Carcere, giustizia e dono

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 N°7 - 2005 Supplemento a Servir Centro Astalli N° 5 (Maggio) 2005 Dignìtas  percorsi di carcere e di giustizia  Per la difesa della dignità delle  persone detenute ed ex detenute;  per una cultura della pena e della riabilitazione improntate a umanità, diritto, inclusione;   per il sostegno solidale dei progetti di vita "dopo e fuori";  per una giustizia capace di guar dar e oltre il modello r etributivo. Senza essere per donati, liberati dalle conseguenze di ciò che abbiamo  fatto  , la nostra capacità di agir e sarebbe per così dire confinata a un singolo gesto da cui  non potremmo mai riprenderci; rimarremmo per sempre vittime delle sue conseguenze,  come l'apprendista str egone che non aveva la formula magica  per rompere l'incantesimo…  Diversamente dalla vendetta, che è la naturale, automatica reazione alla trasgr  essione… l'atto del perdonare non può mai essere pr evisto . Perdonare, in altre parole, è la sola r eazione che non si limita a r e-agire, ma agisce in maniera nuova e inaspettata.  Hannah  Arendt  Comitato Scientifico Adolfo Ceretti, Francesco De Luccia s.i., Luciano Eusebi, Giam battista Legnani, Leonardo Lenzi, Francesco Maisto, Alessandro Margara, Claudia Mazzucato, Antonietta Pedrinazzi  Redazione Guido Bertagna s.i., Francesco Borroni, Antonio Casella, Sergio Segio r [email protected]  Segreteria di Redazione Guido Chiaretti  www.dignitas.it - segr [email protected]  Pubblicazione a cura della Sesta Opera San F edele www.gesuiti.it/sestaopera - [email protected]  Progetto Grafico Tiziano Chiaretti - www .chiar ettitiziano .it  Supplemento a SERVIR CENTRO ASTALLI Mensile di Informazione dell’Associazione  Centro Astalli per l’Assistenza agli Immigrati  Via degli Astalli 14/a - 00186 Roma - C.C.P. 19870009 Reg. T ribunale di Roma n. 297 del 9/6/1995  Direttore Responsabile: Vittoria Prisciandaro Stampa: Tipografia Sady Francinetti - Milano  Nel rispett o della legge n. 675/96 sulla tut ela delle persone e dei dati per- sonali, la direzione di Di gnìtas garantisce che le inf ormazioni relative agli abbonati, custodite nel proprio archiv io elettronico, non saran no cedute ad altri e saranno utilizzate esclusivamente per l’invio della rivista. 

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Carcere,Giustizia

e Dono

Antonio Chiocchi

T EMPO DEL CARCERE E TEMPO DELLA GIUSTIZIA

ual è il tempo della giustizia, quando vige ancorailtempo del carcere?Il tempo della prigione non impri-

giona ancheil tempo? Eil tempo imprigionato non è spaziochedi sé tutto impregna?

Si potrebbecontinuare all'infinito con la catena diquestiinterrogativi. Quello che ora ci premesottolineareè l'evidenzache essi fanno trasparire: la privazione di tempo, grazie alcar-cere, diventa tempo. Questa è la prima esperienza tattilecheogni detenuto/afa del carcere e che, del carcere,conserveràeternamentenei suoi cromosomi, nelle sue pulsioni emotivee

nel suo cervello; anche se e quando avrà la fortuna di separarsi dalcarcere. Nelle volizioni dell'istituzione chiusa e nell'organizzazione da essaallestita

e difesa, il tempo imprigionato è tempo assente;il tempo assente,a sua volta,diviene spazialità: reticoli cubicolari e territori murati. Cheil tempo/spazio delcarcere abbia proiezioni nella società e che, all'inverso, siano cadenzesociali,architetture urbane e ossessioni antropologico-culturali ad averprodottoil per-manere del carcere nelle forme esistenti pare fuori di dubbio.A tal punto cheviene più o meno giustificata o punitivamente esaltata una tipologia perversa dilibertà del tempo della sofferenza.Il carcere, come luogo emblematico dellasof-ferenza, si rovescia in una sofferenza che èlibera di esser tale e che, peresser-lo, ha bisogno ... del carcere! Anche quando la sofferenza esce dal carcere,perfrazioni di tempo o per un tempo intero, non può stabilmente impiantarsinellasocietà; regolarmente deve far ritorno al carcere,il luogo presunto dell'infezio-ne originaria, in cuiil virus della devianza deve esserecontinuamente ricondot-to e riquantificato.

Nell'immaginario antropologico-culturaleche, più o menoconsapevolmen-te, presiede a questo disegno di controllo ed emarginazione,il carcere divienesimultaneamenteinput e output del sistema della sofferenza. La società sicol-loca nel mezzo e, insieme, si chiama fuori. Essa si purifica, accogliendo per fra-zioni di tempo le figure recluse emarginate, per poiimmediatamente restituirlea quella che ritiene la loro terra madre: l'inferno delle celle. In un unico eartico-lato tempo, la società richiama simbolicamente e materialmente lanecessità delcarceree il carcere mimaall'infinito la sua esternalità e la sua extraterritorialitàneiconfronti della società. In realtà, in questo tempo articolato e dislocato,carce-re e società si condizionano ecompenetrano.V'è un risvolto che sorprendeeche mostra con nitidezzail gioco degli specchi: la sofferenza legale si iperlegit-

tima come saturazione dell'assenza della libertà. Per essa, seil tempo/spazio delcarcere è assenza di libertà, l'assenza èil carcere. Il tempo è carcere eil carcere ètem- po: ecco il progetto concentrazionariodell'istituzionetotale.

Allora: quale giustizia può dirsi veramente e rigorosamente tale, se non ini-zia radicalmente e rigorosamente a ripensare la sanzione e le sue forme,espun-gendo definitivamente dall'orizzonte della società, dall'immaginario collettivoedagli archetipi culturaliil carcere e tutte le soluzioni che con essointessono econservano un grado di parentela? Quale tempo può essere libero, se non silibera del carcere e di tutte le sue forme articolate,decentratee surrogate?

Il tempo imprigionato è la gabbia presente conficcata trapassatoe futuro.Ilcarcere tenta qui di compiereil sortilegio che arresta e aggiogail tempo. L'esitoirreparabile a cui tende la razionalità di comando che possiedeil tempo imprigio-nato è la conversione della solitudine, da premessadi libertà, in servitù. Lacomunità

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dei reclusitestimonia, con la sua semplice esistenza, l'asprezza di questadegene-razione e di questa umiliazione. Ecco perché l'esperienza del tempo in carcereècosì intensa e, insieme, così incerta; così problematica e, insieme, cosìprossimaallo scacco; cosìdifficile e, insieme, così necessaria e vitale.

La tortura maggiore è quella di toccare con mano e quantificare interminidi tempo e di spazio che qualcosa di sé sta irreparabilmente morendo colpro-prio passato; ma sta anche, qui e ora, morendo col proprio presente. E lamor-

te di tutti i tempi personali si associa con l'interdizione all'esperienzaarticolatae pregnante dei tempi storici e sociali. Del resto, qualebiografia personalepuò maifecondarsi fuori dall'esperienza critica e piena dei tempi della storia edellasocietà? Non è possibile salvarei tempi e gli spazi delle propria vita, se non inrelazione allo sforzo didecontaminazionedei tempi e degli spazi della storiaedella società. Tale sforzo trascendela vita di ognuno; ma può mettere tutti indialogo. Ciò èsoprattuttovero nel carcere e a partire dalcarcere.

Tutte le volte che, nel carcere e intorno al carcere, questo avviene è unasor-presa. Lì, nel punto di precipitare in un abisso senza fine e senza vie d'uscita, larisalita alla luce chiara di un'esperienza di libertà.Il carcere offe di continuoilsegno tangibile e inestirpabile di questo spirito di libertà mai domo. Nonparlasolo della brutalità deldentro e del fuori; ma anche dell'enorme potenziale di liber-tà e di liberazione compresso nellospazio/temporecluso e nellasocietà.

Nasce a questo crocevia e tra questi elementi in giocoil desiderio dicon-servare eriprodurre se stessi ei propri tempi, non nell'oblio o nellamalinconiadei sentimenti perduti; bensì nella responsabilità e nella nostalgia chericorda-no e ricostruiscono un tempo di vita diverso. È, dunque, possibile efattibileripensare il sistema penale non in funzione dell'esecuzione penitenziaria.A pat-to, però, cheil tempo della giustizia si costituisca comeil surplus capace diandare oltre la pena,spiantandole sue radici dall'etica dello scambionormati-vo e impiantandole nell'etica della responsabilitàdell'innocenzaverso lacolpa.

La giustizia non perdonail colpevole, perché, in realtà, non perdona sestes-sa, rimanendoattaccataai chiodi del suo senso di colpa arcano.Il colpevole è lafigura proiettiva ecompensatoriagrazie alla quale la giustizia si pensa pura:anzi,proprio nell'esercizio della punizione essa ritiene di purificare lasocietà.

Ma la colpa non consegue al reato;piuttosto,si delinque, per rimuovereerisolvere il senso di colpa originario da cui si è afflittiinteriormente.Riconoscendo questa evidenza elementare, la giustizia farà un significativopas-so in avanti.Soprattutto,eviterà di punire sotto l'effetto della pulsione arimuo-

vere il groviglio dei sensi di colpa collettivi. Da questa rimozione discendeunsistema di punizioni dentro cui la sofferenza legale èil farmaco perversochecura con terapie rancoroseil dolore e le responsabilità dei singoli e deicolletti-vi. La giustizia tanto più parla di sé, quanto meno si pensa e organizzacomesistema reclusorio.Il tempo della giustizia resterà incerto, fino a quando nelsuoorizzonte compariràil tempo delcarcere.

I L TEMPO DEL DONO

La mano dona, perché ha dentro di sé lo spirito del dono. Ambedue -manoe spirito- abitano la terra del dono. La mano (che dona) hadavantia sé laterra(del dono) edietro di sé lo spirito (del dono).Trovare davanti a sé la terradeldono, non è possibile, se non si ha dentro e dietro di sé lo spirito deldono.

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Ma qual è la terra del dono? Esoprattutto:qual è lo spirito deldono? La terra del dono è quella chenon è segnata: nessuna rete la argina.Il dono,

in quanto tale, è della terra libera e non del territorio marcato. Per donare,dob-biamo uscir fuori dal territorio segnato e fare ritorno alla terra: sbalzare fuoridalrecinto e far ritorno alla libertà,costruendolanell'atto stesso di donarla. Maquesto balzo fuori eccedeil dono e dà inizio alla storia di una dimensionenuo-va che designiamo come plusdonare1.

Il plusdono èscandalo: struttura che divide dal segno codificato e che siribella al primato dei segni,i quali finiscono invariabilmente col ribaltarsi ecom-mutarsi da una equivalenza all'altra. Plusdonare è rendere liberoil mondo,cominciando col rendere liberi sestessi.

Nel plusdono, al dare non corrisponde un avere. Qui donare significachenon v'è intimamentepossessoe che alpossessonon si ambisce. Ciò che sihae si è lo si offre, non per avere o essere, ma semplicemente per vivere nellapie-nezza delnon-possedereper sé e nemmeno per altri.Tuttoparte dallamancan-za della volontà di porre- attraverso l'elargire- la vita altrui come riflessocondi-zionato della propria.Il plusdono rompe le gerarchie del segno e delle relazionisociali, perché infrange l'assiomatica delpossesso.L'equilibrio del dare perave-re e per essere viene messo asoqquadro.Il plusdono non conferma leequiva-lenze e le scale dei valori sociali dominanti e nemmeno le sovverte; nedichiaral'indigenza, varcandolesobriamente.Così, costringendole a riverberarsi nellorogelido ed esangue specchiodorato.

Non per questo,il plusdono è vita misera o isolamento ascetico; della vitapiena, anzi,il plusdono è l'esaltazione. La nobiltà della vita umana e dell'univer-so e la ricchezza dispiegata di tuttii loro mezzi ed agenti confluiscono nelplu-sdono. Ciò rende al plusdono possibileil recupero e la resurrezione dellapie-nezza dell'ieri e dell'ora nell'orizzonte di un altrove che si costruisce dalpresen-te e che del presente esalta le virtù, in un confronto serrato coni suoi maliinte-riori ed esteriori.Il plusdono è una promessa di integrità e dignitàmantenuta:del genere umano rispetto al genere; degli esseri umani rispetto all'intero viven-te non umano. Donare la vita, senza nullapretenderein cambio, è somma liber-tà dell'amore. E l'amore ha sempre molteplici, se non infinite,forme.

Quella del donare, allora, è unametamorfosicontinua della propriaidentità,a contattocon le identità plurime del mondo e dell'Altro. Ma che lapropriaidentità sia determinata, in maniera rilevante, dal donare, altro non indica cheèessa stessa una particella elementare della metamorfosi. Niente più delplusdo-no trasforma e turba le identità che sispendononel gioco del donare.Il turba-mento collegato al plusdono è una porta di ingresso e, insieme, una presa didistanza: il distanziamentodalle conformità degli interessi e delleopportunità;l'accesso alla generositàdisinteressatache costituisce la parte nobile delgene-re umano e del vivente nonumano.

1 Sono qui schematicamente richiamate considerazioni sviluppatein una ricercain corso , a cuisi rinvia per riferimenti più puntuali: A. Chiocchi, L'A LTRO. DEL VIVENTE E DEL MORENTE , Avellino , Associazione culturale Relazioni,2005; in part., il cap. 2: "Oltre il dono". Il testo è disponibilealseguente indirizzo web:http://www.cooperwweb.it/relazioni/attraverso7.html

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Nelle costellazioni della generosità, ognuno è per l'Altro, perché il mondoè per tutti.

Quelle del plusdono, allora, non sono relazioni, mastorie, vere e proprieavventure dello spirito umano e dello spirito del mondo. La memoria delplu-sdono scrive la storia della generosità del mondo e del genere umano, malgra-do l'esistenza del mondo e del genere umano. Ecco perché, dall'inizio alla fine,il plusdono è la storia di unoscandalo.

Il plusdono, così come lo stiamoraccontando, non ha utilità logica. Anzi,logicamente è disutile. Eppure, non è un'estetica vuota; ma nemmenoun'eticarigida. Nella sua fitta trama, uniscei motivi della responsabilità etica con quellialtrettantoprofondi dell'armonia e della profondità delvivere bello, inteso nonnelsenso edonistico e consumistico, ma in quello utopico epoetico.

Plusdonaresignifica non solodonare per donare, ma recidere definitivamenteilcordone ombelicale che trattieneil dono nelle gabbie dell'essere, dell'avere edel-le forme di scambio.Il plusdono non è autoreferenziale; è piùdel donare. Si apresempre al di fuori di ogni rendiconto etornaconto:non sulle loro ceneri; maapartire dalla messa in congedo dei loro universi etici e simbolici.

Esso si caratterizza per far emergere, principalmente, unatonalità affetti-va: l'offerta d'amore è estranea al calcolo, alla richiesta dicontropartitee afinalità di dominazione. Diventa, così, la figuraparadossaledi uno scandaloantico almeno quanto Cristo, per ciò che riguarda la storiadell'Occidente.

Questa tonalità segna l'origine della responsabilità d'amore. Cheèresponsabilità non del puro rispondere di sé e delle proprie azioni, difronteall'Altro e al mondo. Laresponsabilità d'amoredissoda la terra delladonazione,rendendola (non solo) possibile, ma (anche) visibile. Essa non risponde;ben-sì chiede ascolto e chiama. Richiesta d'ascolto e chiamata all'amorerendonoil plusdono palpabile e lo portano in cammino. Proprioil non aspettarsirisposte compensative, risarcitorie e corrispettive rende affettivamente esto-ricamente forte l'esperienza delplusdonare.

G IUSTIZIA E DONO

La giustizia, in quantoapparatoimpersonale di norme codificate, siritieneimmune da ogni forma di risentimento e odio. Così non è, a misura in cui:(I)pone il carcere come mezzo diproporzionamentodella pena e(II) promuove lasanzione penale come principale modalità di controllo e regolazionesociale.Nel suo progressivo assurgere a baricentro del sistema legale delleprestazioni,essa perdel'humanitas e si costruisce comeordignor egolator e.

Ora, come ordigno, la giustizia smarrisce la pietasche Salomone mostra, difronte alle due madri che rivendicano lo stesso bambino. La spada della giusti-zia di Salomone salvail bambino, perchéconsentelo smascheramentodella fal-sa madre. La vera madre è donatrice di vita, per la seconda volta: dopo averglie-la data, salva la vita alfiglio, dichiarandoil non possessosu di lui.Il dono dellavita, fa salva la vita. E questa salvezza passa per la rinuncia alla proprietà.Chenon è fuga dalla responsabilità; ma, viceversa, integraleaccettazione dellaresponsabilità d'amore a cui si è chiamati.Agire per la vita di ciò che è piùcaroè il punto di partenza;estendereagliAltri questo sentimentoresponsabile è l'i-nevitabile prosecuzione. Conferirehumanitas e pietas alla giustizia significaren-derla partecipe dello spirito del dono. Nessun corpo/anima può esseretenuto

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in proprietà e/o smistato in tempi e luoghi disumanizzatiprogressivamente.Giustizia non deve, allora, significare costruire la riparazione come scambiotraoffesa e retribuzione del danno. Una giustizia siffatta prendesempre e maidona:costituisce il calare dell'ombra sull'universo del dono. Ma una giustizialiberatadal dono è una giustizia in contraddizione con la libertà, perché cessa diesse-re depositaria di sentimenti d'amore. La giustizia non deve limitarsi allariparazio-ne del dannoe rispondere ai meri criteri di redistribuzione del dolore e dellasof-ferenza tra l'offeso el'offensore.

Quanto più rimane ferma a questa soglia, tanto più essa va inclinandoperinerzia verso dispositivi penali crudeli. Nel ristabilimento della misura, essaèresponsabile tanto nei confronti dell'offeso che in quelli dell'offensore. Nonèmai immune da errori; ed esercitare la giustizia con indifferenza e crudeltà è l'er-rore sommo.Il dono, come salva dalla vendetta, così fa risalire dall'errore:comela spada di Salomone che non cade sul bambino, per dividerlo in due. Se divi-de in due, è una giustizia portatrice di morte. Se conserva l'unità, è una giusti-zia matrice di vita. La giustizia è dono della vita. Come la spada diSalomone.Come la madre che salvail figlio, offrendoil proprio amore, senza nullachiede-re in cambio e confermando in eterno tuttii diritti natali della vita.

Diritto alla giustizia e giustizia intesa come dono, come èagevolmenteintuibile, delineano situazioni differenti. Se ognuno ha diritto alla giustizia, l'e-sercizio della giustizia come dono esulail mero campo dei diritti. Per superareilimiti dell'impersonalità fredda e delle convenzioni giuridiche e per sciogliere lacatena nonconfessatadei risentimenti e degli odi, la giustizia deve saperfareun passo oltrei diritti: cioè, coniugarli con unsentimentod'amore per l'Altro.

Occorre, quindi, stabilire una nuova postazione di avvio: prima di esigereilmio diritto, mi metto in cammino versoil diritto dell'Altro. Questo cammino èilcorso della giustizia del dono. In esso è possibile riconoscersi, ognunodonan-do all'altroil meglio di sé ed ognuno facendoi conti con i propri errori e latioscuri.Alla giustizia del dono tutti possiamo finalmente dire:grazie.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICIESSENZIALI

AA.VV., I L CODICE DEL DONO(a cura diG.Ferretti), Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Interna- zionali,2003. G. Bataille, L A PARTE MALEDETTA , Bollati Boringhieri, Torino,1992. G. Bateson,V ERSO UNA ECOLOGIA DELLA MENTE , Adelphi, Milano,1976. Idem, M ENTE E NATURA , Adelphi, Milano,1984. M. Blanchot, L A COMUNITÀ INCONFESSABILE , Milano, Feltrinelli,1984. J. Derrida, DONARE IL TEMPO. L A MONETAFALSA , Cortina, Milano, 1996. Idem,T EMPO E PENA DI MORTE , SEMINARIO , Università degliStudi diTrieste, Dipartimentodi F iloso- fia,16 novembre2000. J. Godbout, LO SPIRITO DEL DONO , Bollati Boringhieri, Torino,1993.