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20 gennaio · 2017 OMMARIO Anno VII - n. 5 SOMMARIO Michelangelo Mansueto pace Antonia Palumbo Mese della Pace pagg. 1-6 Liturgia pagg 7 Ecumenismo e Dialogo pagg. 8 Memoria pagg. 9 Festa di s. Lorenzo vescovo pagg. 10-11 Cultura pag. 12-13 Visita Pastorale pag. 14 Libri pag. 15 Casa Sollievo e le Suore Apostole pag. 16 AMCI pag. 17 Giornata per la Vita pag. 18 Pastorale familiare pag. 19 Ecclesia in Gargano pagg. 20-24 È quanto ha ribadito Papa France- sco a Natale sottolineando che la speranza portata dalla nascita del Redentore non è vana perché, ha sottolineato, ci sono nel mondo “tanti uomini che ogni giorno lavorano con di- screzione e pazienza, in famiglia e nel- la società, per costruire un mondo più umano e più giusto”. Nel ricor- dare poi i cristiani perseguita- ti il Papa ha detto che “nono- stante le prove e i pericoli, es- si testimoniano con coraggio la loro appartenenza a Cri- sto e vivono il Vangelo im- pegnandosi a favore deli ul- timi, dei più trascurati, fa- cendo del bene a tutti sen- za distinzione; testimonian- do così la carità nella verità. Nel fare spazio dentro il nostro cuore al Figlio di Dio, rinno- viamo la gioiosa e coraggiosa volontà di seguirlo fedelmen- te come unica Guida, perse- verando nel vivere secondo la mentalità evangelica e ri- fiutando la mentalità dei do- minatori di questo mondo”. “La vio- lenza e la pace sono all’origine di due opposti modi di costruire la società e il moltiplicarsi di focolai di violenza ge- nera gravissime e negative conseguen- ze sociali: il Santo Padre coglie questa situazione nell’espressione ‘terza guer- ra mondiale a pezzi’”. La pace, al con- trario, reca “conseguenze sociali positi- ve e consente di realizzare un vero progres- so; dobbiamo, pertanto, muoverci negli spa- zi del possibile negoziando strade di pace, anche là dove tali strade appaiono tortuo- se e persino impraticabili”. L a «nonviolenza attiva e creati- va» come «stile di vita» è al cen- tro del messaggio del Papa per la 50^ Giornata Mondiale della Pace, celebrata lo scorso 1° gennaio 2017. Il documento pontificio di quest’anno ri- corda anzitutto le origini della giornata, istituita mezzo secolo fa da papa Paolo VI. Quindi, auspica «che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali». Infatti — chiarisce subito Papa Bergoglio — «quando sanno resistere alla tentazione della ven- detta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace». Da qui l’auspicio che, «dal li- vello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale», la nonviolenza possa diventare «lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle no- stre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme». Partendo dalla constatazione che l’umanità oggi vive in un “mondo frantu- mato” ma che «anche Gesù visse in tempi di violenza», il Pontefice sottolinea come «essere veri discepoli» di Cristo oggi significhi «aderire anche alla sua proposta di nonviolenza», la quale sebbene talvolta venga «intesa nel senso di resa, disimpegno e passività», in realtà è molto «più potente della violen- za» stessa. Lo hanno testimoniato figure straordinarie come Teresa di Calcutta o «i suc- cessi ottenuti dal Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella libera- zione dell’India e da Martin Luther King Jr contro la discriminazione razzia- le»; o ancora la vicenda di Leymah Gbowee e delle donne liberiane «che han- no organizzato incontri di preghiera e protesta nonviolenta per la conclusio- ne della seconda guerra civile» nel Paese africano. Tra l’altro, il Papa fa no- tare che «se l’origine da cui scaturisce la violenza è il cuore degli uomini, al- lora è fondamentale percorrere il sentiero della nonviolenza in primo luogo all’interno della famiglia». Insomma, “la non violenza può assumere un significato più ampio e nuovo: non solo aspirazione, afflato, rifiuto morale della violenza, delle barriere, de- gli impulsi distruttivi, ma anche metodo politico realistico, aperto alla speran- za”. Tale metodo politico è “fondato sul primato del diritto. Se il diritto e l’u- guale dignità di ogni essere umano sono salvaguardati senza discriminazio- ni e distinzioni, di conseguenza la non violenza intesa come metodo politico può costituire una via realistica per superare i conflitti armati. In questa pro- spettiva, è importante che si riconosca sempre più non il diritto della forza, ma la forza del diritto”. Con questo Messaggio, Papa Francesco ha inteso indicare un passo ulteriore, un cammino di speranza adatto alle presenti circostanze storiche: ottenere la risoluzione delle controversie attraverso il negoziato, evitando che esse degenerino in conflitto armato. Dietro questa prospettiva c’è anche “il rispetto per la cultura e l’identità dei popoli, dunque il superamento dell’idea secondo la quale una parte sia moralmente superio- re a un’altra”. Allo stesso tempo, però, “ questo non significa che una nazio- ne possa essere indifferente alle tragedie di un’altra. Significa, invece, ricono- scere il primato della diplomazia sul fragore delle armi. Il traffico mondiale delle armi è così vasto da essere in genere sottostimato ed è quello che sostie- ne non pochi conflitti nel mondo. La non violenza come stile politico può e deve fare molto per arginare que- sto flagello”. Solo con la pace c’è la possibilità di un futuro per tutti” GIORNATA DELLA PACE NONVIOLENZA COME STILE

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20 gennaio · 2017

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Anno VII - n. 5

SOMMARIO

Michelangelo Mansueto

pace

paceAntonia Palumbo

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Mese della Pace pagg. 1-6Liturgia pagg 7Ecumenismo e Dialogo pagg. 8Memoria pagg. 9Festa di s. Lorenzo vescovo pagg. 10-11 Cultura pag. 12-13Visita Pastorale pag. 14Libri pag. 15Casa Sollievo e le Suore Apostole pag. 16AMCI pag. 17Giornata per la Vita pag. 18Pastorale familiare pag. 19Ecclesia in Gargano pagg. 20-24

È quanto ha ribadito Papa France-sco a Natale sottolineando che la speranza portata dalla nascita del Redentore non è vana perché,

ha sottolineato, ci sono nel mondo “tanti uomini che ogni giorno lavorano con di-

screzione e pazienza, in famiglia e nel-la società, per costruire un mondo

più umano e più giusto”. Nel ricor-dare poi i cristiani perseguita-

ti il Papa ha detto che “nono-stante le prove e i pericoli, es-si testimoniano con coraggio la loro appartenenza a Cri-sto e vivono il Vangelo im-pegnandosi a favore deli ul-timi, dei più trascurati, fa-cendo del bene a tutti sen-za distinzione; testimonian-

do così la carità nella verità. Nel fare spazio dentro il nostro cuore al Figlio di Dio, rinno-viamo la gioiosa e coraggiosa volontà di seguirlo fedelmen-te come unica Guida, perse-verando nel vivere secondo la mentalità evangelica e ri-fiutando la mentalità dei do-

minatori di questo mondo”. “La vio-lenza e la pace sono all’origine di due

opposti modi di costruire la società e il moltiplicarsi di focolai di violenza ge-nera gravissime e negative conseguen-ze sociali: il Santo Padre coglie questa situazione nell’espressione ‘terza guer-

ra mondiale a pezzi’”. La pace, al con-trario, reca “conseguenze sociali positi-

ve e consente di realizzare un vero progres-so; dobbiamo, pertanto, muoverci negli spa-zi del possibile negoziando strade di pace, anche là dove tali strade appaiono tortuo-se e persino impraticabili”.

La «nonviolenza attiva e creati-va» come «stile di vita» è al cen-tro del messaggio del Papa per la 50^ Giornata Mondiale della Pace,

celebrata lo scorso 1° gennaio 2017.Il documento pontificio di quest’anno ri-corda anzitutto le origini della giornata, istituita mezzo secolo fa da papa Paolo VI. Quindi, auspica «che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali». Infatti — chiarisce subito Papa Bergoglio — «quando sanno resistere alla tentazione della ven-detta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace». Da qui l’auspicio che, «dal li-vello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale», la nonviolenza possa diventare «lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle no-stre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme».Partendo dalla constatazione che l’umanità oggi vive in un “mondo frantu-mato” ma che «anche Gesù visse in tempi di violenza», il Pontefice sottolinea come «essere veri discepoli» di Cristo oggi significhi «aderire anche alla sua proposta di nonviolenza», la quale sebbene talvolta venga «intesa nel senso di resa, disimpegno e passività», in realtà è molto «più potente della violen-za» stessa. Lo hanno testimoniato figure straordinarie come Teresa di Calcutta o «i suc-cessi ottenuti dal Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella libera-zione dell’India e da Martin Luther King Jr contro la discriminazione razzia-le»; o ancora la vicenda di Leymah Gbowee e delle donne liberiane «che han-no organizzato incontri di preghiera e protesta nonviolenta per la conclusio-ne della seconda guerra civile» nel Paese africano. Tra l’altro, il Papa fa no-tare che «se l’origine da cui scaturisce la violenza è il cuore degli uomini, al-lora è fondamentale percorrere il sentiero della nonviolenza in primo luogo all’interno della famiglia».Insomma, “la non violenza può assumere un significato più ampio e nuovo: non solo aspirazione, afflato, rifiuto morale della violenza, delle barriere, de-gli impulsi distruttivi, ma anche metodo politico realistico, aperto alla speran-za”. Tale metodo politico è “fondato sul primato del diritto. Se il diritto e l’u-guale dignità di ogni essere umano sono salvaguardati senza discriminazio-ni e distinzioni, di conseguenza la non violenza intesa come metodo politico può costituire una via realistica per superare i conflitti armati. In questa pro-spettiva, è importante che si riconosca sempre più non il diritto della forza, ma la forza del diritto”. Con questo Messaggio, Papa Francesco ha inteso indicare un passo ulteriore, un cammino di speranza adatto alle presenti circostanze storiche: ottenere la risoluzione delle controversie attraverso il negoziato, evitando che esse degenerino in conflitto armato. Dietro questa prospettiva c’è anche “il rispetto per la cultura e l’identità dei popoli, dunque il superamento dell’idea secondo la quale una parte sia moralmente superio-re a un’altra”. Allo stesso tempo, però, “questo non significa che una nazio-ne possa essere indifferente alle tragedie di un’altra. Significa, invece, ricono-scere il primato della diplomazia sul fragore delle armi. Il traffico mondiale delle armi è così vasto da essere in genere sottostimato ed è quello che sostie-ne non pochi conflitti nel mondo. La non violenza come stile politico può e deve fare molto per arginare que-sto flagello”.

“Solo con la pace c’è la possibilità di un futuro per tutti”

GIORNATA DELLA PACENONVIOLENZA COME STILE

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Periodico dell’Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni RotondoAnno VII - n. 5 del 20 gennaio 2017Iscritto presso il Tribunale di Foggia al n. 13/2010del Registro Periodici - Cronologico 1868/10del Registro Pubblico della StampaDirettore responsabileAlberto CAvAllini

RedazioneUfficio per le Comunicazioni Sociali dell’ArcidiocesiVia s. Giovanni Bosco n. 41/b - Tel 0884.581899 71043 Manfredoniae-mail: [email protected]@gmail.comLe foto pubblicate appartengono all’archivio fotografico dell’Ucs dell’Arcidiocesi.

Hanno collaborato a questo numero: don Stefano Mazzone, don Luigi Carbone, p. Rosario Messina, don Cristiano Bettega, Efrem Valentini, Michelangelo Mansueto,

Antonio Stuppiello, Giovanni Chifari, Mimmo Delle Fave, Antonio Facciorusso, Giuseppe Grasso, Giuseppe Barracane, Daniele Nardi, Carlo Vallese, Antonio Pio Fasulo, Vincenzo Castriotta, Domenico Trotta,suor Michela Losito, Antonia Palumbo, Pasquina Tomaiuolo, Nicoletta Gellotto Gentile.

Il periodico VOCI e VOLTI è iscritto alla

Stampa:Grafiche Grilli - Via Manfredonia Km 2,200 - 71121 Foggia

Il giornale diocesano VOCI e VOLTI distribuito cartaceamente pres-so le parrocchie, può essere letto anche in formato elettronico o scaricato dall’home page del sito della nostra Arcidiocesi: www.diocesimanfredoniaviestesangiovannirotondo.it Questo numero è stato chiuso in redazione il 16 gennaio 2017

V O C I E V O L T I

[Mese della pace]

I contributi e le riflessioni a pubblicarsi nel prossimo numero di VOCI e VOLTI che uscirà venerdì 17 febbraio 2017, per motivi tecnici, devono giunge-re per e-mail in Redazione entro e non oltre lunedì 6 febbraio 2017.

Eccellenza,grazie per questo invito pre natalizio nella sua casa.Autorità Civili e Militari e

tutti Voi qui presenti ad altro tito-lo, grazie per esserci, per aver accol-to l’invito. Siamo alla vigilia del Natale del Si-gnore Nostro Gesù Cristo, festa grande per il mondo cristiano, festa che coinvolge, in diversi modi, anche il mondo laico.L’intenzione prima di questo invito è esprimervi sensi di stima, di gra-titudine, di apprezzamento, di alto giudizio, di rispetto per il lavoro che compite con impegno, dedizione, se-rietà, onestà e trasparenza nelle tan-te situazioni in cui siete chiamati a svolgere il vostro dovere di Autori-tà civile o militare o ad altro titolo.Siamo qui ancora per scambiarci vo-ti augurali, auguri non innocui e né di occasione.Gli auguri sono auspici, desiderata, progetti esternati … sogni. Ognuno di noi porta “auguri” nel suo cuore. Ce li “consegniamo” questa mattina, reciprocamente. E’ la vigilia della festa delle promes-se compiute, della parola data e man-tenuta, della fede che diventa vita … del “Verbo fatto carne”.Carissimi, permettetemi che vi chia-mi tutti con questa espressione af-fettuosa, carissimi lo scorso anno, porgendovi gli auguri, nella pari oc-casione, mi auguravo, via auguravo che tra noi si stabilisse un patto di “sussidiarietà nella solidarietà”, si progettasse e realizzasse un cam-mino, anche visibilmente, insieme. Mettersi insieme, partecipare insie-me, lavorare insieme. Quanto è stato fatto? Ci è lecito lavorare ognuno per conto proprio, come se servissimo due pa-droni e non l’unico popolo? Quanta è alta in noi la percezione della lacerazione spirituale e socia-

Propositori di “un progetto di vita” nuovo, di un ideale da perseguire con tenacia insieme

don Stefano Mazzone*

le che attanaglia “la comunità, la so-cietà, il popolo” che serviamo?E’ terribile il disorientamento socia-le, culturale, politico, antropologico, filosofico, di fede che vive la nostra gente. La pluralità, la diversità, la moltepli-cità sono forza vitale per una comu-nità, per una società, ma il disorien-tamento applicato come prassi per te-nere o mantenere il potere sociale, culturale, politico, antropologico, fi-losofico e forse anche religioso, que-sto no.Il disorientamento infatti crea, porta, sfocia nell’indifferenza … ci siamo abituati, non ci riguarda, non ci inte-ressa, non è affar mio, nostro.

Mi chiedo: è ancora valida la propo-sta di creare “alleanze”? Alleanze tra noi che veniamo chiamati “Au-torità”? Parlo di alleanze generative. Allean-ze quali inizio di “buone prassi” col-laborative.E’ possibile una collaborazione “franca” per progetti comuni, sen-za alcuna concorrenza, emulazione,

competizione.Siamo custodi di uno status quo o propositori di “un progetto di vita” nuovo, di un ideale da perseguire con tenacia insieme? Assistiamo, quasi inermi, all’evapo-razione della proposta educativa e, prima di essa forse, all’evaporazio-ne della comunità educante … for-se di noi. Il disorientamento è premessa, di scenari non buoni di vita comunita-ria, di vita sociale.

Mi pongo una domanda Eccellen-za, la rivolgo a me, mi chiedo, Ono-revoli Autorità, lo dico a me, quan-do, alle tante domande che mi ven-gono rivolte, risponderò come “pa-store e fratello” e non come impie-gato di Chiesa? Quando risponde-rò, dando “risposte di dignità”, in un “sistema”che domina su tutto, schiaccia tutto, che “idolatra il de-naro e schiaccia le persone” …?

Il disorientamento , di cui parlavo, è frutto di un sistema che ruba la spe-ranza e la dignità, e fa precipitare verso rive oscure. Non è forse que-sto disorientamento tra le cause con-comitanti della micro e della macro criminalità, in ogni ambito, di cui

“un progetto di vita”Sa

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siamo, talvolta, spettatori inermi?

Allora … insieme … insieme … lavo-riamo insieme pur nel rispetto reci-proco delle competenze, dei campi di intervento … Stato e Chiesa. Un’alle-anza per portare l’uomo alla sua ori-ginale dignità, quale opera di Dio, volto di Dio.

Un anno fa, novembre 2015, si con-cludeva a Firenze il Convegno Eccle-siale Nazionale. Era un’assemblea in ricerca. In ricerca del Cristo Signo-re, del suo Volto. “Il tuo volto io cer-co … non nascondermi il tuo volto” (cf Ps 27). Cercare la carne di Cristo. Non una ricerca astratta, ideale, in-corporea, ma ricerca della “vera car-ne di Cristo”. L’assise fiorentina spronava ad incon-trare il Cristo nelle tante donne e nei tanti uomini che si incrociano ogni giorno. Consapevoli, pienamente consapevo-li, che per tutti è nato Gesù, per tut-ti. Per tutti Gesù, il Cristo, ha dato se stesso, per tutti. Per tutti Cristo Gesù ha “assunto la condizione di servo, si è umiliato, si è fatto obbediente fino alla morte”(cf Fil 2,5ss).

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2017: speranzaAnno nuovo, vita nuova, recita un detto popolare che tuttavia non sembra riflettere la realtà in cui

viviamo, ove la spinta e lo “spirito del nuovo” non stanno proprio attraver-sando la società, il mondo, noi stes-si, in cui appare dominante “lo spiri-to della conservazione”.

A prima vista questo inizio 2017 sembra proprio doversi annoverare più nella categoria della “conserva-zione” che in quella “del nuovo”. Nel frattempo il mondo continua a mutare, nonostante noi. E allora, o cambiamo anche noi contribuendo alla costruzione di un mondo nuovo, o diventeremo impotenti laudatores temporis acti, cioè nostalgici malin-conici. Il cambiamento che procede nella società, nonostante noi, è ali-mentato dalla scienza, dalla tecnolo-gia e dalle nuove forme di comunica-zione, dalla liquidità degli spazi, dei tempi e delle relazioni umane, dal-la cultura, dall’inevitabile confron-to tra le culture e le religioni... e non si ferma. Eppure, questa fase iniziale del nuo-vo anno parla di un desiderio del passato che “era comunque meglio, anche se si stava peggio”. Alcuni am-biti ne sono l’emblema. In primis, la situazione politica italiana: dopo il governo Renzi, lo sguardo della clas-se politica guarda decisamente in-dietro a un modello che recupera la tanto vituperata Prima Repubblica.

Il tentativo sembra essere quello di rigenerare “in vitro”, con una legge elettorale scritta ad hoc, un sistema che non potrà più contare però sullo spessore politico dei grandi partiti del novecento, e che rischia di enfa-tizzare il maggior difetto di quel si-stema: l’instabilità dei governi. Sul versante economico, tutto guar-da indietro. La crisi delle banche po-trebbe far tornare di moda “i soldi sotto il materasso”, ma soprattutto il tema del lavoro, in particolare quel-lo giovanile, e il dibattito sulle tute-le guarda a contrastare, bandire, boi-cottare ogni tentativo di innovazio-ne che in ogni caso, più che correg-gere eventuali storture, cerca di ri-proporre modelli non più sostenibili. C’è poi la situazione ecclesiale. La spinta riformatrice di papa France-sco continua a incontrare resisten-ze con una prassi ecclesiale quasi impermeabile alle sollecitazioni del Pontefice. Basterà replicare alcune forme o contesti che richiamano i bei tempi andati per affrontare la sfida della mancanza di fede e del plura-lismo religioso?

Anche nel campo della cultura, del-la letteratura, persino del cinema si potrebbe osservare lo stesso deno-minatore comune dell’ “Indietro tut-ta!” ... come titolava il popolare pro-gramma televisivo degli anni ’80 condotto da Renzo Arbore.

Più proficuo e sensato, a noi pare, è cercare di realizzare insieme quan-to papa Francesco ha detto di recen-te ai religiosi: “Guardare al passa-to con gratitudine, vivere il presen-te con passione, abbracciare il fu-turo con speranza”. Magari farà be-ne anche a noi, compiendo il nostro cammino insieme agli altri e facen-do rifiorire le aride valli dei nostri cuori. Con l’augurio di rendere presente le ragioni della nostra speranza a chiunque incontreremo dopo averne conosciuto il nome e condiviso la sto-ria, buon Anno a tutti!

Il direttore e la redazione di VOCI e VOLTI

Vivere il presente con passione, abbracciare il futuro con

[Mese della pace]

re la speranza verso di noi. Fa germi-nare la pace … le guerre feriscono e spezzano tante vite.Il Natale, la pace. Sì, la pace. Dono prezioso. Cristo è la nostra pace. Cristo bussa alla porta del nostro cuore per far-vi entrare la pace … e allora carissi-mi: “apriamo, anzi spalanchiamo le porte a Cristo” il Re della pace, fonte della pace. Via ogni timore … non te-mete è stato sussurrato durante tut-to questo tempo di avvento … non temete: Gesù è la luce che rischia-ra le tenebre.Gesù è la misericordia del Padre, la-sciamoci trovare, lasciamoci avvici-nare da Lui, lasciamoci abbracciare, accogliamo la sua tenerezza.Gesù è nato per tutti noi. Conforti quanti sono provati e provo-cati dalla malattia, dalla sofferenza, dal dramma della disoccupazione.Con la nascita di Gesù tutto è cam-biato, tutto cambia irreversibilmen-te. Cambia la nostra vita di credenti, cambia la vita di ogni uomo.A Natale l’impossibile è possibile.

Auguri Eccellenza, auguri Onorevo-li Autorità Civili e Militari, auguri a tutti voi qui presenti. Auguri di cuo-re. Auguri alle vostre famiglie, ai vo-stri cari. Auguri a tutti coloro che servite con dedizione esemplare. Ogni bene, ogni vero bene a ciascu-no. Buon Anno.

*vicario generale

(Il testo pubblicato è stato pensa-to in maniera discorsiva e libera … quasi a braccio. Non è un testo im-

postato)

“Cristo Gesù da ricco che era si è fat-to povero” (2 Cor 8) perché noi diven-tassimo ricchi per mezzo della sua povertà, cioè riacquistassimo la di-gnità di figli, di figli di Dio. La nostra identità, la nostra verità.Questo è il Natale. Dio che si abbas-sa - kenosi – si è “annullato”.

C’è una kenosi anche per noi da com-piere, per essere veri servitori del popolo. Per poter incontrare ogni uomo e ve-dere in ciascuno il volto del Cristo cercato.Cristo, in questo Natale 2016, rin-nova ancora il suo sì, per abitare in mezzo a noi e vuole farsi trovare.Papa Francesco, da buon gesuita, ha presentato, nel suo discorso al CEN di Firenze, una terna di sentimenti su cui far forza per essere servito-ri di quella porzione di umanità che è la comunità a cui siamo stati man-dati … sono gli stessi sentimenti di Cristo Gesù (cf Fil 2,5):«Il primo sentimento è l’umiltà. «Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stes-so» (Fil 2,3), dice san Paolo ai Filip-pesi. Più avanti l’Apostolo parla del fatto che Gesù non considera un «pri-vilegio» l’essere come Dio (Fil 2,6). Qui c’è un messaggio preciso. L’os-sessione di preservare la propria glo-ria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei no-stri sentimenti … Un altro sentimento di Gesù che dà forma all’umanesimo cristiano è il disinteresse. «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quel-lo degli altri» (Fil 2,4), chiede anco-

ra san Paolo. Dunque, più che il di-sinteresse, dobbiamo cercare la feli-cità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale … Il nostro dovere è lavorare per ren-dere questo mondo un posto mi-gliore e lottare. La nostra fede è ri-voluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. Un ulteriore sentimento di Cristo Gesù è quello della beatitudine. Il cristiano … ha in sé la gioia del Van-gelo. Nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino … Ma anche nella parte più umile della nostra gente c’è molto di questa beatitudine: è quella di chi conosce la ricchezza della soli-darietà, del condividere anche il po-co che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato,ma svolto per amore verso le perso-ne care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fi-ducia nella provvidenza e nella mi-sericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile. Umiltà, di-sinteresse, beatitudine: questi i tre tratti … ci dicono che non dob-biamo essere ossessionati dal “pote-re”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale … I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste».

Questi i tratti che dobbiamo fare no-stri, carissimi. Questi tratti ci per-metteranno di incontrare ogni uomo.

“Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rin-

chiusa poi in un groviglio di ossessio-ni e procedimenti”(EG 49).Questa nostra Chiesa diocesana ha fatto una scelta chiara a livello pa-storale. Ha scelto di dedicare forze e tempo in quattro ambiti, definiti anche attenzioni/urgenze, essi sono: giovani, famiglia, mondo del lavo-ro e missione dei laici.Già la Lettera Pastorale dello scor-so anno metteva in evidenza que-sta scelta di campo … quest’anno le Linee Pastorali dal titolo: “Il sogno condiviso. Cristiani sulla soglia” vi dedicano gran parte del suo conte-nuto. Il titolo delle Linee Pastorali è sintesi progettuale.

Onorevoli Autorità, oggi, ancora una volta, tendiamo a voi la mano. Vi richiediamo: lavoriamo insieme per il bene del popolo affidatoci.Il Natale, mistero grande e amabi-le, è invito a lavorare ancora più di quanto già facciamo per un mondo migliore, più giusto e solidale.Nessuno può restare insensibile al-le disuguaglianze che ci circondano. Ognuno di noi, secondo le proprie re-sponsabilità, deve offrire il suo con-tributo per mettere fine alla “cultu-ra dell’egoismo, dell’individualismo”.Il Natale ci narra il dono incondizio-nato, senza limiti, di Dio. Gesù, il nostro Dio, a Natale ci con-segna il volto e il cuore suo, che è il volto e il cuore dell’uomo, di ogni uo-mo … “quando fate una di queste cose al più piccolo … l’avete fatto a me”(cf Mt 25, 40) … allora Dio è vicino … è con noi, l’Emmanuele. Il Natale ci ri-empie gli occhi di stupore e meravi-glia. Proclama, annuncia, fa scorre-

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Speranze di dialogo in IraqIl Patriarca caldeo mar Sako: dai musulmani vicinanza e solidarietà ai cristiani

[Mese della pace]

Efrem Valentini*

IRAQ Una vocazione nata “sin da piccolo”, che si è rafforzata raccogliendo le parole dell’allora arcivescovo di Mosul mons. Rahho, morto nelle mani

di rapitori integralisti. E ancora, gli anni giovani trascorsi “in un ambiente a maggioranza musulmana”, che non gli ha impedito di “parteci-pare alle attività della Chiesa”, e l’impegno nel settore della pastorale “perché la nostra gente ha bisogno di persone” nelle quali credere e al-le quali affidarsi. È la storia di p. Rayan Nabil Bakos, neo sacerdote caldeo ordinato a dicembre a Erbil, nel nord dell’Iraq. I fedeli e la comu-

nità irakena, vittima di persecuzioni e tormentata da sofferenze, ha bisogno di pastori che “preghino per loro e preghino con loro”. Per p. Rayan, è im-portante “mostrare alle persone l’importanza della solidarietà come gesto effettivo” volta verso tutti, in specie i profughi di Mosul e della piana di Nini-ve, persone che hanno abbandonato ogni bene e si apprestano a vivere il terzo Natale lontane dalle loro case e dai loro beni, e che per questo “hanno bisogno di tutto il nostro sostegno nell’opera di ricostruzione della loro vita e delle loro case. Sono persone che hanno perso tutto”. P. Rayan è nato a Mo-sul il 30 gennaio del 1986. Nel 2007 ha fatto il suo ingresso nel seminario di Ankawa, a Erbil, capitale del Kurdistan irakeno; si è laureato in Teologia e filosofia presso il Babel College a Baghdad. Parla l’arabo, il caldeo e l’inglese e svolge al momento l’incarico di vice-parroco nella parrocchia di san Giorgio, nella capitale irakena. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale assieme a un altro sacerdote dalle mani del patriarca caldeo mar Louis Rapha-el Sako a Erbil a dicembre. Assieme al primate della Chiesa irakena hanno concelebrato mons. Bashar Warda, arcivescovo di Erbil, e mons. Jacques Ishaq, della diocesi di Baghdad, assieme a numerosi sacerdoti, suore e fedeli. Durante l’omelia il patriarca Sako ha ricordato che il prete deve essere “al servizio” della comunità e il suo messaggio “è il messaggio di Cristo”. Egli deve essere “testimone di apertura e di speranza” e deve essere pronto a operare “per il bene di tutti”. Nonostante le difficoltà dell’ambiente a maggioranza musulmano, quello di Mosul e dell’infanzia vissuta in città resta un ricordo sempre vivo nella memoria del novello sacerdote. E per un futuro di pace e di convivenza, egli intende approcciare per primi i bambini “inse-gnando loro l’amore senza discriminazione, il perdono, che siamo tutti cittadini di un’unica nazione che chiamiamo Iraq, fratelli che dobbiamo operare per costruire un avvenire migliore”. . (da AsiaNews)

*Monaco a Pulsano

Un novello sacerdote iracheno: la mia vocazione è nata a Mosul, sull’esempio dei martiri cristiani

Efrem Valentini*

In Iraq si assiste a “una rivolta della base contro il terrorismo, contro le violenze”, accompagna-ta da un rinnovato impegno al-

la “difesa della vita, della pace, della gioia”; in questo modo “è possibile sconfiggere quanti cercano la morte, la distruzione, l’emigrazione”. È quanto racconta il patriarca cal-deo mar Louis Raphael Sako, de-scrivendo il clima di festa che si è respirato in questi giorni nel Paese, nonostante episodi di violenze. Fra i molti eventi che hanno caratteriz-zato questi giorni di festa, il prima-te caldeo cita tre esempi: gli alberi di Natale sparsi per diversi quartieri di Baghdad; la visita di un gruppo di giovani musulmani sciiti di Najafdi che ha partecipato a una messa nella capitale; i festeggiamenti per il capo-danno a Bassora e l’invito delle auto-rità locali ai cristiani, che chiedono “di tornare nelle loro case”.

“La notte di Capodanno - racconta Mar Sako - sono uscito per andare in una piazza del quartiere di Mansour, a Baghdad. Abbiamo festeggiato con moltissime persone, quasi un milio-ne di persone si sono riversate per le strade”. “Abbiamo parlato con loro, ci siamo scambiati gli auguri; sono pic-coli gesti- aggiunge - ma che servono a respingere l’ideologia del terrore di Daesh” [acronimo arabo dello Stato islamico] che anche in questi giorni ha colpito con attacchi bomba nella capitale”.Il “cambiamento” è visibile, prose-gue il patriarca caldeo, “soprattutto a Baghdad, disseminata di alberi di Natale. E poi le molte lettere di augu-ri da parte di autorità religiose, politi-che, ma anche di attivisti civili musul-mani e molta gente semplice”. “Penso che il 2017 - sottolinea - sarà un an-no diverso, forse non di pace totale ma certo di maggiore coesione, unità. Questa è la mia preghiera, ma è an-che il sentimento comune della mag-gioranza dei cittadini”.In questi giorni le autorità politi-che, religiose e istituzionali di Bas-sora hanno lanciato un appello ai cri-stiani, chiedendo a quanti sono emi-grati di tornare nelle loro case. Nella città del sud dell’Iraq si è anche fe-steggiato per la prima volta il Capo-danno, a dimostrazione di un clima di maggiore “coesione” fra le diver-

se anime che compongono la realtà locale e tutto il Paese. Le forze di po-lizia di Bassora hanno vigilato per-ché le celebrazioni e i festeggiamen-ti si svolgessero in tutta sicurezza; il Consiglio provinciale si è inoltre im-pegnato alla manutenzione e alla ri-strutturazione delle chiese. “Ho spie-gato a un gruppo di giovani musulma-ni, ragazzi e ragazze, originari di Na-jaf, musulmani sciiti, che hanno par-tecipato a una messa nella chiesa di San Giorgio - continua mar Sako - la nostra fede, l’unico Dio, il concetto di

Trinità. Ho illustrato le basi della no-stra fede, la discendenza comune da Abramo, la figura di Gesù. Li ho invi-tati a combattere l’ignoranza che c’è in molti casi del cristianesimo, non siamo infedeli. Ad accompagnarli c’e-rano anche i cronisti di due canali te-levisivi, ai quali ho chiesto di diffon-dere la nostra cultura, spiegarla agli spettatori, perché ci sono molte più cose che ci uniscono rispetto a quan-te ci dividano. (da AsiaNews)

*Monaco a Pulsano

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COSTRUIAMO LA PACE

[Mese della pace]

Michelangelo Mansueto

“C’è un’interconnessione tra guerra e povertà, un circolo vizioso che trascina al ribasso in-

tere nazioni”. E’ la denuncia di Pao-lo Beccegato, vicedirettore di Cari-tas italiana, portata a Bologna all’in-terno della tavola rotonda della tap-pa della Marcia nazionale per la pa-ce. “La guerra mondiale a pezzi non è solo un modo di dire: quest’ulti-mo decennio – ha rilevato – ha vi-sto una continua crescita del dram-ma dei profughi e solo nel 2016 sono state 65,3 milioni le persone costret-te a scappare”.

Eppure, ha aggiunto Beccegato, vi-viamo “ovattati da falsità che non ci fanno vedere la sofferenza di questa gente, così ci infastidiscono 190mi-la profughi arrivati nel nostro Pae-se, mentre altri 5mila, in un anno, sono morti nel Mediterraneo”. Se c’è un legame tra povertà e guerra, al-lora “politiche nonviolente – ha pre-cisato – vanno verso la lotta alla po-vertà”. Vi è poi il legame tra guerra e ambiente, laddove “vi sono, ad esem-pio, degrado e inquinamento”. Quin-di, il rapporto tra guerra e specula-zioni finanziarie, con “una finanza non governata che specula anche sul

Azione Cattolica Ragazzi

Pasquina Tomaiuolo

cibo”. E proprio il cibo, ha osservato il vicedirettore della Caritas, ha un legame diretto con la guerra, perché “sempre più lo si strumentalizza per

ridurre alla fame il nemico, ignoran-do tutti i civili che muoiono di conse-guenza, e che non rientrano nei com-puti delle vittime della guerra”.

Marcia della pace 2016

Quest’anno il messaggio per la Pace rivolto dal Santo Padre a tutti gli uomini di buona volontà, dal più im-

portante Capo di Stato o di Governo sino all’uomo più umile, ha raggiun-to la 50° ricorrenza. Nel primo mes-saggio il beato Papa Paolo VI si rivol-se a tutti i popoli, non solo ai catto-lici, con parole chiare: “E’ finalmen-te emerso chiarissimo che la pace è l’unica e vera linea dell’umano pro-gresso”.A distanza di 50 anni Papa France-sco ci chiede di adottare la non vio-lenza quale stile di una politica per la pace, rivolgendosi anche a Dio con la richiesta di “aiutare tutti noi ad at-tingere alla nonviolenza nelle profon-dità dei nostri sentimenti e valori per-sonali. Che siano la carità e la nonvio-lenza a guidare il modo in cui ci trat-tiamo gli uni gli altri nei rapporti in-terpersonali, in quelli sociali e in quel-li internazionali. Quando sanno resi-stere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace. Dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventare lo stile caratte-ristico delle nostre decisioni, delle no-stre relazioni, delle nostre azioni, del-la politica in tutte le sue forme”.Nel messaggio non manca un preci-so riferimento ai grandissimi risul-tati che la non violenza praticata con decisione e coerenza può raggiunge-re: “I successi ottenuti dal Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella liberazione dell’India, e da Mar-tin Luther King Jr contro la discrimi-nazione razziale non saranno mai di-menticati. Le donne, in particolare, sono spesso leader di nonviolenza, come, ad esempio, Leymah Gbowee e migliaia di donne liberiane, che han-no organizzato incontri di preghiera

e protesta nonviolenta (pray-ins) otte-nendo negoziati di alto livello per la conclusione della seconda guerra ci-vile in Liberia”.Papa Francesco, inoltre, ci ricorda come sia fondamentale nel cammi-no verso la nonviolenza il ruolo del-la famiglia che “è l’indispensabile crog iolo at t raverso i l qua le coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono. Dall’interno della fami-glia la gioia dell’amore si propaga nel mondo e si irradia in tutta la società”.Nella conclusione, inoltre, il Santo Padre ricorda come “tutti desideria-mo la pace; tante persone la costrui-scono ogni giorno con piccoli gesti e molti soffrono e sopportano paziente-mente la fatica di tanti tentativi per costruirla. Nel 2017, impegniamoci, con la preghiera e con l’azione, a di-ventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e a costruire co-munità nonviolente, che si prendono cura della casa comune. Niente è im-possibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono essere arti-giani di pace”.In coincidenza con la pubblicazio-ne del messaggio per la Pace di que-sto nuovo 2017 i ragazzi dell’Azione cattolica sono stati ricevuti dal Pa-pa nella lo scorso 19 dicembre e, co-me da tradizione consolidata, han-no portato a Papa Francesco gli au-guri di tutta l’associazione per le fe-stività natalizie e per i suoi 80 anni.Nel messaggio letto a Francesco i ragazzi di ACR hanno ricordato, tra l’altro, come ogni anno “ci impegnia-mo ad essere apostoli di gioia cercan-

do la Pace. Nel mese di gennaio, che dedichiamo alla riflessione e alla pre-ghiera per la Pace, realizzeremo un’i-niziativa di carità. L’abbiamo chia-mata: “Costruiamo la pace”. Insie-me agli adulti e ai giovani di tutta l’As-sociazione, vogliamo cercare di dona-re un sorriso a chi è meno fortunato di noi. Abbiamo scelto così di promuove-re e di sostenere un progetto nato dal-la collaborazione con la Cooperativa Sociale “Il Tappeto di Iqbal”, una re-altà che da oltre dieci anni opera nel quartiere Barra, alla periferia di Na-poli. Il loro desiderio è quello di conti-nuare le attività con i più piccoli, nel-la speranza di strapparli dalle mani della criminalità organizzata. Sogna-no di poter collocare un tendone da circo nel cuore del quartiere, perché diventi un simbolo di bellezza, di spe-ranza e di coraggio. E noi vogliamo aiutare questo sogno a diventare re-altà! Infine, vogliamo dirTi che anche noi ragazzi ci stiamo preparando a vi-vere la festa dei 150 anni dell’Azione Cattolica. Stiamo conoscendo la sua storia anche attraverso i tanti testimo-ni che, attraverso l’Associazione, han-no servito il Signore, le loro Chiese, i loro territori”.Papa Francesco, nel discorso di ri-sposta ha ricordato ai ragazzi co-me nel cuore di ogni cristiano debba sempre albergare la gioia: “E questa gioia si moltiplica condividendola! La gioia accolta come un dono chiede di essere testimoniata in tutte le nostre relazioni: in famiglia, a scuola, in par-rocchia, dappertutto. In questo voi ra-

gazzi dell’Azione Cattolica siete aiuta-ti dal vostro cammino formativo, che quest’anno ha come slogan “CIRCOn-dati di GIOIA”. E’ suggestiva questa metafora del circo, che è un’esperien-za di fraternità, di gioia e di vita “no-made”. L’immagine del circo può aiu-tarvi a sentire la comunità cristiana e il gruppo nel quale siete inseriti come della realtà missionarie, che si muo-vono di paese in paese, di strada in strada “CIRCOndando” di gioia quan-ti incontrate ogni giorno. Annuncian-do a tutti l’amore e la tenerezza di Ge-sù, diventate apostoli della gioia del Vangelo. E la gioia è contagiosa!”.Il Mese della Pace 2017 permetterà a bambini, giovani e adulti della no-stra associazione di riflettere ancora di più sul valore fondamentale della pace, della gioia e della non violenza. Il progetto di questo anno 2017 “Co-struiamo la Pace” intende richiama-re l’attenzione alla cura dell’altro e all’importanza di non lasciare indie-tro nessuno nella costruzione di un mondo più bello che può essere anco-ra casa per tutti e per ciascuno.A livello diocesano tutto il mese di gennaio porterà l’ACR ad affrontare ed approfondire tematiche collegate alla pace e culminerà nella giorna-ta di domenica 29 gennaio con la tradizionale “Marcia della Pace” in cui tutti i ragazzi di AC percorreran-no le principali vie delle nostre città per porre l’attenzione sul tema del-la pace, della non violenza, dell’in-tegrazione e della gioia della condi-visione.

Beccegato di Caritas italiana: “circolo vizioso” tra guerra e povertà

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GIUSTIZIA Antonio Stuppiello

La convivenza degli uomini è sempre stata caratterizzata dai rapporti e dalle relazio-ni tra gli appartenenti alla

comunità (tribù, polis, ecc.). Quan-do si vive nel gruppo, si stabilisco-no condizioni gerarchiche che tra gli animali, per esempio il branco di lupi, sono funzionali alla stessa so-pravvivenza degli individui. Anche tra gli uomini spesso le gerarchie si sono imposte, ma per motivi oppo-sti a quelli presenti tra gli animali. L’uomo ha sviluppato la ragione, ha saputo far fronte a pericoli gravi in-ventando strumenti che gli permet-tevano di abbattere o neutralizzare animali molto più forti di lui. Inol-tre la coscienza di sé gli ha permes-so di pensare e vedere la sua esisten-za in mezzo agli altri. L’apertura al trascendente, per motivi di vario ge-nere, ha spinto l’uomo a concepire, a sentire forze che potevano aiutarlo a superare i momenti critici della vita. L’uomo insomma non è l’animale bruto che ha dentro soltanto l’istin-to alla sopravvivenza, ma un esse-re che si mette in relazione, in dialo-go con le varie realtà della natura. Il dialogo sviluppa la coscienza dell’e-sistenza di sé e dell’altro. L’uomo ri-corda e racconta le varie vicende del-la vita. Egli arriva a fissare sulla pie-tra, sul legno e altri materiali i fatti salienti della propria vita e di quelli del gruppo a cui appartiene. Questo è fare storia. E’ la differenza essenzia-le che lo distingue dagli altri esseri viventi. Dobbiamo constatare che la storia umana è costellata di violenze, di sopraffazioni di uomini su altri uo-mini: è sufficiente leggere un libro di storia per rendersene conto, ma dob-biamo anche rilevare che nell’uomo alberga un qualcosa che è attrazio-ne, amore verso l’altro essere uma-no. Potremmo cominciare dal senti-mento che avvicina un uomo e una donna, dal loro reciproco aiutarsi in caso di bisogno. Ma si può continua-re con il sentimento che nutre la ma-dre o il padre per il figlio. E il dolore che si avverte di fronte alla violenza direttamente subìta o per quella fatta alla persona a cui si vuole bene pro-

babilmente potrebbe essere ciò che ha spinto l’uomo a cercare una for-ma di “giustizia”. Già la legge del taglione (occhio per occhio, dente per dente) era uno stru-mento per regolamentare, mettere una proporzionalità alla violenza subita: non si poteva ammazzare un uomo per uno schiaffo ricevuto, cosa che accadeva spesso, ma soltanto re-stituirgli lo schiaffo. Già nel codice di Hammurabi possono leggersi prov-vedimenti del genere, cosa che sarà ripresa dai popoli del Vicino Orien-te e anche dagli scritti della Bibbia. Possiamo dire che con la nascita e lo sviluppo della filosofia greca cer-te riflessioni andranno sempre più scavando nell’animo umano e nelle ragioni dei rapporti tra gli uomini. Già con Omero ed Esiodo troviamo invocato il senso della giustizia e del bene che possiamo definire “comu-ne”. La patria a cui Ulisse fa ritorno è espressione di giustizia e di forte sentimento della terra dei padri, del-la comunità di Itaca. Per non dire di Esiodo che consiglia al fratello Perse di non chiamarlo in giudizio per ot-tenere una altro pezzo di terreno del patrimonio ereditato già diviso. Con l’approfondirsi delle ricerche umane saranno create leggi e strumenti per organizzare la polis e farla vivere, ci sarà anche lo sviluppo di una parti-colare sensibilità che porterà a con-siderare sempre più importante il be-ne che appartiene a tutti. La siccità era una disgrazia comune, come l’acqua era un comune bene, così per tutto quello che permetteva di vivere. Se leggiamo la Bibbia ve-diamo anche lì come sia presente il senso della giustizia e del bene che è di tutti gli uomini, creati da Dio a sua immagine e somiglianza. Nei Profe-ti il richiamo a tali realtà è continuo. Nel Nuovo Testamento la giustizia pervade tutta l’esistenza terrena di Gesù, insieme al richiamo continuo al bene degli uomini, che è bene co-mune, quando restituisce la dignità a chi ne è stato spogliato da strutture sociopolitiche e religiose a volte vio-lente o disattente al disegno origina-rio di Dio. Ma anche nel Corano, al di

là di pregiudizi o differenze culturali che possono impedirci di vederle, si parla di giustizia e bene comune: l’I-slam è anch’esso figlio di Abramo e nella giustizia del padre fiorisce an-che quella del figlio (cfr Sure 14; 57, ecc.). Però forse oggi a noi interessa parlare di giustizia e bene comune presenti nella nostra società. Detto che spesso mancano, è subito da ri-cordare che le nostre radici socio-po-litiche e storiche, nonché religiose, ci richiamano, ci impongono un rispet-to di quanto è stato conquistato con le lotte sociali e con un affinamen-to sempre maggiore della tradizione cristiana che ha pervaso di sé l’Eu-ropa e l’Occidente per decine di seco-li. Non possiamo dimenticare tappe fondamentali dell’emancipazione dei popoli quali la Rivoluzione francese e quella americana; le lotte dei con-tadini per la distribuzione delle terre incolte e infine la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948. Non pos-siamo neanche tacere lo sfruttamen-to inumano che l’Occidente ha prati-cato e pratica in Africa, bloccandone praticamente lo sviluppo. Questo ci deve però spingere a cer-care la giustizia per tutti gli uomini e nel contempo il bene comune nel quale l’umanità può trovare la pos-sibilità di sopravvivere. Non è tolle-rabile che il territorio (terrae torus, letto di terra) venga distrutto con lo sfruttamento indiscriminato, dalla cementificazione al versamento di ri-fiuti tossici, dalla incuria che produ-ce frane e disastri vari ad accaparra-menti ingiustificati da parte di pri-vati. Mafie di ogni genere stanno di-struggendo il territorio comune, e questa è ingiustizia, come tante al-tre. Ma noi continuiamo ad andare alla ricerca del bene, del giusto an-che se potrà apparire ingenuo. Ab-biamo il dovere di farlo per le gene-razioni future e per noi stessi. Se consideriamo l’ambiente come una casa nella quale viviamo, non possiamo renderlo invivibile, ne va della incolumità di tutti quelli che vi sono dentro. E se consideriamo che l’uomo nasce nudo e senza odiare o amare, non possiamo pretendere di

impadronirci della maggior parte dei beni violentando gli altri e odiandoli. Non possiamo ignorare che il senso di giustizia e quello di bene comune abbiano nella storia umana attraver-sato momenti diversissimi per con-cezione e prassi, ma in una società che si dice e per buona parte è civi-le, nel senso di riconoscere il diritto del “civis”, cittadino, non si può con-siderare l’ingiustizia e l’esclusione di fatto dalla “polis” di larghe fasce di cittadini e non come un fatto norma-le. E’ vero che un ritorno alla barba-rie è sempre possibile, e la crisi eco-nomica che stiamo vivendo ne è una dimostrazione, con le speculazioni finanziarie che alcuni potentati eco-nomici mondiali stanno praticando, impadronendosi praticamente di in-teri Stati indebitandoli e costringen-doli a versare soldi in un secchio bu-cato, ma proprio questa possibilità di distruzione degli uomini e del piane-ta deve indurci a reagire con le cosid-dette “buone pratiche”.E’ finito il modello degli stati nati con l’Illuminismo? Una nuova strut-tura di convivenza si affaccia con la globalizzazione? Non sappiamo, ma l’uomo dovrà sempre battersi per la vittoria del bene comune e dei dirit-ti civili e sociali, altrimenti nuovi fa-scismi attecchiranno, nuovi schiavi, come già accade, popoleranno la ter-ra. In quest’ottica si pone l’azione di quanti animati dallo Spirito di Cristo si mettono in cammino per fasciare le ferite dei tanti caduti sotto i colpi dei violenti o per l’esaurimento del-le proprie forze. Creare una rete di solidarietà non potrà che fare bene a tutti perché davvero non si può es-sere felici da soli. E perché diventi re-altà lo stare da uomini sulla terra e non da bestie aggiogate nel conses-so umano bisogna creare le condi-zioni sociali, economiche, politiche, culturali per dare la dignità ad ogni persona abbruttita dal bisogno, non colmato dalla condivisione del super-fluo che molti buttano via. E come nell’Eucaristia: Cristo si dona non ai sazi o per premio ad alcuni buoni, ma a chi ne ha bisogno, anche se è imperfetto e peccatore.

[Mese della pace]

E BENE COMUNE

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6[Liturgia]

La festa della Presentazione

La XXV Giornata del Malato, che si celebrerà il prossimo 11 febbraio, compie esatta-mente venticinque anni, da

quando il Santo Papa Giovanni Pao-lo II la istituì per tutta la Chiesa con “lo scopo manifesto di sensibilizzare il popolo di Dio e, di conseguenza, le molteplici istituzioni sanitarie cattoli-che e la stessa società civile, alla ne-cessità di assicurare la migliore as-sistenza agli infermi; di aiutare chi è malato a valorizzare, sul piano uma-no e soprattutto su quello sopranna-turale, la sofferenza; a coinvolgere in maniera particolare le diocesi, le co-munità cristiane, le Famiglie religio-se nella pastorale sanitaria; a favori-re l’impegno sempre più prezioso del

al tempiodon Luigi Carbone*

11 febbraio 2017Giornata mondiale

padre Rosario Messina, m.i.

volontariato; a richiamare l’importan-za della formazione spirituale e mora-le degli operatori sanitari e, infine, a far meglio comprendere l’importanza dell’assistenza religiosa agli infermi da parte dei sacerdoti diocesani e re-golari, nonché di quanti vivono e ope-rano accanto a chi soffre”.Mentre esorto tutti calorosamente a celebrare nelle proprie comunità con gioia e in un clima di festa questa ri-correnza a favore di tutti i malati, pupilla e cuore di Dio, cercherò nel prossimo numero di approfondire le tante motivazioni appena elencate da San Giovanni Paolo II, che rende-ranno le nostre comunità cristiane più autentiche ed evangeliche.

del malato

2 febbraio 2017

Nel VII secolo fecero il loro ingresso a Roma le feste del 2 febbraio, 25 mar-zo, 15 agosto e 8 settem-

bre, forse per influsso delle comuni-tà orientali dimoranti in città. Nel Li-ber Pontificalis si attribuisce il meri-to a papa Sergio (687-701) originario della Siria, di aver introdotto tali fe-ste, anche se dobbiamo ritenere che siano state solo meglio riorganizza-te dal suddetto papa:

«Stabilì dunque che nei giorni dell’Annunciazione del Signore, della Dormizione e della Natività della santa Madre di Dio e sempre vergine Maria e di San Simeone,

festa che i Greci chiamano “Incon-tro”, una processione litanica co-minci dalla chiesa di Sant’Adria-no e finisca col concorso di popo-lo a Santa Maria »1

Il merito di papa Sergio è stato quello di aver arricchito queste feste di una processione che andava dalla basili-ca di S. Adriano al Foro romano fino alla basilica di Santa Maria Maggio-re. Con l’espandersi del rito romano, anche queste feste si diffonderanno gradualmente. La festa della Presen-tazione al tempio di Gesù è di origine gerosolimitana. La celebrazione è at-testata infatti alla fine del IV secolo (380) dalla pellegrina Egeria, ed ha come oggetto l’avvenimento narra-to da Luca 2,22-38. Inizialmente era fissata al 14 febbraio poiché in Orien-te la celebrazione del Natale era al 6 gennaio. Il quarantesimo giorno do-po l’Epifania, si andava in proces-sione all’Anastasis, (la basilica del-la Risurrezione) e tra i tanti riti tro-viamo già il lucernario, con accen-sione di numerosi lumi dalla lampa-da del Santo Sepolcro da cui risorse Cristo, Luce del mondo. Tale festa de-nominata nel V secolo, dell’Incontro, (Ipapante in greco): era caratterizza-ta sin dall’inizio da una processio-ne di ceri e fu stabilita al 2 febbraio,

poiché anche in Oriente la celebra-zione del Natale si festeggiava il 25 dicembre. L’imperatore Giustiniano nel 534 la rese obbligatoria in tutto l’impero. Abbiamo tante omelie dei Padri in merito. Ricordiamo Abramo di Efeso (VI sec.) che parla del miste-ro della spada che trafiggerà l’anima della Vergine; le omelie di Sofronio di Gerusalemme (+638), nelle qua-li paragona le lampade dei fedeli al-la luminosità delle nostre anime con cui andare incontro a Cristo; e vari Tropari e Kontakia della liturgia bi-zantina. Nel VII secolo tale festa fu la prima ad esse accolta a Roma: tro-viamo nel Sacramentario Gregoriano la dicitura: Ipapanti ad sanctam Ma-riam Maiorem. Tale festa era caratte-rizzata come accennato, da una pro-cessione notturna fino ad arrivare a Santa Maria Maggiore, dove si cele-brava l’Eucarestia. Diffusasi in Oc-cidente nel corso dell’VIII secolo, in relazione all’uso giudaico prescritto dopo il parto, cominciò in terra fran-ca a chiamarsi Purificazione di Ma-ria, con una tonalità mariana, che re-sterà fino alla riforma del calendario Romano Generale nel 1969. Con la ri-forma liturgica del Calendario roma-no, voluta dal Concilio Vaticano II, la festa sarà chiamata Presentazio-

ne del Signore, riacquistando così il suo carattere cristologico. Anche al-cune antifone della liturgia romana per la processione con le candele ci manifestano il tono cristologico del-la festa: Cristo riverbera il proprio mistero sulla Madre, degna di lode e onore:

«Adorna il tuo talamo, o Sion, e accogli come Re il Cristo; una Ver-gine l’ha concepito, vergine l’ha partorito e , vergine dopo il parto, adorò colui che l’aveva generato»2.

La processione con le candele, inve-ce, è forse una cristianizzazione, al tempo di papa Gelasio I (490) dell’an-tica processione pagana che aveva luogo in Roma, all’inizio di febbra-io con carattere di purificazione ed espiazione (Amburbalia). La proces-sione romana avrà in seguito un du-plice carattere, penitenziale e festi-vo, caratterizzato dai paramenti vio-lacei e dai ceri accesi in onore di Cri-sto “luce per illuminare le genti” (Lc 2, 32).

*direttore dell’ufficio liturgico diocesano

1 DUCHESNE L., Le Liber Pontificalis. Texte, intro-duction et commentaire, I Paris 1955, 376

2Antifona: Adorna thalamum tuum Sion tutt’oggi in uso

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Cari amici,dopo i dieci anni trascorsi insie-me riflettendo sulle Dieci Parole, con la Giornata per l’approfondi-

mento e lo sviluppo del dialogo tra Cattolici ed Ebrei del 2017 (la XXVIII della serie) ini-ziamo un tratto nuovo di cammino. Come tema per i prossimi anni infatti si è scelto di tenere in considerazione le Meghillot, iniziando dal testo di Rut. I commenti so-no stati affidati al Rabbino Alfonso Arbib, Rabbino di Milano e Presidente dell’Assem-blea dei Rabbini d’Italia, e a Mons. Ambro-gio Spreafico, Vescovo di Frosinone-Vero-li-Ferentino e Presidentedella Commissione Episcopale per l’ecu-menismo e il dialogo interreligioso. Li rin-graziamo di cuore per la disponibilità. Nel Sussidio trovate inoltre una introduzione, anch’essa di Mons. Spreafico, che ci per-

nell’augurio reciproco che non sia l’unica in tutto l’anno! Un carissimo saluto, un ca-rissimo shalom! don Cristiano BettegaDirettore Ufficio Nazionale per l’ecume-nismo e il dialogo

Le Meghillot – dal termine ebraico Meghillah, “rotolo” pergamenaceo su cui è scritta la Parola - sono cinque libri che vengono letti, essenzialmen-te a scopo liturgico, durante alcune fe-stività ebraiche. Essi sono: Rut, Can-tico dei Cantici, Qohelet, Lamenta-zioni, Ester.

Il sussidio in pdf è possibile scaricarlo dal sito dell’ufficio nazionale ecumeni-smo e dialogo della CEI

17 gennaio 2017XXVIII Giornata per l’approfondimento

e lo sviluppo del dialogo tra Cattolici ed EbreiIl Libro di Rut, dalle cinque Meghillot

mette di inquadrare ancor meglio il senso del “far dialogo” con gli ebrei; a maggior ra-gione utile, credo, in un periodo storico co-me quello che stiamo attraversando e che vede da una parte il moltiplicarsi di ini-ziative di dialogo (e non solo con il mondo ebraico), ma dall’altra una sorta di chiusu-ra pregiudiziale, sempre in agguato, sem-pre pericolosa, e soprattutto sempre asso-lutamente sterile.In chiusura del Sussidio è presentata di nuovo una bibliografia scelta di alcuni do-cumenti e testi, che possono sembrare uti-li per un approfondimento personale o di gruppo; titoli già segnalati negli ultimi due anni, ma … repetita iuvant!Chiudiamo con l’augurio che la Giornata costituisca davvero e per tutti un’occasione di approfondimento e di sviluppo del dialo-go tra Ebrei e Cattolici; nella convinzione e

Almeno una volta all’anno, i cristiani sono invitati a ri-cordarsi la preghiera di Ge-sù ai suoi discepoli perché

tutti siano uno affinché il mondo creda (cf Giovanni 17,21). I cuori so-no toccati e i cristiani si riuniscono per pregare per l’unità. Nel mondo intero comunità e parrocchie scam-biano i loro predicatori o organizza-no celebrazioni ecumeniche e servizi di preghiera speciali. L’avvenimento che permette questa esperienza ec-cezionale è la settimana di preghie-ra per l’unità dei cristiani. Tradizionalmente la settimana di preghiera è celebrata dal 18 al 25 gennaio, fra la commemorazione del-la confessione di fede di San Pietro e quella della chiamata di San Paolo. Nell’emisfero Sud, dove gennaio è un periodo di vacanza, le Chiese trova-no di solito un altro periodo per cele-brarla, per esempio intorno a Pente-coste, che è una simbolica per l’unità. Per preparare la celebrazione annua-le alcuni partner ecumenici di una regione specifica sono invitati ad ap-prontare un testo liturgico di base su un tema biblico. In seguito un grup-po di redazione internazionale co-stituito da rappresentanti del CEC e della Chiesa cattolica romana lavo-rano su questo testo per fare in mo-do che possa servire da preghiera nel mondo intero e sia legato alla ricerca dell’unità visibile della Chiesa. Il testo è pubblicato insieme dal Pon-tificio Consiglio per la promozio-ne dell’unità dei cristiani (http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_

Pasquina Tomaiuolo*

Éil motto biblico - ispirato al capitolo 5 della Seconda Let-tera ai Corinzi – che ci viene proposto per la Settimana di

preghiera per l‘unità dei cristiani del 2017. Una scelta quanto mai felice, vi-sto che quest‘anno ricorre il quinto Centenario della Riforma protestante, avviata da Martin Lutero con l‘affissio-ne delle 95 tesi sulle indulgenze, avve-nuta il 31 ottobre 1517 a Wittenberg, in Germania. E non è un caso che il ma-teriale per la preghiera sia stato pre-parato quest‘anno proprio dalle Chie-se cristiane tedesche, attraverso la Co-munità di lavoro delle Chiese cristia-ne in Germania (Arbeitsgemeinschaft Christlicher Kirchen, ACK), l‘organi-smo ecumenico in cui sono rappresen-tate tutte le tradizioni cristiane.

Chiesa CattolicaAmbrogio Spreafico

Vescovo di Frosinone-Veroli-FerentinoFederazione delle Chiese Evangeliche in Italia

Pastore Luca Maria NegroPresidente

Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e di Malta ed Esarcato per l’Europa Meridionale

Metropolita Gennadios

[Ecumenismo e Dialogo]

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

“L’amore di Cristo ci spinge verso la

riconciliazione”

councils/chrstuni/index_it.htm) e dalla Commissione Fede e Costituzio-ne del CEC (http://www.saenotizie.it/sae/attachments/article/699/Fede%20e%20Costituzione.pdf) che partecipa ad ogni fase del processo di elaborazio-ne. La versione definitiva è inviata alla Chiese membro e alle conferen-ze episcopali cattoliche romane, che sono invitate a tradurla e ad adattar-la ai loro contesti specifici.

18-25 gennaio 2017

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duemila anni di cultura etica e morale», per poi aprirsi a un itinerario di speranza do-mandandosi «come uscire in avanti dal pun-to zero cui è giunta la nostra cultura?», don Dossetti ci consegna parole generate dal silenzio, per lui «la quarta dimensione di tutto», che costituiscono per noi un ammo-nimento che non può essere trascurato. Il ricordo può divenire oblio, la memoria può svilire in abitudine, il pensiero mai. Si tratta di una conversione intellettuale che tuttavia è sempre preceduta dall’oggettiva-zione della propria e personale esperienza di Dio, frutto quindi di una conversione di tipo religioso. Era per lui necessario «incul-care alle nuove generazioni criteri e pro-cessi virtuosi che impediscano il ritorno di una simile catastrofe». Non sorprenda l’uso del verbo «inculcare», poiché per Dos-setti era urgente imprimere profondamente nella mente e nell’animo una rinnovata op-zione metodologica, criteri cioè che lascias-sero emergere processi virtuosi. Tutto ciò non doveva avvenire mediante la seduzione, come invece avevano fatto le dittature, ma mediante la persuasione, ovvero un’edu-cazione sapienziale che riprendesse quell’a-morevole paideia presente nella Scrittura, capace di orientare e correggere. Si tratta di un’opzione pedagogica che contrasta con le finalità seduttive della dittatura. Ai suoi giovani, alla jugend deutchland, Hitler, nei suoi discorsi gridati, suggeriva invece il ver-bo «assorbire», invitava a «indurire la tem-pra», e proponeva quali valori preminenti quelli dell’obbedienza, sopportazione e sa-crificio. In modo molto lucido, don Dossetti presentava la seconda guerra mondiale co-me il naturale punto di approdo di «una for-mazione ed educazione intenzionale al ma-le». Per questo suggeriva la differenza tra «criminale di guerra» e «criminale in occa-sione della guerra», l’evento bellico diviene cioè l’occasione e la giustificazione di un

Giovanni Chifari*

itinerario pedagogico volontariamente orientato al male. Quest’esempio storico insieme a diversi altri eventi della stretta attualità, ci mostrano che anche per fare il male ci vuole sapienza.

Riconoscere le voci profetiche Già al tempo della follia nazista, non erano tuttavia mancate delle voci profetiche che con parresia evangelica avevano chiara-mente denunciato il male presente nel pro-getto hitleriano, pensiamo per esempio al teologo luterano, poi membro della Chiesa confessante, Dietrich Bonhoeffer. Due gior-ni dopo l’ascesa al potere del Leader nazi-sta, dai microfoni della Berliner Funkstunde, a proposito dell’idea di Führer, senza mez-ze misure Bonhoeffer dichiarava: se il ca-po «permette al seguace che questi faccia di lui il suo idolo, allora la figura del capo si trasforma in quella di corruttore... Il capo e la funzione che divinizzano se stessi scher-niscono Dio». La Vigilanza Il linguaggio del dittatore è infatti volonta-riamente misticheggiante e si pone in un confine ermeneutico molto labile, dicendo bene ciò che bene non è, profittando della generale debacle di discernimento per por-tare avanti modelli pedagogici e sapienzia-li ispirati al male. Hitler chiamava i giova-ni, «miei giovani», si riconosceva cioè una paternità nei loro confronti, e ambiguamen-te prendeva a prestito una fraseologia che trova un parallelo nella letteratura religio-sa ebraico cristiana. Hitler auspicava che i giovani si sentissero parte integrante di «un solo popolo» (ein reich), pensiamo bibli-camente al Pastore che con il suo braccio ra-duna il gregge; professava la pace, e il pro-feta Geremia stigmatizza chi parla di pace e pace non c’è, e in diverse occasioni, a no-me del Reich, definiva i giovani «carne del-

la nostra carne e sangue del nostro sangue», chiara immagine dialogico-relazionale (si pensi ad Adamo ed Eva). La proposta di don Giuseppe Dossetti, già partigiano senza armi, «me lo potevo per-mettere», diceva a tal proposito, è invece quella di puntare sul valore di una vi-gilanza, che egli considerava una delle componenti fondamentali dello spirito, da «orientare tuttavia in modo acuto per la difesa dei valori, non per spirito di ven-detta ma a tutela e garanzia di tutti». Tuttavia auspicava altresì che la memoria storica fosse vissuta senza rancore. Non si dovevano cioè alimentare odi e divisioni ma bisognava cercare una vera pacificazione «non dimenticando quelle distinzioni che sono state consegnate alla storia». La vigi-lanza era cioè per Dossetti, così come lo era stata per Bonhoeffer, un antidoto che pote-va impedire di cadere nell’oblio, in quell’in-dolenza che facilmente diviene apatia e iner-zia spirituale. Sosteneva inoltre che «una revisione profonda dell’evangelizzazione» non potesse mai prescindere dall’ascolto della Parola di Dio, dall’avere come centro l’Eucarestia e da questa attingendo il servizio verso i fratelli, in particolare modo i poveri e gli ultimi. Diremmo non un’ecclesiologia di tipo funzionale, sbilanciata sul fare, ma un’ecclesiologia fondata sull’Eucarestia, fons et culmen della vita della Chiesa (che egli raccontava come «epicentro di grandi stragi»), alla quale si arriva attraverso la mediazione della Parola. Significativamente a Monte Sole, don Giu-seppe conservava e spesso utilizzava, il ca-lice di don Ubaldo Marchione, sacerdote uc-ciso dalle Ss a Marzabotto, proprio mentre celebrava la Messa.

*teologo biblico(Articolo pubblicato su LA STAMPA di Torino)

«Il ricordo può svilire in routine, il pensiero mai». La memoria può non essere bastevole, occorre modificare radicalmente il mo-

do di pensare. È questo l’invito, l’auspicio e in un certo modo anche l’ammonimento che don Giuseppe Dossetti volle suggerire alle giovani generazioni in una delle ultime in-terviste concesse. «Rompendo» il silenzio della vita monastica nel maggio del 1994, don Giuseppe parla della strage di Marza-botto, del nazismo, della guerra, pensando in particolare modo ai giovani, che numero-si accorrevano a Monte Sole per fare memo-ria e per riflettere sull’orrore della guerra. In vista dell’annuale Giornata della Memo-ria, può essere utile riprendere alcuni spun-ti del Monaco dei «piccoli fratelli dell’An-nunziata», per riflettere su quella che egli stesso volle definire «la più grande cata-strofe che ha segnato la storia dell’Eu-ropa e del mondo». La tragedia del popolo ebraico, la immane sofferenza dell’olocausto era percepita da Dossetti in tutta la sua drammatica evenienza, come un unicum, un punto di non ritorno, dal quale si doveva procedere con una rinnovata e illuminata visione del presente capace di costruire un futuro privo di un simile ritorno. In dialogo con lo scrittore ungherese Kertesz, all’epoca autore del testo: «An Olocaust mint kultura», «L’Olocausto come cultura», che individuava l’olocausto come «la situazione dell’essere umano, lo stadio terminale della grande avventura cui l’uomo europeo è giunto dopo

A vent’anni dal 15 d i c e m -bre del 1996, il ricordo di

don Giuseppe Dosset-ti sembra ancora dover esprimere tutto il suo valore profetico e testi-moniale. Chi come me ha avuto modo di co-noscerlo personalmen-te vede nella sua «fedel-tà a Dio e al mondo» uno dei paradigmi più elo-quenti per interpretare la sua esistenza. Fedel-tà nel senso di sponsalità in Cristo e nella Chiesa e per questo anche ver-so la storia.Se un albero, come insegna il Van-gelo, si riconosce dai suoi frutti e un albero buono fa frutti buoni, nel ser-vo umile e fedele Giuseppe Dossetti, questi furono particolarmente frut-tuosi e abbondanti. La sua attenzio-

ne fu al senso globale della storia, la sua capa-cità intellettiva fu di leg-gere nel profondo quan-to Dio intende comuni-care all’uomo median-te il dispiegarsi degli eventi, il suo fu un do-no che riuscì a svelare le patologie che caratte-rizzavano gli uomini del suo tempo, la sua sensi-bilità colse la realtà del-la kenosi come chiave di lettura della teologia del dopo Auschwitz, la sua

fu un incessante ricerca di senso del silenzio di Dio, lo stesso verso il qua-le anch’egli si volse, per ventisei an-ni, abbracciando l’esperienza mona-stica e dove poté accogliere la Parola vivificante dell’Evangelo. Ed ancora l’egemonia della Scrittura, la circo-larità tra Parola, l’Eucaristia e il ser-vizio, la sua ecclesiologia di comu-

nione, il Concilio vissuto e fatto co-noscere non come evento di rottura né come luogo di conservazione, ma come evento di Grazia, la sua propo-sta, condivisa con il grande arcive-scovo Giacomo Lercaro di una Chie-sa povera per i poveri, che trova nel Cristo, povero e carico della croce, il suo modello normativo.In conclusione, la fedeltà a Dio e al mondo, consegnata alla storia, fa sì che Dossetti sia annoverato tra i sa-pienti e i profeti: «i Sapienti, che con il loro gratuito servizio sanno custo-dire e accrescere il tesoro lasciato in eredità da altri» e i profeti, cioè « i servitori vigili e fedeli che esplorano quel futuro di Dio verso cui uomini e società sono incamminati». Dossetti è da annoverare proprio tra quei sa-pienti e profeti che «con la loro fe-de sofferta e perseverante, scrutando come sentinelle nella notte il disegno di Dio, ne scandiscono i tempi e ne orientano il senso». (G. Bellia)

In memoria di un grande prete-teologo-giurista-politico a 20 anni dalla morteAlcuni significativi disegni del bel libro di Nani Tedeschi “Esegesi di un volto” curato da Sandro Parmeggia-ni che ho ricevuto proprio in questi giorni, sono il più bel ricordo di don Dossetti. (A.C.)

[Memoria]

27 gennaio 2017“Il ricordo può svilire in routine, il pensiero mai”: la Giornata della Memoria secondo don Dossetti

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Patrono

s. Lorenzo

L’edizione del calendario li-turgico “proprio” per la no-stra Chiesa promulgato nel giugno 1985 dall’arcivesco-

vo mons. Valentino Vailati con edi-zione “tipica” concordante con i te-sti approvati dalla S. Sede, riporta gli antichi inni liturgici sia in lingua la-tina che in quella italiana, dell’uffi-ciatura liturgica della festa del patro-no s. Lorenzo, vescovo. E mentre l’in-no dell’Ufficio delle Letture ci pre-senta il nostro santo patrono, sopran-nominato il Maiorano, che da Bisan-zio giunse sui nostri lidi garganici con alcune sante reliquie di martiri, accolto dal popolo festante, e nella nostra Siponto, città sul mare, eser-citò da padre il ministero del buon Pastore guidando i credenti in Cristo alla patria beata, nell’inno delle Lo-di e dei Secondi Vespri, invece, s. Lo-renzo, è specificamente celebrato per

alcuni importanti eventi storici del-la nostra terra: innanzitutto per aver indicato a tutti la sacra grotta pre-scelta da s. Michele sul Monte Gar-gano, per aver difeso la città sul ma-re da feroci assalitori, per essere sta-to amico fraterno del santo vescovo di Canosa, Sabino. Per tutto questo i fedeli, sul suo esempio, sono invita-ti ad allontanare le misere contese e ad invocarlo fiduciosi quale patrono potente che atterra il maligno diviso-re, così come è raffigurato nella set-tecentesca (1765) statua lignea, vene-rata in cattedrale, opera dell’artista andriese Francesco Paolo Antolini.Ma leggiamo i testi. Inno dell’Ufficio delle Letture:Laurentius Bisantio/pius rece-dens/munera petit peroptat impe-trat/ducitque sacra martirum./ Laetus venit ad littora/omnis cho-rus fidelium/ fundit preces plebs incipit/pastorem patrem praesu-lem./ Pastore tanto caelitus/exul-tat ardens Apulius/sibi dato cle-mentiam/ laudat Dei fideliter./ Cunctos regens sanctissime/ a fau-ce tollit tartari/vita docens et mo-ribus/caelos inter qua tenditur./ Nunc turba clamet civium/tan-ti Patri suffragium/gregisque Pa-stor gratiam/impetret atque pro-emium./ Sit Trinitati gloria/Deo Patri sit Filio/sit semper et Paracli-to/in saeculorum saecula. Amen.(Dopo essersi procurato preziose reli-quie di alcuni santi martiri, Lorenzo da Bisanzio le porta con se a Siponto. Giunto sul nostro lido è accolto dal

Alberto Cavallini

festante popolo dei fedeli che lo ac-coglie Padre Pastore Vescovo. Per un sì grande Pastore dato dal cielo esul-ta l’ardente Apulio (sipontino) ed ele-va a Dio una fervente lode. Guidando santamente e insegnando con l’esem-pio della vita, Egli libera dalle fauci dell’inferno e conduce tutti alla pa-tria del cielo. Ora i fedeli invochino la protezione di cotanto Pastore del gregge affinché impetri grazia e pre-mio eterno per tutti. Sia gloria alla Trinità santa, Padre e Figlio e Paracli-to, per tutti i secoli dei secoli. Amen.)Inno delle Lodi e dei Secondi Ve-spri:Festa, Laurenti, populus fidelis/ fervidus psallat pietate summa/ quo fuit cunctis Michaelis au-la/ praesule nota./ Totilam sae-vum domuit Sabini/ et fuit vitae socius perennis/ praescius dixit retulitque vera/templa dicavit./ Temperet vanis populus pater-num/ scandat ut templum mise-ros tumultus/ arceat sacris preci-bus malignum/ terreat anguem./ Laetus intersit resonetque purus/ hos dies anno redeunte festos/ vo-cibus crebris animoque sacra/ thura remittat./ Sit laus Illi Deus atque virtus/ qui super caeli solio corruscans/ totius mundi seriem gubernat/ Trinus et Unus. Amen.(Il popolo fedele, o Lorenzo, canti inni nella tua festa con grande pietà/ giac-ché da Vescovo fu resa nota a tutti la grotta di s. Michele ./ Egli placò il fe-roce Totila/ e fu amico fedele di Sa-bino vescovo/ annunziò a tutti la Ve-

[Festa di s. Lorenzo vescovo]

rità/ dedicò templi al Signore./ Non cada in vanità il popolo/ Egli lo con-duca alla casa del Padre/ allontani ogni misera contesa/ ferisca con le preghiere il maligno/ e lo atterri co-me un serpente/. Lieto sia il popolo e inneggi sincero/ in questo giorno di festa annuale/ e con ripetute preci e voti santi/ offra il sacro incenso./ A Dio Trino ed Unico/che governa tutto il mondo/ fulgente dal soglio del cie-lo/, lode e onore. Amen.)Insomma, due testi poetici medioe-vali ci sintetizzano egregiamente la figura e l’opera apostolica del san-to vescovo Lorenzo, evangelizzato-re del nostro Gargano, difensore di Siponto, la città sul mare, beneficia-rio delle gloriose apparizioni dell’ar-cangelo Michele.

La grande e antica venerazio-ne verso il santo vescovo si-pontino Lorenzo raccoglie nella fede e nella gioia il po-

polo cristiano che vive nella città del Golfo e in quella di Monte Gargano per quello stretto legame con le ap-parizioni dell’arcangelo Michele che tanta eco hanno avuto nel popolo cri-stiano nel corso dei secoli, espres-se anche attraverso numerose ope-re d’arte – affreschi, pale d’altare e tele – prodotte nel tempo e presenti in tante località non solo italiane, ma anche d’Oltralpe. Nelle Lettere apostoliche e nell’A-pocalisse il ministero del Vescovo è ben delineato come essenziale per la comunità cristiana che trova in lui l’immagine del Buon Pastore, l’au-tenticità del Magistero, l’autorevo-lezza della guida, nel nome di Cri-sto, della comunità. La nostra Chie-

I poco noti inni liturgici della festa di

UN VESCOVO COME PATRONO DELL’ARCIDIOCESIAlberto Cavallini

sa che vive in terra garganica che già ringrazia intensamente il Signo-re per i suoi figli mons. Domenico D’Ambrosio, nativo di Peschici, og-gi arcivescovo metropolita di Lecce, mons. Giuseppe Piemontese, nativo di Monte Sant’Angelo, oggi vescovo di Terni, e mons. Michele Russo, na-tivo di S. Giovanni Rotondo, vescovo emerito di Doba in Tchad, esprime la propria unità e gioia in mons. Miche-le Castoro, attuale Apostolo ed An-gelo della nostra Chiesa, certa che Cristo continua a essere presente sa-cramentalmente nel Pastore che si succede nel tempo, sino alla fine del mondo. Oggi, guidati dal nostro apo-stolo Michele, celebriamo la solen-nità di s. Lorenzo, vescovo e patro-no, lodando il Signore per la bellez-za della successione apostolica e per la fede della nostra comunità.In tale contesto, l’arricchita ricerca

di immagini di s. Lorenzo da me fat-ta in tante città italiane e d’Oltral-pe, che da qualche anno vado pub-blicando su questa nostro periodico diocesano e sul quotidiano cattolico Avvenire, oggetto peraltro in passa-to di una mia pubblicazione, sostie-ne ed alimenta ulteriormente il va-lore profondo dell’ecclesialità e del-la identità sipontino-garganica, con-segnateci dalla tradizione, indispen-sabile e fondamentale per questa no-stra festa.Da s. Lorenzo vescovo a mons. Mi-chele Castoro continua, nell’avvi-cendare dei secoli, il ministero de-gli Apostoli, testimoni della Pasqua del Risorto, “pietre vive” su cui viene costruito “l’edificio spirituale” della Chiesa con l’apporto ragguardevole di quella antica e perenne traditio che arricchisce ancor più la nostra terra e la nostra storia.

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dal GarganoI poco noti inni liturgici della festa di

Il monastero vallombrosano di san Michele arcangelo a Pas-signano, sito tra le colline del Chianti, in provincia di Firenze,

custodisce il corpo di s. Giovanni Gualberto, che qui morì nel 1073. Più volte distrutto e ricostruito nel cor-so dei secoli, oggi appare più come un castello che come un monastero. La chiesa abbaziale, a croce latina, è stata quasi interamente ricostru-ita nella seconda meta del XVI se-colo e internamente affrescata dal

L’Iconografia di s. Lorenzo in terre lontane

S. Lorenzo vescovo e s. Michele in una cinquecentesca tela custodita a Passignano

Alberto Cavallini

Passignano e da Alessandro Allori. Ho avuto modo di visitare recente-mente questo monastero dedicato a s. Michele e nella parete destra del-la cappella maggiore mi sono imbat-tuto in una grande tela di Domenico Cresti, pittore cinquecentesco, detto, appunto per la sua origine, il Passi-gnano, che diresse i grandi lavori di restauro e conservazione della chie-sa abbaziale dal 1598 al 1602. Ed è proprio a tale periodo che si deve la grande tela posta sul lato destro del-la cappella maggiore che raffigura in mirabile sintesi le due apparizio-ni di s. Michele al Monte Gargano e al s. Vescovo Lorenzo.Come da diversi anni, in occasione della festa di s. Lorenzo vescovo di Siponto, propongo un’inedita notizia ai nostri lettori.I due personaggi centrali della gran-de tela detta “delle storie di s. Miche-le” sono certamente da una parte l’Arcangelo, pesatore di anime, reg-ge infatti in mano la bilancia, che dal cielo indica al santo vescovo Lorenzo di salire sul Monte Gargano, e il no-stro santo vescovo che, raffigurato in primo piano e in ginocchio, ascol-ta attento le parole dell’Arcangelo. Sullo sfondo è raffigurato il golfo e il nudo sasso del Gargano con la ca-verna angelica ed il toro che fugge. Tutto intorno sono rappresentati tan-ti sipontini che ammirati contempla-no l’evento e che processionalmen-te si recano per la prima volta, sotto la guida del vescovo Lorenzo, al sa-cro speco del Gargano per celebrare i divini misteri. E’ da segnalare che il personaggio raffigurato in alto a destra, vicino alla cornice, è l’auto-

ritratto dello stesso Passignano che nutrendo una grande devozione ver-so l’Arcangelo, volle immortalarsi in questa tela delle storie di s. Michele custodita nell’area presbiterale del-la chiesa monastica.Si tratta, insomma, di una imponen-te e suggestiva tela che ci testimonia ancora una volta come insieme alla Legenda garganica anche la figura e il culto di s. Lorenzo vescovo di Si-ponto, dalla nostra terra siano ‘vola-ti’ grazie ai pellegrini romei, in terre lontane dal nostro Gargano, in que-sto caso in terra toscana, tra le sug-gestive colline del Chianti, lungo la Via Francigena che dalle Alpi Apua-ne scendeva a Roma.

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017 [Cultura]

Un sentito ringraziamento per l’invito rivoltomi desidero porgere innanzitutto ai soci della Sezione di Manfredonia

della Società di Storia Patria per la Pu-glia che ha organizzato il Convegno Na-zionale di Studi su Siponto e Manfredo-nia nella Daunia, Nuova Serie, ed un sa-luto cordiale rivolgo agli illustri ricerca-tori qui convenuti, agli studiosi, al pub-blico presente. Sopraggiunti impegni pastorali, non mi consentono di presenziare all’apertura di questo incontro di autorevoli ricerca-tori delle Università di Foggia, Bari, Lec-ce, e della Società di Storia Patria per la Puglia, e tuttavia desidero essere pre-sente con una breve riflessione sull’im-portanza che oggi riveste lo scrivere e il pubblicare storie locali. Conosco da tem-po tanti dei relatori presenti, alcuni dei quali miei collaboratori di Curia, e con essi ho tante volte amichevolmente con-versato e condiviso l’esigenza di coltiva-re il senso dell’identità della comunità e del suo territorio, attraverso lo strumen-to della ricerca storica, indispensabile per la crescita di una cultura civica dif-fusa, cioè di una partecipazione sempre più viva e consapevole di una storia che ci identifica e di cui siamo portatori, non-ché dell’urgenza di trarre ispirazione e motivazioni, vocazioni e prospettive. Certamente il tema dell’identità locale, cioè di una coscienza collettiva di appar-tenenza a una comunità con una sua sto-ria e una sua identità, è di grande attua-lità, e proprio mentre cresce il fenome-no della globalizzazione nelle sue varie dimensioni economiche, sociali e cultu-

rali, assistiamo alla riscoperta del sen-timento dell’appartenenza a radici, alla patria locale, e occupiamo spazi cultu-rali opportuni per la riappropriazione di un’identità sulla base della nostra ap-partenenza territoriale. Oggi, con ama-rezza constatiamo che in regioni d’Eu-ropa si fomentano derive localistiche e nazionaliste che rischiano di compro-mettere il processo di riappropriazio-ne identitaria, perché sono indirizzate a una visione chiusa ed esclusivista, non aperta e consapevole dei necessari nes-si con altre identità o super-identità o an-che sub-identità, come invece è richiesto dalla complessità dell’esperienza stori-ca, specialmente in età contemporanea. Penso ai sempre più diffusi sentimenti di mancata accoglienza di tanti migran-ti, al mancato dialogo con chi ha una cul-tura diversa, alla paura infondata, alla anacronistica costruzione di muri e bar-riere, stigmatizzate da papa Francesco nella bolla di indizione del giubileo della Misericordia con le parole: “apriamo i no-stri occhi per guardare le miserie del mon-do, le ferite di tanti fratelli e sorelle priva-ti della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto, Le nostre mani stringono le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità” (Misericordiae Vultus n. 15) La fine delle grandi ideologie dell’Otto-Novecento ha aperto, o meglio riaperto, lo spazio utile per una riscoperta, anche in termini rin-novati, della funzione di riferimento del territorio come orizzonte esperienziale comune a generazioni diverse e come luogo e contesto di identificazione frater-na e accogliente. La storia identitaria lo-cale di cui si parlerà in questo Convegno su Siponto e Manfredonia nella Daunia, è primariamente quella della nostra co-munità che insiste su un proprio conte-sto territoriale, che possiede una memo-ria collettiva, un insieme di ricordi con-

Saluto dell’Arcivescovo al convegno su “Siponto e Manfredonia nella Daunia, nuova serie”, organizzato dalla Sezione di Manfredonia della Società di Storia Patria per la Puglia nei giorni 23 e 24 novembre 2016

Ricercare e scrivere di storia localeesige amore, rispetto, cultura e passione civile

divisi, ed anche una fede cristiana seco-lare con radici in età apostolica, un idio-ma con tratti fonetici e linguistici carat-teristici o almeno con inflessioni parti-colari nella parlata. Una tale identità lo-cale è forte e fragile nello stesso tempo. È forte perché radicata nella storia, frut-to di un passato che non è facilmente o almeno immediatamente cancellabile, e che è consegnato negli spazi urbani or-ganizzati secondo certe nostre modalità, in una certa viabilità, in una certa conti-nuità di produzione storico-economica, in un dialetto con particolari inflessio-ni, in tradizioni popolari, in un determi-nato sistema di potere locale e perfino in una certa tradizione di strategie familia-ri. Ma è anche fragile, perché un’identi-tà collettiva come la nostra, riposa essen-zialmente sulla coscienza di un comu-ne passato, su ricordi condivisi, su una memoria collettiva che, oggi, ahimè, ap-pare seriamente in pericolo, dal momen-to che le antiche modalità della sua tra-smissione non funzionano più, almeno non con la stessa efficacia di prima. C’è oggi il rischio – lo avvertiamo e lo vivia-mo tutti – di una rottura o discontinuità della trasmissione della memoria collet-tiva all’interno delle famiglie, dei grup-pi, della società. E se si perde tale memo-ria, l’identità cessa o comunque si altera, non si sviluppa in continuità. E se cessa il senso di un passato da cui si viene, più complicato diventa riuscire a guardare con fiducia a un futuro che possa essere di sviluppo, di crescita, di pari identità e dignità verso cui tutti senza distinzio-ni siamo incamminati. È, perciò, davve-ro paradossale constatare come nel mo-mento in cui si fa più avvertita l’esigen-za di riscoperta dell’identità locale, si mi-surano maggiormente i rischi che la mi-nacciano. Ma è proprio questa la situazio-ne provocata dal più ampio quadro della cosiddetta globalizzazione che ha mille sfaccettature: dal non dialogo all’egocen-trismo sfrenato. Mai come oggi, possia-mo sperimentare che il coltivare il senso dell’identità locale sia un’operazione mol-to complessa e delicata e che, in ogni ca-so, esige amore, rispetto e cultura. Amo-re al proprio luogo e alla propria comu-nità, rispetto della memoria collettiva fi-no a respingere le facili tentazioni di in-terventi finalizzati a integrarla o correg-gerla, amore per la cultura come capacità di coniugare la consapevolezza del passa-to e del suo significato con l’attenzione al presente e la speranza operosa per un fu-turo migliore. Se oggi incontra molto in-teresse la produzione storica sulle vicen-de della nostra comunità locale e del ter-ritorio circostante, è necessario che essa si ispiri a un tale amore, a un tale rispet-to e a una tale cultura, se vuole contribu-ire davvero al dinamico processo di “co-struzione” dell’identità locale attraver-so la trasmissione della memoria collet-

tiva. Chi scrive la storia di una comuni-tà locale non deve proporsi altro che di offrire un sostegno alla memoria collet-tiva e nient’affatto di sostituirsi ad essa, magari cercando rozzamente di manipo-larla o adulterarla. Operazioni storiogra-fiche non rispettose della memoria collet-tiva, pur messe in atto con intenti buoni, hanno il respiro corto, non giovano ve-ramente alla comunità locale e alla co-scienza della sua identità. Naturalmen-te il confronto dello storico – che non può non lavorare sui documenti – con la me-moria collettiva, implica una sorta di ve-rifica, richiede che la memoria collettiva venga messa al vaglio della più rigorosa ricostruzione storica. Lo storico locale, inoltre, colloca il per-corso storico attestato dalla memoria col-lettiva nel quadro più ampio degli avve-nimenti sopralocali, delle vicende nazio-nali e sopranazionali. E in tal modo per-mette all’identità locale di pensarsi in un rapporto di collegamento e di apertura alle altre identità. La profonda suggestione del cristianesi-mo ha disseminato la nostra terra di ma-nifestazioni devote: la basilica di Sipon-to, il santuario arcangelico, le chiese, gli eremi, le abbazie, le edicole… che oltre l’evidenza delle opere pur pregevoli ed uniche rivelano una fede viva che le ha animate, e continua ad animarle, e che rendono consapevoli di un’appartenen-za culturale che è religiosa e civile insie-me, tanto radicata è la condivisione. Agli storici è imposto di trasmettere, nonché di accrescere l’attenzione anzi l’amore, verso questa preziosa eredità di elementi culturali, materiali e non che sono segni di una ricchezza che i millenni hanno accumulato, caricando la nostra comu-nità di una responsabilità tanto grande da far sì che la sua civiltà potesse soste-nersi e radicarsi allo spirito di comunità,

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7[Cultura]

Mimmo Delle Fave

P R O G E T T O S A N T ’ A N N A : un racconto...un’identità...

È questo il titolo apparso sul-la locandina che annuncia-va lo scorso 28 dicembre la visita guidata, organiz-

zata da Domenico Sergio Antonac-ci, guida turistica della Regione Pu-glia, alla diroccata chiesa rupestre di Sant’Anna. L’iniziativa, uno dei tanti appuntamenti similari tenuti-si nel mese di dicembre, ha fatto par-te del Progetto ideato da Pina Allog-gio, archeologa e guida turistica del-la Regione Puglia, “The Monuments People”, le Guide Turistiche di Puglia per il Patrimonio Culturale di Ama-trice. Il ricavato della visita è stato destinato al restauro di alcune ope-re del Museo Civico “Cola Filotesio” di Amatrice.Ci si è ritrovati al mattino nella cen-trale Piazza del Popolo da dove si è iniziato il cammino a piedi di quat-tro chilometri per raggiungere la Chiesa di Sant’Anna, nella omonima

Contrada. Solo venti persone vi han-no partecipato, tra cui due bambini, provenienti da Carpino, Foggia, San Giovanni Rotondo, Vieste, Peschici e Ischitella, ma tutte interessate.Lo scopo principale della giornata è stato quello di focalizzare e sensibi-lizzare l’attenzione della popolazio-ne sulla chiesetta da decenni diroc-cata ed abbandonata e su un pezzo di storia e tradizione religiosa di Carpi-no ormai dimenticata. Domenico Sergio Antonacci ci ha tra l’altro detto che “...Il “Proget-to Sant’Anna” è nato quale proget-to immateriale per il recupero della memoria collettiva e per far matura-re un più genuino senso di identità e appartenenza. Come con tutto, si co-mincia dalle cose semplici per cono-scere e prendere coscienza del pro-prio territorio... Lavorando ogni giorno per il nostro

to, una stella rossa a cinque punte. La chiesa fu costruita agli inizi del 1700 in quanto il 26 Luglio 1736 fu dedicata ai Santi Anna e Gioacchino da parte dell’arcivescovo di Manfre-donia mons. Marco Antonio De Mar-co, in occasione della sua visita pa-storale a Carpino. Fino al furto del venerato quadro, ogni 26 luglio, si svolgeva davanti alla chiesetta e nei campi antistan-ti, una tradizionale e partecipata fe-sta popolare con messa, pranzo cam-pestre, canti, giochi e balli.

Car

pino

Alla fine degli anni ‘60 dello scor-so secolo ignoti rubarono sacrilega-mente nella chiesa di campagna de-dicata a s. Anna il dipinto, un olio su tela di buona fattura settecente-sca, raffigurante s. Anna con s. Gio-acchino, la Madonna con in grem-bo il Bambino Gesù e alle spalle s. Giuseppe. Il dipinto era posto sopra l’altare di stile barocco, sormontato da due colonne vitinee che lo incor-niciavano, con ai lati un’arma gen-tilizia che presentava su campo az-zurro una banda rossa trasversale da sinistra a destra e, a destra in al-

Patrimonio Culturale, non possiamo far altro che impegnarci a dare il no-stro contributo per la salvaguardia dei nostri beni storico-artistici che, ci preme ricordarlo, sono Patrimonio della Collettività...”.

La visita è poi terminata alla vicina, interessante e immensa “Masseria del Piano”, altra contrada dell’agro di Carpino confinante con quella di Sant’Anna, di epoca Federiciana, ma anche questa abbandonata.

un sogno...

rendendola nel contempo gelosa custode di questi suoi segni d’identità.Se la modernità sta erodendo gli aspetti della “armonia delle intelligenze” e del “consenso delle volontà” con la rimozio-ne del senso comunitario e l’accentua-zione della conflittualità, per cui l’eti-ca cede all’estetica, la comunità reale a quelle virtuali, le intelligenze e le volon-tà sono spinte lontano dal bene comu-ne, e in presenza di una società instabi-

le che produce beni effimeri per cui so-stanziale è l’incomprensione verso i be-ni storici, monumenti-documenti, che te-stimoniano la grandezza d’animo dei pa-dri, lo sforzo di testimoniare il grado di civiltà, l’onore dell’altruismo e della co-munità, il valore della continuità, l’aiuta-re ad attraversare i deserti dell’omologa-zione con amorevole attenzione è uno dei compiti odierni della Chiesa, degli stori-ci, delle agenzie educative. Malgrado gli stravolgimenti epocali che stiamo viven-do, auspico vivamente quel positivo mo-to di orgoglio che richiami alla memoria le nostre radici e la nostra storia facen-doci nel contempo superare l’ipnosi del-la stasi del cosiddetto “attimo fuggente” per proiettarci con speranza e realismo verso il nostro futuro.Un’ultima considerazione mi sia per-messa, anche in forza del mi ministero di Arcivescovo della Chiesa Sipontina e Garganica. Mi rivolgo a storici che si oc-cupano di storia locale in cui ha avuto

una parte determinante la presenza del-la Chiesa e i cui libri sono, di fatto, ri-costruzioni delle vicende delle comuni-tà ecclesiali locali, testimonianze di vita di singoli e comunità, illustrazione degli edifici di culto, valorizzazione di prodot-ti dell’arte cristiana. C’è indubbiamen-te un legame storico continuo e profon-do tra la Chiesa e le comunità gargani-che che voi studiate. Ma c’è anche un le-game per così dire di principio. La Chiesa ha sempre difeso, incoraggia-to, interpretato la vita delle comunità lo-cali. Nella storia di tutto l’Occidente eu-ropeo, spesso, l’identità cristiana è stata alla base dell’identità di una città, di un territorio, di una regione. In tempi più recenti, il movimento cattolico ha ripre-so alcuni tratti della tradizione cristiana di rapporto stretto con le comunità loca-li, sviluppandosi largamente intorno al-la dimensione municipalista. Su questa strada, ancora oggi è possibile sperimen-tare forme positive di sinergia tra iden-

tità cristiana e identità locale, intesa co-me articolazione imprescindibile dell’i-dentità civile. Senza dire che, per la tra-dizione della Chiesa, il radicamento nel-la località non esclude, ma anzi postula un allargamento alla dimensione univer-salistica del cattolicesimo. Sempre nel passato la Chiesa è riuscita a “mettere in rete” – per usare un’espressione oggi di uso corrente – realtà locali e a far inte-ragire fruttuosamente le diverse identi-tà, suscitando energie e promovendo col-laborazioni. È quanto la Chiesa Universale e la Chie-sa Locale han fatto e fanno anche oggi in tanti e diversi modi. Auguro, dunque, un proficuo lavoro a tutti i ricercatori e stu-diosi convenuti, che saluto cordialmen-te con sentimenti fraterni

+ Michele Castoro, arcivescovoManfredonia, 23 novembre 2016

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017 [Visita Pastorale]

La nostra Chiesa, sotto la guida dell’arcivescovo Michele, sta im-parando a percepire che il rinno-vamento profondo richiesto da pa-

pa Francesco tocca tutti gli aspetti della vita della Chiesa che si concretizza in una Chiesa che vive “in uscita”, chiamata a ripensare se stessa e gli strumenti che le sono necessari per un compito che ne de-

finisce l’identità. E’ una Chiesa che ripen-sa anche il suo “vocabolario”. E non è un caso che il lessico della Lettera pastora-le “Grande è la mia Gioia” e delle Linee Pastorali “Il sogno condiviso: Cristiani sulla soglia” dell’arcivescovo Michele, sia tutto incentrato su alcune parole-chiave co-me missione, uscita, sinodalità, miseri-cordia, gioia, Vangelo, tenerezza, accom-

VISITA pastorale

La quarta parrocchia che l’Arcivescovo va a visitare

pagnamento, annuncio, comunione, di-scernimento, giovani, famiglia, ultimi, poveri. Sono termini che messi uno accan-to all’altro esprimono il desiderio di dive-nire realmente missionari, aperti a tutti. E la Visita Pastorale appena iniziata, non c’è dubbio, incarna questo stile nuovo, aperto, dinamico, sinodale.

Mezzanone è una frazio-ne del Comune di Man-fredonia, posta nella pia-na del Tavoliere a circa 40

chilometri dal centro di Manfredonia e appena 10 da Foggia. Per la sua no-tevole distanza dal comune capoluo-go, questa frazione è considerata co-me “particolare”. Già da anni, invero, è stata avanzata a Manfredonia l’ipo-tesi di uno scorporo del territorio del Borgo dal Comune, ma la questione po-co affrontata politicamente, è stata so-lo trattata dai media. Il Borgo è stato fondato dal Fascismo nel 1934 a seguito della bonifica agra-ria condotta in quegli anni dal Regi-me, e all’inizio poteva ospitare 700 abi-tanti, tutti braccianti agricoli; il nome originario del neonato borgo fu Borgo La Serpe in ricordo del defunto giovane fascista cerignolano Raffaele La Ser-pe. Borgo Mezzanone, lasciata la de-nominazione voluta dal Fascismo con-serva oggi il toponimo originario del-la località.Nella frazione risiedono, secondo i da-ti del Comune, 433 abitanti, dei qua-li 226 sono maschi e i restanti 207 femmine. Vi sono complessivamente 151 famiglie residenti, per un numero complessivo di 433 componenti. Mancano a Borgo i servizi socio-isti-tuzionali e molto forte è la domanda di servizi sociali intesi come luoghi di dialogo e opportunità di incontro. L’au-tobus n. 24 dell’ATAF di Foggia è l’uni-co mezzo di collegamento per raggiun-gere Foggia e da qui Manfredonia.Per la sua natura di borgo rurale, il piccolo centro è sempre stato legato al-le attività agricole del Tavoliere. Da al-cuni anni è una delle tappe obbliga-te delle traiettorie del lavoro agricolo in Puglia per migliaia di migranti co-stretti, come altrove, a vivere all’inter-no di ghetti istituzionali o spontanei. Oltre i dati ufficiali, demograficamen-te a Borgo c’è una compresenza, in po-chi chilometri quadrati, di molti mi-granti che vivono nel CARA, il Centro di accoglienza per richiedenti asilo a gestione governativa, il terzo per di-

San Menaio è un piccolo bor-go balneare in cui risiedo-no circa 193 abitanti, situa-to a circa 7 km da Vico del

Gargano, di cui è frazione, lungo la costa settentrionale del promontorio del Gargano, all’interno dell’omoni-mo Parco Nazionale. Il piccolo cen-tro turistico, posto sul mare tra le lo-calità di Rodi Garganico (distante solo 5 km) e Peschici (distante cir-ca 10 Km), si sviluppa in una zona ricca di pinete e aranceti. La limpi-dezza delle acque è divenuta ormai leggendaria su questo tratto di co-sta e questo attira ogni anno un ele-vato numero di turisti. Proprio con la sue spiagge - Calenella, Tufare o dei Cento Scalini, s. Menaio, Murgia della Madonna - attrezzate con lidi e servizi di ogni genere, San Menaio ha contribuito in modo rilevante al-lo sviluppo del turismo sul Gargano già dagli anni ’50, rendendo la fra-zione il fulcro dell’economia locale, insieme alla produzione di un eccel-lente olio extravergine di oliva e a una consistente attività agricola.L’abitato di San Menaio è adagiato lungo il percorso settentrionale del-la statale Garganica, stretto tra l’A-driatico e le pendici del Promontorio ed è attraversato dalla ferrotramvia locale San Severo-Peschici a binario unico, si sviluppa per circa 3 chilo-metri lungo la costa dalla contrada Murge Nere alle contrade Valazzo e Pineta Marzini.

Torre dei PrepostiDetta anche “dei Doganieri” è una fortificazione affacciata sul mare con funzioni di difesa e di dogana, intorno ad essa si è sviluppato il pri-mo nucleo del centro abitato fatto da case di pescatori e contadini. Costru-ita probabilmente nel medioevo, fu rinforzata nel 1569 a difesa delle co-ste dell’Adriatico meridionale per contrastare le continue incursioni saracene. La torre spezza la lineari-tà del lungomare rappresentando l’e-

La quinta parrocchia che l’Arcivescovo va a visitare

mensioni in Italia, situato ad un chi-lometro dalla borgata, ed in varie al-tre enclave Rom sparse nelle campa-gne collocate intorno a Borgo (contra-da Melfignana, località cinque bivi, …) che nei mesi estivi superano il miglia-io di unità. Infine, in una baraccopo-li che sembra catapultare in altre epo-che o in altre latitudini chi vi giunge, vivono 800 bulgari che lavorano come braccianti nella raccolta del pomodoro. Per più della metà si tratta di bambini.Questa massiccia presenza di migran-ti ha comportato, nel corso degli anni, episodi di tensione dovuti alla scarsa possibilità di accoglienza offerti dal territorio, alla mancanza di alloggi ri-spettosi di requisiti igienico-sanita-ri, alla “diffidenza” di alcuni residenti che si sentivano “invasi”, alla mancan-za di dialogo interculturale.Importantissima è, dunque, l’opera della parrocchia che ha istituito un im-portante Centro di prima accoglien-za per immigrati, che comprende: la “Casa Speranza”, centro di accoglienza per immigrati di passaggio, uno spor-tello Caritas per servizi di orientamen-to e informazione ai migranti, un ser-vizio di distribuzione di alimenti e ve-stiario, un servizio doccia-bagni, un servizio sanitario, l’ospitalità nel pe-riodo estivo di circa cinquanta ragaz-zi provenienti da diverse parti d’Ita-lia, impegnati nella partecipazione al campo ‘Io ci sto’ organizzato dai padri scalabriniani di Siponto.

La parrocchia di Borgo Mezzano-ne, dedicata a s. Maria del Grano e a s. Matteo apostolo, è stata canonica-mente eretta nel 1947. La chiesa par-rocchiale è stata costruita nel 1934 ed è stata dedicata l’8 dicembre 2005.Dal 19 novembre 2015 ne è ammini-stratore parrocchiale il sac. Stefano Mazzone, vicario generale dell’arci-diocesi, collaborato dal vicario par-rocchiale p. Abel Tissou, camilliano.

La santa Visita alla parrocchia s. Maria del Grano e s. Matteo si svol-gerà dal 26 al 29 gennaio 2017

lemento di collegamento tra il nucleo storico di San Menaio e l’elegante zo-na residenziale di più recente costi-tuzione detta Murge Nere per via del-la presenza di due grandi monoliti di roccia scura affioranti dal bagna-sciuga.

La parrocchia di s. Antonio di Pa-dova è stata eretta canonicamente nel 1940. La chiesa è stata costruita nel XVIII secolo. Dall’ottobre del 2010 è parroco il p. Matteo Ciavarella dell’ofm cappuccini.Nel territorio parrocchiale vi so-no tre altre chiese, la prima dedica-ta a s. Michele in collina, s. Maria della Difesa alla contrada Valazzo, e s. Francesco dei Frati Cappuccini (1980).

La santa Visita alla parrocchia s. Antonio di Padova si svolgerà dal 9 al 12 febbraio 2017

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Uno studio su s. Pascasio, eremita sul GarganoAlberto Cavallini

[Libri]

le, proprio per quella sua austerità di vita, fu di certo modello ispiratore, o forse me-glio, ‘padre’ di molti altri monaci eremiti vissuti sul nostro Gargano, primo fra tut-ti s. Giovanni Pulsanese che fu insuperato maestro di vita per tanti uomini e donne, affascinati proprio dalla vita ascetica con-dotta sul colle di Pulsano agli inizi del XII secolo, e raccolti, poi, nella Congregazione dei Poveri Eremiti Pulsanesi, noti come gli Scalzi. Insomma, l’approccio alla figura di Pascasio monaco ed eremita, non può non passare attraverso questa attenta selezio-ne e analisi di testi che, acutamente letti e interpretati, dipanano e illustrano la figura di questo ‘sconosciuto’ santo personaggio altomedioevale. Un grazie, allora, va all’a-mico Marco Trotta per aver saputo dipana-re le nebbie dell’oblio dei secoli che avvol-gevano il santo eremita con uno studio ap-passionato e avvincente. Anche se s. Pascasio, oggi, è completa-mente sconosciuto sul nostro Gargano, de-vo tuttavia ricordare che la sua memoria è ancora inserita nel calendario liturgico edi-to ogni anno dai monaci dell’abbazia di Pul-sano, alla data del 1° febbraio, dies natalis del nostro s. Pascasio, così come tramanda-toci dall’antico Martirologio di Pulsano.

è stata l’officina. È però nel niente di Bar-biana, di cui don Milani diviene Priore nel 1954, che si compie il suo “miracolo”, quel

niente che egli ha fatto fio-rire e fruttificare prenden-dosi cura degli esclusi e de-gli emarginati. Un libro straordinario e commovente in cui Ge-sualdi, che ha vissuto in ca-sa con don Lorenzo tutto il periodo di Barbiana, apre il suo cuore e ci svela il ve-ro volto di don Milani: un prete, un maestro, un uo-mo, un “padre” che ha fat-to del suo sacerdozio un do-no ai poveri.

MICHELE GESUALDI è stato uno dei primi sei “ragazzi” per i quali don Lorenzo Milani organizza in canonica di Barbiana la scuo-la nel 1956. Dopo Barbiana, Gesualdi ha fatto il sindacalista a Milano e a Firenze come segretario generale CISL. Per due le-gislature è stato presidente della Provin-cia di Firenze dal 1995 al 2004. Al termine dei mandati amministrativi è ritornato sul-le sue colline di Barbiana in Mugello. Oggi è presidente della Fondazione Don Loren-zo Milani. Da sempre porta avanti la sua opera di ricerca, raccolta e tutela della do-cumentazione riguardante don Milani e la sua scuola che ha curato e ordinato in di-verse pubblicazioni. Per le Edizioni San Pa-olo ha pubblicato le Lettere di don Lorenzo Milani Priore di Barbiana (2007) e «Perché mi hai chiamato?» (2013). a cura della EDITORIALE SAN PAOLO S.R.L. Via Giotto, 36 - 20145 Milano (MI)

Michele Gesualdi – Don Lorenzo Milani, l’esilio di Barbiana - pp. 256, rilegato con sovraccoperta, 16 euro – Edizioni s. Paolo

Chi è questo s. Pascasio? E perché il suo permanere sul Gargano? So-no le due principali domande che, inevitabilmente, il lettore attento

si pone mentre si appresta a leggere il di-ligente studio dell’amico Marco Trotta che con questa sua indagine su Pascasio, un santo eremita nel Gargano altomedioe-vale, edito nel numero LXVIII dell’Archivio Storico Pugliese, ci prende quasi per ma-no e ci porta a ritroso nel tempo attraverso una magistrale lettura di fonti, notizie, do-cumenti e testi, dagli Acta Sanctorum alla Vita di s. Giovanni Pulsanese, al Martirolo-gio di Pulsano, ai Codici agiografici raccol-ti dal Gielemans, agli Annali Camaldolesi, fino a Cavaglieri, Sarnelli, Bacco.Venuto dalla lontana Irlanda per vivere all’ombra del santuario micaelico del Gar-gano, luogo “ubi fideliter Deo possit servi-re” , come ci riporta il Sanctilogium di Giel-mans del 1472, questo santo personaggio, ispiratosi a quel perfetto modello di vita cri-stiana allora assai in auge, ha esemplifica-to e condotto sulle balze desertiche del ter-ritorio della città di Monte Gargano, una vita monastica tutta improntata all’eremi-tismo, fatta di preghiera, digiuni, veglie, ascolto e ruminazione della Parola, non di-

sai venerato nei monasteri del nostro Gar-gano e non solo. Vengono ricordati nello studio di Marco Trotta “i luoghi garganici di Pascasio”, da s. Pasquale alle falde del monte Turmite, dominante la piana di Mac-chia Posta, alla città di Monte Sant’Ange-lo che custodisce il millenario santuario micaelico, al protomonastero di Pulsano. Nell’avvicendare dei secoli e molto verosi-milmente proprio da Pulsano, ove fu dap-prima sepolto, le reliquie del suo corpo fu-rono traslate per volontà di Manfredi di Svevia dapprima in Lesina e poi in Napoli nella basilica ss. Annunziata, da dove fu-rono definitivamente disperse nel 1757 a seguito del grave incendio che distrusse nottetempo la bella chiesa napoletana, ri-costruita poi dal Vanvitelli.E proprio dall’intelligente studio delle fon-ti il nostro autore trae una davvero argu-ta ipotesi su questo santo eremita, il qua-

menticando di frenare la concupiscenza della carne e di amare le sante vigilie, fi-no alla morte, per poter dire con s. Paolo “di null’altro mi glorio se non della Croce di Cristo”. Dunque, una vita di preghiera e penitenza quale specifica scelta di vita condotta da questo monaco irlandese che ha avuto un prestigio spirituale non indif-ferente sul nostro Gargano, anche se stu-di recenti, pur ricchi di fonti letterarie la-tine ed irlandesi, lo hanno ignorato. Egli fa parte di quella schiera di monaci peregrini, cioè oranti, che nell’alto Medioevo allonta-natisi dalla propria patria sono vissuti da stranieri in Italia presso monasteri o luo-ghi santi: il nostro s. Pascasio ha scelto il Monte Gargano ove ha speso il resto della sua esistenza all’ombra del santuario mi-caelico del Gargano come testimone della fede per molti.Pascasio venne subito dopo la morte as-

In occasione del cinquantesimo anni-versario dalla scomparsa di don Lo-renzo Milani (Firenze, 26 giugno 1967), le Edizioni San

Paolo propongono l’opera Don Lorenzo Milani – L’e-silio di Barbiana scritta da Michele Gesualdi, che ha vissuto assieme al Prio-re l’intera epopea di Barbia-na, scuola fondata nel 1956. La prefazione del volume è a cura di Andrea Riccar-di, storico e fondatore del-la Comunità di Sant’Egi-dio, mentre la postfazione è stata scritta da don Lui-gi Ciotti, ideatore delle as-sociazioni Libera e Gruppo Abele. Su don Lorenzo Milani è stato scritto mol-to. La sua figura, una delle più importan-ti della storia italiana del dopoguerra, ha scosso in profondità le coscienze e divi-so gli animi. Ma chi è stato davvero don Milani? A tale interrogativo vuole rispondere que-sto libro di Michele Gesualdi, presidente della Fondazione Don Lorenzo Milani ed ex presidente della Provincia di Firenze (1995 – 2004), che ha avuto l’opportuni-tà di crescere assieme al Priore di Barbia-na e di vivere in prima persona il suo “mi-racolo”. Dando voce alle vive testimonianze di quanti lo hanno conosciuto direttamente e basandosi anche sulle lettere del Priore, alcune delle quali inedite, Gesualdi rico-struisce il percorso che ha portato don Milani all’“esilio” di Barbiana. La sua narrazione prende il via dagli anni del Se-minario, senza tralasciare però il periodo in cui don Milani è stato cappellano a San Donato di Calenzano: se infatti Barbiana è stato il suo “capolavoro”, Calenzano ne

Parola di Dio, santi Padri, vita cri-stiana, sono i capisaldi che risuo-nano armonicamente nella Lettera Apostolica Misericordia et mise-

ra, che papa Francesco ha consegnato alla Chiesa nel giorno della chiusura del recen-te Giubileo. Nel titolo, tratto dal commento di s. Agostino alla pericope evangelica dell’adultera perdonata da Gesù (Gv 8,1-11), sono correlati i termini miseria/misericordia, cioè la figura della Misera donna accolta e sal-vata dalla Misericordia, il Maestro misericordioso. E Miseria e Misericordia sono paro-le che si intrecciano per la comune etimologia. S. Agostino nel suo Discorso 358/a sotto-linea che la Misericordia è la disponibilità a “caricarsi il cuore di un po’ di miseria al-trui”. E sottolinea: “La parola Misericordia deriva il suo nome dal dolore per il mise-ro. Le due le parole sono incluse in quel termine: miseria e cuore. Quando il tuo cuo-re è toccato, colpito dalla miseria altrui, ecco, allora quella è misericordia”. E tra i si-nonimi che s. Agostino usa per definire la “misericordia” c’è il termine commiseratio, l’a-vere pietà per i miseri, o meglio l’essere misero assieme ai miseri, il farsi misero tra gli altri miseri, il condividere lo stato di estrema povertà altrui. Il Dio della Misericordia di cui parla s. Agostino è quello biblico, i cui benefici il profeta Isaia diceva di voler sempre ricordare (miserationum Domini recordabor: Is 63,7). Ed in Cristo Gesù il Padre manife-sta ancora di più la sua tendenza a commuoversi, cioè a oltrepassare la propria trascen-denza, per entrare nella condizione del servo umiliato, dell’uomo più misero (Fil 2,6ss), del Maestro misericordioso. La Misericordia dice chi è Dio. Nella Lettera apostolica pa-pa Francesco sottolinea che Gesù, misericordiae vultus, deve trasmettersi attraverso l’e-sistenza di chi ha fruito della grazia del Giubileo, giacché, pur se chiuse le Porte sante di Roma e delle Chiese di tutto il mondo, devono rimanere aperti i cuori di noi credenti. In-somma, il Papa è come se mettesse il piede sulla soglia dei nostri cuori, come si fa quando si tenta di impedire che una porta si chiuda bruscamente per il vento, perché chi è stato “mi-sericordiato”, scrive il Papa, deve diventare a sua volta “strumento di Misericordia”.

Antonia Palumbo

“Misericordia et Misera” affinché la porta del nostro cuore non si chiuda

“Misericordia et Misera”, la lettera apostolica di Papa Francesco scritta per la conclusione del Giubileo Straordinario della Misericordia

Il Gruppo Editoriale San Paolo pubblica “Misericordia et Misera”, la lettera apostolica di Papa Francesco che raccoglie e sintetizza l’in-tera esperienza dell’Anno Santo appena concluso. Il volume, con in-troduzione esclusiva curata da mons. Rino Fisichella – Presidente

del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione e responsabile dell’organizzazione del Giubileo straordinario – e con indici e glossario curati da Giuliano Vigini - uno dei nomi più noti del mondo edi-toriale -, consta di pag 84 ed è disponibile in libreria al costo di 1,90 euro.

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Madre Clelia Merloni

Dopo aver appreso che il Pa-pa aveva firmato il decre-to di venerabilità della loro Fondatrice, la serva di Dio

Madre Clelia Merloni, le Suore Apo-stole del s. Cuore di Gesù che opera-no nell’ ospedale di S. Giovanni Ro-tondo, nato dal cuore di s. Pio, hanno vissuto un Natale ‘speciale’: la comu-nicazione della notizia tanto deside-rata e tanto attesa, perché tappa im-portante del processo canonico che sta riconoscendo la santità di Madre Clelia, ha portato una grande gioia nel cuore di tutte le Suore Apostole che ora desiderano condividere con tutti, certe che la loro Fondatrice in-tercede presso il Signore con le sue preghiere in particolare per le suore, gli ammalati, i bisognosi, i giovani.Dopo la dichiarazione di Venerabili-tà, breve è il passo verso la Beatifica-zione: allora la gioia delle Suore sarà ancora più grande e le Figlie di Ma-dre Clelia saranno ancora più fiere della loro Fondatrice che è stata co-me un piccolo chicco di grano che dopo essere stato sepolto e annulla-to, è rinato rigoglioso e vitale! Colei che amava definirsi ed essere consi-derata un “cencio di cucina”, ora sa-le silenziosa le scale della gloria de-gli altari!

Anche P. Pio da Pietrelcina sarà feli-ce per la notizia di venerabilità della Madre Clelia perché anche se i due santi personaggi non si sono mai conosciuti personalmente, tuttavia hanno intessuto tra loro un epistola-rio: entrambi avevano capito la reci-proca santità che possedevano e Ma-dre Clelia in un momento di gran-de difficoltà e sofferenza spiritua-le e materiale chiese consiglio a P. Pio che non si farà attendere nell’in-viarle risposte puntuali e illuminan-ti, ed infine chiedendole che le Suo-re Apostole dovessero essere presen-ti nell’Opera che stava nascendo nel suo cuore come una creatura nuova,

[Casa Sollievo e le Suore Apostole]

dichiarata dal papa venerabileSuor Michela Losito*

l’Ospedale Casa Sollievo della Soffe-renza, perché aveva capito la santità della Fondatrice Madre Clelia: è un magnifico esempio di come la san-tità si diffonde per attrazione e non per proselitismo. E a quanti vogliono imitala, Madre Clelia dona i suoi motti, autentici flash di luce e di vita: “ Dio solo!”, “Senza umiltà non ci può essere santità!”, confida nel Cuore di Gesù “unica nave che nessuna tempesta può far naufragare”, “E’ più gran-de chi sa farsi ultimo!”.La venerabile serva di Dio Madre Clelia Merlonia, toccata profonda-mente dall’esperienza del Cuore di

Cristo, si offrì totalmente a Lui, per diffondere nel mondo quell’ardore di fede e di carità che si era acceso in lei, e che la induceva ad amare Ge-sù sino alla croce, come risposta di amore a Colui che l’aveva amata per primo.

*superiora della Comunità delle Suore Apostole del S. Cuore di Gesù di Casa

Sollievo della Sofferenza

Comunicato della Madre generale delle Suore Apostole del S. CuoreCare sorelle, con grande gioia an-nunciamo che ieri, 21 dicembre 2016, alle ore 19,00, il santo Pa-dre Francesco ha firmato il decre-to di venerabilità della nostra Ma-dre Clelia Merloni, Fondatrice. E’ festa in cielo e sulla terra. Comuni-chiamo a tutti questa notizia del-la Venerabile Madre Clelia. Sem-pre nel Cuore di Gesù.

Le Apostole del Sacro Cuore di Ge-sù professano i Consigli evangeli-ci di castità, povertà e obbedienza. Nella consacrazione, nel carisma e nel servizio, le Apostole trovano for-za nell’Eucaristia, nella preghiera liturgica, comunitaria e personale, nel confronto con la Parola di Dio, nella sincera conversione persona-le e nella vita comunitaria, sotto la protezione della Vergine Maria. Lo stemma dell’Istituto indica e unifica nel motto paolino “Caritas Christi urget nos!” (2 Cor.5, 14) il carisma e la missione dell’Apostola: contem-plando il Cuore di Cristo ella attinge alle fonti del Suo amore ed è pronta a testimoniarLo ovunque con la pa-rola e con la vita.

L’Istituto delle Suore Apostole del Sacro Cuore di Gesù è stato fondato a Viareggio (Lucca) dalla venerabi-le serva di Dio Madre Clelia Merloni (Forlì 1861 – Roma 1930), il 30 Mag-gio 1894. Madre Clelia è stata una donna di grandi orizzonti, determi-nata nelle scelte, risoluta nel perse-guire i suoi fini, generosa nella ri-sposta alla chiamata di Dio di fon-dare una Congregazione dedicata al S. Cuore di Gesù. Tale convinzione era maturata in lei nella ricerca co-stante e risoluta di “Dio solo”, at-traverso la Croce, che è stata il sigil-lo di tutta la sua vita.

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uglia

Un nutrito gruppo di Medici Cattolici di Manfredonia, S. Giovanni Rotondo, Foggia e San Severo, è stato accolto da

mons. Vincenzo Pelvi, Arcivescovo di Foggia e Bovino, il quale, con stile for-temente familiare ed evangelico, ci ha attesi sulla porta dell’Episcopio. E’ sta-to ancora sempre Lui in persona a fa-re gli onori di casa, mettendoci a no-stro agio e servendoci con le sue mani, come un buon papà, dolci e bevande. Al piacevole incontro sono stati anche presenti i familiari del Dottor Cela e so-prattutto la Signora Dolores, alla qua-le l’Arcivescovo ha consegnato una per-gamena in ricordo del figlio Giovanni prematuramente scomparso. Nell’am-pia sala dell’Episcopio, l’Arcivescovo ci ha poi intrattenuti offrendoci una sem-plice ma profonda meditazione, duran-te la quale ha sottolineato l’importanza della testimonianza sia personale che ecclesiale concreta di ogni medico che si professa cattolico, nella quotidiani-tà e nel luogo dove vive e svolge il suo servizio. Nutrendosi della Parola di Dio e dell’Eu-caristia, egli servendo i malati, deve cercare di vivere e incarnare gli atteg-giamenti e i sentimenti del Buon Sa-maritano (Luca 10), il quale immede-simandosi nella situazione del malca-pitato lasciato mezzo morto sul ciglio della strada, si prese cura di lui, com-piendo gesti che forse solo un parente stretto ne sarebbe stato capace. Questo

SIGNIFICATIVO INCONTRO DELL’AMCI CON L’ARCIVESCOVO MONS. VINCENZO PELVI

padre Rosario Messina*

bilità operosa. Ogni volta che voi medi-ci medicate o consolate un fratello ma-lato, voi illuminati dalla fede curate e consolate Gesù in persona; e questo per ciascuno di voi avviene ogni giorno, du-rante le ore di servizio. Quale gioia e privilegio grande ha quindi il medico illuminato dalla fede, di curare amare e servire Cristo al letto dei malati. Da sacerdote Camilliano potrei som-messamente aggiungere quanto ripe-teva s. Camillo ai suoi figli infermieri mentre curavano le piaghe dei malati: “Beati e Felici Voi che avete una così buo-na occasione di servire Dio al letto degli infermi, con le mani dentro la pasta del-la carità! Beati voi se potrete essere ac-compagnati al tribunale di Dio da una lacrima, da un sospiro di questi poverel-li infermi”.Dopo la celebrazione eucaristica, attrat-ti sempre dall’affetto e confortati dal-la finezza e semplicità dimostrateci du-rante tutta la mattinata da Mons. Pel-vi, siamo stati da lui benevolmente ac-compagnati a visitare i vari locali del-lo storico Episcopio. Non bastando tan-ta finezza e disponibilità, l’Arcivescovo ci ha accompagnati fino al portone, sa-lutandoci singolarmente con gioia e al-legrezza grande, mentre tutti noi era-vamo felici e contenti di avere trascor-so una piacevole mattinata, all’insegna della più edificante e familiare ospita-lità.

*assistente dell’AMCI, sezione di Manfredonia

[AMCI]

In occasione dell’in-contro AMCI in Casa Sollievo della Soffe-renza durante il qua-

le il diacono don France-sco Armenti ha tenuto una meditazione sul Natale, la sezione AMCI di CSS ha presentato a mons. Miche-le Castoro il suo nuovo di-rettivo per il quadriennio 2017 – 2020:Dr. Antonio Facciorusso, Presidente Dr. Angelo Iacobellis, VicepresidenteDr.ssa Grazia Napolitano, SegretariaDr.ssa Maria Grazia Morritti, SegretariaDr. Gianfranco Callè, TesoriereDr. Michele Maggi, ConsigliereDr. Raffaele Russo, Consigliere.Don Giovanni D’Arienzo è Assi-stente Ecclesiastico della sezione dal

anonimo soccorritore poi, pur essendo un ateo e uno scomunicato come tutti gli altri samaritani, invece di passare oltre come avevano fatto il sacerdote e il levita, dai quali ci si sarebbe aspetta-to un comportamento più coerente con la fede che professavano, ebbe compas-sione di lui: si sentì cioè sconvolgere le viscere come se fosse stata la persona a lui più cara. Per cui, spinto da questa passione viscerale, si fermò: scese da cavallo, lo medicò con vino e olio, lo fa-sciò, lo caricò sul suo giumento portan-dolo in albergo, passò la notte accanto a lui e l’indomani, dovendo proseguire, versò un anticipo per l’ospitalità, lo affi-dò all’albergatore con questa calda rac-comandazione: “prenditi cura di lui e tut-to ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno”. Questo, ha concluso l’Arcivescovo, è il modello a cui deve ispirarsi ogni medi-co che si professa cattolico che testimo-

nia la sua fede non tanto quando prega o vive i momenti associativi, ma soprat-tutto quando testimonia la sua fede con gesti di carità concreta durante il ser-vizio di ogni giorno: “da questo vi rico-nosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri.” L’altro momento importante dell’incon-tro, lo abbiamo vissuto nella celebrazio-ne della s. Messa, presieduta dall’ Arci-vescovo e da me concelebrata nella chie-sa di s. Domenico, annessa all’Episco-pio. La Parola di Dio della terza Dome-nica di Avvento parlava della Gioia che deve vivere e testimoniare ogni creden-te, come clima più idoneo alla vicinanza con la Festa del Natale, ma anche in rap-porto al servizio che ogni medico cat-tolico presta agli infermi, membra vi-ve di Cristo. Nell’Omelia, l’Arcivescovo ha sottolineato che non può esservi ca-rità vera senza la gioia nel cuore che si esprime nella tenerezza e in una affa-

2012. Dal 2017 sarà affian-cato anche da suor Maria Lucia Esposto per l’anima-zione liturgica.

“L’AMCI, come anche i Gruppi di Preghiera, fanno parte dell’Opera Casa Sol-lievo della Sofferenza – ha ricordato Mons. Castoro – e all’AMCI è richiesto di es-

sere il pugno di lievito nella massa. Tanto più grande è la massa, tanto più ricco di fermento deve essere il lievito. Il lavoro dell’AMCI è gravoso, ma al tempo stesso esaltante. I Medi-ci Cattolici devono essere ‘antenne’ in grado di captare ciò che l’occhio non vede come le indigenze dei malati e degli operatori sanitari”.

L’AMCI è presente in Casa Sollievo della Sofferenza da circa 60 anni. Nel maggio del 1957 i Medici Cat-tolici organizzarono a Bari un Con-gresso nazionale. Nell’ultima gior-nata si recarono a San Giovanni Ro-tondo guidati da Mons. Angelini, a

quel tempo Assistente Ecclesiastico, e dal Prof. Gedda, Presidente dell’as-sociazione. Padre Pio li ospitò in Ca-sa Sollievo e recitò, per la prima vol-ta in pubblico, la “Preghiera del Medi-co” scritta da Papa Pio XII. Partì co-sì l’idea del Fondatore di creare una sezione dell’AMCI nella sua Opera e ne affidò l’incarico al Dr. Gusso che guidò per diversi anni la sezione. L’assistenza spirituale della sezio-ne fu mantenuta per molto tempo da Mons. Riccardo Ruotolo. I successo-ri del Dr. Gusso, alla guida della se-zione, sono stati il Dr. Nicola Silve-stri (dal 1996 al 2003), la Dott.ssa Lu-cia Miglionico (dal 2004 al 2012), il Dr. Antonio Facciorusso (dal 2013 al 2016). La sezione oggi conta 111 so-ci tra ordinari ed aggregati.

Alla sezione AMCI di CSS ed al suo nuovo Direttivo l’augurio di conti-nuare a Testimoniare la Fede guidati dallo Spirito di s. Pio da Pietrelcina.

*presidente AMCI – Sez. CSS

Il 4 gennaio scorso è scaduto il primo quadriennio di Presiden-za Regionale di Lucia Miglioni-co. A Bari l’abbiamo tutti convin-

tamente acclamata per un altro qua-driennio e Lucia, commossa, ha ac-cettato nuovamente questo SERVIZIO chiedendo e ottenendo il supporto di 3 giovani autorevoli Presidenti di Se-zione - Facciorusso, Agostini e Palum-bo – in qualità di Vicepresidenti. Certamente questo nuovo STAFF nel prossimo quadriennio sarà il MEGLIO per l’AMCI Pugliese. Sì perché come sappiamo tutti l’Essere è preliminare al fare e Lucia nel Suo Servizio a 360 gradi con Peppino, suo marito anch’egli medico, è per noi tut-ti senso di appartenenza, te-stimonianza coerente, forma-zione adeguata.Come l’esempio dei nostri Maestri ci insegna, a partire dal Presidente Na-zionale, è la Persona che rende gran-de il Ruolo di Servizio che presta e non viceversa. Auguri, allora, di buon lavoro alla Presidente Regiona-le e ai validissimi Vicepresidenti.

*presidente AMCI Manfredonia

Antonio Facciorusso*

Rinnovato il Consiglio Direttivo dell’AMCI, Sezione Casa Sollievo della Sofferenza

Grazie a Lucia Miglionico Riconfermata

presidente regionale AMCI

Pino Grasso*

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5 febbraio 2017: Giornata per la vitaPrendersi cura dei piccoli e degli anziani

di sapienza. Lo ricorda la Scrittura: “Non trascurare i discorsi dei vec-chi, perché anch’essi hanno impara-to dai loro padri; da loro imparerai il discernimento e come rispondere nel momento del bisogno” (Sir 8,9). Non di rado i nonni sono i primi e più incisivi catechisti.Celebrare la Giornata per la vita significa tenere insieme le gene-razioni all’interno della famiglia: nonni, genitori, bambini. In un contesto di forte individuali-smo, caratterizzato dall’autonomia assoluta, la famiglia ricorda che tut-ti siamo inseriti in un contesto di re-lazioni. La famiglia è antidoto alla società del profitto perché vive rap-porti all’insegna della gratuità. Pro-prio gli anziani insegnano ai gio-vani, troppo innamorati di sé stes-si, che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Bambini e anziani rappre-sentano i due poli del-la vita, ma sono i più vulnerabili, spesso i più dimenticati.Una società che ab-bandona i bambini e che emargina gli an-ziani recide le sue radici e oscura il suo futuro. Lo ricordava tempo fa il Santo Pa-dre: “Ogni volta che un bambino è abban-donato e un anziano emarginato, si compie non solo un atto di in-giustizia, ma si sanci-sce anche il fallimen-to di quella società” (udienza al Pontificio Consiglio per la fami-glia, 25 ottobre 2013).

[Educare alla Vita]

‹‹Oggi l’Istat, nel rapporto su Natalità e fecondità del la popola z ione residente, è tornato

a dare l’allarme sul crollo della natalità: abbiamo 17mila nascite in meno r ispetto al dato già preoccupante dello scorso anno. Il crollo demografico sembra non appassionare la politica, ma se

Antonia Palumbo

perché è un’emergenza oggettiva. «Come se non bastasse aggiungiamo che 8,3 nati su 100 hanno una madre ultraquarantenne. Insomma: i figli sono pochi e arrivano anche fuori tempo massimo. Cosa deve accadere ancora? Vogliamo ritrovarci qui il prossimo anno ad analizzare dati ancora più negativi? Perfino l’Oc-se, nel nuovo Economic Outlook, ti-ra le orecchie all’Italia per la qua-le “dovrebbe essere prioritario un programma nazionale mirato per contrastare la povertà delle fami-glie con bambini”. «Lo ripetiamo da tanti anni: abbiamo bisogno

di politiche fiscali a dimensione familiare» conclude De Palo. «Se oggi fare un figlio è diventata una delle prime cause di povertà, come possiamo pensare di invertire questa tendenza?»

Daniele Nardi , Capo ufficio stampa Fo-rum delle associazioni familiari

Lungo Tevere dei Vallati 10, 00186 Roma – tel. 06.6830.9445 – fax 06.6821.0027

mettessimo tutte le energie che stiamo mettendo su questioni ideologiche che spaccano il Paese, su questo tema forse riusciremmo ad invertire questa tendenza». Queste le parole di Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari.«Meno bambini oggi vuol dire il crollo del sistema pensionistico e il collasso del sistema sanitario domani. Cosa stiamo aspettando? Tra l’a lt ro la r icerca di una soluzione per invertire questo crollo demografico è un argomento capace di unire tutto il Paese, al di la dei partiti o dalle visioni ideologiche

ta in diritto. Il desiderio di un figlio ha condotto a un superamento del-la famiglia e, ancora di più, al supe-ramento della complementarietà tra l’uomo e la donna. Il figlio del desi-derio ha un futuro condizionato: può essere rifiutato, deve essere all’altez-za delle aspettative. Ben diverso è l’amore; è la promessa che un uomo e una donna fanno a un figlio, impe-gnandosi per lui in modo incondizio-nato sin da quando è più indifeso.Custodire la vita umana nascente è un atto di fiducia verso il futuro.Ai bambini si affiancano, forse più che in passato, i nonni. Ciò è dovuto al fatto che gli anziani devono occu-parsi dei più piccoli assistendoli, ac-compagnandoli, curandoli, quando i genitori sono impegnati. L’affianca-mento non è solo una necessità, ma è anche una complementarietà. I bam-bini sono il futuro, gli anziani sono la memoria della vita. Sono maestri dell’essenziale: trasmettono ciò che hanno acquisito nella loro lunga vi-ta e lo donano come un concentrato

DenatalitàFare un figlioin un paese a nascite sottozero

Il messaggio del Consiglio permanen-te Cei per la 39ª Giornata nazionale per la Vita che si celebrerà domenica 5 febbraio 2017 si intitola “Donne e uomini per la vita nel solco di San-ta Teresa di Calcutta”.Avere cura di nonni e bambini - sot-tolineano i Vescovi - “esige lo sforzo di resistere alle sirene di un’economia ir-responsabile, che genera guerra e mor-te. Educare alla vita significa entrare in una rivoluzione civile che guarisce dalla cultura dello scarto, dalla logica della denatalità, dal crollo demografi-co, favorendo la difesa di ogni persona umana dallo sbocciare della vita fino al suo termine naturale”.

Ed ai sogni dei bambini fa ri-ferimento il messaggio per la prossima Giornata per la Vita. Non è una deriva poe-

tica. Che cosa sognano i piccoli? In genere quello che promettono loro i grandi: una bella giornata, un pre-mio, una gita insieme, un momen-to di festa. Oltre a questo, gli adulti sono in grado di promettere ancora qualcosa di più grande, qualcosa che accompagna i bambini, infondendo in loro sicurezza nella vita. Quando i genitori fanno venire al mondo un figlio, gli promettono accoglienza e cura, vicinanza e attenzione, fidu-cia e speranza, tutte promesse che si possono riassumere in un unico impegno: l’amore. Papà e mamma, accogliendo un figlio, promettono a lui amore, cura, stabilità, attenzio-ne. Questa promessa non può esse-re tradita, perché i figli ne hanno bi-sogno per guardare con speranza al loro domani. Oggi le cose sembrano cambiare perché prevale il deside-rio, quello che facilmente si tramu-

Invece, prendersi cura dei piccoli e degli anziani è una scelta di civiltà. Ed è anche il futuro, perché i picco-li, i bambini, i giovani porteranno avanti quella società con la loro for-za, la loro giovinezza, e gli anziani la porteranno avanti con la loro sag-gezza e la loro memoria. “Com’è bello sognare con le nuove ge-nerazioni una Chiesa e un Paese ca-paci di apprezzare e sostenere storie di amore esemplari e umanissime, aperte a ogni vita, accolta come dono sacro di Dio anche quando al suo tra-monto va incontro ad atroci sofferen-ze; solchi fecondi e accoglienti verso tutti, residenti e immigrati”. È un pas-saggio del Messaggio del Consiglio permanente Cei – dal titolo “Don-ne e uomini per la vita nel solco di Santa Teresa di Calcutta” – per la 39ª Giornata Nazionale per la vita. Santa Teresa, ricorda il testo, “c’in-

segna ad accogliere il grido di Gesù in croce: ‘Nel suo ‘Ho sete’ (Gv 19,28) possiamo senti-re la voce dei sofferen-ti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’acco-rata supplica dei pove-ri e dei più bisognosi di pace’. Gesù è l’Agnello immolato e vittorioso: da Lui sgorga un ‘fiu-me di vita’ (Ap 22,1.2), cui attingono le storie di donne e uomini per la vita nel matrimonio, nel sacerdozio o nella vita consacrata religio-sa e secolare”.

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In occasione della festa per la Santa Famiglia di Nazareth, il 30 dicem-bre u.s., l’Ufficio di Pastorale fami-liare della nostra Diocesi ha organiz-

zato, presso la Cattedrale di Manfredo-nia, un momento comune di preghiera. L’iniziativa è nata come una delle rispo-ste delle famiglie della diocesi all’appel-lo di Papa Francesco ad “uscire” verso gli altri, anche in sintonia con la visita Pastorale del nostro amato Vescovo alle parrocchie della Diocesi, iniziata proprio in questi giorni.Alla veglia hanno aderito diverse fami-glie impegnate negli incontri di Pastora-le familiare delle Parrocchie della dioce-si. La veglia, presieduta da Don Fernan-do, è iniziata con l’ostensione del SS. Sa-cramento per proseguire con canti, pre-ghiere e testimonianze. Il tema, “La Via dell’Uscire - Una chia-mata per tutti - Grande è la tua fede!”, si rifaceva all’episodio della cananea de-scritta in Mt 15, 21-28.“Uscire”, prima di tutto da noi stessi, per andare incontro al Signore per farci tro-vare docili ed accoglienti nell’ascoltare la sua Parola. Per far ciò è necessario far-si umili e piccoli, togliere dal cuore la pretesa che tutto ci sia dovuto, per acco-starci al suo amore con gioia e fiducia. Solo se gli apriamo il cuore, anche se fe-rito, Lui può trasformarlo, per cambiare il nostro modo di agire, di pensare e di

sentire. Il punto centrale della veglia è stato il brano del Vangelo di Matteo, che invita a comprendere che la rivelazione dell’amore del Padre non è per pochi pri-vilegiati, ma per tutti i popoli della terra. Nell’episodio della cananea, il Signore decide di “uscire” e dirigersi verso la periferia di Israele abitata soprattutto da pagani. Da quelle regioni, al confine con il Libano, viene incontro a Gesù una don-na che, come lui, esce dalla pro-pria terra; l’u-scita di entram-bi genera un in-contro che per-mette il dialogo fra i due. Ognu-no si lascia cam-biare dalle pa-role dell’altro: la madre cana-nea, coraggiosa e umile sosteni-trice del suo bi-sogno, e Gesù, che avrebbe po-tuto ignorare la donna e prose-guire oltre nel suo cammino, ma inve-ce modifica il suo sguardo e il suo agire a motivo delle fede di quella straniera.Come avremmo reagito, al posto della cananea, alla provocazione di Gesù? Sa-

remmo riusciti, come lei, a dimostrare di avere fede nel Signore? Molto proba-bilmente saremmo tornati a casa delusi e “incompresi”. La dinamica dell’uscire, che si riscontra nel rapporto tra Gesù e la cananea, è quella sottolineata da Pa-pa Francesco nelle sue catechesi di pa-storale familiare e coinvolge tutti i sog-getti della relazione: la comunità eccle-siale e la famiglia, il marito e moglie, i

genitori e i figli.È nel contesto familiare che dobbiamo im-parare a colti-vare la pazien-za e la carità fraterna, inve-ce di rispondere con ira, di farci dominare dagli impulsi.L’amore com-porta sempre in-dulgenza e com-prensione, par-tendo dalla con-sapevolezza che l’altro ha il di-

ritto di vivere così com’è, anche se agi-sce in un modo diverso da quello che noi avremmo desiderato.Nella veglia abbiamo pregato anche con le parole di don Primo Mazzolari, un pro-

feta, come lo ha definito Papa Paolo VI, un esempio di testimonianza di Santità che si è battuto, durante la sua vita, per i poveri e contro le ingiustizie sociali e per il dialogo con i “lontani”.Molto spesso, purtroppo, barricandoci in noi stessi, ci lamentiamo delle nostre piccole croci pensando “che Egli non sia con noi e ci abbia abbandonato”, dimen-ticando che invece è Lui che ci porta in quei momenti” dice don Mazzolari nelle sue riflessioni che abbiamo meditato e fatto nostre. “Cristo rallenta il Suo passo e lo adatta a quello nostro incerto e insi-curo”, ci sostiene anche se facciamo fati-ca a stare al passo di Colui che cammina con noi come l’eterno Pellegrino di ogni strada. Ma, dice ancora don Mazzolari, è proprio questa fatica che ci permette di riconoscere sulla nostra strada Colui che ci cammina a fianco. La testimonianza di un uomo separato che, dopo aver visto crollare le sue convinzioni e speranze di un matrimonio benedetto da Dio, si ritro-va di colpo impreparato a una nuova vita, ma che ha saputo reagire, grazie all’in-contro con alcuni sacerdoti, e ha impa-rato ad amare quel Dio, che prima ama-va solo di facciata, ha chiuso il momento di preghiera, di riflessione e di condivi-sione del comune sentirci famiglie, pic-cole chiese domestiche, pur con le nostre immancabili fragilità umane.

*coniugi

Domenico Trotta e Nicoletta Gallotto Gentile*

L’auspicio del Papa perché nel-le diocesi si “realizzino adegua-te iniziative di accoglienza e vi-cinanza a quanti, pur condivi-

dendo gli insegnamenti della Chiesa sul-la famiglia, sono segnati da esperien-

ze dolorose di fallimento e di separazio-ne”, ha trovato eco concreta in diocesi. Riprendono in gennaio gli incontri, programmati dall’Ufficio di Pastora-le familiare, per quanti vivono situa-zioni di famiglia di “amore ferito”: se-

parati, divorziati e di nuova unione. L’ascolto della Parola di Dio e il confron-to accogliente e reciproco costituiscono il metodo di incontro per essere sempre più consapevoli della propria appartenen-za alla Chiesa.

re sull’amore misericordioso del Padre; - Incontrare fratelli e sorelle che, avendo vissuto la profonda sofferenza di un ma-trimonio non riuscito, hanno scorto co-munque nella loro vita i segni della pre-senza di Dio; - Sperimentare un’espe-rienza di Chiesa in cui le singole perso-ne, riunite nel nome di Gesù, si sosten-gono e si aiutano nel vivere ogni giorno, nonostante le difficoltà, la fede cristiana. Gli incontri mensili si svolgono in un luo-go di culto, preferibilmente un santua-rio o una cappella, per favorire il racco-glimento. Nell’equipe di guida, oltre ai sacerdoti animatori, ci sono sia due/tre coppie regolarmente sposate, sia di nuo-va unione che lavorano insieme; una o più persone separate. La proposta è strut-turata in nove incontri mensili (già due si sono tenuti il 20 novembre e il 18 di-cembre 2016), in ciascuno dei quali è previsto un momento di accoglienza, di preghiera, di condivisione e un momen-to conviviale. Se questo itinerario è nuo-vo per la diocesi, non lo è per la Chiesa italiana. E’ appena del 6 gennaio 2008 la lette-ra meravigliosa “Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito” dell’allora arcivescovo

di Milano card. Dionigi Tettamanzi agli sposi in situazione di separazione, divor-zio e nuova unione. Cito solo una frase su tutte: «La prima cosa che vorrei dir-vi, sedendomi accanto a voi, è dunque questa: “La Chiesa non vi ha dimentica-ti! Tanto meno vi rifiuta o vi considera in-degni”» (p. 3). Sempre nello stesso perio-do sono sorte esperienze pilota in altre diocesi: quella con l’allora card. Poletto a Torino, dell’allora vescovo di Cremona, mons. Lanfranconi e dell’allora vescovo di Arezzo, mons. Bassetti. L’allora arci-vescovo di Bologna card. Caffarra in un incontro con i separati, tenuto il 22 apri-le 2007 a Bologna, ebbe a dire a conclu-sione: «La Chiesa desidera tenervi tra le sue braccia per evitare che l’abbandonia-te e che vi sentiate abbandonati». Arriva dunque anche da noi questa esperienza che può fare solo del bene a questa Chie-sa. Questi incontri sono stati fortemen-te voluti dal nostro Vescovo che ha fatto entrare una ventata nuova di attenzione pastorale. Scriveva nelle Linee pastorali “Pietre vive per la costruzione del tempio” (Anno 2012/2013): «La gente cerca una Chiesa trasparente e vicina, una Chiesa che sa accogliere e capire, che sa guidare

[Pastorale familiare]

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Veglia di preghiera per la festa della santa famiglia di NazarethCristo rallenta il Suo passo e lo adatta a quello nostro

Percorso per persone separate, divorziate e di nuova unione

È bello stare insieme Giuseppe Barracane*

È al secondo anno l’esperienza diocesana guidata dall’Uffi-cio Pastorale Familiare e volu-ta dal nostro Vescovo per l’ac-

compagnamento spirituale del gruppo delle persone separate – divorziate e ri-accompagnate. Questo gruppo desidera intraprendere un cammino per rielabo-rare alla luce della Parola di Dio la no-stra nuova condizione esistenziale ed ec-clesiale. Gli incontri sono aperti a tutti coloro che, in uno stile di accoglienza e fraternità reciproca, desiderano accom-pagnare nella preghiera questo itinera-rio. Il percorso per quest’anno 2016/17 è stato attivato a Manfredonia per le Vica-rie di Manfredonia, Monte Sant’Angelo e San Giovanni Rotondo (con don Vincen-zo d’Arenzo e don Fernando Piccoli qua-li animatori spirituali) e a Peschici per le Vicarie di Vieste e del Gargano Nord (con don Davide Longo, animatore spirituale). Quali sono gli obiettivi che questo per-corso umano-spirituale si prefigge? - Favorire la consapevolezza che la Paro-la di Dio raggiunge ciascuno di noi nel-la sua concreta situazione e che dunque anche la sofferenza e il dolore possono diventare il luogo teologico per riflette-

e consolare, una comunità che sa ascolta-re e orientare, una Chiesa che gioca d’an-ticipo sui bisogni della gente, che si met-te al servizio delle persone, specialmen-te degli ultimi e degli esclusi» (p. 28). E ancora: «Perciò cerchiamo di essere la Chiesa con il grembiule che si fa locanda dove Cristo, il Buon samaritano, ci affida l’umanità ferita e piagata dalle tante for-me di esclusione sociale, di solitudine e di spaesamento, di fragilità e di difficol-tà di natura materiale, relazionale, spiri-tuale» (ib.). Il 18 dicembre u.s. ci ha fatto visita il nostro Vescovo che, nel momen-to della preghiera, ha chiesto perdono a tutti se nel corso degli anni passati la Chiesa ha giudicato ed ha escluso dalla vita ecclesiale tutti quelli che hanno fat-to un’esperienza per tanti versi strazian-te e dolorosa. Abbiamo riscoperto che è bello stare insieme, Vescovo e fedeli, in un cammino in cui non ci sentiamo più soli e abbandonati.

*dottore in sacra teologia

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coCani, gatti, cavalli e coni-gli, ma anche pesci ros-si, tartarughe, canarini e galline hanno riempito il

cortile della chiesa madre s. Nicola di Mira in occasione dei festeggia-menti in onore di Sant’Antonio Aba-te. Durante la tradizionale festa, or-ganizzata ormai da anni, il parroco don Michele Pio Cardone ha ricorda-to che “nella vita di Gesù gli anima-li sono quasi una costante, dei veri e propri compagni di viaggio che lo aiutano a trasmettere il suo messag-gio di salvezza per tutti gli uomini. Ogni animale menzionato nel Van-gelo – sono quasi quaranta richia-mati più volte da tutti gli evangelisti – è sempre tenuto in grande conside-razione e salvaguardato. Basti pen-sare all’agnello ma anche a colom-be, tortore, capretto e persino al vi-tello grasso, ma anche ad altri ani-mali meno noti, come i corvi. Anche a questo volatile, che comunemente non gode di molta simpatia da parte degli uomini, il Padre celeste prov-vede. Innanzitutto, gli animali sono presenti principalmente nelle para-bole, ma non unicamente in esse. So-

[Ecclesia in Gargano]

17 gennaio: Festa di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali

litamente la scelta è legata agli ani-mali più diffusi e conosciuti al tem-po in cui è vissuto Gesù e dal mes-saggio che Egli ha voluto veicolare. Possiamo trovare un esempio nella parabola del ricco e del povero Laz-zaro che sembrerebbe già completa con la contrapposizione dei due pro-tagonisti, ma Gesù volutamente in-serisce un cane che si accorge della situazione di difficolta del povero e, materialmente, gli accarezza le feri-te e le piaghe. Un cane, senza che gli si chieda nulla, aiuta chi vede nel bi-sogno, mentre un uomo non si accor-ge, o peggio, fa finta di niente. Scrive Papa Francesco nell’encicli-ca Laudato si’: ‘Così come succede quando ci innamoriamo di una per-sona, ogni volta che Francesco guar-dava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature’ … ‘Il cuore è uno solo e la stessa miseria che porta a mal-trattare un animale non tarda a ma-nifestarsi nella relazione con le altre persone. Ogni maltrattamento ver-so qualsiasi creatura è contrario al-la dignità umana”.

A Rodi Garganico perciò celebrare il santo protettore degli animali è una delle ricorrenze più sentite e attese dai residenti e dai cittadini dei pae-si limitrofi che giungono in città con i loro animali domestici, per la tradi-zionale benedizione. E’ una festa ca-pace di unire grandi e piccoli che si ritrovano per mettere i loro animali domestici sotto la protezione del san-to dalla lunga barba bianca.Alle ore 18.00 è stata celebrata la s. Messa alla quale è seguita poi una lotteria dove i possessori degli ani-mali hanno vinto gustosi premi per i loro piccoli e amati animali. An-che quest’anno si è pensato di fare una lotteria per sostenere i proprie-tari degli animali perché oggi ave-re in casa un animale comporta un bell’impegno anche da un punto di vista economico. Sant’Antonio è invocato in Occidente come patrono dei macellai, dei con-tadini e degli allevatori e come pro-tettore degli animali domestici; fu reputato essere potente taumaturgo capace di guarire malattie terribili. Solitamente è raffigurato con accan-to un maiale che reca al collo una campanella. Il 17 gennaio tradizio-nalmente la Chiesa benedice gli ani-mali e le stalle poste sotto la prote-zione del santo. La tradizione deri-va dal fatto che l’ordine degli Anto-niani aveva ottenuto il permesso di allevare maiali all’interno dei cen-tri abitati, poiché il grasso di que-sti animali veniva usato per unge-re gli ammalati colpiti dal fuoco di Sant’Antonio (sfogo prurigino-so della pelle simile alla varicella). I maiali erano nutriti a spese della comunità e circolavano liberamen-te nel paese con al collo una campa-nella. Nell’iconografia, infatti, s. An-

tonio abate viene sempre rappresen-tato con un maialino. Secondo una leggenda popolare, è stato proprio Sant’Antonio Abate a fornire l’umanità del fuoco. Un gior-no, mentre era nel deserto, gli ven-ne chiesto di aiutare gli uomini, for-nendo loro le fiamme. Il Santo deci-se di recarsi, col suo maialino, all’in-ferno; i diavoli lo cacciarono, ma il suo maialino riuscì ugualmente ad entrarvi. I diavoli, non riuscendo a mandarlo via, chiesero l’intervento di Sant’Antonio Abate che si ripre-se il maialino ma accese col fuoco dell’inferno il suo bastone. Una vol-ta tornato sulla terra diede il fuoco agli uomini che, per riconoscenza, gli dedicarono grandi falò.

NELLA VITA DI GESU’ E IN QUELLA DI SANT’ANTONIO ABATE CI SONO COMPAGNI DI VIAGGIO SPECIALI DA AMARE E PROTEGGERE: GLI ANIMALI

Nel presentare ai giovani il programma dell’annuale festa parrocchiale in ono-re di s. Giovanni Bosco,

il parroco don Michele Pio Cardone ha ricordato la figura di don Bosco “che è stato prima di tutto un italiano tenace che pur senza occuparsi di po-litica, ha pensato al problema educa-tivo dei giovani. Egli è stato uno dei re-ligiosi più amati, cosa non facile per un sacerdote vissuto nella stagione ri-sorgimentale. La sua vita è stata pie-na di successi e di insuccessi, ma i suoi scontri e incontri con personag-gi famosi, il suo carisma, il suo me-todo, la sua spiritualità, i suoi conti-nui viaggi e le sue doti soprannatu-rali lo hanno reso un grande Santo che ha operato coraggiosamente nel sociale: a lui bisogna ispirarsi se vo-

Tra inquietudini e incertezze: cosa cercano i giovani d’oggi?La risposta di San Giovanni Bosco

Antonio Pio Fasulo

gliamo cambiare la no-stra città e la nostra na-zione. I giovani hanno bisogno di essere ascol-tati e s. Giovanni Bosco è stato maestro in que-sto”.In base alla varietà del-le situazioni di poverta e abbandono dei suoi giovani, don Bosco si è fatto loro prossimo come padre, fratello, amico. A mon-te di questa misericordia «salesia-na», c’è tutta la pena che don Bosco ha sofferto incontrando ragazzi nelle carceri di Torino, o mentre scorraz-zavano allo sbaraglio per le vie del-la città. Oggi più che mai la figura di San Giovanni Bosco è fondamenta-le, in tempi dominati da quella che il

Papa saggiamente chia-ma emergenza educati-va perché le sue enor-mi qualità educative e formative sono attua-li. S. Giovanni Bosco intuì che senza bontà, senza una sana dose di saggezza, non si edu-ca e che i metodi bru-schi non servono a nul-la. Indubbiamente non

fu mai incline al lassismo o alla in-dulgenza, ma seppe saggiamente co-niugare rigore, rispetto delle regole con i modi gentili ed amorevoli. La sua fu la prova tangibile che non è possibile educare bene senza amo-re e rispetto. Comprese che la società ha bisogno di ragazzi seri, educati e preparati e che senza un nuovo uma-

nesimo, coniugato a rigorosa prepa-razione, non si va da nessuna parte. Valorizzò il mondo delle parrocchie che contribuirono a togliere letteral-mente dalla strada molti ragazzi con la centralità dei cortili e degli oratori parrocchiali, autentici e grandi cen-tri di raccolta, di cui oggi sentiamo la mancanza. Insomma, s. Giovanni Bosco fu un instancabile santo edu-catore, a tutto campo, dotato di enor-me cuore e sensibilità.

La processione annuale di s. Gio-vanni Bosco quest’anno si svolge-rà domenica 29 gennaio subito do-po la s. Messa delle 10.30 durante la quale verranno benedetti i gio-vani della città.

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Domenico Trotta

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[Ecclesia in Gargano]

PRESEPE VIVENTEL’associazione culturale del-

la parrocchia s. Michele Ar-cangelo, in collaborazione con alcuni ragazzi dell’A-

CR parrocchiale, ha dato vita al-la 3^ edizione del Presepe Vivente, trasformando, la sera del 29 dicem-bre, tutta la parrocchia in una picco-la Betlemme.Si è trattato di una rivisitazione della sacra rappresentazione basata sulla rievocazione storica e religiosa della Nascita di Gesù ambientata nell’at-mosfera “magica” degli inizi del ‘900 della nostra Manfredonia. Un salto indietro nel tempo, tra gli anti-chi mestieri e le scene di vita quoti-diana. La manifestazione si è ispira-ta ai valori della nostra tradizione e per alcune ore (dalle 19:00 alle 23:00 circa) tutti coloro che hanno sfidato il freddo pungente di quella sera so-no stati immersi nell’aria e nell’am-biente nel quale hanno vissuto tanti anni fa i nostri nonni.

fino al larghetto don Michele Ciccone. Scendendo lungo la strada si potevano ammirare i tipici me-stieri di un tempo, svolti nelle antiche botteghe artigianali: il pescivendolo inten-to a rattoppare le reti e a vendere il pescato, il falegname armato di sega che si adope-rava con tavole di le-gno, le piccole lavan-daie alle prese con il bucato sullo “strucu-laturo”, il fabbro col martello che picchia-va sull’incudine per

realizzare gli oggetti in ferro della vita quotidiana, la venditrice di stof-fe e tessuti, le donne intente a filare la lana, lavorare e ricamare all’unci-netto, il fornaio che preparava il pa-ne, il contadino che vendeva i pro-dotti genuini della terra e l’oste che mesceva il vino. Il percorso termi-nava nel giardino antistante il salo-ne parrocchiale dove erano allesti-te due grandi tende nelle quali i vi-sitatori potevano rifocillarsi assapo-rando un buon piatto del “pancotto” di una volta (fatto con pane raffer-

mo, vari tipi di verdure, patate, olive e olio) e gustare una calda “pettola” fatta al momento e accompagnata da un buon bicchiere di vino per riscal-darsi dal freddo.Un grazie di cuore a tutti i ragazzi dell’associazione “San Michele” che hanno lavorato sotto le intemperie e si sono adoperati per la buona riusci-ta del Presepe e un arrivederci all’e-dizione 2017, con la speranza di ve-dere crescere ancora il numero dei visitatori.

‘‘Il progetto di una società so-lidale – ha recentemente ri-cordato Papa Francesco al mondo del volontariato gio-

vanile - costituisce il traguardo di ogni comunità civile che voglia esse-re egualitaria e fraterna”. In quest’ot-tica, a Monte Sant’Angelo, venti gio-vani sono stati “gemellati” con al-trettanti venti ragazzi nel dopo scuo-la. Un modo per vivere da protagoni-sti la propria città. Una “adozione” scolastica realizzata attraverso il do-po scuola gratuito della Caritas. Si tratta di sostenere i genitori segna-ti da diversi problemi familiari, ma anche di accogliere le richieste dei servizi sociali per alunni “speciali” provenienti dalla scuola elementa-re. Un servizio offerto al territorio attraverso la generosità dei giovani. Infatti, sono ormai undici anni che la parrocchia di “Santa Maria del Carmine” offre al mondo della scuo-la ed ai genitori la possibilità di usu-fruire di un servizio realizzato con la disponibilità dei giovani volonta-ri. “Alleanza educativa – ha sottoli-neato il parroco don Domenico - è dialogare e collaborare col territo-rio nella comune promozione e tute-la delle realtà più fragili. Si tratta di far emergere il bene dai tanti volti nel-

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GIOVANI PROTAGONISTI NELLA SOLIDARIETÀ PARTECIPATA

Vincenzo Castriotta*

I ragazzi dell’associa-zione sono riusciti, nel giro di pochi gior-ni, ad allestire ed ani-mare questa rievoca-zione dove, tra costu-mi d’epoca recuperati da vecchie cassapan-che o fatti con mate-riale povero, e musi-ca natalizia, si respi-rava l’aria dei giorni passati e un momen-to di particolare di se-renità, alla riscoperta di valori che sembra-no svaniti nel nulla.L’evento è iniziato con il “coro angelico” del-le nostre piccole cori-ste che, sul piazzale della parrocchia e nonostante il vento gelido, hanno intonato canti natalizi che annun-ciavano la nascita del Salvatore, al-lietando con le loro soavi voci i tan-ti presenti. Sotto il colonnato della Chiesa è sta-ta allestita la grotta della Natività con la Sacra Famiglia, gli angeli e i Re Magi. Una piccola banda di musici ha poi accompagnato gli spettatori lungo il percorso della rappresentazione che si snodava dal piazzale della Chiesa

la concretezza del fare, offrendo occa-sioni per alimentare la speranza col proprio esserci”. Il riferimento è, so-prattutto, ai numerosi alunni volon-tari coordinati da due tutor. E’ offer-to ai ragazzi un luogo in cui, trovan-dosi insieme a giovani del triennio superiore e a persone adulte, sono sostenuti nell’assumersi la respon-sabilità dello studio, condividendo-lo con i coetanei. Più che sostituirsi al dovere della fa-miglia di vigilare sul rendimento dei ragazzi, o creare problemi a chi ha trovato lavoro col dopo scuola, si de-sidera, invece, partecipare ad un am-bito di relazione costruttiva. Il fine è anche quello di organizzare e da-re un volto al bene e far emergere le bontà presenti nel territorio. Un mo-do anche per far conoscere il territo-rio ed i bei valori del volontariato. I giovani, mentre s’impegnano affian-co ai bambini della scuola primaria indicati dalle brave maestre, diven-tano cittadini attivi e abitano con la speranza alcune fragilità della pro-pria realtà. Il grado di civiltà di un popolo - ha ri-badito Papa Francesco - si misura in base alla capacità di rispettare e promuovere i diritti di ogni persona, a partire dai più deboli.

Il doposcuola, allora, in quanto agen-zia formativa in senso ampio, si pro-pone proprio come luogo di opportu-nità non solo didattica. Tra gli inter-venti a favore dei minori esso rap-presenta una delle realtà maggior-mente consistenti, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Si tratta di un luogo che desidera ri-spondere all’esigenza di costruire non solo sostegno, ma anche proget-ti educativi e formativi per ragazzi al di fuori degli ambiti istituzional-mente costituiti, grazie all’impegno di gruppi di volontari. Un servizio volto ad aiutare le famiglie in soffe-renza economica. “Un’attività costru-ita insieme - ha detto Francesca Ri-cucci, una delle tutor degli alunni volontari - nell’umile desiderio di fa-re qualcosa di buono. Non solo il sem-plice mobilitarsi per soddisfare i biso-gni didattici dei ragazzi, ma luogo di crescita, di opportunità educative, di relazioni buone con i coetanei”. È un crescere insieme ai valori trasmes-si durante lo studio, il gioco ed il rap-porto con le famiglie. Interessanti le considerazioni educative dei ragazzi volontari: “Si tratta di fare qualcosa di bello per il proprio paese – ha detto Alessandra Mansella, alunna di 17 anni- in un certo senso aiutando gli

altri si aiuta un po’ anche se stessi e si gettano le buone basi per una socie-tà più giusta e solidale”; “è un’espe-rienza formativa che aiuta a cresce-re dentro - Chiara Rinaldi, 18 anni - che permette di comprendere quan-to a volte siano importanti non solo le competenze tecniche, quanto piut-tosto la capacità di ascoltare e di da-re affetto in maniera del tutto disin-teressata”. “Mediante il vostro servizio – ha detto Papa Francesco ai giovani volonta-ri - voi siete chiamati a svolgere una funzione critica nei confronti di que-ste prospettive contrarie all’umano, e una funzione profetica che mostri quanto sia possibile pensare e agire in modo diverso”.In definitiva, il sostegno scolastico affianca i genitori e la scuola nel deli-cato compito educativo, e offre ai gio-vani e agli alunni del triennio uno spazio in cui vivere da protagonisti la propria città.

*tutor degli alunni-volontari nel dopo scuola gratuito

della Caritas parrocchiale “Santa Maria del Carmine”

Monte Sant’Angelo

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corpo e ad essere partecipi della stes-sa promessa per mezzo del Vangelo” (Ef 3,6).

[Ecclesia in Gargano]

Michele Castoro*

La luce che a Natale è brilla-ta nella notte illuminando la grotta di Betlemme, oggi ri-splende e si manifesta ai Ma-

gi (cf. Mt 2,1-12). L’Epifania è mistero di luce, simbolicamente indicata dalla stella che ha guidato il viaggio di que-sti misteriosi pellegrini venuti dall’O-riente. La luce di Cristo, “sole che sor-ge dall’alto” (Lc 1,78), si irradia sul-la terra, diffondendosi come a cerchi concentrici. Anzitutto avvolge Maria e Giuseppe, poi si manifesta ai pastori, i quali accorrono “senza indugio” a Bet-lemme. Il fulgore di Cristo raggiunge infine i Magi, che costituiscono la “pri-mizia” dei popoli chiamati alla fede. Miei cari, a tutti voi il mio saluto di pa-ce. Saluto Don Stefano Mazzone, Vica-rio generale della nostra diocesi, e i Sa-cerdoti presenti; saluto i religiosi Ri-costruttori con il Superiore Generale Don Roberto Rondanina; saluto tutti voi carissimi fedeli, testimoni di que-sto evento di grazia: il giovane Fabri-zio Cirelli diventa “diacono”. E a te, carissimo Fabrizio, un fraterno e gioioso saluto nel nome del Signore Gesù. Si uniscono alla mia gioia le tan-te persone che oggi sono qui a far festa con te: la tua mamma e i tuoi familia-ri, gli amici, gli educatori, i confratelli, tutti accomunati nell’unica gioia di ve-dere realizzato il tuo sogno, risponden-do alla chiamata del Signore. Ma, sono certo, il primo a godere di questa tua scelta è Papà Giorgio che ci ha lasciato lo scorso anno. Ora dal Cielo ti benedi-ce e ti incoraggia nel nuovo stato di vi-ta da te intrapreso. Lo sentiamo vicino in questo momento e preghiamo per la sua anima benedetta. Dunque, i Ma-gi giungono a Betlemme guidati dal-la luce di una stella; istruiti dalle anti-che profezie (cf. Nm 24,17), interpreta-no questo fenomeno celeste come an-nuncio della nascita del Messia. I Ma-gi, “entrati nella casa, vedono il Bam-bino con Maria sua madre” (Mt 2,11). “Oggi i Magi – scrive san Pietro Criso-logo – considerano con grande stupore ciò che vedono nel presepio: il cielo ca-lato sulla terra, la terra elevata fino al cielo, l’uomo in Dio, Dio nell’uomo, e Colui che il mondo intero non può con-tenere, racchiuso in un minuscolo cor-po”. Da veri sapienti, i Magi contempla-no il grande mistero che si manifesta

ai loro occhi in maniera sorprendente. Essi si prostrano in adorazione e con l’offerta di alcuni doni, “simboli profe-tici di segreta grandezza”, riconoscono nel Bambino il “Pastore d’Israele”. Es-si, “uomini della meraviglia”, scompa-iono poi nel silenzio (cf. Mt 2,12), con la stessa discrezione con cui sono ap-parsi all’orizzonte della storia della salvezza. La manifestazione ai Magi svela una dimensione perenne e costitutiva del disegno di Dio: “le genti sono chia-mate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso

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ORDINAZIONE DIACONALE DI FABRIZIO CIRELLI,

DELLA FRATERNITÀ DEI RICOSTRUTTORILa chiesa nell’imitare il servizio reso dalla stella ai magi

è impegnata a frequentare la “scuola della Parola”

Se Maria, Giuseppe e i pastori di Bet-lemme rappresentano il popolo d’Isra-ele che ha accolto il Signore, i Magi so-no invece le “avanguardie” dei gentili, convocati a far parte della Chiesa, nuo-vo popolo di Dio, in cui trovano compi-mento le antiche profezie. “Alzati, rive-stiti di luce – dice il profeta rivolgen-dosi a Gerusalemme –, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60,1). Carissimi fedeli, la festa dell’Epifania del Signore invi-ta la Chiesa ad imitare il servizio che la stella ha reso ai Magi, guidandoli fi-no a Gesù. Il loro cammino è esempio e stimolo per la Chiesa a riscoprirsi essenzialmente Comunità missiona-ria, impegnata a frequentare la “scuo-la della Parola”. Solo scrutando assi-duamente le Scritture è possibile tra-

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7[Ecclesia in Gargano]

LA RISPOSTA A UNA CHIAMATADopo le due recenti ordinazioni sacerdotali di p. Vincenzo Tomaiuoli e

di don Michele Arturo, la nostra Chiesa si è stretta ancora una volta attorno a due giovani, Maurizio Guerra e Fabrizio Cirelli, che hanno scandito il loro “Eccomi” dinanzi all’arcivescovo mons. Michele Ca-

storo che li ha consacrati Diaconi per il sacerdozio e a tanti fedeli sia della par-rocchia di origine di don Maurizio che della Comunità dei Ricostruttori, cui ap-partiene don Fabrizio, e sia delle comunità dove oggi, in attesa del sacerdozio, i due giovani diaconi stanno svolgendo il loro “tirocinio formativo”, s. Maria del-la Luce di Mattinata per il primo e s. Pio da Pietrelcina di Manfredonia per il se-condo. Il Diacono è chiamato ad essere un annunciatore della Parola e un ser-vitore della comunità cristiana. Se è certamente controcorrente che un giova-ne, oggi, si consacri per servire la Chiesa e i fratelli e non per guadagnare o per ottenere successo nella vita, la scelta di questi giovani è certamente un atto di audacia assai diverso da quello proposto dal mondo e dai suoi criteri. Don Mau-rizio e don Fabrizio, due giovani che vengono da situazioni e contesti anche ge-ografici assai diversi, con sicurezza economica e solide famiglie alle spalle, pur avendo già tutto non hanno esitato a rispondere alla chiamata di Gesù e a quel-la domanda di senso che hanno sentito forte dentro di sé. (A.C.)

smettere fedelmente la parola di Dio ai fratelli; questa è la diaconia che tu, Fa-brizio carissimo, sei chiamato a vive-re, manifestando con le opere la paro-la di Dio che oggi viene messa nelle tue mani. La consegna del libro dei Van-geli, che sigilla il rito dell’ordinazio-ne diaconale, è accompagnata da una vera e propria formula di fede: “Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei dive-nuto l’annunziatore: credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai ap-preso nella fede, vivi ciò che insegni”. E’ la parola di Dio che illumina, purifi-ca, converte; e tuttavia, l’annuncio del Vangelo è sempre un’epifania della vi-ta di fede, una manifestazione del tra-boccare della vita interiore. “L’esempio della tua vita, generosa e casta – così recita la preghiera di ordinazione –, sia un richiamo costante al Vangelo e susciti imitatori nel popolo di Dio”. Ca-rissimo Fabrizio, il cammino compiuto dai Magi richiama alla mente il percor-so di discernimento e di formazione da te compiuto prima di giungere a que-sto momento. Come i Magi anche tu, mosso dalla ricerca di Dio, hai vissuto l’esperienza di una sorprendente Epi-fania del Signore. Il tuo avvicinamen-to alla Chiesa, dopo gli studi universi-tari, ha suscitato in te una “gioia gran-dissima”, come quella provata dai Ma-gi a Betlemme. Come loro anche tu hai fatto ritorno a casa, “per un’altra stra-da”, approdando alla Fraternità dei Ri-costruttori, oggi la tua nuova famiglia spirituale. Per un misterioso accordo di circostanze e di eventi, “ma in real-tà per disposizione divina”, oggi ti ac-cingi a consegnare al Signore, prostra-to a terra, la tua vita. I Magi “aprirono i loro scrigni e offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt 2,11), così anche tu ricordati che non c’è vera diaconia senza l’apertura del cuore. Offrire è vo-ce del verbo “servire”! Serve chi offre in dono se stesso, aprendo lo “scrigno” del cuore, “senza paura, senza calcoli e senza misura”. Servire e dare la pro-pria vita: questo è il “protocollo” che Gesù ti affida, perché così ha fatto lui, testimoniando che il dono di sé è il si-gillo di garanzia della diaconia: donar-

si gratuitamente, dedicare a Dio il pro-prio cuore e consegnare ai fratelli il proprio tempo. Da oggi, caro Fabrizio, non ti appartieni più, la tua vita sarà a servizio della Chiesa: questo il sen-so della tua incardinazione nella no-stra diocesi e della tua appartenenza alla Famiglia dei Ricostruttori. Sì, l’u-nità di misura della diaconia è deter-minata dal tempo che si investe nel fa-re il bene. “La Chiesa – avverte Papa Francesco – non ha bisogno di mini-stri a tempo limitato o a responsabili-tà limitata ma di missionari appassio-nati, che non hanno un’agenda da di-fendere”. Sì, appassionato, così ti vuole il Signore. E tu sei pronto ad esprimere il tuo impegno di una vita pura e ca-sta, nella promessa del celibato. Da og-gi sei tenuto alla preghiera continua, con la recita della Liturgia delle Ore. E’ la Chiesa che si affida alla tua pre-ghiera. In ogni ora della giornata ele-verai la tua mente al Signore, e così al-la sua luce vedrai la luce.La Madre del Redentore, Maria Santis-sima, testimone silenziosa del gesto di adorazione compiuto dai Magi, ti rive-sta della “dalmatica”, cioè dell’abban-dono alla fedeltà di Dio, così da poter offrire al Signore il tuo Fiat aprendo il cuore al canto del Magnificat! Questo è il nostro augurio per te, questa la no-stra preghiera.

*arcivescovo

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Elenco dei punti vendita-spaccio dei prodotti genuini della nostra terra: olio, carne, latte, latticini, formaggi, dolciumi provenienti dalla laboriosità delle Aziende di sussistenza “Calderoso” e “Posta la Via” dell’Opera di Padre Pio:

a S. Giovanni Rotondo, in località Amendola presso la stessa azienda agricola “Posta la Via”, e in città in viale Cappuccini n. 168 e in viale P. Pio n.6

a Foggia in piazza Internati di Germania

a Manfredonia, in via Tito Minniti a Monte Sant’Angelo, in via Celestino Galliani

Azienda Posta la Via s.s. 89 Località Amendola (FG) Tel. 0881700466 - Fax 0881-700-571 [email protected]

2017Gen

naio Febbraio

Lunedì 2320,45 Incontro ecumenico S. Maria delle Grazie - S. Giovanni Rotondo

Martedì 2417,00 Incontro con i giornalisti Casa Sollievo Sofferenza - S. Giovanni Rotondo

Mercoledì 259,30 Consiglio presbiterale Curia arcivescovile19,00 Liturgia ecumenica Cattedrale

26-29 gennaioVisita pastorale presso la Parrocchia“S. Maria del Grano e S. Matteo”Borgo Mezzanone-Manfredonia

Domenica 2918,00 S. Messa in occasione della festa del Beato

Bronislao - Basilica S. Michele – Monte S. Angelo

Lunedì 30- 1 febbraioConferenza episcopale puglieseCentro giovanile Benedetto XIII - Gravina in Puglia

FEBBRAIOGiovedì 2Presentazione del Signore al tempio9,30 S. Messa in occasione della conversione di S. Camillo De Lellis S. Leonardo - S. Giovanni Rotondo18,00 S. Messa per la Giornata della Vita

consacrata - Cattedrale

Sabato 418,00 S. Messa e cresime SS. Trinità - Manfredonia

Domenica 511,00 S. Messa per la Giornata del Ringraziamento

della Coldiretti S. Carlo - Manfredonia16,30 Istituzione dei Ministri straordinari della

Comunione e rinnovo del mandato - Cattedrale

Lunedì 6 18,00 Primi Vespri nella Solennità di S. Lorenzo

Maiorano, vescovo sipontino - Cattedrale

Martedì 7 Solennità di San Lorenzo Maiorano, patrono della Città di Manfredonia e dell’Arcidiocesi10,30 S. Messa e a seguire processione - Cattedrale

Mercoledì 8-Giovedì 9Convegno su Giovani e lavoro - Napoli

10-12 febbraioVisita pastorale presso la Parrocchia “S. Antonio”Fraz. S. Menaio - Vico del Gargano

Sabato 1118,00 S. Messa in occasione della giornata del malato - Cattedrale

Domenica 1215,30 Saluto all’Assemblea Diocesana di A. C. -

Parrocchia S. Famiglia - Manfredonia Lunedì 1316,30 Consiglio pastorale Casa della carità - Manfredonia

Martedì 1410,00 S. Messa nella festa di S. Valentino S. Maria Assunta - Vico del Gargano

Mercoledì 1520,00 Incontro con i fidanzati - S. Leonardo S. Giovanni Rotondo

Venerdì 179,30 Ritiro del clero diocesano Auditorium Mons. Vailati - Manfredonia

LE AZIENDE DELL’OPERA DI PADRE PIO

GENNAIO19-22 gennaioVisita pastorale presso la Parrocchia“S. Maria della Libera”Fraz. Macchia - Monte S. Angelo

Venerdì 209,30 Ritiro del clero diocesano Auditorium Mons. Vailati - Manfredonia

Sabato 2118,00 S. Messa e tesseramento dei Medici

cattolici - Cattedrale