Casa Prévert - la Repubblica

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DOMENICA 6 GIUGNO 2010/Numero 278 D omenica La di Repubblica i sapori Arrivano i Mondiali, forza rosticceria LICIA GRANELLO e MARINO NIOLA l’incontro Bonatti e la cima degli ottant’anni EMANUELA AUDISIO cultura La fabbrica dei processi di Stalin VIKTOR EROFEEV e NICOLA LOMBARDOZZI l’attualità Uno scrittore sulla nave per Gaza HENNING MANKELL FABIO GAMBARO PARIGI « M io nonno era un uomo molto generoso che amava stare con gli altri. Gli piace- va discutere ed era curioso di tutto. A volte, dopo aver preso una bottiglia di vino rosso e un salame, scendeva in strada e andava a sedersi con i clochard, con i quali chiacchierava per ore». È questa l’immagine che Eugénie Bachelot Prévert ricorda del nonno Jacques, il poeta e sceneggiatore francese morto nel 1977. La donna, che allora ave- va solo tre anni, oggi ne custodisce eredità e memoria nella casa parigina dove lo scrittore trascorse gli ultimi vent’anni della sua vi- ta. Un appartamento luminoso in fondo a un vicolo cieco dietro il Moulin Rouge. (segue nelle pagine successive) VALERIO MAGRELLI C erti scrittori, come Jacques Prévert, sembrano fatti apposta per rappresentare l’infanzia della parola. So- no fra i primi in cui ci si imbatte, quando si avanza a tentoni nel terreno ignoto della poesia; sono fra i pri- mi a essere dimenticati, quando si inizia a conoscere meglio quello stesso terreno. Sgargianti, semplici, immediati, lirici, i loro versi col- piscono con la forza di certe malattie della crescita, ma altrettanto rapidamente se ne vanno, una volta compiuto lo sviluppo del letto- re. Nico Orengo ha indicato con acume i temi più cari a Prévert: «Egli era, per noi, dadà, funambolo leggero, uomo da circo, uno cui Dio, quasi contro la volontà di entrambi, avesse dato la carica perché sot- tolineasse le quattro stagioni, i quattro punti cardinali». (segue nelle pagine successive) spettacoli Lloyd Webber, il re del musical GIUSEPPE VIDETTI Casa Prévert Manoscritti, appunti disegni, fotografie La nipote del poeta ci guida attraverso un tesoro che va all’asta FOTO EDWARD QUINN Repubblica Nazionale

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DOMENICA 6GIUGNO 2010/Numero 278

DomenicaLa

di Repubblica

i sapori

Arrivano i Mondiali, forza rosticceriaLICIA GRANELLO e MARINO NIOLA

l’incontro

Bonatti e la cima degli ottant’anniEMANUELA AUDISIO

cultura

La fabbrica dei processi di StalinVIKTOR EROFEEV e NICOLA LOMBARDOZZI

l’attualità

Uno scrittore sulla nave per GazaHENNING MANKELL

FABIO GAMBARO

PARIGI«Mio nonno era un uomo molto generosoche amava stare con gli altri. Gli piace-va discutere ed era curioso di tutto. Avolte, dopo aver preso una bottiglia di

vino rosso e un salame, scendeva in strada e andava a sedersi coni clochard, con i quali chiacchierava per ore». È questa l’immagineche Eugénie Bachelot Prévert ricorda del nonno Jacques, il poetae sceneggiatore francese morto nel 1977. La donna, che allora ave-va solo tre anni, oggi ne custodisce eredità e memoria nella casaparigina dove lo scrittore trascorse gli ultimi vent’anni della sua vi-ta. Un appartamento luminoso in fondo a un vicolo cieco dietro ilMoulin Rouge.

(segue nelle pagine successive)

VALERIO MAGRELLI

Certi scrittori, come Jacques Prévert, sembrano fattiapposta per rappresentare l’infanzia della parola. So-no fra i primi in cui ci si imbatte, quando si avanza atentoni nel terreno ignoto della poesia; sono fra i pri-

mi a essere dimenticati, quando si inizia a conoscere meglio quellostesso terreno. Sgargianti, semplici, immediati, lirici, i loro versi col-piscono con la forza di certe malattie della crescita, ma altrettantorapidamente se ne vanno, una volta compiuto lo sviluppo del letto-re. Nico Orengo ha indicato con acume i temi più cari a Prévert: «Egliera, per noi, dadà, funambolo leggero, uomo da circo, uno cui Dio,quasi contro la volontà di entrambi, avesse dato la carica perché sot-tolineasse le quattro stagioni, i quattro punti cardinali».

(segue nelle pagine successive)

spettacoli

Lloyd Webber, il re del musicalGIUSEPPE VIDETTI

CasaPrévert

Manoscritti, appuntidisegni, fotografieLa nipote del poetaci guida attraversoun tesoro che va all’asta

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26 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 6GIUGNO 2010

Più cinema che poesia, più impegno sociale che versid’amore. Eugénie Bachelot, nipote dell’autore delle “Foglie morte”, svela l’altra facciadello scrittore e ci mostra l’alloggio in cui vissee dove custodisce il suo archivio: i manoscrittioriginali, i disegni di Chagall, le foto con PicassoUn tesoro che ora andrà all’asta

te di poesie, una ventina di libri, cin-quantacinque film, centinaia di collagee oltre cinquecento canzoni — lo scritto-re parigino era molto popolare e moltoapprezzato. Secondo la nipote però, conil trascorrere degli anni la sua immaginesi è progressivamente appannata, pri-gioniera degli stereotipi e dei luoghi co-muni: «È diventato un autore molto let-to nelle scuole, motivo per cui in moltihanno cominciato a considerarlo unpoeta facile e sentimentale, adatto so-prattutto ai giovanissimi. Insomma, si èritrovato imbalsamato nei manuali sco-lastici e l’interesse per le sue opere è an-dato scemando». A volte è stato perfinoapertamente osteggiato, come fecequalche anno fa Michel Houellebecq in

un articolo intitolato “Jacques Prévert èun coglione”, che liquidava senza mezzitermini una poesia considerata «ottimi-sta, stupida e mediocre».

A questa visione «ingiusta e riduttiva»dell’opera del nonno, Eugénie ribattesottolineando il carattere libertario e an-ticonformista di un poeta che si è forma-to intellettualmente nell’ambito del sur-realismo, con cui entrò in contatto gra-zie a Yves Tanguy e Marcel Duhamel, co-nosciuti nel 1920 durante il servizio mi-litare: «L’esperienza surrealista fu per luifondamentale. Con Breton, Desnos eAragon, scoprì la vita di gruppo, la vo-lontà dissacrante, il bisogno d’inventarenuove forme. In fondo, la sua passioneper i giochi di parole, gli scherzi e l’ironia,

ma anche il bisogno di rivolta e l’indi-gnazione politica, vengono da quell’e-sperienza, breve ma molto intensa».

La nipote ricorda anche l’importanzadel lavoro con il Groupe Octobre, il grup-po di teatro operaio e militante per ilquale Prévert, nei primi anni Trenta,scrisse diverse opere di denuncia, tra cuila celebre Bataille de Fontenoy. «Sonoopere in cui emergono la sua personalitàribelle, lo spirito anticonformista, la ri-cerca della verità e la denuncia di tutte leingiustizie. Nel clima infuocato di queglianni, mio nonno s’impegnò a fondo, an-che se, a differenza di molti scrittori suoicontemporanei, non s’iscrisse mai alPartito comunista, rimanendo sempreuno spirito indipendente e anarchico»,

racconta Eugénie, che ricorda come ladimensione critica di Prévert e i suoi te-sti contro la guerra, la colonizzazione e ilpotere siano ancora oggi di grandissimaattualità: «Insomma, la sua personalità èmolto più complessa dell’immagine ste-reotipata trasmessa dalla scuola. Per lui,cantare la libertà, l’amore e la giovinezzaera una scelta di rottura, non un banalestereotipo da manuale scolastico».

Per contribuire alla riscoperta di tuttal’opera di Prévert, Eugénie ha in proget-to anche la pubblicazione di una raccol-ta di sceneggiature e soggetti cinemato-grafici inediti ritrovati tra gli archivi:«Nonostante rivendicasse il diritto allapigrizia, mio nonno lavorava tantissi-mo, specie per il cinema, di cui apprez-

(segue dalla copertina)

Un quartiere, che a metàdegli anni Cinquanta,quando il poeta vi si tra-sferì, aveva una pessimareputazione, frequenta-to da delinquenti e pro-

stitute. L’ambiente popolare allo sce-neggiatore di Alba tragica non dispiace-va affatto. Rievocando il carattere «aper-to e socievole» del nonno, Eugénie ci favisitare la casa piena di angoli, stanze ecorridoi, la cui atmosfera — per via deimuri immacolati di calce, i pavimenti dicotto e le nicchie scavate nei muri — ri-corda più una dimora della Provenzache un appartamento parigino. Era sta-to Prévert a volerla così, per ricreare sul-le rive della Senna un angolo solare diMediterraneo: «È una casa che gli asso-miglia», spiega la nipote, ricordando ilunghi periodi trascorsi dal poeta nel suddella Francia. Ad esempio, durante la Se-conda guerra mondiale, quando, fuggi-to da Parigi dopo l’occupazione nazista,«si rifugiò nell’entroterra della Costa Az-zurra, dove scrisse le sceneggiature didue celebri film di Marcel Carné: Les vi-siteurs du soir e Les enfants du paradis».

Nella casa di Parigi, che per ora è an-cora chiusa al pubblico ma che in futuropotrebbe diventare un vero e propriomuseo, lo studio è rimasto come lo ha la-sciato il poeta, con la grande scrivania af-facciata su un’immensa terrazza domi-nata dalle pale rosse del Moulin Rouge.Uno spazio magnifico dove, insieme aBoris Vian, che abitava l’appartamentoaffianco al suo, l’autore di Parole orga-nizzò diverse riunioni del Collegio di Pa-tafisica, alla presenza di Raymond Que-neau, Eugène Ionesco, Man Ray o MaxErnst.

Nell’appartamento, Eugénie ha riu-nito tutti gli archivi dello scrittore, i ma-noscritti, la corrispondenza, i libri, le fo-to, i disegni, i collage e moltissimi altridocumenti, molti dei quali ancora da in-ventariare, tra i quali figurano anche di-versi inediti. La giovane donna vorrebbetrasformare questo luogo carico di ricor-di in un centro studi, dove promuoverel’opera del poeta del lirismo quotidiano.E proprio per finanziare tale progetto, il9 giugno, da Drouot, metterà all’asta unpiccolo tesoro composto da una cin-quantina tra manoscritti, lettere, foto, li-bri e disegni. Tra i pezzi forti proposti alpubblico ci saranno i manoscritti origi-nali di due famosissime opere di Prévert:quello della sceneggiatura del Porto del-le nebbie, il film tratto dall’omonimo ro-manzo di Pierre Marc Orlan e girato daCarné nel 1938, e quello delle Foglie mor-te, la canzone d’amore scritta nel 1945 eresa celebre dalle interpretazioni di YvesMontand e Juliette Gréco. Oltre a questedue opere, durante l’asta parigina ver-ranno battuti molti altri documenti digrande interesse: note di lavoro, lettere elibri illustrati con dediche e disegni ori-ginali di Miró, Matisse, Ernst o Chagall, epersino un piccolo quadro di Picasso raf-figurante la famiglia Prévert al mare.«Naturalmente mi spiace separarmi daalcune opere emblematiche dell’operadi mio nonno, ma se voglio continuare afar vivere la sua memoria non ho altrascelta», spiega Eugénie, per la quale peraltro «un testo come Le foglie morteè or-mai patrimonio di tutti».

Quando morì — all’età di settantaset-te anni, lasciandosi alle spalle sei raccol-

FABIO GAMBARO

“Vi raccontononno Jacquespoeta per caso”

la copertinaCasa Prévert

CON DEDICAA sinistra, una busta disegnata

da Max Papart; a destra

in senso orario, l’originale

de Le foglie morte; un disegno

di Miró in memoria di Prévert;

un disegno di André Verdet;

un’effemeride di Prévert

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(segue dalla copertina)

«Quelle quattro cose»,concludeva Orengo,«che bastano nella vita: l’amicizia, la nonviolenza, la pietà, l’allegria». Nato a Neuil-

ly-sur-Seine nel 1900, Prévert esordì nel 1930, maanche dopo aver aderito al surrealismo (da cui uscìcon una memorabile polemica) per molto tempocontinuò a considerare la scrittura alla stregua diun’occupazione secondaria. Non per niente, nellastessa maniera in cui il fratello Pierre usava cancel-lare i suoi disegni composti con gessetti colorati,Jacques era abituato a strappare le poesie che an-dava scarabocchiando su piccoli pezzi di carta.Tanto più travolgente e improvviso dovette appa-rirgli il successo, giunto nel 1946 con Parole.

Si trattò di un evento editoriale senza precedenti,con cinquemila copie vendute in poche settimane ecentocinquantamila nel giro di soli sei anni, su finoa toccare l’inverosimile cifra di oltre un milione diesemplari. In quello stesso periodo, Prévert si eradedicato con assiduità al “teatro sociale” (La Batail-le de Fontenoy è del 1933), alla canzone (con testimusicati da Joseph Kosma, e interpretati da JulietteGréco e Yves Montand), e soprattutto al cinema.

Dopo aver recitato in un film di Marc Allégret, di-venne soggettista e sceneggiatore insieme al fra-tello Pierre. Tra le sue collaborazioni, vanno alme-no menzionate quelle con Jean Vigo (L’Atalante,1933), Jean Renoir (Le Crime de Monsieur Lange,1935, Une partie de campagne, 1936) e MarcelCarné (Lo strano dramma del dottor Molyneaux,1937, Il porto delle nebbie, 1938, Alba tragica,1939, L’amore e il diavolo, 1942, Les Enfants duparadis, 1943, Mentre Parigi dorme, 1946). Il chesignifica che mezzo cinema francese è passatotra le mani di questo singolare, svagato canta-storie…

Un cantastorie certo assai lontano dall’abi-tuale figura del poeta: «Me ne frego completa-mente di tutto ciò che succede nel mondo let-terario». Questa dichiarazione mostra benequale fosse la posizione di Prévert rispetto al

panorama culturale dell’epoca. Il senso del rifiuto,della dissidenza, dell’insubordinazione, colloca lasua opera nel segno di un anarchismo popolare epopulista, liberatorio e libertario, che trova nellascelta del parlato il suo diretto corrispettivo stilisti-co. Nulla di più lontano, dunque, dalla figura del-l’intellettuale tradizionale, e lo si comprende beneda una testimonianza in cui Raymond Queneau,rievocando la stagione surrealista, racconta: «Non

credo di essere mai uscito con lui inquegli anni (e alloralo vedevo quasi ognigiorno) senza cheegli causasse qualcheincidente». Tuttavia,ed è questo ciò checonta, il genio dellabattuta, il talento perl’aggressione, il donodella mistificazione,diventano in Prévertstrumenti espressivi.La parte migliore dellasua poesia nasce infattida incidenti terminolo-gici, frizioni verbali, frat-ture semantiche, per ri-solvere la provocazionesul piano del linguaggio.Questo passaggio dall’u-so all’abuso, questo travi-samento sistematico delleparole, si compie attraver-so un ricchissimo arma-mentario di allitterazioni,anagrammi, calembours,nonsense o luoghi comuni(«nulla è meno vergine diuna foresta»).

Sulla medesima linea avevano lavorato,negli anni precedenti, anche Paul Eluard,Robert Desnos o Jean Paulhan, ma in formapiù cerebrale e complicata, senza cioè arri-vare alla felice vena di Prévert. Così, tra iro-nia e dissacrazione, tra timbri surrealisti earie canzonettistiche, la sua poesia, per dir-la con Ivos Margoni, «continua ad apparir-ci degna di nota non solo per il diploma dieccellenza etica che è facile e giusto con-ferirle, o per la qualità dell’umorismo edelle trovate, o per l’affettuoso stuporeche suscitano le semplificazioni “liriche”e bonarie del reale, ma proprio perché il-

lustra coscienziosamente la dimensione dell’arteminore, del punto di vista insieme modesto, con-vinto e istintivo». Il compito di Prévert, insomma, èun po’ quello di un’amabile guida, utile per muo-vere i primi passi nel campo della poesia, ma desti-nata a essere abbandonata una volta acquisita lanecessaria sicurezza per procedere da soli.

L’infanziadella parola

VALERIO MAGRELLI

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 27DOMENICA 6GIUGNO 2010

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ARTISTINella foto nell’altrapagina, Miró, Chagalle Prévert a Saint-Paul-de-Vence nel 1950; sopra,una lettera di Picassoa Prévert e un libroautografo di Chagall

In copertina, Préverte Picasso a Cannesnel 1951

CINÉMANella foto, Prévertcon Yves Montand;In basso, un ritrattodi Picassoe una letteradisegnate da Papart;

zava il carattere al contempo magico epopolare. Considerava il cinema il suovero mestiere ed era fiero della sua tesse-ra da sceneggiatore. Gli piaceva in parti-colare il cinema burlesco e divertente,un genere in cui poteva esprimere libe-ramente la sua fantasia e l’ironia». Incompenso, Prévert non si sentiva pernulla scrittore e non considerò mai lapoesia come un mestiere: «Per lui era so-lo un passatempo occasionale». Non acaso, la prima raccolta di poesia, Parole,in cui raccoglieva testi scritti nei vent’an-ni precedenti, arrivò nelle librerie solonel 1946. «Il che però», conclude la nipo-te del poeta, «non gli impedì di avere su-bito un grandissimo successo».

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30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 6GIUGNO 2010

l’attualitàTestimonianze

Lo scrittore svedese Henning Mankell era su una delle naviche il 31 maggio hanno tentato di raggiungere la Strisciaper portare aiuti umanitari. Dalla partenza all’abbordaggiodei soldati israeliani: ecco il suo racconto

Vengo svegliato di colpoAlzo la testa e vedo che il grandetraghetto è illuminato da potenti

proiettori. Israele ha scelto la viadel confronto brutale

MARTEDÌ, 25.5. NIZZA

Alle cinque di mattina sono in strada e sto aspettan-do il taxi che mi porterà all’aeroporto di Nizza. Perla prima volta da tanto tempo, E. e io abbiamo unperiodo di vacanze insieme. All’inizio avrebbe po-

tuto durare due settimane. Adesso si è ridotto a cinque giorni, da-to che la “Ship to Gaza” è finalmente pronta a salpare e io, comeconcordato, sto partendo per Cipro per unirmi agli altri.

Ogni meta di un viaggio deve essere letta dal suo punto di parten-za, penso mentre aspetto il taxi. Ho deciso di ridurre il mio baga-glio in uno zaino che pesa poco meno di dieci chili. L’obiettivo del-la “Ship to Gaza” è estremamente preciso: forzare il blocco illega-le che Israele ha imposto alla Striscia di Gaza. Dopo la guerra, po-co più di un anno fa, la vita per i palestinesi che vi vivono è diven-tata sempre più insostenibile. Nella Striscia di Gaza, la necessità dipermettere alla popolazione di vivere una vita decente è grande.

Ma l’obiettivo del viaggio è più chiaro di questo. L’azione con-ferma le parole, penso. È facile parlare di sostegno, di difesa o di lot-ta contro questo e quello. Ma è soltanto con l’azione che queste pa-role trovano una conferma. I palestinesi che Israele ha costretto avivere in quell’inferno hanno bisogno di sapere che non sono soli,che non sono dimenticati. È necessario che il mondo si ricordi del-la loro esistenza. E per questo dobbiamo caricare su alcune naviquello di cui forse hanno maggiormente bisogno: medicinali, im-pianti di desalinizzazione dell’acqua, cemento.

Il taxi arriva, ci accordiamo sul prezzo — è esorbitante! — e poiimbocchiamo le strade deserte del mattino verso l’aeroporto. Ini-zio a scrivere — me lo ricordo adesso — i primi appunti sul taxi. Nonricordo le esatte parole, ma rimango improvvisamente sconcerta-to dalla sensazione di non essere riuscito a capire che il nostro è unprogetto odiato in modo così viscerale dagli israeliani che un lorotentativo di bloccare il convoglio ricorrendo all’uso della forza èmolto probabile. Ma prima di arrivare all’aeroporto, quel pensie-ro mi ha lasciato. Anche qui il progetto è chiaro e ben definito. Agi-remo secondo il principio della non violenza, non ci sono armi, nonc’è la ricerca dello scontro fisico. Se ci fermeranno, lo dovranno fa-re senza mettere in pericolo la vita dei partecipanti.

Mercoledì, 26.5. NicosiaFa più caldo che a Nizza. Quelli che devono salire a bordo delle na-vi da qualche parte al largo delle coste cipriote sono radunati nelCentrum Hotel a Nicosia. È come un vecchio romanzo di GrahamGreene. Persone disparate che si incontrano in un luogo dimenti-cato da Dio, per fare un viaggio insieme. Violeremo l’embargo ille-gale. Quelle parole echeggiano in svariate lingue. Ma d’improvvi-so una grande incertezza aleggia nell’aria. Le navi sono in ritardo,sono sorti diversi problemi, le coordinate del punto di incontro del-le sei navi non sono state ancora decise. La sola cosa certa è che sarà

in mare aperto. Il governo di Cipro non vuole che attracchino nelporto. Con tutta probabilità Israele ha fatto grandi pressioni. Ditanto in tanto noto che si stanno creando tensioni fra i diversi grup-pi che sono a capo di questo progetto difficile da gestire. All’ora del-la colazione, il ristorante dell’hotel si trasforma in una sala riunio-ni segreta. Di tanto in tanto ci chiamano per scrivere su dei modu-li il nome delle persone da informare in caso succeda il peggio. Tut-ti scrivono senza indugiare. Poi ci viene detto di aspettare. Nei gior-ni seguenti, «aspettate» è la parola più ricorrente, quasi come unmantra.

Giovedì, 27.5. NicosiaAspetta. Abbiate pazienza. Caldo insopportabile.

Venerdì, 28.5. NicosiaDi colpo inizio a dirmi che forse lascerò quell’isola senza mai esse-re salito a bordo di una nave. Sembra che non ci siano abbastanzaposti. Circola voce che ci siano liste di attesa per quel progetto disolidarietà. Ma, K., il gentile deputato svedese e la dottoressa S., chesono miei compagni di viaggio mi aiutano a restare di buon umo-re. I viaggi in nave comportano sempre un po’ di disagio, penso.Continuiamo a ubbidire alle esortazioni. Ad aspettare, ad avere pa-zienza aspettando gli sviluppi.

Sabato, 29,5. NicosiaImprovvisamente tutto succede con estrema rapidità. Adesso, manaturalmente ancora soltanto forse, saremo portati con un’altranave veloce al punto in mare dove le coordinate si incrociano e do-ve ci uniremo al convoglio di altre cinque navi con cui poi faremorotta verso la Striscia di Gaza. Continuiamo ad aspettare. Ma versole 17 del pomeriggio, le autorità portuali ci danno finalmente il per-messo di salire a bordo di una nave che si chiama “Challenge”, checon i suoi quindici nodi di velocità ci porterà al punto d’incontrodove cambieremo per salire a bordo del cargo “Sophia” che è giàsul posto. A bordo della “Challenge” ci sono già tante altre personein attesa. Quando vedono soltanto noi tre salire a bordo, rimango-no sicuramente un po’ sorpresi. Arrivati sul ponte, salutiamo e im-pariamo rapidamente le regole che dobbiamo rispettare. Il ponteè affollato: sacchi, zainetti dappertutto ma l’atmosfera è tranquil-la e piacevole. Adesso, d’improvviso, tutte le incertezze sono sva-

nite. Alle 17 i due potenti motori diesel si mettono in moto rom-bando. Finalmente siamo in viaggio.

(23.00)Ho preso posto su una sedia sul ponte di poppa. Il vento non soffiatroppo forte ma abbastanza per far venire il mal di mare a diversepersone. Mi sono avvolto in una coperta e osservo la luna che illu-mina una strada sul mare, mi lascio dondolare dalle onde che sbat-tono contro lo scafo e penso che la solidarietà per altri può averemolte sfaccettature. Dato il rollio e il rumore dei motori della nave,non sono molti quelli che parlano. Quasi tutti cercano di dormireo di restare almeno distesi sul ponte. Penso che fino a quel mo-mento il viaggio è molto tranquillo. Ma so che è una sensazione in-gannevole.

Domenica, 30.5. L’una di notte. A sud est di CiproLuci brillano dovunque. Il capitano, il cui nome non sono mai riu-scito a imparare, ha fatto diminuire la velocità. Le luci, simili a tor-ce, appartengono a due delle altre navi del convoglio. Adesso ri-marremo fermi finché non spunterà l’alba e verremo trasferiti sualtre navi. Ma non riesco ancora a trovare un posto dove poterdormire. Rimango seduto sulla mia sedia umida e mi appisolo. Lasolidarietà nasce dall’umidità e dall’attesa: così aiutiamo altri adavere un tetto sopra la testa.

Il mare si è calmato. Ci stiamo dirigendo verso la nave più gran-de del convoglio. È un traghetto, «la nave regina del convoglio». Abordo ci sono centinaia di persone. Dalle discussioni, tutti sonocerti che gli interventi degli israeliani si concentreranno propriosu questa nave.

Quali interventi? Naturalmente abbiamo fatto tutte le conget-ture possibili da quando il progetto è nato. Ma nessuno sa nientecon certezza. Le navi da guerra israeliane affonderanno la nave?O la scacceranno con altri metodi? Naturalmente, esiste anche lasoluzione più sensata di lasciare passare la nave e permettere aIsraele di riconquistare un po’ della sua fama sempre più offu-scata nel mondo. Nessuno lo sa. Ma quello che ci sembra più pro-babile è che arrivati al limite delle acque territoriali, saremo re-spinti dalle voci minacciose di altoparlanti di navi da guerra. Senon ubbidiremo, è probabile che cercheranno di mettere fuoriuso le nostre eliche o il timone per poi farci rimorchiare in qual-che porto per ripararli.

(13.00)Noi tre svedesi ci trasferiamo sulla “Sophia” con una scala di cor-da. È un vecchio cargo claudicante, pieno di ruggine e di un equi-paggio tenero. Ho contato che siamo circa venticinque persone abordo. Il carico della nave è costituito principalmente di cemento,tondini di ferro e case di legno prefabbricate. Mi assegnano una ca-bina insieme al parlamentare di cui, dopo i lunghi giorni di attesaa Nicosia, mi sento un vecchio amico. Scopriamo che la luce nonfunziona. Avremo tempo di leggere in futuro.

HENNING MANKELL

Diario di bordo verso Gaza

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 6GIUGNO 2010

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(16.00)Ci raduniamo nella sala da pranzo improvvisata sulla sovrastrut-tura della nave. Il greco dai capelli grigi, che è il responsabile dellasicurezza e dell’organizzazione, parla con voce calma che ci incul-ca immediatamente fiducia. Parole come «aspettate», «abbiate pa-zienza», non esistono più. Adesso stiamo avvicinandoci. La do-manda è solo: a cosa ci stiamo avvicinando? Nessuno sa che cosagli israeliani potranno inventarsi. Sappiamo soltanto che i loro co-municati sono stati minacciosi e che hanno detto che il convogliosarà allontanato con tutti i mezzi a loro disposizione. Ma cosa si-gnifica? Siluri? Arrembaggi? Soldati che si calano dagli elicotteri?Nessuno può saperlo. Ma a violenza non deve rispondere violen-za. Soltanto autodifesa rudimentale. In quel modo potremo ren-dere la vita difficile ai nostri assalitori. Filo spinato lungo i parapet-ti della nave. Inoltre, tutti devono indossare i giubbotti di salvatag-gio, posti di guardia vengono organizzati e ci informano su dovedobbiamo radunarci nel caso in cui i soldati israeliani salgano abordo. L’ultima ridotta è il ponte di comando.

Ceniamo. Il cuoco è un egiziano grande e grosso e ha male a unagamba. Ma sa cucinare un buon pasto.

Lunedì, 31.5. 00.00Faccio il mio turno di guardia a babordo da mezzanotte alle tre. Laluna è grande, anche se qualche nuvola la oscura di tanto in tanto.Il mare è calmo. Le lanterne brillano. Tre ore passano velocemen-te. Quando mi viene dato il cambio mi rendo conto di essere stan-co. Siamo ancora lontani dai limiti delle acque territoriali che gliisraeliani ritengono loro e perciò da difendere. Forse riuscirò a dor-mire qualche ora. Bevo una tazza di tè, scambio qualche frase conun marinaio greco che parla un inglese stentato, ma che insiste persapere di cosa trattano i romanzi che scrivo. Sono quasi le quattroprima che riesca finalmente a stendermi per dormire.

(04.30)Sono appena riuscito ad addormentarmi quando vengo svegliato dicolpo. Alzo la testa e vedo che il grande traghetto è illuminato da po-tenti proiettori. D’improvviso sento colpi di armi da fuoco echeg-giare. Mi rendo subito conto che Israele ha scelto la via del confron-to brutale. In acque internazionali.

Passa esattamente un’ora prima che i veloci gommoni neri cari-chi di soldati con il volto coperto arrivino e inizino a salire a bordo. Cirifugiamo sul ponte di comando. I soldati israeliani sono nervosi e ciordinano di scendere sul ponte. Un soldato punta la sua pistola elet-trica su uno di noi che non si muove abbastanza velocemente. L’uo-mo cade a terra. Un altro, troppo lento, riceve una pallottola di gom-ma nella gamba. Non mi sembra vero di vederlo con i miei occhi. Edè la pura verità. Persone che non hanno fatto niente vengono spintecome animali e punite per la loro lentezza.

Ci fanno sedere in gruppo sul ponte. Ci rimarremo undici ore, fin-ché la nave non arriverà in porto in Israele. Di tanto in tanto qualchesoldato ci filma con il suo cellulare anche se non ha il diritto di farlo.

Quando inizio a prendere appunti, uno di loro si avvicina e mi chie-de cosa stia scrivendo. È la sola volta che perdo la pazienza e gli ri-spondo che non sono affari suoi. Lo fisso, ma non capisco a cosa stiapensando. Poi si gira e se ne va. Undici ore, immobili, stretti insiemeal caldo, è qualcosa che si avvicina alla tortura. Se abbiamo bisognodi urinare, dobbiamo chiedere il permesso. Ci passano qualche bi-scotto, gallette e mele. Niente caffè, niente tè. Prendiamo una deci-sione in comune: non dobbiamo chiedere un pasto caldo. Se lo fac-ciamo, ci filmano. Allora la propaganda potrà far vedere come i sol-dati ci hanno trattati bene. Ci accontentiamo dei biscotti e delle gal-lette. L’umiliazione non ha limiti (nel frattempo, i soldati che non so-no di turno portano sul ponte i materassi dalle cabine per riposare).

Undici ore, tutto il tempo di fare un riepilogo di quello che è suc-cesso. Siamo stati attaccati quando ci trovavamo in acque interna-zionali. Questo significa che gli israeliani si sono comportati da pi-rati, esattamente come quelli che infestano le acque al largo delle co-ste somale. Non appena hanno costretto il grande traghetto a farerotta verso Israele, anche noi siamo stati sequestrati. L’intera azioneè illegale. Cerchiamo di discutere, di capire cosa succederà, e so-prattutto come sia stato possibile che gli israeliani abbiano sceltouna soluzione simile che può soltanto avere il risultato di isolarli. Isoldati ci fissano. Fingono di non capire l’inglese. Ma tutti lo capi-scono. Ci sono anche due giovani donne fra loro. Sembrano le piùimbarazzate. Forse sono due di quelle che, una volta che il loro ser-vizio militare è finito, scappano a Goa e si fanno fino a morire di over-dose? Ho sentito dire che succede spesso.

(18.00)Attracchiamo a un molo da qualche parte in Israele. Non so dove. Ciportano a terra in una specie di galoppatoio, mentre dei militari fil-mano il tutto. Improvvisamente penso che questo è qualcosa di cuinon li perdonerò mai. In quel momento nei miei pensieri ci sono sol-tanto canaglie e maiali.

Ci dividono, nessuno ha il diritto di parlare con gli altri. D’im-provviso mi trovo di fianco un funzionario del ministero degli Este-ri israeliano. Mi rendo conto che è venuto per assicurarsi che io nonvenga trattato troppo male. Dopotutto, godo di una certa fama co-me scrittore in Israele. I miei libri sono stati tradotti in lingua ebrai-ca. Mi chiede se ho bisogno di qualcosa. La mia libertà e quelli deglialtri, rispondo. Non reagisce. Gli chiedo di andarsene. Allora fa un

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Ci portano a terra in una speciedi galoppatoio, mentre dei militarifilmano il tutto. Improvvisamente

penso che questo è qualcosadi cui non li perdonerò mai

passo indietro. Ma rimane lì. Naturalmente non ammetto niente evengo a sapere che verrò deportato. Dopo avermelo detto, l’uomomi dice che apprezza i miei romanzi. In quel momento, prendo inconsiderazione la possibilità di proibire che i miei libri vengano tra-dotti in lingua ebraica. Non ho ancora preso la decisione definitiva.

In quella specie di “centro di accoglienza”, regna un’atmosfera diindignazione e di caos. Di tanto in tanto, qualcuno viene picchiato,legato, messo in manette. Più di una volta, penso che nessuno cre-derà a quello che racconterò. Ma i miei occhi vedono. Molti sarannocostretti a credere a quello che racconterò. Non sono il solo a esserein grado di testimoniare.

Un solo esempio sarà sufficiente. D’improvviso, un uomo vicinoa me rifiuta di lasciare le sue impronte digitali. Accetta di essere fo-tografato. Ma le impronte digitali? Sa di non avere commesso alcunatto criminale. Oppone resistenza. Viene gettato a terra. E poi por-tato via. Dove non so. Che parola posso usare? Abominevole? Inu-mano? La scelta è libera.

(23.00)Noi tre, il deputato, la dottoressa e il sottoscritto veniamo portati inuna prigione per le persone che devono essere espulse dal paese. Aquel punto ci separano. Ci gettano qualche panino che ha il saporee la consistenza di stracci da cucina. La notte è lunga. Uso le mie scar-pe da ginnastica come cuscino.

Martedì, 1 giugno. PomeriggioImprovvisamente, qualcuno ci dice che il deputato e il sottoscrittoverremo portati all’aeroporto per salire a bordo di un aereo dellaLufthansa. Siamo stati espulsi da Israele. Rifiutiamo di salire a bor-do se non ci dicono cos’è successo a S. Quando siamo certi che an-che lei sarà sullo stesso aereo, accettiamo di lasciare le nostre celle.

A bordo dell’aereo la hostess mi dà un paio di calzini puliti. I mieierano stati rubati da un membro del commando. Uno dei miti delsoldato israeliano coraggioso e perfetto era già caduto in rovina.Adesso è necessario aggiungere che sono anche dei ladri. Perché nonsono stato il solo ad essere derubato del denaro, della carta di credi-to, degli indumenti, del lettore cd portatile e del laptop; è successo atanti altri di quelli a bordo della nostra nave che, un mattino presto,è stata attaccata da soldati israeliani mascherati, che in fondo nonerano altro che pirati.

La sera tardi arriviamo in Svezia. Parlo con i giornalisti. Poi, tor-nato a casa, rimango per un po’ seduto a casa mia al buio. E. non di-ce molto. Il giorno dopo, il 2 giugno, ascolto il canto degli uccelli. Èuna canzone che non è ancora morta. Adesso rimane da fare quelloche deve essere fatto. Per non perdere di mira l’obiettivo, che è farecessare il blocco della Striscia di Gaza. E avverrà.

Traduzione Giorgio Puleo(© By Henning Mankell 2010 Published by agreement

with Leonhardt & Høier Literary Agency, Copenhagen)

L’AUTOREHenning Mankell, nato a Stoccolma nel 1948, è uno dei più noti scrittorisvedesi. Ha scritto decine di romanzi noir e polizieschi tra cui I cani di RigaIl suo personaggio più famoso è il commissario Kurt Wallander

Repubblica Nazionale

Page 6: Casa Prévert - la Repubblica

Una sera di maggio del ’34 il poeta Osip Mandelshtamrecitò davanti al funzionario della polizia segretaqueste parole: “Viviamo senza fiutare più sotto di noi

il paese”. Firmò così la sua fine: Stalin non lo perdonò e lo mandò a morirein un gulag. Ora dagli archivi emergono i documenti degli interrogatoriChe mostrano come si costruisce una sentenza politica senza appello

CULTURA*

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 6GIUGNO 2010

con la scritta: “Fascicolo personale n.662del detenuto Osip Emileevic Mandelsh-tam”. Dentro c’è la storia della lotta sen-za speranza tra uno dei più grandi poetidi Russia e il potere. Un gioco di minac-ce, isolamento e repressione, che si con-cluse il 27 dicembre del 1938 con la mor-

NICOLA LOMBARDOZZI l’inquisitore nell’interrogatorio del1934: «Primavera fredda, la timida Cri-mea è senza pane…». Ma più di tutto va-le il rapporto della polizia segreta custo-dito nel fascicolo 662: «Al rientro dall’U-craina gli umori di Mandelshtam hannopreso sfumature antisovietiche. Si è iso-lato, tiene le tende sempre abbassate. Èavvilito dalle scene di fame ma anche daisuoi fallimenti letterari. La casa editriceGikhl (prontamente allineata agli umoridel Partito, ndr) vuole togliere dai cata-loghi le vecchie poesie. Delle nuove ope-re non se ne parla neanche».

Informatissima anche da personemolto vicine a Mandelshtam la poliziacontinuava a costruire il castello di pro-ve. Ecco un’altra informativa: «Mandel-shtam intende scrivere al compagnoStalin ma le sue intenzioni sono chiare.Ha detto che se solo potesse fare un viag-gio all’estero sopporterebbe qualsiasidisagio pur di restare lì. Inoltre si è re-centemente espresso così: da noi la let-teratura non esiste più, lo scrittore è or-mai un burocrate, registratore dellemenzogne». Ma a far precipitare le cosefu una riunione con amici che credeva fi-dati. Mendelshtam recitò a memoria lasua poesia contro Stalin Noi viviamosenza…. La voce arrivò puntualmente achi di dovere. L’arresto scattò la notte del13 maggio 1934. Mandelshtam fu tenu-to per quattro giorni a tormentarsi in unacella della Lubjanka prima di essere por-tato davanti al suo inquisitore, Nikolaj

MOSCA

Il poeta sapeva che il dittatore nonl’avrebbe mai perdonato. Il poe-ta era stanco, rassegnato, sicuroche qualcuno tra i suoi amici più

cari l’avesse tradito, consegnato allamacchina spietata del terrore stalinia-no. Mormorò un verso, il primo: «Noi vi-viamo senza più fiutare sotto di noi ilpaese». Dall’altra parte della scrivania,in quel tetro ufficio della Lubjanka, ilfunzionario addetto agli interrogatoricominciò a scrivere su un foglietto di car-ta da quaderno con la sua penna blu.Lentamente, burocraticamente, senzacambiare espressione del viso. Il poetacontinuò tutto di un fiato la sua confes-sione in rima: «I nostri discorsi non sisentono a dieci passi di distanza…». Ilfunzionario annotava, e la voce del poe-ta si faceva sempre più sicura mentre iltesto proibito che non aveva mai osatomettere per iscritto prendeva forma, tratutte quelle informative e rapporti di po-lizia che servivano a dimostrare la suapericolosità «per l’autorità dei Soviet» esegnare la sua fine. Il poeta lo firmò.

Quel testo, dettato in una sera di mag-gio del 1934, è l’unico manoscritto auto-grafo del più famoso epigramma delpoeta custodito per più di settant’anninegli archivi dell’allora Nkvd, la poliziasegreta sovietica, in una cartellina beige

te di Mandelshtam nel gulag di VtorajaRecka, alle porte di Vladivostok. Avevaquarantasette anni. La sua storia sta perapparire in un dossier della FondazioneMandelshtam e dalla Novaja Gazeta, ba-sato su documenti inediti.

Scomodo, Mandelshtam lo era stato

IL PROCESSOUrss, la fabbrica delle condanne perfette

da sempre e per tutti. I suoi primi arrestirisalgono al 1920 e l’accusa è parados-salmente opposta a quella che lo avreb-be portato al gulag. La prima volta fu in-terrogato a lungo a Feodossia, nella Cri-mea che resisteva al comunismo. Fu tor-chiato dagli agenti del generale Vran-ghel, uno dei comandanti della GuardiaBianca, che lo sospettavano di collabo-razione con i bolscevichi. «Spirito ribel-le. Tendenze anticonformistiche», era-no l’unica fonte di sospetto. Di sicuroturbava la sua biografia: ebreo nato aVarsavia, studente prima a Parigi, poi aHeidelberg e infine a San Pietroburgo.Scagionato in qualche modo dalle guar-die bianche fu arrestato pochi mesi do-po a Batumi, in Georgia. Questa volta fu-rono i menscevichi georgiani ad accu-sarlo di essere una spia bolscevica. Ac-cuse che avrebbero dovuto valere in se-guito come medaglie al merito nell’U-nione Sovietica del dopo guerra civile.Ma non fu così.

Protagonista dei circoli letterari, ami-co della poetessa Akhmatova, fondatorecon lei del Movimento Akmeista, Man-delshtam era comunque considerato unpersonaggio inaffidabile per il regime.L’inizio della fine fu un viaggio con lamoglie in Ucraina nel 1933, nell’orroredell’Holomodor, la spaventosa carestiaprogrammata da Stalin nella furia dellasua guerra contro i kulaki, che provocòmilioni di morti. Della sua indignazioneresta un altro verso segreto dettato al-

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In quei versi così russil’arma del tirannicidio

VIKTOR EROFEEV

OsipMandelshtam scrisse i versi politici più coraggiosi e più riusciti ditutta la storia della letteratura russa. È un record. Quel proiettile dipoesia diretto contro Stalin, quale può essere considerato il suo com-

ponimento del 1933 Viviamo senza più fiutare sotto di noi il paese, è di unaprecisione micidiale. A tutt’oggi, benché siano centinaia i libri su Stalin, Man-delshtam rimane il nostro più grande tirannicida poetico. Il suo talento era pa-ri al potere dispotico di Stalin. Era una lotta tra due giganti. Due giganti che ap-partenevano a due generi opposti di esseri umani. Mandelshtam era un me-raviglioso strumento della cultura russa, che odiava il potere russo e anelava al-la sua distruzione.

Il primo tiratore che prese di mira il potere fu Aleksandr Radishov, che con ilsuo racconto del Viaggio da Pietroburgo a Mosca (1790) suscitò le ire di Cateri-na II, che mandò l’autore in esilio. Radishov però era un letterato mediocre. For-se solo Pushkin era riuscito a scrivere degli straordinari versi d’amore per la li-bertà, ancora ben lontani però dall’audacia dell’epigramma di Mandelshtamche annientò il carisma politico di Stalin, lo mise a nudo e fece vedere il suo or-ribile corpo di mostro. Stalin apprezzò la forza del suo nemico e mostrò nei suoiconfronti un’eccezionale indulgenza. Stalin incarnava e riassumeva in sé tuttigli aspetti più ripugnanti della storia del potere russo, e per giunta era determi-nato a riplasmare la natura umana con inaudito sadismo sul proprio modellopolitico. Avrebbe ucciso un uomo per peccati molto più lievi, aveva già sulla co-scienza la più grave carestia dell’Urss, l’Holomodor; eppure la sfida lanciataglidal poeta suscitò in lui, a quanto pare, un’involontaria ammirazione.

Stalin, che in gioventù era stato un poeta fallito, comprendeva la grandezzadi Mandelshtam. Sentendosi sfidare per nome, egli capì che quanto più si fos-se mostrato magnanimo, tanto minor forza avrebbe assunto la verità dell’av-versario. Mandelshtam se la cavò con un esilio a Voronez. Vero è che quattro an-ni più tardi Stalin lo avrebbe schiacciato come una mosca. D’altronde, nel 1938,l’anno del grande terrore, Stalin punì Mandelshtam cancellandolo dalla lista deitesori della cultura russa, e il poeta andò incontro alla morte certa nel gulag nonpiù come un genio, ma come un coccio di una civiltà in frantumi.

Insomma, perché la cultura russa è così straordinaria e lo Stato russo è così ri-pugnante, praticamente lungo tutto il corso della storia? Vi svelerò un segreto,il motivo è questo: la cultura russa, la parola letteraria russa sono splendide pro-prio perché si contrappongono allo Stato russo, facendo passare tutti i loro te-

mi, dall’amore alla morte, attraverso un fiero rifiuto dellamenzogna. Per parte sua, lo Stato russo è così orribile per-ché si oppone crudelmente alla cultura che si oppone a es-so, nel tentativo di dimostrare la propria verità di supremopaternalismo. Lo Stato russo è fermamente convinto di es-sere nel giusto e odia la parola che sfugge alla censura. Datempo ormai si è trasformato in un mostro che divora i poe-ti, e correggerlo è altrettanto difficile che costringere Man-delshtam, in preda a un terrore animale, a comporre un’odeper Stalin. Stalin e Mandelshtam sono una coppia perfetta diballerini che in un valzer di sangue volano attraverso i secolidella nostra storia gloriosa, strangolandosi e uccidendosi avicenda.

(Traduzione di Mirella Meringolo)

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 6GIUGNO 2010

Così nel ’34 Mandelshtam sfuggì allapena di morte e se la cavò con tre anni diesilio forzato a Cerdyn, negli Urali, e poia Voronez. Ma il soggiorno allaLubjanka lo aveva ormai devastato. Sof-friva di allucinazioni, improvvisi statifebbrili. Tentò il suicidio. Nel ’37 inviò aStalin un’ode riparatrice che ebbe un ef-fetto devastante. Al Cremlino i versi ap-parvero chiaramente irrisori e carichi didoppi sensi.

La fine arrivò il 15 ottobre del 1937.Per quella data Mandelshtam aveva or-ganizzato una serata presso l’Unionescrittori. Una mossa pubblicitaria perrientrare nel giro e uscire dagli incubi.Nel fascicolo dei servizi segreti è conser-vato un messaggio della Lubjanka al se-gretario dell’Unione scrittori. Eccola:«Stimato compagno. Il giorno 15 alle seidi sera, si terrà la lettura delle poesie diMandelshtam. Prego provvedere allapresenza in sala!». Firmato: il segretariodel Bureau della sezione Poeti, Surkov.Ordine eseguito. Mandelshtam arrivò,carico di speranze, in una sala comple-tamente vuota. L’arresto definitivoqualche mese dopo, il 2 maggio del ’38.Processato per «comportamenti anti-sovietici» fu condannato ai lavori forza-ti a vita in un gulag. Morì poco dopo. Trale sue carte, una poesia giovanile. «E so-pra il bosco quando si fa sera/si alza unaluna di rame/perché mai così poca mu-sica/perché mai un tale silenzio?».

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TOP SECRETI documenti di questepagine sono i verbali della polizia segretasovietica relativiall’interrogatoriodi Osip Mandelshtamscovati dalla fondazionedel poeta e dalla NovajaGazeta

Shivarov, il funzionario dei servi-zi esperto di questioni letterarie.L’uomo che annoterà i suoi ver-si.

Per quella evenienza Men-delshtam si era preparato. Ave-va passato lunghe serate con ilsuo amico Arkadij Furmanov,ex cekista, a giocare all’inqui-rente, per imparare come aggi-rare le domande. Ma servì apoco. Convinto che il testo fos-se già noto alle autorità finì perautoaccusarsi ripetendolo adalta voce. Fece anche i nomidegli amici presenti alla audi-

zione privata. Tre di questi furo-no successivamente arrestati.

Per sua fortuna però i tempi non era-no ancora maturi. Il direttore delle Izve-stjia, Bukharin, intercedette presso Sta-lin ma facendo un’altra delazione, se-gnalandogli cioè che anche lo scrittoreBoris Pasternak difendeva il suo collegae che cominciava a lamentarsi pubblica-mente. Il dittatore amava queste situa-zioni e si esibì in una delle sue perfor-mance preferite. Telefonò a Pasternak egli disse secco: «Il caso Mandelshtam èstato riesaminato. Andrà tutto a posto».E poi aggiunse bonario per tranquilliz-zare lo scrittore terrorizzato: «Anch’ioavrei fatto di tutto per salvare un amiconei guai. Inoltre lui è un genio, no?». Con-fuso Pasternak chiese di essere ricevutoper chiarire. Stalin riattaccò il telefono.

FOTO DI FAMIGLIANella foto nell’altra pagina, la poetessa Anna Akhmatovacon la famiglia Mandelshtam (il poeta nel tondo);qui sopra e tra i documenti, Mandelshtam da giovanee una foto del poeta ai tempi del gulag

L’arresto avvenneanni dopoTra le sue carte,una poesia giovanile:“Perché maicosì poca musica?Perché maiun tale silenzio?”

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È il più grande. Da “JesusChrist Superstar” a “Evita”,da “Phantom of the Opera”

a “Cats” ha portato nel mondo l’alchimia di teatroe musica. Ha appena messo in scena “Love Never Dies”e già pensa al “Mago di Oz”.Eppure si dice stanco“Gli ultimi successi sono solo juke-box sceneggiati”,racconta tra le quinte deserte del Palladium di Londra

SPETTACOLI

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 6GIUGNO 2010

LONDRA

Iteatri sono come i vampiri, la lucedel giorno li uccide. La pallida fac-ciata neoclassica del London Pal-ladium, senza il make-up nottur-

no di neon e lampadine, si mimetizza equasi scompare tra quel dedalo di vie aridosso di Oxford Circus. Ha cento annima non li dimostra, tutto foderato dallelocandine del musical Sister Act. Nel do-poguerra fu la tana preferita dei grandishowman americani, Bing Crosby,Danny Kaye, Bob Hope, Ella Fitzgerald,Frank Sinatra, Sammy Davis, Jr. «E JudyGarland… Judy adorava questo posto,era il suo teatro preferito, il rifugio londi-nese», dice Andrew Lloyd Webber salen-do lo scalone che dal foyer porta verso ilprimo ordine di palchi del “tempio” cheè il fiore all’occhiello del Really UsefulGroup (la società del più grande compo-sitore contemporaneo di musical — unodei cento uomini più ricchi del RegnoUnito con un capitale che ammontaa circa ottocento milioni di euro —che tra l’altro amministra sette deimaggiori teatri della capitale).

Ora che la sua ultima fatica, LoveNever Dies, il sequel del Fantasmadell’Opera, è andata in scena —un altro successo — Sir LloydWebber è impegnato nella

messa a punto della sua versione del Ma-go di Oz. Ci sono decine di ragazzine chestamattina si sono date appuntamentoal Palladium sperando di ottenere la par-te di Dorothy (che al cinema fu di JudyGarland). Le audizioni sono terminate, ilPalladium, deserto e in penombra, è unospettacolo anche senza spettacolo: due-miladuecentottantasei poltron-cine rosse che aspettano ilpubblico dell’ennesima repli-ca ora a disposizione del mae-stro più riverito della comme-dia musicale, l’autore di JesusChrist Superstar ed Evita, Cats eSunset Boulevard, Starlight Express eAspects of Love. «Quarant’anni fa, di que-sti giorni, terminavamo le registrazionidi Jesus Christ», mormora Webber, inse-guendo i suoi vent’anni nel vuoto delteatro. Ne ha appena compiuti sessanta-due, è pallido, fragile, l’aspetto aristocra-tico di sempre, un eloquio forbito e me-ticoloso che difficilmente concedespunti polemici. Lloyd Webber lavoramoltissimo, si concede pochissimo, nonsi fa sentire neanche se le voci di plagiodiventano insistenti (come quando Ro-ger Waters sostenne che in alcuni pas-saggi del Fantasma aveva saccheggiatoEchoes dei Pink Floyd). «Ha accettato di

GIUSEPPE VIDETTI Lloyd Webber, la confessione“Scrivo nel vuoto totale ”

‘‘Questo è il momento più difficiledella mia carriera

Voglio prendermi una pausa,remare controcorrente è faticoso

“Da bambinotrascorrevo l’estatein Italia. Scoprii cosìVerdi e Puccini”

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 6GIUGNO 2010

parlare con lei perché è italiano», dice lasua assistente, «ha il pallino dell’Italia».Sir Andrew conferma: «Mia zia e mio zio,che per me sono stati come dei veri ge-nitori, vivevano vicino al confine fran-cese. Avevano una villa con un favolosogiardino, trascorrevo lì ogni estatequando ero bambino. È stato durantequei lunghi soggiorni che ho comincia-to ad apprezzare l’opera. Verdi e Pucci-ni hanno esercitato un’influenza deci-siva sulla mia formazione». Puccini so-prattutto, come ha insinuato il suo “cat-tivo” biografo John Snelson, che nel li-bro pubblicato nel 2000 mette a con-fronto le arie del Fantasma con quelledella Tosca (se ne accorsero anche glieredi del compositore; intentarono unacausa che si risolse in via extragiudizia-le).

Architettare un incontro con Web-ber è un’impresa. Anche dopo il sì, restada stabilire la data e soprattutto il luo-go. Sir Andrew non parla se non si sen-te a suo agio. L’ultima volta fu nel gaze-bo del giardino del Really Useful Groupper parlare di The Woman in White: ta-vola imbandita, camerieri in livrea, sultavolo ogni ben di Dio (ma lui addenta-va solo carote e ravanelli). Oggi il Palla-dium, «perché è il più suggestivo dei no-stri teatri. Credo che Il mago di Oz, l’an-no prossimo, andrà in scena proprioqui. I teatri sono importanti per far de-collare gli spettacoli, soprattutto ora

che il musical sta attraversando un pe-riodo critico. Non esagero: questo è ilmomento più difficile della mia carrie-ra, da anni non abbiamo nuovi talentiche si dedichino alla scrittura delle ope-re. Gli ultimi successi commerciali so-no dei juke-box sceneggiati, tipo Mam-ma Mia o Jersey Boys. Mentre compo-nevo Love Never Diesho avuto un attac-co di panico: “Sto scrivendo in un vuo-to totale”, mi sono detto. Non ci sono al-tri che stiano seguendo il mio esempio,come io seguii quello di Leonard Bern-stein, Rodgers & Hammerstein, IrvingBerlin e Frank Loesser». Molti lamenta-no il fatto che la tv ha ucciso il teatro. Glioperatori di Broadway ne sono certi. In-vece Webber, tradizionalista per defi-nizione, ha stupito quando all’inizio diquest’anno si è infilato in un talentshow per reclutare i personaggi del Ma-go di Oz. «La televisione se è ben fattapuò stimolare l’interesse per il teatro»,afferma. «Il casting che ho fatto in tv perIl mago ha attirato un mare di giovanialle audizioni, e mai come in queste ul-time stagioni i ragazzi hanno frequen-tato i teatri del West End».

Ha composto tredici commedie mu-sicali che hanno fatto storia, le cifre par-lano chiaro anche a livello di copie ven-

dute: sessanta milioni del disco doppiodel Fantasma; musical diventati film disuccesso, come Jesus Christ, Evita e ilFantasma; quaranta nomination aiTony Awards e sei statuette guadagna-te; sessanta nomination ai Grammy etre premi; un Oscar per le musiche diEvita. Ovvio che la Regina Elisabetta,nel 1992, l’abbia nominato Sir per i ser-vizi resi alla musica e alla Gran Breta-gna. «Senza la storia che ho alle spalleoggi non potrei permettermi di naviga-re controcorrente», dice mentre afferracon due dita l’ennesimo bonbon dallascatola sontuosamente confezionatada un maître chocolatier di SloaneStreet. «Love Never Diesè secondo me ilmomento più alto della mia esperienzateatrale. Qui c’è un’alchimia perfettatra la musica e la storia».

In realtà, in questi ultimi quarant’an-ni, non c’è alchimia che non gli sia riu-scita. Cats è, nell’intera storia del musi-cal, lo spettacolo che è rimasto più a lun-go in scena; rappresentato in trecentocittà, tradotto in undici lingue, visto dacinquanta milioni di persone con un in-casso di due miliardi di euro. I record delFantasma non si discostano da questecifre. «Abbiamo finito di registrare la co-lonna sonora lo scorso settembre. Subi-to dopo mi è stato diagnosticato un can-cro alla prostata. Ora, dopo l’interventoe la terapia, sono completamente gua-rito, ma in quel momento ho pensato

che quello sarebbe stato il mio canto delcigno. E ne ero fiero. Ho pensato: la miaultima opera è la migliore che abbia maicomposto. Sono un autore fortunato, lamaggior parte dei miei spettacoli sonorimasti in scena per decenni, alcuni nonhanno ancora chiuso i battenti. Le miecanzoni sono state incise da una varietàincredibile di artisti, da Elvis Presley aPlacido Domingo. Non capita a tutti icompositori di musical di scalare anchele classifiche pop».

Ma quando si tratta di indicare un’ar-tista che meglio di tutti sia riuscito arappresentare meglio le sue canzoni,non ha esitazione: «Sarah Brightman,specialmente alcune canzoni del Fan-tasma restano insuperate nella sua ver-sione», esclama. Con Sarah è stato spo-sato dal 1984 al 1990, dopo il divorziodalla prima moglie, Sarah Hugill. Dal’91 è sposato con Madeleine Gurdon, lasignora che oggi rappresenta un’au-tentica forza all’interno del Really Use-ful Group. «Raramente partecipo alleriunioni del consiglio d’amministra-zione, mia moglie presenzia in mia ve-ce», confessa. «Mi sono occupato per-sonalmente solo delle trattative perl’acquisto degli studi Abbey Road (poinon andate in porto perché la Emi ha ri-tirato l’offerta), ma più vado avanti congli anni più mi distacco dagli affari e midedico alle mie opere e al collezioni-smo». Un quadro di sua proprietà, un

superbo Picasso del periodo blu, è an-dato all’asta per cinquanta milioni dieuro. «Quello non faceva parte della miacollezione privata ma della mia art foun-dation. Era un acquisto fatto per investi-mento. Lo abbiamo venduto nel mo-mento in cui serviva liquidità per altriprogetti. Il prezzo di quadri come quel-lo è diventato talmente astronomicoche mi sentivo colpevole a tenere tuttoquel capitale bloccato e un simile capo-lavoro celato agli occhi del pubblico. Hopensato che con quei milioni potevorealizzare progetti per il teatro, creareborse di studio per i giovani, incremen-tare alcune mie attività benefiche. Do-potutto è solo un quadro, o sbaglio? Ilmio pallino sono i pittori vittoriani delDiciannovesimo secolo e credo di avereil meglio, non c’è quasi più niente d’in-teressante in giro. Il pezzo più pregiatol’ho acquistato due anni fa, era un qua-dro che inseguivo da una vita, e conquello ho chiuso un capitolo».

È ormai pomeriggio quando usciamoin strada. Illuminato dal sole che dopoun’ora di penombra fa male agli occhi,Sir Andrew sembra più cagionevole.Dalla vicina Carnaby Street si ode unabanda che suona Sgt Pepper’s, stanno fe-steggiando i cinquant’anni della miticastrada della swinging London. Il com-positore muoveva allora i primi passi.«La cosa divertente è che, essendocidentro, per me era un decennio assolu-

tamente normale», dice con distacco.«Solo col senno di poi ci siamo resi con-to di quanto fossero fantastici i Beatles.All’epoca ero concentrato sulle mie co-se, aspettavo il mio momento, e quandoarrivò, con Joseph, eravamo già alla finedegli anni Sessanta e i Beatles si stavanosciogliendo. I miei idoli erano altri.Benjamin Britten e Gershwin. Già daadolescente guardavo il futuro in termi-ni di teatro musicale. Avevo le idee mol-to chiare quando diciassettenne incon-trai per la prima volta Tim Rice (il paro-liere dagli esordi a Evita, ora richiamatoper Il mago di Oz). I miei s’illudevanoche sarei diventato un concertista, solola zia che viveva in Italia, un’attrice, sa-peva che ero totalmente soggiogato dal-la magia del teatro».

Riflette: «Ho avuto molto in questi an-ni, ma ho anche sacrificato molto in ter-mini di vita privata, famiglia, figli. Pro-prio per questo adesso, dopo la malat-tia, sento di non aver più voglia di faremolto. Dopo Il mago di Oz e il debutto aBroadway di Love Never Dies(in settem-bre), tornerò a scrivere solo se troveròun soggetto che mi travolgerà. Voglioprendermi una pausa, remare contro-corrente è faticoso».

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“E Judy Garland…Judy adoravaquesto posto,era un rifugio”

“La più grande?Sarah Brightman,specialmentenel Fantasma”

FOTO E LOCANDINEA sinistra, Andrew Lloyd Webbernegli anni Ottanta e, in alto,con il paroliere Tim Rice nel 1970Sopra, la locandina di Jesus ChristSuperstar (1971); a destra, quelle di Cats(1981), Evita (1976) e Aspects of Love(1989); a sinistra in alto, quelle di LoveNever Dies (2010) e del Fantasmadell’Opera (1986). Nella fotogrande, Lloyd Webber oggi

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Tempo di Mondialii sapori

Comincia la partita più attesa. Davanti alla tv crocchette di patate, olive ascolane, arancini di riso e polliallo spiedo si candidano a diventare la cena tricolorePerché non c’è nulla di più rilassante che mangiarepastelle dorate mettendo le dita in una vaschetta

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 6GIUGNO 2010

Pollo allo spiedoIl re della rosticceria deve le sue fortune a qualità della carne e marinatura pre-cottura(olio, vino bianco, rosmarino, alloro, pepe in grani). Nella versione più croccante, è aperto sulla schiena e appiattito (alla diavola)

Crocchette di patateSolo patate farinoseper la schiacciata lavorata con uova,parmigiano e noce moscataAll’interno, farciture assortite con cubetti di salumi e/o formaggiVengono servite impanate e fritte o infornate con un ricciolo di burro

Arancini di risoIl trionfo del finger food sicilianopassa dal riso bollito e asciugato nel suo brodo (giallo) per conservarel’amido, condito con burro e formaggio e modellato in forma di cilindretti, imbottiti di ragù ai piselli e provola fritti

Tomini elettriciPer dare un tono ai formaggini freschi di mucca o capra, si immergono in una marinata a basedi extravergine, aceto, prezzemolo,peperoncino piccante e poca salsa di pomodoro,lasciandoli riposare qualche ora

Mozzarella in carrozzaDa addentare caldissimo e filante, il sandwich partenopeo di pane in cassetta rifilato e farcito con spesse fette di mozzarellaPassaggio nella farina, poi nelle uova sbattute con latte, sale, pepe, prima della frittura

‘‘Anatole FranceMiraut, il nostro cane, ha giratolo spiedo per quattordici anniNon ho rimproveri da fargliÈ un buon servitoreche non mi ha mai rubatoil minimo pezzo di tacchino o di oca

da “LA ROSTICCERIADELLA REGINA PIÈ D’OCA”

Petto o coscia? La domandanon suoni irriverente: par-liamo di polli. Domandad’obbligo, appena i trancidisposti sul vassoio arriva-no sul tavolino davanti alla

tv. Tempo di Mondiali di calcio, tempodi rosticceria, di polli arrosto liberatidall’obbligo di forchetta e coltello, dicrocchette e supplì, focaccine e oliveascolane, zucchine in carpione e pe-sciolini fritti, fino all’orgia golosa diprofiterole e pesche farcite.

Non c’è momento più collettivo etraditore delle grandi manifestazionisportive vissute in poltrona, calcio inprimis. Tutto è permesso, tutto si puòfare: dimenticare la dieta, i giuramen-ti pre-costu-me da bagno— mai più almare conquei rotolinidi grasso — ilcolesterololievitato, ilfegato affati-cato.

Nulla èpiù irresisti-bile e tra-sgressivo diun fritto-e-m a n g i a t o ,come benracconta chi si occupa di catering: perrisparmiare sugli ingredienti più co-stosi, carni e pesci, le cene in piedi co-minciano con l’offerta di fragranti pi-ramidi di pizzette, arancini e verdurepastellate. Nessuno rifiuta, tutti masti-cano allegramente, saziandosi benprima che arrivino roast beef e code dirospo.

Il concetto delle rosticcerie è esatta-mente questo: offrire tentazioni gastro-nomiche di facile consumo e spesa ac-cessibile. Una formula esaltata dalleesigenze del teletifoso. Nessuna pento-la da sporcare, rifinitura ridotta al mini-mo (il tempo di riscaldare i cibi), il por-tafoglio (quasi) in salvo: poi, tutti sedu-ti senz’altra fatica che scegliere fettine ebocconi — il trionfo del finger food —prima di concentrarsi sulla partita.

Ma i Mondiali, così come Eu-

ropei e Olimpiadi, richiedono unosforzo in più. Se il singolo evento con-sente scelte diverse — organizzare inproprio una buona cena pret-à-man-ger o accontentarsi di soluzioni me-diocri (pizza & birra recuperate all’ul-timo momento) — la sequenza dellepartite richiede una qualche strategiagastronomica.

Prima di tutto, occorre lavorare suqualità e varietà. Così, l’approvvigio-namento di un pollo allo spiedo comedio comanda — pelle spessa, carni so-de, non untuose — o di una parmigia-na di melanzane con fior di latte all’al-tezza, diventa un’esigenza prioritariae il miglior pollo allo spiedo del quar-tiere un segreto da rivelare solo agli

amici più ca-ri. E poi, vialibera a piat-ti menousuali — in-salate di risoselvaggio everdure ri-piene dicous cous,cubetti dipesce mari-nato e bi-stecchine al-la pizzaiola.

Ma guai as p i n g e r s i

troppo in là: la rosticceria è il regno delcomfort food: qui le nuove sfiziositàhanno vita dura. Più che l’innovazio-ne, conta la nostalgia del palato, il ras-sicurante richiamo ai cibi dell’infan-zia. Per la generazione cresciuta neglianni Cinquanta e Sessanta, la cervellafritta è un mito inviolato (e reso pres-soché inaccessibile da mucca pazza),la cotoletta un compagno quotidiano,la mozzarella in carrozza un piacereassoluto. Comprare in rosticceria è undéjà vu che coccola e rassicura.

Alla fine, se la squadra del vostrocuore ha vinto, festeggiatela con uncrème caramel, il budino delle meravi-glie con caramello filante. Se ha perso,consolatevi con una cucchiaiata gene-rosa di tiramisù. Il cocomero riservate-lo per i giorni di magra.

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Rosticceria

Fritturacroccantepassione

LICIA GRANELLO

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 6GIUGNO 2010

PorchettaIl piatto festaiolo dell’Italia centraleparte da un maialino intero, disossatoe farcito con un ripieno aromatico, a base di erbe, spezie, interioraArrostito sullo spiedo o al forno,è uno dei compagni d’obbligonei panini rustici

Pizza al taglioTeglie rettangolari e tagli squadratiper le pizze da asporto, di spessore maggiore rispetto a quelle di pizzeria, per reggere un secondo passaggio nel forno di casa, e arricchite secondo la fantasia del pizzaiolo

FarinataDalle sciamadde di Genova al mercato centrale di Livorno, la millenaria, sottile focaccina a base di farina di ceci, acqua, olio e sale viene venduta a peso, in pezzi irregolari, sopra fogli di carta assorbente

Olive ascolaneGli irresistibili bocconcini marchigiani si preparano con le dolci, polpose “tenere di Ascoli”tagliate a spirale e avvolte intorno alla farcitura di carne, uova, mollica, formaggio e verdureSi gustano appena fritte

Pasta al fornoTimballi, pasticci, lasagne: ricette assortite per la pasta infornata già divisa in porzioni dentro vaschettedi alluminio, dopo essere statasontuosamente condita con ragù - di carne o vegetariano - e besciamella. Ottima anche fredda

Niente fumo. Tutto arrosto. È laformula vincente della rostic-ceria. Che dà sempre quel che

promette. Sostanza e nutrimento maanche sfizio a go go. Un mangiare po-vero trasfigurato dalla sapienza anti-ca di mani abituate a fare di necessitàvirtù. E capaci di trasformare la so-pravvivenza in piacere.

Una fantasmagorica lista di gour-mandises, più lunga del Catalogo diLeporello, per cantare le lodi della no-stra gastronomia popolare che hasempre fatto le nozze coi fichi secchicreando dal nulla, o quasi, dei saporidivini per mandarela classe operaia inparadiso. Le esaltan-ti arancine di riso si-ciliane, la sobria fari-nata di ceci di Geno-va, le golosissime oli-ve all’ascolana, i raf-finatissimi rustici disfoglia leccesi, la lus-suriosa porchetta la-ziale, il voluttuosoprosciutto in crostatriestino. E il paninodel magut, tradizio-nale razione kappadei muratori mila-nesi, mortadella egorgonzola per met-tere il turbo alle calo-rie. Per non parlaredei romanissimi fi-letti di baccalà e deifilanti supplì “al te-lefono”, bocconidalla schiettezza neorealista che han-no sfamato intere generazioni di la-voratori. Invece oggi allietano la pau-sa pranzo del terziario avanzato. E di-ventano il piatto forte dei buffet lowcost, delle festine di compleanno,delle cene improvvisate con gli amici,dei bivacchi televisivi dove la palla diriso deflagra sulla giacca mentrequella di cuoio si insacca trionfal-mente nella rete.

Cuochi si diventa, rosticcieri si na-sce diceva il grande Brillat-Savarin.Come dire che la rosticceria è uno sta-

to di effervescenza della cucina, unconfronto titanico tra il fuoco e la ma-teria. La fiamma viva, l’olio bollente,il forno arroventato, lo spiedo sfrigo-lante. È il trionfo dell’aura, di quellacrostina dorata che avvolge la suapreda e la costringe a rivelarsi, strap-pandole il segreto del suo sapore. Tra-sformando la più elementare pastelladi acqua e farina in un morceau de roi.

È quel che ci insegnano le grandicapitali della rosticceria, le città me-diterranee con i loro angiporti fumo-si, dove gli afrori imperiosi del fritto ri-salgono inarrestabili vicoli e carruggi.

Come il richiamosensuale della tenta-zione misto al profu-mo struggente dellanostalgia. Di quan-do uscendo da scuo-la placavamo i morsidella fame adole-scenziale divorandointeri cartocci di frit-ti. Quei coni di cartagialla che a Napoli sichiamano coppetti eche assomiglianotanto a delle cornu-copie. Piene di pastecresciute, di crocchèdi patate, di scaglioz-zi di polenta fritta, difette di melanzanein pastella. Perfetta-mente identici aquelli che si vendo-no nelle rosticceriedi Siviglia, sorella

andalusa di Partenope. Piccoli pezzi apiccoli prezzi. La forza della rosticce-ria è la serialità della produzione e laparcellizzazione sempre più minuta.Simbolo di una mangiare democrati-co, moderno e metropolitano. In fon-do la rosticceria, madre del fast food,del finger food e della monoporzionemessi assieme ha inventato una verae propria unità di alimentazione po-polare, che sarebbe piaciuta tanto aLe Corbusier. Colesterolo permet-tendo.

Olio bollente e spiedoè l’effervescenza del gusto

MARINO NIOLA

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BARIROSTICCERIA ORIENTEViale Orazio Flacco 40Tel. 080-5613194

FIRENZECASADEI & PIAZZINI Viale Don Minzoni 1Tel. 055-576555

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NAPOLIFRIGGITORIA VOMEROVia Cimarosa 44Tel. 081-5783130

BOLOGNAQUEOAKA Via Caprarie 4/gTel. 051-273978

PALERMOROSTICCERIA GANCIVia Corselli 12 Tel. 091-473449D

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TA

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GENOVAROSTICCERIA SOLFERINOCorso Sardegna 236/rTel. 010-870480

TORINOGIRARROSTO SANTA RITAVia Nicola Fabrizi 17Tel. 011-7761694

Trionfo della rosticcerianei weekend estivi

di Trieste, zonaCampanelle

Il menù di “Triestein festa” prevede pesci

fritti, olive ascolanee crocchette di patateInvece, il primo venerdì

di settembreappuntamento

ad Ariccia, con i miglioriproduttori

di porchettasulla piazza di Corte

l’appuntamento

MILANOROSTICCERIA PRINAVia Prina 2/aTel. 02-33603022

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le tendenzeIn alto mare

Pantaloncini, felpe, mocassini gommati, occhiali,costumi leggeri, giubbotti ipertecnici: la vacanzaa bordo obbliga a un bagaglio “ragionato”all’insegna del comfort, ma senza rinunciareal look. Ecco alcune proposte estive delle griffeche si sono ispirate al mondo delle regate

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 6GIUGNO 2010

Fascino e sport. Vento nei capelli e look atletico. Temperature tropicalie abbronzatura dorata al punto giusto. Veleggiare in barca a vela non ècosa semplice. Soprattutto per una questione di abbigliamento. La va-ligia (naturalmente mini per motivi di spazio) rappresenta un’eternaincognita. Da un lato c’è il sole cocente alternato al vento che spacca lapelle. Dall’altro l’immagine felice di navigatori, solitari e non, che sem-

brano nati con maglie a righe e cerate impermeabili. Apparentemente impeccabi-li. Il tentativo, piuttosto legittimo, è d’imitarli. Soprattutto in estate, tempo di re-gate. Peccato che, una volta in barca, si pensi regolarmente di aver sbagliato ognicosa. Troppo freddo o troppo caldo. Infastidisce quell’inevitabile spiffero nellagiacca, che tormenta durante la navigazione. Per non parlare del costume intrisod’acqua. Tempo di asciugatura? Infinito. Tanto vale organizzarsi, con una nuovalista ragionata, prendendo spunto dai consigli dei campioni.

Per quel che riguarda il costume da bagno, meglio puntare su uno stile piuttostosobrio. Per le signore niente allacciature, con inutili incroci e lacci, che trafiggonola carne. Un modello olimpionico o un classico bikini sono la regola. Per gli uomi-ni prevale l’eterno calzoncino blu, naturalmente non troppo lungo o largo per ab-breviare i tempi di asciugatura. Magliette e felpe sono necessarie. Non è il caso dirisparmiare sulla quantità, e abbondare in scorte, perché schizzi e onde improvvi-se rischiano d’investire i navigatori. Se in programma c’è qualche sosta in portomeglio non farsi trovare impreparati sulle regole del bon ton. Per gli uomini è riso-lutiva una giacca blu, anche in lino. E poi bermuda, calzoni più o meno mini e ca-micie bianche sono la divisa dei marinai di tutto il mondo. Conviene adeguarsi.

Un capitolo a parte meritano le scarpe. Bandite quelle con tacchi o i mocassiniin cuoio, è decisamente più saggio ripiegare su modelli sportivi dalla suola in gom-ma (possibilmente bianca). In navigazione, in realtà, si vive praticamente a piedi

nudi quindi, appena saliti a bordo, bisogna togliersi le calzature che vanno ripostenell’apposito contenitore. Anche i sandali sono ammessi, ma solo quando si met-te un piede a terra. L’alternativa è farsi giurare inimicizia eterna dallo skipper di tur-no. E poi ci sono gli indispensabili accessori del velista: cappello con visiera, cera-ta e guanti. Naturalmente i nuovi tessuti tecnici possono migliorare il look e la se-renità dei naviganti: ecco dunque le cerate stagne, i pile leggerissimi, le tute termi-che, le calzature con la suola in gomma antiscivolo, un paio di stivali in gomma, legiacche idrorepellenti e resistenti al vento (con speciali allacciature ai polsi) e iguanti protettivi per le manovre più impegnative. Anche gli occhiali meritano undiscorso a parte: no ai modelli cittadini, meglio ripiegare su sunglasses avvolgenti

o mascherine protettive dal sole e dagli spifferi. Infine, se il soggiorno in barca è uno stile di vacanza (an-che se poco oziosa) conviene infilare in valigia un pareo

e un copricostume per i momenti di relax. E natu-ralmente asciugamano, sacco a pelo se si dor-

me a bordo, e un maglione pesante per le se-rate più rigide.

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IRENE MARIA SCALISE

Moda, sole e sportcol vento in poppa

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 6GIUGNO 2010

“Per ogni ondala cerata giusta”

Torben Grael, star della Volvo Race

SIMONA CASALINI

Èlo sportivo che con la vela si è conquista-to il maggior numero di medaglie olimpi-che della storia dei Giochi. Lo chiamano“turbine” e “mago del vento”, a suo agionei magnifici party legati ai grandi spon-sor e altrettanto nelle tempeste. Torben

Grael, vincitore dell’ultima Volvo Race, ora su LunaRossa nelle regate alla Maddalena, e uomo immagi-ne Prada, è un brasiliano globetrotter che si occupaanche di una scuola di arti marinare per i ragazzinidelle favelas. Su Patrizio Bertelli, patron di Prada,scherza: «È un bravissimo velista, dicono che quan-do regatava lungo le coste toscane era un tipo mol-to spericolato e io (ride) immagino che sia la verità».

Perché lega il suo volto da capitano coraggiosoa un marchio italiano come Prada? Come è natol’incontro?

«Ben prima dei miei giri del mondo. Navigavotantissimo in Italia con Francesco de Angelis e

quando Patrizio decise di impegnarsi con lacoppa chiamò Francesco e me che avevo appe-na vinto la medaglia d’oro olimpica con la Star.Da allora abbiamo fatto insieme tre America’sCup e in più mi ha sponsorizzato in due olim-piadi, in cui ho vinto un bronzo e un oro. In-somma, la vela ha unito le nostre vite».

Perché il mondo della vela è così fashion? «Perché i primi ad andare a vela per fare rega-

te, yachting, rappresentavano davvero l’élite». A bordo si provano molti materiali, come quel-

li per le vele che poi si trasformano in calzoncini omagliette. Sono davvero speciali?

«Sì, perché si testano tessuti particolari che ma-gari sono impermeabili ma non fanno sudare e so-no piacevoli sulla pelle».

Una volta si usava il cotone, ora mix chimici an-che per una canottiera. Non sente un po’ di no-stalgia?

«Guardi: il nome che usate in Italia per i giacco-ni impermeabili in barca è cerate, che, appuntoviene dalla cera spalmata sulla stoffa per non farpassare l’acqua, poi sono arrivati i primi sintetici:si sudava da matti, poi sentivi un gran freddo. Orati senti ok in qualunque condizione. Si vuole tor-nare indietro?».

In barca valeva il motto: quello che non c’è, nonsi rompe. Ora è tutto un fiorire di tecnologie. Nes-sun rimpianto per il poco e il semplice?

«Beh, a volte sì, e difatti sono appassionato dibarche d’epoca. E anche Patrizio lo è».

Prada è uno delle poche aziende italiane chesponsorizzano la vela. Solo per la sconfinata pas-sione di Bertelli?

«Il legame col mondo della vela, perfetto bancodi prova tra tecnologia, estetica e funzionalità, hafatto molto bene a Prada e Prada ha fatto tanto be-ne alla vela. Sono due mondi che si amano».

Non è che voi velisti piacete tanto perché sietein perenne fuga dal mondo dei terrestri?

«No, non credo. La vela è uno sport mol-to più accessibile: dal piccolo Optimi-st al superyacht. Una vastissima va-rietà di persone ci si dedicano».

Lei affronta gli obbiettivi come igiri di boa: dritto al traguardo. Main famiglia chi comanda?

«L’ultima parola ce l’ho sempreio. E dico: “Sì, signora”».

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HUGO PRATTSembra rubatodal guardarobadel personaggiodei fumetti il giaccone blucon tanti bottonie profili dorati

PAUL&SHARKMaglia a righein perfettostile marinaioUna felpain cotoneper lui e lei

NAUTICABoxer mare giallo sole

e dalla scrittaa contrasto

Perfetto con la pelleabbronzata, piacerà

ai più vanitosi

PRADADa sempre legataal mondo della vela,propone Intrepid:indicati per condizionidi vento fortee alte velocità

AIGLECalosce in gommarossa. Per grandimareggiate o manovrein porto. Hannola suola biancaIdeale per la barca

PASSIONE GLAMOURUn giovane JohnFitzgerald Kennedycon la futura moglieJackie a bordodi una barca a velanell’estate del 1953

CAMPIONEIl velistaTorben Grael

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40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 6GIUGNO 2010

l’incontroGrandi vecchi Non solo un venerato alpinista,

ma il primo esploratore italianodiventato famoso nel mondoHa scalato, rischiato, vissuto:

“Senza mai farecompromessi, perchédevi stare solo se vuoiscoprire te stesso”E ora che anche la cimadegli ottant’anni è quasiraggiunta ha ancora

corpo e mente d’atleta. “Ringraziotutti”, dice con la grinta di sempre,“ma in quest’epoca vivo da estraneo”

‘‘

Non mi dispiacenon aver avutoun figlio, ne avreifatto un disgraziatoPerché i principiche gli avreiinsegnatonon contemplanoil denaro

DUBINO (Sondrio)

Le sue case sono bivacchi.Isolate, lontane dalla città,immerse nella vegetazio-ne. Quasi sempre in alto, e

molto nascoste, con la montagna che fada guardiana. Questa di Dubino, in pro-vincia di Sondrio, se l’è quasi costruitada solo. Appena si varca il cancello sem-bra di essere capitati in un mondo a par-te, nessuna smanceria stilistica, nessunsegno di vanità, ma di bellezza sì, e tantiricordi di viaggi selvaggi. Aste, lance,pietre. Walter Bonatti il 22 giugno com-pie ottant’anni. Èstato il primo esplora-tore italiano famoso nel mondo, non so-lo un venerato alpinista. Ha i capellibianchi, un corpo sempre atletico, co-me la mente. Nulla da ex, anzi verrebbeda dirgli: dai, rapiscici, portaci ancoravia. Non si è seduto sulla gloria, non fa ilmaestro, ma continua a lavorare. Ingiardino e alla macchina da scrivere.Pianta, cura, taglia, pulisce, sposta, in-naffia, lega, slega, mescola terra e me-morie. «Ma da quest’anno smetto dipartecipare a conferenze, inviti, proie-zioni, manifestazioni. Ringrazio tutti,però devo trovare il tempo di mettere inordine il mio archivio fotografico. Certoche la mia percezione dell’età è cambia-ta. Da ragazzo quando vedevo qualcunocon i capelli bianchi pensavo: ecco, è fi-nita, sta scivolando fuori dalla vita. C’e-ra un alpinista, un caro amico, Silvio Co-lombo, con la testa bianca, pensavo fos-se stravecchio. Ora capisco che il coloredei capelli è un segno, ma che non dicetutto. Per l’intensità di quello che ho vis-suto mi sento duecento anni, ma per lavoglia e la curiosità che ho, me ne sento

quaranta. Tante cose sono andate stor-te nella mia esistenza, ma la mia coe-renza è rimasta dritta. E sono stato an-che fortunato, perché non sono mai ve-nuto a patti con quello che non mi pia-ceva. Ho pagato il prezzo, ma il non ven-dersi fa stare molto bene. Da giovani e davecchi. Da ragazzo ho lavorato alle ac-ciaierie Falck, addetto alle commesse.Dopo sei mesi ho capito che non era ilposto per me e me ne sono andato. L’al-pinismo l’ho scelto nel ferragosto del’48, venivo dalla ginnastica, stare a testain giù per me era normale».

La generazione della guerra si rico-nosce a tavola dove il pane abbondantenon manca mai. «Mio padre Angelo eraun antifascista, che non si è mai iscrittoal fascio, aveva un piccolo negozio dimerceria, ma anche se da Bergamo cisiamo trasferiti a Monza per lui il lavoronon c’era mai. Ci ha mantenuti miamamma Angela che si è messa lavorarein un’impresa tessile e che ha perso lamia sorellina di sei mesi per un’appen-dicite trascurata. Mia madre è il miocruccio, l’ho persa in un momento spe-ciale, anzi l’ho uccisa». Nel ’51 Bonattiriesce finalmente a domare la parete estdel Grand Capucin, un obelisco di gra-nito rosso nel gruppo del Monte Bian-co, mai scalato prima. E inizia la nuovaepoca, è la prima via che porta il suo no-me. «La città di Monza mi festeggia alteatro Pergolesi, mia madre è in primafila, mi appuntano la medaglia d’oro,mamma è squassata dall’emozione, sisente male, ha più di 240 di pressione, laportano a casa, muore prima di mezza-notte. Per due anni mi sono sentito op-presso dalla colpa, non riuscivo a darmipace. Così due mesi dopo sono partitoper il servizio militare. Faccio le proveattitudinali e mi destinano alla scuolamotorizzazione della Cecchignola aRoma, io che odio le macchine, prote-sto e mi trasferiscono al V Alpino di Me-rano, poi alla scuola militare di Aostadove a fine settimana sono libero discorrazzare con la jeep e di andare inmontagna».

Si può essere grandi vecchi, sereni ein forma, però attorno vengono a man-care i punti di riferimento. «Sì, questo losento moltissimo. È scomparso il miomondo, la gente del mio tempo, moltiamici, non sono in sintonia con questaepoca, ci vivo, ma da estraneo, non ha ilmio passo, non ne condivido gli inte-ressi. Una volta si esagerava in sensoopposto, a quarant’anni una donna ve-stiva già da vecchia. Se ho smesso di fa-re conferenze e di andare in pubbliconon è per stare in pace, ma per ripren-dermi il tempo, perché la giornata misembra troppo corta, e io ho tanti mate-

riali in disordine che devo sistemare.Viaggi, appunti, riflessioni, diapositive,ottantamila scatti fotografici. E poi cisono le lettere. Ho avuto la fortuna e lasventura di essere molto seguito ovun-que, in Giappone, Argentina, Australia,quindi ho molto lavoro da sbrigare vistoche non posso permettermi un segreta-rio». Bonatti ha scritto una ventina di li-bri, cinque sono ancora in commercio.Ètradotto anche all’estero. La Rizzoli haappena ripubblicato il classico illustra-to Terre Alte, per la prima volta in edi-zione tascabile, immagini da CapoHorn, dalla isole Vanuatu, dal vulcanoNiyragongo e non solo.

«Scrivo su una vecchia Olivetti ver-dognola che ci regalarono per l’impre-sa del K2. Quindici anni fa è andata intilt, un tecnico che è anche un mio fanme l’ha risistemata, i nastri me li inviaun altro amico, uno spagnolo. Non usocomputer e non me ne vanto, credo didover imparare, prima o poi ci proverò,anche perché correggo molto, cinque-sei volte. I miei maestri sono stati He-

mingway, Jack London, Defoe, Melvil-le, ai quali devo dire grazie se non hopaura di invecchiare. La loro avventuraè stata la mia. Anche se oggi è una paro-la abusata. Chi sta veramente solo? C’èsempre un telefono satellitare per gri-dare e chiedere aiuto. Dal mare, dallamontagna, dal deserto, dalla gola delvulcano. Devi stare solo con i tuoi mez-zi, con le tue incertezze, per scoprire iltuo carattere, senza possibilità di ag-grapparti a qualcosa o a qualcuno. Lasolitudine è angosciosa, ma è un per-corso, acutizza le sensibilità, ti forza acercare in te stesso la soluzione. Deviessere onesto, guadagnarti i tuoi sape-ri, costruirti con la prudenza e l’espe-rienza. La scimmia si è staccata dall’al-bero per curiosità. Lasciate il cellulare acasa e andate nel bosco. Io non avevonulla, ho fatto il giramondo per prose-guire l’alpinismo, psicologicamente èstata un’esperienza di vita. Ho cercatole risposte, non credo alla fortuna, unuomo è quello che vuole essere. Anchese oggi è difficile, soprattutto per i gio-vani, perché gli hanno tolto il futuro dasotto i piedi».

Bonatti naviga su temi classici: la na-tura, la paura, la consapevolezza. «Lapiù grande sorpresa quando sono statoin Alaska sulla rotta dei cercatori d’oro èstato scoprire che tutto era uguale eidentico alle descrizioni di London,tranne la canoa canadese con la qualemi sono rovesciato sulle rapide. I guer-rieri Masai invece mi hanno insegnatoa non superare mai la distanza critica,ogni animale è curioso, bisogna fer-marsi, accucciarsi, dare loro modo diannusarti, senza farli sentire in perico-lo». In pericolo i giaguari, le tigri, i ghe-pardi? Proprio così, si capisce che Bo-natti sta dalla parte loro. La fiducia nel-l’uomo l’ha persa sul K2 nel ’54 a 23 an-ni. «Dove sono stato ingannato, impu-tato, calunniato. Se ti capita una cosacosì da ragazzo, il tuo carattere cambiaper sempre. Per questo io con me stes-so sono in buona compagnia». Lo è an-che con Rossana Podestà, ex attrice,bella e intelligente, con cui divide la vi-ta da trent’anni, amante dell’avventuraanche lei. «Ho avuto due donne impor-tanti, entrambe le relazioni sono dura-te undici anni, poi ci siamo trovati conRossana che mi ha portato in dono i suoinove nipoti e io ne sono contentissimo.Non ci siamo mai sposati, non abbiamobisogno di un certificato. Non mi di-spiace non aver avuto un figlio, ne avreifatto un disgraziato, perché avrei cerca-to di educarlo con i miei principi, chenon contemplano il denaro. Io non misono mai sentito stupido per non averfatto i soldi. E non ho mai cercato spon-

sor». Non solo, ma il suo scrupolo è quello

di portare i maglioni all’incontrario, inmodo da non mostrare le etichette.Rossana ha gusto, eleganza, piacere perla casa. E fa esperimenti in giardino,portando le piante dall’Argentario, do-ve con Walter trascorre l’estate in unacasa a picco sul mare. Bonatti non sivanta dei crateri in cui è entrato, però segli fate i complimenti per il verde ne èmolto fiero. Peonie, rose, fior di loto, or-chidee. Dall’estero arrivano sempremolto richieste per interviste perchéBonatti è un mito che non si è mai spor-cato, è sceso dalle montagne per attra-versare giungle e deserti, ha navigatofiumi e correnti per allontanarsi da unturismo dell’avventura sempre più pla-stificato. Ha rischiato, vissuto, fotogra-fato. E ora dice basta. «A febbraio conRossana e un gruppo di amici abbiamoviaggiato in Dancalia, in Etiopia, unluogo inospitale e affascinane, pieno diinquietudini geologiche, con il vulcanoErta Ale, famoso per il suo lago di lava. Èsempre stata una regione di difficile ac-cesso, un po’ per la sua geografia luna-re e anche perché i feroci guerrieri dan-cali hanno sempre scoraggiato qualsia-si incursione nel deserto. È stata la miaultima trasferta, ora resto a casa a met-tere ordine nella mie sparpagliate av-venture». Non c’è rimpianto, non c’è unvolere quello che non c’è stato, ci sonofratture, ma non compromessi. A tavo-la si beve vino di amici e ce sono tanti inogni regione. E alla fine ci si scopre invi-diosi: non delle grandi avventure sulCervino o sull’Himalaya, ma di questapiccola e dolce serenità di coppia che haancora cose da dire, amore e curiosità,e futuro da scrivere.

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EMANUELA AUDISIO

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Walter Bonatti

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