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Medicina Carlo, Diario storico della campagna italo- austriaca 1915-1918 1 10 maggio 1915 Essendo richiamato in Alessandria, quando s’incomincia di mormorare di partire per gli sbarramenti alla sera c’è l’ordine di partire al mattino seguente. 18 si fa la sveglia di buon mattino, c’è l’ordine di preparare lo zaino con tutto il corredo, c’era poco da fare, ognuno si metta in opera per la propria roba; quando tutto fu pronto, si mangia subito il rancio, e ci distribuiscono a tutti i viveri di riserva per quasi due giorni che si doveva impiegare per il lungo viaggio; più diversi indumenti di lana che ci dovevano servire poi in montagna. Viene ora di partire quando salutai alcuni dei miei più intimi amici, e quindi facemmo zaino a spalla. Eravamo tre compagni, quando ci mettiamo in cammino silenziosamente e ci rechiamo alla stazione quasi inosservati, siamo stati salutati appena da qualche donna che si trovava sulla strada, qualcuna piangeva. C’era l’ordine di fare il massimo silenzio per non destare tanta impressione nella città. Tanto è vero che siamo entrati nella stazione dalla parte degli scali. Un lungo treno riservato ci aspettava. Viene ordine di salire; gli ufficiali ci fanno mettere in ordine di un numero uguale per ogni vagone. Un lungo fischio 1 Medicina Carlo, nato a Mede il 2 agosto 1890, professione contadino, titolo di studio I elementare. Iscritto alla lista di leva della classe 1890 viene estratto con il numero 123 e chiamato alle armi il 27 ottobre 1910. È inviato, con il titolo di Caporale, al 7° Reggimento Artiglieria Fortezza, quindi trasferito all’8° Reggimento Artiglieria il 31 agosto 1911, poi ancora nel 7° Artiglieria nel febbraio del 1915, infine nel 4° Artiglieria il 1° gennaio 1918. La sua permanenza sotto le armi in guerra è compresa tra il 10 maggio 1915 e il 15 agosto 1919. È decorato con la medaglia di bronzo al valor militare (20 giugno 1919), con la croce al merito di guerra (4 settembre 1918) e con la speciale medaglia del ministro della guerra (6 aprile 1921). 1

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Medicina Carlo, Diario storico della campagna italo- austriaca 1915-19181

10 maggio 1915

Essendo richiamato in Alessandria, quando s’incomincia di mormorare di partire per gli sbarramenti alla sera c’è l’ordine di partire al mattino seguente.

18 si fa la sveglia di buon mattino, c’è l’ordine di preparare lo zaino con tutto il corredo, c’era poco da fare, ognuno si metta in opera per la propria roba; quando tutto fu pronto, si mangia subito il rancio, e ci distribuiscono a tutti i viveri di riserva per quasi due giorni che si doveva impiegare per il lungo viaggio; più diversi indumenti di lana che ci dovevano servire poi in montagna. Viene ora di partire quando salutai alcuni dei miei più intimi amici, e quindi facemmo zaino a spalla. Eravamo tre compagni, quando ci mettiamo in cammino silenziosamente e ci rechiamo alla stazione quasi inosservati, siamo stati salutati appena da qualche donna che si trovava sulla strada, qualcuna piangeva.

C’era l’ordine di fare il massimo silenzio per non destare tanta impressione nella città. Tanto è vero che siamo entrati nella stazione dalla parte degli scali. Un lungo treno riservato ci aspettava. Viene ordine di salire; gli ufficiali ci fanno mettere in ordine di un numero uguale per ogni vagone. Un lungo fischio annunzia la partenza, il treno si muove, tutti salutiamo e veniamo salutati ancora una volta dai presenti. Erano le ore due del pomeriggio. Verso le sei arriviamo alla stazione di Milano ove la sera s’imbruniva, lì facemmo alcune ore di fermata e ne siamo anche scesi dal treno, molti dei milanesi che avevano avuto occasione di trovare le loro famiglie si scambiano uno stretto saluto e quindi ci allontanammo. Si riparte e si viaggia per tutta la notte, ove si arriva al mattino all’alba alla stazione di Vicenza.

19 maggio Qualcuno incomincia a sporgere la testa fuori dal finestrino e grida sveglia, per alcune volte, e da uno all’altro mezzi sonnecchiati incominciamo a guardare fuori; il panorama si era già cambiato, davanti si affacciavano le montagne ancora biancastre di neve, l’aria fresca più che in Piemonte già ci spezzava il viso. Il treno percorre la spiaggia del fiume Piave che scorre nella profonda vallata e lo costeggia così fino a destinazione.

1 Medicina Carlo, nato a Mede il 2 agosto 1890, professione contadino, titolo di studio I elementare. Iscritto alla lista di leva della classe 1890 viene estratto con il numero 123 e chiamato alle armi il 27 ottobre 1910. È inviato, con il titolo di Caporale, al 7° Reggimento Artiglieria Fortezza, quindi trasferito all’8° Reggimento Artiglieria il 31 agosto 1911, poi ancora nel 7° Artiglieria nel febbraio del 1915, infine nel 4° Artiglieria il 1° gennaio 1918. La sua permanenza sotto le armi in guerra è compresa tra il 10 maggio 1915 e il 15 agosto 1919. È decorato con la medaglia di bronzo al valor militare (20 giugno 1919), con la croce al merito di guerra (4 settembre 1918) e con la speciale medaglia del ministro della guerra (6 aprile 1921).

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Lungo tutto il percorso siamo stati salutati da donne e bambini, tutti ci facevano una grande dimostrazione. L’ospettacolo si fa sempre più impressionante, le montagne si fanno gradatamente sempre più alte; di tratto in tratto si scompare sotto una galleria; alle ore 12 arriviamo a Belluno, il sole era splendido, ragazzi e giovanette ci portano pane, vino, ed altra cose ove riforniscono di roba si riparte. Dietro al lungo treno ci raggiunge ancora una macchina e si va avanti finchè giunti ad’una stazione che era quella di fermata “Sotto Castello”. Si scende dal treno, erano le due del pomeriggio stanchi dal traballo del lungo viaggio sul treno. Ci carichiamo lo zaino sulle spalle. Innalzo gli occhi come per guardare in cielo, si vedono già i nostri forti; erano i primi che vedevo e non sapevo ancora quello che erano. Ci avviamo per la lunga salita che si affaccia agli occhi. Lungo il tragitto incominciamo a trovare l’acqua potabile da bere, era tanto fresca che gelava i denti. Un gruppo di donne montanine stavano lavando la biancheria , ci guardavano e ci salutavano. Noi camminavamo ansiosi di arrivare a posto dando gli sguardi qua e là come godere una vita nuova. Di tratto in tratto si trovavano delle case, ed in seguito si affaccia un bel paese situato sul piano della grande vallata. Era Tai di Cadore (848 mt.) e lo zaino sulle spalle già ci pesava in tal modo da farci camminare curvi, si cammina ancora impazienti qualche minuto e quindi si raggiunge uno stradale percorrendo una gradata discesa si arriva davanti ad una caserma chiamata “Caserma Calvi”. Era proprio la nostra: entrati facemmo subito zaino a terra in mezzo all’ampio cortile e con un lungo sospiro ci mettiamo subito a sedere. Fatto un breve riposo ci venne dato ordine di andare a prendere ognuno il posto assegnato nella camerata. Si faceva tardi, arrivati a sera un carro ci raggiunge, era quello che arrivava dalla stazione, e che ci portava tutto il nostro equipaggiamento dove era stato scaricato dal medesimo treno in cui siamo venuti noi. Ci venne dato un pagliericcio colle rispettive coperte. Messoci a posto tutta la roba, era già dopo il rancio anzi era già scuro.

C’era un ordine che assolutamente non si poteva per quella sera uscire dalla caserma, allora fatto i miei possibili con alcuni compagni siamo usciti fuori. La prima cantina che abbiamo trovato in paese siamo entrati e abbiamo trovato da mangiare discretamente bene; trascorsa così con un po’ di scherzetti ci siamo il giorno ritirati.

20 maggio. Il giorno era passato non più in Piemonte ma eravamo nel Cadore..

21 maggio. Al mattino sveglia alle sei c’è ordine di fardellare lo zaino che c’è di partire, partimmo ancora per destinazione dopo molto tempo che camminavamo arriviamo la notte che entrava nel 22 a Venas di Cadore (860 mt.).

22 maggio. Al mattino sveglia alle ore sei e c’è l’ordine di mettere il corredo a posto per la giornata di riposo.

23 maggio. Partimmo di mattina per una lunghissima salita e arriviamo mezzogiorno a Sant’Anna (1.075 mt.) nel dicendo finalmente siamo rivati a posto, alla sera scendiamo giù in paese a mangiare e bere.

È scoppiata la Guerra!

La notte del 23 entrando nel 24 alle due dopo mezzanotte scoppia la Guerra. Dovemmo partire subito per destinazione ignota, venne al mattino di buon ora incominciano ad arrivare carri e

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cavalli dell’artiglieria che venivano per il nostro trasporto. Noi avevamo già lo zaino preparato dalla sera prima, tutti gli uomini della Batteria più una compagnia venuta in aiuto dal forte vicino, si inizia il lavoro per la lunga discesa dei quattro pezzi. Si dovevano portare fin sulla strada del paese nella vallata, così a mano, non potendo giovare il tiro dei cavalli per una discesa così ripida come quella, considerando il peso di ogni cannone completo in posizione di marcia circa quintali 80. Fu così che due compagnie fecero la scalata dei pezzi e una parte mettemmo in partenza diversi carri con tutto il materiale necessario per un’intera batteria. Per ultimo caricammo due carri quasi completi di soli zaini e coperti, incominciammo a lasciarli dietro ogni carro una diecina di uomini. E facciamo la partenza. Erano quasi le dodici, dopo qualche ora siamo quasi in fondo della montagna nell’ultima delle tante svoltate che abbiamo fatto, il giro era un po’ stretto il carro che seguivo io si spacca il timone. Questo è un guasto presto aggiustato disse il conducente, siccome in guerra si a sempre tutto di riserva distacca un altro timone che stava appeso ai fianchi del carro e in dieci minuti viene applicato e si riprende il cammino.

Per arrivare in fondo si doveva passare in un angolo del paese di Venas, qui si affaccia il più grande spettacolo.

Il paese che prima quando eravamo noi era abitato da qualche compagnia di soldati lo troviamo ingombro di soldati di ogni genere e classe, le piazze, le vie, e le strade circostanti erano tutte ingombre di soldati che arrivavano, era scoppiata la mobilitazione il 23 entrando nel 24 sibilò la guerra.

Le truppe venivano trasportate sulla frontiera con la massima celerità. Siamo giunti sulla strada i pezzi erano già tutti a posto con i cavalli attaccati. Aspettiamo ancora qualche mezz’ora affinchè arrivassero tutti per partire tutti assieme. Quando tutto è pronto si inizia la marcia si scatena un violento temporale pareva tanto brutto, invece ci diede una sola rinfrescata. Lungo il tragitto incontrammo cavalli di una batteria di campagna che andavano ad occupare la nostra posizione abbandonata il comando si era limitato a metterne una di piccolo calibro invece della nostra che sarebbe di medio calibro.

Ho visto tanti poveri soldati ed anime disperate a guidare quei cavalli , si capiva che dovevano già essere molti dei cavalli requisiti per la guerra, perché molti invece di tirare avevano voglia di saltare, vi erano persino quattro pariglie per ogni cannone, era otto cavalli, non facevano la forza di due, ho visto anche qualche soldato a cadere da cavallo tanto era la malignità di quelle bestie.

Le colonne di marcia di artiglieria che si vedevano erano spaventose. La nostra era la più fragorosa di tutti, pei primi c’erano i pezzi con quella piattaforma pesante che battevano come tante mazze di ferro dopo s’infilavano tutti i carri con il materiale. La strada era ingombra tutto a lungo, di Reggimenti di fanteria, chi era fermo e chi in marcia, quasi ogni Reggimento o Battaglione aveva la musica mi pareva già una guerra per istrada. Si continua a camminare di tanto in tanto si fa un alt, qualche carro a un guasto o i cavalli che tirava i pezzi hanno bisogno di prendere un po’ di riposo, s’incomincia a passare in qualche paese già conosciuti e poi si arriva finalmente a Pieve di Cadore (878 mt.).

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Qui ci stanno tutti i Comandi è uno dei paesi del centro più importante. Si faceva già scuro, si fa un’alt per cercare un posto da fermare tutta la colonna, mentre dai migliori ristoranti di Pieve ne escono i camerieri con diverse bottiglie di vino, e ci danno da bere a tutti quanti.

Ciò fatto si fanno ancora un duecento metri di cammino e poi era il posto di fermata. La notte era già oscura, si distaccan i cavalli ed i conducenti, ne vanno al suo destino. La Compagnia ha ordine recarsi in paese più distante un due chilometri circa da questo. Io sono comandato di guardia ai carri, gli altri ne partono e vanno al paese ed io me ne resto, dopo mezz’ora si mette a piovere dirottamente, posti da ripararsi non ce ne sono e mi sono messo sotto una pianta di castagne d’india che stava vicino a mè la sono passata così alla meglio mezzo asciutto e mezzo bagnato per le due ore che dovetti stare di sentinella.

Mi venne il cambio, allora cerco il modo di riposare come si poteva, prendo alcune delle coperte che ci stavano sui carri e le metto distese sotto ad uno e poi mi corico sopra; il tempo continua sempre a piovere finchè l’acqua mi incomincia a fare sotto un laghetto, allora mi alzo e mi metto a ginocchioni, e così un po’ in un modo ed un po’ nell’altro tirai giorno. Verso le sette, arriva la compagnia dal paese per tirare tutti i carri a mano in un campo dove si formava il parco. La giornata era bella ed al sole mi potei asciugare di quanto mi ero bagnato nella notte. Terminato di tirare su tutti i carri ed i pezzi, allora partii anch’io coi mie compagni di guardia e ci avviamo a dietro agli altri verso il paese, passiamo davanti al parco dove erano depositati i carri e i pezzi, quel parco era già pieno, coi nostri ci stavano già altre due batterie di mortai da 210 e un deposito di carri di un’altra batteria da 149 come la nostra.

Di lì proseguo in avanti verso il paese dopo un dieci minuti vi giungo e domando come si chiama quel bel paesetto mi viene detto “Pozzale” (1.054 mt.) e vado in cerca della casa dove avevano dormito i compagni la sera prima, ma questi mi dissero che avevano dormito tutti sparpagliati chi da una parte chi dall’altra; siccome arrivarono in paese di notte non si è più potuto cercare l’alloggio, e così un po’ qua e un po’ là hanno trascorso la notte così, ma sempre meglio di me che ero sotto la pioggia.

Allora ci avviene assegnato una casa quasi sull’angolo della piazza del paese, era la casa di un albergo, anzi il migliore del paese. In questo paesetto come in tutti gli altri abbiamo trovato della buonissima gente che sia dato ospitalità nella popolazione. Qui restiamo fuori, ma sempre provvisoriamente in attesa di ordini per partire per il fronte, ma intanto ci cominciamo a fermare.

25 maggio. Restiamo qui per 22 giorni consecutivi, e oggi è il primo giorno della dichiarazione della Guerra e viene attaccato al muro della piazza un manifesto in cui annunciano alla popolazione del Cadore che le nostre truppe avevano già occupato la cittadina di Cortina d’Ampezzo (1.211 mt.). Ma la cosa più brutta che prima non si era ancora fatto sentire nasce anch’essa. La posta.

Allo scoppio della mobilitazione ed alla dichiarazione di guerra che si susseguì subito il giorno dopo i Comandi hanno preso immediatamente misure affinchè gli indirizzi per la corrispondenza venissero cambiati, e non si indicasse più la località dove ogni reparto in guerra sostasse.

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Difatti a noi ci venne dato un nuovo indirizzo, che indicava il nome della frazione invece del paese, i calibri dei nostri pezzi ed il nome del parco d’assedio.

27 maggio. Scrivo a casa avvertendo la famiglia e parenti che mi scrivano nel senso indicatogli ma d’allora in poi non ricevo più niente, mentre ritorno a scrivere trascrivo più di cinque volte, ma c’è nessun verso a far pervenire.

I soldati facevano domanda al Comandante la batteria come andasse questa cosa, e lui rispondeva che nemmeno lui non riceveva e così tutti nella medesima condizione. Il motivo andava dato tutto al cambio degli indirizzi e nient’altro. Dopo qualche giorno di riposo s’incomincia a fare un po’ d’istruzione sempre preparandosi per portarsi al fronte. Delle volte andavamo all’ombra con i fucili in quei boschi a poca distanza dal paese di Pozzale, di là si vedeva la stazione di Calalzo (806 mt.) si vedevano i treni in movimento che trasportavano fortemente truppe e materiale da guerra. Altre volte si andava al parco a fare istruzione ai pezzi. Di qui andavamo tutti i giorni a fare la spesa viveri per la Compagnia nel paese di Pieve che distava circa due chilometri; in questo paese passava la strada diretta che veniva dalla stazione di Calalzo e andava verso il confine di Cortina. Su questa strada si affacciava il più tremendo spettacolo, erano colonne di artiglierie che andavano verso Cortina erano sfilate di uomini di ogni grado che si dirigevano da tutte le parte, tutta la strada era battuta da un calpestio continuo. Le motociclette e gli autocarri passavano incessanti a colonne sempre carichi di viveri e di munizioni.

In ogni campo a prato in tutta la regione Cadore venivano trasformati in parchi d’automobili di materiale di tutti i generi, e di pesanti cannoni. In un altro angolo si vedevano bovini, dei grossi accampamenti di buoi tutti d’ammazzare, questi animali vedevano anche loro la guerra, tutti senza mangiare e sotto la pioggia.

Nella caserma di Tai di Cadore ove eravamo alloggiati noi nel principio del nostro arrivo in montagna, era piena esuberante di fanteria, tutta di passaggio.

28 maggio. I gradi di quei paesi erano tutti calpestati da truppe e quadrupedi, dei contadini fece tempo a toglierne qualche cosa di erba dove era più matura bene, altrimenti se ne andò tutta perduta, anzi in alcuni punti dove il terreno era più molle andava a finire un mezzo metro sotto terra.

Anche diversi campi di patate hanno dovuto sopportare il disagio della guerra, qui non c’erano più distinzioni di danni, purchè un campo fosse riuscito buono per accampare qualcosa veniva subito utilizzato.

I panifici non bastavano più a cuocere il pane per migliaia e migliaia di truppe che vi esistevano, ad ogni volta che si andava alla spesa viveri bisognava ricorrere da diversi panifici per poter ottenere il pane che ci occorreva, ed erano di più le volte che si portava a casa il pane mal cotto e sempre caldo. I forni cuocevano giorno e notte e appena lo levavano veniva portato via, le pagnotte erano molto piccole. Dopo alcuni giorni ce ne arrivava alla stazione dei vagoni pieni che veniva dai panifici dell’interno, come Belluno, Piacenza ecc. I bottegai che ne tenevano anche loro qualche

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poco a stento ottenendo non di più che quella certa quantità che potevano avere dai fornitori del paese, erano obbligati a venderlo quasi tutto ai soldati, che c’è lo portavano appena arrivava.

Bisognava considerare che il numero dei soldati in quei paesi era dieci volte almeno maggiore del numero dei borghesi, non si vedeva più una casa che non avesse dentro dei soldati, tutte le famiglie che avevano una stanza, una soffitta, una cascina di fieno, tutto veniva adottato dai soldati. Il materiale di tutti i generi che ogni proprietario possedeva sia di travi che di tavole, qualunque cosa, ci venne proibito con apposito manifesto di poterlo trasportare. A suo tempo poteva venire essere requisito dal governo e adottato per uso da Guerra. Le segherie venne dato ordine di fare tavole quanto più ne potevano fare, e quelle che possedevano, furono requisite per improvvisare tettoie per rioccupare materiale da Guerra. Le strade più commerciali vennero riservate dai comandi di presidio per il solo transito governativo come: truppa, cariaggi, automobili ecc.

5 giugno.

I borghesi furono obbligati a transitare per le vie di riserva qualcuna anche improvvisata appositamente. Lo spettacolo era stupefacente, una sera proprio all’ora della ritirata si sente la tromba fare un cambio di segnale invece del solito. Era l’adunata, uno domanda all’altra che cosa fosse succeduto, si scende in cortile e qualcuno arriva in ritardo perché già a letto; c’era l’ordine di armarsi tutti di fucile e andare immediatamente alla stazione di Calalzo. Fin là camminammo quasi incerti del sapere quello che si andasse a fare. Arrivati sul posto c’era un treno carico di munizioni da scaricare. Depositando le armi a terra siamo stati distribuiti subito una quantità di cinque o sei uomini per vagone, ognuno aveva il suo compito da svolgere e non appena si aveva finito si era in libertà. Erano casse di polvere, munizioni, nella stazione era in commercio di continuo, carri con buoi, cavalli, autocarri, tutti in opera per il trasporto di questa roba nei depositi. Sulle due spiaggie dell’interno della stazione era tutto un bastione di roba; pacchi di grano, paglia ecc.

Terminato il nostro lavoro ci avviamo verso casa che siamo arrivati quasi a giorno. Questi detti lavori si ripeterono diverse volte, per diverse notti, le Compagnie di soldati che erano di presidio nei paesi circostanti facevano il turno sia di notte che di giorno per il lavoro di scaricamento e caricamento di treni alla stazione.

10 giugno.

Erano verso le ore nove, quando in compagnia arriva un ordine improvviso da eseguirsi celermente. La compagnia riceva ordine di adunarsi prontamente. Si parte senza arme, senza niente e di corsa s’infila la strada che conduce al parco della batteria. Giunti sul posto vedemmo una grande quantità di cavalli e una compagnia di uomini del 9° Reggimento Fortezza che stavano preparando la loro batteria mortai da 210 che aveva avuto ordine di partire per il fronte di Misurina (1.752 mt.).

Stante la grande pioggia che già era caduta, e la morbida del terreno in campi coltivati: ove stavano i pesanti cannoni questi si sprofondavano in modo che per quanti cavalli venissero

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attaccati non riuscivano a portarli via il peso dell’accampamento. Occorrevano uomini a grande forza, noi che eravamo i più vicini siamo stati quelli di soccorso.

Terminato di infilare i carri pronti per la partenza tutti sulla strada, ne siamo ritornati alla nostra abitazione.

14 giugno.

Si incomincia a parlare di partenza probabile per ignota destinazione.

15 giugno.

La voce si fa sempre più insistente, ma ecco che alla sera quando tutti già siamo a dormire suona l’adunata. Era venuto ordine di recarsi all’accampamento a preparare alcuni carri per caricare il materiale e bagagli dell’ufficio di compagnia, e gli zaini per la mattina presto, ciò fatto andiamo a dormire ancora a ora discreta.

16 giugno.

Si alziamo di buon mattino c’è ordine di affardellare lo zaino, preparare le coperte e tutto il completo per la partenza. Mettiamo gli zaini sui carri da bagagli, e poi si inizia per la disposizione a mettere i carri in partenza. Una ottantina di pariglie di cavalli del parco viveri arrivano in quel mentre per attaccare i carri. Si mettono ad uno ad uno in colonna sulla strada, quando sono tutti pronti, si mette una squadra di tre uomini per ogni carro, questi dovevano fare il servizio di sorveglianza e quello dei freni.

Verso le ore nove tutto è pronto in ordine per partire si inizia la marcia. La lunga colonna che camminava in ordine, tendendo sempre la destra della strada superava la trentina di carri. I pezzi erano per i primi quattro, dopo ne venivano gli affusti ed in seguito bagagli e munizioni. Lungo il percorso la strada era ingombra di autocarri e colonne di cavalli per il trasporto di tanta roba.

Ad un tratto incontrammo una batteria pesante, erano pezzi da 280 che anche loro proseguivano verso Misurina, questi erano trainati dalla trattrice, ed il movimento era spaventoso. Le strade erano piene di polvere, ed il sole ardeva. Di tratto in tratto si trovava qualche fontanella di acqua fresca e si beveva. Squadre di operai borghesi stavano già riparando le strade qua e là nei punti dove già avevano sofferto il maggiore disagio del peso della pesante macchina che le avevano sfondate.

Si prosegue in avanti e la strada incomincia a venire lunga, la polvere soffocava la gola, si passa un paese, se ne passa un altro ma il nostro non arriva ancora. A salire qualche casa, sui carri era proibitissimo, si cammina ancora, il migliore sollievo che si potesse avere era quello di aggrapparsi ai carri e farsi tirare un pochettino in avanti in questo modo; così che un po’ in un modo un po’ in un altro s’incomincia a vedere n paese e si domanda ai borghesi che paese fosse ci dissero “Auronzo” (866 mt.) era il paese della nostra fermata.

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Entriamo nella prima casa era tutta piena di soldati del 92° Fanteria, andiamo avanti ancora il paese è immenso lungo e non finisce mai, gli affari si facevano già più che brutti , io non avevo più la forza a farmi reggere sulle gambe, mi guardo attorno se nessuno mi vedeva, e salgo un tratto di trecento metri sopra e poi ne discendo. Intanto si faceva tardi erano già le tre dopo mezzogiorno si è in fondo del lungo paese che sarà quattro chilometri. Eravamo tutti impolverati bianchi come se fossimo stati verniciati, e quando ci passavano davanti eravamo osservati con attenzione.

Si arriva finalmente al posto si gira sulla strada a destra e andiamo in un prato appena tagliato, anzi credo tagliato appositamente perché avvertiti che in tal caso gli sarebbe stato calpestato completamente.

A mettere tutto a posto non ci occorre molto, erano le quattro e s’improvvisa subito una buca con un piccolo muricino e si fa la cucina. Io sopraggiungo nel posto ma non ne potevo più, mi siedo a terra un momento ed incomincio a cambiar colore, svenivo in un momento, i compagni mi guardano e mi domandano quello che avevo, io non sapevo neanche a chi rispondere, passo così un quarto d’ora e poi incomincio a sentirmi un piccolo sollievo e in quel mentre passa un superiore e anch’esso mi domanda quel che avevo; io gli risposi che era un piccolo svenimento ma che speravo che mi sarebbe passato presto. Così andai dopo una mezzora ero già ristabilito, mi vennero le forze come prima.

Allora con diversi amici ci avviammo verso il fiume che stava vicino alla strada ed andiamo a farci una bella lavata e scuoterci la polvere che ci copriva di bianco. Intanto venne pronto il rancio e si va a mangiare, ma non ci gustava, era un po’ di pasta bianca e nient’altro. Così alla meglio cercammo di rimediarci qualche cosa intanto viene notte.

I primi arrivati erano già andati a cercare per dormire, noi dubitavamo già di dormire attendati credendo di non trovare più posto. Alcuni dei nostri caporali con un sergente hanno visto una casa a porte e finestre chiuse, non c’era dentro nessuno, il proprietario per evitare che i soldati avessero a recarci danno la chiuse e la voleva tenere deserta. I nostri fecero che forzare la porta ed entrarono senza domandare a nessuno, e in questa casa c’era posto per tutti. Quando torna il padrone vede che la sua casa era abitata dai soldati senza che lui ne sapesse nulla; ma in tempo di guerra c’è questo sistema a qualunque cosa che ci venga utile ai soldati fa che prenderlo senza permesso. Quel che si aveva un po’ di cura era per il raccolto; come campi di patate, è l’unica cosa che possano avere questi paesi di montagna.

17 giugno.

Al mattino ci alziamo ed andiamo al parco a mettere tutto quanto in perfetto ordine la Batteria.

18 giugno.

Viene ordine di tagliare rami di pini nei boschi vicini e coprire di verde tutto quanto affinchè qualche aeroplano che fosse volato di sopra non avesse subito a scoprire.

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Vicino a noi sulla strada stava già da alcuni giorni una Batteria pesante pezzi da 305, anche loro stavano ad attendere ordini per partire.

19 giugno.

Si va al parco e si fa istruzione ai pezzi.

20 giugno.

Si fa scuola a piedi sulla strada e qualche altra istruzione varia.

21 giugno.

Si fa sempre la solita istruzione; alla sera esco e mi reco in paese con alcuni amici, dopo alcune ore, pensammo di ritirarci perché oltrepassava già l’ora della ritirata. Quando eravamo a metà strada per arrivare alla casa dove si era accantonati incontrammo la compagnia che veniva al parco e c dissero: tornate indietro tutti, che si deve andare a preparare una sezione per la partenza, era arrivato l’ordine in quel momento di partire immediatamente una sezione di due pezzi per andare a sostituire un’altra batteria ove, ne aveva già due scoppiati. Si ritorna indietro e si portano i cannoni sulla strada con i loro rispettivi carri con le munizioni e materiali. Il Comandante la compagnia fa la lista dei partenti, allora io dovevo partire ma il mio compagno che non ci toccò andò subito dal Comandante di batteria per partire insieme. Il Comandante ci disse di sì. I partenti si prepararono, col zaino e tutto, e venne all’accampamento a depositare tutto ed aspettare i cavalli che dovevano arrivare per attaccare i carri. La notte si tarda e non ci arriva niente, i soldati stanno a soffrire il freddo in attesa di nuovi ordini, ma non ci arriva niente.

22 giugno.

Si fa giorno ed i soldati hanno ordine di ritirarci all’accampamento, c’era arrivato un ordine di sospendere la partenza. Allora questi vanno a riposarsi e tanti che avevano dormito si va di nuovo a mettere la roba che era in partenza a posto.

23 giugno.

Si parte disarmati e si va a fare una escursione su per una vallata in mezzo a grandi boscaglie e si ritorna verso mezzogiorno con fiori e neve che si era trovato nei profondi burroni ci fece tanta impressione a mangiarla ancora in quei giorni alla fine di giugno. La posta che già dal 24 maggio non si aveva più nemmeno verso la fine del mese di giugno non ci era ancora niente di nuovo, si va sempre avanti colla speranza di un altro giorno.

24 giugno.

S’incomincia a mormorare di un’altra partenza si tratta sempre di portarci verso il fronte.

25 giugno.

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Di buon mattino ecco l’ordine di partire, arrivano i soliti cavalli si attaccano e la lunga colonna si mette in cammino.

Questa marcia è meno faticosa delle altre dopo tre ore siamo al posto e si porta tutto in un prato accanto ad altre batterie già arrivate prima di noi. Viene sera si va in cerca di dormire, andiamo a frugare in tutte le baracche vuote che abbiamo visto, e chi si mette in una baracca chi in un’altra ci siamo messi a posto tutti. Paglia non c’enera siamo andati a rubare chi da una parte chi dall’altra dove c’era qualche accampamento di muli, qualcuno dormiva anche sui travi soli.

Questa frazione era la borgata di San Marco (1.800 mt.) l’ultima che dopo non ci era più niente altro che montagna. Erano poche casette tutte di legno che i borghesi adottavano più per l’alloggio del fieno che per altro. Era una località che ci stavano un po’ d’estate per raccogliere il fieno e poi nell’inverno si ritiravano tutti e lasciavano le case deserte. Di principale vi era un albergo solo dove erano alloggiati gli ufficiali, l’albergo S. Marco questo era uno degli alberghi che ristorava i passanti che transitavano all’estero da Auronzo verso Misurina.

Qui ci stavano già diversi depositi di paglia, fieno, e materiali da guerra.

26 giugno.

Si fa la sveglia e viene ordine come per gli altri luoghi di recarsi all’accampamento a mettere a posto la batteria e coprirla di frasche verdi per renderla invisibile al nemico cogli aeroplani.

27 giugno.

Si fa sempre un po’ di istruzione e qualche piccolo lavoretto, ma qui si pensa già che ci avviciniamo molto al fronte e non lo scappiamo più per nessun motivo. Si vedono passare automobili con ufficiali di alto grado, passano ambulanze e automobili della croce rossa ed incominciano a portare indietro dal combattimento diversi feriti. Tutto quanto quello che si vedeva in circolazione tutta era una visione della guerra, ed in qui incomincia a destare in noi la più viva impressione. Il giorno che lasciammo il bel paese di Auronzo, lasciammo anche tutti i borghesi, qui incominciammo ad essere in zona riservata per i soli militari, da quel giorno salutammo i borghesi e non li vedemmo più. I contadini che fin qui avevano ancora qualche cosa di erba da tagliare dovettero lasciarla in abbandono finchè non ricevettero l’ordine dal comando supremo di entrare in zona riservata. La posta non arriva ancora, il rancio che fin dal principio della dichiarazione di guerra il comando a datto a tutti i militari in guerra la conserva di pomodori e altre verdure per la minestra, non ci era chè un po’ di lardo, di molto che si mangiava senza esagerazione come i maiali.

28 giugno.

Al mattino è suonata l’ora di partire fin dalla sera prima c’era l’ordine di tenerci pronti, ed ecco che non era sbagliato l’ordine. Dopo averci preparati tutti, gli zaini non vennero più caricati come al solito, venne caricati su una carretta da trasporto tutto il materiale da cucina.

Si parte cogli zaini alle spalle si prende una bella strada tutta coperta di piante, ad un tratto passiamo davanti ad una casa, era l’ultima poi non c’era più niente, si continua la marcia per

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un’ora e poi si fa un alt, qualcuno incomincia a mangiare un boccone di pane con qualche cosa che si aveva di scorta, dell’acqua da bere se ne trova tutto a lungo la strada.

I pezzi con il materiale restarono all’accampamento con solo una squadra di uomini per fare la guardia, si trattava di recarsi al fronte per incominciare a preparare il posto per la batteria. Il carro che portava la cucina aveva oltre più una quantità di badili e picconi che dovevano servire per il lavoro. Si continua a camminare a ed un tratto incomincia la salita; non appena fatto trecento metri in avanti, già c’era l’inizio di un grande lavoro. Era la posizione dove piazzavano la famosa batteria da 303, quella famosa batteria di cannoni pesanti che doveva avere l’impresa di battere tutti i forti Austriaci. Il pezzo di sinistra era già a posto il terzo era dietro ad andare in posizione, era proprio nel centro della strada, e doveva fare un centocinquanta metri in avanti su una strada costruita con tutti i travi per portarlo in piazzola. Noi con il nostro carro dovevamo passare tutto attraverso, si dovettero staccare i cavalli e colla forza delle braccia dovemmo tirare il carro passando al largo. Per un lungo tratto la strada era tutta ingombra dalle trattrici e dai carri con ogni qualità occorrendo di pesantissimo materiale.

La posizione ove dovevano essere piazzati questi giganti, era un po’ brutta per il terreno troppo molle, era un parto paludoso pieno di acqua, il grande lavoro era sopra alle capacità umane, a lavorare ci erano soldati in grande numero e diversi operai borghesi.

Si dovettero costruire tutte strade nuove con tutti traversi di grossi travi affinchè il grosso peso non avesse a sprofondare nel terreno. I ponti della strada dovettero essere tutti rafforzati con travi, dove dovevano passare questi, tutto doveva essere rimordernato di nuovo. Il pezzo che stava per essere trasportato in piazzola rappresentava uno spettacolo spaventoso, ci saranno stati attaccati un quattrocento uomini di fanteria, un ufficiale che dava i comandi ed a passo passo si portavano avanti, c’era anche il generale che assisteva alla grande manovra. Passato questo tratto facciamo ancora un tre chilometri di salita, ad un tratto una sentinella ci ferma e ci dice: qui bisogna prendere la strada coperta più in su in mezzo al bosco altrimenti se voi proseguite in avanti per la strada gli Austriaci vi sparano. Allora abbiamo detto qui ci siamo: eravamo al fronte.

Incomincia la vita dolorosa.

I carri di qualunque specie non potevano più proseguire in avanti a causa che la strada era in vista del nemico, ed a qualsiasi piccola cosa in movimento che avesse visto ci sparava. L’ufficiale che ci comandava diede l’ordine di scaricare tutta la roba, la quale venne divisa tanta per soldato, prendemmo tutto a spalla e ci avviamo così per il basso bosco tenendo la strada al coperto. Il carro ritornò indietro. Continuiamo in avanti per questa mulattiera che conduce verso Misurina (1.752 mt.).

Quà e là s’incominciavano a vedere delle buche profonde nel terreno, ci davamo gli sguardi tutto attorno; per noi era tutto cosa nuova. Il nostro Tenente ci disse: Ragazzi queste sono buche prodotte dai proiettili nemici.

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Si continua ancora per quel lungo sentiero tutto fatto a serpe, finchè si arriva sotto una roccia, lì ci fermiamo indecisi, quasi si voleva fare l’accampamento in quel punto nascosto dove già era stata la fanteria di passaggio.

Io con tre compagni cercai subito una bella piazzo letta ben costruita e ben riparata, era sotto una sporgenza di roccia alta un cento metri.

Qui s’incominciava già più che altro a pensare di mettersi al sicuro. Mentre stavamo così preparando e discutendo qualche cosa, di incertezza arriva un ordine di lasciare il posto e di prendere tutto a spalle un’altra volta per proseguire in avanti. Il Tenente che appena all’arrivo sul posto ci aveva lasciati, si era recato all’Hotel Misurina per vedere se avesse potuto trovare alloggio migliore. Difatti lo trovò, arrivati colla roba dopo altri mille metri di strada ci venne assegnato un grande camerone all’ultimo piano del palazzo, una camera tenuta quasi come soffitta.

Facemmo un po’ di pulizia dentro e poi abbiamo deposto tutti i nostri armamenti. Quando tutto era a posto, venne fatto il rancio e mangiamo, ed ecco che la giornata del 28 era passata un po’ in tutti i modi prendendo già una magnifica e soddisfacente visione della vita al Fronte.

29 giugno.

La notte era passata dormendo sul nudo pavimento con una sola coperta distesa per non sporcarsi, ma tutto questo non ci destò viva impressione perché le ossa s’erano già abituate da un po’ di tempo. Doveva passare la giornata senza mangiare. Abbiamo già detto come, in montagna l’appetito non ci manca mai, ce né sempre d’avanzo. Principiando subito dal mattino il caffè non si fece per il semplice motivo che non c’era e così per tutta la spesa, si avesse almeno avuto il pane, ma neanche questo, doveva arrivare tutto da San Marco. Ma stante la grande difficoltà che s’incontra sempre quando uno cambia posizione, così succedeva. Verso le ore dieci, undici, si passeggia avanti ed indietro sempre in attesa che dovesse arrivare da un momento all’altro, ma niente di nuovo. S’incominciava a fare dei lunghi sospiri ma nulla giovava a rendere migliore la situazione. Verso le ore quattro viene ordine di andare una squadra a prenderla suddetta spesa fino alla batteria da 305 di cui già feci cenno, era indietro distante un cinque chilometri da noi. Colà il carro che doveva proseguire in avanti per raggiungerci colla spesa, si dovette arrestare a questa batteria la quale ingombrava tutta la strada e nessuno poteva passare e transitare se non che a piedi.

Così si fece e partirono gli uomini ed arrivarono verso le sei e mezza o le sette. Ci vennero subito distribuite le pagnotte, intorno a quei pacchi, ci sembravano i leoni per levarci la fame che si aveva addosso c’è ne volevano almeno tre eppure era così. Incominciamo a mangiare un pezzo di pane ed intanto i cucinieri nostri preparano il rancio con carne e pasta tutto assieme si fa una bella mangiata e la giornata trista era finita così.

30 giugno.

Al mattino ci alziamo, c’era già l’ordine di lasciare l’hotel per recarsi a lavorare. La fanteria che ci stava anch’essa alloggiata in quel grande palazzo e che faceva già il servizio in trincea fin da un

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mese, ci sapeva già a raccontare qualche cosa di guerra toccato a loro. Qualcuno mi diceva che aveva già avuto qualche morto e qualche ferito, altri mi raccontavano che stando in trincea ci sparavano granate a quantità e che i nostri ci rispondevano poco perché ancora scarsi di cannoni piazzati, e mi dicevano che avevano già anche sparato tanto all’hotel dove eravamo alloggiati, e che tanti proiettili erano andati a cadere in su nel lago vicino.

Dei combattimenti a scopo di avanzata non ne avevano ancora fatti. Mi dicevano che avrebbero dovuto essere stati iniziati presto. Ma per incominciare bisognava che entrassimo prima in opera anche noi. Difatti sempre nella stessa mattina del trenta si parte da questa abitazione e ci avviamo per un bosco dove una piccola strada coperta in mezzo alle piante ci conduceva dove era stato scelto il posto per piazzare la nostra batteria. Mentre si percorreva lentamente questa mulattiera si cominciano a sparpagliare un po’ da uno all’altro. A un tratto quasi mi sperdevo e poi riuscii a raggiungere tutti gli altri. Lungo questo tragitto incominciamo a giudicare che avevano molto vicino al nemico e che era anche facile ad essere scoperti. Non ci siamo sbagliati. Passiamo un tratto di cinquanta metri allo scoperto ed ecco u colpo che parte ed arriva tutto di sorpresa, ci scoppiò quasi di sopra. Era un colpo Austriaco che ci prendeva di mira. Allora noi tutti sbalorditi pensiamo ognuno a nasconderci in modo da essere sicuri della pelle. Intanto i colpi arrivavano sempre con più furia e tentavano a battere qua e là la strada dove noi dovevamo passare. Ad un tratto cessarono, diversi dei compagni hanno riuscito a raccogliere le spolette degli “Srapnells” che tendevano di colpire. Passate queste prime due ore fantastiche ancora non avevano raggiunto il posto destinato. Giunti eccolà abbiamo iniziato qualche piccolo lavoretto ma in complesso si fece poco. Venne alla sera si ritorna in dietro con tutto il nostro bagaglio attaccato alla schiena ma non si va più all’Hotel Misurina ove si era il giorno prima. Allora s’improvvisa un accampamento nuovo da sotto il tiro nemico di modo che restava sempre vicino a venire a lavorare nel posto per mettere in batteria e ogni sera si ritornava all’accampamento. Qui ci siamo ristabiliti per la prima volta sotto le tende.

1 luglio.

Si parte dopo aver preso il caffè e si va di nuovo a lavorare per la batteria, non si camminava più per il sentiero. Ognuno pensa a camminare pel proprio conto in mezzo al bosco in modo da non far succedere il guaio che succedette il primo giorno. Si giunge al posto e si lavora, di tanto in tanto si sentivano colpi quà e la, la prima cosa era quella di guardare se erano rivolti verso di noi ma fortunatamente non ci spararono più. La posizione era brutta, il terreno era molto paludoso e ci costavano grandi lavori per poter trasportare i pezzi pesanti in luoghi simili a quelli. Il morale della compagnia non era del tutto buono. Tutti pensavano che se noi andavamo in quella posizione saressimo stati bersagliati da colpi nemici il primo giorno che si arrivava.

2 luglio.

Di mattino arriva un altro ordine: si dovevano levare tutte le tende e preparare tutto per partire. La nostra batteria era stata sospesa provvisoriamente, i lavori incominciati restarono come si trovavano. Ci armiamo di badili e picconi, con la tenda e coperte e si parte per “Tre Croci” (Passo a 1.809 mt.).

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Dopo due ore si arriva a posto, eccolà un bellissimo Hotel proprio al nostro confine. Era una bella valle ed intorno a questo caseggiato c’era un bellissimo piano, e qui si dovevano piazzare due obici da 280 mm. Appena giunti sul posto tutto era già disegnato ci mancava solo gli uomini. Ci mettiamo subito al lavoro; chi batte col badile, altri col piccone, scaviamo la famosa fossa nel sasso che doveva servire al piazzamento dei famosi obici. Verso sera smettiamo il lavoro mezz’ora prima dell’orario per piantare le tende. Piantate le tende, venne pronto il rancio ove si mangia con doppio appetito. Vicino a noi ci stava un accampamento del 53° Reggg.to Fanteria, questi soldati stavano accampati proprio davanti a noi dove si doveva mettere la batteria, ed ogni mattina andavano fuori per i lavori a costruire trincee.

3 luglio.

Dopo la sveglia il sergente della compagnia ci fa mettere in riga e fa l’appello per vedere se manca qualcuno, e quindi si va al lavoro. L’orario del rancio che al reggimento era verso le dieci, in guerra lo trasportarono alle undici, ma erano più le volte ancora che si mangiava alle dodici.

Questo era il peggio dei mali, la fame era la cosa che ci tormentava più di qualunque altra cosa.

Quando si andava al rancio si avrebbe mangiato una marmitta di pasta intera solo la grande ingordigia che si aveva addosso. Vicino a noi c’era una cantina della fanteria, la prima cosa che ogni cantina non può soddisfare al bisogno di tanti soldati che ci sono, per tanta roba che abbiamo, e poi un’altra cosa è quella che ogni cantina prima di vendere roba ad altri, la vende sempre prima al suo Reggimento. Ed è così che noi anche a voler pagare la roba a qualunque costo non si poteva avere. Il più essenziale era il pane, ed è successo alcune volte di pagare persino una lira una pagnotta di pane perché si potesse ottenere. Qualche scatoletta di roba in conserva che si poteva trovare più facilmente la facevano pagare una cosa incredibile.

4 luglio.

Lo spirito, il morale, la fame molto alta, ma il mangiare sempre poco. Scrivo a casa e nessuno mi risponde, sono già 25 giorni che non ricevo più posta.

5 luglio.

Si fa sempre la sveglia alle ore cinque, si prende il caffè, e poi si va al solito lavoro. Verso le dieci si sente un grande rumore su per la vallata, erano le trattrici che tiravano i pesanti cannoni verso di noi, e dopo una mezz’ora sopraggiungono uno dopo l’altro, ogni pezzo erano attaccati due macchine ed in certe circostanze anche tre. Subito dietro arriva un automobile con il generale che veniva ad ispezionare i lavori.

6 luglio.

Il Capitano del 9° Regg.to Fortezzza ci fa una morale dicendoci che si doveva sollecitare molto il lavoro che per ordine superiore i pezzi dovevano sparare entro tre giorni. Diffatti nello stesso giorno uno dei pezzi venne messo in posizione di sparo.

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7 luglio.

Si celera di più l’intenso lavoro per la scavazione dell’altra piazzola, parte fanno i camminamenti al coperto, altri coprono i carriaggi di frasche verdi, ed altri mettono i ripari alle riservette proiettili e munizioni. Le trattrici continuano a portare i grossi proiettili a materiali.

8 luglio.

Si mette in posizione il secondo pezzo ed il primo, verso le ore dieci incomincia a sparare. Stabiliti i rispettivi osservatori, si recarono poi un ufficiale con due soldati per osservare i tiri. Presenti oltre al Comandante la batteria, intervenne un’ingegnere in meccanica ad assistere al primo funzionamento all’aperto del fuoco.

All’inizio del fuoco noi venimmo tutti schierati in dietro dai pezzi ed assistemmo all’inaugurazione della batteria che gli facemmo tanto lavoro.

In batteria da 305 anch’essa di grosso calibro aveva già incominciato il bombardamento il giorno sei, e ad essa si univa questa il giorno otto, che dovevano entrambi compiere la stessa impresa: la grande impresa, la distruzione dei forti nemici austriaci. Queste due batterie gigantesche continuarono per quindici giorni incessanti a battere le fortezze nemiche, ove compirono poi un risultato magnifico. Quasi tutte le fortezze vennero smantellate e rese inservibili.

9 luglio.

Si fa l’ultima giornata di lavoro a questa batteria quando verso sera il Cap. della Batteria ci fa riunire tutti per farci le lodi della contentezza che ha avuto della compagnia del 7° Fortezza nell’adempimento dei suoi doveri.

In ultimo ci ringrazia tanto esprimendo verso di noi la sua più viva riconoscenza. Quindi dà ordine al nostro Comandante che noi eravamo in libertà per il giorno successivo.

10 luglio.

Al mattino si fa ancora un po’ di lavoro fino all’ora del rancio alle undici e mezza. Verso sera ci prepariamo tutta la roba e si parte per il vecchio accampamento. Per istrada si pensava già se andassimo per piazzare la nostra batteria o no, oppure se dovessimo andare in quel dato posto dove già ci avevano sparato e che facilmente si venisse essere scoperti.

Giunti verso l’accampamento mangiamo il rancio, e non si fa nemmeno in tempo a piantare le tende che c’era già un altro ordine pronto; si doveva partire subito per S. Marco ad andare incontro ad una sezione della nostra batteria che già era inviata verso Misurina ma era senza uomini. C’erano appena i conducenti con i loro cavalli attaccati.

Le cinque notti senza dormire.

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Era la sera del 10 luglio, si cammina già per la lunga discesa nella notte oscura. Si arriva a metà strada e incontrammo i carri che venivano allora disposti in ordine d’accompagnamento e si riprende il cammino proseguendo bene finchè la strada è più o meno piana.

Quando s’incomincia la salita facemmo un quattro chilometri circa e poi i cavalli si arrestarono, si fa ogni sforzo per proseguire, ma non c’è più nessun verso. I pezzi che erano davanti hanno arrestato tutta la colonna.

Dopo una mezz’ora di sosta passano davanti i carri con le munizioni e fanno qualche poco di strada a stenti. La notte si faceva tarda e i risultati erano pochi. Allora si distaccano pariglie di cavalli e si aggiungono davanti agli altri in difficoltà, e così ad uno ad uno, si tirano su tutti i carri munizioni. Venne al mattino e ci restano ancora i due pezzi giù dalla discesa.

11 luglio.

Senza riposo e senza mangiare i pezzi si dovevano portare via dal mezzo della strada. Viene una compagnia di rinforzo e si fa il traino a mano invece che con i cavalli. Verso mezzogiorno si va all’accampamento stanchi come le bestie, si mangia poi si devono andare a piantare le tende, ciò fatto ci mettiamo a riposo per mezza giornata.

Arriva la sera e bisogna andare alla dogana a prendere i pezzi e metterli in posizione di traino e portarli e portarli davanti all’Hotel Misurina per poi alla sera dopo iniziare il traino per la posizione denominata “Col di Tocci”. Per questa strada qui si deve sempre lavorare di notte perché è in vista del nemico. Terminato il lavoro venne quasi giorno, ed ecco che per la seconda notte non c’è stato modo di dormire.

12 luglio.

Al mattino si va in batteria a lavorare e si ritorna verso sera. L’ordine era già fresco e pronto dalla sera prima; si doveva iniziare il traino per il bosco. Si parte di notte e si raggiunge il pezzo che ci aspettava, alcune compagnie della batteria circostante vennero in nostro aiuto.

S’incomincia la salita per il bosco e si mette a piovere, il riflettore nemico incomincia ad illuminare tutta la vallata con la sua macchina dai monti avanti a noi, ed ogni volta che ci illuminava bisognava gettarsi a terra in mezzo al bosco per non farci scorgere. Nemmeno a dare i comandi non si poteva gridare a tutta voce per timore che i nemici ci avessero a sentire. La pioggia cade dirottamente, ed il traino non può più andare in avanti perché la salita era troppo rapida, la notte era lunga, il lavoro faticoso e gli uomini erano stanchi più che mai e non si potè più andare in avanti. Il Maggiore comandante il Gruppo si credeva, anzi aveva dato per compito che nella prima notte fosse portato a posto.

Incomincia a farsi l’alba e noi eravamo ancora piantati al medesimo posto. L’ordine di smettere non era che per le ore sette; cessa un po’ di piovere e si giunge all’accampamento, eravamo tutti bagnati da fare pietà.

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In tutti noi come anche l’ufficiale che ci comandava c’era la buona fiducia che almeno questo giorno ci avrebbero lasciati riposare.

Giunti al posto, ci mettiamo sotto le tende, io mi cambio e mi metto addosso un po’ di roba asciutta. Non era ancora un’ora che si riposa che c’è ordine di alzarsi e andare a lavorare in batteria. Allora la faccenda non andava più, non poteva più andare avanti così perché si usciva definitivamente dai limiti davvero.

I soldati incominciano a reclamare, ma il nostro Comandante ci dice che non dipende da lui; il Maggiore Comandante il gruppo voleva che a tutti i costi per il quindici del mese i pezzi dovevano sparare. D’allora incominciammo a fare conoscenza con questo Maggiore che era una persona delle più cattive che si possa immaginare.

13 luglio

Si fa uno sforzo e si va a lavorare, io da questo giorno non mi sento bene ma vado lo stesso, si lavora tutto il giorno in quel terreno paludoso pieno di acqua e si era stanchi più che mai. Alla sera ritorno e mi viene data una lettera che era scritta nell’inderizzo differente dagli altri; la apro e veniva da casa; Oh! Finalmente, dopo quaranta giorni, posso di nuovo sapere che la mia famiglia sono ancora vivi. Era scritta dalla sorella, la lettera mi pare aver dato un gran sollievo, ma tuttavia non è riuscita a disimpegnarmi dai grandi lavori che ci incombono.

Viene notte e si deve andare al famoso traino che ancora stava al principio della strada, si passa la quarta notte a faticare e verso il mattino il primo pezzo arriva a metà strada; eravamo più morti che vivi, sembravamo quelli condannati ai lavori forzati a vita.

Io non ne poteva più a nessun conto, il Comandante non voleva assolutamente che si fosse marcato visita, per non destare il vagabondaggio in tempi così critici e limitati per l’operazione da compiersi.

14 luglio

Lo si passa su per giù come tutti gli altri, io era ammalato, e senza chiedere visita non mi reco cogli altri a lavorare, rimango sotto la tenda fino verso le ore undici, intanto si mette a piovere molto forte. L’acqua mi viene sotto la tenda, mi alzo, vado fuori e son costretto a fare un piccolo canaletto tutto attorno. Mi rimetto sotto e intanto sopraggiunge un’intero Reggimento di fanteria: era il 56° che veniva di rinforzo al 55° che stava nel famoso “Monte Piano” da un mese e mezzo.

Si accampano tutti intorno al nostro accampamento, io trovo qualche lombardo, discorro qualche momento ed intanto viene l’ora del rancio, mangio e verso mezzo giorno me ne vado alla batteria.

Arrivato, gli altri stavano tutti al lavoro, ed io mi associo a loro, ci arriva un altro dietro di mè e mi porta un fascicolo di posta, si era svegliata tutta a un tratto anche la corrispondenza. Viene sera e si deve ricominciare il traino che per domani 15 luglio si doveva incominciare il grande bombardamento sul Monte Piano. Io rimango alla batteria a lavorare in piazzola e parte degli uomini vanno al traino.

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Per il mattino tutte le batterie avevano ordine di aprire il fuoco alle ore cinque non c’era più tempo da perdere, il Maggiore anche lui presente obbligava a lavorare tutta la notte per preparare almeno un pezzo per il domani. La notte era fredda io lavoravo fino alle ore undici e poi non ne potevo più, uno incomincia a scappare sotto ad una pianta e l’altro da un’altra parte. Io mi metto sotto ad una pianta di pino e me ne sto lì fino quasi al mattino così tutto rannicchiato per il freddo che mi gelava, eppure a preferenza del lavoro che ci pareva così faticoso si soffriva in tutti i modi. Si avvicina l’alba allora mi alzo tutto mezzo gelato e vado a lavorare con un fresco gelido proprio da montagna;intanto il traino si faceva vicino, e verso le ore tre finalmente giungeva in batteria.

Continuazione del diario della campagna 1915/1916

Capitolo secondo

15 luglio

Non era una vita da cristiani quella, erano i primi giorni che eravamo al fronte e già ci facevano vedere l’inferno. Tutti pensavamo che se si doveva continuare ancora per un po’ di tempo in quel modo sarebbe stato una vita insopportabile; io per primo ero già ammalato da alcuni giorni e non c’era verso di poter passare una visita. Gli uomini che erano venuti in aiuto nostro ci lasciarono appena giunti sul posto; erano le quattro e trenta ci mettiamo subito a mettere il pezzo in posizione di sparo in modo da renderlo pronto almeno per le dodici. Alle ore cinque le altre batterie che già avevano l’ordine fin dalla sera prima incominciano il bombardamento.

Le detonazioni erano assordanti, le diverse batterie sparavano con tiro accelerato unitamente a tutte quelle di grosso calibro che tendevano ancora a demolire i forti e a sconvolgere i triceramenti blindati. Era tanto violento questo bombardamento che lo ricorderò sempre per tutta la vita, mi pareva di essere in mezzo a una grande musica, ed intanto continuiamo sempre a lavorare; ma il lavoro veniva sempre più grande, il terreno paludoso non ci aveva ancora permesso in così poco tempo di organizzare un lavoro o una preparazione che rendesse possibile il piazzamento di tali cannoni. Il lavoro che doveva essere fatto in un’ora ce ne andavano due, e verso le ore nove arriva il Signor Maggiore che comandava il gruppo, e senza tanti complimenti e con aria arrogante ci obbliga ancora a lavorare con la massima celerità.

Verso le ore dodici il telefono incominciava già a funzionare, il Comando domanda se si poteva sparare e gli venne risposto di no. Si lavora ancora un’ora ed ecco che alle ore tredici siamo pronti. Si avvisa il comando e questo ci da tutte le disposizioni necessarie per aprire subito il fuoco. A tutte le altre batterie ci siamo uniti anche noi e la musica diventa sempre più grande e più intensa. Finalmente prendiamo un po’ di riposo, ci mettiamo a sedere e ascoltiamo ansiosi questa musica fantastica, la più gran parte dei colpi andavano a cadere qui sul Monte Piano. Dopo diverse ore di questo bombardamento, si sente lo screpitìo dei fucili, le fanterie muovevano all’attacco delle trincee nemiche. Si continua a sparare fino a sera, nella notte si rallenta un po’ e si accelera di nuovo verso il mattino seguente.

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16 luglio

La notte non passò tutta al riposo, prima dell’alba dobbiamo alzarci e andare a prendere le munizioni che stavano a circa due chilometri dalla batteria, bisognava sempre camminare di notte per non destare l’attenzione del nemico che stava poco davanti a noi. Nella giornata si continua a lavorare per il secondo pezzo che doveva venire anche lui in posizione, e il bombardamento continua ancora per tutta la giornata. Verso sera vediamo passare da Misurina molte ambulanze cariche di feriti, gli hotel vennero riempiti tutti in questi due giorni di feriti. I due Reggimenti che salirono al primo urto per questo monte vennero quasi distrutti, il più sconfitto fu il 55° che venne decimato; il primo attacco finì con pochi risultati.

Nella giornata dopo passarono qualche cinquantina di prigionieri che avevano catturato i nostri con un numero rilevante di armi.

17 luglio

Si lavora sempre in batteria, alla sera parte degli uomini sono comandati per il traino del secondo pezzo, io sono comandato per il trasporto munizioni che arrivò col primo viaggio verso le dieci. Verso mezzanotte lungo tutta la strada avrò fermato almeno cinquanta volte, non potevo più camminare a nessun costo, il proietto che avevo sulle spalle pesava trentatré chili, ma a me mi sembrava un quintale e alle volte mi veniva persin voglia di piangere; pensavo a tanto lontano non sapevo più che dire era così. Finalmente arrivo a posto affaticato, mi metto sotto la tenda e riposo qualche ora.

18 luglio

Questa mattina mi ero deciso di non alzarmi più per nessun costo, non potevo più reggermi in piedi, gli altri vanno al lavoro ed io me ne rimango sotto la tenda. Ecco che non passò un’ora che viene un sergente a chiamarmi ed io gli dissi che assolutamente non potevo lavorare, e che avesse fatto il piacere di lasciarmi a riposo; a nulla valsero le mie preghiere, mi disse che se volevo il riposo dovevo andare dal Capitano. Il Comandante che non era di pasta buona se pareva a lui ci faceva stare a riposo, del resto era anche capace di darti una diecina di giorni di prigione. Non voleva assolutamente che si chiedesse visita, non voleva che facessimo i pelandroni con tutto quello che c’era da fare. Con bella maniera mi dovetti alzare anche questa volta e andare in batteria anche questa volta e andare in batteria facendo ancora del tutto per non farmi conoscere dal Superiore che ero rimasto assente senza permesso.

Scrissi a casa e dissi che la salute era ottima e che mi avessero spedito un pacco con mutande e camicie da coprirmi un po’ di più; diffatti io mi accorgevo proprio che quando mi sono indossato quei panni stavo tanto meglio.

19 luglio

Mi alzo ed incomincio a sentirmi un po’ meglio e ho detto: allora va bene, l’appetito che avevo quasi perso mi comincia ad aumentare un poco, e i lavori alla piazzola erano sempre gli stessi. Si

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sistemano e si rimodernano i basamenti, si rafforzano con le travi perché i primi colpi sparati già le avevano sfondate nel terreno morbido. La notte non si passavano mai a dormire perché si era sempre di servizio al trasporto munizioni.

Il rancio fin qui era sempre cattivo, da comperare neanche per sogno, non c’era niente e si andava avanti a quattro gambe. L’Ufficiale che era con noie che anche lui aveva preso parte a tutti i traini e la pioggia, neanche lui non era di ferro, si lamentava e voleva darsi ammalato; fino ad un certo punto con tutte le fatiche c’è anche l’amor di patria, ma ai limiti di quei giorni più nessuno li poteva sopportare.

20 luglio

Mi alzo e il mio stato di salute continua sempre migliorando, l’appetito mi aumenta sempre più e per me era già un grande sollievo che potessi avere. Si continua sempre a lavorare ma si incomincia già anche a stare un po’ meglio anche di morale.

21 luglio

Mi alzo e mi sento ristabilito, allora vado a lavorare allegramente. I pezzi sono già tutti e due a posto, si rafforzano le piazzole e i ricoveri e si incomincia già una vita un po’ da cristiano. Di tanto in tanto c’è da aprire il fuoco, si sparano alcuni colpi e poi si cessa. Alla sera c’è la riunione per la cinquina e la distribuzione del tabacco governativo.

22 luglio

C’era la voce di un’altra spedizione, la sezione che abbiamo lasciato al S. Marco deve anch’essa partire per ignota destinazione.

23 luglio

La notizia è quasi sicura, non so ancora se partirò, e ne sto in dubbio tutta la giornata.

24 luglio

Ci alziamo, e dopo aver preso il caffè c’è a riunione perché è arrivato l’ordine della partenza metà degli uomini di questa sezione devono dividersi e partono con l’altra metà che è ancora a riposo. Siamo in tutto 120 ma ne devono partire solo 60, il Capitano fa la lista dei partenti ed io ci sono dentro e mi pare impossibile che io debba sempre essere tra gli sfortunati. Ora che tutto è a posto, bisogna partire di nuovo per andare a incominciare un’altra vita nuova. I lavori che già abbiamo faticato tanto a farli dobbiamo lasciarli per ripeterne altri in un altro luogo. Si dice che dobbiamo andare sopra a dei monti molto alti, naturalmente ci costerà molta fatica ancor di più di questa che abbiamo già fatto qui. Si prepariamo lo zaino ed intanto ci viene fatto il rancio verso le ore dieci; si mangia e dopo viene ordine di partire. Passai prima in fureria e mi viene pagato un vaglia di lire cinque che mi veniva da casa; saluto gli amici e la batteria che lascio qui a “Col di Tocci” che tanto ci ha fatto lavorare e soffrire. Ci avviamo già tutti per la strada in mezzo al bosco sempre camminando svelti siccome si era in pieno giorno e c’è pericolo che ci sparano. La giornata è

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splendida ma ecco che il tragitto pericoloso non è ancora passato tutto al sicuro, non appena infilato la strada che ci conduce verso la parte sicura, ecco che siamo scoperti dal nemico che inizia a spararci con colpi di Shrapnels e le palette ci sibillano intorno. Nessuno si volta indietro a guardare, ognuno pensa di mettere in salvo la propria pelle con corsa accelerata. Gli Austriaci ci accompagnano per un lungo tratto con tiri molto rapidi, ma poi cessano il fuoco.

Fortunatamente nessuno di noi rimase colpito, camminiamo ancora, e dopo qualche ora arriviamo a S. Marco; qui pare di rinascere per un giorno. Si trovano le cantine, si può comperare vino e pane, poi alla sera il dormire lo cerchiamo in baracche e troviamo da pernottare discretamente.

25 luglio

Ci alziamo, prendiamo il caffè e intanto arriva una lunga colonna di cavalli e vuol dire che dobbiamo partire. Il tempo è nuvolo e andiamo al rischio di prendere la pioggia, carichiamo tutti gli zaini su un carro e col fucile a tracolla ci mettiamo dietro ai carri. Qui abbiamo un nuovo Comandante e ci ordina di partire. Sono le ore otto circa e siamo tutti sulla strada e comincia a piovere, si cammina sotto la pioggia che si fa battente per tutto il tragitto e trascorsi i dieci chilometri circa siamo giunti a posto.

La fame già ci tormenta e il freddo anch’esso ci perseguita anche perché siamo bagnati come le anitre quando escono dall’acqua. Ci sono ancora due chilometri di strada da fare ma incomincia la salita, le strade sono ancora guaste, i cavalli si arrestano; si batte, si lavora, si tira in tutti i modi ma non si può più andare avanti. Si fa un po’ di sosta per riposare anche noi e i cavalli, un caporale della batteria va in cerca di pane e ne trovò, ne compera un mezzo sacco con diverse scatole di sardine e qui ci sfamiamo tutti. Si riprende ancora la marcia ma non si va più avanti di duecento metri che ci arrestiamo del tutto. La vita nostra in montagna è comune a quella dei cavalli, quando ci troviamo ad una salita le bestie si arrestano e non c’è più verso a farli camminare; all’ora l’unico rimedio più spicciolo sono gli uomini che ci attacchiamo con delle lunghe corde ed ecco che andiamo avanti. Anche questa volta i cavalli vennero mandati indietro e noi facemmo il traino a braccia. A poche centinaia di metri arrivammo a posto che subito improvvisiamo le tende in mezzo al bosco bagnato, ma di paglia non c’è né, ma mettiamo in sostituzione le frasche dei pini. Arriva il rancio verso le dieci e poi si va a dormire.

26 luglio

Ci alziamo e andiamo a mettere a posto tutti i carri sotto le frasche verdi.

27 luglio

C’è ordine di mettere i pezzi in posizione di traino, alla sera s’incomincia aiutati da due compagnie di fanteria qui in presidio, facciamo circa tre chilometri di salita, e a ora discreta c’è ordine di smettere e si ritorna all’accampamento. Finalmente arriva la paglia, ci viene divisa tanta per tenda; si mangia il rancio e si va a dormire.

28 luglio

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C’è la sveglia di buon mattino, si prende il caffè e poi si prosegue il solito traino, la salita comincia a venire sempre più rapida e non si vede la fine. Alle ore undici e trenta il rancio ci viene portato sul posto con un mulo, abbiamo un’ora e mezza di riposo, si mangia e s fa un piccolo sonnetto. Alle ore una si riprende il lavoro e si va fino a metà della salita, alcuni incominciano a bestemmiare, le mani ci bruciano e le braccia si stancano. Si continua così fino alle ore sei e poi viene ordine di cessare, ma non appena viene dato l’ordine di corsa facciamo la discesa rapidissima a salti, di corsa senza cercare la strada che ci pare troppo lunga prendiamo attraverso e arriviamo all’accampamento.

29 luglio

Partiamo sempre aiutati dalla fanteria e proseguiamo per il traino, qui ci si incomincia già a stancare e non poco, perché anche il proverbio dice che il gioco per essere bello deve durare poco, ora sono già tre giorni che si tira con questa corda in mano e questa musica non a fine. Di tanto in tanto s’innalza gli occhi e la salita è ancora lunga, a stenti si tira fino all’ora del rancio quindi si mangia, si fa qualche ora di riposo e poi si riparte. La fanteria incomincia a reclamare e ci dicono che loro devono fare servizio in trincea e quando hanno i giorni di riposo non è giusto che devono andare in soccorso all’artiglieria e traballare i cannoni da una parte all’altra; hanno ragione anche loro, ma anche noi non facciamo una vita tanto da signore.

Ci incomincia a venire fame, ad un tratto arriviamo vicino ad un accampamento di artiglieria da montagna, questi hanno del pane in sopprapiù e ce ne vendono qualche pagnotta a noi; chi arriva per primo ne prende un pò in più e poi la divide con i compagni. Gli ufficiali ci fanno coraggio, dicendoci che fra poco siamo a posto e che poi ci riposeremo, tutto va bene ma poco ci persuade. Alcuni reparti di alpini sono mandati in nostro aiuto e a sforzi ci portiamo quasi in cima, maledette le montagne e chi le ha inventate, sempre si cammina senza fine, incominciamo a essere nel sasso nudo e non si vede più vegetazione.

Viene sera e c’è ordine di cessare, si ritorna all’accampamento stanchi come le bestie.

30 luglio

Il traino che noi abbiamo lasciato questa mattina lo prosegue la fanteria solo con l’aiuto degli alpini, noi abbiamo un altro compito; un compito molto duro, c’è da prendere lo zaino e le tende e portarli al posto dove deve andare la batteria. Si parte dopo aver mangiato il rancio che ci venne fatto prima, poi si incomincia a salire e solo a guardare in alto ci veniva male al cuore a vedere quella grande salita che si doveva fare tutta nella stessa giornata; ogni duecento metri si fa una piccola sosta. Verso le ore undici si mette a piovere dirottamente, continuo a salire ancora per un quarto d’ora per non perdere tempo siccome ero ancora solo a metà salita; ad un tratto mi dovetti fermare per forza, il tempo si oscurò e la pioggia mi impediva di camminare. Tirai fuori dallo zaino il telo da tenda e con un’altro compagno ci siamo fermati, abbiamo messo lo zaino a terra come sedia con il telo da tenda in testa, e alla meglio abbiamo passato un’ora, così l’acqua ci scorreva sotto e intanto comincia a far freddo.

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Quando la pioggia rallenta un po’ si riprende il cammino. Io non sapevo più dove avessi la testa, camminavo faticosamente sotto la pioggerella che ancora continuava a cadere, di tratto in tratto alzo gli occhi e vedo già la cima che si avvicina a noi. Giunto sul piano, la pioggia aumenta di nuovo, mi trovo a ricoverare in una piccola baracchetta di legno già del Genio; era una baracca da calzolaio mezza rotta, era un po’ meglio che essere fuori ma di poco. Il freddo incomincia a tormentare, battevo i denti, il vento è molto più forte che a valle. Si fa tardi e la pioggia si calma di nuovo quando decido di partire, vado avanti e per un buon tratto trovo tutto piano e non c’è male, ma incomincio a pensare dove sarà questa benedetta posizione che dobbiamo raggiungere. Ad un tratto trovo un rifugio, molti dei miei compagni erano già andati dentro, era una rifugio abbandonato dai nostri perché troppo sotto il tiro del nemico, difatti da alcuni lati portava il segno delle cannonate.

Accendiamo un po’ di fuoco e cerchiamo alla meglio di farsi asciugare un poco, si trattava quasi già di dormire qui nel ricovero, ma c’era ordine dal Comandante di recarsi a qualunque costo sulla posizione assegnata. Ci avviamo sulle nude montagne, non si vede un ramo neanche pagarlo cento lire, qua e là si vedono ancora mucchi di neve. Ognuno portava seco dalla bassa valle un bastone per piantare la tenda all’arrivo sul posto perché si pensava già fin da prima che in quel dato luogo non ci sarebbe più stato nessun tipo di vegetazione.

Ad un tratto incomincia una lunga discesa e qui troviamo il nostro cannone; era coperto con un telone, mi pareva un morto.

La fanteria che l’ha preso la sera prima da dove lo abbiamo lasciato noi lo fece proseguire nella notte per un tratto di due chilometri in avanti lasciandolo poi verso l’alba in questo punto.

Sono già da più di otto ore che cammino e ci vuole ancora un’ora prima di arrivare, ad un certo punto sopra una salita c’è un piano con un laghetto chiamato “Lago di Cengia” e finalmente siamo a posto. Prima di tutto c’era la fame che ci tormentava, c’è vicino un’accampamento di artiglieria da montagna e domando a qualcuno se hanno del pane da vendere ce l’avrei pagato anche una lira d’un solo pezzo purchè di averlo; da alcuni me ne vennero dati alcuni pezzi che avevano loro di scorta e me li diedero graziosamente senza voler nulla. Ci mettiamo a piantare la tenda e si dovrà fare in tutta fretta anche perché minaccia di piovere, naturalmente il terreno è tutto bagnato e paglia non c’è né neanche per sogno; ci mettiamo sotto coi vestiti tutti bagnati e l’acqua scorre sul terreno nudo.

Il rancio si potè fare solo a tarda ora con tutti gli stenti, e per quella sera si fece sotto al riparo della cucina dell’artiglieria da montagna. Venne ora di mangiare io non avevo il coraggio di uscire da sotto la tenda dal grande freddo che avevo addosso mentre l’acqua sgorgava sotto da tutte le parti. Ci siamo messi una copertina sottile da campo e sotto altre due con il cappotto sopra, ma tutti rannicchiati non si poteva riposare affatto; verso le ore tre del mattino c’era la sveglia.

31 luglio

Tutti protestano e nessuno si vuole alzare per nessun motivo, siamo stanchi come le bestie per il lungo viaggio e già incomincia il martirio. Il tenente sopraggiunto in quel momento venne

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informato dal sergente della cosa, l’Ufficiale dà ordine che vengano immediatamente abbattute le tende e per eseguire l’ordine qualcuna si abbattè e dopo ci dovemmo alzare per forza.

1 agosto

All’appello si tremava come i cani, nella notte gelida c’è anche caduta un po’ di neve e i monti sono biancastri. Il cappotto che abbiamo addosso è tutto gelato, si battono i denti come un ragazzo di dieci anni. Io non avevo mai creduto che al mese di agosto dovesse ancora fare un freddo simile, sarà perché siamo in alta montagna.

Si parte perché dobbiamo proseguire con il traino che abbiamo lasciato dietro di noi, il rancio ci viene portato all’ora prefissa per strada, e poi si continua fino alla sera ove si raggiunge la batteria. Il Genio zappatori che si trova qui di presidio, già da alcuni giorni viene a lavorare per prepararci le piazzole.

Subito di buon mattino ci mettiamo a mettere il pezzo in posizione di sparo, nella giornata stessa si formano le squadre e alle ore undici s’incomincia ad aprire il fuoco per l’aggiustamento del tiro sui nuovi bersagli.

2 agosto

Poche novità, incominciano ad arrivare qualche colpi nemici ma senza recarci danno perché vanno a sbattere tutti alla nostra destra.

3 agosto

Si lavora in batteria per la sistemazione dei lavori di rafforzamento, alla sera si va a fare il traino del secondo pezzo che ancora deve arrivare e si passa tutta la notte.

4 agosto

Al mattino si fa un riposo un po’ più lungo del solito e poi si lavora in batteria.

5 agosto

Il nemico spara ad un nostro pezzo da montagna che è poco distante da noi e rimasero feriti due muli e nessun danno al personale.

6 agosto

Mettiamo a posto anche il secondo pezzo e poi tutti e due sono pronti a sparare. Colonne di muli e cavalli subito ci portano una bella scorta di munizioni; alcune granate da 105 nemiche caddero presso la nostra batteria senza fare nessun danno.

7 agosto

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Si lavora in batteria e il nemico di tanto in tanto ci continua a disturbare con qualche colpo di cannone, la nostra batteria è stata visitata dal Comandante del Corpo d’Armata Generale Piacentini con Febbri e Goria.

8 agosto

Sono messo nella squadra per il servizio in batteria e verso le quattro ci mettiamo a sparare, facciamo una decina di colpi e poi si cessa il fuoco. Nelle ore d’intervallo si continua a lavorare per il rafforzamento.

9 agosto

Dopo la sveglia si va a lavorare in batteria, la fame aumenta tutti i giorni, da comperare non si trova niente neanche volerlo pagare dieci volte. Alla sera sono mandato a portare un fonogramma a due telefonisti del genio che sono distaccati per circa un chilometro e mezzo da noi. Nel ritorno era già scuro, il nemico da un attacco alla nostra fanteria e la batteria da campagna che sta davanti a noi sul ciglio del costone si mette a sparare celermente. Anche la nostra batteria ha ordine di aprire il fuoco e subito si mette a sparare; i colpi dell’artiglieria nemica che controbatteva la nostra cadevano proprio dove io dovevo passare. Mi metto a correre pazzamente, sbaglio il sentiero e vado a finire in un burrone, fortunatamente vicino alla nostra batteria mi salvo altrimenti l’avrei cavata più male; intanto il fuoco cessò e l’attacco nemico era respinto.

10 agosto

Il nemico bersagliò un nostro pezzo da campagna senza però recare grave danno lo fece ruzzolare giù di pochi metri per la montagna dove due soldati stavano riposando in una piazzola; uno rimase leggermente ferito e l’altro scappò pazzamente in preda al panico.

La nostra batteria ha sparato oggi 87 granate contro il Tobblinger.

11 agosto

Si lavora in piazzola, verso le undici il nemico spara su un accampamento dei nostri Bersaglieri senza recare danno.

Oggi sparati 78 granate contro appostamenti nemici a Sesten, Stain, Riedel.

12 agosto

Alla mattina viene il furiere a domandarmi se voglio entrare anch’io come telefonista e guardia fili e io vado.

Durante la giornata mi reco a comodare la linea dell’Osservatorio e in batteria si continua sempre a lavorare, alla sera arriva una lunga colonna di cavalli che ci portano le munizioni; c’è ordine di tenersi pronti per il mattino ore 1.

13 notte

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Di buon’ora venimmo svegliati dalla guardia e ci rechiamo in batteria, si attende sempre da un momento all’altro che venga l’ordine di aprire il fuoco. Quando incomincia l’alba si vede al basso una lunga colonna di truppa che viene di rinforzo per l’operazione da compiere; sono due colonne di Fanteria. A metà salita fanno una piccola tappa e poi giungono da noi per ripararsi sotto le rocce dove noi abbiamo la riservetta dei proiettili, depositano i bagagli e gli zaini e poi si portano in avanti e vanno fin sotto la montagna in attesa di ordini per andare di rincalzo.

Alle ore cinque di mattina viene ordine di aprire il fuoco sui trinceramenti nemici e dopo alcune ore di bombardamento anche le nostre fanterie cominciano a schioppettate, le mitragliatrici funzionano che fanno tremare a sentirle.

Intanto incominciamo a vedere i rincalzanti muoversi, ad uno ad uno passavano per il sentiero coperti e andavano in aiuto ai nostri che progredivano gradatamente. Il bombardamento continua tutto il giorno incessantemente. La notte la passiamo facendo il turno di mezzanotte ogni squadra sparando ogni tanto qualche colpo d’interdizione.

13 agosto

Al mattino si riprende con maggior violenza il bombardamento, fa un freddo terribile e c’è sempre aria di tormenta freddissima. Anche la povera Fanteria fa compassione, oltre al compito che ha da eseguire le tocca passare la notte all’aperto senza tende e senza riparo con il freddo che ci percuote. Sono tutto il giorno in batteria in attesa per la tensione di qualche rottura di linea telefonica, la fame ed il freddo ci lasciano impazienti; il pane che ci danno, assolutamente non ci basta e non si trova niente da comperare.

Tiriamo avanti sempre alla meglio e la notte passa facendo un po’ di sosta.

14 agosto

Al mattino rientriamo di nuovo in batteria, s’incomincia il fuoco e si spara a intervalli per tutta la giornata. La notte passa tranquilla, le nostre fanterie hanno espugnato le prime due trincee nemiche prendendo 33 prigionieri.

15 agosto

Si sta ancora in batteria per tutta la giornata facendo sempre qualche colpo d’interdizione, le artiglierie nemiche ci sparano senza nessun risultato. Siamo ancora vestiti degli indumenti di tela, roba estiva, veramente siamo nel mese di agosto, eppure stanco di patire scrivo immediatamente a casa perché mi mandino un pacco con gli indumenti di lana.

16 agosto

Si sta sempre lavorando e di tanto in tanto siamo chiamati per aprire il fuoco.

17 agosto

Nella giornata fa una nevicata di cinque centimetri, fà un freddo terribile.

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18 agosto

Giornata splendida, lavoriamo in batteria quando verso le ore dieci ci arriva un colpo nemico proprio vicino alla nostra postazione, in due salti siamo scappati tutti quanti in galleria.

19 agosto

Verso sera incominciano ad arrivare i tavoli per fare i baraccamenti per la truppa.

20 agosto

Corre forte la voce che il 1° Corpo d’Armata deve avere il cambio, e che probabilmente deve essere inviato in Libia. Verso sera arrivano i muli con la spesa e portano diversi imballi; sono gli indumenti invernali.

21 agosto

Ci vengono subito distribuiti i vestiti pesanti che ci sono tanto cari e utili, la voce del cambio si fa sentire sempre più intensa ma niente di nuovo.

22 agosto

Viene l’ordine di ritirare le coperte grandi che ci servono magnificamente bene e ce le sostituiscono con due più piccole; il fatto è che queste grandi le danno agli ospedali e noi ci fanno servire con quelle piccole.

23 agosto

Si lavora e si spara contro una batteria nemica che molesta i nostri in trincea.

24 agosto

Si continua con i medesimi lavori, alla sera sto fino a mezzanotte in batteria sparando un colpo ogni mezz’ora per interrompere i lavori nemici. C’è un vento terribile, poi viene dato il cambio e si va a dormire.

25 agosto

Giornata splendida, si lavora fino alle ore dieci e poi c’è ordine che chi vuole andare alla messa poteva recarsi, venne il prete ed è stata celebrata in una piccola cappella di legno fatta espressamente nel nostro recinto. Ci venne anche per memoria distribuito un ricordo.

26 agosto

Giornata di pioggia e nevischio, si spara quasi tutto il giorno, fa un freddo che sembra gennaio.

27 agosto

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C’è ordine di recarsi in batteria per le ore due, ci prepariamo e ci teniamo in attesa di ordini. L’ottavo Reggimento Bersaglieri che da alcuni giorni è accampato nella valletta un po’ più in basso da noi, si porta in avanti per il rincalzo; le artiglierie sparano da tutte le parti.

Preparato per l’attacco, la nostra fanteria si lancia in avanti per prendere le trincee nemiche ma resta impigliata nei reticolati. Alcuni plotoni del genio intervengono per mettere sotto ai reticolati nemici i tubi pieni di gelatina e farli scoppiare; sentendo le fucilate i genieri scapparono, così che la nostra fanteria credendo di trovarsi il passaggio aperto rimase ingannati e vennero così ributtai in grave disordine e confusione.

28 agosto

Giornata splendida ma sempre arieggiata di fresco, il sole non ci soffoca per niente. C’è ordine di recarsi a fare il bagno, andiamo in una diecina di uomini e facciamo una lunga discesa incontrando squadre di operai civili di tutte le classi che lavorano per la costruzione di nuove strade. Mi fermai a parlare con qualcuno e dicevano che li hanno illusi di mandarli a lavorare verso il fronte, invece una volta sul treno, li portarono dove il Governo più li serviva. Anche questi uomini passavano brutte giornate perché soggetti a lavorare fino al fronte, sotto il tiro nemico.

Giunti nella vallata ci sembra di essere in paradiso, si vedeva il grande commercio, i trasporti, tutto era differente, non si sentivano più quei colpi assordanti che non ci lasciavano un momento di pace. Si vedeva un po’ di campagna, un po’ di civiltà, che a noi ci faceva proprio un grande effetto. Erano parecchi mesi che stavamo su quei monti deserti, e in una parola direi che si veniva selvatici.

Abbiamo trovato da comperare da mangiare e per noi era una grande cosa, abbiamo poi in serata pernottato tranquilli con alcuni compagni che ci fecero dormire con loro.

29 agosto

Al mattino facemmo il bagno, abbiamo comperato qualche cosa di scorta da portarci sui monti, e quindi ci siamo avviati verso la batteria ove arrivammo a notte.

30 agosto

Giornata bella, si lavora sempre; arrivano dei soldati d’Artiglieria campale tutti equipaggiati e si vengono ad accampare vicino a noi. Alla sera arrivano i loro pezzi trainati dai cavalli che giungono fino ad un certo punto e poi si arrestano; venne l’ordine che anche noi dobbiamo andare in aiuto a fare il traino. Si continua per quasi tutta la notte fino a quando non sono a posto.

31 agosto

Una compagnia di fanteria del 56° Reggimento che fa servizio in trincea, è comandata a venire in aiuto per tirare questi cannoni su per un rapido sentiero. Ero proprio vicino alla nostra batteria quando mi imbatto in un mio amico che mai più pensavo di incontrare qui. Si prosegue con il traino e prima di mezzogiorno ci portano il pasto; piazzati celermente i pezzi incominciamo subito il tiro senza interruzione.

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1° settembre

Al mattino si lavora in batteria, la batteria campale si mette a sparare e continua a tiro accelerato, sparava sul paese di Sexten e anche Moos (Bz).

Era quasi ora del rancio quando tutti ancora intenti al lavoro, sentiamo un grande rumore nell’aria che veniva verso di noi, ci guardiamo tutti storditi, intanto un colpo cade proprio davanti a noi senza scoppiare. Era un proiettile da 305 nemico che ci prendeva di mira, e subito di corsa cerchiamo i migliori ripari possibili sotto le rocce; fortunatamente il primo colpo non scoppiò, altrimenti qualcuno di noi l’avrebbe passata brutta. Passati dieci minuti d’intervallo, ne arriva un altro che cade pressappoco dove cadde il primo e scoppiò producendo una spaventosa detonazione, i sassi volano per due chilometri tutto attorno, e così continua per due ore. Il nemico sparò quattordici colpi da 305 mm. dei quali appena sei scoppiarono: questa è un giornata che ricorderò sempre perché troppo piena di terrore.

2 settembre

La nostra batteria ha ordine di aprire il fuoco unitamente alla batteria campale, ed insieme bombardiamo le trincee nemiche.

3 settembre

Mi alzo e incomincia a nevicare e continua per tutta la giornata. Verso sera la batteria campale ha ordine di smontare i pezzi e metterli in posizione di traino per partire per Auronzo. Noi siamo comandati ad aiutare questi, e si passa quasi tutta la notte.

4 settembre

Continua a nevicare e siamo comandati a pulire la strada dalla neve.

5 settembre

C’è ordine di incominciare a fare lo scavo per piantare la baracca per alloggiamento truppa ove doversi passare l’inverno.

6 settembre

Si continua lo stesso lavoro, il nemico verso le dodici spara su un nostro accampamento di muli nascosto in una valletta e ne ferisce qualcuno; la giornata trascorre discretamente lavorando.

7 settembre

Giornata freddissima, si passa tutto il giorno in batteria, si trema dal freddo che è una cosa insopportabile, io penso sempre a casa alla stagione tanto propizia che ora raccolgono la meliga, e qui siamo nei ghiacciai. Riassumendo in una parola, tutto il freddo che abbiamo già sofferto durante il mese di agosto e a questo periodo di settembre è indescrivibile, e per tanto che io lo

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scrivo, non lo spiegherò mai abbastanza; ci credo solo io che lo provo e che lo ricorderò sempre. Prima di provare non avrei mai creduto a una cosa simile.

Viene sera e si mangia il rancio, dopo vengo chiamato in fureria e c’è un pacco per me; lo apro curioso e vedo che sono arrivati gli indumenti di lana da casa.

8 settembre

Di buon mattino vengo chiamato mentre ancora sto dormendo, mi alzo e dopo vestito vado in batteria, faceva un freddo terribile e nevicava. C’erano i nostri due Sottotenenti e un Capitano che ci aspettavano; il Capitano incomincia a mormorare che li abbiamo fatti aspettare troppo. Ci carichiamo in quattro soldati di un binocolo d’assedio completo e partiamo tutti assieme per l’osservatorio chiamato “Oberbah”. Il vento e la neve ci impedivano quasi di camminare. Incominciamo la salita e incontriamo un bersagliere mezzo congelato: questo era rimasto dietro al suo battaglione che nella notte era venuto a dare il cambio al suo Reggimento in trincea; e racconta che salendo per gli oscuri sentieri era caduto in un burrone. Si mise a gridare ma nessuno lo ha sentito, si medicò da solo la gamba che si fece male e poi dovette stare tutta la notte in mezzo alla neve riuscendo a svignarsela solo all’alba. Aveva la sua mantellina tutta gelata che faceva compassione e il nostro Capitano gli ha fatto una foto. Si prosegue la salita fino a che siamo arrivati a posto, e colà giunti abbiamo compreso di quanto si trattava: si dovevano prendere delle fotografie.

L’ufficiale si mise al cannocchiale e osservò un soldato, io ero seduto per terra in mezzo alla neve e faceva un freddo terribile.

Compiuto l’opera facciamo la discesa e arriviamo alla batteria quasi ora del rancio, (avevamo già perso il caffè della mattina), e ci fanno mangiare per ultimi per punizione perché questa mattina siamo arrivati con un minuto di ritardo. Pensare che nel cuore della notte abbiamo dovuto fare sei chilometri di strada con in spalla il cannocchiale del Capitano che venne a fare alcune fotografie. La rabbia che avevo addosso quel giorno nessuno la crede, eppure è successo a me.

9 settembre

Giornata bella, scompare una buona parte della nevicata, si lavora in batteria.

10 settembre

Il nemico spara su di noi ma la controbattiamo facendolo tacere ben presto.

11 settembre

Entriamo già nella fase dell’inverno e ci aumentano la razione del caffè, in più un supplemento di galletta e un bicchierino di cognac al mattino.

12 settembre

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Stiamo tutto il giorno in batteria e si continua a sparare. Il Tenente ha preso un provvedimento per la fame e ci fa portare delle pagnotte a pagamento; forse si comincia a stare meglio.

13 settembre

Si mormora ancora per il nostro cambio ma intanto si continuano i lavori che servono per passare l’inverno, per la posta non c’è male perché la ricevo regolarmente. Mancano solo i giornali, siamo assolutamente privi di notizie del mondo esterno e non si possono avere.

14 settembre

C’è in giro un mormorio che forse andremo via.

15 settembre

Si lavora ad ultimare lo scavo per piantare la nuova baracca per la truppa e si lavora tutto il giorno. Mentre si sta facendo il disegno per iniziare l’impianto, arriva un fonogramma che dice di sospendere ogni lavoro e di mettere i due pezzi in posizione di traino perché si deve andare via. La notizia destò in noi una viva impressione, chi saltava, chi rideva, chi cantava.

A tutto prima si credette che si trattasse di un cambio, poi alla sera abbiamo saputo dai nostri ufficiali che si cambiava posizione. Ci mettiamo all’opera e mettiamo la batteria in posizione di traino, frattanto arriva una compagnia dell’8° Bersaglieri e verso le ore quattro si incomincia la discesa di un solo pezzo d’artiglieria. Si continua il traino fino a notte; si consuma il rancio per la strada e alle ore dieci smettiamo i lavori. Il pezzo è arrivato a metà salita della strada che risale verso Lavaredo, poi si ritorna all’accampamento e si riposa. Il medesimo traino venne poi fatto proseguire nella notte da un’altra compagnia di Bersaglieri.

La terribile manovra.

16 settembre

Al mattino sveglia alle ore tre per prepararci alla partenza, abbattiamo le tende, si fardella lo zaino e ci mettiamo in partenza per la quasi ignota destinazione. Si fa tutta la discesa e poi riprendiamo la salita che ci porta sotto le Tre Cime di Lavaredo. Quando abbiamo fatto tre quarti della rampicata, vediamo il nostro cannone giù per la montagna. I Bersaglieri che nella notte proseguirono il traino, ad un certo punto chissà cosa è successo, vediamo che il nostro pezzo è giù per la montagna. Il percorso presenta molte difficoltà, non si riesce a tenere freno a questi pezzi tanto sono pesanti. Probabilmente per qualche brusca manovra, il cannone precipitò ruzzoloni per la montagna. È stata una gran fortuna che non ci siano stati a lamentare nessuna disgrazia grave, non rimasero che alcuni uomini leggermente feriti. Il pezzo si era scaricato dal carrello, fortunatamente su fermò su contrasti di grossi sassi e non ruzzolò che ad una cinquantina di metri in basso; il carrello invece scese per duecento metri. Passato lo spettacolo, si continua per la nostra destinazione ove si arriva sul posto all’alba. È una spaziosa piana denominata “Col di

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Mezzo” e qui ci sono già costruite quattro piazzole di una batteria da campagna ben coperte e ben riparate. La batteria era andata via perché troppo battuta dal fuoco nemico, intanto s’incomincia a pensare come si andrà a finire; dopo aver fatto un po’ di riposo, il Tenente che aveva già avuto istruzioni del posto ci assegna, anzi ci disegna il quadrato per fare la nostra piazzola. Ci mettiamo all’opera, il terreno è molto roccioso e bisogna spianarlo, bisogna fare un parapetto grande di riparo con zolle e sassi tutto attorno.

I cucinieri piantarono subito una cucina e ci fecero il rancio, verso sera si piatano le tende e si dorme nella mia posizione.

17 settembre

Si fa sveglia di buon mattino e si riprende il lavoro, le giornate sono belle e il tempo ci accompagna, alcuni uomini sono comandati per il traino.

Il pezzo che cadde per la montagna venne sospeso perché occorreva troppo lavoro; si andò invece a prendere quello che stava ancora a “Pian di Cengia” e si traina durante la giornata fino a due chilometri prima di arrivare alla nuova posizione. Qui siamo di nuovo vicino a Misurina e anche vicino ad altre batterie, il Maggiore che comanda il gruppo ci manda degli uomini in nostro aiuto siccome si deve piazzare al più presto per incominciare il bombardamento su Monte Piano, verso sera c’è ordine di lavorare fino a tarda notte per poter piazzare il pezzo al mattino.

18 settembre

Nella notte il pezzo arriva quasi in batteria, noi continuiamo a lavorare. In giornata viene in ispezione un Generale e trova la posizione troppo sotto il nemico, allora dà tutte le disposizioni perché la batteria venga indietreggiata di ottocento metri. Si tronca ogni lavoro e ci disponiamo per il trasporto quasi contenti pensando che quella posizione fosse migliore a quest’altra.

Si incomincia a trasportare il materiale leggero passando così in ordine di una certa distanza da uno all’altro siccome si deve passare un punto scoperto, e si và sul posto ad incominciare nuove piazzole.

Appena notte si fa dietro front al traino già quasi sul posto e si porta indietro, nella stessa sera arriva una lunga colonna di muli che ci porta le munizioni e si continua a lavorare fino a mezzanotte, poi si viene all’accampamento a riposare qualche ora.

19 settembre

Sveglia di buon mattino per andare a lavorare alla sistemazione della posizione, in giornata, una squadra di uomini sono comandati ad andare al lavoro per la costruzione di una strada che doveva servire per riportare il pezzo precipitato lungo il tragitto. Io sono in batteria dove si continua a lavorare celermente per improvvisare un piano dietro ad un piccolo costone dove poi viene subito montato il pezzo sull’affusto, verso le ore undici il pezzo era pronto.

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Arriva il Maggiore il quale dà l’ordine di incominciare il fuoco sui trinceramenti di Monte Piano. Lui stesso assisteva, anzi, dirigeva i tiri, e i primi colpi mancò poco che andassero a cadere sulle nostre trincee siccome il tiro era troppo corto; dall’osservatore viene subito avvertita la batteria di allungare il tiro. Si spararono dodici colpi proprio accelerati, ma tutto ad un tratto si dovette cessare sotto il fuoco nemico; gli Austriaci ci presero di mira coi calibri da 305 mm. Le detonazioni erano spaventose, i sassi e le scheggie ci volavano in batteria, abbiamo avuto ordine di ripararsi tutti, ma non hanno fatto in tempo a dare l’ordine che tutti siamo scomparsi.

Giornata brutta, qui si pensa a come andremo a finire, siamo venuti via da Cengia che eravamo ben riparati, ed ora pare che qui siamo già stati scoperti. Andiamo avanti, il nemico continua a sparare qualche colpo di quei famosi che travolgono anche i monti e poi cessa. Si riprende il lavoro ancora impauriti sempre guardando quà e là come se da un momento all’altro ne dovesse arrivare un’altro.

Viene sera e c’è ordine di trasportare l’accampamento della posizione “Col di Mezzo” per andare in località “Longere” che restava più vicina al nuovo piazzamento della batteria ed era anche il posto più riparato che si potesse trovare.

Non appena lungo il tragitto diciotto metri che c’è da una posizione all’altra, il nemico incomincia di nuovo il tiro con lo stesso metodo e lo stesso calibro. Un colpo mi colse per istrada ove mi buttai a terra quasi senza riparo e rimasi illeso sempre per miracolo, e di corsa raggiunsi il posto.

Qui c’è ancora la cucina ove prima si consuma il rancio e poi veniamo via con le tende e la cucina. La cucina era piantata sotto ad una roccia in un canalone vicino all’acqua. Ci venne distribuito il rancio e lo consumiamo sul posto.

Ognuno cerca di tenersi un po’ al riparo, e ad un tratto arriva un’altro colpo che cade sopra la roccia a cinquanta metri da noi, ci buttiamo a terra tutti nell’affanno mentre siamo stati tutti avvolti da una nube di fumo e sassi. Fortuna che non erano gas asfissianti, altrimenti qualcuno sarebbe asfissiato di certo, io ero con altri due compagni un po’ riparati in uno scavo di piazzola. Nella confusione buttai la gavetta che si era riempita di terra, nello stesso tempo mi scappò anche tutto l’appetito che avevo. Di corsa scappiamo verso le tende ove ci fermiamo un’altra mezz’ora sotto le rocce finchè venne scuro; quindi spiantate le tende camminiamo sicuri fino a destinazione.

Giunti sul posto, era già tardi, per fortuna c’era la luna che ci rischiarava a lavorare. Siamo andati vicino ad un accampamento di alpini ove abbiamo improvvisato la tenda riposando alla meglio. Nella stessa notte alcuni soldati sono comandati come timonieri al traino del pezzo caduto giù dalla montagna, e che in giornata portato sulla strada, doveva proseguire questa notte a destinazione con una compagnia di alpini.

20 settembre

Al mattino ci alziamo ed il pezzo si trovava nella prossimità dell’accampamento ma non ancora a posto. Si parte e si va a lavorare per la sua sistemazione in piazzola, alla notte, approfittando sempre dell’oscurità perché in vista del nemico, si porta in batteria.

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21 settembre

Subito al mattino arriva una compagnia di fanteria la quale ci aiuta alla sistemazione della piazzola e a fare una piccola scalata di cinquanta metri col secondo pezzo che dovevasi mettere in una piccola conca per renderlo più al coperto.

Ciò fatto, la fanteria venne messa in libertà e dopo mezzogiorno, con la squadra si lavora per mettere il pezzo in posizione di sparo. Dopo alcune ore il lavoro era finito in modo che anche il secondo pezzo potesse sparare, così la batteria era tutta a posto. Non appena finito, facciamo un cenno al lavoro compiuto come per dire che finalmente siamo a posto, ecco che arriva un fonogramma in quel momento a rompere ogni nostra speranza e tutto il lavoro compiuto.

Il Maggiore ha ritenuto migliore la posizione di “Col di Mezzo” sebbene sconsigliato dal Maggiore Generale e senza rimedio bisogna di nuovo smontare la batteria e portarla in avanti; questa cosa destò sconforto.

22 settembre

Si fa una discesa per un canalone e quindi si risale sul piano, giunti colà subito disponiamo il pezzo in posizione di sparo. Qui abbiamo trovato la piazzola che avevamo costruito noi nei giorni prima, appena messo in ordine arriva il Maggiore a cavallo che veniva per iniziare il nuovo tiro. Era dopo mezzogiorno quando si apre il fuoco, il Maggiore dirigeva lui stesso i tiri da un piccolo osservatorio improvvisato davanti a noi; non si fecero più di sei colpi che di nuovo arrivano i calibro 305 nemici. Si dovette sospendere il fuoco e scappare di corsa perché questi colpi ci cadevano proprio in direzione distante duecento metri. In noi si pensava che qui ce la caviamo male, pazienza, e così terrorizzati andiamo a nasconderci; il nemico cessò dopo una diecina di colpi, il resto della giornata si trascorre in batteria.

23 settembre

Una squadra viene comandata per la smontatura del secondo pezzo che ancora di trova nella vecchia posizione, durante la notte si fa proseguire in avanti.

Alla sera noi tutti facciamo il trasporto delle tende e veniamo a ristabilire definitivamente a “Col di Mezzo”.

24 settembre

Si trasporta ancora tutto il rimanente del materiale.

25 settembre

Con una compagnia di bersaglieri si porta a posto anche il secondo pezzo, gli uomini sono tutti divisi nei lavori pratici; chi scava la piazzola, altri trasportano zolle per riparo, altri fanno il traino. Alla sera del trenta anche il secondo pezzo si trova a posto e così tutta la batteria è pronta a far fuoco.

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1 ottobre

Siamo a posto definitivamente e si continua a sistemare la batteria perché c’è ordine di iniziare il bombardamento per il giorno sei corrente mese su “Monte Piano”.

2 ottobre

Si preparano subito le riservette per le munizioni e la polvere, le colonne di muli ci potano subito gran copia di munizioni e arrivano per nuovi sentieri che ancora noi non conosciamo. Di tanto in tanto qualcuno grida e chiama perché sperduto e non sa più dove dirigersi; anche i poveri conducenti dovevano dividersi la cattiva sorte con noi.

3 ottobre

Giornata nevosa, si inizia lo scavo sotto il riparo della roccia per costruire la baracca Ufficiali e questi sono malcontenti della situazione.

Gli Ufficiali quasi vogliono fare rapporto superiore per vedere se c’è il mezzo di poter rimanere qui senza cambiare un’altra volta.

Siccome l’ordine era già del Signor Maggiore, non si poteva contraddire. Tutti ne erano stanchi di questa manovra, ormai sono cinque giorni che si continua a girare e maneggiare questa batteria di cannoni come se fosse un giocattolo; viceversa sono tutte notti che si passano quasi senza dormire e a faticare molto. Tutti ritengono che siccome siamo battuti dai grossi calibri nemici in questa posizione, molto di più lo saremo andando nell’altra ancora più avanti.

C’era un nostro Sottotenente che era tanto arrabbiato che voleva voltare i pezzi contro il Comando di Misurina e spararci contro. Passati così venti minuti pensando e rammentando amaramente la casa il Tenente ci disse: è inutile che ci pensiamo ancora, metteremo in opera di smontare la batteria, e poi se ne andò. Con a capo il nostro Sergente, ci mettiamo in opera a smontare la batteria a pezzi. Erano già le sei e non si poteva fare che ben poco lavoro perché era già notte. Il lavoro si doveva fare tutto nella stessa notte: ed ecco un’altra notte di veglia e di lavoro forzato.

Non appena finito, arriva la fanteria in aiuto e il pezzo venne trainato fino a duecento metri dal posto destinato. Io sono in batteria per quasi tutta la giornata, si spara sempre per aggiustare il tiro sui diversi bersagli.

4 ottobre

Continua a nevischiare e la giornata è un po’ fredda, si lavora sempre e si continua a sparare ma il nemico non ci risponde più al fuoco, forse andremo avanti bene.

5 ottobre

C’è ordine che per il giorno sei si deve incominciare il bombardamento alle ore quattro del mattino.

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6 ottobre

Al mattino sveglia alle ore due, le due squadre di servizio si recano ai pezzi e preparano tutto aspettando l’ordine del Comando gruppo di aprire il fuoco a ora propizia. Vennero inoltre le squadre porta munizioni e tutto era pronto. All’ora prefissata giunse l’ordine di aprire il fuoco assieme a tutte le altre batterie del settore. Il bombardamento era fortissimo, dopo alcune ore le fanterie iniziarono l’attacco, si sentivano i fucili e le mitragliatrici a screpitare che faceva spavento. Si continua a sparare con tiro accelerato. Verso mezzogiorno giunge notizia che le nostre truppe hanno preso una posizione importante, intanto si continua a sparare per tutta la giornata cambiando di tanto in tanto i bersagli. La notte la passiamo sparando ancora ad intervalli ed il freddo ci tormenta.

7 ottobre

La prima fase è passata ma si continua ancora a sparare di continuo ed energicamente, le colonne si munizioni hanno il suo lavoro ogni notte a provvederci le munizioni.

8 ottobre

Il tempo per fortuna ci accompagna, si continua ancora l’azione per tutta la giornata, arriva qualche colpo in prossimità della batteria ma senza colpo ferirci; la notte passò quasi tranquilla.

9 ottobre

Si lavora sempre in batteria, il tempo continua cattivo, di tanto in tanto si apre il fuoco sui diversi bersagli e si continua così per tutta al giornata.

10 ottobre

Sotto la tenda incomincia a fare molto freddo, quasi tutti i giorni ne rientra uno dall’ospedale perché richiesta visita, viene riconosciuto dal dottore come insopportabile la vita che si fa nel dormire, all’epoca che siamo, la neve raggiunge già l’altezza di mezzo metro e ancora non è pronta la baracca per la truppa. Il medico manda a dire al nostro Comando di batteria che se non è fatto al più presto l’alloggio ricoverato per gli uomini, in pochi giorni gli uomini andranno tutti all’ospedale. La paglia che abbiamo sotto le tende viene penetrata dall’acqua, ed il tempo persistente colle lunghe nevicate e le piogge, e l’aria gelata che ci assidera, non si può più dormire.

11 ottobre

Tempo sempre cattivo, a furia di sparare si spacca un cuneo a freno ed un pancone di coda, le piazzole che sono costruite sul sasso vivo spaccano ogni cosa. Le piattaforme delle rotaie a cingoli che fasciano le ruote, anch’esse si sfasciano.

12 ottobre

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C’è ordine di fare un piccolo traino; portare a Misurina il pancone di coda danneggiato che pesa dieci quintali. Si parte con una squadra di venti uomini e si fa il piccolo traino ma faticoso; giunto a destinazione, si ritorna all’accampamento ove si arriva a tarda notte.

13 ottobre

Verso sera c’è ordine di andare a Misurina a prendere il pancone sostitutivo a quello rotto. Naturalmente si deve sempre viaggiare di notte perché in vista del nemico; gli uomini comandati erano quasi insufficienti per il peso che si doveva trainare. Si inizia il traino verso le ore nove e si parte dall’Hotel Misurina, percorso un migliaio di metri in avanti, la strada era quasi ancora piana; stante il freddo quasi tutti portavano il passamontagna sotto il berretto, e lungo il traballo del percorso mi cade il berretto di testa.

Incomincia la salita e ad un tratto si fa un po’ di riposo. Io me ne accorge che mi manca il berretto appena allora e ritornai indietro un bel pezzo di strada nel buio, ma non potei rintracciarlo. Si prosegue in avanti faticosamente, la salita viene sempre più ripida e noi incominciamo a farsi stanchi.

Il sergente che ci accompagna e che anche lui deve tirare per poter proseguire, manda un soldato ad avvertire il Signor Capitano che ci manda i rinforzi altrimenti non si va avanti. Il Comandante la batteria risponde che si deve proseguire per forza, allora noi facendo ogni sforzo ci portiamo a quattro chilometri dalla batteria e poi ci arrestiamo; non si poteva più proseguire a nessun costo. Recarsi alla batteria non si poteva perché non ci saressimo giunti che il Capitano ci rimandava indietro, così decidemmo di pernottare per istrada: erano già verso le ore tre. Ci mettiamo sotto alle piante sprovvisti di cappotto e il freddo era terribile, qualcuno accende un po’ di fuoco e alla meglio tiriamo all’alba. Appena giorno, il Capitano visto che nessuno arrivava ci manda una diecina di uomini di rinforzo e questi ci portano su il caffè che prendiamo volentieri.

Verso le ore due del pomeriggio giungiamo in batteria. Il tempo si era fatto cattivo, arrivando in alta montagna si trova tanta neve e fango, quasi tutti hanno le scarpe rotte, io pel primo le avevo piene di acqua e fango.

Si mette immediatamente a posto il pancone di modo che il pezzo rimanga pronto a sparare alla prima occasione, siccome al mattino successivo c’è di nuovo deciso una vanzata. Dopo un’ora che siamo giunti in batteria si spara una quindicina di colpi: durante la notte ci alziamo ancora tre volte.

14 ottobre

Di buon mattino s’incomincia il bombardamento, il tempo sempre nevoso e freddo, si spara tutto il giorno a tiro accelerato; il rancio lo mangiamo nei piccoli intervalli da un colpo all’altro mentre si spara.

La notte la passiamo anch’essa in batteria a sparare, si sentono i fucili e le mitragliatrici lontano; alle ore 20,45 scoppia il pezzo d’artiglieria!

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15 ottobre

Il tempo è sempre nevoso, si continua il bombardamento per tutta la giornata, io lavoro colla mia squadra in batteria a fare fuoco, altri accelerano la costruzione della baracca; il Comandante del gruppo si reca in batteria per constatare il fatto.

16 ottobre

Si riprende di nuovo il cannoneggiamento e verso le ore dieci si sospende il tiro, si riprende alle dodici e si sospende alle ore tre. Fu questa una giornata di più riprese ove doveva succedere un triste fatto che tutti ignoravano e per fortuna andò bene. Si riprende di nuovo il tiro alle ore sei, e si cessa alle ore otto e trenta.

A furia di tiro accelerato si riprende il fuoco alle ore nove e si sparano ancora cinque colpi e poi si cessa. Non eravamo ancora arrivati sotto alla tenda che subito veniamo chiamati, di corsa ci rechiamo. Alle 16,45 si apre il fuoco contro il bersaglio n. 6 “Rankoff”, nei colpi a granata.

Tutto alla svelta si spara il primo colpo, alcuni erano riparati nelle riservette, io non feci più in tempo e rimasi in piazzola col servente della squadra che faceva il numero uno, il quale tira la cordicella e fa partire il colpo. Mi pareva una vampata più luminosa ed anche un tuono più fragoroso, ma nessuno pensava a quanto era successo. Ci rechiamo per tirare giù la volata del pezzo e ci accorgiamo che questo era scoppiato per metà ed era andato in tanti pezzi; fortunatamente non fece male a nessuno, è stato un vero miracolo.

Il capo pezzo avvertì subito il Comandante della batteria il quale si recò sul posto a constatare il fatto.

Il tiro si doveva continuare, così ci rechiamo all’altro pezzo ove sparammo ancora una diecina di colpi e quindi si cessò; andiamo al riposo verso la mezzanotte e si sta tranquilli sino al mattino.

17 ottobre

Tempo sereno, alle 10,15 si apre il fuoco a granata contro i triceramenti di Monte Piano e si sospende il fuoco dopo nove colpi; alle 17,25 si riprende il fuoco battendo con 4 colpi a “Sraphnels” il bersaglio 25.

18 ottobre

Tempo sereno, alle 15,15 si apre il fuoco a granata contro i triceramenti di Monte Piano e dopo sparati dieci colpi si cessa il fuoco. Alle 18,15 si riprende il fuoco, i colpi da 240 mm nemici incominciano a battere le nostre posizioni a scopo di colpire il ricovero dell’Artiglieria da montagna che sta davanti a noi.

Il nemico sparò otto colpi a granata con intervallo medio di 15 minuti da un colpo all’altro, alcuni colpi caddero vicino alla nostra batteria; all’Artiglieria da montagna colpì una gabina telefonica uccidendo un Sergente e ferendo due soldati. Nella notte si è pure iniziato il traino di un pezzo che doveva sostituire quello scoppiato; l’aiuto di una quindicina dei nostri uomini con una compagnia

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di fanteria si proseguì lungo la salita fino a mezzanotte ove si lascia a pochi metri dalla nostra batteria.

19 ottobre

Il mattino seguente alle ore 9 si riprende il traino e alle ore 11 si trova in batteria, alle ore dodici il pezzo era in posizione di sparo.

Alle 14,45 si apre il fuoco a granata contro il bersaglio n. 79 e dopo 14 colpi si cessa il fuoco.

20 ottobre

Giornata bella, si apre il fuoco alle ore 9,05 contro il bersaglio n. 79 con tutti e due i cannoni fino alle ore 18,20 sparando complessivamente 100 colpi. Cessato il fuoco, fui ripreso un’altra volta sempre sul medesimo bersaglio alle ore 19 sparando ancora 7 colpi, quindi cessando alle ore 21,30.

21 ottobre

Il tempo ci accompagna sempre bello, alle 10,40 si apre il fuoco a granata sul nuovo bersaglio, venne sospeso il fuoco dopo aver sparato dieci colpi. Fu di nuovo ripreso durante la giornata per diverse volte e cioè: alle 12,40 e alle 15,40 sempre sparando a granata sui trinceramenti nemici di Monte Piano.

Si continua ancora fino alle ore 23 sparando in complesso 44 colpi. Portandosi a dormire, abbiamo riposato fino al mattino, ma le notti che si passano intere sono poche.

22 ottobre

Tempo variabile, alle ore 8 c’è di nuovo ordine di recarsi in batteria ove spariamo per tutta la giornata fino alle ore cinque sparando 85 colpi.

Alle sera fui mandato incontro alla colonna munizioni che veniva da noi, giunto di ritorno la notte passò tranquilla.

23 ottobre

Il tempo continua ancora bello, si apre il fuoco alle ore 15,15 sul bersaglio n. 20 e si continua fino alle 18 sparando 17 colpi; sospeso, venne poi ripreso alle ore 18,25 con tiro a “Sraphnels” contro la strada. Si continua così ininterrottamente a varie riprese fino alle ore 11 di sera. I colpi sparati sono almeno 50.

24 ottobre

Tempo bello, giornata di bombardamento continuo contro il bersaglio 79 e contro la presunta posizione del pezzo da 240 mm. austriaco cioè quadretto 51/22. Il bombardamento durò così per tutta la giornata, a parte nella notte a più ripresa sparando compl. 54 colpi.

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25 ottobre

Tempo sempre bello, il morale incomincia ad andare bene, siamo nell’inverno ma nel complesso si sta meglio sul mangiare. Alle ore 8,40 si aprì il fuoco e si cessa appena dopo tre colpi. Il resto della giornata e notte, calma relativa.

26 ottobre

Tempo bellissimo, si continua i lavori di sistemazione, alle ore 17 si apre il fuoco contro il bersaglio 25 e si cessò dopo soli sette colpi alle 17,40.

27 ottobre

Giornata bella, ma piuttosto del bombardamento a più riprese, al mattino continuazione dei soliti lavori; alle 14,10 si apre il fuoco contro i trinceramenti del Monte Piano e si cessò dopo 10 colpi. Si riprese alle ore 15,50 e alle ore 18,10 sparando complessivamente 32 colpi cessando poi il fuoco fino alle ore 21,40.

28 ottobre

Tempo sereno, continuazione dei soliti lavori fino alle 15,15, poi si riapre il fuoco a granata contro il bersaglio n. 6 sparando 11 colpi, cessando poi alle ore 17,20.

29 ottobre

Tempo variabile, si proseguono i lavori di sistemazione della batteria.

30 ottobre

Situazione immutata.

31 ottobre

Tempo sereno, al mattino il nostro Signor Tenente…

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