Casco Inverno 2015

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Periodico trimestrale riservato alla classemedica edito in collaborazione con

Via Vitorchiano 151 – 00189 RomaTel 06 36 19 11 – Fax 06 36 380 311www.msd-italia.itNumero verde 800 23 99 89

Inverno 2015

Registrazione del Tribunale di Roma in corso

Direzione scientifica: Fausto RoilaEnzo BallatoriGruppo editoriale:Claudia Caserta Sonia Fatigoni Guglielmo FumiAzienda Ospedaliera di Terni

Il Pensiero Scientifico EditoreVia San Giovanni Valdarno 8 00138 RomaTel 06 862 821 – Fax 06 862 82 250Internet:www.pensiero.itStampa:Arti Grafiche Tris, RomaMarzo 2015Direttore responsabile:Giovanni Luca De FioreRedazione: Manuela BaronciniProgetto grafico:Antonella MionPrezzo: Fascicolo singolo €15,00

I contenuti pubblicati dalla rivistarispecchiano le opinioni degli Autori e non necessariamente quelle dell’Editore o della MSD Italia S.r.l.

Ogni farmaco menzionato deve essere usato in accordo con il relativoriassunto delle caratteristiche delprodotto fornito dalla ditta produttrice.

In questo numero

Inverno 2015

In copertina: Mario Ballocco,Reticolo nero diversi blu rosso verso destra(1948).

La ricerca indipendente: il paradigma dell’IGAR.

EDITORIALE

4 Buon 25° compleanno, IGAR!Enzo Ballatori,Fausto Roila

DALLA LETTERATURA

6 Le novità sulle terapie di supporto/palliative nel 2014Fausto Roila

GESTIONE EVENTI AVVERSI

12 Tossicità di ramucirumab,ceritinib, olaparibElisa Minenza

IL PUNTO SU...

18 Crisi convulsive da metastasicerebrali o tumori cerebraliprimitivi: profilassi e terapiaClaudia Caserta

22 Gestione sintomatica del paziente oncologico: i sintomi orfaniGuglielmo Fumi

CASI CLINICI

25 È clinicamente rilevanteritardare il primo eventoscheletrico?Enzo Ballatori,Fausto Roila

STATISTICA PER CONCETTI

28 Test statistici per dati appaiatiEnzo Ballatori

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Buon 25° compleanno, IGAR!Editoriale

Nella seconda metà degli anni ‘70, a Perugia,

venivano formandosi i primi gruppi spontanei di

ricerca clinica in Oncologia che, soprattutto per

motivi logistici, operavano nel campo della terapia

antiemetica. Ma, anche in questo limitato settore, il balzo

verso la ricerca internazionale era legato alla capacità di

accrual, e una divisione di Oncologia di una piccola regione

non ne aveva molta. I fondi di ricerca erano inesistenti e

quindi occorreva puntare sulla partecipazione volontaria di

altri centri oncologici, riconoscendo loro un ruolo di

primissimo piano nella pubblicazione dei risultati. Poiché si

ritenne che la cosa che veramente contava era fare ricerca,

si decise di rinunciare ciascuno alle proprie individualità e di

fondare un gruppo di ricerca indipendente che avrebbe

firmato tutti i lavori prodotti con un nome collettivo:

(The) Italian Group for Antiemetic Research (IGAR).

La multidisciplinarietà era ciò che maggiormente

caratterizzava l’IGAR, individuabile nelle figure dei suoi

quattro fondatori (che in seguito saranno costantemente i

coordinatori del Gruppo): Enzo Ballatori, statistico medico,

Albano Del Favero, farmacologo clinico, Fausto Roila (che

ne divenne l’anima più attiva) e Maurizio Tonato, oncologi

medici. Ma si trattava non già di mettere a disposizione

degli altri le proprie competenze, come l’interdisciplinarietà

era allora comunemente intesa, ma di perseguirla cercando

ciascuno di appropriarsi delle conoscenze dell’altro; in tal

modo, lo statistico imparò di Oncologia e di Fisiopatologia,

l’oncologo di Statistica e di Metodologia della ricerca:

dopo molte esperienze, anche in altri settori, riteniamo

ancora oggi che questo sia il modo più proficuo di

praticare l’interdisciplinarietà, anche alla luce dei frutti che

ha dato.

L’IGAR si costituì informalmente come Gruppo spontaneo

per praticare una ricerca clinica realmente indipendente

dall’industria. Ciò non implicò che qualunque aiuto

economico da parte dell’industria dovesse essere rifiutato,

anzi, fu deciso che lo si dovesse accettare, ma solo a

condizione che non ci sarebbe stata alcuna interferenza: né

nella preparazione del protocollo, né nella memorizzazione

dei dati su supporto magnetico, né nella loro elaborazione,

né nell’interpretazione dei risultati, né nella stesura degli

articoli da sottoporre alle riviste per la pubblicazione.

Il primo lavoro pubblicato a nome collettivo fu “The Italian

Group for Antiemetic Research. Ondansetron +

dexamethasone vs metoclopramide + dexamethasone +

diphenhydramine in prevention of cisplatin-induced

emesis. Lancet 1992; 340: 96-9”.

Festeggiamo oggi il 25° compleanno dell’IGAR perché la

stesura del protocollo (in cui era sancita la firma del lavoro

a nome collettivo) datava da poco più di due anni.

Dati i tempi, che una delle più importanti riviste di

Medicina interna del mondo dedicasse uno spazio alle

terapie di supporto in Oncologia per pubblicare i risultati di

uno studio italiano fu un fatto che ebbe ampia risonanza.

Dal punto di vista dei contenuti, il lavoro citato è

importante perché fu tra i primi ad individuare il ruolo dei

5-HT3 antagonisti nella prevenzione dell’emesi indotta da

chemioterapia.

Dal materiale raccolto nel corso dello studio, vennero messi

a punto altri 4 articoli che affrontavano aspetti diversi ed

originali, tutti pubblicati su prestigiose riviste; tra essi, il

primo lavoro pubblicato da un Gruppo italiano su

PharmacoEconomics, che allora era considerata la più

importante rivista di Farmacoeconomia. Ciò obbliga ad una

riflessione sullo spreco di informazione derivato dall’attuale

modello di ricerca: i dati raccolti servono per pubblicare un

articolo (raramente più di uno) e poi vengono accantonati.

In tal modo, si può solo immaginare quanti progressi siano

stati negati alla Medicina.

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In questi 25 anni, l’IGAR ha prodotto una cinquantina di

lavori pubblicati su riviste internazionali e tale intensa

attività fu riconosciuta a livello internazionale anche

privilegiando Perugia come luogo dove tenere le

Consensus Conference per la definizione delle linee guida

di trattamento antiemetico, del MASCC, prima, e del

MASCC ed ESMO associate, poi. Nella prima Perugia

Consensus Conference furono anche definite le linee guida

di ricerca clinica sugli antiemetici, che in seguito non si

ritenne di dover più modificare.

Premesso che IGAR è ancora attivo, sebbene in modo assai

più limitato rispetto al passato, ci si può chiedere cosa resti

dell’esperienza dell’IGAR nel panorama della ricerca clinica.

Nei contenuti, l’individuazione del ruolo dei trattamenti

antiemetici oggi in uso; ma ciò di cui si può andare ancora

più orgogliosi è il valore paradigmatico del modo di fare

ricerca indipendente, basata sulla interdisciplinarietà,

cercando di dare risposte ai quesiti che emergono dalla

pratica clinica.

Purtroppo però troppe cose sono cambiate nell’ambito

della ricerca clinica: una sempre più spinta

burocratizzazione rende di fatto impossibile fare una

ricerca spontanea poco o scarsamente finanziata; una

maggiore pervasività nella ricerca clinica dell’industria che

paga i ricercatori anche per studiare problemi che sono più

finalizzati al marketing che alla ricerca scientifica, ha finito

con l’occupare gli spazi che prima restavano per condurre

ricerche indipendenti. In sintesi, il valore che prima si dava

alla conoscenza scientifica dei fenomeni, oggi è dirottato in

larga misura sulle decisioni, e ciò anche da parte dello

Stato che, per tante ragioni, dovrebbe invece tutelare ed

incentivare la ricerca spontanea.

Qualora ci fossero sia un cambiamento di atteggiamento

dei decisori di spesa della Sanità pubblica, sia energie

sufficienti per tornare a produrre ricerca spontanea, il

modello IGAR, magari con qualche modifica, potrebbe

essere quello più valido in quanto ancora oggi non ci

sembra superato.

Concludiamo questo brevissimo ricordo ringraziando le

centinaia di centri oncologici che, di volta in volta, hanno

aderito alle proposte di studi clinici, prestando

disinteressatamente la loro opera: essi rappresentano

l’anima più vera dell’IGAR, il suo prezioso patrimonio da

tutelare.

Enzo BallatoriFausto Roila

| Editoriale | Buon 25° compleanno, IGAR!

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6 CASCO — Inverno 2015

dico intenso (breakthrough pain) nei pazienti neoplasticisono stati analizzati 19 studi osservazionali che hanno evi-denziato una prevalenza nel 59,2% dei pazienti, variando dal39,9% nei pazienti ambulatoriali all’80,5% nei pazienti rico-verati in Hospice2. Quindi il fenomeno ha un’incidenza vera-mente alta e vi è un rischio reale di sottovalutazione di que-sto sintomo e quindi di un non appropriato trattamento.

Nel 2014 è stata pubblicata anche una network metanalisidegli studi controllati sui farmaci oppioidi impiegati nel trat-tamento del dolore episodico intenso3. Come è noto per que-sta indicazione abbiamo a disposizione varie formulazioni difentanyl somministrabili al bisogno attraverso varie vie (in-tranasale, intramucosale, sublinguale, ecc.), ma mancanostudi controllati ben fatti per poter scegliere il farmaco mi-gliore, ammesso che le modeste differenze nella farmacoci-netica di queste formulazioni possano tradursi in un diversobeneficio sia di efficacia che di tossicità. Purtroppo infattil’unico studio finora pubblicato è uno studio industria-spon-sored, non in cieco fra fentanyl intranasale e fentanyl tran-smucosale orale i cui risultati proprio perché non eseguito indoppio cieco non possono essere considerati come unaprova della superiorità di una formulazione rispetto all’altra.

Finora scarsa attenzione è stata rivolta alla valutazione eal trattamento del dolore dovuto alle terapie delle neoplasiee alle procedure diagnostiche del cancro (ad esempio, em-bolizzazioni delle neoplasie, toracentesi, inserzione di nefro-stomie, biopsie midollari ed ossee, agobiopsie transtoraciche,punture lombari, ecc.). Ciò potenzialmente potrebbe causarela somministrazione di trattamenti subottimali. Questo èstato oggetto di una revisione della letteratura in cui si sot-tolinea la necessità di eseguire studi in questi tipi di dolore4.

Prevenzione della nausea e vomito da chemioterapiaLe linee guida pubblicate da varie organizzazioni inter-

nazionali (ESMO/MASCC, ASCO, ecc.) raccomandano perprevenire la nausea ed il vomito acuto (prime 24 ore dopo lachemioterapia) indotti da cisplatino o da antracicline più ci-clofosfamide, in donne affette da carcinoma della mam-mella, un regime a tre farmaci includenti una dose singola diun 5-HT3 antagonista più desametasone più aprepitant (o fo-saprepitant) somministrati prima della chemioterapia. Nel2014 sono stati pubblicati vari studi controllati con nuovi NK1antagonisti quali il netupitant (approvato recentemente dallaFDA in combinazione in unica compressa con palonosetron)ed il rolapitant. Gli studi hanno confrontato il NK1 antago-nista aggiunto al 5-HT3 antagonista e al desametasone ver-sus il 5-HT3 antagonista più desametasone da soli5-9. Consi-

Q uesto articolo non intende presentare tutte le novità, opresunte tali, pubblicate nel 2014 sulle terapie di sup-

porto/palliative, cosa peraltro quasi impossibile data la moledella letteratura sui sintomi delle neoplasie e sugli eventi av-versi dei trattamenti antitumorali. Si pone invece l’obiettivodi selezionare gli studi o le revisioni della letteratura pubbli-cati dalla fine del 2013 alla fine del 2014 che potrebberoavere un importante impatto sulla pratica clinica tanto da ri-chiedere un aggiornamento delle linee guida disponibili. Al-cuni di questi studi sono stati precedentemente riportati inquesta rivista nell’articolo sulle novità dell’ASCO 2014.

Dolore da cancroLa scala del WHO suggerisce ad ogni gradino la possibi-

lità di aggiungere farmaci adiuvanti ai farmaci analgesiciconsigliati. Tra questi gli steroidi sono raccomandati da tuttele linee guida anche se poche sono le evidenze disponibili diun loro effetto analgesico. In uno studio randomizzato dop-pio cieco 47 pazienti sottoposti a oppioidi, con dolore ≥ 4 inuna scala da 0 a 10, sono stati trattati con metilprednisolone16 mg due volte al giorno o placebo per 7 giorni1. Pur-troppo l’aggiunta del farmaco non determinava una ridu-zione del dolore o del consumo di oppioidi anche se miglio-rava significativamente la fatigue, l’appetito e la soddisfazionedei pazienti. Questo studio ha però importanti limiti:– ha richiesto 4 anni per screenare 592 pazienti e arruolarne

47; – la maggior parte era esclusa perché già in trattamento

con steroidi e quindi vi è un rischio di bias di selezione;– vi è uno squilibrio a sfavore dei pazienti randomizzati a ri-

cevere metilprednisolone perché questi erano sottopostiad una dose mediana di morfina superiore a quelli trat-tati con placebo (269,9 mg/die versus 160,3 mg/die), ave-vano un’incidenza superiore di dolore neuropatico (19%versus 5% dei pazienti) che ne giustificava il maggior usodi gabapentina (23% versus 0%). Pertanto, potendo questi limiti almeno in parte spiegare

i risultati negativi ottenuti dai pazienti sottoposti a metil-prednisolone, sono necessari ulteriori studi meglio pianificatie su una casistica più ampia per rispondere al quesito del-l’efficacia analgesica degli steroidi nel dolore da cancro.

In una revisione sistematica degli studi sul dolore episo-

Fausto RoilaStruttura Complessa di Oncologia MedicaAzienda Ospedaliera“S. Maria”, Terni

Dalla letteratura

Le novità sulle terapie di supporto/palliative nel 2014

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| Dalla letteratura | Le novità sulle terapie di supporto/palliative nel 2014

derando anche gli studi sull’aprepitant l’aggiunta di un NK1antagonista aumenta la risposta completa (non vomito né te-rapie di salvataggio) nelle prime 24 ore dal 4% al 15% nei pa-zienti sottoposti a cisplatino e dal 3% al 7% nelle pazienti concarcinoma della mammella sottoposte a AC/EC rispetto allacombinazione del 5-HT3 antagonista più desametasonesenza NK1 antagonista. Questo aumento non solo è statisti-camente significativo ma anche clinicamente rilevante perchéimpatta sull’incidenza dell’emesi ritardata (giorni 2-5) dellostesso ciclo di chemioterapia e sull’incidenza dell’emesi acutae ritardata dei cicli di chemioterapia successivi. Purtroppo almomento non sono stati eseguiti studi di confronto peridentificare differenze di efficacia e tossicità tra i tre NK1 an-tagonisti. Pertanto quando questi farmaci saranno disponibili,la scelta dovrebbe essere basata sul loro rispettivo costod’acquisto. Infine una nota polemica rispetto agli enti rego-latori: quando la smetteranno di suggerire studi non eticicome quelli sopra riportati all’industrie farmaceutiche? Nonsarebbe opportuno registrare i nuovi farmaci con studi di con-fronto versus i trattamenti standard che comprendevano inquesti casi anche un NK1 antagonista?

Nel 2014 sono stati pubblicati tre studi sull’uso del-l’aprepitant in associazione con altri antiemetici che dovreb-bero portare ad aggiornare le linee guida attualmenteesistenti. Uno studio randomizzato doppio cieco di fase III in297 pazienti con carcinoma ovarico, dell’endometrio e dellacervice uterina, sottoposti per la prima volta a chemioterapiacon carboplatino e paclitaxel, sono stati randomizzati a rice-vere aprepitant o placebo in associazione con un 5-HT3 an-tagonista più desametasone10. L’endpoint primario dellostudio era la percentuale di risposte complete, di assenza divomito e di assenza di nausea significativa nei giorni 1-5dopo la chemioterapia. L’aggiunta dell’aprepitant ha miglio-rato significativamente la risposta completa (61,6% versus47,3% dei pazienti), l’assenza di vomito (78,2% versus54,8%) e di nausea significativa (85,4% versus 74,7%).

In uno studio doppio-cieco 302 pazienti pediatrici* sot-toposti a chemioterapia moderatamente/altamente emeto-gena sono stati randomizzati a ricevere aprepitant (125 mggiorno 1 e 80 mg giorni 2 e 3 se di età compresa tra 12 e 17anni, 3 mg/kg giorno 1 e 2 mg/kg giorni 2 e 3 se di età com-presa tra 6 mesi e < 12 anni) o placebo ambedue associati adondansetron11. Il desametasone era aggiunto a discrezionedell’investigatore. L’endpoint primario era la percentuale dirisposta completa nei giorni 2-5 dopo la chemioterapia.L’aprepitant aumentava significativamente la risposta com-pleta (50,7% versus 26,0% nei giorni 2-5, 66,4% versus52,0% nel giorno 1 e 40,1% versus 21,3% nei giorni 1-5).

In un altro studio doppio-cieco in 362 pazienti con mie-loma multiplo sottoposti a terapia con alte dosi di melphalan(100 mg/m2 giorni 1 e 2) e trapianto di midollo autologo ilgiorno 4 sono stati randomizzati a ricevere aprepitant (125 mg giorno 1 e 80 mg giorni 2-4**) più granisetron (2 mgos giorni 1-4) e desametasone (4 mg os giorno 1 e 2 mg osgiorni 2 e 3) o granisetron alle stesse dosi più desametasone(8 mg os giorno 1 e 4 mg os giorni 2 e 3)12. L’endpoint pri-mario dello studio era la percentuale di risposta completa nei

giorni 1-5 dopo la somministrazione di melphalan. L’aggiuntadell’aprepitant aumentava significativamente la risposta com-pleta (58% versus 41% dei pazienti), la percentuale di pazientisenza vomito (78% versus 65%) e di pazienti senza nausea si-gnificativa (94% versus 88%).

Infine si ricordano i risultati dello studio del gruppo ita-liano per la ricerca sugli antiemetici che ha presentato al-l’ASCO uno studio che ha dimostrato in pazienti sottoposti achemioterapia con cisplatino e trattati tutti con aprepitant,ondansetron e desametasone per prevenire il vomito acuto,la simile efficacia dell’aprepitant e della metoclopramide, am-bedue associati al desametasone, nel controllo del vomito ri-tardato13.

InfezioniL’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) ha re-

centemente pubblicato le raccomandazioni per la prevenzionedell’influenza14. I pazienti neoplastici essendo immunosoppressipossono avere una risposta immunologica subottimale al vac-cino dell’influenza. Purtroppo l’effetto del vaccino nei pazienticon tumori solidi non è stato sufficientemente studiato cosìcome poco si conosce circa il tempo ottimale per somministrarlodurante il trattamento chemioterapico. In ogni caso essendo lavaccinazione il metodo più efficace per prevenire l’influenzaquesta deve essere raccomandata a tutti i pazienti per ridurreil rischio di contrarre l’infezione.

La chemioterapia precauzionale con taxani e antraciclinein pazienti con carcinoma della mammella ha un alto rischiodi neutropenia febbrile, specie nei primi due cicli, e richiedeuna profilassi con G-CSF (granulocyte colony-stimulating fac-tors) che da risultati preliminari sembravano più efficaciquando somministrati all’inizio della chemioterapia. Su que-ste basi è stato pianificato uno studio che ha randomizzato ipazienti a ricevere G-CSF per soli due cicli versus G-CSF pertutti i cicli di chemioterapia15. Lo studio è stato interrotto dopol’inclusione di 162 pazienti perché ad un’analisi ad interim siè evidenziato che la neutropenia febbrile insorgeva nel 10%dei pazienti che ricevevano G-CSF tutti i cicli versus 36% in chili riceveva per soli 2 cicli.

Una monoterapia antibiotica empirica è la terapia standarddella neutropenia febbrile, ma può essere inadeguata per in-fezioni causate da batteri multiresistenti specie in pazienti conneoplasie ematologiche. In uno studio 390 pazienti sono statirandomizzati a ricevere piperacillina-tazobactam 4,5 grammiev ogni 8 ore ± tigeciclina (50 mg ev due volte al giorno)16. Lacombinazione ha indotto un successo (risoluzione della febbre)nel 67,9% versus 44,3% dei pazienti ed era superiore anchein pazienti con batteriemia e in pazienti con infezione clinica-mente documentata. La mortalità e gli effetti collaterali eranosimili in ambedue i bracci di trattamento.

* La sicurezza e l’efficacia di aprepitant o fosaprepitant in pazienti dietà inferiore a 18 anni non sono state ancora stabilite. MSD nonraccomanda un uso dei suoi prodotti differente da quantospecificato in RCP.** EMEND è indicato per tre giorni nel contesto di una terapia diassociazione. MSD non raccomanda posologie diverse da quelleriportate nel riassunto delle caratteristiche del prodotto.

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Prevenzione e trattamento del tromboembolismo venosoComprende la prevenzione ed il trattamento delle trom-

bosi venose profonde e dell’embolia polmonare che sonocondizioni comuni e potenzialmente letali. Le eparine a bassopeso molecolare e gli antagonisti della vitamina K hanno per-messo il trattamento ambulatoriale delle trombosi venoseprofonde e talora anche dell’embolia polmonare nella faseacuta. Lo sviluppo di nuovi anticoagulanti somministrabili pervia orale potrebbe permettere un’ulteriore semplificazionedella terapia. I farmaci anticoagulanti sono inibitori diretti delfattore Xa (rivaroxaban, apixaban, edoxaban) e del fattore IIa(dabigatran)17. I vantaggi di questi farmaci sono: l’uso per viaorale, hanno un rapido inizio di attività, non inducono restri-zioni dietetiche nei pazienti, hanno poche interazioni con i far-maci e, soprattutto, non necessitano di monitoraggio labora-toristico. Gli svantaggi sono rappresentati da una limitataesperienza clinica, dalla mancanza di test di laboratorio di ef-ficacia validati, dalla mancanza di farmaci che ne blocchinol’efficacia, dal doverli usare con cautela nei pazienti con in-sufficienza renale e dalla necessità di alti livelli di compliancedato che la più breve emivita aumenta i rischi se non si assu-mono tutte le dosi.

Recentemente è stata fatta una revisione dell’uso di que-sti farmaci nei pazienti oncologici18. Un ostacolo al loro uso èrappresentato dall’aumentato rischio trombotico ed emorra-gico dei pazienti con cancro già in condizioni basali, dalla pro-pensione dei pazienti neoplastici a rapidi cambiamenti dellafunzione renale ed epatica e dalla mancanza di farmaci ingrado di bloccare l’efficacia dei nuovi anticoagulanti. Inoltremolti farmaci antitumorali, e non solo, interagiscono signifi-cativamente con l’enzima CYP3A4 e/o con la P glicoproteinadi trasporto che può alterare il livello di anticoagulazione e pre-disporre a complicanze emorragiche e trombotiche. Pertanto,in assenza di dati di efficacia e tossicità in pazienti con cancroi nuovi anticoagulanti dovrebbero essere usati con cautela esolo dopo un’accurata valutazione dei rischi e dei benefici.

Una revisione della letteratura ha sottolineato come letromboflebiti superficiali agli arti inferiori tendono a recidivare,estendersi o progredire a trombosi venose profonde nel 10%dei pazienti nonostante il trattamento19. Fondaparinux 2,5 mgsottocute 1 volta al giorno per 45 giorni induce rispetto al pla-cebo minori rischi di trombosi venose profonde sintomatichee minori estensioni o recidive di trombosi venose superficialisenza aumentare il rischio di emorragie. Le eparine a bassopeso molecolare ed i FANS danno risultati simili ma i dati sulletrombosi venose profonde sintomatiche con questi farmacinon sono definitivi.

Infine uno studio in 70 pazienti con neoplasia non ema-tologica che ha randomizzato i pazienti a ricevere un PICC (ca-tetere venoso centrale inserito perifericamente) o un port persomministrare la chemioterapia20. L’endpoint primario eral’insorgenza di complicazioni maggiori che richiedevano la ri-mozione del catetere venoso centrale. Il port presentava menocomplicazioni (12% versus 29%). Anche la percentuale dicomplicanze maggiori era inferiore con il port (6% versus20%). I costi e l’impatto sulla qualità di vita erano simili.

Prevenzione della perdita di fertilitàNel 2014 il Lancet ha pubblicato due importanti revisioni

della letteratura sulla preservazione della fertilità in pazientineoplastici maschi21 e femmine22. Nel maschio il trattamentodel cancro ed in particolar modo gli agenti alchilanti e la ra-dioterapia, che causano perdita delle cellule germinali, pos-sono compromettere la fertilità. Di conseguenza varie strate-gie di preservazione della fertilità sono state studiate di cui lacriopreservazione dello sperma è un metodica efficace spessosottoutilizzata per salvaguardare gli spermatozoi. Nelle donne,l’interesse alla preservazione della fertilità è cresciuto conl’aumentare delle percentuali di guarigione di giovani donne.La criopreservazione del tessuto ovarico, la protezione far-macologica delle ovaie dagli agenti antitumorali, il trapiantodi follicoli fino alle più recenti tecniche di vitrificazione e ma-turazione degli ovociti in vitro rappresentano tecniche pro-mettenti ma ancora sperimentali.

In alcuni studi per prevenire la perdita di fertilità è stato uti-lizzato un farmaco LH-RH agonista in grado di determinareuna castrazione chimica che in teoria potrebbe prevenire ildanno indotto dalla chemioterapia sull’ovaie. In un importantestudio presentato all’ASCO 2014 è stato somministrato ognimese il goserelin per 4 dosi consecutive a partire da settegiorni prima dell’inizio della chemioterapia in 135 donne concarcinoma della mammella in premenopausa con recettori or-monali negativi23.

L’endpoint primario dello studio era l’insufficienza ovaricaprecoce caratterizzata da amenorrea da almeno 6 mesi e livellipostmenopausali di FSH. Questa è stata osservata nel 22%(15/69) delle donne sottoposte a sola chemioterapia e nell’8%(5/66) di quelle trattate con chemioterapia piu goserelin.

Ma il risultato più interessante e finora mai descritto èstato l’impatto del goserelin sulla fertilità della donna, che eraun endpoint secondario dello studio. Circa lo stesso numerodi pazienti in ambedue i bracci di trattamento aspiravano adavere una gravidanza. In questo studio la gravidanza si rag-giungeva nel 21% delle pazienti sottoposte a chemioterapiapiù goserelin rispetto all’11% di quelle che facevano solo che-mioterapia.

Dopo circa 4 anni dal trattamento la sopravvivenza liberada progressione di malattia (89% versus 78%) e la sopravvi-venza globale (92% versus 82%) erano superiori nelle pazientisottoposte a goserelin. Ovviamente non essendo lo studio pia-nificato per osservare differenze indotte dal goserelin in ter-mini di sopravvivenza libera da progressione e sopravvivenzaglobale tali risultati dovranno essere confermati da altri studi.

Sintomi vaginaliDonne in post-menopausa affette da pregressa neoplasia

ginecologica o della mammella spesso lamentano sintomi diatrofia vaginale e difficoltà a raggiungere un’adeguata sod-disfazione sessuale. Uno studio ha randomizzato 441 donnecon ≥ moderata secchezza vaginale o dolore a ricevere unemolliente vaginale rappresentato da 3,25 o 6,5 mg di dei-droepiandrosterone o placebo (147 pazienti per ogni gruppo)applicato quotidianamente tramite una siringa preriempita per12 settimane prima di andare a letto24. I sintomi miglioravano

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| Dalla letteratura | Le novità sulle terapie di supporto/palliative nel 2014

in tutti e tre i bracci di trattamento (-1,4; -1,6; e -1,3 rispet-tivamente con 3,25; 6,5 e placebo). La dose di 6,5 rispettoal placebo migliorava significativamente tutti gli aspetti dellafunzione sessuale a 12 settimane eccetto l’orgasmo. La tos-sicità di grado 2/3 non era differente tra i trattamenti anchese i cambi di voce e la cefalea erano superiori nelle pazientisottoposte al deidroepiandrosterone.

DifosfonatiÈ stato eseguito uno studio in 403 donne affette da me-

tastasi ossee di carcinoma della mammella che sono staterandomizzate, dopo avere ricevuto terapia con acido zole-dronico o pamidronato somministrati ogni mese per almeno9 mesi, a ricevere acido zoledronico ogni 4 settimane (tera-pia standard) versus acido zoledronico ogni 12 settimane pervia endovenosa25. Questo era uno studio di non inferiorità. Adun follow-up mediano di 11,9 mesi gli eventi scheletrici (iper-calcemia, fratture ossee vertebrali e non vertebrali, radiote-rapia su lesioni ossee o chirurgia per lesioni ossee) erano os-servati nella stessa percentuale di pazienti (22% versus23,2%) così come non significativamente differente era iltempo al primo evento scheletrico. Gli effetti collaterali deidue trattamenti erano simili ma meno insufficienza renale(7,9% versus 9,6%) e meno osteonecrosi della mandibola (0 versus 2) erano osservate nelle pazienti sottoposte adacido zoledronico ogni 12 settimane.

AnoressiaLa anoressia/cachessia è una condizione debilitante ca-

ratterizzata da scarso appetito e diminuzione del peso cor-poreo principalmente dovuto alla perdita di massa corporeamagra. I trattamenti finora disponibili hanno limitata effica-cia e potenziali rischi specie in pazienti con neoplasie avan-zate. La grelina produce il rilascio dell’ormone della crescitastimolando così molteplici patways che regolano il peso cor-poreo, la massa corporea magra, l’appetito ed il metaboli-smo. L’anamorelina, un agonista dei recettori della grelina at-tivo per via orale, è stata valutata in due studi randomizzatidoppio-cieco (ROMANA 1 e ROMANA 2) versus placebo in979 pazienti con carcinoma del polmone non microcitomanon resecabile stadio IIIB e IV con cachessia (perdita di peso≥ 5% entro i precedenti 6 mesi o indice di massa corporea(BMI) < 20 kg/m2) quasi tutti sottoposti a chemioterapia o ra-dioterapia26. Gli endpoint co-primari erano le modifiche a 12settimane rispetto alle condizioni basali della massa corporeamagra e della forza nella mano non dominante, mentre en-dpoint secondari erano le modifiche nel tempo del peso, dellaqualità di vita e della sopravvivenza globale. L’anamorelina adosi di 100 mg al giorno per 12 settimane ha aumentato si-gnificativamente la massa corporea magra (+1,10 kg versus0,44 kg in ROMANA 1 e + 0,75 kg versus – 0,96 kg in RO-MANA 2) il peso corporeo (+ 2,20 kg versus 0,14 kg e + 0,95versus + 0,57 kg, rispettivamente). L’anamorelina non ha mi-gliorato la forza nella mano non dominante ma ha miglioratoi sintomi dei pazienti. Il trattamento è stato ben tollerato: glieffetti collaterali più importanti sono stati iperglicemia nel5,3% e nausea nel 3,8% dei pazienti nello studio ROMANA

1 e iperglicemia nel 4,2% e diabete mellito nel 2,1% nello stu-dio ROMANA 2.

Neurotossicità perifericaNel 2014 sono state pubblicate le linee guida dell’ASCO

sulla prevenzione ed il trattamento della neuropatia perifericain pazienti con cancro27. Sono stati valutati 48 studi rando-mizzati, studi eterogeni spesso con campione di pazienti in-sufficiente per evidenziare differenze clinicamente importanti.I differenti endpoint primari utilizzati negli studi così come i dif-ferenti strumenti utilizzati per valutare la neurotossicità peri-ferica spesso non permettono un confronto tra loro. Sulla basedelle poche evidenze di buona qualità disponibili non si pos-sono raccomandare farmaci per la prevenzione della neuro-patia periferica indotta da chemioterapia. Per quanto riguardainvece il trattamento si suggerisce l’uso della duloxetina. In-fine, sebbene gli studi non siano conclusivi riguardo gli anti-depressivi, la gabapentina ed un gel per uso topico conte-nente baclofen, amitriptilina e ketamina questi trattamenti sipossono utilizzare sulla base di evidenze disponibili in altrecondizioni di neuropatia periferica.

Nel 2014 è stato pubblicato per esteso il lavoro sui sali dicalcio e magnesio nella prevenzione della neuropatia perife-rica da oxaliplatino. In questo studio 353 pazienti affetti dacarcinoma del colon-retto sottoposti a chemioterapia conFOLFOX sono stati randomizzati a ricevere Ca/Mg prima edopo oxaliplatino o CA/Mg solo prima o placebo28. L’en-dpoint primario era la neurotossicità cumulativa misurata conil modulo sulla neurotossicità indotta dalla chemioterapia delquestionario EORTC sulla qualità di vita. Non vi erano diffe-renze significative tra i tre bracci dello studio nella neurotos-sicità cumulativa né nel tempo alla insorgenza di neuropatiadi grado 2. Nessuna efficacia infine era evidente nel ridurre laneuropatia acuta con sali di Ca/Mg.

Sono stati pubblicati inoltre altri due studi con risultati ne-gativi. In uno di questi, 185 pazienti sottoposti a paclitaxel ecarboplatino sono stati randomizzati a ricevere glutatione 1,5 gr/m2 ev o placebo 15 minuti prima della chemioterapia29.L’endpoint primario era la neuropatia periferica misurata dalmodulo del questionario EORTC sulla qualità di vita. Non vierano differenze significative nella neurotossicità periferica,nella incidenza della sindrome dolorosa acuta da paclitaxel enel tempo alla progressione della malattia. La tollerabilità deidue trattamenti era simile.

In un altro studio 462 pazienti che hanno completato lachemioterapia da almeno un mese e con dolore da neuropatiaperiferica indotta dalla chemioterapia ≥ 4 sono stati rando-mizzati a ricevere una crema applicata nelle aree con doloredue volte al giorno contenente amitriptilina al 4% e ketaminaal 2% o placebo30. Dopo 6 settimane non vi era una riduzionesignificativa dei sintomi della neuropatia periferica fra i duetrattamenti.

FatigueTutti i farmaci studiati per il trattamento della fatigue da

cancro (psicostimolanti come il metilfenidato, dexmetilfeni-dato, dexanfetamina, antidepressivi, inibitori dell’acetilcoli-

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CASCO — Inverno 201510

nesterasi come il donepezil, L-carnitina e coenzima Q) hannodato risultati negativi eccetto il desametasone dimostratosiutile nel migliorare la fatigue nei pazienti terminali. È pertantonecessario studiare popolazioni di pazienti più selezionate (fa-tigue di tutti i gradi versus fatigue di grado moderato-severoversus fatigue di grado severo; pazienti sottoposti a chemio-terapia versus pazienti sottoposti a radioterapia versus pa-zienti terminali versus pazienti lungo sopravviventi) e fare piùstudi fisiopatologici per identificare i mediatori della fatigue.Nel 2014 è stato pubblicato uno studio randomizzato dop-pio-cieco che ha valutato il modafinil versus placebo in 208pazienti con NSCLC. Sono stati arruolati nello studio pazienticon performance status secondo ECOG 0-2, non trattati conchemioterapia o radioterapia nelle ultime 4 settimane e confatigue ≥ 5 in una scala d 0 A 1031. Il modafinil era sommi-nistrato a dosi di 100 mg nei giorni 1-14 e 200 mg nei giorni15-28. L’endpoint primario erano le modifiche della fatigueal giorno 28 valutate con il questionario FACIT-fatigue. Pur-troppo lo score migliorava con ambedue i trattamenti masenza differenze significative tra di loro.

Diarrea da chemioterapiaIn uno studio randomizzato 139 pazienti con carcinoma

del colon-retto che iniziavano terapia adiuvante o per meta-stasi con fluorouracile, capecitabina e/o irinotecan sono statirandomizzati a ricevere octreotide LAR 30 mg intramuscoloogni 4 settimane con inizio al primo ciclo di chemioterapia epoi continuato per 6 mesi o il trattamento di scelta in caso didiarrea32. Diarrea era osservata in una percentuale non diversatra i due gruppi di pazienti (76,1% trattati con octreotide LARversus 78,9% trattati se compariva diarrea) così come non si-gnificativa era la percentuale di ospedalizzazioni, di pazientiche necessitavano idratazione ev e la loro qualità di vita.

MucositeNel 2014 sono state aggiornate le linee guida del

MASCC/ISOO per il trattamento delle mucositi secondarie atrattamenti antitumorali33. Per la mucosite gastrointestinalesono raccomandati i seguenti trattamenti: — Amifostina evper prevenire la proctite da radioterapia; — Octreotide>100μg sc due volte al giorno per diarrea da chemioterapia(standard o alte dosi) resistente alla loperamide. Sono invecesuggeriti i seguenti trattamenti: — Amifostina ev per preve-nire esofagite da chemioterapia ± radioterapia nel NSCLC; —clistere di sucralfato per proctite cronica sanguinante da ra-dioterapia; — Sulfasalazina 500 mg x 2 volte al giorno perprevenire enteropatia da radioterapia sulla pelvi; — Probio-tici contenenti Lactobacillus per prevenire diarrea da che-mioterapia e/o radioterapia per una neoplasia pelvica.

Nel trattamento della mucosite orale sono invece racco-mandati: — Crioterapia orale (30 minuti) per prevenire mu-cosite da bolo di fluorouracile; — Palifermina (60 mg/kg/algiorno) tre giorni prima e tre giorni dopo il trapianto di mi-dollo; — Laserterapia a basso voltaggio per prevenire mu-cosite indotta da alte dosi di chemioterapia con o senza ir-radiazione totale corporea; — patient controlled analgesiacon morfina per dolore da mucosite orale in pazienti sotto-

posti a trapianto di midollo; — Sciacqui di benzidamina perprevenire mucosite in pazienti con neoplasia testa-collo sot-toposti a dosi moderate di radioterapia senza chemioterapia.Sono invece trattamenti suggeriti: — Igiene orale; — Crio-terapia orale per alte dosi di melphalan ± irradiazione totalecorporea (trapianto); — Laserterapia a basso voltaggio per ra-dioterapia senza chemioterapia (testa-collo); — Fentanyltransdermico per dolore in pazienti sottoposti a chemiotera-pia (standard o alte dosi) con o senza irradiazione corporeatotale; — Sciacqui di morfina al 2% per dolore da radiotera-pia più chemioterapa (testa-collo); — Sciacqui di doxepina0,5% per dolore da mucositi; — Supplementi di zinco permucosite da radioterapia o radioterapia più chemioterapia.

Tossicità cutaneaIl trattamento della sindrome mano-piede, relativamente

frequente in pazienti sottoposti a capecitabina, doxorubicinaliposomiale, sorafenib ed altre targeted therapies, è essen-ziale per evitare interruzioni del trattamento o ritardi nella suasomministrazione. Una metanalisi ha esaminato 10 studipubblicati: il celecoxib è più efficace del placebo nella sin-drome mano-piede di grado moderata-severa e di tutti igradi34. La piridossina e la formulazione in crema di urea eacido lattico non sono efficaci. Nessun farmaco è stato pro-vato efficace nella sindrome mano-piede lieve.

BroncorreaÈ definita come la produzione di più di 100 ml al giorno

di sputo acquoso; le secrezioni possono raggiungere anche9 litri al giorno. È tipicamente associata con neoplasie, in par-ticolare il carcinoma bronchioloalveolare specie mucinoso ole metastasi polmonari. Gefitinib ed erlotinib possono mi-gliorare o talora risolvere la broncorrea nei pazienti con car-cinoma bronchioloalveolare in meno di una settimana35. Gliinibitori dell’EGFR possono ridurre la produzione di mucinainibendo la sintesi di MUC5AC nelle cellule secernenti mucina.

Sono stati anche segnalati pazienti con broncorrea chehanno ottenuto dei benefici dall’associazione di macrolidi piùsteroidi, o dall’inalazione di indometacina. Infine, un articoloriporta una paziente affetta da carcinoma bronchioloalveo-lare del polmone con importante broncorrea in cui l’octreo-tide somministrato ev in infusione continua o per via sotto-cutanea è stato in grado di controllare la broncorrea36. •

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| Dalla letteratura | Le novità sulle terapie di supporto/palliative nel 2014

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CASCO — Inverno 201512

RAMUCIRUMAB

IntroduzioneIl ramucirumab è un anticorpo monoclonale completa-

mente umanizzato che lega con alta affinità il recettore delfattore di crescita dell’endotelio vascolare 2 (VEGFR-2), re-cettore transmembranario ad attività tirosino-chinasicaespresso nella superficie dello stroma peritumorale delle cel-lule endoteliali1. Il ramucirumab è stato approvato nell’aprile2014 dalla Food and Drug Administration per il trattamentodi II linea del carcinoma gastrico o della giunzione gastro-eso-fagea dopo progressione ad una prima linea di chemiotera-pia con fluoro-pirimidine o platino2. Dal 5 novembre 2014inoltre è stata estesa l’approvazione dell’indicazione allacombinazione di ramucirumab con paclitaxel settimanale3. Laterapia di prima linea per il carcinoma gastrico avanzatoconsiste nell’impiego della chemioterapia (in combinazioneo meno al trastuzumab nei carcinomi che esprimono HER24con una sopravvivenza globale mediana di circa 8-12 mesi;non esiste invece un trattamento standard per la II linea.

Impiego clinicoLo studio registrativo di ramucirumab doppio-cieco, pla-

cebo-controlled di fase III, REGARD2, ha randomizzato 355pazienti affetti da carcinoma gastrico o della giunzione ga-stro-esofagea, malattia avanzata, progrediti dopo una primalinea di chemioterapia mantenendo un buon PerformanceStatus (0-1) a terapia con ramucirumab a somministrazionebisettimanale versus placebo (random 2:1). L’endpoint pri-mario dello studio era la sopravvivenza globale. Gli endpointsecondari comprendevano la sopravvivenza libera da pro-gressione, la sopravvivenza libera da progressione a 12 set-timane, il tasso di risposta globale e la sicurezza.

È stata osservata una sopravvivenza globale mediana di5,2 mesi con ramucirumab rispetto ai 3,8 mesi con placebo(HR= 0,776). La sopravvivenza a 12 mesi è stata del 18% neipazienti in terapia con ramucirumab rispetto al 12% dei pa-zienti in terapia di supporto esclusiva. La durata mediana diterapia con ramucirumab è stata di 8 settimane (4 infusioni).

La sopravvivenza mediana libera da progressione è risul-tata di 2,1 mesi nel braccio con ramucirumab rispetto a 1,3mesi con placebo (HR=0,483) e anche il tasso di controllodella malattia è risultato superiore con ramucirumab (49%vs 23%, p<0,0001).

Più recentemente è stata valutata l’associazione di ra-mucirumab con paclitaxel settimanale rispetto alla sola mo-nochemioterapia con taxani nel setting refrattario (II linea)in uno studio internazionale, multicentrico, randomizzato di

RIASSUNTOLa Food and Drug Administration (FDA) ha approvato ad

aprile 2014 il ramucirumab per il trattamento di pazienti af-fetti da tumore allo stomaco o della giunzione gastro-esofa-gea in stato avanzato in progressione ad una prima linea dichemioterapia; nello stesso periodo è stato approvato dal-l’FDA il ceritinib per i pazienti affetti da carcinoma del pol-mone con microcitoma avanzato con traslocazione di ALKresistenti a chemioterapia e a terapia con crizotinib. La Com-missione Europea ha concesso l’autorizzazione all’immissionein commercio di olaparib come prima terapia per il tratta-mento di mantenimento in pazienti adulti con carcinoma ova-rico epiteliale sieroso ad alto grado BRCA relato, in ricadutadi malattia, che presentino una risposta completa o parzialea una chemioterapia a base di platino. Lo scopo di questo ar-ticolo è quello di analizzare i più importanti effetti collateralidi questi nuovi farmaci.

Parole chiave. Tossicità, ramucirumab, ceritinib,olaparib, carcinoma gastrico, carcinoma polmonare,carcinoma ovarico, fatigue, nausea.

SUMMARYToxicity of ramucirumab, ceritinib, olaparibThe Food and Drug Administration (FDA) approved ra-

mucirumab, in 2014th April, for treatment of metastatic gas-tric cancer or gastroesophageal junction cancer after first-linechemotherapy progression; in the same period the FDA ap-proved ceritinib for metastatic NSCLC and ALK translocationresistant to chemotherapy and crizotinib therapy. The Euro-pean Commission has granted marketing authorization ofolaparib for maintenance treatment after platinum-based-chemotherapy for epithelial high-grade serous BRCA relateddisease relapse, for patients which present a complete or par-tial response to platinum-based chemotherapy. The purposeof this article is to analyze the most important side effects ofthese new drugs.

Key words. Toxicity, ramucirumab, ceritinib, olaparib,gastric cancer, lung cancer, ovarian cancer, fatigue,nausea.

Elisa Minenza Struttura Complessa di Oncologia MedicaAzienda Ospedaliera“S. Maria”, Terni

Tossicità di ramucirumab, ceritinib, olaparib

Gestione eventi avversi

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13CASCO — Inverno 2015

| Gestione eventi avversi | Tossicità di ramucirumab, ceritinib, olaparib

fase III, lo studio RAINBOW3. L’endpoint primario dello stu-dio era la sopravvivenza globale e sono stati arruolati 655pazienti nello studio. Lo studio è risultato positivo con unvantaggio in sopravvivenza globale della combinazione ri-spetto alla monoterapia di 9,63 mesi rispetto a 7, 36 mesi(HR=0,807, p=0,0169). Positivi anche gli endpoint secondaridello studio di sopravvivenza libera da progressione pari ri-spettivamente a 4,4 mesi rispetto a 2,86 mesi (HR=0,635,p=0,0001) e il tasso di risposte (28% vs 16%, p=0,0001).L’efficacia di ramucirumab è risultata similare nei pazienticaucasici rispetto a quelli asiatici.

Negativa è risultata invece l’attività dell’associazione diramucirumab con la chemioterapia (regime FOLFOX6) nellaprima linea di trattamento5.

Uno studio multicentrico, doppio-cieco di fase II su 168pazienti affetti da carcinoma esofageo, gastrico o della giun-zione gastro-esofagea malattia avanzata o localmente avan-zata sono stati randomizzati a ricevere chemioterapia con ilregime FOLFOX6 in combinazione a ramucirumab o pla-cebo. Non è stata documentata attività dell’associazione diramucirumab con la chemioterapia rispetto alla chemiote-rapia da sola: la sopravvivenza libera da progressione (en-dpoint primario dello studio) è risultata sovrapponibile neidue gruppi (6,4 vs 6,7 mesi, HR=0,98, p=0,89). Da segna-lare che il 45% dei pazienti in studio era affetto da carci-noma dell’esofago e che c’è stata una rilevante percentualedi pazienti nel braccio della combinazione (27% vs 10%) cheha sospeso il trattamento prima dell’evidenza di progres-sione di malattia.

Nell’ambito del carcinoma del polmone non a piccolecellule (NSCLC) all’ultimo ASCO 2014 è stato presentato lostudio REVEL6, studio randomizzato, doppio-cieco di fase IIIche ha randomizzato pazienti in progressione dopo unaprima linea di trattamento con chemioterapia a base di pla-tino a ricevere terapia con docetaxel 75 mg/mq + ramuciru-mab (10 mg/kg) (n=628 pazienti) o chemioterapia condocetaxel 75 mg/mq + placebo (n=625 pazienti). La soprav-vivenza globale, endpoint principale dello studio, è risultatapositiva: 10,4 mesi per il braccio sperimentale rispetto a 9,1mesi per la sola chemioterapia (HR=0,857, p=0,0235); risul-tati similari per i pazienti ad istologia squamosa o non-squa-mosa. I pazienti che hanno ricevuto ramucirumab hannopresentato anche una più lunga sopravvivenza libera da pro-gressione (4,5 vs 3 mesi, p<0,0001) e tasso di risposte obiet-tive (22,9 vs 13,6%, p<0,001).

In corso studi di fase II che valutano l’associazione di ra-mucirumab alla chemioterapia per la prima linea di tratta-mento.

Negativi anche gli studi inerenti il carcinoma della mam-mella, in particolare lo studio di fase II presentato al’ultimoASCO 20147 di combinazione di ramucirumab 10 mg/kgogni 3 settimane con eribulina 1,4 mg/mq gg1-8 q21 ri-spetto a terapia con eri bulina e placebo in pazienti pretrat-tati con antracicline e taxani. Lo studio non ha raggiunto ilsuo endpoint primario con una sopravvivenza libera da pro-gressione di 4,4 mesi per il braccio sperimentale rispetto a4,1 mesi del braccio con il placebo (p=0,4).

TossicitàNegli studi di fase I è emerso che ramucirumab potrebbe

essere somministrato con cadenza settimanale, bisettima-nale, o ogni 3 settimane.

La somministrazione una volta ogni 2 o 3 settimane nonè risultata associata a una dose massima tollerata.

Come per altri farmaci ad azione antiangiogenica, leprincipali tossicità riportate con l’utilizzo di ramucirumabsono state l’ipertensione che generalmente viene gestitacon l’utilizzo di farmaci antiipertensivi o sospensioni transi-torie del trattamento, eventi vascolari trombotici e protei-nuria.

Il profilo di tossicità di ramucirumab è risultato maneg-gevole negli studi di fase III in pazienti affetti da carcinomagastrico2,3.

Eventi avversi di grado 3/4 sono risultati rari. Più del25% dei pazienti arruolati negli studi clinici ha comunquepresentato tossicità: fatigue (51,4%), mal di testa (51,4%),edemi periferici (35,1%), diarrea (35,1%), nausea (32,4%),infezioni delle alte vie respiratorie (32,4%), dolore addomi-nale (29,7%), anoressia (29,7%), costipazione (29,7%), epi-stassi (29,7%), proteinuria (29,7%), artralgie (27,0%), tosse(27,0%), e dispnea (27,0%).

Nello studio REGARD2 gli eventi avversi di grado lievesono risultati pressoché sovrapponibili nei due gruppi (223pazienti (94%) in terapia con ramucirumab rispetto a 101 pa-zienti (88%) in terapia con placebo); gli eventi avversi più co-munemente registrati di grado lieve (G1-2) nei pazienti trat-tati con ramucirumab sono stati: fatigue, dolore addominale,anoressia, vomito, stipsi, disfagia, ascite, iponatriemia e ane-mia.

Anche l’incidenza di eventi avversi di grado ≥ 3 è risultatasimilare nei due gruppi e l’utilizzo del ramucirumab non èstato associato ad un peggioramento della qualità di vita(57% nel braccio di terapia con ramucirumab e 58% nelbraccio di trattamento con placebo).

Solo l’ipertensione è risultata più frequentemente asso-ciata a terapia con ramucirumab, sia in generale (16,1% conramucirumab vs 7,8% placebo), sia di grado 3 (7,6% vs2,6% rispettivamente).

La terapia con ramucirumab non è stata invece associataad aumento di sanguinamenti, trombosi venose o perfora-zioni gastrointestinali.

Da segnalare che 128 pazienti arruolati nello studioaveva un’età superiore a 65 anni.

Cinque morti nel braccio di terapia con ramucirumab(2%) rispetto a 2 morti (2%) nel braccio del placebo sonostate correlate al farmaco.

Nello studio RAINBOW3 l’aggiunta di ramucirumab allachemioterapia aumenta il rischio degli eventi avversi di G3 re-lati alla chemioterapia (82% nel braccio di terapia con ra-mucirumab vs 63% della sola chemioterapia), in particolarela neutropenia (40,7% vs 18,8%), leucopenia (17,4% vs6,7%), fatigue (11,9% vs 5,5%) e neuropatia (8,3% vs 4,6%).L’ipertensione di grado ≥ 3 è risultata più incidente nel brac-cio di terapia con ramucirumab (14,7% vs 2,7%).

L’aumento di incidenza di eventi avversi di G3 non ha

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CASCO — Inverno 201514

però comportato una maggiore percentuale di discontinua-zione del trattamento.

Anche le morti tossiche correlate al trattamento sono ri-sultati sovrapponibili nei due bracci in studio (4% vs 4,6%).

Per quanto riguarda il NSCLC, nello studio REVEL6 glieventi avversi più frequenti nel braccio sperimentale sonostati: fatigue (14% vs 10%), neutropenia (49% vs 40%), leu-copenia (14% vs 12%), neutropenia febbrile (16% vs 10%)e ipertensione (6% vs 2%).

Le tossicità riportate con ramucirumab sono risultate ma-neggevoli con piccole modifiche del dosaggio o con terapiedi supporto associate.

Nello studio sul carcinoma della mammella7 ramucirumabin associazione ad eribulina ha determinato una maggiore in-cidenza di effetti collaterali di ogni grado, in particolare fati-gue (64% vs 57%), mal di testa (39% vs 15%), diarrea (25%vs 15%), sanguinamenti (4,6% vs 18,8%), ipertensione (1,5%vs 13,0%) e scompenso cardiaco congestizio (0% vs 1,4%).

Anche i risultati dello studio di fase III8 di associazione diramucirumab + docetaxel rispetto alla sola chemioterapia su1.144 pazienti affetti da carcinoma della mammella avanzatoHER2 negativo in prima linea di trattamento non hanno evi-denziato alcun beneficio per il braccio di terapia sperimentalea scapito di un incremento di tossicità nel braccio del ramu-cirumab, soprattutto fatigue, ipertensione, neutropenia feb-brile, eritrodisestesia palmo-plantare e stomatiti.

CERITINIB

IntroduzioneIl 3-7% circa dei carcinomi del polmone non a piccole cel-

lule esprime la traslocazione di EML4-ALK. Il crizotinib è il far-maco registrato in Italia per la II linea di trattamento di pa-zienti affetti da NSCLC stadio IV e traslocazione di ALK inprogressione ad una prima linea di chemioterapia conte-nente platino. Lo studio registrativo di fase III (PROFILE 007)ha dimostrato un miglioramento della sopravvivenza libera daprogressione per i pazienti trattati con crizotinib (n=173) ri-spetto a quelli sottoposti a chemioterapia (n=174): 7,7 mesivs 3 mesi, p<0,0019.

All’ultimo ASCO 2014 è stato presentato lo studio difase III PROFILE 101410 che ha documentato in 343 pazientirandomizzati 1:1 a terapia con crizotinib 250 mg due volteal giorno rispetto a chemioterapia con platino + pemetrexeduna migliore sopravvivenza libera da progressione (endpointprimario dello studio) (10,9 mesi vs 7 mesi, p<0,0001) e tassidi risposta di circa il 70% per la piccola molecola nella primalinea di trattamento di pazienti affetti da NSCLC stadio IV contraslocazione di EML4-ALK.

Nonostante le iniziali risposte però la maggior parte deipazienti sviluppa resistenza a crizotinib entro i primi 12 mesidi trattamento.

Ceritinib (LDK378) è una piccola molecola inibitore dellatirosin chinasi ALK con meccanismo competitivo per l’ATP. Di-versamente da crizotinib, ceritinib non inibisce l’attività chi-nasica di MET ma può inibire il recettore IGF-1 (insulin-like

growth factor-1) anche se con una potenza circa 50 volte in-feriore rispetto all’inibizione di ALK.

Ceritnib ha mostrato di avere efficacia sia in pazienti cri-zotinib naive che in pazienti che hanno sviluppato resistenzaa crizotinib.

Impiego clinicoIn uno studio multicentrico di fase I, 130 pazienti glo-

balmente (59 all’inizio poi 130 con una successiva fase diespansione) con traslocazione di EML4-ALK hanno ricevutoceritinib per os dalla dose di 50 mg a quella di 750 mg unavolta al giorno11.

Tra i 114 pazienti che hanno ricevuto ceritinib alla dosedi 400-750 mg/die il tasso di risposte è stato di circa il 58%circa con risposte che si sono osservate sia nel gruppo di pa-zienti con mutazioni di resistenza al crizotinib, sia in pazientisenza individuate mutazioni di resistenza e anche in pazienticon metastasi al SNC non trattate localmente. La sopravvi-venza mediana libera da progressione è stata di 7 mesi nei pa-zienti trattati con ceritinib alla dose di 400 mg.

Sulla base di questi risultati ceritinib è stato approvatodalla Food and Drug Administration (FDA) il 29-04-2014 inpazienti affetti da NSCLC e traslocazione di ALK resistenti aterapia con crizotinib. All’ASCO 201412 è stata presentata lafase di espansione dello studio ASCEND-1 di fase I, multi-centrico (20 centri). Sono stati valutati 255 pazienti ALK tra-slocati, 246 avevano un NSCLC avanzato ALK traslocato,163 di essi erano già stati trattati con inibitori di ALK (tutti cri-zotinib e 5 di essi anche alectinib) mentre 83 di essi eranonaive a terapie con ALK inibitori.

La terapia con ceritinib alla dose di 750 mg/die inducevaun tasso di risposte del 58,5% in tutti i pazienti, percentualepoco inferiore nei pazienti pretrattati (54,6%); 66,3% in-vece era il tasso di risposte nei pazienti naive per inibitori diALK.

La durata della risposta è di circa 9,69 mesi (7,39 nei pa-zienti pretrattati mentre non è stata ancora stimata nei pa-zienti naive). La sopravvivenza libera da progressione è di circa8,21 mesi (considerando tutti i pazienti); 6,9 mesi per i pa-zienti pretrattati e non ancora raggiunta nei pazienti naive.Ceritinib inoltre ha documentato attività nei pazienti affettida metastasi cerebrali.

Due studi di fase II hanno completato l’arruolamento esono in attesa di pubblicazione; l’obiettivo di questi studi èvalutare l’attività di ceritinib in pazienti affetti da NSCLC sta-dio IV ALK traslocati crizotinib naive o in progressione dopochemioterapia di prima linea e crizotinib.Sono inoltre in corsodue studi di fase III con lo stesso disegno per valutare l’effi-cacia di ceritinib.

TossicitàLa dose massima tollerata di ceritinib è di 750 mg una

volta al giorno11. Il ceritinib è associato ad una maggiore per-centuale di eventi avversi rispetto al crizotinib, di ogni grado,tra i più frequenti: nausea (82%), diarrea (75%), vomito(65%), fatigue (47%) e incremento delle transaminasi (35%).Le tossicità dose-limitanti sono state: diarrea (alla dose di ol-

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tre 600 mg), vomito (dose di 750 mg), disidratazione (alladose di 600 mg), incremento delle transaminasi (alla dose di400 mg) e ipofosfatemia (alla dose di 400 mg).

Tutte queste tossicità si sono risolte con la sospensionetemporanea del trattamento; solo un paziente ha definitiva-mente sospeso il trattamento per progressione di malattia du-rante la sospensione. Gli eventi avversi più frequenti di grado3 sono stati: incremento delle transaminasi (ALT nel 21% deicasi eAST nell’11%), diarrea nel 7% dei casi e incremento deilivelli di lipasi nel 7%, tutti reversibili con la sospensione deltrattamento.

Sono stati segnalati 4 casi di malattia interstiziale polmo-nare, tutti risolti con la sospensione del trattamento e con lasomministrazione di terapie standard. Dei 130 pazienti com-plessivamente, 66 (51%) hanno richiesto almeno una ridu-zione di dose e la durata mediana di interruzione del tratta-mento è stata di 7,3 giorni. Otto pazienti (6%) hannointerrotto definitivamente il trattamento a causa degli eventiavversi. Alla dose di 750 mg il 62% dei pazienti (50 degli 81pazienti) ha richiesto almeno una riduzione di dose. In 32 pa-zienti tali riduzioni avvenivano al terzo ciclo o dopo il terzo ci-clo di trattamento. Non ci sono state morti tossiche correlateal trattamento.

Le tossicità più frequentemente descritte nei 255 pa-zienti della fase di espansione dello studio ASCEND-1(12)erano: diarrea (84%), nausea (77%), vomito (57%), fatigue(36%), e incremento delle ALT (36%). I più comuni eventi av-versi di G3/4 erano: incremento delle ALT increased (21%) edelle AST (8%). Il 59% dei pazienti (150/255) ha sommini-strato ceritinib almeno con una riduzione di dose dovuta adeffetti collaterali. Circa il 9% dei pazienti (24/255) sospende-vano il trattamento con ceritinib per gli eventi avversi. Il3,9% dei pazienti (10/255) ha sviluppato polmoniti intersti-ziali, tra questi 3 pazienti hanno interrotto definitivamente iltrattamento e si è registrato un caso di decesso. Il trattamentocon ceritinib è in corso per il 58% dei pazienti.

OLAPARIB

Olaparib è un farmaco appartenente alla classe dei PARP(poli-ADP-riboso polimerasi)-inibitori che sfrutta le alterazionidei processi di riparazione del DNA tumorale per indurreapoptosi nelle cellule cancerose.

Olaparib viene somministrato per via orale; alte dosi diolaparib (400 mg/due volte al giorno) sono associate a piùalto tasso di risposte e più lunga sopravvivenza libera da pro-gressione rispetto a dosi basse (100 mg/due volte al giorno)12.

Studi di fase I/II hanno dimostrato sicurezza e attività diolaparib in pazienti affetti da carcinoma della mammella conmutazione a carico del BRCA, pazienti affetti da carcinomaovarico (tra cui pazienti con istotipo sieroso ad alto grado inripresa), carcinoma prostatico e pancreatico pretrattato congemcitabina.

Nello studio di fase II di Kaufman recentemente pubbli-cato14 olaparib alla dose di 400 mg/due volte al giorno è statosomministrato in 298 pazienti affetti da carcinomi BRCA re-

lati, in particolare carcinoma ovarico resistente a terapia conplatino, carcinoma mammario avanzato in progressione a piùdi tre linee di chemioterapia, carcinomi pancreatici pretrattaticon gemcitabina e carcinomi prostatici oronorefrattari e inprogressione ad un regime di chemioterapia. Il tasso di ri-sposte è stato del 26,2%, 31,1%, 12,9%, 21,7% e 50% ri-spettivamente per il carcinoma ovarico, mammario, pan-creatico e prostatico. Malattia stabile per più di 8 settimaneè stata osservata nel 42% dei pazienti (40%, 47%, 35% e25% rispettivamente nei pazienti con carcinoma ovarico,mammario, pancreatico e prostatico).

Nello studio di Kaufman gli effetti collaterali più frequentidella terapia (di ogni grado) con olaparib sono stati: fatiguee nausea nel 60% circa dei pazienti, seguiti da vomito nel39% circa, anemia, diarrea e dolore addominale in circa il30% dei pazienti, diminuzione dell’appetito, dispepsia e di-sgeusia in circa il 20% dei pazienti, mal di testa in circa il 16%dei pazienti.

Eventi avversi di grado ≥ 3 hanno coinvolto 162 pazienti(54,4% di essi) e nove pazienti sono deceduti a causa dieventi avversi (2 morti per sepsi, 2 per leucosi, uno per BPCO,1 per embolia polmonare, 1 per sindrome mielodisplastica, 1per deiscenza della ferita e 1 per evento cerebro-vascolare).La sepsi e la sindrome mielodisplastica potrebbero essere le-gati ad olaparib.

Il 3,7% dei pazienti ha dovuto discontinuare il tratta-mento per tossicità; in particolare per iperbilirubinemia ane-mia, nausea, dolore addominale, incremento delle transami-nasi, ostruzione intestinale, trombocitopenia, leucopenia,vomito e iponatriemia. Il 40,3% dei pazienti è stato sotto-posto a modifiche del dosaggio per la somministrazione diolaparib. Uno studio di fase II15 ha inoltre valutato l’attività diolaparib in 91 pazienti (65 affetti da carcinoma ovarico e 26pazienti con carcinoma mammario triplo negativo in parteBRCA mutati). Risposte oggettive sono state documentate inpazienti affette da carcinoma ovarico, in particolare in 7delle 17 pazienti con mutazione del BRCA e in 11 delle 46 pa-zienti senza mutazioni. Non sono state documentate rispo-ste oggettive in pazienti affette da carcinoma della mam-mella. Buon profilo di tossicità per olaparib; gli effetticollaterali più frequenti sono stati: fatigue (nel 70% dei pa-zienti con carcinoma ovarico e nel 50% di pazienti con car-cinoma mammario), nausea globalmente in circa il 60% deipazienti, vomito in circa il 35% dei pazienti e anoressia in circail 30% dei pazienti.

Per quanto riguarda il carcinoma ovarico, lo studio di Le-dermann et al.16, randomizzato, placebo-controllato, di faseII ha documentato che il mantenimento con olaparib ri-spetto a placebo in pazienti affette da carcinoma ovarico sie-roso ad alto grado platino sensibile è associato ad un mi-glioramento statisticamente significativo della sopravvivenzalibera da progressione: 8,4 mesi per olaparib rispetto a 4,8mesi con la chemioterapia (PFS quasi raddoppiata) e una ri-duzione del 65% del rischio di progressione per i pazienti sot-toposti a terapia con inibitore di PARP. Ad una analisi ad in-terim per i dati di sopravvivenza questa è risultata pressochésovrapponibile nei due gruppi (34,9 mesi vs 31,9 mesi) ma

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i dati sulla sopravvivenza globale non sono ancora maturi,inoltre circa il 22% dei pazienti aveva effettuato il crossoverad olaparib e la PFS mediana è stata di 11,2 vs 4,3 mesi diolaparib rispetto a placebo, p<0,0001, in particolare per i pa-zienti affetti da mutazione del BRCA. I pazienti sottoposti adolaparib hanno presentato una maggiore percentuale di ef-fetti collaterali ma generalmente di grado lieve (G1-2), in par-ticolare la nausea che ha colpito il 68% dei pazienti sotto-posti ad olaparib e il 35% dei pazienti sottoposti a terapiacon placebo, fatigue nel 49% e 38% rispettivamente, vomito(32% vs 14%) e anemia (17% vs 5% rispettivamente).

Dopo 6 mesi di terapia di mantenimento con olaparib il55,6% di tutte le pazienti non ha subito alcuna alterazionedella qualità di vita rispetto al 49,1% delle pazienti trattatecon placebo; la qualità di vita è migliorata nel 27% delle pa-zienti trattate con olaparib rispetto al 20,8% delle pazientitrattate con placebo. La qualità di vita legata alla salute è statavalutata utilizzando il questionario FACT-O (Functional Asse-sment of Cancer Therapy Ovarian).

Pochi giorni fa è stato pubblicato su Lancet Oncology17

uno studio randomizzato, open-label di fase II che ha valu-tato l’attività e la tossicità di olaparib in combinazione a che-mioterapia con carboplatino e paclitaxel seguiti dal solo ola-parib o della sola chemioterapia in pazienti affetti dacarcinoma sieroso dell’ovaio ad alto grado in recidiva platinosensibile.

Su 156 pazienti sono stati trattati con la terapia di com-binazione, 121 hanno proseguito la terapia di mantenimento.Il 38% dei pazienti era portatore di una mutazione a caricodei geni BRCA.

La sopravvivenza libera da progressione, endpoint pri-mario dello studio, è risultata significativamente più lunga nelbraccio di mantenimento con olaparib rispetto alla sola che-mioterapia (12,2 mesi vs 9,6 mesi, p=0,0012), soprattutto neipazienti con mutazione del BRCA.

Le tossicità più frequentemente riportate nel braccio dellacombinazione di olaparib con chemioterapia sono state: alo-pecia, nausea, neutropenia, diarrea, mal di testa, neuropatiaperiferica, dispepsia per di più di lieve o moderata gravità esono risultati più frequenti di circa il 10% rispetto alla solachemioterapia.

La neutropenia e l’anemia sono stati gli effetti collateralipiù frequenti di grado 3.

Eventi avversi di G3-4 hanno riguardato 12 degli 81 pa-zienti (15%) sottoposti a combinazione di olaparib e che-mioterapia e 16 dei 75 pazienti (21%) trattati con sola che-mioterapia.

Sono in corso studi di fase III con olaparib in manteni-mento in pazienti affette da carcinoma ovarico platino sen-sibili (SOLO-2). Olaparib in monoterapia viene somministratoalla dose di 400 mg/due volte al giorno sotto forma di cap-sule. Olaparib in monoterapia risulta quindi ben tollerato;circa il 25-40% dei pazienti trattati con olaparib riferisce ef-fetti collaterali generalmente di grado lieve, tra i più fre-quenti ci sono: fatigue, mal di testa, disturbi gastrointestinali(come nausea, vomito, anoressia e dolore addominale). Studidi associazione di fase I tra inibitori di PARP e agenti che-

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mioterapici, soprattutto alchilanti hanno mostrato beneficioclinico per l’associazione, però importante profilo di tossicitàper azione sinergica dei farmaci soprattutto per quello cheriguarda la tossicità midollare e la fatigue18,19.

All’ASCO di quest’anno19 è stata valutata la combina-zione con random 1:1 di olaparib 400 mg/due volte algiorno e cediranib (inibitore dei recettori per il fattore di cre-scita vascolare endoteliale) 30 mg/die rispetto al solo ola-parib in 90 donne affette da carcinoma ovarico BRCA mu-tato o sieroso di alto grado, platino sensibile e recidivato. Lasopravvivenza libera da progressione mediana è stata di17,7 mesi per il braccio della combinazione rispetto ai 9 mesidel solo olaparib.

Le pazienti sono state stratificate in base alla presenza dimutazione a carico dei geni BRCA; nonostante studi prece-denti abbiano dimostrato una maggiore sensibilità agli ini-bitori di PARP per donne affette da mutazione dei geniBRCA la sopravvivenza libera da progressione è risultataprolungata per le pazienti BRCA wild-type ed è stata rispet-tivamente di 16,5 mesi per la combinazione rispetto a 5,7mesi della monoterapia con olaparib (p=0,008). Tali risultatiandranno comunque confermati in studi di fase III.

Anche l’associazione di olaparib con farmaci biologicipuò essere gravata da importanti effetti collaterali, sebbenediversi da quelli della chemioterapia; nello studio di fase II20

di associazione di olaparib e cediranib la loro combinazionea dose piena è stata gravata da importante tossicità: la tos-sicità di G3/4 risulta più alta per la combinazione (70%) ri-spetto al solo olaparib (7%); in particolare le tossicità più ri-levanti sono state: fatigue (27 vs 7% rispettivamente), diarrea(23% vs 0%), ipertensione (39% vs 0%).

Risultati in linea con gli effetti collaterali descritti nellaprecedente fase I, dei 28 pazienti arruolati 2 pazienti hannopresentato leucopenia e piastrinopenia di G4 ed il 75% deipazienti ha presentato almeno un effetto tossico di G3, inparticolare ipertensione di G3 nel 25% dei pazienti e fatiguedi G3 nel 18% dei pazienti.

L’FDA ha approvato olaparib il 18 dicembre 2014 con laprocedura FDA’s Accelerated Approval Programme basatasull’evidenza dei dati in response rate e duration of responsein attesa di verificare il beneficio clinico degli studi in corsodi fase III confermatori. La Commissione Europea ha con-cesso l’autorizzazione all’immissione in commercio di ola-parib capsule (400 mg due volte al giorno) come prima te-rapia per il trattamento di mantenimento in pazienti adulticon carcinoma ovarico epiteliale sieroso ad alto grado (inclusicancro alle tube di Falloppio o carcinoma peritoneale pri-mario), in ricaduta di malattia, legato a mutazione BRCA(germinale e/o somatica), che presentino una risposta com-pleta o parziale a una chemioterapia a base di platino. •

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RIASSUNTOLe crisi epilettiche sono una complicanza frequente in pa-

zienti con tumore cerebrale primitivo o secondario. I mecca-nismi patogenetici dell’epilessia nei pazienti con tumorecerebrale non sono stati completamente chiariti, e ciò ha rap-presentato finora un ostacolo all’identificazione di nuovi tar-get terapeutici per lo sviluppo di farmaci più efficaci. Nonesiste consenso sul management ottimale dell’epilessia neipazienti oncologici. La terapia anticonvulsivante è ampia-mente utilizzata nei pazienti che abbiano avuto almeno unacrisi epilettica, ma non esistono evidenze sufficienti a guidarela scelta del tipo di farmaco o combinazione di farmaci dautilizzare. Inoltre, l’appropriatezza della profilassi anticon-vulsivante di lunga durata nei pazienti con tumore cerebraleprimitivo o secondario che non abbiano mai avuto una crisinon è stata ancora stabilita. Nell’attività clinica quotidiana ladecisione terapeutica dovrebbe essere il frutto della valuta-zione da parte di un gruppo multidisciplinare neuro-oncolo-gico e dell’attenta discussione con il paziente del bilancio trai potenziali rischi e benefici di ciascuna terapia.

Parole chiave. Epilessia, tumore cerebrale, metastasicerebrali, terapia antiepilettica, profilassianticonvulsivante.

SUMMARYRole of prophylaxis and anticonvulsant therapy inthe management of brain tumors and metastasesBrain tumours and metastases frequently cause epileptic

seizures. The underlying mechanisms of epileptogenesis inpatients with brain tumors are poorly understood. Better un-derstanding of focal changes that are involved in epilepto-genesis is essential to identify new therapeutic targets and todevelop more effective treatments. Optimal management ofepilepsy in these patients is not been defined. Anticonvul-sants are widely used in patients with brain tumor after afirst seizure. However, the available data are scarce and weakto recommend the choice of specific drug in this setting. Rou-tine prophylactic use of anticonvulsants is not recommendedbecause the lack of evidences suggesting any benefit fromseizure prophylaxis in patients with brain tumor or metasta-ses and no history of seizure. In daily clinical practice, the de-

cision making requires a multidisciplinary approach and abroad discussion with the patient on the best risk-benefitratio of each therapy in the individual patient.

Key words. Epilepsy, brain tumor, brain metastases,anticonvulsant therapy, anticonvulsant prophylaxis.

IntroduzioneLe complicanze neurologiche sono piuttosto comuni nei

pazienti oncologici. Tra queste, le crisi epilettiche rappresen-tano la prima manifestazione clinica in circa il 25-30% dei pa-zienti adulti con tumore cerebrale primitivo o metastatico edesiste un rischio del 10-30% di avere una crisi epilettica du-rante il corso della malattia nei casi in cui la crisi non sia statail sintomo di esordio1.

I tumori cerebrali primitivi più frequenti negli adulti sonoi gliomi; di questi il 70% circa sono gliomi di alto grado checolpiscono prevalentemente soggetti tra i 50 e i 60 anni,mentre il 30% sono gliomi di basso grado che colpiscono disolito pazienti più giovani. Le metastasi cerebrali sono unevento comune nei pazienti con tumore metastatico, conun’incidenza del 20-40%, in aumento a causa della maggioredisponibilità ed efficacia di terapie antitumorali che hannoprolungato la sopravvivenza dei pazienti. La presenza di unalesione intracranica predispone all’insorgenza di epilessia,ma il rischio e la frequenza delle crisi sono influenzati dal-l’istologia, dalla sede e dalla modalità di crescita del tumore.Gli istotipi a maggior rischio epilettogeno sono gli oligoden-drogliomi in cui fino all’80-90% dei pazienti ha crisi epiletti-che, i gliomi anaplastici (70%) e le metastasi da melanoma,carcinoma polmonare, carcinoma mammario e renale.L’esatta incidenza di crisi epilettiche nei pazienti con tumoremetastatico è difficile da stabilire, poiché non esistono ampistudi prospettici o retrospettivi che abbiano valutato questoproblema. Inoltre la diagnosi di epilessia non è sempre facile,poiché in molti casi nessun osservatore è presente all’evento,perché le crisi epilettiche possono essere facilmente confusecon altre manifestazioni neurologiche e perché le crisi parzialisono spesso misconosciute. La localizzazione del tumore in-fluenza il rischio di epilessia: le lesioni più epilettogene sonoquelle che coinvolgono i lobi parietale e temporale; i tumoria sede corticale hanno un maggior rischio di causare epiles-sia rispetto alle lesioni più profonde non corticali, ma anchele metastasi durali e leptomeningee possono causare crisi epi-lettiche. L’edema perilesionale rappresenta un fattore di ri-schio aggiuntivo. Le metastasi cerebrali causano crisi epilet-tiche con minore frequenza rispetto ai tumori cerebraliprimitivi, probabilmente in virtù del loro tipico pattern di cre-

Claudia CasertaStruttura Complessa di Oncologia MedicaAzienda Ospedaliera“S. Maria”, Terni

Crisi convulsive da metastasi cerebrali o tumori cerebraliprimitivi: profilassi e terapia

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ramento cognitivo, incrementare la necessità di assumere do-saggi più elevati di farmaci anticonvulsivanti o di associare piùdi un farmaco, con il conseguente incremento dei potenzialieventi avversi.

I meccanismi patogenetici dell’epilessia nei pazienti contumore cerebrale non sono stati completamente chiariti, rap-presentando un ostacolo all’identificazione di nuovi target te-rapeutici per lo sviluppo di farmaci più efficaci. Il managementottimale dell’epilessia nei pazienti oncologici non è stato de-finito. La terapia anticonvulsivante è ampiamente utilizzata neipazienti che abbiano avuto almeno una crisi epilettica e nellaprofilassi nel periodo perioperatorio nei pazienti sottoposti acraniotomia, mentre l’appropriatezza della profilassi anti-convulsivante di lunga durata nei pazienti con tumore cere-brale primitivo o secondario che non abbiano mai avuto unacrisi non è stata ancora stabilita1,2.

DiagnosiLa diagnosi di epilessia si basa sulla raccolta dettagliata

della storia clinica del paziente, sull’esame clinico e neurolo-gico, sui risultati di test di laboratorio, esami di neuroimaginge studio elettroencefalografico3. Il clinico deve cercare di ot-tenere un’accurata descrizione dell’evento: presenza o as-senza di aura, elementi di focalità, comportamento del pa-ziente immediatamente prima dell’evento, durata dell’eventoe del periodo post-critico, presenza di residui deficit neuro-logici focali o cambiamenti dello stato mentale. È importanteconoscere le comorbilità del paziente (storia di crisi epiletti-che, traumi cranici, malattie cardiache e cerebrali, diabete emalattie metaboliche), l’anamnesi oncologica, comprendentediagnosi istologica, sede e stadio del tumore, terapie prece-denti e in atto, l’anamnesi farmacologica del paziente, conparticolare attenzione ai farmaci eventualmente assunti primadell’insorgenza della crisi. L’esame fisico e neurologico puòaiutare ad identificare le cause della crisi epilettica: la presenzadi deficit neurologici focali suggerisce la presenza di una le-sione focale intracranica; un alterato livello di coscienza,mioclonie e asterixis suggeriscono disordini metabolici.

L’iter diagnostico dovrebbe includere l’esecuzione di al-cuni esami di laboratorio: emocromo e profilo biochimico condosaggio di glicemia, magnesio, sodio, calcio, esami colturalidelle urine e del sangue, esame tossicologico completo. LaTC o la RM dell’encefalo sono essenziali per identificare lesionineoplastiche intracraniche, metastasi leptomeningee, ictusischemici o emorragie. L’elettroencefalogramma può aiutaread identificare la sede del focolaio epilettogeno. La diagnosidifferenziale deve essere fatta con altri eventi che possono si-mulare una crisi epilettica, come sincopi, scosse miocloniche,tetano, encefalopatia transitoria, attacco ischemico transito-rio, attacco di panico, eventi avversi causati da farmaci.

TrattamentoIn caso di crisi epilettica in un paziente oncologico è

sempre indicato iniziare una terapia anticonvulsivante? L’efficacia del trattamento antiepilettico è stata dimostrata

nella popolazione generale affetta da epilessia, inclusi i pa-zienti con epilessia dovuta a lesioni neoplastiche cerebrali.

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Tabella I. Eziologia delle crisi epilettiche nei pazienti oncologici.

Fattori eziologici Cause

Tumori intracranici– Parenchimali Tumori cerebrali primitivi

(Gliomi), Tumori metastatici

– Meningei Tumori cerebrali primitivi(Gliomatosi meningea), Tumori metastatici(Linfomatosi, Carcinosi meningea)

Radioterapia Aumento dell’edema perilesionaleRadionecrosi

Chemioterapia Cisplatino, methotrexate,ifosfamide, citarabina, 5-fluorouracile, paclitaxel

Agenti biologici IL-2, Interferon, Enzalutamideo ormonali

Altri farmaci Morfina, Aloperidolo, Fenotiazina,Antidepressivi triciclici, Antibiotici(chinolonici, betalattamici)Mezzo di contrasto iodato

Fattori metabolici– Iponatremia Sindrome da inappropriata

secrezione di ADH

– Ipoglicemia Malnutrizione, Tumori del pancreas

– Ipocalcemia Secondaria a farmaci (cisplatino, bifosfonati)

– Ipomagnesemia Secondaria a farmaci (cisplatino)

– Ipossia Tumori o metastasi polmonari,Fibrosi polmonare, Embolia polmonare

Cause cerebro-vascolari– Emorragiche Intratumorale o perilesionale,

Secondaria a piastrinopenia,Secondaria a farmaci antitumorali(antiangiogenici)

– Vascolari Stroke, Vasculiti (paraneoplastiche,correlate al trattamento)

Infezioni Herpes simplex, Herpes zoster,CytomegalovirusComuni batteri, Mycobatteri, ListeriaAspergillus, Cryptococcus

scita sferico e non infiltrativo. Esistono infine fattori di rischiomeno frequenti, come alterazioni metaboliche, cause far-macologiche, infettive e vascolari.

Le più frequenti cause di crisi epilettiche nei pazienti on-cologici sono descritte nella tabella I. In uno stesso pazientepossono agire più fattori e pertanto un’anamnesi accurata èparte essenziale del work-up diagnostico di ciascun paziente.

Clinicamente l’epilessia nel paziente oncologico può ma-nifestarsi come crisi epilettica parziale, semplice o complessa,con o senza secondaria generalizzazione, e in quasi la metàdei casi è farmacoresistente. Quando non controllata, l’epi-lessia influisce negativamente sulla qualità di vita del pa-ziente e dei suoi familiari: le crisi possono rendere necessa-rio il ricovero in ospedale, limitare l’autonomia del paziente,causare la perdita di funzioni motorie o accelerare il deterio-

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Sulla base delle evidenze disponibili le principali linee guidainternazionali raccomandano di iniziare la terapia anticon-vulsivante immediatamente dopo la prima crisi epilettica e diproseguirla indefinitivamente. Secondo alcuni autori, i farmacidi nuova generazione (levetiracetam, pregabalin, gabapentin,lamotrigina, oxcarbazepina, topiramato, zonisamide e laco-samide) sarebbero da preferire ai farmaci antiepilettici di vec-chia generazione (fenitoina, fenobarbital, carbamazepina,acido valproico) perché inducono minori eventi avversi e mi-nori interazioni con altri farmaci, tra cui molti chemioterapici.Purtroppo, gli studi che hanno incluso solo pazienti oncolo-gici sono pochi, piccoli per numerosità del campione e diso-mogenei per le caratteristiche della popolazione; spesso sonostudi retrospettivi, non randomizzati e controllati, gli en-dpoint valutati sono diversi nei vari studi e non c’è uniformitànella valutazione dell’efficacia della terapia. In virtù di questeconsiderazioni, le evidenze disponibili a supportare la sceltadel tipo di farmaco antiepilettico per il trattamento di pazientiadulti con tumore cerebrale primitivo o secondario, sonoscarse e deboli, cioè non derivanti dai risultati di ampi studi,randomizzati, controllati4.

Un piccolo studio randomizzato recentemente pubbli-cato ha confrontato il levetiracetam con il pregabalin nel trat-tamento di pazienti con tumori cerebrali primitivi e almenouna precedente crisi epilettica. Su 52 pazienti inclusi nello stu-dio, non ci sono state differenze tra i due farmaci in terminidi efficacia e tollerabilità5.

In un altro piccolo studio pilota, prospettico, randomiz-zato, open-label, il levetiracetam è stato confrontato con lafenitoina nella prevenzione delle crisi epilettiche dopo cra-niotomia in pazienti con glioma. I pazienti sono stati rando-mizzati in un rapporto 2:1 ad iniziare terapia con levetirace-tam nelle 24 ore successive alla craniotomia o a continuareterapia con fenitoina. Ad un follow-up di 6 mesi erano valu-tabili 15 pazienti trattati con levetiracetam e 8 con fenitoina.I risultati indicano l’assenza di differenze significative tra i duefarmaci sia rispetto all’efficacia che alla tollerabilità (87% deipazienti trattati con levetiracetam era libero da crisi a sei mesirispetto al 75% dei pazienti trattati con fenitoina)6.

In conclusione, sarebbero necessari studi randomizzati econtrollati più ampi per poter stabilire se gli antiepilettici dinuova generazione sono superiori ai farmaci di vecchia ge-nerazione per prevenire le crisi epilettiche in pazienti con tu-more cerebrale che abbiano avuto almeno una crisi e per con-fermare la migliore tollerabilità e le minori interazioni con ifarmaci antitumorali.

In prima istanza, quando si inizia una terapia anticonvul-sivante è sempre da preferire una monoterapia. In caso di epi-lessia resistente è consigliato raggiungere la massima dose edeventualmente associare un secondo farmaco.

La resezione del tumore può portare ad un controllodelle crisi in una percentuale significativa di pazienti con tu-more cerebrale. In particolare, nei pazienti con gliomi dibasso grado la fattibilità e l’entità della resezione è il più im-portante fattore predittivo di sopravvivenza libera da epiles-sia7.

È importante notare che, la percentuale di pazienti con

una significativa riduzione delle crisi epilettiche dopo chirur-gia è più alta se vengono utilizzate tecniche diagnostiche piùsofisticate, come per esempio la RM funzionale, la magne-toencefalografia, l’elettrostimolazione durante craniotomia apaziente sveglio, che aiutano a localizzare e a resecare i fo-colai epilettogeni, che in un terzo dei casi non coincidono conl’area del tumore. Anche i trattamenti radioterapico e che-mioterapico possono migliorare il controllo delle crisi, ma idati disponibili sono limitati e riguardano per lo più pazienticon gliomi di basso grado non resecabili1.

Se la causa della crisi epilettica è un’alterazione metabo-lica o tossica (alcool, droghe o farmaci), i farmaci antiepilet-tici possono essere interrotti quando la crisi si è risolta e lacausa della crisi è stata rimossa. Ogni farmaco con potenzialeeffetto epilettogeno deve essere interrotto ed evitato; le al-terazioni metaboliche devono essere corrette; in caso di in-fezione deve essere prontamente iniziata un’appropriata te-rapia.

Nel paziente neoplastico in fase terminale, l’incidenza dicrisi epilettiche è elevata, per effetto della progressione dellamalattia, dell’aumento dell’edema perilesionale o della diffi-coltà di assumere le terapie anticonvulsivanti orali. Anche inquesta fase della malattia la prevenzione delle crisi può mi-gliorare la qualità di vita del paziente. Nei pazienti con disfa-gia o alterazione dello stato di coscienza viene suggerito ilpassaggio dalla terapia anticomiziale orale a quella parente-rale con fenobarbital o levetiracetam8.

In caso di stato di male epilettico, è necessario un moni-toraggio intensivo del paziente; è prioritario assicurare lapervietà delle vie aeree e somministrare terapia endovenosacon benzodiazepine (diazepam, lorazepam), da preferire perla loro breve durata d’azione e l’effetto immediato, ed in casodi non risposta alla benzodiazepina, si può iniziare terapia en-dovenosa con fenitoina9.

ProfilassiLa terapia anticonvulsivante nel periodo perioperatorio

dopo craniotomia per un tumore cerebrale primitivo o se-condario è ampiamente utilizzata nella pratica clinica quoti-diana. Gli autori di una recente revisione dei dati disponibilinella letteratura hanno concluso che la profilassi anticonvul-sivante dopo chirurgia per un tumore cerebrale non do-vrebbe essere usata di routine, a causa della disponibilità dipochi dati, spesso contraddittori, che non supportano talepratica10.

Se, nonostante l’assenza di dati di sicura efficacia, un far-maco anticonvulsivante è stato iniziato nel periodo periope-ratorio, nei pazienti che non abbiano presentato crisi, la te-rapia può essere sospesa dopo la prima settimana successivaall’intervento chirurgico11.

L’uso della terapia anticonvulsivante come profilassi in pa-zienti affetti da tumore cerebrale o metastasi cerebrali chenon abbiano mai avuto una crisi epilettica non è raccoman-dato di routine. I risultati dei pochi studi clinici controllati erandomizzati pubblicati, indicano che non ci sono differenzetra i pazienti sottoposti a terapia profilattica e i controlli nellaprevenzione della prima crisi epilettica, mentre gli eventi av-

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versi sono maggiori tra i pazienti che hanno ricevuto la tera-pia anticonvulsivante12,13. Le evidenze scientifiche sono co-munque scarse e gli studi disponibili sottodimensionati. Unodegli studi più ampi pubblicati è uno studio prospettico, ran-domizzato, open-label, che aveva l’obiettivo di determinarese la terapia anticonvulsivante profilattica in pazienti connuova diagnosi di tumore cerebrale, senza storia di epilessia,riduce la frequenza delle crisi. Lo studio è stato chiuso allaprima analisi ad interim dopo l’arruolamento di 100 pazienti.60 pazienti avevano metastasi cerebrali e 40 tumori cerebraliprimitivi. 46 pazienti erano randomizzati nel gruppo della te-rapia anticonvulsivante e 54 nel gruppo di controllo. Ad unfollow-up mediano di 5,44 mesi non c’erano differenze tra idue gruppi nell’endpoint primario dello studio che era lafrequenza di crisi a 3 mesi dalla randomizzazione. La per-centuale di pazienti liberi da epilessia a 3 mesi era infatti 87%nel gruppo di trattamento e 90% nel gruppo senza terapia(log rank test, p = 0,98). La frequenza di crisi epilettiche eramolto più bassa del previsto nel gruppo senza terapia (soloil 10%) e questo ha significato che, per poter dimostrare unadifferenza clinicamente significativa tra i due gruppi, sarebbestato necessario arruolare almeno 900 pazienti14.

Gli effetti collaterali dei farmaci anticonvulsivanti (deca-dimento cognitivo, mielosoppressione, tossicità epatica, rea-zioni dermatologiche dal rash cutaneo alla sindrome diStevens-Johnson) sembrano più frequenti nei pazienti con tu-more cerebrale che in altri gruppi di pazienti. Inoltre, molti far-maci antiepilettici stimolano il sistema enzimatico del cito-cromo P450 portando ad un accelerato metabolismo diun’ampia serie di farmaci chemioterapici e di nuovi farmacia target molecolare, con possibili conseguenze sull’efficaciae tossicità del trattamento antitumorale. I corticosteroidi e al-cuni farmaci chemioterapici possono altresì alterare il meta-bolismo dei farmaci anticonvulsivanti, determinando un sot-todosaggio o più spesso un sovradosaggio del farmacoantiepilettico15.

Queste considerazioni sulla sicurezza dei farmaci antiepi-lettici, insieme all’assenza di evidenze sull’efficacia della te-rapia profilattica nei pazienti con tumore cerebrale, induconoa non raccomandare la profilassi anticonvulsivante nella pra-tica clinica.

ConclusioniLe crisi epilettiche sono una complicanza frequente in pa-

zienti con tumore cerebrale primitivo o secondario. I mecca-nismi patogenetici dell’epilessia nel paziente oncologico nonsono completamente chiariti; probabilmente il tumore inducedei cambiamenti nell’architettura strutturale, cellulare e mo-lecolare del tessuto cerebrale, responsabili di alterazioni nelleconnessioni funzionali cerebrali. La terapia dovrebbe averel’obiettivo di eliminare il focus epilettogeno e di ridurne l’at-tività epilettica, ma nessun farmaco finora è riuscito ad otte-nere una remissione completa delle crisi. Il trattamento otti-male dell’epilessia nei pazienti oncologici non è stato ancoradefinito. La ricerca futura avrà il compito di svelare i segretidella patogenesi dell’epilessia tumorale per identificare nuovitargets per nuovi agenti terapeutici.

I quesiti aperti sono tanti, poiché le evidenze scientifichesia sul trattamento che sulla profilassi dell’epilessia nei pazientioncologici sono scarse e troppo deboli per poter definire delleraccomandazioni da trasferire nella pratica clinica. Sarebbenecessario pianificare e condurre studi clinici, controllati,randomizzati, su popolazioni di pazienti omogenee, per po-ter rispondere ai quesiti clinici più rilevanti. Nella nostra atti-vità quotidiana la decisione terapeutica dovrebbe essere ilfrutto della valutazione da parte di un gruppo multidiscipli-nare neuro-oncologico e dell’attenta discussione con il pa-ziente del bilancio tra i potenziali rischi e benefici di ciascunaterapia. •

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RIASSUNTONel corso della storia di malattia oncologica i Pazienti

possono presentare una varietà di sintomi, legati diretta-mente o indirettamente alla malattia stessa o conseguenti aitrattamenti antineoplastici. La frequenza di presentazione faemergere come “più importanti” sintomi quali fatigue, do-lore, anoressia, cachessia, dispnea. Se l’attenzione dell’on-cologo nei confronti dei sintomi “maggiori” è scarsa, ancorameno viene rivolta verso i cosiddetti sintomi minori, qualiprurito, tosse, singhiozzo, broncorrea. Questi ed altri, se purepresenti in minore frequenza, risultano notevolmente invali-danti per i pazienti, presentandosi spesso ad aggravare lafase terminale di malattia. Ancora una volta troviamo a so-stegno del curante una letteratura scarsa e per lo più aned-dotica, orfana appunto, per cui il ricorso all’empirismo rischiadi essere l’unica risorsa.

Parole chiave. Prurito, tosse,singhiozzo,sintomi orfani,cancro.

SUMMARYSymptomatic management in cancer patients: the orphan symptomsDuring oncological disease, patients can suffer a variety

of symptoms, directly related or not to cancer or to its treat-ments. The attention of oncologists towards symptoms con-trol could be not properly oriented, expecially for the socalled “orphan symptoms”, for which there is poor evidenceand no consensus about adeguate care. Pruritus, cough andhiccup are exemples of disabilitating, hateful symptoms; wi-thout scientific evidences, anecdotical reports and expert’sopinion could be the only reference for patient’s care

Key words. Pruritus, hich, cough, hiccup, orphansymptoms, cancer.

Prurito Pur non essendo tra i sintomi più frequenti, il prurito può

risultare estremamente penalizzante, anche considerando lanon piena conoscenza circa i meccanismi fisiopatogeneticinelle varie situazioni e la mancanza di algoritmi terapeuticivalidati. Il processo che porta alla sgradevole sensazione

coinvolge recettori cutanei (attivabili da stimoli fisici e chi-mici, es istamina, acetilcolina, serotonina, prostaglandine,oppioidi endogeni ed esogeni, chinine), il sistema nervosoperiferico (fibre amieliniche C a lenta conduzione, un temporitenute le stesse degli stimoli dolorosi urenti) e specifiche re-gioni del sistema nervoso centrale. Nel 2003 veniva propo-sta una classificazione del prurito1,2 in 4 categorie, ad oggiaccettata come riferimento (tabella I).

Recentemente il prurito è stato messo in relazione conalterata neurotrasmissione centrale, legata ad alterata con-centrazione di oppioidi endogeni; questo supporta il razio-nale dell’utilizzo di antagonisti degli oppioidi.

Una revisione sistematica pubblicata nel 2013 valuta l’ef-ficacia di differenti trattamenti farmacologici nella gestionedel prurito in pazienti adulti inseriti in programmi di cure pal-liative. Sono stati considerati 40 studi randomizzati, coinvol-genti 1.286 pazienti, in quattro diversi gruppi di patologie(solo 23 pazienti erano oncologici). Viene analizzata l’effica-cia di ben trenta diversi trattamenti, fra topici e sistemici, macon evidenti limiti metodologici. La paroxetina si è mostrataefficace nel prurito da cause svariate; la gabapentina può es-sere un’opzione per il prurito da insufficienza renale cronica(così come il k-agonista nafuralfina), l’indometacina nel pru-rito associato all’infezione da HIV. La rifampicina ed il flu-mecinolo possono essere indicati nel prurito da colestasi, cosìcome il naltrexone, il cui utilizzo nel setting palliativo è peròcondizionato dalla riduzione della analgesia; anche la bu-prenorfina può risultare efficace, in virtù della sua azioneagonista/antagonista sui recettori per oppioidi. Nonostantele segnalazioni di efficacia nel prurito da colestasi, l’ondan-setron negli studi analizzati non ha mostrato vantaggi. I datisulla colestiramina non sono valutabili per lo scarso numerodi pazienti arruolati3.

Gestione sintomatica del paziente oncologico: i sintomi orfani

Il punto su...

Guglielmo FumiStruttura Complessa di Oncologia MedicaAzienda Ospedaliera“S. Maria”, Terni

Tabella I. Classificazione patogenetica del prurito (Twycross R e Yosipovitch G).

Pruritocettivo Sostenuto da evidenti processi infiammatoridella cute, es orticaria

Neurogenico Generato dal sistema nervoso centrale in risposta a sostanze circolanti, come potrebbe essere in corso di colestasi

Neuropatico Lesioni di strutture nervose periferiche o centrali

Psicogeno Assenza di cause o lesioni evidenziabili

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Recentemente è stata segnalata l’efficacia di aprepitant,un antagonista dei recettori per la sostanza P (nk-1), nel pru-rito intrattabile in corso di malattia di Sezary e di dermopa-tia pruriginosa da anti EGFR; in effetti la aumentataespressione del recettore bersaglio di aprepitant è docu-mentata nei cheratinociti della cute in corso di malattie pru-riginose4,5.

Riportiamo infine alcune segnalazioni di attività dei can-nabinoidi (dronabinolo) nel prurito da colestasi6.

Suggerimenti praticiCura locale della cute, specie se presenta lesioni, sec-

chezza o sudorazione eccessiva, con accorgimenti o solu-zioni topiche, in accordo con il dermatologo; è segnalatauna possibile utilità di lidocaina o capsaicina topica. Sul ver-sante farmacologico sistemico, l’uso di corticosteroidi e an-tistaminici rappresenta solitamente il primo accorgimento,anche se spesso ci si dovrà accontentare di scarsa o nullaefficacia, come nel caso del prurito da colestasi; si potrannoquindi testare farmaci quali paroxetina, colestiramina, on-dansetron, rifampicina, buprenorfina ed anche antagonistioppioidi come naloxone o similari. Ovviamente in caso di it-tero colostatico su base ostruttiva andranno considerate leprocedure di drenaggio biliare, salvo controindicazioni

TosseSi riscontra con una prevalenza dal 47-86% nei casi di

tumore polmonare e del 23-37% nella restante popolazioneoncologica, con intensità moderata severa in circa la metàdei casi. Con questi numeri non si dovrebbe parlare di sin-tomo orfano, ma tale dizione risulta appropriata per la scar-sezza di certezze scientifiche relative soprattutto ai possibilitrattamenti.

I recettori polmonari per la tosse sono ampiamente di-stribuiti nelle alte e medie vie aeree; rispondono ad una va-rietà di stimoli meccanici (polvere, corpi estranei, in edespirazione, ...) e chimici (fumo, gas nocivi, ...), oltre che amediatori immunologici (acetilcolina, istamina, serotonina,prostaglandine, bradichinina, sostanza P). Quando stimolatipossono indurre tosse, bronco costrizione, secrezione dimuco, oltre ad un ampio spettro di riflessi respiratori. È incorso l’individuazione di una scala validata per una correttavalutazione del sintomo7.

Tutti gli oppioidi hanno effetto antitussigeno, e la co-deina ne è il prototipo (10-30 mg ogni 4-6 ore; o i suoi de-rivati diidrocodeina, 5-10 mg ogni 4 ore, o idrocodone);agiscono a livello dei centri nervosi encefalici della tossecoinvolgendo siti serotoninergici indipendenti dalla seda-zione8,9. Anche il destrometorfano (15-30 mg ogni 6-8 ore)agisce a livello centrale, diversamente dalla levodropropizina(75 mg ogni 8 ore), che con la sua azione periferica è gra-vata da minore sonnolenza, come riportato in uno studio diconfronto10.

Il sodio cromoglicato (2 puff 2 volte al dì) ha ridotto latosse in maniera significativa rispetto al placebo in un pic-colo studio in doppio cieco su 20 pazienti affetti da neopla-sia polmonare e tosse resistente ai comuni rimedi11.

Una revisione sistematica del 2010 ha considerato 17studi su rimedi farmacologici (nove studi) e non farmaco-logici (otto studi), di qualità metodologica scarsa e perciòcon risultati incerti. Indicazioni di efficacia sono osservatecon morfina, codeina, diidrocodeina, levodropropizina,sodio cromoglicato e butamirato citrato. Tra le metodiche,la brachiterapia si è mostrata efficace in pazienti selezio-nati12,13. L’unico studio che contempla l’utilizzo di steroidi(per via inalatoria) riguarda una popolazione di pazienti (n:20) sottoposti a pneumonectomia cui residuava tosse stiz-zosa intrattabile14.

L’utilizzo di lidocaina in soluzione per aereosol) si è di-mostrata efficace e ben tollerata nei casi intrattabili, maanche qui mancano studi controllati a maggiore supporto.Viene suggerita al dosaggio di 5 ml di soluzione al 2% in20’ circa, ripetibile secondo la durata dell’effetto, variabileda poche ore ad alcuni giorni. Nelle 2 ore precedenti e suc-cessive al trattamento è bene non alimentare il pazienteper ridurre il rischio di inalazione15,16.

L’associazione di più prodotti viene talora utilizzatanelle cure palliative, con razionale solo per farmaci con sitod’azione diverso (es. codeina e levopropirizina), ma in as-senza di alcuna evidenza di letteratura. L’uso di coadiuvantiquali broncodilatatori andrà considerato di volta in volta(es. pazienti con preesistenti affezioni quali BPCO).

SinghiozzoDi prevalenza imprecisata, nel paziente neoplastico è

legato per lo più a fenomeni di irritazione vagale a livellocervicale, toracico o addominale (es distensione gastrica,infiltrazione diaframmatica). Va ricordato come il desame-tasone sia talora responsabile dell’insorgenza di singhiozzo.La stimolazione faringea (con abbassalingua, tampone osondino) induce il riflesso glossofaringeo che spesso risultaefficace nelle forme episodiche, così come lo stimolo iper-capnico (es. far respirare il paziente in un sacchetto dicarta). Nelle forme croniche, sicuramente più invalidanti,sono utilizzabili farmaci ad azione antidopaminergica comemetoclopramide (che unisce anche l’azione procinetica) ealoperidolo, oppure clorpromazina (10-25 mg x 3/die),miorilassanti come nifedipina, e soprattutto il baclofene (da5 mg ogni 6-8 ore), di cui va considerato l’effetto sedativo.Ancora segnalazioni circa l’efficacia di Lidocaina in infu-sione sottocutanea e gabapentina17-20. •

Bibliografia1. Yosipovitch G, Greaves MW, Schmelz M. Itch. Lancet 2003; 361:

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13. Homsi J, Walsh D, Nelson KA. Important drugs for cough inadvanced cancer. Support Care Cancer 2001; 8: 565-74.

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| Il punto su... | Gestione sintomatica del paziente oncologico: i sintomi orfani

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RIASSUNTONella valutazione degli studi clinici che hanno portato al-

l’approvazione di denosumab come trattamento contro glieventi scheletrici prodotti da metastasi ossee, ci si può accor-gere che l’endpoint primario non appare quello più importantee che gli strumenti statistici usati sono complessi e inadeguati,e potrebbero nascondere la vera efficacia del farmaco.

Parole chiave. Studi di non inferiorità, modello di Cox,log-rank test.

SUMMARYIs clinically relevant to delay the first scheletalevent?In assessing clinical studies produced for the approval of

denosumab as treatment against scheletal events induced bybone metastases, not only the primary endpoint does not ap-pear the most relevant, but also the used statistical methodsare complex and inadequate, and may hide the true efficacyof the drug.

Key words. non inferiority studies, Cox models, log-ranktest.

Negli ultimi 4 anni sono stati pubblicati tre studi fotoco-pia sull’efficacia differenziale di denosumab (DEN) rispetto al-l’acido zoledronico (ZOL) nel ritardare il primo evento sche-letrico correlato alla presenza di metastasi ossee. Quellopresentato nella scheda riguarda pazienti con carcinomaprostatico resistente alla castrazione; gli altri riguardano pa-zienti con carcinoma della mammella metastatico1 e pazienticon carcinoma metastatico (esclusi il cancro della prostata equello della mammella) o con mieloma multiplo2. Tali studi,tutti di ampia dimensione campionaria, sono stati accompa-gnati dalla pubblicazione di almeno altri tre lavori condotticonsiderando insieme i pazienti arruolati nei tre studi originalie/o valutando l’effetto differenziale di DEN rispetto a ZOL sualtre caratteristiche non considerate negli studi originali.

I tre studi adottano la stessa metodologia e pervengonoa risultati similari. Così, la discussione è incentrata solo suquello riportato nella scheda, ma quanto sarà esposto siestende anche agli altri due.

Le principali ragioni per discutere di tali studi (peraltro nonrecentissimi) in una rivista di terapia di supporto sono dovute

ai risultati conseguiti ed alla natura degli endpoint conside-rati. Infatti, nei suddetti studi sono state condotte analisiesplorative sulla sopravvivenza globale e sul tempo alla pro-gressione e, in tutti e tre i casi, le curve di sopravvivenza (e deltempo alla progressione, ma questo è secondario) relative aidue bracci di trattamento sono sovrapponibili. Sebbene nonsia chiara la ragione per cui tali analisi siano state considerate“esplorative”, la uguale sopravvivenza comporta automati-camente che il vantaggio di denosumab in termini di effica-cia, ossia di effetto sul paziente, riguarda la sfera della qua-lità di vita, ma in tal caso non è chiaro il motivo per cui questoaspetto non sia stato direttamente valutato mediante appo-siti questionari psicometrici.

EndpointL’evento scheletrico correlato alla malattia può manife-

starsi in vari modi, per cui avendo deciso che l’endpoint prin-cipale è il tempo al primo evento scheletrico correlato, lascelta di un endpoint composto sembra ragionevole (v.scheda). Al riguardo, però, resterebbe da chiarire perchésiano state escluse fratture incorse in seguito a traumi severi,quando è noto che la presenza di metastasi ossee può de-terminare punti di minore resistenza, per cui anche in seguitoa traumi severi è possibile che si sia verificata una frattura chenon si sarebbe prodotta se in quel punto non fosse stata pre-sente una metastasi. Per non parlare poi della definizione di“trauma severo” che, non essendo stata data, è lasciato al-l’arbitrio del ricercatore decidere quando un trauma è da con-siderarsi severo, con conseguente introduzione di elementi disoggettività.

Comunque, il punto più controverso è proprio la scelta del“tempo al primo evento scheletrico correlato” come en-dpoint principale. Infatti, ci si sarebbe atteso che l’endpointprincipale fosse stato l’incidenza degli eventi scheletrici e, nelgruppo dei pazienti che hanno avuto almeno un eventoscheletrico, una misura della ripetitività del fenomeno avrebbefornito un rilevante endpoint secondario.

Disegno dello studioLo studio sembra programmato come studio di non in-

feriorità, ma, una volta provata la non inferiorità di DEN ri-spetto a ZOL (in relazione all’endpoint considerato), si passaa testare la superiorità del farmaco in studio.

Cosa pensiamo degli studi di non inferiorità è stato am-piamente esposto nel n. 3 di CASCO: salvo rari e motivati casi,gli studi di non inferiorità non dovrebbero essere accettatidalla comunità scientifica. Qui siamo di fronte ad uno studioche è al contempo di non inferiorità e di superiorità condi-

Enzo BallatoriStatistico medico, Spinetoli (AP)

Fausto RoilaSC di Oncologia MedicaAzienda Ospedaliera “S. Maria”, Terni

Casi clinici

È clinicamente rilevante ritardare il primo eventoscheletrico?

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zionata e ci chiediamo fino a che punto sia corretto un talemodo di procedere, anche perché nell’articolo non sonostate date informazioni dettagliate su tale scelta.

Per utilità del Lettore, riportiamo una sintesi brevissima (equindi necessariamente approssimativa) della storia dell’usodella statistica nelle applicazioni.

L’uso dei test statistici nella ricerca scientifica si può farrisalire alle scuole di Biometria (seconda metà del XIX se-colo); l’ipotesi nulla (negli esperimenti comparativi, quelladi uguale efficacia dei trattamenti) era sottoposta ad untest statistico per valutare se la differenza riscontrata tra idue gruppi poteva essere attribuita al caso o, invece, eracosì rilevante da indurre a propendere per la diversa effi-cacia dei trattamenti. In tal caso, il segno della differenzaera dirimente per individuare il trattamento più efficace(non c’era bisogno di ipotesi alternativa).

Gradualmente, però, nuovi campi di applicazione siaprono per la Statistica, ad esempio nell’industria, dove ne-cessitano strumenti non tanto orientati ad investigare lanatura, quanto finalizzati a prendere decisioni. Poiché nel-l’industria ogni decisione sbagliata ha un costo, si ponel’attenzione non solo alla probabilità di commettere un er-rore respingendo l’ipotesi nulla quando invece è vera (livellodi significatività), ma anche alla probabilità di commettereun errore accettando l’ipotesi nulla quando invece i trat-tamenti sono diversamente efficaci. Il complemento a 1 diquest’ultima probabilità si chiama potenza del test che, aparità delle altre assunzioni (cioè: differenza minima rile-vante, test statistico prescelto, livello di significatività), èfunzione matematica della dimensione campionaria, nelsenso che, fissata la potenza, è univocamente determinatala numerosità e, viceversa, fissata la numerosità, è univo-camente determinata la potenza. Il Lettore avrà certamentenotato, nelle applicazioni, l’asimmetria nel controllo dei duetipi di errore: per convenzioni internazionali ormai conso-lidate, il livello di significatività si pone (quasi) sempre al5%, mentre la probabilità dell’errore che si commette ac-cettando l’ipotesi nulla quando i trattamenti sono diver-samente efficaci è (spesso) del 20% (= 1 – 0,8; potenza =80%). In quest’ultimo caso, se si accetta l’ipotesi nulla sipuò avere comunque un 20% di probabilità di sbagliare etale probabilità non può essere considerata bassa. Però, sevolessimo aumentare la potenza, la dimensione campio-naria crescerebbe rapidamente e se la portassimo al 95%molti studi sarebbero infattibili a causa dell’enorme numerodi unità da osservare. Successivamente, dall’industria far-maceutica, furono introdotti studi di non inferiorità e diequivalenza, unicamente per rispondere ad istanze delmarketing.

Nella ricerca clinica, andrebbero distinti due tipi distudi: quelli con finalità regolatorie e quelli volti ad ap-profondire la relazione tra fenomeni (ad es., studi sponta-nei). Solo per i primi la Statistica come strumento decisio-nale appare giustificata: si tratta di decidere se autorizzareo meno il farmaco per la rimborsabilità e il protocollo ga-rantisce che le regole andranno rispettate. I secondi do-

vrebbero essere liberati da ogni struttura che li ingessi,come ad esempio prefissare (nel protocollo) gli strumentistatistici che saranno impiegati, in quanto l’analisi dei daticonsiste proprio in una continua interazione tra ricercatoree risultati delle elaborazioni che via via vengono eseguite.

Analisi dei risultatiEssendo l’endpoint principale una variabile di tipo “time

to failure”, gli autori hanno pensato bene di valutarla ricor-rendo al modello di Cox, aggiustando i risultati relativi al-l’endpoint principale per tre fattori: precedenti eventi sche-letrici (sì, no), PSA (inferiore o meno a 10ng/ml), trattamentochemioterapico nelle 6 settimane precedenti l’arruolamento(sì, no). I fattori con cui è stato aggiustato l’Hazard Ratio (HR,ricavato in base al modello di Cox) tra i due trattamenti sonogli stessi per cui è stata stratificata la randomizzazione. Quisi apre lo scenario per una discussione articolata.1. La randomizzazione stratificata ha un’unica finalità: ga-

rantire un perfetto bilanciamento tra i due bracci speri-mentali dei fattori di stratificazione (quelli ritenuti impor-tantissimi nella valutazione della risposta al trattamento),in modo tale che la risposta (sintetizzata da una media)non risenta più del loro effetto. Ora, se i bracci sono bi-lanciati, ci si chiede quale sia la necessità di aggiustare pertali fattori. A nostro avviso sarebbe stato sufficiente unsemplice log-rank test che, essendo un test non parame-trico, contrariamente al modello semiparametrico di Cox,non ha bisogno di alcuna assunzione per essere valido.Nel lavoro sono riportati i tempi mediani al primo eventoscheletrico correlato (20,7 mesi con DEN vs 17,1 conZOL); quindi il ritardo mediano della comparsa del primoevento scheletrico correlato è di circa 3,6 mesi con l’usodi DEN rispetto a ZOL; in base alle analisi condotte, taledifferenza risulta significativa. Però, gli intervalli di confi-denza di tali stime (v. scheda) presentano regioni di so-vrapposizione, il che lascerebbe pensare che il log-ranktest non sarebbe risultato significativo. Si noti che, neglialtri due lavori, gli intervalli di confidenza per il tempo me-diano al primo evento scheletrico correlato non sonostati riportati.

2. L’assunzione alla base del modello di Cox è quella del ri-schio proporzionale (proportional hazard), per cui in tuttii sottogruppi definiti dalle combinazioni di modalità deifattori di aggiustamento (nel nostro caso 2 x 2 x 2 = 8),il rapporto tra i rischi (HR) relativo ai due trattamentideve rimanere costante. Esistono metodi statistici per laverifica del proportional hazard, ma nel lavoro in discus-sione non si fa cenno del loro impiego. Se il proportionalhazard non è rispettato, il modello di Cox si riduce ad unpuro esercizio matematico: formalmente lo si può semprecostruire (qualunque software statistico è in grado difarlo), ma i risultati che fornisce sono inattendibili. Le cosepeggiorano quando si passa alle analisi “esplorative”: so-pravvivenza globale e tempo alla progressione valutato dalmedico sperimentatore. Qui l’aggiustamento è stato fatto,oltre che per i tre fattori di stratificazione, anche per al-tre 6 variabili valutate al basale (peraltro non è precisato

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SCHEDA

Fizozi K, Carducci M, Smith M, et al. Denosumab versuszoledronic acid for treatment ofbone metastases in men withcastration-resistant prostatecancer: a randomised, doubleblind study. Lancet 2011; 377: 813-23.

Nel periodo Maggio 2006 -Ottobre 2009, 2516 pazientifurono screenati in 342 centri di39 paesi; ne furono arruolati1904 e valutati 1901 chevennero randomizzati a ricevereacido zoledronico (951, ZOL) edenosumab (950, DEN). Larandomizzazione fu stratificataper precedenti eventi scheletrici(sì, no), PSA (< 10 vs ≥ 10) etrattamento chemioterapiconelle 6 settimane prima dellarandomizzazione (sì, no).Endpoint primario: tempo alprimo evento scheletrico(correlato alla malattia) valutatoper non inferiorità. Se sidimostrasse non inferiore, alloralo stesso endpoint sarebbesuccessivamente valutato persuperiorità come endpointsecondario insieme ai tempidegli eventi scheletrici successivial primo. Un’analisi esplorativa fuprogrammata per la valutazionedella sopravvivenza globale e peril tempo alla progressionevalutato dal medicosperimentatore. Un evento scheletrico correlatofu definito come a. frattura patologica

(escluse quelle incorse inseguito a traumi severi)

b. radioterapia dell’osso (incluso l’uso di radioisotopi)

c. chirurgia dell’ossod. compressione della corda

spinale.Un esame dello scheletro fueseguito ogni 12 settimane edincluse le radiografie del cranio,

colonna vertebrale, torace, pelvi,braccia e gambe. Ogniradiografia fu valutata,indipendentemente ed in cieco,da due lettori ed un terzo valutòle immagini dove si eranoriscontrate discordanze dirisposta.

Analisi statistica. L’analisistatistica degli endpoint primarioe secondario fu condotta, inaccordo al principio di intenzionea trattare, mediante l’HazardRatio (HR) di denosumab vsacido zoledronico, stimatomediante il modello di Cox,aggiustando per i fattori usatinella stratificazione dellarandomizzazione (precedentieventi scheletrici, PSA,chemioterapia nelle precedenti 6settimane). Nessuna analisi adinterim fu pianificata.Le analisi esplorative sullasopravvivenza globale e sultempo alla progressione dimalattia furono condottemediante il modello di Cox,aggiustando non solo per levariabili di stratificazione, maanche per le caratteristiche basalidel paziente (età, tempotrascorso dalla prima diagnosi dicarcinoma prostatico allamalattia metastatica, tempodalla diagnosi alle metastasiossee, presenza di metastasinelle viscere, score di Gleason,Ecog performance status).

Risultati. La quasi totalità deipazienti del gruppo DEN fuesposta al denosumab per unamediana di 11,9 mesi, mentre laquasi totalità di quelli del gruppoZOL fu esposta all’acidozoledronico per una mediana di10,2 mesi. Denosumab mostrò unamaggiore efficacia dell’acidozoledronico nel ritardare la

comparsa del 1° eventoscheletrico correlato allamalattia; tempo mediano allacomparsa del 1° evento (95% CI)− con denosumab:

20,7 mesi (18,8-24,9)− con acido zoledronico:

17,1 mesi (15,0-19,4),con una differenza tra lemediane di 3,6 mesi ed unHazard Ratio HR = 0,82 (CI 0,71-0,95), risultati significativi allo0,001 per non inferiorità e allo0,008 per superiorità.Il numero totale degli eventiconfermati fu di 386 (41%) nel gruppo ZOL e di 341 (36%)nel gruppo DEN. Scendendo neldettaglio, si osservarono iseguenti eventi scheletrici,rispettivamente nel braccio ZOLe nel braccio DEN − Radioterapia all’osso:

21% e 19%− Frattura patologica:

15% e 14%− Compressione spinale:

4% e 3%− Chirurgia dell’osso:

< 1% e < 1%. Sia la sopravvivenza globale cheil tempo alla progressione (analisiesplorative) risultaronosovrapponibili tra i due gruppi.L’incidenza di eventi avversirisultò paragonabile tra i duebracci.

Ruolo della fonte di finanziamento.L’autore corrispondente hacollaborato con lo sponsor neldisegno dello studio. La raccoltae l’analisi dei dati fu eseguitadallo sponsor. Tutti gli autorihanno partecipato alla stesuradell’articolo con l’assistenza diun medical writer fornito dallosponsor. L’autore corrispondentefu responsabile della decisione disottoporre il lavoro per lapubblicazione. •

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se tali variabili siano state considerate in quanto tali o, in-vece, trasformate in fattori, v. scheda), per un totale di 9tra fattori e variabili considerati. Non solo in tale situazioneil proportional hazard diventa arduo persino da ipotizzare,ma sarebbe stato sufficiente dare un’occhiata alle corri-spondenti curve relative ai due trattamenti per vedere unaquasi perfetta sovrapposizione che avrebbe esoneratoda qualsiasi altra analisi.

ConclusioniNella programmazione degli studi clinici e nell’analisi dei

risultati, talvolta la Statistica viene utilizzata in maniera esa-gerata, quasi per nascondere, con la complessità degli stru-menti adottati, la povertà dei risultati conseguiti. Il lavoro sin-tetizzato nella scheda e gli altri due sullo stesso argomentoci sembrano di questo tipo.

C’è una lunga catena che va dai medici ricercatori che ac-cettano di firmare i protocolli proposti dall’industria, ai co-mitati etici che approvano i protocolli, alle riviste scientificheche pubblicano i risultati, alle autorità regolatorie che ap-provano i farmaci, alle Consensus Conference che introdu-cono i nuovi farmaci nelle linee guida, al medico che li pre-scrive; tutti i punti nodali di tale catena presentano problemidi varia natura. Dati gli scopi di questa rubrica, ci sofferme-remo brevemente solo sul sistema di referaggio delle riviste.

Essendo i tre lavori considerati tutti pubblicati su riviste as-sai importanti (Lancet e JCO), sapendo che ciascuna di lorofa valutare ogni manoscritto da tre referee, di cui uno stati-stico, desta meraviglia il fatto che di nove (o poco meno) re-feree diversi che hanno analizzato i tre studi nessuno abbiaavanzato obiezioni sostanziali, o che comunque queste nonsiano state considerate dall’Editor nel prendere la decisionefinale di pubblicare il lavoro. Il lettore non solo dovrebbe sa-pere chi ha approvato la pubblicazione (in particolare se èstata un’iniziativa del solo editor in chief o se anche tutti oin parte i referee erano d’accordo), ma soprattutto dovrebbeconoscere i contenuti delle revisioni dei referee per com-prendere meglio i possibili limiti dello studio (e forse anche deireferee!), onde poterne dare una propria valutazione critica.Ma la pubblicazione di tali revisioni (magari solo on-line)non è la sola cosa che andrebbe cambiata nell’attuale poli-tica editoriale delle riviste scientifiche, anche dato il ruolo,sempre più pesante, rivestito dallo sponsor nella ricerca cli-nica (v. scheda, ultime righe), per non parlare degli abbon-danti conflitti di interessi degli autori (indicati nell’articolo, manon riportati nella scheda). •

Bibliografia1. Stopek AT, Lipton A, Body JJ, et al. Denosumab compared with

zoledronic acid for the treatment of bone metastases in patientswith advanced breast cancer: a randomized, double-blind study.JCO 2010; 28: 5132-9.

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CASCO — Inverno 201528

Test statistici per dati appaiati

Statistica per concetti

RiassuntoI test statistici per dati appaiati sono esposti in relazionealla scala in cui si colloca la risposta al trattamento. Inparticolare, sono descritti il test di Mc Nemar (scala no-minale), il test di Wilcoxon per dati appaiati (scala ordi-nale) e il t-test per il confronto tra due medie nel caso didati appaiati (scale di rapporti). Parole chiave. Disegno cross-over, dati appaiati, test diMc Nemar, ranghi, test di Wilcoxon per dati appaiati, t-test per dati appaiati.

SummaryStatistical tests for paired dataStatistical tests for paired data are described in relation-ship with the scale used to evaluate the response to thetreatment. More precisely, we described Mc Nemar test(nominal scale), Wilcoxon matched pairs, signed rankstest (ordinal scale), t-test for paired data (ratio scale). Key words. Cross-over design, paired data, Mc Nemartest, Wilcoxon matched pairs signed ranks test, t-testfor paired data.

Si generano dati appaiati (paired data) quando unostesso carattere (qualitativo o quantitativo) è rilevatodue (o più) volte sulle stesse unità.

Il vantaggio di operare con dati appaiati consiste neltenere costanti tutti i fattori (prognostici, predittivi, dirischio) che possono interferire con l’effetto deltrattamento sulla risposta.

Nella ricerca clinica si ha spesso a che fare con datiappaiati, quando, ad esempio, si valuta la riproducibilitàdi un nuovo test diagnostico, per cui gli stessi pazientisono esaminati da due osservatori indipendenti usandolo stesso strumento, o quando un test psicometricoviene somministrato due volte agli stessi soggetti pervalutarne la riproducibilità. Ma l’esempio di datiappaiati più comune è in relazione al disegno cross-over, che pertanto è assunto come applicazione diriferimento nell’esposizione che segue.

Disegno cross-overSiano A e B i due trattamenti a confronto (ma quanto

esposto è generalizzabile al caso di più di duetrattamenti). Il disegno cross-over consiste nelsomministrare, in tempi diversi, entrambi i trattamenti aglistessi pazienti, valutando così due risposte in ognipaziente: una dopo la somministrazione di A, l’altra dopoquella di B.

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CASCO — Inverno 2015 29

quando la risposta è in termini disopravvivenza.

Il tipo di test per dati appaiatidipende, ovviamente, dalla scala dimisura usata per valutare la risposta(v. CASCO 9, Statistica per concetti 2).

a. Scale nominali, carattere dicotomico. La risposta è valutata in termini di

successo (+) e insuccesso (–)terapeutico. Indicando con A e B i duetrattamenti a confronto, i risultatidello studio possono essererappresentati nella seguente tabella:

A↓ B→ + – Tot.

+ a b n1

– c d n2

Tot. m1 m2 N

dove “a” indica il numero dipazienti in cui si è osservato unsuccesso in seguito allasomministrazione di entrambi itrattamenti (+, +), “d” il numero dipazienti che hanno avuto uninsuccesso con entrambi i trattamenti(–, –), “b” il numero di pazienti in cuisi è registrato un successo con A e uninsuccesso con B (+, –), “c” il numerodi pazienti che hanno presentato uninsuccesso con A e un successo con B(–, +).

Esempio 1: controllo del vomitoacuto in due successivi cicli dichemioterapia. Siano A e B itrattamenti antiemetici a confronto. Altermine dello studio i risultati sono iseguenti

A↓ B→ + – Tot.

+ 60 34 94

– 10 20 30

Tot. 70 54 124

in 60 pazienti, entrambi itrattamenti sono stati in grado diprevenire il vomito e in 20 pazientientrambi i trattamenti hanno fallito. In34 pazienti si è osservato un successo

con A e un insuccesso con B e in 10pazienti è accaduto il contrario(successo con B, insuccesso con A).

Il test di Mc Nemar (1947) è lostrumento per provare se i duetrattamenti hanno una diversaefficacia. Mc Nemar ritenne noninformativi sull’efficacia differenzialedei due trattamenti i pazienti consegno uguale [(+, +) o (–, –)] chepertanto vanno esclusi. Restano cosìda considerare s = b + c pazienti conrisultato discordante fra i duetrattamenti [cioè, (+, –) o (–, +)].L’ipotesi nulla (H0) è quella di ugualeefficacia dei trattamenti; pertanto, seè vera l’ipotesi nulla, la probabilitàche uno degli s pazienti chepresentano segni discordanti (i soli adessere informativi ai fini dellavalutazione di efficacia differenzialefra i trattamenti) cada nella casella“b” è la stessa che cada in “c”. Inaltre parole, sotto l’ipotesi nulla, unsoggetto con segni discordanti haprobabilità pari a ½ di cadere in “b” epari a ½ di cadere in “c”. Il problemasi riduce allora a valutare (tra gli ssoggetti con segni discordanti) se losquilibrio tra “b” e “c” possa ritenersidovuto al caso o se, invece, è dovuto,con alta probabilità, alla diversaefficacia dei trattamenti (nell’esempio1, occorre decidere se la differenzatra 34 e 10 possa essere attribuita alcaso, o se, invece, è dovuta allamaggior efficacia di A). Perrispondere a tale quesito è sufficienteusare il test sul valore di unafrequenza, cioè il test binomiale, o,nel caso dei grandi campioni, anchela sua approssimazione con lanormale.

b. Scale ordinaliLe scale ordinali sono costituite da

attributi (aggettivi) ordinabili in cuiviene classificata la risposta osservatasu ciascun paziente (per il concetto dirango, v. Statistica per concetti 2,CASCO 9). Quando la risposta ècollocabile su una scala ordinale,l’analisi dei risultati di uno studiocross-over viene condotta mediante il

Scopo del disegno dello studio ècercare di annullare (o ridurre) l’effettodei fattori diversi dal trattamento sullarisposta (v. CASCO 9, Statistica perconcetti 1), in modo tale che ilconfronto finale dipenda solo dalladiversa efficacia dei trattamenti (e dalcaso, che però può essere controllatomediante gli strumenti dell’inferenzastatistica, come il test o gli intervalli diconfidenza). Quando siano verificatealcune assunzioni, il disegno cross-over è il più efficiente perché ilconfronto tra l’efficacia dei duetrattamenti può essere eseguito nellostesso paziente (tenendo, quindi,costanti tutti i fattori che, oltre altrattamento, possono influenzare larisposta). Tale maggior efficienza sitraduce, a parità delle altre condizioni,in una potenza più elevata checonsente di ottenere i risultatiprogrammati con un minor numero dipazienti (tanto per fissare le idee condati inventati: se per ottenere un certorisultato con uno studio parallelorandomizzato occorressero 360pazienti, con un disegno cross-overpotremmo arruolarne molti meno, ades., solo 140).

Vi è un non trascurabile secondovantaggio nel disegno cross-over: èl’unico modo per stabilire quale deidue trattamenti sia più gradito alpaziente.

Tecnicamente, alla metà deipazienti si somministra prima iltrattamento A e poi, dopo un certoperiodo in cui il paziente viene lasciatoprivo di trattamento, il trattamento B(l’intervallo di tempo tra i duetrattamenti è noto come periodo diwash out, importante per impedire,almeno in parte, che l’effetto delprimo trattamento si trascini fino amodificare l’effetto del secondo).All’altra metà dei pazienti sisomministra la sequenza BA,randomizzando i pazienti a ricevere ABo BA, per evitare che l’effetto “primotrattamento” possa essere sbilanciatoa favore di uno dei due trattamenti.

Ovviamente, vi sono dei casi diimpossibilità dell’uso del disegnocross-over, come nelle malattie acute o

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CASCO — Inverno 201530

Paziente A B d D = rango di d

1 3 8,5 5,5 2,5

2 8,5 3 -5,5 -2,5

3 3 14 11 6

4 8,5 14 5,5 2,5

5 8,5 14 5,5 2,5

7 3 14 11 6

8 3 14 11 6

Si determina quindi il rango ditali differenze, D = rango di d(indipendentemente dal segno),riattribuendogli poi il segno delladifferenza (da cui il nome di signedranks).

Si invita il lettore a seguire leoperazioni descritte nella tabellariportata nel seguente esempio.

Esempio 2, prosec. Nellatabella successiva, relativa ai 7“pazienti informativi“ dell’efficaciadifferenziale dei trattamenti, sonoriportate le differenze (con segno)dei ranghi, d (= B – A).

L’ultima colonna (D = rango did) si ottiene dalla colonna “d”,attribuendo i ranghi alle quantitàche compaiono in “d”: le quantitàpiù piccole (5,5) sono in numerodi 4; pertanto attribuiamo aciascun valore “5,5” lo stessorango, pari alla media dei ranghiche avremmo dovuto attribuire sefossero stati diversi: (1+2+3+4)/4= 2,5. Di “11” ce ne sono 3, cheoccupano nella graduatoria il 5°,il 6° e il 7° posto (i primi 4 sonooccupati da “5,5”); quindiassegnamo ad essi lo stesso rangopari alla media dei ranghi cheavremmo attribuito se fosserostati diversi: (5+6+7)/3 = 6. Infine,ai ranghi riportati nella colonna“D” riassegnamo i segni dei valoriche compaiono nella colonna “d”.

Si calcola, infine, la somma deiranghi di d (riportati in D),negativi (–2,5) e positivi (25,5). La minore delle due costituisce lastatistica-test necessaria pereseguire il test di Wilcoxon perdati appaiati.

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“test di Wilcoxon per dati appaiati”(Wilcoxon matched-pairs signed rankstest), che è un test basato sui ranghi (v.Statistica per concetti, CASCO 10) eprova l’uguaglianza delle medianenelle popolazioni target. Come siricorderà, “rango” indica il postooccupato dall’attributo consideratonella graduatoria, cioè nelladistribuzione ordinata, ad es. in sensocrescente.

Esempio 2: misura della severitàdella nausea. L’intensità della nauseapuò essere misurata in vari modi, ma ilpiù semplice è una scala di Likert checonsente di ancorare alla realtà lapercezione del paziente: 0 = nonausea, L = nausea lieve (consente alpaziente di svolgere tutte le sue attivitàquotidiane), M = nausea moderata(non permette al paziente di svolgerealcune delle sue abituali attività, S =nausea severa (il paziente è costretto aletto per la nausea).

La severità della nausea percepitadal paziente esplora una dimensionediversa dalla protezione dalla nausea enon può che riferirsi ai soli pazienti chehanno avuto nausea.

Come esempio didatticoconsideriamo uno studio con disegnocross-over in cui i pazienti, sottoposti adue cicli consecutivi di chemioterapia,hanno ricevuto in sequenza duediverse profilassi antiemetiche: A in unciclo e B nell’altro. Si vuole valutare senegli 8 pazienti che hanno sofferto dinausea, questa sia stata più severa tracoloro che hanno ricevuto A o in quellisottoposti a B. Le risposte aitrattamenti osservati negli 8 pazientiche hanno sofferto di nausea sonostate le seguenti

Paziente A B

1 L M

2 M L

3 L S

4 M S

5 M S

6 M M

7 L S

8 L S

Il primo passo nella costruzionedel test consiste nel trasformare gliattributi in ranghi (si tratta diassegnare in tutto 16 ranghi).Considerando che, in totale, gliattributi “L” (i più piccoli) sono 5, aciascuno di essi si attribuisce lo stessorango, pari alla media dei ranghi cheavremmo dovuto assegnare (da 1 a 5:media 3). Gli “M” sono 6 cuiavremmo dovuto attribuire i ranghi da6 (i primi 5 li abbiamo assegnati a “L”)a 11; quindi a ciascun M si assegna ilrango medio 8,5[=(6+7+8+9+10+11)/6]. Gli “S” sono5; ad essi dobbiamo attribuire i ranghida 12 a 16, media: 14.

Pertanto la tabella con i ranghi alposto degli attributi è la seguente:

Paziente A B

1 3 8,5

2 8,5 3

3 3 14

4 8,5 14

5 8,5 14

6 8,5 8,5

7 3 14

8 3 14

Il test di Wilcoxon per dati appaiatiinizia con l’escludere le unità chepresentano la stessa coppia di ranghiin quanto non informativesull’efficacia differenziale deitrattamenti (nell’esempio, il paziente 6viene escluso; restano così 7 pazientiper ciascuno dei quali si calcola ladifferenza tra i ranghi, d (calcolando,ad es., la differenza tra il rango checompare nella colonna B e quello checompare in A: B – A).

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CASCO — Inverno 2015 31

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Sotto l’ipotesi nulla di ugualeefficacia dei trattamenti ci si attendeche la somma dei ranghi positivi siaall’incirca pari a quella dei ranghinegativi (nell’esempio, come si vede, viè un forte squilibrio, ma non sappiamose possa comunque essere attribuito alcaso o, invece, dipenda dalladifferente efficacia dei trattamenti). Si procede, quindi, al calcolo del testdi Wilcoxon per dati appaiati e allaconseguente individuazione del livellodi significatività. Il calcolo del test èalquanto noioso ed va oltre gli scopidella presente nota, per cui sisuggerisce di procedere in uno deimodi seguenti:a. nel caso di piccoli campioni, si

possono utilizzare le tavole chesono riportate in tutti i libri chetrattano di test non parametrici (ad es., Sidney Siegel,Nonparametric statistics, Mc GrawHill-Kogakusha, 1956). Entrando intale tavola con la statistica test (–2,5) calcolata come sopraesposto, malgrado sia piccolo ilnumero di pazienti considerati (N = 7) nell’es. 2 il trattamento Bpuò essere considerato più efficacedi A nel ridurre la severità dellanausea nei pazienti che ne hannosofferto ad un livello disignificatività del 5%.

b. nel caso di grandi campioni si puòutilizzare l’opportunaapprossimazione con ladistribuzione normale disemplicissimo calcolo (v., ad es., Siegel 1956);

c. avvalersi di un software statistico(quasi tutti i packages statisticicalcolano il test di Wilcoxon perdati appaiati e forniscono inautomatico il livello disignificatività).

c. Scale di rapporti (caratteri quantitativi). In ogni paziente si rileva una

coppia di risposte espresse daintensità.

Esempio 3. Consideriamo unostudio cross-over condotto su 8pazienti ipertesi sottoposti a duetrattamenti anti-ipertensivi, A e B. La risposta è misurata in termini diriduzione della pressione diastolica(mmHg) dopo 2 settimane ditrattamento. I risultati dello studio, conle differenze, d, tra la risposta ad A equella a B osservate in ciascunpaziente siano i seguenti:

Paziente A B d

1 18 12 6

2 4 4 0

3 8 10 -2

4 14 2 12

5 26 10 16

6 18 6 12

7 10 10 0

8 11 -1 12

Il paziente 1 ha avuto una riduzionedi 18 mmHg con il trattamento A e di12 con B. In tale paziente A si èdimostrato più efficace di B perché haindotto una diminuzione dellapressione diastolica superiore di 6mmHg, e così via per gli altri pazienti.La differenza di efficacia a favore di A èrisultata, in media, di 7 mmHg.

L’ipotesi nulla (H0) è quella di ugualeefficacia dei trattamenti. Quindi, se itrattamenti sono ugualmente efficaci,nelle due popolazioni target (definitedai pazienti presenti e futuri cheverranno trattati con A e con B), le due

medie sono uguali e, pertanto, la lorodifferenza è pari a 0. La media di dcostituisce la migliore stima delladifferenza tra le medie nelle duepopolazioni target. Se è vera H0, ci siattende che la media di d sia prossimaallo 0. Con i dati sopra riportati vale 7;occorre quindi provare se tale differenzapossa essere attribuita al caso o se,invece, è dovuta al fatto che A è piùefficace di B.

Il test più potente da usare in talesituazione è il test t di Student (t-test)per dati appaiati. Il t-test è un testparametrico perché si basasull’assunzione di normalità dell’errore(v. CASCO 9, Statistica per concetti), maresta valido anche per moderateviolazioni di essa. Pertanto si può usareil t-test per dati appaiati solo quando sisia provato che il carattere sidistribuisca normalmente mediante untest di normalità, oppure sia noto dafonti esterne che il carattere(nell’esempio, diminuzione dellapressione diastolica) è distribuitoall’incirca normalmente (quasi tutte levariabili biometriche lo sono).

In tutti gli altri casi occorre ricorrereal test di Wilcoxon per dati appaiati(test non-parametrico) costruendoloesattamente come espostonell’esempio 2. In casi dubbi è sempreopportuno scegliere il Wilcoxonmatched-pairs signed ranks testperché la sua potenza-efficienza (v. CASCO 10, Statistica per concetti)rispetto al t-test per dati appaiati è dicirca il 95% (cioè, ove ricorrano lecondizioni per l’uso del testparametrico, se usando il t-test per datiappaiati per provare una certa ipotesioccorrono 95 unità, con l’uso del testdi Wilcoxon per dati appaiati neoccorrono 100: solo 5 di più).

Enzo Ballatori

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