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Andrea Valle Cartografie del sonoro. Intorno ad un modello di spazio tipologico per gli oggetti sonori * 1. Introduzione La moltiplicazione delle pratiche che in varia misura si riferiscono all'ambito del sonoro richiede con sempre maggiore insistenza la definizione di strumenti descrittivi capaci di accedere ad una doppia generalizzazione. In primo luogo, tali strumenti dovrebbero consentire la costituzione di un quadro condiviso di concetti all'interno di ciascun sottodominio del sonoro. Si pensi al sound design e alla necessità di organizzare grandi quantità di dati sonori, ad esempio quelle degli archivi di materiale audio dei foley artists, in modo tale da garantire una interoperabilità tra gli stessi: è qui evidente il problema di definire un'etichettatura consistente e condivisa di tutto il materiale sonoro. In secondo luogo, simili strumenti dovrebbero permettere una traducibilità tra i diversi sottodomini del sonoro a cui le differenti pratiche fanno riferimento. Ad esempio, è nota la stretta relazione che, a partire dall'opera fondatrice di Murray Schafer, 1 lo studio del paesaggio sonoro intrattiene con una certa pratica «ecologica» della composizione elettroacustica: al di là degli aspetti più apertamente figurativi (la riconduzione degli oggetti sonori ai corpi sonori responsabili della loro produzione, per dirla con Schaeffer), la possibilità di uno scambio fruttuoso tra i due ambiti, a livello di pratica compositiva come di approccio teoretico, ha il suo punto di partenza nella definizione di un vocabolario condiviso. La complessità che il paesaggio attuale delle «pratiche del sonoro» esibisce mette in luce la necessità di uno studio del contributo fornito dalla percezione uditiva alla costituzione del senso in queste stesse pratiche e nei testi che esse istanziano: in altre parole, la necessità di una semiotica dell'udibile. L'integrazione di quest'ultima in una semiotica generale introduce così un altro punto a favore della costituzione di un metalinguaggio descrittivo per il sonoro. Lo studio della dimensione sensibile è in effetti un ambito la cui importanza è ormai stabilmente attestata in semiotica: 2 e tuttavia, al di là del riconoscimento dell'istanza generale, il lavoro sul campo è appena iniziato, avanzando soprattuto nella descrizione del dominio visibile, 3 ma non certo in quella dell'udibile. Pure, nell'ipotesi di una vocazione fenomenologico- antropologica (e scientifica) della semiotica, dovrebbe essere evidente la rilevanza di un simile * Questo lavoro in parte ridiscute quanto proposto in Vincenzo Lombardo e Andrea Valle, Audio e multimedia, Apogeo, Milano 2005 (2ed.), cap. 10. 1 ROBERT MURRAY SCHAFER, Il paesaggio sonoro, Ricordi-LIM, Milano-Lucca 1985. 2 JACQUES FONTANILLE, Figure del corpo. Per una semiotica dell'impronta, Meltemi, Roma 2004. 3 Si veda il fondamentale JACQUES FONTANILLE, Sémiotique du visible. Des mondes de lumière, P.U.F., Parigi 1995, ma si pensi anche al lavoro, altrettanto importante, anche se teoricamente precedente, del Groupe μ, Traité du signe visual. Pour une rhétorique de l’image, Seuil, Parigi 1992. La complessità delle relazioni tra domini del sensibile sul comune sfondo somatico emerge chiaramente nell'analisi della fotografia, soltanto apparentemente dominio d'elezione del visibile (cfr. PIERLUIGI BASSO FOSSALI E MARIA GIULIA DONDERO, Semiotica della fotografia. Investigazioni teoriche e pratiche d'analisi , Guaraldi, Rimini 2006).

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Andrea Valle

Cartografie del sonoro. Intorno ad un modello di spazio tipologico per gli oggetti sonori*

1. Introduzione

La moltiplicazione delle pratiche che in varia misura si riferiscono all'ambito del sonoro richiede

con sempre maggiore insistenza la definizione di strumenti descrittivi capaci di accedere ad una

doppia generalizzazione. In primo luogo, tali strumenti dovrebbero consentire la costituzione di un

quadro condiviso di concetti all'interno di ciascun sottodominio del sonoro. Si pensi al sound design

e alla necessità di organizzare grandi quantità di dati sonori, ad esempio quelle degli archivi di

materiale audio dei foley artists, in modo tale da garantire una interoperabilità tra gli stessi: è qui

evidente il problema di definire un'etichettatura consistente e condivisa di tutto il materiale sonoro.

In secondo luogo, simili strumenti dovrebbero permettere una traducibilità tra i diversi sottodomini

del sonoro a cui le differenti pratiche fanno riferimento. Ad esempio, è nota la stretta relazione che,

a partire dall'opera fondatrice di Murray Schafer,1 lo studio del paesaggio sonoro intrattiene con una

certa pratica «ecologica» della composizione elettroacustica: al di là degli aspetti più apertamente

figurativi (la riconduzione degli oggetti sonori ai corpi sonori responsabili della loro produzione,

per dirla con Schaeffer), la possibilità di uno scambio fruttuoso tra i due ambiti, a livello di pratica

compositiva come di approccio teoretico, ha il suo punto di partenza nella definizione di un

vocabolario condiviso. La complessità che il paesaggio attuale delle «pratiche del sonoro» esibisce

mette in luce la necessità di uno studio del contributo fornito dalla percezione uditiva alla

costituzione del senso in queste stesse pratiche e nei testi che esse istanziano: in altre parole, la

necessità di una semiotica dell'udibile. L'integrazione di quest'ultima in una semiotica generale

introduce così un altro punto a favore della costituzione di un metalinguaggio descrittivo per il

sonoro. Lo studio della dimensione sensibile è in effetti un ambito la cui importanza è ormai

stabilmente attestata in semiotica:2 e tuttavia, al di là del riconoscimento dell'istanza generale, il

lavoro sul campo è appena iniziato, avanzando soprattuto nella descrizione del dominio visibile,3

ma non certo in quella dell'udibile. Pure, nell'ipotesi di una vocazione fenomenologico-

antropologica (e scientifica) della semiotica, dovrebbe essere evidente la rilevanza di un simile

* Questo lavoro in parte ridiscute quanto proposto in Vincenzo Lombardo e Andrea Valle, Audio e multimedia,Apogeo, Milano 2005 (2ed.), cap. 10.

1 ROBERT MURRAY SCHAFER, Il paesaggio sonoro, Ricordi-LIM, Milano-Lucca 1985.2 JACQUES FONTANILLE, Figure del corpo. Per una semiotica dell'impronta, Meltemi, Roma 2004. 3 Si veda il fondamentale JACQUES FONTANILLE, Sémiotique du visible. Des mondes de lumière, P.U.F., Parigi 1995, ma sipensi anche al lavoro, altrettanto importante, anche se teoricamente precedente, del Groupe µ, Traité du signe visual.Pour une rhétorique de l’image, Seuil, Parigi 1992. La complessità delle relazioni tra domini del sensibile sul comunesfondo somatico emerge chiaramente nell'analisi della fotografia, soltanto apparentemente dominio d'elezione delvisibile (cfr. PIERLUIGI BASSO FOSSALI E MARIA GIULIA DONDERO, Semiotica della fotografia. Investigazioni teoriche epratiche d'analisi, Guaraldi, Rimini 2006).

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studio laddove permetterebbe di rimettere in discussione ambiti testuali in qualche modo consolidati

ma su cui la teoria semiotica sembra aver smesso di parlare. Si pensi al problema della descrizione

dell'aspetto fonico -tra fonologia e fonetica- nei testi poetici, attualmente piuttosto trascurati, e

dove abitualmente regnano categorie importate dalla retorica e dalla metrica, oppure a quegli ambiti

in cui al riconoscimento di una complessità multimodale dell'enunciazione non fa seguito uno

sviluppo analitico adeguato: è il caso tipico del cinema, in cui gli approcci semiotici condividono

con gli studi prettamente cinematografici un manifesto disinteresse per l'udibile4.

2. Il dispositivo tipo-morfologico in Schaeffer

A fronte di una simile esigenza descrittiva nei confronti del sonoro, l'unico studio disponibile resta

-significativamente- la ricognizione proposta da Pierre Schaeffer ormai più di quarant'anni fa nel

suo Traité des objets musicaux5, in cui l'oggetto sonoro riceve una sua teoria.

I tratti distintivi e idiosincratici della proposta schaefferiana possono essere riassunti rapidamente

nell'approccio fenomenologico al sonoro, nel recupero dei contributi dell'acustica e della teoria

musicale, nella generalità dello sguardo che abbraccia tutto l'udibile e nell'attenzione alla

definizione di una metodologia descrittiva.

Questi assunti si concretizzano nella cosiddetta «tipo-morfologia», il duplice dispositivo descrittivo

predisposto da Schaeffer per l'oggetto sonoro. La duplicità dipende da una biforcazione

metodologica che predilige di volta in volta la dimensione «analitica» o quella «sintetica»:

– la prima assume l'oggetto sonoro come unità d'analisi, e si traduce in una «morfologia» come

descrizione delle proprietà dello stesso.

4 Basti pensare al celebre, e celebrato, doppio volume deleuziano, in cui il cinema è ricondotto ad una duplicedeclinazione dell'immagine (GILLES DELEUZE, Deleuze, Cinema1. L'immagine-tempo, Ubulibri, Milano 1984 eCinema2. L'immagine-tempo, Ubulibri, Milano 1989). D'altra parte, un'eventuale attenzione al sonoro si manifestatipicamente nella forma di un interesse al musicale ('la musica da film'). Uniche eccezioni restano gli studifondamentali di Michel Chion (riassuntivamente, MICHEL CHION, Un art sonore, le cinéma. Historie, esthétique,poétique, Cahiers du cinéma|Essays, Parigi 2003), in cui però, a fronte di una vastissima fenomenologia, si assiste adun'ostinata resistenza all'integrazione della componente udibile in un'analisi complessiva delle strategie testuali.

5 PIERRE SCHAEFFER, Traité des objets musicaux, Seuil, Parigi 1966. L'indifferenza all’eredità schaefferiana sul versantefilosofico ed estetico raggiunge quasi il fastidio (come già osserva ad esempio JEAN-FRANÇOIS AUGOYARD, «L’objetsonore ou l’environnement suspendu», in JEAN-CHRISTOPHE THOMAS (a c. di), Ouir, entendre, écouter, comprendre aprèsSchaeffer, INA-Buchet/Chastel, Bryn-sur-Marne-Paris 1999, pp. 83-106: 106). Se pure si può parlare a tutti gli effettidi «oggetti sonori» in relazione diretta alla tradizione fenomenologica e gestaltistica (GIOVANNI PIANA, Filosofia dellamusica, Guerini, Milano 1993: 32) in cui pure (certo, lateralmente) Schaeffer si iscrive, pare curiosa la totale assenza diriferimenti al Traité in un testo dedicato a «L’altra estetica», in cui, lamentando che la filosofia del Novecento «haparlato pochissimo di oggetti» (MAURIZIO FERRARIS, «Estetica sperimentale» in MAURIZIO FERRARIS E PIETRO KOBAU (a c.di), Estetica sperimentale, pp. 5-107: XI), si ripercorrono alcuni motivi pre-kantiani dell’estetica come riflessionesull’aisthesis: così che si possono ricercare nel Settecento alcuni autori che avrebbe posto il problema dell’ «oggettosonoro» senza definire il concetto, e tantomeno rispetto a Schaeffer (ALESSANDRO ARBO, «L’oggetto sonoro», in MAURIZIO

FERRARIS E PIETRO KOBAU (a c. di), Estetica sperimentale, pp. 271-83). È francamente curioso che recentemente Vicario,lamentando la mancanza di una «well founded phenomenology of sounds» -in un contributo peraltro di grande interesseche ha proprio per questo un valore indiziario- non trovi al proposito niente di più approfondito in letteratura deimanuali ad uso giudiziario (GIOVANNI VICARIO, «Prolegomena to the perceptual study of sounds», in DAVIDE ROCCHESSO E

FEDERICO FONTANA, The Sounding Object, Edizioni di Mondo Estremo, s.l., http://www.soundobjects.org/SObBook/, pp.17-31: 28). Si tratta evidentemente della consueta, persistente (ed oscura nella sua origine) rimozione teorica dell’interaopera schaefferiana.

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– la seconda prende in considerazione l'oggetto sonoro come componente (potenziale) di un

insieme di oggetti, ognuno dei quali è ricondotto ad un tipo (ne consegue una «tipologia» degli

oggetti sonori).

Morfologia e tipologia trovano i loro analoghi nelle figure, rispettivamente, dell'elenco e del

diagramma. Mentre la morfologia si traduce in un elenco di proprietà, una lista di sette attributi che

assumono diversi valori a seconda dell'oggetto sonoro considerato, la tipologia prende la forma di

un diagramma, uno spazio in cui più criteri di valutazione sono correlati, ed in cui ogni oggetto

sonoro assume una specifica posizione.

La morfologia risulta in un'analisi singolare: al di là della problematica definizione dei parametri

che compongono l'elenco, il suo limite è di escludere per definizione una rilevazione della

configurazione complessiva che gli oggetti assumono6. A tal proposito pare molto più proficua una

rilettura della tipologia.

3. Tipologia

Nell'intuizione schaefferiana che ne era alla base, la tipologia è una topologia, o meglio una

topografia, intesa nella duplice accezione di una descrizione dei luoghi del sonoro, ed insieme di

una mappa che ne descrive le relazioni reciproche. Vera e propria «cartographie du sonore

potentiel»7, la tipologia permette di accedere ad una descrizione non dell'oggetto ma della

configurazione assunta da una collezione di oggetti sonori, nei termini di una certa occupazione

dello spazio, ed in funzione della descrizione di una loro sintassi. La descrizione di un insieme è di

interesse decisamente superiore per un approccio semiotico, che assume nella descrizione del senso

una priorità della struttura sugli elementi che la compongono. Per dirla con Schaeffer, la tipologia

descrive infatti l'oggetto rispetto al contesto della sua struttura.

6 Questo limite viene ereditato dalla spettro-morfologia, la fortunata proposta descrittiva di Denis Smalley,dichiaratamente ispirata alla tipo-morfologia di Schaeffer (DENIS SMALLEY, «Spectromorphology and StructuringProcess», in SIMON EMMERSON (a c. di), The Language of Electroacoustic Music, MacMillan, Londra 1986, pp. 61-93:61 nota 2). Ma si noti il parallelismo lessicale per così dire «d’inganno» tra spettro-morfologia e tipo-morfologia,curiosamente mai rilevato in letteratura: «j’ai forgé le terme de « spectromorphologie » pour représenter l’idée descomposantes du spectre sonore […] et celle de leur evolution dans le temps» (DENIS SMALLEY, «Établissement decadres relationnels pour l’analyse de la musique postschaefférienne», in JEAN-CHRISTOPHE THOMAS (a c. di), Ouir,entendre, écouter, comprendre après Schaeffer, INA-Buchet/Chastel, Bryn-sur-Marne-Paris 1999, pp. 177-213: 183nota 13). La doppia descrizione schaefferiana attraverso una tipologia e una morfologia diventa così la morfologia diuno spettro, inteso nel senso strettamente fisico (né potrebbe essere altrimenti), e la fenomenologia diventa, con unasinonimia che Schaeffer non approverebbe, una psicoacustica, secondo un termine diffuso in letteratura percaratterizzare l'approccio del Traité (cfr. ROBERT MURRAY SCHAFER, Il paesaggio sonoro, Ricordi-LIM, Milano-Lucca1985, p. 188, FRANCESCO GIOMI E MARCO LIGABUE, «Un approccio estesico-cognitivo alla descrizione dell’objetsonore», in ROSSANA DALMONTE E MARIO BARONI, Secondo Convegno Europeo di Analisi Musicale- Atti, Universitàdegli Studi di Trento, Trento 1992, p. 472, e «L’esperienza elettroacustica di Franco Evangelisti: analisi di Incontridi fasce sonore», Sonus, 15 1996, pp. 38-61: 39).

7 JEAN-CLAUDE RISSET, «Pierre Schaeffer: recherché et creation musicalese et radiophniques», in JEAN-CHRISTOPHE

THOMAS (a c. di), Ouir, entendre, écouter, comprendre après Schaeffer, INA-Buchet/Chastel, Bryn-sur-Marne-Paris1999, pp. 153-159: 156.

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Come si nota in Figura 1,8 la tipologia è dunque un diagramma bidimensionale suddiviso in 35 aree

(potenziali) che rappresentano classi di oggetti sonori: per un oggetto sonoro, appartenere ad una

certa classe ed essere posizionato nell'area della classe indica la stessa cosa. La tipologia prende

quindi la forma di una mappa del sonoro, in cui ogni oggetto sonoro trova una sua posizione. Il

primo passaggio nella costruzione dello tipologia consiste nella definizione di una serie di criteri

considerati pertinenti per la classificazione di un oggetto sonoro: massa, sostengo, durata,

variazione, fattura, equilibro/originalità. Non è qui possibile un esercizio di disamina critica delle

posizioni schaefferiane quali emergono nelle definizioni dei criteri.9 Quelli utilizzati in funzione

della proposta di revisione della tipologia verranno discussi più avanti. Interessa in questa sede

soltanto una disamina complessiva del loro statuto rispetto all'organizzazione dello spazio

tipologico. Sebbene i criteri siano inizialmente descritti da Schaeffer come dimensioni indipendenti,

è attraverso la loro parziale correlazione (in modo tale cioè che ad un certo valore di un criterio

corrisponda sempre un certo valore dei criteri correlati) che diventa possibile schiacciare le sei

dimensioni risultanti su due, così da arrivare ad un'organizzazione planare («dans le cadre d’une

8 PIERRE SCHAEFFER, Traité des objets musicaux, Seuil, Parigi 1966, p. 442,9 A tal proposito ci si permette di rimandare a ANDREA VALLE, Preliminari ad una semiotica dell'udibile, Tesi di

Dottorato in Semiotica, Università di Bologna, XV ciclo, a.a. 2003-04.

Figura 1. «Schema de principe de la typologie des objets sonores».

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épure a deux dimensions»10) degli stessi. Come si nota in Figura 1, l'asse delle ordinate è occupato

unicamente dal criterio della massa (masse), mentre quello delle ascisse prevede un insieme di

correlazioni multiple tra sostegno (entretien), durata (aspect temporel) e fattura (facture). Infine

variazione e equilibrio vengono utilizzati per definire, insieme agli altri, la tripartizione tra «objets

équilibrés», «peu originaux», «trop orginaux». L'obiettivo di Schaeffer nel costruire la tavola è

quello di salvare la ricchezza delle determinazioni da cui è partito, anche a costo di sacrificare la

consistenza formale del risultato: le tavole di figura sono appunto intese come uno strumento di

annotazione, non come la definizione di uno spazio in senso geometrico. Se valesse quest'ultima

opzione, e pur senza entrare nel merito, sarebbero infatti evidenti nel diagramma, ad

un'osservazione poco più che superficiale, alcune rilevanti inconsistenze.

Basti qui notare che già Schaeffer, nella Figura 211 che identifica le classi di Figura 1 attribuendo

loro una notazione alfabetica, pone tra parentesi le classi laterali EN, X, Y e AN, X, Y poiché esse

risultano deduttivamente per costruzione, ma non hanno un referente empirico nel materiale sonoro.

D'altra parte è chiara la distinzione tra criteri costruttivi, che a priori definiscono lo spazio, e un

criterio normativo quale quello definito dall'equilibrio: quest'ultimo infatti interviene soltanto a

posteriori, fornendo una valutazione delle classi risultanti (determinando cioè una suddivisione

10 PIERRE SCHAEFFER, Traité des objets musicaux, Seuil, Parigi 1966, pp. 436-437.11 Da PIERRE SCHAEFFER, Traité des objets musicaux, Seuil, Parigi 1966, p. 459.

Figura 2. «Tableau récapitulatif de la typologie».

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dello spazio in regioni).

Si noti come le classi di oggetti sonori siano il risultato di una combinatoria tra gli insiemi dei valori

discreti previsti per massa, sostegno e fattura: ad esempio, la classe HN può essere descritta come

massa fissa ad altezza definita, sostegno tenuto, fattura nulla. Lo spazio della tipologia è allora

effettivamente, più che una mappa, un casellario.

4. Spazio tipologicoÈ stato notato come la proposta schaefferiana, pur se non priva di contraddizioni al suo interno, sia

così, nella sua prima accezione combinatoria, uno strumento utile per uscire da una notte in cui tutti

i suoni sono neri.12 Vale però la pena di riconsiderare la seconda ipotesi, di tipo geometrico. In

particolare, si tratta, rispetto al modello del casellario, di valorizzare la suggestione cartografica per

proporre uno spazio tipologico che sia continuo, consistente, intersoggettivo.

A tal proposito si possono utilizzare i criteri più solidi definiti da Schaeffer, attraverso una loro

parziale ridefinizione: di rilievo sono in particolare massa, variazione, sostegno, profilo.

Esaminando partitamente e schematizzando assai:

1. massa: il concetto di massa è probabilmente una delle proposte più interessanti di Schaeffer.

Con «massa» si indica propriamente una generalizzazione del concetto di altezza: a

quest'ultimo termine singolare viene sostituita una coppia di concetti, sito e calibro, che

specificano per ogni oggetto una certo comportamento lungo un asse dell'altezza. Laddove il

sito indica una posizione dal grave all'acuto, il calibro indica una escursione (si veda Figura

3). Così, se per un oggetto «notale» il calibro è assai ridotto e il sito coincide con l'altezza

percepita, nel caso di una massa complessa il calibro è significativo, tanto che il sito indica

non un'altezza precisa (la4), quanto piuttosto il punto medio del calibro, un registro (grave,

medio, acuto);

2. variazione: la variazione può essere esplicitamente connessa alla massa, ed in particolare

essere intesa come quantità di variazione nel tempo sia del calibro che del sito;

12 È noto peraltro che nella prassi del GRM fondato da Schaeffer, e di cui il Traité è la summa teorica, l’analisi èinsieme una pedagogia: «Les critères schaeffèriens […] donnent le moyen […] de commencer à percevoir dans lacontinuité apparemment indifferenciée de l’univers des sons des unités, des points et des lignes» (MICHEL CHION, Leson, Nathan, Parigi 1998, p. 174).

Figura 3. Asse delle altezze e relazione tra sito ecalibro.

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La discussione degli altri due criteri, sostegno e profilo, presenta in Schaeffer forti consonanze con

le considerazioni greimasiane sull'aspettualizzazione temporale: vale perciò la pena di sviluppare

ulteriormente la discussione, che verte sulla processualità.13

3. sostegno: con sostegno si indica «le processus énérgetique qui [. . .] maintient (ou non) [le

son] dans la durée».14 Semanticamente, il sostegno articola il processo secondo l'opposizione

paradigmatica duratività/puntualità, ed in funzione dell'enunciazione (concerne cioè il

processo descritto dal lato della produzione). La duratività può essere poi sottoarticolata

secondo l'opposizione continuità/iteratività. Così il sostegno si esplicita attraverso i tre tipi

dell'impulsivo (puntualità), tenuto e iterativo (rispettivamente, duratività continua e

iterativa), secondo quanto attestato ad esempio nella tecnica degli archi (pizzicato, tenuto,

arco gettato),;

4. profilo: il profilo sostituisce il criterio schaefferiano di durata, valorizzando la discussione

che lo stesso Schaeffer svolge in relazione ai modi in cui l'oggetto sonoro come forma

temporale si offre all'ascolto.15 In particolare esso concerne il processo dal lato

dell'enunciato (il processo come prodotto), secondo la configurazione sintagmatica (e non

paradigmatica) assunta dall'opposizione puntualità/duratività: si tratta, appunto, di

riconoscere il profilo del processo. Così, un processo che inizia, si sviluppa e termina,

prevede due termini puntuali (che si oppongono lungo l'asse incoatività/terminatività) che

precedono e seguono un termine durativo: rispetto alla forma temporale riconosciuta, il

profilo è eumorfo. La neutralizzazione della duratività di un processo, che insieme

neutralizza anche l'articolazione della categoria puntuale tra incoatività e terminatività,

produce un profilo anamorfico (un oggetto sonoro che non dura, ma propriamente

inizia/finisce). D'altra parte, la neutralizzazione della puntualità nel sintagma del processo

descrive oggetti che, semplicemente, durano, secondo un processo che non prevede né inizio

né fine: il profilo si caratterizza per l'amorfismo.

Stanti questi criteri, diventa possibile definire uno spazio tipologico, non distante dalla tipologia

schaefferiana (Figura 4). In particolare gli assi c e v concernono la massa: sul primo è indicata

(dall'alto in basso) l'espansione del calibro, mentre il secondo (fronte/retro) rappresenta la

variazione di sito e/o calibro. L'asse p/s è simmetricamente ripartito intorno all'origine in funzione

del sostegno: l'intorno dell'origine rappresenta il sostegno impulsivo, mentre a destra e a sinistra

sono indicati rispettivamente quello iterativo e tenuto. Sempre l'asse p/s prevede una progressione

anamorfismo/eumorfismo/amorfismo, simmetrica dai due lati.

13 Si veda ALGIRDAS J. GREIMAS E JOSEPH COURTÉS, Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage, Hachette,Parigi 1979, v. « aspectualisation », « durativité », « inchoativité », « ponctualité », « terminativité ». Unringraziamento a Pierluigi Basso per la discussione che ha permesso di ripensare le considerazioni successive.

14 MICHEL CHION, Guide des objets sonores. Pierre Schaeffer et la recherche musicale, Buchet/Castel-INA, Parigi1983, p. 116.

15 Cfr. PIERRE SCHAEFFER, Traité des objets musicaux, Seuil, Parigi 1966, p. 255. Un'altra discussione correlata e diinteresse è quella relativa ai «genres d'attaques», SCHAEFFER, ID., pp. 532-534.

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Lo spazio risultante è non è più il risultato di una combinatoria ma è continuo e consistente: ciò

implica che l'appartenenza di un oggetto sonoro ad una classe consegue dalla sua posizione nello

spazio, e non viceversa. Tra una classe e l'altra non esiste una soglia discreta, ma una progressione

continua. L'indicazione delle classi in Figura 4 individua allora semplicemente dei luoghi di

prototipicità (la cui denominazione coincide sostanzialmente con quella di Schaeffer), organizzabili

in tre macro-regioni: centrale (N, X, Y), omogenea (H, Z, T, P) ed eterogenea (E, W, Phi, K, A).

Tuttavia, perché una simile modellizzazione sia realmente operativa è necessario fornire una

metrica allo spazio risultante: ogni oggetto può così ricevere una posizione nello spazio nei termini

di una tripla (p/s, c, v) (ovvero: profilo, massa, variazione). Sfruttando le indicazioni tipologiche

originarie come criterio di definizione è possibile quantificare le escursioni degli assi in funzione

della suddivisione tra classi: si noti come, di per sé, il dato numerico sia del tutto arbitrario.

L'introduzione di una metrica, che trasforma uno spazio qualitativo in uno quantitativo, non ha un

obiettivo fisicalista. Al contrario è intesa come operazione metodologica per permettere

un'annotazione intersoggettiva del materiale sonoro. Una simile intersoggettività, che è il terzo

obiettivo di una revisione della proposta schaefferiana, ha il suo modello nella valutazione di un

oggetto o di una pratica da parte di una comunità competente. A mo' d'esempio, si pensi al caso

dell'alpinismo: la valutazione quantitativa della difficoltà di una via alpinistica dipende da

caratteristiche proprie dell'oggetto (da aspetti di tipo geologico-orografico) in relazione allo stato di

una pratica specifica (l'arrampicata sportiva) condivisa da una comunità competente. La comunità

giudica l'attendibilità delle valutazioni, nella loro variabilità, eventualmente ridefinendo i criteri e le

escursioni.

Figura 4. Spazio tipologico: criteri, escursioni, classi.

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L'esempio seguente è un'applicazione di quanto proposto. In più, il lavoro di analisi ha richiesto la

definizione esplicita di una metodologia che comprenda l'utilizzo dello spazio tipologico.

4. Il caso del Poème électronique16

Il Poème électronique è stato composto da Edgar Varése nel 1958. Esso costituiva la componente

sonora dell'omonimo spettacolo-installazione audiovisivo che aveva luogo all'interno del padiglione

Philips. Quest'ultimo, progettato da Iannis Xenakis, allora collaboratore di Le Corbusier (il

principale responsabile dell'intero progetto), era profondamente integrato allo spettacolo. In

particolare, per quanto concerne l'audio, le tre tracce che componevano il brano varèsiano era

diffuse attraverso 350 altoparlanti attraverso i quali il suono poteva circolare lungo vere e proprie

traiettorie descritte nello spazio del padiglione.

Sebbene, in quanto punto nodale della musica elettroacustica, il Poème électronique sia stato

oggetto di una serie piuttosto ampia di investigazioni analitiche,17 vale la pena di dedicarvi uno

sforzo ulteriore, alla luce dello spazio tipologico, in considerazione di due elementi. Il primo, assai

generale e condiviso con tutta la produzione elettroacustica, concerne l'aspetto concreto-elettronico

del materiale sonoro del brano che elimina radicalmente la figuratività strumentale: si tratta di

descrivere, per utilizzare una celebre locuzione di Varèse, il «suono organizzato», ovvero,

analiticamente, il suono e la sua organizzazione. Il secondo elemento, decisamente più specifico,

concerne il ritrovamento di materiale originale presso gli archivi del Conservatorio Reale dell'Aia.18

Le versioni del brano varèsiano attualmente accessibili attraverso le incisioni sono

(necessariamente) stereo: in esse le tre tracce originali sono perciò state riversate, in modi variabili,

su due canali. Il lavoro di recupero ha permesso di ricostruirle. È stato dunque possibile analizzare

un materiale sonoro altrimenti inaccessibile: analizzando il risultato, si osserva come Varèse abbia

approntato il materiale sonoro nei termini di tre strati paralleli, ognuno dei quali è costituito da

blocchi di suoni (vere e proprie famiglie di oggetti sonori) separati esplicitamente da silenzio. Ad

esempio, la traccia 1 (che contiene anche l'inizio del brano) si apre con un insieme di colpi di

campana, a cui fa seguito una pausa di silenzio: quindi si passa ad un'altra famiglia di materiali

16 Quanto segue fa riferimento al progetto europeo VEP, che ha ricostruito in realtà virtuale il Poème électroniqueall'interno del padiglione Philips (http://www.edu.vrmmp.it/vep/). Per una discussione del progetto nei suoi aspettifilologici e tecnologici, e per i riferimenti bibliografici relativi al Poème électronique e agli studi ad esso dedicati cfr.RICHARD DOBSON, JOHN FITCH, KEES TAZELAAR, ANDREA VALLE, VINCENZO LOMBARDO, «Varèse's Poème électroniqueRegained: evidence from the VEP project», Proceedings of the International Computer Music Conference 2005,Barcelona, pp. 29-36; VINCENZO LOMBARDO, ANDREA ARGHINENTI, FABRIZIO NUNNARI, ANDREA VALLE, HEINRICH H. VOGEL,JOHN FITCH, RICHARD DOBSON, JULIAN PADGET, KEES TAZELAAR, STEFAN WEINZIERL, SEBASTIAN BENSER, STEFAN KERSTEN, ROMAN

STAROSOLSKI, WOJCIECH BORCZYK,WOJCIECH PYTLIK, SŁAWOMIR NIEDBAŁA, «The Virtual Electronic Poem (VEP) Project»,Proceedings of the International Computer Music Conference 2005, Barcelona, pp. 451-54; VINCENZO LOMBARDO,ANDREA VALLE, FABRIZIO NUNNARI, ANDREA ARGHINENTI, FRANCESCO GIORDANA, «Archeology of multimedia», ACM-MM06,Santa Barbara (CA), pp. 269-278; ANDREA VALLE E VINCENZO LOMBARDO, «Archeologia del multimedia: il progettoVEP», in MARCELLO PECCHIOLI (a c. di), Scansioni 2: epistemologie e pratiche dei sistemi navigazionali nell’arte, Costa& Nolan, Genova prev. 2007.17 Si veda la nota precedente.18 Il ritrovamento dei nastri magnetici, lo studio del loro contenuto ed il restauro sono stati realizzati da Kees Tazelaar.

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omogenei.

Questa organizzazione, che in effetti è del tutto coerente con la poetica varèsiana informata al

raggiungimento di una «sensation of non-blending»19, risolve ab origine il problema analitico

(cruciale, evidentemente, ma qui non pertinente) della partizione del continuum sonoro, e permette

di concentrarsi su quello della classificazione. La metodologia analitica utilizzata può essere

descritta come «computazionalmente assistita» e si è articolata in otto passi:

1. etichettatura iniziale: il materiale viene etichettato in modo da potervi fare riferimento. Ad

un nome tipicamente figurativo (ed agevolmente riconoscibile: es. «campane») vengono

associate altre informazioni (traccia, momento d'attacco, durata);

2. valutazione fenomenologica: il materiale è analizzato in forma verbale rispetto ai criteri

tipologici;

3. valutazione di eventuali indici di natura acustica: alla valutazione precedente si può

aggiungere l'eventuale rilevanza di indici acustici. Ad esempio l'analisi attraverso

sonogrammi e l'estrazione della frequenza fondamentale possono fornire indicazioni in

relazione alla massa;

4. assegnazione di una posizione all'interno dello spazio: diventa a questo punto possibile

assegnare una tripletta (p/s, c, v) che indica il valore di ognuno dei criteri e determina la

posizione dell'oggetto nello spazio;

5. creazione di un file di dati: globalmente, tutte le informazioni precedenti vengono raccolte in

un file di dati dotato di una struttura definita formalmente. Il formato prescelto è di tipo xml.

6. visualizzazione della collezione: l'utilizzo di un formato strutturato quale xml permette

agevolmente il recupero automatico delle informazioni contenute. Diventa così possibile la

generazione automatica di una rappresentazione degli oggetti nello spazio.

7. valutazione del vicinato: nei passi 1-4, la valutazione dell'oggetto sonoro si è svolta in

isolamento rispetto agli altri oggetti analizzati. Attraverso la visualizzazione diventa invece

agevole osservare le relazioni di vicinato tra oggetti e studiarne la consistenza reciproca.

8. ri-assegnazione (eventuale) delle posizioni: se il passo precedente rivela incongruenze

nell'assegnazione delle posizioni, queste ultime possono essere ri-stimate.

19 EDGARD VARÈSE, «The Liberation of Sound», in BENJAMIN BORETZ E EDWARD T. CONE (eds.), Perspectives on AmericanComposers, Norton, New York 1971, pp. 25-33: 26.

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L'ipotesi di una revisione topografica della tipologia, unitamente alla formalizzazione esplicita,

permette dunque, nel caso di collezioni di oggetti sonori, di analizzare in automatico i dati immessi

attraverso la marcatura dell'esperto. In particolare gli aspetti di interesse sono due. Il primo

concerne il punto 6, ovvero la visualizzazione automatica dello spazio. Ne consegue, come si vede

in Figura 6, la definizione di una sorta di mappa sonora, nel caso in questione del Poèmeélectronique. Il «suono organizzato» cui pensava Varèse trova il suo equivalente in una certa

occupazione dello spazio: ad esempio, si noti come gli oggetti sonori tendano a disporsi nelle parti

periferiche. Se si considera invece, più che la configurazione, il progressivo configurarsi dello

spazio (attraverso la progressione nero-bianco nel colore delle sfere che rappresentano gli oggetti

sonori), si può osservare come non ci sia una traiettoria unitaria di trasformazione ma un

progressivo movimento verso l'incremento della variazione e del calibro. Infine, a partire da un

simile visualizzazione (e da altre analoghe, che qui non si possono riportare per ragioni di spazio), e

da un'analisi automatica dei dati, diventa altresì possibile effettuare un'analisi delle relazioni tra

oggetti sonori. Ne può conseguire ad esempio la definizione di una proto-grammatica. In particolare

la Figura 6 descrive, a partire dati risultanti dall'annotazione, il grafo delle sequenze possibili tra le

classi di oggetti sonori nel Poème électronique. L'organizzazione del suono, per riprendere la

locuzione varèsiana, è qui descritta dall'insieme dei concatenamenti possibili tra le diverse classi.

Figura 5. Spazio tipologico del Poéme électronique. Le sfere rappresentano gli oggetti sonori, ilgradiente di grigio (da nero a bianco) il momento d'attacco.

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5. ConclusioniL'ipotesi alla base della revisione della tipologia schaefferiana qui presentata ha come obiettivo la

predisposizione di uno strumento descrittivo per il sonoro. Si potrebbe evidentemente osservare

come il rischio di una simile macchina analitica stia esattamente nella sua costitutiva macchinosità,

a cui si potrebbe opporre proprio la rapidità e la leggerezza di quell'intuizione che necessariamente

ne precede la messa in funzione. Si tratta evidentemente di condividere o meno il presupposto

epistemologico per cui l'esplicitazione dell'implicito costituisce un incremento della conoscenza. In

questo presupposto sta in effetti la lezione di Schaeffer da cui qui si è inteso ripartire, poiché la

morfo-tipologia è esattamente un tentativo di trasformare l'intuizione analitica in un fatto

potenzialmente condivisibile intersoggettivamente.

Figura 6. Grafo che descrive le sequenze possibili tra classitipologiche nel Poème électronique.