Carlo Guerriero - Fausto Rondinelli - La Volante Rossa - Fra Cronaca e Storia Del 1996

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Gli autori ringraziano:

Marce110 Forti, Giuseppe Granelli, Massimiliano Manganelli, Enrico

Mondani, Giovanni Pesce, Orazio Pizzigoni, Lino Sacco, Enzo Santa-

relli, Gianni Sassaroli, Alfonso Triuci, Angela Valente.

Sigle usate nelle note:

INSMLI Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Libera-

zione in Italia

APC Archivio partito comunista

Acs Archivio centrale dello Stato

DATANEWS Editrice, Via di S. Erasmo 22,00184 Roma

Tel. (06) 704503 18-19

Prima edizione,maggio 1996

Grafica di copertina di Francesca Pema

Composizione Typeface, Cerveten (Roma)

Stampa Tipolitografia Empograph, Villa Adriana (Roma)

O Copyright 1996DATANEWS Editrice S.r.l., Roma

Supplemento ai n. 15 di Capitalismo Natura Socialismo

direttore responsabile Vaientino Parlato

registrazione Tnbunaie di Roma n. 86 del 21/02/1991

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Indice

I. La stona

11. I1 processo

111. I1 contesto

IV. Conclusioni

Appendice

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Cantodegli ultimipartrgiani

Sulla spalletta del ponteLe teste degli impiccatiNell'acqua della fonteLa bava degli impiccati.

Sul lastrico del mercatoLe unghie dei fucilati

Sull' erba secca del pratoI denti dei fucilati.

Mordere l'aria mordere i sassiLa nostra carne non è più d'uominiMordere l'aria mordere i sassiIl nostro cuore non è più d'uomini.

Ma noi s'è letta negli occhi dei mortiE sulla terra faremo libertàMa l' hanno stretta i pugni dei mortiLa giustizia che si farà.

Franco Fortini

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I. La storia*

Milano, 27 gennaio 1949, ore 13.15, via Paolo Sarpi. Dalla porta di

una trattoria esce un giovane uomo, il suo nome è Felice Ghisalberti.

Mentre egli si avvia lungo il marciapiede, un taxi in sosta riparte nella

stessa direzione, imboccando via Lomazzo. Giunta lentamente all'al-

tezza dell'uomo, la vettura si sposta verso il centro della carreggiata e

dal suo finestrino spuntano due pistole. Cinque colpi vengono esplosi

contro Ghisalberti che, colpito a morte, si accascia. I1 taxi si allontana

rapidamente.

Milano, stesso giomo, ore 21.30, piazza Leonardo da Vinci. Un taxi

giunge davanti al numero civico 9, ne discendono due uomini mentreun terzo, dall'intemo, tiene a bada con una rivoltella l'autista. Uno dei

due si apposta sul portone, l'altro raggiunge un appartamento al pian-

terreno e suona i1 campanello. Apre la porta il dottor Leonardo Massaza,

contro il quale lo sconosciuto esplode sette colpi di pistola, ucciden-

dolo. I responsabili dell'omicidio, favoriti anche dall'assenza del por-

tinaio, si dileguano velocemente senza essere notati.

Nel pomeriggio del 27, Adriano Bellinzoni si era presentato in que-

stura, dichiarando di essere il conducente del taxi del quale si eranoserviti gli autori dell'omicidio di via Paolo Sarpi e di essere stato co-

stretto ad assecondarne la volontà sotto la minaccia delle armi. Ma la

sua versione non aveva convinto gli inquirenti che lo avevano tratte-

nuto, sospettandolo di complicità. Successivamente viene identificato

* La ricostruzione degli eventi contenuta in questo capitolo si basa in larga partesul saggio di Cesare Bermani La Volante Rossa (estate 1945-febbraio 194 9) pubbli-cato nel 1977 sulla rivista "Primo M agg io". Questo testo rappresenta l'unica ricer-

ca sinora apparsa sull'argomento. Esso contiene interessanti brani di una intervistaad un anonimo protagonista della vice nda , e , data l'unicità della testimonianza, neriporteremo ampie par ti. Si ringrazia Cesare Bermani per aver acconsentito all'uti-lizzazione del suo sagg io.

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l'autista del secondo taxi: anche lui dichiara di essere stato costretto

con la forza a trasportare gli assassini del dottor Massaza. Le indagini

della Questura sui due omicidi seguono immediatamente la pista poli-

tica.Felice Ghisalberti lavorava presso l'officina del padre Egidio. Du-

rante la guerra aveva disertato ma, arrestato dai repubblichini, si era

arruolato nella Legione Muti per evitare la deportazione. Si vantava

spesso di aver partecipato ad azioni di rastrellamento, ad uccisioni e

sevizie di partigiani. I1 24 febbraio 1945 aveva partecipato all'assassi-

nio del dirigente comunista Eugenio Curie1 e, nel rapporto fatto al suo

comandante, si era dichiarato autore materiale dell'uccisione. Arresta-

to nel 1946, Ghisalberti viene processato per quel delitto ma la Cortelo scagiona, condannando invece a morte gli altri tre coimputati. Da

allora egli comincia a ricevere minacce e lettere minatorie, e il padre

lo allontana da Milano, fino al momento della partenza per il servizio

militare, dal quale era da poco rientrato.

I1 dottor Leonardo Massaza, dirigente dell'ufficio paghe presso la

Fabbrica Olap, era stato in Albania e in Grecia per conto del Partito

fascista: dopo la Liberazione non si era più occupato di politica, ma si

era adoperato per la riassunzione di alcuni dirigenti epurati. In fabbri-

ca era stimato e benvoluto da molti.

I1 28 gennaio 1949, la polizia effettua perquisizioni presso il dormi-

torio dello stabilimento Breda a Sesto San Giovanni, la Scuola-convit-

to "Rinascita", la Casa della Cultura di via Filodrammatici e la Casa

del popolo di Lambrate: in quest'ultima trova soltanto due pistole in

una pentola nella cucina del custode. Essendo l'edificio sede di sezio-

ni del Pci, dell'Anpi, dell'udi, del Fronte della Gioventù e del Comi-

tato Reduci, l'operazione della Questura suscita accese critiche ed at-

tacchi da parte del Partito comunista. Nei giorni successivi, appare su"l'Unità" una serie di articoli e di interventi che esprimono sdegno e

preoccupazione per i tentativi di diffamazione nei confronti del partito

da parte della questura e dei giornali che tendono ad addebitare i due

delitti a militanti comunisti. Su "l'unità" del 9 febbraio 1949, Edoar-

do D'Onofrio parla di "vecchi metodi di provocazione fascista restau-

rati dall'avversario che ricorre al crimine allo scopo di provocare

provvedimenti di polizia e persecuzioni che contrastano con le leggi

vigenti e col carattere democratico e nazionale del nostro Partito".'I1 31 gennaio 1949 viene fermato a Novara l'ex partigiano Serafino

Lorenzini. Il "Coniere della sera" afferma che "l'esistenza di 'squa-

dre' organizzate per creare nel paese, attraverso una serie di atti di ter-

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rorismo, una atmosfera di intimidazione e di sospetto, appare sempre

più c~nfermata".~

Pochi giorni dopo, la pista novarese si rivela sbagliata e la polizia

rilascia Lorenzini. L'unica certezza degli inquirenti è che uno degliassassini si chiama Marco, perché così risulta dalle dichiarazioni dei

tassisti. In quei giorni arriva ai carabinieri di Milano una segnalazione

da parte dei loro colleghi di Pesaro: un certo "Marco", giunto da Mi-

lano, avrebbe avuto incontri con esponenti locali del Pci, vantandosi

di essere uno degli autori dei famosi "delitti del taxi" e chiedendo va-

namente di essere aiutato. Egli si sarebbe poi presentato a casa

dell'ingegner Aldo Carboni, suo amico, ma non avendolo trovato, se

ne sarebbe ripartito.

Immediatamente rintracciato ed interrogato, Carboni rivela che

quell'uomo è certamente un operaio specializzato che aveva lavorato

con lui a Milano negli anni passati e si chiama Eligio Trincheri. Un

operaio con lo stesso nome ha lavorato per alcuni giorni, all'inizio del

1948, nell'officina del padre di Felice Ghisalberti. Ora gli inquirenti

sanno chi cercare. Negli stessi giorni, una prostituta milanese arrestata

durante una retata dichiara di aver passato la notte fra il 26 e il 27

gennaio con un uomo armato e visibilmente ubriaco, che le aveva mo-

strato una rivoltella dicendole "Domani faremo lavorare la girandola"(ossia la pistola a rotazione). Sul registro dell'albergo l'uomo si è fu-mato "Trincherini". Grazie alle sue ingenuità, i carabinieri riescono fi-nalmente ad arrestarlo in un bar di Milano il 10 febbraio 1949.

Eligio Trincheri è originario della Va1 d'Aosta, la sua famiglia ha

un laboratorio di cromatura e nichelatura a Verbania. Dopo 1'8 settem-

bre si rifugia in montagna con altri sbandati ma, catturato in un ra-

strellamento, si arruola nella X Mas, dalla quale poi diserta per entra-

re nelle fila partigiane della Brigata "Cesare Battisti" dell'Ossola.Nell'immediato dopoguerra è componente di una banda dedita a rapi-

ne: su di lui pende un mandato di cattura per lo svaligiamento della

Banca Popolare di Novara di Vara110 Pombia avvenuto nel 1946.

In questura egli confessa immediatamente la sua partecipazione ad

entrambi i delitti, chiamando in causa altri due complici: Paolo Finar-

di, detto Pastecca e un terzo uomo di cui conosce il solo nome di bat-

taglia, Pedro. Finardi si rende irreperibile, ma la testimonianza di

Trincheri costituisce una svolta decisiva per le indagini. I1 14 feb-braio, il questore di Milano Agnesina si reca a Roma per riferire al

Ministro dell'Interno Scelba. Lo stesso giorno, Scelba elogia alla Ca-

mera l'opera dei carabinieri e della Ps e dichiara che gli autori dei due

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"delitti del taxi" sono ex partigiani che avrebbero trovato rifugio e

protezione presso quella Casa del popolo di Lambrate di cui il Pci

aveva tanto criticato la perquisizione. I1 nome dell'organizzazione da

loro costituita è Volante Rossa, il suo capo è un giovane guardianodell'Innocenti di Milano, Giulio Paggio, noto con il nome di battaglia

di "Tenente Alvaro".'

Paggio, originario di Saromo, aveva preso parte alla lotta di libera-

zione nella 118"rigata Garibaldi "Attilio Tessaro" che agiva nella zo-

na di Larnbrate, distinguendosi come uno degli elementi più attivi e co-

raggiosi. Come Paolo Finardi, anche lui si rende quasi immediatamente

irreperibile. Quando i carabinieri in borghese si presentano ad arrestar-

lo, egliè

stato già avvertito del loro arrivo. "Mentre sta attraversando ilcortile incontra un carabiniere in divisa appartenente alla sezione della

zona: 'Scusi, ha visto dei carabinieri? Ce ne devono essere molti, ma

debbono essere in borghese'. Riesce quindi a mettersi in ~alvo".~

Dopo il discorso di Scelba, il nome della Volante Rossa si guada-

gna le prime pagine dei principali quotidiani: se ne parla nei circoli,

tra la gente come al Parlamento. C'è chi considera i suoi membri de-

gli spietati sicari politici, elementi di quelle presunte milizie clandesti-

ne comuniste che attendevano l'ora X per insorgere e rovesciare la

Repubblica; e c'è chi sostiene che si tratta solo di una montatura, una

speculazione politica, oppure reagisce con sdegno al fatto che si man-

dino sotto processo dei partigiani per avere agito contro degli ex fa-

scisti o avere occupato fabbriche in sciopero.

La storia della Volante Rossa ha inizio nell'estate del 1945.

Durante la guerra partigiana, le "volanti" erano formazioni di pochi

elementi che effettuavano rapide incursioni dalle basi alpine verso la

pianura per compiere azioni di sabotaggio. In una "Volante Rossa"operante in Valsesia aveva combattuto anche Giulio Paggio, il "tenen-

te Alvaro", prima di entrare nella 118"rigata Garibaldi a Milano.

Terminata la guerra e ritrovatisi a Milano anche altri componenti

della formazione di montagna, si decise di costituire una associazione

partigiana con lo scopo di conservare viva la memoria della lotta clan-

destina, dei suoi ideali e dei suoi caduti, denominandola "Volante

Rossa - Martiri Partigiani". È sempre "Alvaro" ad organizzare tutto;

verso la fine del 1945 riunisce una sessantina di ex partigiani ed illu-stra il programma della associazione: "...aiutarci tutti vicendevolmen-

te, trovando lavoro per i disoccupati ed infine [...l partecipare sempre

uniti alle manifestazioni patriottiche di ogni genere".5

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Un autocarro viene acquistato con una sottoscrizione tra gli iscritti

per poter avviare un servizio di trasporto e poter essere presenti a tutte

le cerimonie patriottiche. Come sede, viene scelta la Casa del Popolo

di Lambrate, in via Conte Rosso 12, già Casa del Fascio ed ora occu-

pata da diverse organizzazioni politiche. Qui la Volante allestisce an-

che feste danzanti e organizza gite domenicali ed escursioni alpinisti-

che.

Tra i fondatori della Volante Rossa, con "Alvaro", ci sono Ferdi-

nando Clerici (Balilla), Otello Alterchi (Otello), Natale Burato (Lino),

Giordano Biadigo (Tom), Sante Marchesi (Santino), Dante Vecchio

(Tino), tutti iscritti al Pci. La maggior parte dei componenti della for-

mazione proviene dai ranghi di tre Brigate garibaldine, la 116" la 117"

e la 118" operanti tutte nella zona est di Milano.

"Nel 1946abbiamo comperato alla Fiera di Sinigaglia dei giubbotti di pel-

le, che erano dei residuati bellici. Ce n'erano di quelli pesanti, foderati di la-

na di pecora, che erano quelli dei piloti dell'aviazione americana, e li usava-

mo d'inverno. E c'erano dei giubbotti grigio-verdi di tela con la cerniera, che

erano quelli dei marines americani, che invece usavamo d'estate. Eravamo

sempre vestiti giorno e notte col giubbotto e pantaloni. Li levavamo solo per

fare delle azioni, perché in quel caso ci vestivamo in borghese o da soldati

dell'esercito italiano. Quell'anno abbiamo poi inaugurato la bandiera, che eraun drappo rosso con una bomba per emblema. L'inno ufficiale era una can-

zone della vecchia Volante Rossa che si cantava su un'aria sovietica; l'ave-

vamo parzialmente modificata e iniziava: "Volante Rossa pattuglia di sangue

/ nelle tue file si vince o si m~ore" .~

Associazioni di base (giovanili, operaie ma soprattutto partigiane)

sorgono in quel periodo un po' dovunque in Italia: la motivazione di

fondo di questo fermento era la volontà di non disperdere, col ritorno

alla vita civile, quel patrimonio di umanità e principi etico-politici che

si era formato negli uomini e nelle donne che avevano fatto la Resi-

stenza. Restare insieme, restare partigiani, anche in tempo di pace,

rappresentava il tentativo, forse un po' nostalgico ed ingenuo, di con-

tinuare a vivere in quell'atmosfera di entusiasmo, comunione, solida-

rietà e grandi ideali nella quale si era svolta la lotta di Liberazione.

Ma vi erano anche esigenze più concrete: il pericolo di una reazio-

ne di destra era avvertito come un rischio reale in un paese sconvolto,

ancora privo di nuove e stabili istituzioni democratiche. Bisognavacontinuare a vigilare, e anche per questo solo una minima parte delle

armi venne consegnata alle truppe alleate alla fine della guerra, il

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grosso venne nascosto nella convinzione o nella speranza (per chi at-

tendeva la svolta rivoluzionaria) che prima o poi quelle anni sarebbe-

ro nuovamente servite. Che la battaglia contro il fascismo non fosse

finita lo affermava la stessa Associazione Nazionale Partigiani d'Italiache indicava come uno dei suoi principali scopi quello di "contribuire

alla eliminazione completa di tutti i residui di regimi antidemocratici,

nel campo morale, sociale, politico ed economico ed alla realizzazio-

ne di un ordinamento democratico e progressivo nello spirito della

Resistenza al fine di impedire, per il futuro, il ritorno di qualsiasi for-

ma palese o mascherata di fa~cismo".~

Ma se non ritorna il fascismo, cominciano subito a tornare i fasci-

sti: quelli che sono riusciti a nascondersi, ritornano nei luoghi di origi-

ne, dove è ancora vivo il ricordo delle loro prepotenze e soprusi, della

attività di collaborazione con i nazisti, della loro propaganda mussoli-

niana; a volte si tratta di elementi dell'esercito repubblichino che han-

no ordinato deportazioni, torture, condanne a morte. A costoro, che

approfittano della nuova legalità, si aggiungono tutti i simpatizzanti

ed ex fascisti rilasciati dalle autorità alleate per mancanza di prove

sufficienti a processarli: spesso si tratta di semplici funzionari o im-

piegati o persone che si erano dovute iscrivere al Pfr per poter svolge-

re la propria attività; altre volte si tratta di persone arrestate solo sullabase di voci, sospettati di essere delatori o spie; altre volte sono auten-

tici speculatori, profittatori, collaborazionisti che hanno agito

nell'ombra e che nessuno può accusare. A Milano è addirittura il Pre-

fetto Riccardo Lombardi a segnalare al governatore alleato c o l o ~ e l l o

Poletti che la decisione di non arrestare più gli iscritti al Pfr e di scar-

cerare coloro che risultano detenuti per questa sola accusa, rischia di

esasperare la popolazione e di determinare gravi turbamenti dell'ordi-

ne p~bb lic o.~Ma anche le Corti di Assise Straordinarie si distinguono per la mi-

tezza delle condanne e una rigida applicazione del diritto penale fasci-

sta: "Uno dei vizi di forma più ricorrenti era quello che l'arresto

dell'imputato era stato effettuato dai partigiani, cioè da persone non

autorizzate perché prive di poteri di polizia giudiziaria. Pertanto il

processo doveva essere nuovamente ist~uito".~ completare il quadro

si aggiunge poi la graduale immissione nei quadri della polizia, dei

carabinieri, delle questure e delle prefetture di personale che avevafatto carriera durante il fascismo e che era stato esautorato con i primi

provvedimenti epurativi dei Cln e sostituito con elementi di sicura fe-

de democratica. Proprio la rimozione di tutti i funzionari di nomina

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ciellenistica e il "ritorno" alla autorità centrale dello stato sarà uno de-

gli obiettivi principali dell'offensiva politica condotta dal Pli contro il

governo Pani, offensiva che si concluderà vittoriosamente con le di-

missioni del primo ed ultimo partigiano Presidente del Consiglio nel

novembre 1945. Con il successivo governo, il ministro dell'Interno, il

socialista Giuseppe Romita, avvierà le prime sostituzioni di prefetti e

questori nominati dal Cln.

La macchinosità e la scarsa incisività dell'epurazione, la ricompar-

sa dei fascisti, anche in importanti settori dell'amministrazione locale

e statale, provocano l'inevitabile reazione da parte dell'opinione pub-

blica di sinistra, della classe operaia, degli ambienti partigiani. Si

diffonde la convinzione che sia in atto un processo di sabotaggio dei

valori e delle speranze di cambiamento sociale e politico per i qualitanti combattenti avevano rischiato e sacrificato le loro vite. A Mila-

no, sin dal giugno del 1945, fioccano le proteste dei Cln di quartiere e

di fabbrica: "La massa dei lavoratori proletari chiede che nei riguardi

dei criminali di guerra fautori di una ventennale oppressione, la giu-

stizia sia inflessibile, e che l'Italia venga purificata col piombo da

questi individui. Le forze reazionarie stiano in guardia, poiché la clas-

se lavoratrice è più che mai pronta a difendere le conquistate li-bertà', IO. Ma l'abitudine alla violenza, l'odio ancora vivissimo per ilfascismo e le molte armi in circolazione fanno sì che si diffonda il ri-

corso alla giustizia sommaria: nei mesi successivi alla Liberazione

prosegue, per lo più nell'Italia centrosettentrionale, la resa dei conti

verso coloro che avevano dato il loro grande o piccolo contributo alla

ventennale dittatura fascista. In alcuni casi all'odio politico si mesco-

lano rancori e vendette personali, in altri si tratta semplicemente di

delitti e rapine causati dall'odio per le classi abbienti. I1 fenomeno

della eliminazione di fascisti e collaborazionisti assume proporzioni

rilevanti in Emilia, nella zona del cosiddetto "triangolo della morte",

ma è in Piemonte, e in particolare nella provincia di Torino, che si

conta il maggior numero di omicidi politici." Episodi clamorosi, frut-

to delle profonde ferite lasciate nelle coscienze degli italiani dalle

atrocità della guerra, avvennero anche a Roma, dove la folla inferocita

linciò l'ex direttore del carcere di Regina Coeli durante il processo al

questore Caruso, e a Schio, nei pressi di Vicenza. Qui, l'orrore per le

notizie provenienti dal lager di Mauthausen, dov'erano scomparsi 13

partigiani della zona, e l'annuncio da parte alleata della imminentescarcerazione dei detenuti politici non responsabili di precisi reati,

scatena la rabbia della popolazione. Sentendosi chiamato in causa dal-

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le proteste popolari, un gruppo di partigiani decide di passare all'azio-

ne: nella notte fra il 6 e il 7 luglio del 1945 prende possesso del carce-

re ed apre il fuoco su tutti i detenuti, dopo aver vanamente cercato di

farsi indicare dal custode i responsabili dei reati più gravi. 53 sono levittime della strage, tra cui 15 donne; per la maggior parte si trattava

di persone detenute solo per rappresaglia o sulla base di forti sospetti.

Ma i loro funerali si svolgono tra l'ostilità di tutti gli abitanti della cit-

tadina.12

Anche Milano è una delle zone in cui è più intensa l'attività della

"giustizia partigiana" dopo la Liberazione: qui come in tutta la Lom-

bardia si erano concentrati nella primavera del 1945 gli ultimi reparti

delle Brigate Nere e della Legione Muti. Tra la fine del 1945 e l'inizio

del 1946 sono frequenti i ritrovamenti di cadaveri di sconosciuti nei

Navigli o lungo i prati della periferia. Gli autori delle esecuzioni sono

certamente gruppi di partigiani che agiscono spontaneamente e tra

questi c'è sicuramente anche la Volante Rossa, ma è impossibile sape-

re quali e quante azioni siano da attribuirle, poiché questa attività vie-

ne svolta nella più assoluta clandestinità. Sembra inoltre che i parti-

giani di Lambrate siano intervenuti contro elementi fascisti anche fuo-

ri Milano, nella zona del lago Maggiore e a Novara. Stando all'anoni-

mo testimone citato da Bermani, l'attività di vigilanza e repressioneantifascista era molto ben organizzata:

"Nella Volante Rossa erano ufficialmente registrate più di cinquanta per-

sone, ma il nucleo clandestino era più ristretto. Si avevano però poi legami

con dei compagni di altre sezioni che erano legati a noi e che al momento op-

portuno ci servivano. Per esempio nella Sezione di via Andrea del Sarto, nel-

la Sezione Venezia, nella Sezione Padova, in altre sezioni. Ad un dato mo-

mento di queste 'frange', cioè di questi nuclei esterni, ce n'era in tutta Mila-

no e anche fuori Milano. Si arrivava in Piemonte, ma normalmente eranell'ambito della Lombardia che si era ramificati: Bieno, Suna, sul Lago

Maggiore. E questo anche proprio per le necessità dell'informazione. Per la

buona riuscita di un'azione punitiva è quello del nucleo clandestino che deve

mettere in grado la 'frangia' di assolvere i suoi compiti. Un estraneo non può

sorvegliare un fascista perché si nota subito. Ma può farlo uno che abita lì

nella zona, così come può raccogliere le informazioni necessarie. Inoltre un

impiegato del gas o della luce o del telefono può entrare in casa tranquilla-

mente. Avere collaboratori un po' dovunque permette difficilmente di risali-

re a chi ha effettuato l'azione. Potevano segnalarci se c'era il rientro di un exfascista, potevano fotografare una persona sospetta amvata in paese. Le noti-

zie che ci amvavano, arrivavano in sostanza attraverso l'organizzazione di

partito o dell'Anpi. I1 Pci ancora nel '47 era più un movimento che un vero

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partito organizzato. C'era una tale spontaneità di base, un tale sommovimen-to, che anche i dirigenti non potevano imporre la linea ufficiale. Sicché quan-do i compagni di una sezione notavano il rientro di qualche fascista, ce lo se-gnalavano per accertamenti, e su questo il partito né dava ordini né reprime-

va. E, per esempio, le informazioni anivavano direttamente dalla questura,dove era possibile fare degli accertamenti negli archivi della polizia".13

Dopo il sequestro e un interrogatorio, il fascista veniva giudicato:

spesso si trattava di semplici simpatizzanti o di gente poco pericolosa

che veniva rilasciata dopo qualche minaccia e l'invito ad astenersi da

ogni attività politica. Se invece emergevano gravi responsabilità, si

procedeva all'eliminazione del prigioniero, proprio come accadeva

durante la lotta partigiana.

Ad ogni modo il vecchio fascismo riesce a riorganizzarsi con

straordinaria rapidità e, sin dalla fine del 1945,nasce tutta una serie di

formazioni clandestine, con l'intento di attuare attentati e provocazio-

ni, miranti a creare un clima di tensione nel paese. Questi gruppi neo-

fascisti (Onore e Combattimento, Squadre d'Azione Mussolini, Auda-

cia, Figli d'Italia, Corpo Fascista Illegale, Fiaccola) acquistano armi e

spesso sono finanziati o coperti da circoli qualunquisti. Ad essi si af-

fianca l'operato di movimenti politici legali di destra, quali il Movi-mento Tricolore, la Concentrazione Democratica Nazionale, la Con-

centrazione Democratica Liberale, l'Uomo Qualunque, il Partito De-

mocratico Italiano; oppure l'attività di militari monarchici che orga-

nizzano a loro volta delle formazioni clandestine (Reparti Antitotalita-

r i Antimarxisti Monarchici, Gruppi di Azione Monarchica) e, raccolti

sotto l'Armata Italiana di Liberazione, mirano a favorire la riconcilia-

zione tra partigiani "bianchi" e militi della Repubblica Sociale, allo

scopo di costituire un "fronte nazionale anticomunista, puntando al

colpo di stato".14

Queste organizzazioni possono contare su appoggi e connivenze

all'interno delle istituzioni dello stato: alti gradi dell'esercito e

dell'arma dei carabinieri, ufficiali dei servizi segreti e della polizia,

funzionari vicini al Re spesso controllano, dirigono o coordinano

nell'ombra le attività neofasciste.15 Anche gruppi industriali privati,

preoccupati della forza e del consenso dei partiti di sinistra, offrono

coperture e finanziamenti allo scopo di creare un forte movimento an-

ticomunista, attivo anche sul piano militare. L'obiettivo è anche il re-ferendum istituzionale del 2 giugno: si cerca di sfruttare il malconten-

to e i disordini popolari, attribuendone la responsabilità agli operai, ai

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partigiani e alle sinistre, alimentando l'anticomunismo per impedire il

voto o influenzarlo a favore della conservazione. Si fanno pressioni

sul Re, si amolano uomini, si stringono rapporti con i militari e con i

servizi segreti americani (Oss), e ci si prepara ad eventuali azioni diforza in caso di risultato favorevole alle sinistre e alla repubblica. Il

clima è tale che il "Comere della sera" del 19maggio 1946 riporta la

preoccupazione dello stesso governo per lo stato d'animo dei militari

in caso di vittoria repubblicana; tuttavia, i carabinieri dichiarano la lo-

ro volontà di rispettare le decisioni dell'elettorato e l'esercito chiede

ad ogni soldato di garantire imparzialmente lo svolgersi del referen-

dum e di restare al proprio posto qualunque sia il suo esito.

A Milano, il 20 aprile 1946 nel carcere di San Vittore detenuti co-

muni e fascisti insorgono, armati dall'esterno, prendendo in ostaggio

diverse guardie e un commissario. La rivolta si protrae per cinque

giorni, con continui scontri a fuoco, morti e feriti e l'intervento finale

dell'esercito con blindati ed esplosivo. I1 giorno 23 si sparge la notizia

di una manifestazione operaia a sostegno della rivolta, subito smentita

dalla Camera del Lavoro; poi, un giornale del pomeriggio annuncia la

costituzione di un "Comitato per la sicurezza e la protezione contro

gli aggressori". Sono solo notizie false atte a diffondere tra la gente

paura ed insicurezza. Visto il fallimento di questi primi tentativi, colo-ro che appoggiano la rivolta dall'esterno passano all'uso delle armi:

da un'auto in corsa vengono esplosi colpi d'arma da fuoco che feri-

scono due passanti; colpi di pistola vengono sparati contro una fine-

stra della Camera del Lavoro e colpiscono mortalmente una donna

che si trova all'interno.

Sia la rivolta che gli episodi avvenuti in città si inquadrano in un

piano fascista di destabilizzazione. Questa sorta di "strategia della

tensione" unte litteram non riesce però ad impedire il regolare svolgi-mento delle elezioni politiche, né a condizionare l'esito del referen-

dum istituzionale in favore della monarchia. A Milano, dove sin dal

mese di aprile c'è una giunta comunale Dc-Psiup-Pci con a capo il so-

cialista Greppi, il Psiup si conferma primo partito davanti a Dc e Pci.16

I1 13 giugno Umberto I1 lascia definitivamente l'Italia, protestando

per le presunte illegalità verificatesi nel corso del referendum, ma ri-

nunciando ad ogni pretesa e potere. Pochi giorni dopo, il 22 giugno, il

Ministro Guardasigilli Togliatti firma un decreto di amnistia nei con-

fronti dei detenuti fascisti: esso prevede la riduzione di un terzo della

pena per tutti i reati politici e l'amnistia vera e propria per i reati di

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organizzazione di squadre fasciste, marcia su Roma e collaborazioni-

smo. Circa tre anni più tardi, Togliatti motivava così quel provvedi-

mento:

Si trattava prima di tutto di staccare il paese e alcune autorità di esso daquell'atmosfera di lotta, anzi di guerra civile, cui erano ancora in gran parteispirati i giudizi che venivano pronunciati in quel tempo. Si trattava in secon-do luogo di iniziare una larga azione di conquista alla democrazia di uom ini,di giovani soprattutto, che noi sappiamo che avevano commesso atti condan-nati e condannabili, ma che avevano però diritto a parecchie attenuanti, so-prattutto nel momento in cui si trattava di allargare il pih possibile le basi delnuovo stato repubblicano."

Togliatti aveva presentato un progetto più restrittivo di quello poiapprovato, che escludeva da ogni amnistia tutti i reati gravi commessi

nel nord Italia prima del 25 aprile. Ma contro di esso si era levata la

fiera opposizione di alcuni ministri democristiani e liberali, tra cui

Scelba, allora Ministro delle Poste. Pur di raggiungere un accordo,

Togliatti propose la versione poi approvata, che prescindeva da ogni

delimitazione temporale ma cercava di distinguere secondo le moda-

lità del reato. Venivano infatti esclusi dall'arnnistia tutti i reati com-

messi da persone aventi "funzioni di direzione civile e politica o dicomando militare", rivestite di "elevata" responsabilità; inoltre si

escludevano i reati di strage, omicidio, saccheggio, delitti a scopo di

lucro, sevizie "particolarmente efferate".

I1 testo, oggettivamente inoppugnabile, risultava però troppo vago

nella definizione dei reati: si lasciava un grande potere discrezionale

nelle mani di una magistratura che aveva servito per lunghi anni il fa-

scismo, ricevendone benefici e ricompense, e che era dunque istinti-

vamente portata alla connivenza e all'indulgenza verso gli uomini delregime.

Cosl, mentre nella amministrazione pubblica si estromisero a volte

persone che non avevano particolari responsabilità ma erano solo so-

stenitori della dittatura, i processi per i reati pib gravi si conclusero

molte volte con sentenze scandalose. Già le precedenti disposizioni

contro il fascismo del 27 luglio 1944 (Ddl n.159), pur prevedendo

sanzioni severe, si prestavano ad interpretazioni sicuramente opposte

allo spirito della legge, la quale affermava che tutti i membri del go-

verno fascista e i gerarchi del fascismo fossero colpevoli di "'aver an-

nullato le garanzie costituzionali, distrutto le libertà popolari, creato il

regime fascista, compromesso e tradito le sorti del paese, condotto

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all'attuale catastrofe'. La magistratura pretese che si dimostrasse un

nesso causale diretto tra le azioni degli imputati e il complesso degli

effetti elencati dalla norma. Naturalmente era impossibile dimostrare

che alcun individuo singolo fosse personalmente responsabile di tuttiquesti disastri. In tal modo tutti i più alti gerarchi della nomenklaturafascista evitarono le sanzioni di legge. Un altro articolo del Ddl n.159

prevedeva sanzioni contro quanti erano accusati 'di aver contribuito

con atti rilevanti a mantenere in vigore il Regime Fascista'. Qui i tri-

bunali tracciarono una distinzione fra lo Stato e il Regime Fascista,

che, combinata con il principio del nesso causale, consentì loro di

prosciogliere, fra gli altri, Leto, l'ex capo della polizia segreta (Ovra),

in seguito vicecomandante della polizia della Rsi, stabilendo che egli

aveva servito lo Stato e non il regime"."

L'amnistia del 1946 fornì ulteriori opportunità alla benevolenza di

gran parte della magistratura: per amnistiare i responsabili di condan-

ne a morte, i giudici della Repubblica escogitarono la clausola della

partecipazione "volontaria e attiva" con la quale, per salvarsi, era suf-

ficiente che l'imputato dichiarasse di aver condannato contro coscien-

za, per ordini superiori o dimostrasse di essere stato clemente con altri

antifascisti. Si riuscì poi a considerare "sevizie non particolarmente

efferate", e quindi amnistiabili, lo stupro, le percosse ai genitali, persi-no l'aver appeso il torturato per i piedi. Per le esecuzioni, responsabi-

le era dichiarato spesso il solo esecutore materiale mentre venivano

amnistiati coloro che avevano arrestato e processato il partigiano.

L'amnistia aveva sollevato l'indignazione e le proteste dei partigia-

ni e dell'opinione pubblica sin dalla sua promulgazione, nonostante i

dirigenti e la propaganda dei partiti di sinistra si affannassero a spie-

garne le giuste motivazioni. Ma fu la sua applicazione, il susseguirsi

di scarcerazioni ed assoluzioni che colpì profondamente tutti quegliitaliani che attendevano una giusta punizione per i responsabili dei lo-

ro lutti e sofferenze, ancora brucianti. Anziché avviare la pacificazio-

ne sociale, l'amnistia contribuì ad esasperare ulteriormente gli animi e

rinfocolare gli odii. nitta la sua scandalosa inaccettabilità emerge dal-

le amare parole di Carlo Galante Garrone:

I1 fascismo forse, è stato un'illusione collettiva di gente malata. Dove so-

no i caporioni che l'hanno fondato, dove le squadre armate che l'hanno por-tato sui neri gagliardetti per tutti i paesi d'Italia, dove i gerarchi che l'hannosorretto e aiutato per vent'anni con atti rilevanti? E un'illusione, forse, è sta-to anche l'ultimo fascismo: se aveva ministri che fieramente avversavano i

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tedeschi, e prefetti animati da buoni propositi, e giudici che condannavano amorte involontariamente, e carabinieri che fucilavano perché prostrati

nell'animo e fiaccati nella volontà, e rastrellatori ignari di cosa fosse un ra-

strellamento, e torturatori che oltraggiavano ma non seviziavano, e delatori

occasionali, e briganti neri che non attentavano all'ordine pubblico, e cava-lieri dell'ideale nobili e disinteressati.lg

È un momento difficile per gli ex partigiani: dopo la costituzione

del primo governo della Repubblica, guidato da De Gasperi e compo-

sto da Pci, Dc e Psiup, i Cln di tutta Italia decidono di autosciogliersi

tra il 18e il 20 luglio 1946 per esaurimento dei loro compiti istituzio-

nali. Questo scioglimento rappresenta un nuovo duro colpo alle aspet-tative di riforme profonde in campo economico e sociale. In realtà ap-

pare oggi abbastanza evidente che i Cln non furono né i soviet della

rivoluzione russa, né i consigli operai del biennio rosso italiano. Al

loro interno alcuni si sforzarono di spingerli in tal senso, ma non co-

stituirono mai una forza reale, e non potevano esserlo, in mancanza di

una linea politica adeguata a tale pro~pettiva.~~d ogni modo,

"l'Unità" salutò festosamente l ' e~en to .~ '1 compito di costruire la

nuova repubblica venne interamente affidato dalle sinistre alla neoeletta Assemblea costituente e alla futura Costituzione si attribuì la

capacità di sanare le rovine, i mali e gli squilibri della fragile demo-

crazia italiana: i Cln avevano esaurito la loro funzione di traghetta-

mento del paese verso le nuove istituzioni e potevano scomparire, no-

nostante i rimpianti dei loro sostenitori.

Con la nuova legalità repubblicana, si delinea il ritorno alla guida

delle istituzioni statali dei ceti borghesi moderati e l'estromissione

delle forze affermatesi durante la Resistenza: "Negli alti uffici ammi-

nistrativi, alle direzioni generali dei ministeri, nella magistratura, nel-

le banche, nelle scuole, nei provveditorati, nell'esercito, nella stampa

[...l sono tornati ai posti di comando non solo i vecchi esponenti del

ventenni0 fascista, ma anche i più distinti ed autorevoli rappresentanti

del collaborazionismo repubblichino".22Anche nelle fabbriche, prima

controllate dai Cln aziendali, ritornano i vecchi dirigenti collaborazio-

nisti, in nome delle superiori necessità della ricostruzione del paese,

della loro competenza tecnica e soprattutto in quanto essi, a differenza

dei Consigli di gestione operai, sono gli unici a poter godere della f i -

ducia delle banche. Ma nelle fabbriche, la restaurazione incontra la

reazione di una classe operaia che si sente ancora protagonista, che

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vuole difendere le forme di cogestione nate all'indomani della Resi-

stenza, e soprattutto è pronta a mobilitarsi con ogni mezzo per affer-

mare attivamente il proprio ruolo di garante delle libertà democratiche

e rafforzare la propria autonomia nei rapporti di produzione, controogni tentativo di ritorno al passato.

Si sale sui camion e si parte, assieme agli operai della Marelli e deila Breda.Si va all'università statale, dove i fascisti hanno ricominciato a soffiare me-

scolandosi nei cortei studenteschi per "Trieste italiana". [...] È soprattutto incampagna che si fanno le scombande più frequenti. Arriva la notizia che un

agrario ha assoldato una squadra di crumiri per far fallire uno sciopero di

braccianti, e i camion escono immediatamente dalla Falck Unione, e si incro-

ciano gli altri, si forma la colonna. Oppure si scatta quando si segnala la pre-senza di qualche banda di fascisti che scorrazza per i paesi, [...l. In fabbricasono in diversi quelli che hanno tenuto le vecchie armi, e ne spuntano di nuo-

ve. Nell'officina meccanica non ci vuole molto per rimettere a posto certi re-siduati bellici che si possono pescare nei vagoni diretti all'acciaieria. [...] So-

no iniziative personali, e qualcuno forse sa e non apre bocca.13

L'atteggiamento di tutti i partiti e dei sindacati è però avverso alle

spinte delle masse operaie. I partiti di centro e la Confindustria chie-

dono ad alta voce il rientro alla "normalità" negli stabilimenti e la fine

dei Consigli di gestione. Le sinistre e il sindacato, pur sostenendo for-

me di controllo operaio sulla produzione, premono sui lavoratori af-

finché accettino di buon grado il ritorno dei vecchi capi e soprattutto

riducano la conflittualità e diano il massimo contributo alla ripresa

produttiva necessaria alla rinascita economica del paese. Ciò compor-

ta continui richiami alla compattezza e alla disciplina, al rispetto delle

direttive sindacali, contro ogni sciopero particolaristico, ogni agitazio-

ne locale e ogni estremismo rivendicativo.C'era la convinzione-illusione che la classe operaia fosse destinata

al ruolo di ceto egemone del paese o che lo fosse già divenuta, che le

masse e il sindacato fossero portatori di valori più alti, di una civiltà

che avrebbe caratterizzato la nuova Italia. Questi valori non erano più

la lotta di classe, la dittatura del proletariato, il superamento del capi-

talismo, ma l'orgoglio del lavoro, la coscienza di classe, la capacità e

la professionalità. Ciò spesso determinava duri contrasti tra singole

Commissioni interne "indisciplinate" e la Camera del Lavoro che cer-cava di imporre piattaforme rivendicative relative soltanto a migliora-

menti tecnici, eliminazione degli sprechi, razionalizzazione della pro-

duzione."

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La politica della continuità e della conservazione trova così la sua

più importante conferma nel mancato mutamento delle strutture eco-

nomiche e nella negazione di ogni spinta della classe operaia verso

nuove forme di rapporti di produzione.

È sempre in nome di un rinnovato clima di riconciliazione e unità

nazionale che si cerca di porre fine all'attività e alle rivendicazioni dei

movimenti partigiani, in pratica di liquidarne il ruolo e le esperienze.

Al disorientamento e all'incredulità per il chiaro mutamento della si-

tuazione politica non tardano a seguire le prime reazioni spontanee.

Verso la metà di agosto del 1946, ad Asti, elementi di un reparto di

Polizia ausiliaria vengono coinvolti in un episodio di delinquenza co-

mune. I1 prefetto di Asti coglie l'occasione, probabilmente dietro sug-gerimento del Ministro dell'Interno, per proporre il trasferimento di

Carlo Lavagnino, comandante del reparto in questione, che aveva par-

tecipato attivamente alla guerra di liberazione; i vertici della polizia

decidono invece per la sua destituzione. Ciò scatena una dura reazio-

ne all'interno del reparto comandato da Lavagnino: il 21 agosto, tren-

tacinque agenti solidali con il loro comandante fuggono insieme a lui

con le armi in dotazione, raccogliendosi nella zona di Santo Stefano

Belb~. '~d essi si aggiungono gruppi di ex partigiani della zona, co-stituendo il Movimento dei Partigiani Rivoluzionari, il cui comando

viene assunto da Armando Valpreda, segretario dell'Anpi di Asti: le

loro richieste riguardano la revoca dell'amnistia, l'allontanamento

dall'impiego di tutti gli ex fascisti, l'assunzione dei partigiani con

precedenza assoluta, miglioramenti salariali per gli ausiliari, l'unifica-

zione dei corpi di polizia con riconoscimento dei gradi partigiani, la

soppressione dell'uomo Qualunque e il processo per Guglielmo

Giannini, ritenuto diffamatore dei partigiani. Molti capi partigianiesprimono la loro adesione o solidarietà agli insorti, altri cercano di

mediare per evitare un eventuale scontro diretto con le forze dell'ordi-

ne. "I1 Pci, per sedare quel focolaio di rivolta, spedisce a Santo Stefa-

no Belbo una delegazione formata da Secchia e Lajolo, accompagnati

da Raf Vallone, allora redattore della terza pagina dell'Unità".26

I1 24 agosto una delegazione di partigiani viene ricevuta da Nenni,

vicepresidente del Consiglio, che li invita a separare le loro rivendica-

zioni da quelle della polizia ausiliaria: "Sono una ventina di partigia-

ni, ognuno dei quali ha dietro di sé una storia di ardimenti e di sacrifi-

ci. Sono esasperati. Li ho affrontati sul terreno della ragione e del sen-

timento. Su quello della ragione ho detto loro che un atto di rivolta

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avrebbe provocato l'intervento alleato e gioverebbe all'interno alle

forze reazionarie. Su quello del sentimento dicendo loro che se non

deponevano le armi a me non restava che dimettermi. Ho visto brilla-

re qualche lacrima. Quando c'è comunicativa di sentimenti il resto di-venta facile. E stato quindi facile sfrondare le loro rivendicazioni di

quanto è impossibile e ridurle al ragi~nevole".~'1 problema partigia-

no viene affrontato dal governo soltanto dal punto di vista economico,

con l'esaudimento di diverse richieste, ma queste decisioni non metto-

no fine alla rivolta. Non solo i gruppi del Casalese vedono aumentare

la loro consistenza numerica, grazie all'arrivo di altri partigiani prove-

nienti da Torino, Vercelli e dal Monferrato, ma la pratica del "ritorno

in montagna" come forma di protesta si estendein

altre regioni delnord Italia. Solo il 27 agosto i capi dei rivoltosi decidono di interrom-

pere l'agitazione e danno vita ad una festosa e acclamata manifesta-

zione nella piazza di Asti. Viene redatto un documento congiunto con

l'Anpi, con il quale si "invitano tutti i partigiani a rientrare nella mas-

sima disciplina alle loro famiglie nell'attesa fiduciosa di una sollecita

soluzione delle rivendicazioni avanzate".28Nel corso del comizio, i

capi partigiani rifiutano ogni speculazione politica sul movimento,

criticano il governo De Gasperi ma escludono rivendicazioni politi-

che. Uno di loro, il comandante Armando, dichiara che la rivolta rien-

tra perché i partigiani non vogliono essere scambiati per sabotatori del

governo democratico. Prosegue invece la protesta in altre zone

dell'alta Italia e al 30 agosto del 1946 il numero dei rifugiati in mon-

tagna ammonta ancora a circa 1.300uomini.29

Alla fine del mese, il governo decide l'immissione di quindicimila

partigiani nella polizia. Ma essi non avranno mai vita facile, anche

perché dal febbraio 1947 il Ministero dell'Interno sarà affidato a Ma-

rio Scelba: grazie ad una puntigliosa applicazione delle norme sullastatura e sui precedenti penali del parentado, si riuscirà a ridurre gli

arruolamenti effettivi di partigiani a 5.500 unità. La maggior parte di

costoro sarà quindi trasferita nel sud Italia o nelle località più sperdute

ed infine invogliata a dimettersi con l'offerta di una buonuscita pari a

6 mesi di stipendio. Accetteranno quasi tutti, perché ormai i quadri

della polizia pullulano di vecchi elementi della Pai (la polizia colonia-

le fascista), dell'ovra e della Rsi, con i quali la coesistenzaè impossi-

bile. Per i più pervicaci si ricorrerà al licenziamento senza spiegazio-ni.O Tutta l'operazione di allontanamento dalla polizia dei partigiani as-

sunti nel 1946 "fu gestita dal generale dei carabinieri Giuseppe Pièche,

un ex prefetto fascista, quindi ufficiale dell'ovra e informatore perso-

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nale di Mussolini. [...l Tutti i tentativi di epurarlo fallirono ed egli fu

reinsediato in un alto incarico al ministero degli Interni dai governi

democristiani"."

Intanto a Milano riprendono gli attacchi neofascisti contro le sedi

di organizzazioni di sinistra; il 23 agosto, l'obiettivo prefissato è pro-

prio quello della Casa del Popolo di Lambrate.

Le Sam progettarono un attacco che se concluso secondo le loro intenzio-

ni avrebbe potuto essere una carneficina. Era stata indetta per la sera un'as-

semblea generale di tutti i quadri del Pci, cui presenziavano rappresentanti

della Federazione del Pci e di altri partiti e organizzazioni antifasciste locali.

Doveva avere luogo nel grande salone che si trovava nello scantinato dellaCasa del Popolo, utilizzato di giorno come mensa di una ditta delle vicinan-

ze. Le Sam collocarono nel salone un ordigno esplosivo a orologeria di note-

vole potenza, con l'intenzione di entrare e finire a raffiche di mitra i soprav-

vissuti allo scoppio. Ma l'informatore che avevamo nelle Sam ha saputo al

momento dell'azione che cosa sarebbe avvenuto e ce l'ha detto. Abbiamo

costretto i compagni a trasferirsi dalla cantina ai piani superiori, e a quelli

che non si rendevano conto del pericolo abbiamo dovuto puntargli le pistole

ai fianchi. Alcuni compagni sono poi rimasti lì sopra, per non permettere ai

fascisti di salire. Altri si sono appostati all'esterno, in una casa col porticatoche stava di fronte e in una casa laterale. Inoltre era sera, una bella giornata

calda, il viale alberato era pieno di gente e quindi c'erano altri dei nostri che

camminavano con la ragazza a fianco, facevano la solita passeggiata serale

nella centralissima strada di Lambrate. Nel salone vuoto avevamo lasciato

tutte le luci accese e dagli altoparlanti continuavano a uscire voci, canti e ap-

plausi. L'ordigno esplose e seguì immediatamente un'intensa sparatoria. I fa-

scisti non potevano entrare perché c'era un solo ingresso, una porticina di

ferro stretta, e si doveva entrare uno alla volta. Inoltre fuoco alle spalle e in

giro. L'azione l'abbiamo fatta in dodici. I1 gruppo Sarn di Porpora non eranomeno di una ventina, un primo gruppo di sette e un altro col nostro informa-

tore, chiamato in rinforz~. '~

Al termine dello scontro resta ucciso un giovane neofascista mentre

un altro, catturato dalla popolazione, è consegnato alla polizia.

Un altro importante fattore di innalzamento della tensione sociale a

Milano (come in tutto il resto del paese) è la durissima crisi economi-

ca. La politica liberista del governo non fa che aggravarla: i capitali

sono ancora all'e'stero (e non si vara quel "cambio della moneta" che

potrebbe costringerli al rientro) o investiti in beni immobili non pro-

duttivi. L'inflazione è altissima e il costo delle materie prime unito al-

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la bassa domanda interna (i salari sono veramente miseri) impedisce

qualsiasi rilancio della produzione: la disoccupazione non fa che au-

mentare. In questa situazione, il Pci chiede un salto di qualità nel pro-

gramma economico: pianificazione, nazionalizzazione dei monopoli,fisco più pesante per gli alti redditi. Ma sono in pochi a sinistra a so-

stenere con convinzione l'intervento statale nella vita economica e a

credere che sia possibile attaccare gli interessi degli industriali. Risul-

tato di questa acquiescenza e della suddetta strategia di collaborazione

col padronato è la tregua salariale di un anno che la Cgil firma alla fi-

ne del 1946, in cambio del blocco dei licenziamenti.

A Milano il prefetto Troilo decide di sua iniziativa di istituire il cal-

miere dei prezzi su tutti i generi di consumo, aumentando la sorve-glianza nei mercati e stabilendo pene più dure per gli speculatori. No-

nostante le grandi manifestazioni e gli scioperi contro il carovita e in

sostegno del calmiere organizzate dalla sinistra e appoggiate dalla

giunta comunale, il provvedimento produce soltanto l'improvvisa

scomparsa dal mercato milanese di moltissimi prodotti che i grossisti

fanno sparire o rifiutano di vendere a prezzi bloccati. L'8 settembre

1946 il governo boccia la proposta di estensione del calmiere a livello

nazionale, sostenendo la necessità di non porre vincoli legislativi al li-

bero mercato.

Intanto, in tutta Italia, si susseguono scioperi, manifestazioni e di-

sordini. L'episodio più grave avviene a Roma il 9 ottobre, quando al

termine di una manifestazione di sfollati e di edili disoccupati viene

attaccato il Viminale, all'epoca sede del governo. La folla è armata e

riesce a penetrare nell'edificio: al termine degli scontri si contano due

morti e centoquaranta feriti. Lo stesso giorno a Milano tornano a col-

pire i neofascisti con un'altra bomba, fatta esplodere nella sezione del

Pci di Porta Genova, all'interno della quale doveva svolgersi una riu-nione con la presenza di un deputato comunista. L'ordigno esplode

prima uccidendo un bambino di cinque anni, figlio del custode.

Nel mese di ottobre viene alla ribalta un nuovo caso che turba le

coscienze dei partigiani e scredita la loro immagine agli occhi

dell'opinione pubblica. Fin dal 18, un centinaio di ex partigiani prove-

nienti dall'Emilia e dalla Lombardia si erano concentrati nel Biellese,

nei pressi del paese di Curino, dichiarandosi appartenenti al Movi-

mento di Resistenza Partigiana. Questo movimento si era costituitocirca un mese prima a Milano e 1'Anpi milanese aveva subito segnala-

to l'acceso nazionalismo della sua propaganda e il passato collabora-

zionismo di alcuni suoi dirigenti. I1 raduno nel Biellese intendeva cer-

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to richiamarsi al vasto movimento di protesta partigiana dei mesi pre-

cedenti, ma con finalità totalmente diverse: i manifesti del Movimento

parlavano di "costituzione di centurie di lavoratori composte di parti-

giani reduci, disoccupati come avviamento alla costituzione di un

Esercito del Lavoro, per la ricostruzione morale e materiale del pae-33

La curiosità della popolazione e dei partigiani locali si tramuta in

breve tempo in sospetto e ostilità: "Selva", uno dei comandanti del

Mrp, mostra ai giornalisti vanghe e badili per i fantomatici lavori di

ricostruzione ma 1'Anpi non gli crede. Dopo la sconfessione ufficiale,

partono da Milano i reparti della polizia che il 25 ottobre arrestano la

maggior parte degli aderenti al Movimento, pacificamente intenti a

cucinare e bivaccare nei boschi. Non vengono trovate armi di alcungenere. A Milano, nella sede di via Montenapoleone 18, vengono ar-

restati i dirigenti dell'organizzazione e il loro capo Carlo Andreoni,

già esponente della dissidenza socialista. Secondo "l'unità", "le squa-

dre del Mrp sono finanziate da industriali del luogo ed erano partite

da Milano ben attrezzate, munite di automezzi, di divise, di denaro",

con l'obiettivo di provocare un'insurrezione armata. Sulla base dei

documenti sequestrati, la Questura accerta l'esistenza di contatti tra il

Mrp e una serie di organizzazioni neofasciste (Fronte Nazionale Mo-derato, Partito Nazionale Italiano, Armata Italiana di Liberazione,

Corpo Fascista Illegale). "Ciascuno di questi movimenti ha il compito

di operare in un determinato settore e con una certa tattica: tutti hanno

il solo scopo di provocare disordini. Per esempio il Fronte Nazionale

Moderato e il Partito Nazionale Italiano hanno il compito di racco-

gliere nelle loro file elementi ex fascisti; il Mrp, elementi ex partigia-ni*, 4. La vicenda si conclude con il rilascio di tutti gli arrestati, senza

che si riesca a fare chiarezza sulla reale natura di questo ambiguo

movimento. L'Andreoni, definito da "l'unità" uno "scissionista pro-

vocatore", passerà su posizioni anticomuniste, fondando un giornale

denominato "I1 partigiano" con i finanziamenti di un notabile demo-

cristiano; nel 1948 andrà poi a dirigere "L'Umanità", organo del Psli

di S ~ a g a t . ~ ~

A Novara, il 25 novembre, ha luogo un'emesima manifestazione di

protesta partigiana. Circa duecento uomini disarmati, guidati dai co-

mandanti Nova e Fulmine, vengono ricevuti dal prefetto: essi accusano

il governo di amnistiare i "massacratori dei patrioti" e di non mantene-re le promesse fatte all'Anpi a proposito del trattamento economico.

Ottengono dal prefetto la chiusura di un giornale qualunquista locale,

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ma, alla fine dell'incontro, per manifestare tutta la loro rabbia contro

un partito da sempre in prima fila negli attacchi al movimento partigia-

no, decidono di assaltare la sede cittadina dell'Uq. Questa volta la rea-

zione del Ministero dell'Interno non tarda e viene ordinato l'arresto deiresponsabili dell'assalto. 11grosso dei partigiani, in risposta agli arresti

operati, si raggruppa in montagna chiedendo l'immediato rilascio degli

undici fermati, ribadendo le richieste fatte precedentemente al prefetto.

La protesta partigiana si esaurisce solo dopo l'intervento dell' Anpi che

riesce anche a scongiurare uno sciopero di solidarietà deciso dai lave

ratori dell'alto Verbano. La vicenda si conclude con il processo, a cari-

co degli arrestati, il 6 dicembre, e la condanna a sette mesi di reclusi@

ne per tre degli imputati e l'assoluzione per gli altri.

Nel mese di dicembre, Milano è scossa da nuovi attentati e atti dimo-

strativi di marca fascista. Li fumano i Far (Fasci d'Azione Rivoluziona-

ria), ma la grande novità è la costituzione di un partito legale, il Movi-

mento Sociale Italiano, nel quale convergono diversi altri gruppi clande-

stini o semilegali. Appoggiato dal Vaticano e visto con favore dalla Dc,

che mira ad usarlo come detenente sia anticomunista sia antiqualunqui-

sta, il movimento creato da Pino Romualdi e Giorgio Almirante sorge

appunto con l'intento di coordinare l'azione di tutte quelle frange neofa-

sciste che agiscono spesso isolatamente; essi inoltre trasformano i Farnel braccio armato del partito. I1 responsabile milanese sia del Msi che

dei Far è l'ex generale della milizia Femccio Gatti. All'infittirsi delle

trame terroristiche della destra, i gruppi militanti antifascisti rispondono

con due attentati: nel gennaio 1947 vengono uccise Eva Macciacchini,

pregiudicata collegata alle Sam, e Bruniide Tanzi, iscritta al Partito De-

mocratico Fascista e propagandista del giornale "Lotta Fa~cista".~~

In Italia, il 1947 inizia con due importanti avvenimenti: ai primi digennaio De Gasperi compie un viaggio negli Stati Uniti, dove sigla

una serie di accordi economici, ottiene la concessione di un prestito

per cento milioni di dollari e si garantisce l'appoggio degli Usa in pre-

visione della rottura dell'accordo di governo con le sinistre, divenuta

ormai ineluttabile viste le pressioni del Vaticano e degli ambienti in-

dustriali e il calo elettorale della Dc a favore delle destre.

L' 11 gennaio avviene la scissione del Psiup, voluta da Saragat, che

darà vita al Psli, fornendo a De Gasperi l'occasione di sciogliere il go-verno e formare il suo terzo ministero, riducendo i dicasteri concessi

alle sinistre. A Milano, lo stesso sindaco Greppi e metà dei consiglieri

socialisti passano al Psli.

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Nel mese di febbraio, scoppia il caso del cosiddetto "tesoro di Don-

go": molti quotidiani sostengono che una buona parte delle casse,

contenenti valori e preziosi, sia stata sottratta dai partigiani comunisti.

I1 generale Zingales, incaricato delle indagini, arresta tre partigianicomaschi e subito la vicenda diventa lo spunto per una nuova campa-

gna antipartigiana e anticomunista. Si polemizza anche sulla necessità

dell'esecuzione di Mussolini: è necessario un intervento di Togliatti e

di Parri per fare un po' di chiarezza e ribadire che la fucilazione del

dittatore fu una decisione congiunta del Clnai e che tutti i beni del

Duce vennero sequestrati dal Comitato di Liberazione.

Tra i settimanali che infiammano la polemica su Dongo, vi è il

"Meridiano d'Italiawche, fra le altre cose, pubblica una serie di docu-

menti che consente di identificare nel partigiano Walter Audisio (il

c o lo ~ e l lo alerio) colui che fucilò Mussolini. I1 fondatore e direttore

del settimanaleè Franco De Agazio, uomo vicino agli ambienti neofa-

scisti, già condannato nell'agosto 1945 ad otto anni e quattro mesi di

reclusione e successivamente assolto. I1 14 marzo, a pochi passi dalla

sua abitazione, De Agazio viene ucciso da individui sconosciuti, sicu-

ramente ex partigiani decisi a vendicarsi della campagna di denigra-

zione della Resistenza e dello smascheramento di "Valerio". Secondo

Cesare Bermani, l'omicidio sarebbe opera di appartenenti alla VolanteRossa. Del "Meridiano d'Italiawsi torna a parlare nel mese di maggio

quando, in seguito alla scoperta di un grosso traffico d'armi finanziato

dall'Uq e dal Msi, la polizia arresta Franco Maria Servello, nipote del

De Agazio, subentratogli alla direzione del settimanale, e Giorgio Pi-

ni, giornalista e dirigente del Msi. I due tornano in libertà dopo pochi

giorni. I1 30 maggio, giorno in cui si deve decidere l'invio al confino

di Giorgio Pini, di fronte alla Prefettura esplode un potente ordigno."

Visto l'inasprimento degli attacchi democristiani, Togliatti avevafatto un altro passo verso l'elettorato di centro alla fine di marzo, vo-

tando all'ultimo momento a favore dell'inserimento del Concordato

nella Costituzione. Ma De Gasperi è ormai deciso a porre fine alla

"coabitazione" con le sinistre: ad aprile in Sicilia la Dc subisce un

nuovo tracollo elettorale a vantaggio dei socialcomunisti; ai primi di

maggio il Pc francese viene estromesso dalla maggioranza di governo

senza che ciò produca gravi contraccolpi. Sono probabilmente questi

gli eventi che fanno precipitare la situazione e il 13 maggio De Ga:

speri si dimette e avvia la crisi con l'intenzione di formare una mag-

gioranza di centro destra. In quei giorni arrivano al leader democri-

stiano importanti conferme dell'appoggio statunitense a questa inizia-

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tiva: l'ex sottosegretariodi stato Sumner Welles dichiara che gli StatiUniti devono rinviare la ratifica del trattato di pace e finanziare 1'Ita-lia "per impedire che i partiti rivoluzionaridi sinistra si impadronisca-

no del potere, sia pure con mezzi demo~ratici".'~Ma, per diverse ra-gioni, sia il Pli che i piccoli partiti di centrosinistra rifiutano di assu-mersi la responsabilità di andare al governo in un momento così deli-cato. De Gasperi decide allora di rischiare il tutto per tutto e vara ungoverno di minoranza, composto di soli democristiani e alcuni espo-nenti tecnici. Le sinistre, che chiedevano la prosecuzione del iriparti-to, reagiscono accusando il leader Dc di allontanarsi dai metodi de-mocratici e di agire nell'interesse e sotto le pressioni del governoamericano. I1 monocolore De Gasperi ottiene la fiducia grazie all'ap-poggio esterno del Pli, dei monarchici e dell'uomo Qualunque. Pochigiorni dopo, il 6 giugno, il Senato americano ratifica il trattato di pacecon l'Italia. 11 2 luglio 1947, con il fallimento della conferenza di Pa-rigi, l'Italia entrerà definitivamente a far parte del blocco occidentale.

L'improvvisa fine della formula dell'unità nazionale, per sostenerela quale il Pci aveva sempre moderato le richieste della sua base, e lanascita di un governo sostenuto dal determinante appoggio della de-stra nostalgica e anticomunista, rappresentano una cocente e amara

delusione per tutti i militanti del Pci. I vertici del partito si limitano aduna ferma e composta protesta: "siamo gente troppo seria e troppoconsapevole della nostra responsabilità, e troppo strettamente legata aquelle conquiste democratiche per cui abbiamo combattuto per tutta lanostra esistenza di singoli e di partito, per farneticare di ricorsi alla~iolenza".'~ a base invece reagisce rabbiosamente al "tradimento"democristiano e nel paese si determina così un generale inasprimentodel conflitto sociale e politico.

A Milano, la Volante Rossa intensifica le sue azioni contro gli am-bienti di destra. Cinque suoi componenti erano stati identificati daigruppi clandestini neofascisti che avevano deciso di giustiziarli; "Al-varo" era stato poi aggredito e percosso da alcuni fascisti in via Paci-ni. Nella stessa via al numero 32, c'è il bar di Renato Boninazzi, il lo-ro punto di ritrovo. La Volante lo assalta il 16 giugno, mandandone infrantumi le vetrine con una sassaiola e tre colpi di pistola.

"I1 bar è andato in pezzi, è stato devastato parecchio. Poi via in bicicletta,ma senza avere l'accortezza di bloccare le loro macchine. Le azioni si face-vano in bicicletta perché così puoi andare dove vuoi e la puoi abbandonareeandartene a piedi, mentre la bicicletta la prende un altro e se ne va. Comun-

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que c i sono corsi dietro e hanno fermato quattro dei nostri. Avevano insiemeanche degli agen ti della squadra politica, ma quelli che hanno fermato eran odisarmati. Hanno però dovuto dargli le generalità, li hanno portati in questurama li hanno rilasciati subito"."

La notte del 5 luglio due della Volante, Mario Gandini e Walter Ve-

neri, decidono di fare un attentato contro la casa del fascista Fulvio

Mazzetti in Corso Lodi 33. Ma la bomba a mano lanciata contro la fi-

nestra si ferma su di una zanzariera e ricade in strada: Gandini rimane

ferito e viene arrestato.

I1 10 luglio, nella sede del settimanale missino "Rivolta Ideale",

[...l era stata indetta una riunione di aderenti, e una quarantina di persones'era raccolta in una sala ad ascoltare una conferenza del professor AchilleCmciani. All'improvviso, da parte di due sconosciuti che erano saliti fino alsecondo piano e avevano socchiuso la porta della sala, venne lanciata unapiccola bomba: un c ilindro di metallo lungo 10 centimetri con una miccia giàaccesa. La bomba cadde al suo lo ma uno dei presenti fu lesto a ghermirla e lalanciò per la finestra aperta sulla strada, cioè in via Agnello. Qui l'ordignocadde sul marciapiedi davanti al palazzo contrassegnato col n. 10, e cometoccò terra esplose fragorosamente, provocando la caduta dell'architrave di

marm o del portone del palazzo, la rottura di tutte le vetrine vicine e danneg-giando le tre automobili che sostavano in quel m ~ m e n t o .~ '

I1 27 luglio, la polizia ritrova un ordigno al plastico all'intemo del

cinema nel quale Achille Cruciani avrebbe dovuto tenere un'altra

conferenza.

Fino a quel momento le azioni della Volante Rossa non sono inseri-

te in una strategia ben ordinata e studiata, ma risultano essere isolate

rappresaglie o esempi di "giustizia partigiana". Nel novembre del1947 essa inizia un'attività di vera e propria militanza legale al servi-

zio del Pci, impegnato in quel momento ad organizzare una mobilita-

zipne generale delle classi lavoratrici, colpite dalla crisi economica,

contro il governo De Gasperi. Gli obiettivi immediati sono l'occupa-

zione e il livello dei salari: masse di operai, disoccupati, braccianti

sfilano per le piazze, occupano fabbriche e campagne.

A Milano, dove cominciano a chiudere molte imprese e altre non

hanno i soldi per pagare gli stipendi, il clima sociale è teso da molti

mesi, anche a causa dello stridente contrasto tra la povertà di molti e il

lusso in cui vive una ristretta élite di affaristi e borsari neri. "Lo stato

d'animo della popolazione si b congelato nella difesa di posizioni ac-

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quisite e sulla sfiducia nel potere d'acquisto della valuta. La psicolo-

gia inflazionistica dilaga sempre più. Tutti tendono a sbarazzarsi del

denaro, buttandosi in una qualunque speculazione, in acquisti di qua-

lunque genere, in smoderati di~ertimenti"."~L'aumento dei prezzi b dell'ordine del 39% mensile. Anche i re-

sponsabili dell'ordine pubblico sembrano rendersi conto dell'inevita-

bilità della protesta popolare: "Malgrado che le Autorità cittadine e i

rappresentanti sindacali abbiano escogitato tutte le misure per fronteg-

giare l'attuale situazione politico-economica, gli sforzi compiuti a tale

proposito non sono valsi a migliorare di molto il disagio delle catego-

rie meno abbienti. Non sempre gli organi sindacali sono riusciti ad

evitare o contenere dimostrazioni di schiere di disoccupati e le agita-

zioni e gli scioperi verificatisi in questi ultimi tempi stanno a dimo-

strare la gravità della situazione che lascia adito alle più imprevedibili

conseg~enze".~'

In autunno cominciano a farsi sentire anche gli effetti della politica

deflazionistica di Einaudi: la restrizione del credito mette in grosse

difficoltà tutte le aziende, i disoccupati salgono in tutta la provincia di

Milano a quota 84.687 nel mese di novembre. Nello stesso periodo

scioperi ed episodi di violenza a sfondo sociale si verificano quotidia-

namente e la Prefettura deve prendere atto dell'impressionante rapi-dità ed efficienza con cui le sinistre riescono a mobilitare operai e di-

socc~pat i .~~

L'organizzazione di questa grande campagna di lotte richiede spes-

so l'opera di gruppi particolari di militanti che si occupano della vigi-

lanza delle sedi di partito e di sindacato oppure intervengono nei mo-

menti più "caldi" di uno sciopero o di una occupazione, quando c'b da

compiere qualche azione ai limiti della legalità, quando si devono

fronteggiare le reazioni delle forze dell'ordine o le mosse di qualcheprovocatore infiltrato dai fascisti.

È in questo clima che la Volante Rossa viene, in un certo senso, ufficializ-

zata: "Il Partito ci ha riconosciuti nel '47, non prima. Prima c'era stata una

certa storia della Volante, di cui il Partito ha apprezzato la serietà e l'orga-

nizzazione. Anche se si può dire che gih prima era nel Partito, nel movirnen-

to di base, in quello sindacale. Certo, noi puntavamo aila rivoluzione e il Par-

tito invece aveva una posizione legale, lottava per una democrazia progressi-

va. Nelle riunioni di partito ci scontravamo spesso con quei compagni chebattevano solo sull'aspetto della lotta politica parlamentare, perché noi pen-

savamo che si doveva essere pronti a rintuzzare qualsiasi attacco e a fare la

rivoluzione se fosse stato necessario. Noi eravamo quindi pronti per la rivo-

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luzione, però ci rendevamo anche conto che il Partito doveva svolgere un'at-

tività democratica, legale. Ma temevamo la possibilità di una controrivolu-

zione, appoggiata dagli Alleati. La nostra lotta contro il movimento fascista

voleva fare prendere coscienza alle classi diigenti che un movimento di con-

trorivoluzione come in Grecia qui non era possibile, perché la base era orga-nizzata militarmente. Era cioè una forma di pressione che esercitavamo. E in

fondo il Partito ci accettava, perché ci teneva nel suo ambito, pur sapendo di

determinate nostre attività. Quando nella Sezione eravamo armati o girava-

mo in camion armati, il Partito non poteva ignorarlo. Poi dal '47 c'è stato un

collegamento diretto tra noi e la Federazione del Partito per la nostra azione

nel corso di occupazioni di fabbriche, manifestazioni, servizi d'ordine. Che

poi il Partito di altre determinate nostre azioni non ne sapesse nulla - come

ho già detto - questo è un fatto. Ma in Federazione Alberganti e Scotti non è

che ci considerassero dei disgregatori del Partito. La prima uscita pubblica èstata quando noi abbiamo scortato il gonfalone di Milano. La Federazione

aveva chiesto all'Alvaro se accettavamo e noi abbiamo accettato di farlo. Ed

è in queste occasioni che abbiamo utilizzato le divise, cioè i nostri giubbotti.

Ma era da quello di tela che i compagni potevano riconoscerci, perché vi

avevamo applicato un triangolo rosso attaccato con gli automatici. C'era

scritto 'Volante Rossa Martiri Partigiani' e vi erano riprodotti anche la falce

e il martello. Per esempio, quando il 13novembre c'è stato il comizio di pro-

testa per l'attentato alla Federazione, in mezzo a questa grande massa si è in-

cominciato a lanciare parole d'ordine contro il Movimento Sociale, trasci-nando la massa verso determinati obiettivi. Molti compagni, anche nell'am-

bito della Breda, sapevano già che la Volante Rossa avrebbe iniziato questo

movimento. Dicevamo ai compagni: 'Abbiamo bisogno che otturiate le stra-

de, pia che altro'. E chi poteva chiuderle era la massa, che si è portata avanti

in viale Cerva, ha cominciato a urlare 'abbasso i fascisti, via 'I1 Meridiano

d'Italiaw. E la Volante Rossa ha potuto esplicare il suo compito. Ma era

quindi necessario essere riconoscibili. [...l. Inoltre in quel periodo si verifica-

rono le prime occupazioni di fabbrica a Milano, perché non venivano accet-

tate le richieste degli operai. Allora arrivava la polizia e buttava fuori glioperai. E noi andavamo là di nottetempo, buttavamo fuori la polizia, e ripor-

tavamo dentro gli operai. Questo aiutava molto la lotta degli operai, che in

caso di bisogno sapevano a chi rivolgersi. Già prima la Volante Rossa, alla

base, tra i compagni, gli operai, era diventata un simbolo in tutta la Lombar-

dia. Poi durante le manifestazioni, se c'erano quattro o cinque della Volante

Rossa, immediatamente si formava un nucleo attorno a loro, perché nell'am-

bito della classe operaia eravamo conosciuti come gente che non stava lì

troppo a discutere, ci riconosceva come gente che li difendeva dai sopmsi,

dai quali la legalità non li difendeva. Quando intervenivamo certe cose simodificavano all'intemo della fabbrica. La Volante Rossa galvanizzava e

creava una reazione all'assoggettamento dentro la fabbrica. Però l'uscita del-

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la Volante Rossa sulla piazza, il suo scoprirsi, è stata anche la sua condanna

a morte. E tuttavia siamo stati costretti a scoprirci per sistemarci nei movi-

menti di massa, per aiutare le occupazioni di fabbrica. Non potevamo pih ri-

manere

I1 nuovo tipo di attività che la Volante Rossa è chiamata a svolgere

impone una struttura più organizzata e la necessita di ingrossare le

proprie file. In questo periodo la Volante può contare su oltre cinquan-

ta persone.

L'autunno del 1947, accanto alle imponenti manifestazioni e gli

scioperi organizzati dalle sinistre, registra una ripresa della violenza

politica tra gli opposti schieramenti. Stando ad un rapporto della Pre-

fettura, la cui puntigliosita lascia alquanto perplessi, la lotta politica aMilano si preparava addirittura ad assumere i contorni di una vera e

propria guerra tra bande paramilitari organizzate da ogni partito politi-

co:

Maggiori preoccupazioni per le condizioni dell'ordine pubblico e per i

gravi pericoli che ne possono scaturire, sono tuttavia date dall'ininterrotta at-

tività dei partiti e raggruppamenti politici per creare od incrementare forma-

zioni paramilitari clandestine. Fra queste attività ha maggior risalto queiia fa-

cente capo al Pci che è appoggiata e controllata da elementi slavi; essa dispo-ne di un numero rilevante di adepti inquadrati e sottoposti ad un regime di-

sciplinare che nulla ha da invidiare a quello militare e dispone altresl di im-

portanti aliquote di armi e di munizioni. [...l Èperb opportuno tenere presen-

te che, secondo vari elementi informativi attendibili, i compiti dell'organiz-

zazione militare comunista non hanno finalità rivoluzionarie immediate.

All'organizzazione militare clandestina comunista fanno da contrappeso

organizzazioni militati formatesi o in via di formazione, un po' in tutti gli al-

tri partiti. Fra queste sono particolarmente da citare:

a) Quella facente capo a l l ' h a t a Italiana di Liberazione (A.I.L.), capeg-giata dal maggiore dei granatieri Cesare Carnevale;

b) Quella dei democristiani che si appoggia al19"avanguardia giovanile

cattolica" ed ai "Boy Scouts" ed è organizzata e diretta dai gesuiti con a capo

1'0n. Tupini;

C) Quella tuttora in fase iniziale e per ora poco consistente dei socialisti

saragattiani, nata per iniziativa del deputato autonomista On. Ezio Vigorelli;

d) Altre formazioni minori, ma notevolmente aggressive facenti parte ai

qualunquisti.

Ai fenomeni anzicitati si va aggiungendo ora anche quello del neo-fasci-smo che sta risorgendo un po' ovunque, soprattutto per l'aiuto che riceve da

fonti che non è stato ancora possibile individuare. [...l Centri di appoggio so-

no, secondo varie indicazioni degne di fiducia, la sede del "Partito Nazionale

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Italiano (PNI)"di piazza Borromeo; la redazione del settimanale "Il Meridia-no d'Italiao; la redazione del periodico "La Rivolta Ideale" organo del Movi-mento Sociale Italiano ( M S ~ ) . ~ ~

I1 25 settembre una carica di trito10 esplode presso la Federazione

provinciale comunista milanese di Porta Garibaldi. La polizia reagisce

arrestando numerosi estremisti di destra. Nello stesso periodo il Msi

tiene i primi comizi pubblici: uno di questi viene improvvisato a Ro-

ma il 10 ottobre in piazza Colonna, suscitando la spontanea reazione

di protesta di alcuni parlamentari di sinistra e quella di numerosi pas-

santi. La Celere interviene a sciogliere il comizio soltanto dopo lo

scoppio dei primi tafferugli, caricando indiscriminatamente fascisti e

militanti di sinistra. Violentissime le critiche per l'atteggiamento trop-po indulgente delle autorità nei confronti di un evento così clamoroso

(un comizio fascista di fronte alla sede del Parlamento). I1 Pci si spin-

ge fino ad accusare il Ministro dell'hterno Scelba di complicith con il

Msi. Scoccimarro dichiara che "se le forze dello Stato non sapranno

provvedere, il mio partito provvederà da solo".47

Anche nelle città del nord si scende in piazza per protestare contro

la "provocazione" di Roma. A Milano, 1'1 1 ottobre la Volante Rossa

decide una rappresaglia diretta: irrompe nella sede del Movimento so-ciale di via S. Radegonda, devastandola completamente e ferendo nu-

merosi fascisti. L'esasperazione degli animi è tale che a Roma, nello

stesso giorno, viene ucciso nel corso di una rissa un militante della Dc

che affiggeva manifesti del suo partito. Pochi giorni dopo vengono ar-

restati i suoi assalitori, tutti iscritti al Pci: ciò obbliga il partito a con-

dannare pubblicamente l'estremismo di alcuni militanti. Nonostante

tutto, gli attentati e gli scontri proseguono. A Milano, alle tensioni po-

litiche si aggiungono le manifestazioni degli operai delle grandi fab-

briche (Isotta Fraschini, Breda, OM, Caproni, Alfa Romeo), minac-

ciati dai licenziamenti e senza stipendio da mesi. Due operai di Sesto

San Giovanni vengono fermati per l'assalto alla sede missina dell'll

ottobre. I1 provvedimento ha tutta l'aria di un'azione intimidatoria e

punitiva, ma la reazione degli operai di Sesto è decisa: a bordo di ca-

mion, si recano in questura ed ottengono l'immediato rilascio dei loro

compagni.

La Volante Rossa ritorna in azione il 29 ottobre quando, alla fine di

una manifestazione indetta dalla Camera del Lavoro, irrompe nella se-de del gih nominato "Meridiano d'Italiaw, distruggendo e bruciando

mobili e suppellettili. I1 4 novembre viene inferto un duro colpo alle

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organizzazioni neofasciste, con l'uccisione di Femccio Gatti, capo

degli squadristi milanesi nel 1921, ex generale repubblichino e re-

sponsabile milanese del Msi e dei Fasci di Azione Rivoluzionaria.

La sera del 4 novembre il Gattiè

nel suo appartamento di vialeGian Galeazzo 20 dove sta aspettando due persone che gli hanno det-

to di far parte di una formazione armata intenzionata a prendere con-

tatti con i Far. Davanti al portone giungono sei uomini in bicicletta,

due dei quali salgono all'appartamento di Gatti. La cameriera li intro-

duce nella sala da pranzo: qui i due fanno fuoco sul dirigente neofa-

scista, ferendo di striscio anche il figlio. La moglie tenta di inseguirli

ma essi riescono a fuggire insieme agli altri quattro complici.48

La stessa sera quattro uomini bussano alla porta di Angelo Mar-

chelli, segretario della sezione del Msi di Lambrate, spacciandosi per

poliziotti: ma la moglie di Marchelli rifiuta di farli entrare e nonostan-

te le loro pressioni costringe i quattro a desistere. I1 giorno 5 viene uc-

ciso a Sesto San Giovanni il qualunquista Michele Petruccelli: due

uomini avevano suonato alla sua porta invitandolo a ritirare dei gior-

nali.

La notte del 9 novembre, nella campagna milanese, ha luogo un at-

tentato, apparentemente di scarsa rilevanza, ma destinato ad avere

gravissime ripercussioni e portare la tensione e lo scontro politico nel-la città ai suoi massimi livelli. Contro una comitiva di giovani comu-

nisti, che sta transitando sul ponte sul Lambro per tornare a Mediglia

da una festa da ballo, vengono esplosi diversi colpi di arma da fuoco

che feriscono tre persone.

Per protestare contro l'agguato, 1'11 novembre ha luogo a Mediglia

una grande manifestazione, con la partecipazione di centinaia di ope-

rai giunti con i loro camion. La sera i dimostranti decidono di recarsi

alla cascina del qualunquista Giorgio Magenes, ritenuto responsabiledi alcuni attentati accaduti nella zona: la folla circonda la casa, invi-

tando l'uomo ad uscire, ma egli reagisce sparando e uccidendo l'ope-

raio Luigi Gaiot. A quel punto intervengono i carabinieri ma la folla

inferocita riesce a strappare dalle mani dei militi il qualunquista e lo

uccide a pugni e calci.

I fatti di Mediglia suscitano in alcune città del Nord una serie di

manifestazioni con assalti alle sedi del Msi e dellYUq.1 12 novembre

il capoluogo lombardo è in sciopero generale. Poco dopo mezzogior-

no, una bomba esplode nella sede della Federazione comunista di Por-

ta Garibaldi. La notizia dell'attentato si diffonde per la città e irnme-

diatamente gruppi di militanti delle sinistre confluiscono presso la se-

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de colpita dall'attentato. La Volante Rossa, presente a Porta Garibaldi,

trascina i dimostranti contro le sedi neofasciste: vengono assaltate la

sede delllUq in corso Italia, quella del Msi in via S. Radegonda e il

giornale di destra "I1 Mattino d'Italia1'. Alle 17 si tiene in piazza Duo-

mo un comizio organizzato dai socialcomunisti, dall 'hpi, dai sara-

gattiani e dai repubblicani. Si richiede, soprattutto da parte del Pci, lo

scioglimento delle organizzazioni fasciste, a cominciare dal Msi, e la

chiusura immediata dei giornali vicini ad esse.49

I1 giorno tredici 150.000 persone partecipano ai funerali di Luigi

Gaiot; lo stesso giorno la Volante Rossa è protagonista di un altro epi-

sodio: a bordo di tre camion, i suoi uomini si recano in via Monte

Grappa, dove si trova la sede del Movimento Nazionale Democrazia

Sociale. Superata la resistenza dei pochi carabinieri presenti, essi pro-cedono alla devastazione dei locali. Anche il 14 la Volante organizza

un'irruzione nella sede del Pli di Corso Venezia: alcune decine di per-

sone, entrate negli uffici, chiedono se i locali siano stati occasional-

mente prestati al Movimento Sociale. Alla smentita dei presenti, la

Volante lascia la sede. Secondo il testimone citato da Bermani, la ra-

gione della "visita" era la ricerca di un funzionario del Pli, finanziato-

re del Msi.

I1 27 novembre -ma la notizia era nell'aria già da diversi giorni - lministro dell'Interno Scelba comunica la sostituzione del prefetto di

Milano Ettore Troilo. Durante la guerra, Troilo ha comandato il più im-portante reparto partigiano del centro sud, il corpo volontari Majella. A

Milano egli non ha mai mancato di sostenere le rivendicazioni dei la-

voratori e dei ceti più deboli. Scelba, prendendo spunto dal suo rifiu-

to di intervenire nella repressione di uno sciopero generale, ne aveva

deciso l'allontanamento, destinandolo ad una carica diplomatica, e la

sostituzione con il prefetto di Torino Ciotola, nominato da Badoglionel 1943. La sostituzione di Troilo appare ai partiti di sinistra, ai mi-

litanti, agli ex partigiani come l'ennesimo insulto ai valori e ai prota-

gonisti della Resistenza, oltre ad inserirsi nella logica di estromissio-

ne delle sinistre dalle cariche governative. Subito, sin dalla mattinata,

diverse centinaia di operai ed ex partigiani armati affluiscono in cor-

so Monforte, sbarrano la via con gli autocarri ed occupano il palazzo

della Prefettura, senza che la forza pubblica intervenga. Al comando

delle operazioni c'è Mario Venanzi, già presidente del Cln lombardo

e assessore comunale all'urbanistica, mentre la Volante Rossa parte-

cipa attivamente con tutti i suoi uomini. I1 sindaco Greppi si dimette

insieme alla giunta ed ai 160 sindaci socialcomunisti di tutta la pro-

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vincia: dopo lunghe trattative, Pci, Psiup, Pri e Psli decidono uno

sciopero generale di dodici ore, che i comunisti avrebbero voluto ad

oltranza.

Alle 13 e 30 viene dato l'annuncio ufficiale dello sciopero e tuttaMilano si ferma. Chiudono i giornali, la radio sospende le trasmissio-

ni, chiudono cinema, teatri, negozi, vengono bloccati i trasporti pub-

blici: apposite squadre di sorveglianza pattugliano il centro per impor-

re a tutti gli esercenti il rispetto dell'agitazione. La città è in pratica

occupata da operai e partigiani che, nel pomeriggio, assaltano la sede

del Msi e irrompono in quella della Rai in corso Sempione, per tra-

smettere un loro comunicato. La notte del 28, molte famiglie dell'alta

borghesia lasciano la città con le loro automobili diretti in Svizzera.

"Per 48 ore tutta la provincia sembra sull'orlo della guerra civile".50

In Prefettura, accanto a Troilo, che appoggia la protesta impressio-

nato dalla reazione popolare, siedono il sindaco Greppi e i rappresen-

tanti dei quattro partiti che costituiscono il comitato cittadino d'agita-

zione. C'è molta tensione, fermezza, ma anche preoccupazione.

"Giancarlo Pajetta, al telefono, cerca di mettersi in comunicazione

con De Gasperi. Invano: non c'è, non si trova. Poi, con Andreotti: lui

pure, non c'è, non si trova, non risponde, è 'fuori stanza"'?'

"Nel frattempo Pajetta chiama anche Togliatti per annunciargli conspavalderia 'Abbiamo la prefettura'. Dall'altra parte Togliatti, gelido,

risponde: 'Bravi, e adesso cosa intendete fame?".s2 Alle 15 e 30, Scelba

invia un messaggio al generale Capizzi, comandante della piazza di

Milano: "L'autorità militare deve assumere tutti i poteri civili e milita-

ri a Milano e provincia". In pratica, gli si chiede di dichiarare lo stato

d'assedio. Intorno alla prefettura cominciano a schierarsi carabinieri e

soldati, lo scontro sembra inevitabile. Ma Capizzi e il questore Agne-

sina iniziano a trattare: il generale comunica a Roma che Troilo è per-fettamente in grado di esercitare le sue funzioni, e Scelba revoca l'or-

dine. I1 sottosegretario all'interno Marazza, contattato telefonicamen-

te, annuncia la sua partenza per Milano, dove aniva alle 22 e 45. I1

rappresentante del governo evita la folla ostile che lo attende alla Sta-

zione Centrale ma è costretto a recarsi in Prefettura per trattare con gli

occupanti: il viaggio avviene su di una jeep munita di mitragliera, se-

guita da una scorta armata.

Marazza entra in Prefettura all' l e 45, con lui ci sono Capizzi eAgnesina: essi pongono la fine dell'occupazione e dello sciopero co-

me pregiudiziali per la trattativa; dall'altra parte, Pajetta e Scotti insi-

stono per ottenere la revoca della sostituzione di Troilo e fanno il no-

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me di Lombardi come possibile nuovo prefetto. Poi, davanti alla pro-

spettiva di uno scontro armato sanguinoso, di una vera e propria ribel-

lione, non se la sentono di opporsi alle condizioni poste da Marazza e

cedono." Pajetta ha poi dichiarato che l'occupazione aveva solo carat-

tere dimostrativo e che si era deciso sin dall'inizio di porre fine alla

protesta nel caso in cui si fossero create le condizioni per uno scontro

diretto con le forze del1'0rdine.~

I1 governo concede a Troilo ancora qualche giorno, in maniera da

consentire ai partiti di sinistra di sospendere l'agitazione, mandare a

casa i partigiani e far calmare le acque. I1 giorno dopo, il 29 novem-

bre, il sindaco Greppi si reca a Roma, dove incontra Scelba e De Ga-

speri: si decide che il 4 dicembre Troilo lascerà il posto al prefetto di

Pavia, a cui, dopo un breve "interregno", subentrerà definitivamentel'uomo di Scelba, Ciotola.

Pochi giorni dopo, però, i partigiani di tutta Italia hanno l'occasio-

ne di scendere nuovamente in piazza per rivendicare le loro ragioni:

l'otto dicembre si svolge a Roma il I Congresso nazionale della Resi-

stenza. Nella capitale giungono ben 60.000 partigiani, i quali sfilano

per le vie cittadine con i mitra e le pistole nascosti sotto i giubbotti.

Tra i partigiani vi è molta tensione e animosità: si temono provocazio-

ni ma le forze di polizia restano nelle caserme e il servizio d'ordineviene svolto dagli stessi garibaldini. Davanti ad un pubblico inviperito

per i recenti attacchi al movimento partigiano, Luigi Longo ribadisce

che la calma è la migliore dimostrazione della propria forza. La mani-

festazione si chiude senza incidenti e al momento del ritorno la delu-

sione è fortissima tra chi sperava di dare ben altra prova della propria

f~rza . '~

Nelle fabbriche milanesi ritorna il clima pesante degli anni bui delfascismo: vecchi capi e direttori ricorrono di frequente a metodi auto-

ritari e ricattano gli operai con la minaccia del licenziamento. Ma una

parte dei lavoratori non è disposta a subire passivamente.

La notte del 6 dicembre alcuni uomini armati aggrediscono e pic-

chiano una guardia giurata della Breda di Sesto San Giovanni. I1 12

dicembre, forse dietro sollecitazione di operai della Falck, entra in

azione la Volante Rossa. Giungono in venticinque su un camion in via

Natale Battaglia 29: scendono in quattro ed entrano nel palazzo.

[...l chiedono dell'Ingegner Italo Toffanello, già vice-direttore dello stabi-limento Vittoria delle Acciaierie Falck, poi epurato perché iscritto al Prf, ri-

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tenuto responsabile della deportazione in Germania di 60 operai. Sono le 21

e 20 e la serata è gelida, ha appena nevicato. Si puntano le rivoltelle all'inge-gnere, che è fatto salire sull'autocamo e condotto sulla piazzetta ex reale, vi-cino a piazza del Duomo. "Potremmo fare quello che vogliamo nei tuoi con-fronti. Ma ti chiediamo di spogliarti. I lavoratori sono uomini e non animalida soma. Se ritorni ai vecchi metodi il nostro prossimo intervento sarà bendiverso". Viene abbandonato in mutande e, preso per pazzo, rischia di finireal Paolo Pini. Un pacchetto con tutti i suoi vestiti e valori viene depositatopresso il distributore di benzina di piazzale Loreto. Poi si telefona alla poliziadi venirlo a ritirare. Appuntato al pacco un biglietto: "h stata data una lezio-ne al signor Toffanello: ora restituiamo scrupolosamente ciò che era in suopossesso". Segue l'inventario degli oggetti e la firma: "Un gruppo di braviragazzi".56

I1 1947 si conclude con la nascita ufficiale, il 28 dicembre, del

Fronte Popolare, l'aggregazione sotto il cui simbolo Psi e Pci affron-

teranno le elezioni di primavera. Pochi giorni prima, De Gasperi

rafforzava il suo governo con l'ingresso dei saragattiani e dei repub-

blicani, definendo con chiarezza la composizione del blocco governa-

tivo che si contrapporrà all'opposizione di sinistra nella prossima im-

portantissima campagna elettorale. Dal 4 al 10gennaio 1948 a Milano

ha luogo il VI Congresso del Pci: viene ribadita la scelta frontista, conla prospettiva di una grande vittoria elettorale che trasformi le lotte e

le rivendicazioni del movimento dei lavoratori nella conquista della

maggioranza parlamentare e nella nascita di un governo delle sinistre.

I1 programma prevede l'avvio di riforme economiche e una decisa re-

pressione delle organizzazione fasciste legali e illegali.

Alla Volante Rossa viene affidato il servizio d'ordine del congres-

so: è il riconoscimento ufficiale del prestigio e della notorietà che la

Volante si è conquistati tra i lavoratori e i comunisti milanesi, grazieall'intensa attività di militanza legale e alla recente partecipazione

all'occupazione della prefettura. I suoi uomini, con gli ormai ben noti

giacconi di pelle e il triangolino rosso sulla manica sinistra, presidia-

no gli ingressi e i corridoi del Teatro Lirico e poi del cinema Smeral-

do e scortano i delegati stranieri al congresso. Un partigiano della Vo-

lante si azzarda a chiedere un autografo di Togliatti sulla tessera rossa

della formazione, ma il segretaxio gli risponde: "Sulla tessera del Par-

tito si, ma qui no".57

Lo scontro elettorale tra il Fronte Popolare e la Dc con i suoi alleati

coincide con il riesplodere delle tensioni sociali e del malcontento po-

polare. Nel mese di gennaio, nel nord Italia si susseguono numerosi

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scioperi; i partigiani del modenese e del mantovano minacciano azio-

ni clamorose perché il governo ha rimosso alcuni sindaci che avevano

distribuito grano dell'ammasso alla popolazione affamata. A Brescia e

a Milano si registrano due tentati assalti alla prefettura e non passagiorno senza che i giornali diffondano la notizia di un imminente gol-

pe comunista.

La reazione di Scelba e del governo non si fa attendere: già il 10

gennaio si porta a dieci anni di reclusione la pena massima per gli au-

tori di blocchi stradali; il 21 viene decretato un massiccio aumento de-

gli organici delle forze dell'ordine; infine, nel mese di febbraio viene

varata la contestata legge sulle organizzazioni paramilitari. Lo scopo

dichiarato di questa legge è colpire tutte le organizzazioni di partito:

in realtà, il provvedimento mira ad intimidire, sottoponendole a mag-

giori controlli, quelle associazioni di ex partigiani, reduci, giovani che

costituivano per il partito comunista degli importanti strumenti di mo-

bilitazione, propaganda e diffusione delle direttive del partito.

La prima formulazione della legge vietava tutte le "organizzazioni

aventi finalità politica nei casi in cui queste organizzazioni si dotino

di gradi militari ed uniformi e di una disciplina militare al loro inter-

no". Per i promotori, la pena va da due a dodici anni, per i partecipan-

ti sino a tre.58Mentre Togliatti nega l'esistenza di una organizzazione militare co-

munista, Longo protesta perché il decreto mette le organizzazioni par-

tigiane sotto l'arbitrio ed il controllo del Ministero dell'Interno. Alle

proteste delle sinistre replica Enrico Mattei, allora dirigente dell'area

democristiana del Cvl, affermando che non ha più senso costituire

formazioni partigiane una volta liberato il paese e costruite le nuove

istituzioni democratiche: la difesa di queste istituzioni, nate dalla Re-

sistenza, spetta solo allo stato repubblican~.~~Scelba dichiara che 1'Anpi non rientra tra le organizzazioni fuori-

legge, ma sottolinea che ci sono troppi depositi clandestini di armi

controllati da ex partigiani e militanti del Pci. Dopo molte discussioni,

la legge viene approvata con una modifica: per essere dichiarata fuori-

legge, oltre alla finalità politica e alla struttura paramilitare, un'orga-

nizzazione deve predisporre i suoi appartenenti ad atti di violenza o

m in a c ~ ia . ~onostante la nuova formulazione, la legge consentirà alla

polizia di effettuare le prime irruzioni nelle sedi di partito, sequestran-

do armi e divise e arrestando militanti.

Ai due comunisti milanesi che giustificano la detenzione di armi e

bombe a mano con la necessità di difendersi in caso di attacco neofa-

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scista, il giudice, condannandoli a un anno e quattro mesi, risponderà:

"Contro i fascisti si ricorra alle istituzioni giudiziarie, non all'autodi-

fe~a".~ ' a proprio la magnanimità di parte della magistratura nei

confronti di tanti fascisti repubblichini era tra le prime cause del dila-gare della violenza politica.

11Pci produce il massimo sforzo di mobilitazione dei suoi iscritti

proprio all'inizio della campagna elettorale del 1948: non c'è militan-

te che non venga inquadrato in un'organizzazione di massa relativa

alla sua posizione sociale (contadini, giovani, reduci, operai).

Per i giovani disoccupati vengono costituite le "Avanguardie Gari-

baldine", "forze d'assalto del Fronte Democratico Popolare": il loro

compito ufficiale è l'impiego in lavori di pubblica utilità (costruzione

di strade, piscine, linee tranviarie) e in attività formative di vario ti-

po.62Ma, come tutto il resto delle formazioni gerarchicamente orga-

nizzate, esse avevano anche un'altra funzione: il Pci era convinto che

alla sicura vittoria elettorale del Fronte sarebbe seguita una reazione

armata da parte della Dc e degli Stati Uniti, che erano disposti a tutto

pur di impedire l'ascesa al potere dei c~munisti.~'ra dunque neces-

sario organizzare tutte le proprie forze in modo da poter fronteggiare

efficacemente il temuto colpo di stato reazionario. Del resto il tono

con il quale la Dc affrontava la campagna elettorale era decisamenteminaccioso; al congresso democristiano di Napoli del novembre 1947

Scelba aveva dichiarato: "E se, amici, il momento supremo dovesse

presentarsi in cui venisse messa in gioco l'esistenza stessa della li-

bertà nel nostro paese, noi useremo la forza dello Stato!"." Così, per

esempio, "Alla Falck Unione si formano le brigate del lavoro, ex par-

tigiani che conoscono l'uso delle armi. Si inventa una divisa, calzoni

larghi che sembrano quelli della tuta e una casacca di panno grezzo

che si allaccia fino al collo. È un sarto compagno che ne disegna ilmodello e dal suo laboratorio escono seicento divise, e ciascuno paga

la propria, 300 lire, quasi il prezzo di un vestito".65

La campagna elettorale del 1948 è condizionata, oltre che dai pro-

blemi interni, dai fatti di politica estera. Siamo in piena guerra fredda

e il 3 febbraio è stato firmato il trattato di amicizia tra Italia e Stati

Uniti, che sancisce l'appartenenza del nostro paese al blocco occiden-

tale: da parte governativa e statunitense si insiste nel far notare che

una vittoria del Fronte Popolare comporterebbe l'interruzione degli

aiuti americani previsti dal Piano Marshall. Sin dalla fine del 1947 lo

stesso presidente Truman è intervenuto con dichiarazioni pesantissi-

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me: "Se l'indipendenza dell'Italia fosse minacciata, direttamente o in-

direttamente, Washington sarebbe costretta a prendere in esame le mi-

sure pib adatte per il mantenimento della pace e della sic~rezza".~~

APraga, alla fine di febbraio, il partito comunista cecoslovaccoprende il potere con un colpo di stato incruento. Vengono sciolti tutti i

partiti politici, arrestate migliaia di persone e instaurato un regime a

partito unico. Tutto ciò non fa che rinvigorire e rendere più credibile

lo spauracchio del golpe comunista agitato dalla propaganda democri-

stiana. Si intensificano le pressioni americane con i ripetuti interventi

di Truman. I1 presidente americano enfatizza la minaccia comunista e

sottolinea come la posta in palio sia l'appartenenza dell'Italia al bloc-

co occidentale, che solo la vittoria della Dc e dei suoi alleati può ga-

rat~tire.~'a questione di Trieste è anch'essa al centro della campagna

elettorale. Mentre gli alleati si impegnano ad operare perché Trieste

ritorni sotto la sovranità italiana, 1'Urss è contraria a questa soluzione.

"A tutto ciò si aggiungano la 'grande scomunica', le lagrime e le

pupille ruotanti delle Madonne pellegrine, i rabbiosi anatemi da mi-

gliaia di pulpiti, i sermoni e i ricatti attraverso le grate di decine di mi-

gliaia di confessionali, i buoni-pasta, i mezzi biglietti da mille"." Afebbraio, con un decreto legge, il governo democristiano aveva inoltre

riammesso gli ex funzionari di regime nei gradi pib alti della burocra-zia statale: così anche gli ex fascisti avrebbero avuto un buon motivo

per votare D c . ~ ~

La campagna elettorale in Lombardia e a Milano si svolge in un

clima particolarmente violento.

"[ ..l tutto l'organico della Volante Rossa fu mobilitato, sia per l'affissio-ne di manifesti che per i comizi volanti con macchine su cui erano montatidegli altoparlanti. Questi comizi venivano fatti nei centri industriali dellacittà all'ora che gli operai terminavano il lavoro. A Milano si verificarononumerosi scontri tra migliaia di lavoratori e le forze di polizia in occasionedei Comizi del Msi. La piazza del Duomo fu testimone, per una ventina disere consecutive, di scontri tra compagni e fascisti, e per due sere avemmo lapeggio. Dalla sera in cui la solfa cambiò intervennero coi caroselli a proteg-gerli quelli della polizia. Siccome erano venuti moltissimi fascisti dal Pie-monte, ci hanno mandato giù dei compagni che li conoscevano e ce li indica-vano. Noi ci mettevamo in giro, e quando iniziava, botte, poi andavamo".'"

"Quelli di Lambrate" sono occupatissimi: intervengono a tutte le

manifestazioni, gli scioperi, i presidi, dovunque ci sia da fronteggiare

spavaldamente la polizia o i padroni. Li chiamano persino all'univer-

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sità statale, dove uno sparuto gruppo di studenti comunisti che sta at-

tuando l'occupazione si vede minacciato da un gruppo di fascisti: la

Volante interviene, i fascisti fuggono ma scoppia lo scandalo perché

gli operai hanno violato i "sacri confini" dell'ateneo. I1 10 aprile cen-tinaia di operai provenienti da Sesto San Giovanni attaccano un comi-

zio missino in piazza Belgioioso, scontrandosi con reparti della celere

e dei carabinieri, dando vita ad una autentica battaglia di strada.

Ma tutti gli sforzi della propaganda frontista sono destinati a fallire:

il 18 aprile è il giorno della rivincita per la borghesia italiana, dopo la

festa rivoluzionaria del 25 aprile 1945 e le grandi speranze di una Re-

pubblica sinceramente democratica e popolare. I risultati, infatti, ve-

dono l'affermazione schiacciante, al di là di ogni previsione, della Dc,

che ottiene il 48,5%. I1 partito di De Gasperi fa incetta di voti soprat-

tutto nel meridione, nell'elettorato moderato e di destra. I1 Fronte Po-

polare si ferma al 31%, mentre i saragattiani riescono ad ottenere il

7%. I neofascisti ottengono un modesto 2%.

Anche a Milano, i risultati rispecchiano la situazione nazionale: la

Dc al 44,3%, l Fronte Popolare al 33,2%, il Psli, partito del sindaco

Greppi, ottiene un sostanzioso 15% ai danni soprattutto del Psi, che è

il principale sconfitto di queste elezioni, perdendo la posizione di pri-mo partito della sinistra in città. Persino a Sesto San Giovanni, quar-

tiere operaio e "rosso" per eccellenza, le sinistre risultano sconfitte. 11

Pci decide la sostituzione del segretario regionale Giancarlo Pajetta,

ritenendo il suo estremismo una delle cause dell'insuccesso elettorale:

al suo posto viene nominato Agostino Novella.

La sconfitta è, per la base comunista, inaspettata e scioccante: delu-

sione e rassegnazione cominciano a farsi strada tra coloro che crede-

vano ormai giunto il momento della vittoria definitiva delle classi po-polari. Sono in molti, nei giorni successivi al voto, ad abbandonare ar-

mi e munizioni che la polizia sequestra un po' dovunque. Questura e

Prefettura cercano di approfittare del mutato clima politico per ina-

sprire la repressione antioperaia e anticomunista: il 22 aprile vengono

sequestrati tre autocarri ad operai di Sesto che protestavano per il

mancato pagamento degli stipendi; nei giorni successivi vengono ef-

fettuate irruzioni in due sedi dell'Anpi e ne vengono fermati i segreta-

ri. Temendo una reazione violenta dei militanti comunisti, per il 25

aprile le autorità vietano ogni corteo nonché l'esposizione di fazzolet-

ti, cravatte e distintivi partigiani. Viene autorizzato soltanto un comi-

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zio a piazza Castello, dove è duramente contestato Ferruccio Parri,

reo di aver abbandonato l ' h p i , accusando i socialcomunisti di stm-

mentalizzare la Resistenza. Al termine del comizio, si forma un corteo

spontaneo per raggiungere piazzale Loreto. Le forze dell'ordine sbar-

rano immediatamente l'imbocco di via Dante e caricano la folla. Du-

rante gli sconti un carabiniere viene ferito mortalmente da colpi di

pistola. Parte dei dimostranti riesce a raggiungere piazzale Loreto do-

ve, dopo essere stata avvertita degli sconti, arriva anche la Volante

Rossa per rispondere alle cariche della polizia e consentire ai manife-

stanti di deporre una corona di fiori alla lapide dei 15 martiri partigia-

ni. I1 lunedi successivo la polizia irrompe ad armi spianate nella sede

del l 'hpi e rinviene poche munizioni e una vecchia radio da campo e

per questo denuncia Giovanni Pesce, presidente dei partigiani milane-si, tra le più prestigiose figure della resistenza.

Nel giugno del 1948 viene prorogata la legge sulla detenzione di

armi da guerra, che eleva le pene detentive da uno a cinque anni, ma

dà la possibilità di consegnare le armi senza alcuna sanzione penale

entro il 30 giugno.

In quei mesi le forze dell'ordine effettuano una serie di rastrella-

menti nelle fabbriche, nei quartieri operai, nelle campagne, scoprendo

numerosi depositi di armi piccoli e grandi.

È in quel periodo che gli ebrei palestinesi fanno buoni affari nell'incettad'armi ed esplosivi per la loro lotta contro gli arabi: "Hanno comprato unsacco di armi da moltissimi compagni che custodivano dei depositi. Le auto-rità tolleravano perché serviva a disarmare il nostro popolo. Noi della Volan-te Rossa eravamo tutti contrari e intervenivamo per bloccare. Una volta ab-biamo saputo che una formazione partigiana garibaldina stava vendendo ilsuo deposito. Allora abbiamo offerto noi a quei commercianti israeliani una

quantità d'armi superiore e abbiamo chiesto un abboccamento. Ci siamo tro-vati tutti assieme di notte, in un posto appartato, e abbiamo scoraggiato gliacquirenti"."

Nel giugno del 1948, "lo scontro di classe si radicalizza sempre

più: le forze borghesi che hanno vinto in parlamento vogliono com-

pletare la vittoria nel paese reale, nelle fabbriche, nei cantieri, nelle

campagne, reprimendo con violenza ogni rivendicazione dei lavorato-r i ~2 La sconfitta del Fronte Popolare e la reazione padronale fanno

crollare la speranza che la classe operaia possa divenire la protagoni-

sta del processo di ricostmzione del paese. La centralità della classe

operaia, che durante la Resistenza era reale (gli operai erano gli unici

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che potessero sfidare apertamente il fascismo i quale non poteva per-

mettersi ostacoli alla produzione bellica), ades o b finita, l'attacco alle

sue posizioni da parte del capitale ricomincia.

In questa nuova situazione, il sindacato si nte spiazzato e privodegli strumenti teorici adatti a rispondere. Dal145 esso aveva insi-

stito sempre e soltanto sulla necessità della ricostruzione e di una ra-

pida ripresa economica e si era così isolato dalle masse con un dirigi-

smo accentratore di marca stalinista. Ora che il conflitto con il padro-

nato è inevitabile e frontale, è invece la componente democristiana

della Cgil a frenare ogni iniziativa, usando strumentalmente il princi-

pio del rispetto dell'unità sindacale: la scissione i inevitabile ed av-

viene nel luglio del 1948.

Dal canto loro, i lavoratori sono istintivamente pronti a replicare ai

licenziamenti e agli imgidimenti della controparte con scioperi ed oc-

cupazioni ad oltranza degli stabilimenti.

A Milano, diverse sono le fabbriche che minacciano la chiusura e i

disoccupati sono più di 80.000. I1 25 giugno, 250.000 lavoratori e di-

soccupati scendono in piazza. I1 2 luglio, con lo sciopero generale di

dodici ore indetto in tutta Italia, si raggiunge l'apice della protesta. La

Volante Rossa adegua immediatamente il suo operato alla mutata si-

tuazione sociale e i suoi interventi sono ora a sostegno delle lotte deilavoratori. È in questo periodo che la Volante interviene in appoggio

agli operai milanesi che si scontrano con la polizia nel tentativo di oc-

cupare le loro fabbriche.

Anche la Prefettura segnala la comparsa di "speciali squadre di 'pe-

staggio', che intervengono negli scioperi per evitare diserzioni, nelle

vertenze per mantenere la compattezza degli operai sulle rivendica-

zioni e intimidire i dirigenti, per colpire individui particolarmente se-

gnalati per l'avversione al comunismo, e, in circostanze eccezionaliper compiere atti di terr~rismo".'~

Interventi di questo tipo si verificano durante le numerose vertenze

che coinvolgono grandi industrie milanesi nella seconda metà del

1948. La piiì importante è la vertenza della Motta che si protrae per

più di un mese sino a condurre allo sciopero generale cittadino tutto il

settore alimentare e a richiedere l'intervento del ministro del lavoro

Fanfani per dirimere la controversia sui licenziamenti. I1 7 luglio, do-

po un primo tentativo di occupazione della fabbrica, un centinaio dilavoratori decide di tornare al lavoro. Mentre sono in corso le trattati-

ve per il pagamento della quindicina maturata durante i giorni della

vertenza, un folto gruppo di lavoratori, provenienti anche da altre fab-

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ne della base e la dirigenza del partito si manifesta chiaramente nei

giorni successivi all'attentato.

Tumulti e disordini avvengono in più di cinquanta città italiane, già

a partire dal pomeriggio del14.

Ma gli episodi più gravi si verificanonelle tre grandi città industriali, dove più forti sono la presenza e l'or-

ganizzazione operaie.

"A Torino alle ore 14 tutti i tram sono nelle rimesse, tutti i negozi

sono chiusi e tutte le fabbriche grandi e piccole sono occupate e presi-

diate dagli operai. [...] Nella notte Scelba dà ordine alla Questura di

attaccare la Fiat e di liberare Valletta, ma l'ordine trova titubanti le

autorità torinesi e così non viene eseguito. Viene invasa la redazione

della 'Stampa' che non uscirà per due giorni. Gli operai ex partigiani

della Fiat dissotterrano le armi e presidiano la fabbrica, ma, nella not-

te, Negarville vola da Roma a Torino - con un aereo appositamente

messogli a disposizione dalla Fiat - con l'ordine della Direzione del

Partito di abbandonare le anni".76

A Genova, la città viene praticamente occupata da migliaia di lavo-

ratori e militanti, che si scontrano continuamente con le forze dell'or-

dine. Nel pomeriggio del 14 vengono attaccati ed incendiati sei auto-

mezzi della polizia ed assalita una caserma: i manifestanti riescono a

disarmare diversi agenti e a rinchiuderli nel palazzo delle poste. An-che a Genova lo sciopero è generale. In serata, le principali vie della

città sono sbarrate da barricate e sorvegliate da pattuglie armate che

respingono gli interventi di polizia e carabinieri. 11 15 luglio il prefetto

dichiara lo stato d'assedio."È a questo punto che i dirigenti della Camera del Lavoro, del Pci,

del Psi e dell'hpi, riuniti, deliberano di invitare i propri organizzati

ad abbandonare i posti di blocco stradali e il sindaco si reca sulle bar-

ricate per convincere i difensori a tornare a casa 'perché si sarebbefatto meglio un'altra volta'! La spinta insurrezionale è così bloccata

dai propri dirigenti, mentre la forza pubblica è impotente a farlo".77

Nonostante ciò, per tutta la serata del 15 luglio si registrano ancora

diversi conflitti a fuoco con feriti.

Anche a Milano i lavoratori proclamano lo sciopero generale, le

fabbriche vengono immediatamente e spontaneamente occupate. A

piazza Duomo, nel primo pomeriggio, si tiene un comizio cui assisto-

no centinaia di migliaia di persone: prendono la parola Cinelli della

Fiom, il socialista Mariani della Camera del Lavoro, Pogliani

dell'udi, Alberganti, Malagugini e tutti si scagliano "contro i man-

danti morali dell'attentato". I1 sindaco Greppi, socialdemocratico, ten-

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ta di intervenire, ma è "costretto a ritirarsi per la clamorosa ostilità dei

dim~stranti".'~ li oratori invitano i lavoratori a limitare la loro prote-

sta all'occupazione delle fabbriche. Nella notte del 14, una quindicina

di uomini armati erigono una barricata sulla strada per Pavia e si regi-

stra un tentativo di occupazione della centrale elettrica. La mattina del

15 gruppi di rivoltosi armati giungono a bordo di automezzi davanti

agli stabilimenti Motta e Bezzi e, insieme alla folla degli operai, tra-

volgono la resistenza della polizia ed invadono le due fabbriche.

I due giorni di rivolta milanese vedono la Volante Rossa uscire di

nuovo allo scoperto, sostenendo e incoraggiando le iniziative degli

operai e dei manifestanti. Anche gli uomini della Volante Rossa cre-

dono sia giunto il momento di passare dalle semplici azioni di rappre-

saglia alla sollevazione generale per la presa del potere.

"Quando è arrivata la notizia deli'attentato a Togliatti, mi sono portato alla

Casa del Popolo di Lambrate, dove noi delia Volante Rossa eravamo d'accordo

di trovarci qualunque cosa succedesse. Lì è arrivata la comunicazione deli'oc-

cupazione permanente delie fabbriche da parte degli operai. Immediatamente

sono partiti dei gruppi e il nostro ha fatto passare tutte le fabbriche di Lambrate,

dando disposizione per lo sciopero a tempo indeterminato. Pensavamo di essere

vicini allo sconvolgimento politico della società e ci siamo organizzati di con-

seguenza. Abbiamo buttato fuori la polizia dalla Bezzi che stavano occupando-

la. L'avevamo giA fatto altre volte, ma quelia volta lì li abbiamo totalmente di-

sarmati e le armi sono sparite. [...] Abbiamo chiesto immediatamente alla Bian-

chi di mandarci degli autocarri. Il primo giorno l'abbiamo passato in fabbrica.

A Lambrate noi eravamo armati di tutto punto, con Panzerfaust. Molte fabbri-

che avevano armi interne, per esempio l'Innocenti. Nelia zona industriale di

Lambrate non meno di 300 persone erano pronte. Innocenti, Bezzi, Castiglioni,

Bianchi, Colombo erano il perno del triangolo industriale di Lambrate. Chi si

era fermato a occuparle aveva partecipato all'insurrezione nella fabbrica, tutti

compagni. Attorno al nucleo che presidiava le fabbriche c'erano poi in Milano

molti altri armati. I1 giorno dopo abbiamo girato per la città con gli autocarri

per controllare la situazione e ci fermavamo in tutte le fabbriche a vedere come

andavano le cose. La reazione operaia era stata spontanea, l'attentato a Togliatti

colpiva non solo il Pci ma tutta l'area operaia. Molti che presidiavano non era-

no iscritti al Partito. Noi eravamo euforici perché da Milano a Sesto San Gio-

vanni i presidi di fabbrica erano efficienti. Poi quando passavamo con gli auto-

carri, anche nei momenti in cui le nostre armi erano invisibili, ci accorgevamo

che la popolazione era a nostro favore, spontaneamente. Girando per la città

controllavamo anche le posizioni dei mezzi di polizia, dell'esercito. Ricordo

che abbiamo avuto contatti anche con reparti deli'esercito, che erano pronti ad

appoggiarci in caso di bisogno. Per Milano l'intervento di questi reparti sarebbe

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stato determinante, perch6 le forze deli'ordine non erano organizzate poi così

efficacementein quel momento. Non avrebbero avuto scampo, ci erano inferio-

ri. Si era del resto previsto un colioquio con la base delia polizia e si presumeva

anche che non tutti sarebbero passati daii'alira parte. In quei giorni abbiamo an-

che avuto uno scontro, una scaramuccia. Abbiamo fatto fuoco e irnrnediata-mente c'è stata in allarme tutta la zona di Lambrate, gli stabilimenti si sono pre-

parati. Quindi abbiamo subito mandato le staffette nei diversi centri a dire che

non era niente di grave. La seconda notte ci siamo fermati d'Innocenti e a b

biamo saputo di quelio che succedeva a Genova, a Torino e nelie altre città in

rivolta contro le autorità. Mora ci siamo riuniti per decidere cosa dovevamo

fare. Se attendere o iniziare immediatamente il movimento di trasformazione

della lotta in lotta armata. E quel mattino siamo partiti per attaccare una base

dei carabinieri, la più organizzata, quella in cui c'erano i mezzi corazzati, tutti i

mezzi corazzati. Siamo partiti daiia Casa del Popolo, abbiamo passato Lambra-te, siamo arrivati al campo Giuriati, e in quel punto abbiamo incrociato la mac-

china del compagno che teneva i collegamenti tra noi e la Federazione, il quale

ci ha bloccati coi nostri Panzerfaust e ci ha detto che non era il momento, di

rientrare. Se arrivava cinque minuti dopo- ra l'altro avevamo comunicato d a

Federazione che partivamo -Milano era un fuoco solo. Avevamo predisposto

un nostro piano nei giorni precedenti. La Volante Rossa era quel giorno al com-

pleto, una cinquantina di uomini. Coi Panzerfaust chi ci fermava? Dismggeva-

mo mezza caserma. Quindi avevamo i mezzi per potere attaccare. Chi poteva

tenere in una lotta a Milano erano i mezzi corazzati e noi ci eravamo attrezzatiper batterli. Partiti noi, sarebbero poi partiti tutti gli altri. Comunicato che parti-

vamo, erano già partite le staffette in direzione dei diversi centri delia città. Ma

ci hanno bloccato velocemente. Pensa che senza bisogno di scontri si erano oc-

cupati tutti gli edifici pubblici, il Comune, la Provincia, la Prefettura, la Radio.

E lì è stato il crollo perché in quel momento ci siamo resi conto che la rivolu-

zione non era possibile, mentre noi si era pensato di essere d a igilia della pre-

sa del potere da parte della classe operaia. Fu chiaro che non era possibile. Ave-

vamo la possibilità di prendere il potere ma la situazione non lo permetteva. La

gran maggioranza del Partito si è resa conto di questo e li praticamente si èchiuso un ciclo. Con quella mazzata siamo andati in crisi. Tant'è vero che ci

siamo chiesti che scopo aveva continuare la lotta. Ii 14 luglio ha proprio deter-

minato la chiusura di una spinta reale verso la rivoluzione. Ci diventava chiaro

che la lotta si spostava su tempi lunghi, che la presa del potere non poteva più

essere immediata. Così abbiamo cercato di formare una specie di cooperativa

agricola dalle parti di Codogno, e avevamo già avviato trattative. Naturalmente

era sempre nelia prospettiva della rivoluzione, ma in forma sociale diversa. Ci

rendevamo ormai conto che si andava a rischio di finire in carcere

I1 16 luglio la Cgil annuncia la fine dello sciopero generale (che

avrebbe dovuto essere ad oltranza, sino alla caduta del governo). Al-

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cuni gruppi di dimostranti tentano di impedire il rientro al lavoro alla

Rinascente, alla Edison, alla Stipel, all'Azienda Elettrica. Solo i ferro-

vieri proseguono l'agitazione. Anche la Camera del Lavoro fa appello

al senso di solidarietà e alla disciplina dei lavoratori, sostenendo che"la ripresa del lavoro non significa cessazione della lotta".80

Malgrado ciò, la situazione si mantiene tesa ancora per alcuni gior-

ni e alcune frange di militanti si rendono protagoniste di altri attentati.

Tra queste frange anche la Volante Rossa, che il 19 luglio alla Motta,

insieme ai lavoratori, si scontra con i carabinieri e si impossessa delle

loro autoblindo, che vengono poi restituite.

I fatti del 14-16 luglio 1948 sono "l'ultimo momento insurrezionale

del dop~guerra":~~uelle forze popolari e di sinistra che erano state le

protagoniste della Resistenza combattono in quei giorni la loro ultima

battaglia contro il processo di restaurazione che si era andato svolgen-

do a partire dal 1945 (amnistia e mancata epurazione, sconfitta del

movimento partigiano, estromissione delle sinistre dal governo e

sconfitta elettorale, repressione antioperaia) e che aveva sistematica-

mente negato tutte le speranze, i valori e gli obiettivi della lotta di li-

berazione.

In una prospettiva a lunga scadenza, le conseguenze dell'insurrezionerientrata furono di grandissima importanza per il futuro Partito Comunista. I1rifiuto dei suoi dirigenti di trasformare in rivolta armata lo spontaneo movi-mento di piazza provocato dal gesto dell'attentatore, rivelava alle masse eagli avversari politici la patente contraddizione tra il linguaggio massimalistausato per tenere viva la combattività delle masse e la reale volontà d'azionerivoluzionaria. Così la sconfitta elettorale del 18 aprile, che aveva dimostratol'impossibilità di una conquista democratica della maggioranza, e il chiarorifiuto del metodo rivoluzionario concorrevano a precludere al comunismo

italiano la prospettiva di una conquista del potere, almeno per il futuro preve-dibile, e lo lasciavano senza alternative valide.B2

La situazione interna, l'inizio della guerra fredda e la divisione dei

blocchi, l'entrata dell'Italia nella Nato obbligheranno

[...l il Pci ad una tattica puramente difensiva, mirante al rafforzamentodell'organizzazione del partito e delle proprie posizioni elettorali. Costretto

alla politica dei tempi lunghi da una congiuntura interna e internazionale chegli era chiaramente sfavorevole, il Pci abbandonerà sempre più quell'impe-gno rivoluzionario che aveva assunto nei confronti della classe operaia almomento della sua nascita e che, pur attenuatosi dopo la caduta del fascismo

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con l'adozione di un metodo gradualistico e di una tematica essenzialmenteriformista, rimaneva pur sempre vivo nella coscienza delle masse.83

Come si era già verificato dopo la disfatta elettorale dell'aprile, ladelusione e la rassegnazione inducono molti militanti ad abbandonare

ingenti quantitativi di armi ed esplosivi che, ora più che mai, non ha

alcun senso continuare a nascondere. Anche le forze dell'ordine, dopo

i giorni dell'insmezione, si riorganizzano e passano al contrattacco,

alla ricerca di armi e dei "covi" dei rivoltosi. Nella notte fra il 20 e il

21 luglio 1948 un grosso contingente di polizia irrompe nello stabili-

mento Breda di Milano e perquisisce i locali della polveriera.

"Davanti alle proteste indignate di un dirigente della Breda, l'ing.Marinetti, il comandante del reparto affermava che erano state date

'segnalazioni' su giacenza di armi e munizioni. La notizia dell'arbi-

traria irruzione si è sparsa in un lampo per tutta la zona operaia. Le si-

rene di centinaia di fabbriche hanno lanciato nella notte ululati di al-

larme e dalle case di Sesto, di Monza, di Cinisello, di Brugherio la po-

polazione si è riversata nelle strade, dirigendosi a bordo dei mezzi più

disparati e a piedi verso il luogo dove la polizia stava svolgendo la

sua provocazione"."

Solo l'intervento sul posto di alcuni dirigenti sindacali riesce ad

impedire che la rabbiosa reazione degli operai sfoci in gravi incidenti.

Vengono sequestrate armi e un discreto quantitativo di esplosivi e il

giorno dopo il questore di Milano Agnesina convoca spettacolarmente

i giornalisti in questura per far fotografare le armi e per comunicare

che si tratta di un deposito clandestino. La sinistra e i dirigenti sinda-

cali smentiscono categoricamente che le armi e gli esplosivi fossero

illegalmente nascosti, poiché tutto il materiale era stato denunciato fin

dal 1946 al commissariato di Sesto San Gio ~ an n i .~ ~Sulla questione interviene anche De Gasperi che, al Senato, cita le

armi della Breda per dimostrare quanto sia stato e sia reale il pericolo

di una insurrezione comunista e come sia perciò necessaria la decisa

repressione di ogni attività politica "illegale". Su "l'unità" del 24 lu-

glio, Pietro Ingrao denuncia la strumentalità della perquisizione alla

Breda e afferma che in realtà si vuole colpire la classe operaia milane-

se e "spianare la strada ai licenziamenti, alla decurtazione della 13ma

mensilità, all'aumento del prezzo del pane".86 Infatti, nella secondametà del 1948 il governo attua una vera e propria strategia "punitiva"

nei confronti della classe operaia e dei comunisti. "Per i soli fatti del

14 luglio risultano alla metà di agosto denunciati o arrestati 7.000 la-

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voratori (tra cui 1.800 in Toscana, 992 nelle Puglie e 800 in S i~ilia)".~~

A Milano, il 20 agosto viene ucciso da sconosciuti Manlio Sitta,

operaio della Breda ed ex partigiano. Nelle settimane successive al 14

luglio, la polizia arresta numerosi operai e militanti di sinistra perl'occupazione delle fabbriche ed è definitivamente sgomberata la

Motta (31 luglio). I1 Pci e la classe operaia sembrano incapaci in que-

sti mesi di rispondere agli attacchi e alle provocazioni tanto sono dif-

fusi lo scoramento e la delusione: una delle poche reazioni di orgoglio

è l'imponente manifestazione nazionale che si svolge per le vie di Ro-

ma il 26 settembre 1948, per salutare il rientro di Togliatti alla vita

politica dopo la lunga convalescenza. La Volante Rossa sfila in testa

alla folta delegazione (4.000 persone) della federazione milanese del

Pci, sorreggendo la bandiera della Delegazione Alta Italia della dire-

zione del partito.g8

Ma l'azione legislativa e militare del governo è inarrestabile e con-

duce una campagna repressiva spietata contro la sinistra e i suoi mili-

tanti.È di quei giorni la riforma, voluta da Scelba, della polizia. "Vie-

ne potenziata con specifica funzione antioperaia 'la celere' come di-

staccamento militare della polizia", si tratta "di reparti con un alto ad-

destramento, blindati, collegati a mezzo radio, con una grande mobi-

lità che consente di spostarsi all'occorrenza da una provincia o da unaregione all'altra. [...l Da quel momento chiunque sciopera, chiunque

chiede un aumento salariale o l'applicazione di un contratto di lavoro,

chiunque scende in piazza per una qualunque manifestazione viene

affrontato come un nemico".89

Scelba lo dichiara esplicitamente il 14 settembre: "I1 governo non è

disposto a tollerare che la politica delle Camere del Lavoro e delle or-

ganizzazioni del Partito Comunista diventi una minaccia per la sicu-

rezza dello Stat~".~"ra l'ottobre e il novembre del 1948 De Gasperiavvia le trattative per l'ingresso dell'Italia nel Patto Atlantico. Sono

gli Stati Uniti che vogliono fare della penisola un baluardo militare

antisovietico a sud come la Grecia, dove gli americani sono interve-

nuti in forze a fianco delle truppe monarchiche contro i partigiani co-

munisti di Markos. Gli ambienti militari e nazionalisti italiani aderi-

scono all'iniziativa che viene condotta nel massimo riserbo. L'allean-

za militare con gli Usa non prevede solo la costituzione di un apparato

di difesa da un'eventuale aggressione sovietica ma anche la creazione

di strutture clandestine parallele alle forze annate ufficiali (Gladio-

Stay Behind), pronte ad intervenire in caso di conquista del potere, le-

gale o illegale, da parte delle sinistre. Sulla necessità di dotarsi di una

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struttura per difendersi dal temuto "golpe rosso" insiste molto anche il

Vaticano, tramite monsignor Montini, allora membro influente della

Segreteria di S t a t ~ . ~ 'roprio le pressioni vaticane e di larga parte del-

la Dc convincono infine De Gasperi a siglare l'adesione italiana, cheavviene ufficialmente il 4 aprile 1949.

I1 clima di pesante repressione, la disillusione e lo sconforto seguiti

agli avvenimenti dell'aprile e del luglio 1948 determinano una sensi-

bile diminuzione delle agitazioni operaie anche a Milano: "Non si

può, peraltro, lasciar passare inosservato uno stato di fatto che risalta

evidente: che malgrado la gravità e la grande importanza delle contro-

versie in corso di carattere sociale ed economico, il tono delle agita-zioni è contenuto in limiti assai moderati a differenza di quanto avve-

niva, ora è un anno, per problemi di importanza assai più modesta".92

In questa situazione la Volante Rossa effettua quella che costituisce

probabilmente la sua ultima azione organizzata. La direzione della

Falck aveva deciso di licenziare quattro operai perché colpevoli di

aver scritto sui muri frasi offensive rivolte alla dirigenza. Per solida-

rietà, il 13ottobre viene indetto uno sciopero di due ore in tutte le fab-

briche di Milano, ma alla Breda un gruppo di impiegati e dirigenti de-

cide di proseguire il lavoro. Alcuni scioperanti li invitano a lasciare la

fabbrica e ad aderire alla protesta, ma essi rifiutano; dopo pochi minu-

ti gli uomini della Volante Rossa, accompagnati da alcuni operai della

fabbrica, entrano negli uffici e aggrediscono i crumiri. In seguito a

ciò, i quadri della Breda rifiuteranno di tornare al lavoro per diverse

settimane, preoccupati per la loro incolumità. I1 "Comere della sera"

denuncia "l'esistenza di squadre organizzate per compiti 'punitivi"',9'

che seminano il terrore nelle fabbriche e chiede alle autorità di porre

fine una volta per tutte alla loro attivita. Ma la vertenza Breda è desti-nata ad infiammare nuovamente la situazione sociale: a dicembre un

grande sciopero generale di solidarietà blocca tutte le fabbriche di Se-

sto San Giovanni mentre alla Magneti Marelli alcuni operai tentano di

aggredire gli impiegati che continuano a lavorare negli uffici.

Un'ultima fiammata dell'estremismo partigiano si registra ad Ales-

sandria, dove il 28 dicembre un gruppo di ex partigiani e militanti co-

munisti tenta di assaltare la cittadella militare per procurarsi delle ar-mi. Vengono arrestati e processati per direttissima: tra gli applausi

della folla, la corte condanna due ex partigiani per semplice detenzio-

ne di armi ed assolve tutti gli altri. Sentenze come questa rappresenta-

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no però rarissime eccezioni. Nel 1949 la magistratura e la polizia lan-ciano un'offensiva senza precedenti contro i partigiani: centinaia diloro vengono arrestati per atti di guerra commessi subito dopo o addi-rittura prima del 25 aprile 1945, che i giudici "trasformano" in reati

comuni. I1 più delle volte la vicenda si conclude con delle scandalosecondanne, altre volte i partigiani vengono rilasciati dopo pochi giorni,grazie all'intervento di qualche ufficiale alleato o di importanti espo-nenti del Cln che testimoniano come gli imputati abbiano semplice-mente compiuto il loro dovere di patrioti, giustiziando i fascisti e leloro spie secondo le disposizioni emanate dal Cvl. Commenta infattiDante Livio Bianco: "se qualcuno, quando eravamo sulle montagne acondurre la guerra partigiana, fosse venuto a dirci che un bel giorno, a

guerra finita, avremmo potuto esser chiamati davanti ai tribunali, perrispondere in via civile di atti che allora erano il nostro pane quotidia-no, gli avremmo francamente riso in f a ~ c i a " . ~

Ma ogni arresto alimenta una gigantesca campagna di stampa deni-gratoria che raggiunge toni parossistici quando i giornali della ringal-luzzita destra chiedono il processo per gli attentatori di via Rasella e,in relazione alla esecuzione di Mussolini, denunciano Walter Audisioper "strage a scopo di rapina" e Longo per "vilipendio di cadavere".

A questa campagna persecutoria si intreccia una nuova serie di clamo-rose sentenze nei confronti di fascisti repubblichini: il 21 gennaio1949 Renato Ricci, comandante della Gnr, viene assolto dall'accusadi aver contribuito a creare e potenziare il regime fascista e amnistiatoda quella di collaborazionismo. La stessa Corte di Assise di Roma, il17 febbraio, condanna Junio Valerio Borghese, comandante della XMas e responsabile di numerosi eccidi di civili e partigiani, ad unamite pena corrispondente ai pochi anni di carcere da lui già scontati, ene ordina la scarcerazione. In realtà la sentenza letta in aula riservavaa Borghese ancora qualche mese di carcere, ma il suo avvocato si eraprecipitato subito dopo dal presidente della corte per chiedere la libe-razione immediata, ottenendola con una incredibile modifica apporta-ta alla sentenza senza il consenso della giuria e a lettura già avvenuta.In aula, Borghese viene intanto salutato romanamente da un foltogruppo di esponenti missini: il processo era stato trasferito per legitti-ma suspicione da Milano a Roma, ossia proprio la città dell'imputato,dove egli vantava influenti relazioni con l'aristocrazia e gli ambienti

vaticani. La sua conclusione suscita una fortissima ondata di protestein tutta Italia: il Pci chiede la nomina di una commissione di inchiestache indaghi sulle clamorose irregolarità commesse dalla corte, ma tut-

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to si concluderà con un nulla di fatto. Sempre il 17 febbraio, lo statoricorre ad una ben diversa severità nei confronti dei lavoratori della

cartiera di Isola Liri, vicino Frosinone: la polizia apre il fuoco ad al-

tezza d'uomo su un gruppo di pacifici scioperanti, provocando il feri-mento di 35 persone.

Dieci giorni dopo, a Milano, viene caricato a manganellate un cor-

teo regolarmente autorizzato che andava a deporre una corona sul luo-go dell'uccisione di Eugenio Curiel. Sono soltanto gli inizi di un bien-

nio di pesante e violenta repressione poliziesca. Nell'ottobre 1951

Pietro Secchia ne traccerà il bilancio in un intervento al Senato: 62 la-

voratori uccisi dalle forze dell'ordine, più di 3.000 feriti, più di

90.000 arrestati e quasi ventimila condanne, per complessivi 7.598

anni di carcere.95

I1 27 gennaio 1949, in due diverse zone di Milano, vengono assas-

sinati, come si è detto, Felice Ghisalberti e Leonardo Massaza e pro-

prio indagando sui due omicidi, la questura arriva alla Volante Rossa,

arrestandone, nel giro di due settimane, buona parte dei componenti.

I due "delitti del taxi" differiscono però dalle precedenti azionidella Volante Rossa: si è già visto come queste fossero sempre stret-

tamente legate alla situazione sociale e politica in Italia e a Milano.Gli interventi della formazione di Lambrate non erano mai azioni

isolate (né essa si proponeva come avanguardia del movimento co-

munista), ma seguivano, in un certo senso, la tendenza generale del

movimento, le sue lotte, i suoi obiettivi. Inoltre va considerato che ledue vittime non erano certo esponenti neofascisti, né risultavano

coinvolti nelle attività clandestine della destra milanese. Pertanto

quei due delitti appaiono decisamente "anacronistici": si tratta di una

rappresaglia politica di tipo partigiano del tutto avulsa dall'operatodella Volante in quei mesi, che si incentra esclusivamente sul soste-

gno attivo alle lotte della classe operaia. L'unica ipotesi che si puòfare per giustificare questo ritorno alle pratiche della giustizia parti-

giana è che i due omicidi possano essere, nelle intenzioni dei loro

esecutori e mandanti, una risposta all'ondata di arresti nei confronti

dei partigiani e soprattutto alla nuova serie di clamorose e provocato-

rie assoluzioni di criminali fascisti (quella di Renato Ricci è solo di

pochi giorni prima). Ma questo nonè

sufficiente a spiegare altre mi-ster$ose anomalie, la principale delle quali è indubbiamente la pre-

senza di un uomo che non aveva mai partecipato a nessuna azione

della Volante Rossa e che confesserà di essere invece stato addirittura

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l'ideatore del primo omicidio: Eligio Trincheri. Stando all'anonimo

testimone intervistato da Cesare Bermani,

"Trincheri non faceva quindi parte della Vo lante Rossa. Aveva bisogno distare nasc osto e noi l'abbiamo aiutato, l'abbiamo mandato a casa di un com -pagno, Angelom aria Magni. Cioè noi l'assistevamo m a non potevamo utiliz-zarlo perché era b r~ c ia to " .~

Trincheri arriva a Milano alla fine del 1946: è ricercato per rapina, ha

bisogno di nascondersi in una grande città. Comincia a lavorare in varie

officine e soprattutto a stringere amicizia con altri ex partigiani. Gli par-

lano delia Casa del Popolo di Lambrate come di un posto dove si può

essere ospitati per la notte. Ci va, comincia a frequentarla, diventa ami-co di Paolo Finardi e Angelo Maria Magni, tutti e due iscritti alla Vo-

lante Rossa, e conosce "Alvaro", di cui ignora il vero nome. Dopo un

breve ritorno ad Intra dai suoi genitori, Trincheri è nuovamente a Mila-

no nel gennaio del 1948: non riesce a trovare lavoro e chiede aiuto ai

vecchi amici di Larnbrate. Lo indirizzano all'officina di cromatura di

Egidio Ghisalberti ma non ha l'esperienza adatta per quel lavoro: viene

licenziato dopo una settimana ma scopre, parlando con i lavoranti, che

il figlio del principale è un ex fascista della "Muti". Ne parla ad "Alva-ro", il quale raccoglie informazioni e tre mesi dopo rivela a Trincheri

che non si tratta di un repubblichino qualunque ma di uno degli assassi-

ni di Eugenio Curiel: un elemento pericoloso da sorvegliare ed elimina-

re appena giunto il momento opportuno, per vendicare Curiel.

Ma Felice Ghisalberti è ormai partito per il servizio militare, e

Trincheri rinuncia all'azione.

Un anno dopo, il 24 gennaio 1949, nuovamente disoccupato, Trin-

cheri torna all'officina Ghisalberti per rintracciare l'amico che gli

aveva procurato quel posto e chiedergli nuovamente aiuto. Per saluta-

re i vecchi compagni di lavoro, entra nelle stanze delle lavorazioni ed

incontra per la prima volta Felice Ghisalberti, da poco congedato.

Trincheri è insieme a Paolo Finardi: gli ritorna in mente il vecchio

progetto, racconta tutto all'amico, compreso l'invito di "Alvaro", e gli

chiede di partecipare all'azione. Finardi accetta e, secondo Trincheri,

ne torna a parlare ad "Alvaro" e procura due pistole a rotazione. I due

decidono di servirsi di un taxi per raggiungere l'officina e per fuggire

dopo il delitto. Per tre giorni i loro appostamenti vanno a vuoto. I1 27gennaio Trincheri e Finardi salgono sul taxi di Adriano Bellinzoni,

dopo essersi accertati che si tratta di un "compagno".

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Giunti in via Paolo Sarpi, i due attendono a bordo dell'auto che

Ghisalberti esca dalla trattoria in cui lo hanno visto entrare circa

un'ora prima: non appena l'uomo lascia il locale, incamminandosi sul

marciapiede, Finardi punta la sua pistola alla schiena del tassista e gliordina di partire e poi di accostarsi all'uomo che cammina. Trincheri

spara quattro colpi, Finardi uno solo, maldestro, la cui fiammata feri-

sce al polso Trincheri.

I due si fanno lasciare al ponte di Lambrate ma intimano al tassista,

minacciandolo con le armi, di fornire alla polizia una falsa descrizio-

ne degli assassini e di indicare un itinerario di fuga totalmente diver-

Bellinzoni va subito in questura ma la sua immaginaria ricostruzio-ne appare subito poco credibile: gli inquirenti lo considerano un com-

plice degli assassini perché scoprono che essi hanno scelto voluta-

mente la sua auto anziché gli altri due taxi che la precedevano. I1 tas-

sista finisce cosl agli arresti.

L'altro punto poco chiaro è il verificarsi della seconda esecuzione,

poche ore dopo la prima, e la scelta della vittima. La spiegazione for-

nita nel saggio di Bermani è abbastanza credibile.

"La preoccupazione di avere messo nei guai un compagno [il tassista Bel-linzoni] spinge nel pomeriggio quelli della Volante Rossa, che informati delfatto si erano riuniti per decidere cosa fare, a organizzare un'altra a z i ~ n e " ? ~

Qualche giorno prima, un impiegato comunista della Olap, Giovan-

ni Lo Savio, si era confidato con il suo collega Natale Burato, uno dei

fondatori della Volante Rossa, criticando pesantemente le simpatie fa-

sciste e la severità del suo capoufficio, il dottor Leonardo Massaza.

Sembra quindi essere stato Burato a propone costui come vittimadell'azione che avrebbe dovuto depistare le indagini sul delitto Ghi-

salberti, impedendo che un'eventuale confessione del tassista consen-

tisse agli inquirenti di arrivare a Finardi e alla Volante Rossa. L'azione

riesce, ma non raggiunge, come si è visto, il suo scopo. Così, il 28

gennaio, la polizia irrompe nella Casa del Popolo di Lambrate, sede

della Volante Rossa. Sia Trincheri che Finardi sono presenti, ma rie-

scono fortunosamente a dileguarsi; oltre alle armi, la polizia sequestra

un foglio sul quale sono riportati tutti i nomi di battaglia dei compo-nenti della formazione. Successivamente, a casa di Giulio Paggio,

vengono trovate anche delle foto ritraenti la Volante che sfila durante

una manifestazione per le vie di Milano.

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Per la Volante Rossa è la fine. I1 suo caso, ingigantito e romanzato

dalla stampa filogovernativa e di destra, andrà a rafforzare gli attacchi

al Pci e le polemiche sul1"'esercito rosso" e sulla spietata ferocia dei

suoi componenti. In realtà, l'attacco all'antifascismo partigiano e la

riabilitazione del fascismo sono solo i segnali più evidenti di un au-

tentico capovolgimento dei rapporti di forza sociali ed economici, ri-

spetto all'indomani della Liberazione. La restaurazione politica e so-

ciale avanza con estrema rapidità e, a pochi anni dalla fine della Resi-

stenza, attacca con virulenza e sfrontatezza valori che allora sembra-

vano indiscutibili e che pure sono posti nella Costituzione come pila-

stri fondamentali della repubblica.

Perciò Arrigo Boldrini sottolinea la pericolosità intrinseca del "pro-

cesso alla Resistenza": "Allora è da domandarsi se la politica faziosa

contro di noi nella Polizia e nelle Ff.Aa., la campagna politica, propa-

gandistica contro la Resistenza, le mancate riforme, la scarcerazione

dei fascisti, l'incarcerazione dei partigiani, la libertà concessa alle or-

ganizzazioni fasciste, la connivenza di alcuni ambienti politici con es-

se, non ci porti alla conclusione che qui si stanno seriamente compro-

mettendo le basi stesse dello Stato democratico repubblicano che ha

trovato la sua ragione d'essere in tutta la guerra antifa~cista".~~

Al contrario, Almirante, segretario del Msi, può permettersi di esal-tare, su "La Rivolta Ideale" del 24 febbraio 1949, la scarcerazione di

Borghese, mettendola a confronto con l'arresto di un famoso capo

partigiano e l'inchiesta sulla Volante Rossa: "Chi lo ha liberato dal

carcere? Chi ha messo contemporaneamente in carcere l'ex-on. Gor-

reri e gli altri assassini e briganti di Milano? Chi metterà fatalmente in

carcere tutti gli altri assassini e briganti, fino all'ultimo? La magistra-

tura, forse? Gli "sbirri" di Scelba? I1 Governo? No, manigoldi, non vi

illudete; la mano che vi ha ghermiti [...lè

ben più forte, e nessun ri-catto, nessuna minaccia, nessuna manovra varrà ad allentare la stretta:

è la Storia che si muove contro di voi".'m

La verità è che, come è accaduto e accadrà ripetute volte nella sto-

ria italiana, il rigurgito fascistaè favorito in buona parte da protezioni,

collusioni e persino finanziamenti che il ceto industriale e la classe

politica dispensano ad organizzazioni legali ed illegali, per utilizzarle

contro la sinistra e il movimento operaio.

Un documento del Dipartimento di Stato statunitense prova, ad

esempio, come sin dal 1945 i principali imprenditori italiani si impe-

gnino ad avviare un'intensa campagna anticomunista e ad acquistare

armi per organizzare gruppi armati clandestini.lOl Secondo Guido

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Quazza, queste trame contro le sinistre e i movimenti popolari sono

"la ripresa di quella ch'era stata la ragione principale dell'appoggio

dato nel '22 ai fascisti".'02

Per la maggior parte dei componenti della Volante Rossa la clande-

stinità durerà solo poche settimane. Solo Paggio, Burato e Finardi

sfuggiranno all'arresto grazie all'aiuto del Pci.

Giulio Paggio raggiungerà la Jugoslavia e passerà poi in Cecoslovacchia,

dove ha già trovato asilo politico Paolo Finardi. "Alvaro" lavorerà alla tra-

smissione in lingua italiana da Radio Praga e - come capo del personale- n

una fabbrica di mezzi corazzati nei pressi di quella città. "Pastecca" ricoprirà

per parte sua incarichi dirigenti all'intemo dell'organizzazione della Gio-ventù Comunista Mondiale. Natale Burato, anch'egli inizialmente in Ceco-

slovacchia, si trasferirà poi in Urss, divenendo ingegnere.'"

Note

Edoardo D'Onofrio, Smascherare la provocazione, in "l'unità", 9 febbraio 1949.

Un 'azione di "squa dra del pestaggio" precedette i due delitti terroristici, in

"Comere della sera", 1 febbraio 1949.

Cfr. Atti Parlamen tari. Camera dei Deputati. Discussioni 14 febbraio 1949.Cesare Bermani, LA Volante Rossa (estate 1945-febbraio 19 49) , in "Mmo Mag-

gio". 9, 1977, p. 103.

' Verbale di interrogatorio di A. Magni, 7 marzo 194 9, p.30. Gli atti dei due pro-

cessi contro la Volante Rossa sono stati consultati presso l'Archivio della Corte di

Appello del Tribunale di Venezia.

Cesare Bermani, op. c i t . , p. 83.

' Statuto delllAnpi, art. 3, in Arrigo Boldnni, 1 compiti della Resistenza nel mo-mento attuale, Roma, 1949, p. 106.

Insmli, Fondo Clnai, busta 62, fascicolo 1, Lettera del 2 agosto 1945.

q Nazario Sauro Onofri,Il triangolo rosso (1943-1947),Roma, Sapere 2000, 1994,p. 140.

'O Insmli, Fondo Clnai, busta 41, fascicolo 14, Cin Officine Meccaniche Virta.

" Cfr. Nazario Sauro Onofri, op. cit., pp. 64-66.

l2 Cfr. Silvano Villani,L'eccidio di Schio, Milano, Mursia, 1994.

l3 Cesare Bermani, op. cit . , pp. 83-84.

l4 Pier Giorgio Murgia, Il vento del Nord. Storia e cronaca del Fascismo dopo laResistenza 1945-50, Milano, SugarCo, 1975,p. 153.

Cfr. Ivi, p. 210 e segg.

l6 Psiup 243.000 voti; DC 188.000; Pci 168.000.

l' Atti Parlamentari. Camera dei Deputati. Discussioni. 25 febbraio 1949.

l8 Franco Ferraresi, Minacce alla democra zia, Milano, Feltrinelli, 1995, p. 38.

Iq Carlo Galante Garrone, Guerra di liberazione (da lle galere), in "I1 Ponte", In,

11 12, novembre-dicembre 1947,pp. 1065-66.

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Cfr. Salvatore Vento, Milano, in AA.VV., Il triangolo industriale tra ricostru-zione e lotta di classe, Milano, Feltrinelli, 1974, p. 133.

2' Cfr. LO scioglimento dei C.L.N., in "l'Unità", 21 luglio 1946.

22 Piero Calamandrei, Restaurazione clandestina in "I1 Ponte", iII, 11- 12, novem-

bre-dicembre 1947, p. 964.

Giorgio Manzini, Una vita operaia,Torino, Einaudi, 1976, pp. 48-49.

"Cfr. Luigi Ganapini, Una città, la guerra, Milano, Franco Angeli, 1988, p. 226 e

"Cfr. Pier Giorgio Mwgia, op. cit., p. 340 e Franco Di Bella, Non sono fuorileggein "I1 Riscatto", 35, 29 agosto 1946, p. 1.

26 Miriam Mafai, L'uomo che sognava la lotta armata, Milano, Rizzoli, 1984, p.

46.

27 Pietro Nenni, Tempo di guerra fredda, Diari 1943-1953, Milano, SugarCo,

1981, p. 268.

la F.L.,I partigiani di Asti rientrano nella legalità,

in "Corriere della sera", 28

agosto 1946.

Cfr. L'azione partigiana tende a spegnersi, in "Corriere della Sera", 30 agosto

1946.

lo Cfr. Nazaxio Sawo Onofri, op. cit., p. 134 e segg.

l' Pier Giorgio Murgia, op. cit., pp. 369-370.

l2 Cesare Bermani, op. cit., p. 87.

Franco Di Bella, Che cosa volevano infine quelli di Curino?, in "I1 Riscatto", 44,

3 l ottobre 1946.

La polizia in azione nel Nord contro un vasto movimento sedizioso, in "l'unità",

26 ottobre 1946." fr. Riccardo Longone, I precedenti di Carlo Andreoni, in "l'unità", 25 luglio

1948 e 28 luglio 1948.

Cfr. Cesare Bermani,op. cit., p. 89.

l7 Cfr. ibidem.la Una smentita di Togliatti e una replica di Sumner Welles, in "Corriere della se-

ra", 20 maggio 1947.

"Palmiro Togliatti,La strada della discordia, in "l'Unità", 30 maggio 1947.

"Cesare Bermani, op. cit., p. 90.

4' Una bomba in via Agnello, in "Corriere della sera", 11 luglio 1947.

42

ACS,PS 1947-48, busta 12 fascicolo C21, Relazione Prefettura di Milano, aprile1947.

43 Ibidem.Cfr. Acs, Ps 1947-48, busta 12, fascicolo C21, Relazione Prefettura di Milano,

novembre 1947." Cesare Bermani, op. cit., pp. 91-92..

" Acs, Ps 1947-48, busta 12, fascicolo C21, Relazione Prefettura di Milano, ago-

sto 1947.

4 T~m~l tuosaipercussione alla Costituente di un inconsulto comizio neofascistain piazza Colonna, in "Corriere della sera", 11 ottobre 1947.

48

Secondo Cesare Bermani, autori dell'omicidio Gatti sono gli uomini della Vo-lante Rossa.

Cfr. Giornata tumultuosa a Milano, in "Corriere della sera", 13 ottobre 1947.

m Fidia Gambetti, La grande illusione.1945-1953,Milano, Mursia, 1974, p. 78.

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" Ibidem.

Miriam Mafai, op. ci t . ,p. 56.

53 Cfr. Pier Giorgio Mwgia, op. cit., p. 376 e segg.

" Cfr. Antonio Gambino, Storia del dopoguerra dalla liberazione al potere Dc,

Bari, Laterza, 1978, p. 45 1.5 Cfr. Danilo Montaldi,Saggio sulla politica comunista in Italia (19 19 -1 970 ),Pia-

cenza, Quaderni Piacentini, 1976, pp. 290-291.

Cesare Bermani, op. cit., p. 96.

5 Cfr. ibidem.Cfr. Misure contro la costituzione di organizzazioni paramilitari, in "Comere

della sera", 5 febbraio 1948.

59 La posizione di Mattei è il segnale della frattwa che porterà, alla fine del mese

di marzo, all'uscita dei Volontari della Libertà di Cadoma dall'Anpi, considerata or-

mai asservita agli interessi comunisti.

Cfr. "Comere della sera", 6-7 e 17 febbraio 1948.Una significativa sentenza del Tribunale, in "Comere della sera", 22 febbraio

1948.

Cfr. "Voce Comunista", 7 febbraio 1948 e 28 febbraio 1948.

Cfr. Roberto Faenza, Marco Fini, Gli americani in Italia, Milano, Feltrinelli,

1976, pp. 248-249.

M Citato in Marcella e Maurizio Ferrara, Cronache di vita italiana, Roma, Editori

Riuniti, p. 181.

65 Giorgio Manzini, op. ci t . , p. 71.

Ugo Stiile, L'indipendenza dell'ltalia garantita dagli Stati Uniti, in "Comere

della sera", 14 dicembre 1947.67 "Negli Stati Uniti funzionari del governo organizzano una grande campagna di

stampa a favore di De Gasperi e contro il Fronte Popolare al fine di coinvolgere nella

battaglia elettorale in Italia la comunità italo-americana. Generoso Pope «lancia dalle

colonne del suo giornale, 'I1 Progresso', l'idea delle lettere agli italiani e istituisce il

'Comitato dei Centomila' perch6 scrivano agli italiani su come si sta bene negli Stati

Uniti e come invece si sta male nell'unione Sovietica». Al suo fianco collaborano al

progetto uomini politici molto noti come Richard Nixon, deputato della Califomia;

John Kemedy, che propone l'affrancatura gratuita delle lettere degli italo-americani;

eminenti prelati come il cardinale Spellrnann e celebrità dello spettacolo quali Frank

Sinatra che si offre di organizzare un viaggio in Italia di famosi italo-americani" (Ro-berto Faenza, Marco Fini, op cit . ,pp. 290-291).

"Fidia Garnbetti,op . cit., pp. 93-94.

69 Cfr. Franco Ferraresi, op cit., p. 39.

Cesare Bermani,op. cit., p. 97.

Ivi, p. 99.

Salvatore Vento, op . cit., pp. 200-201.

Acs, Ps 1947-48, busta 12, fascicolo C21, Relazione Prefettura di Milano, otto-

bre 1948.

Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, Torino, Einaudi, 1989, p.

159.l5 Renzo Del Carria, Proletari senza rivoluzione, Roma, Savelli, 1979 (5' ed.), vol.

IV, p. 206.

l6 lv i , p. 200.

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n Ivi, p. 201.

78 Ivi, p. 202.Cesare Bermani, op. cit., pp. 99-100.

" Dopo la pausa Milano riprende più salda e consapevole il suo cammino, in

"Comere della sera",17

luglio1948.

Paul Ginsborg, op. cit., p. 157.Giuseppe Mammarella,L'Italia dopo il fascismo (1943-1973),Bologna, I1 Muli-

no, 1975, pp. 228-229.

Ivi, p. 229.Saverio Tutino, A mezzanotte Sesto e Monza mobilitate a difesa della Breaiz,in

"l'Unità", 22 luglio 1948.

Cfr. Saverio Tutino, Un clamoroso falso del governo sul rinvenimento di armialla Breaiz,in "l'unità", 23 luglio 1948.

Pietro Ingrao, I falsi della polizia sulla Breaiz,in "l'unità", 24 luglio 1948.87

Renzo Del Cania, op. cit., pp. 210-21 1."Voce Comunista", 30 settembre 1948."Renzo Del Cania, op. cit.,p. 215.90 Documentata risposta di Scelba alle accuse di Santi e Di Vittorio,in "Comere

della sera", 15 settembre 1948.91 Cfr. Roberto Faenza, Marco Fini, op. cit., p. 318 e segg.

" Acs, Ps 1947-48, busta 12, fascicolo C21, Relazione Prefettura di Milano, no-

vembre 1948.93 Le squadre delpestaggio, in "Comere della sera", 21 ottobre 1948.

Dante Livio Bianco, Partigiani e C.L.N. davanti ai tribunali civili, in "il Ponte",

11-12, novembre-dicembre 1947, p. 1033.Cfr. Paolo Spriano, Le passioni di un decennio 1946-1956, Milano, Garzanti,

1986, p. 136.Cesare Bermani, op. cit., p. 102.

"Cfr. Verbali degli interrogatori di Eligio Trincheri.

98 Cesare Bermani, op. cit., p. 102."Amgo Boldrini, I compiti della Resistenza nel momento attuale,cit., p. 83.ImCitato in Arrigo Boldrini, cit., p. 59.'O1 Roberto Faenza e Marco Fini, op. cit., pp. 147-148.

Guido Quazza, Resistenza e storia d'Italia. Problemi e ipotesi di ricerca, Mila-

no, Feltrinelli, 1976, p. 381.'O3 Cesare Bermani, op. cit., p. 104.

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11. Il processo

I1 25 febbraio 1949 il ministro delllInterno Scelba dichiara alla Ca-

mera: "Io non desidero anticipare quale sarà il processo ma posso direche abbiamo le prove documentate che il mandante e l'organizzatore

dei delitti di Milano, il cosiddetto 'Alvaro', capo della Volante Rossa,

era il capo dei servizi di sicurezza della Federazione comunista di Mi-

l a n ~ " . ~

"I1 Partito Comunista [...l non riconosce che le sue sezioni e le sue

cellule: tutto il resto gli è estraneo, compresa la cosiddetta 'volante

rossa' in cui la stampa gialla va cercando l'appiglio per nuove calun-

nie, nuove campagne di denigrazione del P.C.".2Le polemiche sulla matrice dei due "delitti del taxi" e sul rapporto

tra gli assassini e il Pci esplodono sin dal 28 gennaio, giorno della pri-

ma perquisizione alla Casa del Popolo di Lambrate. L'irruzione della

polizia nella sede della Volante Rossa, già il giorno successivo ai due

omicidi, fa pensare che l'attività di Giulio Paggio e dei suoi compagni

fosse nota da tempo. Infatti, sin dalla campagna elettorale del 1948, la

Volante Rossa partecipa alle manifestazioni politiche e di propaganda

in modo aperto e riconoscibile, con tanto di vessilli e divise; i suoi

componenti sono molto popolari tra gli operai di Sesto e di Lambrate;

i ripetuti scontri con le forze dell'ordine durante i comizi del Msi a

piazza Duomo ne facilitano certamente il riconoscimento da parte del-

la polizia. Eppure non risultano essere mai avvenute, prima del gen-

naio 1949, altre perquisizioni nella Casa del Popolo, né essere state

svolte indagini sulla Volante Rossa: nel giugno 1946, Walter Veneri e

Mario Gandini, fermati dai carabinieri per l'irruzione nella casa di un

industriale, avevano dichiarato di far parte di un'organizzazione di ex

partigiani diretta da un certo "Giulio", con sede nella sua abitazione dicorso Garibaldi 11 1 (il recapito di Giulio Paggio), "col compito di as-

sumere informazioni sul conto di ex fascisti non ancora puniti o di-

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messi dai campi di concentramento senza provvedimenti ed una volta

in possesso di materiale di accusa sufficiente passare poi la pratica

all'autorità costituita per i provvedimenti di legge".3 Ma i carabinieri

non erano riusciti ad individuare Giulio Paggio (o forse non avevano

voluto andare fino in fondo) e le indagini si erano fermate. Gandini

era stato poi arrestato il 6 luglio 1947 in seguito ad un attentato contro

l'abitazione di un fascista (Vedi capitolo I, p. 31) e condannato, il 17

gennaio 1949, a tre anni e otto mesi senza essere considerato membro

di alcuna organizzazione terroristica di sinistra.

La "tolleranza" delle forze dell'ordine si può spiegare probabil-

mente con il clima politico e sociale di quegli anni: i comunisti sono

al governo, il loro consenso sociale è molto forte, nelle stesse istitu-

zioni - come nella polizia - partigiani e comunisti sono presenti ingran numero. La situazione comincia a cambiare con la fine dei go-

verni di unità nazionale e, in seguito, con la sconfitta elettorale delle

sinistre nell'aprile 1948, la riorganizzazione del ceto borghese che n-

prende il controllo dell'economia e dello stato e la delusione seguita

ai moti del luglio 1948. Non a caso, l'attività della Volante Rossa nel-

la seconda metà del 1948 è estremamente ridotta, mentre le forze

dell'ordine ricevono l'autorizzazione ad agire liberamente contro ogni

forma di illegalità di natura politica.Per questa ragione le indagini sui "delitti del taxi" vengono svolte

con una capillarità e un dispiegamento di mezzi ed uomini prima mai

visti: l'obiettivo è quello di non limitarsi all'arresto dei responsabili

diretti ma di infliggere un colpo pesante agli ambienti dell'estremi-

smo partigiano ed operaio, risalendo anche ai loro referenti politici.

La Volante Rossa va dunque coinvolta ad ogni costo nei due omicidi,

in modo da poterla smantellare definitivamente.

Nei primi interrogatori di Eligio Trincheri gli inquirenti insistonoripetutamente sul ruolo svolto da Giulio Paggio pressato dalle loro do-

mande l'ex partigiano ricostruisce i "delitti del taxi" attribuendo ad

"Alvaro" un ruolo determinante: è lui a dire che è amvato il momento

di uccidere Felice Ghisalberti; è lui che fornisce le armi per i due omi-

cidi; è lui che incita Finardi e Trincheri a non desistere nonostante i

falliti appostamenti; lui che si complimenta con loro per il "lavoro" e

ordina di seguire "Pedro" per un'altra azione; lui, infine, che conse-

gna mille lire a Trincheri per farlo fuggire a Pesaro.

Ma Trincheri dice anche altre cose che contrastano con gli intenti

degli investigatori. Egli afferma che in occasione del primo colloquio

con Paggio, nel gennaio 1948, costui non gli diede l'incarico di ucci-

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dere l'ex fascista ma disse solo che "al momento opportuno" bisogna-

va farlo fuori:4 un anno dopo, l'ordine di eseguire l'azione Trincheri

dice di averlo però ricevuto da Finardi, il quale aveva riferito a Giulio

Paggio quella che era con tutta probabilità una intenzione di Trinche-

ri. Paggio potrebbe essersi limitato a dare un'autorizzazione e a fomi-

re le armi per un'azione di cui condivideva lo scopo ma non la proget-

tazione: lo confermerebbe l'uso di un mezzo come il taxi, cui la Vo-

lante non aveva mai fatto ricorso.

Le dichiarazioni di Trincheri sono del resto chiarissime nell'esclu-

dere l'attribuzione del delitto Ghisalberti alla Volante Rossa: "Non

ero iscritto alla Volante Rossa; però ero edotto dello scopo di questa e

frequentavo le riunioni ~tabilite".~omandante della Volante era Pag-

gio "il quale non faceva altro che riunire i componenti per impartireordini leciti e non di rappresaglia e violenza. [...l Non mi consta, in

modo assoluto, che la Volante Rossa si proponesse di commettere vio-

lenze o fatti delitt~osi".~gli dice di essersi rivolto alllAlvaro non in

quanto capo della Volante ma in quanto comandante dei partigiani ga-

ribaldini di Lambrate: quando Paggio gli affida i1 compito di sorve-

gliare il Ghisalberti per una futura eliminazione, egli obbedisce non

come membro della Volante ma da partigiano e antifascista.

Una conferma indiretta dell'estraneità di Trincheri alla Volante èdata dalla modalità della sua partecipazione al secondo delitto: Paggio

gli ordina solo di seguire "Pedro", l'azione è stata preparata a sua to-

tale insaputa, egli non sa dove è diretto il taxi né chi sia la vittima.

"Pedro" lo mette di guardia alla portineria mentre Finardi tiene a bada

il tassista. L'unico elemento importante che egli può riferire agli in-

quirenti è che, al ritomo dall'azione, Pedro rivela agli altri che l'ucci-

so era un fascista coinvolto nella strage di Campo Giuriati, dove nel

febbraio 1945 erano stati fucilati nove gappisti. Ma in realtà, Massazaera del tutto estraneo a quella vicenda ed il suo omicidio resta così

molto meno chiaro di quello di Ghisalberti.

Nonostante queste lacune e l'evidente contraddittorietà delle di-

chiarazioni di Trincheri circa il suo rapporto con la Volante Rossa ed

il suo comandante, i carabinieri e il consigliere istruttore Guido Fu-

sto, che lo interrogano, decidono di incentrare le indagini sulla sua

confessione.

L'intento è però reso difficile anche dalla personalità di Eligio Trin-

cheri: suo nonno e suo padre sono stati affetti da turbe psichiche, egli

stesso è stato più volte segnalato dai suoi comandanti partigiani come

individuo irascibile, violento, volubile; inoltre le ferite subite durante

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la lotta clandestina hanno interessato proprio i centri nervosi della spi-

na dorsale e, nel 1947, dopo il primo soggiorno milanese, egli è stato

ricoverato per un mese e mezzo presso l'ospedale psichiatrico di No-

vara. Sin dal primo interrogatorio, Trincheri evidenzia un carattereestremamente emotivo e un temperamento nervoso e disturbato: spes-

so si confonde e corregge più volte quanto affermato in precedenza.

Ma non è probabilmente solo per cautelarsi dalla scarsa affidabilità

del testimone che i carabinieri fanno firmare a Trincheri una sospetta

dichiarazione finale, che sembra alludere all'esatto contrario di quan-

to afferma: "Le dichiarazioni da me fatte [...l furono libere, spontanee

ed interpretarono pienamente la mia volontà, e cioè di illuminare la

Giustizia. [...l I1 mio interrogatorio avvenne senza alcuna coartazione

o pressione di sorta, da parte di chicchessia. I1 trattamento da parte dei

militi che mi fermarono e da parte del Colomello che mi interrogò fu

calmo, riguardoso e senza alcuna limitazione della libertà di parola.

Non fui mai fatto oggetto a minaccia e violenza di sorta".'

Mentre i carabinieri gestiscono il "pentito" Trincheri, la polizia in-

dividua ed arresta la maggior parte degli aderenti alla Volante Rossa,

anche grazie alle foto trovate a casa di Paggio. Tra il 26 febbraio e 1'8

marzo, finiscono in carcere ventisette persone: Cimpellin Giulio (Ci-ro), 29 anni, meccanico; Arné Felice (Mario), 19 anni, operaio; Biadi-

go Giordano (Tom), 20 anni, operaio; Comini Luigi (Luisott), 24 anni,

fotografo; Marchesi Sante (Santino), 23 anni, radiotecnico; Mondani

Enrico, 24 anni, tipografo e segretario della sezione Pci di Lambrate;

Alterchi Otello (Otelin), 21 anni, elettricista; Iani Pietro (Iani), 23 an-

ni, idraulico; Canepari Luigi (Pipa), 24 anni, meccanico; Patrioli Etto-

re (Iaia), 23 anni, meccanico; Bonasio Bruno, 23 anni, elettricista;

Reina Carlo, 23 anni, conciatore; Tosato Emilio (Lietù), 20 anni, elet-tricista; Tosi Ferruccio (Casso), 20 anni, elettricista; Cassis Camillo,

24 anni, idraulico; Clerici Ferdinando (Balilla), 21 anni, operaio; Vec-

chio Dante (Tino), 32 anni, meccanico; Cavuoto Domenico (Menguc),

19 anni, barista; Zonato Italo (Italo), 24 anni, meccanico; Fasoli Wal-

ter (Walter), 32 anni, disoccupato; Cattaneo EM~o,19 anni, elettrici-

sta; Mondani Mario, 22 anni, meccanico; Vecchio Angelo (Tarzan),

24 anni, operaio; Lotteri Giacomo (Loteri), 29 anni, meccanico; Mi-

nafra Antonio (Missaglia), 30 anni; Magni Angelo Maria, 23 anni,elettricista. Sono latitanti, oltre ai già nominati Paggio, Finardi e Bu-

rato, Borghini Primo, 29 anni, custode della Casa del Popolo, e Boset-

ti Mario, 23 anni.

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Le imputazioni a carico degli arrestati non riguardano i delitti del

27 gennaio, ma una serie di reati a sfondo politico compiuta fra il

1947 e il 1948; le domande rivolte durante gli interrogatori sono

estremamente precise e gli inquirenti sembrano essere già in possesso

di una ricostruzione più o meno completa dei reati addebitabili alla

Volante Rossa: una serie di episodi, i cui autori erano rimasti ignoti,

viene ripresa in considerazione e attribuita alla formazione. Questi gli

episodi contestati agli arrestati: 16 giugno 1947 - assalto al bar di via

Pacini 32; 6 luglio 1947 - attentato contro l'abitazione di Fulvio Maz-

zetti, in seguito al quale era stato arrestato Mario Gandini detto Mila;

10 luglio 1947 - allito attentato contro una sede del Msi in via Santa

Radegonda; 12 dicembre 1947 - sequestro dell'ingegner Italo Tofa-

nello; 29 ottobre 1947 - assalto alla sede della rivista "Meridianod'Italiaw;4 novembre 1947 - omicidio dell'ex generale della milizia

fascista Ferruccio Gatti; 4 novembre 1947 - tentato omicidio

dell'esponente missino Antonio Marchelli; 10 aprile 1948 - disordini

durante un comizio del Msi in piazza Belgioioso; 25 aprile 1948 - di-

sordini durante una manifestazione non autorizzata a piazzale Loreto;

15 luglio 1948 - scontri con le forze dell'ordine durante l'occupazio-

ne degli stabilimenti Bezzi e Motta; 13 ottobre 1948 - aggressione ad

alcuni dirigenti della Breda. A tutti gli imputati viene addebitato ilreato di associazione a delinquere

[...l per avere in Milano successivamente al maggio 1945 e fino al feb-braio 1949 costituito tra loro e altri rimasti sconosciuti un'associazione deno-minata "Volante rossa" e della quale Paggio Giulio, alias "Tenente Alvaro"fu il promotore e i1 comandante, dando alla medesim a struttura organica e re-golam ento a carattere militare, allo scopo di organizzare e commettere delitticontro la persona, la libertà individuale, la industria e il lavoro, l'ordine pub-

blico e la incolumità, facendo largo uso di armi e munizioni di ogni generenonché di automezzo da loro acquistato, e scorrendo di giorno e di notte lepubbliche vie.8

L'altro reato ascritto è il possesso e il trasporto di armi e munizioni

da guerra. Tra i capi d'imputazione non risultano gli omicidi del gior-

nalista fascista Franco De Agazio e del qualunquista Michele Petruc-

celli (4 e 5 novembre 1947): questi reati non vengono contestati alla

Volante Rossa poiché, per il primo, non esistono testimoni e, per il se-

condo, i sospetti si indirizzano su altri elementi.Oltre ad appurare le finalità dell'organizzazione e le azioni da essa

compiute, gli inquirenti (coordinano le indagini il tenente colonnello

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dei carabinieri Antonio Di Dato e il commissario di PS Arturo Tad-

deo) insistono sul possesso di armi e sui rapporti con il Pci. Le testi-

monianze di alcuni imputati confermano il "teorema" accusatorio:

Bruno Bonasio dichiara che gli scopi ufficiali della Volante Rossa era-no "raccogliere elementi giovanili ex partigiani, allo scopo di mante-

nere viva la fiaccola di patriottismo e di perpetuare il ricordo delle ge-

sta partigiane"? specificando che al suo interno esisteva un gruppo ri-

stretto, composto da Paggio, Biadigo, Alterchi, Finardi e Borghini,

che si riuniva in segreto tenendo all'oscuro i "gregari" delle proprie

decisioni. Bonasio aggiunge inoltre che tanto Finardi che Trincheri

frequentavano la Casa del Popolo e facevano parte della Volante Ros-

sa. Tuttavia, le sue affermazioni più gravi riguardano l'aspetto politi-

co: la Volante Rossa dipendeva dal Pci e "il Paggio frequentava assi-

duamente la Fed. comunista milanese [...] concertava i piani e le azio-

ni della Volante Rossa con persone che politicamente 'stanno sopra dilui?'' 10

È proprio ciò a cui punta la questura: risalire ai presunti mandanti

politici, quelli che la stampa filogovernativa ormai definisce "gerarchi

comunisti". Rimane però qualche dubbio sul fatto che un gregario,

sempre all'oscuro di tutto come Bonasio, possa essere stato al corren-

te dei movimenti e dei contatti di un capo autoritario e riservato comePaggio.

Altra testimonianza del tutto aderente alla linea degli inquirenti è

quella del barista della Casa del Popolo Ferruccio Fontana, il quale,

oltre ad insistere sull'appartenenza di Trincheri e Finardi alla Volante

Rossa, sostiene che tutti i componenti della formazione circolavano

costantemente armati nell'edificio di via Conte Rosso (affermazione

smentita da tutti gli altri lavoranti della Casa del Popolo e dichiarata

in seguito inverosimile dagli stessi giudici).Anche Guido Coscelli, elemento di secondo piano arrestato insieme

ad altri quattro fiancheggiatori della Volante Rossa nel novembre

1949, conferma le riunioni segrete "per programmare e attivare piani

di altro genere diversi da quelli di natura ricreativa"" ed afferma che,

appena entrato a far parte della Volante Rossa, gli venne chiesto di

procurarsi un'anna. Quando disse che non aveva i soldi necessari, gli

fu risposto che ci avrebbe pensato l'organi~zazione.'~

Altri testimoni si limitano a confessare le loro specifiche responsa-bilità, chiamando però in correo altri componenti della Volante. Tra

costoro, Dante Vecchio confessa la propria partecipazione al seque-

stro Tofanello, all'assalto alla sede del "Meridiano d'Italiav, agli

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scontri di piazza Belgioioso e piazzale Loreto, dove, afferma, la Vo-

lante Rossa agì con tutti i suoi elementi. La Volante, secondo Vecchio,

interveniva spesso a sostegno degli scioperi nelle fabbriche con attac-

chi ai crumiri e alle forze dell'ordine che presidiavano gli stabilimen-

ti, svolgeva inoltre compiti di vigilanza e di servizio d'ordine presso

la federazione milanese del Pci.

Carlo Reina conferma le azioni di "anticrumiraggio" come pure il

riconoscimento della Volante Rossa da parte d ell 'hpi e a questo pro-

posito accusa espressamente il segretario della sezione di Lambrate

Enrico Mondani. Ribadisce inoltre l'appartenenza di Trincheri e Fi-

nardi alla Volante Rossa.

Emilio Tosato definisce la Volante Rossa una "formazione d'assal-

to" e ricorda i manganelli utilizzati durante le incursioni contro i co-mizi del Msi a piazza Duomo. Ciò è confermato da Ferruccio Tosi,

che riferisce anche di frequenti contatti tra Paggio e la federazione

milanese del Pci di Porta Garibaldi mentre non è in grado di affermare

l'appartenenza di Eligio Trincheri alla Volante Rossa. Tosi ricostnii-

sce con dovizia di nomi e particolari l'assalto al "Meridiano d'Italia9'

e il sequestro Tofanello: Paggio giunse a Lambrate ordinando ai pre-

senti di andare con lui per dare "una lezione ad un fascista". Sul ca-

mion utilizzato per l'azione partirono, oltre Tosi e Paggio, Borghini,Comini, Biadigo, Vecchio, Alterchi, Tosato, Canepari, Zonato, Bura-

to, Bosetti e Clerici. In quattro salirono fino al17appartamento i Tofa-

nello e lo convinsero a seguirli e a salire sul camion. Successivamen-

te, giunti in piazza Duomo, sotto la minaccia della pistola di Paggio,

lo costrinsero a spogliarsi e a scendere.

Giordano Biadigo è giovanissimo ma su di lui pesa una delle accu-

se più gravi, quella di essere stato l'esecutore materiale dell'assassinio

del generale Gatti: lo ha riconosciuto la moglie della vittima. Riferen-

dosi all'attività della Volante Rossa, egli parla di scopi politici, di par-

tecipazione alle manifestazioni dell'hpi e del Pci, di sostegno ai la-

voratori in sciopero. Successivamente ammette le intimidazioni ad

esponenti politici, quindi gli scontri di piazza ed il sequestro Tofanel-

lo. Anche Biadigo dichiara che "la Volante Rossa dipendeva dalla fe-

derazione milanese del Pci ed era anche alle dipendenze dell'hpi di

Milano"".

Fra gli arrestati, vi è un gruppo di imputati che smentisce l'esisten-

za del livello clandestino e della attività illegale e violenta della for-mazione. Per alcuni di essi, già chiamati in correo da altri imputati, si

tratta di un atteggiamento di palese reticenza. I1 commissario politico

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della Volante Rossa Luigi Cornini nega che essa "fosse una formazione

d'assalto [...l come pure che essa abbia partecipato ad azioni violente

durante il periodo preelettorale ed in occasione di scioperi contro ele-

menti che non volevano parteciparvi, non escludo però che 1'Alvarocon la formazione abbia potuto fare ciò, io però non vi ho mai parteci-

pato né sono mai stato a conoscenza di azioni simili". Egli ammette la

sua funzione di commissario politico che "consisteva nella educazione

generale dei componenti della formazione. Tale mia funzione svolgevo

mediante conferenze ed organizzazione di passeggiate a carattere com-

memorativo nelle zone dove si era svolta la lotta ~landestina".'~

Le confessioni di Ferruccio Tosi, Ferdinando Clerici e Dante Vec-

chio chiamano però in causa Comini, accusandolo di aver partecipato

al sequestro Tofanello e all'assalto alla sede del "Meridiano d'Italia9'.

Cinque giorni dopo Comini cederà alle contestazioni mosse dagli in-

quirenti sulla base di queste testimonianze ammettendo, oltre alla par-

tecipazione ai suddetti episodi, di essere stato presente agli scontri di

piazza Belgioioso del 10 aprile 1948.

Anche Walter Fasoli dichiara di non essere mai venuto a conoscen-

za di azioni violente da parte della Volante Rossa, né di avervi mai

partecipato, né di aver mai visto armi nelle mani dei componenti della

formazione, anche se ricorda di aver inteso parlare da altri del seque-stro Tofanello e dell'assalto al "Meridiano d'Italia"15. Mario Mondani

e Italo Zonato, nei loro interrogatori, affermano che la Volante Rossa

era una organizzazione con fini ricreativi e sostengono di aver parteci-

pato solo a questo genere di attività. Zonato, che sarà accusato da altri

per il sequestro Tofanello e la devastazione della sede del "Meridiano

d'Italia9', ammette di essere venuto a conoscenza dell'intervento di al-

cuni componenti della Volante Rossa negli scontri di piazza dell'apri-

le 1948.16Mondani, invece, fa parte del gruppo di arrestati i quali qua-si certamente non sono mai stati coinvolti in episodi di violenza per-

ché arruolati nella Volante Rossa solo nominalmente o negli ultimi

mesi del 1948, quando ormai la sua attività si era fortemente ridimen-

sionata. Le deposizioni di questi imputati sono particolarmente inte-

ressanti, soprattutto perché consentono di chiarire il valore e il signifi-

cato di una delle prove su cui più insisterà l'accusa: il già nominato

foglio del novembre 1948 con l'elenco delle sei squadre per i turni di

guardia alla federazione del Pci.

Antonio Minafra dice di aver partecipato ad una gita al tennine del-

la quale gli venne proposto di entrare a far parte della Volante Rossa;

egli accettò e venne subito utilizzato insieme ad altri militanti per un

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turno di guardia alla federazione di Porta Garibaldi. Sostiene di non

esser mai stato coinvolto in altre attività."

Giacomo Lotteri entra a far parte della Volante Rossa come ex par-

tigiano e afferma di aver frequentato la Casa del Popolo in occasionedi feste e riunioni politiche, ammettendo di essere stato presente a tre

manifestazioni. Riguardo al foglio di servizio, nega di essere stato

messo al corrente del suo inserimento nella prima squadra e nega so-

prattutto di aver mai svolto alcun turno di guardia.Is

Anche Angelo Vecchio, interrogato il 6 marzo 1949, pur ammetten-

do di frequentare la Casa del Popolo per balli e partite di biliardo, ne-

ga, nella maniera più assoluta, di essere un componente della Volante

Rossa, della quale solo recentemente è venuto a conoscenza; egli

smentisce anche di aver svolto servizio d'ordine, affermando di essere

stato anche lui inserito nel foglio di servizio a sua insaputa, addirittura

come comandante. 9

Sulla questione dell'elenco dei turni di guardia riferiscono anche

altri imputati. Italo Zonato ammette di aver saputo della sua presenza

nella sesta squadra ma sostiene di non aver mai assolto le previste

mansioni di vigilanza; Domenico Cavuoto, iscritto al Pci e barista

presso la Casa del Popolo, confessa invece la propria partecipazione a

due turni di guardia e ad alcune azioni disarmate in piazza Duomocontro comizi fa~cisti.'~

Anche Angelo Resentini, uno degli ultimi arrestati, conferma di

aver fatto parte di una delle squadre nominate nell'elenco, mentre

Walter Fasoli nega di avere effettuato il prestabilito turno di guardia.

Da questo insieme di dichiarazioni risulta quindi evidente come

quell'elenco possa considerarsiun organigramma approssimativo e di

massima, forse un primo ed unico (in alto a destra è riportata la dicitu-

ra "foglio N. 1") tentativo di organizzare tutti i militanti più o menovicini alla Volante Rossa, ma non certo la prova della consistenza rea-

le della formazione. Nelle stesse squadre si trovano affiancati infatti i

nomi dei membri più esperti e quelli di persone forse neanche a cono-

scenza della loro iscrizione nel molino dei turni di guardia e che ma-

gari si limitavano alla frequentazione più o meno costante della Casa

del Popolo.È invece molto plausibile che la suddivisione degli iscritti in tante

piccole squadre non sia altro che l'adozione del criterio organizzativo

proposto da Pietro Secchia nel suo discorso al congresso di Milano

del gennaio 1948: al fine di un maggior coinvolgimento di tutti i mili-

tanti al lavoro politico, a capo di ogni squadra veniva posto un "col-

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lettore", che aveva il compito di invitare tutti gli altri componenti alle

riunioni e di controllarne e stimolarne l'atti~ità.~'li stessi inquirenti

rinunciano, a quanto risulta, ad identificare tutti coloro che si celano

dietro i vari soprannomi: ciò che li spinge ad incriminare solo unaparte delle 48 persone indicate nel foglio è probabilmente il riconosci-

mento dei diversi gradi di responsabilità. I1 commissario Taddeo e il

tenente c o l o ~ e l l o i Dato sembrano rendersi conto che esistono due

livelli all'intemo della Volante Rossa: uno legale, che organizza feste,

conferenze politiche, gite celebrative della guerra partigiana; l'altro

semiclandestino, che è formato dagli elementi più agguemti e decisi e

la cui attività di militanza antifascista, sindacale o comunista sconfina

a volte nell'illegalità e nella violenza politica. La conferma di una dif-ferenziazione di ruoli e responsabilità risulta anche dall'analisi della

presenza di iscritti alla Volante Rossa all'interno della fabbrica Olap:

vi si trovano semplici frequentatori della Casa del Popolo come Mina-

fra, "fiancheggiatori" che non partecipano ad alcuna azione violenta

come Magni ed elementi più estremisti come Natale Burato.

Sul rapporto tra Volante Rossa, Pci e Anpi si sofferma particolar-

mente Sante Marchesi:

Per quanto costituita da ex partigiani, molti dei quali entrati a far parte delPci in questi ultimi tempi, la Volante Rossa ritengo dipenda direttamente dal-

la Federazione Provinciale milanese del Pci e ciò desumo dal fatto che recen-temente elementi della V.R. stessa prestavano servizio presso la sede del par-tito di Porta Garibaldi, svolgendo precisamente il servizio di guardia ai localidella federazione medesima [...l I1 commissario politico "Luisott" [Luigi Co-mini] durante le riunioni [...l ci impartiva lezioni di Partito che consistevanoin conferenze sulle attività del Pci. [...l Oltre che del Pci, la Volante Rossa,

come formazione di ex partigiani dipendeva dal Comitato Provinciale di Mi-lano dell' Anpi che l'aveva regolarmente riconos~iuta.~~

Di contro, Enrico Mondani, il segretario della sezione Pci di Lam-

brate e responsabile della Casa del Popolo, afferma di non aver mai

sentito parlare di una certa Volante Rossa e di conoscere il "tenente

Alvaro" soltanto di vista, di aver ospitato temporaneamente il Finardi

e il Trincheri perché in stato di bisogno. In un secondo interrogatorio,

Mondani farà solo delle parziali ammissioni sull'esistenza della Vo-lante Rossa.23

A soli tre giorni dall'arresto di Trincheri, il 13 febbraio 1949, la

questura aveva convocato Mario Muneghina, membro dell'Anpi di

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Milano e della federazione milanese del Pci, nonché capo delle guar-

die della Innocenti, quindi collega di Giulio Paggio. In quel momento

lo scopo degli inquirenti era probabilmente quello di verificare la

eventuale appartenenza della Volante Rossa all'Anpi e al Pci, onde

evitare dure reazioni politiche da parte delle organizzazioni di sinistra

al proseguimento delle indagini, come quelle seguite alla prima per-

quisizione alla Casa del Popolo di Lambrate. Muneghina dichiara:

"La cosiddetta Volante Rossa di Lambrate non è mai stata nota uffi-

cialmente al Comitato Provinciale dell'hpi e tantomeno riconosciuta

o autorizzata da detto comitato o dal Partito Comunista. Se alcuni ele-

menti partigiani o pseudopartigiani si sono costituiti in gruppo da for-

mare un reparto chiamato Volante Rossa, costoro hanno agito di pro-

pria iniziativa"." I1 27 febbraio la federazione milanese del Pci, conun comunicato pubblicato su "l'Unità", prende ulteriormente le di-

stanze: "non è mai esistito nessun 'servizio di sicurezza' nella nostra

federazione. I1 partigiano Giulio Paggio (detto Alvaro) che risulta ef-

fettivamente iscritto al nostro partito, non ha mai avuto incarichi di di-

rigente o di responsabile del servizio d'ordine".25

Viste però le numerose deposizioni che affermano l'esistenza di

rapporti tra la Volante Rossa e il Pci e l'Anpi, gli inquirenti tornano ad

interrogare Muneghina nel luglio 1949, ma egli conferma quantoespresso nel primo interrogatorio, ribadendo che la Volante Rossa non

ebbe nulla a che fare con 1'Anpi e il Pci e che "mai fu nota la sua co-

stituzione"; secondo lui n6 1'Anpi né il Pci erano in grado di control-

lare le loro sezioni in tutte le loro attività. Se il Pci fosse stato a cono-

scenza dell'esistenza della Volante Rossa e delle sue azioni "non sa-

rebbe mancato il suo intervento per impedire che venissero commessi

atti fuori della legalità".

Inmerito al servizio di vigilanza presso la sede del Pci di Porta Ga-ribaldi, egli afferma: "non mi consta che elementi della Volante Rossa

abbiano prestato servizio come tali presso la sede della Federazione

del Pci, presso la quale prestano servizio soltanto iscritti al Partito de-

signati dalle sezioni". Se ciò è accaduto è stato solo perché - continua

Muneghina- quelle persone erano ritenute semplici iscritti al P c ~ . ~ ~

Un paio di settimane prima, il vicepresidente dell'Anpi di Milano

Agostino Casali, chiamato in questura, risponde alle medesime do-

mande con una dichiarazione sibillina: "Posso assicurare che la cosid-

detta Volante Rossa non è stata mai una 'istanza associativa' e 1'Anpi

ha sempre ignorato l'esistenza di detta formazione sotto il profilo as-

s o c i a t i ~ ~ " . ~ ~

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Le nette smentite di Muneghina e Casali sono dei sinceri quanto pre-

cari tentativi di chiamar fuori dall'inchiesta il partito e 1'Anpi onde evi-

tare ripercussioni e strumentalizzazioni politiche. È possibile che non

esistesse alcun riconoscimento ufficiale della Volante Rossa da parte delPci e dell'hpi (e su questo insistono le loro ben dosate parole) ma

sembra molto improbabile che Muneghina non conoscesse una forma-

zione che sfilava regolarmente col suo stendardo rosso nei cortei e che

aveva svolto il servizio d'ordine al congresso nazionale del Pci nel gen-

naio 1948,con tutti i suoi uomini in divisa. Del resto era del tutto natu-

rale che, nella sua attività di propaganda politica e mobilitazione, Pag-

gio, Comini e altri avessero contatti con il partito comunista ed agissero

spesso eseguendo direttive provenienti dalla federazione milanese.È in-

vece tutto da dimostrare che anche le azioni violente ed illegali venisse-

ro ordinate da esponenti del Pci milanese. Risulta, invece, che in più oc-

casioni, la dirigenza del partito abbia invitato Paggio e compagni a con-

segnare le armi che tenevano nascoste dalla fine della guerra ed a cessa-

re ogni attività violenta o illegale. A questo scopo si era recato a Lam-

brate anche Giovanni Pesce ma il suo intervento non aveva convinto gli

uomini della V~lante.~'e affermazioni di Casali e Muneghina, poco

credibili sul piano probatorio, hanno invece una grande importanza su

quello politico. Sin qui il Pci aveva tollerato l'esistenza della Volante,l'aveva utilizzata per il proprio servizio d'ordine, facendola sfilare in

tutte le principali manifestazioni. Ciò non era dovuto solo alla grande

popolarità della formazione tra la classe operaia milanese ma anche

all'intenzione di controllare maggiormente le "irrequietezze" di alcune

frange del partito. Ma di fronte all'ennesimo e, stavolta, terribile azzar-

do della Volante Rossa, Anpi e Pci decidono di "scaricarla", abbando-

nandola al suo ormai indifendibile destino. Muneghina e Casali danno

così agli inquirenti la possibilità di agire liberamente contro la Volantema erigono immediatamente alti steccati ad evitare ogni strumentale

coinvolgimento delle loro associazioni politiche.

La debolezza di indizi e la conseguente mancanza di prove certe sul

"teorema" Volante Rossa-Pci determinano perciò il graduale esauri-

mento delle indagini indirizzate ad individuare eventuali mandanti po-

litici delle azioni della Volante Rossa: l'inchiesta si concentra così

sull'accertamento delle sole responsabilità penali dei singoli imputati.

Per quanto riguarda Eligio Trincheri, neanche le testimonianze de-

gli altri componenti della Volante riescono a chiarire il suo rapporto

con la formazione.

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Molti degli imputati confermano la sua appartenenza ma nessuna

confessione lo chiama in causa per altri reati: se egli non ha partecipa-

to nemmeno alle manifestazioni di piazza, dove la Volante Rossa agi-

va con tutti i suoi uomini, se ne deduce che o egli non era nella forma-

zione o che (come suggerisce qualche imputato) vi sia entrato solo al-la fine del 1948. Così si potrebbero spiegare anche la presenza di quel

"Marco" nel molino della sesta squadra e le decise e schiaccianti af-

fermazioni di Otello Alterchi: "ha dichiarato, tra l'altro, che egli co-

mandava la 6" squadra di cui faceva parte anche il Trincheri E l ig i ~ " .~ ~

Ma contro questa possibile verità restano i decisi dinieghi di Trincheri

e il ruolo secondario a lui assegnato da Paggio e Burato nell'uccisione

di Massaza, sicuramente ideata ed eseguita dalla Volante Rossa.

Anche Mario Muneghina parla di Trincheri nel suo secondo inter-rogatorio e la sua testimonianza completa perfettamente il ritratto di

un uomo impulsivo, sbandato, spesso ubriaco: egli aveva conosciuto

Trincheri durante la Resistenza nell'aprile del 1944, quando era appe-

na entrato nelle fila partigiane dopo aver disertato dalla X Mas. In se-

guito, sospettato di essere l'autore di furti e rapine a ville e casolari

dei dintorni, gli era stato ordinato di lasciare la zona. Nell'immediato

dopoguerra Muneghina lo incontra di nuovo, componente di una ban-

da di ex partigiani che compie azioni criminose. Nel 1946, infine,

Trincheri è l'autore di una rapina ad una banca del Novarese per la

quale sarà condannato nel 1948.

La confessione di Trincheri era lacunosa e poco credibile anche per

quanto riguardava il secondo "delitto del taxi", l'uccisione di Leonar-

do Massaza. La verità sul delitto emerge solo ai primi di marzo: poli-

zia e carabinieri seguono da tempo la pista della Olap, la fabbrica in

cui lavorava l'ingegnere. Si scoprono dissapori di Massaza con la di-

rigenza ma molti impiegati parlano di un uomo stimato per la sua

competenza e serietà. Infine, l'attenzione degli investigatori si appun-ta sui risaputi contrasti tra Massaza e il suo vice all'ufficio paghe,

Giovanni Losavio, militante comunista. Losavio nega tutto ma poi fi-

nisce per cedere e rivela di aver parlato a Natale Burato, operaio della

Olap, della necessità di dare una lezione al Massaza.

Losavio, come Trincheri, nutre un odio profondo per i fascisti: du-

rante la guerra il suo vecchio capoufficio, Giovanni Sartori, sembra lo

avesse denunciato come antifascista ed egli era stato aggredito e mal-

menato dai repubblichini di Lambrate. Dopo il 25 aprile, i due si era-no ritrovati nello stesso ufficio, ma la fortissima tensione tra di loro

aveva costretto la direzione a trasferire il Sartori. Al suo posto era ar-

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rivato, alla fine del 1948, Leonardo Massaza. Ma il clima all'ufficio

paghe non cambia: Losavio cerca di favorire sempre gli operai, Mas-

saza non accetta che si violino le leggi. L'ingegnere non nutre grandi

simpatie per i comunisti: dopo il 25 aprile è stato arrestato per banali

motivi per un paio di giorni ed un gruppo di partigiani gli ha occupato

la casa, portandosi poi via diversi oggetti preziosi. Nasce così una

nuova rivalità ed in questa situazione si verifica un episodio ritenuto

particolarmente significativo dai magistrati. Vistosi negare dai supe-

riori degli arredi per la propria scrivania, che invece Losavio aveva,

Massaza esclama davanti alle impiegate: "Bisogna essere comunista,

bisogna avere un distintivo del partito all'occhiello per poter ottenere

tutto". Losavio "aveva ravvisato in tali parole una allusione alla sua

persona e se ne era adirato; in tale stato d'animo lo aveva trovato ilBurato, [...l e gliene aveva chiesto il motivo. Egli aveva riferito l'ac-

caduto, deprecando che al vecchio capoufficio, che gli aveva fatto del

male, altro ne fosse succeduto che era fascista, ed aveva aggiunto che

avrebbe quasi avuto voglia di dare una lezione al Massaza a suon di

botte, profittando qualche sera della nebbia. A ciò il Burato aveva ri-sposto di non occuparsene perché ci avrebbe pensato lui, esprirnendo-

si in questi termini: 'Lascia stare; ci pensiamo noi"'.M Quel "noi" sta-

va per la Volante e Losavio lo sapeva benissimo: Natale Burato nonaveva mai fatto mistero della sua appartenenza alla formazione. An-

dava addirittura al lavoro con la divisa ed il distintivo ed alle manife-

stazioni preferiva sfilare con Paggio e gli altri piuttosto che con i suoi

compagni di fabbrica, con i quali si vantava spesso della sua militanza

nella Volante.

Mai però Giovanni Losavio avrebbe immaginato che la "lezione" a

suon di botte si trasformasse in omicidio: questo resta il punto più

oscuro di tutta la vicenda della Volante Rossa sul quale non ciè

statopossibile trovare delle spiegazioni convincenti. In casi analoghi, quel-

lo dell'ingegner Tofanello e quello dei crumiri della Breda, la Volante

Rossa si era limitata alle minacce o all'aggressione; d'altronde i grup-

pi di ex partigiani ancora in armi dopo la Liberazione ricorrevano

all'omicidio solo nei confronti di noti elementi fascisti, responsabili di

gravi crimini, collaborazionisti o coinvolti in nuove trame terroristi-

che.

A questo genere di obiettivi apparteneva certamente Felice Ghisal-

berti ma non Leonardo Massaza. Egli era persino amico di un altro

aderente alla Volante, Angelo Maria Magni, l'uomo che ospitava ed

aiutava Eligio Trincheri a Milano. Quando Magni legge sui giornali la

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notizia dell'assassinio di Massaza ne resta profondamente addolorato

e si reca a casa dell'ingegnere per fare le condoglianze alla moglie.

Anche Losavio, ovviamente, è sconvolto e si precipita da Burato

per rimproverarlo aspramente. La risposta di Burato è secca: "Queste

cose o si fanno così o non si fanno" e Losavio replica "Allora non sidoveva fare".31Poi il "Pedro" lo rassicura: è impossibile che si possa-

no scoprire gli autori, l'azione è stata condotta perfettamente.

Qualche giorno più tardi Losavio, sempre preoccupato, chiede an-

cora notizie e Burato gli confida che del delitto sono a conoscenza so-

lo lui e Paggio e una terza persona che è stata fatta allontanare perché

aveva troppa paura: si tratta chiaramente di Trincheri.

Ma quando, l'undici febbraio, i giornali pubblicano la notizia

dell'arresto del fantomatico "Marco", è Burato a correre da Losavio,spaventatissimo: prima di darsi alla latitanza, Burato confessa a Losa-

vio che nel delitto Massaza è implicato anche Paolo Finardi.

Losavio non fugge, non si sente responsabile della morte del suo

capoufficio: gli inquirenti invece non fanno alcuna distinzione tra pu-

gni e revolverate. Per loro Losavio è né più né meno che il mandante

dell'omicidio Massaza: appare del tutto naturale che la ferocia spinga

i componenti della Volante Rossa a trasformare un'aggressione in

omicidio.Visto che la spiegazione fornita da Trincheri (il coinvolgimento di

Massaza nella strage di Campo Giuriati) è palesemente infondata, i

magistrati sembrano concludere che l'ingegnere della Olap è stato uc-

ciso perché antipatico ad un suo collega, avvalorando così l'idea di

una Volante composta da spietati sicari carichi di odio per ogni avver-

sario politico.

Solo nella sentenza di rinvio a giudizio si ammetter&che "non è

stato possibile accertare l'esistenza di un movente adeguato alla gra-

vità del delitto":32ma Losavio continuerà ad esserne considerato il

mandante.

La spiegazione del delitto riportata nel saggio di Bermani (cfr. capi-

tolo I, p. 58) è abbastanza credibile, anche perché sicuramente ricava-

ta dalla testimonianza di qualche protagonista. Ma ci sembra che re-

stino delle incongruenze: non era affatto certo che un'altra azione a

bordo di un taxi avrebbe sviato i sospetti dal tassista Bellinzoni, ed è

del resto alquanto azzardato esporre tre uomini al riconoscimento da

parte di un tassista per evitare che due degli stessi uomini siano indi-viduati tramite un altro tassista.

I1 punto comunque meno chiaro continua a rimanere il movente e

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soprattutto il perché si sia ricorso all'omicidio: la nostra impressione è

che la Volante avesse deciso di compiere la seconda azione per

confondere le idee alla polizia, ma che, forse per un errore di "docu-

mentazione", Paggio e Burato abbiano ritenuto Leonardo Massazarealmente responsabile della strage di Campo Giuriati. E per questo

motivo, non per i dissidi con Losavio, lo abbiano ucciso. Burato pote-

va benissimo due ai suoi complici che la vittima era un dirigente che

danneggiava gli operai della Olap: se non lo fa, e parla invece di un

fascista che ha ucciso dei partigiani, è perché egli crede veramente

che sia così.

Invero, in data 19 maggio 1949, e a distanza di tre mesi dai primi interro-gatori il predetto [Eligio Trincheri] chiedeva ed otteneva di conferire con il

giudice istruttore.

Disse il Trincheri al magistrato di voler questa volta dire alla giustizia la

completa e assoluta verità in ordine ai due delitti. Pur confermando il conte-

nuto dei suoi primi interrogatori per quanto riflette la matenalità dei delitti

commessi, il Trincheri, che nei suoi primi interrogatori sempre aveva fatto

parola del Paggio Giulio quale mandante ed organizzatore delle uccisioni, di-

chiarava che quest'ultimo era completamente estraneo ai due delitti. Dichia-

rava che ad organizzare e ad attuare la uccisione di Ghisalberti Felice fu lui.

La idea di eliminare il predetto giovane sorse in lui spontaneamente dopo

che aveva saputo da due ragazzi, suoi compagni di lavoro nell'officina del

padre dell'ucciso, che questi aveva ammazzato due partigiani.

Disse che della cosa ebbe a parlarne a Finardi Paolo, assieme al quale at-

tub il delitto e con pistole di loro pertinenza. Dichiarb poi che la uccisione

del Massaza quello stesso giorno fu ideata dal Finardi e da certo Pedro e che

doveva poi questi identificarsi in Burato Natale, ciò perché il Massaza era

stato l'autore della strage delCampoGiuriati.

Concludendo - il Trincheri escludeva in modo assoluto che il Paggio Giu-

lio avesse preso parte nei due delitti, riconoscendo di aver calunniosamente

accusato il Paggio pur sapendolo innocente e giustificando il suo comporta-

mento calunnioso nel senso di essersi voluto vendicare; non avendo avuto

dal Paggio Giulio alcun aiuto e da lui sollecitato al fine di eludere le investi-

gazioni della Polizia dopo le due uccisioni. A dire del Trincheri, il Paggio gli

avrebbe dato la seguente risposta "E adesso arrangiati"."

Le ritrattazioni di Eligio Trincheri sembrano avere degli elementi

di verità ma sono eccessivamente favorevoli a Paggio; perciò le suenuove affermazioni non vengono minimamente considerate dai magi-

strati, i quali, nonostante l'evidente perdita di credibilità del teste,

continuano a dare credito solo alle sue prime dichiarazioni per non es-

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sere costretti evidentemente a smontare il loro teorema accusatorio.

Ad essi appare troppo inverosimile che T ~ c h e r ibbia accusato Pag-

gio solo per vendetta. Eppure egli aveva fornito al consigliere istrutto-

re Fusco una spiegazione abbastanza logica: "Riconosco perfettamen-te che la mia reazione di vendetta contro il Paggio [...l risulta spropor-

zionata ed inadeguata al suo comportamento di indifferenza e di man-

canza di assistenza ...Ma io pur di salvarmi, quando fui arrestato feci

il nome del suddetto, facendo ricadere su di lui la maggiore responsa-

bilità".34Èmolto probabile quindi che proprio il mancato ottenimento

dei benefici che Trincheri attendeva come premio per la sua prima

confessione, lo spingano, dopo aver vanamente chiesto la propria

scarcerazione, a smentire quella prima versione. Ma egli non si rende

molto credibile affermando di aver accusato Paggio perché costui non

l'ha aiutato quando nei primi interrogatori aveva detto di aver ricevu-

to da lui ben mille lire. Cinque mesi dopo, poi, T ~ c h e r icrive al giu-

dice Fusco un lungo memoriale, nel quale ribadisce la nuova versione,

riafferma l'innocenza di Paggio ma soprattutto sostiene di essere stato

indotto ad accusare il comandante della Volante dalle pressioni psico-

logiche dei carabinieri che lo interrogarono subito dopo l'arresto.

Stordito ed impaurito dalle minacce rivolte a lui ed ai suoi familiari,

egli avrebbe finito per dire tutto quello che si voleva che lui dicesse.

Io non capivo più niente quello che succedeva davanti a me, tra tutto quel-lo che mi dicevano [...], e che avevano arrestato tutti i miei famigliari; e poiquello che volevano farmi se non dicevo di si & quello che dicevano loro, ecioè avrebbero preso una pompa dautomobile e mi gonfiavano come un pal-lone, e mi mettevano gli scarafaggi inun bicchiere sullo stomaco, mi avreb-bero rovinato senza segni e così non potevo fare valere le mie ragioni davantiai dottori e ai giudici. Allora potete immaginare cosa potevo capire. Questo

gentilissimo signore torturatore dellumanita, è il maresciallo Valpreda di To-rino, della squadra interna del pestaggio. E il famoso tenente110 che io non ri-cordo il nome, però è quello che mi ha arrestato riccio di capelli, voleva le-varmi le unghie e farmi a pezzi. Poi l'altro maresciallo magro che non so ilnome però è di Omegna sicurissimo questo voleva rompermi la testa a pezziperché o ucciso due persone. Allora potete immaginare voi signori magistratie compagni quello di cosa potevo capire io? Poi dato che erano loro a parlarein sieme, a me interessava ben poco quello che facevano. Però qui in cella homodo di pensare bene a tutto."

Può darsi che Trincheri si inventi così nuove scusanti ma la descri-

zione dell'inten-ogatorio da lui fornita è molto vivida e soprattutto le

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sue affermazioni trovano conferma indiretta in quella clausola sulla

"spontaneità della confessione" della cui sospettosità si è già parlato.

Del resto, è accertato che in quel periodo le forze dell'ordine ricorro-

no frequentemente alla violenza durante gli interrogatori di ex parti-giani o militanti di sinistra.Ènoto, ad esempio, il caso del maresciallo

Cau, comandante della stazione dei carabinieri di Castelfranco Emilia,

solito torturare i detenuti applicando loro una maschera antigas ed im-

mergendo poi l'estremità della maschera in una soluzione di acqua e

sale purgativo: dopo anni di inutili denunce, egli venne congedato

quando a rivelarne i metodi violenti ed illegali fu un suo ~uperiore.~~

Ad ogni modo, è molto probabile che il delitto Ghisalberti sia stato

ideato da Trincheri e Finardi e forse solo autorizzato da Paggio; ed

anche l'omicidio Massaza potrebbe essere stato progettato principal-

mente da Burato. Ma nessun dubbio intacca le granitiche certezze dei

giudici: la Volante va coinvolta per intero nei due delitti e il "tenente

Alvaro" va considerato sempre e comunque il loro mandante.

La relazione al procuratore generale del 24 novembre 1949 giudica

infatti palesemente infondate e prive di attendibilità le ritrattazioni di

Eligio Trincheri: il magistrato relatore rinuncia ad ipotizzare una ra-

gione che spieghi il dietro front dell'imputato, scrivendo che "La

istruttoria naturalmente non poteva tale punto assodare e che soltantoconsiderazioni che fuoriescono dall'ambito dell'inchiesta giudiziaria

potrebbero giustificare"." I1 giudice, rendendosi conto del colpo infer-

to alla tesi accusatoria dalle ritrattazioni di Trincheri, si spinge ad af-

fermare che ben altri e più seri sono gli elementi che provano la col-

pevolezza di Giulio Paggio, affermando che costui è "ideatore e orga-

nizzatore di delitti analoghi a quelli del 27 gennaio 1949"38ossia

l'omicidio Gatti), come se ciò fosse sufficiente a provarne la respon-

sabilità.Più argomentate sono invece le riflessioni del sostituto procuratore

Giovanni De Matteo il quale, senza postulare altre fantasiose tesi sul

ruolo avuto da Paggio nei "delitti del taxi", si limita ad affermare che

Le postume dichiarazioni di Tnnchen dirette a scagionare il Paggio nonmentano l'onore della confutazione. Sono troppo tardive per essere prese sulseno; sono contrastate dalla logica delle cose essendosi reso latitante il Pag-gio contemporaneamente alla perpetrazione dei delitti; sono troppo artificio-

se e permeate di "timore reverenziale" verso il Comandante, dopo le sponta-nee e ripetute confessioni e dichiarazioni accusatone; sono sproporzionatenel necessario equilibrio tra causa ed effetto, perché la gravissima accusanon può spiegarsi con un proposito di vendetta a seguito del mancato aiuto

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che Trincheri si ripromettevadal suo capo, tanto pih che il Trincheri ha par-lato sempre in perfette condizioni mentali.39

Dopo la ritrattazione, infatti, la supposta infermità mentale del

Trincheri rappresenta un altro ostacolo per la chiusura dell'istruttoria.I1 3 ottobre 1949, il suo difensore, l'avvocato Squassoni, presenta

un'istanza per accertare se l'imputato era capace di intendere e di vo-

lere al momento dei delitti; quale sia il suo attuale stato psichico; se

egli sia da ritenersi persona socialmente pericolosa. Ma la perizia del

Tribunale, come fa notare il sostituto procuratore De Matteo, afferma

che TMcheri era ed è persona capace di intendere e di volere: l'impu-

tato non è pazzo, quindi ha detto la verità.

I1 legale di T ~ c h e r i ,nsistendo nella sua linea difensiva, presenta irisultati di una perizia di parte redatta dal professor Ottavio Vergani.

In essa si legge che "il Trincheri era nel periodo e nei momenti in cui

commise i fatti ascrittigli in un vero e proprio stato di grave infermità,

precisabile come 'grave personalità psicopatica a indirizzo prevalen-

temente schizoide, con componenti epilett~idi"'.~1 fascicolo degli

atti processuali contiene anche una nota del Centro di osservazione

neuropsichiatrico del carcere di San Vittore, datata 7 ottobre 1950,

che conferma la diagnosi del perito di parte. Al processo di primo gra-do la sanità mentale di TMcheri verrà invece ulteriormente ribadita:

nonostante la controperizia e le contraddittorie dichiarazioni, Trinche-

ri resta per i giudici il testimone chiave per le accuse più gravi a Pag-

gio e alla Volante Rossa. Viene perciò respinto ogni tentativo di scal-

firne l'affidabilità.

La prolungata fase istruttoria provoca le proteste degli imputati de-

tenuti a San Vittore: 24 di loro, il 10 novembre 1949, iniziano uno

sciopero della fame che si protrarrà fino al 14, quando verrà loro assi-

curata l'imminenza del rinvio a giudizio. Infatti, poco più di un mese

dopo, il 3 1 dicembre, la fase istruttoria viene conclusa con la relazio-

ne del sostituto procuratore Giovanni De Matteo e tutti gli atti vengo-

no trasmessi alla sezione istruttoria presso la Corte d'appello di Mila-

no per il rinvio a giudizio.

Uno dei punti principali della relazione diDe Matteo riguarda l'impu-

tazione di associazione a delinquere per tutti i 38 imputati. Il magistrato

individua nell'operato della Volante Rossa gli elementi per contestarequesto reato: "1) la società di più persone; 2) la stabilità del vincolo so-

ciale; 3) lo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti"?' Se-

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condo De Matteo sussisterebbero anche gli estremi del reato di costitu-

zione di banda armata e cioè "organizzazione a tipo militare con riparti-

zione di gradi e funzioni e predisposizioni di mezzi; [...l complesso orga-

nizzato specie dal punto di vista dell'armamento in maniera idonea allarealizzazione di azioni delittuose, sotto la direzione di uno o più capi"P2

Tale reato, però, non è piiì punibile poiché la legge speciale che lo

sanzionava (DLL 10 maggio 1945 n. 234) è stata abolita il 15 aprile

1948. Altro reato addebitato a tutti i componenti della Volante Rossa è

la detenzione e il porto continuato di armi e munizioni da guerra. Le

uniche prove in proposito sono le poche armi trovate nella Casa del

Popolo di Lambrate e una fotografia nella quale una dozzina di mem-

bri della Volante posano armati di mitra e pistole. Secondo alcuni im-

putati, tale foto venne scattata in occasione di una gita commemorati-

va nei pressi di Intra e le armi furono consegnate a tutti dal Coman-

dante Alvaro solo in quella occasione.

Per gli altri reati addebitati alla Volante Rossa, i capi d'imputazione

vengono ascritti a singoli componenti della formazione.

Per l'assalto al bar di via Pacini vengono rinviati a giudizio Giordano

Biadigo, Sante Marchesi, Ettore Patrioli, Carlo Reina. Pochi minuti dopo

l'azione, nei pressi del bar, Biadigo e Pamoli erano stati fermati da una

guardia notturna mentre Marchesi e Reina venivano bloccati da altri.Tutti avevano negato di essere i responsabili dell'assalto al locale e,

identificati, erano stati subito rilasciati. Neanche durante gli interrogatori

ammettono di aver partecipato all'azione: solo Femccio Tosi riferisce

che Biadigo gli aveva detto un giorno che essa era opera della Volante

Rossa. Per De Matteo questa ammissione indiretta, oltre all'identifica-

zione, è sufficiente ad incriminare i quattro membri della Volante Rossa.

L'attentato contro l'abitazione dell'ex repubblichino Fulvio Maz-

zetti viene addebitato al solo Mario Gandini, arrestato immediatamen-te dopo il fatto e successivamente condannato. Per lo stesso reato, vie-

ne prosciolto per insufficienza di prove Walter Veneri.

De Matteo non ritiene invece di dover imputare alla Volante Rossa

l'attentato contro la sede del Msi di via Santa Radegonda avvenuto il

10 luglio 1947 poiché non vi sono indizi sufficienti.

La partecipazione della Volante Rossa alla devastazione della sede

del "Meridiano d'Italia7'è confermata da tre imputati: Femccio Tosi,

Dante Vecchio e Ferdinando Clerici. I tre fanno i nomi di altri sette

esponenti, accusandoli di aver preso parte all'azione: Paggio, Burato,

Italo Zonato, Marchesi, Fasoli, Ricotti e Angelo Resentini.

Viene invece a cadere l'accusa di tentato omicidio nella persona del

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segretario della sezione del Msi di Lambrate Antonio Marchelli. I1

giudice constata che gli uomini che il 4 novembre del 1947 avevano

tentato due volte di parlare con l'esponente missino, spacciandosi per

simpatizzanti di destra, avevano poi spontaneamente desistito dalle

loro intenzioni omicide visti le ostilità e i rifiuti di farli entrare in casa

opposti dalla moglie del Marchelli.

La signora Marchelli riconoscerà in seguito, grazie ad alcune foto-

grafie, alcuni di quegli uomini: Giulio Paggio, Giordano Biadigo,

Dante Vecchio e Sante Marchesi.

Un altro riconoscimento costituisce la prova decisiva della respon-

sabilità della Volante Rossa nell'omicidio di Ferruccio Gatti. Sono la

moglie ed il figlio di Gatti a riconoscere in Paggio colui che, come

poche ore prima a casa Marchelli, si presenta come Gian Maria Guastiattivista missino, mentre Giordano Biadigo viene identificato come

l'autore materiale del delitto che spara prima contro Gatti, ferendo di

striscio il figlio, e poi contro la moglie Margherita Bellingeri, che

aveva tentato un inseguimento.

Per il sequestro di Italo Tofanello vengono incriminati: Paggio, Bu-

rato, Borghini, Comini, Biadigo, Alterchi, Bosetti, Clerici, Canepari,

Tosi, Tosato, Ricotti, Resentini, Dante Vecchio e Zonato.

I disordini in piazza Belgioioso e piazzale Loreto sono consideratida De Matteo come "reati di folla" e per questa ragione vengono in-

criminati solo i rei confessi o altri elementi che ammettono di aver

partecipato a scontri di piazza senza specificare luoghi e date. Si tratta

di Clerici, Dante Vecchio, Ricotti, Biadigo e Comini. Per gli stessi

reati viene incriminato anche Giulio Paggio poiché egli, come scrive

De Matteo, "deve essere ritenuto sempre presente, o materialmente o

per aver impartito le relative di~posizioni".~~

In realtà nessuna testimonianza precisa riferisce della presenza diPaggio alle suddette manifestazioni; si tratta quindi dell'emesima for-

zatura logica e lo scopo è sempre quello di presentare la Volante Ros-

sa come una compatta banda di guerriglieri sotto la guida del loro

"omipresente" comandante ed organizzatore.

Con lo stesso criterio viene valutata la posizione di Giulio Paggio

riguardo alle occupazioni della Bezzi e della Motta e alla aggressione

a i crumiri della Breda.

Insieme a lui, per confessione spontanea o perché accusati da altri,

vengono ritenuti colpevoli Clerici, Tosato, Ricotti, Canepari, Biadigo

e Dante Vecchio. Per tutti gli altri imputati si richiede il prosciogli-

mento per insufficienza di prove.

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Le conclusioni del sostituto procuratore riguardo ai "delitt i deltaxi" sono am piamente scontate, viste le dichiarazioni di Trincheri eLosavio. Paggio è accusato di essere il mandante di entram bi gli omi-

cidi, mentre la stessa imputazione è ascritta a Giovanni Losavio per ilsolo omicidio Massaza. Trincheri e Finardi sono accusati di aver com -piuto l 'omicidio Gh isalberti e , con la com plicità di N atale Burato,quello di Leonardo Massaza.

La relazione della procura generale si conclude con la richiesta discarcerazione per A ntonio M inafra, Guido Coscelli, Giuseppe Moran-dotti e Camillo Cassis, in quanto prosciolti dalle accu se di associazio-ne a de linquere e detenzione e porto d'armi. Pe r altri imputati (G iulioCimpellin, P ietro Iani, Bruno B onasio, Dom enico Cavuoto, GiacomoLotteri, E m i o C attaneo) che, co m e i precedenti, avevano dichiaratodiaver preso parte solo alle attività legali della Volante Rossa , il sostitu-to procuratore formula invece l'accusa di partecipazione all'associa-zione a delinquere.

I1 giudice De M atteo non manca di formulare un s uo giudizio com -plessivo sulla vicenda ed in particolare sugli aspetti che più avevanocontribuito a far esplodere violente polemiche tra i partiti e nell'opi-nione pubblica.

La politicità del fine nulla toglie alla gravità del delitto. Trattasi di una po-litica nient'affatto consentita in regime democratico,di una politica di temo-rismo e di intimidazione che non può trovare alcuna scusante. L'aggressionea cittadini che la voce pubblica designava fascisti o filofascisti, la loro sop-pressione arbitraria in un periodo in cui la legge aveva ripreso il suo soprav-vento sulle prepotenze e sulle giustizie sommarie dopo le inevitabili devia-zioni verificatesi nel periodo rivoluzionario e insurrezionale, gli attentati ter-roristici molteplici e pericolosi, l'occultamento di armi, ecc., sono manifesta-zioni tipiche di chi deliberatamente non vuol rientrare nella normalità, e vuo-le continuare nella lotta clandestina dopo che la società ha ripreso il suo as-se? di normalità, che denotano tendenze antisociali e delittuose.

E un peccato che giovani che hanno partecipato generosamente alla lottaper la liberazione della Patria si sono messi al bando della società, rifiutando-si di ubbidire proprio alle leggi patrie, ed abbiano distrutto col comportamen-to antigiuridico i loro meriti precedenti, forse trascinati dai soliti sobillatoriin mala fede!"

I1 7 aprile 1950 la Corte d'appello di M ilano, presieduta d al dottorGiovanni Brichetti, pronuncia finalmente la sen tenza di rinvio a giudi-zio per Giulio Paggio e gli altri membri della Volante Rossa: sono tra-

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scorsi oltre dodici mesi dall'inizio delle indagini e dall'arresto della

maggior parte di loro.

Le conclusioni della sezione istruttoria comspondono quasi del tut-

to a quelle del sostituto procuratore De Matteo per quanto riguarda

l'attribuzione dei singoli reati. Cadono le accuse relative agli scontri

di piazzale Loreto e all'aggressione ai dirigenti della Breda poiché,

secondo i giudici, mancano prove certe della presenza di uomini della

Volante Rossa.

Altra modifica, rispetto al piano accusatorio della procura, è lo sca-

gionamento di Enrico Mondani dall'accusa di appartenere alla Volan-

te o di averne almeno favorito i componenti: resta a suo carico solo

l'imputazione di detenzione dell'arma da fuoco rinvenuta nella sua

~cr ivania .~~Viene definitivamente chiusa la pista delle presunte protezioni poli-

tiche di cui avrebbe goduto la formazione di Larnbrate. La tesi di Bri-

chetti è che esista una Volante Rossa legale che mantiene normali rap-

porti con il Pci ed i suoi organismi ed un nucleo segreto che progetta

ed esegue autonomamente azioni violente a sfondo politico.

Non è -del resto - senza significato che l'inizio di manifestazioni violen-

te da parte di taluni membri della V.R. coincida con la rottura della solida-rietà fra i partiti, che insieme avevano lottato contro la dittatura. L'evoluzio-ne delle finalità della Volante Rossa va di pari passo con gli avvenimenti piùrilevanti della politica interna: quasi tutti aderenti ad un partito di estrema si-nistra, i membri della V.R. si ritennero impegnati nella lotta politica che quelpartito conduceva contro altro partito che appariva continuatore del fascismoe - sul piano sindacale - si considerarono tenuti ad appoggiare le rivendica-zioni del proletariato. Ma, mentre di quel partito tutti seguivano gli orienta-menti ideologici, sul piano dell'azione alcuni se ne staccarono, non tanto col

ricorrere alla violenza nelle manifestazioni di carattere politico e sindacalecui presero parte dalla metà del 1947 in poi, quanto con l'erigersi a giustizie-ri di coloro che reputavano essersi resi colpevoli di collaborazionismo duran-te la dominazione nazi fas~ is ta .~~

Nasce così, secondo la Corte, un ristretto gruppo di elementi che,

sempre guidato da Giulio Paggio, si riunisce segretamente. "È possi-

bile - ad avviso di questo Collegio- stabilire con sicurezza che il co-

mune proposito di commettere delitti caratterizza soltanto la condotta

di questo limitato gruppo per un processo degenerativo formatosi

nell'interno della associazione, sorta originariamente per scopi non

vietati dalla legge".47Gli episodi di violenza politica collettiva (occu-

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pazione di fabbriche, manifestazioni di piazza) rientrerebbero fra le

azioni pianificate dal gruppo ristretto ma sarebbero "fatti non preordi-

nati dalla gran massa dei protagonisti travolti dall'esempio di pochi

consapevoli sfruttatori di uno stato di eccitazione collettiva abilmentesuscitato"." Viene perciò chiesto il proscioglimento dal reato di asso-

ciazione a delinquere non solo per gli imputati minori ma anche per

coloro che, pur partecipando ad azioni violente, non sono ritenuti dal-

la Corte ideatori ed organizzatori delle stesse. Di contro è nei delitti

commessi dai singoli membri della Volante Rossa che i giudici ravvi-

sano quella "fredda preordinazione per il conseguimento di uno scopo

criminoso"49che è la caratteristica principale dell'associazione a de-

linquere.

Vengono ritenuti componenti della struttura "parallela" e segreta

della Volante Rossa, oltre a Paggio, Finardi, Biadigo, Trincheri e Bu-

rato, esecutori materiali dei "delitti del taxi", Otello Alterchi, Pnmo

Borghini, Luigi Comini, Sante Marchesi, Ettore Patrioli, Dante Vec-

chio.

"Su istanza del P.G. di Milano e su conformi proposte del Procura-

tore Generale di Cassazione, la Suprema Corte, con sentenza 29 mar-

zo 1950 rimetteva il giudizio per legittimo sospetto alla Corte di Assi-

se di Ver ~n a" .~ ~

Viene così accolta la richiesta del PG di Milano di far celebrare al-

trove il processo alla Volante Rossa: vi è il timore che lo svolgimento

del processo possa essere influenzato dal clima sociale e politico di

Milano. Questo passaggio di competenza determina però un ulteriore

slittamento della data di inizio del processo di primo grado: si dovrà

attendere 1'8 febbraio 1951 perché il processo cominci, davanti alla

Corte di assise presieduta dal dottor Ugo Benedetti. In quel momentosi trovano ancora detenuti, ormai da due anni, diciassette imputati,

mentre restano latitanti Paggio, Finardi, Bosetti, Borghini e Burato.

I1 processo alla Volante Rossa coinvolge buona parte dell'opinione

pubblica: l'interesse per l'evento è talmente grande da spingere la

"Settimana Incom", il noto cinegiornale dell'epoca, a richiedere al

presidente Benedetti l'autorizzazione per effettuare delle riprese il

giorno della sentenza. La risposta di Benedetti è secca e lapidaria:

"Disposizioni di legge vietano quanto richiedete"; evidentemente l'in-tento dei giudici è quello di attenuare l'eccessivo clamore creatosi in-

tomo al processo.

Altra prova del clima di tensione in cui esso si svolge è la serie di

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lettere, quasi tutte anonime, inviata alla corte di Verona: gli autori o si

schierano dalla parte degli imputati, ritenuti ingiustamente perseguiti,

o li attaccano ferocemente, invitando i giudici ad emettere una senten-

za esemplare.

"L'Unità" affronta il processo alla Volante Rossa con un atteggia-

mento di maggiore solidarietà e partecipazione rispetto a quello dimo-

strato nei giorni in cui a Milano iniziavano le indagini. Negli articoli

dell'inviato Ugo Arcuno i membri della formazione vengono ora defi-

niti ex partigiani e militanti di sinistra profondamente impegnati nelle

lotte politiche milanesi e che invece i giudici cercano di far apparire

come componenti di una organizzazione semiclandestina dedita a pre-

meditate azioni di violenza p~litica.~'

Anche il "Comere della Sera" segue l'evento con quotidiani reso-conti del dibattimento: il suo inviato Ferruccio Lanfranchi si dilunga

nella descrizione degli imputati e "colora" spesso i suoi articoli con

ipotesi sulla latitanza di Paggio, Burato e Finardi, che vengono segna-

lati ora in Italia, ora nella Legione straniera, più spesso oltre la cortina

di ferro, protetti dai regimi comunisti.52

"Confermo tutti i verbali da me resi ai carabinieri dichiarando che

le dichiarazioni da me fatte furono spontanee, escludo però l'accusanei riguardi del tenente Alvaro (il Paggio). Ho accusato il Paggio per

vendetta perché non mi ha dato il denaro che io gli chiedevo".s3

Eligio Trincheri conferma quindi davanti al Tribunale la sua secon-

da versione, quella ritenuta infondata dai giudici istruttori: Paggio non

è da considerarsi né il mandante né l'ideatore del delitto Ghisalberti.

Egli oltretutto dichiara di avere iniziato a frequentare la Casa del Po-

polo di Lambrate solo alcuni mesi prima degli omicidi.

Un altro dei momenti centrali del processo è la deposizione della

vedova Gatti che conferma di riconoscere in Giordano Biadigo l'uo-

mo coi baffi che sparò al marito, mentre il figlio Riccardo identifica,

da alcune foto, Giulio Paggio quale seconda persona presente la sera

dell'assassinio. Biadigo nega ripetutamente, affermando di aver sem-

pre portato, nel novembre 1947, una folta barba, come confermano

anche alcuni testi presentati dalla difesa.

Inoltre, diversi imputati fanno, davanti alla Corte, ammissioni limi-

tate e generiche rispetto a quelle rese nei giorni successivi all'arresto:

Reina e Tosato negano persino di essere stati membri della VolanteRossa, mentre Enrico Mondani sostiene di non aver mai saputo che la

Casa del Popolo di Lambrate fosse la sede della formazione.

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La Corte di Verona, con le sue prime conclusioni, opera alcune mo-

difiche rispetto alla sentenza di rinvio a giudizio del 7 aprile 1950:

vengono ritenute insufficienti, riguardo al reato di porto d'armi le pro-

ve a carico di Borghini, Alterchi, Comini e Dante Vecchio, mentre so-no da considerare colpevoli per lo stesso reato i soli Paggio, Biadigo,

Finardi, Burato e Trincheri; le imputazioni relative ai disordini di

piazza Belgioioso decadono in quanto coperte dall'amnistia del 26

agosto 1949; l'occupazione della Bezzi del 15 luglio 1948 andrebbe

imputata al solo Paggio, con conseguente assoluzione di tutti gli altri

imputati, perché lo si deve riconoscere ideatore ed organizzatore

dell'invasione della fabbrica. Nell'analisi del reato associativo, le os-

servazioni della Corte sono invece alquanto differenti da quelle della

sentenza istruttoria. I1 presidente Benedetti sembra non distinguere tra

due diverse organizzazioni ma ritenere che l'attività politica e com-

memorativa legale fosse semplicemente funzionale a quella clandesti-

na e violenta e ad essa strettamente correlata. Perciò egli elenca subito

i motivi per i quali la Volante Rossa non poteva definirsi una pacifica

associazione di ex partigiani. "Se gli scopi della Volante Rossa fosse-

ro stati quelli comunicati nella sentenza di rinvio a giudizio [mantene-

re vivo il ricordo della lotta partigiana e partecipare alle manifestazio-

ni commemorative ad essa dedicate] [...l essa non sarebbe stata cheuna inutile ripetizione dell'Anpi, inutile anche ai fini di soddisfare a

particolari esigenze di ex partigiani seguaci di ideologie di estrema si-

nistra, in quanto 1'Anpi dava più che sufficienti garanzie agli assertori

di tali esigenze".54Viste le evidenti affinità ideologiche con l'Anpi, si

chiede la Corte, perché sorse la necessità di costituire una nuova asso-

ciazione? Questa associazione, poi, non era aperta solo agli ex parti-

giani: ben otto dei suoi componenti (Burato, Dante Vecchio, Tosato,

Cassis, Lotteri, Angelo Vecchio, Cattaneo, Cavuoto) non lo erano maistati. Lo stesso inno della Volante Rossa, sequestrato al suo autore

Sante Marchesi, è utilizzato per provare come il ricorso ad azioni vio-

lente a sfondo politico fosse previsto e proclamato apertamente dalla

stessa organizzazione "ufficiale": "Siam partigiani di vecchie forma-

zioni di nuovo uniti per fare nuove azioni contro il nemico che ancor

ci spezza il cuore".ss

La Volante Rossa non deve essere dunque considerata una associazione diex partigiani [...l ma una formazione di parte che si prefiggeva, per il rag-giungimento dei suoi scopi, di valersi di metodi spicci, quali si potevano giu-stificare e comprendere all'epoca della lotta clandestina contro il nazifasci-

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smo però non dopo che questa era definitivamente venuta a cessare colla li-bera~ione.~~

L'esistenza di scopi ricreativi e commemorativi non viene messa

in dubbio. Ma pur riconoscendo queste finalità, la Corte si chiede

perché venga utilizzata la denominazione di "Battaglione d'assalto" e

ci si munisca di divise, manganelli e nomi di battaglia. "Tutto ciò fa

comprendere che accanto agli sbandierati scopi ricreativi, assisten-

ziali e patriottici, ce ne fossero degli altri che portarono la formazio-

ne ad agire, al cenno dei suoi capi, sul piano della violenza. Coll'esca

cioè di un programma di natura ricreativa (gite, balli), assistenziale

(dare lavoro ed aiuto ai disoccupati), patriottica (commemorare i ca-

duti e tener vivo il ricordo della Resistenza), si reclutavano delle for-ze giovanili pronte ad essere gettate in azioni ~iolente".~' el resto, la

Corte non intende ammettere giustificazioni politiche che possano at-

tenuare la gravità dei reati commessi: "si sono convinti i giovani in-

truppati nella Volante a passare, per gradi ad azioni via via sempre

più violente, per nulla giustificate da qualche effettivo atto terroristi-

co compiuto dagli avversa.ri, in quanto in ogni modo il buon cittadino

in uno stato retto da libere istituzioni democratiche, non deve pensare

di sostituirsi agli organi della pubblica amministrazione e farsi giusti-zia da sé".58

I1 dibattimento si conclude così dopo appena due settimane: il 21

febbraio, dopo otto ore di camera di consiglio, viene letta la sentenza.

La Corte ritiene colpevoli del reato di associazione a delinquere so-

lo sette persone (Paggio, Burato, Finardi, Comini, Biadigo, Marchesi

e Trincheri), mentre tutti gli altri vengono assolti per insufficienza di

prove. In pratica, l'accusa viene ristretta solo al "comandante Alva-

ro", ai sospetti esecutori dei tre delitti, al commissario politico Comini

e al "poeta" della formazione Sante Marchesi.

Giulio Paggio viene condannato per associazione a delinquere, por-

to d'armi, trasporto e occultamento d'armi da guerra, omicidio (Ghi-

salberti, Massaza e Gatti), sequestro di persona (Tofanello), devasta-

zione ("Meridiano d'Italiav), tentato omicidio (Margherita Gatti): la

pena complessiva è l'ergastolo.

Paolo Finardi ed Eligio Trincheri sono condannati per associazione

a delinquere, porto d'armi e duplice omicidio (Ghisalberti e Massaza).

Anche per loro la pena è l'ergastolo.Natale Burato è condannato per associazione a delinquere, porto

d'armi, sequestro di persona (Tofanello), devastazione della sede del

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"Meridiano d'Italia" e per l'omicidio Massaza: la pena complessiva è

l'ergastolo.

Giordano Biadigo è condannato per associazione a delinquere, por-

to e trasporto d'armi, l'assalto al bar di via Pacini, il sequestro Tofa-

nello, l'assalto al "Meridiano d'Italia7' e per l'omicidio Gatti: in com-

plesso 30 anni di carcere.

Sante Marchesi è riconosciuto colpevole di associazione a delin-

quere, assalto al "Meridiano d'Italia7'e al bar di via Pacini: la pena in-

flitta è di 9 anni e 4 mesi.

Luigi Comini è l'ultimo imputato a cui viene addebitato il reato as-

sociativo, oltre al porto d'armi e alla devastazione del "Meridiano

d'Italia7': la pena è di 9 anni.

Giovanni Losavio viene condannato quale mandante dell'omicidioMassaza alla pena di 9 anni e 4 mesi.

A Primo Borghini vengono inflitti 5 anni e 8 mesi; a 4 anni vengo-

no condannati Otello Alterchi, Mario Bosetti, Ferdinando Clerici, Ri-

naldo Ricotti, Ferruccio Tosi, Italo Zonato, Dante Vecchio, Ettore Pa-

trioli e Carlo Reina; Luigi Canepari è condannato a 2 anni e 8 mesi,

Emilio Tosato e Angelo Resentini a 2 anni. Enrico Mondani viene

condannato ad un anno e 6 mesi per detenzione d'armi. Angelo Maria

Magni è riconosciuto colpevole di favoreggiamento personale neiconfronti di Trincheri e condannato a un anno e 6 mesi.

Le condanne sono, nella maggior parte dei casi, inferiori a quelle

richieste dal PM Vital: la Corte non ha ritenuto sufficienti le prove a

carico degli imputati per quanto riguarda i reati "collettivi" (Bezzi,

Motta, piazzale Loreto) e persino Paggio, il comandante che avrebbe

dovuto essere sempre presente, viene assolto da queste accuse.

Altro dato da sottolineareè, inoltre, la differenziazione che la Corte

opera tra il delitto Gatti e i due delitti del27

gennaio 1949: per il pri-mo Giulio Paggio e Giordano Biadigo vengono condannati a 30 anni,

mentre per i secondi viene inflitto l'ergastolo non solo agli esecutori

ma anche al presunto organizzatore (Paggio). Si può ipotizzare (visto

che dagli atti non risultano precise motivazioni) che la Corte valuti

meno severamente l'omicidio Gatti, perché le relative accuse contro

Paggio e Biadigo si basano solo su di un incerto riconoscimento, men-

tre, per i "delitti del taxi", la chiamata di correo di Trincheri è una

prova ben più pensante. La ricostruzione dei due "delitti del taxi" ri-

calca comunque fedelmente quella dell'istruttoria: la ritrattazione di

Trincheri non è credibile, in quanto il motivo della vendetta nei con-

fronti di Paggio è ritenuto dai giudici troppo futile ed inconsistente;

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gli assassini hanno agito su ordini e direttive di Paggio in entrambi i

delitti; Losavio va considerato il mandante dell'omicidio Massaza in

quanto (secondo una logica alquanto contorta), sapendo che il Burato

faceva parte della Volante Rossa, doveva anche sapere che, mettendo

la sua vendetta nelle mani di quell'organizzazione, esponeva il suo

odiato capoufficio ad una morte sicura.

I magistrati non si soffermano neanche sulle particolarità dei due

delitti, come l'uso, decisamente anomalo, del taxi da parte degli as-

sassini, mentre la Volante Rossa aveva sempre agito utilizzando ca-

mion o biciclette. Anche questa volta si assiste al tentativo di dimo-

strare con poche fragili prove una verità evidentemente già stabilita a

priori e funzionale ad una precisa volontà politica: la Volante Rossa

va punita in maniera esemplare per scoraggiare chiunque a sinistrapensi ancora di ricorrere a forme di lotta politica ritenute estreme ed

illegali (quali anche occupazioni di fabbriche, scioperi e cortei non

autorizzati, rappresaglie contro gmppi neofascisti). Si vuole far capire

che lo stato ora è più forte rispetto all'irnrnediato dopoguerra e che

non consentirà più ribellioni o mobilitazioni di massa organizzate e

condotte fuori dai canali istituzionali contro la politica del governo.

I1 22 maggio 1951, dopo oltre due anni di latitanza, viene arrestatoPrimo Borghini, uno dei cinque componenti della Volante Rossa an-

cora in clandestinità.

Dovranno trascorrere altri due anni e otto mesi perché si svolga,

dal 16 al 21 novembre 1953, presso la Corte di assise e di appello di

Venezia, il processo di secondo grado: presidente è il dottor Guido

Pisani.

Anche a Venezia, Eligio Trincheri dà nuova prova della sua volubi-

lità e incoerenza, ritrattando le dichiarazioni fatte durante il processodi Verona e tornando a chiamare in causa Giulio Paggio quale man-

dante dell'assassinio di Leonardo Massaza, come aveva già fatto nel

corso dell'istruttoria, e ribadendo la matrice politica del delitto Ghi-

salberti. "Viene contestato all'imputato che dopo aver originariamente

chiamato in correità il Paggio ed aver successivamente ritrattato l'ac-

cusa, egli tomi a chiamarlo in correità, risponde: Io non ricordo bene

e tomo a confermare in pieno gli interrogatori resi in sede di polizia.

D.R. L'ordine di uccidere il Massaza fu dato nel giorno stesso. Non ri-

cordo se l'ordine fu dato a me o al Burato; non ricordo se il 27 gen-

naio 1949 ebbi l'occasione di vedere il Paggio, né ricordo altri parti-

Trincheri arriva così a smentire se stesso: non si comprende

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come possa affermare che il Paggio sia stato il mandante se non ricor-

da di averlo incontrato il giomo in cui gli è stato ordinato (da chi?) di

eseguire il secondo delitto.

"Interrogato sul movente che lo indusse a uccidere il Massaza ed ilGhisalberti l'imputato risponde: Oggi certamente non commetterei

dei delitti di cui mi sono reso responsabile. Bisogna però che io ricor-

di che ho partecipato seriamente ed attivamente alla lotta delle forma-

zioni partigiane e che di questa mia attività porto ancora le tracce sul

collo. Si spiega quindi come a quell'epoca io abbia pienamente aderi-

to alle idee suggestive dell'Alvaro, il quale sosteneva come cosa ne-

cessaria che si dovevano eliminare i fascisti che si erano macchiati di

azioni politiche e che erano riusciti a sfuggire alla gi~stizia".~"Questa continua alternanza di versioni crediamo si possa spiegare so-

lo con la fragilità psicologica di Trincheri e con le pressioni ed i consi-

gli ricevuti dell'estemo. Accusato Paggio per evitare pesanti ritorsioni

su di sé e la sua famiglia, Trincheri potrebbe poi aver deciso di scagio-

narlo per motivi di coscienza in seguito a pressioni da parte di esponenti

del Pci o delllAnpi. Ma vistosi infliggere una dura condanna in primo

grado, potrebbe aver deciso o essere stato indotto a tornare alla prima

versione per ottenere una pena meno pesante o migliori condizioni de-

tentive. Si tratta ovviamente di pure supposizioni logiche, ma resta se-

condo noi decisamente sconcertante il fatto che le accuse contro Giulio

Paggio per i due delitti del taxi siano state tutte confermate unicamente

sulla scorta di un tale screditato e sconclusionato testimone.

Nel suo interrogatorio, Giordano Biadigo, ritornando sulla questio-

ne del suo riconoscimento da parte della moglie di Ferruccio Gatti,

protesta la sua innocenza affermando che "La stessa Signora Bellinge-

ri non si mostrò mai né in sede di indagine, né successivamente, sicu-

ra del riconoscimento. Insisto nell'affermare che il 4 novembre io por-tavo la barba che avevo lasciato crescere fin dall'agosto precedente7'.6'

Luigi Comini cerca invece di ridimensionare l'attività della Volante

Rossa presentandola come associazione di ex partigiani costituita allo

scopo di mantenere vivo lo spirito e il ricordo della lotta di Liberazio-

ne. Egli inoltre contesta l'operato degli inquirenti nella fase istruttoria

affermando che "La chiamata in correità da parte di questi giovani fat-

ta in sede di polizia, trova la sua logica spiegazione nel fatto che, es-

sendo stata mossa ai componenti della Volante Rossa una serie di gravidelitti specialmente omicidi, questi giovani venivano con lo spaventar-

si e col ritenere opportuno ammettere fatti di minore importanza".62

Dopo appena una settimana il processo d'appello si chiude con al-

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cune importanti modifiche della sentenza di primo grado. Per il delitto

Massaza, la Corte esclude l'aggravante della premeditazione prece-

dentemente contestata a Paggio, Burato, Trincheri e Finardi: ciò per-

ché l'incarico di compiere il delitto venne dato solo poche ore prima

della sua esecuzione. La Corte ridimensiona così drasticamente il ruo-

lo avuto da Giovanni Losavio nel secondo delitto: essa ne decide la

scarcerazione ritenendo, giustamente, che l'indicazione fornita a Bu-

rato dall'impiegato della Olap sia stata autonomamente e arbitraria-

mente utilizzata dagli uomini della Volante Rossa per eseguire l'omi-

cidio di Leonardo Massaza. Importante ed anche imprevista è l'asso-

luzione di Giordano Biadigo dalle accuse di omicidio nei confronti di

Fenuccio Gatti e di tentato omicidio nei confronti della moglie, poi-

ché le testimonianze dei familiari di Fenuccio Gatti vengono ritenuteinsufficienti. Continua invece ad essere ritenuto attendibile il ricono-

scimento di Giulio Paggio.

La sentenza smantella un altro pilastro portante dell'istruttoria, os-

sia il legame tra Eligio Trincheri e la Volante Rossa: assolvendolo

dall'accusa di associazione a delinquere i giudici lo escludono dal

"nucleo ristretto" della formazione e attenuano così implicitamente il

coinvolgimento della Volante Rossa almeno nel delitto Ghisalberti.

Eppure, Paggio continua ad essere ritenuto il mandante di tutti e due i"delitti del taxi".

In conseguenza di tutto ciò la pena dell'ergastolo viene confermata

solo per Paggio e Finardi, mentre per Natale Burato l'esclusione della

premeditazione consente la riduzione della pena a 30 anni. Dimezzata

a 15anni la condanna di Giordano Biadigo.

Anche Eligio Trincheri si vede ridurre la pena dall'ergastolo a 30

anni. L'ipotesi che possiamo fare è che la generosità dei giudici abbia

voluto finalmente premiarlo per le sue confessioni: non si può fare a

meno di notare, infatti, che se i suoi capi di imputazione sono gli stes-

si di Finardi, tranne l'associazione a delinquere, le condanne inflitte

sono notevolmente diverse.

Per tutti gli altri imputati le condanne di primo grado vengono con-

fermate.

La caratteristica di tutta la vicenda giudiziaria della Volante Rossa

è dunque la progressiva riduzione del numero dei capi di imputazione,

della quantità degli imputati e della pesantezza delle pene. Ciò credia-

mo sia dovuto al graduale venir meno di quell'intento decisamentepunitivo e repressivo cui erano state improntate in particolare l'istrut-

toria e la sentenza della Corte di assise.

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I giudici possono così rinunciare alla severità delle pene ed alle ac-

cuse eccessive e generalizzate e cominciare a guardare i fatti con piil

obiettività. Non del tutto però: resta, anche nella sentenza di appello,

un palese intento persecutorio nei confronti di Giulio Paggio, conside-

rato organizzatore e responsabile di tutte le azioni della Volante Ros-

sa, anche in assenza di prove specifiche e riscontri oggettivi (l'unico,

fra le altre cose, ad essere condannato per "occupazione di azienda" -la Bezzi -, evento cui parteciparono centinaia di operai e militanti).

A questo proposito, un interessante documento contenuto negli atti

giudiziari, è la richiesta di ricorso per Cassazione inoltrata dall'avvo-

cato Aldo Bertasi, difensore di Giulio Paggio.'j3

Egli individua due precisi punti deboli nelle conclusioni dei giudicidi Venezia. Essi hanno ritenuto non probante e influenzato dalle circo-

stanze il riconoscimento di Giordano Biadigo da parte della vedova

Gatti mentre non si è posto assolutamente in dubbio quello di Giulio

Paggio, avvenuto sulla base di sole foto di giornali dove egli era chia-

ramente indicato come l'uomo "al centro con il cappello". Così facen-

do, la Corte ha scagionato Biadigo e Giulio Paggio è rimasto incredi-

bilmente il solo imputato per il delitto Gatti.

L'ostinazione nel voler addossare tutti i reati al comandante dellaVolante Rossa la si ritrova anche nella scelta di attribuire a Paggio

l'aggravante della premeditazione per il delitto Ghisalberti: sicura-

mente di omicidio premeditato si tratta, ma neanche Trincheri ha mai

affermato di aver tenuto sempre informato Paggio o di aver agito co-

stantemente sotto il suo controllo. Egli ha sempre detto di aver ricevu-

to un ordine o un'autorizzazione ma l'omicidio l'ha poi preparato e

organizzato con Finardi e solo con lui. Dunque coinvolgere Paggio,

secondo Bertasi, nella sua pianificazione è solo l'ennesima forzatura.

Quanto alle attenuanti politiche, già richieste da alcuni difensori al

processo di primo grado, Bertasi sostiene che esse vanno sicuramente

concesse per i reati commessi dalla Volante Rossa, così come furono

concesse nei processi contro partigiani responsabili di reati contro fa-

scisti e collaborazionisti nel 1945. Nel 1947-48 il clima politico-so-

ciale non è mutato poi di molto: vi è il risorgere di frange neofasciste

legali ed illegali ed un susseguirsi di attentati e di trame oscure. In tale

situazione, la dura reazione degli ex partigiani della Volante Rossa,

che durante la guerra avevano lottato contro il nazifascismo, va inparte compresa e contestualizzata.

Non è sufficiente obiettare, come fanno i giudici, che vi era uno

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stato, la nuova Repubblica, cui solo spettava il compito di reprimere

ogni attacco alla democrazia. in un periodo di violenza ed illegalità

diffusa, quale l'immediato dopoguerra, con una crisi economica gi-

gantesca e la debolezza e le incertezze degli apparati dello stato, era

inevitabile che chi aveva combattuto per la democrazia e per la li-

bertà, tornasse a farlo contro il risorgere della minaccia fascista.

I1 ricorso dell'avvocato Aldo Bertasi viene dichiarato inammissibi-

le dalla Corte di Cassazione il 25 febbraio 1955. Stessa sorte subisco-

no i ricorsi del PM e di altri dieci imputati (Alterchi, Borghini, Gandi-

ni, Tosato, Trincheri, Biadigo, Comini, Marchesi, Burato, Finardi).

Anche la Suprema Corte ritiene che la Volante Rossa fosse un'as-

sociazione a delinquere avente come unico scopo l'uso della violenzacontro tutti gli avversari politici e sociali: le finalità patriottico-ricrea-

tive erano solo attività di copertura per nascondere la reale attività cri-

min~sa.~"

Secondo i giudici Paggio è l'unico dei quattro uomini che fecero ir-

ruzione in casa di Ferruccio Gatti il cui riconoscimento è certo e inop-

pugnabile. Per quanto riguarda la sua responsabilità nell'omicidio

Ghisalberti, la Cassazione ribadisce il pieno coinvolgimento del capo

della Volante Rossa. Con una logica alquanto sbrigativa i giudici gliattribuiscono l'aggravante della premeditazione per il semplice fatto

di essere stato "tenuto sempre al corrente dell'attività delittuo~a",~~s-

sia di quel delitto che Trincheri confessa di aver pianificato con il solo

Finardi. In quanto comandante della formazione Paggio viene poi rite-

nuto responsabile di tutta l'attività criminosa nel suo complesso e ciò

rende impossibile anche la concessione di una qualsiasi attenuante.

La Suprema Corte conferma così pienamente le risultanze della

sentenza di appello, ricorrendo a volte a quei ragionamenti "spicci" e

superficiali e a quelle drastiche conclusioni che caratterizzano tutto

l'iter processuale. Con questa sentenza si concludeva, almeno dal

punto di vista giudiziario, la storia della Volante Rossa. Nei decenni

successivi però il ricordo della formazione di ex partigiani milanesi

era destinato a riaffiorare ogni volta che mobilitazioni antifasciste ed

operaie tornavano a far salire la tensione nelle aree industriali del

nord: segno evidente che il valore, anche leggendario, che quella lon-

tana esperienza di lotta aveva assunto non era stato affatto intaccato

né dalle strumentalizzazioni né dalla rimozione operata nei suoi con-fronti da parte del Pci.

I1 26 ottobre 1978, in piena emergenza terroristica, il neo eletto pre-

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sidente della repubblica Sandro Pertini firmava il decreto di grazia

presidenziale per Giulio Paggio, Paolo Finardi e Natale Burato, anco-

ra rifugiati nell'est Europa. La stessa grazia era stata già concessa ad

Eligio Trincheri, l'unico detenuto, il 14 luglio 1971.

Note

l Atti Parlamentari,Camera dei Deputati, Discussioni, 25 febbraio 1949.

Saveno Tutino, Segretezza assoluta sulle indagini dopo il viaggio del Qu estore aRoma, in "l'unità". 16 febbraio 1949.

'Verbale dei Carabinieri, 16 giugno 1946, p. 3.

*Verbale interrogatorio 16 febbraio 1949.Verbale interrogatorio 4 mano 1949.

Ibidem.' Verbale interrogatorio 12 febbraio 1949.

Relazione del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello

di Milano, 31 dicembre 1949. p. 5.

Sentenza della Sezione Istruttoria presso la Corte d'Appello di Milano, 7 aprile

1950, p. 69. Le parole di Bruno Bonasio sono riportate testualmente nel documento.

lo Relazione della Questwa di Milano al Procuratore della Repubblica di Milano,

28 febbraio 1949, p. 14.Le parole citate sono sempre di Bruno Bonasio.

l

Relazione al Procuratore Generale della Repubblica.24 novembre 1949, p. 31.l 2 Cfr. ivi, pp. 31-32.

l3 Verbale interrogatorio 23 febbraio 1949.

Verbale interrogatorio 2 1 febbraio 1949.

Verbale intemgatorio 4 mano 1949.

Verbale interrogatorio.

Verbale interrogatorio 6 mano 1949.

Verbale interrogatorio 7 mano 1949.

l9 Verbale interrogatorio 6 mano 1949.

m Verbali interrogatori.

Cfr. Danilo Montaldi, Saggio sulla politica comunista in Italia (19 19 -19 70 ),op.cit., p. 295.

Verbale interrogatorio 15 febbraio 1949.

Cfr. verbale interrogatorio 15 febbraio 1949.

Verbale intemgatorio 13 febbraio 1949.

25 Saverio Tutino, Scelba h a mentito, in "L'Unità", 27 febbraio 1949, p. 2.

m Cfr. verbale interrogatorio 6 luglio 1949.

n Verbale interrogatorio 24 giugno 1949.

" Da una conversazione di Giovanni Pesce con gli autori (Milano, aprile 1995).

"Rapporto della Questura al Procuratore Generale, 28 febbraio 1949, p. 13.

Sentenza Sezione Istruttoria presso la Corte di Appello di Milano, 7 aprile 1950,pp. 52-53.

Ibidem.M, p. 98.

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Relazione al Procuratore Generale della Repubblica, 24 novembre 1949, pp. 40-41.

Verbale interrogatorio Eligio Trhcheri 19 maggio 1949.

Memoriale di Eligio Trincheri, 11 ottobre 1949, p. 11.

M Cfr. Nazario Sauro Onofri, Il triangolo rosso (1943-1947).cit., pp. 178-180.

Relazione al Procuratore Generale della Repubblica, cit., p. 41.Ibidem.

39 Relazione del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello

di Milano, 31 dicembre 1949, p. 43.

"Dalla relazione peritale del professor 0.Vergani, p. 24.

41Relazione del Procuratore Generale della Repubblica, cit., p. 45.

42Ivi, p. 46.

43 Ivi, p. 30.

Ivi, p. 45.

" MCOMondani ha affermato, in un incontro con gli autori, che il ritrovamento

della rivoltella fu certamente una prova "costruita" ad arte per giustificare il suo coin-volgimento nella vicenda quale responsabile del Partito Comunista.

Sentenza Sezione Istruttoria, cit., pp. 72-73.

Ivi, pp. 76-77.

Q Ivi, p. 77.

49 Ivi,p. 82.

m Sentenza Corte di Assise di Verona, 21 febbraio 1951, p. 18.

"Cfr. "l'unità", 8-22 febbraio 1951.

' Cfr. "Comere della Sera", 8-23 febbraio 1951.

' Processo verbale di dibattimento de11'8 febbraio 1951, p. U4.

Sentenza Corte di Assise di Verona, cit., pp. 24-25." Cfr. Sentenza Corte di Assise di Verona, cit., p. 43. Vedi in appendice l'intero

testo dell'inno.

% Ivi, p. 26.

' Ivi pp. 28-29." Ivi, pp. 30-31.

59 Processo verbale di dibattimento, 16 novembre 1953.

Ibidem.61Processo verbale di dibattimento, 17 novembre 1953.

62Ibidem.

Cfr, Ricorso per Cassazione Avv. Aldo Bertasi."Vedi Acs, Sentenza della Corte di Cassazione, 25 febbraio 1955, pp. 4-5.

" vi, p. 10.

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111. Il contesto

"Vedo ancora la scena. Alle 11 in punto mi affaccio sul balcone. Su

tutte le ciminiere che riuscivo a scorgere c'era una bandiera rossa!

Uno spettacolo grandioso, anche se preoccupante sul piano politico.

Fu infatti l'unico guaio politico della insurrezione e dovetti faticare

tutto il giorno per correggerlo ..Ricordo che dissi agli operai: compa-

gni, non vi dico di tirar giù la bandiera rossa, ma mettete almeno il tri-

colore! Non è un'insurrezione comunista, è un'insurrezione naziona-

le! .l

I1 26 aprile 1945, la preoccupazione di Italo Nicoletto. comandantepartigiano della piazza di Torino, è certamente condivisa dalla mag-

gior parte dei dirigenti dei partiti di sinistra e dei Cln: ci si rende con-

to che le aspettative e le rivendicazioni della classe operaia e dei re-

parti garibaldini vanno ben oltre quello che la situazione militare e

politica consente in quel momento. Un documento della federazione

milanese del Pci testimonia in maniera molto chiara il clima di quei

giorni: "L'insurrezione in primo luogo ha determinato uno stato di

euforica aspettativa nelle masse. Molti hanno creduto alle virtù tau-maturgiche dei Partiti e degli Alleati che avrebbero dovuto rapida-

mente risolvere ogni crisi, eliminare ogni dolore. Parallelamente nella

classe operaia si concretava la coscienza della propria forza; ciò ha

provocato un fenomeno di supervalutazione infantile, per cui non si

voleva por fine all'atto insurrezionale quasi a trasformarlo in atto ri-

voluzionario risolutivo. [...l Né può dirsi che il fenomeno sia supera-

to: affiorano continuamente i tentativi di ottenere l'autorizzazione del

P. alla costituzione di organismi militari clandestini, e spesso nelleriunioni e nei comizi interventi e grida invocano il mitra e propongo-

no soluzioni illegali a problemi di l~ t t a " .~

Molti partigiani comunisti interpretano la partecipazione del Pci ai

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governi di unità nazionale come un temporaneo rinvio della vittoria

finale sulla borghesia che aveva sostenuto il fascismo ed assumono un

atteggiamento di diffidenza nei confronti delle nuove istituzioni. Tra

operai, militanti, partigiani, si diffonde la convinzione che la rinunciadel Pci alla rivoluzione sia solo un espediente tattico. Così agli Alleati

le formazioni garibaldine riconsegnano solo armi leggere, nasconden-

do quelle pesanti e gli esplosivi: ma non solo per questo motivo. Èmolto forte anche il timore di un ritomo del fascismo o di una reazio-

ne della destra, sostenuta dalla monarchia: in una situazione sociale

molto turbolenta, con istituzioni politiche fragili o inesistenti, la base

partigiana vede una implicita minaccia alla realizzazione degli obietti-

vi democratici della Resistenza e le armi nascoste in montagna o nellefabbriche servono a garantirsi dal pericolo di una svolta autoritaria. Si

tratta di una preoccupazione maturata anch'essa durante la Resisten-

za, tra quelle formazioni più politicizzate che avevano riflettuto con

maggiore lucidità sul futuro del paese. La formula di giuramento della

divisione Garibaldi Belluno, riportata da Claudio Pavone nel saggio

Una guerra civile, è, in questo senso, eloquente e significativa: "Giu-

ro di non deporre mai queste armi finché i principi di libertà e di de-

mocrazia progressista non vengano instaurati e di combattere ogni ri-

tomo offensivo del fascismo e della reazione antidemocratica e anti-

popolare che tentasse di strappare il potere agli organi rappresentativi

del p~polo".~

La nascita di formazioni di ex partigiani, come appunto la Volante

Rossa, va collocata all'intemo di queste due motivazioni di fondo,

l'attesa della rivoluzione e la vigilanza politica e anche armata contro

il fascismo e la reazione, che possono poi riassumersi sostanzialmente

in un'unica presa di coscienza: per una larga fascia di operai e parti-giani di sinistra la Resistenza non era stata che l'inizio della riscossa

delle classi popolari ed essa non doveva considerarsi affatto conclusa

ma occorreva continuare a lottare per l'effettiva realizzazione dei suoi

obiettivi (reale epurazione nella pubblica amministrazione, controllo

operaio della produzione, nazionalizzazione delle grandi imprese,

riforma agraria, democratizzazione delle istituzioni).

Alla costituzione di associazioni o gruppi di reduci partigiani con-

corrono poi gli intenti celebrativi, di cui si è detto nel precedente capi-tolo, nonché un elemento generazionale molto forte. Tutti gli aderenti

alla Volante, compreso il loro comandante, sono molto giovani, poco

più che ragazzi cresciuti nella lotta clandestina e nella guerra civile,

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fieri del loro status di combattenti e con la volontà di conservare la lo-

ro diversità anche nella vita civile. A questo aspetto si riferisce Gio-

vanni Pesce, quando li definisce "dei giovani che si davano un muc-

chio di arie, che gli piacevano le divise e volevano sfilare, quando

c'era uno sciopero erano davanti e tenevano le anni di nascosto. Pen-

sando a chissà che cosa. Non c'entra niente la politica, il governo. Era

spirito di avventura. [...l Volevano apparire come l'élite del movimen-

to della Re~istenza".~

I1 fallimento dell'epurazione, il permanere delle disuguaglianze

economiche create dalla guerra, le manovre volte a sabotare le con-

quiste politiche e sindacali della Resistenza (Cln e Consigli di gestio-

ne) forniscono poi ulteriori spunti al malcontento dei partigiani e li

spingono a tentare di mantenere in vita le loro formazioni o a conser-vare i rapporti di cameratismo con i vecchi compagni: per sostenere

rivendicazioni economiche, per combattere la disoccupazione dila-

gante, per far fronte alla crescente campagna anticomunista e antipar-

tigiana alimentata dai giornali e partiti di destra.

Nel caso della Volante Rossa occorre considerare che la maggior

parte dei suoi membri sono operai di quelle grandi fabbriche milanesi

dove, tra il 1945 e il 1948, una classe lavoratrice altamente sindacaliz-

zata e politicizzata conduce le prime battaglie postresistenziali controlicenziamenti, bassi salari e costo della vita. Alla solidarietà partigia-

na e reducistica, si intreccia così strettamente quella operaia, alle mo-

bilitazioni contro le trame fasciste, i giovani comunisti di Lambrate

affiancano immediatamente quelle contro le prepotenze del padrona-

to.

Gli obiettivi della Volante Rossa sono sostanzialmente due: l'indi-

viduazione e la punizione di elementi fascisti sfuggiti alla giustizia

nell'aprile 1945 o tornati in libertà dopo miti sentenze; il sostegno alle

lotte operaie, sia tramite la partecipazione a scioperi e manifestazioni,

sia con interventi anche violenti nei confronti di tutti gli "avversari di

classe" (capi, dirigenti, crumiri, guardie), nell'ambito di singole ver-

tenze. Le azioni della Volante avvengono spesso su sollecitazione di

altri partigiani od operai: anche gli atti processuali confermano l'as-

senza di una preciso disegno operativo della formazione e consentono

di ipotizzare che la sua attività fosse discontinua e comunque sempre

a seguito di eventi o circostanze connesse alla conflittualità sociale.

Tutto questo lascia presupporre l'esistenza di una rete di contatti, ap-poggi e consensi all'interno degli ambienti garibaldini e delle grandi

fabbriche di Milano. Un consenso naturalmente "sotterraneo", non

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estemabile, ma certo molto diffuso tra chi riteneva che per tenere a

bada fascisti e padroni occorresse ricorrere alle maniere forti, tra chi

vedeva indirettamente vendicate dalla Volante le delusioni e le soffe-

renze di quei primi durissimi anni di dopoguerra.

Oltre ad essere ex partigiani ed operai, gli uomini della Volante

Rossa sono però anche tutti o quasi militanti del Pci. Periodicamente

funzionari della federazione milanese arrivavano alla Casa del Popolo

di Lambrate per spiegare loro le posizioni del partito, ma, stando alle

testimonianze da noi raccolte, la Volante sembra avesse anche una sua

autonoma attivith politica, con riunioni in cui si discutevano problemi

della associazione e questioni relative alla realth sociale milanese. Dalpunto di vista ideologico, la speranza e la prospettiva era naturalrnen-

te la rivoluzione, ed il modello di riferimento era, oltre alla grande

esperienza sovietica, la Jugoslavia di Tito: se lì i partigiani erano riu-

sciti a realizzare il socialismo dopo aver sconfitto i nazifascisti, allora

si poteva tentare anche in Italia.

La linea politica del Pci all'indomani della Liberazione è invece

molto diversa. Togliatti giunge in Italia nel marzo 1944 deciso ad al-

learsi con gli alti partiti e stabilire un compromesso con la monar-

chia: egli si rende conto che ogni accelerazione del processo rivolu-

zionario potrebbe scatenare la reazione della borghesia, una nuova

guerra civile e l'intervento alleato. 11massimo obiettivo che il Pci può

invece prefiggersi in un paese che esce da venti anni di fascismo ed è

occupato da truppe straniere è quello di evitare il proprio isolamento e

di costruirsi una solida posizione all'intemo di un quadro istituzionale

democratico e repubblicano. Per realizzare questo obiettivoè necessa-

rio rinunciare ad ogni rivendicazione socialista o estremista e costmi-

re un'alleanza tra le classi popolari e la borghesia meno compromessae reazionaria, rappresentata dalla Dc e dagli alti partiti di centro.

Noi non possiamo più essere una piccola, ristretta associazione di propa-

gandisti delle idee generali del comunismo e del marxismo. [...l La nostra

politica deve essere tale che ci permetta di raccogliere in un blocco tutte le

forze antifasciste e democratiche, tutte le forze schiettamente nazionali, di

opporre questo blocco all'invasore tedesco e ai residui del fascismo, di

schiacciare il primo e distruggere i secondi, affinché in questo modo siano

create le condizioni per l'instaurazione ed il consolidamento di un vero e si-curo regime democratico.'

Noi facciamo una politica di alleanza di classi, questa è la verità; [...l. Da

questa politica ricaviamo determinate conseguenze nel campo politico; essa

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ci porta a compiere determinati atti, a dare determinati voti in Parlamento, acontenere determinate campagne, a limitare lo slancio aggressivo delle mas-se in determinati momenti per non compromettere i risultati che vogliamo ot-tenere e cioè di realizzare un'alleanza politica ed anche di classe con quelle

forze che possono essere nostre alleate nella lotta per raggiungere determina-ti obiettivi f~ndarnentali.~

Questa linea politica costituisce una fondamentale correzione di

rotta rispetto alla strategia adottata dal partito nel corso degli anni

trenta. Gli avversari da abbattere non sono più, per il "partito nuovo"

di Togliatti, il capitalismo e la borghesia, bensì il fascismo e quegli

strati sociali borghesi più retrivi e conservatori, considerati suoi soste-

nitori.

La dirigenza del Pci si rende conto che questa posizione mette il

partito in contrasto con le pressioni e le aspettative della base e dei

quadri locali: viene allora immediatamente avviata una lunga e diffici-

le campagna di propaganda e diffusione della nuova linea, in partico-

lare nelle federazioni delle grandi città industriali e in quelle nelle

quali è più forte la componente estremista. La relazione di Mauro

Scoccimarro al V Congresso della federazione milanese, nell'ottobre

del 1945, è un esempio perfetto delle argomentazioni con le quali ivertici del partito cercano di non deludere la base operaia, tentando

però di convincerla dell'opportunità di una politica più moderata e

della necessità di rinunciare ad una rapida realizzazione del comuni-

smo: "voi non potete mai pensare a una qualunque classe sociale di-

staccata dalle altre classi, pensare che i problemi di questa classe si

possano risolvere concretamente senza metterli in rapporto coi proble-

mi delle altre classi. Politica nazionale oggi vuol dire che la classe

operaia ha raggiunto un grado di sviluppo di maturità politica e i suoirapporti di forza con le altre classi si sono modificati, sviluppati in

modo tale che fanno della classe operaia la forza essenziale della dire-

zione politica".'

Proprio in quanto nuova classe dirigente, la classe operaia non può

più perseguire una politica ristretta ai propri interessi ma deve farsi

carico dei problemi di tutto il paese. Ed il primo problema è, per

Scoccimarro, il fascismo, i ceti reazionari. "Oggi per battere il nostro

avversario noi dobbiamo fare una politica che deve tener conto degli

interessi, delle esigenze di tutte quelle forze sociali italiane che posso-

no essere staccate dai gruppi reazionari, e portarle con noi a dare il

colpo definitivo alla reazione". E ancora: "Noi dobbiamo andare dalla

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parte dove sono gli alleati della classe operaia e fare della politica che

tenda a raccogliere intorno all'operaio tutti gli altri strati dei lavorato-

ri. Quello che dobbiamo tendere a neutralizzare, a impedire, è che le

forze della reazione siano attive contro di noi".8Scoccimarro giudica poi esplicitamente errata l'obiezione che molti

fanno a questa strategia e cioè che il Pci non deve partecipare alla ri-

costruzione di un sistema sociale capitalista ma puntare esclusivamen-

te ed immediatamente all'instaurazione del socialismo. Per il dirigen-

te comunista "il popolo non può attendere [...l. Ora noi dobbiamo ri-

costruire l'Italia su un piano che non può essere totalmente socialista.

Ma tuttavia non vogliamo nemmeno ricostruire l'Italia coi vecchi me-

todi del capitali~mo".~In un documento della Direzione nazionale, del luglio 1945, si rico-

nosce la giustezza delle aspettative dei militanti ma la conclusione è

la stessa: "È più che legittimo che gli operai e i lavoratori antifascisti

attendessero che i loro sacrifici per l'insurrezione fossero coronati dal

riconoscimento di questa loro funzione dirigente e dalla creazione di

un regime il quale, fondandosi sui Cln, realizzasse al più presto

l'unità della nazione sopra una nuova base di democrazia avanzata e

popolare. Esigenze di politica interna e internazionale lo hanno impe-

dito9'.'0 L'unica via per realizzare quella democrazia di ispirazione po-

polare è quella più lenta e graduale delle istituzioni democratiche nel-

le quali continuare ad applicare quel principio di unità nazionale già

sperimentato nella Resistenza.

Questi concetti, ripetuti in tutta Italia in comizi e riunioni, chiarissi-

mi ed espliciti nell'indicare il nuovo corso del Pci, lasciavano però

aperta una contraddizione di fondo: se la classe operaia era la "vinci-

trice sociale" della Resistenza, colei che doveva prendere in mano le

redini del paese, perché poi doveva allearsi con la borghesia? Sel'obiettivo futuro era ancora il socialismo, perché si doveva accettare

nel presente, in nome degli interessi nazionali, il sistema capitalista?

In questa contraddizione imsolta nasce e si alimenta l'idea della

"doppia linea": l'idea che l'egemonia operaia così fortemente procla-

mata non potesse non tradursi prima o poi in dittatura del proletariato,

l'attesa della resa dei conti che doveva inevitabilmente giungere alla

fine di questa temporanea ed innaturale alleanza tra classi antagoniste.

L'opera di convincimento e "rieducazione" dei militanti era inoltreostacolata da un'altra importante decisione presa in quel 1945. Allo

scopo di aumentare rapidamente il numero degli iscritti al partito, vie-

ne abolita ogni pregiudiziale ideologica. È sufficiente avere 18 anni

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ed accettare il programma politico e lo statuto; viene abolito anche il

periodo di prova durante il quale si doveva dimostrare la propria fe-

deltà e capacità: "il Partito accetta nelle sue file, in piena parità di di-

ritti e di doveri, tutti coloro che, pur non avendo ancora raggiunto una

perfetta coscienza teorica del moto storico a cui partecipano, sono di-

sposti a lottare per la conquista di una democrazia progressivaW.l'

Gli ambienti partigiani sono i più esposti alle tentazioni dell'estre-

mismo: fino a pochi mesi prima hanno impugnato le armi con la pro-

spettiva della vittoria del proletariato ed è difficile ora convincerli ad

accettare i tempi lunghi della democrazia. A Milano il ribellismo par-

tigiano è talmente diffuso da sfiorare l'insubordinazione.

Un lavoro paziente e lungo si è dovuto compiere nei confronti dei garibal-dini provenienti dalle disciolte Sap, che, immaturi politicamente, erano su unterreno di resistenza alle direttive del Partito, [...l sono giunti alla Federazio-

ne 0.d.G. votati in assemblee di Sapisti non convocate da alcun membro del

disciolto Comando Sap, in cui si avanzavano pretese assurde e si lanciavanoaccuse prive di fondamento. [...l I1 basso livello ideologico, l'influenza del

ventennale ambiente fascista, hanno favorito in piu d'uno l'orientamento

verso un servizio partigiano a vita, la scarsa voglia di ritornare al lavoro,

l'esibizionismo della divisa e del grado, il gusto della violenza come abitudi-

ne di vita. Questi elementi agitavano tra gli altri lo spettro della riscossa fa-scista, la necessità correlativa della epurazione illegale e cosi via, alimentan-

do la resistenza a consegnare le armi e a smobilitarsi, che trovava d'altrocanto un'altra causa nella difficoltà del riassorbimento al lavoro di molti

combattenti.12

Stesse resistenze al ritorno alla legalità, il Pci milanese le incontra

tra gli operai. Ma, a Milano come nel resto d'Italia, l'enorme sforzo

organizzativo del partito comincia a dare i suoi frutti e, assemblea do-

po assemblea, quadri e dirigenti riescono a calmare gli animi della ba-

se e a convincerla della giustezza della scelta della "democrazia pro-

gressiva". I1 messaggio che arriva alla base è però tale da lasciare spa-

zio alle speranze degli estremisti: ai suoi militanti il partito dice che,

nelle attuali condizioni, bisogna accettare la legalità e il metodo de-

mocratico ma che, gradualmente, lentamente, l'ora del socialismo co-

munque arriverà. La contraddizione di fondo resta così aperta e, pro-

babilmente, Togliatti si rende ben conto di questo, ma sa anche che ri-

solverla veramente e frontalmente significa rischiare la spaccatura delpartito o anche peggio. E su questa contraddizione tra partito demo-

cratico e partito della lotta di classe, il Pci cresce, si rafforza e i suoi

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dirigenti possono proclamare la rinuncia al socialismo, la condanna di

ogni violenza politica, la giustezza della alleanza con la Dc, in ogni

città e fabbrica, accolti ovunque dallo stesso entusiasmo, dallo stesso

dilagante consenso. Che era, beninteso, sincero e convinto per la mag-gior parte dei militanti: ma, per un'altra parte, quelle enunciazioni e

quei principi erano pura tattica o, nel migliore dei casi, la giusta linea

da seguire in quelle condizioni, ma destinata ad essere prontamente

abbandonata appena fosse giunto il momento di prendere il potere,

anche democraticamente.

Si spiega così il successo dell'operazione togliattiana di pilotare la

base del partito sulla nuova linea politica e la fedeltà assicurata al Pci

anche da coloro che, come gli ex partigiani di Lambrate, non condivi-

devano questa linea. Per gli uomini e le donne che erano diventati co-

munisti senza leggere i "sacri testi" ma organizzando scioperi, riunio-

ni clandestine, boicottaggi ed attentati durante la guerra di liberazio-

ne, la solidarietà operaia e l'antifascismo militante venivano prima di

ogni argomentazione teorica e di ogni predica della federazione: se i

discorsi di Togliatti affermavano altri valori, propositi più miti e mo-

derati, era solo perché il leader, nel suo ruolo istituzionale, non poteva

che dire quelle cose, recitare quella parte. Anche le testimonianze rac-

colte sulio stato d'animo degli ambienti operai e partigiani in queglianni a Milano, confermano come la tanto vituperata "doppiezza" non

fosse uno stratagemma dei vertici del Pci, ma un atteggiamento tipico

dei militanti di base, specie i più giovani: "perché noi dicevamo 'Eh

Togliatti, lui lascialo dire, perché lui deve tenere' [...l. La via italiana

al socialismo fece molta fatica ad essere digerita ma non era osteggia-

ta, faceva parte del doppio binario, loro dicono così però noi andiamo

avanti cosà, eravamo tollerati perché, 'beh son giovani, lasciamo che

si sfogano; [...l però non avevamo da nessuno l'imprimatur, no, erava-mo noi che ..".l3 Questo atteggiamento è confermato anche dall'inter-

vento di Pietro Vergani, un dirigente milanese del Pci: "da parte di

molti compagni la nostra parola d'ordine per la democrazia progressi-

va comincia a venire considerata come un trucco, una specie di para-

vento per arrivare a una lotta armata".14

Proprio la convinzione della strumentalith della linea democratica

portava questi militanti a periodiche dimostrazioni delle loro propen-

sioni estremiste, che turbavano e sumscaldavano il clima delle singo-

le federazioni, dove quadri e dirigenti sindacali dovevano ogni volta

impegnarsi in una delicata e difficile opera di repressione e persuasio-

ne.

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"Abituati ad agire in prima persona, a rispondere immediatamente

a ogni provocazione con prontezza ed energia, i quadri comunisti di

base nella fabbrica usavano ancora quei metodi di lavoro acquisiti

nella lotta armata. [...l Questi quadri attivi di partito erano però sem-

pre disposti - magari a seguito di tempestose riunioni - ad attuare le

direttive provenienti dalla federazione, e nella fabbrica erano conside-

rati spesso dagli operai come fedeli esecutori di una linea, gli attivisti

erano infatti pronti ad eseguire gli ordini del partito, nella radicata

convinzione che fosse in atto una manovra tattica di accerchiamento

della borghesia che induceva temporaneamente alla prudenza".15

Ma ciò che più di ogni altro fattore impediva la rottura aperta tra

estremisti e dirigenti era il fatto che, per le masse proletarie, partito e

classe erano la stessa cosa: il partito poteva sbagliare ma era inconce-pibile mettersi contro di esso o pensare di costituire un partito a sini-

stra del Pci. A questo tipo di militanza comunista più agguemta, pro-

blematica, insofferente dei vincoli della legalità e della democrazia,

appartiene anche l'esperienza della Volante Rossa: i partigiani di "Al-

varo" riconoscono il partito e aderiscono a tutte le sue iniziative, an-

che se continuano ad usare metodi violenti ed illegali, nelle fabbriche

e contro i fascisti, violando i continui richiami della federazione.

In merito a presunte complicità nell'attività illegale della Volanteda parte di ambienti o singoli esponenti della federazione milanese del

Pci, si è già detto nel capitolo I1 come non sia stata raccolta dagli in-

quirenti alcuna prova al riguardo. Vi è invece molto spesso una con-

trapposizione netta tra l'estremismo di alcune frange di militanti e i ri-

chiami alla disciplina della dirigenza.

All'interno della federazione milanese erano certamente in molti ad

avere sospetti sulle attività della Volante Rossa, ma solo quei pochi

che avevano contatti più stretti con "Alvaro" ed i suoi potevano averenoczie più precise.

E però del tutto strumentale e mistificante l'idea che la Volante

agisse su ordine di qualche dirigente e che fosse "il braccio armato del

Pci" o uno di quei reparti del fantomatico esercito rivoluzionario co-

munista.16 Bisogna considerare che il ricorso ai metodi di lotta speri-

mentati durante la Resistenza era un fenomeno diffuso tra tutta la

classe operaia milanese e non esclusivo appannaggio della Volante

Rossa. Nella federazione l'influenza e il condizionamento di questa

classe operaia erano preponderanti e si impersonavano nella figura

dello stesso segretario Giuseppe Alberganti. Per questa ragione, i diri-

genti locali incontravano sempre molte difficoltà a fare accettare alla

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base la linea democratica del partito e a spezzare quell'orgoglioso set-

tarismo operaio che era la causa prima del permanere delle tendenze

estremiste. In alcuni ambienti partigiani questo settarismo si traduce-

va spesso in disprezzo per le altre classi sociali e nella tentazione diaffrontare il vecchio e il nuovo fascismo con le maniere forti. In occa-

sione della rimozione del prefetto Troilo questo estremismo si affac-

cia persino sulle pagine del periodico dell'Anpi milanese: è il 28 no-

vembre del 1947 e si diffondono le prime voci sulla decisione di Scel-

ba. "Che il governo revochi o no il suo provvedimento è un episodio

che ha un valore puramente formale che non può turbare la decisione

dei milanesi. Voglia o non voglia il Governo, per loro il prefetto è e

sarà Troilo [...l. Un partigiano delle formazioni autonome, Donno, ha

parlato di occupazione della Prefettura. E perché no? Crede, onorevo-

le Scelba, che sia una cosa molto difficile? Noi già una volta le abbia-

mo consigliato di revocare un suo provvedimento, ma lei è testardo e

vuol fare di testa sua e si mette sempre contro il popolo; gioco perico-

loso, onorevole, perché dai oggi, dai domani, poi ci si lamenta se ma-

gari si finisce attaccati per i piedi al telaio di un chiosco di benzina.

P.S. I milanesi di solito sono brava gente ma un po' nervosi se contra-riati>, 7

Come dimostra anche il linguaggio, l'articolo, non fumato, provie-ne certo da ambienti di base del movimento partigiano. E tanta durez-

za era e resterà tipica solo di questi ambienti. Non a caso, nel numero

successivo si sottolinea la pacificità della occupazione della Prefettura

e la mitezza dei milanesi, smentendo clamorosamente l'articolo pre-

cedente: "Non sappiamo quel che avverrà, ma è certo che il nome del

prefetto poco importa. In fondo, non è il prefetto che fa il popolo, ma

è il popolo che forma il prefetto. [...l E i milanesi penseranno a forma-

re il nuovo prefetto con la loro forza e saggez~a".'~Non mancavano dunque le bacchettate (e le disillusioni), esplicite e

implicite, per le Frange dell'estremismo comunista, ma visto il con-

senso di cui godevano tra operai e partigiani gruppi come la Volante

Rossa, era molto difficile, in quel momento, che una federazione a co-

sì forte componente operaia decidesse di agire apertamente contro di

loro.

Ben diverso era l'atteggiamento della dirigenza nazionale, la quale

aveva subito condannato ,risolutamente eccessi ed estremismi. Nel

giugno 1945, in una riunione della Direzione del nord Italia, Luigi

Longo rilevava che "nel campo dell'epurazione si commettono illega-

lità che devono essere stroncate. Noi non possiamo più permettere che

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si sopprimano persone alla chetichella, anche perché questi sistemi

possono dar luogo ad equivoci tragici. L'epurazione deve essere fatta,

ormai, in veste legale attraverso i Tribunali stra~rdinan".~~uccessi-

vamente, in un articolo su "l'unità", Longo si esprimeva in maniera

ancor più netta, senza alcuna ambiguità:

In molti bravi combattenti della guerra di liberazione naziona le c'è males-sere ed incertezza sulla via da seguire. Le cose non vanno come dovrebberoandare: non si epura, non si democratizza, non si ricostruisce. Alcuni pensa-no che si può porre rimedio facendo da sé, alla vecchia maniera partigiana.Altri esitano o si scoraggiano o abbandonano la partita. Errore gravissimo.Oggi non si tratta piil di ribellarsi contro un regim e, ma di costruire il nuovoordine che le battaglie e le vittorie di ieri ci permettono di elaborare nell'at-mosfera e nella disciplina dem ocratica.[ ..l Qualunque richiamo a ritornareall'adozione delle vecchie forme della lotta partigiana, da qualunque parteesso provenga, quale sia l'animo con cui si accoglie, non può non costituiredi fatto, un a ttentato alla libertà e a lla democrazia."

Gli stessi concetti vengono ribaditi da Mauro Scoccimarro ai comu-

nisti milanesi, nella relazione di apertura alV Congresso della federa-

zione: "Alle provocazioni fasciste noi dobbiamo rispondere con i

mezzi dell'azione legale e con la lotta disciplinata di massa. Non dob-biamo lasciarci trascinare sul terreno della violenza illegale; ciò signi-

ficherebbe favorire il gioco delle forze reazionarie le quali hanno inte-

resse a dimostrare che oggi in Italia è impossibile la costituzione di un

regime demo~ratico".~'

Non si può certo affermare che su questo tema le dichiarazioni del-

la dirigenza lasciassero spazio ad ambiguità e doppiezze: ma l'agita-

zione degli animi e le ferite ancora fresche della guerra rendevano dif-

ficile un rapido passaggio alla pacificazione politica e sociale.

Quanto a Togliatti, la sua diffidenza nei confronti degli ambienti

partigiani è risaputa. Egli ne spiega le ragioni in una riunione del Pci

del nord Italia.

I1 legame che unisce le masse a i partiti democratici è un legame recente,molto contingente e non molto profondo ideologicamente [...l. Quindi peri-colo di atti d i violenza, turbamento dell'ordine pubblico causati da elementidemocratici sempre, ma sviati, e il pericolo di un afflusso delle masse nelcampo delle correnti antidemocratiche... Per esempio la questione dei parti-giani.

L'esperienza nostra e di tutti i tempi, credo anche della rivoluzione russa,è che una volta finito il combattimento i tentativi di porre l'organizzazione

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come tale sul temno civile sono sempre falliti. Per questo sono molto scetti-co sul mantenere un fronte partigiano. [...l

Non possiamo noi mantenere un fronte garibaldino legale accanto all'Anpi,dobbiamo quindi chiedere che tutte queste associazioni vengano sciolte. Bi-sogna fare in modo che queste siano sempre forze di riserva, e di avanguar-dia per la nazione, ma poco più di questo, e dobbiamo stare molto attenti per-ché questo è il campo dove le provocazioni possono fiorire [...]. Per far fron-te a questo pericolo deila provocazione dobbiamo orientare il nostro partito,e decisamente dobbiamo prendere posizione contro ogni sopravvivenza dipartigiani."

La battaglia contro l'estremismo partigiano ed operaio si presenta-

va particolarmente delicata e difficile. E non solo per le simpatie e lecomplicità di cui gli elementi più accesi godevano in alcune federa-

zioni. Bisognava riuscire ad isolarli ma anche far fronte alle continue

accuse di sovversivismo lanciate contro il Pci dai partiti di centro e di

destra, dimostrando ai ceti borghesi, dei quali si cercava il consenso,

che il partito comunista era sinceramente democratico ed aveva ab-

bandonato ogni velleità rivoluzionaria.

Alla fine del settembre 1946, Palmiro Togliatti giunge a Reggio

Emilia, nel cuore di una zona dove si verificano da tempo numerosi

delitti nei confronti di possidenti, ex fascisti e presunti collaborazioni-

sti: il fenomeno ha assunto dimensioni molto preoccupanti ed offre ai

giornali e alle destre lo spunto per continui attacchi al Pci e agli am-

bienti partigiani. Proprio in ragione di ciò, sostiene Togliatti nel suo

discorso cittadino, è assurdo pensare che gli autori di quei crimini sia-

no militanti o partigiani; è probabile e più logico che l'intento princi-

pale dei loro autori sia invece quello di screditare i comunisti. "La

realth è che i delitti che oggi macchiano alcune zone emiliane sono

senza dubbio dovuti a elementi squilibrati e sbandati, non legati a nes-sun partito politico, ma dietro di essi è molto verosimile che si trovi la

mano e l'intenzione di chi si serve del delitto a scopo di provocazione

politica".23

Ma in un secondo discorso, rivolto in un teatro ad una platea di soli

iscritti, il leader comunista non parla più di provocatori esterni bensì di

elementi interni o contigui al partito e attacca esplicitamente le tenden-

ze estremiste, criticando la federazione per non aver saputo anticipare

e bloccare il diffondersi di queste tendenze negli ambienti partigiani.

In particolare, vi invito a stare attenti alle penetrazioni nel partito di cor-renti di tipo estremista [...l. Queste tendenze possono manifestarsi in uomini

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che hanno un buon passato, che hanno partecipato attivamente alle organiz-zazioni comuniste, ma che oggi hanno perduto ogni legame con l'avanguar-dia proletaria e sono diventati servi di ideologie straniere, quando non sonodiventati servi dei nemici peggiori che abbiamo. Dovete condurre una grande

azione, nelle sezioni, di chiarimento, di discussione politica sul partito e at-traverso questo voi vedrete coloro che parlano con ingenuità e coloro cheagiscono m alignamente. Siate vigilanti e dove scoprite il nome di questi indi-vidui, scacciateli dal partito. Questa vigilanza la dovete esercitare su queglielementi che avanzano in questo campo con le bandiere del sinistrismo, agi-tando chissà quali programmi che dovrebbero essere veri programmi rivolu-zionari. Siate quindi vigilanti in questo campo e fate un'energica epurazionede l partito."

I due discorsi di Reggio Emilia sintetizzano l'atteggiamento deivertici del Pci nei confronti dell'estremismo partigiano e delle tenden-

ze rivoluzionarie. Con le stesse ostilità e preoccupazioni era certa-

mente visto il permanere di queste tendenze anche tra gli operai e i

partigiani milanesi. Ma, con l'estromissione del Pci dal governo e con

la costituzione del Fronte democratico popolare si verifica una svolta.

La lotta politica si inasprisce e si concentra sullo scontro elettorale

dell'aprile 1948. Su di esso il Pci riesce a convogliare tutto il movi-

mento operaio e partigiano, anche le frange filorivoluzionarie: questeultime mettono da parte i loro dubbi e si impegnano nelle battaglia

elettorale poiché vedono nella conquista della maggioranza parlamen-

tare il primo passo per la presa del potere; viceversa Togliatti non ha

alcuna intenzione di governare da solo ma spera che una forte affer-

mazione convinca De Gasperi a ripristinare il tripartito. In questa fase

di grande sforzo organizzativo, il Pci ha però bisogno di tutte le ener-

gie e di garantirsi il massimo consenso tra la base.È in questo momento che avviene l'inserimento della Volante Ros-

sa nell'organizzazione milanese del Pci: alla formazione di "Alvaro"

vengono attribuiti compiti di sorveglianza e sicurezza ed essa assurge

a grande notorietà quando le viene affidato il servizio d'ordine del VI

Congresso nazionale del Pci, che si tiene a Milano nei primi giorni del

1948. "Voce comunista", organo della federazione, dedica al coman-

dante "Alvaro" persino una caricatura urn~ristica.~~

Per la Volante Rossa l'ingresso nell'apparato ufficiale del partito

costituisce una prestigiosa attestazione di stima e fiducia; per il Pci

l'intento è duplice: gratificare in qualche modo certi ambienti parti-giani, per riavvicinarli al partito ma anche cercare di controllare me-

glio tutta l'attività della Volante.

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Di fatto, nel corso della campagna elettorale del 1948, le azioni "il-

legali" della formazione si infittiscono, ma sono dirette sempre contro

il Msi e la destra anticomunista. La situazione sociale è comunque

ben più tesa rispetto all'immediato dopoguerra. La sfida tra i dueblocchi politici assume toni asprissimi e da entrambi le parti si teme

che gli eventi precipitino. Se Scelba cerca di assicurarsi l'appoggio

militare americano in caso di colpo di stato comunista, nel Pci tutti,

compreso Togliatti, hanno sentore che la Dc e la borghesia non accet-

teranno la vittoria elettorale comunista e scateneranno una guerra ci-

vile. In quei mesi tornano allora protagonisti i partigiani: nelle fabbri-

che, nelle grandi città o in campagna, si tirano fuori le armi, si prepa-

rano piani di resistenza e rifugi, si accantonano provviste. Tutto in vi-sta dell'inevitabile "scontro fmale". In quei mesi anche i vertici del

partito collaborano probabilmente a questa attivith clandestina o co-

munque la ritengono opportuna. I gruppi estremisti non vengono più

perseguiti ed isolati ma il partito cerca di assicurarsene la collabora-

zione e di usare il loro fermento come spauracchio nei confronti delle

destre, per scoraggiare ogni tentazione golpista.

I1 pericolo di una reazione militare anticomunista dopo la fine della

Resistenza era stato una costante preoccupazione di Togliatti: in parti-

colare, egli temeva che l'attivith di provocatori fascisti alimentasse di-

sordini e tumulti allo scopo di aprire la strada ad una repressione auto-

ritaria. Nel gih ricordato primo discorso di Reggio Emilia c'è un passo

che mostra come Togliatti avesse quindi coscienza dell'utilith "virtua-

le" dell'estremismo partigiano. Con un pizzico di ironia, il segretario

del Pci dice che se le destre non credono al disarmo partigiano, "ciò

non è sempre male, perché serve, se non altro, come un freno alla rea-

zione. Se nel mese di giugno, dopo il referendum, non si fosse creduto

che i partigiani erano armati e pronti a rintuzzare ogni tentativo di ri-volta antidemocratica dei monarchici, forse questa rivolta ci sarebbe

stata!".26 Quindi una accorta gestione del fermento partigiano poteva

non solo evitare quegli eccessi che causavano danni al partito, ma for-

nire anche un'ulteriore arma di intimidazione dell'avversario politico,

da usare in casi estremi.

Un'azione anticomunista era però da escludersi finché i1 Pci fosse ri-

masto al governo: ma la rottura democristiana della coalizione tripartita

e la massiccia campagna di stampa, partita subito dopo, volta a presen-tare il Pci come partito eversivo e antidemocratico, rendevano più cre-

dibile, agli occhi degli stessi dirigenti, la prospettiva di una messa fuori

legge del partito o di una repressione violenta contro di esso. A quel

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punto neanche Togliatti si sente più di escludere una guerra civile. Laparola d'ordine diventa: prepararsi all'attacco della reazione, ed il lea-der la lancia proprio a Milano, capitale della Resistenza e centrodell'estremismo partigiano. Alla tribuna del VI Congresso della federa-zione milanese, nel novembre 1947, egli afferma: "Nella politica inter-na il compito principale è di far fronte ad ogni tentativo di ripresa delleforze reazionarie e stroncare nel germe, con misure di governo e conazioni di massa, le rinascenti organizzazioni fasciste. [...l Vogliamoconquistare una democrazia progressiva, vogliamo farlo, sino a che è

possibile, in forme pacifiche, ma siamo decisi a far fronte in tutti i mo-di a ogni tentativo di ripresa reazionaria e fascista". Ancora più esplici-to un dirigente milanese, Piero Montagnani: "In casi di emergenza noi

dobbiamo saper scavalcare la legge e passare nell'illegalità, non quellaindividuale, ma quella collettiva che ottiene il consenso delle masse po-polari"." In occasione del congresso nazionale, sempre a Milano, To-gliatti sarà ancora pih esplicito: "Seguiamo una linea di azione demo-cratica, ma non ci lasceremo sorprendere da nessuna provocazione, danessun piano reazionario. Abbiamo dietro di noi l'esperienza dellaguerra partigiana. Questa esperienza hanno decine di migliaia di giova-ni e di adulti, i quali hanno imparato a servirsi delle armi per difendere

la libertà e l'indipendenza della patria e i quali, se si creasse una situa-zione in cui, come molte volte nel corso dei rivolgimenti democratici,la libertà dovesse essere difesa e riconquistata anche con le armi, sa-prebbero fare ancora una volta tutto il loro dovere verso la democraziae verso la loro patria".28

Anche per queste ragioni, in una Milano scossa, come il resto d'Ita-lia, dalla violenza politica di destra e di sinistra, la Volante Rossa puòintensificare le sue azioni, beneficiando della tolleranza degli stessi

vertici della federazione. L'inasprimento della lotta politica contribui-sce infatti a rafforzare l'equivoco della "doppia linea": "L'l1 aprile,parlando in piazza del Duomo, a Milano, di fronte ad una folla imrnen-sa, Togliatti aveva terminato il discorso dicendo: 'E se non vinciamo,vinceremo'. Quasi preoccupato di un'euforia di vittoria che la propa-ganda stessa del partito aveva alimentato, egli voleva ricordare chequella battaglia non era l'ultima, decisiva; voleva preparare ad altre lot-te. Gli applausi scroscianti mostrarono che la cosa era stata capita inben altro modo: e se non vinceremo con le schede, vinceremo con le-i>'.29 Ma la sconfitta elettorale del Fronte popolare e il fallimentodello sciopero insurrezionale del 14 luglio 1948 dovevano porre fine adogni tolleranza verso gli estremisti e a tutte le illusioni rivoluzionarie.

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I1 16 luglio 1948 la federazione era riuscita a bloccare, stando

all'anonimo teste di Cesare Bermani, i partigiani della Volante Rossa

prima che assaltassero una importante caserma dei carabinieri (Vedi

cap. I pag. 50). Probabilmente è anche per questa ragione che a Mila-no la protesta non diventa battaglia di strada, come accade invece a

Genova e in altri centri minori. Nondimeno, anche a Milano per molte

ore la reazione operaia e popolare era sfuggita al controllo del partito:

come in molte altre zone d'Italia, la base comunista si era immediata-

mente mobilitata, convinta che l'attentato a Togliatti segnasse l'inizio

di quella tanto paventata repressione anticomunista. Lo scarto tra ver-

tici e base era così clamorosamente emerso: per la Volante Rossa e

per le frange più estreme lo scontro frontale ed aperto era una prospet-tiva attesa ed auspicata e dunque le condizioni create dall'attentato

andavano esasperate e la situazione prerivoluzionaria portata ad un

punto di non ritorno; per la dirigenza del Pci lo scontro andava invece

evitato e, poiché si trattava di un gesto isolato, la mobilitazione, per

quanto massiccia, doveva avere un carattere non eversivo.

I1 partito riesce a porre fine all'agitazione in virtù dell'assoluta fe-

deltà dei militanti alle sue direttive: anche gli uomini della Volante

non possono che obbedire all'ordine della federazione. Ma la delusio-

ne è fortissima e per la prima volta dalla base del partito giungono vi-

vaci proteste nei confronti delle scelte dei vertici. Per il Pci milanese è

un momento molto delicato: nella riunione del 21 luglio tutti i diri-

genti approvano la decisione di far cessare lo sciopero. I1 segretario

Alberganti elogia "la formidabile forza della classe operaia" e afferma

di avere "la sensazione che il ceto medio sia stato mosso e guardi a

noi con più simpatia". Poi aggiunge "La nostra azione ha influenzato

in senso positivo Genova e Torino", quasi a esaltare la capacità mo-

strata dalla dirigenza milanese nel controllare la reazione operaia. Al-berganti inoltre rileva come alcuni dirigenti del partito "si sono lascia-

ti prendere la mano e i garibaldini hanno preso la direzione". Anche

altre voci (Gruppi e Novella) si levano a criticare l'estremismo di al-

cuni ambienti partigiani e la scarsa preparazione ideologica della base

operaia che hanno determinato, non solo a Milano, il ricorso a forme

di protesta violente ed illegali. Vi è invece una parte dei dirigenti che

assume un atteggiamento più comprensivo nei confronti della base e

che attribuisce la responsabilità dell'incomprensione tra militanti e di-rigenza anche ad errori del partito. D'Ambrosio osserva come "Non

tutto l'atteggiamento dei compagni di base è negativo. La loro delu-

sione denota il loro entusiasmo e la loro volontà di lotta. Sarebbe ma-

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le presentarsi nelle sezioni e nelle fabbriche dando loro la colpa della

loro incomprensione". Giovanni Pesce rileva come sia stata l'incapa-

cità esecutiva dei responsabili di sezione a lasciare la direzione dello

sciopero nelle mani dei partigiani. Per Belloni "I1 disorientamento

venne ai compagni anche dalle notizie che arrivavano da altri centri

dove si era superata la barriera della legalità. D'altra parte già prima

dell'attentato c'era uno spirito di lotta assai vivo e un desiderio di agi-

tazione e di lotta più a fondo. Le masse sono partite già prima che ci

fossero direttive. A un certo punto sembrava realizzarsi il momento

atteso già da tempo, sostenuto dai discorsi di alcuni dirigenti". Muzio

afferma "che nei compagni non ci sono idee chiare e noi facciamo

troppo poco per chiarirle e per spiegare gli obiettivi della nostra lot-

ta". Montagnani nota che "Come buon risultato, abbiamo avuto che icompagni dopo questa esperienza hanno sentito il desiderio di farsi

una cultura politica, infatti in questi giorni sono stati venduti dalla fe-

derazione metà degli opuscoli che vi giacevano di Estremismo malat-tia infantile". Alberganti, nell'intervento conclusivo, fa in parte auto-

critica ma ribadisce la "Necessità di risolvere il problema dei garibal-

dini: è vero che essi hanno fatto dei passi avanti, però bisogna interve-

nire con tatto ma anche con energia per impedire che essi si sovrap-

pongano ai dirigenti di partito. La chiarificazione nel partito deve es-sere continuata iniziando un'opera metodica di approfondimento dei

problemi. I gruppetti organizzati di dissidenti devono essere indivi-

duati e si deve provvedere. Non è solo un problema di ufficio-quadri,

ma bisogna che ogni compagno responsabile faccia un'opera di inda-

gine e ~mascheramento".~~

I1 giorno dopo l'organo della federazione pubblica un commento di

Luciano Gruppi che si rivolge con perentoria chiarezza a tutti coloro,

partigiani e non, che criticano il partito per non aver guidato le masse a

alla presa del potere, e che ancora sperano in un imminente sbocco ri-

voluzionario.

L'aver fatto cessare lo sciopero è stato invece un gesto di grande maturitàe consapevolezza politica, e dimostra l'elevato senso di responsabilità, neiconfronti del movimento operaio e della nazione, dei dirigenti sindacali e deidirigenti comunisti. I...] È indubbio che tanto è il malumore e il disagio deilavoratori, così grave è stato il crimine commesso , così grande è la responsa-bilità nell'attentato del governo De Gasperi, che le avanguardie, la parte piùcombattiva dei lavoratori, si è gettata nella lotta con la speranza che questapotesse concludersi, con la parola 'fine' per il regime di ignominia e oppres-sione che la Dc ha instaurato nel nostro paese. E i lavoratori hanno dimenti-

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cato, per il momento, quello che noi abbiamo sempre insegnato: che la paro-la 'fine' si deve porre e si porrh al regime reazionario, ma attraverso una lun-ga e costante serie di lotte delle masse popolari, nel quadro della legalità de-mocratica e repubblicana,mentre non si pub pensare di intraprendere, nt noi

vogliamo intraprendere, una via così dolorosa come quella dell'insurrezionepopolare.

L'idea che si potesse giungere anche a degli sviluppi insurrezionali b in-vece stata la prima idea fallace che si b generata-nel caldo della lotta -nel-la parte pib avanzata e combattiva dei lavoratori.

Non c'è, invece, in Italia, nt ci può essere, l'obiettivo dell'insurrezione

popolare contro il regime reazionario borghese. Mancano, percht questoobiettivo si possa realizzare. due condizioni fondamentali:

1. il disfacimento dello Stato borghese [...l

2 . una volontà unitaria nelle masse lavoratrici, di abbattere - anche conla violenza - l regime reazionario della borghesia."

Facile immaginare cosa abbiano significato queste nette considera-

zioni per gli uomini della Volante Rossa: se il 15 luglio era stato per

loro il momento della rabbia e della delusione, il 22 luglio e i giorni

seguenti rappresentano certo il momento in cui la stessa esistenza del-

la formazione viene messa in discussione. Quale senso poteva ancora

avere nascondere le armi, e agire nell'illegalità se la lotta doveva or-

mai condursi esclusivamente sui binari della democrazia parlamentare

e delle istituzioni repubblicane?

Certamente il partito ha ancora bisogno di un servizio d'ordine effi-

cace e la Volante Rossa ha ancora bisogno del riconoscimento del par-

tito. Dunque l'attività prosegue, ma con intenti diversi, le azioni di

forza si riducono e si concentrano sul terreno sindacale.È probabilmente solo la virulenza della campagna antipartigiana,

con le clamorose sentenze Ricci e Borghese a riaccendere negli animi

l'odio antifascista e a risospingere la Volante verso i vecchi metodidella giustizia partigiana.

Nel corso del febbraio 1949, l'inchiesta sui "delitti del taxi" e sulla

Volante Rossa scatena a Milano una intensa e a volte fantasiosa carn-

pagna di stampa: si denuncia l'esistenza di squadre di sicari e picchia-

tori pagati e diretti da esponenti della federazione comunista, si affer-

ma che è giunta finalmente l'ora di finirla con le prepotenze degli

operai e lo spadroneggiare dei partigiani. I1 Pci risponde inizialmente

accusando dei due delitti i soliti ignoti provocatori, poi, man mano

che emergono accuse sempre più schiaccianti contro la Volante, il par-

tito tenta esclusivamente di scagionarsi e di negare qualsiasi coinvol-

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gimento nell'attività della formazione di Lambrate. La stessa posizio-

ne viene sostenuta da Casali e Muneghina negli interrogatori in que-

stura (vedi cap. 11, p. 75).

Chi tenta invece di comprendere e giustificare gli eccessi e i crimi-ni della Volante Rossa è proprio Palmiro Togliatti. Alla vicenda egli

dedica un editoriale su "l'Unità" del 20 febbraio 1949: dopo aver de-

nunciato l'ondata repressiva di cui sono oggetto i partigiani, egli os-

serva come la situazione italiana non possa non alimentare il loro ri-

sentimento. "L'ideale di libertà e giustizia [...l che riscaldò nella lotta

i loro cuori, lo vedono calpestato, irriso. Combattevano per un ordine

politico e sociale diverso, nuovo, più giusto ed umano: ora vedono ri-

sorgere nelle forme più odiose tutta la vecchia società dove la sorte

dei lavoratori è di essere soltanto sfruttati e perseguitati, costretti allo

sciopero, alla lotta diuturna per ogni pezzo di pane". E conclude: "Lo

so meglio di voi che rispondere con atti di esasperazione e terrore a

una situazioneè un errore grave. [...l Condanniamo e respingiamo nel

modo più energico gli atti di terrore, veicolo, tra l'altro, di delinquen-

za comune e di provocazione; ma in pari tempo vogliamo capire su

quale terreno questi atti maturano, perché essi sono sintomo, sempre o

quasi sempre, di situazioni gravi, di squilibri politici e sociali su cui a

lungo non ci si regge. L'abisso invoca l'abisso. Su questa nostra so-cietà italiana grava oggi il peso del tradimento. È il tradimento di co-

loro che dissero di voler liberata l'Italia dal fascismo, e cioè dalla leg-

ge brutale del ricco contro il povero, dalla tracotanza del privilegiato

contro il lavoratore, dalla violenza dello Stato al servizio dei potenti

contro i cittadini che anelano a libertà e giustizia,- e tutte queste pro-

messe hanno violato e so tterrat~".~~

Quanto al Pci milanese, anche se ufficialmente nega ogni rapporto

con la Volante Rossa, è difficile credere che contemporaneamente nonabbia preso le proprie iniziative per ricostruire la verità sugli omicidi

del 27 gennaio 1949. Ed è altrettanto difficile pensare che la fuga

all'Est di Paggio, Finardi e Burato non sia stata decisa e organizzata

negli ambienti del partito, forse anche a livello nazionale.

Tra la condanna esplicita e forte di ogni estremismo e la protezione

accordata a militanti ricercati per reati politici, la contraddizione è so-

lo apparente. In una situazione di pesante conflittualità politica occor-

reva sottrarre all'avversario (destre e governo democristiano) ognielemento di cui esso potesse pretestuosamente avvalersi per inasprire

la polemica e la repressione anticomunista. Bisogna inoltre tener con-

to che se le iniziative reazionarie del governo, l'odio contro il rina-

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scente fascismo, le dure lotte sindacali, potevano spingere gruppi di

militanti a ricorrere alla violenza o alle armi, gli stessi motivi spinge-

vano certamente alcuni dirigenti a condividere le ragioni di fondo di

quella violenza e ad avere nei confronti dei responsabili di reati politi-ci sentimenti ben diversi da quelli professati pubblicamente. Qualche

anno fa anche Pietro Ingrao ha ammesso e giustificato le coperture

della stampa comunista sulla questione dei delitti partigiani con l'im-

possibilità di scrivere e spiegare la verità nel momento in cui si com-

batteva una dura guerra di trincea, che obbligava a stare da una parte

o dall'altra, e fino in fondo.

Salvammo partigiani colpevoli di delitti? È possibile. E non mi sottraggo

alla responsabilità.E non sono convinto che fu per il "bene del partito". I1 ra-

gionamento era altro e più alto. [...l Solo gli strateghi da caffè possono pen-

sare che sia stato facile dire ai partigiani, dopo quella guerra atroce, quel cu-

mulo di rovine, quelle torture: adesso tornate a casa e buttate via le armi che

avete conquistato rischiando la vita. Togliatti si era assunto il pesante compi-

to di amnistiare i fascisti. Forse solo lui poteva farlo. Ma non ci voleva trop-

pa sapienza per capire che quella amnistia non poteva reggere se si scatenava

un'ondata di processi contro i partigiani, anche per delitti realmente com-

messi. I1 ragionamento era politico e nazionale; e scavalcava l'interesse del

partito. Per chi visse quegli anni non ci vuole molto a capirlo."

Per il Pci di quegli anni, i partigiani della Volante furono quindi dei

"compagni che sbagliano". Per i tre sui quali gravavano le accuse più

pesanti si aprirono le porte dei paesi dell'Est, dove essi condussero

una vita comunque molto difficile.%Per tutti gli altri, il partito, dopo

essersi tirato fuori dalla vicenda nel 1949, assumerà invece un atteg-

giamento nettamente favorevole durante il processo di Verona nel

1951.Resta però il sospetto che dietro la sconfessione della Volante Ros-

sa da parte del Pci si nasconda un implicito messaggio per tutti i mili-

tanti di base: su certi eccessi il partito non avrebbe, d'ora in poi, né

tollerato, né coperto più nessuno. Perduto lo scontro elettorale e

scomparsa, con la salda conquista democristiana del potere, la pro-

spettiva di un colpo di stato anticomunista, l'estremismo partigiano

tornava ad essere un fenomeno da combattere ed estirpare. È una

svolta che appare tanto più evidente se la si confronta con il contem-poraneo inasprimento della repressione poliziesca contro il Pci, che

diventerà in quegli anni sempre più antidemocratica e sanguinosa.

Commentandone alcuni episodi, ben più gravi di quelli avvenuti du-

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rante la campagna elettorale del 1948,Togliatti non dirà più di tenersi

pronti al peggio ma: "non cadete nella provocazione dell'avversario,

ma mantenete intatta la vostra forza, la vostra organizzazione e la vo-

stra capacità di combattimento e conducete tutte le lotte che la Costi-

tuzione italiana, che il regime democratico, che noi abbiamo instaura-

to. vi autorizza a condurre".35

Note

AA.VV. L'insurrezione in Piemonte, Milano, Franco Angeli, 1987, p. 25 1.

Apc, Federazione milanese - Rapporto politico organizzativo, 25 aprile-30 giu-

gno 1945, p. 4.Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resisten-

za, Torino, Bollati Boringhieri, 199 1, p. 56.

Da una conversazione di Giovanni Pesce con gli autori (Milano, aprile 1995).

Palmiro Togliatti,La politica di unità nazionale dei comunisti, 11 apnle 1944, in

Opere, Roma, Editori Riuniti, 1984, vol. V, pp. 17-18.

Apc. Direzione, 16-18 apnle 1947, intervento di Palmiro Togliatti, verbale n. 6,

p. 51.

Gianfranco Petrillo,I congressi dei comunisti milanesi 1921-1983, Milano, Fran-

co Angeli, 1986, p. 161.

Ivi, p. 165.Ivi, p. 170.

'O Apc, Direzione, 30 giugno-3 luglio 1945.

l1 Due anni di lo tta dei comunisti italiani, Roma, Pci, 1948, p. 15.

Apc, Federazione milanese, Rapporto politico organizzativo, 25 aprile-30 giu-

gno 1945, pp. 8-9.

Da una conversazione di Giuseppe Granelli, operaio di Sesto San Giovanni, con

gli autori (Sesto San Giovanni, apnle 1995).

l4 Apc, Verbale riunione Comitato federale milanese, 8 settembre 1947, p. 13, fo-

glio 1401704.

l5 Liliana Lanzardo, Clas se operaia e partito comunista alla Fiat, Torino, Einaudi,1971, pp. 48-49.

l6 Come ipotizza, ad esempio, Pietro Pastorelli in La politica estera italiana neldopoguerra, Bologna, 11 Mulino, 1987, p. 115.

Milano in subbuglio per il suo Prefetto, in "n Settimanale", 45, 28 novembre

1947.

l8 Scelba non ci conosce, in "I1 Settimanale", 46,6 dicembre 1947.

l9 Apc, Direzione Pci (Italia Nord), 8 giugno 1945, p. 3.

lo Luigi Longo,La via da seguire, in "l'Unità", 22 agosto 1945.

"Apc, Relazione di M. Scoccirnarro al V Congresso della Federazione milanese,

12- 14 ottobre 1945, p. 9."Apc, Direzione Pci (Italia Nord), 5 agosto 1945, p. 18.

l3 Palmiro Togliatti,Ce to medio e Emilia Rossa, 24 settembre 1946, in Politica na-zionale e Emilia Rossa, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 45.

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Palmiuo Togliatti, Un partito di governo e d i massa, 25 settembre 1946, in Poli-tica nazionale e Emilia Rossa , cit.. pp. 53-54 e p. 65.

Cfr. "Voce Comunista", 10 gennaio 1948.

Palmiro Togliatti, Ceto medio e Emilia rossa, cit., p. 46."

Gianfranco Petrillo, op. cit., p. 208 e 218." Palmiro Togliatti,Rapporto e conclusioni al V I Congresso del Partito comunistaitaliano in Opere, cit., vol. V, pp. 413-414.

29 Luciano Gruppi, Introduzione a P. Togliatti, Opere, cit., vol. I, p. XCIII.

Apc, Riunione del Comitato Federale, 21 luglio 1948.

" Luciano Gmppi, Falso , a lso, falso, in "Voce comunista", 29,22 luglio 1948." Palmiro Togliatti, I delitti di Milano , in "l'Unita", 20 febbraio 1949.

"Pietro Ingrao,Le cose impossibili, Roma, Editori Riuniti, 1990, p. 46.

Per le vicende di alcuni comunisti espatriati in Cecoslovacchia, si veda il roman-

zo di Giuseppe Fiori, Uomini ex , Torino, Einaudi, 1993.

35 Palmiro Togliatti, Spezzare la spirale dell'odio , 21 maggio 1949, in Politica na-zionale e Emilia rossa, cit., pp. 227-228.

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IV. Conclusioni

Sulla vicenda della Volante Rossa è gravato, per lunghi decenni, un

silenzio totale, interrotto solo dal citato saggio di Cesare Bermani,

uscito per altro su di una rivista di estrema sinistra negli anni settanta:

della Volante non si sono più occupati né i dirigenti, né gli storici, uf-

ficiali e non, del Pci.

Negli archivi che il Pci ha reso accessibili ai ricercatori, non vi so-

no tracce, di una discussione nel partito, che pure deve esserci stata, e

anche aspra, a Milano come a Roma, quando il caso Volante Rossa è

esploso, nel febbraio 1949. Ancora oggi chi voglia avventurarsi in una

ricostruzione degli eventi si scontra con reticenze, inviti a lasciar per-dere, considerazioni sull'opportunità di affrontare un tema che può

esporre la sinistra ad attacchi strumentali.

Che si tratti di una storia scomoda è indubbio: non solo la Volante

Rossa, ma tutta la questione dell'estremismo partigiano ed operaio,

della sua forza, dei suoi rapporti con il partito è stata sempre più mar-

ginalizzata dalla storiografia ufficiale del Pci, sino ad essere, in tempi

recentissimi, quasi totalmente rimossa. Ed è stato certo sempre molto

fastidioso ed imbarazzante, per un partito comunista che aveva accet-tato il capitalismo, la democrazia parlamentare e poi anche la Nato,

sentirsi ricordare un passato in cui buona parte dei propri militanti

parlava di rivoluzione, economia socialista ed esaltava Stalin e 1'Urss.

Probabilmente lo è ancora oggi, a causa dell'antico "vizio" comunista

di mostrarsi sempre coerenti, di non ammettere mai di aver cambiato

idea, di lavare i panni sporchi in casa propria, di nascosto. Eppure

proprio Togliatti, ricordava Pietro Secchia nel 1973, considerava "fal-

sa, lontana dalla realtà e da essa contraddetta" una ricostruzione stori-

ca del movimento operaio in cui tutto appaia come "una ininterrotta

processione trionfale". Perciò Secchia sosteneva la necessità di una

storia della Resistenza che affrontasse anche le questioni più spinose

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per il Pci: "Né mi convincono i ragionamenti del 'mala tempora cur-

runt', del viviamo in un momento in cui il Pci è oggetto di attacchi da

molte parti e di conseguenza dovremmo evitare esami autocritici che

possono sempre essere sfruttati dall'avversario. A parte che l'argo-mento potrebbe eventualmente avere un qualche valore se si trattasse

di problemi e della politica di oggi e non di questioni che appartengo-

no ormai alla storia e risalgono a trent'anni fa".'

Una parallela rimozione nei confronti di quei primi anni di dopo-

guerra è stata però operata anche da tutte quelle forze politiche che

hanno sempre presentato la Repubblica come frutto della lotta di tutto

un popolo impegnato nel suo "secondo Risorgimento". Seguendo le

vicende della Volante Rossa ci si accorge invece di come la Repubbli-ca sia nata anche "contro" una certa Resistenza e come una buona

parte delle classi popolari abbia presto cominciato a considerare il

nuovo ceto politico al governo il degno erede dell'apparato fascista.

Certo, poi gli odii si sono placati, sono venuti tempi di maggior pro-

sperità, ma allora, il modo in cui la magistratura gestiva i processi ai

fascisti, le iniziative liberticide del Ministero dell'Interno, gli scanda-

losi arricchimenti degli speculatori, tutto o quasi tutto negava e calpe-

stava le speranze della Resistenza e della nuova Repubblica.

Ma parlare della Volante Rossa è scomodo e difficile anche per i

suoi protagonisti. Quando abbiamo iniziato questa ricerca eravamo

convinti di trovare nei pochi sopravvissuti una volontà di raccontarsi

pari almeno alla durata dell'oblio in cui era caduta la loro storia. Ci

siamo invece ben presto accorti che non avevamo a che fare con i

classici partigiani pronti a narrare le loro vicende. I1 rifiuto di divulga-

re quell'esperienza, manifestato con rabbia persino dalla vedova di

uno dei membri della Volante, ci ha fatto capire quanto dolore perso-

nale ci sia in questa storia. Un dolore che può significare senso di col-pa, rabbia o altro, ma che dimostra come la vita di queste persone, an-

che dei loro familiari, sia stata sconvolta da qualcosa che è accaduto

dopo il 27 gennaio 1949, qualcosa che li ha trasformati da eroi popo-

lari, osannati e applauditi da tutti, in capri espiatori, in assassini messi

alla gogna, disprezzati ed abbandonati. Perciò è più che naturale che

anche quei pochi rimasti in vita cerchino oggi solo di dimenticare:

comprendendo il loro silenzio, noi speriamo solo, con questa ricerca,

di non avere aumentato la loro sofferenza, come pure quella dei pa-renti delle vittime.

I1 risultato di questa triplice rimozione storica (dei protagonisti, del

partito, degli storici di ogni colore) è stato la nascita di un mito. Tutti

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hanno sentito parlare della Volante Rossa ma pochi sanno esattamente

cosa essa sia stata. Si è così spianata la strada ad ogni tipo di giudizi

ed alle più facili strumentalizzazioni, di destra e di sinistra.

In diversi hanno creduto di vedere nella Volante Rossa e in tutta la

cosiddetta "Resistenza rossa" una delle manifestazioni di quell'estre-

mismo rivoluzionario operaio che è poi riemerso, in particolare dalla

fine degli anni sessanta a quella degli anni settanta. Così c'è chi so-

stiene che "Questo settore politico della 'Resistenza tradita', che ave-

va dato vita al gruppo armato Volante Rossa nell'immediato dopo-

guerra, lo ritroveremo frequentemente nella storia dei successivi

trent'anni della Rep~bblica".~

Vi sono stati, del resto, gruppi terroristici che si sono richiamati alla

Volante Rossa: una formazione minore di Prima Linea3 e, a Roma, i"Compagni organizzati in Volante Rossa", a cui è attribuita l'uccisio-

ne dell'attivista missino Angelo Ma n ~ i a . ~roprio il fronte dell'antifa-

scismo militante è quello che si trova, negli anni settanta, su posizioni

molto vicine a quelle della Volante: la differenza fondamentale, quella

che impedisce ogni parallelo, sta nella matrice operaia della formazio-

ne di "Alvaro", la quale non era certo un'isolata pattuglia di giustizie-

ri ma aveva un rapporto stretto, organico, con la base operaia milane-

se. Ciò a cui si richiamano i movimenti extraparlamentari degli annisettanta è in realtà la leggenda della Volante Rossa. Ugualmente

infondato è anche il confronto che fa, da destra, Silvio Bertoldi, tra

Volante Rossa e Brigate Rosse, tra Renato Curcio e Giulio paggi^:^ la

Volante non si è mai contrapposta al Pci come gruppo militante auto-

nomo; le formazioni terroristiche degli anni settanta proponevano, al

contrario, una strategia politica rivoluzionaria che prescindeva netta-

mente dal partito comunista, considerandolo anzi un avversario da

contrastare.

Invece anche al Pds fa paradossalmente comodo presentare i briga-

tisti come dei nipotini di Giulio Paggio: "Abbiamo condannato feno-

meni come la Volante rossa. I figli spirituali di chi si comportò in quel

modo si ritrovarono nelle Br".6 Ma la leggenda della Volante continua

a colpire, insieme magari ad altri miti più recenti dell'attuale sinistra

giovanile e di "movimento": "Volante Rossa Zapatista" è la sigla che

si sono dati gli anonimi autori di un attentato incendiario ad un club di

Forza Italia. avvenuto in una città veneta nel 1994.

Pur con l'ingenuità e l'immaturità politica dei suoi componenti,

l'esperienza della Volante Rossa appartiene comunque a quel movi-

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mento popolare che tentava di riproporre nell'ltalia del dopoguerra i

valori della lotta partigiana e della solidarietà di classe così come era-

no maturati nel corso della Resistenza. Non solo conservandone la

memoria, ma soprattutto con l'intenzione di delineare per il partigia-nato una nuova funzione sociale in tempo di pace. Giulio Paggio ed i

suoi uomini sembrano considerarsi una sorta di "guardie della rivolu-

zione", garanti e custodi delle grandi promesse della Resistenza, pron-

ti ad intervenire contro chi tenta di negare quelle promesse e di ripor-

tare indietro la storia. La loro ostinazione nel credere che il partigiano

possa divenire il primo e più alto tutore della nuova Italia antifascista

si unisce a quella che un compagno partigiano di "Alvaro" ha definito

"una radicale volontà di cambiamento": "Si pensava che ormai aves-simo messo il mondo, non solo l'Italia, su dei binari che dovevano

condurci verso la pace universale, verso la libertà, la giustizia, la de-

mocrazia. E non è stato tosi".'

Senza mai porsi come elitaria avanguardia ma cercando sempre il

contatto con le masse operaie, la Volante Rossa ha così combattuto la

sua vana battaglia contro l'inevitabile restaurazione politica e sociale.

La Resistenza aveva insegnato a quegli uomini che la loro libertà po-

teva cambiare il corso della storia; il dopoguerra li ha visti invece

sconfitti anche dall'eccessiva fiducia riposta in quella libertà. Se c'è

un senso nel rileggere oggi questa vicenda forse è proprio questo: an-

che la libertà conquistata diventa inutile o disperata, se non si riesce a

farne buon uso; anche il pii3 generoso e possente movimento di lavo-

ratori, di popolo, di massa, diventa impotente e cieco se non è guidato

da un progetto di cambiamento chiaro, praticabile e realmente condi-

viso.

Una delle ragioni che ci ha spinto sulle tracce della Volante Rossa è

stata, in tempi in cui il revisionismo storico tenta una riscrittura stru-mentale della storia più o meno recente, la necessità e il desiderio di

riscoprire un pezzo del nostro passato prossimo, ritenendo che la pra-

tica della memoria sia un potente antidoto all'inciviltà, alla confusio-

ne, alla deriva del qualunquismo. Quando però ci siamo resi conto che

non saremmo potuti arrivare alla verità storica sulla Volante Rossa,

abbiamo pensato di dare a questo limite un suo senso. Questo libro

non vuole quindi presentare una verità definitiva ma tentare di co-

struire un discorso sul contesto e sulle cause della verità, affinché an-che da questa memoria lacunosa, da questi dati contraddittori sia

ugualmente possibile trarre delle conclusioni e aprire nuove riflessio-

ni. Questo perché, come ha scritto Brecht, "Quando si vuole scrivere

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efficacemente la verità su certe condizioni deplorevoli, bisogna scri-

verla in modo che se ne possano riconoscere le cause evitabili. Quan-

do le cause evitabili vengono riconosciute, le condizioni deplorevoli

si possono ~ombattere".~

Note

l Pietro Secchia,Il Partito comunista e la guerra di liberazione 1943-1945, Mila-

no, Feltrinelli, 1973, p. 18.

Nanni Balestrini, Primo Moroni, L'orda d'oro 1968-1977, Milano, SugarCo,

1988, p. 11.

Cfr, Progetto Memoria, La mappa perduta, Roma, Sensibili alle foglie. 1994, p.

29.

Cfr. Sandro Provvisionato, Adalberto Baldoni, La notte più lunga della Repub-blica, Roma, Serarcangeli, 1989, p. 320.

Cfr. Silvio Bertoldi, Dopoguerra, Milano, Rizzoli, 1993, pp. 59-61

Così si b espresso Ugo Pecchioli nel corso della sua visita al Congresso di Fiuggi

di Alleanza Nazionale (Cfr. "I1 Manifesto", 29 gennaio 1995).

Da una conversazione di Orazio Pizzigoni, partigiano ed ex corrispondente

dell'"Unità", con gli autori (Milano, aprile 1995).

Bertolt Brecht, Cinque difficoltà per chi scrive la verità, in Scritti sulla letteratu-ra e sull'arte, Torino, Einaudi, 1975, p. 123.

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Appendice

Inno della Volante Rossa

Qui vi presento la Volante Rossa

Siam partigiani di vecchie formazioni

Di nuovo uniti per fare nuove azioni

Contro il nemico che ancor ci spezza il cuor

I1 capo Al è un partigiano in gamba

Comanda tutti, ma è sempre in prima lineaÈ un po' nervoso, ma noi lasciamo fare

Ci guida bene e lotta con ardor

Mister Luisott ci fa da commissarioÈ un partigiano che vien dalla Val Grande

Siam sempre uniti nelle gioie e nei dolor

O partigiani della Volante Rossa

Già due dei nostri son stati requisiti

Uno è in guardina l'altro a San Vittore

Manun e Mila che sempre son nel cuor

Di tutti noi che pur si lotta ancor

Ci scrive Mila dalla sua prigione

Partigiani della Volante Rossa

Non vi scordate del vostro giuramento

Lottar si deve per riscattar l'onor

Contro il nemico che vuole eliminarci

Contro i soprusi di tutta la reazioneSiam sempre pronti per qualunque azione

Per ricacciar nel fango tutti i traditor

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Lettera scritta da Magni Angelo Maria detenuto nelle Carcerigiudiziarie di M ilano

Milano 15.12.49Miei carissimi zii.

Eccomi con questo scritto, per esprimervi tutta la mia contentezza e

la gioia per la vostra visita.

Se sapeste quanto bene mi a fatto questo vostro collloquio, quelle

vostre parole di comprensione a riguardo mio, innanzi tutto miei cari

devo ringraziarvi di quello che mi avete lasciato e delle parole dette a

me e Tina di conforto e di speranza, son contento di quello che mi

avete fatto sapere di Mario, Albertina, Ughetto ecc., son contento del-

la loro buona salute, e di tutti.

Cosa ve ne pare di questo bel posto? brutto è? brutto si, ma molto

istruttivo, qui si impara a vivere a conoscere quanto e cattivo e egoista,

il mondo qui c'è di tutto buono e cattivo, colpevole e innocente, qui

c'è tutto ciò che la cosiddetta società a rifiutato (991100 di questa so-

cietà e dirigenti, il suo posto e qui) Operai, Intellettuali, Dottori, Inge-

gneri, Avvocati, gente colpevole e non colpevoli costretti a rubare per

non morire di fame, gente che volevano dir la sua ragione o esprimere

la sua idea, e pretendere quello che ci aspetta di diritto, che questo co-siddetto governo democratico (ironia) ci toglie e per compenso ci butta

in galera, fra i veri ladri, rapinatori, truffatori, fascisti a marcire.

Tanti come mè son qui, o commesso un reato, si, va bene, ma per-

che o commesso questo reato? se ci avrebbero dato o riconosciuto

quello che ci aspetta, nè mè, nè tanti altri non avrebbero nascosto le

armi, con quelle armi abbiamo conquistato una specie di libertà, (ri-

cordiamoci una spece di libertà, perche se eravamo liberi oggi non sa-

remmo in queste condizioni) e volevamo difenderla per noi e in ricor-do dei nostri motri e invece ci buttano in galera oltraggiano i nostri

ideali i nostri morti tutto ciò che noi combattenti della libertà abbiamo

di più sano e di più caro.

La democrazia italiana oggi onora i traditori, quelli che ieri ci spa-

ravano alle spalle, e di noi? di noi anno paura, e per questo ci buttano

in prigione, perche? traditori erano prima, traditori sono oggi, traditori

saranno domani, prima la camicia nera era fino a metà persona, oggi o

paura che arriva fino ai piedi, a dire tutto ciò che il mio cuore e il mio

animo sente, ci vorrebbero non dei fogli di lettera ma dei volumi, la-

sciamo perdere per ora (c'è un proverbio che dice, tutti i nodi vengo-

no al pettine, e anche questi nodi qualche giorno verranno)

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quando verro a trovarvi dopo la mia uscita di qui, tante cose avrò di

raccontarvi, c'è nè sara di belle di sentire, e come agisce la cosidetta

liberta italiana.

Altro non dico, qui fa un freddo cane, non badate alla mia scrittura

o le mani freddo e faccio molto fatica

saluti a tutti parenti, amici con un presto arrivederci

vostro nipote che sempre vi ricorda

ciao

scusate la brutta scrittura o le mani fredde

ciao a tutti

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3. T~-iiu~goIoi ricoi-ioscimentodella Volante Rossa

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h. Foto se_«ii;ilciic;i li Giiilio Paggio

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9. Gii~lio aggio (primoa sinistra) con altri coinponenti della Volante Rossa

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t 10. La Casa clel Popolo

tli Lambiate in una 1010

clegli anni Quaranta

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