Carlo De Carli, centenario della nascita L’architettura ... · tuiranno l’ossatura portante del...

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a cura della Redazione 38 Carlo De Carli, centenario della nascita 2011 e il 2012 raggiungerà di- verse sedi universitarie italiane, con il contributo dei rispettivi Ordini professionali. Ad ognuna delle tappe i promotori milanesi dell’iniziativa si confronteranno con i docenti e i ricercatori locali. I temi su cui si intende focaliz- zare l’attenzione della mostra e del Convegno riguardano alcuni momenti nevralgici nell’attività di Carlo De Carli. In primo luogo il periodo della presidenza del- la Facoltà di Architettura negli anni della “contestazione” con il suo impegno per il rinnova- mento degli studi a fronte delle rivendicazioni studentesche. Un secondo momento riguarderà la partecipazione di De Carli (in- sieme a Fontana, Radice, Attilio Rossi e Zanuso) alla Giunta Ese- cutiva della X Triennale del 1954 dedicata alla “unità delle arti” e il suo ruolo nella Giunta dell’XI e nei successivi sviluppi della stes- sa Triennale. Una terza sezione, infine, si occuperà della sua pro- mozione del rinnovamento della produzione mobiliera in Italia. Alcune parole chiave, sintesi del pensiero dell’architetto, costi- tuiranno l’ossatura portante del percorso espositivo. Fra queste: continuità fra architettura e natura, concetto che De Carli stesso spiega efficacemente nel 1944, scrivendo che “la casa non è un oggetto posato sul ter- reno, ma di ogni cosa intorno è la continuazione”; spazio primario, da lui definito come “lo spazio della nascita delle cose e degli uomini”, che si traduce in Architettura nel com- prendere e “cercare di illuminare le ragioni della loro nascita”; • le unità di architettura, ovvero unità spaziali da porre in rela- zione con altre in architettura e quindi nello spazio abitato, come pure nella progettazione degli elementi di arredo. L’allestimento della mostra mi- lanese, più ampia di quella itine- rante, sarà a cura di Pierluigi Cer- ri e comprenderà foto d’epoca e attuali delle architetture realizza- te da De Carli, disegni originali, modelli di architetture, elementi di arredo originali e ricostruiti, e un video. Martina Landsberger Per celebrare il centenario della nascita di Carlo De Carli (1910- 1999) – architetto, designer, docente nella disciplina di Ar- chitettura degli Interni presso la Facoltà di Architettura di Milano, preside della stessa negli anni 1965-68, intellettuale impegna- to e direttore della rivista “Inter- ni” – la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano promuove una serie di iniziati- ve volte a ripercorrerne l’opera professionale e il pensiero in ri- ferimento, in particolar modo, al suo contributo in campo cultu- rale e pedagogico. Una mostra, aperta alla città e in particolare agli studenti dell’ultimo anno delle scuole medie superiori per i quali verranno organizzate visite guidate di orientamento univer- sitario e di introduzione all’archi- tettura e al design, si aprirà nel gennaio 2011 presso lo spazio mostre della Facoltà di Architet- tura Civile in via Durando 10 e, contemporaneamente, presso la Triennale di Milano si svolgerà un convegno cui sono invitati a partecipare studiosi delle Facol- tà di Architettura e del Design del Politecnico e di altre Facoltà italiane. Parallelamente, a cura di Gianni Ottolini, verrà pubblicato, nell’ambito della collana diretta da Antonio Monestiroli dedicata alla Scuola di Milano ed edita da Electa, un volume mono- grafico su Carlo De Carli. Suc- cessivamente, in occasione del Salone Internazionale del Mobile del 2011, un volume più consi- stente raccoglierà gli interventi del Convegno e un più ampio apparato iconografico sull’ope- ra dell’architetto. La mostra, pensata come itinerante, fra il L’architettura del Sacro Monte rio di studi e nella mostra svolti- si, presso il Campus Bovisa, dal 26 aprile al 25 maggio 2010. I Sacri Monti sono percorsi de- vozionali composti da sistemi di cappelle e realizzati in Europa tra il XVI ed il XVII secolo: in Ita- lia furono costruiti lungo l’arco pedemontano tra Lombardia e Piemonte. Sul piano politico- religioso, nell’ambito della Con- troriforma cattolica, i Sacri Monti furono pensati come dei sistemi difesa contro l’incalzare, da nord, delle eresie luterane e cal- viniste. Frutto dell’integrazione fra costruzione, pittura, scultura ed architettura del paesaggio, i Sacri Monti di Varallo Sesia ed Ossuccio, insieme ad altri, sono stati dichiarati dall’Unesco Pa- trimonio dell’Umanità. Può il patrimonio storico, arti- stico, naturale dei Sacri Monti rappresentare, oltre che un’ere- dità da custodire e preservare, anche l’occasione per attivare tra gli enti preposti alla sua ge- stione e le scuole di architettura sinergie virtuose volte alla cono- scenza e alla valorizzazione del territorio? Un gruppo di studenti e di pro- fessori della Facoltà di Archi- tettura Civile del Politecnico di Milano, in collaborazione con la Riserva Naturale Speciale del Sacromonte di Varallo ed il Comune di Ossuccio, hanno assunto questo quesito a tema di ricerca. Il progetto, lungi dall’essere concluso, ha avuto una sua pri- ma formalizzazione nel semina- Lezioni di storia milanese so: ognuno di essi fa riferimento a una data precisa. Si parte con la rivolta del 1898 repressa nel sangue da Bava Beccaris per arrivare al 1992, anno dell’in- chiesta di Tangentopoli. Gli interventi di Simona Colarizi, Mario Isnenghi, Giovanni Sab- batucci, Vittorio Gregotti, Piero Melograni, Alberto Melloni, Al- berto Martinelli, Aldo Grasso, Vittorio Vidotto, Sergio Romano si incentrano sul tema della co- struzione dell’identità milanese. I periodi attraversati, oltre alla rivolta di fine secolo, riguardano Proseguendo il ciclo di incon- tri dell’anno scorso,”I Giorni di Milano”, anche quest’anno la chiesa di Santa Maria delle Gra- zie in corso Magenta a Milano, diventa teatro di un ciclo di dieci lezioni – curate dalla casa edi- trice Laterza – che intendono ripercorrere le vicende storiche che hanno segnato la storia del- la città. Dal 21 aprile fino al 30 giugno 2010, ogni mercoledì sera, alle 21.00, dieci diversi studiosi rac- contano al pubblico dieci diffe- renti momenti del secolo scor-

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a cura della Redazione

38Carlo De Carli, centenario della nascita

2011 e il 2012 raggiungerà di-verse sedi universitarie italiane, con il contributo dei rispettivi Ordini professionali. Ad ognuna delle tappe i promotori milanesi dell’iniziativa si confronteranno con i docenti e i ricercatori locali. I temi su cui si intende focaliz-zare l’attenzione della mostra e del Convegno riguardano alcuni momenti nevralgici nell’attività di Carlo De Carli. In primo luogo il periodo della presidenza del-la Facoltà di Architettura negli anni della “contestazione” con il suo impegno per il rinnova-mento degli studi a fronte delle rivendicazioni studentesche. Un secondo momento riguarderà la partecipazione di De Carli (in-sieme a Fontana, Radice, Attilio Rossi e Zanuso) alla Giunta Ese-cutiva della X Triennale del 1954 dedicata alla “unità delle arti” e il suo ruolo nella Giunta dell’XI e nei successivi sviluppi della stes-sa Triennale. Una terza sezione, infine, si occuperà della sua pro-mozione del rinnovamento della produzione mobiliera in Italia. Alcune parole chiave, sintesi del pensiero dell’architetto, costi-tuiranno l’ossatura portante del percorso espositivo. Fra queste: • continuità fra architettura e natura, concetto che De Carli stesso spiega efficacemente nel 1944, scrivendo che “la casa non è un oggetto posato sul ter-reno, ma di ogni cosa intorno è la continuazione”;• spazio primario, da lui definito come “lo spazio della nascita delle cose e degli uomini”, che si traduce in Architettura nel com-prendere e “cercare di illuminare le ragioni della loro nascita”;• le unità di architettura, ovvero unità spaziali da porre in rela-zione con altre in architettura e quindi nello spazio abitato, come pure nella progettazione degli elementi di arredo.L’allestimento della mostra mi-lanese, più ampia di quella itine-rante, sarà a cura di Pierluigi Cer-ri e comprenderà foto d’epoca e attuali delle architetture realizza-te da De Carli, disegni originali, modelli di architetture, elementi di arredo originali e ricostruiti, e un video.

Martina Landsberger

Per celebrare il centenario della nascita di Carlo De Carli (1910-1999) – architetto, designer, docente nella disciplina di Ar-chitettura degli Interni presso la Facoltà di Architettura di Milano, preside della stessa negli anni 1965-68, intellettuale impegna-to e direttore della rivista “Inter-ni” – la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano promuove una serie di iniziati-ve volte a ripercorrerne l’opera professionale e il pensiero in ri-ferimento, in particolar modo, al suo contributo in campo cultu-rale e pedagogico. Una mostra, aperta alla città e in particolare agli studenti dell’ultimo anno delle scuole medie superiori per i quali verranno organizzate visite guidate di orientamento univer-sitario e di introduzione all’archi-tettura e al design, si aprirà nel gennaio 2011 presso lo spazio mostre della Facoltà di Architet-tura Civile in via Durando 10 e, contemporaneamente, presso la Triennale di Milano si svolgerà un convegno cui sono invitati a partecipare studiosi delle Facol-tà di Architettura e del Design del Politecnico e di altre Facoltà italiane. Parallelamente, a cura di Gianni Ottolini, verrà pubblicato, nell’ambito della collana diretta da Antonio Monestiroli dedicata alla Scuola di Milano ed edita da Electa, un volume mono-grafico su Carlo De Carli. Suc-cessivamente, in occasione del Salone Internazionale del Mobile del 2011, un volume più consi-stente raccoglierà gli interventi del Convegno e un più ampio apparato iconografico sull’ope-ra dell’architetto. La mostra, pensata come itinerante, fra il

L’architettura del Sacro Monte

rio di studi e nella mostra svolti-si, presso il Campus Bovisa, dal 26 aprile al 25 maggio 2010. I Sacri Monti sono percorsi de-vozionali composti da sistemi di cappelle e realizzati in Europa tra il XVI ed il XVII secolo: in Ita-lia furono costruiti lungo l’arco pedemontano tra Lombardia e Piemonte. Sul piano politico-religioso, nell’ambito della Con-troriforma cattolica, i Sacri Monti furono pensati come dei sistemi difesa contro l’incalzare, da nord, delle eresie luterane e cal-viniste. Frutto dell’integrazione fra costruzione, pittura, scultura ed architettura del paesaggio, i Sacri Monti di Varallo Sesia ed Ossuccio, insieme ad altri, sono stati dichiarati dall’Unesco Pa-trimonio dell’Umanità.

Può il patrimonio storico, arti-stico, naturale dei Sacri Monti rappresentare, oltre che un’ere-dità da custodire e preservare, anche l’occasione per attivare tra gli enti preposti alla sua ge-stione e le scuole di architettura sinergie virtuose volte alla cono-scenza e alla valorizzazione del territorio?Un gruppo di studenti e di pro-fessori della Facoltà di Archi-tettura Civile del Politecnico di Milano, in collaborazione con la Riserva Naturale Speciale del Sacromonte di Varallo ed il Comune di Ossuccio, hanno assunto questo quesito a tema di ricerca. Il progetto, lungi dall’essere concluso, ha avuto una sua pri-ma formalizzazione nel semina-

Lezioni di storia milanese

so: ognuno di essi fa riferimento a una data precisa. Si parte con la rivolta del 1898 repressa nel sangue da Bava Beccaris per arrivare al 1992, anno dell’in-chiesta di Tangentopoli. Gli interventi di Simona Colarizi, Mario Isnenghi, Giovanni Sab-batucci, Vittorio Gregotti, Piero Melograni, Alberto Melloni, Al-berto Martinelli, Aldo Grasso, Vittorio Vidotto, Sergio Romano si incentrano sul tema della co-struzione dell’identità milanese. I periodi attraversati, oltre alla rivolta di fine secolo, riguardano

Proseguendo il ciclo di incon-tri dell’anno scorso,”I Giorni di Milano”, anche quest’anno la chiesa di Santa Maria delle Gra-zie in corso Magenta a Milano, diventa teatro di un ciclo di dieci lezioni – curate dalla casa edi-trice Laterza – che intendono ripercorrere le vicende storiche che hanno segnato la storia del-la città. Dal 21 aprile fino al 30 giugno 2010, ogni mercoledì sera, alle 21.00, dieci diversi studiosi rac-contano al pubblico dieci diffe-renti momenti del secolo scor-

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co e la “Milano da bere” e della TV commerciale, il periodo delle stragi, per arrivare, infine, al tra-monto della prima Repubblica.

la rivoluzione futurista, le origini del fascismo, l’inaugurazione della Triennale, la rinascita del dopoguerra, il boom economi-

Rimozione storica

dell’opera nasce da una lettera aperta di Cecilia Fornasieri, let-trice del “Corriere della Sera” – che il 22 aprile scorso definisce il monumento di Rossi “scultura orrenda degna di essere demo-lita” e si propaga rapidamente. In un’intervista del 5 giugno su “Il Giorno”, il presidente del Consiglio di zona 1 Goren Monti dichiara il “sogno di spostare il cubo di Pertini”, ed ecco che, finalmente, spunta il vero be-neficiario dell’iniziativa, che si aggiunge al coro della protesta: Niccolo Cardi, socio di Barbara Berlusconi e Martina Mondado-ri, proprietario della Cardi Black Box Gallery (attualmente in cor-so di Porta Nuova). Cardi aspira ad una sede più centrale per la sua galleria d’ar-te, tuttavia, trattandosi di un opera commemorativa inserita in uno spazio pubblico, l’ammi-nistrazione non può accettare se non vuole abdicare al proprio ruolo di garante delle istanze collettive in favore della specu-lazione economica privata. Non sorprende però che i nuovi po-teri abbiano trovato facilmente il favore delle autorità pubbliche (la proposta ha ricevuto inizial-mente la disponibilità del sinda-co Moratti e dell’Assessore alla cultura Finazzer Flory). Da capitale etica e intellettuale d’Italia Milano, infatti, è diven-tata passerella della moda e della finanza. Se storicamente, in ogni epoca, il pensiero do-

Il monumento a Sandro Pertini - protagonista della Resistenza partigiana e settimo Presidente della Repubblica Italiana (dal 1977 al 1985) – fu progetta-to nel 1988 dal milanese Aldo Rossi – maestro dell’architettura contemporanea e primo italiano a vincere il Premio Pritzker nel 1990. L’architettura commemo-rativa fu ideata per essere situa-ta in uno spazio pubblico di Mi-lano (città medaglia d’oro della Resistenza e sede del comando partigiano che, con l’insurrezio-ne generale del 25 aprile, nel ‘45, segnò la Liberazione dal nazi-fascismo). Situata attualmente in via Croce Rossa – tra via Manzoni e via Dei giardini, in corrispondenza della fermata MM Montenapo-leone – la fontana monumen-tale di Aldo Rossi, a seguito di una polemica sollevata a mezzo stampa, vorrebbe essere trasfe-rita altrove per essere sostituita da un cubo nero di tre piani, con base di 20 metri per 20 che dovrebbe ospitare una galleria d’arte, una libreria e un caffè.La polemica sulla rimozione

possibile: gli onesti sono perse-guitati, gli stolti danno lezione, i prepotenti deliberano… ciono-nostante qualcuno ancora s’in-digna e protesta. Il 16 giugno Emilio Battisti ha pubblicato un appello su “la Repubblica” contro lo spostamento del mo-numento, e in poco tempo ha raccolto numerose e autorevoli adesioni. Per firmare: www.petizionionline.it/petizione/ap-pello-per-salvare-il-monumen-to-a-sandro-pertini-di-aldo-ros-si/1503.A seguito della sollevazione di architetti (tra cui il presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Milano), intellettuali, critici e società civile, le autorità hanno fatto marcia indietro.Così, Martin Luther King facen-do il coro al motto latino etiam omnes ego non (benché tutti, io no), diceva “il pericolo non è il clamore dei violenti, ma il silen-zio degli onesti”.

Irina Casali

minante è quello della classe dominante, chi detiene il potere economico è in grado di orien-tare (o disorientare) la cultura: i cittadini privi di strumenti critici si riempiono di “luoghi comuni”, e con ciò contribuiscono anche a svuotare i luoghi di senso.Siamo un popolo con poca me-moria, che nonostante l’imma-ne patrimonio storico, artistico e culturale prodotto nei secoli – o proprio per il fatto di averlo sotto gli occhi quotidianamen-te – si concede di disdegnarlo. I monumenti sono lo strumento che una civiltà si dà per com-memorare gesta e personaggi importanti, perchè chi non la conosce la storia è condannato a ripeterla. Dietro la voglia di modernità tout court, che grida all’abbattimen-to di monumenti, si nasconde l’ignoranza e con essa il perico-lo della barbarie.È vero, viviamo nel Paese dei paradossi, in un teatro dell’as-surdo permanente. Qui tutto è

Vincolo alla Lavanderia Termale di Baciocchi

dell’edificio della Lavanderia Termale di Acqui Terme che Mario Baciocchi (Fiorenzuola d’Arda 1902 - Milano 1974) ha

Sul numero 9/10 di AL del 2007 Antonio Conte aveva dato noti-zia di una raccolta di firme, allo-ra in corso, per la salvaguardia

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e Paesaggistici del Piemonte, ingegnere Francesco Pernice. La Lavanderia oggi è notificata: non si potrà quindi realizzare al suo posto alcun piano di lottiz-zazione. Non resta che augurarsi che un progetto di recupero e riutilizzo dell’edificio possa, ora, essere messo a punto al più presto, onde evitarne un ulteriore de-grado.

realizzato nel 1940. L’edificio, a distanza di tre anni, continua a versare in cattive condizioni, ma il pericolo di una sua de-molizione, pare essere scon-giurato.La domanda di richiesta di vin-colo redatta, allora, dalla sezio-ne acquese di Italia Nostra, è stata infatti accettata con pa-rere favorevole del Soprinten-dente per i Beni Architettonici

“architettiverona” compie 50 anni

di “fare a Verona quello che ‘Architettura’ faceva a Roma e ‘Casabella’ a Milano, cercan-do con la nostra capacità cul-turale e critica di portare all’at-tenzione dei veronesi, forse un po’ distratti, come la città si stesse trasformando attraver-so processi urbanistici strate-gici per il suo futuro (…)” (Luigi Calcagni, Luciano Cenna, Gli inizi). Attraverso l’individuazio-ne di tre serie di numeri – di cui vengono riportate le coper-tine – il numero si propone di ripercorrere la propria storia ri-proponendo, per ognuna delle serie, i temi, e le questioni che, allora, erano stati individuati come caratterizzanti i singoli numeri e di conseguenza ri-percorrere la storia della città degli ultimi 50 anni.

La rivista quadrimestrale dell’Or-dine degli Architetti PPC di Ve-rona nel 2009 ha compiuto cin-quant’anni e, per festeggiarsi, ha pensato di dedicare un numero a questo evento. È uscito, infatti, abbastanza re-centemente, il numero speciale 84 di “architettiverona”.Come spiega la Redazione in apertura della rivista, “architet-tiverona” – di cui si sottolinea il fatto di essere il frutto di un impegno assolutamente vo-lontaristico – nonostante sia passata attraverso una serie di vicissitudini che, in alcuni casi, ne hanno compromesso la re-golarità di pubblicazione, ha sempre cercato di mantenere uno sguardo aperto e attento sulla realtà della città e della sua provincia, con l’obiettivo

Dreamlands a Parigi

Learning from Las Vegas, scrit-to nel 1972 da Robert Venturi e Denise Scott Brown.Il percorso espositivo prende avvio con l’Esposizione Univer-sale di Parigi del 1889, quella che si identifica nella costruzio-ne della Torre Eiffel. Seguono al-cune immagini relative al parco di Coney Island e la documen-tazione del padiglione La rêve de Venus che Salvador Dalì re-alizza per la Fiera Internazionale di New York del 1939. Si passa poi, alla sezione che raccoglie i progetti degli Archigram, a quella dedicata alla New York di Koolhaas – qui compaiono due dipinti di Depero dedicati alla rappresentazione dei grattacieli della città. L’attualità si mostra attraverso una serie di scene di parchi di “mondi in miniatura” – soprat-tutto quelli cinesi – attraverso un video del 2003, Streamsty-le di Pierre Huyghe, ambienta-to in un villaggio la cui forma e struttura ricalca quelle proprie all’esperienza del New Urbani-sm americano, arrivando fino alla contemporanea Dubai e al progetto Epcot (Experimental Prototipe Community of Tomor-row) concepito da Walt Disney nel 1950, e realizzato nel 1982: un grande parco tematico dedi-cato alla tecnologia.

La Grande Galleria del Centre Pompidou di Parigi è occupata, fino al 9 agosto, dalla mostra “Dreamlands”, curata da Didier Ottinger, vice direttore del Mu-seo Nazionale d’Arte Moderna e Quentin Bajac, curatore della sezione fotografica dello stesso Museo. Obiettivo dell’esposizione è rap-presentare come le grandi fiere internazionali – Expo – i parchi a tema, le ricostruite realtà dei luna park, abbiano, in alcuni casi, influenzato la progettazio-ne della città e il suo uso. Un grande, e labirintico, per-corso multimediale, si snoda attraverso circa 300 opere (foto, dipinti, maquette, film, oggetti di design, ecc.) che ripercorrono l’intero ‘900 per arrivare fino ai nostri giorni.Il titolo della mostra, Dream-lands, fa riferimento al grande parco di divertimenti inaugu-rato a Coney Island nel 1904 (e distrutto da un incendio nel 1911) e, secondo quanto affer-mato da Rem Koolhas nel suo Delirious New York, emblema della spettacolarizzazione che ha reso “mitica” la città di New York. Parallelamente la mostra si rivolge ad un altro libro altret-tanto importante e particolar-mente “a tema”, dedicato alla città “ludica” per eccellenza,

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Riqualificazione del sistema dei Navigli lombardi

L’opera di costruzione di un’am-pia rete di canali, creati con fi-nalità di navigazione e di irriga-zione, ed inizialmente anche di difesa, soprattutto in riferimento alla Cerchia interna di Milano, iniziò in Lombardia nel Xii seco-lo e si protrasse per più di sette secoli. all’interno della pianura racchiu-sa tra i fiumi Adda e Ticino, si sviluppò il sistema comples-so dei Navigli lombardi, primo fra i quali è il Naviglio Grande, chiamato da Carlo Cattaneo “il più antico e il patriarca di tut-ti i canali europei”, iniziato nel 1177, che deriva le sue acque dal ticino, in zona tornavento, e arriva fino a Milano. Alla sua costruzione fece seguito la rea-lizzazione del Naviglio di Bere-guardo nel 1420, del Martesana nel 1457, di Paderno nel 1777, di Pavia nel 1819, e del villoresi nel 1881.Questi interventi sulla rete idro-grafica si tradussero in un dise-gno di riorganizzazione territo-riale che produsse vantaggi di tipo economico, consentendo lo sviluppo dell’agricoltura, dei trasporti e dei commerci, mo-dificando altresì la struttura del paesaggio stesso della pianura lombarda ed imprimendole dei segni distintivi. Dal quadro di queste azioni risultò quella che fu la forma del territorio mila-nese e lombardo quasi fino al secondo dopoguerra. Questi paesaggi d’acqua, frutto di un equilibrato rapporto tra inge-gneria idraulica e arte di costru-ire il territorio, furono sempre ammirati da viaggiatori e studio-si di ogni tempo. Già nella seconda metà del XiX secolo, con l’avvento del trasporto su rotaia iniziò la de-cadenza di questo imponente disegno idraulico che aveva reso l’area milanese e lombar-da un formidabile esempio in tutta l’europa di organizzazione economica fondata sulla co-struzione sapiente di una civil-tà dell’acqua e che in pratica aveva permesso la navigazione dal Lago Maggiore fino al Po, realizzando l’ambizioso proget-to di collegare Milano al Mare

adriatico. Parallelamente diven-tano di chiara lettura i succes-sivi cambiamenti intervenuti nel XXi secolo nel paesaggio agra-rio e urbano determinati dallo sviluppo dell’urbanizzazione e dalle diverse scelte in tema di mobilità e trasporti: la chiusura dei Navigli a Milano, lo sviluppo della viabilità su gomma, sono solo alcuni dei fattori che provo-carono la perdita di importanza delle vie d’acqua fino al loro progressivo abbandono. si percepisce allora l’importan-za di tutelare l’importante risor-sa territoriale costituita dall’in-sieme dei corpi idrici artificiali e valorizzare il patrimonio rap-presentato dalle diverse forme di paesaggio createsi intorno ai corsi d’acqua, diffonderne la conoscenza, conservandone la memoria e l’utilità. in questa luce meritano atten-zione alcune iniziative di studio e di pianificazione che tendono a rivalutare la ricchezza costituita dal sistema dei Navigli caratte-rizzato, non solo da storici corsi d’acqua ma anche da aree di grande interesse paesistico-ambientale e da territori agricoli ben conservati.

La valorizzazione dei NavigliAlla fine degli anni ‘90 si segnala una ripresa dell’attenzione per l’insieme dei Navigli milanesi e pavesi che nel 2004 conduce a due importanti iniziative: la re-alizzazione del Master Plan dei Navigli promosso, dalla regio-ne Lombardia in collaborazione con il Politecnico di Milano, allo scopo di pianificare il recupero e la valorizzazione dell’intero complesso dei Navigli lombar-di e la creazione della società Consortile dei Navigli lombardi (sCarL), come unico ente rap-presentativo dei soggetti istitu-zionali esistenti all’interno della realtà di questo ecosistema.Più recentemente, nel 2008, la Giunta regionale lombarda ha avviato le procedure per predi-sporre il Piano territoriale d’area dei Navigli lombardi, ai sensi della Lr 12/05, un progetto di sviluppo che riguarda i Navigli Grande, Pavese, Bereguardo, Paderno e Martesana e che in-teressa 51 comuni, compreso Milano, quattro province (Mila-no, Pavia, varese e Lecco) e tre parchi regionali (ticino, agricolo sud Milano e adda Nord).

Il Piano d’area ha il compito di sviluppare e di cogliere tutte le opportunità dei progetti territo-riali di rilevanza regionale che hanno effetti e ricadute sul si-stema dei Navigli: dalle grandi opere infrastrutturali alla sfida di Expo 2015, per proporre un progetto di città e di territorio che sia un concreto esempio di sostenibilità. (Regione Lom-bardia e Politecnico di Milano – Master Plan dei Navigli - Mila-no 2004 - in: www.naviglilive.it/cd1/indice.ht).attualmente il Ptra è in fase di definitiva approvazione da parte della regione. Le attività di tipo analitico e conoscitivo per alle-stire il Piano territoriale d’area dei Navigli lombardi sono state affidate dalla Società SCARL al Centro studi PiM. tale attività è consistita in una prima fase fi-nalizzata a preparare una spe-cifica cartografia di supporto alla formulazione delle proposte progettuali che caratterizzano la proposta di Piano, e conte-stualmente alla individuazione di alcune priorità strategiche all’in-terno dell’obiettivo più generale del Ptra che consiste nella valorizzazione e riqualificazione del sistema dei Navigli.

Cartografia e analisiGli elaborati cartografici della fase di analisi hanno consi-derato il sistema insediativo e la storia dei Navigli, il sistema paesistico-ambientale e i beni storico-architettonici, i progetti, le proposte di trasformazione e gli elementi di criticità, attraver-so una serie di tavole in scala 1.25.000 estese a tutto il terri-torio dei 51 comuni interessati dal sistema dei Navigli, corri-spondente all’ambito del Ptra Navigli lombardi,La seconda fase di lavoro ha avuto come oggetto l’indivi-duazione di: due principali filoni strategici, il primo a carattere fruitivo culturale, comprendente gli aspetti storico-architettonici e paesaggistici, la mobilità dol-ce, la navigabilità, la ricettività, il secondo a carattere proget-tuale, comprendente gli ambiti di degrado e dismissione pro-duttiva, e le proposte di tra-sformazione (Centro Studi PIM - Piano Territoriale Regionale d’area Navigli Lombardi. Attività di Consulenza nel Processo di Piano – Fase 2 – Milano, mar-

a cura di Manuela Oglialoro

zo 2010, in: www.pim.mi.it). La ricerca si è sviluppata in modo più articolato intorno a sette ambiti specifici relativi alle aree interessate dai vari Navigli, per ciascuno dei quali sono state redatte delle schede in cui ven-gono indicate le vocazioni e i caratteri dei luoghi oltre all’ap-profondimento progettuale per gli interventi operativi.Le tavole relative alla cartografia di Piano sviluppano i diversi temi progettuali e operativi individuati dal Ptra: valori e identità pae-sistico – ambientali, fasce di tutela, sistema rurale e relazioni con il paesaggio e l’ambiente, rete ciclabile, aree dismesse e in trasformazione, expo 2015, azioni di approfondimento, na-vigazione, attrattività, sintesi progettuale.Nelle ipotesi progettuali vengono evidenziati gli aspetti relativi alle possibilità di fruizione turistica dell’insieme ambientale offerto dalla rete dei Navigli, inclusa la possibilità di ripristinare la navi-gazione, la creazione di itinerari ciclabili in grado di congiungere le aree di interesse paesistico e ambientale con i centri urbani minori e i capoluoghi. inoltre le proposte riguardano politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio storico cultura-le che si è sviluppato intono a questi luoghi. La prospettiva del recupero mira a creare integra-zione tra aree di pregio e aree compromesse dall’urbanizza-zione per migliorare in genera-le la qualità degli insediamenti compresi nell’area del Piano.

M. O.

42Conversazione con Lorenzo Castellini e Beniamino Saibene

Da oltre 15 anni esterni pro-pone interventi sulla città di Milano infiltrandosi nei suoi spazi più o meno frequentati e trasformandoli attraverso il coinvolgimento di gruppi di persone, dalle poche unità che attraversano la metro-poli in bicicletta alle diverse migliaia di cinefili che affol-lano le proiezioni del Milano Film Festival. I vostri progetti non hanno una vera e propria committenza, ma rispondono ad esigenze concrete, anche se in modo provocatorio ed ironico. Qual è l’orizzonte ver-so cui vi state muovendo?La nostra intenzione non è provocare, ma soddisfare delle esigenze individuali coinvolgen-do persone su questioni che ci stanno a cuore rispetto al vivere nella città. All’inizio avevamo vent’anni e stavamo riflettendo sull’opportu-nità di migrare verso altre realtà che sembrava potessero offrire di più: Londra, Parigi, Rotter-dam, Berlino, Barcellona... Poi ci siamo chiesti: Milano cosa ci può offrire? Perché non fare a Milano quello che immaginiamo di poter fare in altre città? In poco tempo abbiamo scoperto che questa città ha molto da offrire. Da allora il nostro modo di pensare e di la-vorare non è cambiato. Rileggo progetti di quindici anni fa che sembrano scritti adesso. Analiz-zare i bisogni della città, scoprire le opportunità che può offrire e farle emergere: questo è il nostro modo di procedere. I temi sono l’utilizzo degli spazi pubblici, l’ospitalità, il dialogo tra culture diverse e il design come forma di creatività a servizio del-le persone. Col tempo siamo riusciti a creare una struttura in grado di inventare l’economia dei nostri progetti oltre le logiche del mercato. In questo momen-to esterni è un gruppo di circa venti persone, con ruoli precisi che rispondono alle varie fasi del progetto: ideazione, promozione, grafica, comunicazione, organiz-zazione, produzione, ecc. A que-sto nucleo si sommano una serie di collaborazioni per esigenze più complesse e circoscritte.

Molti tra i vostri temi di ricer-ca sono anche temi chiave dell’Expo, come quello del-la “ruralità”. Da alcuni anni siete impegnati nel recupero della Cascina Cuccagna, che è ormai un cantiere ben av-viato.Negli anni abbiamo portato avanti progetti di ricerca e mo-nitoraggio di quello che suc-cedeva nelle cascine intorno a Milano, iniziando dalla cascina nell’area dell’ex Sieroterapico dove vivevano circa 50 famiglie di ogni etnia, secondo un mo-dello di convivenza molto inte-ressante. Un’altra esperienza l’abbiamo fatta in una cascina dietro al Parco Lambro gestita in modo esemplare da una fami-glia di agricoltori. Queste espe-rienze hanno preceduto il pro-getto della Cascina Cuccagna, avviato concretamente dopo l’incontro con Sergio Bonriposi. Insieme a lui e ad altri soggetti (info su www.cuccagna.org) è nata la determinazione di rileva-re la gestione della cascina e di restituirla ai milanesi. Abbiamo vinto il bando comunale che la concede in affitto a canone age-volato per vent’anni e prevede che venga ristrutturata e resa agibile a spese del conduttore. Bonriposi è la figura di riferimen-to per questo progetto, è molto affezionato alla cascina, la ani-ma dei suoi ricordi di quando la frequentava fin da bambino e trasmette a tutti la sua volontà di vederla rivivere. Noi ci diamo da fare concretamente racco-gliendo fondi, promuovendo e gestendo il cantiere di restauro e immaginando le destinazioni che saranno ospitate dalla cascina a restauro ultimato. Entro il 2011 nel suo complesso sorgeranno orti e serre didattici, una botte-ga a filiera corta, una trattoria, un’agenzia per il turismo agrico-lo-territoriale, spazi per ospitali-tà temporanea, laboratori, ecc. con oltre 4000 mq a disposizio-ne della città. Queste attività ser-viranno anche a saldare i debiti con le banche che ci hanno an-ticipato parte dei circa 3 milioni e mezzo di euro che servono per il restauro. è un luogo bellissimo e nonostante i limiti di spesa il re-stauro è a regola d’arte, senza compromessi, attuato secondo criteri di bioarchitettura e rispar-mio energetico (il riscaldamento sarà idrogeotermico), seguendo

le linee guida del programma europeo Green building. Tutto il progetto viene gestito con la massima trasparenza, sul sito è pubblicato l’ammontare del-la spesa e via via l’elenco dei donatori, in modo che ognuno possa giudicare ciò che è sta-to fatto dal Consorzio. Grazie alla passione e alla disponibilità della squadra di restauratori che vi lavora il cantiere è accessibi-le in qualsiasi momento ed è molto frequentato. Ad esempio il martedì pomeriggio ospita un piccolo mercato di prodotti agri-coli provenienti da altre cascine milanesi, segno che le attività ospitate dalla cascina saranno legate all’agricoltura e al con-sumo consapevole dei prodotti della pianura padana.

Da non molto siete stati coin-volti in una rete che promuove il recupero delle cascine mila-nesi in vista dell’Expo (www.cascinemilano2015.org). Signi-fica che sarete coinvolti anche nei progetti di riqualificazione annunciati dal Comune? Siamo stati contattati da Multi-plicity come riconoscimento del nostro impegno negli anni pas-sati. Il Comitato Cascine prenderà sede proprio all’interno della Cuccagna e speriamo che da qui nascano progetti concreti per la valorizzazione di questo patrimonio. Dopo aver recupe-rato una cascina di 2.000 mq coperti più altrettanti di cortile e giardino senza un euro di sov-venzioni pubbliche, siamo pronti a recuperarne altre, magari col sostegno del Comune o della Società di gestione dell’Expo, mettendo a disposizione la no-stra esperienza e quella delle persone che hanno collaborato al progetto. Il lavoro di censi-mento delle cascine svolto da Multiplicity può essere una base molto utile. Non bisogna dimen-ticare che delle circa cinquanta cascine di proprietà del Comu-ne, almeno la metà sono date in affitto e utilizzate in vario modo. C’è gente che lavora e produce da decenni, tutelando il pae-saggio a costo di fare il giro con l’aratro intorno alle lottizzazio-ni che ogni tanto gli piombano addosso. Bisogna premiare chi lavora bene e dargli i mezzi per lavorare meglio. Aldilà della con-servazione del paesaggio e delle

a cura di Antonio Borghi

attività rurali è necessario far na-scere nuove attività che rendano queste realtà sostenibili sul lungo periodo. Qualche settimana fa abbiamo visitato la Cascina Fol-lazza in via Gattinara, un mulino isolato in un groviglio di strade e interessato dal prolungamento della metropolitana verso As-sago. Nonostante tutto questo mulino è ancora un gioiello, ma visto che ormai è scomparso il contesto in cui era nato, bisogna dargli un nuovo senso.

Parliamo adesso dell’ospitali-tà, altro tema chiave dell’Expo sul quale lavorate da tempo.Il primo passo è stato quello di chiedere ai milanesi di ospitare chi ne aveva bisogno mettendo-gli a disposizione uno spazio di un metro per due. Una richiesta a prima vista elementare, ma che invece ha reso necessarie molte spiegazioni per chiarire cosa in-tendevamo per ospitalità. Non la camera con bagno privato, e nemmeno il divano letto in sog-giorno, ma un qualsiasi spazio di un metro per due dove poter dormire per una notte. La richie-sta era: hai uno spazio libero di due metri per uno? Sicuramente ce l’hai e quindi ce lo devi dare! Questa era la nostra visione per Milano “città più ospitale del mondo”. Se sei pronto ad ospi-tare uno straniero di passaggio probabilmente vorrai raccontar-gli qualcosa della tua città, del tuo quartiere, gli dirai dove fare colazione o andare a cena, o a comprare quello che gli interes-sa, contribuendo all’economia del vicinato. Un passo succes-sivo è stato quello di utilizzare l’ospitalità come modo per far incontrare persone interessate ad allargare i propri orizzonti cul-turali o professionali. Ti interessa parlare quella lingua? Conosce-re chi fa il tuo mestiere in un al-tro paese? Vorresti conoscere quella determinata città? Noi ti mettiamo in contatto con l’ospi-te che fa per te. Anche questa modalità funziona molto bene, chi la pratica è soddisfatto e l’anno dopo la ripete. Il sistema è basato su un sito internet (www.bedsharing.org) e funziona in abbinamento ad un evento che crea una domanda chiaramen-te caratterizzata. L’esperienza più completa e più complessa in tema di ospitalità è stata la creazione di un luogo attrezza-

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NIto dove ospitare un determinato

numero di visitatori di una mani-festazione. Ogni anno abbiamo localizzato questa “casa” in un luogo diverso utilizzando spazi “rubati” all’arte contemporanea come Assab One e Ventura XV, spazi dismessi come i Magazzini della stazione di Porta Genova o Base B o all’opposto trasfor-mando luoghi di per sé molto vivi come il Campus Bovisa del Poli-tecnico con l’allestimento di 100 e a volte anche 200 posti letto in un unico grande spazio, in una struttura modulare con spazi per 3-4 persone e spazi comuni. Una specie di labirinto per orien-tarti nel quale all’ingresso ti viene data una piantina con indicato il tuo posto letto. Negli spazi co-muni viene segnalato il tuo arrivo: chi sei, da dove vieni, cosa fai, che lingua parli, che progetti stai portando avanti, cosa sei venuto a fare a Milano, ecc., e ti viene data occasione di presentare il tuo lavoro. Altrimenti te ne puoi stare per i fatti tuoi e utilizzare le attrezzature per il tuo lavoro. Ci aspettavamo di ospitare stu-denti, invece sono arrivati anche professionisti a cui va benissimo una sistemazione low cost con la possibilità di sfruttare al mas-simo la breve permanenza in città. Abbiamo realizzato la casa dei designer, la casa dei registi e la casa degli stilisti. Un grosso sforzo, con costi consistenti per cui chiediamo dai 40-45 euro per una sola notte fino a un minimo di 20 euro per pernottamenti di 10 notti. Un prezzo accessibile che non fa concorrenza agli alberga-tori. è una esperienza che ha avuto grande successo, molti ospiti ri-tornano e si ritrovano anno dopo anno, da sei anni a questa par-te. Anche questa esperienza la cediamo ad altre realtà, in forma di un kit fai da te. La nostra am-bizione è quella di concretizzare queste “case”: creare una real-tà stabile che offra a giovani in viaggio per lavoro una occasio-ne di scambio e di conoscenza reciproca per tutto l’anno. Un progetto su cui investire anche in vista dell’Expo del 2015.

Passiamo al tema della mobi-lità e di come si muoveranno i milioni di visitatori dell’Expo sulle già congestionate infra-strutture milanesi. Anche a questo proposito avete pro-getti in corso?Il Public Design Festival affron-ta al suo interno vari aspetti del vivere quotidiano nella città e la mobilità è tra questi. Da anni do-cumentiamo percorsi urbani ed extraurbani con diversi mezzi di trasporto. Abbiamo attraversato la città in lungo e il largo a piedi, in bicicletta, in carrozza o con un asino, elementi di una mappa che propone un modo diverso di fruire lo spazio urbano. Qual-che settimana fa siamo partiti in bicicletta da Porta Genova, abbiamo percorso l’Alzaia del Naviglio Grande fino a Ronchet-to sul Naviglio e da qui abbiamo attraversato il Parco delle Risaie alla scoperta delle sue cascine. Dopo due chilometri sullo ster-rato abbiamo incrociato il Navi-glio pavese lungo il quale siamo rientrati a Porta Genova. Questo modo di affrontare la città la ren-de più vicina, a misura d’uomo e ti fa acquisire la consapevolezza che se parti da qui (in via Pala-dini, ndr) puoi arrivare in Piazza San Babila in dieci minuti in bi-cicletta, in un quarto d’ora in au-tobus e con un asinello in qua-ranta minuti. Queste esperienze di percorsi urbani modificano la percezione dello spazio e della città. A nostro parere è necessaria una rieducazione alla città che par-ta dalla conoscenza dei propri spostamenti come un momento che non va annullato, ma vissuto nel miglior modo possibile dedi-candogli il tempo necessario. Ci piacerebbe raccogliere questi tragitti in una sorta di guida dove siano descritti i principali modi di muoversi quartiere per quar-tiere. Chi si muove in bicicletta, e per fortuna sono sempre di più anche grazie al progetto di Bike-sharing del Comune e nonostante la clamorosa man-canza di piste ciclabili in città, sa che per attraversare Milano basta mezz’ora. Se si estendes-

se il Bike-sharing a tutta la città e si convincessero i milanesi ad utilizzarlo in massa avremmo risolto tutti i nostri problemi di mobilità.

Parlando di mobilità si fini-sce sempre a parlare di in-frastruttura, come se il pro-blema potesse essere risolto solo attraverso nuovi mezzi e arterie di trasporto. Il vostro è un approccio diverso.Il nostro lavoro è basato sulle persone e sulla città. La città è lo strumento che ci ha permes-so di avvicinare tante persone e questa è l’essenza del nostro la-voro. è il ribaltamento della logi-ca di avere tutto a casa propria. Oggi si crede di dover avere tut-to nelle mura domestiche, tutto passa attraverso la tivù e gli altri mezzi di comunicazione. Ogni spostamento è vissuto come un problema da risolvere nel più breve tempo possibile. Noi partiamo dal presupposto che si vive in una città e che la città ci può dare tutto quello di cui ab-biamo bisogno. Solo se non la si utilizza o se la si utilizza in modo improprio la città non funziona o funziona male.Il prossimo passo di questa ri-scoperta degli spazi urbani è il “progetto Transumanza”, l’attra-versamento di Milano con una mandria di bovini da sud verso i pascoli del nord in primavera e viceversa a settembre, come si faceva regolarmente qualche decina di anni fa. I contadini por-tano le loro mucche in città e nel corso di alcune tappe fanno il formaggio, il cosiddetto “primo-sale”, mostrando la loro cultura e la loro abilità ai loro clienti citta-dini. Stiamo parlando con gli al-levatori per mettere insieme una mandria con almeno cinquanta capi adulti, venti vitelli, i cani, i cavalli e le capre; poi bisognerà ottenere i permessi e trovare i soldi per coprire le spese.

In definitiva che cosa vi aspettate che possa signifi-care l’Expo per Milano.Molti dei nostri progetti nascono dal desiderio di appropriarci di

spazi inutilizzati di cui la città è molto ricca. Nel 2004 durante il Salone abbiamo occupato piaz-za Freud, un lembo di terra da-vanti alla stazione Garibaldi che è stato inghiottito dall’attuale cantiere della Città della Moda. Lì abbiamo allestito il progetto “Città in rivoluzione”, una sorta di mappa delle nostre iniziative che avevano a che fare con lo spazio pubblico. C’erano spazi dedicati ai percorsi sperimentali, all’ottimizzazione della mobilità o al bed sharing di cui parlavamo prima, c’era uno spazio dedi-cato alla spiritualità (di qualsiasi natura), uno dedicato all’acco-glienza (un chiosco che forniva a tutti un “permesso di soggior-no”), una agenzia immobiliare che promuoveva spazi pubblici senza scopo di lucro, un pub-blico intrattenitore, la possibilità di una escursione panoramica ed altre cose ancora in un luo-go splendido, un grande spa-zio aperto come a Milano ce ne sono pochi. Basta poco per creare uno spazio pubblico: basta saperlo riconoscere, rimetterlo a po-sto, tenerlo pulito e dargli una funzione. A questo scopo lo stesso anno abbiamo proposto un calendario secondo il quale il centro della città si sarebbe spostato verso i quartieri di periferia, dove si trovano molti spazi abbandonati in attesa di essere rivitalizzati. Il progetto si chiamava “Movi-mento centrifugo” e, attraverso un programma di comunicazio-ne, una segnaletica specifica ed eventi dedicati, trasferiva il centro della città in un altro quartiere trasformando gli spa-zi attraverso le persone e le si-tuazioni. Questo è il nostro modo di in-terpretare la città, di viverla e farla diventare come la vorrem-mo. Questo è quello che ci au-guriamo possa accadere con l’Expo: la trasformazione della città attraverso una miriade di piccoli interventi a basso co-sto, con l’obiettivo di far vivere gli spazi pubblici e migliorare la qualità della vita.

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Il concorso di idee è riferito alla realizzazione di un’area multi-funzionale da destinare a servizi, denominata “Città della Musica”, in località San Pietro, a Viadana, in via Baghella, su una superfi-cie di mq. 19.525. L’area si trova vicino al centro abitato, è facil-mente raggiungibile con percorsi ciclo-pedonali dal centro, e in auto dalla circonvallazione.

La struttura dovrà ospitare una scuola di musica (300 studenti), una struttura coperta per mani-festazioni e concerti (500 posti), parcheggi (300 auto), spazi com-merciali a servizio della struttura; sistemazione del verde e dei per-corsi ciclabili e pedonali di colle-gamento. Il bando prevede un importo dei lavori non superiore ai € 3.000.000.

Una “città della musica” per Viadana (Mantova)dicembre 2008 – maggio 2009

a cura di Roberto Gamba

1° classificatoStudio OB3 architetti (Stra - Venezia): Ottorino Boesso, Sergio de Gioia, Fabrizio Michielon, Marco Broccardo

La genesi progettuale consiste nella contestualizzazione territo-riale cosa che presume il mante-nimento dei tratti tipici del luogo. Si tratta di un complesso scor-porato nei volumi, nelle funzioni, che riprende, e reinterpreta, le forme classiche dell’architettu-ra rurale. Da un blocco mono-cellulare si dividono più corpi, si separano, slittano in diverse direzioni, creano un complesso aperto e concatenato col verde pubblico. L’obbiettivo è conservare i segni

tipici del territorio quali i canali e i filari alberati, articolando in ma-niera organica e poco invasiva l’intervento. L’apertura diretta della sala sul parco, ove è stato ricavato un sinuoso anfiteatro, sottolinea l’atavico rapporto tra musica e paesaggio.Ai blocchi laterali è riservata la contestualizzazione e il rapporto con l’esistente, assumendo di riflesso i tratti rurali del luogo. Il risultato porta a una reinterpre-tazione delle ampie e lunghe falde classiche dei caseggiati di campagna.Il colore dell’intonaco è stato scelto in modo da essere deli-cato e diafano come il contesto rurale mentre le essenze lignee devono permettere un’opportu-na acustica alla sala.

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452° classificatoSimona Avigni (Casalmaggiore - Cremona), Alessio Bernardellicollaboratore: Matteo Vecchi

Il sito di progetto ha suggerito l’elaborazione di un’architettura compatta, dove sono labili i con-fini tra interno ed esterno, spazio costruito e spazio verde.L’analisi degli elementi compo-sitivi della tipica cascina rurale lombarda ha comportato la loro reinterpretazione in funzione alle finalità attese.La Città della Musica è una for-ma chiusa che disegna, un vuoto interno, uno spazio raccolto, un chiostro protetto, ma con ampie vedute che si appropriano del paesaggio circostante con l’in-tenzione di tramutarlo in sfondo caratteristico dell’opera.Il rapporto tra interno ed ester-no è mediato dal vuoto della

grande piazza che diventa luo-go per concerti e manifestazioni all’aperto, perno centrale attorno al quale si organizza la vita dei visitatori.

3° classificatoGiorgio Santagostino (Milano), Monica Margaridocollaboratori: Olga Chiaramonte, Fabrizio Volpe

La nuova scuola è pensata come un complesso di forma quadrata. Ai tracciati dei campi e alla regolarità dei pioppeti si rifà la costruzione dell’edificio e il disegno dello spazio esterno a partire da una griglia geometrica di 5m x 5m.Tutto il lotto di progetto si mostra all’esterno come un nuovo piop-peto, all’interno del quale è rita-gliata una grande radura in cui si trova la scuola.I volumi, che ospitano le diverse funzioni, sono racchiusi da un perimetro unitario uniforme, una pelle costituita dall’accostamen-to di listelli di legno. L’intervallo tra una doga e l’altra crea effetti di chiaro-scuro, varia-bile di lato in lato, a seconda che siano sovrapposti ad una super-ficie opaca, vetrata o ad un vuo-

to e a seconda della qualità della luce naturale, dell’uso di quella artificiale, dell’ora del giorno. L’accesso del pubblico al com-plesso avviene da una piazza coperta a doppia altezza. Un primo volume a nord ospita l’amministrazione della scuola, mentre a sud si accede a una grande hall, comune alla scuola di musica e all’auditorium. Gli altri volumi al piano terra sono adibiti al commercio.Salendo al primo piano, si trova-no gli spazi riservati alla scuola di musica e quelli di supporto tec-nico alle attività dell’auditorium.

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46 Coniglio contro SisifoMarco Ermentini Architettura Timida.Piccola enciclopedia del dubbioNardini, Firenze, 2010 pp. 96, € 18,00

Gli architetti razionalisti radunati attorno alla rivista “Quadrante” - diretta da Pier Maria Bardi e Massimo Bontempelli - definivano “arrogante” l’architettura diversa da quella, la loro, fondata sulla ragione, la chiarezza e la proprietà delle forme e dei contenuti, sul rifiuto di elementi decorativi superflui. Insom-ma, l’architettura razionalista. Arrogante era l’edilizia “del mercato immobiliare”, diremmo ora, ma anche una parte dell’architettura del Novecento milanese d’autore, persino la Ca’ Brütta di Colonnese e Muzio, se, eretta in basi ad altissimi indici di sfruttamento fon-diario, era costata la distruzione di “uno dei più romantici giardini della Milano ottocente-sca” (Piero Bottoni). Ora, nel nostro tempo dai tanti valori morali perduti, l’arroganza e, come ci insegna l’incantevole libretto di Marco Ermentini, l’intolleranza e la violen-za, spesso la stupidità, contraddistinguono buona parte dell’architettura e del restauro. Come comportarsi, da bravi architetti, se non al contrario? Ermentini ha fondato con il filosofo Andrea Bortolon e l’artista Aldo Spoldi nel 2000 all’Accademia di Brera la SAA (Shy Archi-tecture Association), movimento per l’ar-chitettura timida che auspica “un modo più discreto di situarci nella realtà utilizzando la non violenza verso le cose” (p. 74). Gli archi-tetti devono conoscere con amorevolezza gli edifici, essere pazienti, delicati, desistenti, lenti come Bartleby lo scrivano del racconto di Melville. “Preferisco di no” diceva di fron-te a certi ordini che non corrispondevano al suo modo di stare al mondo in maniera silenziosa, riservata, nascosta. Il carattere dell’architetto o del restauratore si model-li non su quello di Sisifo, potente, astuto e fraudolento, ma su quello del coniglio, deli-cato, riflessivo e leale.Un armamentario di cento lemmi, termini singoli o brevi titoli, ognuno dotato di un’im-magine, illustrativa o traslata, ci guida lungo un’“enciclopedia del dubbio” che ci offre in-vece le basi di una serena certezza. Minime narrazioni, intelligenti contestazioni, amare e dolci ironie, fulminanti paradossi: tutto si tie-ne, come le stratificazioni dell’anti-restauro perorato da Ermentini, per approdare alla regola ultima della “rivoluzione timida”: ap-plicare la “metanoia” e la “cairologia”, ossia “convertirsi a un rapporto più cordiale e ar-monioso con i sistemi naturali” (p. 71), trova-re la misura e il momento giusti, opportuni.

Lodovico Meneghetti

La forza di un’ideaNicola Navone, Bruno Reichlin (a cura di)Il Bagno di Bellinzona di Aurelio Galfetti, Flora Ruchat-Roncati, Ivo TrümpyMendrisio Academy Press, Mendrisio, 2010pp. 218, € 35,00

In uno dei suoi numerosi disegni Le Corbu-sier ritrae l’acquedotto romano di Pont du Gard; a fianco scrive: “il a fait le paysage” mettendo in evidenza come un’architettura possa rendere leggibile il paesaggio: co-struendosi “in opposizione” ad esso, infatti, l’acquedotto rende comprensibile, svela, il carattere e le peculiarità del luogo in cui si colloca.La stessa frase – “ha costruito il luogo” – potrebbe essere posta ad epigrafe del-la sezione fotografica del bel volume che Nicola Navone e Bruno Reichlin dedicano all’illustrazione del progetto per il Bagno di Bellinzona di Aurelio Galfetti, Flora Ruchat-Roncati e Ivo Trümpy. Il progetto, volendo definirne il senso e il ca-rattere principale, si riassume nella realizza-zione di un grande manufatto infrastruttura-le, - una sorta di promenade architecturale - che, in quota, taglia l’area pianeggiante che separa il centro abitato di Bellinzona dal corso del Ticino. Il progetto consiste nella realizzazione di una grande passerella in cemento armato, alta sei metri da terra, lungo la quale, a quota zero, nella natura, vengono a distribuirsi gli elementi necessari alla definizione del Ba-gno: la piscina per i tuffi, l’olimpionica, quella per i bambini e per chi impara a nuotare e la vasca per chi, invece, non nuota. Detto così la passerella potrebbe apparire come un ele-mento inutile del sistema. Al contrario, essa risulta la “colonna vertebrale” della compo-sizione, non solo dal punto di vista funziona-le – l’accesso al Bagno nel suo complesso, come pure agli spogliatoi, avviene, infatti, solamente da questo percorso – ma soprat-tutto per la rappresentazione dell’idea che sta alla base del progetto: la costruzione di un “edificio” (la passerella, appunto) capace di mettere in relazione gli altri elementi “forti” - le piscine - distribuiti nel territorio secon-do una precisa logica. La passerella è pen-sata come una vera e propria architettura, composta di parti e piani differenti necessari alla realizzazione dei servizi richiesti – spo-gliatoi, zona ristorante, ecc. Tutto ciò senza mai tradire un principio gerarchico che vede appunto nel percorso aereo l’elemento fon-dativo del progetto a dimostrazione di come la forza di un’idea e la sua continua messa a punto sia elemento determinante alla riusci-ta di un progetto.

Martina Landsberger

Punti di vistaMaria Letizia GagliardiLa misura dello spazio Contrasto, Roma, 2010pp. 304, € 21,90

Ventisei fotografi d’architettura, per lo più architetti, si raccontano ripercorrendo la loro storia, al fine di indagare il complesso fenomeno della comunicazione dell’architet-tura – informazione complessa – attraverso la fotografia – mezzo di comunicazione –; un processo dunque che vede la compar-tecipazione del fotografo, che “manifesta un pensiero”, e dell’osservatore, che usa la fotografia come strumento di conoscenza: “viviamo l’architettura, la vediamo, ma non riusciamo a osservarla se non di fronte a una fotografia”.Il libro è una sorta di “tavola rotonda” all’in-terno della quale ventisei fotografi sono chiamati a confrontarsi sul loro lavoro. La struttura è quella dell’intervista: diciotto do-mande mettono a confronto diversi modi di pensare, di vedere, di fotografare. Per rompere il ghiaccio, un suggerimento è quello di leggere, tutte di fila, le risposte alla domanda “cos’è la fotografia?”. Fatto ciò, acquisita un’infarinatura, è possibile proseguire nella lettura integrale delle rispo-ste alle successive domande che affronta-no due nuclei tematici: uno sulla fotografia (tecniche, strumenti, influenze, formazione, ecc.) ed uno sull’architettura. In quest’ultima parte ci si domanda quanto sia importante conoscere l’opera da fotografare e quanto sia importante esperire, tornando più volte sul posto, quell’architettura, quella città o quegli spazi; quale sia il ruolo del fotogra-fo nei confronti dell’architettura impressa su pellicola: se nel momento dello scatto il suo ruolo coincida con quello del critico o se si limiti invece a registrare e documentare la realtà, oggettiva o soggettiva. I fotografi sono chiamati inoltre a riflettere sulla nota affermazione di Bruno Zevi secondo cui la fotografia sarebbe una lettura parziale della realtà, mancando la dimensione temporale; e per contro ci s’interroga sulla possibilità di fotografare l’istante dell’architettura se-condo gli insegnamenti di Cartier-Bresson. Una riflessione, infine, che vale la pena di tenere in considerazione, anche in quanto architetti, riguarda il rapporto tra il prodotto fotografico, l’immagine, e il fare architettura: quanto, e se, la fotografia su carta patinata abbia influito ed influisca sulla progettazione del manufatto architettonico. Un libro interessante, ben fatto, illustrato con le fotografie degli intervistati, che offre agli architetti importanti spunti di riflessione.

Cecilia Fumagalli

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Una casa, una vitaCaroline Patey (a cura di)John Soane. Per una storia della mia casa. Primo abbozzoSellerio, Palermo, 2010pp. 132, € 15,00

La casa editrice Sellerio ha recentemente pubblicato, per la prima volta in traduzio-ne italiana, Per una storia della mia casa. Primo abbozzo (titolo originale Crude Hints towards an History of my House), il mano-scritto dell’architetto neoclassico John So-ane sulla sua casa londinese di Lincoln’s Inn Fields. La data di redazione (agosto e settembre 1812), intermedia tra il momento dell’acquisto dell’unità al n. 12 e l’edizione della conclusiva Description of the House and Museum (1832), corrisponde al mo-mento di maturazione del progetto. Lo stra-ordinario interesse per questa “brutta copia” sta quindi nell’essere una testimonianza diretta del procedimento creativo a partire dalla stessa struttura testuale, in cui la stra-tificazione delle note, impaginate in primo piano, a sinistra, e l’interrogativo centrale del testo sull’origine tipologica dell’edificio, nell’ipotesi della futura rovina, portano alla luce i cardini della composizione. La so-vrapposizione claustrofobica dei frammenti architettonici (John Summerson, primo cu-ratore della Casa nel dopoguerra, parlava di “arredi funerari”), evocante la compresen-za di tempi storici e architetture, con cui la struttura logica sommerge la struttura reale dell’edificio, si affianca, nella cupola della Breakfast Room, nei pannelli mobili della Picture Room, alla ricerca analitica di effet-ti spaziali d’ingrandimento e dilatazione nel tentativo d’incorporare l’universo visibile. Con la preziosa notazione ulteriore della di-rettrice Helen Dorey siamo condotti, a fronte alla polisemia della Casa-Museo-Accade-mia, nel cuore della vita stessa di Soane: i contrasti e il sofferto isolamento accademi-co, inevitabile conseguenza della libertà di giudizio, il superamento delle norme edilizie con la facciata a logge in pietra bianca di Portland, che anticipa di un secolo il fronte dalla casa di Perret in rue Franklin, la volontà di costruire un exemplum che superi la de-lusione per la rinuncia dei figli all’architettura (oggi così infrequente…). Come scrisse allo-ra l’amico Isaac D’Israeli: “(…) più rari sono coloro che hanno scoperto, una volta termi-nata la costruzione delle loro Casa, ammes-so che una simile Casa possa mai essere considerata finita, che avevano costruito un Poema”. Il titolo di questo Poema, che si comporrà nel secolo a venire, sulle linee di questo “primo abbozzo”, sarà “Modern Architecture”.

Stefano Cusatelli

Vivere insiemeMichele CostanzoLeonardo Ricci e l’idea di spazio comunitarioQuodlibet Studio, Macerata, 2009pp. 80, € 14,00

Il saggio di Michele Costanzo illumina la ci-fra della vita e dell’opera di Leonardo Ricci (Roma, 1918 – Venezia, 1994) mostrando come queste siano tenute insieme da un pensiero utopico radicato nella passione per l’uomo e per il ruolo dell’architettura come “servizio”. Se L’uomo è per natura un animale politico, come diceva Aristotele, il suo essere si radica in una dimensione collettiva. L’architetto, uomo tra gli uomini, “medium” e non fine in sè, è chiamato, so-stiene Ricci, a “dare il meglio di se stesso” ma solo “dopo essere partito dagli altri”, dalla loro “verità e realtà”, per costruire il luogo della vita, che è relazione, socialità, spazio condiviso. L’illustrazione delle ope-re più eloquenti di Ricci – tra cui il centro Agape a Prali in val Pellice (1946-1948), il villaggio di Monterinaldi sulle colline fiorenti-ne (1949-1961) e il villaggio valdese Monte degli Ulivi a Riesi (1963-1966) – si affianca a citazioni e note biografiche che restitui-scono l’audacia teorica e la capacità realiz-zativa di un architetto che si è confrontato in modo coerente al senso della propria vocazione, umana e professionale, senza mai scinderle. Così come nella concezione di uno spazio fluido, in cui “nulla vi è di separato e stra-niero”, dove le diverse funzioni comunicano naturalmente, per non alienare la persona, così Ricci ha tenuto uniti in modo “organi-co” il cosa, il come e il perché della propria azione creatrice.Figlio di un ingegnere e di un’attivista del-la chiesa valdese, originariamente “ateo”, Ricci si avvicina al cristianesimo “eretico” attraverso il pastore Tullio Vinay che lo coinvolge in due progetti per la sua comu-nità religiosa. Grazie a queste esperienze Ricci darà esemplare sostanza ai propri principî architettonici. La “forma non si svi-luppa al di fuori di un contenuto, agendo in se stessa e di per se stessa”, né “na-sce da presupposti astratti e teorici di stile, ma spontanea e diretta dalla realtà interna dell’oggetto stesso”. L’architettura e l’ur-banistica “sono il frutto collettivo di una dinamica della società”; questa non può essere indagata dall’esterno, misurata in statistiche ed espressa in “uomini-tipo”, ma “è importante riesaminare alla base gli atti di esistenza umana” per “vedere gli atti nel loro farsi”.Ricci propone “un’architettura esistenziale relazionale nata dall’atto dell’esistere, pro-lungamento dell’esistenza stessa”.

Irina Casali

Il nobile mestiere

Silvia Milesi (a cura di)Mauro Galantino. Opere e progettiElecta, Milano, 2010pp. 240, € € 65,00

“Credo che tutto questo sia costato a Ga-lantino non poco, ma certo non ha spento in lui né il rigore dei principî né la passione per il nostro nobile mestiere”. Così Vittorio Gre-gotti conclude la sua presentazione al libro che raccoglie il lavoro di Mauro Galantino, architetto milanese che, formatosi a Firenze, ha studiato in Francia e lavorato con Henri Ciriani e poi con lo stesso Gregotti. L’ap-prezzamento è evidentemente riferito alla coerenza ed alla costanza con cui Galantino persegue gli obiettivi del suo lavoro, perme-ato della lezione dei maestri del moderno ma continuamente verificato con i problemi del progetto, in una costante analisi dei rapporti con i luoghi e delle conseguenze spaziali ge-nerate dall’intervento architettonico.Il libro, a cura di Silvia Milesi che in uno scritto-dialogo strutturato per differenti temi introduce alla lettura del lavoro di Galantino, contiene anche un saggio critico di Kenneth Frampton che si sofferma in particolare su alcuni progetti evidenziandone le ragioni compositive. Ma la pubblicazione nel com-plesso è sostanzialmente strutturata sulla illustrazione dei progetti e sulle loro descri-zioni che non sono, come spesso accade in analoghi libri, semplici estratti delle rela-zioni, ma scritti redatti per questa occasione dall’autore. Parlando dei diversi progetti, i testi descrivono progressivamente – quasi in forma di autobiografia scientifica – una certa idea sull’architettura, sul mestiere, mai ac-cademica e sempre volta a fare del progetto un momento risolutivo di questioni precisa-mente individuate.Ne emergono alcune questioni di grande interesse, proprio in rapporto ad un possi-bile dibattito sulla condizione del mestiere dell’architetto. In primo luogo il ruolo del disegno inteso come momento costitutivo del progetto, ad esempio con il ricorrente e sapiente uso della sezione prospettica quale strumento di controllo dei rapporti spaziali. E poi la costante fiducia nella modalità del concorso di progettazione, con una assidua partecipazione a rilevanti occasioni concor-suali; la rinuncia, anche in questi casi, all’uso di suadenti rappresentazioni virtuali lontane dalle reali proposte progettuali; il progetto in-teso come parte di una ricerca che, organi-camente, comprende studio, insegnamento e pratica professionale. In questo senso il libro racconta una esperienza di esemplare coerenza.

Maurizio Carones

a cura di Sonia Milone

Scarpa e Il Palazzetto, una rapsodia architettonicaOmaggio ad Aldo BusinaroTreviso, Centro Carlo Scarpa – Archivio di Stato di Treviso27 febbraio 2010 – 29 maggio 2010

“Io sono un uomo di Bisanzio, che è giunto a Venezia attraver-so la Grecia”. Il metodo eideti-

co di Scarpa passa attraverso le sue parole ricordate da Aldo Businaro, amico e mecenate, in un’estate del 1976. Un’ami-cizia nata nel 1969 durante un viaggio in Giappone e raccon-tata attraverso le vicende della seicentesca villa il Palazzetto del committente, un complesso architettonico situato nella cam-pagna di Monselice per il quale, a partire dal 1971, Scarpa pro-getta diversi elementi sperimen-tando modi espressivi ed usi dei materiali che altrove avrebbe utilizzato in più ampia scala .Un racconto prezioso, curato da Guido Pietropoli, in scena a Treviso presso il Centro Carlo Scarpa in una mostra organiz-zata nell’ambito delle attività di conservazione e valorizzazione dell’archivio, prodotta dal MA-XXI con il CISA Palladio e dalla Regione Veneto.In uno spazio allestito dalla sen-sibilità colta di Umberto Riva i disegni originali di Scarpa, (di proprietà del Ministero per i Beni e le attività culturali fonda-zione MAXXI) conservati presso il Centro e arricchiti da una col-lezione di Fabrizio Zuliani, docu-

Rapsodia Scarpiana

Una seducente avanguardia

Archizoom 1966-1974Mendrisio, Galleria dell’Accademia di Architettura6 maggio – 6 giugno 2010

La Galleria dell’Accademia di Architettura di Medrisio ospita la mostra Archizoom 1966-1974. Dall’onda pop alla su-perficie neutra, curata da Ro-berto Gargiani. È rappresentata l’esperienza del gruppo Branzi, Corretti, Deganello, Morozzi, Bartolini – formatosi alla facoltà di architettura di Firenze tra il 1959 e il 1963 – che con Super-studio ha costituito l’avanguar-dia dell’“architettura radicale” italiana. Il distacco temporale ci consente oggi di osservare un’evoluzione progressiva che convenzionalmente procede da avanguardia a utopia, toccando tutti i punti del percorso. L’esor-dio è con i progetti scolastici di una megastruttura urbana da

48mentano la ricerca della forma dell’opera aperta della corte do-minicale della villa. Gli ingressi, il muro di cinta, l’aia e la scala esterna, il berceau e la sistema-zione della barchessa nord si materializzano in schizzi su fo-gli che vengono approfonditi su cartoncini e interrogati in varianti su carta velina: il progettare sul-la carta come la realizzazione di un’opera, resa con materiali diversi. Una maquette della villa mostra

l’aia realizzata da Scarpa con la scala e il muro da lui progettati ma costruiti, nel 2006, dal figlio Tobia con qualche modifica, una vicenda documentata an-che dalla proiezione del film di Riccardo De Cal. La gentile competenza di Mi-riam Ferrari, una delle allestitri-ci della mostra, ci guida verso l’album dei rilievi architettonici, il catalogo della mostra dedicata al Palazzetto che si tenne a Tok-yo nel 1993, scritti e fotografie originali che ritraggono il profes-sore e Aldo Businaro. Nel portico del convento che ospita il Centro la “rapsodia ar-chitettonica” prosegue attraver-so le fotografie delle opere re-alizzate, immagini e forme finali della prima idea di Scarpa per l’aia: “una grande goccia che si allunga per separarsi da una parte di sé duplicandosi”.

Matteo M. Sangalli

Il Teatro del Mondo edificio singolare. Omaggio ad Aldo Rossi Venezia, Ca’ Giustinian10 febbraio – 31 luglio 2010

Entrare nel Portego di Ca’ Giu-stinian (vedi foto di Giulio Squil-lacciotti, courtesy La Biennale di Venezia) è di per sé un’espe-rienza teatrale: un’“aula” rettan-golare, disposta, come è tipico dei palazzi veneziani, perpendi-colarmente al canale, con il lato corto che si apre sulla laguna a inquadrare la chiesa della Salute e la punta della Dogana. Da qui, 30 anni fa, si sarebbe potuto intravedere, ormeggiato proprio davanti alla Dogana, il Teatro del Mondo che Aldo Rossi ave-va realizzato per la Biennale del 1979 per i settori Architettura e Teatro diretti da Paolo Porto-ghesi e Maurizio Scaparro.Il progetto di Rossi consisteva in un piccolo volume galleggiante, “una zattera, una barca: il limite o confine della costruzione di Venezia”, scriveva Rossi, che intendeva ripercorrere la tradi-zione dei teatri sull’acqua - “te-atri del mondo” si chiamavano - che Venezia amava realizzare in occasioni di feste o di cele-brazioni di grandi eventi. Rossi lavora in analogia con la storia e costruisce un oggetto completamente differente, ma ugualmente, se non più, teatrale di quelli della tradizione. Diver-samente dal Bucintoro, il Tea-tro del Mondo si innalza verso il cielo. In esso, contrariamente a quanto accadeva nella tradi-zione, si può entrare, lo spazio è chiuso e può, deve, essere vissuto al suo interno. Rossi costruisce una doppia teatra-lità: quella che il nuovo edificio ancorato nella laguna instaura con la città e quella invece che si vive, da spettatori seduti sulle sue ripide gradinate. “Stando il Teatro sull’acqua si poteva vedere dalle finestre e fuori il

Teatro dell’architettura

passaggio dei vaporetti e delle navi come se si fosse stati su un’altra nave, e queste altre navi entravano nell’immagine del tea-tro costituendone la vera scena fissa e mobile”, scriveva allora Rossi. La piccola mostra riper-corre l’avventura di questo “gio-iello” dell’architettura effimera, esponendo materiali provenienti da diverse istituzioni (ASAC, Fondazione Aldo Rossi MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, Teche RAI e privati). Si tratta in larga parte di fotogra-fie, disegni, scritti autografi di Rossi, una riproduzione originale dell’edificio e la sfera in rame che stava sulla cuspide della sua co-pertura. A tutto ciò si aggiunge un poetico “cartone animato” in cui si narra del viaggio del teatro, dall’arrivo in laguna fino all’ap-prodo a Dubrovnik.

Martina Landsberger

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“Ovunque è Legnano” recita l’inno di Mameli, così a pochi giorni dal Palio ripercorria-mo il Sempione e ci fermia-mo al Castello di San Giorgio per completare il percorso di S.A.Le. (Spazi Arte Legnano), iniziato con Palazzo Leone da Perego. Inserito nell’area ver-de dell’Olona che circonda il Parco Castello, a pochi passi dal centro, il “Castrum Sancti Georgi” nasce sui lacerti di un convento – denominazione del XIII secolo dovuta alla presenza in questi luoghi di un conven-to di Agostiniani con annessa chiesetta di S. Giorgio – che i Visconti avevano trasformato in casa-torre. Nel XV secolo viene eretto il torrione e le altre fortificazioni. Battaglie e incendi ne hanno segnato distruzioni e stratificazioni per tutto il XVI secolo, mentre dal 1792 e fino agli anni Sessanta l’intero com-plesso è stato trasformato in azienda agricola. La storia del lungo recupero inizia nel 1973 quando il Castello viene acqui-stato dal Comune. I lavori sono ancora in fase di ultimazione ma, dal 2006, con la mostra “Goya. I capolavori incisi” il maniero è diventato la secon-da sede espositiva cittadina. Nel 2008 viene aperto il nuo-vo spazio, “Doveva accadere” dedicato alle esposizioni di giovani artisti, un progetto che,

secondo le intenzioni dell’am-ministrazione, attraverso una oculata politica di acquisizioni e donazioni dovrebbe creare la base per una collezione del XXI secolo.L’edificio espositivo, all’interno del complesso del Castello, si sviluppa in due ali che sono sta-te restaurate con differenti tipo-logie di intervento, determinate dalle condizioni di degrado. Un intervento conservativo ha in-teressato l’ala sud-est, nobile residenza di campagna, men-tre la fatiscente ala nord-ovest è stata ripensata attraverso un progetto più complesso dall’ar-chitetto Luigi Ferrario. L’ala, in fase di ultimazione, è stata chiusa con coperture in vetro sorrette da leggere strutture in acciaio, un nuovo organismo architettonico che, sulla base di un modulo geometrico, ha inglobato il torrione la chiesa e tre nuovi padiglioni: reception con scala, ballatoi e ascensore, uffici ed aula per l’esposizione delle tre grandi tele del Previati il trittico della battaglia di Le-gnano. Un progetto di restauro selezionato tra le opere italiane per l’European Union Prize for Contemporary Architecture - Mies van der Rohe Award 2009.

Matteo M. Sangalli

Castello di San Giorgio Legnano, viale Pietro Toselliwww.spaziartelegnano.com

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del periodo post-bellico hanno fatto di Nervi un formidabile “adattatore” di metodi costrutti-vi semplici, quasi rurali, all’inter-no di modelli teorici complessi; di qui l’idea, in ogni costruzione, di prefabbricare l’impianto strut-turale primigenio, trasportando-lo in cantiere per articolarvi le strutture secondarie: tramature, orditi, céntine, vetri-cortina. L’ironia invece emerge dall’os-

servazione attenta delle tavole di progetto, dagli schizzi redatti nelle estati passate a Cortina o sul litorale romano dove un asino poteva farsi unità di mi-sura, così come il manico di un secchio o il giogo di un aratro suggerivano la forma: l’accesso illogico per l’articolazione logica del processo compositivo.

Leo Guerra

70.000 abitanti nella campagna fiorentina ispirata a Tange e con una proposta per la facoltà di architettura di Firenze che evo-ca Le Corbusier. La vera fon-dazione ideologica si ha, però, con l’introduzione nel design del contributo della Pop Art, con il divano Superonda e il mobile-contenitore Rampa, cui fanno eco in architettura i progetti del Parco Territoriale e del Centro Culturale di Prato (1967). La pluralità dei rivolgimenti si ali-menta attraverso le fonti più diverse, da Bob Dylan all’evo-cazione “liberatoria” di un kitsch “afro-tirolese”, all’esplorazione architettonica, nelle due versio-ni del progetto per la chiesa di Zingonia, involucro high-tech anglosassone o impianto co-struttivista, e nel concorso per il Centro dell’Artigianato nella Fortezza da Basso (1968), qui esposti (impropriamente) come “Razionalismo esaltato”. La trasposizione onirica del re-alismo dell’avanguardia diviene manifesta nei fotomontaggi ur-bani, dove la logica della me-gastruttura è estremizzata nel tentativo di rianimare una città che nel passaggio all’utopia di-viene la No-stop city: una ma-glia continua, elaborata a partire dal progetto per l’università di Firenze (1970-71), climatizzata, attrezzata e in gran parte sotter-ranea, destinata a sostituire la città della storia, quale speranza di redenzione dal consumo.Nel confronto con il presente, tuttavia, più che l’esame pun-tuale delle ragioni di coerenza e d’inverosimiglianza del passato, conta la prevalenza assordante di una seducente avanguar-dia, per tanti aspetti tributaria a queste esperienze, e al loro peccato originale di assassinio della tradizione, e la scomparsa silenziosa di quel futuro possibi-le, il nostro, che Ernesto Rogers chiamava “utopia della realtà”.

Stefano Cusatelli

Sondrio: omaggio a Nervi

Pier Luigi Nervi. L’architettura molecolareSondrio, Galleria Credito Valtellinese e MVSA, Palazzo Sassi de’ Lavizzari15 aprile – 20 giugno 2010

Pier Luigi Nervi nasce a Son-drio per sbaglio, essendo figlio del direttore dell’ufficio postale cittadino; vi compie le scuole dell’obbligo e gli studi classici fino alla maggiore età, quando si iscrive alla Facoltà di Ingegne-ria alla Sapienza in Roma.Muore ne 1979 dopo una stra-ordinaria carriera che lo condur-rà, attraverso la sperimentazio-ne di pionieristiche tecniche di costruzione – l’invenzione del ferro-cemento, la modellazio-ne del calcestruzzo armato per strutture a doppia calotta, l’in-troduzione di rivoluzionari siste-mi di completamento dei getti in opera in condizioni di estrema difficoltà – alla notorietà inter-nazionale. In stretto parallelismo biografico, un caleidoscopio vi-sivo proietta il visitatore nel vivo dei progetti e delle realizzazioni dell’architetto-ingegnere, attra-verso il loro allestimento cro-nologico: dal periodo 1927-40, nell’ambito dell’impresa fondata con il cugino - la Nervi Bartoli S.A.-, fra le quali spiccano lo Stadio di Firenze, gli Hangar di Orvieto e Orbetello, il Palazzo delle Esposizioni di Torino fino a quelli dell’immediato dopo-guerra: il Palazzetto dello Sport all’EUR, il Palazzo del Lavoro a Torino per Italia ’60 e poi ancora i progetti americani quali la bus station di New York e la Chie-sa di St. Mary a San Francisco, per concludersi con il progetto di concorso per il Ponte sullo Stretto di Messina (1968). Ma sono le fotografie, riprodotte con inediti salti di scala rispetto ai documenti originali, a mo-strarci alcune novità assolute, come ad esempio l’impronta neorealista del sistema Nervi e l’accento ironico del suo modus progettuale lontano dalle costri-zioni e dai pragmatismi dell’in-gegneria strutturale. Quanto alla prima, è utile sottoli-neare come l’autarchia del Ven-tennio e le carenze economiche

Il SALe nel Castello di Legnano