Cavalcoli Capire Rosmini

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CAPIRE ROSMINI - di P. Giovanni Cavalcoli, OP Ultimo aggiornamento Lunedì 12 Novembre 2012 22:11 di P. Giovanni Cavalcoli, OP (immagine ripresa dal sito www.rosmini.it)  Il Beato Rosmini, giovane pio e portato alla mistica, racconta come all’età di 18 anni ricevette improvvisamente un’illuminazione circa il valore dell’essere, che poi fu alla base della sua vocazione e produzione filosofica per tutto il resto della sua vita, fu come la stella della sua speculazione. Ebbe, egli dice, la rivelazione dell’“essere ideale”, una luce fulgidissima e incancellabile, che egli considerò un prezioso dono divino, che successivamente, nell’elaborare la sua gnoseologia 1 / 11

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CAPIRE ROSMINI - di P. Giovanni Cavalcoli, OPUltimo aggiornamento Lunedì 12 Novembre 2012 22:11

di P. Giovanni Cavalcoli, OP

(immagine ripresa dal sito www.rosmini.it)

 

Il Beato Rosmini, giovane pio e portato alla mistica, racconta come all’età di 18 anni ricevetteimprovvisamente un’illuminazione circa il valore dell’essere, che poi fu alla base della suavocazione e produzione filosofica per tutto il resto della sua vita, fu come la stella della suaspeculazione.

Ebbe, egli dice, la rivelazione dell’“essere ideale”, una luce fulgidissima e incancellabile, cheegli considerò un prezioso dono divino, che successivamente, nell’elaborare la sua gnoseologia

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e la sua metafisica, egli si convinse essere non un privilegio di alcuni, ma dono che Dio fa adogni mente umana “costituendola intelligente”, anche se non tutti si rendono conto di questaluce interiore che guida l’uomo nella conoscenza della realtà e della verità, sino a giungere allaconoscenza di Dio, Essere ad un tempo sommamente Ideale e Reale, identità di Pensiero edEssere.

In tal modo il Card. Tarcisio Bertone, in occasione della beatificazione del Rosmini, ebbe adichiarare che “egli muove dall’Idea dell’Essere e ne deriva ogni ulteriore conoscenza umana; eproprio a partire da tale idea fonda l’oggettività della conoscenza e dell’etica, ponendo un nuovopunto di partenza per la metafisica e la teologia” [1] .

Sì, Rosmini “muove dall’Idea dell’Essere”, ma bisogna che ci intendiamo: non lo fa alla manieradegli idealisti tedeschi che hanno la pretesa di partire della conoscenza diretta ed originariadell’“Assoluto” , quasi avessero inpartenza la scienza divina, ma “parte da Dio” nel senso che riconosce Dio come Autore e Creatore dell’intelletto e della stessa idea dell’essere, pur immediatamente considerata dall’intelletto, come partecipazione finita  a quell’Ideaassoluta che è Dio stesso, Lume increato di tutti gli intelletti creati.

E’ noto come per il Rosmini l’idea dell’essere è “innata”. Dice egli infatti: “Rimane che l’ideadell’essere sia innata nell’anima nostra; sicchè noi nasciamo colla presenza e colla visionedell’essere possibile, sebbene non ci badiamo che assai tardi” [2] . Ma che vuol direesattamente Rosmini con questo attributo di “innata? Vediamo.

Egli chiama questa idea “forma a priori”, desumendo il termine da Kant, ma con altro significato.Mentre infatti per Kant la forma a priori dell’intelletto non è l’idea dell’essere, ma unadeterminata categoria del “giudizio sintetico a priori” (sostanza, qualità, quantità, ecc.), ed èinoltre  insita nello stesso intelletto, il quale con essa dà formaal materiale delle sensazioni proveniente dalla “cosa in sé”, che è il reale sensibile esterno alpensiero, per Rosmini l’idea dell’essere è sì “forma” originariamente giacente nell’intelletto, manel senso che è oggettodell’intelletto in quanto per essa ed in essa l’intelletto conosce la realtàesterna sensibile ed intellegibile, fino a giungere alla conoscenza di Dio.

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Questa idea quindi è “innata” non nel senso che entri nell’essenza dell’intelletto, ma nel senoche è data da Dio direttamente  al soggetto sin dalla nascita. E’ quella che tradizionalmente sichiama “idea infusa”. Rosmini qui, inebriato dall’altissima dignità del pensiero umano illuminatodall’Alto, non si accorge di equiparare quasi il modo umano del conoscere a quello angelico.

In realtà, come spiega S.Tommaso, il conoscere umano inizia col semplice esercizio dellaconoscenza sensibile. Solo allorchè è capace di usare la ragione, il bambino comincia aprender dimestichezza con l’essere (vedi l’uso del verbo “essere”), anche se ancora non ciriflette sopra, né si interroga sull’essenza dell’essere, ricavato spontaneamente per astrazionedai sensibili ed affermato nel giudizio.

Così Rosmini parla sì dell’essere come di una “forma” del conoscere, e di una “materia” delmedesimo conoscere, materia proveniente dalle sensazioni, che può far pensare a Kant. Peròc’è questa differenza tra Kant e Rosmini.

In Kant la forma non é data nel soggetto, ma dal soggetto, stabilita dal soggetto, perchéappartiene all’intelletto, e solo la materia del conoscere ha origine oggettiva dalla cosa in sé,indipendentemente dal soggetto, sicchè l’oggetto del conoscere, il “fenomeno” è  la cosa inquanto appare al soggetto, e nel contempo è modificazione del soggetto.

Invece in Rosmini tanto la “forma” che la “materia” del conoscere costituiscono l’oggetto delconoscere, senza che il soggetto interferisca nell’oggetto, ossia dia forma all’oggetto (la cosa insé), che è il reale esistente indipendentemente dal soggetto e creato da Dio, reale che ilsoggetto deve semplicemente rappresentare nell’idea o nel concetto o nel giudizio così comeesso è, la famosa adaequatio intellectus ad rem, regola della verità

Su questo punto Rosmini sembra però troppo preso dal linguaggio kantiano. In realtà si deveparlare di “forma” e “materia” solo in cosmologia o nella filosofia della natura a propositodell’ente materiale, non in gnoseologia, a proposito dell’atto del conoscere. Il conoscere ha un“modo”, più che una “forma”, nonché  un “oggetto” o se vogliamo un “contenuto”.

Questo “modo”, però, che sembra corrispondere alla “forma” di Kant e Rosmini, appunto perchésolo modo, non ha contenuti, non ha un oggetto, quindi non può a sua volta avere comeoggetto l’idea dell’essere o l’essere stesso, perché appunto l’essere fà parte dell’oggetto o

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contenuto del conoscere e non del modo o della “forma”.

L’idea dell’essere per Rosmini è quella “luce della ragione”, che consente alla mente umana dicogliere la verità delle cose, del mondo, dell’io e di Dio. Questa luce precede l’esperienza, èappunto innata, e in questo senso, similmente alla “forma” kantiana, è “a priori”, ma ripeto che sitratta di un “a priori” oggettivo, che fa conoscere il reale in sé, e non di una forma del soggettoche fonda un’“oggettività” parzialmente costituita dallo stesso soggetto, che quindi èun’oggettività, se mi è consentita l’espressione, incompleta.

Da qui il caratteristico soggettivismo kantiano, che lascia perplessi per non dire scettici circa ilfatto che il “fenomeno” possa ritrarre in modo veramente oggettivo la realtà della cosa in sé,tanto più che lo stesso Kant asserisce esplicitamente che  noi non possiamo sapere come sonole cose in se stesse, ma solo come ci appaiono. Nulla di tutto ciò in Rosmini, per il quale non c’ènessun dubbio che la mente umana può percepire le cose come sono, appunto grazie alla lucedell’essere e valendosi del “sentimento”, ossia dell’esperienza sensibile.

Rosmini parla di un “intuito dell’essere”, intuito innato, immediato, originario, spontaneo,certissimo, base di tutte le nostre conoscenze, il che fa capire bene come per Rosmini ilpensiero che qui appare come intùito, sia ben distinto dall’essere, oggetto del pensiero e dellostesso intuito, essere che quindi non è “posto” dal pensiero né tanto meno è identico alpensiero, come avviene negli idealisti tedeschi sino a Gentile e a Bontadini. Il pensiero umanoper Rosmini forma sì gli enti mentali (ens rationis), le intenzioni, i concetti, i giudizi, i ragionamenti, possiede l’idea dell’essere, ma non può“formare” o produrre l’essere, che è creato da Dio, né tanto meno identificarsi con l’essere.

E l’“essere ideale” che cosa è? Rosmini dice che è l’intellegibilità dello stesso essere, è la“essenza dell’essere”, è l’essere in quanto pensabile, l’essere “possibile”. Sembra implicareassoluta perfezione, come si trova in ciò che “idea” significa. Rosmini lo chiama anche “ideadell’essere”. Potremmo forse dire, con un’espressione di Severino, che è la “verità dell’essere”.Sembra essere quella che S.Tommaso chiama ratio essendi.

Tuttavia, propriamente parlando, l’idea dell’essere e  l’essere ideale non dovrebbero essere lastessa cosa. “Idea” e “ideale” sono sì la stessa cosa. Tuttavia il reale si oppone all’ideale. Esistequindi non solo l’idea dell’essere reale, ma anche l’idea dell’essere ideale. Sono forse la stessacosa?

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La nozione rosminiana dell’essere, inoltre, è notoriamente una nozione univoca, simile a quelladi Duns Scoto: idea semplicissima, intuitiva, di per sé nota, precisa, fissa, unitaria, separata dalmolteplice e dal divenire, astrattissima, indeterminata, di massima estensione e dicomprensione nulla, benchè intellegibile e nettamente distinta dal nulla. Rosmini quindirespinge assolutamente la nozione hegeliana dell’“essere”, la quale, essendo per Hegel,“vuota”, viene ad essere identificata con quella del non-essere.

Tuttavia questo “essere puro”, “essere senza più”, come lo chiama Rosmini, “indeterminato”,assolutamente astratto e generico, è anche “essere virtuale”, nel senso che ha in sévirtualmente tutte le differenze e le diversificazioni, quindi molteplicità e divenire; e lo chiamaanche “iniziale”, in quanto all’inizio mancante dei “termini”, che sono le categorie specifiche egeneriche, essere che viene completato dai suddetti “termini”, che noi possiamo intendere acontatto con la realtà facendo uso dei sensi; è un essere vago riguardo ai contenuti o“applicazioni”  ai dati sensibili, ma non al significato del concetto che, come si è detto, è precisoed inequivocabile.

Per quanto riguarda ancora  la nozione dell’essere, Rosmini la sovraccarica poi di attributi chelo assimilano all’essere divino: uno, necessario, eterno, infinito, immutabile, assoluto, tanto chepoi Rosmini penserà che sia sufficiente riflettere sui caratteri dell’essere per sapere che Dioesiste. Dio è l’essere iniziale portato all’estremo della sua esplicitazione. L’essere divino vienead essere un’esplicitazione dell’originario essere univoco. E’ giusto?

E’ vero che Rosmini si sforza di dire che l’essere ideale non è l’essere divino, tuttavia egli nonriuscì convincente e ciò gli causò la condanna della sua concezione dell’essere da parte delSant’Offizio nel famoso decreto “Post obitum” del 1887. Che cosa intendeva Rosmini con la suaconcezione dell’essere?

Non c’è dubbio che egli intendeva mantenere la distinzione fra essere creato ed essereincreato, essere finito ed essere infinito, essere temporale ed essere eterno, essere contingenteed essere necessario, essere relativo ed essere assoluto, essere umano ed essere divino.

Il suo “essere” uno ed univoco intendeva solo, a quanto pare, collegarsi con l’essere astrattodella logica, genus generalissimum, quello che Tommaso chiama ens commune o ensuniversale ,

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categoria massima della predicazione logica, per la quale anche l’ens rationis, gli enti matematici, gli enti fantastici, le negazioni, il nulla, l’assurdo e il male “esistono”. Maappunto un conto è lo esistere e un conto è l’essere.

L’esistere, come spiega il Padre Fabro, è il semplice fatto di esistere o esserci, l’essere inveceè l’ atto di essere,actus essendi. Il primo è semplice attuazione della possibilità; il secondo, come insegna S.Tommaso, è laperfezione dell’ente, l’atto che attua l’essenza dell’ente come “potenza” o poter-essere-tale. Quipare che Rosmini non sia preciso nei termini.

Sul piano della realtà era chiaro anche per Rosmini che l’ente è analogico, anche se eglimaldestramente limitava questa analogia alla sola essenza e manteneva l’univocità dell’essere(confuso con l’esistere). Ma già il fatto di distinguere come S.Tommaso nell’ente l’esseredall’essenza, dà prova in Rosmini di un notevole senso metafisico, che lo portò a dire che “lacreatura ha l’essere”, mentre “Dio è l’Essere”. Dunque l’Ipsum Esse subsistens esattamentecome insegna l’Aquinate.

Rosmini sembra dare però eccessiva importanza all’ideale rispetto al reale. Tuttavia egli restarealista e non è per nulla idealista, anche se assume un certo linguaggio desunto da Kant,nell’intento di confrontarsi col pensiero contemporaneo e di realizzare una sana modernità.Rosmini invece resta piuttosto nella linea della gnoseologia di S.Agostino e di S.Bonaventura.Come è noto, egli aveva molta stima per S.Tommaso, però tende ad interpretarloriconducendolo ai due prefati Dottori.

Per questo Rosmini interpreta l’innatismo tomista secondo la visione innatistica di Agostino eBonaventura [3] , i quali ignorano la dottrina aristotelica, ripresa dall’Aquinate, secondo la qualel’intelletto, all’inizio, è una semplice potenza o facoltà conoscitiva, ancora vuota di contenuti,compresa la nozione dell’ente o dell’essere, la quale vien formata per analogia partendo dallapercezione degli enti sensibili.

L’essere in sé è certo anche per Tommaso puramente intellegibile, non è sensibile, quindiindubbiamente trascende l’esperienza sensibile. Tuttavia l’intelletto, per l’Aquinate,  coglie

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originariamente l’essere come essere sensibile nelle cose materiali che cadono sotto i sensi (quidditas rei materialis).

Nulla impedisce all’intelletto, secondo S.Tommaso, di formasi un’idea generica e quasi univocadall’essere, anzi è cosa normale, quell’idea che potremmo chiamare idea dell’“esistere” o, comela chiama Padre Fabro, l’esse in actu (existentia), applicabile univocamente a tutto, Dio mondo,essere, nulla, vero, falso, bene, male, reale, ideale, in quanto è un puro predicato astratto,semplicemente in opposizione col non-esistere e col contradditorio; è quello che Maritainchiama “essere logico”.

Ma quando si tratta di cogliere il reale (cose, uomo, mondo, Dio), Tommaso ci ricorda chequesta idea logica non serve, ma occorre formare un’idea analogica dell’essere, sia per quantoriguarda l’essenza che per quanto riguarda l’essere, altrimenti rischiamo di parificare l’esseredel mondo con quello di Dio e di non vederne l’immensa diversità.

Ovviamente, tale aspetto panteistico era quanto di più contrario si possa immaginare alleintenzioni del Rosmini, che aveva per esso orrore;  ma purtroppo egli non riesce ad elaborareuna nozione analogica dell’essere sufficientemente adeguata, che fughi ogni preoccupazione,in quanto egli ammette, come si è detto, l’analogia per l’essenza dell’ente e non per l’essere.Invece la vera analogia, come mostra Tommaso, deve riguardare anche l’essere.

Inoltre Rosmini vorrebbe dare l’essere come oggetto dell’“intelletto agente” di S.Tommaso,  peril fatto che l’Aquinate, al seguito di Aristotele, chiama “lume” questo intelletto, mentre l’essereper Rosmini è appunto il “lume” dell’intelletto. Ma egli dimentica che per Tommaso l’intellettoagente non ha affatto per oggetto l’essere, ma, illuminando le immagini tratte dall’esperienza, faconoscere all’anima l’essenza universale astratta dall’individuo sensibile. L’intelletto agente faconoscerel’essere, ma per conto proprio non lo conosce.

Solo l’“intelletto possibile” per S.Tommaso conosce l’ente e l’essere, ma peraltro non “a priori” ocome “idea innata”, ma come oggetto intellegibile ricavato dall’esperienza, anche se con ilmetodo dell’analogia, giacchè è evidente per Tommaso come per tutti i Dottori cattolici che lo

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spirito trascende la materia; è evidente che il senso non sa nulla dello spirito e che se l’intellettovuol conoscere lo spirito deve ben trascendere l’esperienza sensibile, ma il trascendente perTommaso non è un dato apriorico dell’attività intellettuale precedente l’esperienza, ma è undato aposteriorico che consegue all’esperienza.

Il famoso motto tomista “nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu” non vuol dire chenoi conosciamo solo le cose materiali, ma che anche quelle spirituali le raggiungiamo peranalogiapartendo da quelle materiali, facendo appunto uso della nozione analogica e partecipativadell’essere.[4]

E come, per S.Tommaso, l’intelletto raggiunge un piano di realtà, quello spirituale, chetrascende l’esperienza? Appunto col formare la nozione di ente, la quale di per sè non implicaaffatto che sia ristretta alla materia, ma fa riferimento, almeno possibile, anche al mondo dellospirito.

Per Tommaso, dunque, l’idea dell’essere non precede, come in Rosmini, l’intellezione del reale,ma è formata dall’intelletto a seguito del contatto col reale e appunto per intendere il reale.L’idea dell’essere è così derivata dall’intellezione dell’ente reale.

Certo in seguito l’intelletto, usando una nozione previa dell’essere, intende il reale nell’idea eper mezzo dell’idea, che può a sua volta diventare oggetto di conoscenza, nell’autocoscienza.Ma la mente coglie l’idea ossia la verità dell’essere o l’intellegibilità dell’essere solo perchéattinge allo stesso essere extramentale indipendente dall’idea. L’idea dell’essere quindi, almenoquella umana, non è oggetto originario del pensiero, ma è la rappresentazione del dato realeextramentale, rappresentazione da noi formata appunto per conoscere l’oggetto, ovvero l’entereale. Un’idea a priori dell’essere può essere solo quella di un puro spirito, come l’angelo o Dio.

Indubbiamente l’intelletto in possesso dell’idea dell’essere affronta la conoscenza delle cose,dell’io, degli altri e di Dio. Tuttavia nell’atto del conoscere non si tratta tanto, come credeRosmini, di “applicare” una previa idea indeterminata dell’essere a un particolare oggetto“sentito”, ma piuttosto, come insegna l’Aquinate, di determinare questa idea alla luce dell’essere proprio di quell’enteche cade simultaneamente sotto il senso e  sotto l’intelletto.

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Quindi l’essere non va tanto applicato quanto piuttosto scoperto ed affermato nel giudizio làdove si trova, si tratti della formica, del fiore di campo, della stella cometa, della persona che mista davanti o di Dio stesso.

Il Dio di Rosmini non è dunque il Dio-Ideale di Kant come sommo punto di convergenza e diunificazione del lavoro della ragione, garante dell’ordine della ragione, ma è il Dio reale etrascendente della teologia razionale e del cristianesimo, anche se è evidente la simpatia diRosmini per l’argomento ontologico di S.Anselmo e per il cammino bonaventuriano verso Dio,che parte dall’idea dell’essere riflettendo sulle sue implicanze. E’ il Dio dell’interiorità, terminedell’agostiniano “transcende et teipsum”, ma non è certo il Dio immanentistico della filosofiaidealista.

Giovanni Gentile ha tentato di appropriarsi del pensiero di Rosmini facendone una specie dikantiano, ma non ha capito che in Rosmini non si tratta di una questione di contenuti [5] :Rosmini è sostanzialmente un realista, anche se nella linea dell’interiorismo e dell’illuminismoagostinano-bonaventuriano, ma nel contempo è vicino anche a San Tommaso, del quale avevagrande ammirazione, anche se inconsapevolmente lo ha ricondotto alla linea precedente chenon è quella di S.Tommaso, essendo egli, come è noto,  sulla linea del realismo aristotelico.

Le famose 40 proposizioni condannate, certo, come suonano, sanno di ontologismo edidealismo, e la Congregazione per la Dottrina della Fede lo ha ribadito, ma come spiegò inoccasione della beatificazione di Rosmini l’allora Card. Ratzinger, Prefetto della medesimaCongregazione, quelle tesi non riflettono il pensiero generale e profondo del grande e SantoRoveretano, il quale restò immune dall’eresia e risplende come astro della millenaria sapienzacristiana, fedele al mandato di Papa Gregorio XVI, che lo esortò ad impiegare le risorse del suogenio per il bene della Chiesa ed ammirato dallo stesso Beato Pio IX che pure avviò il processoche portò alla condanna delle proposizioni.

Certamente toccò a Leone XIII evidenziare gli errori, dai quali a tutt’oggi occorre guardarsi,perché ancora persistono, ma la fama di santità e di sapienza del Rosmini non si spense, finchèil Beato Papa Giovanni Paolo II lo indicò nell’enciclica Fides et Ratio come esempio dipensatore e nel 2007 si giunse alla  Beatificazione di un filosofo e teologo cattolico, fedele allatradizione e nel contempo coraggioso innovatore, quasi a precorrere il progresso della culturacattolica promosso dal Concilio Vaticano II.

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La Chiesa ha oggi la magnanimità di proclamare santi persone che non sono esenti, seppurinvolontariamente, dai limiti della condizione terrena: “Si iniquitates observaveris, Domine,Domine, quis sustinebit? Quia apud Te misericordia est et magna apud Eum redemptio” (Sal129,3-4).

 

 

[1] Da Avvenire del 28.VII.2006.

[2] Cit. da Davide Spanio, Idealismo e metafisica. Coscienza, realtà e divenire nell’attualismogentiliano , con prefazione di Emanuele Severino,, Ed.Il Poligrafo,Padova 2003, p.107.

[3] Uno studioso che si sforza, ma senza successo, di dimostrare che l’innatismo tomista ècome quello rosminiano, è Franco Percivale, Da Tommaso a Rosmini. Indaginesull’innatismo con l‘ausilio dell’esplorazione elettronica dei testi,Edizioni Marsilio, Venezia, 2003.

[4] Benedetto XVI ci ha recentemente ricordato l’importanza di queste due categoriemetafisiche dell’analogia e della partecipazione nel Discorso ai partecipanti alla Plenaria dellaPontificia Accademia delle Scienze lo scorso 8 novembre:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2012/november/documents/hf_ben-x

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vi_spe_20121108_academy-sciences_it.html

[5] Lo Spanio, op. cit., discute con intelligenza questi tentativi del Gentile.

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