Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa....

11
giovedì 5 settembre 2002 ore 21 Conservatorio Giuseppe Verdi Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio, direttore

Transcript of Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa....

Page 1: Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa. Strutturata come un’opera seria, in tre atti e con vir- tuosistiche arie col da

giovedì 5 settembre 2002ore 21

ConservatorioGiuseppe Verdi

Cappella della Pietà de' TurchiniAntonio Florio, direttore

Page 2: Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa. Strutturata come un’opera seria, in tre atti e con vir- tuosistiche arie col da

Domenico Sarri (1677-1749)

Concerto per flauto e archiadagio – allegro – adagio – presto

Nicola Grillo(fl. sec. XVIII)

Lo Matremmonio (Napoli 1712)cantata per tenore, arciliuto e calascione

Leonardo Vinci (1696ca-1730)

Li Zite ‘n Galera (Napoli 1722)Quanno siene a’na femmena dire per basso e archiN’ommo attempato per tenore e archiFortuna cana, oh Dio, terzetto per tre soprani

Giovanni Paisiello(1740-1816)

De sett’anne, Mamma miaaria di Bianchina da Il Pulcinella Vendicato (Napoli 1769)

Domenico Cimarosa (1749-1801)

Vezzosetta Spagnoletta, finale a cinqueda Il fanatico per gli Antichi Romani

Pietro Auletta (1698-1771)

Arietta di Monsù Piconeda La Locandiera (1738)

Pietro Marchitelli (1643-1729)

Sonata a quattro per archiadagio/allegro – fuga – adagio – presto

Page 3: Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa. Strutturata come un’opera seria, in tre atti e con vir- tuosistiche arie col da

Pietro A. Guglielmi (1728-1804)

Che cosa è questo ohimé, aria per sopranoda La Pastorella Nobile (Napoli 1788)

La mia pastorella, duetto per soprano e baritono

Domenico Cimarosa

Sposate che sarrimmo, cavatina per sopranoda Il fanatico per gli Antichi Romani

Leonardo Leo(1694-1744)

Fa l’alluorgio cammenare, concertato a 5 voci

Antonio Florio, direttore

Maria Ercolano, Roberta Andalò, Maria Grazia Schiavo, sopraniGiuseppe De Vittorio, Rosario Totaro, tenoriGiuseppe Naviglio, baritono

Tommaso Rossi, flauto dolceAlessandro Ciccolini, Claudia Combs, Giovanni Dalla Vecchia,violini primiPatrizio Focardi, Nunzia Sorrentino, Rosario Di Meglio,violini secondiRosario Di Meglio, Massimo Percivaldi, violeWally Pituello, violoncelloPaolo Dionisio, violoneGiorgio Sanvito, contrabbassoPaola Frezzato, fagottoFederico Marincola, tiorba, calascioneUgo Di Giovanni, arciliutoPatrizia Varone, cembalo

Page 4: Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa. Strutturata come un’opera seria, in tre atti e con vir- tuosistiche arie col da

Cappella della Pietà de’ Turchini. Ormai ricono-sciuto come uno dei complessi strumentali e vocali dipunta nel panorama concertistico europeo, la Cappelladella Pietà de’ Turchini si ritaglia uno spazio assolu-tamente unico in Italia: attraverso una costante coniu-gazione tra ricerca musicologica, studio, insegnamentoe prassi concertistica – nella propria sede presso ilCentro di Musica Antica nella chiesa di Santa Caterinada Siena, nei quartieri spagnoli di Napoli – sta ridandovita a un repertorio assolutamente unico, negletto persecoli e che, a ogni scoperta, produce stupore e ammi-razione per la rivelazione di continui capolavori.Stiamo parlando della musica scritta a Napoli tra il XVIe il XVII secolo: una quantità sterminata che giace sco-nosciuta nei grandi archivi di conservatori, chiese ebiblioteche napoletane. L’unicità della posizione napo-letana, al crocevia di così differenti culture – moresca,italiana, greca, spagnola e francese – ha dato a que-sta musica un gusto e un colore particolare. La Cap-pella della Pietà, formata perlopiù da musicisti e can-tanti napoletani o attivi nella città partenopea, hasaputo catturare quest’essenza e ricrearla. Ospite rego-lare dei maggiori festival di Francia, Spagna, Austria,Germania, la Cappella ottiene prestigiosi riconosci-menti nel nostro paese: primo fra tutti il Premio Abbiatidella Critica Italiana 1997, attribuito «per l’intrapren-dente e insostituibile contributo dato alla riscopertaesecutiva e critico-editoriale del barocco napoletano».Durante l’anno 2000 la Cappella della Pietà si è esi-bita a Milano, Roma, Ferrara, Bolzano, Cremona,Napoli, Bari e nei principali centri musicali europeitra cui Vienna, Parigi, Madrid, Barcellona; ha debut-tato in Canada, a Lisbona e a Bruxelles. Nel febbraiodel 2001 ha debuttato all’Accademia di Santa Ceciliae a Berlino, nella sala della Philharmonie su invito diClaudio Abbado. Nel 2002 i Turchini hanno suonatoe cantato a Londra, Vienna, Roma, Perugia, Torino,L’Aquila, Siena, Forte dei Marmi, Massa e in Spagna,Francia, Belgio, Germania, Messico e Colombia.

Page 5: Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa. Strutturata come un’opera seria, in tre atti e con vir- tuosistiche arie col da

Antonio Florio. Diplomato in violoncello e pia-noforte al Conservatorio di Bari, ha dedicato gli ultimidieci anni alla ricerca musicologica rivolta soprattuttoalla musica napoletana del XVII secolo, riportandoalla luce capolavori musicali di autori di alto livelloe in parte ancora sconosciuti: Trabaci, Veneziano,Nola, Netti, Sabino, Caresana e Provenzale. Di que-st’ultimo ha affrontato lo studio sistematico di tutte leopere superstiti: La Colomba ferita e Il schiavo di suamoglie, eseguite per la prima volta al Teatro Massimodi Palermo tra il 1990 e il 1993, e La Stellidaura ven-dicante, proposta nell’ambito della Stagione lirica diBari nel 1996. Nel febbraio 1999 ha eseguito alla Citéde la Musique di Parigi l’opera buffa di Leonardo VinciLi zite ‘n Galera che è stata ripresentata quest’annoalla Konzerthaus di Vienna e al Teatro Comunale diFerrara. Unanime successo ha avuto la sua direzionedel Dido and Eneas di Purcell al Festival Monteverdidi Cremona nel 2000. È titolare della cattedra di Musicada Camera al Conservatorio di Napoli, nonché diret-tore artistico del Centro di Musica Antica di Napoli.

Page 6: Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa. Strutturata come un’opera seria, in tre atti e con vir- tuosistiche arie col da

Con l’apertura nel 1709 del rimodernato Teatro deiFiorentini, che si specializzò presto nella comme-

dia in musica, Napoli si propose all’Europa con unanuova forma di spettacolo musicale che per un interosecolo avrebbe mantenuto tutta la sua vitalità: l’“operabuffa”. Con tale denominazione si rendevano evidentii rapporti di filiazione diretta dalla antica commediadell’arte, che a Napoli si era andata vieppiù associandoal melodramma attraverso una serie di esperienze deci-sive, nei decenni dominati dalla figura di FrancescoProvenzale e poi dei suoi allievi. Tra le tante deno-minazioni dei libretti settecenteschi il termine più uti-lizzato non era tuttavia quello di opera buffa ma di“commedeja ppe museca”: le opere portate dai“buffoni” divennero “buffe” soltanto quando conqui-starono il pubblico di città straniere, come Parigidurante la celebre querelle des bouffons. Anche il pro-dotto di cui parliamo, nella sua fase di avvio a Napoli(e senza riferirci alla contemporanea produzionecomica veneziana) non era univoco e definito. Neipalazzi aristocratici si era diffusa la moda di rappre-sentare scenicamente delle cantate in “lengua napoli-tana”, il cui prototipo fu nel 1706-7 La Cilla di Miche-langelo Fagioli, un avvocato compositore. Altra formapeculiare dello spettacolo comico napoletano era l’in-termezzo, costituito da una coppia di scenette con duesoli personaggi comici inserite fra i tre atti di un drammaeroico, il cui titolo più celebre è La serva padrona diPergolesi. La forma più matura e completa di compo-sizione teatrale comica era la “commedeja ppemuseca”, in due o tre atti con una struttura non dis-simile da un’opera seria (sinfonia, arie, recitativi, pezzidi insieme) ma tutta cantata in lingua napoletana. Unadata d’avvio per questo genere esclusivamente napo-letano è il 1719, anno in cui ai Fiorentini il giovaneLeonardo Vinci propose la sua prima opera dal titoloprogrammatico: Lo Cecato fauzo commeddia ‘mmu-seca da rappresentarese a lo Teatro de li Sciorentinesta primmavera dell’anno 1719 addedecata a la llo-striss. ed azzellentiss. Segnora Barbara d’Erbestein con-tessa de Daun (la prima viceregina austriaca di Napoli).Di questa partitura restano soltanto alcune arie e nullaabbiamo delle successive otto commedie in napole-

Page 7: Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa. Strutturata come un’opera seria, in tre atti e con vir- tuosistiche arie col da

tano che Vinci compose prima del 1722, anno in cuisi rappresentò il suo capolavoro comico Li Zite ‘nGalera, di cui sopravvive invece la partitura autografa.Strutturata come un’opera seria, in tre atti e con vir-tuosistiche arie col da capo, questa commedia si rivelacome lo spartiacque tra la fase iniziale del genere buffonei teatri napoletani e la sua forma matura, che potégodere di una diffusione europea solo quando vennemeno l’uso della lingua napoletana in favore deltoscano. La semplicità relativa della scrittura orche-strale sottolinea la potenza espressiva delle linee melo-diche, confermando la propensione al cantabile, oralanguido ora frizzante e divertente, che fu universal-mente riconosciuto a questo maestro. Se Vinci fu ildominatore della scena comica napoletana prima e diquella eroica poi, a partire dalla sua collaborazionestabile con Metastasio il pugliese Leonardo Leo fu ilprotagonista dell’insegnamento della musica a Napoli,contrastato dal solo Durante. Fu anch’egli un prolificoautore di commedie musicali, ma questo lato della suaproduzione è stato sottovalutato in epoca moderna perla scarsità delle fonti musicali. Su oltre 90 melodrammicomposti da Leo, le opere comiche sono circa unadozzina, ma in realtà soltanto di un paio si conser-vano le partiture complete. Alcune arie comiche di Leosono tuttavia conservate in un gruppo di manoscrittidel Conservatorio di Napoli e si rivelano estratte daalmeno due opere perdute: Le Fente zengare (1724) eAlidoro (1740). Nelle arie “in lingua” superstiti di Leoil registro è altrettanto variegato che in Vinci, passandodal patetico e meditativo alla sfrenatezza dei concer-tati finali. Il teatralissimo Fa l’alluorgio cammenaredovette godere di una certa notorietà indipendente-mente dall’opera di origine, poiché si ritrova copiatoin diverse fonti europee. Si tratta di una curiosa costru-zione onomatopeica sull’orologio che rifà esplicita-mente il verso al battito cardiaco di un celebre passodella Serva padrona. La “cantata napolitana” Lo Matremmonio è attribuita inun manoscritto del Conservatorio di Napoli a un finorasconosciuto “Grillo”, senza ulteriori indicazioni. Grazieal recente e fortuito ritrovamento in Germania di unacollezione manoscritta di cantate, in cui compaiono

Page 8: Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa. Strutturata come un’opera seria, in tre atti e con vir- tuosistiche arie col da

altre cinque composizioni definite “cantata napoletana”di Nicola Grillo, sappiamo che questo autore, che futra l’altro maestro nei conservatori napoletani, era con-siderato uno specialista del genere al servizio dell’ari-stocrazia napoletana dei primi decenni del Settecento.Pietro Auletta fu tra i più importanti continuatori aNapoli della commedia in musica dell’epoca di Vinci.Non a caso un suo intermezzo fu presentato insiemealla Serva padrona di Pergolesi nella tumultuosa sta-gione di opera buffa presentata a Parigi nel 1752 dallatroupe di Bambini, che coincise con la querelle desbouffons. La locandiera, definita “scherzo comico inmusica”, era stata composta su testo di GennarantonioDi Federico (il librettista della Serva padrona) per ilmatrimonio del re Carlo di Borbone con la regina MariaAmalia e rivela una straordinaria creatività melodicarisolta con una scrittura semplice, soprattutto nell’or-chestrazione: grande attenzione è prestata piuttosto aipersonaggi, soprattutto quelli caricaturali e grotteschi.Nello stesso anno 1738 Gaetano Latilla aveva presen-tato a Roma La finta cameriera, su un testo rimaneg-giato a partire da un originale anch’esso del Di Fede-rico, e anche questa commedia venne ripresa a Pariginel 1752. In entrambi i casi, di Auletta e di Latilla, siavvertono i sintomi di quella internazionalizzazione del-l’opera comica napoletana che si apprestava a con-quistare l’Europa.Rispetto all’esuberanza della produzione vocale, lamusica strumentale sembra un repertorio minoritarionella Napoli settecentesca. In realtà quasi tutti i grandioperisti hanno lasciato sinfonie, concerti e composi-zioni per formazioni di strumenti che attestano l’altolivello virtuosistico dei suonatori formati dai conserva-tori napoletani, in particolar modo quelli legati ad isti-tuzioni prestigiose come la Real Cappella di Palazzo.Pietro Marchitelli detto “Petrillo”, violinista di quest’ul-tima formazione che conquistò un momento di gloriaumiliando Corelli durante una sua esibizione a Napolinel 1702, ha lasciato una raccolta di Sonate e alcunibrani cameristici che lasciano intuire l’alto livello diquesta produzione (Marchitelli era tra l’altro zio diMichele Mascitti, uno dei violinisti che introdussero aParigi lo stile italiano). Anche un operista celebre come

Page 9: Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa. Strutturata come un’opera seria, in tre atti e con vir- tuosistiche arie col da

Domenico Sarri, il maestro incaricato di inaugurare ilTeatro di San Carlo nel 1737, mostra nei suoi Concertiper flauto ed archi che la produzione strumentale napo-letana era rigogliosa e non episodica. Tra gli altri autoridi concerti per il flauto dolce a Napoli troviamo i nomidi Alessandro Scarlatti e Leonardo Vinci.

Con gli altri autori del programma passiamo ad unasuccessiva fase cronologica, coincidente con la diffu-sione europea dell’opera buffa. Sappiamo che quandosi dovette scegliere il successore di Duni per rappre-sentare l’opera italiana a Parigi, nel 1776, fu preferitoPiccinni a Paisiello perché quest’ultimo era giudicato“trop napolitain”. Il legame con l’opera comica in lin-gua fu infatti fondamentale negli esordi di GiovanniPaisiello. L’osteria di Marechiaro fu il primo successoteatrale di Francesco Cerlone, protagonista della libret-tistica comica napoletana del secondo Settecento. Lacommedia, dapprima musicata nel 1769 dal composi-tore di Monopoli Giacomo Insanguine, ebbe tale for-tuna da essere replicata per sessanta volte e, nellostesso anno, ebbe una nuova versione musicale da Pai-siello: anche in questo caso il successo fu enorme conquaranta repliche fino all’anno successivo. Cerloneaggiunse un finale concepito come farsa a sé stante,col titolo di Pulcinella vendicato nel ritorno di Mare-chiaro del quale sopravvive soltanto la partitura (par-zialmente autografa) di Paisiello. Bianchina, soprano,è nell’intricato libretto una tipica figura popolare, la“venditrice di maccheroni”, legata sentimentalmente alservo del ricco antagonista di Pulcinella, Don Camillo.Paisiello aveva esordito soltanto nel 1764 con la suaprima commedia musicale, ma in cinque anni avevagià prodotto 18 titoli prima dell’Osteria con Pulcinellavendicato. Era chiaro il destino luminoso che gli sistava preparando, di grande protagonista dell’operaeuropea prima di Mozart e Rossini. A sua volta Dome-nico Cimarosa è considerato il punto di arrivo dell’in-tera tradizione della commedia buffa napoletana delSettecento e il suo capolavoro nel genere, Il matri-monio segreto, è un’opera tuttora in repertorio e cono-sciuta in tutto il mondo. Aveva appena 28 anni quando,nella primavera del 1777, fece rappresentare al teatro

Page 10: Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa. Strutturata come un’opera seria, in tre atti e con vir- tuosistiche arie col da

dei Fiorentini la sua commedia in tre atti Il fanaticodegli antichi romani. Non era il suo debutto teatrale(già 7 sue opere comiche erano state rappresentate aNapoli dal 1772), ma questa commedia su testo di Giu-seppe Palomba apriva la strada a una diversa conce-zione del teatro, nella quale la comicità surreale deitravestimenti si basava su situazioni suggerite dall’at-tualità. Tra i personaggi che intervengono nel Fana-tico (titolo poi ripreso da Cimarosa nel 1787 nel suoFanatico burlato) troviamo una serie di riferimenti adantichi condottieri: Marc’Aurelio, Marc’Antonio, CajoMarzio e Don Pompeo, mentre le parti femminili sonopiù che prevedibili: Lunalba ed Emilia, soprano,insieme alla popolana Nanella. Alcuni dei personaggisaranno evocati da più tarde opere serie di Cimarosae diversi altri titoli cimarosiani si riferiscono al mondoromano antico, compresa la sua più famosa opera seria,Gli Orazi e i Curiazi. L’interesse peculiare per il mondoromano non è casuale, ma trova una sua giustifica-zione storica nella grande moda per gli scavi archeo-logici delle cittadine romane di Paestum ed Ercolanoche stava infiammando tutte le corti d’Europa, a comin-ciare da quella di Napoli, dopo che erano stati pub-blicati i primi resoconti sugli scavi di Johann JoachimWinckelmann (1762-64). La vicenda del Fanatico traespunto da questa moda aristocratica, ma per ironiz-zare e rendere caricaturali le manie dei nuovi appas-sionati di archeologia, “fanatici” appunto di antichitàromane. Si mettono in luce le protagoniste femminiliper alcune arie piuttosto languide ed espressive, men-tre il finale primo e lo scatenato secondo finale inritmo danzante di 6/8 mostra la grande capacità diCimarosa nel concertare le voci, caratteristica questache egli aveva assorbito dal suo maestro Piccinni.Nanella è il personaggio che canta in napoletano,essendo una pastorella, e si pone come protagonistadella vicenda. Se dunque questa commedia giovanilerichiama molto, per la commistione tra melanconia ecomicità, alcuni dei grandi successi della seconda metàdel Settecento, dalla Cecchina di Piccinni alla Pasto-rella di Guglielmi, l’alto livello della scrittura lasciapresagire la grandezza dell’autore del Matrimoniosegreto. Tocca a una serie di autori oggi quasi dimen-

Page 11: Cappella della Pietà de' Turchini Antonio Florio di cui sopravvive invece la partitura autografa. Strutturata come un’opera seria, in tre atti e con vir- tuosistiche arie col da

ticati chiudere il secolo d’oro dell’opera buffa insiemeai celebri Paisiello e Cimarosa. È il caso di Pietro Ales-sandro Guglielmi la cui Pastorella nobile fu un grandesuccesso, replicato per anni dopo la prima napoletanadel 1788 dedicata al re Ferdinando IV di Borbone:negli anni 1790-91 fu ripresa a Parigi e poi a Dresda,Vienna, Londra, Lisbona. Uno dei motivi del successointernazionale potrebbe essere la sua utilizzazione diun modello celebre dello stile larmoyant, ossia la Cec-china di Piccinni, ma con una netta preponderanzadel comico. I brani proposti dalla Cappella de’ Tur-chini rappresentano una situazione centrale del II atto,in cui Donna Florida, promessa sposa del marchese asua volta innamorato non corrisposto della pastorella,si sfoga con amarezza sul comportamento degli uomini(“Ah matta quella femmina, che si vuol maritar”), esubito dopo un duetto della protagonista, la pastorellaEurilla, con Don Calloandro travestito da pastore. Que-sti è il giovane figlio scapestrato e spendaccione delGovernatore di Belprato, cicisbeo elegante ma som-merso dai debiti, che alla fine è prescelto dalla pasto-rella perché “tutto amabile e galante”. Siamo oltre ilpatetismo di Cecchina e oltre i travestimenti dei buffidella commedia napoletana, in piena commedia deicaratteri che in quegli anni a Vienna stava producendoi capolavori di Mozart e Da Ponte, che tanto devonoal patrimonio napoletano.

Dinko Fabris