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MEDIAZIONE E CO MEDIAZIONE FAMILIARE NEL PROCESSO CIVILE Marco Calabrese, Avvocato in Roma INTRODUZIONE Questa scritto raccoglie alcune lezioni tenute per il Corso di Co- Mediazione Familiare dell’Accademia della Famiglia Onlus per l’anno accademico 2007/2008 e sviluppa alcuni interventi ai Convegni Nazionali dell’A.N.A.Me.F. Associazione Nazionale degli Avvocati Mediatori Familiari, di cui attualmente ricopro la carica di vice Presidente nazionale. La raccolta dovrebbe, negli auspici, rispondere ad un duplice scopo. In primo luogo essa deve documentare, a beneficio degli studenti, un lavoro di ricerca individuale che per me va avanti da alcuni anni nel campo della mediazione familiare. I primi scritti sull’argomento, con un gruppo di amici (magistrati, avvocati e provenienti dalle scienze psicosociali) risalgono alla fine degli anni novanta. Le nostre riflessioni –di cui si può trovare traccia nel capitolo secondo, che però è il primo in ordine cronologico - si appuntavano principalmente sulla “compatibilità” della mediazione familiare con il processo civile italiano (e il processo di famiglia in particolare). Ben presto fu chiaro che l’innovativo nuovo strumento era compatibilissimo e perfettamente in linea con i fondamenti del processo civile, già sulla base della precedente Legge 154 del 4.4.2001 e senza necessità di ulteriori modifiche legislative (basti pensare che l’art. 8 di tale ultima legge, con cinque anni di anticipo rispetto alla L. 56 del 2006, avrebbe già consentito l’estensione della mediazione familiare alle controversie di separazione e di divorzio): fu altresì evidente che il vero motivo per cui la mediazione stentava a decollare (intesa come sub procedimento strutturato all’interno del processo civile), doveva essere ricercato nella riluttanza delle categorie professionali coinvolte. In questo caso almeno, il legislatore si era dimostrato più avanti della società civile. La strada del diritto è, peraltro, lastricata di ottime riforme morte sul nascere, e non resta che prendere atto dei particolarismi che impediscono la diffusione di questo straordinario strumento conciliativo.

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MEDIAZIONE E CO MEDIAZIONE FAMILIARE NEL PROCESSO CIVILEMarco Calabrese, Avvocato in Roma

INTRODUZIONE

Questa scritto raccoglie alcune lezioni tenute per il Corso di Co-Mediazione Familiare dell’Accademia della Famiglia Onlus per l’anno accademico 2007/2008 e sviluppa alcuni interventi ai Convegni Nazionali dell’A.N.A.Me.F. Associazione Nazionale degli Avvocati Mediatori Familiari, di cui attualmente ricopro la carica di vice Presidente nazionale. La raccolta dovrebbe, negli auspici, rispondere ad un duplice scopo.

In primo luogo essa deve documentare, a beneficio degli studenti, un lavoro di ricerca individuale che per me va avanti da alcuni anni nel campo della mediazione familiare. I primi scritti sull’argomento, con un gruppo di amici (magistrati, avvocati e provenienti dalle scienze psicosociali) risalgono alla fine degli anni novanta. Le nostre riflessioni –di cui si può trovare traccia nel capitolo secondo, che però è il primo in ordine cronologico - si appuntavano principalmente sulla “compatibilità” della mediazione familiare con il processo civile italiano (e il processo di famiglia in particolare).

Ben presto fu chiaro che l’innovativo nuovo strumento era compatibilissimo e perfettamente in linea con i fondamenti del processo civile, già sulla base della precedente Legge 154 del 4.4.2001 e senza necessità di ulteriori modifiche legislative (basti pensare che l’art. 8 di tale ultima legge, con cinque anni di anticipo rispetto alla L. 56 del 2006, avrebbe già consentito l’estensione della mediazione familiare alle controversie di separazione e di divorzio): fu altresì evidente che il vero motivo per cui la mediazione stentava a decollare (intesa come sub procedimento strutturato all’interno del processo civile), doveva essere ricercato nella riluttanza delle categorie professionali coinvolte. In questo caso almeno, il legislatore si era dimostrato più avanti della società civile.

La strada del diritto è, peraltro, lastricata di ottime riforme morte sul nascere, e non resta che prendere atto dei particolarismi che impediscono la diffusione di questo straordinario strumento conciliativo.

Le prime riflessioni riguardarono problemi come la sospensione del procedimento civile (che non è prevista dalla legge) la figura del mediatore (che può assimilarsi ad un ausiliario atipico) la transazione su diritti indisponibili (vero e proprio Totem del Giurista di Famiglia): esse rischiano di apparire ormai superate e non sono state riportate in questa raccolta. La mediazione, infatti, è stata inserita dalla legge nel processo civile così come esso è oggi. Non sono ammessi argomenti ulteriori se non de iure condendo. Non c’è dubbio che la società reclami la mediazione familiare e che ciascun giudice possa, se vuole, farvi ricorso, con gli strumenti processuali a disposizione e senza snaturare la mediazione stessa, che ormai costituisce una scienza a sé stante con canoni suoi propri (un esempio per tutti: una mediazione

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tentata da parte di un soggetto che eserciti una qualsiasi forma di potere decisionale, anche per delega dal giudice, non si può chiamare mediazione).

Il secondo scopo di questo scritto è quello di esplicitare le potenzialità del modello di co-mediazione familiare interdisciplinare, così come mi fu illustrato già nel 2001 da Dominic Raeside (Mediatore Familiare presso il Family Law in Partnership di Londra) nel corso di alcuni incontri di formazione tenutisi sia a Londra che a Roma.

La co-mediazione interdisciplinare (la mediazione, per intendersi, tenuta da un co-mediatore di formazione legale e da uno di formazione psicosociale) è un modello assai reputato nel mondo occidentale, ma ancora poco diffuso nel nostro Paese.

Ricorrerò, per spiegare di che si tratti, ad una metafora.Immaginiamo due sportivi che utilizzano lo stesso elemento: l’acqua.

Da una parte un professionista dello stile libero. Dall’altra un subacqueo. Nonostante l’identità del loro “ambiente” di lavoro- le loro reciproche competenze non comunicano.

Il nuotatore è soltanto preoccupato di nuotare da un bordo all’altro nel minor tempo possibile, e quando, raramente per la verità, guarda il fondale vi scorge forme e contorni confusi ed indistinti. Il suo sport è rivolto ad un risultato tangibile e immediato: a realizzare un nuovo record che fra poco (forse anche domattina) sarà superato dagli ulteriori accadimenti.

Il subacqueo sportivamente è il suo contrario: egli vive negli abissi, indugia, rincorre (talvolta senza uno scopo apparente) una murena fin nella sua tana, soppesa idealmente una cernia o una ricciola come fossero trofei. Il suo sport non produce un risultato immediato.

Fuor di metafora ricordiamo che il processo di famiglia coinvolge, come si sa, diverse figure di professionisti.

Alcuni sono necessariamente sempre presenti (gli avvocati, il giudice), altri solo occasionalmente (psicologi e psicoterapeuti, psichiatri talvolta, altre volte gli assistenti sociali) e sono detti ausiliari del giudice. Si va ora delineando –sulla base delle più recenti normative- una nuova categoria di esperti nel processo: gli esperti in mediazione familiare.

I professionisti suddetti agiscono nello stesso ambiente (il processo civile) ma non sempre si comprendono, e poco si conoscono.

Chi legge probabilmente sa già che la mediazione familiare, più che del raggiungimento di un accordo, ha come finalità quella di ripristinare i canali di comunicazione interrotti di quella coppia che abbia (già) preso la decisione di

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separarsi o divorziare: la mediazione è finalizzata ad una intesa sui dettagli pratici di una separazione o di un divorzio, principalmente nell’interesse dei figli.

Orbene: queste intese tra coniugi, questi accordi che per la loro natura (poiché coinvolgono i minori e i diritti indisponibili) debbono essere normalmente presi davanti alla Autorità Giudiziaria, sono stati fino ad oggi conclusi e/o facilitati dagli avvocati (che nella metafora di cui sopra sono rappresentati dai nuotatori)

Il raggiungimento degli accordi conciliativi in tribunale, infatti, non può essere -se non eccezionalmente- affidato ai consulenti psicologi o agli psicoterapeuti, a causa delle finalità e dei tempi diversi della loro indagine.

Quando si tratta di raggiungere accordi che regolino il futuro, anche economico, di una coppia genitoriale nessuna delle categorie professionali coinvolte produce risultati soddisfacenti, da sola.

Gli avvocati (categoria cui appartengo e che conosco meglio) in particolare sono soliti assumere due atteggiamenti, a seconda che la richiesta di separazione consensuale, o di divorzio congiunto provenga da una soltanto o da entrambe le parti. Se un legale viene officiato di cercare un accordo quale rappresentante di tutte e due le parti –ben sapendo che la deontologia forense lo obbliga, in caso di fallimento delle trattative, a rinunziare alla difesa di entrambi- si attesta su un livello di indagine e di conversazione molto superficiale, non di rado paternalistico. Si potrebbe così sintetizzare tale atteggiamento: “…non ci metteremo a litigare proprio adesso che siamo ad un passo dall’accordo!”

Quando invece gli avvocati tentano una conciliazione bilaterale (ove ogni partner è rappresentato dal proprio avvocato) sollevano (teatralmente,talvolta) a beneficio del Cliente una serie di eccezioni e pretese eccessive: ma dentro di sé -e sempre che si tratti di un bravo e scrupoloso avvocato- il legale conosce già quale sia il punto di equilibrio ideale per quella famiglia, in relazione a quella fattispecie concreta. I due legali hanno già soppesato e deciso tutto, in base alla loro esperienza professionale, ai precedenti di giurisprudenza, all’id quod plerumque accidit : essi sono convinti di poter disciplinare ogni dettaglio dei futuri accordi divorzili, Le parti –se dipendesse da loro- potrebbero addirittura non essere presenti: meglio, forse.

In entrambi i casi di intervento dell’avvocato, o di due avvocati nel tentativo di raggiungere una separazione/divorzio consensuale, le parti hanno sub-appaltato (in lingua inglese i mediatori per chiarire il fenomeno parlano in effetti di “sub-contracting” del processo decisionale della coppia in crisi) agli “esperti legali”.

Dall’altra parte, non fanno molto meglio di loro i professionisti dell’area psico-sociale (che s’interessano ovviamente della sostanza delle relazioni più che della forma/processo) stante la loro conclamata incapacità di entrare nei dettagli pratici e legali di cui la vita quotidiana, anche e soprattutto di un genitore separato, è composta.

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Ecco dunque l’ ubi consistat della co-mediazione interdisciplinare. Essa può essere paragonata all’invenzione dello snorkeling: quella pratica sportiva consistente nel nuoto a pelo d’acqua con maschera e boccaglio. Infatti ritornando alla metafora si tratta di insegnare al “liberista” a nuotare sì in avanti ma osservando il fondale, le trasparenze dell’acqua e la rifrazione dei raggi del sole sulla superficie marina. Di quando in quando vale la pena anche d’immergersi: magari per raccogliere e mostrare agli altri una magnifica conchiglia.

Il subacqueo da parte sua deve visitare la barriera corallina dall’alto, tenendo il ritmo del gruppo. Non servono le bombole: si respira l’aria esterna tramite il boccaglio, e per questo a nessuno è concesso di immergersi troppo a lungo.

Nella co-mediazione interdisciplinare due professionisti di aree diverse usano le competenze di rispettiva formazione per dar vita ad una professionalità terza e affatto nuova.

L’utilizzo di entrambe le competenze nel procedimento di mediazione, quella legale e quella psicologica, rappresenta un vantaggio inestimabile, cui non è possibile rinunziare, se non a prezzo di una riduzione dell’efficacia dell’intervento complessivo nel processo civile.

Un intervento inefficace, in questa fase ancora pionieristica della mediazione (almeno per l’Italia) è davvero l’ultima cosa di cui il nostro diritto di famiglia ha bisogno.

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MEDIAZIONE E CO MEDIAZIONE FAMILIARE NEL PROCESSO CIVILEMarco Calabrese, Avvocato in Roma

CAPITOLO PRIMO

-PRIMA DELLA MEDIAZIONE-

Ogni mediazione è preceduta da alcuni passi fondamentali che poco si differenziano tra di loro, indipendentemente da paesi, prassi e modelli teorici adottati dai singoli mediatori: dall’impostazione di tali preliminari –tuttavia- derivano scelte importanti, a livello sia teorico che pratico.

La tipica sequenza delle attività iniziali prevede:

L’INVIO E L’INFORMAZIONE L’ACCOGLIENZA E LA VALUTAZIONE DEL CASO

Esamineremo adesso partitamente tali preliminari mediante un esame comparato dei modelli processuali a maggiore diffusione :

1- L’INVIO E L’INFORMAZIONE

Con riferimento alla Mediazione Familiare, non è azzardato affermare che, dalla scelta del particolare modello d’invio automatico e generalizzato dei casi da parte del Giudice scaturirà più facilmente un modello di mediazione cd. negoziale, mentre dalla opzione di invio discrezionale selettiva del Magistrato risulterà più probabile un approccio “lato sensu” terapeutico.

Ciò dipende probabilmente dal fatto che i mediatori informati ad una cultura terapeutica si sentono a loro maggior agio all’interno di un meccanismo giudiziario che predilige la scelta preventiva dei casi mediabili. Tali operatori non mancano di sottolineare l’esistenza di casi giudiziari per cui la mediazione è inutile, o superflua: e non a torto.

E’ di tutta evidenza infatti l’esistenza di casi scarsamente mediabili, spesso relativi a coppie o individui incapaci di accettare l’idea stessa della separazione, anche a distanza di anni dall’evento: è bene però che queste persone prendano

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concretamente atto della propria “non mediabilità”, senza privarle dell’occasione offertagli dalla normativa vigente.

Inoltre, il principale difetto della selezione preliminare dei casi mediabili (operata dal giudice) sta nel depotenziamento dell’effetto emulativo ed educativo indispensabile per la diffusione della mediazione familiare nella popolazione, come modello di intervento sulle relazioni parentali.

Riassumendo (su questo torneremo più volte) i modi possibili di invio alla mediazione sono perciò due: l’invio del Giudice automatico e generalizzato ovvero l’invio del Giudice discrezionale e selezionato. Esisterebbe in ipotesi anche una modalità per così dire mista: il giudice che non sceglie i casi mediabili, selezionati però “a valle” dal centro di mediazione. Trattandosi di una species del primo genus (o anche, di entrambi) non vale la pena addentrarsi in sottodistinzioni.

§ L’invio

Generalizzando possiamo dire che:

a) l’invio automatico (automatic referral order) è proprio del sistema statunitense (vedasi il già citato caso della Florida 6th Circuit ord. 31/2005 ma v. anche Washington DC Superior Court sul sito della Corte: istruzioni per il pubblico, capitolo “what we do” e molti altrii)

b) L’invio selezionato è invece proprio del sistema inglese, ed è stato consacrato nell’art. 13 del Family Law Act 1996. Questo secondo metodo d’invio, più rispondente evidentemente alla mentalità europea, risulta trasfuso nell’art. 155 sexiesii del codice civile italiano (ove recita: “il giudice qualora ne ravvisi l’opportunità … può rinviare l’adozione etc…” )

Abbiamo sin qui omesso altre modalità di invio delle parti alla mediazione familiare, ma alcune di esse meritano di essere ricordate:

- l’invio da parte degli avvocati;- l’invio da parte di un terapeuta;- l’invio da parte dei servizi sociali.

Tali forme di invio sono molto discusse in teoria, ma possiedono scarso rilievo pratico, perché –ad eccezione dell’ultima- hanno a che vedere con quella specialissima forma di mediazione che è la mediazione “volontaria”, che resta irrilevante, tutto i http://www.dccourts.gov/dccourts/superior/multi/family.jspii Art. 155 sexies c.c. Poteri del giudice e ascolto del minore [I]. Prima dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all'articolo 155 il giudice può assumere, ad istanza di parte o d'ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l'audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.[II]. Qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli.

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sommato, per il mondo del diritto: le parti evitano sì il processo, ma non per una sollecitazione forte dell’Organo Statale volta a deflazionare il contenzioso di famiglia (per varie considerazioni di opportunità politica, miranti a favorire la mediazione in luogo dello scontro, soprattutto in presenza di minori) bensì, al contrario, le parti deviano in tali casi dalla opzione giudiziaria per loro libera scelta: una scelta che potrebbero compiere anche indipendentemente dal consiglio di un avvocato, di un terapeuta, di uno psicologo.

Vale solo rammentare a questo proposito che, per quanto concerne l’invio alla mediazione da parte degli avvocati, il professionista forense che raccomandi tale metodo di risoluzione della lite in luogo della causa per la quale è stato officiato risulta in effetti esposto alla incomprensione del Cliente e persino (ad assai) probabili revoche del mandato da parte di chi si sia rivolto a lui/lei richiedendo la prestazione forense; per ciò che invece riguarda l’invio alla mediazione da parte di un terapeuta, la scelta di un percorso di mediazione solitamente presuppone la risoluzione del “grumo” di disagio per cui le parti si sono rivolte a tale professionista e può pertanto risultare tardiva, superata dagli eventi processuali. Altro discorso invece dovrebbe farsi a proposito dell’invio alla mediazione effettuato da parte dei servizi sociali, che per la sua natura quasi cogente, non è troppo dissimile da quello effettuato dal giudice.

Conlcusivamente l’invio alla mediazione più efficiente è senza dubbio quello che ha luogo da parte del Giudice.

§ L’informazione.

Si potrebbe affermare che il problema della mediazione è in realtà il problema stesso dell’informazione, senza tema di smentite.

Gli aspetti relativi alla informazione dell’utenza circa la efficacia, la praticabilità e l’utilità della mediazione familiare risultano meno evidenti laddove l’invio è generalizzato, obbligatorio ed automatico. Per es. v. Washington DC Superior Court istruzioni cit.: “…. Se avete già depositato un ricorso, alla vostra udienza iniziale il giudice vi invierà alla mediazione …” : stop. Non è prospettata alcuna alternativa.

In un tale sistema, dove è molto difficile se non impossibile procedere con la causa, senza prima avere tentato la mediazione, è normale che l’informazione pratica (posto che le parti non siano state già informate sull’utilità e gli effetti della mediazione pubblica e privata dalla miriade di opuscoli, cartelli e pubblicità presenti all’interno e all’esterno di qualsiasi tribunale americano) verrà curata dopo, e sarà fornita dal mediatore stesso.

Al contrario, in un sistema di invio discrezionale, qual’è quello delineato dall’art. 155 sexies del codice civile italiano, il momento informativo processuale diventa cruciale.

Esso può realizzarsi:

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a) da parte degli avvocati, normalmente a ciò obbligati dai rispettivi ordini o organizzazioni di categoria Così sul relativo sito internet (voce PARENTING PLAN)iii si esprimeva il Dipartimento di Lord Chancellor, omologo inglese del Ministro di Giustizia, che a far tempo dal 2001 ha reso sostanzialmente obbligatoria la diffusione dei piani genitoriali (parenting plans) e degli opuscoli sulla mediazione familiare anche all’interno degli studi degli avvocati di diritto di famiglia: dunque prima dell’introduzione del giudizio) ovvero

b) ben più efficacemente, dallo stesso giudice iv

Curiosamente, però, l’art. 155 sexies del codice civile, non prevede alcuna informazione obbligatoria, benché abbia introdotto un invio non automatico e generalizzato bensì selezionato da parte del giudice.

Sicché non è affatto chiaro come potrebbero mai i litiganti decidere “…avvalendosi di esperti, di tentare….” un rimedio efficacissimo –come la mediazione- di cui però al momento dell’udienza esse non conoscono le potenzialità e neppure i costi, né la durata e tantomeno l’efficacia.

La normativa italiana sul punto risulta gravemente, quanto colpevolmente, lacunosa.

2- L’ACCOGLIENZA E LA VALUTAZIONE DEL CASO

In un sistema evoluto di diritto di famiglia, l’inizio del processo è preceduto dalla massima diffusione nella società dei cd. piani genitoriali (parenting plan) strumenti che prevedono minuziosamente la vita del genitore separato (gli orari di scuola dei bambini, le scelte sull’educazione religiosa, scolastica, sportiva, musicale, le restrizioni nell’allontanamento, la politica di acquisto dei giocattoli etc.) e che possono essere facilmente reperiti non solo negli studi legali e nei Tribunali, ma nelle principali istituzioni come i consultori, gli uffici comunali, le parrocchie ed infine scaricati da internet (www.parentingplan.net contenente la “pratica guida ai 17 più frequenti errori nell’affidamento dei figli”!).

Tali opuscoli, debbono essere riempiti prima dell’ingresso della lite in Tribunale, ed hanno l’effetto di indurre le parti a:

prendere atto della nuova realtà di genitori separati, nei suoi mille aspetti e dettagli pratici;

ricercare (o almeno: pensare di ricercare) la futura collaborazione del partner , tale e tanta la mole di incombenze pratiche sulle quali un parenting plan costringe il compilatore a soffermarsi e riflettere.

Ad avviso di chi scrive, il principale effetto della diffusione tra il pubblico degli utenti dei parenting plan è l’effetto educativo e deflattivo, poiché tali strumenti non

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differiscono troppo dallo schema utilizzato per una separazione consensuale da un buon avvocato, e nulla possono insegnare al giurista italiano.

Posto che l’introduzione della prassi dei parenting plan pre processuali in Italia è di là da venire, a causa di resistenze che non mette conto qui esaminare, bisogna immaginare un’accoglienza della coppia nel centro di mediazione compiuta per così dire “a freddo”, destinata a molto probabili fallimenti a causa dello stato di ignoranza in cui viene mantenuta la popolazione italiana.

§ Accoglienza

La mediazione inizia sempre con una forma di procedura di accoglienza detta in lingua inglese “intake”: avvenga essa faccia a faccia o al telefono.

Non esistono procedure standard; è possibile che il mediatore o il responsabile dell’intake prenda appunti, o faccia riempire un modulo alle parti, singolarmente o congiuntamente, per descrivere la propria situazione patrimoniale e familiare.

Naturalmente nell’occasione le parti sottoscrivono anche i vari moduli (accordo di riservatezza, accordo finalizzato alla mediazione ed eventuali altri) predisposti dal centro.

E’ questa la prima opportunità offerta alle parti di parlare con un mediatore circa la soluzione proposta, ed esplorare se la mediazione familiare costituisce per loro un rimedio idoneo. La comprensione dell’utilità e funzione della mediazione al momento dell’intake, è comunque piuttosto relativa nell’utenza persino in Inghilterra, nonostante 11 anni di esperienza normativa pregressa. Secondo l’articolo “Monitoring Publicly Funded Mediation. Summary Report to the Legal Services Commission 2006/2007 by Gwynn Davis, University of Bristol” …v “la comprensione del processo è variabile e tende ad essere più limitata tra i soggetti riferiti alla mediazione obbligatoriamente prima di essere ammessi a fruire del gratuito patrocinio (section 29 del Family Law Act). Molti di essi appaiono acquiescenti, ma non entusiasti, ovviamente (…) la maggior parte delle riserve espresse al momento della intake si concentrano, almeno a parole, sulla presunta attitudine negativa dell’altra parte (…).” Di seguito la Prof Davis prosegue esponendo i dati statistici sul tasso di conversione dall’intake alla Mediazione, che riportiamo.

Lo studio analizza pertanto il numero di coppie che –una volta esaurite le formalità di accoglienza del Centro di mediazione- decidono in effetti di proseguire il percorso di mediazione.

Lo studio non esamina la percentuale di mediazioni riuscite o fallite, o presunte tali, ma soltanto il passaggio dall’intake alla fase di mediazione vera e propria.

Allo scopo di non alterare il pensiero, riportiamo le due versioni, inglese ed italiana:

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…“At present (2007) the rate of 'conversion' appears to be of the order (al momento il tasso di conversione appare essere nell’ordine di):

Section 29 referrals - 30%; (invii da parte dell’Ufficio del gratuito patrocinio la cui concessione è subordinata all’esperimento della mediazione, a sua volta gratuita n.d.t.)

Other solicitor referrals - 61% (invii degli avvocati) Court referrals - 65% (invii da parte del giudice) Self referrals (often by one party alone) - 52% (invii spontanei, spesso di una

sola parte).”

Tali dati sono per noi italiani molto interessanti, soprattutto laddove dimostrano che il passaggio dall’accoglienza alla mediazione vera e propria avviene con il massimo della frequenza per coloro che:

Non fruiscono del gratuito patrocinio: sono –pertanto- più facoltosi e potrebbero anche permettersi di litigare (con mutua soddisfazione, forse).

Sono stati inviati (se non obbligatoriamente, fortemente sollecitati) dal giudice.

Laddove, viceversa, il tasso di conversione appare essere minore:

Tra bisognosi, che per accedere al Gratuito Patrocinio- Legal Aid- sono costretti a tentare la mediazione, ma che comunque non verserebbero nulla neppure per la stessa.

Tra coloro che si sono recati volontariamente alla mediazione, senza sollecitazione del giudice.

Pertanto nel Regno Unito (paese europeo demograficamente e socialmente piuttosto simile al nostro) si realizza esattamente l’opposto dello stereotipo diffuso nel nostro Paese, stereotipo secondo cui al “massimo di volontarietà” corrisponderebbe il “massimo di efficacia” della mediazione.

La statistica smentisce anche quell’altra diffusa obiezione mossa da alcuni esponenti della magistratura italiana in occasioni pubbliche e private, e cioè che gli invii alla mediazione potrebbero essere incentivati solo a patto che essa fosse resa gratuita.

Scopriamo invece che –nei paesi anglosassoni quantomeno- le parti non apprezzano tanto la mediazione allorché gli venga offerta come una “sinecura”.

§ Valutazione del caso

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Nella stessa o in una seduta immediatamente successiva a quella di accoglienza, ha luogo la valutazione del caso (case assessment) da parte del mediatore.

Essa ha l’insostituibile funzione di impegnare le parti alla mediazione, valutando allo stesso tempo la loro disponibilità, onde fornire una prognosi di efficacia.

Nei Tribunali più grandi, che mettono a disposizione dell’utenza un Centro “Court Annexed” -ma anche nei centri privati più organizzati- ricorre la figura del case manager vi: si tratta normalmente di un mediatore, che assegna i casi ad altri mediatori dopo averli esaminati personalmente, ma che non parteciperà alle sedute.

In altre parole il case manager costituisce un filtro per l’utenza: riceve i questionari dell’intake e li esamina, accoglie le coppie con la partecipazione umana tipica del mediatore, e non come un freddo burocrate, aiuta le persone e le coppie a chiarirsi le idee sul significato della mediazione; fornisce tutte le informazioni relative alla durata, ai costi e all’efficacia; tiene i rapporti –quantomeno nella fase iniziale- con i legali delle parti.

Il mediatore/case manager raccomanda o dissuade le coppie in relazione alla mediazione da effettuare, semplificando di molto il ruolo dei mediatori.

Il vantaggio nell’utilizzo di un case manager risiede pertanto nel fatto che le parti, al primo incontro, si presentano normalmente da sole, o con il proprio avvocato, ma ancora senza il partner. Pertanto se il case manager è persona diversa dal mediatore, le parti non saranno preoccupate dei colloqui con questi avuti individualmente nella fase preliminare: infatti, allorquando la mediazione inizierà si ripartirà da zero, di fronte a persone nuove che non hanno partecipato ai colloqui individuali, e che non hanno ricevuto informazioni separate dai coniugi. Il vantaggio sta perciò nella maggiore imparzialità e reputazione di cui godono i mediatori che lavorano nei centri gestiti da un case manager.

Lo svantaggio della figura professionale indicata sta invece nel fatto che il rapporto di fiducia con il mediatore si stabilirà più tardi, e che le parti vengono mantenute in attesa, sulla corda forse si direbbe, rispetto alla risoluzione del grave problema giudiziario che le affligge.

La figura del case manager è molto usata nella mediazione familiare di tipo negoziale normalmente praticata nei Tribunali americani, così come nella mediazione commerciale.

Chi scrive ritiene però che si tratti di una risorsa importante per ogni centro di mediazione familiare, da valutare attentamente e, anzi, da consigliare.

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CAPITOLO SECONDO

-SPONTANEITA’ e OBBLIGATORIETA’-UN FALSO PROBLEMA

1- Nelle giurisdizioni anglosassoni l’impulso più significativo alla Mediazione Familiare è dato dal Magistrato, su istanza di una delle parti o d’ufficio, dopo l’inizio di un processo civile: l’invio dei contendenti presso un centro di mediazione è spesso realizzato automaticamente, senza formare oggetto di una apposita ordinanzavii e non è condizionato da un preventivo accordo delle stesse sul ricorso alla Mediazione.

La dottrina italiana è invece intrappolata da anni nella discussione circa la necessità di un previo accordo tra le parti processuali circa il ricorso ad una Mediazione concepita come totalmente alternativa, volontaristica –nel senso più alto e perciò stesso irrealizzabile- e collocata a siderale distanza dal processo civile. Ma siffatto accordo preventivo delle parti -oltre ad essere piuttosto utopistico in un processo ad elevatissima conflittualità come quello Familiare- non è previsto dalle

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scarne norme che in Italia prevedono l’invio dei coniugi alla Mediazione Familiare, e non è previsto in nessun Paese al mondo, tra i moltissimi che fanno ricorso a tale nuova disciplina. La richiesta di un previo accordo dei coniugi, per la loro fuoriuscita dal processo, può essere argomentata nel modo più elegante, ma non cessa per questo di apparire come un artificio conservatore (come gli stessi autori talvolta riconoscono) non utile alla risoluzione del grave problema rappresentato dalla proliferazione del contenzioso in una materia socialmente così delicata.viii

L’art. 155 sexies c.c. prevede infatti che il Giudice debba sentire le parti –si spera informandole sui vantaggi della Mediazione- e ottenutone il consenso possa inviarle dagli “esperti”: tutt’altra cosa come si vede dalla richiesta di un’istanza congiunta dei procuratori delle parti, o delle parti stesse, quasi sempre fino ad oggi richiesta dal Magistrato in udienza come presupposto per l’invio alla Mediazione.

D’altra parte (d’onde l’equivoco sulla pretesa spontaneità) la necessità di un’intesa dei litiganti scaturisce, come conseguenza logica, dalla struttura stessa della Mediazione, che –come metodo di Risoluzione Alternativa della Lite ix- implica la volontà delle parti di sottrarre al giudizio (di un terzo, investito della funzione giurisdizionale) una questione già avviata verso un’irrimediabile Court’s Adjudication, che -anche dal più litigioso dei contendenti- è percepita come potenzialmente pericolosa per il futuro dei suoi affetti e delle proprie relazioni.

Una certa dose di sfiducia del cittadino verso il mondo della legge e verso la delega decisionale ad un terzo (almeno in materia di affetti e relazioni familiari) non costituisce però condizione sufficiente per garantire la adesione delle parti al procedimento di Mediazione e la loro fuoriuscita dal processo civile. Le parti infatti, al iiiwww.connexions.gov.uk/partnerships/documents/briefing ove si legge “The leaflets will be available through county courts and magistrates courts dealing with family matters, solicitors' offices, mediation services, CAFCASS offices, and many voluntary organisations working directly with children. The Central Office of Information have set up an arrangement with a mailing house to enable recipients to obtain additional copies of the leaflets. It is intended that this facility should remain in place until March 2005, at least.”

iv “After the court has received a statement, it may give a direction requiring each party to attend a meeting arranged in accordance with the

direction for the purpose—

(a) of enabling an explanation to be given of the facilities available to the parties for mediation in relation to disputes between them; and

(b) of providing an opportunity for each party to agree to take advantage of those facilities.” Family Law Act cit.)v http://www.dca.gov.uk/family/abfla/abfl4/abfl4annd.htmvi per una applicazione tipicamente commerciale della figura del cd “case manager” v. http://www.adrcenter.it/avvio_procedure.htmlvii La modulistica reperibile sul punto è molto ampia. Di norma l’invio (cd referral order) viene realizzato negli USA con lo stesso modulo da compilare al momento di dare inizio al procedimento: così, al deposito di una domanda giudiziale in materia di diritto di famiglia, fa riscontro la nomina di un mediatore –individuato dalla Corte- presso il quale le parti debbono recarsi prima della prima udienza di comparizione. Così v. per tutte: “IN THE CIRCUIT COURT, SIXTH JUDICIAL CIRCUIT, IN AND FOR PINELLAS COUNTY, FLORIDA- ADMINISTRATIVE ORDER NO. 2005-031 PI-CIR (1) Cases filed in the St. Petersburg sections of the Family Law Division will be automatically referred to mediation except as provided herein…” Le eccezioni evidentemente variano da Stato a Stato, da Corte a Corte: resta il principio base dell’automatismo dell’invio, realizzato dopo l’inizio del giudizio e prima- normalmente- della prima udienza. viii V. ad es. l’intervento di Biavati, Conciliazione Strutturata e Politiche della Giustizia in Riv. Tri. Dir. Proc. Civ. 2005, 3, 785 dove la espressa contrarietà agli strumenti strutturati di ADR è teorizzata e argomentata funditus.ix Nel senso di risoluzione alternativa alla decisione del Giudice: v. per la genesi della Mediation e degli altri metodi ADR presso le Corti Federali, Civil Justice Reform Act 1990 USA e succ. mod.

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momento dell’invio si trovano -giova ricordarlo- già schierate e contrapposte in giudizio nonché assistite dai rispettivi avvocati.

E’ probabilmente opportuno precisare sin da ora che il compito di stabilire chi sia idoneo alla mediazione e chi non (compito che comporta la selezione dei casi, anche detta pre-mediazione) non dovrebbe in linea di principio essere attribuito ad un Giudice, giacché questi esercita un potere decisionale sulle parti che è incompatibile con ogni fase del procedimento di mediazione.x

La “trasformazione della domanda” dei coniugi in lite e l’istituzione di una

“committenza competente”xi per la Mediazione dovrebbe costituire, invece, il compito primo del Mediatore il quale -auspicabilmente- sarà in grado di convincere le parti ad abbandonare la lite, ovvero -se il suo tentativo non avrà avuto buon esito- restituirà l’incarico al Magistrato inviante dopo qualche tentativo infruttuoso.

Purtroppo l’affidamento della scelta dei casi mediabili al Giudice, nel sistema italiano, è implicita con la decisione normativa di attribuirgli un’ampia discrezionalità circa l’invioxii. Peraltro l’invio discrezionale è tipico anche del regime vigente in Inghilterra e Gallesxiii sicché esso rappresenta un modello culturale accettabile e sperimentato, benché criticabile, di riferimento.

E’ tuttavia evidente che l’invio generalizzato ed automatico adottato negli Stati Uniti può contribuire a creare un effetto di emulazione sociale, mentre tramite l’invio selezionato da parte del Giudice (a tacere della inopportunità metodologica di affidare a questi la selezione dei casi) tale effetto si produrrà più difficilmente.

L’accordo dei partners finalizzato alla Mediazione (normalmente detto: Agreement To Mediate) va invece ricercato solo dopo l’invio del Giudice, una volta giunti davanti al Centro di Mediazione, e ciò sia per un motivo ermeneutico xiv che per ragioni eminentemente pratiche: è ben difficile che –in udienza o comunque ancora in corso di causa- le parti abbiano la volontà di accordarsi su alcunché; al massimo, potranno essere disposte ad aderire formalmente alla sollecitazione del Giudice, temendo conseguenze processuali negative.

Per concludere, almeno su questo primo punto, l’invio alla mediazione è disposto dall’Autorità Giudiziaria, dunque non è spontaneo e forse è persino obbligatorio, ma non nel senso che ad esse venga imposto di accordarsi una volta tentata la mediazione.

xii …”il Giudice può disporre altresì, ove occorra, l’intervento di ..un centro di mediazione familiare” : v. art. 342 ter c.c. Emblematico sul punto l’incipit dell’art. 155 sexies c.c.: “Qualora ne ravvisi l’opportunità il giudice….”xiii Particolarmente esplicito sul punto il Family Law Act 1996, Chap. 27 Directions to respect in Mediation § 13 “After the Court has received a statement it may give a direction requiring each party to attend a meeting arranged in accordance with the direction …3) a direction may be given on the application of either of the parties or on the initiative of the Court.…”.xiv L’invio del Giudice ex art. 2 L. 154/01 (ora 342 ter s.c.) avviene ad “istanza di parte” e non “sull’accordo delle parti”: come si esprime il codice di procedura civile allorquando vuol significare il consenso delle parti in lite, v. ad es. art. 177 c.p.c. Persino l’invio ex art. 155 sexies c.c. che avviene “sentite le parti e acquisito il loro consenso” non implica la formalizzazione di una istanza congiunta: come avviene, sempre a titolo di ad esempio, nel caso dell’art. 296 c.p.c.

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2- Al fine di procedere nell’esame dei concetti di spontaneità e obbligatorietà occorre ora esaminare quali conseguenze siano legittimamente ipotizzabili nel nostro ordinamento per il rifiuto di alcuna delle parti di aderire alla richiesta del Giudice di recarsi in Mediazione.

Sintetizzando, in un caso del genere, sono astrattamente possibili due opzioni: - una valutazione negativa del comportamento processuale di chi rifiuti la Mediazione ai sensi dell’art. 116 c.p.c.xv Tale disposizione del processo civile è però di fatto poco applicata ed è comunque priva di conseguenze pratiche, come noto.- ovvero nessuna conseguenza processuale, come avviene in molti Paesi anglosassoni: al rifiuto di tutte o di alcuna delle parti di recarsi in Mediazione consegue talvolta la laconica relazione (report) negativa del Mediatore Familiare, comunicazione che non indica però al Giudice a chi sia attribuibile il fallimento delle trattative (così ad es. v. Family Law Act 1996 § 13xvi). Tale relazione in molte giurisdizioni manca del tutto: non si rinvengono previsioni consimili recenti nelle legislazioni degli Stati Uniti esaminate.

Orbene, le rare norme che in Italia disciplinano il ricorso alla Mediazione non prevedono alcuna sanzione per il rifiuto di ottemperare all’invito del Giudice, sicché nel nostro Paese la corretta soluzione appare la seconda: trattandosi di norme cd. imperfette (composte dal solo precetto, senza sanzione) in caso di fallimento delle trattative condotte dal Mediatore la causa riprende come se nulla fosse accaduto.

3- Siamo così giunti ad un ulteriore –annoso- dilemma in cui si dibatte la teoria della Mediazione Familiare, e cioè che la stessa, ove non venga introdotta una sanzione per il rifiuto delle parti di iniziare o proseguire il percorso di mediazione, debba necessariamente strutturarsi come un tentativo di conciliazione costituente “condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.

Il nostro sistema processuale, obiettano avvertiti giuristi, vedrebbe come fumo negli occhi tale condizione di procedibilità perché essa è ritenuta ammissibile dall’ordinamento solo per alcune limitate eccezioni, non estensibili analogicamente (per il processo del lavoro, in realtà, e poche altre).

L’obiezione non è di poco conto: come noto, disposizioni di rango costituzionale rendono complessa l’introduzione di ostacoli o filtri al ricorso giurisdizionale (v. art. 24 Costituzione della Repubblica Italiana, I comma: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”) talché difficilmente potrebbe essere legittimamente introdotta nel nostro Paese una Mediazione pre-processuale obbligatoriaxvii.

E’ palese, nello sviluppo di tale argomento, una certa aria di superiorità tutta continentale ed italiana, ritenendo d’essere, a torto o a ragione, custodi del diritto romano, patria del diritto etc.

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Ma –se è per questo, verrebbe da esclamare- ancora più esplicito sul punto è il rigo 40 della Magna Charta:xviii A nessuno venderemo, per nessuno rifiuteremo o ritarderemo diritto e giustizia.

Sarebbe dunque da chiedersi come mai le culture anglosassoni abbiano potuto accettare di ritardare di rendere giustizia (“delay.. justice)” per lasciare spazio alla Mediazione Familiare, ponendosi in contrasto irrimediabile con il principio di civiltà per esse introdotto sin dall’Anno Domini 1215, mentre in Italia, Paese fatto bersaglio di innumerevoli condanne giuridiche e morali internazionali per la interminabile lentezza dei suoi processi, tale piccola e breve deviazione del corso del processo civile stenti a decollare.

Lasciando da parte le valutazioni extragiuridiche di ognuno, sul punto appare degna di nota l’opinione di Lisa Parkinson – mediatore, e direttore del CALM Scotland Comprehensive Accredited Lawyer Mediators- laddovexix osservaxx Lo Stato ha un interesse a restringere l’accesso alla Giustizia e tagliare la spesa pubblica; ciò potrebbe configgere con il diritto dei singoli ad agire in giudizio.

E’ di tutta evidenza come debba essere sempre evitato, in un ordinamento democratico, il potenziale conflitto tra gli strumenti alternativi (ADR) e il diritto dei singoli di accedere al servizio Giustizia: infatti la Mediazione Familiare, nella modulistica delle Corti statunitensi ed inglesi pubblicate ed esaminate da chi scrive nel corso di molti anni, interviene solitamente dopo, e non prima, il deposito di una richiesta giudiziaria presso il Tribunale (sia essa una richiesta di divorzio di separazione, di assegno di mantenimento etc.) ed interviene per effetto di una sollecitazione forte, proveniente dallo stesso Organo giudiziario che deve giudicare il caso, che –proprio per l’autorevolezza dell’apparato da cui essa proviene- non ha alcuna necessità di minacciare sanzioni allo scopo di farsi obbedire.

Pertanto, in termini di politica del diritto, la eventuale futura formulazione della Mediazione come condizione di procedibilità della domanda, non solo risulterebbe concettualmente errata per i canoni della scienza propria della Mediazione Familiare (non potendo restringersi la libertà di alcuno nell’operare tale delicatissima scelta) ma costituirebbe una scelta costituzionalmente scorretta (e antidemocratica) da evitare in ogni modo.

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Conclusivamente: l’invio alla Mediazione dovrebbe essere effettuato dall’Ufficio Giudiziario in quanti più casi (se possibile: in ogni caso) lasciando il lavoro di selezione al Centro di Mediazione, senza prospettare sanzione alcuna alle parti, senza sospendere il giudizio civile, e utilizzando le possibilità normative attuali.

La Mediazione dovrebbe perciò svolgersi all’Udienza Presidenziale o tra questa e la prima udienza, così da non perdere neppure un minuto di “procedimento civile” ma, ove la sollecitazione dovesse risultare prematura in tale fase processuale, l’invio ben

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potrebbe essere sollecitato dal Giudice tra una udienza di comparizione e l’altra, sfruttando lo spazio intercorrente normalmente tra le stesse.

Per l’auspicata diffusione della Mediazione Familiare nel nostro Paese tuttavia è necessario che i protagonisti del processo di famiglia -avvocati, magistrati, consulenti e servizi sociali- facciano un passo indietro rinunziando a posizioni consolidate; persino negando, talvolta, la propria funzione istituzionale a favore del recupero di capacità decisionale della coppia in lite.

CAPITOLO TERZO

-NELLA STANZA DEL MEDIATORE-

Compiute i preliminari della fase di accoglienza e della valutazione del caso le parti sono pronte per iniziare la prima sessione di mediazione.

E’ stato sin qui più volte esposto come –giunti a questo punto della vicenda processuale- si presume che le parti con i loro avvocati, deviati dal percorso giudiziario in cui erano originariamente imbottigliate, abbiano già dato prova di mutua collaborazione.

Esse, quasi sicuramente, hanno già sottoscritto per lo meno un documento congiunto: l’intesa finalizzata alla mediazione (agreement to mediate)xxi e hanno già diffusamente esaminato con l’ausilio i propri avvocati la modulistica del centro di mediazione cui si sono rivolti. Mentre in altri Stati l’intervento degli avvocati può mancare, è realistico pensare che questo non mancherà mai in Italia (salvo in quella specialissima forma di mediazione familiare pre-processuale, non affrontata in questo scritto, perché non attinente al processo civile). Infatti, dopo la riforma del 2006, anche la residua possibilità delle parti di comparire personalmente davanti al Presidente del Tribunale senza assistenza del difensore è svanita (v. art. 707 c.p.c. nuovo testo). Residuano, è vero quei casi di comparizione innanzi il Giudice Tutelare per i quali la difesa tecnica non è prevista: tuttavia è realistico pensare che i primi contatti con il Centro di Mediazione siano avvenuti con il (o per il tramite del) difensore già officiato della causa.

Pertanto, una volta sottoscritta dalle parti la modulistica d’ingresso, acquisito il loro consenso a proseguire la mediazione ed esaminata (per coloro che conducono questo esame) la mediabilità del caso, il Centro fissa una prima riunione e la mediazione ha finalmente inizio.

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§ PRINCIPI GENERALI

Le definizioni che seguono, elaborate dalla Law Society di Inghilterra e Galles (equivalente del Consiglio Nazionale Forense) rappresentano un buon punto di partenza per l’analisixxii.La mediazione è dunque un processo in cui:

1. una coppia o altri membri di una famiglia2. siano o meno legalmente rappresentati e difesi3. in ogni tempo, siano pendenti o meno procedimenti giudiziari4. si accordano per la nomina di una terza parte neutrale5. che è imparziale e6. che non ha alcuna autorità per prendere decisioni concernenti loro problema7. (allorché quest’ultimo riguardi la separazione, il divorzio, problematiche minorili,

diritti reali o questioni finanziarie e ogni altro problema che possa tra loro insorgere)

8. ma che li aiuta a raggiungere le loro decisioni informate 9. tramite una negoziazione10.senza vincitori né vinti (letteralmente: senza aggiudicazione)

Il primo punto non merita, crediamo, spiegazione ulteriore.

Il secondo e il terzo chiariscono che –conformemente alla Raccomandazione del Consiglio d’Europa (v. nota 10)- la mediazione può avere luogo sia prima che durante o dopo un procedimento giurisdizionale. Pertanto le parti possono anche non essere ancora –in questo stadio- assistite da un legale.

Il quarto punto dell’elenco riguarda la stipula dell’accordo di mediazione, in lingua inglese detto comunemente “agreement to mediate” di cui si è detto dianzi. Questa base minimale di accordo è polifunzionale.

- Pur contenendo tale accordo una serie di affermazioni giuridicamente poco vincolanti, la sua sottoscrizione agevola l’impegno delle parti nel percorso di mediazione. Giova insomma a quell’opera di “trasformazione della committenza” di cui abbiamo già parlato, consentendo di passare dalla fase di accoglienza alla mediazione vera e propria.- Tranquillizza gli avvocati delle parti sulla esistenza di regole certe osservate dal Centro, e sulla confidenzialità del percorso di mediazione.- Può servire a tranquillizzare le parti e i loro avvocati circa la non vincolatività degli accordi raggiunti in assenza dei legali nel Centro di mediazione –ma esistono diversi atteggiamenti dei mediatori circa la stipula di accordi scritti, come si dirà nel prossimo capitolo.- Possiede un forte impatto simbolico: ove le parti di una contesa giudiziaria che vede –di solito- coinvolti minori, riescano a sottoscrivere entrambe un documento con cui fissano le regole di una civile discussione è stata

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compiuta una straordinaria conquista. In tal senso può dirsi che l’accordo di mediazione meno impegna, e meglio è.

Mediante tale accordo le parti provvedono altresì a nominare un terzo neutrale, afferma il decalogo della Law Society.

“Neutralità” (punto 4) è un buon termine: da una parte esso evoca il distacco del soggetto neutrale dalla contesa in atto, ma non la sua indifferenza, e dall’altra ricorda il luogo di rifugio degli esuli e dei perseguitati (come la Svizzera per i rifugiati del fascismo e della guerra mondiale, o anche l’interno delle Chiese, associate nei secoli al territorio neutrale, dove il nemico non ci può raggiungere).

La affermazione di neutralità del mediatore è subito dopo seguita dal concetto (n.5) di imparzialità del medesimo: concetto ben più astratto e abusato, nella mentalità corrente nel nostro Paese. Se tale decalogo dovesse mai essere recepito da qualche autorità italiana, forse unitamente ad una astratta imparzialità potrebbe evocarsi il concetto di indipendenza, un po’ meno comune.

La specificazione del punto (6) spazza via un equivoco antico: ovvero che possa effettuarsi un tentativo di mediazione (o di conciliazione della controversia) da parte del Giudice. Chi esercita il potere di giudicare le parti che dinanzi a lui si trovano non può tentare alcuna mediazione per ovvi motivi che non vale la pena di ribadire. Nulla da obiettare, ovviamente, qualora l’Ufficio di Mediatore sia rappresentato da un Magistrato che non è il Giudice di quella causa: a patto che, con una idonea formazione questi sia riuscito a spogliarsi, come ogni altro Mediatore, di quell’habitus mentale che all’esercizio della giurisdizione consegue.

Peraltro, anche sotto il profilo normativo (art. 711 codice di procedura civile) la conciliazione che il Giudice della separazione deve tentare, è evidentemente cosa diversissima dalla mediazione familiare, ed è più propriamente un tentativo di riconciliazione dei coniugi (III co. “Se la conciliazione non riesce, si dà atto nel processo verbale del consenso dei coniugi alla separazione”).

L’elenco delle controversie mediabili di cui al punto (7) dell’elenco inglese è puramente indicativo, e andrebbe comunque adattato alla realtà italiana.

Molto più importanti e –invece- da scolpire come “monumentum aere perennius” i tre punti finali:

(8) che li aiuta a raggiungere le loro decisioni informate (dice il decalogo: their own informed decisions, concetto poco traducibile se non con un raddoppio lessicale per noi inconsueto, come “le loro proprie decisioni informate”): l’accento qui si pone sia sul concetto di informazione, che sul concetto di personalità delle decisioni: la conclusione della mediazione (riuscita) non è rappresentata dalle decisioni di un terzo o di una coppia di esperti, ma dalle decisioni della coppia stessa, nell’interesse proprio e dei figli.

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(9) tramite una negoziazione.(10) senza aggiudicazione: i figli non si vincono alla lotteria del processo.

*****I decaloghi e le definizioni del Mediatore e della Mediazione sono numerosi, generalmente assai meditatixxiii: pochi raggiungono però la concisione e l’efficacia di quello testé esaminato.

§ VARI MODELLI: IN PARTICOLARE LA CO-MEDIAZIONE INTERDISCIPLINARE

1. Tratti comuni e falsi miti

Esistono numerosi trattati sulle diverse tecniche di mediazione, tenuto presente che trattasi di disciplina ove l’eclettismo e l’esperienza personale e professionale hanno un peso preponderante, al di là delle tecniche apprese.xxiv

Possiamo rinviare integralmente a tali studi, salvo tentare di giovarci di una semplificazione.

I vari modelli di mediazione possono essere collocati idealmente su di una linea retta avente ad un estremo un modello integralmente negoziale ed all’altro un modello di derivazione terapeutico familiare.xxv

In buona parte i due modelli in esame (negoziale e terapeutico) costituiscono, ad avviso di chi scrive, un mero riferimento culturale per il mediatore: stante la specialità della materia che forma oggetto della Mediazione Familiare, un approccio del tutto negoziale sugli affetti risulterebbe vano, prima ancora che futile. Mentre un approccio più approfondito (mediazione trasformativa, mediazione terapeutica) sulle cause che hanno determinato la separazione risulterebbe inutile per i fini stessi della Mediazione Familiare, che sono quelli di raggiungere accordi pratici e spendibili in Tribunale.

La Mediazione Familiare si occupa dei dettagli pratici e degli accordi legali di una separazione o di un divorzioxxvi che riguardano la proprietà ed i bambini.

Invece lo strumento di indagine su una relazione genitoriale e di partnership, per comprendere i propri sentimenti ed emozioni aseguito di una separazione, ovvero –perfino- per tentare una riconciliazione o mantenere la compattezza di una famiglia è più propriamente costituito dal “counselling” (se non dalla terapia familiare).

xxvi “How is mediation different from counselling? Counselling is about you and your relationship. It can help you to understand and deal with your feelings and emotions. Sometimes counselling is intended to help couples stay together. Mediation is about the practical and legal arrangements you and your partner make about your children or your property. It is a way of making decisions and settling any disputes after you have decided to separate”. In “Mediazione Familiare: Separarsi senza finire in tribunale” a cura del CLS oct. 2004. Il Community Legal Service CLS è l’Ente del Regno Unito che si occupa, tra l’altro, di soddisfare le richieste di accesso al gratuito patrocinio.

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Peraltro una Mediazione tutta sbilanciata sul versante negoziale e del processo civile avrebbe certamente vita breve: è da considerare come la Mediazione comporti una deviazione dal cammino processuale, sicché –nella normalità dei casi- le parti sono già assistite da ben due legali.

Orbene, se la mediazione non aggiunge e non promette un quid pluris rispetto al mero accordo negoziale che potrebbero trovare gli avvocati tra loro, perché spendere di più?

A contrariis, se due coniugi si trovano -qui ed ora (in quest’aula di Tribunale o nella stanza di un mediatore)- per separarsi, come fare loro troppe domande senza causarne fastidio, insofferenza e rifiuto?

Ecco dunque che la Mediazione appare sempre più come una terra di mezzoxxvii

metafora solitamente utilizzata per descrivere la nostra disciplina come “un territorio neutrale (dove) i mediatori aiutano i partner a trovare un territorio solido e sicuro”.

Ma anche, con tutta evidenza, come una terra di mezzo tra il mondo del diritto e altre discipline, più propriamente psico-sociali.

E’ vero dunque che il background formativo influenzerà qualsiasi mediatore (avvocati, psicologi e operatori psicosociali) ma è altresì vero che non può trattarsi di mediazione senza porre in qualche modo da parte le discipline professionali di provenienzaxxviii: operando per ripristinare quanto più possibile i contatti tra i genitori/ex-partner senza mai perdere di vista l’obiettivo di prevenire, conciliare ed estinguere la lite giudiziaria che rimane sullo sfondo della Mediazione Familiare, lite (che non dev’essere non necessariamente attuale, ma può essere anche potenziale) in assenza della quale la nostra disciplina non risulta spendibile per l’evoluzione del diritto di famiglia, e non riguarderà se non frange minoritarie di genitori che intendono migliorare il proprio rapporto di separati o divorziati.

2. La Comediazione Interdisciplinare

Un ottimo metodo per porre un limite alle insidie rinvenibili in questa terra di mezzo è rappresentato dall’approccio interdisciplinare.

In Italia questo approccio è praticato presso pochi centri.xxix

L’integrazione delle competenze dei co-mediatori non è cosa facile da ottenere, perché sebbene non si tratti di dar vita al Minotauro, occorre formare due professionisti le cui competenze si bilanciano e si compensano: e che valorizzano vicendevolmente il reciproco sapere.

xxix Tra cui il Centro di Co-Mediazione Familiare della Accademia della Famiglia Onlus in Roma dove un gruppo di Mediatori-Avvocati e Mediatori-Non Avvocati (Psicologi, Assistenti Sociali, Psicoterapeuti) lavorano fianco a fianco dal 2003, la cui area legale è coordinata dall’estensore di questo scritto.

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Sul punto, un buon punto di partenza è –ancora – costituito dalla Signora Lisa Parkinson: xxx

“Le diverse prospettive professionali e le esperienze all’interno di un gruppo di mediazione interdisciplinare, offrono più competenze e sicurezza nella gestione di molte problematiche (Stier e Hamilton 1984). Co-mediatori con background professionali diversi hanno la possibilità di completarsi a vicenda offrendo:

1.Una gamma più ampia di competenze…; 2. Mediazione su tematiche correlate..; 3. Maggiore creatività..; 4. Modalità strategiche per fornire informazioni alle coppie…; 5. Dibattiti strategici fra co-mediatori…; 6. Utilizzo dello humour per ridurre la tensione…; 7. Redazione di riassunti scritti…..

Gli svantaggi della co-mediazione sono ex pluribus riferiti al costo della mediazione, che in effetti secondo alcuni raddoppierebbe. Tuttavia la possibilità di trattare professionalmente (da parte del comediatore avvocato) con i legali delle parti, da collega a collega, riduce i tempi di intervento e gli equivoci possibili: così facendo si riduce anche il costo complessivo della mediazione. Sicché anche l’unico svantaggio rinvenibile nella co-mediazione pare a chi scrive superabile.

Esiste d’altra parte una sconvenienza meno nota: il professionista nella co-mediazione si “sposterebbe” meno dall’ambito delle sue strette competenze.

Ammesso che ciò sia vero (contra: Dominic Raeside – mediatore professionista presso Family Law in Partnership, Londra)xxxi si tratta di un problema squisitamente connesso alla formazione del co-mediatore. In tutto il mondo anglosassone l’abilitazione a svolgere la co-mediazione viene prima della abilitazione alla mediazione come mediatore singolo. Per ovvie ragioni: far digerire le tematiche dei diritti disponibili/indisponibili ad uno psicologo, ovvero fornire fondamenti di psicologia relazionale ad un avvocato richiede forse un po’ meno tempo che formare un professionista unico che abbia entrambe le competenze necessarie per operare in un ambiente giudiziario, con l’abilità di un mediatore.

Sarà però necessario che tali competenze risultino sufficientemente approfondite per evitare il rischio dell’autoreferenzialità, nociva sia per la riuscita della mediazione che per la crescita professionale del co-mediatore.

“I conflitti interni alla coppia sono dunque diversi, e vanno trattati diversamente, a seconda che ne consideriamo la dimensione della partnership e quella genitoriale. Questa diversità, assai semplice da concettualizzare come principio generale, rischia di essere molto meno semplice da declinare operativamente nella pratica della mediazione familiare. La coppia dei partner/genitori è infatti un sottosistema bi-dimensionale all’interno del sistema familiare; padroneggiare un sistema che lo contestualizzi con chiarezza è indispensabile per l’orientamento pratico del mediatore”xxxii.

xxxii P. Stampa in Codice della Mediazione Familiare cit. p. 15

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CAPITOLO QUARTO

LA CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE ED IL SUO ESITO PROCESSUALE

§Premessa

Per molti anni, dacché ho iniziato ad occuparmi di questa materia, il momento ed il modo della conclusione del procedimento di mediazione (di natura più squisitamente processual-civilistica) mi sono apparsi rilevantissimi e i più meritevoli in assoluto di approfondimento.

Il coacervo di istituti processuali e sostanziali che risultano interessati da questa fase (la transazione su diritti disponibili e soprattutto su quelli indisponibili, la conciliazione ed estinzione del processo, gli accordi paraprocessuali e il loro valore nel processo e fuori dal processo, il ruolo del giudice, degli avvocati e del P.M. nella conciliazione ed estinzione del processo di famiglia) tutto congiura per connotare questa particolare fase della mediazione quale topos processuale per eccellenza, il momento più interessante per il giurista.

Dal momento della nascita di quell’interesse però, chi scrive deve aver frequentato un po’ troppo gli psicologi.

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Gli istituti coinvolti in questa fase procedimentale, per la verità, permangono molto interessanti ma per chi voglia davvero occuparsi di mediazione familiare deve formularsi un distinguo.

Il giurista è, per sua natura, portato ad un ragionamento binario: l’attore e il convenuto, la domanda e l’eccezione, la vittoria o la sconfitta (categorie queste ultime incompatibili con l’idea di mediazione in generale, come si sa fin troppo bene) pace o guerra; lite o conciliazione.

Questa logica alternata è iscritta nel DNA del giurista da tempo immemorabile: chi non ricorda la definizione romanistica della “cosa giudicata”? Res iudicata facit de albo nigrum, …aequat quadrata rotundis,… et falsum in vero mutat. Vero e falso, bianco e nero, dunque. Purtroppo la vita vera è più complessa della sua rappresentazione processuale.

In realtà lo stesso giurista –in particolare l’avvocato, che vive più a stretto contatto con le esigenze quotidiane dell’utenza- ben conosce la fallibilità di tale logica binaria.

In generale, l’aver vinto una causa non solo non comporta quasi mai la restitutio in integrum del bene della vita per cui la causa stessa è insorta, ma sempre più spesso la cosiddetta vittoria non riesce neppure a garantire un completo ristoro per equivalente del danno subito, a causa delle disfunzioni e delle peculiarità del procedimento di esecuzione e del sistema giudiziario civile in generale, disfunzioni sulle quali non mette conto soffermarsi in questa sede.

In materia di famiglia poi, una pace armata può risultare sovente meno auspicabile di una guerra guerreggiata, e comunque non equivale affatto ad una ritrovata concordia dei genitori.

All’inizio di questo capitolo conclusivo, pertanto, vale ribadire che nella mediazione familiare un fallimento vero e proprio non è contemplato.

Anche ove il procedimento di mediazione avesse soltanto superato le formalità iniziali, un primo risultato sarebbe stato già raggiunto: l’aver portato due genitori ex partner, intrappolati in una lite giudiziaria, a sedersi nella stessa stanza e –avvalendosi dell’operato di esperti (come recita l’art. 155 sexies c.c.) - a stabilire un contatto visivo diretto, anche solo per un minuto, costituirebbe già uno straordinario passo in avanti. Forse quella mediazione (se riduttivamente intesa come mera conciliazione ed estinzione della lite) avrà esito negativo, o forse darà i suoi frutti negli anni a venire, chissà. Ma il valore aggiunto che può rinvenirsi nel tentativo compiuto dal mediatore, lontano dai paludamenti processuali può scorgersi immediatamente.

Ciò rende –per chi scrive almeno- un po’ meno interessante il profilo giuridico connesso alla estinzione della lite vera e propria.

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Tutto ciò ritenuto e premesso, come si suol dire, la summa divisio nella conclusione del sub-procedimento di mediazione familiare può essere definita in questi termini.

Mediazioni che si concludono con la redazione di un accordo scritto alla presenza delle parti.

Mediazioni che lasciano tale successivo compito agli avvocati delle parti stesse e al Giudice, e che si concludono senza la sottoscrizione di un documento.

Mediazioni cd. fallite, che restituiscono al Giudice la controversia.

Benché, per una serie di motivi (tutti validissimi) al giurista la prima opzione appaia ictu oculi piuttosto sconveniente, essa ha goduto e tuttora gode di un certo favore tra i mediatori di background non legale.

Da ciò deriva la necessità di occuparsene, sicché l’indagine deve spostarsi sul seguente terreno:

a) validità degli accordi transattivi extraprocessuali in materia di diritto di famiglia;b) significato della espressione “salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti” (art. 155 V co.): mera tautologia o innovazione legislativa?

1) VALIDITÀ DEGLI ACCORDI TRANSATTIVI EXTRA PROCESSUALI IN MATERIA DI DIRITTO DI FAMIGLIA

L’atto conclusivo di un procedimento di mediazione è detto comunemente “Memorandum of Understanding” ovvero, letteralmente, memorandum di intesa. Chiunque si avvede che la nozione di memorandum non è equivalente a quella di contratto, ma evoca qualcosa di meno.

Anche qui, non esiste un modello tipizzato e definito:xxxiii vi sono mediatori che fanno sottoscrivere il memorandum alle parti, senza la presenza degli avvocati, e mediatori che fanno sottoscrivere il memorandum alle parti ma in presenza degli avvocati; altri ancora si limitano a redigere una lista di punti sui quali le parti si sono accordate in loro presenza, senza far sottoscrivere alcunché alle stesse. Quest’ultima opzione appare, come già detto, di gran lunga preferibile: considerato infatti che nella materia de qua l’accordo non può aver pieno valore in difetto della omologazione da parte del tribunale, l’aver ottenuto la sottoscrizione dei coniugi sul memorandum presenta più svantaggi che vantaggi. Essa non basta a vincolare le parti, ma espone invece il mediatore a possibili azioni risarcitorie per le eventuali menomazioni dei diritti che le stesse parti avessero a soffrire per effetto della sottoscrizione compiuta in sua presenza.

Pertanto appare assai più prudente la consegna alle parti di una lista d’intenti comuni (non sottoscritta né dalle parti né dal mediatore) con la sollecitazione di

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inoltrare tale memorandum ai propri avvocati affinché questi (il cui ruolo processuale a tal punto rimane integro e confermato) lo trasformino in un “verbale di conciliazione” depositando l’accordo in tribunale.

O l’accordo sostanziale dei coniugi esiste, infatti, o non esiste. Se il canale di comunicazione tra i due ex partner/genitori è stato ripristinato, la “spina elettrica” che dava energia al processo contenzioso è stata già staccata. Diversamente, se l’accordo è fittizio o puramente formale, non c’è sottoscrizione di memorandum che tenga: tale accordo non resisterà neppure il tempo necessario a spostarsi in taxi dal centro di mediazione allo studio dell’avvocato. Senza contare l’ipotesi in cui lo spostamento avvenga nel centro di Roma, in un giorno di pioggia.

Ma quid iuris se –ciononostante- un (poco avveduto) mediatore lasciasse sottoscrivere un accordo in sua presenza dopo l’invio da parte del giudice (avvenuto ex art. 155 sexies)?

Dev’essere opportunamente ricordato che –in base all’art. 155 sexies c.c.- che costituisce il più importante riferimento normativo alla mediazione familiare gli accordi debbono riferirsi alla tutela dell’interesse morale e materiale dei minori. Pertanto è ben possibile (anzi accade normalmente) che, nel curare il raggiungimento degli accordi suddetti, il mediatorexxxiv definisca aspetti relativi a diritti disponibili dei partner.

Se l’ipotetica transazione raggiunta innanzi il Mediatore avesse ad oggetto soltanto diritti disponibili, nulla quaestioxxxv: ad esempio la cessione di un immobile, che rimarrebbe senz’altro valida.

Più delicata appare la stipula di un siffatto negozio transattivo ove esso involga diritti patrimoniali ma di natura per così dire irreversibile: ad esempio l’accettazione di un assegno in unica soluzione, che come noto preclude la strada ad ogni successiva richiesta economica.xxxvi Oppure la rinunzia all’abitazione, o altra rinunzia patrimoniale significativa: è bene che il mediatore sia prudente nel dar adito a tali accordi, soprattutto per le conseguenze (anche risarcitorie) che potrebbero derivarne, anche per lo stesso mediatore. Non è affatto scontato l’esito di un giudizio civile sulla validità di accordi siffatti.

Interessante e degno di menzione anche il caso del negozio cd. presupposto: talvolta le parti si accordano in sede di separazione soltanto su alcuni parametri di base, lasciando al di fuori dell’accordo altri aspetti regolati con scrittura privata (principalmente ciò avveniva, prima delle più recenti riforme, per motivi fiscali). In tal caso, la separazione così come omologata dal Giudice non è revocabile, qualunque cosa le parti abbiano detto o scritto davanti al Mediatore: anche qui, dunque, appare saggio delegare agli avvocati delle parti la intera vicenda transattivaxxxvii.

Infatti, il rischio che alcune parti dell’accordo resistano ed altre non, dev’essere valutato dagli avvocati delle parti, e da essi sottoposto al giudice: di conseguenza la …

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captatio di una sottoscrizione del Memorandum all’interno del centro di mediazione non migliorerà (semmai peggiorerà) la situazione delle parti.

2) “SALVO ACCORDI DIVERSI LIBERAMENTE SOTTOSCRITTI DALLE PARTI” (ART. 155 V CO.): MERA TAUTOLOGIA O INNOVAZIONE LEGISLATIVA?

Per concludere questo capitolo conclusivo abbiamo scelto la definizione epigrafata, introdotta dalla l. 154 del 8.2.2006, ed apparentemente piuttosto criptica che integralmente si riporta in nota.xxxviii

x cfr. Racc. CE 98/01 sez. III Metodi di Mediazione «il Mediatore non ha il potere di imporre una soluzione alle parti »; Uniform Mediation Act Section III Scope, n. 3 “This Act does not Apply to a Mediation conducted by a Judge who might make a ruling on the case” v. pure nonché le Procedure per l’accreditamento della Law Society of England and Wales/ Family Mediation Panel Londra Novembre 2003: Family Mediation is a process in which .. a couple… agree to the appointment of a third neutral party…. who is impartial… who has no authority to make any decision with regard to their issues…xi Committenza competente – Con questa espressione si intende, nella teoria della tecnica psicologico-clinica, il prodotto di un processo orientato a far sì che i destinatari dell’ intervento siano pienamente consapevoli dei suoi obiettivi, metodi, strumenti di verifica, al punto di rendersi a pieno titolo partner dell’ intervento stesso. Poiché la domanda di intervento psicologico si presenta sempre, tuttavia, nella forma della richiesta al “tecnico” da parte del “profano”, una specifica processualità – denominata analisi della domanda – va rivolta alla trasformazione della domanda stessa nel senso sopra indicato (cfr. P. Stampa, “Alcune osservazioni sul rapporto tra competenza e prestazione nella professione psicologico-clinica”, in Ricerca psicoanalitica, 1-2, 1994).xv “Il Giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno…. dal loro rifiuto a consentire le ispezioni che egli ha ordinate, e in generale dal contegno delle parti stesse nel processo”.xvi A direction shall-(a) specify a person chosen by the court (with that person's agreement) to arrange and conduct the meeting or meetings; and(b) require such person as may be specified in the direction to produce to the court, at such time as the court may direct, a report stating- (i) whether the parties have complied with the direction; and(ii) if they have, whether they have agreed to take part in any mediation.

xvii In particolare si richiama una remota ordinanza Corte Cost n. 73 del 1988 con la quale la Corte ha stabilito che il tentativo di conciliazione (ivi, con riguardo alle cause agrarie) è costituzionalmente legittimo se non costituisce “adempimento vessatorio di difficile osservanza né un'insidiosa complicazione processuale tale da ledere il diritto di difesa dell'attore”. Ma v. pure, in senso analogo e in materia di lavoro “Non è fondata la q.l.c. dell'art. 412 bis comma ultimo c.p.c., sollevata in riferimento agli art. 3 e 24 cost. nella parte in cui non inserisce il procedimento monitorio nell'elenco dei procedimenti sottratti al tentativo di conciliazione, poiché la logica che impone alle parti di "incontrarsi" in sede stragiudiziale prima di adire il giudice, è strutturalmente collegata ad un futuro processo destinato a svolgersi fin dall'inizio in contraddittorio tra le parti. Corte costituzionale, 13 luglio 2000, n. 276. Nonché v. pure la recente Ord. 268/2006 della Corte Costituzionale, anch’essa nel senso di dichiarare l’inammissibilità del vaglio costituzionale ma resa in materia di diritto consumatori, con qualche accenno al merito della questione.

xviii “To no one will we sell, to no one will we refuse or delay, right or justice”.

xix Lisa Parkinson, (M.A. Univ. Oxford) Family mediation in England And Wales, 2005 in www.era.intxx “The State has an interest in restricting access to legal services and cutting public expenditure. This may conflict with the rights of individuals to have access to justice”.

xxi La rete internet abbonda di esempi di tali documenti. Da notare che l’agreeement to mediate contiene sempre un impegno di confidenzialità (e dunque a non citare come testimone il mediatore) talvolta a pena di risarcimento dei danni, e contiene inoltre una serie di precetti generici,

xxii http://www.lawsociety.org.uk/documents/downloads/panelsfamilymediationnotesv1.pdf Section 1 – objectives of family mediation Family mediation is a process in which:1.1 a couple or any other family members1.2 whether or not they are legally represented1.3 and at any time, whether or not there are or have been legal proceedings1.4 agree to the appointment of a neutral third party (the mediator)1.5 who is impartial1.6 who has no authority to make any decisions with regard to their issues1.7 which may relate to separation, divorce, children's issues, property and financialquestions or any other issues they may raise1.8 but who helps them reach their own informed decisions

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La singolare formulazione dell’articolo in questione suscita immediatamente una selva di interrogativi:

esistono o possono esistere accordi non liberamente sottoscritti? Un accordo non libero –non v’è chi non lo veda- risulterebbe affetto da violenza morale, e perciò stesso annullabile ex art. 1441 c.c. (non è un accordo, in altre parole).

La minaccia di far valere un diritto (art. 1438 c.c.)xxxix quando non è diretta ad ottenere vantaggi ingiusti (che renderebbero annullabile il negozio) ma vantaggi giusti, è sufficiente a far ritenere “non libero” l’accordo?

1.9 by negotiation1.10 without adjudication.

xxiii Per esempio vedasi l’infinito (per gli standard statunitensi) iter di recepimento dell’Uniform Mediation Act negli Stati Uniti d’America (dal 2001 al 2007). xxiv V. per una ampia rassegna delle tecniche e delle finalità dei modelli di mediazione familiare: Lisa Parkinson La Mediazione Familiare, Erickson pag. 57 e sgg.

xxv Parkinson cit. enumera 1. La mediazione diretta all’accordo; 2. la mediazione trasformativa; 3. la mediazione familiare terapeutica; 4. la mediazione shuttle; 5. la mediazione centrata sulla famiglia; 6. i modelli narrativi; 7. la mediazione valutativa.xxvii Parkinson op. cit. p. 140xxviii v. Pietro Stampa, Introduzione a Il Codice della Mediazione Familiare, Ed. Giuffré 2001 di Battaglini, Calabrese, Marchio, Saccu, Stampa: …La questione non è solo di linguaggio, bensì di metodo: occorre infatti chiedersi se, e in quale misura, l’intervento di mediazione possa ragionevolmente porsi l’obbiettivo di trattare i conflitti interpersonali in modo da sviluppare una nuova, superiore capacità di tollerarne la pressione emotiva; o se i soggetti vadano condotti quanto più vicino possibile ad accordi concretie specifici in ordine ad un numero limitato di conflitti…nel secondo caso, quello incui la mediazione si ponga l’obiettivo di una sorta di <pacificazione> piuttosto che del raggiungimento di una nuova più evoluta competenza relazionale dei soggetti, le rappresentazioni concrete del conflitto non vengono attaccate dall’intervento, il cui accento sarebbe più spostato su una forma di “negoziazione ragionata”. xxx La Mediazione Familiare op. cit. 77xxxi La cui opinione da me raccolta mi sembra utile riportare: “Se tu fossi una mosca sul soffitto di questa stanza di co-mediazione, non potresti distinguere chi è il mediatore avvocato e chi lo psicologo.”xxxiii la sola interrogazione sul più comune motore di ricerca delle parole “memorandum of understanding family mediation” ha prodotto 115.000 risultati. Enucleare alcuni modelli in particolare risulterebbe perciò un esercizio inutile

xxxiv ausiliario “atipico” del giudice ex art. 68 disp.att.c.c. : su tale qualificazione dottrina e giurisprudenza non hanno mai avuto dubbi. Da ultimo v. Trib. Lamezia Terme ord 28.11. -5.12.2007, ma in precedenza Trib. Bari 21.11.2000 (in Dir. Fam. 2001, 1501)xxxv La scrittura privata indirizzata a regolare i reciproci rapporti patrimoniali fra i coniugi consensualmente separati, avente ad oggetto, fra gli altri, anche il trasferimento della proprietà di beni immobili, può configurarsi come transazione ed ha piena validità ed efficacia. La transazione, infatti, può intervenire tra i coniugi per disciplinare il rapporto patrimoniale oggetto di possibile od attuale controversia, beninteso senza che essa possa avere ad oggetto diritti indisponibili dei contraenti. La libertà negoziale riconosciuta dalla legge ai coniugi contraenti è funzionale alla autonoma scelta della migliore soluzione delle controversie sorte in relazione alla separazione, ed in questo senso non merita censure pur in considerazione di una nozione alquanto ampia di "legittimo accordo patrimoniale". Cassazione civile , sez. I, 09 luglio 2003, n. 10794

xxxvi Gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, i reciproci rapporti economici in relazione al futuro ed eventuale divorzio con riferimento all'assegno divorzile sono nulli per illiceità della causa, avuto riguardo alla natura assistenziale di detto assegno, previsto a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo. Ne consegue che la disposizione dell'art. 5, comma 8, della legge n. 898 del 1970 nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987 - a norma del quale, su accordo delle parti, la corresponsione dell'assegno divorzile può avvenire in un'unica soluzione, ove ritenuta equa dal tribunale, senza che si possa, in tal caso, proporre alcuna successiva domanda a contenuto economico - non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio, e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati secundum ius, non possono implicare rinuncia all'assegno di divorzio. Cassazione civile , sez. I, 10 marzo 2006, n. 5302

xxxvii v. ex multis: È inammissibile la domanda di revoca del decreto di omologazione della separazione consensuale, avanzata da un coniuge sulla base dell'asserita simulazione dell’accordo di separazione omologato, giacché le norme in tema di simulazione dei contratti non sono applicabili ai negozi giuridici familiari, caratterizzati dalla rilevanza di diritti indisponibili e dal controllo dell'autorità giudiziaria. Tribunale Roma, 14 dicembre

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E il timore reverenzialexl, che di per sé non è causa di annullamento (1437 c.c.) potrebbe rendere non libero un accordo di separazione?

E –scendendo ancora nella scala della rilevanza giuridica- l’orgoglio del coniuge debole abbandonato per un partner più giovane e che accetti condizioni di separazione svantaggiose, inficia l’accordo?

In definitiva chi, se non il giudice (che già lo faceva prima della L. 154/2006) stabilisce se un accordo è preso liberamente, o è frutto di violenza o minaccia?

Non risultano ancora pubblicate decisioni facenti riferimento all’avverbio liberamente, introdotto nell’art. 155 c.c. solo recentementexli .

Chi scrive ritiene che si tratti di una mera tautologia, e che qualsiasi vaglio di accordo in subiecta materia spetti al Giudice, e al P.M. che lo esercita negli stessi limiti antecedenti la riforma. Si tratterebbe dunque di una specificazione inutile: un accordo o è preso liberamente, o non è.

Re melius perpensa, si potrebbe cogliere l’occasione normativa per stabilire che la libertà degli accordi di separazione dev’essere valutata previamente in sede di mediazione familiare, dovendo –in mancanza dell’esperimento di essa- farsi molto più pregnante il controllo del giudice per valutare la effettiva libertà della volizione dei partner relativa al futuro dei figli.

In altre parole, in assenza dell’invio di cui all’art. 155 sexies c.c., si potrebbe ritenere che ogni accordo relativo ai rapporti di cui all’art. 155 c.c. –e predisposto senza far ricorso ad una mediazione familiare- diviene ipso facto esposto ad un vaglio della magistratura più pregnante di quanto non avvenga oggi, mentre gli accordi 1998

xxxviii art. 155 V co. c.c. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:1) le attuali esigenze del figlio;2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;4) le risorse economiche di entrambi i genitori;5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.xxxix Art. 1438 cod. civ. Minaccia di far valere un diritto. La minaccia di far valere un diritto può essere causa di annullamento del contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti .

xl Art. 1437 c.c. Timore riverenziale. Il solo timore riverenziale non è causa di annullamento del contratto.

xli due massime ormai remote Tribunale Monza, 04 luglio 1984, Tribunale Catania, 17 aprile 1996, equiparano la nozione di accordi “liberamente” presi dai coniugi alla volontà non coartata, ma sono precedenti alla introduzione della nuova legge.

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frutto di una meditata e approfondita mediazione familiare, e sottoscritti con l’intervento dei legali delle parti dinanzi al Giudice, potrebbero godere, per così dire, di una corsia preferenziale. Gli accordi assunti in sede di Mediazione Familiare si riterrebbero perciò sempre “liberamente presi”, tutti gli altri resterebbero da verificare.

Anche per rendere praticabile questa proposta interpretativa, tuttavia, si impone quel generale cambiamento di mentalità invocato pressoché in tutte le pagine di questo scritto.

Roma, gennaio 2008

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