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CASA dei CArrAreSi - treviSodal 25 novembre all’8 dicembre 2012

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Patrocinioregione del venetoProvincia di trevisoCittà di treviso

OrganizzazioneFranco rosso editore - trieste

PromozioneFondazione Cassamarca - treviso Casa dei Carraresi - treviso

Coordinamento Maurizio PrAdeLLA

Curatori enea CHerSiCoLAFranco roSSo

Presentazioneenea CHerSiCoLAdaniele d’ANZAMatteo GArdoNioFranco roSSo

Testi criticienea CHerSiCoLAFranco roSSoChiara SeGALAenrico ZuGNo

Comunicazionericcardo triPodi

Responsabile luciPatrizio rAPoNi

Servizio fotograficoFidia CHerSiCoLAvincenzo CiCCAreLLo

Servizio audio-videoFidia CHerSiCoLA

Progetto graficoFranco rosso editore - trieste

SegreteriaPaola BAZZoJanka CovANCHovA

RingraziamentiChiara SeGALA

Infoarteparadigmaest.weebly.com [email protected]

introduzione di Franco roSSo: Co-curatore

La rassegna di pittura e scultura “ArteParadigmaest” allestita alla Casa dei Carraresi intende proporre ai fruitori uno spaccato -parziale ma esplicativo- dell’espressione artistica contemporanea che si manifesta nell’area collocata ad est del Paese e significativamente attorno a trieste e Gorizia, per l’italia gli emblemi delle città di confine.i curatori hanno selezionato ventitré artisti contemporanei per proporre un percorso in grado di suggerire nuove ipotesi di lettura e di indagine sul fare arte in un territorio storicamente di confine. e il confine è quello con l’est: quella linea di demarcazione, a suo tempo oltrepassata dagli Avari e dagli unni e che idealmente unisce Berlino e trieste (e viceversa), due città che hanno vissuto le contraddizioni di un muro divisorio e di un confine conteso, con tutte le lacerazioni conseguenti, gli azzardi culturali, i rimescolii ideologici, gli amori contrastati e le tensioni forti che nascono da separazioni e spaccature. Ma le frontiere rimangono anche dei modelli semplificati per esprimere quei confini che la nostra percezione impone di determinare prefigurando una generale approssimazione della realtà, pur rimanendo tuttavia elementi di separazione di due spazi, di due persone, di due ideologie. Gli artisti possiedono in maniera naturale quella sensibilità che spesso li fa intuire anticipatamente e poi visualizzare alcuni indirizzi della società, assieme ai travagli che la stessa sta vivendo: quelli invitati ad ArteParadigmaest dimostrano come una terra di confine abbia comunque saputo dare molto, filtrando, indagando, assorbendo gli stilemi e le istanze della cultura di frontiera mitteleuropea.in questa rassegna sono presenti artisti di trieste e dell’intero territorio del Friuli venezia Giulia e insieme testimoniano il paradosso vivente di una regione (di frontiera, di ponte) che pur sembrando appartata, ha saputo diventare un laboratorio in cui si sono sperimentati tutti i temi centrali della crisi novecentesca. e questo retaggio gli artisti presenti dimostrano di saperlo far trasparire nelle loro opere, per dar testimonianza anche per quelli che artisti non sono.

La mostra viene realizzata nell’ambito del Grande evento:

reGioNe deL veNeto

CASA DEI CARRARESI

EDITOREFrancoRo oss

tutto

qui.it

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Ca’ dei Carraresi: mostre-eventi di Pierduilio PiZZoLoN - Storico e critico d’arte

dopo il magistrale recupero edilizio con scrupoloso restauro dell’architetto Luciano Gemin, allievo di Carlo Scarpa, intrapreso da Cassamarca nel 1987 e ultimato nel 1989, l’edificio di via Palestro denominato Ca’ dei Carraresi (sec. Xiii-Xiv, ca. 2670 mq di superficie!) assume una duplice funzione: Ca’dei Carraresi vera e propria viene destinata a Centro Convegni ed esposizioni per conferenze e mostre d’arte, mentre viene adibita a sede direzionale, giacché conserva affreschi di grande pregio, la contigua casa Brittoni (dimora di Giovanni Berton - corrotto in Britton - gestore nel 1396 della medievale Locanda della Croce, domus vocata hospicium sive hostellum de la Cruce), antecedentemente probabile ‘fondaco’ o deposito cittadino di mercanzie per ‘incanipare’ le biade, sulle sponde del Cagnan Grando o fiume Botteniga e successivamente base logistica di esponenti militari o sede istituzionale di maggiorenti dei Signori padovani da Carrara.Nasce così l’intensa stagione dedicata a mostre di artisti, prevalentemente pittori, vivi o scomparsi nel secolo scorso, gloria della terra trevigiana e veneta, di consolidata fama. Si alternano personali a collettive, in media una ventina di autori l’anno per quasi un decennio. Apre la serie nell’autunno 1989 il celebrato ritrattista trevisano Benè (Cesare Benedetti 1920-2002) con i noti ritratti di Papa Wojtyła, dei Principi Grimaldi e Grace Kelly di Monaco.Con l’assegnazione nel 2000 del collaudato polo espositivo, eccellenza assoluta dell’intera Marca e non solo, alla Fondazione Cassamarca, la guida sicura e lungimirante dell’on.le dino de Poli, originale ideatore del rinato umanesimo Latino, esportato anche oltreoceano, compie un autentico spicco d’ali superando l’orizzonte regionale e inaugurando così la felice stagione della pittura d’oltralpe con sei mostre (1999 - 2003) dedicate all’impressionismo e curate da Marco Goldin, un giovane critico colto e geniale, con la sua “Linea d’ombra”:Da Van Gogh a Bacon - Da Cézanne a Mondrian

- La nascita dell’Impressionismo - Monet, i luoghi della pittura - L’Impressionismo e l’età di Van Gogh - L’oro e l’azzurro, i colori del Sud. Da Cezanne a Bonnard. treviso sembrava uscire dal ghetto di fiorente cittadina di provincia e lanciata nel turbine delle mostre kermesse da metropoli interregionale. un battesimo coi fiocchi la cui fortunata impresa mediatica ebbe e mantiene ancor oggi echi di vera attrazione artistica, tale da meritare l’appellativo di “treviso città d’Arte”. dal 2004 la Presidenza della Fondazione Cassamarca e la direzione di Ca’ dei Carraresi, con l’intraprendente signora Patrizia verducci, acquisito un notevole know out con positivi riflessi sul mondo culturale cittadino e una forte risonanza nazionale specialmente per quanto attiene all’offerta turistica, danno vita principalmente a un progetto di mostre-evento a cadenza biennale sull’antica cultura e arte della Cina ‘La Via della Seta e la Civiltà Cinese’ (prestigioso esempio, pressoché unico in italia/europa), precedute e alternate a un ciclo di mostre d’Arte veneta, affidate alla famiglia di antiquari trevigiani Brunello, enrico padre, coadiuvato dal figlio dr. Andrea con la nuova società organizzativa “Artematica ‘diamo valore all’arte’”. il ciclo sulla Cina è stato affidato alla cura del giornalista e scrittore appassionato, uno dei massimi esperti della cultura del continente giallo, Adriano Màdaro, con il supporto organizzativo della società Sigillum treviso. in questo scenario si inseriscono nel 2009 alcune esposizioni monografiche a cura di Maurizio Pradella, curatore mostre di “Arteficiolinea”, nuova associazione promotrice e organizzatrice di eventi d’arte (pres. arch. v. Ciccarello), emanazione dell’Accademia Ponzanese Antonino Pizzolon (1986). ecco la sequenza: • L’Ottocento Veneto - Il trionfo del colore (coordinata da e. Brunello, curata da G. Pavanello e Nico Stringa) • Cina - La nascita del Celeste Impero (curata da

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A. Madaro)• Venezia Novecento - Da Boccioni a Vedova (coordinata da A. Brunello, curata da G. Pavanello e Nico Stringa) • Cina - Gengis Khan e il Tesoro dei Mongoli (curata da A. Madaro) • Canaletto - Venezia e i suoi splendori (coordinata da A. Brunello, curata da G. Pavanello e A. Craievich)• Paolo Baratella: costanti e variabili (curata da M. Pradella) • Cina - I Segreti della Città Proibita. Matteo Ricci alla corte dei Ming (curata da A. Madaro) • Il pittore e la modella. Da Canova a Picasso (Fondazione Cassamarca con la cura di Nico Stringa)• Cina - Manciù, l’ultimo Imperatore (curata da A. Madaro).

A quest’ultima si affiancano:• Il Genio del Novecento - Eugenio Carmi. Il teorema di Pitagora (curata da M. Pradella)• Il Genio del Novecento - Celiberti. Affreschi Rivelati (curata da M. Pradella)

• Tibet - Tesori dal tetto del mondo (curata da A. Madaro)• Ciclo di 3 mostre sull’india affidate sempre a Madaro.

rimane rilevante la riuscita dell’ottima mostra di Baratella nel maggio 2009, autore di altissimo riconosciuto valore, che M. Pradella con felice intuito portò dalla cortese Lucca alla gioiosa Marca. Circa 150 opere dipinte su tela, alcune di grandi dimensioni, una lunga fino a 23 metri. Grande risonanza sia per il pubblico normale e di collezionisti estimatori accorso numeroso a vedere un maestro formatosi nei tempestosi tempi dei fragorosi Anni Sessanta, sia per la meritata fama che Baratella si conquistò immergendosi tra le inquietudini del cuore dell’europa e tra le molteplici sperimentazioni d’America. Quattromila e più visitors! Mostra d’eccellenza, patrocinata dagli enti istituzionali, con prezioso catalogo (tre saggi critici di v. Fagone, F. Gallo, P. Pizzolon e ricca galleria di foto a colori). Presentazione di elena Gagno.

arte Paradigma est di daniele d’Anza - Matteo Gardonio - venezia, Fondazione Giorgio Cini

Nel presentare la mostra di artisti giuliani tenutasi a roma nel 1940, umbro Apollonio, dalle pagine di emporium, ricordava come questa regione, pur non vantando “una tradizione spiccata e secolare, può sempre però andar fiera di alcune personalità di primo piano date alle lettere e alle arti”, precisando l’esistenza di “un movimento atto a portare il suo contributo non trascurabile a quel fervore di attività con cui l’arte moderna va tentando la sua nuova forma d’essere”. Sono trascorsi più di settant’anni dalla mostra romana, e diversi terremoti hanno scosso quelle terre, non solo quello tremendo del 1976, ma anche e soprattutto quello tutto ‘irascibile’ e positivo portato dai Basaldella, Zigaina, Pizzinato al mondo dell’arte contemporanea.Gli artisti che espongono a Ca’ dei Carraresi a treviso da quelle scosse hanno tratto beneficio e trieste e udine, finalmente insieme, appaiono protese in un ideale abbraccio verso Klagenfurt e Lubiana; accompagnate in questo cammino dallo sguardo benevolo del più grande veneto, per una macroarea che ha nelle arti figurative la forma comunicativa per eccellenza. enea Chersicola e Franco rosso, curatori di questa rassegna, indicano una linea di raccordo ‘barbara’, che idealmente unisce trieste e Berlino. L’arte, sopra ogni cortina di ferro, ogni separazione immaginaria o fisica, si esprime quindi in una piccola regione, la cui particolare sistemazione geografica, la pone al centro di terre culturamente diverse, come un luccicante diamante nel castone.i riflessi di quel diamante giungono oggi a treviso con Franca Batich, il cui lavoro è stato di recente oggetto di una tesi di laurea discussa presso l’ateneo triestino. Batich prosegue il suo cammino in una dimensione allusiva e spirituale del colore, non dissimile dalle armoniche trattazioni di un Afro; al pari del grande friulano, il contatto con l’arte statunitense è risultato importante per la scoperta della libertà, per togliere quel tanto di intellettualismo e spingere la ricerca verso una

più profonda ripresa della figurazione allegorica, vissuta in termini meno scoperti. in tutt’altra direzione si spinge la ricerca di Patrizia Bigarella, che avrebbe certo entusiasmato l’appena scomparso Alberto Abate, tra i maestri indiscussi della pittura anacronista, nata negli anni settanta in aperta polemica contro un astrattismo anarchico, più di moda che sentito. Colpisce, nel lavoro di Bigarella, la sensazione dell’attesa, archetipo di una condizione eterna; similmente raffaella Busdon, una sorta di archeologa dell’immagine, fa dello sgretolamento – sia formale che temporale – il punto di forza della propria opera.Madre cinese e padre triestino, Qing Yue rappresenta quella trieste in cui germogliano intrecci culturali e che vede in Leonor Fini, madre triestina e padre argentino, il precedente forse più calzante. il risultato in Yue è un atteggiamento di rispetto tra il suo portato orientale e l’europeismo più pop.Claudio Palcic, che già avevamo apprezzato alla Biennale diffusa per una forza non comune di segno, condivide l’assunto che un dipinto è “fatto per gli occhi”. Non è un caso, quindi, che astrazione, figurazione e un graffitismo spesso violento, convivano nelle sue opere.L’informale di ascendenza americana trova un degno rappresentante in tullio Sila, la cui produzione scaturisce dall’esperienza dell’action painting. Pollock e Gorky, ma anche Motherwell e Newman: Sila li conosce benissimo, come fossero spiriti presenti nel suo studio, ma pare conoscere molto bene anche ciò che Hartung con il segno e il Gruppo Cobra con il colore hanno lasciato al percorso dell’arte occidentale.Le raffinate sculture di elena Faleschini emanano il fascino di un mondo parallelo mitologico, non dissimile da quello che von Stuck vedeva attorno a se in riva all’isar; e anche per Faleschini, amazzoni e centauri assurgono al ruolo di protagonisti. differente la visione di Marina Legovini, che

Casa dei Carraresi, veduta esterna ed interna

Casa dei Carraresi, Paolo Baratella: costanti e variabili, mostra antologica, maggio 2009

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risaCChe di frontieradi enea CHerSiCoLA: Co-curatore

il lavoro che ho condotto nei mesi che hanno preceduto la mostra ha avuto il potere di definirmi, assieme a Franco rosso, come curatore. tuttavia mi rendo conto solo ora di quanto sia inappropriata questa etichetta: mi riconosco senza ombra di dubbio come uno tra coloro che sono e saranno stati curati. Sarà opportuno, e sia chiaro non per malizia, determinare il campo linguistico in cui mi muovo in questo testo, al fine di non suscitare equivoci. Sarà più volte presa in considerazione l’arte che ha le sue radici etimologiche nella radice ariana -ar. tale radice ha in sé il significato del muoversi, andare verso; in questo senso la domanda che rivolgo in maniera velatamente provocatoria è: delle opere appese a delle pareti, immobili per giorni, sono arte?La prima volta che vissi l’esperienza della cura fu attraverso le opere di Jean-Michel Basquiat nel 1999. ero giovane e non avevo mai provato prima l’impeto travolgente di un’opera d’arte. Appena entrato nel museo venni travolto da un vigore inaspettato; l’opera del graffitista americano mi rivelò che ciò che avevo visto fino a quel momento in numerosissime opere appese alle pareti di altrettante sale espositive, non era ancora arte. Non perché le opere in sé non lo fossero state, ma perché nel sottile meccanismo di reciproca responsabilità tra l’artista e l’osservatore, qualcosa era venuto meno.imparai in questo modo che se volevo adoperare le opere d’arte in maniera efficace, dovevo essere disposto a farmi travolgere da quel portentoso richiamo. Questo richiamo è l’inizio di quel processo di cura che l’opera d’arte offre al suo fruitore. il processo di cura è, a mio avviso, costituito da un viaggio che l’osservatore può condurre nell’opera imparando a vedere il mondo con altri occhi.Sfuggendo l’esibizionismo che celebra la vanità o che consuma l’arte sui banchi di un mercato

smoderato, l’osservatore può, essendo cosciente della sua posizione, innescare un movimento verso quell’opera che, se rispetta essa stessa i suoi oneri, conduce ad un viaggio verso mille universi.Nello specifico la rassegna Arte Paradigma est (illuminata intuizione dell’amico Franco rosso) è una mostra nella quale vengono presentati artisti di vario genere che sono accumunati da uno scenario culturale simile che permette loro di far dialogare le opere su di un orizzonte ancora da definire.L’area geografica nella quale operano gli artisti presenti a Casa dei Carraresi è, tra le altre cose, una terra di confine. Per questioni storiche è necessario che il concetto di confine non venga sottovalutato, in particolar modo in questo caso.uno degli elementi che caratterizza l’abitare un territorio di confine è la prossimità. Prossimità al diverso. Parlare della vecchia cortina di ferro non è come parlare di un confine in senso astratto. Per evidenti questioni storiche questo è un confine del tutto particolare essendo che il suo posizionamento è stato violentemente forzato.Frederick J. turner alla fine del XiX secolo scriveva che la frontiera «è il versante esterno dell’onda, il punto di incontro tra civiltà e barbarie». turner con questa metafora vuole porre l’attenzione sul fatto che la frontiera, ad ogni modo, è il risultato di una pressione portata da una società verso una altra e limitrofa che oppone resistenza e che di conseguenza produce una realtà estremamente mobile quale l’onda.La storia vissuta dal Friuli venezia Giulia nell’immediato dopoguerra è fatta di violenze e lacerazioni. Le frontiere vennero poste con la forza senza rispettare i confini umani.Quello che accadde non fu altro che il violento infrangersi dell’onda che, con la conseguente risacca, caoticamente capovolge l’azione di spinta e si rivolge al lato opposto. L’onda si rompe si infrange e si perde. in uno scenario dove l’esercizio all’interculturalità

nell’abbandono di qualsiasi eleganza estetica a vantaggio d’una severa, a tratti implacabile, riflessione sul corpo femminile, sembra vicina, nella trattazione formale, a Marlene dumas, in una dimensione ancora pittorica e non del tutto violentata come in Jenny Saville.Bruno Chersicla ha trovato da tempo il proprio linguaggio; non era facile tenere il gioco, la vita e la morte avvinti in un assunto artistico, ma Chersicla ci è riuscito. Le sue creazioni prevedono una partecipazione, una modificazione e poi il ritorno all’origine, in un eterno moto circolare. diverso appare l’effetto della metafisica di Fabio degrassi, in cui l’accento lirico è posto sulla trasfigurata visione di trieste e del suo golfo entro la silhouette di quel Municipio; in tal modo egli si qualifica erede della tradizione surrealista. ennio Cervi ama la materia. La sua trattazione ha il sapore ‘dell’affresco’ – ma inteso diversamente dal ricordo alla Celiberti o dalla figurazione alla Balthus – dove pare emergere anche la quarta dimensione, quella dell’olfatto. Anna de Corato totti, invece, sembra instaurare un dialogo estetico con Alberto Burri, sebbene sembri apprezzare anche certe intuizioni cromatiche alla rauschenber.il segno di egle Ciacchi si presenta vorticoso, disteso in una cromia d’impatto espressionista, giungendo così a un risultato ispano-tedesco mai scontato; e proprio dalla matrice tedesca sembra fuoriuscire l’autodidatta Adriana itri, che nel suo affastellamento cromatico sviluppa le premesse impostate da Grosz in The City della thyssen Bornemisza.L’elegante rigore costruttivista di Franco rosso, coerente e tenace, ci porta in una dimensione lirica e al contempo misteriosa, che si stende in melodiose forme archetipiche e la rigorosa impostazione cromatica sembra riflettere una condizione dualistica dell’esistenza. Anche la pittura di Gabriella Calsolaro promana melodie, ma qui la precedente congruenza armonica si

converte in ritmi tribali, resi moderni dal jazz e dal rock. A esiti diversi giunge Katia Gori, la cui pittura, a tratti lacerante, pare riscattata da un senso lunare della stesura del pigmento, che induce a una positiva sensazione di momentaneo conforto, come il passaggio delle stagioni. Pietro ronzat, dal canto suo, ‘simpatizza’ con Appel e vedova facendo del colore un linguaggio anche duro, ma immediato e senza fronzoli.Le opere di Claudia raza sembrano celare risultati alchemici, incisioni ancestrali che rinviano a una dimensione ‘mesopotamica’. enea Chersicola, tra i più giovani del gruppo, tiene il passo dei maestri più maturi scegliendo con estrema attenzione gli accenti cromatici in uno spazio scarno e opportunamente ‘sporcato’ da un tratto impetuoso.Particolari suggestioni evoca l’opera di Patrizia delbello, capace di generare immagini intense e fugaci, come su di una battigia in riva al mare, mentre Fabio Fonda, attraverso una ricerca anche tecnologia, porta la pittura a un senso tattile, metallico e tagliente, espresso in tonalità raggelate, che conoscono momenti di calore.Chiude idealmente la rassegna Mattia Sinigaglia con visioni di trapasso crepuscolare, scaturite dall’inizio o dalla fine di una giornata, di un’epoca o di un’emozione, sempre comunque immerse in uno spazio pittorico.

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divenne quotidiano, un’invisibile avanguardia, composta anche da artisti, si fece insieme incarnazione di civiltà e barbaria.Lo scenario culturale ereditato dalle generazioni successive di artisti è particolarmente pesante ma la grande produzione creativa presente in regione, si fa spettro di uno spazio entro cui gli artisti hanno imparato a muoversi. Prima che qualsiasi confine venisse sospeso tra italia ed ex-Jogoslavia, artisti di entrambi i paesi avevano già imparato a vivere senza frontiere. in questo lungimirante scenario continuano oggi a vivere gli artisti di questa regione e nelle pieghe poetiche di Arte Paradigma est l’osservatore può compiere un viaggio attraverso quella tradizione intravedendo in queste opere quello che ha ancora da venire.

CataLogo

Casa dei Carraresi, Paolo Baratella: costanti e variabili, mostra antologica, maggio 2009

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Franca Batich, nata e attiva a trieste, si forma artisticamente avendo per maestri Alice Psacaropulo, Giovanni Giordani e Frida de reja, per poi intraprendere alcuni viaggi formativi in italia, Grecia, Germania, Austria e Jugoslavia. All’ inizio degli anni ’80 intraprende l’attività di gallerista e contemporaneamente inizia ad esporre sviluppando nel tempo un intenso calendario di Mostre personali e collettive in italia e all’estero. Negli ultimissimi anni è stata protagonista di importanti rassegne a venezia, trieste, torino, Parigi e negli uSA e il suo lavoro è stato oggetto di una tesi di laurea presso l’università degli Studi di trieste. La sua pittura intrattiene un

rapporto allusivo con gli elementi della realtà piegandoli alle proprie esigenze espressive in un dialogo denso di spiritualità, costruito con colori intensi e intrecci di tarsie cromatiche e calligrafiche. Nel ciclo degli “orizzonti” la Batich interpreta cieli e tramonti con tonalità del colore rosso che li trasforma in tizzoni ardenti in grado di evocare intensità, religiosità, eros e sacralità. il tutto ordinato in un rigore geometrico che a sua volta rimanda all’aurora, alla passione, a quel senso del vivere e del perire, dimostrando ancora una volta che arte e poesia sono sogni: ma ricordando anche che non bisogna perdersi nel sogno, ma bisogna bensì saperlo dominare. (Fr)

artisti Presenti in CataLogo

Franca Batich

Patrizia Bigarella

raffaella Busdon

Gabriella Calsolaro

ennio Cervi

Bruno Chersicla

enea Chersicola

odilia egle Ciacchi

Anna de Corato totti

Franco degrassi

Patrizia delbello

elena Faleschini

Fabio Fonda

Katia Gori

Adriana itri

Marina Legovini

Claudio Palcic

Qing Yue

Claudia raza

Pietro ronzat

Franco rosso

tullio Sila

Mattia Sinigaglia

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raffaella Busdon, docente di figura, ritratto e nudo in alcune qualificate Accademie, è pure specialista in tecniche dello sviluppo creativo e ha tenuto molti corsi sulle funzioni terapeutiche dell’arte. diplomata all’Accademia di Belle Arti di venezia, ha subito avviato una attività espositiva che l’ha vista protagonista poco in italia e molto all’estero: Austria, Germania, Croazia, Bosnia, Slovenia, Spagna e Svizzera. La cifra distintiva della Busdon è rappresentata dalla grande capacità disegnativa che le ha permesso colte riflessioni e approfonditi lavori ispirati dal mito della bellezza, intesa nel senso classico del termine. Nasce così

una pittura di grande formato, tutta in bianco e nero, dove il bianco non viene usato ma risulta per sottrazione di oscurità al nero. Protagonisti i grandi miti, icaro, Hermes, il labirinto come il cuore, e sempre con la mente tesa ad interrogarsi sul senso delle cose e alla ricerca della giusta via al principio stesso della vita. Grande disegnatrice e interessante scultrice, la Busdon presenta in questa rassegna una splendida scultura che -ispirandosi ad Hermes- visualizza la dualità di un volto, sdoppiandolo in due parti che evocano le ali di una colomba sospesa: la conferma del continuo cercare, scavare, del rincorrere un senso nell’assoluto. (Fr)

il lavoro artistico di Patrizia Bigarella potrebbe essere sintetizzato con le espressioni: curiosità intellettuale; rigore esecutivo; ricerca culturale; contemporaneità sociale sul piano del messaggio. Agli inizi della sua carriera artistica, affidava al movimento fauve e all’espressionismo austriaco, il ruolo di fonte ispiratrice per creare un linguaggio pittorico dalle soluzioni stilistiche perentorie e dalla tavolozza cromatica accesa, e il messaggio era chiaro: strappare i veli dell’ipocrisia per affermare la verità, attraverso le figure umane. Poi tecnica e studio, impegno e ricerca: la scala cromatica si affina, i fondali dei quadri si svuotano per ricordarci che ogni

presenza potrebbe scomparire per sempre, inizia l’inseguimento al meraviglioso senza la presunzione di volerlo raggiungere. recentemente con “La buona novella” Patrizia Bigarella inizia la realizzazione di un’opera-sommatoria di pittura, scultura e incisione, con una declinazione polimaterica e polisensoriale. Per raccontare la vita di Maria, con un approccio schiettamente umano e profano. Alla base uno studio accurato dei vangeli Apocrifi e l’impostazione della loro interpretazione attraverso visualizzazioni con tecniche diverse, per riproporre oggi un testo leggendario che già aveva stregato Fabrizio de Andrè. (Fr)

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ennio Cervi, rinomato architetto triestino, è un pittore che intraprende una ricerca quasi tematica: singoli elementi hanno costituito l’oggetto di ricerche durate diversi anni. Prima a segnare la poetica creativa dell’artista triestino è stata la figura del toro che l’autore ha analizzato seguendo un percorso distante dal colore e legato di più all’analisi grafica; tra gli altri argomenti analizzati, i più significativi sono i fossili, che danno inizio alla ricerca pittorica; gli ittio-grammi, dove il gesto pittorico diventa il protagonista; questi si trasformano successivamente in turbinii caotici costituiti da rapidi gesti, come ad esempio l’opera presentata in questo catalogo. Ciò che colpisce maggiormente in queste tecniche miste è il solido equilibrio tra

masse vuote e piene che vanno a creare linee di forza tipiche di uno studio architettonico. Sotto la superficie pittorica i graffi sulla tavola e i segni di un lavoro precedente portano in trasparenza la formazione caratterizzante di ennio Cervi. L’orientamento fortemente orizzontale di queste tavole, proietta l’osservatore in una dimensione di mondo abituale e abitato, dove le linee si trasformano in elementi orientativi accoglienti. Gli studi architettonici trapelano e si trasformano in forme ben piantate sull’opera che si presenta al pubblico non come opera-spettacolo, ma come opera da vivere nelle sue più flebili sfumature. (eC)

Gabriella Calsolaro, triestina di nascita, non vuole e non può nascondere la sua attrazione per la musica che esonda nelle sue opere, come in quelle esposte a treviso. La tela non basta e la necessità di ampliarne gli spazi è evidente e fa tutt’uno con lo straripare dei suoni che non si possono stringere in uno spazio bidimensionale. Kandisnky, mettendo in parallelo musica e colori e chiamando i suoi quadri “composizioni”, come fossero opere musicali, proponeva una coniugazione di colori, a tratti creanti ripercussioni sulla sesibilità umana, simili a quelle prodotte dalla musica. in queste opere non udiamo suoni, ma li possiamo comunque ascoltare. un viaggio immerso nel tempo, nel sentore

delle sequenzialità di un pentagramma, nascosto nei colori e nelle fugaci scene, si scandisce un racconto del rapporto tra l’umano e la musica da lui prodotta. una musica dionisiaca di nietzchana memoria che batte sotto il mondo steso dall’uomo. da lì ribolle e soggiace sorridendo perché conscia che mai e poi mai potrà esser da noi delusa. Nel jazz, che sconquassa il sistema con tecnica e improvvisazione, si ristabilisce quella segreta vicinanza, tra tecnicismo e trasporto naturale, che trova spazio ovunque ci sia l’uomo, dando vita alla terra anche dove ormai c’è solo cemento. il lavoro dell’uomo sulla musica che lavora sull’uomo. (eZ)

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enea Chersicola, pittore, è in questo caso anche co-curatore di questa mostra. Se gli chiedessimo di raccontarci i soggetti delle sue opere, ne risulterebbe certamente una visione soggettiva e affascinante di come il cacciatore è nato, dei luoghi che lo hanno visto crescere, dell’emozione che circonda la sua azione e la sua interazione con l’autore stesso. tuttavia questa confidenza è, a parer mio, inappropriata: solo l’artista conosce l’origine dell’opera e cela nell’intimo la sua essenza. Questo non significa affatto che il pittore si posizioni a distanza e in maniera ermetica rispetto all’osservatore che si avvicina alla sua arte; tutt’altro: le ombre scure che

avvolgono il cacciatore e più in generale la trasfigurazione dei soggetti di Chersicola devono essere letti come l’implicito silenzio dell’autore che diventa invito per tutti coloro che decidono di affrontare l’opera in prima persona. un silenzio, dunque, che fa spazio allo sguardo altrui il quale ha in sé la potenzialità di far scaturire una propria percezione, una propria personale interpretazione che mai sarebbe esistita se l’artista avesse posto un vincolo di lettura. di fronte alle tecniche miste di Chersicola ognuno si senta libero di emozionarsi in maniera diversa da chiunque altro, di intravedere insoliti immaginari, di entrare senza timori in mondi differenti. (CS)

L’opera di Bruno Chersicla si misura, a mio avviso con i grandi temi dell’arte contemporanea; questo la rende un’espressione di grande respiro artistico ed intellettuale. Le sculture dell’artista triestino ritraggono spesso figure umane, nel caso di questa rassegna le opere presentate sono tutte dedicate al soggetto umano.Queste strutture, che si presentano come organismi costruiti in modo da richiamare un calcolo scientifico del corpo, sono studiate per compiere una scomposizione in forme geometriche indefinibili. L’uomo ritratto da Chersicla incarna il soggetto che prende coscienza della relatività del sapere

scientifico e si fa il luogo che accoglie quegli eterni che non sono più indiscutibili. La teoria della relatività e il principio di indeterminazione modificano gli orizzonti epistemici e modificano l’uomo in quanto partecipe di questi orizzonti; egli stesso diviene quell’eterno al quale i nuovi orizzonti si affacciano. La scomposizione della forma “corpo” e l’assunzione di forme indefinibili fa dell’opera dell’artista triestino il sepolcro del corpo come costruzione dell’umano, costruzione convenzionale, e lacerando i vincoli culturalmente costruiti conosce la sua forma eterna. (eC)

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Anna de Corato totti è un’artista che ha dedicato un’ampia parte della sua ricerca al concetto del recupero. il procedimento creativo dell’autrice friulana ha inizio ben prima del lavoro vero e proprio eseguito sulla tela: l’origine dell’opera è costituita inizialmente da una paziente ricerca dei materiali da adoperare. Spesso si tratta di oggetti reperiti da qualche rigattiere o antiquario, altre volte si tratta di tele antiche e logorate dal tempo che l’autrice scova nelle bancarelle dei mercatini e che attraverso un processo di pittura e restauro riconsegna al

vigore di un gesto pittorico vivace.i soggetti rappresentati sono talvolta paesaggi, talvolta guerrieri; nei paesaggi l’autrice crea atmosfere attraenti fatte di scorci architettonici ricavati dal ritaglio di diversi materiali. La suggestione che questi scorci creano è l’elemento caratterizzante di queste opere. Nel ciclo di guerrieri, invece, l’autrice cura un’analisi del soggetto attraverso i suoi lati più coriacei; fibbie, perni, cerniere sono alcuni degli oggetti che de Corato recupera per comporre l’allegorica armatura dei suoi personaggi.

odilia egle Ciacchi è un’artista che vive in un tempo estraneo ai ritmi di vita cui siamo quotidianamente abituati. Le sue opere si presentano, attraverso un virtuoso gesto pittorico, come frammenti ancestrali che l’autrice triestina sente vigorosamente presenti nella sua vita. i profumi dei boschi, le luci della sua terra d’origine, i racconti di uomini antichi, la durezza della pietra istriana si traducono in una sapiente commistione di tecniche che lasciano trapelare paesaggi onirici. L’autrice riconosce, in maniera vivida, differenti aspetti di sé che collaborano alla costruzione di queste opere attraverso un fitto intreccio di ricordi, conoscenze e fuga

dalle sovrastrutture culturali. egle Ciacchi è un esempio di come il punto di vista dell’artista può capovolgere la struttura del reale nella sua più chiara apparenza, di come questo può essere ricostruito con simboli che non hanno nulla a che vedere con la struttura omologante che intrappola l’autore in un gioco di finzioni e compiacenze.C’è insomma un’assonanza con il pensiero di Willem de Kooning quando egli dichiarava: “io sono il punto in cui l’oggetto diventa un’altra cosa”; in egle Ciacchi c’è questa coscienza che la rende a tratti sfuggente non considerandosi mai autrice ma sempre interprete di una trascendenza. (eC)

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Patrizia delbello, prima di iniziare ad esporre nel 1993, ha elaborato autonomamente un suo qualificato percorso di formazione attraverso la frequentazione di laboratori d’arte e approfondendo le tecniche dell’incisione e della ceramica. L’approdo è rappresentato da un originale linguaggio espressivo che coniuga rimandi new dada e di arte povera, per sviluppare collage con vari materiali, ma nei quali il ruolo principale è spesso assunto dai tessuti. un’appropriazione di materiali semplici con tecniche d’assemblaggio semplici, per declinare con una ironia giocosa, ludica e scanzonatamente dolce una contestazione nei confronti della società di

massa e massificante, puntando il dito sulle contraddizioni del mondo contemporaneo. La delbello diventa artista-alchimista, lavora sull’essenza dei materiali usati o riciclati, per scoprirne nuove esaltazioni, inventando nuove valenze magnificanti e meraviglianti, puntando ad una dilatazione del sensibile, per riscattare l’arte dal banale concetto di manufatto privilegiato e assegnarle il ruolo stimolante di perpetua verifica del grado di esistenza mentale e fisica, invitando il fruitore ad esercitare il suo diritto di interpretare il mondo e di utilizzarlo con libertà, andando oltre il processo di elaborazione delle cose, puntando a manipolarne e cambiarne il significato. (Fr)

Franco degrassi è un artista con una lunga carriera alle spalle da incisore. dopo aver appreso e personalizzato il metodo della acquatinta, l’autore triestino ha tenuto una stretta collaborazione con la galleria Cartesius per diversi anni. trovando nella scuola incisoria triestina figure significative che hanno fatto da faro guida per il suo lavoro, in tempi più recenti Franco degrassi si è dedicato in maniera decisa alla pittura. Proseguendo il suo percorso, l’artista triestino ha declinato una poetica molto personale supportata da una grande costanza e da un lungo studio del metodo esecutivo. il risultato è un insieme di opere caratterizzate da una tecnica mista molto personalizzata e complessa.

il riferimento a se stesso e al proprio posizionamento nel mondo è un punto costante nell’opera di Franco degrassi, oggetti personali, riferimenti simbolici intimi, eroi della propria storia sono alcuni degli elementi che dalla vita fisica si trasportano nell’opera. in modo specifico un triestino qualunque ritrae l’autore - nelle sembianze di una pedina - su di una scacchiera al centro di Piazza unità d’italia, simbolo triestino. Lo stupore per lo scenario che gli si staglia di fronte permette all’instabile pedina di scacciare tutti gli attori forti da un palcoscenico fatto di strategie, inganni e contromosse, prendendosi il suo momento di presenza al mondo. (eC)

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Fabio Fonda presenta a questa mostra due opere che si sono sviluppate attraverso un processo iniziato con la produzione pittorica, passato attraverso la gestione dell’immagine digitalizzata, conclusosi con la trasformazione di questa in arazzi. Chiarire il meccanismo è fondamentale al fine di presentare l’opera dell’artista triestino. L’autore dà inizio all’azione creativa attraverso armoniosi gesti pittorici realizzati in tecnica mista; da qui inizia un processo di alterazione dell’immagine dipinta attraverso un disciplinato criterio legato alla grafica digitale. una volta che l’opera è stampata su tela, questa viene affidata alle sapienti mani di

Anita Normani che ne realizzerà un arazzo.Fabio Fonda è cristallino nel definire queste opere “ibride”. Sembra chiaro che l’autore voglia far riferimento alla doppia natura (pittorica - digitale) dell’opera, tuttavia questo suggerimento mi porta ad approfondire l’analisi di queste composizioni in maniera forse inaspettata. ibrido ha la sua origine etimologica in ýbris (tracotanza). essa esprime un concetto molto caro alla mitologia greca: la perdita della giusta misura. in questo senso l’ibridismo di queste opere è un invito a perdere per un attimo la giusta misura affidandosi a quanto di sovraumano esse offrano. (eC)

elena Faleschini articola la sua poetica scultorea in maniera complessa affrontando la peculiarità di diverse tipologie di materiali. Legno, creta, ceramica e marmo vengono padroneggiati senza alcuno sforzo. Le sculture presenti a questa rassegna analizzano il corpo, del quale l’autrice scova l’armonia comprendendo il nesso che esiste tra rappresentazione e materia. Pur essendo sculture molto coerenti, a ciascun materiale sono assegnati attributi differenti: il marmo rivela corpi di grande solidità, le fusioni in bronzo svelano plasticità imprevedibili, mentre l’armonia offerta dal legno si presenta nella sua maestosa eleganza, in particolar modo nel ciclo de le amazzoni.

Le guerriere di elena Faleschini sfidano la femminilità prosperosa delle amazzoni del rubens, addentrandosi nelle pieghe della rappresentazione classica dell’ amazzonomachia del mausoleo di Alicarnasso. restando pur sempre femminili, le sculture dell’autrice friulana propongono una versione erculea di questa figura mitologica. Le gambe modellate in maniera possente offrono l’aspetto più veemente dell’amazzone, mentre le sculture lignee ne fanno emergere i caratteri più aggraziati. Queste opere colpiscono per l’eleganza e per l’armonia che sintetizza le loro forme proponendole in una dimensione ideale e misteriosa. (eC)

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Adriana itri, triestina, autodidatta con un accurato processo di formazione e con una qualificata attività espositiva, si esprime attraverso le tre basi della rivelazione del mondo attraverso la pittura: luce, colore e spazio. e lo fa realizzando una sorta di rivalutazione dell’astrazione, attribuendo alle figure abbozzate un tratto che sottolinea il gioco ottico che intercorre tra gli spazi, con un approccio gestuale attraverso l’uso dei colori come materia e come forma, consegnando all’opera il ruolo di risonanza emotiva, quasi una istantanea della personalità dell’artista, un frammento della sua psiche, e lasciando che l’inconscio si espanda liberamente prendendo spunti

da emozioni vissute. tant’è che i quadri della itri propongono due realtà: quella fisica percepita dai sensi e quella spirituale, creata emotivamente ed intellettualmente dalle risorse della mente. La prima è quella percepita dalla vista, la seconda è quella che indaga nel segreto esistenziale, nella storia di ricordi, meditazioni e sentimenti. il gesto pittorico diventa confessione, rivelazione di un patrimonio di memorie, suggestioni, delusioni, opinioni, errori e terrori: storie di slanci, di meditazioni e di conflitti. La itri ci ricorda che un dipinto non è fatto solo di colori e di pittura, forse è fatto più dalle cose, dai pensieri, dai ricordi e dalle sensazioni. (Fr)

Katia Gori presenta a questa rassegna un’opera di grandi dimensioni realizzata in tecnica mista su tela. La produzione nella quale rientra l’opera Nuovi paradigmi, nuovi orizzonti è caratterizzata da un particolare legame tra veemenza espressiva e delicatezza stilistica. il bianco, che sembra costituire una sorta di patto tra i soggetti dell’opera, è l’elemento che contraddistingue queste tele.risulta molto suggestivo lo scenario che questo trittico suggerisce, l’allusività dell’opera mi porta alla mente le parole di Hermann Hesse: «e’ sempre stranamente toccante vedere come la nebbia separi tutto ciò che è vicino e apparentemente affine, come avvolga ogni

cosa rendendola ineluttabilmente sola». Le parole del letterato tedesco suggeriscono una chiave di lettura al suggerimento che Gori offre con il titolo dell’opera. Supponiamo di conoscere tutti i dintorni a memoria dei luoghi che abitiamo, ma un filo di foschia ha il potere di modificare i lineamenti di qualsiasi paesaggio. Ci scopriamo stupiti da quell’albero che non è più al suo posto o da quanto sia basso il muro laggiù in fondo. dipanare questa bruma significa scoprire nuovi paradigmi e scorgere nuovi orizzonti, ma la nebbia può non essere sempre un elemento contestuale del paesaggio, bensì una struttura insita nell’uomo. (eC)

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Qing Yue (Luna Chiara), pittrice e fotografa, è nata a Macau da madre cinese e padre triestino: ha vissuto ad Hong Kong, a Mumbai e a trieste, dove attualmente svolge l’attività di operatrice culturale in una organizzazione delle Nazioni unite. Collabora con Accademie d’arte in Austria, Germania, Slovenia ed ha esposto in numerose rassegne personali e collettive in italia e all’estero. realizza le sue opere con la tecnica della linoleografia, spesso coniugando fotografia e pittura. Si esprime anche attraverso performance con sfilate di modelle che diventano “opere temporanee-contemporanee” con la pelle dipinta con

i suoi tipici soggetti arcaici cinesi che rappresentano la fugacità del vivere ma anche la speranza sprigionata dall’energia del cambiamento. La condizione femminile rimane uno dei suoi tipici temi di indagine: sia quando, attraverso opere fotografiche che riproducono modelle che indossano il burqa propone le emozioni della felicità, della paura, della tristezza, del coraggio, della sottomissione e della forza; sia quando con altre interpretazioni sembra ricordarci come l’occidente evoluto e moderno nasconda una parità uomo-donna ancora da realizzare compiutamente sul piano della vera parità dei punti di partenza e sul fronte del rispetto e della tolleranza per la diversità. (Fr)

Nelle opere di Marina Legovini appare un simbolismo che odora di espressionismo tedesco e surrealismo. La pittrice isontina inscena corpi ricchi di movenze imprigionate in una tensione staticamente dinamica quasi rassegnata. Nel Decollato il corpo femminile, dai toni chiari, avvolto da un’oscurità sin troppo palpabile fa da sfondo ad una sensualità non libera, candida e animale, che chiede spazio per esporsi, ricordando alcune opere di Marlene dumas. Sensualità che chiede vendetta, però, senza una propria identità, senza un viso. Giuditta e Salomè rinascimentali che, sicure della propria sessualità, decapitano l’uomo e il suo gioco maschilista, liberandosi delle

convenzioni sociali, rappresentano l’altro lato della medaglia di un femminismo che non decolla, se non in maniera impersonale e celata. L’angoscia esistenziale fusa con una psicoanalisi “Cogito ergo sum” dà vita ad una rivolta estrema a quel pensiero e cervello che sminuisce il corpo e le sue travolgenti necessità. L’eterno rappresentante dell’umano esistere fa i conti con la testa, colpevole e innocente di desiderare e placare, volere e ascoltare. e’ il corpo che memorizza sin troppo e necessita di liberarsi da un groviglio di pensieri che si stritolano a vicenda, imprigionando il poter essere quello che siamo, in una rivolta che sembrano aver già gridato. (eC)

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Claudia raza, pittrice, grafica e poeta traduce nell’astrazione grafica i motivi di una eleganza spirituale, rovesciando il tradizionale concetto di pittura come arte della rappresentazione visiva, attraverso un nuovo inventario che crea una rincorsa tra arte visiva e arte della parola. e’ una autentica artista della contemporaneità, attenta ai valori e ai disvalori che oggi si affermano nella società, e nell’epoca dell’eccesso di comunicazione, soprattutto virtuale, spesso urlata e a volte volgare, la raza ricompone un mosaico della comunicazione del sentimento, del bello, dei colori, attraverso opere nelle quali le parole diventano la cifra distintiva della composizione. Ma l’artista

mette da parte il senso e il significato, offrendo poche possibilità alla lettura, perché la grafia diventa la parvenza delle parole, inseguendo un obiettivo che non sta nella qualità della scrittura, bensì nell’indicare la trasformazione, l’evoluzione del gesto manuale in segno e poi in linguaggio.in questo modo la lettura si libera dalle modalità grammaticali e linguistiche, invitando il fruitore a rifare il gesto della mano, seguendo percorsi e movimenti, reinventando l’autenticità primitiva del fare artistico, mentre l’artista tenta di rappresentare l’indicibile, quella complessità sempre più nascosta e silenziosa che oggi abita l’esistenza. (Fr)

Claudio Palcic presenta a questa rassegna l’opera Hero’s death. Quest’opera che allude alla morte si pone come sensazione al pubblico e non come quadro in sé. il pittore frantuma il tradizionale confine cui viene relegato un quadro, portandoci nella dimensione del sentimento, unico vero artefice del nostro mondo. Per chi è disposto a sentire con le proprie membra l’opera di Palcic, scoprirà che il mondo che ci si apre immediatamente si richiude su di noi, trascinandoci nel nostro autentico e più intimo spazio vitale. il Cavallo che scomparendo nello sfondo urla piangendo i caduti, piange ora i miei caduti; piantato con gli zoccoli a terra cerca

di permanere in quella dimensione che i corpi esanimi gli offrono come ultimo atto eroico di esistenza all’ineluttabile. Ma il titolo al centro del quadro ci riporta in una dimensione convenzionale per cui quello che vedo è un quadro. dunque siamo salvi. il maestro triestino con quella scritta ci tiene saldi al nostro porto sicuro, ci dice che quello, in fin dei conti, è solo un quadro. Contemporaneamente ci dice però che quel fecondo turbamento non è nell’opera, ma in noi. Cavalchiamo con l’eroe della morte, scoviamo parti di noi disperse nel ritmo dell’opera; facciamolo guidati dal gesto di Claudio Palcic. (eC)

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Franco rosso, artista costruttivista, opera dal 1975 nell’ambito dell’astrazione aniconica sul versante razionale geometrico, affiancando a questa attività un impegno professionale nel campo della comunicazione visiva, dell’editoria e dell’organizzazione culturale. Le varie esperienze hanno interagito positivamente, creando un circuito virtuoso nel quale produzione artistica e professionale si inverano e sostanziano reciprocamente. La sua ricerca evidenzia echi provenienti dall’espressionismo e dall’informale europeo e americano che si manifestano nel contrasto delle superfici e nell’assolutezza del colore, che però si dispongono secondo scansioni che rimandano all’astrattismo

suprematista e costruttivista di provenienza russa. Franco rosso sviluppa un’astrazione totalmente aniconica, dove la retta obliqua e trasversale visualizza la razionalità dinamica e vitalistica, mentre il cerchio o altri guizzi organici entrano nella scena compositivi collegando la linea retta della dinamica conoscenza dell’intelletto con la curva della sapienza e del cuore, ricostituendo così la totalità dell’esperienza umana. i colori sono sempre timbrici: il bianco che fa da sfondo e il nero che diviene certificazione di presenza, vengono ravvivati nel loro rapporto conoscitivo e sapienziale dalla fisicità tutta virtuale della terra di Siena. (FA)

Pietro ronzat, artista friulano che opera appartato, ma con alle spalle una importante presenza in eventi culturali della portata della Biennale di venezia, ripropone le sue tele caratterizzate dalla energica gestualità. i colori, distesi con segno nervoso e pennellata ampia, parlano di un’arte di protesta di moralità, di un espressionismo acceso, forte. il linguaggio rifiuta la rappresentazione, reale o mimetica che sia, per urlare un’urgenza esistenziale tipica dell’uomo contemporaneo e di un rapporto interiore profondo e sofferto. e la tela diventa aggressiva, lo specchio dell’estrinsecazione diretta dell’energia

vitale dell’artista, mentre la macchia del colore diventa libera espressione lirica: il tutto compreso in una pittura concepita come flusso spontaneo, come espansione vitalistica, come celebrazione della autenticità. Nella mescolanza coloristica sembra affiorare la volontà di ascoltare il proprio io attraverso l’espandersi inquieta della pennellata che trova nel colore l’urlo cromatico che fa esplodere la creatività. i quadri diventano brani di vita, e la veemenza del segno, la ricchezza dell’impasto, raccontano una storia immaginifica, di impegno, di rifiuto della staticità, di adesione al futuro. (Fr)

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Mattia Sinigaglia è l’autore più giovane di questa rassegna, vive e lavora a venezia dove frequenta l’Accademia delle Belle Arti. tutta la ricerca pittorica di questo giovane artista è contrassegnata dalla ricerca di un equilibrio, in questo senso Sinigaglia mette in luce una costante difficoltà comunicativa che abbraccia interamente la quotidianità; il sentirsi isolati e lontani da tutto è un elemento che affascina molto la sua ricerca e la sua poetica. in un dialogo, in un semplice incontro e in moltissime situazioni quotidiane, l’autore interpreta i soggetti come isolati dall’esterno per l’incomunicabilità di un essenziale che ci relaziona al mondo.

L’olio presentato a questa esposizione è un’opera di grandi dimensioni con un riferimento chiaro all’astratto. Questo metodo permette a Sinigaglia di superare la comunicazione narrativa e suggerire all’osservatore una sensazione evocativa che arrivi direttamente allo stomaco senza che una struttura linguistica la trasformi in un messaggio esprimibile a parole. Per fare un buon uso dell’opera di questo giovane artista, sarebbe opportuno affidarsi alla dimensione del sentimento lasciandosi catturare dalle ampie campiture che accompagnano in una dimensione strettamente legata alle origini più intime del senso di solitudine. (eC)

tullio Sila è l’artista dell’action painting, giuntovi con una vita spesa nel visual merchandising e con una passione per la pittura lunga tutta la vita e alimentata frequentando gli studi dei migliori artisti triestini del secondo ‘900. Sila ha scelto questo linguaggio perché nell’action painting il quadro diventa lo specchio dell’azione, ma anche l’espressione del dramma della creatività, nella sua esaltazione, nella sua inquietudine, nei suoi dubbi, attraverso un gestualismo umorale, espansivo e vitalistico, che diventa segno dell’ansietà, dello stress emotivo, anche della disperazione. e’ una pittura caratterizzata dall’intenzionalità attraverso i colori intensi e la loro

applicazione affermativa: il linguaggio è personale ed esistenziale, perché l’artista può identificare se stesso con la sua totalità di uomo con l’opera che si va, piano piano, dilatando, quasi ad assorbire in sé tutta l’energia mentale e fisica dell’autore. Sila sceglie prima di tutto l’astrazione, dove l’opera d’arte viene creata in assoluta libertà da ogni forma di imitazione o di trasposizione del mondo esterno, nel convincimento che l’arte non ha più una funzione mistica, ma deve esprimere l’energia vitale del nostro tempo, risvegliando i sensi dell’osservatore, conservando la centralità dello spirito e dell’etica. (Fr)

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finito di stampare il 19 novembre 2012

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