al fine di trasmettere un’immagine di legittimazione islamica che consenta di attirare consensi e consolidare i territori conquistati. Gli amministratori pubblici, organizzati come un esercito, si spostano periodicamente dai campi di combattimento alla gestione delle aree liberate, fino ai rapporti con la popolazione e rivestono una particolare importanza per garantire il rispetto della sharia. Le esecuzioni pubbliche, le crocifissioni e le punizioni corporali per violazioni della sharia sono i mezzi di cui si servono per mantenere un rigido controllo sociale e garantire il rispetto della legge islamica.

L’insediamento dell’amministrazione del Califfato nei nuovi territori solitamente avviene in due fasi:

a. Prima Fase - Erogazione di servizi sociali e religiosi:

Intesi come i trasporti pubblici gratuiti, la riparazione di strade e linee elettriche, la riattivazione del servizio postale, la vaccinazione gratuita per i bambini, le mense per i poveri, i prestiti per la costruzione di prime case, fino all’editto che fissa il tetto massimo degli affitti a Mosul all’equivalente di 85 dollari al mese. Contestualmente arrivano nelle città degli stranieri-manager che hanno il compito di riattivare centrali elettriche, dighe, pozzi petroliferi. A questo si aggiunge la dawa, ovvero una serie di attività a beneficio della popolazione, come le lezioni pubbliche di Corano, le scuole ad hoc per diffondere la sharia ed attività/eventi costanti incentrati sui principi

13

Lister, (2014).

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cardine dell’Islam e della vita di Maometto. In questo modo lo Stato Islamico, configurandosi come un erogatore di servizi religiosi, ma allo stesso tempo attivando diversi servizi sociali, riesce ad accattivarsi i favori delle popolazioni locali e a radicarsi fortemente nella società.

b. Seconda Fase - Rispetto della sharia ed instaurazione del regime del terrore: alla fase precedente, che dura da pochi giorni a qualche settimana, segue la seconda fase, nella quale si manifestano le caratteristiche più feroci della nuova organizzazione. Ci riferiamo ad al Hesbah, la polizia religiosa che perlustra i quartieri alla ricerca di cittadini colpevoli di violare le leggi dell’Islam. Il sistema poliziesco si distingue infatti in polizia religiosa (Al Hesbah), che ha il

compito di promuovere la virtù e combattere il vizio, e polizia locale (per la sicurezza e l’ordine pubblico). Esiste inoltre una polizia femminile che è incaricata di sorvegliare la scrupolosa applicazione dei dettami coranici radicali da parte delle donne musulmane nonché di gestire la tratta delle schiave di sesso femminile che, in gran parte “straniere” o di religione non islamica, sono avviate alla schiavitù o alla prostituzione organizzata in favore dei combattenti islamici.

Il sistema giudiziario ha anch’esso una duplice identità: da un lato vi sono i

Tribunali per gestire le cause civili e penali come i divorzi, le cause successorie, i furti, i saccheggi, etc., dall’altro vi sono le Corti per decretare sentenze sommarie per “violazione della sharia”, ordinando fustigazioni, lapidazioni, amputazioni e condanne a morte. Solitamente queste punizioni brutali avvengono volutamente in luogo pubblico perché lo Stato Islamico tiene alla pubblicità di questi eventi in cui il terrore viene applicato come sistema di governo teso a consolidare il consenso costruito nella fase precedente, sradicando ogni possibile tipo di dissenso.

Infine, ad ulteriore conferma che l’intenzione del Califfato è di ottenere

l’identificazione dei residenti con lo Stato Islamico, esistono l’Ufficio Affari Tribali,con la responsabilità di dialogare con i capi delle tribù sunnite per assicurarsene la completa collaborazione, e gli Uffici di Reclutamento, dove i volontari possono recarsi per entrare nei ranghi dei Jihadisti.

5. IL FENOMENO DEI FOREIGN FIGHTERS

«[…] Individui che si spostano in uno stato diverso da quello in cui risiedono o hanno la nazionalità, con il proposito di perpetrare, pianificare e partecipare ad atti terroristici o per dare o ricevere addestramento terroristico […]»: è questa la definizione dei foreign fighters presente nella prima pagina della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 2178/2014 del 24 Settembre 2014.

Secondo questa definizione, il fenomeno non è nuovo né tantomeno originale: ogni forma di lotta, più o meno violenta o legittima, ha suscitato ovunque simpatie, al punto da spingere i “più intraprendenti” a lasciare i propri Paesi d’origine per poter abbracciare le cause straniere ed arruolarsi tra le fila dei rivoluzionari. In una società, poi, che fa della comunicazione il suo fulcro, diventa oltremodo semplice entrare in contatto con tali realtà e rimanerne affascinati, a tal punto da diventare un foreign fighter.

Nel caso di IS il fenomeno ha raggiunto dimensioni ragguardevoli e non più trascurabili, tanto che, secondo le ultime stime, i combattenti stranieri sarebbero

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nell’ordine delle decine di migliaia 14 . Identificare le motivazioni che spingono cittadini “insospettabili” ad abbracciare la causa della lotta radicalista islamica non è possibile in maniera univoca, si possono però identificare dei caratteri ricorrenti del fenomeno, a partire dalla giovane età degli aspiranti neo-jiadhisti.

L’età media dei foreign fighters è compresa nella fascia 18-29 anni che, confrontata con l’età media degli aspiranti “jihadisti afghani” di un ventennio fa (25-35 anni), evidenzia come vi sia stato un “ringiovanimento” delle leve. Una prima interpretazione della statistica porta a considerare che l’estrema diffusione dei mezzi di comunicazione sul web e, tra questi, lo sviluppo delle nuove forme di interazione (social network, piattaforme di media sharing), molto più efficaci ed immediate nella diffusione dei messaggi, ha reso il reclutamento dei combattenti estremamente semplice.

Stima dei combattenti stranieri a Gennaio 2015 (fonte: Limes, 2015)15

Insieme a questo dato statistico, definiamo di seguito alcune delle motivazioni che hanno reso possibile la crescita del fenomeno, a partire dalla facilità con cui è possibile viaggiare e raggiungere i “teatri operativi” dell’IS. Approdare in Siria è, difatti, oltremodo semplice transitando attraverso la Turchia, meta turistica molto ambita: un volo verso Istanbul (tra l’altro acquistabile a prezzi decisamente bassi) non desta, inoltre, alcuna preoccupazione nelle autorità che monitorano il fenomeno dei foreign fighters (non si può dire lo stesso per Yemen, Somalia, Afghanistan).

14Nel corso dell’audizione tenuta nel mese di Febbraio 2015 alla Camera dei Rappresentanti USA N.

Rasmussen, direttore del National Counterterrorism Center, ha riferito che in tutto sarebbero 20000 i foreign fighters, provenienti da oltre 90 paesi (3400 il numero stimato dei combattenti provenienti dai paesi occidentali). 15www.limesonline.com, “Combattenti stranieri”, Gennaio 2015

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Ma se è vero che raggiungere la meta è semplice, come è possibile allacciare i giusti contatti che possano introdurre gli aspiranti combattenti nel mondo della “jihad”? Anche su questo fronte IS ha adottato una soluzione innovativa e moderna, affidando la selezione a “gruppi decentrati” di affiliati i quali effettuano opera di proselitismo direttamente all’interno delle società occidentali. Il caso del network “sharia4” è emblematico del problema: si tratta di una serie di gruppi a connotazione geografica (ogni “cellula” è individuata dal nome del paese, si hanno infatti sharia4Belgium, sharia4UK, sharia4France,…) che fungono da punti di attrazione per i simpatizzanti jihadisti. Essi agiscono essenzialmente su due fronti: conducendo attività di proselitismo e fungendo poi da contatto per il terrorismo internazionale.

La prima attività, piuttosto semplice attraverso i social network e le infinite possibilità della rete, funge da attività di primo contatto con gli adepti, ed è finalizzata alla streetda‘wa (predicazione per strada) che, facendo leva su tematiche sociali, propone, come soluzione definitiva, l’istituzione di uno stato islamico regolato dalla sharia. Accanto a questa funzione che attiva un’escalation ideologica dei suoi membri, vi è la vera e propria fase di reclutamento mediante la quale una bridgingperson, parte del gruppo, introduce i seguaci più estremisti agli ambienti del terrorismo jihadista.

La funzione della bridgingperson è, alla stregua dei talent scout, anche quella di valutare le doti del wanna-be fighter determinandone l’affidabilità e garantendone inoltre l’attendibilità verso i gruppi di destinazione. In alcuni casi, poi, sono gli stessi gruppi Sharia4 a finanziare i viaggi dei neo foreign fighters verso i teatri d’operazione. Anche in questo caso nell’attività di proselitismo è centrale l’uso del web e dei social media, veri e propri “buchi neri” che attraggono tutti i potenziali estremisti. Accanto alla folta schiera di “uomini e donne d’azione”, quelli cioè che hanno il desiderio di prendere parte attivamente alle attività terroristiche, vi è poi un’altrettanto nutrita schiera di “professionisti” o “specialisti” di settore, ugualmente preziosi per l’amministrazione di quello che vuole affermarsi come uno Stato organizzato ed attivo a 360° (l’azione ed il taglio “professionale” della comunicazione di massa di IS è conferma che al suo interno vi sono esperti di settore che hanno abbracciato la causa). È così che medici, ingegneri, amministratori, vengono reclutati con la promessa di ingenti ricompense (oltre al non trascurabile risvolto religioso che l’appartenenza al Califfato comporta).

Sul campo “motivazionale”, alcuni dei fattori ricorrenti nel fenomeno foreign fighters, che ne determinano l’arruolamento,sono riconducibili alla vacuità, all’assoluta mancanza di identità e scopi nella vita e, data la giovane età, spesso alla voglia di azione unita al senso di ribellione tipico della loro fascia d’età. Altre volte, invece, il dettame del martirio perpetrato durante il combattimento contro gli infedeli, associato all’obbligo individuale di soccorrere una comunità musulmana che si sente sotto attacco (narrativa, questa, già ampiamente utilizzata da al-Qaida) ed alla promessa di un trattamento magnanimo da parte di Dio nell’aldilà, imprime la spinta determinante che porta sul campo di battaglia.

Nel mezzo vi sono le tante sfumature motivazionali che spingono giovani e giovanissimi ad abbandonare culture democratiche, libere e laiche, per abbracciare i dettami di un autoproclamato stato violento, estremista, che fa dello spargimento del terrore la propria arma di amministrazione dei territori.

6. CARATTERI E STRATEGIA COMUNICATIVA DELL’IS

L’autoproclamato Califfato Islamico ha costruito una solida e raffinata strategia comunicativa caratterizzata dall’uso di tutti i mezzi disponibili (primo tra tutti il web, ma senza trascurare la più tradizionale stampa e la televisione) ed in grado di diffondersi capillarmente, tra i seguaci, nelle terre del Califfato e dovunque nel mondo.

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L’approccio mediatico non è nuovo in questo settore: già le “vecchie organizzazioni” (al-Qaidain primis) avevano iniziato la spettacolarizzazione del terrore mostrando al mondo i metodi e le ideologie estremiste che guidavano le loro azioni.

Video-annunci diretti contro questo o quel nemico, rigorosamente occidentale, diffusi nelle maniere più disparate (TV accreditate piuttosto che canali web più o meno sommersi), una rivista inneggiante alla jihad e, più di tutti, l’entrata in scena mediante una macabra rappresentazione “in diretta”, abilmente orchestrata nel corso degli attacchi dell’11settembre, sono le espressioni di una strategia comunicativa attenta ma ancora perfettibile.

Con l’IS, nelle espressioni e realizzazioni mediatiche, si coglie la dicotomia tra il radicalismo islamista antioccidentale e la modernità dei mezzi e delle tecniche utilizzate, ma anche la lungimiranza ed il pragmatismo di una organizzazione che non lascia nulla al caso. Un’organizzazione moderna e resiliente che ha introdotto l’opinione pubblica nel mondo del “terrorismo in versione 2.1”, fatto di web innanzi tutto (ed in particolare di piattaforme social), ma anche di produzioni video e tipografiche in tutto e per tutto “professionali”.

Lo scopo ultimo di tali attività è sempre il medesimo: la trasmissione del terrore su scala mondiale e la messa in atto di una minaccia di destabilizzazione del mondo, al quale si affiancano obiettivi strumentali a breve-medio termine quali:

- accogliere nuovi adepti; - minacciare l’Occidente; - consolidare il proprio potere.

L’organizzazione della produzione mediatica è supervisionata da Abu Amr al

Shami, che ha alle proprie dipendenze un esercito di scrittori, bloggers e specialisti, incaricati di monitorare il web ed in particolare i social media.Essi vivono nell’anonimato, dispersi nel mondo, e sono i responsabili della diffusione dei messaggi del Califfato sui social media piuttosto che delle produzioni video che, regolarmente, sono realizzate.

Il portavoce è invece Abu Mohammad al Adnani e, sebbene la sua figura non sia predominante né indispensabile a causa della decentrata strategia comunicativa dell’IS, resta comunque un personaggio di spicco data la sua vicinanza con i leader del Califfato e, di conseguenza, per la conoscenza degli obiettivi mediatici dello stesso.

Per la produzione “ufficiale” il riferimento è il gruppo Al Furquan che, oltre a diffondere i messaggi della leadership, realizza video sopraffini, anche in serie, inneggianti allo Stato Islamico (Messages from the Land of EpicBattles).

In tema di produzioni video, si citano i documentari “Clanging of thswords I-IV” come esempi emblematici (per la spettacolare tecnica di ripresa e montaggio utilizzata nonché per la violenza delle immagini) sia della natura della propaganda che dell’audience a cui sono rivolti i messaggi. Il loro scopo, ancora una volta, è quello di attrarre i simpatizzanti, ottenere finanziamenti, promuovere l’IS e, non ultimo, diffondere il terrore presso i nemici.

Anche la produzione cartacea (rigorosamente in inglese) non è trascurata: Islamic State News (ISN), Islamic State Report (ISR, noto anche come “An InsightInto the Islamic State”) e, soprattutto Dabiq (la versione estesa di ISR), rappresentano tre esempi della perizia con cui lo Stato Islamico diffonde il suo macabro verbo. In Dabiq, soprattutto, si ritrovano ancora una volta, come in un catalogo, i caratteri e la narrativa del Califfato. Si tratta di una rivista che, come le altre, si trova su siti web indipendenti e per la quale ogni nuova pubblicazione è seguita da adeguata pubblicità. Si tratta di realizzazioni estremamente curate, ricche di illustrazioni che alternano scene brutali e momenti di vita comune, commentate lungamente con testi di natura islamica per giustificare ogni genere

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di azione, anche la più cruenta, addossando la colpa verso i nemici, e presentando quindi la violenza quale rimedio “inevitabile”.

La produzione mediatica non è l’unica alla base del terrore: la sapiente strategia dell’IS, infatti, realizza propaganda anche mediante documenti rivolti ad un pubblico più “intellettuale”. Un esempio è la serie “Lend Me Your Ears” in cui il giornalista John Cantlie, ostaggio dello Stato Islamico, ha realizzato vari documentari sullo stile dei “film inchiesta”, raccontando la vita nelle città conquistate dal Califfato e tentando, quindi, una controffensiva alla narrativa delegittimante dell’occidente.

L’arma in più nelle mani di IS è il web, attraverso cui tutta la produzione viene diffusa con tecniche in grado di aggirare la sempre crescente supervisione e censura nei confronti del materiale ritenuto offensivo.

Diffusione capillare sulle maggiori piattaforme social, accanto alla scoperta di nuovi social media (come Quitter o Diaspora), sono solo alcuni degli espedienti utilizzati: tecniche innovative, come le cosiddette “twitterbombs”16, sono la frontiera ed il frutto di sempre nuove ricerche in un campo in cui la supremazia degli “anonimi” è sempre rispettata.

Purtroppo, rispondere puntualmente alle incursioni sul web degli specialisti del Califfato mediante la censura non è una soluzione definitiva, come hanno dimostrato le tecniche alternative utilizzate per diffondere comunque i messaggi. Ulteriore frontiera e minaccia per le organizzazioni antiterrorismo, potrebbe poi rivelarsi il mondo del deep-web, ossia l’universo di rete non indicizzato dai motori di ricerca (quindi normalmente non accessibile agli utenti medi).

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Mediante le quali inoffensivi post di twitter sono utilizzati per reindirizzare gli utenti verso materiale propagandistico di IS.

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CAPITOLO III

Espansione del fenomeno IS

1. EVOLUZIONE DEL MOVIMENTO JIHADISTA IN IRAQ E IN SIRIA

Le origini dell’IS in questa area si possono far risalire al 1999, quando Abu Musab al-Zarqawi, salafita giordano di origine palestinese, dopo aver costituito in Giordania il gruppo Jama'at al- TawhidWal - Jihad (Gruppo per l'Unità di Dio e la Jihad - JTJ), responsabile di vari attentati in Giordania, lasciò la Giordania, con l’intento di unire JTJ ai ribelli islamici separatisti nella provincia russa della Cecenia. Il suo progetto fallì, ma nello stesso anno riuscì ad incontrare Bin Laden in Afghanistan, ottenendo finanziamenti per l’organizzazione di un campo di addestramento per i combattenti nei pressi di Herat (Afghanistan).

Dopo l'11 settembre 2001, JTJ si unì ai talebani per la lotta contro le truppe statunitensi, ma fu costretto ad uscire dall'Afghanistan per rifugiarsi nel nord dell’Iraq. Nel 2003, l’operazione Iraqi Freedom favorì il rafforzamento di JTJ in Iraq e nell’ottobre del 2004 al Zarqawi costituì il gruppo al-Qaidain Iraq che comprendeva i resti di JTJ, Ansar al-Islam, Muntada al Ansar e un buon numero di combattenti stranieri. Nel 2006 lo stesso gruppo formò una coalizione composta da diversi gruppi jihadisti, deniminata “Islamic State of Iraq” (ISI), sempre affiliata ad al-Qaida.

Dopo la morte del leader Abu Musab al-Zarqawi, avvenuta nel giugno 2006, l’ISI si indeboli’ gravemente sia per effetto delle azioni condotte dal movimento denominato AnbarAwakening (il Risveglio di Anbar), sia per effetto dell’intensificarsi delle operazioni condotte dalle Forze di sicurezza irachene (ISF) e americane.

Nel 2010, a soli tre anni dalla proclamazione della nascita dell’ISI, il movimento fu espulso dall’Iraq centrale e costretto a trovare rifugio a Mosul e dintorni.Inoltre dovette far fronte all’eliminazione dei suoi due leader di punta, Abu Ayyub al-Masri e Abu Omar al-Baghdadi. In questo contesto emerse la figura di Abu Bakr al-Baghdadi. In pochi mesi, il nuovo leader riuscì a imprimere una svolta decisiva alle sorti dell’ISI, riorganizzandone le fila e non esitando a eliminare gli esponenti ritenuti non affidabili. In particolare, i principali fattori destabilizzanti che contribuirono a creare le condizioni perfette per un ritorno in grande stile della formazione jihadista furono tre:

- la primavera araba; - il ritiro delle forze statunitensi dall’Iraq nel dicembre 2011; - la dilagante polarizzazione della regione lungo linee etno-settarie.

In Iraq, particolarmente determinanti furono le controversie politiche adottate dall’amministrazione del Primo Ministro sciita Nuri al-Maliki, che aveva disatteso le aspettative che circondavano il suo secondo mandato, avviandosi verso una deriva autoritaria.

Al-Baghdadi riuscì a sfruttare queste tensioni e a ristabilire parte delle relazioni che avevano permesso in passato al suo movimento di radicarsi nel tessuto tribale arabo-sunnita del paese. Egli, però, non disponendo di forze e risorse sufficienti a garantire il suo ritorno in grande stile nell’Iraq centro-meridionale, dovette fare i conti con la difficile eredità derivante dalle faide ingaggiate negli anni con gli ex alleati dell’insurrezione.

In questo contesto l’attenzione del leader islamista si spostò verso la guerra siriana: il paese era divenuto il polo di attrazione per migliaia di jihadisti, era al centro dell’attenzione mediatica globale e vedeva confluire al suo interno flussi di finanziamento

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di portata e intensità tali da superare ampiamente i livelli registrati in Iraq. Il conflitto siriano quindi offrì, sin dall’inizio, al movimento jihadista l’opportunità di riorganizzare le proprie capacità logistiche ed operative duramente colpite in Iraq e in Afghanistan. L’organizzazione potè agire indisturbata nel corso dei primi due anni di guerra, rafforzandosi progressivamente, insediandosi in numerosi villaggi del nord e dell’est e instaurando la più rigida applicazione della sharia. In questo periodo, al-Baghdadi appoggiò la nascita in Siria di un contingente di combattenti, denominato Jabhat al-Nusra, guidati da Abu Muhammad al Julani. Il movimento divenne in pochi mesi uno dei fronti più importanti dell’opposizione al governo di Bashar al-Assad, consentendo ad al-Baghdadi di beneficiare di un afflusso crescente di volontari, fondi e armi provenienti da tutto il mondo.

Erano i prodromi di una strategia che portò le forze dell’ISI a intensificare la propria campagna sul suolo iracheno attraverso una nuova stagione di attentati dinamitardi, esecuzioni mirate, attacchi alle istituzioni e assalti alle carceri.

Una campagna che, a partire dalla seconda metà del 2013, subì una accelerazione attraverso la proclamazione dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, la rottura con la leadership di Jabhat al-Nusrae con la stessa al-Qaida e l’abbandono delle politiche concilianti adottate in precedenza con le diverse anime dell’insurrezione. In questo modo al-Baghdadi inviava un chiaro segnale: lo Stato Islamico non doveva più essere considerato come una mera forza paramilitare ma come una realtà statuale a pieno titolo.

Le ingenti risorse e le elevate capacità operative del movimento furono messe al servizio di un’offensiva sempre più serrata di crisi che investì la zona centrale arabo-sunnita irachena e che sembrava puntare direttamente alla capitale.

Accanto alla lotta in Siria, l’ISIS continuò la sua azione in Iraq, riuscendo prima a conquistare Fallujah e Ramadi all’inizio del 2014 ed in seguito Mosul. Difatti, mentre l’attenzione era rivolta a Baghdad, le forze di al-Baghdadi crearono le premesse per quella che è considerata come la vittoria militare più importante conseguita da un gruppo jihadista dai tempi dell’affermazione dei talebani in Afghanistan: la presa di Mosul, la seconda città irachena per importanza.

Il punto di svolta decisivo del movimento jihadista si ebbe però il 29 giugno 2014, quando lo stesso al-Baghdadi proclamò l’instaurazione del “Califfato Islamico” nei territori conquistati in Siria e in Iraq, cambiò nome al movimento divenendo “Stato Islamico” (IS), invitando tutti i fedeli musulmani ad allearsi ad un vero e proprio movimento jihadista transnazionale.

Il resto è storia recente, con la caduta della città irachena di Tikrit e di buona parte del nord-ovest iracheno, l’ingresso delle formazioni del Kurdistan a Kirkuk, la vessazione e il massacro di yazidi e cristiani e l’avanzata delle forze dell’IS, fermata a pochi chilometri da Baghdad solo grazie agli sforzi congiunti dei peshmerga curdi, delle milizie sciite e dei reparti dell’ISF sostenuti dai raid aerei della coalizione americana e dal supporto meno evidente di Teheran.

2. L’AVANZATA DELLO STATO ISLAMICO IN IRAQ

Da mesi l'Iraq è tornato prepotentemente al centro dell'attenzione dei media. Dopo la caduta di molte città irachene, dei valichi occidentali e della principale raffineria del paese nelle mani dei miliziani dello Stato Islamico, il gruppo terroristico controlla ormai una vasta porzione del Paese. Nell’ultimo periodo però, il rafforzamento dell’alleanza anti-IS, dovuto alla miglior coesione raggiunta tra le Forze Armate irachene (supportate in modo rilevante dagli USA), le armate tribali sunnite, le milizie sciite, combattenti peshmerga e la coalizione internazionale, sembra aver condotto alla stabilizzazione dei fronti di battaglia in

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Iraq, riducendo l’efficacia dell’offensiva dello Stato Islamico e causando il sostanziale consolidamento di tre blocchi:

- il sud del paese, che include le province meridionali fino a Baghdad e Samarra,

controllato dalle autorità centrali e dalle milizie sciite; - il Kurdistan iracheno nel nord-est, che gode di crescente autonomia nella gestione

dei propri territori; - l’area del centro-ovest, che include importanti porzioni delle province di Anbar,

Kirkuk, Nineveh, Salah al-Din e Diyala, per la gran parte in mano allo Stato Islamico e a gruppi tribali sunniti.

Conclusa la fase iniziale della loro avanzata, che ha permesso in pochi mesi

l’unificazione del fronte iracheno a quello siriano e la presa di potere su alcuni dei principali centri, snodi viari e infrastrutture dell’Iraq, le brigate jihadiste al servizio di Abu Bakr al-Baghdadi, si trovano oggi costrette a lanciare attacchi su un numero più limitato di obiettivi, ricalibrando le proprie mire espansive sulle necessità di affrontare nemici più forti e preparati e di gestire i territori conquistati.

In aggiunta, il riallineamento tra alcune delle maggiori realtà tribali e le autorità di Baghdad, iniziato dopo l’allontanamento di Nouri al-Maliki dalla guida del paese, ha prodotto il progressivo aumento delle ostilità tra i vertici locali di IS e alcune delle più influenti tribù di Anbar, contribuendo al rallentamento dell’offensiva.

Presenza IS in Iraq e Syria, Gennaio 2015, Limes17

Inoltre, a Baghdad il nuovo Primo Ministro Haider al-Abadi sta portando avanti una

complessa operazione di ricostruzione dei vertici delle Forze Armate e delle istituzioni preposte al controllo della sicurezza, cercando di esautorare gli elementi imputati di corruzione, ritenuti colpevoli di aver contribuito allo sfaldamento dell’Esercito di fronte all’offensiva di IS e quelli legati al vecchio Premier, Nouri al-Maliki.

17www.limesonline.com, Lucia Goracci, “La sfida che ci lancia lo Stato Islamico”, 10 Marzo 2015

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Dal punto di vista della coalizione che sta combattendo contro l’IS, sfruttando la miglior coordinazione raggiunta tra autorità centrali e una parte della galassia tribale sunnita e la maggior disponibilità di informazioni sullo Stato Islamico, le forze aeree internazionali hanno potuto lanciare attacchi più efficaci contro le sue postazioni, cercando di sostenere le operazioni terrestri dell’Esercito iracheno e delle milizie curde.

L’ampliamento del numero degli Stati coinvolti nei bombardamenti aerei è stato continuo: alla Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, si sono aggiunti nel corso degli ultimi mesi anche Australia, Belgio, Canada e Paesi Bassi.

A questi paesi va aggiunta la presenza in Iraq di personale militare spagnolo, danese e tedesco.

Anche l’Italia ha incrementato il proprio supporto alla missione anti-IS: da fine ottobre, un’aerocisterna Boeing KC-767A dell’Aeronautica Militare è attiva nel rifornimento degli aerei impegnati nelle operazioni sul fronte iracheno. Mentre da fine novembre sono giunti in Kuwait quattro Tornado IDS dell’Aeronautica Militare, aggiuntisi ai due APR Predator italiani già schierati nel paese, allo scopo di incrementare le capacità di ricognizione, sorveglianza e intelligence della coalizione. Contestualmente, è stato anche deciso l’invio di istruttori e consiglieri militari italiani in Iraq al fine di rafforzare le capacità delle Forze Armate locali nel contrasto all’IS.

Nonostante l’azione della Coalizione abbia sicuramente rallentato l’avanzata dell’IS, i combattenti jihadisti si sono rivelati in grado di adeguarsi repentinamente al cambiamento degli scenari di combattimento, attraverso una strategia di dispersione delle forze che, se da un lato le rende meno vulnerabili agli attacchi aerei, dall’altro impedisce nuove grandi offensive contro le Forze di Sicurezza irachene e curde.

Di conseguenza, almeno nel breve periodo è ipotizzabile che l’IS tenterà di consolidare le conquiste fin qui effettuate utilizzando contestualmente l’arma terroristica nella cintura urbana di Baghdad per mantenere la pressione sulle istituzioni irachene.

3. L’AVANZATA DELLO STATO ISLAMICO IN SIRIA

Collocata in una posizione fortemente strategica, crocevia di molteplici interessi, la Siria oggi appare un Paese martoriato da una guerra civile persistente, che dura ormai da quattro anni e non sembra dar segni di attenuazione.

Sorta nel 2011 come una rivolta della popolazione nei confronti del regime, la crisi siriana si è ben presto trasformata in uno scontro aperto tra diversi attori interni, regionali ed internazionali, ognuno con la propria agenda. Quello che rimane oggi della Siria è un Paese frazionato in almeno quattro territori contesi:

- una Siria sotto il controllo del Regime alawita di Al-Assad; - una controllata dagli jihadisti dell’IS; - una terza in mano alle opposizioni armate; - una quarta controllata dalle milizie curde.

Su tali divisioni territoriali s’innestano conflitti trasversali caratterizzati da alleanze

che si rimodulano con estrema velocità in relazione all’apparire di nuovi attori locali, regionali ed internazionali. Dall’esito del conflitto dipenderà, con ogni probabilità, la sostanziale ridefinizione degli equilibri geo-strategici regionali.

Il territorio controllato attualmente dai jihadisti dell’IS va dalla periferia orientale di Aleppo fin verso la regione a maggioranza curda (a est) e fino al confine iracheno (a sud-est), spazzato via da una continuità territoriale che assicura allo Stato Islamico libertà di movimento tra la regione irachena di al-Anbar e quella siriana di Dayr al Zawr.

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A fine agosto 2014, l’IS ha formalizzato l’abbattimento del confine internazionale tra Siria ed Iraq. Oltre ad avere un controllo diretto o indiretto delle vie di comunicazione che conducono ai valichi frontalieri con Turchia e Iraq e a tenere in pugno tre aeroporti militari siriani, l’IS controlla la principale risorsa idrica della Siria, oltre ad alcuni importanti giacimenti di gas e petrolio nell’Est del Paese.

Dopo essersi impadroniti di Raqqa, ritenuta la capitale storica ed evocativa del Califfato, i jihadisti di al-Baghdadi hanno conquistato le vaste contrade orientali siriane, riempiendo il vuoto militare lasciato dal regime di Damasco e non colmato a sufficienza da un fronte ribelle poco coeso e disciplinato. Nel contempo hanno dimostrato di saper mantenere il controllo di questi territori e di saperli amministrare, sottomettendo le comunità locali con il terrore e la violenza, ma anche cooptando alcune élite tribali nella gestione economica e finanziaria delle citate regioni.

Nonostante il conservatorismo religioso che domina le regioni rurali dell’est siriano, le popolazioni che abitano questi territori non hanno accolto con favore l’oscurantismo e il terrore imposto dai jihadisti, ma hanno dovuto far buon viso a cattivo gioco accettando la presenza della nuova potenza. La retorica anti-occidentale e anti-sciita espressa dall’IS appare invece meno in contrasto con la tradizione politica locale, tanto che alcuni leader tribali si sono serviti di questa apparente affinità per legittimare la loro sottomissione all’autorità del “Califfo”.

Quest’ultima si presenta come emanazione di un vero e proprio Stato. A differenza di altri gruppi jihadisti e qaidisti, gli uomini giunti in Siria inizialmente come ala irachena di al-Qaida hanno elaborato, in poco tempo, una visione per il dopoconquista: la loro azione sul terreno non si è limitata alla conquista militare delle località lungo l’Eufrate, puntando prima di tutto su quelle vicine alle risorse energetiche o cruciali per la distribuzione dei servizi essenziali come acqua, farina, elettricità. Dopo aver imposto la forza, hanno intimato ai leader locali di accettare la nuova autorità in cambio di protezione e sevizi essenziali da fornire alle comunità locali e di una percentuale degli introiti derivanti dalla gestione delle risorse del territorio.

La relazione tra il potere locale informale siriano e lo Stato Islamico non deve essere vista come un rapporto lineare e verticale, nel quale l’IS detta legge e le tribù subiscono. Pur rimanendo in una posizione dominante, gli uomini di al-Baghdadi sanno che la loro presenza dipende dalla capacità di saper negoziare con i leader locali. Da secoli, tali tribù sono scese continuamente a compromessi con il potente di turno per garantirsi la protezione degli interessi della comunità. Lo avevano fatto con Hafiz al-Assad, con meno incisività erano scesi a compromessi con Bashar al-Assad, ma all’atto dello scoppio delle rivolte si erano da subito schierate con l’opposizione ribelle. Ma, di fronte alla disfatta militare del fronte ribelle, ai leader tribali di Raqqa e Dayr al-Zawr non è rimasto altro che affidarsi all’IS. Anche perché il gruppo non è del tutto estraneo alla società della Siria orientale: migliaia di giovani si sono arruolati tra gli jihadisti, essenzialmente per trovare una risposta concreta alla mancanza di prospettive sociali e lavorative, ricevendo così un salario mensile, un’auto o una abitazione.

Nel resto del paese, gli esiti alterni degli scontri sul campo rendono il contesto siriano un teatro estremamente disomogeneo. A pochi mesi dall’inizio della campagna aerea condotta dalla Coalizione Internazionale, nonostante i raid aerei abbiano reso più difficile la movimentazione di mezzi e uomini del gruppo di al-Baghdadi, i continui attacchi dei miliziani jihadisti contro obiettivi sensibili dimostrano che il gruppo ha tuttora la capacità operativa per estendere i confini del Califfato. Tuttavia, in queste aree la situazione è molto più frammentata e i miliziani jihadisti si trovano ad ingaggiare duri scontri non solo con la popolazione locale o con le Forze Armate siriane fedeli al Presidente Bashar al-Assad, ma anche con i gruppi armati che compongono l’eterogeneo panorama del fronte

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ribelle e che guardano all’avanzata dell’IS come ad una degenerazione di quelle spinte rivoluzionarie alla base delle rivolte del 2011 contro il regime di Damasco.

4. L’AVANZATA DELLO STATO ISLAMICO IN LIBIA

Dalla caduta del dittatore Muammar Gheddafi alla fine dell’estate del 2011, la Libia non è mai stata un paese tranquillo, ma la situazione è precipitata durante l’estate dell’anno scorso. In seguito alle elezioni della primavera del 2014, il paese si è praticamente diviso in due: ad est, nella città di Tobruk, si è stabilito un governo laico e riconosciuto dalla comunità internazionale, guidato dal primo ministro Abdullah al Thinni. Il generale Khalifa Haftar, fedele al governo “ufficiale”, guida l’esercito e combatte le milizie islamiche. Ad ovest, nella capitale Tripoli, è sorto invece un secondo governo, guidato dai gruppi di ispirazione islamica che avevano vinto le elezioni del 2012. Si tratta di una coalizione “moderata”, conosciuta con il nome di “Alba della Libia”.

Presenza IS in Libia (fonte: Limes, 2015)18

Ognuno dei due governi è appoggiato da una coalizione di bande, milizie e signori

della guerra locali la cui lealtà è spesso incerta e deve essere ogni giorno rafforzata con i proventi della vendita di gas e petrolio. Di fatto, la Libia è uno stato fallito, dove non esiste più un potere centrale e dove l’autorità è esercitata, quando è esercitata, dalle milizie locali. Tra i due governi c’è una relazione molto complicata: i loro emissari si incontrano spesso ai tavoli delle trattative organizzati dagli inviati dell’ONU, ma trovare un accordo per un “cessate il fuoco” è reso complicato dal fatto che il controllo che gli stessi esercitano sulle loro milizie è molto labile. Questa situazione ha devastato l’economia libica. Da un anno oramai la produzione di gas e petrolio, l’unica risorsa naturale del

18www.limesonline.com, “La Guerra di Libia”, Marzo 2015

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paese, è intermittente. La produzione di petrolio è scesa a 330 mila barili al giorno, la disoccupazione è alle stelle, il governo fatica a pagare gli stipendi, i prezzi sono aumentati moltissimo ed è diventato più facile comprare armi e munizioni che cibo e bevande. Si tratta di una serie di condizioni che gli esperti conoscono bene, una miscela infiammabile che si è già vista in Siria, Iraq, Nigeria e Somalia. In questi casi, una sola scintilla è sufficiente a produrre una deflagrazione che è possibile sentire all’altro capo del mondo. E quella scintilla, in Libia, si chiama Derna.

a. Derna

La prima volta che si è parlato di IS in Libia è stato nell’ottobre 2014, quando un gruppo di miliziani libici proclamò ufficialmente la sua adesione all’IS.

La notizia fu sostanzialmente ignorata dai media internazionali. Il gruppo era piccolo e sconosciuto, mentre proprio in quei giorni lo Stato Islamico aveva appena messo sotto assedio la città curda di Kobane, cominciando una tragica battaglia che avrebbe monopolizzato per mesi l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Chi conosceva la Libia, però, sapeva che quel piccolo gruppo avrebbe presto fatto di nuovo parlare di sé: Derna, la città che aveva occupato, era la capitale libica della jihad.

Le prigioni sono da sempre la culla del jihadismo. I fratelli Kouachi, responsabili della strage a Charlie Hebdo lo scorso gennaio, furono radicalizzati in carcere proprio da alcuni jihadisti. L’attuale leader di al-Qaida, Ayman al Zawahiri, formò la sua prima rete terroristica nelle prigioni egiziane. Gran parte degli attuali leader dell’IS si sono conosciuti nelle prigioni americane in Iraq e sono rimasti in contatto dopo la liberazione scrivendo gli indirizzi dei loro complici sugli elastici delle mutande. In Libia accadde la stessa cosa. Quello di Gheddafi era un regime terrorizzato dagli estremisti islamici, come lo sono tuttora quasi tutti i regimi arabi. Alcuni, come l’Arabia Saudita, hanno cercato di istituzionalizzare l’estremismo, rendendo lo stato così islamico da non dare motivo ai fondamentalisti di protestare (una strategia che ha portato pochi successi). Altri, come quello libico e quello egiziano, hanno utilizzato il pugno di ferro e riempito le carceri di predicatori, studiosi di religione e, soprattutto, giovani disoccupati. Nessuna città in Libia rifornì le prigioni di Gheddafi come Derna.

La città, che oggi ha circa centomila abitanti, si trova nella parte orientale del paese, in Cirenaica, tra Tobruk, capitale del governo orientale, e Bengasi, una città ancora duramente contesa tra le varie milizie. Derna è da secoli la capitale religiosa del paese. All’epoca della dominazione ottomana, quando la principale occupazione dei libici era la pirateria, le ricche famiglie di Derna inviavano i loro figli a studiare a Costantinopoli, capitale dell’impero, e all’epoca studiare significava studiare la religione. L’Islam che si è a lungo praticato in Libia appartiene a una corrente piuttosto moderata. Nel paese, per secoli, è stata molto forte l’influenza dei Senussi, una confraternita ispirata al sufismo, una versione mistica dell’Islam molto lontana dal wahabismo, la corrente che costituisce la spina dorsale ideologica del moderno jihadismo. Le cose però, con gli anni, sono cambiate.

Nel 1911 Derna, insieme al resto della Libia, venne occupata dall’esercito italiano che avrebbe dominato il paese con metodi brutali fino al 1943. I libici, e i Senussi in particolare, portarono avanti una lunghissima guerriglia contro l’Italia e Derna fu una delle capitali della rivolta. Oggi l’intera città è disseminata di riferimenti ad Omar al Mukthar, il “Leone del deserto”, capo della rivolta fino al 1931, quando venne catturato e giustiziato dagli italiani. Durante i duri anni della rivolta, alcuni leader dei Senussi scoprirono che il misticismo ascetico e monacale non sempre è

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l’arma migliore durante una guerra. Negli anni Venti alcuni inviati della confraternita viaggiarono fino all’Arabia Saudita e presero contatti con i wahabiti e con la loro dottrina che con la sua visione militante dell’Islam, sembrava molto più adatta ad armare il popolo libico contro gli italiani. Il seme del jihadismo era stato piantato anche se ci vollero parecchi decenni per vederne i primi frutti.

Il jihadismo cominciò a fiorire a Derna nel corso degli anni Ottanta, quando l’invasione sovietica dell’Afghanistan richiamò centinaia di arabi da tutto il mondo per combattere al fianco dei mujaheddin afghani. I volontari arabi arrivavano a Peshawar, in Pakistan, dove esistevano numerose associazioni caritatevoli arabe che facevano da copertura a centri di reclutamento. Da Peshawar, attraverso il passo Khyber, entravano in Afghanistan, diretti ai campi di addestramento creati da arabi facoltosi come Osama Bin Laden. Il loro impatto sulla guerra fu molto celebrato dalla propaganda jihadista, ma in realtà fu praticamente trascurabile. I volontari erano pochi, male armati e spesso peggio guidati. In poco tempo, tra gli afghani, si fecero la fama di pasticcioni inaffidabili. Sbagliando e soffrendo perdite, però, gli arabi in Afghanistan impararono delle lezioni che gli sarebbero state preziose una volta ritornati nei loro paesi d’origine.

Uno di loro si chiamava Abu Laith al-Libi. Era nato nel 1967, in Libia, come indica il suo nom de guerre. Al-Libi faceva parte di un’organizzazione clandestina chiamata Gruppo Islamico di Combattimento Libico (LIFG) che aveva come obiettivo il rovesciamento del regime di Gheddafi e l’istituzione di uno stato islamico in Libia. Il gruppo aveva raccolto numerosi affiliati nelle prigioni del regime e tra i giovani disoccupati e perseguitati. Molti di loro, insieme ad al-Libi, viaggiarono fino ai campi di addestramento di Bin Laden per prepararsi a portare la jihad nel loro paese. Nel 1994, al-Libi ritornò in Libia ed iniziò ad organizzare, insieme agli altri leader del LIFG, una rivoluzione con l’aiuto, i consigli e i finanziamenti di Bin Laden.

Nel 1995 i miliziani del LIFG conquistarono Derna con un colpo di mano mentre cellule diffuse in tutto il paese lanciavano attacchi contro le forze di sicurezza del regime. All’epoca il gruppo contava 2.500 combattenti, concentrati soprattutto nella Cirenaica. Secondo molti esperti il regime di Gheddafi fu ad un passo dal collasso, ma il colonnello riuscì a sopravvivere (anche se rischiò parecchio in prima persona: durante un attentato i miliziani del LIFG riuscirono a ferirlo ad un gomito e a uccidere tre delle sue guardie del corpo). Derna venne messa sotto assedio, i suoi antichi palazzi, le sue moschee e i monumenti dedicati al Leone del Deserto furono sbriciolati dall’artiglieria e dai razzi sparati dagli elicotteri del regime. La città venne attaccata con la stessa ferocia con cui il regime siriano ha cercato di reprimere l’insurrezione degli ultimi anni. E la repressione, prevedibilmente, finì con il portare agli stessi risultati.

Il LIFG venne sconfitto e al-Libi fuggì di nuovo in Afghanistan, dove divenne uno dei principali leader di al-Qaida. Fu lui che dopo i primi attacchi americani in Afghanistan nel 2001 annunciò in un video che Bin Laden e il mullah Omar erano sopravvissuti. Negli anni successivi divenne una figura nota attraverso i video diffusi da al-Qaida e nel 2006 annunciò la fusione del LIFG all’interno dell’organizzazione di Bin Laden. Fu in un certo senso una vittoria per il regime di Gheddafi: confluendo in al-Qaida, al-Libi e la sua organizzazione abbandonarono la lotta per rovesciare il regime libico (Bin Laden fu sempre contrario ai movimenti con scopi troppo localistici) ed abbracciarono la jihad globale contro gli Stati Uniti. Al-Libi fu ucciso nel 2008 da un missile americano. Anche se il LIFG era stato sconfitto, nulla era davvero cambiato a Derna. La miscela di povertà, alienazione e fanatismo religioso era soltanto tornata a covare sotto le macerie della città.

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b. Arriva l’ISIS

Con lo scoppio della guerra civile in Siria e l’insurrezione sunnita in Iraq, le reti di reclutatori sono tornate al lavoro in tutto il Medio Oriente. Ancora una volta, al Jazeera ha mostrato le immagini di sunniti repressi, uccisi ed espropriati, soltanto che questa volta gli oppressori non erano americani, ma gli sciiti iracheni e gli alawiti siriani. Non sappiamo molto di chi e come ha ricominciato ad organizzare i viaggi dei miliziani da Derna all’Iraq, ma sappiamo che da un anno oramai molti di questi combattenti hanno iniziato a fare ritorno nel loro paese. Nell’aprile del 2014 a Derna c’erano circa 300 jihadisti ritornati dopo aver fatto esperienza per mesi nelle battaglie intorno a Mosul in Iraq e Deirez-Zor in Siria. Il 4 aprile 2014, un gruppo di questi ex combattenti, quasi tutti giovani di vent’anni (ed anche meno), ha proclamato la nascita del Consiglio della Shura della Gioventù Islamica, una nuova milizia che, dissero, avrebbe instaurato la legge islamica in città e si sarebbe incaricata di amministrare giustizia e sicurezza. Dopo la proclamazione i ragazzi che avevano combattuto in Siria ed Iraq sfilarono per le strade della città a bordo di pick-up, armati fino ai denti e adornati di bandiere nere.

La notizia non fece molto rumore all’epoca: Derna era la sede di almeno una mezza dozzina di milizie e la nascita di un nuovo gruppetto non era un avvenimento particolarmente notevole se non per gli stessi abitanti della città. Ma i giovani del Consiglio della Shura si dimostrarono comunque molto abili nel pubblicizzare la loro presenza in città. Sulla loro pagina Facebook pubblicavano regolarmente liste di persone del luogo e altri personaggi più o meno famosi che avevano dichiarato alleanza con il gruppo. I loro assalti contro i rivenditori di alcolici e i processi pubblici contro gli abitanti della città colpevoli di violazioni religiose hanno suscitato l’odio della popolazione, ma li hanno anche resi molto più temuti delle altre milizie. Quando lo scorso giugno le milizie dell’ISIS hanno sbalordito il mondo con l’offensiva che li portò a conquistare Mosul, la seconda città irachena, i jihadisti di Derna furono molto rapidi nell’accodarsi al successo dell’ISIS, pubblicando un documento in cui dichiaravano il loro appoggio per il califfo al-Baghdadi.

Nelle settimane successive, quindici siriani membri dell’ISIS arrivarono a Derna, probabilmente con l’obiettivo di consigliare i giovani jihadisti libici. Pochi mesi dopo, il 3 ottobre del 2014, il Consiglio della Shura ha finalmente portato a termine il sogno che al-Libi era stato costretto ad abbandonare sotto le bombe di Gheddafi. In una manifestazione che ha attirato centinaia di persone e che comprendeva giochi per bambini e seminari sulla metodologia per istituire il califfato, i ragazzi della Gioventù Islamica hanno proclamato la loro formale alleanza con l’IS e la nascita della Provincia di Derna dello Stato Islamico.

c. Sirte

Nemmeno con questo secondo annuncio i jihadisti di Derna riuscirono ad attirare l’attenzione mediatica del mondo. Impegnati a seguire gli avvenimenti intorno a Kobane, i grandi giornali, compresi quelli italiani, non hanno dedicato più di qualche riga a questa bizzarra creatura: una “provincia” dell’IS che si trova a più di millecinquecento chilometri di distanza da Raqqa, la capitale del Califfato. I leader dell’ISIS libica erano frustrati: se c’è una cosa che la generazione dei moderni jihadisti ama è la pubblicità e nel marketing a volte l’ISIS si è dimostrata più abile che sul campo di battaglia. I leader dell’ISIS in Libia decisero che non ci sarebbe stato un terzo fallimento.

Secondo gli esperti, a Derna l’ISIS può contare su un migliaio di combattenti e controlla diversi edifici, tra cui l’ospedale della città. Non è chiaro quale sia la

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situazione oggi a Derna, ma fino a gennaio 2015 l’IS era costretto a convivere con altre milizie con cui spesso si verificavano scontri e sparatorie. L’IS della Libia può contare anche su molte altre piccole cellule diffuse in tutto il paese.

Lo scorso gennaio, una di queste cellule ha attaccato l’hotel Corinhtia a Tripoli, uccidendo nove persone. Si è trattato di un’azione isolata, compiuta forse da una decina di miliziani: poco più di una scaramuccia rispetto a quello che l’IS aveva in programma per i primi giorni di febbraio.

Dallo scorso dicembre, la principale milizia che appoggia il governo islamista di Tripoli ha lanciato una vasta offensiva per conquistare alcuni pozzi di petrolio controllati dal governo rivale nella parte costiera e centrale del paese.

I miliziani sono arrivati soprattutto dalla città di Misurata e si sono concentrati a Sirte, a poche centinaia di chilometri da Tripoli. Da lì sono partiti a bordo di pick-up verso oriente, dove si sono impegnati negli scontri più duri degli ultimi mesi.

Questa mossa ha lasciato Sirte quasi completamente sguarnita e l’IS è stato rapido ad approfittarne. Il 9 febbraio, una cellula dell’IS che da qualche settimana era attiva nella regione ha lanciato un attacco a sorpresa contro alcuni palazzi del governo e una radio locale. La scelta degli obiettivi non è stata casuale: per ottenere attenzione i miliziani sapevano di dover puntare ai mezzi di comunicazione.

Dalla radio occupata hanno diffuso discorsi del Califfo al-Baghdadi e versi del Corano. Sui social network hanno diffuso fotografie e annunci della loro conquista. La scelta dei tempi si è rivelata perfetta. I giornali di tutto il mondo hanno titolato sulla conquista di Sirte e su come l’IS fosse oramai arrivato a pochi chilometri dalle coste italiane (anche se, come abbiamo visto, c’era già arrivata lo scorso ottobre con la conquista di Derna).

Non è chiaro in realtà quanto sia solido il controllo che i miliziani esercitano

sulla città. Alcuni testimoni hanno detto che l’IS controlla soltanto il 70 per cento di Sirte, mentre il resto è ancora nelle mani di Alba della Libia, la potente milizia alleata con il governo islamista di Tripoli. Entrambi i governi hanno condannato l’occupazione e hanno detto di voler spazzare via l’IS da Sirte.

Alba della Libia ha cominciato a radunare le forze a Misurata, mentre il governo orientale ha iniziato a compiere attacchi aerei sui campi di addestramento nella periferia della città con l’aiuto dell’aviazione egiziana.

Ma la conquista di Sirte è stata solo il primo passo di questa campagna: il colpo di teatro è arrivato a fine febbraio 2015, quando alcuni siti legati all’IS libica hanno diffuso un video in cui viene mostrata l’uccisione di 21 ostaggi egiziani.

Il filmato è stato realizzato con la stessa cura con cui sono realizzati quelli diffusi dall’IS in Siria ed Iraq. I prigionieri indossano le stesse tute arancioni, le musiche sono le stesse e il miliziano che si rivolge alla telecamera sembra avere un accento inglese, proprio come Jihadi John, il protagonista degli ultimi video che hanno mostrato l’uccisione di ostaggi occidentali.

Non è chiaro come l’IS sia entrata in possesso degli ostaggi, se li abbia catturati o acquistati da un’altra fazione. Non è chiaro nemmeno se la mossa produrrà risultati tattici positivi per il gruppo: per il momento, sembra che l’IS sia riuscita ad unire i due governi rivali e a convincere l’Egitto a intervenire ancora più massicciamente nel paese.

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5. L’AVANZATA DELLO STATO ISLAMICO NELL’AREA AREA AFGHANO-PAKISTANA

a. Situazione attuale

Basate sulla strutturazione etnica del territorio e la capacità pervasiva e dissuasiva che il combinato di ideologia e denaro dell’IS presenta, le attività di radicamento ed espansione in area afghana del movimento terroristico si rivolgono alla comunità musulmana ed in particolare sunnita che vive a cavallo del confine tra Afghanistan e Pakistan, nell’area che i terroristi islamici definiscono “Khorasan Province”.

Si tratta di una provincia caratterizzata da un notevole flusso di profughi e dalla presenza di gruppi terroristici (circa 100 differenti con al-Qaida quale organismo più articolato e presente) e jihadisti (tra i quali i Talebani).

In un contesto estremamente frammentato e caratterizzato da una divisione in tribù con forte connotazione religiosa, sociale e storica, l’IS sta cercando di trovare punti di accesso che gli possano consentire di radicarsi nel tessuto sociale ed espandere così la sua influenza non solo all’Afghanistan ma, soprattutto, al Pakistan che rappresenta uno dei maggiori Paesi dell’Islam sunnita (80% della popolazion, pari a circa 180 milioni di musulmani sunniti).

Prima formale evidenza della presenza dell’IS nell’area è da ricondursi alla seconda metà del 2014, con la dichiarazione rilasciata da HafezSaeed Khan, leader dell’organizzazione Tehreek-i-Taliban Pakistan (TTP), associata alla strage di 130 bambini in una scuola elementare di Peshawar (nel nord-est del Pakistan) del Ministero della Difesa pakistano19.

A settembre 2014, la radio “Free Afghanistan” ha trasmesso un’intervista a Abdul QadirWahidi, autoproclamatosi portavoce dell’IS in Afghanistan, con la quale egli dichiarava che già nel settembre 2014 il suo gruppo (Organization of Great Afghanistan) si era affiliato al Califfato Islamico.

Il Ministro degli Interni afghano ha ammesso la presenza di gruppi di estremisti a Kabul (10 Febbraio 2015) che si dichiaravano appartenenti all’IS, confermando l’uccisione di quello che sembrerebbe uno dei primi reclutatori IS attivi a Kabul (Mullah Abdul RaufKhadim) il 9 Febbraio 2015.

b. Rapporti tra IS, Gruppi Talebani e al-Qaida

Il nodo da sciogliere per la diffusione di IS in area afghano-pakistana è legato sostanzialmente ai rapporti che IS sta predisponendo con al-Qaida e gruppi Talebani, nel momento in cui le finalità terroristiche di IS rappresentano, da un punto di vista strategico, un livello di ambizione sicuramente superiore a quelli di entrambe le altre organizzazioni/realtà.

Gli effetti dell’interazione tra queste realtà radicali sono al momento ancora incerti ma alcuni dei tratti fondamentali sono già chiari:

I. IS e gruppi Talebani

- In linea generale gli obiettivi sono differenti: i Talebani afghani sono interessati alla caduta del governo afghano.L’IS vede l’Afghanistan come ponte tra il nucleo siriano-irakeno ed il Pakistan;

19www.rainews.it, Strage in una scuola, morti 130 bambini, 16 Dicembre 2014

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- la vicinanza dei Talebani ad al-Qaida potrebbe essere uno dei maggiori ostacoli ad un avvicinamento Talebani – IS considerando il bando che al-Qaida ha imposto sull’IS a causa dei suoi metodi di combattimento e la proclamazione del Califfato;

- una forte integrazione tra gruppo terroristico e tribù talebane sembra poter essere molto più semplice in Pakistan che in Afghanistan a causa della forte e radicata struttura tribale che impedisce la rapida espansione di iniziative IS che non siano riferite al territorio afghano avvertito dalla popolazione come una ben definita realtà geografica.

II. IS ed al-Qaida

Le due organizzazioni sono entrate in una fase di competizione a livello

globale per la supremazia del terrorismo internazionale. Hanno diverse similitudini se si considera la capacità di attrazione che entrambe esercitano su gruppi terroristici operanti a livello mondiale ma sono caratterizzate da differenze fondamentali, quali:

- Struttura: l’IS adotta tecniche di combattimento paragonabili a quelle di

un esercito organizzato e fa riferimento al mantenimento del territorio. al-Qaida non è interessata al controllo territoriale delle aree in cui opera e punta alla spettacolarizzazione degli attacchi per avere risonanza sui media;

- Brutalità: in termini di brutalità, l’IS supera sicuramente al-Qaida: sia in termini di azioni cruente che di definizione dei target. L’IS in sostanza attacca ed uccide tutto ciò sia di ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo. Al-Qaida ha evidenziato invece un atteggiamento più attento a non suscitare l’allontanamento della componente sunnita più moderata. Tale atteggiamento ha finito con presentare l’IS in modo più accattivante alle fasce più giovani della popolazione, locale e non, soprattutto a coloro che, apatici nei confronti della realtà che vivono, hanno il desiderio di “uccidere altre persone”;

- Finanziamenti: al-Qaidabasa il suo maggiore introito sulle donazioni provenienti da affiliati, l’IS ha invece strutturato un sistema di finanziamento che,come abbiamo già visto, varia da attività produttive vere e proprie, come l’estrazione e vendita di prodotti petroliferi, al contrabbando di beni culturali, dalla tassazione degli “infedeli”, all’acquisizione dei proventi di rapimenti di dignitari locali. La competizione dei due gruppi anche sotto il profilo finanziario porta alcuni analisti a ritenere che, al fine di attrarre maggiori attenzioni, entrambe le organizzazioni sono e saranno nel breve periodo sempre più interessate ad organizzare atti terroristici di grande impatto internazionale;

- Strategia di comunicazione ed uso dei social media: La differenza

risulta evidente ed è a favore dell’IS che ha evidenziato capacità tecniche e comunicative sicuramente superiori. Ciò non solo dal punto di vista della produzione dei messaggi e della capillarità dell’azione mediatica ma anche in termini di attrattività che nella comunicazione mediatica l’IS cerca

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di ottenere soprattutto all’interno dei Paesi Occidentali ritenuti nemici, con l’evidente scopo di destabilizzarli.

c. IS – Presenza attuale in territorio afghano-pakistano e possibili sviluppi

La chiave di accesso all’area afghano-pakistana che l’IS sta impiegando è legata al malcontento che gruppi terroristici e parte della popolazione sunnita hanno o stanno maturando nei confronti di al-Qaida, che pur avendo nel suo programma generale la proclamazione di un Califfato, ha sempre tralasciato la componente di controllo del territorio ad un ruolo marginale nella strategia terroristica perseguita.

In tale contesto sembra sempre più evidente la competizione in corso tra IS ed al-Qaidaper ottenere consenso interno e popolarità a livello globale.

L’IS sembrerebbe, anche sotto questo profilo, prevalere, facendo della flessibilità la forza della propria organizzazione.

Non a caso la strategia di espansione nei territori oggetto della presente analisi si articola come segue:

- attuazione di una strategia di affiliazione flessibile: nell’area afghano-pakistana,

l’intransigenza sunnita salafita è stata parzialmente limitata per comprendere anche gruppi terroristici di altre confessioni del panorama sunnita;

- nessuna distinzione di nazionalità per coloro che professano la propria adesione al gruppo terroristico, a condizione che il gruppo AfghanTaliban dichiari di operare per conto dell’IS in area afghana. Ciò ha portato diversi capi locali ad annunciare azioni congiunte tra gruppi afghani e pakistani affiliati all’IS già dal Settembre 2014 (fonte The Express Tribune – Pakistan);

- attività di proselitismo ed educazione radicalista di giovani e bambini in diverse provincie ed in alcune aree di scontri violenti con i gruppi talebani;

- utilizzo della notevole disponibilità economica per predisporre ed avvicinare le popolazioni locali, spesso vittime di decenni di povertà e vessazioni, e per avviare il reclutamento di combattenti locali.

L’atteggiamento attendista della autorità afghane e pakistane a causa delle crisi

politiche interne che attanagliano entrambi i Paesi può, al momento, essere considerato un ulteriore elemento di criticità che, consentendo la diffusione dell’IS a livello locale, sta purtroppo gettando i presupposti per un periodo, che molti analisti vedono nell’estate 2015, di violenta attività terroristica e di definitivo insediamento dell’IS nell’area.

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CONCLUSIONI

1. LINEE DI AZIONE DELL’IS

Al fine di individuare le azioni di contrasto al fenomeno IS ed alla sua espansione politica e sociale, è necessario analizzare i punti di forza e le vulnerabilità che l’IS, come movimento terroristico, ha evidenziato dalla sua nascita all’attuale estensione territoriale.

a. Punti di forza

L’analisi effettuata ha riguardato le tre sfere sulle quali il gruppo terroristico fondamentalista ha e sta tuttora strutturando la sua azione: - sfera religiosa - sfera economica - sfera sociale

Sfere che il movimento jihadista impiega in modo flessibile, sinergico ed adattivo rispetto agli obiettivi che il movimento intende raggiungere. L’elemento distintivo rilevato è la capacità di incidere su tali sfereattraverso una regia unica che IS ha mostrato, già in diverse occasioni, di saper mantenere con coerenza operativa ed efficacia tattica. La presunta predominanza del messaggio evocativo religioso (legato all’idea mistica del Califfato), nella realtà dei fatti, è rimodulata di volta in volta per adattare la strategia di penetrazione IS al tessuto politico, sociale e religioso che il movimento si trova a dover soggiogare.

Nel dettaglio:

I. La sfera religiosa:

Il richiamo evocativo alle origini dell’Islam ed alla sua intransigente

applicazione è alla base dell’ideologia IS. La “proclamazione del Califfato” ha, nella strategia IS, il ruolo fondamentale di richiamare la totalità del mondo musulmano (umma) al Califfo stesso.

L’appartenenza del Califfo alla tradizione sunnita salafita è l’elemento di

raccordo tra la proclamazione del Califfato e l’adesione piena alla tradizione più radicale ed estrema dell’Islam.

Nei luoghi controllati, l’applicazione della sharia è esercitata con pressione

sempre maggiore e di fatto è un elemento di coercizione politica e sociale. Le libertà sono estremamente limitate per coloro che non professano la fede islamica,prevedendo le già richiamate quattro opzioni: professione di fede, esilio, pagamento della tassa di protezione o morte.

L’applicazione del messaggio radicale impone particolari e pesanti

limitazioni alla libertà delle donne che, quando credenti, devono attenersi ai dettami della sharia in modo scrupoloso e, quando straniere o non professanti, sono ridotte in schiavitù, vendute e/o abusate da combattenti IS che ritengono tale pratica legittimata dal Corano.

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L’applicazione radicale e distorta del Corano, pur avendo il supporto delle

fasce più radicali della tradizione sunnita, si scontra di fatto contro il resto della comunità islamica: sunniti moderati e sciiti.

Comunità, queste, che l’IS avverte come elemento da eliminare (sciiti) o da convertire alla propria visione del Corano (moderati sunniti).

Il radicalismo del messaggio religioso rappresenta di per sé un potenziale

ostacolo all’espansione dell’IS in aree dove l’estremismo non ha forti presenze. In tal senso, l’IS ha iniziato ad evidenziare un’inaspettata capacità e flessibilità adattando addirittura la propria intransigenza religiosa alle realtà locali, come quelle afghane e pakistane, dove l’elemento tribale e l’aspetto economico hanno una maggiore capacità di penetrazione nel tessuto sociale.

In sintesi, i fattori di forza dell’IS, sotto tale profilo, sono riconducibili:

- al richiamo evocativo che la figura del Califfo ha nell’ambito della comunità

e religione islamica; - alla connotazione mistica e valore del concetto di “Califfato”, da un punto di

vista storico, religioso e politico; - all’applicazione della sharia quale legge coranica e valore condiviso dalla

componente radicale sunnita; - alla capacità, evidenziata ultimamente, di declinare i dettami religiosi in

modo più flessibile e parzialmente più moderato, per avere opportunità di penetrazione presso le comunità sunnite moderate.

II. La sfera economica:

La sfera economica, unitamente a quella religiosa, rappresenta un assetto

strategico per l’IS che assicura l’ingresso in aree e territori dove il messaggio religioso ha poca o nessuna rilevanza.

Il salario ai combattenti stranieri, i pagamenti,a favore di commercianti

locali, esorbitanti rispetto ai prezzi di mercato, l’impiego di ingenti investimenti per la ricostruzione ed, in genere, il miglioramento del livello di vita delle popolazioni sotto il proprio controllo necessita di un continuo ed ingente flusso finanziario.

Flusso di finanziamento che l’IS introita attraverso rapimenti, tasse (raccolta

dello zaquat, l’imposta coranica), ma soprattutto esportazioni e contrabbando di petrolio verso comunità e Paesi terzi, tra cui la Turchia.

L’IS vanta un capitale di circa 2 miliardi di dollari, la cui collocazione non è

meglio precisata, ed un continuo flusso finanziario in entrata, supportato anche da ingenti finanziamenti provenienti dai Paesi del Golfo Persico (40 milioni di dollari da Arabia Saudita, Quatar, Kuwait solo negli ultimi due anni). Su tali finanziamenti sembra però che la Comunità Internazionale sia riuscita ad intervenire efficacemente con pressioni politiche e diplomatiche riducendone, se non limitandone fortemente, il flusso.

37

Di fatto l’IS è l’organizzazione terroristica più ricca di sempre, cosi come affermato anche dal sottosegretario al tesoro americano David Cohen, di recente nominato il “Batman della Casabianca”20ed incaricato di penetrare il mondo delle finanza dello Stato Islamico.

Al momento, le uniche fonti di finanziamento che la Comunità

Internazionale è riuscita ad interrompere sono quelle relative ai Paesi del Golfo, che sono stati oggetto di una forte pressione internazionale. Il vero patrimonio giunge pero’ dal territorio che l’IS controlla e in particolare dai pozzi di petrolio in Siria (si stima che circa il 60% dei pozzi petroliferi attivi in Siria siano sotto controllo IS) e nel nord dall’Iraq, che fruttano circa due/tre milioni di dollari al giorno. Servendosi, infatti, di circa 500 micro oleodotti che si sviluppano dalla città siriana di Azmarin, l’IS fornisce illegalmente di petrolio diversi hub (piccoli villaggi o centri abitati) presenti in Turchia.

Cospicui introiti, inoltre, derivano dal contrabbando di reperti archeologici provenienti dai circa 4000 siti ricompresi nei territori controllati, pari ad un terzo di tutte le aree archeologiche irachene. Non di poco conto anche gli introiti provenienti dai rapimenti di stranieri e dignitari locali: studi recenti stimano che dal 2008 ad oggi circa 125 milioni di dollari sono stati pagati ai vari gruppi di terroristi islamici per liberare ostaggi.

Nell’ambito economico, i principali fattori di forza sono pertanto riconducibili

alla:

- capacità di alternare tale fattore con il messaggio religioso, laddove questo risulti meno efficace;

- solidità finanziaria e capacità prospettica che consente al movimento terroristico di condurre azioni in piena autonomia;

- indipendenza da Stati o gruppi di influenza esterni; - grande capacità di attrazione che la ricchezza dell’IS e la sua distribuzione

(sottoforma di finanziamento o pagamento di prestazioni) alle popolazioni locali consente;

- possibilità per l’IS di fornire prospettive (a combattenti e non) per popolazioni che hanno vissuto per anni in assoluta povertà;

- possibilità che attraverso i traffici di contrabbando (principalmente petrolio) si possano creare comunità di interesse e di fatto alleanze più o meno tacite (da verificare in tal senso è il rapporto tra Turchia ed IS).

III. La sfera sociale:

La struttura sociale proposta dall’IS si incentra sul “Califfo”, figura a carattere religioso ma che influenza con il suo carisma tutte gli aspetti della vita sociale nei territori controllati.

La leadership del Califfo assicura l’egemonia dell’IS sulle tribù e le

popolazioni controllate, rivelando una connotazione estremamente personalistica dell’intera rete “statuale” sinora realizzata.

20www.ansamed.info, “ISIS lotta ai fondi, Obama schiera i Batman della finanza, 23 Ottobre 2014

38

In tale ottica, è fondamentale la disponibilità di una efficiente comunicazione strategica che, attuata attraverso l’uso di internet, consente allo stesso tempo:

- il contatto tra leader e capi tribù o popolazioni controllate; - la distribuzione del messaggio IS non solo alle popolazioni sottoposte al

suo controllo ma anche a quelle delle Nazioni/aree che l’IS si appresta ad invadere;

- l’instaurazione di una forte pressione sull’opinione pubblica degli Stati della Coalizione impegnati nel contrasto dell’IS;

- il contatto diretto tra IS e gli individui che nel mondo fanno uso di Internet e che potenzialmente sono interessati alla ideologia IS (fenomeno dei foreignfighters). La forza del Califfo viene inoltre “supportata” dalla continua pressione e

coercizione sociale che l’apparato statuale esercita attraverso la polizia maschile e femminile ed una struttura scolastica totalmente articolata per diffondere, presso le fasce più giovani, l’ideologia radicale ed estremista dell’IS.

E’ proprio nell’ambito sociale che l’ambivalenza dell’IS ed il suo tentativo di creare una realtà statuale hanno evidenza maggiore. Accanto alla violenza ed alla costrizione, l’IS è spesso anche l’unica “organizzazione” 21 , più o meno strutturata, che fornisce alle popolazioni locali beni e servizi quali:

- la distribuzione del pane e della benzina ai meno abbienti; - l’assistenza medica e vaccinale alla popolazione; - la garanzia di un servizio d’ordine che controlla il “bene” e proibisce il

“male”; - un sistema di istruzione; - il ripristino, la produzione e la fornitura di energia elettrica; - la ristrutturazione di luoghi pubblici, strade ed infrastrutture.

La stessa struttura militare rappresenta di fatto una organizzazione

funzionale ed addestrata che riveste, per popolazioni affamate e disperate, il ruolo di unica fonte di reddito e riscatto da una esistenza fatta di soprusi subiti od estrema povertà.

Nel contesto sociale, i punti di forza più evidenti risultano essere:

- la struttura organizzativa che, scendendo dal Califfo, vede centinaia di

funzionari e generali dar vita ad una organizzazione efficace ed efficiente; - l’attivazione, già in questa fase, di procedure di annessione di nuovi territori

e città (che in alcuni casi arrivano a milioni di abitanti, come nel caso di Mosul) che, in tempi estremamente rapidi, consentono all’IS di modificare radicalmente il sistema di governo precedente ed instaurare la sharia;

- le concrete possibilità di guadagno che l’appartenere alle forze dell’IS garantisce ai combattenti ed alle loro famiglie;

- la propaganda di un sistema di valori che, seppur nella sua asprezza, risulta più solido ed “eticamente integro”, dal punto di vista del gruppo terroristico, dell’analogo proposto dall’Islam moderato o dall’Occidente;

21 Vedasi Allegato A

39

- la capacità di fornire benessere e stabilità alle popolazioni controllate, seppur a prezzo di epurazioni e massacri delle fazioni opposte.

b. Vulnerabilità

Nelle sfere in cui l’IS evidenzia i suoi fattori di potenza è possibile comunque individuare anche elementi di vulnerabilità, essenzialmente legati alla forma di governo impiegata dall’IS nonché all’aggressività del messaggio proposto (che isola, di fatto, il movimento da fasce più ampie di adesione) e la sua dipendenza da un effettivo supporto delle tribù che si affiliano all’IS, con i più vari interessi, non sempre allineati con l’ideologia religiosa del movimento.

In particolare si possono elencare le seguenti aree di vulnerabilità: I. Potere personalistico del Califfo e coesione interna:

Il Califfo è e rimane il simbolo evocativo e l’elemento di guida dell’intero

movimento. Ciò è confermato anche dalla struttura organizzativa impiegata, così articolata: - in Siria e Iraq: su due governatorati ben distinti ed organizzati in modo

speculare; - negli altri territori (Libia, Afghanistan e Pakistan): in modo più frammentato

e lasciando intatto l’assetto locale, con il riconoscimento del potere dei Capi tribù o delle bande che di volta in volta dichiarano la loro affiliazione al movimento terroristico.

In entrambi i casi è evidente la funzione di catalizzatore del Califfo e

l’eventualità che la sua neutralizzazione possa portare in modo automatico al disfacimento della coesione dell’intero movimento. Sin d’ora sembra infatti possibile prevedere, nella suddetta eventualità: - la ripartizione della realtà siro-irachena22 con la spartizione del potere tra gli

attuali due governatori e, verosimilmente, sulla base dei confini statuali di Siria ed Iraq;

- la dissoluzione dei fronti lontani (Libia, Afghanistan) e lo sbandamento delle tribù che attualmente si sono affiliate all’IS.

II. Lealtà delle tribù e coesione interna del movimento:

L’IS trova ad oggi spazio tra le fasce di popolazione sunnita più povere e

che sono state tra le più esposte alle difficoltà che le crisi statuali di Iraq, Siria e Libia hanno causato loro. L’adesione alla violenta propaganda religiosa dell’IS non è quindi sempre e solo motivata dal messaggio religioso nè si può presumere in modo assoluto che il potere evocativo del Califfo ed annesso Califfato siano le sole ragioni per le continue affiliazioni sia di singoli che di intere tribù. E’ noto che l’IS ha capacità finanziarie enormi e che l’arrivo di combattenti IS in nuovi territori significa, inevitabilmente, anche opportunità di guadagno per i singoli, diventando combattenti, e per i villaggi stessi che possono commerciare generi di conforto, abitazioni e quant’altro necessario. In

22 Vedasi Allegato A

40

Afghanistan, l’arrivo di combattenti ha visto anche l’arrivo di ricchezza (“L’IS paga il doppio dei clienti normali”)23 e di un minimo livello di benessere.

Si può pertanto presumere, con un buon grado di certezza, che l’IS potrà contare sul supporto di tribù e villaggi fintanto che potrà permettersi di pagare salari e la lealtà dei capi tribù.

III. Odio e violenza:

Una delle basi di partenza dell’IS è quella di far leva sulla frustrazione ed umiliazione che la popolazione sunnita ha subito nel corso dei secoli ponendosi come fautore del suo riscatto nei confronti dell’Islam sciita e, solo in una seconda fase, contro l’Occidente oppressore e sfruttatore. L’elemento sul quale l’IS sta facendo leva per espandersi è pertanto l’odio religioso, etnico e sociale che ha visto, per esempio in Siria, le fasce sunnite sottomesse alla minoranza alawita di tradizione sciita. Ma la violenza applicata dall’IS sta creando nuove tensioni nonchè l’emarginazione, la persecuzione, la strage di altre etnie (quella sciita, cristiana ed ebraica) che, non appena avranno la possibilità cercheranno di rifarsi, probabilmente, negli stessi termini.

In termini di diseguaglianze, risulta inoltre già elemento di tensione il

trattamento economico che combattenti di diversa provenienza riscuotono dall’IS: stride infatti la differenza tra combattenti stranieri, a cui viene riservata una paga estremamente elevata, alloggi di lusso e schiave, ed i combattenti provenienti dalle tribù locali dove, in alcuni casi (in Iraq per esempio), la paga del combattente è addirittura inferiore a quella delle altre classi di lavoratori (41 dollari al mese contro i 150 destinati ad un muratore24).

IV. Informazione strategica:

L’informazione strategica destinata all’opinione pubblica mondiale è basata sull’utilizzo delle tecnologie messe a disposizione da Internet. Spasmodica attenzione è dedicata al confezionamento dei messaggi che in modo continuo l’IS invia tramite la rete. Ciò assicura la capillare distribuzione e la disponibilità, a livello globale, di messaggi, video, annunci e minacce rendendo possibile l’esercizio della rete di arruolamento che ha garantito sinora l’arrivo nelle fila dell’IS di più di 25000 foreign fighters.

L’assetto informativo tecnologico è, pertanto, sia un punto di forza sia una

vulnerabilità del movimento qualora tale strumento fosse reso indisponibile con azioni di interdizione ed oscuramento o con decise campagne di controinformazione.

Proprio sotto tale aspetto, all’indomani della strage a Parigi alla redazione

del periodico satirico “Charlie Hebdo”, Gran Bretagna, Francia ed Italia hanno iniziato ad avviare campagne di forte contrasto al messaggio terroristico:

23 Molinari M., “Il califfato del terrore”, Rizzoli, 2015, pagg. 80-90

24 Molinari M., “Il califfato del terrore”, Rizzoli, 2015, pagg. 45

41

- la Gran Bretagna con la campagna “#Not in myname” dove giovani musulmani inglesi hanno girato un video per denunciare l’atrocità dell’atto stragista25;

- la Francia con un video in cui all’idealizzazione delle motivazioni alla base dei forcing fighters si contrappone la realtà del campo di battaglia dove la morte li coglie soli e disperati26;

- in Italia con una serie di articoli sul leader del gruppo terroristico, Abu Bakr al-Baghdadi, descritto come una personalità debole e controversa dedita all’alcool e all’omosessualità27.

2. END STATE E CENTRO DI GRAVITÀ

a. End State

L’analisi della lotta alla minaccia ibrida dell’IS, dal punto di vista della pianificazione strategica, parte dall’individuazione di un End State che si pone come la conclusione del conflitto o la sua soluzione in termini favorevoli alla comunità internazionale.

Dallo studio condotto, la situazione politica che si ritiene si debba raggiungere al termine dell’intervento politico e/o militare, è individuabile nel ripristino della sicurezza e della legalità internazionale rendendo lo Stato Islamico incapace di condurre operazioni militari ed atti terroristici.

La genericità dell’end state, cosi come proposto, è legata al fatto che il

fenomeno IS ha comunque evidenziato, ancora una volta, come gli accordi di SykesPicot che hanno disegnato i confini dei moderni Stati del Medio Oriente, e che coinvolgono non solo i confini siro-iracheni ma anche quelli palestino-israeliani, siano un elemento di continua e ricorrente crisi sul piano politico, religioso ed etnico.

La stabilità dell’area, pertanto, anche all’indomani della verosimile sconfitta o neutralizzazione del fenomeno IS, potrebbe non corrispondere all’assetto politico pre-crisi siriana ed i confini degli Stati interessati potrebbero essere coinvolti in una nuova negoziazione tra attori interni, regionali o internazionali; in questo processo, che si ritiene verosimile, l’elemento fondamentale per garantire una duratura stabilità è, però, il pieno coinvolgimento delle popolazioni locali, nel rispetto delle loro tradizioni religiose, etniche, politiche e nella considerazione delle loro aspirazioni.

b. Centro di Gravità (COG)

Dall’analisi condotta, emerge che il Califfo, in qualità di leader carismatico dello Stato Islamico, sia effettivamente il Centro di Gravità da neutralizzare al fine di ottenere conseguenze risolutive sulla capacità del nemico di compiere azioni terroristiche nei confronti della comunità internazionale.

Il Califfo, infatti, non rappresenta solo l’unico centro decisionale del movimento ma anche l’elemento catalizzatore capace di creare consenso e coesione tra tribù e realtà affiliate.

25www.mirror.co.uk, campagna #not in my name, 17 Settembre 2014 26www.theguardian.com, French Governement against IS, 28 Gennaio 2015 27www.ilgiornale.it, Mario Valenza, “Chi è Abu Bakr Al Baghdadi?”, 24 Febbraio 2015

42

A tali caratteristiche si affianca l’elemento ideologico che vede nel Califfo (letteralmente “il successore”) la figura evocativa del profeta, in grado di esercitare un richiamo mistico-religioso su tutta la comunità musulmana.

La potenziale neutralizzazione del Califfo potrebbe, infatti,verosimilmente

ottenere l’immediata attivazione delle diverse vulnerabilità individuate e, in primis, la polverizzazione del Califfato in tribù contrapposte ed animate da interessi locali estremamente diversi.

3. STRATEGIA D’INTERVENTO

La strategia di intervento elaborata, considerando l’end state individuato e il relativo

Centro di Gravità, si struttura su tre linee di azione, a livello strategico, tese a indebolire, se non neutralizzare, il potere religioso, economico e sociale dell’IS.

Tali linee di azione presuppongono la contemporanea adozione delle misure indicate ai diversi livelli con un approccio olistico, pena l’inefficacia delle misure stesse o il raggiungimento esclusivo di limitati risultati sicuramente non esaustivi.

a. Linea di azione diplomatico-strategica (politica) La linea diplomatico-strategica ha come finalità quella di ottenere l’isolamento

locale, regionale ed internazionale dell’IS attraverso due azioni combinate: - il raggiungimento della superiorità mediatica della Comunità Internazionale,

attuando una contemporanea campagna di informazione sulle azioni portate a termine dall’IS nelle aree di occupazione e controinformazione per contrastare gli annunci e messaggi che l’IS trasmette al fine di mantenere il flusso di foreignfighter costante;

43

- il consolidamento del fronte della Comunità Internazionale per interrompere le attuali connivenze tra alcuni Stati Occidentali e l’IS che consentono al movimento terrorista di mantenere inalterato il flusso di guadagni prevenienti dal contrabbando di petrolio e di armi/armamenti in ingresso;

- il convintocoinvolgimento, nella lotta anti-IS, della comunità sunnita moderata e

degli sciiti al fine non solo di sottrarre (nel caso sunnita) potenziali alleati all’IS ma, soprattutto, consentire al mondo Islamico di essere attore responsabile della pacificazione delle proprie aree di influenza.

Nell’ottica generale, tale linea di azione dovrebbe portare alla significativa riduzione

delle capacità di influenza dell’IS e potrebbe avere, verosimile, ulteriori sviluppi: - una apertura di un tavolo internazionale, sotto egida ONU, per il riassetto

dell’intera regione del Medio Oriente (medio termine); - l’avvio di un processo di pacificazione interna al mondo musulmano tra le parti

sunnita e sciita (lungo termine). Tale processo, sebbene estremamente complesso, potrebbe trarre spunto proprio dalla virulenza del movimento IS che sta portando ad attenuare le divisioni tra nemici storici (USA, Israele, Iran) o, perlomeno, rivederle, preoccupati dalla minaccia comune.

Il ruolo nazionale, nel contesto diplomatico-strategico potrebbe riguardare: - la pressione, a livello delle Organizzazioni Internazionali, per l’apertura del

tavolo di discussione di un nuovo assetto per il Medio Oriente ed il Bacino del Mediterraneo;

- l’assunzione di un ruolo di leadership nella sensibilizzazione degli Stati del Bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente a diventare parte attiva e responsabile nel processo di pacificazione che, se condotto senza il pieno coinvolgimento delle popolazioni coinvolte, non potrà mai considerarsi definitivo.

b. Linea di azione strategico-economica

Sul piano del pragmatismo, l’aspetto economico e l’eccezionale disponibilità di

denaro dell’IS è un elemento di incredibile forza del movimento. La linea strategico-economicamira, pertanto, a distruggere le capacità di

“sustainment” delle forze IS attraverso: - l’embargo economico verso l’IS direttamente e gli Stati che favoriscono il

contrabbando in ogni sua forma; - il blocco dei flussi finanziari attraverso l’analisi dei movimenti da/per l’IS.

La combinazione delle due azioni proposte dovrebbe portare all’incapacità dell’IS di: - fornire mezzi finanziari alle tribù affiliate; - ridurre inevitabilmente il livello di benessere sociale delle popolazioni

controllate; - pagare i propri combattenti locali e non.

44

In sostanza, il possibile successo della linea strategico-economica dovrebbe portare alla perdita dell’autonomia d’azione che ad oggi l’IS ha manifestato ed ad una notevole riduzione della sua capacità operativa.

Il contributo italiano potrebbe in questo campo rivolgersi allo studio ed interdizione

dei flussi finanziari che attori esterni hanno attivato con l’IS, facendo uso delle tecniche usate per la lotta ed il contrasto ai flussi economico-finanziari delle organizzazioni mafiose.

c. Linea di azione strategico-militare

Da un punto di vista più squisitamente militare, si ritiene si debbano prevedere due

linee d’azione principali: - la prima, tesa distruggere la coesione tra tribù e movimento attraverso un

approccio asimmetrico con forze speciali in contatto con i Key Leader Elements (KLE) locali, al fine di individuare le strategie per la destabilizzazione degli equilibri e la creazione dei presupposti per l’apertura di un fronte interno tra le varie tribù affiliate all’IS e tra le tribù ed il management IS;

- la seconda dovrebbe inevitabilmente riguardare l’effettuazione di una operazione strike condotta contro il leader carismatico, al fine di ottenere con rapidità lo smembramento del fronte IS.

In uno scenario così complesso, non si ritiene però che la sola azione militare

possa portare ad una soluzione definitiva del problema di instabilità evidenziatosi, ancora una volta (dopo le esperienze tragiche dei Talebani ed Al Qaeda in Afghanistan),in tutta l’area Medio-orientale. Il disfacimento del fronte IS potrebbe infatti:

- portare ad una nuova ondata di violenza ed alla manifestazione di nuovi attori

violenti e spregiudicati; - richiedere una presenza militare continuativa per il mantenimento della stabilità

dell’area con tempistiche e durata che fanno però ritenere tale attività (per l’impegno economico e la vastità dell’area da considerare) difficilmente realizzabile anche a livello di coalizione internazionale.

45

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t. Intervista al Ten. Col. G. Paglia, “Servizio Pubblico” (LA7) di Michele Santoro, 26 Febbraio 2015.

46

Allegato A

L’Organizzazione dell’Islamic State

(fonte www.lettera43.it)28

28www.lettera43.it, Barbara Ciolli, La vita segreta di Abu Bakr Al Baghdadi, Dicembre 2014

1

PIANO DI LAVORO PER LO SVILUPPO DELLA TESI DI GRUPPO

10° Gruppo di Lavoro

Tesi: La minaccia ibrida: il caso IS

1. Abstract

La tesi si pone come obiettivo quello di analizzare la minaccia rappresentata dall’IS

al mondo occidentale nell’ambito dell’evoluzione della guerra da conflitto simmetrico a

lotta caratterizzata da forti elementi “asimmetrici”.

Scopo del lavoro è quello di comprendere il fenomeno politico-religioso dell’IS per

definire meglio la situazione attuale e gli sviluppi futuri ed elaborare un possibile piano

di interventi che possa fornire spunti per un approccio globale al problema.

L’analisi, nel dettaglio, verrà svolta prendendo in esame i caratteri propri del

fenomeno IS:

- quale minaccia ibrida al sistema democratico occidentale;

- quale fenomeno terroristico con capacità politiche, finanziarie, sociali e di richiamo

anche verso elementi esogeni al mondo islamico dotato di una propria

organizzazione e struttura politica e militare;

- nelle sue linee di evoluzione storica con i necessari richiami alle origini politiche e

sociali del primo Califfato.

I fattori sopra elencati, esaminati nel corpo del documento, porteranno nelle

conclusioni alla stesura di un piano di contenimento della minaccia IS che

comprenderà, in linea di principio ed in aggiunta all’aspetto militare, le possibili linee di

azione politiche, sociali e di inclusione indispensabile per un approccio olistico al

problema.

2. Organizzazione del lavoro

a. Tempistiche

- entro 6 Febbraio – consolidamento indice e coordinamento con COI Difesa;

- entro 16 Febbraio – feedback da parte dei 5 gruppi su impostazione capitolo

(forma scritta) di competenza per coordinamento (1° debrifing, poi a seguire ogni

10 giorni);

- entro 6 Marzo – consolidamento primo draft (invio draft a COI Difesa);

- entro 10 Marzo – rilettura documento/commenti/controllo coerenza e

allineamento;

- entro 20 Marzo – consolidamento versione finale e coordinamento COI Difesa;

- entro 25 Marzo – implementazione eventuali correttivi ed eventuale

presentazione finale a COI Difesa (presso CASD o COI Difesa);

- 30 Marzo – consegna lavoro.

2

b. Ripartizione dei carichi di lavoro

La tesi è stata strutturata in modo da identificare 5 aree funzionali allo scopo

della tesi stessa.

Le 5 aree funzionali sono state assegnate a 5 gruppi designati che ne hanno

eseguito la stesura e la realizzazione della relativa presentazione.

Ai fini di un coordinamento tra le diverse aree, si sono tenuti coordinamenti tra

gruppi ogni 10 giorni (debrifing in auletta da parte di ogni gruppo).

Una volta consolidati i capitoli, il GdL ha definito le conclusioni ed introduzione

(team di stesura + supporto da parte rimanenti membri).

Il coordinamento con COI Difesa è stato tenuto dal Presidente del GdL in modo

continuativo al fine di garantire aderenza della tesi alle aspettative del committente.

Informazione continua è stata fornita al Tutor di GdL e Vice Direttore.

c. Tabella Allocazione Attività (stesura testo e realizzazione presentazione):

- Capitolo Primo (elementi dottrinali relativi alla definizione di Minaccia Ibrida e

caratterizzazione dell’IS):

T.Col. Napoli, Magg. Cameli, Magg.Kakeli

- Capitolo Secondo (caratteristiche politiche, organizzative, militari, comunicative

dell’IS):

T.Col. Farhat, CC Scorzafave, Funz. Grassadonia

- Capitolo Terzo (espansione del fenomeno in Medio Oriente e teatri vicini):

T.Col.Munaretto, T.Col. Nucci, Magg. Eccellente, Funz. Manca

- Conclusioni (Definizione dell’Operational Design e possibili linee di azione a

livello strategico):

Magg. Del Nevo

- Valutazione degli interessi e composizione della Coalizione anti-IS:

C.F. Viafora, Magg. Nanni

- Revisione e armonizzazione:

T.Col. Munaretto, CC Scorzafave, Funz. Grassadonia, Funz. Manca.